ANNO LXIV - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2012 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Antonio Palatiello - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ugo Adorno, Giuseppe Albenzio, Antonella Anselmo, Stefano Bini, Daniela Canzoneri, Ignazio Francesco Caramazza, Gianna Maria De Socio, Alessandro De Stefano, Lorenzo Diotallevi, Michele Dipace, Wally Ferrante, Federico Maria Giuliani, Emanuele Manzo, Loredana Martinez, Marco Stigliano Messuti, Marco Morelli, Serena Oggianu, Tommaso Pistone, Sabrina Scalini, Maria Elena Scaramucci, Mario Antonio Scino, Agnese Soldani, Francesco Spada, Vito Tufariello, Giuseppe Zuccaro. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829597 ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato: Presidente della Repubblica c. PM Palermo. Gli atti defensionali dellAvvocatura e la sentenza della Consulta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Antonella Anselmo, Strumenti legali europei e degli Stati Membri per la prevenzione e repressione della violenza contro le donne e la violenza domestica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Antonio Scino, La politica energetica europea: Dalle origini alle pi recenti evoluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- Le decisioni della Corte di giustizia dellUnione europea Paolo Gentili, Considerazioni a caldo per spunti di riflessione alla sentenza sul regime linguistico nellUe (C. Giustizia, Grande Sezione, sent. 27 novembre 2012, causa C-566/10 P). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.- I giudizi in corso della Corte di giustizia Ue Wally Ferrante, Trasporti, Causa C-509/11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Ravvicinamento delle legislazioni, Propriet industriale e commerciale, Causa C-314/12. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Lorenzo Diotallevi, Spunti in materia di mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali (Cass. civ., Sez. V, sent. 6 ottobre 2011, n. 20445) . . . . . . . . Stefano Bini, I licenziamenti disciplinari dopo la l. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero). Considerazioni alla luce della prima pronuncia giurisdizionale in materia (Trib. Bologna, ord. 15 ottobre 2012) . . . . . . . . . . Ugo Adorno, Licenziamento: Legge Fornero e pubblici dipendenti (Trib. Perugia, ord. 10 novembre 2012) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maurizio Borgo, Art. 143, comma 11, T.U.E.L.. Un breve appunto e una sentenza di conferma (Tar Sicilia, Palermo, Sez. Seconda, sent. 15 ottobre 2012 n. 2005) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Maurizio Borgo, La consulenza di legittimit e di merito delle amministrazioni compete, in via esclusiva, allAvvocatura dello Stato (Cons. St., Sez. Sec., parere del 23 ottobre 2012 n. 04320) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 67 80 96 117 126 137 147 156 161 181 Maria Elena Scaramucci, Sul patrocinio c.d. autorizzato degli enti lirici (ora, fondazioni di diritto privato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianna Maria De Socio, Ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Albenzio, Applicabilit ai dirigenti RAI dei limiti alle retribuzioni disposti dal d.p.r. 195/2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nellambito di rapporto di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali - D.P.C.M. 23 marzo 2012 . . . . . . . . Alessandro De Stefano, Concessioni radio/televisive: possibilit di affitto del servizio da parte del concessionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Daniela Canzoneri, Giuseppe Zuccaro, Spese di custodia dei veicoli sequestrati o sottoposti a fermo amministrativo per violazione del codice della strada. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Stigliano Messuti, Criterio dellaccessoriet/essenzialit della prestazione nella disciplina dei contratti misti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gianna Maria De Socio, Attivit del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco in favore di Prefetto/Commissario Delegato di protezione civile. . . . . . . Agnese Soldani, Sanzione pecuniaria irrogata dallAntitrust: debenza di interessi in caso di rateizzazione ex art. 26 L. 689/81 . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALIT Giuseppe Fiengo, La Giornata della Trasparenza. Per un Freedom of Information Act (FOIA) anche in Italia La difficile via italiana . . . . . Federico Maria Giuliani, Sabrina Scalini, IMU ed immobili a utilizzazione mista indistinta (lesenzione proporzionale tra schema decretale e parere consiliare) (Nota a Cons. St., Sez. Consultiva per gli atti normativi, parere 27 settembre 2012 n. 07658) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Loredana Martinez, Il governo delle risorse idriche tra competenze statali e territoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Serena Oggianu, Liberalizzazioni, ambiente ed energia . . . . . . . . . . . . . Francesco Spada, Il Rapporto sulla corruzione nella pubblica amministrazione: analisi del fenomeno e delle proposte . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Ignazio Francesco Caramazza, Il sistema delle impugnazioni nel processo amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Emanuele Manzo, Translatio iudicii tra giurisdizioni e sorte dei provvedimenti cautelari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Serena Oggianu, Gli accordi in materia ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 185 188 192 195 197 200 207 212 221 235 241 251 288 317 323 333 355 RECENSIONI Maurizio Borgo, Marco Morelli, Lacquisizione e lutilizzo di immobili da parte della P.A. Espropriazione per pubblica utilit e strumenti alternativi, Giuffr Editore 2012. Prefazione di Michele Dipace . . . . . . . . . . Vito Tufariello, La responsabilit civile. Il danno da immissioni, Utet Giuridica, 2012 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 375 377 TEMI ISTITUZIONALI Conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato Presidente della Repubblica c. PM Palermo Gli atti defensionali dellAvvocatura e la sentenza della Consulta Nel presentare gli atti defensionali dellAvvocatura dello Stato nel giudizio per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato (Presidente della Repubblica c/ PM di Palermo), deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 del 2013, il pensiero sembra volersi avvitare intorno ad una lettura universitaria, decisamente atipica come manuale di diritto amministrativo. Il riferimento topico al Corso di Diritto amministrativo, Milano, 1970 di Massimo Severo Giannini e alle pagine, da 115 a 143, nelle quali lAutore descrive le figure soggettive del diritto pubblico. Nozioni generali, ma inusuali nella nostra comune esperienza giuridica, tutta fondata sul potere ministeriale, sulla persona giuridica, sugli organi e sulle competenze separate e distinte. M.S. Giannini parla invece di munus, di officium, delle figure formali dellorgano e del rappresentante e della gamma variegata delle imputazioni giuridiche : Ma le potest tipiche del munus pubblico sono pubbliche in quanto volte a curare gli interessi della collettivit O il diritto formalizza le potest e lesercizio di esse, e quindi configura come atti giuridici i momenti dellagire giuridico del munus ed allora il munus imputa a se stesso gli atti medesimi e alla collettivit i risultati ultimi dellattivit. Oppure le potest restano al livello informale, ed allora si realizza solo limputazione di risultati alla collettivit. Ed qui, in questa figura soggettiva, del Presidente della Repubblica - che rappresenta lunit nazionale ed munus pubblico come ribadisce la memoria difensiva dellAvvocatura dello Stato - sembra dipanarsi nella sostanza il pensiero della Corte Costituzionale. 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Anche le tesi del formalismo giuridico, per la verit un po giacobino, delle persone giuridiche e degli organi, portati avanti dalle difese dei Pubblici Ministeri, vengono sistematicamente ed analiticamente confutate dalla Corte Costituzionale con argomenti ragionevoli e convincenti, ma su tutti emerge il principio giuridico che appare la chiave di volta dellintera sentenza: il riferimento ricorrente e costante al carattere personale dellattivit del Presidente della Repubblica, chiamato in ogni suo atto, formale od informale, al compito decisivo di assicurare - nei momenti di crisi, nei quali i meccanismi formali delle competenze e degli organi sembrano incepparsi - la continuit del processo della democrazia. Nessun automatismo, nessun formalismo pu ragionevolmente ostacolare questa fondamentale attivit. forse questa la lezione che, dagli atti dellAvvocatura dello Stato e dalla sentenza della Corte Costituzionale, sembra emergere in questa vicenda processuale, come punto fermo nelle nostre istituzioni democratiche. * ** * CT. 27074/12 ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE RICORSO del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, giusta Decreto Presidenziale in data l6 luglio 2012 (doc. 1) avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo in relazione allattivit di intercettazione telefonica, svolta nellambito di procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica di Palermo, effettuata su utenza di altra persona nellambito della quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica. FATTO Con nota in data 27 giugno 2012 prot. n. 069/s.p., lAvvocato Generale dello Stato chiedeva al Dottor Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, avendone ricevuto espresso mandato dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, una conferma o una smentita di quanto risultava nellintervista effettuata dalla giornalista Alessandra Ziniti al P.M. Antonino Di Matteo e pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 22 giugno 2012 (doc. 2), dalla cui risposta emergeva che sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica allo stato considerate irrilevanti, ma che la Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare (doc. 3). Con nota in data 6 luglio 2012, il Procuratore Messineo allegando la missiva in data 5 luglio TEMI ISTITUZIONALI 3 2012 (doc. 5) con la quale il Dott. Di Matteo rappresentava che le affermazioni, pronunciate nel corso di unintervista telefonica con la giornalista Ziniti, erano conseguenza di una domanda di questultima assolutamente generica sulla sorte processuale del compendio delle intercettazioni effettuate nellambito di indagini, limitandosi allovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attivit di intercettazione telefonica, comunicava che la Procura di Palermo, avendo gi valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo della Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare can losservanza delle formalit di legge (doc. 4). Con nota diffusa il 9 luglio 2012 (doc. 6) e con lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica in data 11 luglio 2012 (doc. 7), il Procuratore Messineo ulteriormente affermava che nellordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza limmediata cessazione dellascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione. Aggiungeva, inoltre, che in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci quanto prevedono le pi elementari norme dellordinamento .... Il Presidente della Repubblica non ritiene di poter condividere la tesi del Procuratore della Repubblica, in quanto, a norma dellart. 90 della Costituzione e dellart. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento daccusa, le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch indirette e occasionali, sono, invece, da considerarsi assolutamente vietate e non possono, quindi, essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione. Comportano, quindi, lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, lavvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e lintento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte. In virt del Decreto in epigrafe del Capo dello Stato, lAvvocatura Generale eleva, pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219, anche con riferimento allart. 271 del codice di procedura penale). DIRITTO 1. Sullammissibilit del ricorso. 1.1. Sotto il profilo soggettivo. La spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Presidente della Repubblica, odierno ricorrente, del tutto pacifica. 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Per quanto concerne la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, appare sufficiente richiamare linsegnamento di codesta Ecc.ma Corte in ordine alla competenza del Procuratore della Repubblica di dichiarare definitivamente la volont del potere a cui appartiene ed alla individuazione in capo al Pubblico Ministero della natura di potere dello Stato in quanto titolare diretto ed esclusivo dellattivit di indagine finalizzata allesercizio (obbligatorio) dellazione penale (sentenze della Corte Costituzionale n. 216 e 420/95; 118/98; 410/98; 487/00; 232/2003; n. 100/2009; ordinanze n. 124/2007; n. 425/2007, n. 241/2011) (1). 1.2. Sotto il profilo oggettivo. Il Presidente della Repubblica rivendica, con il presente atto, con riguardo allattivit istruttoria di intercettazione svolta dalla Procura di Palermo, lintegrit delle proprie prerogative costituzionali previste dallart. 90 della Costituzione secondo cui il Presidente della Repubblica non responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. In coerenza con le prerogative previste dal citato art. 90 della Costituzione, lart. 7, comma 3, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, contempla il divieto assoluto di intercettazione e di altri mezzi di acquisizione della prova invasivi, stabilendo che, nei confronti del Presidente della Repubblica, non possono essere adottati i provvedimenti indicati nel comma precedente (tra i quali quelli in materia di intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazioni) se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. Il conflitto in esame ha, dunque, per oggetto essenzialmente la corretta interpretazione dellart. 90 della Costituzione ed anche della disposizione dellart. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 citata, di diretta attuazione ed integrazione della norma costituzionale predetta. La controversia si incentra, infatti, proprio sullambito di estensione dellimmunit, che, a proposito del regime delle intercettazioni, le norme citate riservano al Presidente della Repubblica. Si ritiene, infatti, che la intercettazione, lascolto, la valutazione, la utilizzazione o la distruzione con la procedura prevista dallart. 268 c.p. finirebbe per ledere le prerogative contemplate dallart. 90 della Costituzione con riferimento allinsieme delle modalit attraverso le quali il Presidente della Repubblica esercita le delicate funzioni attribuitegli dalla Costituzione, tra cui quelle di massima rappresentanza a livello internazionale. Non vi dubbio, pertanto, che, anche sotto il profilo oggettivo, ricorrano i presupposti di cui allart. 37 della legge n. 87/1953 citata. 2. Nel merito: violazione dellart. 90 della Costituzione e delle disposizioni legislative che ne costituiscono attuazione ed integrazione, nonch dellart. 3 della Costituzione. 2.1. Come sottolinea la dottrina in sede di commento alla norma costituzionale, lirrespon- (1) Sin dalle prime pronunce in materia la Corte Costituzionale ha ritenuto decisivo per ammettere la legittimazione dei singoli giudici il fatto che essi, da una parte, esercitano le proprie funzioni giurisdizionali in una condizione di indipendenza costituzionalmente garantita e, dallaltra, pongono in essere atti che, pur non essendo necessariamente definitivi, sono idonei a impegnare il potere cui appartengono. In particolare, il Pubblico Ministero stato considerato potere dello Stato quando il conflitto, come accade nel caso di specie, correlato allesercizio dellazione penale, sulla base delle competenze costituzionalmente attribuite a tale organo ex art. 112 Costituzione (sentenze n. 216 e 420/95; n. 410/98 e 232/2003 citate). TEMI ISTITUZIONALI 5 sabilit del Presidente della Repubblica non solo una irresponsabilit giuridica per le conseguenze penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti nellesercizio delle proprie funzioni, ma anche una irresponsabilit politica diretta a garantire la piena libert e la sicurezza di tutte le modalit di esercizio delle funzioni presidenziali. Ci comporta lassoluta riservatezza di tutte le attivit del Presidente della Repubblica che sono propedeutiche e preparatorie rispetto al compimento degli atti tipici e pubblici attraverso i quali esercita formalmente i propri poteri (2): si tratta, dunque, di una immunit sostanziale e permanente imputata allorgano costituzionale e posta a protezione della persona fisica che ne titolare. La dottrina ha anche osservato che non ha molto senso chiedersi se la (ir)responsabilit politica costituisca la regola o leccezione (3), per la scelta inequivocabile fatta dal diritto positivo, che ha sancito il principio del necessario collegamento fra irresponsabilit ed esercizio della funzione. Le funzioni del Presidente della Repubblica sono strettamente connesse e vanno interpretate con il ruolo, che la Costituzione gli attribuisce, di Capo dello Stato, rappresentante dellunit nazionale. La sottrazione del Presidente della Repubblica alla responsabilit anche politica stabilita in funzione di tale ruolo e non certo per escludere la politicit della sua azione diretta ad assicurare in modo imparziale, insieme agli altri organi di garanzia, il corretto funzionamento del sistema istituzionale e la tutela degli interessi permanenti della Nazione (4). Deve, in conclusione, ribadirsi che la sfera di immunit che la Costituzione riserva al Capo dello Stato non costituisce un inammissibile privilegio, legato ad esperienze ormai definitivamente superate. Al contrario, le prerogative che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato sono strettamente funzionali agli altissimi compiti che chiamato a sostenere nellespletamento della citata funzione di garanzia complessiva del corretto andamento del sistema che egli esercita, mantenendo, appunto, lunit della Nazione. del tutto evidente che, nellespletamento di questi compiti, al Presidente della Repubblica deve essere assicurato il massimo di libert di azione e di riservatezza, appunto perch alcune attivit che egli pone in essere, e certamente non poco significative, non hanno un carattere formalizzato. Il perseguimento delle finalit costituzionali caratterizza, dunque, lattivit, sia formalizzata sia non formalizzata, del Presidente della Repubblica connotandola in senso funzionale, cos che la protezione derivante dallimmunit prevista dallart. 90 della Costituzione ricomprende tutti gli atti presidenziali, nei quali siano appunto rinvenibili quelle finalit. La Costituzione ha, in effetti, delineato un equilibrato rapporto tra poteri e responsabilit ed in questa ottica garantista limmunit del Presidente della Repubblica non pu essere affatto considerata come uninammissibile rottura del principio delleguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma come strumento indispensabile per consentire il pi efficace conseguimento degli obiettivi prefissati in Costituzione. Limmunit si configura, quindi, come un essenziale strumento di garanzia dellattuazione della Costituzione ed, in questa ottica, deve essere interpretata nel raffronto con la legislazione ordinaria, che, come noto, va sempre applicata in modo costituzionalmente orientato. (2) L. Paladin, Presidente della Repubblica, Enc. Diritto, Giuffr, 1986, vol. XXXV, pagg. 221 e segg. (3) V. Crisafulli, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, in Studi per Crosa, vol. I. (4) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol. l. p. 357. La dottrina insiste particolarmente sul valore della irresponsabilit ex art. 90 Cost. ai fini di dedurne la funzione presidenziale di garanzia della Costituzione. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 ComՏ stato osservato in dottrina (5), lart. 90 della Costituzione rappresenta, infine, al tempo stesso, anche un limite alle attribuzioni degli altri poteri dello Stato che, ove non correttamente esercitati, menomerebbero le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica (6). 2.2. Anche dallinterpretazione sistematica delle norme di legge ordinaria che disciplinano, in attuazione dei principi costituzionali, la posizione del Presidente della Repubblica deriva, per quanto qui interessa, che la libert di comunicazione non possa subire alcuna limitazione neppure da parte di altra Autorit (7). Linviolabilit delle determinazioni e delle comunicazioni del Presidente durante il mandato espressamente riconosciuta dallart. 7, comma 2, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, significativamente intitolata Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dallarticolo 90 della Costituzione, articolo contenuto nella fonte legislativa connessa alla norma costituzionale predetta e che assume il ruolo integrativo di questultima. La norma di cui allart. 7, comma 3, della legge citata, contiene lespresso e assoluto divieto di disporre intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione nei confronti del Presidente della Repubblica senza prevedere alcuna eccezione e consente le intercettazioni solo dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. Va sottolineato che questo divieto assoluto di intercettazione diretta delle conversazioni del Capo dello Stato legislativamente ed espressamente stabilito per i due soli reati, per i quali, secondo la previsione dellart. 90 della Costituzione, pu essere messo in stato di accusa il Presidente della Repubblica. Se cՏ dunque, in questi casi, un divieto di intercettazione diretta nel periodo in cui il Presidente in carica naturale che debba esistere anche un divieto altrettanto assoluto delle intercettazioni, qualora fossero captate in modo indiretto o casuale. Quello, infatti, che si desume con assoluta chiarezza dal combinato disposto dellart. 90 della Costituzione e dellart. 7, comma 3, della legge 5 giugno 1989 n. 219 citata, , appunto, limpossibilit di intercettare e anche, se del caso, di utilizzare il testo di quelle intercettazioni, proprio perch il Presidente della Repubblica, anche se messo in stato di accusa, non pu, fino a quando in carica, subire alcuna limitazione nelle sue comunicazioni, dato che, altrimenti, risulterebbe lesa la sua sfera di immunit. Se questa la ratio del sistema che impone divieto assoluto di usare e di utilizzare tali mezzi di prova riguardo ai reati presidenziali, lo stesso divieto di uso e di utilizzazione dei medesimi mezzi di prova, certamente limitativi della libert di comunicazione del Presidente, non pu logicamente, anche nel silenzio della legge, non estendersi ad altre fattispecie di reato che (5) Rossano, Il Presidente della Repubblica, Enc. Giur. Treccani 2007, vol. 24, p. 2 (6) La maggioranza assoluta per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica stata introdotta su proposta del prof. Mortati al dichiarato fine di preservare lindipendenza dellOrgano, Comm. della Cost., a cura di G. Branca, Art. 90, L. Carlassare, pag. 154. (7) Osserv in proposito il Ministro della Giustizia nel corso della seduta del Senato del 7 marzo 1997 e sul punto lintera Assemblea convenne che essendo la libert di comunicazione e di corrispondenza un connotato essenziale dellesercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica, appare ovvio ritenere che la libert e la segretezza delle comunicazioni e conversazioni del Presidente della Repubblica non possano essere soggette ad alcuna limitazione. Lovviet di tale affermazione, che discende gi dalla interpretazione sistematica delle norme che regolano la posizione e le attribuzioni costituzionali della figura istituzionale del Presidente della Repubblica, importa che la libert di determinazione e comunicazione non possa subire alcuna limitazione neppure da parte di altra autorit. Non si tratta di un privilegio della persona ma della conseguenza della collocazione istituzionale. TEMI ISTITUZIONALI 7 possano a diverso titolo coinvolgere il Presidente. Ed ancor pi inammissibile la possibilit di utilizzazione di conversazioni intercettate occasionalmente nellambito di fattispecie riguardanti reati che non possono essere addebitati al Presidente, come, appunto, si verifica nel caso del conflitto in esame. Quando coinvolgono in qualsiasi pur minimo modo il Presidente della Repubblica, le indagini devono svolgersi, pertanto, nel rispetto delle sue prerogative costituzionali, evitando quelle forme invasive di acquisizione della prova che non si conciliano con la sua assoluta libert di determinazione e di comunicazione. Tali considerazioni portano a concludere che il divieto di intercettazione riguarda anche le c.d. intercettazioni indirette o casuali comunque effettuate mentre il Presidente della Repubblica in carica. 2.3. Se, dunque, il divieto di intercettazioni la conseguenza diretta dellimmunit presidenziale, evidente che si debba ritenere la inutilizzabilit e procedere alla distruzione immediata del testo intercettato, ai sensi dallart. 271 c.p.p., secondo cui i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati quando le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge e il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni sia distrutta. Anche se non espressamente richiamate dal citato art. 271, valgono a fortiori per il Capo dello Stato le stesse tutele e la stessa disciplina vigenti per lintercettazione del difensore (art. 103 c.p.p.): un divieto assoluto di esecuzione e un divieto di utilizzazione poich si tratta di atto eseguito fuori dei casi consentiti dalla legge. E ci in quanto riguarda la captazione di conversazioni che risulta rientrare nel generale divieto sancito dal principio normativo, che si ricava dallimmunit presidenziale. E infatti proprio lirresponsabilit prevista dallart. 90 della Costituzione, cos come integrato dalla citata norma ordinaria, a dare vita ad un principio normativo, che si impone allinterprete, in tutti quei casi in cui occorre fare riferimento alla legge. Ed in questo senso va letto lo stesso art. 15, secondo comma, della Costituzione. Se tutto questo vero, evidente che alla procedura per la distruzione del frutto della captazione illegittima di una conversazione del Presidente non sono applicabili n lart. 268, comma 4, e seguenti c.p.p. (deposito delle intercettazioni in segreteria del P.M.; facolt di esame da parte dei difensori; acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti, non manifestamente irrilevanti; stralcio delle registrazioni di cui vietata lutilizzazione; inserimento nel fascicolo e possibilit di estrarre copia delle altre registrazioni); n lart. 269 c.p.p. (conservazione dei verbali e registrazioni; udienza camerale per la distruzione, se richiesta, delle registrazioni e dei verbali non necessari per il procedimento, a tutela della riservatezza); n lart. 270 c.p.p. (utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, seguendo le prescrizioni dellart. 268 citato). N, infine, in via analogica, applicabile alle intercettazioni indirette o casuali del Presidente della Repubblica lart. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (che disciplina le intercettazioni indirette o casuali nei confronti di un parlamentare). sufficiente osservare in proposito che, sulla base della normativa costituzionale e ordinaria gi richiamata (artt. 90 della Costituzione e 7 della legge n. 219/89), la posizione del Presidente della Repubblica non pu essere assimilata a quella del parlamentare. Solo questultimo, a differenza del Capo dello Stato, pu essere sottoposto a intercettazione da parte del giudice ordinario (ovviamente su autorizzazione della Camera di appartenenza). Al solo parlamentare si riferisce, poi, testualmente lart. 6 della legge n. 140/2003 citata quando stabilisce la necessit dellautorizzazione successiva per lutilizzazione delle inter- 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 cettazioni indirette o casuali del parlamentare stesso. Il legislatore del 2003 - pur consapevole del clamore sollevato nel 1997 dal caso delle intercettazioni di conversazioni cui aveva partecipato un Presidente della Repubblica - non ha dettato alcuna previsione relativa a tali intercettazioni, presupponendo, allevidenza, che per esse non pu valere la stessa distinzione tra intercettazioni dirette e indirette stabilita per quelle dei parlamentari. E, ancora, la Corte Costituzionale, nel dichiarare con la sentenza n. 390 del 2007 lillegittimit costituzionale parziale dellart. 6 prima citato, ha stabilito che la necessit di autorizzazione non si applica quando le intercettazioni occasionali debbono essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal parlamentare (cos confermando espressamente che la disciplina della legge n. 140/2003 citata applicabile solo alle intercettazioni relative ai parlamentari). Pi in generale, deve, poi, sottolinearsi la differenza della ratio della tutela del parlamentare rispetto a quella del Presidente della Repubblica per le intercettazioni indirette relative a reati a carico di altri: per il Presidente, la ratio risiede nella tutela della sua funzione; per il parlamentare, invece, nella sola tutela della sua privacy, che sarebbe ingiustificato differenziare da quella di qualunque altro cittadino non essendo in tal caso configurabile un pregiudizio per la funzionalit della Camera di appartenenza, unico presupposto dellistituto dellautorizzazione previsto dallart. 68 della Costituzione (cfr. la motivazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 390/2007 citata, paragrafo 5.2 del Considerato in diritto in particolare). Di conseguenza, in conclusione, per l intercettazione di conversazioni del Presidente della Repubblica non ha senso porsi il problema di una loro eventuale utilizzabilit nel processo in corso o in altri procedimenti (in difesa o a carico di altri soggetti), poich ci vanificherebbe in toto la garanzia funzionale riconosciutagli dagli artt. da 87 a 90 della Costituzione; n assume rilievo la distinzione tra intercettazione diretta e indiretta. Concetti, questi, che trovano il loro fondamento nella legge n. 140/2003 citata - insuscettibile, per quanto gi evidenziato, di applicazione analogica al Capo dello Stato - e che presuppongono lesistenza di un organo competente a esprimere una autorizzazione preventiva o successiva, nonch a verificare doverosamente il carattere indiretto o diretto dellintercettazione. 2.4. Le argomentazioni fin qui sostenute escludono la correttezza di una diversa interpretazione ricostruzione del sistema, secondo cui loperativit dellart. 7, comma 3 della legge n. 219/1989 citata varrebbe solo per le intercettazioni dirette di conversazioni del Capo dello Stato (come ritiene il Pubblico Ministero della Procura di Palermo). Va ribadito, infatti, che, nel caso di specie, sufficiente la portata dellimmunit derivante, secondo quanto argomentato in precedenza, dallirresponsabilit prevista dallart. 90 della Costituzione per orientare in senso ad essa conforme linterpretazione dellinsieme delle norme in materia di utilizzazione delle intercettazioni, ritenendo quindi pienamente applicabile alle intercettazioni di conversazioni del Presidente della Repubblica soltanto lart. 271 del c.p.p.. * * * * * * Tanto premesso, nel caso in esame, sussistono precisi elementi oggettivi di prova del non corretto uso del potere giurisdizionale. Essi sono laver quantomeno registrato le intercettazioni nelle quali casualmente e indirettamente era coinvolto il Presidente della Repubblica, unitamente alle circostanze (pacifiche e non contestate) che il testo delle telefonate agli atti del processo e che ne stata addirittura valutata l(ir)rilevanza e, soprattutto, che si ipotizza lo svolgimento di unudienza secondo le modalit indicate dallart. 268 c.p.p. (trascrizione integrale delle intercettazioni, previa valutazione dellirrilevanza; facolt dei difensori di estrarne TEMI ISTITUZIONALI 9 copia e udienza c.d. stralcio; autorizzazione del G.I.P. sentite le parti) per ottenerne lacquisizione o la distruzione: procedimento che, come si detto, non applicabile alla fattispecie, perch produrrebbe un grave vulnus alle prerogative del Presidente della Repubblica, operando senza tenere di esse alcun conto e alterando in concreto e in modo definitivo la consistenza dellassetto dei poteri previsti dalla Costituzione. Ritenuto quanto precede, il ricorrente Presidente della Repubblica chiede che lEcc.ma Corte adita dichiari che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo omettere limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica n spetta valutarne la (ir)rilevanza offrendole alludienza stralcio di cui allart. 268 c.p.p.. * * * * * * Al Signor Presidente della Corte Costituzionale Lestrema delicatezza e la rilevanza delle questioni sottoposte allesame di codesta Ecc.ma Corte, che di per s costituiscono ragione di urgenza, inducono i sottoscritti difensori, nella qualit, a proporre rispettosa ISTANZA di trattazione quanto pi possibile sollecita del presente ricorso. Si depositano: 1. Decreto del Presidente della Repubblica in data 16 luglio 2012. 2. Intervista al P.M. Dott. Di Matteo pubblicata su La Repubblica in data 22 giugno 2012. 3. Nota dellAvvocato Generale dello Stato al Procuratore della Repubblica di Palermo in data 27 giugno 2012. 4. Nota del Procuratore Dott. Messineo in data 6 luglio 2012 diretta allAvvocato Generale dello Stato. 5. Nota in data 5 luglio 2012 del P.M. Dott. Di Matteo allegata alla nota del Procuratore Dott. Messineo del 6 luglio 2012. 6. Nota del Procuratore Dott. Messineo diffusa sulla stampa in data 9 luglio 2012. 7. Lettera del Procuratore Dott. Messineo pubblicata su La Repubblica in data 11 luglio 2012. Roma, 30 luglio 2012 LAvvocato Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza Il Vice Avvocato Generale dello Stato Antonio Palatiello LAvvocato dello Stato Gabriella Palmieri 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 CT. 27074/12 ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE Registro Conflitti n. 4/2012 Udienza 4 dicembre 2012 MEMORIA del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 nel giudizio avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Pubblico Ministero in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo in relazione allattivit di intercettazione telefonica, svolta nellambito di procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica di Palermo, effettuata su utenza di altra persona nellambito della quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica. *** 1.1. Riepilogo dei fatti di causa Con ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato depositato il 30 luglio 2012, il Presidente della Repubblica rappresentato e difeso dallAvvocatura Generale dello Stato, in virt del proprio Decreto Presidenziale in data l6 luglio 2012, elevava conflitto, ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219, anche con riferimento allart. 271 del codice di procedura penale). Nel ricorso i fatti erano, come di seguito, riepilogati. Con nota in data 27 giugno 2012 prot. n. 069/s.p., lAvvocato Generale dello Stato chiedeva al Dottor Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, avendone ricevuto espresso mandato dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, una conferma o una smentita di quanto risultava nellintervista effettuata dalla giornalista Alessandra Ziniti al P.M. Antonino Di Matteo e pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 22 giugno 2012 (doc. 2 del fascicolo di parte), dalla cui risposta emergeva che sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica allo stato considerate irrilevanti, ma che la Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare (doc. 3 del fascicolo di parte). Con nota in data 6 luglio 2012, il Procuratore Messineo allegando la missiva in data 5 luglio 2012 (doc. 5 del fascicolo di parte) con la quale il Dott. Di Matteo rappresentava che le affermazioni, pronunciate nel corso di unintervista telefonica con la giornalista Ziniti, erano conseguenza di una domanda di questultima assolutamente generica sulla sorte processuale del compendio delle intercettazioni effettuate nellambito di indagini, limitandosi allovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attivit di intercettazione telefonica, comunicava che la Procura di Palermo, avendo gi valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo della Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o proces- TEMI ISTITUZIONALI 11 suale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare can losservanza delle formalit di legge (doc. 4 del fascicolo di parte). Con nota diffusa il 9 luglio 2012 (doc. 6 del fascicolo di parte) e con lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica in data 11 luglio 2012 (doc. 7 del fascicolo di parte), il Procuratore Messineo ulteriormente affermava che nellordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza limmediata cessazione dellascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione. Aggiungeva, inoltre, che in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci quanto prevedono le pi elementari norme dellordinamento .... Il Presidente della Repubblica non riteneva di poter condividere la tesi del Procuratore della Repubblica, in quanto, a norma dellart. 90 della Costituzione e dellart. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219, salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento daccusa, le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch indirette e occasionali, sono, invece, da considerarsi assolutamente vietate e non possono, quindi, essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il Pubblico Ministero deve impedire ingresso negli atti del procedimento e, comunque, senza alcun contraddittorio immediatamente chiederne al giudice la distruzione. Comportavano, quindi, lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, lavvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e lintento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggravava gli effetti lesivi delle precedenti condotte, essendo elevato il rischio della diffusione del contenuto delle intercettazioni vietate. Il Presidente della Repubblica rivendicava, con il ricorso, con riguardo allattivit istruttoria di intercettazione svolta dalla Procura di Palermo, lintegrit delle proprie prerogative costituzionali previste dallart. 90 della Costituzione secondo cui il Presidente della Repubblica non responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. In coerenza con le prerogative previste dal citato art. 90 della Costituzione, lart. 7, comma 3, della legge 5 giugno 1989, n. 219 citata, contempla il divieto assoluto di intercettazione anche occasionale e di altri mezzi di acquisizione della prova invasivi, stabilendo che, nei confronti del Presidente della Repubblica, non possono essere adottati i provvedimenti indicati nel comma precedente (tra i quali quelli in materia di intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazioni) se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. 1.2. Il conflitto in esame ha, dunque, per oggetto essenzialmente la corretta interpretazione dellart. 90 della Costituzione ed anche della disposizione dellart. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 citata, di diretta attuazione ed integrazione della norma costituzionale predetta. 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 La controversia si incentra, infatti, proprio sullambito di estensione dellimmunit, che, a proposito del regime delle intercettazioni, le norme citate riservano al Presidente della Repubblica. Nel ricorso si sottolineava, infatti, che lintercettazione, lascolto, la valutazione, la utilizzazione o la distruzione con la procedura prevista dallart. 268 c.p.p. avrebbero finito per ledere le prerogative contemplate dallart. 90 della Costituzione con riferimento allinsieme delle modalit attraverso le quali il Presidente della Repubblica esercita le delicate funzioni attribuitegli dalla Costituzione, comprese quelle propedeutiche e preparatorie. 1.3. Con Decreto in data 19 settembre 2012, vista listanza di sollecita trattazione, formulata dalla Parte ricorrente, in ragione della delicatezza e rilevanza delle questioni sottoposte allesame della Corte Costituzionale, il Presidente disponeva la riduzione alla met di tutti i termini del procedimento. 1.4. Con ordinanza n. 218/12 in data 19 settembre 2012, depositata in data 20 settembre 2012, la Corte Costituzionale dichiarava ammissibile il proposto conflitto, ritenendo, in particolare, sussistente, per quanto attiene allaspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato e la conseguente legittimazione del Presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela delle proprie attribuzioni costituzionali; e che sotto il profilo oggettivo, il ricorso proposto a salvaguardia di prerogative del Presidente della Repubblica che sono prospettate come garanzia insita nellimmunit prevista dallart. 90 Cost. e nelle disposizioni di legge ordinaria ad essa collegate, a fronte di lesioni in assunto realizzate o prefigurate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo nello svolgimento dei propri compiti. 1.5. Con ordinanza istruttoria in data 19 settembre 2012, depositata in data 20 settembre 2012, la Corte Costituzionale disponeva, a carico della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, la comunicazione del numero e delle date delle intercettazioni di conversazioni telefoniche alle quali avesse preso parte il Presidente della Repubblica, effettuate nellambito del procedimento in questione; e, anche previa eventuale acquisizione presso altri Uffici giudiziari, la trasmissione della copia integrale ed autentica delle richieste e dei provvedimenti di autorizzazione, compresi gli eventuali decreti di proroga, delle intercettazioni telefoniche eseguite nellambito del procedimento in cui sono state captate le conversazioni alle quali abbia preso parte il Presidente della Repubblica, nonch dei relativi verbali e delle eventuali relazioni di polizia giudiziaria, con esclusione delle parti relative al contenuto delle conversazioni alle quali abbia partecipato il Presidente della Repubblica; copia integrale ed autentica degli eventuali provvedimenti di separazione adottati nellambito del procedimento sopra indicato; disponendo specificamente che gli atti in questione siano trasmessi, ricevuti e conservati, presso la cancelleria della Corte, con modalit idonee a garantirne la segretezza. 2.1. La memoria di costituzione della Procura di Palermo Con memoria depositata in data 12 ottobre 2012, si costituiva la Procura della Repubblica di Palermo nella persona del Procuratore della Repubblica, dott. Francesco Messineo. Nella memoria erano, innanzitutto, riepilogate analiticamente (pagg. 3-4 della memoria), anche con riferimento al numero dellutenza, alla data, allora e alla durata, le quattro conversazioni telefoniche, tra le 9295 complessivamente registrate sulle utenze del Sen. Nicola Mancino, lungo un arco di tempo dal 7 novembre 2011 al 26 gennaio 2012 ... e dal 21 dicembre 2011 al 9 maggio 2012, che hanno riguardato le sue interlocuzioni con il Presidente della TEMI ISTITUZIONALI 13 Repubblica Napolitano (1). 2.2. In estrema sintesi, i profili della memoria di costituzione della Procura di Palermo possono essere cos riepilogati. Innanzitutto, la memoria richiama le modalit tecniche delle intercettazioni, per dimostrare loggettiva impossibilit di escludere la prosecuzione della registrazione, nel corso di intercettazione indiretta e/o casuale del Presidente della Repubblica; leffetto di tale (assunto) automatismo sarebbe stato quello di escluderne la lesivit, enfatizzandone, pertanto, il profilo tecnico-esecutivo (pp. 6 e 7 della memoria) (2). 2.2.3. Nella memoria si eccepiva, poi, linammissibilit del ricorso per impossibilit giuridica del petitum, la violazione del principio di tipicit dei provvedimenti del P.M. (art. 101, comma 2, Cost.) e linammissibilit per contraddittoriet del petitum con le ragioni che lo sostenevano. 2.2.4. Si affermava, quindi, linapplicabilit al caso di specie dellart. 271 c.p.p. come prospettata nel ricorso con il quale era stato sollevato il conflitto di attribuzione. Lart. 7 della legge n. 219/89 citata, si sostiene, contiene il divieto espresso per le sole intercettazioni dirette, estensibili al pi (sentenza n. 390/07 della Corte Costituzionale) alle intercettazioni indirette non casuali e, quindi, le intercettazioni indirette, ma casuali, non sarebbero affatto riconducibili allart. 271, commi 1 e 2, c.p.p., anche in base al principio di tassativit delle invalidit processuali. 2.2.5. Tutte le argomentazioni relative allinammissibilit sono incentrate essenzialmente sullassunto della impossibilit giuridica per il P.M. di disporre la distruzione delle intercettazioni della Procura di Palermo che pu essere sintetizzato nellaffermazione (p. 11 della memoria) secondo cui, pur nella differenza intercorrente tra lart. 269, comma 2, e lart. 271, comma 3, c.p.p. in nessuno dei due casi possibile procedere allimmediata distruzione della documentazione delle intercettazioni prescindendo dal ricorso al giudice e dalle garanzie del contraddittorio, richiamando in argomento la sentenza della Corte Costituzionale n. 463/1994. 2.2.6. Analogamente, nel merito, si contestava il fondamento normativo del ricorso e della (1) La memoria di costituzione della Procura di Palermo conteneva, fra laltro, lindicazione del numero e delle date delle intercettazioni di conversazioni alle quali aveva preso parte il Presidente della Repubblica, per le quali, come si detto, la Corte aveva specificamente disposto che fossero trasmesse, ricevute e conservate con modalit idonee a garantirne la segretezza; la memoria era, invece, diffusa integralmente sul web il giorno stesso del deposito presso la Cancelleria della Corte e, in una prima versione rimasta in rete per alcune ore facilmente consultabile, erano anche perfettamente leggibili sia i numeri delle utenze intercettate, che riguardavano le interlocuzioni con il Presidente della Repubblica, sia il numero e la durata delle conversazioni telefoniche intercettatene. La Corte Costituzionale, quindi, diramava, in data 12 ottobre 2012, un comunicato stampa per specificare che le indiscrezioni sul numero delle intercettazioni telefoniche concernenti il Capo dello Stato, le relative date e la loro esatta durata non provengono da ambienti della Corte Costituzionale la quale ha provveduto a conservare tutti gli atti del procedimento con il massimo riserbo. Peraltro, qualche organo di stampa ha dimostrato di essere a conoscenza di tali elementi che sono contenuti nella memoria della costituzione in giudizio della Procura della Repubblica di Palermo. (2) Se vi sono stati altri due casi in cui le conversazioni (p. 6 memoria di costituzione della Procura di Palermo) del Presidente della Repubblica sono state indirettamente captate e non stato sollevato il conflitto di attribuzione, ci dovuto dalla circostanza che la Procura della Repubblica territorialmente competente non ha rilasciato in quelloccasione n interviste, n dichiarazioni in merito alla (ir)rilevanza di esse o allinutilizzabilit successiva (come espressamente chiarito dal Presidente della Repubblica in occasione dellinaugurazione dei corsi di formazione per i Magistrati Ordinari in Tirocinio avvenuta il 15 ottobre 2012 a Scandicci). 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 sua causa petendi; si affermava anche linsussistenza in fatto delle lesioni alle prerogative del Presidente della Repubblica e, comunque, linfondatezza del ricorso, sia alla luce di considerazioni generali sulla portata della richiamata normativa costituzionale; sia con riferimento a considerazioni di carattere ordinamentale; sia con richiamo alla giurisprudenza costituzionale, soffermandosi anche su specifici profili del ricorso e su singoli passaggi di esso. 2.3. In conclusione, dopo aver delineato alcune conseguenze (negative per lattivit dei magistrati) che potrebbero derivare dallaccoglimento del ricorso, si chiedeva la declaratoria: - in rito dellinammissibilit del ricorso: a) in quanto con esso si chiede a codesta ecc.ma Corte di ordinare al P.M. un facere - e cio limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica - che non rientra nei poteri processuali del P.M. n ai sensi dellart. 269 comma 2 n ai sensi dellart. 271 comma 3 c.p.p.; b) per contraddittoriet di esso derivante dal contrasto per petitum con la motivazione; - in subordine, se ne chiedeva il rigetto nel merito per linfondatezza alla luce di tutte le ragioni sopra illustrate; - dichiarando, a tal fine, che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo provvedere allimmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica, mancando una norma che attribuisce al pubblico ministero un siffatto potere. 3. Le ragioni del conflitto Al fine di valutare nei suoi esatti termini e nella sua effettiva portata loggetto del contenzioso che stato sottoposto allesame della Corte occorre ribadire - come espressamente sancito con cristallina chiarezza dallo stesso Decreto Presidenziale in data 16 luglio 2012 - che il conflitto di attribuzione stato elevato perch ҏ dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza delloccorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facolt che la Costituzione gli attribuisce (Luigi Enaudi). Come lo stesso Presidente della Repubblica ha recentemente ribadito, il conflitto di attribuzione stata una decisione obbligata per chi abbia giurato dinanzi al Parlamento di osservare lealmente la Costituzione e avverte la necessit di una chiara puntualizzazione, nella sede appropriata, delle norme poste a tutela del libero svolgimento delle funzioni del Presidente della Repubblica. Non si voluto, perci, tutelare la singola persona che attualmente ricopre la carica di Presidente della Repubblica, ma lIstituzione e le sue prerogative, tra le quali vi certamente quella di poter contare sulla totale riservatezza delle proprie conversazioni, anche telefoniche, perch altrimenti verrebbe compromessa la piena libert di esercizio dellinsieme delle modalit attraverso le quali il Capo dello Stato esercita le sue funzioni. Lo scopo del proposto conflitto , pertanto, quello di ristabilire lequilibrio nel rapporto tra larea delle prerogative riconosciute al Presidente della Repubblica e i poteri di accertamento riservati alla magistratura nel nome della legalit costituzionale e del principio della libert e della riservatezza dellesercizio delle funzioni presidenziali, attraverso laffermazione di regole certe da parte di un Giudice (la Corte Costituzionale), chiamato, appunto, a pronunciarsi sui modi di applicazione delle leggi. Come stato osservato (3), infatti, si chiama conflitto ma il suo fine lequilibrio. Lequilibrio fra i poteri dello Stato: la bilancia ove sono misurati pesi e contrappesi nella vita pubblica, la forza del potere e le garanzie dei cittadini. TEMI ISTITUZIONALI 15 La caratteristica immanente di questo equilibrio che non mai fissato una volta per sempre per la mutevolezza stessa del pi generale contesto nel quale devono essere esercitati compiti opportunamente definiti con la necessaria elasticit, in rapporto alle finalit, prima ancora che allo specifico contenuto di determinati atti e che, quindi, ogni volta, pazientemente, si deve ricreare; ma lequilibrio anche lessenza di ogni costituzione degna di questo nome. Si tratta, cio, di un conflitto sollevato per affermare un principio, una regola, di valenza costituzionale che disciplina su un piano generale rapporti tra poteri; conflitto affidato ad una sede la Corte Costituzionale per sua natura chiamata a risolvere contrasti nellinterpretazione delle norme e non gi ad arbitrare conflitti soltanto politici. Per questi motivi lutilizzo dello strumento rappresentato dal conflitto fra poteri dello Stato letto in chiave positiva dalla dottrina che ne sottolinea la funzione di ribadire che vi una tipicit indisponibile dei ruoli, che richiede di essere salvaguardata anche per lavvenire (4). La proposizione del conflitto appare, dunque, come lo strumento pi lineare e come il rimedio fisiologico per chiarire definitivamente lesatta latitudine delle prerogative costituzionali riconosciute al Presidente della Repubblica nel rispetto, appunto, dei principi e delle regole fissate dalla Costituzione a presidio e tutela delle Istituzioni (5) e dellequilibrio tra i poteri. Come si illustrer diffusamente infra (in particolare al paragrafo 6), lo scopo del proposto conflitto laffermazione del principio della libert delle comunicazioni del Presidente della Repubblica come connotato essenziale dellesercizio delle sue attivit; principio che strettamente correlato, perch legato da un nesso di conseguenzialit, con laltro principio della assoluta riservatezza di tali comunicazioni. 4. Infondatezza delleccezione di inammissibilit del ricorso In ordine alleccezione in rito di inammissibilit del ricorso per impossibilit giuridica del petitum e per violazione del principio di tipicit dei provvedimenti del Pubblico Ministero di cui allart. 101, comma 2, Cost., va rilevato che essa infondata. Il ricorso, infatti, nel suo complesso chiarissimo nel richiamare, quale motivo di proposizione del conflitto, il decreto del Capo dello Stato in data 16 luglio 2012, citato proprio nellepigrafe (3) Andrea Manzella, Conflitto di poteri lequilibrio smarrito, La Repubblica, 18 luglio 2012; Michele Ainis, La Procura, il Quirinale e le regole violate, LEspresso, 19 luglio 2012, che sottolinea come le procedure servano a garantire lequilibrio fra i poteri dello Stato. (4) Antonio Ruggeri, Evoluzione del sistema politico-istituzionale e ruolo del Presidente della Repubblica; notazioni introduttive in A. Ruggeri (a cura di). Atti di un incontro di studio (Messina-Siracusa, 19 e 20 novembre 2010). (5) Stefano Ceccanti, Il conflitto di attribuzione pi rilevante di quanto appare, LUnit del 15 luglio 2012, afferma che il conflitto di attribuzione lo strumento pi lineare e fisiologico; anche Beniamino Caravitta di Toritto, Intercettazioni, decida la Consulta, Il Tempo del 19 agosto 2012, sostiene che il conflitto di attribuzione lo strumento pi idoneo per giuridicizzare conflitti istituzionali altrimenti destinati a rimanere terreno di scontro politico, ribadendo, quindi, la correttezza politico-costituzionale dello strumento stesso; sottolinea lessenza democratica del conflitto Michele Ainis, Le prerogative del garante della legge, Corriere della Sera, 17 luglio 2012. Un riepilogo esaustivo degli interventi sulla stampa si trova nellarticolo di Elisa Tira, Il conflitto di attribuzione tra il Presidente della Repubblica e la Procura di Palermo in materia di intercettazioni indirette o casuali, in Rivista AIC, n. 4/2012, in particolare il paragrafo 1. Sottolinea il ruolo di primo piano dei giornali nellintera vicenda Anna Pirozzoli, Limmunit del Presidente della Repubblica davanti alla Corte Costituzionale: i dubbi della vigilia, in Forum di Quaderni Costituzionali, Rassegna n. 9/2012, pagg. 1 2. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dellatto e ad esso allegato. Tale decreto, infatti, che fa corpo con il ricorso, nel primo Ritenuto chiaramente lamenta il fatto che il pubblico ministero non abbia immediatamente richiesto al giudice la distruzione delle intercettazioni di conversazioni alle quali abbia partecipato il Presidente della Repubblica, ancorch indirette od occasionali, non chiedendo, quindi, al Pubblico Ministero di procedere in via diretta, come erroneamente sostenuto dalla Procura di Palermo. Inoltre, nella motivazione del ricorso (in particolare, alle pagine 12-13) sono chiarite le norme applicabili alle intercettazioni che abbiano attinto il Capo dello Stato e in particolare espressamente riportato lart. 271 c.p.p., secondo cui, a fronte di intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge il giudice dispone che la documentazione sia distrutta (v. pag. 12, primo periodo del punto 2.3.). Nellimpostazione seguita nel ricorso del Presidente della Repubblica si tratta solo dellapplicabilit dellart. 271 c.p.p. che, ovviamente, come chiarito dal comma 3, non pu non passare attraverso un provvedimento del giudice. Lespressione riportata nelle conclusioni del citato ricorso, laddove si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo omettere limmediata distruzione delle comunicazioni telefoniche del Presidente della Repubblica intercettate indirettamente, non pu quindi non essere interpretata nel senso che non spetta alla Procura della Repubblica omettere quanto in suo potere ex art. 101, comma 2, Cost. e art. 271, comma 3, c.p.p. per ottenere dal giudice limmediata distruzione di tale materiale probatorio, acquisito fuori dai casi consentiti dalla legge. Non sussiste quindi alcuna inammissibilit del conflitto di attribuzione n stato mai richiesto al pubblico ministero di disporre limmediata distruzione senza un vaglio giurisdizionale, essendo lomissione di tale richiesta la ragione dellodierno conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Non sussiste, pertanto, neppure la contraddittoriet del petitum con le ragioni che lo sostengono, poich il petitum solo formulato in modo sintetico e va interpretato alla luce dei poteri che la Costituzione riconosce al Pubblico Ministero ex art. 101, comma 2, Cost. e art. 112 Cost., i quali sono concretizzati nella specifica previsione dellart. 271 c.p.p., sopra richiamato, norma che si deve intendere posta a presidio dei valori costituzionali tutelati dallart. 90 Cost. e dallart. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219. 5. Il quadro normativo di riferimento 5.1. Come sostenuto nel ricorso, lart. 7, comma 3, della legge n. 219/1989, significativamente intitolata Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dallarticolo 90 della Costituzione, in coerenza, appunto, con lart. 90 Cost., stabilisce il divieto assoluto di intercettazione telefoniche o di altre forme di comunicazione, ovvero di altri mezzi invasivi di acquisizione della prova (perquisizioni personali o domiciliari) nei confronti del Presidente della Repubblica, salvo il caso in cui la Corte Costituzionale ne abbia gi disposto la sospensione dalla carica. In questa prospettiva la norma citata assume fondamentale importanza nella parte in cui dispone limpossibilit di intercettare il Presidente della Repubblica, anche se posto in stato di accusa, fino a quando resta in carica. Dallinequivoco tenore della norma, emanata - si ribadisce - in dichiarata attuazione dellart. 90 Cost., discende che disporre e/o svolgere atti di indagine invasivi e lesivi della libert di comunicazione del Presidente della Repubblica costituisce inevitabilmente una lesione delle funzioni e delle attivit proprie del Presidente. Anche se la disposizione in questione non contempla espressamente le intercettazioni c.d. indirette e/o casuali, il divieto discende dallampia previ- TEMI ISTITUZIONALI 17 sione normativa (intercettazioni telefoniche) e dalla univoca interpretazione della norma che ne offre la maggior parte della dottrina, che, pertanto, prevede limpossibilit in modo assoluto di effettuare intercettazioni di conversazioni del Presidente della Repubblica in carica. Lart. 90 Cost., con lesclusione della responsabilit del Presidente della Repubblica per gli atti funzionali (tranne che per alto tradimento e attentato alla Costituzione), ha quale ratio la tutela della piena libert del Presidente della Repubblica nello svolgimento delle proprie funzioni di garanzia del corretto funzionamento del sistema istituzionale al fine di assicurare la costante salvaguardia dellinteresse nazionale. Come osservato, si tratta di funzioni connotate da notevole discrezionalit in ragione delle necessit e della evoluzione del quadro politico e istituzionale. Come precisato nel ricorso, il delineato regime di garanzie discende dalla circostanza che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica una immunit sostanziale e permanente imputata allorgano costituzionale e posta a protezione della persona fisica che ne titolare. Con la conseguenza che ci comporta lassoluta riservatezza di tutte le attivit del Presidente della Repubblica che sono propedeutiche e preparatorie rispetto al compimento degli atti tipici e pubblici attraverso i quali esercita formalmente i propri poteri. Dal divieto di disporre e di utilizzare le intercettazioni, divieto configurabile come diretta conseguenza della immunit presidenziale, costituzionalmente prevista, deriva che le suddette intercettazioni sono illegittime se non nulle e, perci, occorre provvedere alla distruzione immediata dei contenuti delle captazioni, effettuate dalla Procura, ai sensi dellart. 271 c.p.p., individuata come norma di chiusura del sistema. Come gi ricordato, lunico precedente sostanzialmente analogo al caso in oggetto quello del 1997 dellintercettazione telefonica indiretta dellallora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (ascoltato in una conversazione con lamministratore delegato della Banca Popolare di Novara). In quella occasione, rispondendo a numerose interpellanze parlamentari in merito, venne offerta una ricostruzione della questione dal Ministro di Grazia e Giustizia dellepoca, il quale, sottolineando la necessit di tutelare le conversazioni private del Presidente della Repubblica, afferm il divieto () di trascrizione e di deposito della registrazione relativa. Ci anche perch la tutela della riservatezza del terzo nelle intercettazioni trova per il Presidente della Repubblica unesigenza di rafforzamento () essendo la libert di comunicazione e di corrispondenza un connotato essenziale dellesercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica. A sostegno di tale tesi il Ministro aggiungeva due ulteriori considerazioni. In primo luogo, che non pu essere rimessa al sindacato successivo dellautorit giudiziaria (), la distinzione tra atti riconducibili allesercizio delle funzioni e atti estranei a tale esercizio, poich tale procedura comporterebbe anzitutto una valutazione () sugli atti riferibili al profilo funzionale dellattivit del Presidente della Repubblica. In secondo luogo, che linviolabilit delle comunicazioni del Presidente della Repubblica era da ricavarsi dallart. 7 della legge n. 219/1989 citata, poich se previsto che per i reati di attentato alla Costituzione ed alto tradimento lintercettazione possa essere disposta solo dopo la sospensione dalla carica, a maggior ragione deve prefigurarsi una tutela piena in rapporto ad ipotesi di reati comuni e, a fortiori, rispetto a qualsiasi fatto penalmente irrilevante. Pertanto, non si pu parlare di esenzione dalla giurisdizione, come si adombra nella memoria della Procura di Palermo, ma di prerogativa del Presidente della Repubblica costituzionalmente prevista, connaturata allesercizio delle sue funzioni. 5.2. Come illustrato nel ricorso, la impossibilit di distinguere tra le diverse modalit di esercizio delle funzioni presidenziali, sia che le stesse si traducano nel compimento di atti tipici 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 o in attivit meramente propedeutiche e preparatorie, comporta la necessit che siano vietate le intercettazioni indirette o casuali delle conversazioni del Presidente della Repubblica. La dottrina, come si accennato, ha sottolineato limpossibilit di delineare in termini rigidi i compiti propri del Presidente della Repubblica, delineando la Costituzione ruolo e funzioni prima ancora che competenze al compimento di specifici atti (6). Determinante dunque il fine complessivo di garantire la salvaguardia dei superiori interessi nazionali e il corretto funzionamento delle Istituzioni (7). Ne consegue limpossibilit di definire in modo esaustivo tutte le attivit che in concreto il Presidente della Repubblica dovr e potr svolgere nellambito del suo ruolo istituzionale. La norma di cui allart. 90 Cost. ispirata allintento di consentire al Presidente della Repubblica di interpretare il suo ruolo con elasticit e di orientare il suo operato, in ragione delle mutevoli ed imprevedibili necessit politico-istituzionali. Una delimitazione della irresponsabilit ai soli atti tipici di esercizio delle funzioni presidenziali, non consentirebbe al Presidente della Repubblica di intervenire con efficacia nelle forme e nei modi ritenuti, di volta in volta, opportuni, proprio in ragione della cura dei supremi interessi nazionali, attribuiti al Presidente della Repubblica e la responsabilit presidenziale a causa della particolarit o, forse meglio dell unicit di tale carica nel nostro assetto costituzionale non pu rimanere imbrigliata nei limiti di precetti eccessivamente circoscritti e predefiniti, poich in tale eventualit, risulterebbe depotenziato il ruolo di garanzia di tale Ufficio (8). Lirresponsabilit contemplata dallart. 90 Cost. ha una valenza funzionale: limmunit costituisce, quindi, ... una sorta di scudo a difesa dalle interferenze che possano condizionare anche indirettamente il sereno svolgimento delle funzioni presidenziali. Anche con riferimento alle interlocuzioni, che rispetto alle attivit formalmente esternate e poste in essere si pongano come elementi prodromici e preparatori (9). (6) Emerge, quindi, nel complesso una definizione della figura istituzionale con chiare affinit con la tradizionale teoria del potere neutro in cui al Presidente viene riconosciuto, oltre al ruolo di unit nazionale, la funzione di garanzia costituzionale che si evidenzierebbe in momenti di crisi anche semplicemente in casi di fiacco funzionamento del sistema Angioletta Sperti, La Responsabilit del Presidente della Repubblica, Evoluzione e recenti interpretazioni, Giappichelli, 2012, pagg. 27-35, pag. 31. Claudio Martinelli, Le immunit costituzionali nellordinamento italiano e nel diritto comparato, Giuffr, 2008, pag. 174 La sua natura di organo di garanzia, potere neutro, rappresentante dellUnit nazionale, estraneo allelaborazione dellindirizzo politico, non pu non avere conseguenze anche sul piano dello statuto della responsabilit. (7) Francesco Paterniti, Riflessioni sulla (im) possibilit di svolgere intercettazioni indirette nei confronti del Presidente della Repubblica. Il caso del conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, Federalismi, n. 21/2012, pagg. 15-16 in particolare. C. Martinelli, op. cit, p. 185 Il complesso delle funzioni presidenziali sintetizzabile con lincarnazione della rappresentanza nazionale, mette il Presidente nella condizione di dover compiere un complesso eterogeneo di atti, non ricollegabile n ad unico luogo n ad unico fine, come appunto larticolo 90 della Costituzione mette in mostra, menzionando il generico termine di atti. (8) F. Paterniti, ivi, pagg. 16-17. (9) La dottrina si dimostrata di recente sempre pi attenta alla peculiarit della posizione del Presidente della Repubblica rispetto agli altri organi costituzionali, sottolineando come per il Presidente in quanto organo monocratico, maggiore sia il rischio che eventuali iniziative giudiziarie riguardanti la persona possano incidere direttamente sullesercizio delle sue delicatissime attribuzioni costituzionali, Tommaso Francesco Giupponi, Immunit presidenziale e nesso funzionale in un anomalo con- TEMI ISTITUZIONALI 19 La previsione di cui allart. 90 Cost. , dunque, una prerogativa, da intendere nel senso di un particolare regime giuridico giustificato dal munus publicum ricoperto (v., ampiamente, la sentenza della Corte Cost. n. 262/2009). Le intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, pur se indirette e fortuite, sono dunque illegittime, perch effettuate in violazione della prerogativa di cui allart. 90 Cost. Ancora di pi se, come nel caso in questione, le conversazioni del Presidente della Repubblica siano state valutate come un contatto assolutamente lecito e, presumibilmente, preparatorio rispetto al successivo intervento con il quale il Quirinale, avendo riguardo allesercizio dei poteri attribuiti dalla legge alla Procura nazionale antimafia e alle Procure Generali delle Corti di Appello, ha prospettato la necessit di salvaguardare esigenze di coordinamento rispetto alle diverse iniziative in corso presso varie Procure. In tal modo, infatti, come ribadito dallo stesso Presidente della Repubblica, stato esercitato quel doveroso compito che la Costituzione gli assegna - anche nella qualit di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura - al fine di garantire la correttezza e lefficacia dellazione della magistratura. Tale attivit presidenziale, infatti, risultando ampiamente riconducibile a quelle prestazioni di unit che, oltrepassando le singole attribuzioni separatamente considerate, lart. 87, comma 1, Cost. impone al Presidente della Repubblica, appare perfettamente in linea con le funzioni attive di controllo, di iniziativa e di stimolo nei confronti di altri poteri dello Stato, per assicurare il corretto funzionamento del sistema costituzionale. In definitiva, quindi, dalla mancanza di segretezza deriva una menomazione non solo delle attribuzioni del Presidente della Repubblica, ma, ancor pi, dei supremi interessi nazionali affidati alla sua cura. Limmunit riconosciuta al Presidente della Repubblica dalla Costituzione non legata ad antichi privilegi ormai obsoleti, ma diretta ad assicurargli la libert di azione, la libert di comunicazione e la riservatezza connesse allo svolgimento delle sue funzioni. La soluzione della questione non pu che avvenire, quindi, a livello costituzionale e certamente i limiti di applicazione della norma costituzionale non possono essere dettati da una norma ordinaria, come il codice di procedura penale (10). Nello Stato democratico-costituzionale, in correlazione con laffermazione del principio dellindipendenza della magistratura, le immunit assumono la valenza di garanzia della funzione esercitata nei confronti di qualsiasi condizionamento esterno o di intenti persecutori da parte di singoli magistrati. Esse si caratterizzano non pi come privilegi, accordati intuitu personae e strettamente correlati allattributo della sovranit. Per gli organi rappresentativi posti al vertice dello Stato le immunit si configurano come prerogative che da un lato tutelano non le persone dei titolari ma lesercizio della funzione svolta e dallaltro derogano al diritto comune (11). flitto, Torino, 2003, pag. 194-195, citato da A. Sperti, op. cit., pag. 112; come pure M. Cavino, Lirresponsabilit del Capo dello Stato, Giuffr, 2008, pag. 42 e ss., sulla garanzia della serenit della sua azione politica, sottolineando limportanza di predisporre un sistema particolare di garanzie che mettano il Presidente al riparo dalluso strumentale di azioni giudiziarie. (10) Il codice di procedura penale non pu costituire la chiave normativa per la soluzione del conflitto che , appunto, di livello costituzionale (p. 2) e, comunque, non si potrebbe ricorrere a uno strumento di giurisdizione penale in una sfera in cui non cՏ giurisdizione (p. 5), Glauco Nori, Il conflitto - a proposito delle intercettazioni telefoniche, alcune osservazioni preliminari, Federalismi.it, n. 16/12. (11) Mauro Volpi, Le immunit penali della politica, a cura di G. Fumu e M. Volpi, Il Mulino, 2012, Introduzione, pag. 8, che richiama, anche sulla duplice caratteristica delle immunit, la sentenza della 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Appare, quindi, curioso e ad effetto e, comunque, palesemente infondato se non inconferente - il richiamo allinviolabilit del Re nellordinamento spagnolo, contenuto a pagina 22 della memoria di costituzione della Procura di Palermo (12). 6. Il profilo oggettivo del conflitto. Occorre ricordare che non stata posta assolutamente in dubbio, neanche nella memoria della Procura di Palermo, lirrilevanza delle intercettazioni che hanno captato le conversazioni del Presidente della Repubblica; come non assolutamente posto in dubbio che i comportamenti del Presidente della Repubblica e, nello specifico, i contatti (anche) telefonici che lo stesso ha avuto siano inquadrabili nella sfera del lecito, cio del penalmente irrilevante. Peraltro, nel caso in esame, non si tratta di individuare la linea di demarcazione tra irresponsabilit funzionale e responsabilit extrafunzionale (per atti privati) del Presidente della Repubblica, che resta perci affatto estranea alloggetto del conflitto e alle richieste formulate nel ricorso (pp. 17 e ss. della memoria della Procura di Palermo). Non necessario, dunque, soffermarsi sulla questione relativa alla possibilit di delineare in termini estensivi ovvero restrittivi i confini della irresponsabilit di cui allart. 90 Cost. (13) Corte Cost. n. 262/2009, considerato in diritto n. 7.3.1. Ugo De Siervo ricostruisce una uniforme logica istituzionale sottesa alle varie immunit, consistente nella necessit di mettere i componenti di questi diversi organi di poter espletare in piena libert le loro funzioni, senza dover neppure temere possibili interventi delle autorit giurisdizionali nelle pi o meno ampie aree di immunit loro garantite, La responsabilit penale del Capo dello Stato, in Il Presidente della Repubblica, a cura di Massimo Luciani e Mauro Volpi, Il Mulino, 1997; richiamato da A. Sperti, op. cit., pag. 108, che richiama le due esigenze di tutela dellindipendenza del Presidente della Repubblica quella nei confronti degli attacchi politici della maggioranza e quella essenzialmente rivolta alla tutela dalle accuse pretestuose, in quanto ugualmente presenti nel fondamento giustificativo dellimmunit presidenziale. (12) Come stato osservato dalla dottrina, il diritto comparato presenta in materia, un quadro molto variegato e complesso delle immunit; sottolineando la notevole differenza fra gli ordinamenti anglosassoni e quelli europeo-continentali, essendo le immunit disciplinate distinguendo le figure dei Presidenti della Repubblica dai membri del Governo e dai Parlamentari. In alcuni ordinamenti prevista limprocedibilit nel corso del mandato e in alcuni paesi (Grecia, Israele e Portogallo) tale immunit strettamente correlata al ruolo, attribuito al Capo dello Stato, di rappresentante della Nazione e di garante del rispetto della Costituzione. Molto ampia, anzi totale, la prerogativa prevista dopo la revisione del 2007, in favore del Presidente francese, che ha accentuato la natura evanescente della sua responsabilit, assoluta e totale e perpetua, non del tutto riconducibile al suo ruolo c.d. di Giano bifronte (Capo dello Stato e vertice politico del potere esecutivo) allinterno di un sistema che solo nel caso di cohabitation dualistico. Due sono i presupposti dellimmunit presidenziale, lirresponsabilit e il suo corollario linviolabilit del Capo dello Stato. M. Volpi, op. cit., pagg. 9 e 11; Jean Gicquel, op. cit., pagg. 101-110; sul sistema spagnolo Francisco Fernando-Segado, che sottolinea come, e soprattutto in relazione alle prerogative parlamentari, la materia manca di una legislazione postcostituzionale di attuazione, essendo tuttora una legge gi centenaria (dal 1912) a regolare la materia, op. cit., pagg. 125-197. Sulla disciplina vigente in Francia, v. anche Tommaso Giovannetti, La disciplina della responsabilit penale dei titolari del potere esecutivo in Francia, Consulta online, punti 2.1. 2.1, 2.2. (13) Non ha alcun rilievo - nemmeno come argomentazione a contrario lassunto a tenor del quale il Presidente della Repubblica sarebbe responsabile e, quindi, sottoponibile allazione della magistratura ordinaria, alla stregua di qualsiasi altro cittadino, per le condotte che, esorbitando dallesercizio delle sue funzioni, integrino una comune fattispecie criminosa. In proposito stato osservato - per quanto rileva in questa sede - che poich la norma di cui allart.7 citato ha intuitivamente una portata generale (perch se tale norma vale per i reati funzionali, ben pi TEMI ISTITUZIONALI 21 La questione oggetto del ricorso incentrata, infatti, sulla sussistenza, e la conseguente ampiezza, di quellaspetto della prerogativa che, salvaguardando la riservatezza delle conversazioni del Presidente della Repubblica, permetta di garantire la libera determinazione dellorgano nello svolgimento delle sue funzioni e, pi in particolare, di tutte quelle attivit preordinate e propedeutiche al perseguimento delle finalit che lordinamento assegna al Presidente della Repubblica. Il proposto ricorso per conflitto di attribuzione mira, pertanto, non solo a tutelare il sereno svolgimento della funzione presidenziale, ma anche e soprattutto a salvaguardare gli interessi ai quali la funzione stessa preposta. Ci perch la conoscibilit delle conversazioni del Presidente della Repubblica minerebbe la necessaria riservatezza che deve essere garantita a tutte le attivit preparatorie rispetto agli atti presidenziali (14). Il punto nodale della questione, quindi, - come rilevato nel ricorso - costituito dalla relazione che intercorre tra le funzioni presidenziali e le prerogative che le tutelano, nellottica della riservatezza necessaria alle stesse attivit e perci posta a loro garanzia. Come sottolineato dalla dottrina, si tratta di ...una carica tradizionalmente monocratica, la cui attivit ufficiale pu quindi essere pi facilmente incisa attraverso iniziative giudiziarie che riguardino la persona fisica del titolare e delle sue attivit (15). Alla luce di tali considerazioni sistematiche, lacquisizione delle intercettazioni in unudienza finalizzata alla valutazione della loro rilevanza processuale (art. 268 c.p.p. e ss.), comportando, di fatto, la conoscibilit e la divulgabilit del contenuto delle stesse, produrrebbe di per s un vulnus nelle prerogative legate alla funzione del Presidente della Repubblica e, conseguentemente, anche per gli interessi (rilevantissimi) che tale funzione chiamata a garantire. Il Capo dello Stato, infatti, titolare di funzioni che necessitano certamente di una particolare riservatezza nelliter della loro preparazione. A tale riguardo, a titolo puramente esemplificativo, basti pensare alle attivit inerenti i rapporti diplomatici (art. 87, co. 8, Cost.) ovvero al comando delle forze armate (art. 87, co. 9, Cost.) o, come nel caso in questione, a tutte quelle funzioni che, seppur non tassativamente individuabili, gli derivano indubbiamente, in termini pi o meno espliciti, dalla presidenza del CSM (art. 104, co. 2,) o, ancora, dalla rappresentanza dellunit nazionale (art. 87, co. 1, Cost.). gravi dal punto di vista istituzionale, essa vale a fortiori per i reati comuni, in quanto con riferimento ad essi non esiste una disposizione analogamente permissiva), ci significa che anche per i procedimenti penali a carico del Presidente della Repubblica per reati extrafunzionali la magistratura non pu acquisire prove mediante intercettazioni telefoniche e perquisizioni, tranne che, per queste ultime, il Presidente abbia dato la sua disponibilit a collaborare. Il che significa che lazione penale potrebbe essere promossa nei confronti del Presidente della Repubblica in carica solo quando il magistrato sia in possesso di prove inconfutabili - documentali o testimoniali - di reit. Ci costituisce, sotto il profilo probatorio, un deterrente contro spericolate inchieste penali contro il Presidente della Repubblica, Alessandro. Pace, Le immunit penali extrafunzionali del Presidente della repubblica e dei membri del Governo in Italia, Rivista Telematica giuridica dellAssociazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1/2011, 14.1.2011; Le immunit penali della politica, a cura di Giacomo Fumu e Mauro Volpi, il Mulino, 2012, p. 38. Ci, sottolineando i limiti delle attivit di investigazione rende evidente linfondatezza della tesi seguita nella memoria della Procura di Palermo (p. 50, nota 31), secondo cui lart. 7, comma 3, si intende riferito alle sole intercettazioni dirette. (14) F. Paterniti, op. cit., pag. 14. (15) T.F. Giupponi, Le immunit della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali, Torino, 2005, pag. 374. 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Ne deriva, perci, ... che permettendo di divulgare il contenuto delle attivit preparatorie, metterebbe a rischio gli interessi alla cui salvaguardia tali funzioni sono preordinate (16). Infondate sono, pertanto, tutte le argomentazioni svolte nella memoria della Procura di Palermo (pagg. 11-18) a proposito della latitudine della prerogativa riconosciuta al Presidente della Repubblica. Si ribadisce che si tratta della libert di comunicazione del Presidente della Repubblica che assoluta per come configurata dalla legge di attuazione costituzionale n. 219 del 1989 che vieta le intercettazioni del Capo dello Stato in carica. In conclusione, le intercettazioni captate fortuitamente sono inutilizzabili e vanno immediatamente distrutte, in quanto non consentite dalla legge. Nel caso di specie, non rileva, poi, nemmeno la distinzione tra atti funzionali e atti extra funzionali (17). Al riguardo, si precisa, tuttavia, che le conversazioni oggetto dellodierno conflitto di attribuzione rientrano negli atti funzionali del Presidente della Repubblica, in relazione alla qualit dei soggetti tra i quali sono intercorse ed alla sede nella quale sono state poste in essere (tutte effettuate attraverso il centralino del Quirinale). In ogni caso proprio perch spesso non agevole distinguere gli atti funzionali dagli atti extra funzionali, tutte le conversazioni devono essere libere e garantite dai principi costituzionali. In sostanza quando non possibile distinguere gli atti funzionali da quelli extra funzionali, deve sempre presumersi che le conversazioni siano state poste in essere nellesercizio delle funzioni istituzionali. Una conferma pu essere rinvenuta anche nel fatto che il Presidente svolge la propria vita istituzionale nella sede del Quirinale. La vita del Presidente scandita principalmente, se non quasi esclusivamente, da impegni istituzionali. Nellorgano monocratico listituzione e la persona coincidono per definizione. Egualmente non sono condivisibili anche le argomentazioni sostenute a pagina 27 (in neretto) nella memoria difensiva della Procura di Palermo, laddove si sostiene che lintercettazione (16) F. Paterniti, ibidem. (17) Il c.d. caso Cossiga, richiamato nella memoria della Procura di Palermo (a pag. 20, in particolare, e pag. 19), cio, la sentenza n. 154/2004, non si attaglia al caso di specie, avendo ad oggetto unesternazione volontaria del Presidente e non la tutela della riservatezza delle comunicazioni del Presidente. Inoltre, si tratta di una decisione non definitiva e per nulla risolutiva, perch il giudice dei conflitti non ha affrontato espressamente e definitivamente la questione della sorte processuale del Capo dello Stato in carica in relazione agli atti extrafunzionali, ma ha solo stabilito gli esatti confini della sua irresponsabilit ex art. 90 Cost. Particolarmente significativo, pertanto, un passaggio della decisione predetta, che viene raramente sottolineato, nel quale la Corte afferma che non viene qui in considerazione il diverso e discusso problema degli eventuali limiti alla procedibilit di giudizi (in particolare penali) nei confronti della persona fisica del Capo dello Stato durante il mandato, limiti che, se anche sussistessero, non varrebbero, appunto, se non fino alla cessazione della carica. Qui si discute invece dei limiti della responsabilit, che come tali valgono allo stesso modo sia durante il mandato presidenziale, sia, per gli atti compiuti durante il mandato, dopo la sua scadenza. Una cosa, infatti, stabilire una forma di immunit sostanziale, come prevede lart. 90 Cost., la quale impedisce sul piano sostanziale lattivazione di qualunque forma di responsabilit (politica e giuridica) in relazione agli atti compiuti dal Presidente della Repubblica nellesercizio delle sue funzioni; unaltra, invece, stabilire forme di inviolabilit temporanea sul piano processuale a tutela della persona fisica del titolare pro-tempore della carica presidenziale, T.F. Giupponi, Il Presidente intercettato. Il Conflitto tra Presidenza della Repubblica e Procura di Palermo: problematiche costituzionali in tema di inviolabilit del Capo dello Stato, Amicus curiae 2012 pagg. 7-8. TEMI ISTITUZIONALI 23 della conversazione del Presidente della Repubblica che sia occasionale, del tutto involontaria, non evitabile e non prevenibile, non pu, in ragioni di tali sue caratteristiche, integrare in s, alcuna lesione delle prerogative presidenziali quale che sia il contenuto della conversazione. Linaccettabilit della tesi della Procura, oltre a quanto gi osservato, emerge con evidenza ove il contenuto di quelle conversazioni abbia ad oggetto delicate questioni di sicurezza o di politica estera o di difesa nazionale, in quanto le sue funzioni sarebbero esposte in modo del tutto casuale e, quindi, irrazionale al pubblico mentre se ne imporrebbe la massima riservatezza proprio al fine di garantirne la massima efficacia. 7. La normativa applicabile Come gi osservato nel ricorso, il legislatore, nel prevedere la possibilit di intercettare il Presidente della Repubblica, allart. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 citata, ha esplicitamente stabilito che, per rendere operativo tale strumento investigativo, lo stesso Presidente della Repubblica debba essere sospeso dalla carica. In linea con tali considerazioni anche la gi richiamata ricostruzione offerta dal Ministro della Giustizia, nellanalogo caso del 1997. In tale circostanza, infatti, era stato evidenziato che essendo la libert di comunicazione un connotato essenziale dellesercizio delle funzioni presidenziali, la correlativa libert e segretezza delle conversazioni non pu essere soggetta ad alcuna menomazione. La dottrina ha ritenuto di rinvenire un principio ordinamentale, ricavabile da una ricostruzione sistematica e dalla valutazione congiunta delle norme di cui allart. 90 Cost. e allart.7, comma 3, legge n. 219/1989 citata che induce a reputare preclusa, fino a quando permane la carica, ogni forma di intercettazione diretta. Naturalmente, discendendo questa garanzia esclusivamente dallesercizio delle funzioni presidenziali, a identica conclusione si deve pervenire, onde evitare palesi contraddittoriet e soprattutto paradossali illogicit, anche per le ipotesi di intercettazioni casuali (18). Alla luce di tali considerazioni pu essere individuata lesatta portata del primo comma dellart. 271 c.p.p., il quale prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge. Il codice di procedura penale, infatti, rende legittimi gli atti di indagine e la loro utilizzazione, non gi allorch il dettato normativo ometta di prevedere un divieto di agire, bens, diversamente, in presenza di una esplicita previsione di legge che consenta una attivit di tal genere. A fronte di ci, invero, non pu di certo essere affermato che lart. 7 della legge n. 219/1989 citata ammetta espressamente tale tipologia di intercettazioni nei confronti del Presidente della Repubblica. Anzi, dopo aver contemplato lintercettazione c.d. diretta quale possibile strumento investigativo, la predetta disposizione stabilisce chiaramente che in ogni caso il Comitato parlamentare pu autorizzare le intercettazioni solo dopo che il Presidente della (18) Marco Petrini, Intercettazioni senza pace: il conflitto di attribuzioni tra Capo dello Stato e Procura della Repubblica di Palermo, Archivio penale 2012, n. 3, p. 5 . Carlotta Conti, Il volto attuale dellinutilizzabilit derive sostanzialistiche e bussola della legalit, in Dir. pen. e proc., 7/2010, p. 785, la quale precisa che in materia di diritti fondamentali tutto vietato salvo ci che espressamente consentito, pertanto, quando unacquisizione probatoria incide su diritti fondamentali, essa deve essere disciplinata dal legislatore nei casi e nei modi; in assenza di una simile argomentazione, la prova deve intendersi vietata. Linutilizzabilit delle prove incostituzionali si ricava dal silenzio della legge. 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Repubblica sia stato sospeso dalla carica. Da ci potendosi ricavare che mentre la parte assertiva della prescrizione espressamente dedicata alle sole intercettazioni dirette (consentendone, in determinati casi, lo svolgimento e lutilizzazione), diversamente, i limiti introdotti dalla stessa norma sono applicabili in ogni caso, quindi, anche nella diversa ipotesi di intercettazioni indirette (19). 8. Linutilizzabilit assoluta delle intercettazioni. Come gi rilevato nel ricorso, si ribadisce che le intercettazioni che, anche se indirettamente, captino le conversazioni del Presidente della Repubblica in carica, sono da ritenersi illegittime. Trattandosi di conseguente inutilizzabilit assoluta, le stesse intercettazioni devono essere distrutte immediatamente e senza alcuna valutazione circa la loro eventuale rilevanza processuale. Come gi osservato, non vale opporre in contrario lasserita iniziale inevitabilit delle intercettazioni che, sebbene originariamente indirizzate ad un soggetto terzo, solo incidentalmente coinvolgano le conversazioni del Presidente della Repubblica. Infatti, in mancanza di una norma che espressamente ne consenta la captazione, non appena accertato il requisito soggettivo dellinterlocutore (Presidente della Repubblica in carica) si sarebbe dovuta interrompere lattivit di intercettazione. In questi termini, dunque, deve essere riconosciuta la illegittimit delle intercettazioni, anche indirette, e conseguentemente limpossibilit delleventuale uso (in qualsiasi forma) delle stesse. Come gi precisato nel ricorso, si tratta di una illegittimit che scaturisce dal combinato disposto della norma di cui allart. 271, comma 1, c.p.p. con lart. 7, comma 3, della legge n. 219/1989 citata. Le intercettazioni indirette e/o casuali del Presidente della Repubblica in carica, pertanto, non possono essere acquisite agli atti del processo, restandone fuori, dovendo, invece, affermarsi lobbligo di distruggerle (20). (19) F. Paterniti, op. cit., p. 22. La giurisprudenza ha precisato la valenza dellart. 271 c.p.p. in termini di inutilizzabilit correlandola allart. 15 Cost. (Cass. Pen., SS. UU., 13.1.2009, n. 1153); sottolineando che leliminazione fisica dellintercettazione illegittima era e resta lepilogo ordinario; avendo il legislatore stabilito, accanto allinutilizzabilit dei risultati, la distruzione delle intercettazioni nei casi previsti dal richiamato art. 271 c.p.p., se ne deve dedurre che nelle ipotesi normativamente indicate, la volont perseguita dalla legge stata quella di escludere, non soltanto sul piano giuridico, ma financo su quello della materialit degli atti, qualsiasi possibilit di legittima fruizione di quelle acquisizioni; id., 9 aprile 2010, n. 13426; come gi affermato da Cass., Sez., I penale, 3 dicembre 1997, n. 11077. Una soluzione pratica al problema la circolare emessa dal Procuratore Distrettuale di Catania, dott. Giovanni Salvi, in data 21 aprile 2012, dettata proprio al fine di garantire la riservatezza delle conversazioni anche nei confronti delle altre parti processuali, sulla quale si sofferma lintervista al Dott. Salvi su La Repubblica del 30 luglio 2012. In particolare, in essa si precisa che: a) lattivit di captazione non pu essere interrotta per il solo fatto che uno degli interlocutori sia il difensore; b) lattivit deve essere documentata; c) il pubblico ministero ha lobbligo di verificare immediatamente loperativit o meno delle garanzie sancite dallart. 103 c.p.p. e la conseguente inutilizzabilit processuale delle intercettazioni; d) al pubblico ministero spetta di evitare ogni utilizzo illegittimo di tali comunicazioni e di attivare la procedura di distruzione delle comunicazioni intercettate e della relativa documentazione. (20) F. Paterniti, op. cit., pagg.23-24 In tal modo, tra laltro, si evita che la loro divulgazione, interferendo con lo svolgimento del mandato presidenziale, possa compromettere gli interessi affidati alla cura del Presidente della Repubblica, potendo, tra laltro, causare una inammissibile strumentalizzazione delle fasi preparatorie rispetto alle attivit funzionali formalmente poste in essere. Il presupposto della necessaria distruzione delle intercettazioni indirette e/o casuali deve rinvenirsi TEMI ISTITUZIONALI 25 La norma di cui allart. 271, primo comma, prima parte, a mente della quale i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge... conferma, nel rispetto della riserva di legge affermata dallart. 15 Cost. , il principio generale dellinutilizzabilit delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Secondo la dottrina si devono distinguere i casi in cui lintercettazione vietata da quelli in cui solo lutilizzazione dei suoi risultati inibita (ad esempio per la loro irrilevanza). I primi sono divieti categorici che, pur comportando il dovere di inibire immediatamente lintercettazione vietata, si convertono ex post in divieti di utilizzare i risultati della intercettazione, perch con essi si sono voluti proteggere fondamentali valori costituzionali (come, ad esempio, lart. 90 Cost. appunto). Questione diversa e centrale quella del contraddittorio o della celebrazione di unudienza camerale per la distruzione. Va, in primo luogo, osservato che la stessa Procura della Repubblica di Palermo ritiene che le intercettazioni per cui conflitto siano irrilevanti (nel procedimento e nel processo penale) ed esclude che siano corpo di reato. Va osservato inoltre - ed questa la contraddizione processuale della Procura di Palermo - che i nastri delle intercettazioni non sono stati riversati nel nuovo fascicolo n. 11719/12, in esito al quale stato richiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, del sen. Mancino, ma sono rimasti nel fascicolo madre 11609/08, che scaturisce dal procedimento penale n. 18101/00 (riguardante la presunta trattativa Stato-mafia), gi archiviato e poi oggetto di riapertura. In ordine a queste modalit processuali, si rileva che la Procura di Palermo, se avesse ritenuto essenziale (come detto a pagina 12 della memoria difensiva) non inibire allinnocente la possibilit di portare in giudizio la prova, anche irritualmente acquisita, della non colpevolezza, avrebbe dovuto allegare le n. 4 intercettazioni di cui al fascicolo 11719/12. Non essendosi verificata tale allegazione, la Procura di Palermo non ha alcun interesse a far valere oggi un avviso contrario, nellambito delle indagini per cui procede. La mancata allegazione al fascicolo, formato per stralcio, conclusivamente depone per la totale irrilevanza di tale materia ai fini della prova dellinnocenza degli imputati, secondo la valutazione effettuata dagli stessi Pubblici Ministeri. Daltra parte, anche qualora tale materiale fosse rilevante ai fini della prova della non colpevolezza degli imputati nel procedimento n. 11719/12 (in disparte ogni questione sullincoerenza della condotta tenuta dallorgano dellaccusa), dallimmediata distruzione di esso non nella loro illegittimit dalla quale deriva la loro inutilizzabilit assoluta ricavabile dallart. 271, comma 1, c.p.p.. La procedura contemplata dallart. 268 c.p.p. inutilizzabile, non solo perch inopportuna, ma anche e soprattutto perch inapplicabile. Linapplicabilit logicamente connessa allillegittimit delle intercettazioni e alla conseguente inutilizzabilit assoluta delle stesse che, quindi, non possono essere nemmeno valutate nel merito quanto alla loro (ir)rilevanza processuale. Linutilizzabilit assoluta delle intercettazioni che captino indirettamente il Presidente della Repubblica, infatti, uninidoneit funzionale della causa dellatto a contenuto astrattamente probatorio. Tale garanzia, invocabile in presenza di un vizio assunto in violazione di un divieto probatorio, ovvero, in mancanza di unesplicita autorizzazione specifica, derivante dalla legge, espressione non solo di un principio di generale protezione dei diritti fondamentali della persona, ma anche rafforzata, nel caso in esame, dallart. 90 Cost. 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 deriverebbe, comunque, alcuna lesione dei diritti di difesa degli imputati stessi, in particolare, del sen. Mancino. Ne consegue, quindi, che, anche ove si dovesse ritenere che la registrazione casuale delle conversazioni del Presidente della Repubblica non determini ex se una lesione delle prerogative presidenziali, una lesione delle stesse sarebbe senzaltro rinvenibile nella pretesa di valutare, in contraddittorio tra le parti, leventuale rilevanza nel processo delle conversazioni, nonch la loro conservazione in atti in un processo che non ha imputati e senza allegazione al fascicolo oggetto di stralcio, relativo a soggetti nei cui confronti stata elevata formale imputazione. Del resto dalla sentenza n. 390/07 della Corte Costituzionale riguardante intercettazioni di conversazioni di parlamentari - invocata nella memoria di controparte - non pu ricavarsi alcun principio che enunci la non riferibilit dellart. 271 c.p.p. alle intercettazioni indirette e casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica; essa, infatti, ha riguardo allart. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 di attuazione dellart. 68 Cost.: norma non applicabile al Capo dello Stato per effetto dellart. 6 della legge 219/89 citata. Il codice di procedura penale, peraltro, si occupato espressamente del Presidente della Repubblica, non ignorando la legge costituzionale che sottrae alla magistratura ordinaria i procedimenti di accusa dello stesso Presidente. In particolare, lart. 205, comma 3, c.p.p, nel disporre la possibilit di confronto tra i testi che rivestono alte cariche dello Stato e altri testimoni, esclude che per il Presidente della Repubblica possa essere disposto il confronto con altri testi, nonch che ne possa essere statuita la comparizione in giudizio. Da ci ne consegue che sarebbe del tutto anomalo consentire che la voce del Presidente, non sottoponibile al confronto con le modalit che la legge prescrive per la testimonianza dei testi, possa essere stata captata indirettamente e casualmente e poi successivamente utilizzata nel corso dellattivit investigativa (21). Daltra parte lart. 268 c.p.p. si applica unicamente alle intercettazioni che sono state non solo legittimamente acquisite, ma che, anche e soprattutto, siano legittimamente utilizzabili. Infatti, la procedura prevista dallart. 268 c.p.p., - come gi osservato nel ricorso - facendo (21) Alla luce dellinterpretazione sistematica delle disposizioni costituzionali rilevanti in materia, nonch in base alla giurisprudenza costituzionale, lesistenza di un principio costituzionale volto alla tutela della sfera personale del titolare pro-tempore della Presidenza della Repubblica appare coerente con il ruolo e le attribuzioni che il nostro ordinamento riconosce al Capo dello Stato nellambito degli assetti connessi alla nostra forma di governo parlamentare. Diversi, in sintesi, gli elementi che possono rappresentare indizi sullesistenza di tale principio: a) la natura monocratica dellorgano, che comporta forme peculiari di tutela della sua libert dazione; b) la peculiarit delle funzioni riconosciuto al Presidente dallart. 87 Cost. e da altre disposizioni costituzionali, volte a configurarlo come un organo, autonomo e indipendente, di garanzia dellequilibrio del complessivo sistema istituzionale, con poteri che attengono allesercizio di tutte le principale funzioni statali; c) lo stesso art. 90 Cost. che riconosce al Capo dello Stato (e solo a lui nel nostro ordinamento) una esenzione totale da ogni forma di responsabilit per tutti gli atti compiuti nellesercizio delle funzioni. Tracce di tale principio, a ben vedere, sono rinvenibili in materia penale, sia sul piano sostanziale che sul piano processuale. Dal primo punto di vista, infatti, si ricorda lart. 277 c.p. che punisce chiunque attenta alla libert del Presidente della Repubblica; dal secondo, invece, si segnala lart. 205 c.p.p. il quale prevede forme particolari di assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica, che deve essere sentito nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato. Disposizioni, tutte, che sembrano fare emergere (pur in ambiti e con finalit differenti) la necessit di dover garantire la libert e continuit dellesercizio delle funzioni presidenziali, al riparo da ogni coercizione della sua persona, T.F. Giupponi, op. ult. cit., pag. 11 e nota 24. TEMI ISTITUZIONALI 27 confluire le intercettazioni in unudienza camerale nella quale le parti devono essere poste a conoscenza del contenuto delle conversazioni intercettate, sarebbe il tramite per la successiva e inevitabile divulgazione del contenuto delle conversazioni stesse. Come gi osservato al precedente punto 4 (pagg. 14-15), quanto alla (pretesa) inammissibilit del ricorso, nella memoria di costituzione la Procura di Palermo sostiene che non il P.M. che pu disporre la distruzione della c.d. documentazione delle intercettazioni assertivamente vietate, ma il giudice, tanto nellipotesi di cui allart. 271, comma 3, c.p.p. (lunica disposizione applicabile al caso di specie, secondo lesplicita affermazione dellAvvocatura Generale dello Stato: ric. pag. 15), quanto nellipotesi, ben pi corretta, dellapplicabilit alla specie dellart. 268, comma 6, e 269, comma 2, c.p.p.. Le conclusioni (pag. 16 del ricorso), si ribadisce, devono evidentemente intendersi nel senso che si richiede alla Corte Costituzionale di dichiarare che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere limmediata interruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica, n spetta valutarne l(ir)rilevanza offrendole alludienza stralcio di cui allart. 268 c.p.p.; proprio sul presupposto del non corretto uso del potere giurisdizionale, che, produrrebbe un grave vulnus alle prerogative del Presidente della Repubblica, operando senza tenere di esse alcun conto e alterando in concreto e in modo definitivo la consistenza e lassetto dei poteri previsti dalla Costituzione; e dichiarare, altres, che, comunque, la Procura della Repubblica di Palermo deve immediatamente attivarsi per chiedere al giudice la distruzione delle suindicate intercettazioni senza alcun contraddittorio. Non assolutamente, quindi, posto in alcun dubbio che i magistrati devono esercitare le proprie competenze (pag. 8 della memoria della Procura di Palermo) e certamente non si chiede di modificare lassetto delineato dallart. 101 Cost. o di far emettere ai Pubblici Ministeri un provvedimento contra legem. Nessun contrasto, quindi, fra petitum e causa petendi, come si vorrebbe nella memoria (pag. 10), ma un logico svolgimento delle argomentazioni giuridiche, prima, e una corretta esplicazione delle conclusioni poi. Quanto alla asserita impossibilit giuridica per il Pubblico Ministero di disporre la distruzione delle intercettazioni effettuate, lassunto della Procura di Palermo pu essere sintetizzato nellaffermazione (pag. 11) che, pur nella differenza intercorrente tra lart. 269, comma 2, e lart. 271, comma 3, c.p.p. in nessuno dei due casi possibile procedere allimmediata distruzione della documentazione delle intercettazioni prescindendo dal ricorso al giudice e dalle garanzie del contraddittorio, richiamando in argomento la sentenza della Corte Costituzionale n. 463/1994. Tale argomentazione richiama un precedente che, per, riguarda, invece, espressamente il solo caso delludienza camerale disposta su istanza di distruzione a tutela della riservatezza presentata da privati interessati dalle attivit di indagine e non la disciplina giuridica del procedimento di distruzione delle intercettazioni eseguite in violazione di un preciso divieto di legge (e, nella specie, di legge di attuazione costituzionale). Largomentazione finisce, poi, per rendere identiche due fattispecie affatto diverse (269, comma 3 e 271, comma 3, c.p.p.) e costituisce, anzi, proprio sotto tale profilo di equiparazione, una indiretta conferma della fondatezza del ricorso. Si tratta, infatti, di un caso (non sottoponibilit a intercettazioni mentre il Presidente in carica, sancito dallart. 90 Cost.) posto come divieto assoluto e, quindi, come inutilizzabilit processualmente definitiva: introdurre la fase del contraddittorio sulla rilevanza e/o lutiliz- 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 zabilit delle intercettazioni, non previsto dal 3 comma dellart. 271 c.p.p. equivale inammissibilmente a renderlo identico allart. 269 c.p.p. Non neppure condivisibile laffermazione della Procura di Palermo secondo cui la fattispecie oggetto del conflitto non potrebbe comunque essere regolata dallart. 271 c.p.p., poich la giurisprudenza di legittimit ha precisato che, sulla base del principio di tassativit delle invalidit processuali, lart. 271, comma 1, c.p.p. si applica ai soli casi di violazione di divieti normativi espressi e non suscettibile di interpretazione analogica (Cass. pen., sez. IV, n. 20130/05). In primo luogo, va osservato che, nella specie la sanzione prevista linutilizzabilit e non linvalidit. Va considerato, poi, che il richiamo giurisprudenziale non corretto: la sentenza della Cassazione riguarda il caso di mancata osservanza delle prescrizioni previste dallart. 268, terzo comma, c.p.p. (per essere state le intercettazioni eseguite presso i locali della Procura della Repubblica mentre il relativo verbale era stato redatto presso gli uffici del Comando Provinciale dei carabinieri) e, nella specie, stata esclusa la possibilit di applicare in via analogica alla redazione del verbale la previsione secondo cui le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica. Del tutto diverso - si ripete - il caso in esame, in cui le intercettazioni - per le motivazioni sopra diffusamente esposte - sono state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge, ipotesi che d luogo automaticamente ad una situazione di radicale illegittimit sanzionata non solo dalla inutilizzabilit dei risultati, ma addirittura dalla fisica distruzione del materiale ricavato, che il giudice deve disporre di ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. pen., sez. I, n. 11077/97 cit.). * * * Tanto premesso, nel caso in esame, sussistono precisi elementi oggettivi di prova del non corretto uso del potere inquirente e, di riflesso, giurisdizionale. Essi sono il non aver disposto linterruzione della registrazione delle conversazioni nelle quali casualmente e indirettamente era coinvolto il Presidente della Repubblica, unitamente alle circostanze (pacifiche e non contestate) che il testo delle telefonate stato mantenuto agli atti del processo e ne stata addirittura valutata l(ir)rilevanza e, soprattutto, che si ipotizza lo svolgimento di unudienza secondo le modalit indicate dallart. 268 c.p.p. (trascrizione integrale delle intercettazioni, previa valutazione dellirrilevanza; facolt dei difensori di estrarne copia e udienza c.d. stralcio; autorizzazione del G.I.P. sentite le parti) per ottenerne lacquisizione o la distruzione: procedimento inapplicabile alla fattispecie per le ragioni gi ampiamente svolte. Le intercettazioni in questione, come si detto, avrebbero dovuto essere immediatamente sospese e, comunque, di esse doveva chiedersi al giudice limmediata distruzione non appena avuta contezza che nella conversazione era coinvolto il Presidente della Repubblica. La interruzione dellintercettazione avrebbe dovuto essere disposta da parte dello stesso Pubblico Ministero o, nel caso di mancata interruzione, si sarebbe dovuta chiedere al Giudice la distruzione con la procedura di cui allart. 271, comma 3, c.p.p., in difetto, comunque, di qualsiasi contraddittorio sulla rilevanza e/o lutilizzabilit delle intercettazioni; con lovvia avvertenza che il giudice avrebbe dovuto limitarsi a rilevare il fatto storico della intercettazione del Presidente della Repubblica, evitando qualsiasi esame dei contenuti delle medesime, in quanto intercettazioni vietate, perci, illegittime e affette da nullit assoluta. La valutazione del Pubblico Ministero e del Giudice non pu che essere limitata, infatti, alla verifica del fatto storico dellessere stata effettuata una intercettazione assolutamente vietata, senza entrare e, perci, valutare il contenuto della stessa anche ai fini della sua rilevanza processuale. TEMI ISTITUZIONALI 29 Lintercettazione assolutamente vietata dalla legge assolutamente inutilizzabile nel processo, resta fuori dal processo e rileva solo come accertamento del fatto storico vietato ai fini dellimmediata distruzione. Ritenuto quanto precede, il ricorrente Presidente della Repubblica, alla luce di quanto ampiamente esposto sulle conclusioni gi rassegnate, chiede che lEcc.ma Corte adita dichiari: 1) che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere di interrompere leffettuazione delle intercettazioni casuali del Presidente della Repubblica; 2) e che, comunque, non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere, una volta acquisite le predette intercettazioni, di chiederne al Giudice limmediata distruzione n spetta valutarne la (ir)rilevanza offrendole alludienza stralcio di cui allart. 268 c.p.p. * * * Roma, 23 novembre 2012 LAvvocato Generale dello Stato Michele Giuseppe Dipace Il Vice Avvocato Generale dello Stato Antonio Palatiello LAvvocato dello Stato Gabriella Palmieri DISCUSSIONE Ud. Pubblica del 4 dicembre 2012 Credo sia essenziale precisare, ancora una volta, loggetto e la finalit del presente conflitto attribuzione, perch si dovuto constatare che, anche nella memoria della Procura di Palermo, oltre che nellatto di costituzione, sono state formulate eccezioni di inammissibilit del conflitto stesso che fanno venire il dubbio che la portata oggettiva del ricorso non sia stata intesa correttamente. 1.- Oggetto del conflitto 1.1 Al fine di definire con precisione loggetto del conflitto e le ragioni che lo hanno determinato bisogna tener presente alcuni comportamenti (fatti) e atti della Procura della Repubblica di Palermo che hanno avuto e tuttora continuano ad avere una chiara e puntuale rilevanza giuridica che hanno imposto la proposizione del presente ricorso. Anche se si vuole prescindere dallintervista del P.M. Antonino Di Matteo pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 22 giugno 2012, che ha portato a conoscenza pubblica lesistenza di alcune intercettazioni telefoniche, sembra indirette e/o casuali, di conversazioni tra il Sen. Mancino ed il P.d.R., successivamente sia lo stesso P.M. che il Sig. Procuratore Capo della procura di Palermo confermavano lesistenza di tali intercettazioni e affermavano che avendo gi valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale conversazione in atti diretta al Capo dello Stato, non se ne prevede alcuna utilizzazione investigativa e processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con losservanza delle formalit di legge. 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Ancor pi il procuratore capo con nota del 9 luglio 2012 e con lettera pubblicata in data 11 luglio 2012 sul quotidiano la Repubblica affermava che nellordinamento attuale nessuna norma prescrive, o anche soltanto autorizza, limmediata cessazione dellascolto e della registrazione quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione. Inoltre che in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della rilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con lautorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci quanto prevedono le pi elementari norme di legge .... Da queste affermazioni e dalla risposta ufficiale alla richiesta di informazione e chiarimenti allAvvocato Generale dello Stato (nota 6 luglio 2012) emergeva che: 1 - erano state effettuate alcune intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il Sen. Mancino e il P.d.R. 2 - la Procura della Repubblica, dopo averle ascoltate, ne aveva valutato la rilevanza ai fini della loro eventuale utilizzazione investigativa o processuale, ritenendole poi irrilevanti ai fini del processo in corso; (atto tipicamente processual-penalistico) 3 - le predette intercettazioni erano rimaste e tuttora restano agli atti del procedimento omettendo la procura della Repubblica di procedere alla immediata richiesta al GIP di distruzione delle stesse perch assolutamente vietate; (comportamento giuridico omissivo di un atto del procedimento) 4 - per esse il P.M. riteneva di applicare la procedura camerale ex art. 269 c.p.p. secondo cui le registrazioni delle intercettazioni (legittime) sono conservate fino alla sentenza non pi soggetta a impugnazione. Prevede tale norma che in tali casi gli interessati (le parti del processo, e non certo il P.d.R. che non solo non parte del processo in questione, ma neppure era a conoscenza delle intercettazioni) possono richiedere che la documentazione non necessaria per il processo (cio irrilevante) sia distrutta a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato e convalidato lintercettazione, che decide in camera di consiglio in contraddittorio con le parti (a norma dellart. 127 c.p.p.) Queste circostanze comportano senza dubbio che tale procedura ex art. 269 c.p.p. era stata sostanzialmente iniziata poich le intercettazioni in questione venivano inserite in un fascicolo stralcio e perci veniva omessa la necessaria richiesta al G.I.P. di immediata distruzione delle stesse. Diversamente da quanto ipotizza la Procura della Repubblica sollevando, anche nella memoria per questa udienza, leccezione di inammissibilit del conflitto in quanto rivolto a un mero intento della Procura stessa di procedere con losservanza delle formalit di legge e, ancora pi, di aver proposto un conflitto prematuro perch sarebbe dovuto essere rivolto contro un provvedimento giurisdizionale del G.I.P. e non verso il mero intento del P.M., i comportamenti descritti e gli atti formali del P.M. giuridicamente rilevanti prima indicati, hanno imposto la proposizione del conflitto di attribuzione in quanto tali fatti e atti sono ritenuti violativi delle prerogative (o immunit) del P.d.R. previste e derivanti dallart. 90 Cost. e dallart. 7 della legge 5 giugno 2009 n. 219 che ha reso operativa tale norma della Costituzione regolando appunto anche la materia di qualsiasi intercettazioni telefoniche dirette e indirette nei confronti del P.d.R. Tale normativa, come noto, integra le norme costituzionali sulla responsabilit penale del P.d.R. per le ipotesi previste nellart. 90 della Costituzione e costituiscono esse stesse un parametro di costituzionalit. TEMI ISTITUZIONALI 31 Peraltro si deve osservare che non di solo intento del P.M. si tratti, dimostrato dal fatto che tuttora la situazione non mutata e pertanto persiste lomissione di immediata richiesta al G.I.P. di distruzione delle intercettazioni, illegittime in questione. Si deve altres precisare che il P.d.R. del tutto estraneo ai procedimenti penali in corso per cui non pu reagire con gli strumenti processuali interni al processo avverso le scelte, anche processuali del P.M., che ritiene illegittime, ma ritenendo che siano violate le prerogative della propria funzione ha la via obbligata del conflitto di attribuzione, come appunto avvenuto. Non si tratta, inoltre, come afferma la procura, di un conflitto su una ipotetica scelta di soluzione processuale, ma di atti giuridici precisi della Procura in quanto attraverso la valutazione della rilevanza ai fini processuali delle intercettazioni in questione si iniziata la procedura ex artt. 268 e 269 c.p.p. che, secondo lassunto contenuto nel ricorso, porta a violare il principio dellassoluta riservatezza delle comunicazioni del P.d.R. in quanto tale procedura comporta il contraddittorio pieno tra le parti interessate e la sicura pubblicit del contenuto delle conversazioni. Contenuto delle conversazioni che codesta Corte, nellordinanza che ha dichiarato lammissibilit del presente ricorso, ha deciso di non voler conoscere perch appunto ha ritenuto che dovesse restare riservato. Inoltre, per ulteriore chiarezza, si deve ribadire che non stato mai chiesto che la distruzione delle intercettazioni fosse effettuata dal Pubblico Ministero, ma dal Giudice come emerge chiaramente da tutto il contesto del ricorso nel quale si richiamata lapplicazione dellart. 271 c.p.p. La tesi avversa sulla quale insiste la difesa della procura, frutto di unerrata e parziale interpretazione delle conclusioni del ricorso avulsa da tutto il contesto del ricorso stesso e pertanto del tutto infondata. 1.2 E veniamo alloggetto del presente conflitto. La Corte Costituzionale dovr stabilire sostanzialmente quale sia il trattamento giuridico relativo alle intercettazioni assunte come occasionali delle conversazioni del P.d.R. e stabilire la procedura con la quale si deve pervenire alla distruzione che non contrasti con i principi costituzionali inerenti la riservatezza delle comunicazioni del P.d.R.. La Corte dovr stabilire se le disposizioni costituzionali dellart. 90 Cost. e dellart. 7 della l. 219/89 siano state violate, anche sotto il profilo della menomazione delle immunit presidenziali, da parte della Procura di Palermo, per aver proceduto alla valutazione della rilevanza del contenuto delle intercettazioni in questione; per aver tenuto e continuato a tenere tali intercettazioni agli atti ora di un procedimento stralcio ancora non sappiamo per quanto tempo; aver omesso di chiedere al G.I.P. limmediata distruzione delle stesse; aver avviato una procedura processuale in cui sia il gip, in una udienza camerale, a stabilire, secondo le norme generali, se debbano o meno essere distrutte mettendole a disposizione delle parti ed in contraddittorio con esse, con la certezza che limmunit del P.d.R. sulla riservatezza delle sue conversazioni non sia pi esistente. del tutto evidente che la Procura di Palermo ha trattato le intercettazioni delle telefonate in questione come normali intercettazioni, sia pure acquisite indirettamente e occasionalmente, alle quali applicare le regole processuali delle intercettazioni legittime, senza tenere in minimo conto che erano intercettazioni di conversazioni in cui era coinvolto il P.d.R. e pertanto vietate perch effettuate in violazione dellart. 90 della Cost. e dellart. 7 della l. 219/1989 prima citati. La procedura considerata e perseguita espressamente dalla Procura riguarda le c.d. intercettazioni irrilevanti per il processo penale, che, su richiesta degli interessanti, possono essere 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 distrutte a norma dellart. 268 c. 4-8 c.p.p. e 269 c.p.p. (deposito delle registrazioni nella segreteria del P.M.; facolt del difensore di prenderne visione in modo da poter influire sulla decisione di stralcio dei contenuti superflui; richiesta di distruzione da parte degli interessati; decisione del G.I.P. in camera di consiglio ai sensi dellart. 127 c.p.p. con il pieno contraddittorio delle parti) e non delle intercettazioni illegittime perch vietate dalla legge che seguono la procedura dellart. 271 1 e 3 comma c.p.p. sulla inutilizzabilit ai fini processuali, come peraltro prevede il comma due dello stesso articolo 269 c.p.p. Sia chiaro non si contesta che le intercettazioni nei confronti di un indagato, il Sen. Mancino, non siano state autorizzate e perci legittime nei confronti dellindagato, si vuole far presente che quelle tra il suddetto e il P.d.R. sono divenute illegittime perch vietate dalle norme costituzionali e da quelle c.d. interposte quale lart. 7 della l. 219/1989, e pertanto contra costitutionem, coinvolgendo un soggetto che non pu essere intercettato. Non voglio qui stare a ripetere i principi costituzionali che sono a fondamento del presente conflitto di attribuzione anche e soprattutto perch sono stati ampiamente illustrati nel ricorso e nella memoria. N intendo ripetere le argomentazioni della portata della norma costituzionale e delle relative norme di attuazione in tali atti formulate e che sono state indicate anche dal giudice relatore. Vorrei soltanto ribadire che lo scopo del presente conflitto laffermazione del principio della libert delle comunicazioni del P.d.R. come connotato essenziale dellesercizio delle sue attivit. Tale principio strettamente correlato, da uno stretto nesso di conseguenzialit con laltro principio dellassoluta riservatezza di tali comunicazioni. Come si detto, il presente ricorso ha quale finalit non solo quella di tutelare il sereno svolgimento della funzione presidenziale ma anche di salvaguardare gli interessi nazionali cui la funzione stessa preposta. La conoscibilit delle conversazioni del presidente inciderebbe negativamente sulla necessaria riservatezza che deve essere garantita a tutte le attivit, anche preparatorie, degli atti presidenziali. In altri termini lacquisizione delle intercettazioni in una pubblica udienza finalizzate alla valutazione della loro rilevanza processuale comportando di fatto la certa divulgazione del loro contenuto indubbiamente violerebbe la immunit legata alla funzione del P.d.R. oltre che i supremi interessi nazionali che tale funzione destinata a garantire. Nel caso in esame, come si ampiamente dedotto in memoria, non vi dubbio che le comunicazioni del Presidente siano collocabili allinterno delle funzioni dellorgano che impersona. Ogni questione sulla distinzione tra atti funzionali e attivit extrafunzionali che nelle difese della procura vengono dedotte sono da ritenersi ultronee. Tale distinzione, stato detto, attiene esclusivamente al diverso problema dellindividuazione dei confini dellirresponsabilit funzionale del Capo dello Stato, mentre appare inconferente in relazione alla individuazione di forme di tutela sul piano esclusivamente processuale della persona del P.d.R.. Tali forme di tutela appaiono coerenti con il ruolo e le attribuzioni del P.d.R. e mirano a garantire il libero esercizio delle sue peculiari funzioni costituzionali, soprattutto in materia di libert delle comunicazioni e della corrispondenza la cui segretezza non pu essere soggetta a limitazione. Tutta la dottrina costituzionalista che si occupata del presente conflitto non ha messo in dubbio che le telefonate intercettate casualmente fossero state effettuate con riguardo non alla persona privata del Presidente ma alla sua qualit e funzione di Presidente della Repubblica, ove questa distinzione, come si esposto in memoria, possa avere una reale valenza nel con- TEMI ISTITUZIONALI 33 creto delle attivit che il P.d.R. venga a svolgere. Alle attivit di comunicazione del P.d.R. va riconosciuta lirresponsabilit giuridica che comporta limmunit prevista dallart. 90 Cost. secondo i principi e le caratteristiche che in materia di prerogative costituzionali ha indicato la Corte nella sentenza 262 del 2009, tra cui spicca la libert delle comunicazioni e la conseguente loro riservatezza. Non si tratta di privilegi, come assume la difesa della Procura palermitana, ormai inimmaginabili in un paese democratico, ma di immunit funzionali allesercizio dei poteri presidenziali derivanti dalla Costituzione. Le attivit del P.d.R. debbono liberamente svolgersi, come stato detto, in rigorosa riservatezza proprio per garantire il buon andamento delle istituzioni e, pi in generale, dellintero Paese. Per questo le intercettazioni delle conversazioni del Capo dello Stato, anche se indirette e casuali, sono da ritenersi illegittime perch in contrasto con la prerogativa giuridica di cui allart. 90 Cost. integrata dallart. 7 della L. 219/1989 e non debbono entrare nel processo penale Lart. 7 della l. 219 regolando espressamente il regime delle intercettazioni dirette stabilisce, in termini generali, limpossibilit di svolgere attivit investigative allorch il Presidente sia in costanza di carica se non per i casi e con la procedura prevista da tale norma (reati contemplati nellart. 90 Cost. e autorizzazione del comitato parlamentare dopo che il presidente sia stato sospeso). La stessa norma stabilendo che in ogni caso il comitato parlamentare pu autorizzare le intercettazioni solo dopo che il Presidente sia stato sospeso dalla carica autorizza a ritenere che i limiti introdotti da tale norma sono applicabili in ogni caso e quindi anche nella diversa ipotesi di intercettazioni c.d. indirette ed occasionali per il principio, come si detto, che il pi contenga il meno, ma soprattutto per uninterpretazione della norma che rispetti i menzionati principi costituzionali. Non esatto che non vi sia una previsione nel codice di procedura penale circa linterruzione immediata dellintercettazione della conversazione del P.d.R. o la sua immediata distruzione senza contraddittorio. Ci solo in apparenza poich le intercettazioni in questione sono state eseguite fuori dai casi previsti dalla legge, non possono essere oggetto di alcuna valutazione, sono ex lege inutilizzabili e debbono essere distrutte dai giudici, trovando nella disposizione generale dellart. 271 c.p.p., che disciplina le intercettazioni illegittime, la loro regola procedurale senza contraddittorio sul contenuto. Ci per evitare che gli strumenti dindagine possono incidere sulla riservatezza necessaria per svolgere le funzioni proprie dellufficio presidenziale. Sotto questo profilo la differenza tra intercettazioni dirette e indirette del tutto irrilevante essendo tutte ugualmente vietate o acquisite contra legem in violazione di principi costituzionali. Ne deriva che le intercettazioni, anche casuali, del P.d.R. in carica non possono essere acquisite agli atti del processo sono illegittime e debbono essere immediatamente distrutte perch assolutamente inutilizzabili senza la valutazione della loro eventuale rilevanza processuale. Il combinato disposto dellart. 7 c. 3 della l. 219/89 e dellart. 271 c. 1 c.p.p. regolano, sotto il profilo procedimentale, la sorte delle intercettazioni illegittime perch effettuate nei confronti del P.d.R., e perci del tutto inutilizzabili. Dalle predette norme deriva senza dubbio che lobbligo dellimmediata distruzione debba avvenire senza la divulgazione della loro esistenza e del contenuto e soprattutto senza contraddittorio, che non riguardi il fatto storico, che potrebbe interferire con lo svolgimento del mandato presidenziale e compromettere le funzioni del Capo dello Stato che riguardano gli interessi preminenti dello Stato. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Come stato detto unintercettazione che coinvolga, anche in via indiretta il P.d.R., non oggetto di indagine penale, rappresenta una raccolta illegale di informazioni che deve essere immediatamente distrutta. Il testo delle intercettazioni non potrebbe mai essere introdotto in giudizio come mezzo di ricerca della prova, attesa limpossibilit giuridica che se ne valuti da terzi leventuale rilevanza processuale. Invero il semplice deposito del testo, ai sensi della procedura di cui agli artt. 268 e 269 c.p.p., sia pure per la distruzione, violerebbe il principio costituzionale della libert di determinazione e azione del P.d.R. e delle comunicazioni, anche telefoniche, del Capo dello Stato che, proprio per il libero esercizio delle attivit presidenziali debbono essere riservate. Si confida nellaccoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso e confermate nella memoria. Michele Giuseppe Dipace Avvocato Generale dello Stato SENTENZA N. 1 ANNO 2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dellattivit di intercettazione telefonica svolta nellambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, effettuata su utenza di altra persona, nel corso della quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica, promosso dal Presidente della Repubblica, con ricorso notificato il 24 settembre 2012, depositato in cancelleria il 26 settembre 2012 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di merito. Visto latto di costituzione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo; uditi nelludienza pubblica del 4 dicembre 2012 i Giudici relatori Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo; TEMI ISTITUZIONALI 35 uditi gli avvocati dello Stato Michele Giuseppe Dipace, Gabriella Palmieri e Antonio Palatiello per il Presidente della Repubblica e gli avvocati Giovanni Serges, Mario Serio e Alessandro Pace per il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo. Ritenuto in fatto 1. Con ricorso depositato il 30 luglio 2012, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione in particolare, lart. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dallarticolo 90 della Costituzione), anche con riferimento allart. 271 del codice di procedura penale nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, in relazione allattivit di intercettazione telefonica, svolta riguardo alle utenze di persona diversa nellambito di un procedimento penale pendente a Palermo, nel corso della quale sono state captate conversazioni intrattenute dallo stesso Presidente della Repubblica. 1.1. Il ricorrente riferisce che, con nota del 27 giugno 2012, lAvvocato generale dello Stato, su mandato del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, aveva chiesto al dott. Francesco Messineo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, una conferma o una smentita di quanto risultava dalle dichiarazioni rese dal sostituto Procuratore Antonino Di Matteo nel corso di unintervista pubblicata dal quotidiano La Repubblica del 22 giugno 2012: che erano state intercettate, cio, conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, considerate allo stato irrilevanti, ma che la Procura si sarebbe riservata di utilizzare. Con nota del 6 luglio 2012, il Procuratore della Repubblica allegando la missiva del giorno precedente, con la quale il dott. Di Matteo aveva rappresentato che, in risposta ad una domanda assolutamente generica dellintervistatore sulla sorte delle intercettazioni effettuate, egli si era limitato allovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti delle attivit di intercettazione telefonica aveva comunicato che la Procura di Palermo, avendo gi valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne prevede[va] alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con losservanza delle formalit di legge. Con successiva nota, diffusa il 9 luglio 2012, e con lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica l11 luglio 2012, il dott. Messineo aveva ulteriormente affermato che nellordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza limmediata cessazione dellascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione . Si aggiungeva dal Procuratore che, in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ci quanto prevedono le pi elementari norme dellordinamento []. 1.2. Ad avviso del ricorrente, la tesi del Procuratore della Repubblica non sarebbe condivisibile, in quanto, alla luce dellart. 90 Cost. e dellart. 7 della legge n. 219 del 1989 salvi i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione e con lapplicazione del regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento daccusa le intercettazioni delle conversazioni 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorch indirette od occasionali, dovrebbero ritenersi assolutamente vietate. Di conseguenza, esse non potrebbero essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte, dovendo il pubblico ministero chiederne al giudice limmediata distruzione. Lart. 90 Cost. stabilisce, infatti, che il Presidente della Repubblica non responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, aggiungendo che in tali casi messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei propri membri. Limmunit in tal modo accordata al Presidente non consisterebbe solo in una irresponsabilit giuridica per le conseguenze penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti nellesercizio delle sue funzioni, ma anche in una irresponsabilit politica, diretta a garantire la piena libert e la sicurezza di tutte le modalit di esercizio delle attribuzioni presidenziali. Lungi dal costituire un inammissibile privilegio, legato ad esperienze ormai definitivamente superate e tale da incrinare il principio delleguaglianza dei cittadini davanti alla legge, limmunit in questione risulterebbe strumentale allespletamento degli altissimi compiti che la Costituzione demanda al Presidente della Repubblica, nella sua veste di Capo dello Stato e di rappresentante dellunit nazionale, intesi ad assicurare in modo imparziale, insieme agli altri organi di garanzia, il corretto funzionamento del sistema istituzionale e la tutela degli interessi permanenti della Nazione. La previsione dellart. 90 Cost. rappresenterebbe, in questa prospettiva, anche un limite alle attribuzioni degli altri poteri dello Stato, le quali, ove non correttamente esercitate, menomerebbero le prerogative presidenziali. Sarebbe, in pari tempo, del tutto evidente come, nello svolgimento dei predetti compiti, debba essere garantito al Presidente della Repubblica il massimo di libert di azione e di riservatezza , anche perch alcune delle attivit che egli pone in essere nel perseguimento delle finalit istituzionali e di non poco significato non hanno un carattere formalizzato. La conseguente impossibilit che vengano posti limiti alla libert di comunicazione del Capo dello Stato, anche da parte di altra autorit, risulterebbe confermata dallinterpretazione sistematica delle norme di legge ordinaria che, in attuazione dei principi costituzionali, disciplinano la posizione del Presidente. Lart. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 disposizione che, in quanto contenuta in una fonte legislativa dichiaratamente volta ad attuare lart. 90 Cost., assumerebbe un ruolo integrativo della norma costituzionale vieta infatti, in modo assoluto, di disporre lintercettazione di conversazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica. Il divieto sancito con riferimento ai reati per i quali, in base allart. 90 Cost., il Presidente pu essere messo in stato di accusa (alto tradimento e attentato alla Costituzione). Ma se, in questi casi, vi un divieto assoluto di intercettazione diretta fin quando il Presidente in carica, sarebbe naturale che sussista un divieto, altrettanto assoluto, di intercettare e, se del caso, di utilizzare le comunicazioni presidenziali anche qualora captate in modo indiretto o casuale, trattandosi di attivit egualmente idonea a ledere la sua sfera di immunit. Sarebbe poi altrettanto evidente che il divieto assoluto di ricorso al controllo delle comunicazioni telefoniche, enunciato in rapporto ai reati presidenziali, debba estendersi, nel silenzio della legge, ad altre fattispecie di reato che possano a diverso titolo coinvolgere il Presidente. A maggior ragione dovrebbe ritenersi inammissibile lutilizzazione di sue conversazioni intercettate occasionalmente nel corso di indagini concernenti reati addebitabili a terzi, come avvenuto nel caso in esame. TEMI ISTITUZIONALI 37 1.3. In conclusione, il divieto di intercettazione riguarderebbe anche le cosiddette intercettazioni indirette o casuali effettuate mentre il Presidente della Repubblica in carica: con limmediata conseguenza che i risultati delle captazioni eventualmente intervenute non potrebbero essere comunque utilizzati, dovendo la relativa documentazione essere immediatamente distrutta in applicazione dellart. 271 cod. proc. pen. Varrebbero infatti a fortiori, per il Capo dello Stato, le tutele stabilite per lintercettazione delle comunicazioni del difensore (art. 103 cod. proc. pen.): segnatamente, il divieto assoluto di utilizzazione, essendosi di fronte ad un atto eseguito fuori dei casi consentiti della legge. Con riguardo allillegittima captazione di conversazioni del Presidente non sarebbero applicabili, dunque, n la procedura prevista dallart. 268, commi 4 e seguenti, cod. proc. pen. (deposito della documentazione nella segreteria del pubblico ministero; facolt di esame della stessa da parte dei difensori; acquisizione, ad opera del giudice per le indagini preliminari, delle conversazioni indicate dalle parti che appaiano non manifestamente irrilevanti; stralcio delle conversazioni di cui vietata lutilizzazione; inserimento nel fascicolo della documentazione acquisita e possibilit per le parti di estrarre copia delle registrazioni), n le disposizioni dellart. 269 cod. proc. pen. (conservazione dei verbali e delle registrazioni fino alla sentenza non pi soggetta a impugnazione; udienza camerale per la distruzione, a tutela delle riservatezza degli interessati e su loro richiesta, delle registrazioni e dei verbali la cui conservazione non risulti necessaria ai fini del procedimento), n, ancora, la previsione dellart. 270 cod. proc. pen. (utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, secondo le prescrizioni del citato art. 268). Egualmente inapplicabile sarebbe lart. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per lattuazione dellarticolo 68 della Costituzione nonch in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che disciplina le intercettazioni indirette o casuali di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento. Alla luce della normativa costituzionale e ordinaria richiamata in precedenza, la posizione del Presidente della Repubblica non sarebbe assimilabile a quella del parlamentare: solo il secondo, infatti, pu essere sottoposto ad intercettazione da parte del giudice ordinario, previa autorizzazione della Camera di appartenenza; correlativamente, al solo parlamentare si riferisce lart. 6 della legge n. 140 del 2003, quando richiede unautorizzazione successiva per lutilizzazione delle intercettazioni casuali. Con riguardo alle intercettazioni occasionalmente effettuate nel corso di indagini svolte nei confronti di altri soggetti, la tutela del parlamentare risponderebbe, daltra parte, ad una ratio diversa da quella della tutela del Presidente della Repubblica. Rispetto a questultimo, detta ratio risiederebbe nella protezione della funzione; per il parlamentare, invece, nella sola salvaguardia della sua riservatezza, che come rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2007 sarebbe ingiustificato differenziare da quella di qualunque altro cittadino, non essendo in tal caso configurabile un pregiudizio per la funzionalit della Camera di appartenenza, unico presupposto dellautorizzazione prevista dallart. 68 Cost. Rispetto allintercettazione di conversazioni del Presidente della Repubblica, in definitiva, non avrebbe senso porsi il problema di una loro eventuale utilizzazione nel procedimento in corso o in altri procedimenti, a carico o in difesa di diversi soggetti, poich ci vanificherebbe comunque la garanzia funzionale riconosciuta negli articoli da 87 a 90 della Costituzione; n assumerebbe rilievo la distinzione tra intercettazioni dirette, indirette o casuali, trattandosi di concetti che trovano il loro fondamento nella citata legge n. 140 del 2003 insuscettibile di applicazione analogica al Capo dello Stato e che presuppongono, altres, lesistenza di un organo competente al rilascio di una autorizzazione preventiva o successiva. 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 1.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, si dovrebbe conclusivamente ritenere che la Procura della Repubblica di Palermo abbia fatto un uso non corretto dei propri poteri, menomando, con ci, le prerogative del ricorrente. Queste ultime risulterebbero lese, in specie, dallavvenuta registrazione delle intercettazioni nelle quali era casualmente e indirettamente coinvolto il Presidente della Repubblica; dalla permanenza della relativa documentazione tra gli atti del procedimento; dal fatto che ne sia stata valutata la rilevanza ai fini di una eventuale utilizzazione investigativa o processuale, e soprattutto dal manifestato intento della Procura di attivare unudienza secondo le modalit indicate dallart. 268 cod. proc. pen., per ottenerne lacquisizione o la distruzione: procedura che anche in ragione dellinstaurazione di un contraddittorio sul punto aggraverebbe gli effetti lesivi delle precedenti condotte, rendendoli definitivi. Il ricorrente, pertanto, chiede alla Corte di dichiarare che non spetta alla Procura di Palermo omettere limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica, delle quali si discute, n valutarne la (ir)rilevanza, offrendole alla udienza stralcio disciplinata dallart. 268 cod. proc. pen. 2. Il conflitto stato dichiarato ammissibile dalla Corte con ordinanza n. 218 del 2012, impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione, anche in relazione alla stessa ammissibilit del ricorso. Con ordinanza istruttoria del 19 settembre 2012, la stessa Corte ritenendo gi da quel momento necessaria la cognizione dei relativi elementi ha disposto che la Procura di Palermo, entro il termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento, indicasse il numero e la data delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche del Presidente della Repubblica effettuate nellambito del procedimento in questione, e che trasmettesse, altres, copia integrale ed autentica delle richieste e dei provvedimenti di autorizzazione, compresi gli eventuali decreti di proroga, delle intercettazioni eseguite nellambito del citato procedimento, dei relativi verbali e delle eventuali relazioni di polizia giudiziaria, con esclusione delle parti relative al contenuto delle conversazioni cui avesse partecipato il Capo dello Stato. Adempimenti, questi, che sono stati tempestivamente effettuati. Con decreto in pari data, il Presidente della Corte ha, inoltre, disposto che tutti i termini del procedimento fossero ridotti alla met. 3. Si costituita nel giudizio la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, nella persona del Procuratore della Repubblica, dott. Francesco Messineo, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato nel merito. 3.1. In via preliminare, la resistente descrive in modo analitico il contesto fattuale entro il quale si collocano le intercettazioni dei colloqui telefonici del Presidente della Repubblica che hanno dato luogo al ricorso. Riferisce, in particolare, come dette intercettazioni siano state effettuate su utenze telefoniche in uso al senatore non pi in carica Nicola Mancino, nellambito del procedimento penale n. 11609/08, scaturito dalla riapertura delle indagini relativamente ad un altro procedimento (n. 18101/00), avente ad oggetto la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia negli anni a cavallo tra il 1992 e 1994, in rapporto alla quale era stato ipotizzato il delitto di cui allart. 338 del codice penale, aggravato ai sensi dellart. 339 del medesimo codice e dellart. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalit organizzata e di trasparenza e buon andamento dellattivit amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203. Le operazioni di intercettazione, regolarmente autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari tanto nei confronti del sen. Mancino che di altre persone, avevano avuto inizio TEMI ISTITUZIONALI 39 nei primi giorni del novembre 2011. Per quanto in particolare attiene alle diverse utenze telefoniche in uso al predetto sen. Mancino, sottoposte a intercettazione in forza di due distinti decreti autorizzativi (uno solo dei quali seguito da ripetute proroghe), il controllo si era protratto dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012, consentendo la captazione di 9.295 conversazioni. Tra esse, solo quattro della durata complessiva di diciotto minuti erano costituite da colloqui con il Presidente della Repubblica. Tali colloqui si erano svolti nei giorni 24 dicembre 2011, 31 dicembre 2011, 13 gennaio 2012 e 6 febbraio 2012. Nei primi due casi, si era trattato di telefonate in uscita (effettuate, cio, dalla persona sottoposta alle indagini); nei casi successivi, di telefonate in entrata, cio promananti dal Capo dello Stato (anche se la conversazione del 13 gennaio 2012 era stata preceduta da un contatto tra lutenza sottoposta a controllo e il centralino del Quirinale, nel corso del quale il sen. Mancino aveva chiesto di parlare con il Presidente della Repubblica). Con riguardo al decreto di autorizzazione sulla cui base erano stati captati i primi due colloqui telefonici del Capo dello Stato, la Procura palermitana, ritenendo che non fossero emersi elementi investigativi utili, non aveva chiesto la proroga delle operazioni di intercettazione, le quali erano cessate, quindi, il 26 gennaio 2012. Era stata, invece, prorogata sino al maggio 2012 lefficacia del secondo decreto, sicch aveva potuto essere intercettata anche, in data 20 aprile, una chiamata proveniente dal centralino del Quirinale e diretta al sen. Mancino, il quale, per, non era stato reperito. Su disposizione della Procura, cui la polizia giudiziaria aveva prontamente riferito in forma orale, il verbale delle intercettazioni dei colloqui telefonici ai quali aveva preso parte il Capo dello Stato era stato redatto senza alcuna trascrizione, neppure in forma sintetica, del contenuto delle conversazioni. Allesito delle attivit investigative, la Procura aveva deciso di esercitare lazione penale solo nei confronti di alcuni degli indagati e per alcune delle incolpazioni, e di proseguire invece le indagini, con riserva di ulteriori valutazioni, riguardo agli altri indagati e alle residue ipotesi di reato. Il 1 giugno 2012 era stata, quindi, disposta la separazione del procedimento relativo ai soggetti per i quali era maturato il proposito di esercitare lazione penale, tra cui il sen. Mancino. Nellambito di tale procedimento, che aveva preso il n. 11719/12, dopo la notificazione agli interessati dellavviso di conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dellart. 415-bis cod. proc. pen., era stata formulata richiesta di rinvio a giudizio, cui era seguito il decreto giudiziale di fissazione delludienza preliminare, convocata per il 29 ottobre 2012. Nel fascicolo relativo al procedimento separato, la Procura aveva, peraltro, inserito le sole intercettazioni ritenute utili per il processo, tra le quali non figuravano quelle concernenti i colloqui tra il sen. Mancino e il Capo dello Stato. La documentazione relativa a tali colloqui tuttora custodita nel fascicolo relativo al procedimento n. 11609/08 non aveva, pertanto, mai formato oggetto di deposito idoneo a renderla conoscibile alle parti processuali. 3.2. Ci premesso e dopo aver rimarcato come, nel sollevare lodierno conflitto, il Presidente della Repubblica si sia comportato in modo diverso rispetto a quanto era avvenuto in occasione di due precedenti intercettazioni indirette di sue comunicazioni, operate nel 2009 e nel 2010 nel corso di altrettante indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze la resistente eccepisce linammissibilit del ricorso sotto un duplice profilo. In primo luogo, il ricorso avrebbe un oggetto giuridicamente impossibile. Il ricorrente, infatti, avrebbe chiesto alla Corte di ordinare alla Procura di Palermo un facere cio limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 che esulerebbe dai poteri processuali della resistente. Tanto nellipotesi prevista dallart. 271, comma 3, che in quella regolata dagli artt. 268, comma 6, e 269, comma 2, cod. proc. pen., la distruzione della documentazione delle intercettazioni non potrebbe essere comunque disposta dal pubblico ministero, ma esclusivamente dal giudice, a garanzia degli eventuali interessi di segno contrario. In secondo luogo, il petitum risulterebbe contraddittorio rispetto alle ragioni addotte in suo sostegno. Pur invocando un provvedimento che esclude ogni vaglio giurisdizionale, infatti, la stessa Avvocatura dello Stato avrebbe prospettato, nella motivazione del ricorso, il dovere della Procura di chiedere al giudice la distruzione della documentazione, conformemente a quanto prevede il citato art. 271 del codice di rito penale. 3.3. Nel merito, il ricorso sarebbe comunque infondato. Al riguardo, la resistente rimarca come il carattere del tutto casuale, e non gi mirato, della captazione dei colloqui presidenziali sia stato riconosciuto dalla stessa Presidenza della Repubblica, e risulti comunque eloquentemente dimostrato dalla enorme sproporzione tra il numero complessivo delle telefonate intercettate sulle utenze in uso allindagato e quello delle conversazioni appena quattro cui ha preso parte il Capo dello Stato. Ci posto, nessuno dei comportamenti censurati dal ricorrente potrebbe essere ritenuto realmente produttivo di una menomazione delle prerogative presidenziali. Quanto allavvenuta registrazione delle telefonate, si tratterebbe di operazione radicalmente priva di ogni idoneit lesiva in ragione delle sue stesse modalit tecniche. La registrazione, infatti, ha luogo in modo automatico, tramite apparecchiature informatiche, non controllate n influenzabili, almeno nellimmediato, da alcun operatore: e ci anche quando la polizia giudiziaria sia posta in grado di ascoltare simultaneamente nei propri uffici le conversazioni intercettate, non avendo il cosiddetto ascoltatore da remoto a garanzia della genuinit della registrazione alcuna possibilit di intervenire per interrompere le operazioni. Riguardo, poi, alla lamentata allegazione del testo delle telefonate agli atti del procedimento, essa non sarebbe mai avvenuta. Proprio perch ritenute processualmente irrilevanti, infatti, le intercettazioni delle comunicazioni presidenziali non sono state allegate al fascicolo relativo al procedimento n. 11719/12, attualmente pendente davanti al Giudice delludienza preliminare del Tribunale di Palermo. In ogni caso, lallegazione agli atti costituirebbe una circostanza in s neutra: ogni atto di indagine si colloca, infatti, allinterno di un determinato procedimento, onde la relativa documentazione necessariamente unita al corrispondente fascicolo. Per quel che attiene, ancora, alla censurata valutazione in ordine alla rilevanza delle intercettazioni, nella lettera inviata dal Procuratore della Repubblica di Palermo allAvvocatura generale dello Stato il 6 luglio 2012 si legge che la Procura ha valutato come irrilevante qualsivoglia comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato. Da tale affermazione si desumerebbe che la valutazione ha avuto ad oggetto le sole espressioni verbali della persona sottoposta ad indagini nel suo colloquio con il Presidente, e non le risposte fornite dellinterlocutore. Peraltro, anche a voler prescindere da tale rilievo, resterebbe dirimente la considerazione che un divieto assoluto di valutazione delle espressioni verbali del Presidente, occasionalmente captate nel contesto di una intercettazione legittima, sarebbe ipotizzabile solo a fronte di una prerogativa presidenziale intesa come immunit totale dalla giurisdizione. Per converso, in presenza di un quadro costituzionale che prevede lirresponsabilit del Capo dello Stato per gli atti funzionali, ma non lo esenta dalla giurisdizione per gli atti estranei alla funzione, e che certamente non copre le responsabilit del suo interlocutore, lattivit di valutazione risulterebbe non solo legittima, ma doverosa e ineliminabile. TEMI ISTITUZIONALI 41 Quanto, infine, allipotizzato ricorso alla procedura prevista allart. 268, commi 6 e seguenti, cod. proc. pen., sarebbe questa, in realt, lunica modalit legittima per pervenire alla distruzione del materiale. Alla fattispecie in esame, infatti, non sarebbe applicabile lart. 271 cod. proc. pen., non ricorrendo alcuna delle ipotesi di inutilizzabilit disciplinate da tale disposizione. Non verrebbe in rilievo, in particolare, la previsione del comma 1, relativa alle intercettazioni eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge, la quale alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimit presupporrebbe, in ossequio al principio di tassativit delle invalidit processuali, lavvenuta violazione di un divieto normativo espresso, nella specie non rinvenibile. Il divieto di intercettare le comunicazioni del Presidente della Repubblica sancito dallart. 7 della legge n. 219 del 1989 atterrebbe, infatti, alle sole intercettazioni dirette . Sulla base delle sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010, la preclusione potrebbe venire estesa, al pi, alle intercettazioni indirette non accidentali ossia alle intercettazioni che, sebbene disposte su utenze di altri soggetti, mirino in concreto ad accedere nella sfera delle comunicazioni del Capo dello Stato ma non pure alle intercettazioni casuali. Un divieto di intercettare anche casualmente le conversazioni presidenziali, del resto, sarebbe inconcepibile sul piano logico, dato che qualsiasi proibizione legale presuppone necessariamente che laccadimento che si intende scongiurare sia prevedibile e prevenibile: tratti, questi, incompatibili con un evento qualificato come casuale. La fattispecie in discussione non sarebbe riconducibile neppure alla previsione del comma 2 dellart. 271 cod. proc. pen., inerente alle intercettazioni di comunicazioni coperte dal segreto professionale. Laccostamento prospettato dal ricorrente tra le intercettazioni casuali di conversazioni presidenziali e le intercettazioni delle comunicazioni del difensore sarebbe, infatti, chiaramente improprio, non essendovi alcuna analogia tra le due ipotesi. Anche nel caso della distruzione delle intercettazioni inutilizzabili, disciplinato dallart. 271, comma 3, cod. proc. pen., non sarebbe daltronde possibile prescindere oltre che dallintervento del giudice dalle garanzie del contraddittorio. Varrebbe, a tale riguardo, il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 463 del 1994 in rapporto alla procedura di distruzione delle intercettazioni a tutela della riservatezza, regolata dallart. 269, comma 2, cod. proc. pen.: e, cio, che il giudice, prima di decidere, deve sentire in camera di consiglio le parti interessate in ordine alleventuale rilevanza in futuro delle registrazioni, quale possibile prova di non colpevolezza. Identica sarebbe, infatti, lesigenza che ricorre nelle due situazioni, di non impedire allinnocente di portare in giudizio la prova che lo scagiona, ancorch irritualmente acquisita, essendo la sanzione dellinutilizzabilit destinata a colpire esclusivamente gli effetti contra reum dellatto di cui si discute. La distruzione, nel caso regolato dallart. 271, non potrebbe essere inoltre immediata, in quanto secondo la giurisprudenza di legittimit richiederebbe, a differenza di quella disposta ai sensi dellart. 269, commi 2 e 3, cod. proc. pen., una statuizione di inutilizzabilit processualmente insuscettibile di modifiche, che faccia escludere la possibilit di utilizzazione futura nellambito del processo a carico di altri imputati a seguito di diverse e autonome valutazioni del giudice competente. 3.4. Su un piano pi generale, la Procura contesta la validit della tesi del ricorrente in ordine allampiezza delle prerogative presidenziali, stando alla quale lart. 90 Cost. prevedendo lirresponsabilit del Presidente per gli atti funzionali configurerebbe, in sostanza, un regime globale di immunit rispetto allapplicazione della legge penale, sostanziale e processuale, cui farebbe da corollario una generale esigenza di salvaguardia della riservatezza delle comunicazioni. 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Tale ricostruzione assimilando, in pratica, lirresponsabilit del Presidente della Repubblica alla inviolabilit del sovrano nei regimi monarchici si scontrerebbe con il rilievo che, nello Stato democratico-costituzionale, le immunit non costituiscono privilegi, accordati intuitu personae, ma valgono come garanzia della funzione esercitata nei confronti di condizionamenti esterni promananti da singoli magistrati. Ci impedirebbe di ritenere che lirresponsabilit del Presidente si estenda ai reati extrafunzionali: ipotesi, questa, contraddetta oltre che dal dato letterale da precisi argomenti di ordine storico e sistematico (ricavabili rispettivamente dai lavori dellAssemblea costituente e dalla disciplina recata dalla legge n. 219 del 1989), e specificamente disattesa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 154 del 2004. Le vicende relative alla legge n. 140 del 2003 e alla legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), le quali prevedevano espressamente la sospensione dei processi per i reati extrafunzionali del Presidente della Repubblica leggi entrambe colpite da dichiarazioni di illegittimit costituzionale, rispettivamente con le sentenze n. 24 del 2004 e n. 262 del 2009 avrebbero daltronde dimostrato, in modo inequivoco, come tanto in sede parlamentare, quanto da parte dello stesso Presidente della Repubblica, si desse per scontato che limprocedibilit per i suddetti reati non fosse desumibile dallart. 90 Cost. Il regime delle immunit costituzionali resterebbe, in ogni caso, strettamente connesso alla pertinente disciplina positiva, senza che larea dellirresponsabilit possa essere dilatata facendo leva sulla considerazione complessiva della posizione di un determinato organo nel sistema costituzionale. Nella specie, la circostanza che il Presidente della Repubblica sia il rappresentante dellunit nazionale non potrebbe essere, dunque, fonte di ulteriori poteri, quale quello di esigere la distruzione delle intercettazioni di tutte le sue telefonate, anche se intrattenute con persone sottoposte a indagine penale. Sotto altro profilo, sarebbe pacifico che, nellordinamento costituzionale italiano, ai fini della tutela della libert e della segretezza delle comunicazioni, risulti assolutamente irrilevante il relativo contenuto, quale che ne sia il mittente o il destinatario. Di conseguenza sarebbe altrettanto irrilevante, per le intercettazioni telefoniche, la distinzione tra atti funzionali e non. Ma dallassunto non discenderebbe, come vorrebbe il ricorrente, che tutte le conversazioni alle quali prenda parte il Presidente della Repubblica, costituendo atti di funzione, godano dellimmunit, e cio che il Presidente parli sempre e soltanto, anche nelle comunicazioni riservate, come Capo dello Stato. Al contrario, lintercettazione occasionale dunque del tutto involontaria e non evitabile non integrerebbe, in ragione di tali caratteristiche, alcuna lesione delle prerogative presidenziali, quale che sia il contenuto del colloquio. 3.5. La resistente rimarca, infine, come lipotetico accoglimento del ricorso determinerebbe conseguenze di particolare gravit, inconciliabili con le affermazioni delle gi citate sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010. In particolare, una simile decisione renderebbe illecito ex se anche lascolto occasionale di una conversazione presidenziale nel contesto di unintercettazione debitamente autorizzata; impedirebbe al magistrato penale di prendere cognizione del contenuto della comunicazione, anche al solo fine di apprezzare la responsabilit di un altro soggetto, non protetto da alcuna immunit; imporrebbe, infine, limmediata distruzione delle intercettazioni, in violazione del diritto di difesa del terzo che avesse un interesse contrario alla distruzione. In una simile situazione, i magistrati sarebbero inevitabilmente indotti ad astenersi dal disporre intercettazioni a carico di tutti coloro che, ancorch sottoposti ad indagine penale, potrebbero avere titolo per comunicare direttamente con il Presidente della Repubblica, in ragione di attuali o pregressi rapporti: ci, peraltro, in aperto con- TEMI ISTITUZIONALI 43 trasto con il principio di obbligatoriet dellazione penale (art. 112 Cost.). 4. In prossimit delludienza pubblica, lAvvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, con la quale, anzitutto, ha contestato la fondatezza delle eccezioni di inammissibilit del ricorso formulate dalla Procura palermitana. 4.1. Quanto alleccezione di inammissibilit per impossibilit giuridica del petitum, lAvvocatura rileva come, nellatto introduttivo del giudizio, non sia stato affatto ipotizzato che il pubblico ministero debba procedere alla distruzione delle intercettazioni in via diretta, senza passare attraverso il vaglio giurisdizionale. Il ricorso richiama, infatti, il decreto del Capo dello Stato del 16 luglio 2012, recante la determinazione di proporre il conflitto decreto allegato al ricorso stesso e destinato, dunque, a fa[re] corpo con esso nel quale si lamenta che il pubblico ministero non abbia immediatamente richiesto al giudice la distruzione del materiale. Nella motivazione del ricorso, inoltre, la disposizione applicabile alla fattispecie individuata nellart. 271 cod. proc. pen., che al comma 3 demanda al giudice, appunto, il compito di disporre la distruzione delle intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge. Di conseguenza, la formula sintetica utilizzata nelle conclusioni la richiesta, cio, di dichiarare che non spetta alla Procura di Palermo omettere limmediata distruzione del materiale andrebbe necessariamente intesa nel senso che non spetta alla Procura palermitana omettere quanto in suo potere per ottenere immediatamente dal giudice un provvedimento di distruzione. Insussistente risulterebbe, di conseguenza, anche lulteriore motivo di inammissibilit, legato allasserita contraddittoriet del petitum rispetto alle ragioni che lo sostengono, dovendo il petitum essere interpretato proprio alla luce di tali ragioni. 4.2. Nel merito, lAvvocatura dello Stato ribadisce come il divieto di disporre e utilizzare intercettazioni di comunicazioni del Presidente della Repubblica, ancorch indirette o casuali, discenda dal disposto dellart. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 e risulti coerente con la garanzia di assoluta riservatezza di tutte le attivit del Capo dello Stato, anche propedeutiche e preparatorie allo svolgimento dei suoi compiti, insita nel ruolo che la Costituzione gli assegna. La medesima convinzione fu espressa del resto, gi nel 1997, dal Ministro di grazia e giustizia in carica, nel rispondere a numerose interpellanze parlamentari relative al solo precedente sostanzialmente analogo al caso in esame, concernente lintercettazione indiretta di un colloquio telefonico dellallora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Nelloccasione, infatti, il Ministro aveva ipotizzato la sussistenza di un divieto di trascrizione e deposito della registrazione del colloquio, rilevando come la tutela della riservatezza dellinterlocutore occasionale, nel caso in cui si tratti del Capo dello Stato, risulti rafforzata, in ragione del fatto che la libert di comunicazione e di corrispondenza costituisce un connotato essenziale dellesercizio delle funzioni presidenziali. Il Ministro aveva sostenuto, inoltre, che linviolabilit delle comunicazioni del Presidente fosse desumibile, per lappunto, dallart. 7 della legge n. 219 del 1989, giacch, se previsto che per i reati di attentato alla Costituzione ed alto tradimento lintercettazione possa essere disposta solo dopo la sospensione dalla carica, a maggior ragione deve prefigurarsi una tutela piena in rapporto ad ipotesi di reati comuni e, a fortiori, rispetto a qualsiasi fatto penalmente irrilevante. 4.3. Limpossibilit, ampiamente sottolineata in dottrina, di delineare in termini rigidi i compiti del Presidente della Repubblica e di distinguere tra le diverse modalit di esercizio delle sue funzioni si traducano esse in atti tipici o in attivit meramente propedeutiche e preparatorie confermerebbe, daltro canto, che lesigenza di salvaguardare la libert e la segretezza delle comunicazioni del Capo dello Stato sussiste anche in confronto alle intercet- 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 tazioni indirette o casuali: e ci tanto pi qualora, come nella fattispecie in esame, dette comunicazioni si siano tradotte in un contatto assolutamente lecito. Il Presidente della Repubblica investito, in effetti, di funzioni che necessitano di una particolare riservatezza nelliter della loro preparazione: basti pensare alle attivit inerenti ai rapporti diplomatici (art. 87, ottavo comma, Cost.), ovvero al comando delle forze armate (art. 87, nono comma, Cost.), ovvero ancora a tutte quelle funzioni che, se pure non tassativamente individuabili, gli derivano dalla presidenza del Consiglio superiore della magistratura (art. 104, secondo comma, Cost.) o dalla rappresentanza dellunit nazionale (art. 87, primo comma, Cost.). Con la conseguenza che, se si permettesse di divulgare il contenuto delle attivit preparatorie, si metterebbero a rischio gli interessi rilevantissimi alla cui salvaguardia tali funzioni sono preordinate. Al riguardo, occorrerebbe anche considerare che quella del Presidente della Repubblica una carica monocratica, la cui attivit ufficiale pu quindi essere pi facilmente incisa attraverso iniziative giudiziarie che riguardino la persona fisica del titolare e le sue attivit. Nella specie, non verrebbe neppure in rilievo la distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali: ci a prescindere dal fatto che le conversazioni telefoniche oggetto del conflitto rientrerebbero comunque tra gli atti funzionali, tenuto conto della qualit dei soggetti tra i quali sono intercorse e della sede nella quale sono state poste in essere (trattandosi di conversazioni tutte effettuate tramite il centralino del Quirinale). 4.4. I risultati delle intercettazioni in questione sarebbero, di conseguenza, assolutamente inutilizzabili ai sensi del comma 1 dellart. 271 cod. proc. pen., trattandosi di captazioni eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge. Infatti, il codice di procedura penale considera legittime le intercettazioni non gi quando manchi un divieto di eseguirle, ma solo quando vi sia una norma che espressamente le consenta. Una simile previsione non potrebbe essere certamente rinvenuta, quanto al Presidente della Repubblica, nellart. 7 della legge n. 219 del 1989. Detta disposizione, anzi, dopo aver regolato lipotesi dellintercettazione diretta, stabilisce che in ogni caso il Comitato parlamentare per i giudizi di accusa pu autorizzare le intercettazioni solo dopo che il Presidente sia stato sospeso dalla carica. Da ci si dedurrebbe che, mentre la parte assertiva della prescrizione espressamente dedicata alle sole intercettazioni dirette (consentendone, in determinati casi, lo svolgimento e lutilizzazione), diversamente i limiti introdotti dalla stessa norma sono applicabili in ogni caso, quindi, anche nella diversa ipotesi di intercettazioni indirette. Significativa sarebbe, altres, la circostanza che lart. 205, comma 3, cod. proc. pen., nel prevedere che possa essere disposta la comparizione in giudizio dei testimoni che rivestono alte cariche dello Stato allorch essa appaia indispensabile per eseguire un confronto, sottragga a tale disposizione il Presidente della Repubblica. Sarebbe, dunque, del tutto anomalo consentire che la voce del Presidente, non sottoponibile al confronto con le modalit che la legge prescrive per la testimonianza dei testi, possa essere stata captata indirettamente o casualmente [] e successivamente utilizzata nel corso dellattivit investigativa. 4.5. Lassoluta inutilizzabilit delle intercettazioni qui considerate imporrebbe di procedere alla loro distruzione immediata, senza alcuna valutazione circa la loro eventuale rilevanza processuale. In senso contrario, non varrebbe far leva sulla involontariet e sulla inevitabilit iniziale delle intercettazioni telefoniche che, disposte nei confronti di un terzo, solo accidentalmente coinvolgano il Presidente della Repubblica. In assenza di una norma che espressamente consenta la captazione dei colloqui presidenziali, infatti, lattivit di intercet- TEMI ISTITUZIONALI 45 tazione avrebbe dovuto essere interrotta dalla Procura palermitana non appena accertata la qualit soggettiva dellinterlocutore. In ogni caso, se pure si ritenesse che la registrazione casuale dei colloqui non abbia determinato ex se una lesione delle prerogative presidenziali, tale lesione sarebbe senzaltro rinvenibile nella loro conservazione tra gli atti del procedimento e, soprattutto, nella pretesa di subordinarne la distruzione alla preventiva valutazione, in unudienza camerale aperta al contraddittorio tra le parti, della eventuale rilevanza ai fini del processo, secondo quanto previsto dallart. 268 cod. proc. pen.: procedura che avrebbe leffetto di rendere conoscibile e divulgabile il contenuto delle conversazioni stesse. A smentire il contrario assunto della Procura palermitana, basterebbe por mente allipotesi in cui tali conversazioni abbiano ad oggetto delicate questioni di sicurezza o di politica estera o di difesa nazionale, le quali ove fosse valida la tesi della controparte sarebbero esposte in modo del tutto casuale e, quindi, irrazionale al pubblico. Nessun argomento a conforto della tesi dellinapplicabilit dellart. 271 cod. proc. pen. alle intercettazioni indirette e casuali del Presidente della Repubblica potrebbe essere tratto, inoltre, dalla sentenza n. 390 del 2007 della Corte costituzionale, in tema di intercettazioni di conversazioni dei membri del Parlamento pure invocata dalla controparte trattandosi di pronuncia attinente allart. 6 della legge n. 140 del 2003: norma, questa, da ritenere inapplicabile al Capo dello Stato. 4.6. Non sarebbe condivisibile neppure lulteriore assunto della Procura di Palermo, stando al quale la garanzia del contraddittorio risulterebbe indefettibile anche nellambito della procedura regolata dallart. 271, comma 3, cod. proc. pen. La sentenza della Corte costituzionale n. 463 del 1994 richiamata a sostegno dellassunto attiene infatti, esclusivamente, allipotesi della distruzione delle intercettazioni a tutela della riservatezza, disposta in udienza camerale su istanza dei privati interessati ai sensi dellart. 269, comma 2, cod. proc. pen.: fattispecie ben diversa da quella, qui in rilievo, della distruzione di intercettazioni eseguite in violazione di un divieto di legge (e, segnatamente, di legge di attuazione costituzionale). N, al fine di omologare le due ipotesi, gioverebbe fare appello allesigenza di non disperdere una eventuale prova di non colpevolezza. La stessa Procura di Palermo ha ritenuto, infatti, che le intercettazioni oggetto del conflitto siano irrilevanti e che non costituiscano corpo di reato. Inoltre, la relativa documentazione non stata riversata nel fascicolo relativo al nuovo procedimento n. 11719/12 nellambito del quale stato chiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, del sen. Mancino ma stata lasciata nel fascicolo originario: circostanza, questa, che attesterebbe la totale irrilevanza dei colloqui anche ai fini della prova dellinnocenza degli imputati, secondo la valutazione effettuata dagli stessi magistrati della Procura. 4.7. Puntualizzando le conclusioni gi formulate nellatto introduttivo del giudizio, il ricorrente chiede, quindi, che la Corte costituzionale dichiari che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere di interrompere leffettuazione delle intercettazioni casuali del Presidente della Repubblica; e che, comunque, non spetta ad essa di omettere, una volta acquisite le predette intercettazioni, di richiederne al Giudice limmediata distruzione n [] valutarne la (ir)rilevanza offrendole alludienza stralcio di cui allart. 268 c.p.p.. 5. Anche la Procura della Repubblica di Palermo ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha preliminarmente eccepito linammissibilit del ricorso sotto due ulteriori profili. 5.1. In primo luogo, il conflitto sarebbe stato sollevato a fronte del mero intento, espresso nella nota del Procuratore della Repubblica del 6 luglio 2012, di procedere alla distruzione delle intercettazioni con losservanza delle formalit di legge. Liniziativa presi- 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 denziale mirerebbe, in particolare, a contrastare la preconizzata scelta del rito camerale previsto dallart. 268 cod. proc. pen. ritenuta insita nel riferimento alle formalit di legge in luogo di quella regolata dallart. 271 cod. proc. pen., unica in assunto idonea a salvaguardare le prerogative del ricorrente. In questo modo, il ricorso verrebbe a focalizzarsi su una questione inerente allinterpretazione e allapplicazione delle regole processuali, censurando, in sostanza, un presunto errore in procedendo nellesercizio della funzione giudiziaria: materia che alla luce della giurisprudenza costituzionale non potrebbe costituire oggetto di un conflitto di attribuzione. In secondo luogo, il conflitto sarebbe stato sollevato prematuramente, non essendo una mera manifestazione dintenti idonea a produrre alcuna lesione attuale e concreta di attribuzioni costituzionali. La menomazione denunciata potrebbe, in realt, configurarsi solo in presenza di un atto del giudice unico soggetto a ci legittimato che esprimesse in modo inequivoco la volont di non procedere alla distruzione delle intercettazioni: prospettiva nella quale, peraltro, il ricorso dovrebbe essere proposto nei confronti dellautorit giudiziaria giudicante, e non gi di quella requirente. 5.2. La resistente rimarca, per altro verso, come le attribuzioni costituzionali dei poteri dello Stato, rilevanti nellambito dei giudizi per conflitto, non siano configurate esclusivamente da norme costituzionali, ma anche da norme di rango inferiore che integrano i relativi parametri, fondando le competenze degli organi confliggenti. Di tale principio, del resto, avrebbe fatto applicazione anche il ricorrente, evocando a fondamento del ricorso, a fianco dellart. 90 Cost., lart. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989. Sul versante della resistente Procura della Repubblica, la fattispecie oggetto del giudizio resterebbe regolata dallart. 112 Cost.: non esisterebbe, per, una norma di rango ordinario che coniugandosi con quella dellart. 101, secondo comma, Cost. attribuisca al pubblico ministero il potere di disporre in via diretta la distruzione delle intercettazioni, ancorch inutilizzabili (norma che risulterebbe oltretutto lesiva del principio del contraddittorio). Profilo per il quale il ricorso sarebbe oltre che inammissibile per impossibilit giuridica del petitum, secondo quanto gi eccepito in sede di costituzione in giudizio anche infondato nel merito. 5.3. La correttezza delloperato della Procura troverebbe, daltra parte, una significativa conferma nelle risultanze del dibattito svoltosi in Senato il 7 marzo 1997, in relazione alle interpellanze concernenti lanalogo caso dellintercettazione occasionale di una conversazione telefonica del Presidente Scalfaro. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tale dibattito pur facendo emergere delle perplessit giuridiche, legate soprattutto allavvenuta pubblicazione dei contenuti della conversazione su un quotidiano non evidenzi affatto la convinzione che le norme vigenti fossero state violate dalla Procura della Repubblica che allora procedeva. Fatta eccezione per lex Presidente Cossiga (il quale sostenne che non fosse necessario lintervento del legislatore per evitare il ripetersi di fatti analoghi), tutti gli altri interpellanti non avrebbero, infatti, mosso alcun preciso appunto alla Procura. A sua volta, il Ministro di grazia e giustizia del tempo pur stigmatizzando laccaduto a livello di principi sottoline con forza lesigenza di un intervento normativo chiarificatore, escludendo che si fosse dato luogo, con il deposito degli atti secondo la procedura ordinaria, a macroscopiche violazioni di legge o ad interpretazioni abnormi da parte dei magistrati. Tale precedente confermerebbe che nessuna norma di legge e nessuna prassi costituzionale vietavano e vietano lintercettazione accidentale delle comunicazioni del Presidente della Repubblica, tanto che linteressato (on. Scalfaro) non sollev, nella circostanza, alcun conflitto (al pari, daltronde, dello stesso Presidente Napolitano, nelle due precedenti occasioni in cui TEMI ISTITUZIONALI 47 sono state captate accidentalmente sue comunicazioni telefoniche). 5.4. La difesa della resistente ribadisce poi che, per le ragioni gi addotte nella memoria di costituzione, lirresponsabilit del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, sancita dallart. 90 Cost., e la correlata impossibilit di ricorrere, in rapporto ad essi, agli ordinari strumenti investigativi, non possono essere in alcun modo estese agli atti extrafunzionali, neppure facendo leva sullargumentum a fortiori. Il carattere pacificamente eccezionale dellimmunit in parola ne imporrebbe, infatti, una interpretazione restrittiva, tale da escludere la praticabilit tanto dellanalogia iuris che dellanalogia legis: ci, a maggior ragione, considerando che la ratio sottesa al riconoscimento dellirresponsabilit per gli atti funzionali non sarebbe riscontrabile con riguardo ai comportamenti estranei allesercizio della funzione. Solo la prima, infatti, sarebbe necessaria per garantire il libero svolgimento dei compiti istituzionali, connettendosi strettamente alla irresponsabilit politica del Capo dello Stato, che dellimmunit giuridica rappresenterebbe allo stesso tempo il fondamento costitutivo ed il limite insuperabile. Non potrebbe quindi essere accolta, in questa prospettiva, la tesi dellAvvocatura dello Stato, secondo la quale il perseguimento delle finalit costituzionali caratterizz[erebbe] lattivit, sia formalizzata sia non formalizzata, del Presidente della Repubblica, ponendola cos indistintamente in quanto connotata in senso funzionale sotto il cono protettivo dellart. 90 Cost. Tale tesi, nella misura in cui risulti volta a suffragare lassunto che le conversazioni telefoniche del Capo dello Stato sarebbero sempre effettuate nellesercizio delle funzioni presidenziali, ai sensi e per gli effetti dellart. 90 Cost., risulterebbe, per giunta, inconferente ai fini del presente giudizio, non essendo mai stata ipotizzata dai magistrati di Palermo una eventuale responsabilit penale del Presidente. La distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali, daltra parte, verrebbe in rilievo solo quando ci si muova sul piano sostanziale della responsabilit da atto illecito; non anche quando si discuta delle garanzie del Capo dello Stato di fronte ad attivit investigative e, in particolare, ad intercettazioni telefoniche aventi come bersaglio un terzo soggetto, nelle quali egli si trovi accidentalmente coinvolto. Con riguardo a tale ipotesi, la disciplina costituzionale applicabile sarebbe determinata esclusivamente dalla direzione delle indagini. Nella specie, il mezzo investigativo stato disposto nei confronti di un comune cittadino (ancorch ex senatore ed ex ministro), con conseguente operativit della sola tutela della libert e segretezza delle comunicazioni offerta alla generalit dei consociati dallart. 15 Cost.: conclusione che non muterebbe per il solo fatto che linterlocutore dellindagato si identifichi nel Capo dello Stato, analogamente a quanto gi affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010, in riferimento alle intercettazioni casuali di conversazioni di membri del Parlamento. Tra limmunit presidenziale riguardo alle intercettazioni telefoniche prevista dallart. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 e quella riconosciuta ai parlamentari dallart. 68 Cost., daltronde, non vi sarebbe, sul piano degli obiettivi di tutela, la distinzione ipotizzata dallAvvocatura dello Stato. Anche la seconda sarebbe, infatti, destinata a proteggere il libero esercizio della funzione (nella specie, quella parlamentare) e non gi la mera privacy delle singole persone appartenenti allistituzione. Limpossibilit di assoggettare le intercettazioni occasionali al regime valevole per le intercettazioni dirette deriverebbe, inoltre, dalla differenza strutturale, e non gi meramente giuridica, tra le due ipotesi, imponendosi, di conseguenza, anche in rapporto al Capo dello Stato. Nel caso delle intercettazioni casuali, infatti, la captazione dei colloqui del soggetto 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 immune non consegue a una scelta volontaria degli organi inquirenti, con la conseguenza che in essa non gioca alcun ruolo lo status, pi o meno privilegiato, dellinterlocutore. 5.5. Un surplus di garanzia per la riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica, che implichi il divieto delle intercettazioni occasionali e linutilizzabilit assoluta dei risultati di quelle eseguite, non potrebbe essere desunto neppure dalla qualit delle funzioni assegnate dalla Costituzione al Capo dello Stato. Una volta, infatti, che la garanzia venga collegata allesercizio di funzioni costituzionali, non si comprenderebbe perch essa non debba caratterizzare anche lo status di altri organi, a cominciare dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai singoli ministri, i quali sarebbero dotati di poteri addirittura pi importanti, dal punto di vista operativo, di quelli del Capo dello Stato. Leventuale dilatazione dellimmunit avrebbe, peraltro, leffetto di amplificare enormemente le conseguenze pregiudizievoli per la giustizia penale gi evidenziate dalla resistente nellatto di costituzione in giudizio. 5.6. La Procura di Palermo, infine, ritiene di dover ribadire come la natura casuale delle intercettazioni dei colloqui presidenziali che hanno originato il conflitto peraltro riconosciuta dallo stesso ricorrente non possa essere oggettivamente messa in discussione. In aggiunta a quanto gi evidenziato nella memoria di costituzione in particolare, riguardo al numero infinitesimale delle telefonate intercorse tra lindagato e il Presidente rispetto al totale di quelle intercettate si mette in rilievo come la Procura si sia astenuta dal richiedere la proroga delle intercettazioni condotte riguardo ad alcune delle utenze in uso al sen. Mancino, sebbene gi due colloqui con il Capo dello Stato fossero stati intercettati. Non ricorrerebbe inoltre, nella specie, alcuno degli indici rivelatori che alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 390 del 2007, n. 113 e n. 114 del 2010, recepite anche dalla giurisprudenza ordinaria potrebbero evidenziare un carattere mirato del controllo. Le informazioni disponibili circa la natura dei rapporti tra il sen. Mancino e il Presidente della Repubblica non lasciavano presagire che i colloqui tra loro sarebbero stati frequenti come, in effetti, non sono stati essendo da tempo il sen. Mancino privo di qualsiasi carica pubblica. Nel contempo, mancava e manca qualunque elemento idoneo a suggerire il sospetto di un coinvolgimento del Presidente della Repubblica nei fatti oggetto di investigazione. 5.7. Ci posto, lassunto del ricorrente, in base al quale le intercettazioni in questione dovrebbero essere immediatamente distrutte in quanto assolutamente vietate, si scontrerebbe con la gi rimarcata impossibilit logica che un fatto fortuito derivato, cio, da una catena causale non dominabile dal destinatario del precetto costituisca oggetto di un divieto normativo. Lordinamento potrebbe disciplinare, semmai, le conseguenze di una intercettazione casuale, in particolare sancendone linutilizzabilit: ma, a tal fine, occorrerebbe una previsione espressa, nella specie inesistente. La resistente, dunque, avrebbe agito secondo diritto valutando la irrilevanza delle comunicazioni captate ed omettendone la distruzione, che spetterebbe esclusivamente al giudice disporre secondo quanto previsto dallart. 269, comma 2, cod. proc. pen. Dal che dovrebbe conclusivamente discendere il rigetto del ricorso, semprech non ne venga previamente riconosciuta linammissibilit. Considerato in diritto 1. Il Presidente della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle disposizioni di legge or- TEMI ISTITUZIONALI 49 dinaria che ne costituiscono attuazione segnatamente, lart. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dallarticolo 90 della Costituzione), anche con riferimento allart. 271 del codice di procedura penale nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, in relazione allattivit di intercettazione telefonica, svolta riguardo alle utenze di persona diversa nellambito di un procedimento penale pendente a Palermo, nel corso della quale sono state captate conversazioni intrattenute dallo stesso Presidente della Repubblica. 2. Giova preliminarmente riepilogare, nei suoi termini essenziali, la vicenda che ha dato origine al conflitto, quale emerge dalle deduzioni e dalle produzioni documentali delle parti. Le intercettazioni per le quali si controverte sono state effettuate su utenze telefoniche in uso al senatore non pi in carica Nicola Mancino, sottoposto ad indagini, assieme a numerose altre persone, nellambito del procedimento penale n. 11609/08, concernente la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia negli anni tra il 1992 e il 1994, in rapporto alla quale stato ipotizzato il reato di violenza o minaccia aggravata ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario. Nel periodo compreso tra il 7 novembre 2011 e il 9 maggio 2012, in particolare, sono state intercettate sulle utenze in uso al sen. Mancino, in forza di due distinti decreti di autorizzazione (e di successive proroghe per il secondo tra essi), 9.295 telefonate, quattro delle quali, della complessiva durata di diciotto minuti, hanno avuto come interlocutore il Capo dello Stato: le prime due effettuate ad iniziativa della persona sottoposta alle indagini, le altre su chiamata del Presidente. Alla luce delle risultanze investigative, la Procura di Palermo ha deciso di esercitare lazione penale solo nei confronti di alcuni degli indagati e per alcune delle incolpazioni, e di proseguire le indagini quanto agli altri indagati ed alle residue ipotesi di reato, con riserva di ulteriori valutazioni. Il 1 giugno 2012, di conseguenza, stata disposta la separazione del procedimento relativo ai soggetti per i quali si stabilito di esercitare lazione penale, tra i quali il sen. Mancino. Nel fascicolo relativo al procedimento separato che ha preso il n. 117919/02 e in relazione al quale stata formulata richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, con conseguente fissazione delludienza preliminare la Procura ha inserito le sole intercettazioni ritenute utili per linstaurando giudizio, non comprendendovi i colloqui cui ha preso parte il Capo dello Stato. Pertanto la documentazione concernente tali colloqui, rimasta nel fascicolo del procedimento originario n. 11609/08, non ha sinora formato oggetto di deposito, idoneo a renderla conoscibile alle parti processuali. Alla stregua di quanto dedotto nellatto introduttivo del giudizio, la Presidenza della Repubblica ha appreso dellavvenuta registrazione a seguito di unintervista rilasciata al quotidiano La Repubblica dal sostituto Procuratore dott. Antonino Di Matteo, pubblicata il 22 giugno 2012. Nelloccasione, rispondendo a una domanda che introduceva il tema, lintervistato aveva affermato che negli atti depositati non cՏ traccia di conversazioni del Capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti, aggiungendo poi in risposta allulteriore domanda se ci preludesse alla loro distruzione che la Procura palermitana avrebbe applicato la legge in vigore: quelle che dovranno essere distrutte con linstaurazione di un procedimento davanti al [Giudice per le indagini preliminari] saranno distrutte, quelle che riguardano altri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti. Con nota del 27 giugno 2012, lAvvocato generale dello Stato, su mandato della Presidenza, ha quindi chiesto al Procuratore della Repubblica di Palermo una conferma o una 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 smentita di quanto sembrava emergere da tali dichiarazioni: ossia che sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, allo stato considerate irrilevanti ma che la Procura di Palermo si [sarebbe riservata] di utilizzare. In risposta allinterpello, il Procuratore della Repubblica, con nota del 6 luglio 2012 allegando una missiva del dott. Di Matteo del giorno precedente ha comunicato che la Procura di Palermo, avendo gi valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato, non ne prevede[va] alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con losservanza delle formalit di legge. Con successiva nota, diffusa da agenzie di stampa il 9 luglio 2012, il dott. Messineo ha ulteriormente affermato che nellordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza limmediata cessazione dellascolto e della registrazione, quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione; aggiungendo che, in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Da ultimo, in una lettera diretta al quotidiano La Repubblica, pubblicata l11 luglio 2012, il Procuratore della Repubblica ha ribadito che la procedura di distruzione delle intercettazioni ritenute non rilevanti sarebbe stata attivata nei modi e nei termini di legge. 3. Ad avviso del ricorrente, la tesi espressa dalla Procura palermitana non sarebbe condivisibile, dovendosi ritenere, al contrario, che le intercettazioni, anche indirette o casuali, di conversazioni del Capo dello Stato siano radicalmente vietate dalla legge. Tale divieto risulterebbe insito nella garanzia dellirresponsabilit per gli atti compiuti nellesercizio delle funzioni (salvi i casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione), assicurata al Presidente della Repubblica dallart. 90 Cost. in vista dellespletamento degli altissimi compiti di cui investito, e troverebbe conferma nellinterpretazione sistematica delle norme di legge ordinaria intese a dare attuazione a detta garanzia. Lart. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 vieta infatti, in modo assoluto, di disporre intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica (nel qual caso, competente a disporle solo il Comitato parlamentare per i giudizi daccusa). Il divieto sancito in rapporto ai reati per i quali, in base allart. 90 Cost., il Presidente pu essere messo in stato di accusa, e con riguardo alle intercettazioni dirette delle sue comunicazioni. La preclusione dovrebbe ritenersi, tuttavia, logicamente estesa, per un verso, anche alle intercettazioni indirette o casuali, egualmente idonee a ledere la sfera di immunit del Capo dello Stato, e, per altro verso, anche ai procedimenti aventi ad oggetto altre ipotesi di reato che coinvolgano il Presidente. A maggior ragione, poi, dovrebbe ritenersi inammissibile lutilizzazione di conversazioni del Capo dello Stato occasionalmente intercettate nellambito di indagini concernenti reati addebitabili a diversi soggetti, come quelle che hanno originato lodierno conflitto. Alle intercettazioni indicate da ultimo non sarebbe applicabile neppure la disciplina dettata dallart. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per lattuazione dellarticolo 68 della Costituzione nonch in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), avuto riguardo alla captazione casuale di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, non essendo la posizione del Capo dello Stato assimilabile a quella del parlamentare. TEMI ISTITUZIONALI 51 Di conseguenza, le registrazioni di cui si discute non potrebbero essere in alcun modo valutate, utilizzate o trascritte, e se ne dovrebbe piuttosto chiedere al giudice limmediata distruzione ai sensi dellart. 271 cod. proc. pen., in quanto eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge. Su queste premesse, il ricorrente ritiene che la Procura della Repubblica di Palermo abbia menomato, sotto pi profili, le proprie prerogative costituzionali, facendo un uso non corretto dei suoi poteri. Dette prerogative risulterebbero lese, in specie, dallavvenuta registrazione dei colloqui; dalla permanenza della relativa documentazione tra gli atti del procedimento; dal fatto che ne sia stata valutata la rilevanza ai fini di una eventuale utilizzazione investigativa o processuale e, soprattutto, dal manifestato intento della Procura di attivare unudienza secondo le modalit indicate dallart. 268 cod. proc. pen., per ottenerne lacquisizione o la distruzione: procedura che anche in ragione dellinstaurazione di un contraddittorio sul punto aggraverebbe gli effetti lesivi delle precedenti condotte, rendendoli definitivi. Con latto introduttivo del giudizio, il ricorrente ha chiesto, pertanto, alla Corte di dichiarare che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo omettere limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica, delle quali si discute, n valutarne la (ir)rilevanza, offrendole alludienza stralcio disciplinata dallart. 268 cod. proc. pen. 4. Va confermata, anzitutto, lammissibilit del conflitto gi dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con lordinanza n. 218 del 2012 sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi. Con riguardo allaspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato e la conseguente legittimazione del Presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela delle proprie attribuzioni costituzionali sono pacifiche nella giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 200 del 2006 e n. 129 del 1981, ordinanza n. 354 del 2005). Si tratta, infatti, di organo titolare di un complesso di attribuzioni, non inquadrabili nella tradizionale tripartizione dei poteri dello Stato ed esercitabili in posizione di piena indipendenza e autonomia, costituzionalmente garantita (ordinanza n. 150 del 1980). Egualmente costante la giurisprudenza della Corte nel riconoscere la natura di potere dello Stato al pubblico ministero. Gli organi inquirenti sono infatti investiti dellattribuzione, essa pure costituzionalmente garantita, inerente allesercizio obbligatorio dellazione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarit diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate (tra le molte, sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011). A fronte del riparto di detta attribuzione fra i diversi uffici giudiziari territorialmente e funzionalmente competenti, ma, al tempo stesso, della organizzazione gerarchica interna ai singoli uffici, quello requirente si presenta come un potere parzialmente diffuso: legittimato ad agire e a resistere nei giudizi per conflitto di attribuzione il capo dellufficio interessato in particolare, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale in quanto competente a dichiarare definitivamente, nellassolvimento della ricordata funzione, la volont del potere cui appartiene (ordinanza n. 60 del 1999). Riguardo, poi, al profilo oggettivo, il ricorso proposto a salvaguardia di prerogative del Presidente della Repubblica che si deducono insite nella garanzia dellimmunit prevista dallart. 90 Cost., in correlazione alle altre norme costituzionali che definiscono il ruolo e le funzioni del Capo dello Stato (il richiamo allart. 3 Cost. puramente collaterale), nonch nelle disposizioni di legge ordinaria collegate a detta garanzia, a fronte di lesioni in assunto realizzate o prefigurate dalla Procura di Palermo nello svolgimento dei propri compiti. 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 5. Risulta daltra parte infondata leccezione di inammissibilit, formulata dalla difesa della Procura resistente nella propria memoria illustrativa, riguardo ad un preteso carattere prematuro del conflitto, che si assume volto a censurare una semplice manifestazione dintenti, in carenza di una lesione attuale e concreta. Il riferimento concerne segnatamente lintenzione della Procura palermitana espressa nella nota del 6 luglio 2012, in risposta allinterpello dellAvvocato generale dello Stato di procedere alla distruzione delle intercettazioni di cui si discute con losservanza delle formalit di legge: formula che il ricorrente anche alla luce di quanto affermato nella successiva nota del Procuratore della Repubblica del 9 luglio 2012, diffusa a mezzo di agenzie di stampa considera evocativa della procedura disciplinata dallart. 268, commi 4 e seguenti, cod. proc. pen. Va rilevato, in via preliminare, che leccezione non copre nella loro interezza i contenuti del ricorso, il quale investe anche comportamenti gi tenuti dalla Procura palermitana, come ad esempio la compiuta valutazione di rilevanza delle comunicazioni intercettate. Quanto agli adempimenti non ancora posti in essere, costituisce in effetti affermazione ripetuta, nella giurisprudenza costituzionale, che la Corte, come regolatrice dei conflitti, chiamata a giudicare su conflitti non astratti e ipotetici, ma attuali e concreti (sentenza n. 106 del 2009, ordinanza n. 404 del 2005). Ci in applicazione del generale principio per cui non consentito chiedere al giudice che sia accertato un proprio diritto (in questo caso: una attribuzione) se non quando quel diritto (quella attribuzione) leso o minacciato. Proprio in tale prospettiva, peraltro, questa Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilit dellinteresse a ricorrere, anche la sola minaccia di lesione, purch attuale e concreta, e non meramente congetturale. Il conflitto di attribuzione inammissibile quando si verta in una situazione di contrasto solo ipotetica, ossia quando il conflitto venga proposto senza che siano sorte in concreto contestazioni relative alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali (ordinanza n. 84 del 1978), non potendo la Corte essere adita a scopo meramente consultivo; tuttavia, ai fini dellammissibilit dei conflitti di attribuzione, richiesto solo linteresse ad agire, la cui sussistenza necessaria e sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dellattualit (sentenze n. 379 del 1996 e n. 420 del 1995). In questordine didee, si quindi ritenuto avendo riguardo ai conflitti di attribuzione tra enti, ma con affermazione senzaltro estensibile ai conflitti interorganici che costituisce atto idoneo ad innescare un conflitto qualsiasi comportamento significante, dotato di rilevanza esterna, anche se preparatorio o non definitivo, che appaia comunque diretto ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale della possibilit di esercizio della medesima (tra le molte, sentenze n. 332 del 2011, n. 235 del 2007 e n. 382 del 2006). Nel caso in esame, bench negli atti a firma del Procuratore della Repubblica di Palermo allegati al ricorso non vengano richiamate in modo espresso n la procedura di cui allart. 268, commi 4 e seguenti, n quella di cui allart. 269, comma 2, cod. proc. pen., risulta incontestabile e le difese svolte dalla resistente nellodierno giudizio ne costituiscono eloquente riprova che, alla luce del modus operandi seguito dalla Procura, la distruzione delle intercettazioni dovrebbe passare attraverso le procedure suindicate, e non gi tramite quella delineata dallart. 271 cod. proc. pen., la cui applicazione invece pretesa dal ricorrente (sul presupposto che si tratti di procedura non partecipata). La Procura fa conseguire, infatti, la prognosi di distruzione del materiale dallavvenuta valutazione della sua irrilevanza ai fini TEMI ISTITUZIONALI 53 del procedimento valutazione destinata, per affermazione della Procura stessa, ad essere sottoposta alla verifica del giudice nel contraddittorio fra le parti, le quali potrebbero essere latrici di differenti apprezzamenti e non gi dalla inutilizzabilit dei colloqui intercettati, in quanto acquisiti contra legem. Il comportamento della Procura, in conclusione, risulta inequivocamente espressivo della rivendicazione del potere-dovere di attivare la procedura di selezione prevista dallart. 268, allesito della quale soltanto potrebbe essere disposta, ai sensi dellart. 269, comma 2, cod. proc. pen. ma esclusivamente su istanza degli interessati (ossia, nella specie, dello stesso Presidente della Repubblica) e passando attraverso una ulteriore udienza camerale la distruzione del materiale in questione a tutela della riservatezza. In tale contesto, appare evidente come non possa essere condiviso lassunto della resistente, secondo il quale il Presidente della Repubblica dovrebbe attendere, prima di sollevare il conflitto, la decisione del giudice che eventualmente neghi la distruzione del materiale (e, di conseguenza, proporre il conflitto stesso contro lautorit giudicante, anzich contro quella inquirente). Il vulnus paventato dal ricorrente non si connette, infatti, solo alleventualit che, a seguito delle indicazioni delle parti private, il giudice vada in contrario avviso rispetto alla Procura sul punto della irrilevanza delle conversazioni e ne disponga, quindi, lacquisizione in vista di una loro utilizzazione processuale. La lesione temuta e che lodierno conflitto mira a scongiurare si connette anche, e prima di tutto, alla rivelazione del contenuto dei colloqui presidenziali ad ulteriori soggetti (e, in particolare, a soggetti privati, quali i difensori delle parti) che inevitabilmente deriverebbe dal ricorso alle procedure di cui agli artt. 268 e 269 cod. proc. pen., con il conseguente rischio di una loro generale propalazione. Per questo aspetto, la reazione successiva al provvedimento del giudice risulterebbe, nella prospettiva del ricorrente, chiaramente tardiva, essendosi la lesione ormai irreparabilmente prodotta. 6. Parimenti infondata laltra eccezione di inammissibilit, essa pure formulata dalla resistente nella memoria illustrativa, in base alla quale il ricorrente si sarebbe impropriamente avvalso dello strumento del conflitto di attribuzione per censurare un mero errore in procedendo da parte dellautorit giudiziaria quello in ipotesi derivante dal (preconizzato) ricorso ad una certa procedura anzich ad unaltra, al fine di pervenire alla distruzione del materiale ponendo, di conseguenza, una questione che attiene esclusivamente allinterpretazione e allapplicazione delle norme processuali. A suffragio di tale eccezione, la difesa della Procura palermitana evoca la giurisprudenza di questa Corte in ordine ai limiti di ammissibilit dei conflitti di attribuzione nei confronti di atti giurisdizionali: giurisprudenza secondo la quale il conflitto non pu essere utilizzato per sindacare semplicemente presunti errores in iudicando o in procedendo nellesercizio della funzione giudiziaria, col risultato di trasformarlo in un improprio mezzo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto osservato che nel presente caso non si discute di atti giurisdizionali, non venendo in considerazione alcun provvedimento del giudice, ma solo attivit giudiziarie poste in essere dallorgano inquirente. Ad ogni modo, lorientamento della giurisprudenza costituzionale richiamato dalla stessa Procura palermitana nel senso che gli atti giurisdizionali sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto di attribuzione, tanto interorganico che intersoggettivo, quando sia contestata radicalmente la riconducibilit dellatto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale, ovvero quando sia messa in discussione lesistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente, o, pi in generale, si lamenti il superamento dei limiti, diversi dal generale vincolo (anche costituzionale) di soggezione del giudice alla legge, che 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 detta funzione incontra nellordinamento a garanzia di altre attribuzioni costituzionali (in materia di conflitto tra poteri, sentenza n. 359 del 1999, ordinanze n. 285 del 2011, n. 334 e n. 284 del 2008; in materia di conflitto tra enti, sentenze n. 195 e n. 39 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003). Nella specie, il ricorso del Presidente della Repubblica volto propriamente a contestare la stessa esistenza nei confronti del ricorrente, in ragione delle sue prerogative costituzionali, del potere che la Procura riterrebbe invece competerle: quello, cio, di intercettare i colloqui del Capo del Stato, almeno quando si tratti di captazioni occasionali, e di utilizzare le conversazioni presidenziali cos intercettate ai fini del procedimento (potere, questultimo, la cui esistenza rappresenta, come gi accennato, il presupposto logico della valutazione di irrilevanza delle conversazioni, operata dalla Procura, e della manifestata convinzione che la loro distruzione debba transitare attraverso la cosiddetta udienza stralcio, di cui allart. 268 cod. proc. pen.). Questa Corte, del resto, ha pi volte ritenuto ammissibili conflitti di attribuzione promossi in relazione ad atti od omissioni del pubblico ministero strutturalmente analoghi, sotto il profilo in esame, a quelli che formano oggetto delle odierne censure (ad esempio, sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, n. 106 del 2009; ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011). 7. Neppure ha fondamento lulteriore eccezione prospettata dalla difesa della resistente nellatto di costituzione in giudizio di inammissibilit del ricorso per impossibilit giuridica del petitum. Deve, infatti, escludersi che la Presidenza della Repubblica abbia postulato un dovere della Procura di distruggere essa stessa, omisso medio, la documentazione delle intercettazioni di cui si discute: comportamento secondo la resistente non esigibile in base alla disciplina processuale vigente, posto che, tanto nellipotesi prevista dagli artt. 268, comma 6, e 269, comma 2, quanto in quella regolata dallart. 271, comma 3, cod. proc. pen., la distruzione pu essere disposta esclusivamente dal giudice. In senso contrario va osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, loggetto del conflitto di attribuzione deve essere individuato sulla base di una lettura complessiva dellatto di promovimento, la quale pu bene valere a precisare o ad integrare la formale enunciazione del petitum (tra le molte, sentenze n. 334 del 2011, n. 223 del 2009, n. 286 del 2006 e n. 137 del 2001). Nella specie anche a prescindere dalle inequivoche puntualizzazioni successivamente fornite dallAvvocatura dello Stato nella memoria illustrativa appare in effetti evidente, alla luce del tenore complessivo del ricorso introduttivo, come la locuzione che figura nelle relative conclusioni (chiede che lEcc.ma Corte adita dichiari che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo omettere limmediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica) assuma un carattere ellittico, non disconoscendo il ricorrente, in realt, che la distruzione del materiale probatorio debba passare attraverso il vaglio del giudice. Depone in tal senso non solo lesplicito richiamo, quale parametro integrativo, allart. 271 cod. proc. pen. il cui comma 3 prevede che la distruzione disposta per ordine del giudice ma anche la specifica affermazione, fatta a pagina 3 del ricorso, secondo cui il pubblico ministero dovrebbe immediatamente chiedere al giudice la distruzione delle intercettazioni delle conversazioni presidenziali, ancorch indirette od occasionali (affermazione che figura, peraltro, anche nel decreto del Presidente della Repubblica del 16 luglio 2012, recante la determinazione di proporre il conflitto e laffidamento della difesa allAvvocatura dello Stato: decreto richiamato nel ricorso e allo stesso allegato). TEMI ISTITUZIONALI 55 Riguardo poi alla richiesta che sia riconosciuto lobbligo della Procura palermitana di procedere immediatamente alla distruzione del materiale acquisito, risulta chiaro, alla luce del tenore complessivo dellatto di promovimento, come la scelta dellavverbio non evochi affatto un ruolo diretto ed esclusivo del pubblico ministero nella procedura. Il termine vale piuttosto a significare, al fianco di una connotazione di urgenza dellatto, come il ricorrente ritenga che la distruzione non debba essere preceduta da quegli adempimenti intermedi che la Procura palermitana intende compiere, cio la cosiddetta udienza stralcio e, inoltre, la procedura camerale partecipata di cui allart. 269 cod. proc. pen. In definitiva il ricorrente come confermato dallAvvocatura dello Stato nella propria memoria ha inteso dolersi del fatto che la resistente non abbia prontamente promosso la distruzione del materiale, facendone istanza al giudice. Cade automaticamente, con ci, anche la correlata e conclusiva eccezione di inammissibilit sollevata dalla Procura, inerente alla pretesa contraddizione tra il petitum e le ragioni addotte in suo sostegno, dovendo il primo essere identificato proprio alla luce delle seconde. 8. Nel merito, il ricorso fondato. 8.1. Al fine di decidere il presente conflitto di attribuzione, non sufficiente una mera esegesi testuale di disposizioni normative, costituzionali od ordinarie, ma necessario far riferimento allinsieme dei principi costituzionali, da cui emergono la figura ed il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano. appena il caso di osservare, inoltre, che in tutte le sedi giurisdizionali (e quindi non solo in quella costituzionale) occorre interpretare le leggi ordinarie alla luce della Costituzione, e non viceversa. La Carta fondamentale contiene in s principi e regole, che non soltanto si impongono sulle altre fonti e condizionano pertanto la legislazione ordinaria determinandone la illegittimit in caso di contrasto ma contribuiscono a conformare tale legislazione, mediante il dovere del giudice di attribuire ad ogni singola disposizione normativa il significato pi aderente alle norme costituzionali, sollevando la questione di legittimit davanti a questa Corte solo quando sia impossibile, per insuperabili barriere testuali, individuare una interpretazione conforme (sentenza n. 356 del 1996). Naturalmente allo stesso principio deve ispirarsi il giudice delle leggi. La conformit a Costituzione dellinterpretazione giudiziale non pu peraltro limitarsi ad una comparazione testuale e meramente letterale tra la disposizione legislativa da interpretare e la norma costituzionale di riferimento. La Costituzione fatta soprattutto di principi e questi ultimi sono in stretto collegamento tra loro, bilanciandosi vicendevolmente, di modo che la valutazione di conformit alla Costituzione stessa deve essere operata con riferimento al sistema, e non a singole norme, isolatamente considerate. Uninterpretazione frammentaria delle disposizioni normative, sia costituzionali che ordinarie, rischia di condurre, in molti casi, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalit di tutela. 8.2. Poste le premesse metodologiche di cui sopra, la ricostruzione del complesso delle attribuzioni del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano mette in rilievo che lo stesso stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche. Egli dispone pertanto di competenze che incidono su ognuno dei citati poteri, allo scopo di salvaguardare, ad un tempo, sia la loro separazione che il loro equilibrio. Tale singolare caratteristica della posizione del Presidente si riflette sulla natura delle sue attribuzioni, che non implicano il potere di adottare decisioni nel merito di specifiche materie, ma danno allo stesso gli strumenti per indurre gli altri poteri costituzionali a svolgere correttamente le proprie funzioni, da cui devono scaturire le relative 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 decisioni di merito. La specificit della posizione del Capo dello Stato si fonda sulla descritta natura delle sue attribuzioni, che lo differenziano dagli altri organi costituzionali, senza incidere, tuttavia, sul principio di parit tra gli stessi. Alla luce di quanto detto, il Presidente della Repubblica rappresenta lunit nazionale (art. 87, primo comma, Cost.) non soltanto nel senso dellunit territoriale dello Stato, ma anche, e soprattutto, nel senso della coesione e dellarmonico funzionamento dei poteri, politici e di garanzia, che compongono lassetto costituzionale della Repubblica. Si tratta di organo di moderazione e di stimolo nei confronti di altri poteri, in ipotesi tendenti ad esorbitanze o ad inerzia. Tutti i poteri del Presidente della Repubblica hanno dunque lo scopo di consentire allo stesso di indirizzare gli appropriati impulsi ai titolari degli organi che devono assumere decisioni di merito, senza mai sostituirsi a questi, ma avviando e assecondando il loro funzionamento, oppure, in ipotesi di stasi o di blocco, adottando provvedimenti intesi a riavviare il normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali. Tali sono, ad esempio, il potere di sciogliere le Camere, per consentire al corpo elettorale di indicare la soluzione politica di uno stato di crisi, che non permette la formazione di un Governo o incide in modo grave sulla rappresentativit del Parlamento; la nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, dei ministri, per consentire loperativit del vertice del potere esecutivo; lassunzione, nella sua qualit di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, di iniziative volte a garantire le condizioni esterne per un indipendente e coerente esercizio della funzione giurisdizionale. 8.3. Per svolgere efficacemente il proprio ruolo di garante dellequilibrio costituzionale e di magistratura di influenza, il Presidente deve tessere costantemente una rete di raccordi allo scopo di armonizzare eventuali posizioni in conflitto ed asprezze polemiche, indicare ai vari titolari di organi costituzionali i principi in base ai quali possono e devono essere ricercate soluzioni il pi possibile condivise dei diversi problemi che via via si pongono. indispensabile, in questo quadro, che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, che si estrinsecano nellemanazione di atti determinati e puntuali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che stato definito il potere di persuasione, essenzialmente composto di attivit informali, che possono precedere o seguire ladozione, da parte propria o di altri organi costituzionali, di specifici provvedimenti, sia per valutare, in via preventiva, la loro opportunit istituzionale, sia per saggiarne, in via successiva, limpatto sul sistema delle relazioni tra i poteri dello Stato. Le attivit informali sono pertanto inestricabilmente connesse a quelle formali. Le suddette attivit informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici, implicano necessariamente considerazioni e giudizi parziali e provvisori da parte del Presidente e dei suoi interlocutori. Le attivit di raccordo e di influenza possono e devono essere valutate e giudicate, positivamente o negativamente, in base ai loro risultati, non gi in modo frammentario ed episodico, a seguito di estrapolazioni parziali ed indebite. Lefficacia, e la stessa praticabilit, delle funzioni di raccordo e di persuasione, sarebbero inevitabilmente compromesse dalla indiscriminata e casuale pubblicizzazione dei contenuti dei singoli atti comunicativi. Non occorrono molte parole per dimostrare che unattivit informale di stimolo, moderazione e persuasione che costituisce il cuore del ruolo presidenziale nella forma di governo italiana sarebbe destinata a sicuro fallimento, se si dovesse esercitare mediante dichiarazioni pubbliche. La discrezione, e quindi la riservatezza, delle comunicazioni del Presidente della Repubblica sono pertanto coessenziali al suo ruolo nellordinamento costituzionale. Non solo le stesse non si pongono in contrasto con la generale eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma costituiscono modalit imprescindibili di esercizio della fun- TEMI ISTITUZIONALI 57 zione di equilibrio costituzionale derivanti direttamente dalla Costituzione e non da altre fonti normative dal cui mantenimento dipende la concreta possibilit di tutelare gli stessi diritti fondamentali, che in quellequilibrio trovano la loro garanzia generale e preliminare. 9. Dalle considerazioni svolte consegue che il Presidente della Repubblica deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per lefficace esercizio di tutte. Anche le funzioni che implicano decisioni molto incisive, che si concretizzano in solenni atti formali, come lo scioglimento anticipato delle assemblee legislative (art. 88 Cost.), presuppongono che il Presidente intrattenga, nel periodo che precede lassunzione della decisione, intensi contatti con le forze politiche rappresentate in Parlamento e con altri soggetti, esponenti della societ civile e delle istituzioni, allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili, sia per consentire alla legislatura di giungere alla sua naturale scadenza, sia per troncare, con lappello agli elettori, situazioni di stallo e di ingovernabilit. La propalazione del contenuto di tali colloqui, nel corso dei quali ciascuno degli interlocutori pu esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche, sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e per le funzioni del Capo dello Stato, ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo, che dovrebbe sopportare le conseguenze dellacuirsi delle contrapposizioni e degli scontri. Le stesse considerazioni possibile fare a proposito dei contatti necessari per un efficace svolgimento del ruolo di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, che non si riduce ai discorsi ufficiali in occasione delle sedute solenni di questorgano o alla firma dei provvedimenti dallo stesso deliberati, ma implica la conoscenza di specifiche situazioni e particolari problemi, che attengono allesercizio della giurisdizione a tutti i livelli, senza ovviamente alcuna interferenza con il merito degli orientamenti, processuali e sostanziali, dei giudici nellesercizio delle loro funzioni. Ancora va ricordato come il Capo dello Stato presieda il Consiglio supremo di difesa ed abbia il comando delle Forze armate, e come sia chiamato ad intrattenere, anche nelle vesti indicate, rapporti e comunicazioni del cui carattere riservato non occorre dare particolare dimostrazione. Dagli esempi test prospettati si pu dedurre in quale misura, nel campo delle prerogative costituzionali, vengano in rilievo le esigenze intrinseche del sistema, che non sempre sono enunciate dalla Costituzione in norme esplicite, e che risultano peraltro del tutto evidenti, se si adotta un punto di vista sensibile alla tenuta dellequilibrio tra i poteri. Questa Corte ha reiteratamente affermato che le prerogative degli organi costituzionali in quanto derogatorie del principio della parit di trattamento davanti alla giurisdizione, posto alle origini della formazione dello Stato di diritto (sentenza n. 24 del 2004) trovano fondamento nel dettato costituzionale, al quale il legislatore ordinario pu dare solo stretta attuazione (sentenza n. 262 del 2009), senza aggiungere alcuna nuova deroga al diritto comune. Tale esigenza, peraltro, soddisfatta anche quando quel fondamento, pur nellassenza di una enunciazione formale ed espressa, emerga in modo univoco dal sistema costituzionale (sentenza n. 148 del 1983). evidente altres che tutti gli organi costituzionali hanno necessit di disporre di una garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni inerenti ad attivit informali, sul presupposto che tale garanzia principio generale valevole per tutti i cittadini, ai sensi dellart. 15 Cost. assume contorni e finalit specifiche, se vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale lefficace e libero svolgimento, ad esempio, dellattivit parlamentare e di governo. 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Si inquadra in questa prospettiva la disposizione di cui allart. 68, terzo comma, Cost., riguardante i membri delle due Camere, la quale stabilisce che non si possa ricorrere, nei confronti di tali soggetti, ad intercettazioni telefoniche o ad altri mezzi invasivi di ricerca della prova, se non a seguito di autorizzazione concessa dalla Camera competente. Specifiche limitazioni allesercizio di poteri di indagine mediante atti invasivi, quali le intercettazioni telefoniche, sono previste da norme di rango costituzionale anche per i componenti del Governo (art. 10 della legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1, recante Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui allarticolo 96 della Costituzione). La posizione dei soggetti appena indicati e quella del Presidente della Repubblica divergono tuttavia per due distinti profili. In primo luogo, il Presidente possiede soltanto funzioni di raccordo e di equilibrio, che non implicano lassunzione, nella sua quotidiana attivit, di decisioni politiche delle quali debba rispondere ai suoi elettori o a chi abbia accordato la fiducia ma richiedono che ponga in collegamento tutti i titolari delle istituzioni di vertice, esercitando quei poteri di impulso, di persuasione e di moderazione, di cui si diceva prima, richiedenti necessariamente discrezione e riservatezza. Per altro verso, e non a caso, la Costituzione non prevede alcuno strumento per rimuovere la preclusione allutilizzazione, nei confronti del Presidente, di mezzi di ricerca della prova invasivi, a differenza di quel che concerne i parlamentari ed i componenti del Governo, per i quali possibile procedere a tali forme di controllo se la Camera competente, secondo le diverse discipline della materia, concede la prescritta autorizzazione. Nel quadro normativo fa difetto, del resto, ogni riferimento ai soggetti istituzionali cui sarebbe possibile chiedere, da parte dellautorit giudiziaria, una autorizzazione concernente il Presidente della Repubblica. Lassenza di una previsione non potrebbe essere superata in via interpretativa, neanche da parte di questa Corte, poich manca in modo evidente una soluzione costituzionalmente obbligata. Lindividuazione di un soggetto competente a rilasciare unautorizzazione del genere potrebbe essere operata soltanto da una norma di rango costituzionale, non surrogabile da alcun altro tipo di fonte n, tanto meno, da una pronuncia del giudice costituzionale. La mancata previsione di atti autorizzatori simili a quelli contemplati per i parlamentari ed i ministri, e la carenza inoltre di limitazioni esplicite per categorie di reati stabilite da norme costituzionali, non possono portare alla paradossale conseguenza che le comunicazioni del Presidente della Repubblica godano di una tutela inferiore a quella degli altri soggetti istituzionali menzionati, ma alla pi coerente conclusione che il silenzio della Costituzione sul punto sia espressivo della inderogabilit in linea di principio e con leccezione costituzionalmente necessaria di cui si dir poco oltre della riservatezza della sfera delle comunicazioni presidenziali. Tale inderogabilit discende dalla posizione e dal ruolo del Capo dello Stato nel sistema costituzionale italiano e non pu essere riferita ad una norma specifica ed esplicita, poich non esiste una disposizione che individui un soggetto istituzionale competente ad autorizzare il superamento della prerogativa. Non si tratta quindi di una lacuna, ma, al contrario, della presupposizione logica, di natura giuridico-costituzionale, dellintangibilit della sfera di comunicazioni del supremo garante dellequilibrio tra i poteri dello Stato. Da quanto sinora detto si deduce limproponibilit di qualunque analogia, nella disciplina della prerogativa di riservatezza delle comunicazioni del Capo dello Stato, sia in funzione estensiva che restrittiva, con le norme contenute nella legge 20 giugno 2003, n. 140 (Dispo- TEMI ISTITUZIONALI 59 sizioni per lattuazione dellarticolo 68 della Costituzione nonch in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), da considerare attuative specie dopo la sentenza di questa Corte n. 24 del 2004 di una previsione costituzionale riguardante soltanto i membri del Parlamento. proprio dallo stesso art. 68 Cost., e non dalle norme di legge ordinaria che vi hanno dato attuazione, che si pu invece muovere, sulla base di una logica argomentazione a fortiori, per dare un significato, nella direzione indicata, al silenzio della Costituzione in tema di intercettazione delle comunicazioni del Presidente della Repubblica. 10. Non sarebbe, in effetti, rispondente ad un corretto metodo interpretativo della Costituzione trarre conclusioni negative sullesistenza di una tutela generale della riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica dallassenza di una esplicita disposizione costituzionale in proposito. Nessuno, ad esempio, potrebbe dubitare della sussistenza delle immunit riconosciute alle sedi degli organi costituzionali, sol perch non prevista in Costituzione e rimane affidata esclusivamente allefficacia dei regolamenti di tali organi, ove invece sancita in modo esplicito. Questa Corte ha gi chiarito che alle disposizioni contenute nella Costituzione, volte a salvaguardare lassoluta indipendenza del Parlamento, si aggiungono poi, svolgendone ed applicandone i principi, quelle dei regolamenti parlamentari, da cui si suole trarre la regola della cos detta immunit della sede (valevole anche per gli altri supremi organi dello Stato) in forza della quale nessuna estranea autorit potrebbe far eseguire coattivamente propri provvedimenti rivolti al Parlamento ed ai suoi organi. Di guisa che, ove gli organi parlamentari non vi ottemperassero, sarebbe unicamente possibile provocare lintervento di questa Corte, in sede di conflitto di attribuzione [] (sentenza n. 231 del 1975). In definitiva, e per giurisprudenza risalente, la legge e i regolamenti degli organi costituzionali non possono creare nuove prerogative, ma possono tuttavia esprimere prerogative implicite alla particolare struttura ed alle specifiche funzioni dei medesimi organi. La immunit delle sedi legata allesistenza stessa dello Stato di diritto democratico, che verrebbe posta certamente in pericolo dallesercizio non contrastabile dei poteri repressivi, anche nei luoghi ove si esercitano le massime funzioni di rappresentanza e di garanzia. La violazione delle sedi degli organi costituzionali potrebbe avvenire solo in uno Stato autoritario di polizia, che ovviamente costituisce lopposto dello Stato costituzionale delineato dalla Carta del 1948. Linterpretazione meramente letterale delle disposizioni normative, metodo primitivo sempre, lo ancor pi se oggetto della ricostruzione ermeneutica sono le disposizioni costituzionali, che contengono norme basate su principi fondamentali indispensabili per il regolare funzionamento delle istituzioni della Repubblica democratica. La natura derogatoria del principio di uguaglianza, propria delle norme che sanciscono le prerogative degli organi costituzionali, impone come questa Corte ha costantemente affermato una stretta interpretazione delle relative disposizioni. Sono pertanto escluse sia linterpretazione estensiva che quella analogica, ma resta possibile ed anzi necessaria linterpretazione sistematica, che consente una ricostruzione coerente dellordinamento costituzionale. Non sarebbe ragionevole dire, daltra parte, che limmunit delle sedi costituisca un inaccettabile privilegio degli organi costituzionali, contrario allart. 3 Cost., perch uguale immunit non prevista per le abitazioni dei cittadini. Le norme regolamentari in discorso esplicitano una garanzia funzionale presente nella Costituzione, e per questa ragione sono con essa perfettamente compatibili. Si consideri ancora che, una volta stabilita linviolabilit della sede degli organi costituzionali rispetto allesercizio di poteri coercitivi dellautorit giudiziaria o di polizia, sarebbe 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 davvero irragionevole ammettere la possibilit di una intrusione sulle linee telefoniche in uso ai titolari degli organi stessi, per di pi installate proprio nelle sedi protette da immunit. Se si rileva poi che, oltre alle intercettazioni telefoniche, sono possibili in relazione a determinate fattispecie anche intercettazioni ambientali, si dovrebbe assurdamente concludere che sia consentito collocare, previa autorizzazione del giudice, apparecchi trasmittenti nelle sedi delle Camere, del Governo, della Corte costituzionale, sol perch non esiste un esplicito divieto costituzionale di compiere tali atti investigativi. Il paradosso legato ad una ricerca solo testuale delle prerogative potrebbe spingersi fino a conseguenze ancor pi estreme. Norme di rango costituzionale pongono limiti espressi alla possibilit che i componenti delle Camere o del Governo siano assoggettati a provvedimenti coercitivi della libert personale, oltre che a mezzi di indagine lesivi dellinviolabilit delle comunicazioni e del domicilio (rispettivamente, art. 68 Cost. e art. 10 della legge cost. n. 1 del 1989). Nellassenza di analoghe previsioni che lo riguardano, dovrebbe ritenersi, secondo il metodo qui disatteso, che il Presidente della Repubblica possa essere indiscriminatamente assoggettato a provvedimenti coercitivi perfino eseguibili attraverso la restrizione in carcere anche ad iniziativa della polizia giudiziaria. E ci qualunque sia la natura del reato in ipotesi perseguito. Linaccettabilit della conseguenza, comՏ ovvio, invalida il metodo. Ed infatti non mancano, nellordinamento, norme sintomatiche dellincoercibilit della libert personale del Capo dello Stato. Si pensi ad esempio allesclusione per questultimo della possibilit di procedere nelle forme ordinarie (e dunque anche mediante leventuale accompagnamento coattivo) allassunzione della testimonianza (art. 205, comma 3, cod. proc. pen., in relazione al comma 1 della stessa norma): lungi dal costituire una eccezione (in questo senso irragionevole) nellambito di una generalizzata possibilit di coercizione, la disposizione rappresenta piuttosto la regola applicativa, sul piano particolare, del pi generale regime di tutela della funzione presidenziale. 11. Lart. 90 Cost. prevede che il Presidente della Repubblica non responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. opinione pacifica che limmunit di cui alla citata norma costituzionale sia onnicomprensiva, copra cio i settori penale, civile, amministrativo e politico. Tuttavia la perseguibilit del Capo dello Stato per i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione rende necessario che, allo scopo di accertare cos gravi illeciti penali, di rilevanza non solo personale, ma istituzionale, possano essere utilizzati anche mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, come le intercettazioni telefoniche. Si tratta di una limitazione logica ed implicita alla statuizione costituzionale che assoggetta il Presidente della Repubblica alla giurisdizione penale sia pure con forme e procedimenti peculiari in vista dellaccertamento della sua responsabilit per il compimento di uno dei suddetti reati funzionali. La ritenuta necessit di consentire lesercizio di poteri investigativi particolarmente penetranti, come (per quanto qui interessa) le intercettazioni telefoniche, ha indotto il legislatore ordinario a dare stretta attuazione al disposto costituzionale, mediante lart. 7, commi 2 e 3, della legge n. 219 del 1989. Tale disciplina attribuisce al Comitato parlamentare, di cui allart. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), il potere di deliberare i provvedimenti che dispongono intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, sempre dopo che la Corte costituzionale abbia sospeso lo stesso dalla carica: uneccezione, stabilita con legge ordinaria, al generale divieto, desumibile dal sistema costituzionale, di intercettare le comunicazioni del Capo dello Stato. La norma eccezionale si contiene nei limiti strettamente necessari allattua- TEMI ISTITUZIONALI 61 zione processuale dellart. 90 Cost. che costituisce, a sua volta, norma derogatoria disponendo, per di pi, che, finanche nellipotesi di indagini volte allaccertamento dei pi gravi delitti contro le istituzioni della Repubblica previsti dallordinamento costituzionale, siano interdette agli investigatori intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente in carica. Lo stesso argomento a fortiori, che consente di dare un significato coerente con il sistema al silenzio della Costituzione sulle garanzie di riservatezza delle comunicazioni del Capo dello Stato, deve essere utilizzato per dedurre dalla rigorosa previsione dellart. 7, commi 2 e 3, della legge n. 219 del 1989, la conclusione che la garanzia prevista perfino per le indagini concernenti i delitti pi gravi sul piano istituzionale implica che, per tutte le altre fattispecie, non si possa ipotizzare un livello di tutela inferiore. Ci, del resto, esplicitamente riconosciuto anche da quella parte della dottrina che circoscrive nel modo pi restrittivo le prerogative presidenziali. La stessa Procura della Repubblica di Palermo, odierna resistente, non contesta che sia inibita qualunque forma di intercettazione telefonica nei confronti del Presidente della Repubblica ed ha piuttosto incentrato le sue difese come si vedr poco pi avanti sullasserita impossibilit di riferire tale divieto alle intercettazioni casuali. 12. Sulla base delle considerazioni sinora esposte, si deve affermare altres che, al fine di determinare lampiezza della tutela della riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica, non assume alcuna rilevanza la distinzione tra reati funzionali ed extrafunzionali, giacch linteresse costituzionalmente protetto non la salvaguardia della persona del titolare della carica, ma lefficace svolgimento delle funzioni di equilibrio e raccordo tipiche del ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, fondato sulla separazione e sullintegrazione dei poteri dello Stato. Si deve inoltre sottolineare che tutta la discussione sulla distinzione tra i reati ascrivibili al Capo dello Stato, sviluppata anche nellambito del presente giudizio, risulta invece ad esso estranea, giacch nel procedimento penale da cui origina il conflitto non mai emersa alcuna contestazione di natura penale nei confronti del Presidente. 13. Ugualmente fuor di luogo sono tutte le discussioni sviluppate in questo giudizio sulla responsabilit penale del Presidente della Repubblica per reati extrafunzionali. noto infatti come questa Corte abbia stabilito che lart. 90 della Costituzione sancisce la irresponsabilit del Presidente salve le ipotesi estreme dellalto tradimento e dellattentato alla Costituzione solo per gli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni. La medesima pronuncia ha concluso sul punto con chiarezza: dunque necessario tenere ferma la distinzione fra atti e dichiarazioni inerenti allesercizio delle funzioni, e atti e dichiarazioni che, per non essere esplicazione di tali funzioni restano addebitabili, ove forieri di responsabilit, alla persona fisica del titolare della carica (sentenza n. 154 del 2004). Allo scopo di fugare ogni ulteriore equivoco sul punto, va riaffermato che il Presidente, per eventuali reati commessi al di fuori dellesercizio delle sue funzioni, assoggettato alla medesima responsabilit penale che grava su tutti i cittadini. Ci che invece non ammissibile lutilizzazione di strumenti invasivi di ricerca della prova, quali sono le intercettazioni telefoniche, che finirebbero per coinvolgere, in modo inevitabile e indistinto, non solo le private conversazioni del Presidente, ma tutte le comunicazioni, comprese quelle necessarie per lo svolgimento delle sue essenziali funzioni istituzionali, per le quali, giova ripeterlo, si determina un intreccio continuo tra aspetti personali e funzionali, non preventivabile, e quindi non calcolabile ex ante da parte delle autorit che compiono le indagini. In tali frangenti, la ricerca della prova riguardo ad eventuali reati extrafunzionali deve avvenire con mezzi diversi (documenti, testimonianze ed altro), tali da non arrecare una lesione alla sfera di comunicazione 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 costituzionalmente protetta del Presidente. In definitiva, nella materia su cui incide il presente conflitto si deve procedere tenendo conto del necessario bilanciamento tra le esigenze di giustizia e gli interessi supremi delle istituzioni, senza giungere al sacrificio n delle prime n dei secondi. Va ribadito peraltro, anche a questo proposito, che il tema della responsabilit penale del Presidente della Repubblica resta estraneo allodierno giudizio. Questa Corte deve fornire le precisazioni di cui sopra in ragione della trattazione di tale argomento negli atti difensivi delle parti, le quali anche per giungere ad opposte conclusioni hanno ritenuto di collegare il problema dellammissibilit delle intercettazioni nei confronti del Presidente della Repubblica a quello della sua soggezione alla giurisdizione penale, della quale, come appena ricordato, questa Corte ha da tempo affermato la sussistenza, e che oggi deve essere ribadita. 14. Contrariamente a quanto sostiene la resistente, non assume neppure rilevanza se non per il profilo che appresso si indicher la distinzione (tuttora oggetto di controversie nei casi concreti) tra intercettazioni dirette, indirette e casuali. In via preliminare va ricordato come, secondo la giurisprudenza costituzionale formatasi a proposito delle indagini riguardanti parlamentari o membri del Governo, occorra distinguere tra controlli mirati allascolto delle comunicazioni del soggetto munito della prerogativa, e controlli casuali od occasionali, cio intervenuti accidentalmente in forza dellintercettazione disposta a carico di un soggetto non immune. Nella prima delle due categorie sono comprese anche le intercettazioni indirette, cio quelle indagini che, pur non riguardando (a differenza delle intercettazioni dirette) le utenze in uso al soggetto immune, siano comunque mirate a captarne le comunicazioni, a causa del suo rapporto personale o professionale con la persona assoggettata al controllo (si vedano, in proposito, le sentenze n. 114 e n. 113 del 2010, n. 390 del 2007, nonch le ordinanze n. 171 del 2011 e n. 263 del 2010). Nel caso in esame, loccasionalit delle intercettazioni effettuate non in contestazione fra le parti. Sia nellatto introduttivo del giudizio che nella successiva memoria, lo stesso ricorrente muove, infatti, dallesplicito presupposto che le captazioni dei colloqui presidenziali siano state operate accidentalmente, non prospettando, neppure in via di ipotesi, un intento surrettizio degli inquirenti di accedere alla sfera delle comunicazioni del Capo dello Stato tramite il monitoraggio delle utenze in uso allindagato. Tuttavia, anche aderendo alla concorde qualificazione operata dalle parti, ci non comporta che le intercettazioni in questione debbano ritenersi consentite e suscettibili di utilizzazione processuale, sulla base dellargomento che quanto fortuito non pu formare oggetto di divieto. Difatti, se il fondamento della tutela della riservatezza delle comunicazioni presidenziali non lespressione di una presunta e inesistente immunit del Presidente per i reati extrafunzionali, ma consiste nellessenziale protezione delle attivit informali di equilibrio e raccordo tra poteri dello Stato, ossia tra soggetti che svolgono funzioni, politiche o di garanzia, costituzionalmente rilevanti, allora si deve riconoscere che il livello di tutela non si abbassa per effetto della circostanza, non prevista dagli inquirenti e non conosciuta ovviamente dallo stesso Presidente, che lintercettazione non riguardi una utenza in uso al Capo dello Stato, ma quella di un terzo destinatario di indagini giudiziarie. Si verificherebbe, secondo lopposta opinione, la singolare situazione di una tutela costituzionale che degrada in seguito a circostanze casuali, imprevedibili anche da parte degli stessi inquirenti. Semmai la distinzione di cui sopra potrebbe assumere rilevanza per valutare la responsabilit di chi dispone le intercettazioni, giacch diversa la posizione di chi deliberatamente TEMI ISTITUZIONALI 63 interferisce in modo illegittimo nella sfera di riservatezza di un organo costituzionale e di chi si trovi occasionalmente di fronte ad una conversazione captata nel corso di una attivit di controllo legittimamente mirata verso un altro soggetto. Se lintercettazione stata casuale, cio non prevedibile n evitabile, il problema non quello di affermare il suo divieto preventivo, che, in via generale, esiste, ma non applicabile nella fattispecie anche per le modalit tecniche della relativa esecuzione proprio per la casualit e limprevedibilit della captazione (considerazione che priva, tra laltro, della sua necessaria premessa logica la richiesta del ricorrente di dichiarare che non spettava agli inquirenti non interrompere la registrazione delle conversazioni). La funzione di tutela del divieto si trasferisce dalla fase anteriore allintercettazione, in cui rileva la direzione impressa allatto di indagine dallautorit procedente, a quella posteriore, giacch si impone alle autorit che hanno disposto ed effettuato le captazioni lobbligo di non aggravare il vulnus alla sfera di riservatezza delle comunicazioni presidenziali, adottando tutte le misure necessarie e utili per impedire la diffusione del contenuto delle intercettazioni. Si tratta di conclusioni perfettamente compatibili con la logica dei divieti probatori nel processo penale, cui si connette la sanzione dellinutilizzabilit della prova (art. 191 cod. proc. pen.). Tale sanzione processuale opera a garanzia dellinteresse presidiato dal divieto, a prescindere dalla responsabilit dellinquirente per la violazione di regole procedurali nellattivit di acquisizione. Il carattere casuale di una captazione non consentita (si pensi allepisodico contatto, da parte di una persona legittimamente sottoposta ad intercettazione, con un soggetto tenuto al segreto professionale) non incide sulla necessit di tutela della riservatezza del relativo colloquio. chiaro dunque come, specie ai livelli di protezione assoluta che si sono riscontrati riguardo alle comunicazioni del Presidente della Repubblica, gi la semplice rivelazione ai mezzi di informazione dellesistenza delle registrazioni costituisca un vulnus che deve essere evitato. Se poi si arrivasse ad intraprendere iniziative processuali suscettibili di sfociare nella divulgazione dei contenuti delle stesse comunicazioni, la tutela costituzionale, di cui sinora si trattato, sarebbe irrimediabilmente e totalmente compromessa. Dovere dei giudici soggetti alla legge, e quindi, in primo luogo, alla Costituzione quello di evitare che ci possa accadere e, quando ci casualmente accada, di non portare ad ulteriori conseguenze la lesione involontariamente recata alla sfera di riservatezza costituzionalmente protetta. 15. La soluzione del presente conflitto non pu che fondarsi in base a quanto detto sinora sullaffermazione dellobbligo per lautorit giudiziaria procedente di distruggere, nel pi breve tempo, le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, che nel caso di specie risultano essere quattro, peraltro intrattenute mediante linee telefoniche del Palazzo del Quirinale. Lo strumento processuale per giungere a tale risultato, costituzionalmente imposto, non pu essere quello previsto dagli artt. 268 e 269 cod. proc. pen., giacch tali norme richiedono la fissazione di unudienza camerale, con la partecipazione di tutte le parti del giudizio, i cui difensori, secondo quanto prevede il comma 6 del citato art. 268, hanno facolt di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni, previamente depositati a tale fine. Anche la procedura di distruzione regolata dai commi 2 e 3 del citato art. 269 incentrata, come questa Corte ha ribadito a suo tempo con la sentenza n. 463 del 1994, sulladozione del rito camerale e dei connessi strumenti di garanzia del contraddittorio. Un duplice ordine di motivi conduce ad escludere la legittimit del ricorso agli istituti processuali in questione. 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 In primo luogo, la cosiddetta udienza di stralcio, di cui al sesto comma dellart. 268 cod. proc. pen., inconferente rispetto al caso che ha dato origine al conflitto, essendo strutturalmente destinata alla selezione dei colloqui che le parti giudicano rilevanti ai fini dellaccertamento dei fatti per cui processo. Nel caso di specie nessuna valutazione di rilevanza possibile, alla luce del riscontrato divieto di divulgare, ed a maggior ragione di utilizzare in chiave probatoria, riguardo ai fatti oggetto di investigazione, colloqui casualmente intercettati del Presidente della Repubblica. Quanto alla procedura partecipata di distruzione, essa riguarda per definizione conversazioni prive di rilevanza ma astrattamente utilizzabili, come risulta dalla clausola di esclusione inserita, riguardo alle intercettazioni delle quali sia vietata lutilizzazione, in apertura del secondo comma dellart. 269 cod. proc. pen. evidente daltra parte, nella dimensione propria e prevalente delle tutele costituzionali, che ladozione delle procedure indicate vanificherebbe totalmente e irrimediabilmente la garanzia della riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica. Esiste piuttosto unaltra norma processuale cio lart. 271, comma 3, cod. proc. pen., invocato dal ricorrente che prevede che il giudice disponga la distruzione della documentazione delle intercettazioni di cui vietata lutilizzazione ai sensi dei precedenti commi dello stesso articolo, in particolare e anzitutto perch eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge, salvo che essa costituisca corpo di reato. Per le ragioni fin qui illustrate, le intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica ricadono in tale ampia previsione, ancorch effettuate in modo occasionale. Quanto alla procedura da seguire, nella citata disposizione non sono contenuti rinvii ad altre norme del codice di rito, e manca in particolare il richiamo allart. 127, che invece operato nella contigua previsione dellart. 269 cod. proc. pen. Dunque, la norma processuale in questione non impone la fissazione di una udienza camerale partecipata, e neppure la esclude. La soluzione coerente con leterogeneit delle fattispecie regolate dallo stesso art. 271 cod. proc. pen., consentendo di tener conto delle diverse ragioni che sono alla base delle singole ipotesi di inutilizzabilit. Questa pu derivare, per un verso, dallinosservanza di regole procedurali, che prescindono dalla qualit dei soggetti coinvolti e dal contenuto delle comunicazioni captate: tali, in particolare, le prescrizioni degli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, specificamente richiamate dal comma 1 dellart. 271 cod. proc. pen., in materia di presupposti e modalit di esecuzione delle operazioni. Ma linutilizzabilit pu connettersi anche a ragioni di ordine sostanziale, espressive di unesigenza di tutela rafforzata di determinati colloqui in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale che si affiancano al generale interesse alla segretezza delle comunicazioni (quali la libert di religione, il diritto di difesa, la tutela della riservatezza su dati sensibili ed altro). questo il caso, specificamente previsto dal successivo comma 2, delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni dei soggetti indicati dallart. 200, comma 1, cod. proc. pen. (ministri di confessioni religiose, avvocati, investigatori privati, medici ed altro), allorch abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione. Ma questo ovviamente anche il caso dellintercettazione, bench casuale, di colloqui del Capo dello Stato, riconducibile, come detto, allipotesi delle intercettazioni eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge, cui preliminare e distinto riferimento (come univocamente emerge dallimpiego della particella disgiuntiva o) nel comma 1 dellart. 271: previsione che si presta a svolgere un ruolo di chiusura della disciplina dellinutilizzabilit, abbracciando fattispecie preclusive diverse e ulteriori rispetto a quelle dianzi indicate, ricavabili anche, e in primo luogo, dalla Costituzione. A proposito delle regole da seguire ai fini della distruzione del materiale inutilizzabile, TEMI ISTITUZIONALI 65 il trattamento delle due categorie di intercettazioni deve essere diverso. Le intercettazioni inutilizzabili per vizi di ordine procedurale attengono a comunicazioni di per s non inconoscibili, e che avrebbero potuto essere legittimamente captate se fosse stata seguita la procedura corretta. La loro distruzione pu pertanto seguire lordinaria procedura camerale, nel contraddittorio fra le parti. Nel caso invece si tratti di intercettazioni non utilizzabili per ragioni sostanziali, derivanti dalla violazione di una protezione assoluta del colloquio per la qualit degli interlocutori o per la pertinenza del suo oggetto, la medesima soluzione risulterebbe antitetica rispetto alla ratio della tutela. Laccesso delle altre parti del giudizio, con rischio concreto di divulgazione dei contenuti del colloquio anche al di fuori del processo, vanificherebbe lobiettivo perseguito, sacrificando i principi e i diritti di rilievo costituzionale che si intende salvaguardare. Basti pensare alla conoscenza da parte dei terzi o, peggio, alla diffusione mediatica dei contenuti di una confessione resa ad un ministro del culto, ovvero allostensione al difensore della parte civile del colloquio riservato tra limputato e il suo difensore (possibile ove la procedura di cui allart. 271, comma 3, cod. proc. pen. fosse avviata dopo lesercizio dellazione penale). Nelle ipotesi ora indicate e dunque anche, a maggior ragione (stante il rango degli interessi coinvolti), in quella dellintercettazione di colloqui presidenziali deve ritenersi che i principi tutelati dalla Costituzione non possano essere sacrificati in nome di una astratta simmetria processuale, peraltro non espressamente richiesta dallart. 271, comma 3, cod. proc. pen. N gioverebbe richiamare, in senso contrario, la sentenza di questa Corte n. 173 del 2009, che ha stabilito la necessit delludienza camerale, nel contraddittorio delle parti, per procedere alla distruzione dei documenti, supporti o atti recanti dati illegalmente acquisiti inerenti a comunicazioni telefoniche o telematiche, ovvero ad informazioni illegalmente raccolte. A prescindere da ogni altro possibile rilievo, si discuteva, nel caso che ha dato origine alla questione decisa con la suddetta pronuncia, di documenti che costituivano essi stessi corpo di reato, esplicitamente esclusi dalla previsione di distruzione di cui al comma 3 dellart. 271 cod. proc. pen., palesemente inapplicabile dunque a quelle fattispecie. 16. Le intercettazioni oggetto dellodierno conflitto devono essere distrutte, in ogni caso, sotto il controllo del giudice, non essendo ammissibile, n richiesto dallo stesso ricorrente, che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero. Tale controllo garanzia di legalit con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilit delle conversazioni intercettate al Capo dello Stato, e quindi, pi in generale, quanto alla loro inutilizzabilit, in forza delle norme costituzionali ed ordinarie fin qui citate. Ferma restando la assoluta inutilizzabilit, nel procedimento da cui trae origine il conflitto, delle intercettazioni del Presidente della Repubblica, e, in ogni caso, lesclusione della procedura camerale partecipata, lAutorit giudiziaria dovr tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libert personale e salvaguardia dellintegrit costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art. 90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorit adotter le iniziative consentite dallordinamento. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza delle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, operate nellambito del procedimento penale n. 11609/08; 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dichiara che non spettava alla stessa Procura della Repubblica di omettere di chiedere al giudice limmediata distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni indicate, ai sensi dellart. 271, comma 3, del codice di procedura penale, senza sottoposizione della stessa al contraddittorio tra le parti e con modalit idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate. Cos deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI e Giuseppe FRIGO, Redattori Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2013. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Strumenti legali europei e degli Stati Membri per la prevenzione e repressione della violenza contro le donne e la violenza domestica Antonella Anselmo* SOMMARIO: 1. Prenessa - 2. La dimensione del fenomeno e la sua definizione giuridica. Consiglio dEuropa: la Raccomandazione Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati Membri sulla protezione delle donne dalla violenza - 3. La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica - 4. Le politiche comunitarie e gli strumenti dellUE - 5. Gli Stati membri: il caso della Spagna. 1. Premessa. Parlare di violenza nei confronti delle donne e di violazione dei loro diritti fondamentali in un ambito sopranazionale una grande impresa. Ritengo quindi opportuno limitarmi ad una breve riflessione ragionata sulle linee evolutive che caratterizzano le varie azioni di intervento nel continente europeo, riferibili rispettivamente al Consiglio dEuropa e allUnione Europea, anche al fine di valutarne lefficacia e lincisivit. Preliminarmente ritengo tuttavia necessaria una breve premessa. Il recente riconoscimento del premio Nobel della pace allEuropa conferisce lesatto inquadramento della genesi, sotto il profilo storico, sociale e giuridico, del fenomeno della violenza nei confronti delle donne. Questa la motivazione dellalto riconoscimento: il successo nello sforzo per la pace e la riconciliazione, per la democrazia e i diritti umani. Risuo- (*) Avvocata del Foro di Roma e membro del comitato promotore Se Non Ora Quando? . Il presente scritto costituisce lintervento della Autrice all Incontro nazionale MAI + COMPLICI!, Torino, 13 e 14 ottobre 2012. 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 nano evidentemente nelle citate parole la memoria, i ricordi, gli orrori, le macerie dei conflitti mondiali e dei regimi totalitari che hanno segnato la recente storia europea e gli esiti di una ricostruzione e pacificazione post-bellica, che hanno trovato risposte nellintegrazione europea. La qualit democratica nello spazio comune europeo, indubbiamente non ancora compiuta, dunque garanzia di tutela dei diritti fondamentali. Vi inoltre una stretta correlazione tra pienezza della cittadinanza e il rispetto dei diritti umani. Per questa ragione credo che non vi sia possibilit di uscita dalla crisi economica se si ammettono ricadute che contemplino livelli inferiori di tutela dei diritti fondamentali. E questo tanto pi vero se riferito ai diritti umani delle donne. Questa duplice consapevolezza alla base di ogni azione e politica attiva di intervento per la prevenzione e repressione della violenza contro le donne e la violenza domestica. 2. La dimensione del fenomeno e la sua definizione giuridica. Consiglio dEuropa: la Raccomandazione Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati Membri sulla protezione delle donne dalla violenza. Il primo elemento di analisi deve essere incentrato su quelle che sono le elaborazioni, gli studi e le azioni del Consiglio dEuropa, sia per la sua ampia rappresentativit (include ben 47 paesi membri facenti parte del continente europeo), sia per la missione. Il Consiglio dEuropa - costituito nel 1949, nellimmediato dopoguerra - si pone infatti come obiettivo di favorire la creazione di uno spazio democratico e giuridico comune in Europa, nel rispetto della Convenzione europea dei Diritti dellUomo (CEDU) e di altri testi di riferimento relativi alla tutela dellindividuo. La tutela dei diritti umani fondamentali delle donne e la parit di genere, attuata mediante lapplicazione della CEDU, rientra pertanto a pieno titolo nelle finalit istituzionali del Consiglio dEuropa. A fronte di una copiosa attivit di studio, elaborazione e produzione di atti, prevalentemente aventi natura di risoluzioni e raccomandazioni, si evidenzia tuttavia una scarsa capacit di incidere in termini di efficacia nel determinare la regressione del fenomeno. Gli atti di maggior rilievo emanati del Consiglio dEuropa sono la Raccomandazione Rec (2002) 5 del Consiglio dei Ministri agli stati Membri sulla protezione delle donne dalla violenza, adottata il 30 aprile 2002 e la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica del 2011. La Raccomandazione Rec (2002) 5 costituisce il primo atto di analisi e definizione giuridica del fenomeno ed introduce un approccio globale e trasversale al problema: tuttavia data la sua natura la stessa si limita ad indicare una priorit politica agli Stati, senza imporre agli stessi specifici vincoli (soft law). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 La Convenzione - viceversa - il primo strumento vincolante per gli Stati aderenti, che attribuisce cogenza ai mezzi e alle azioni gi contemplate dalla Raccomandazione, rendendo pi incisivo lapproccio multidisciplinare ed integrato. Con la Raccomandazione Rec (2002)5 il Consiglio dEuropa recepisce sia lelaborazione dei movimenti femministi in ambito internazionale sia i principi fondamentali contenuti nelle Convenzioni internazionali di lotta e contrasto alla violenza di genere. Mi riferisco, sul piano dogmatico e di pensiero, agli studi di Diana Russell (1) sul Femicidio e di Marcela Lagarde (2) sul Femminicidio, elaborati nel corso degli anni Novanta, in cui si individua la stretta correlazione tra la violenza e lessere donna della vittima e, dunque, la matrice maschilista e patriarcale del crimine. Dal punto di vista giuridico il punto di partenza senza dubbio la Convenzione Cedaw per lEliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 (3) e la Piattaforma di Azione della Conferenza ONU di Pechino del 1995. Detta complessa elaborazione dommatica, e la conseguente produzione giuridica in ambito internazionale, consente di affermare che i) la violenza di genere - quale atto palesemente discriminatorio - compressione o negazione del godimento da parte delle donne dei diritti umani e delle libert fondamentali conformemente ai principi generali di diritto inter- (1) Nel libro Femicide: The Politics of woman killing, prima ancora che fossero disponibili indagine statistiche sul fenomeno, utilizza in ambito criminologico e metagiuridico il termine Femmicidio (femicide) per indicare la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne, intesa quale violenza estrema da parte delluomo contro la donna perch donna. Il concetto di femmicidio si estende aldil della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine. La teoria di Diana Russell diviene universalmente nota ed utilizzata da numerose scienziate per analizzare le varie forme di femmicidio (delitto donore, lesbicidio, ecc.). (2) Il termine Femminicidio (femminicidio) quindi riconducibile al pensiero di Marcela Lagarde La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale - che comportano limpunit delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con luccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute allinsicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia. (3) Nel 1989 la raccomandazione n. 12 del Comitato Cedaw specifica che la violenza contro le donne rientra fra i temi di interesse della Convenzione. Nel 1992 la Raccomandazione 19 chiarisce che entro la definizione di discriminazione compresa la violenza di genere, vale a dire la violenza che diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonch la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione della libert. 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 nazionale o alle convenzioni sui diritti umani (4); ii) che la stessa violenza di genere costituisce un importante problema strutturale della societ fondato su impari rapporti di potere fra le donne e gli uomini. Di qui la necessit di un coinvolgimento anche degli uomini e della previa rimozione degli ostacoli alluguaglianza di genere, di natura culturale, sociale ed economica. La Raccomandazione Rec (2002) 5 preceduta da unampia fase di studio e di monitoraggio. Le analisi del fenomeno effettuate nei vari Paesi e raccolte dal Consiglio dEuropa presentano un volto nascosto della violenza nei confronti delle donne: certo che, per tutti i tipi di violenza, il numero dei casi denunciati e registrati sensibilmente inferiore alla realt. Dunque la stima secondo la quale una donna su sei, in Europa, stata vittima di violenza almeno una volta nella vita testimonia solo laspetto visibile del fenomeno. Appare allora evidente che qualsiasi approccio o azione politica presupponga la creazione di un clima sociale di fiducia e sostegno psicologico alle donne per convincerle ad uscire dal silenzio e dalla vergogna. Le caratteristiche generali del fenomeno riscontrate dal Consiglio dEuropa sono luniversalit e il carattere multiforme. La violenza contro le donne riguarda infatti tutti i paesi, tutte le classi sociali, pu colpire persone di qualsiasi et, etnia, religione, quale che sia la loro situazione professionale o personale, o la loro appartenenza ad una minoranza nazionale. Inoltre la violenza pu assumere diverse forme: fisica, verbale, sessuale, psicologica, economica e morale; pu essere perpetrata allinterno della famiglia o entro le mura domestiche nella comunit in generale. Alcune situazioni critiche, quali la disoccupazione e la povert, lalcoolismo, le crisi politiche, le forti migrazioni e i conflitti armati costituiscono fattori aggravanti nella misura in cui le donne trovandosi in situazione di precariet divengono un bersaglio privilegiato. Le violenze - che spesso sono il frutto della combinazione di diversi comportamenti aggressivi - hanno quasi sempre conseguenze durevoli sullequilibrio fisico e/o psichico delle vittime. Gli studi effettuati dal Consiglio dEuropa riservano unattenzione del tutto peculiare alla violenza nei confronti delle bambine, che assume caratteri ancor pi drammatici e sommersi. (4) Tali diritti e libert comprendono: a) Il diritto alla vita; b) il diritto a non essere sottoposte a tortura n a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; c) Il diritto ad una pari protezione ai sensi delle norme umanitarie in tempo di conflitto armato interno o internazionale; d) il diritto alla libert e alla sicurezza della propria persona; e) il diritto ad una pari protezione da parte della legge; f) il diritto alla parit nella famiglia; g) il diritto al pi alto livello possibile di salute fisica e mentale; h) il diritto a condizioni di lavoro giuste e favorevoli. Viene poi chiarito nella Raccomandazione che la Convenzione si applica alla violenza perpetrata dalle autorit pubbliche. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 Sul piano delle definizioni la Raccomandazione opta per unaccezione ampia e comunque non esaustiva. A tal fine si afferma che il termine violenza contro le donne designa qualsiasi azione di violenza fondata sullappartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere in atto simili azioni, la costrizione, la privazione arbitraria della libert, sia nella vita pubblica che in quella privata. Questa definizione si applica, ma non circoscritta, alle azioni seguenti: a. La violenza perpetrata allinterno della famiglia o delle mura domestiche ed in particolare le aggressioni di natura fisica o psichica, gli abusi di tipo emotivo o psicologico, lo stupro e labuso sessuale, lincesto, lo stupro fra coniugi, partner abituali, partner occasionali o conviventi, i crimini commessi in nome dellonore, la mutilazione degli organi genitali o sessuali femminili, cos come le altre pratiche tradizionali dannose per le donne, quali i matrimoni forzati; b. La violenza perpetrata nella comunit in generale ed in particolare lo stupro, gli abusi, le molestie sessuali e le intimidazioni sul luogo di lavoro, nelle istituzioni o in altri luoghi, la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale; c. La violenza perpetrata o tollerata dallo Stato o dagli agenti della forza pubblica; d. La violenza dei diritti fondamentali delle donne in situazioni di conflitto armato, in particolare la presa di ostaggi, la deportazione, lo stupro sistematico, la schiavit sessuale, la gravidanza forzata e la tratta ai fini di sfruttamento sessuale ed economico. La Raccomandazione, come gi chiarito, uno strumento di soft law in virt del quale il Consiglio dEuropa sollecita gli Stati membri alla revisione delle proprie legislazioni e alladozione di piani di azione nazionali, di carattere trasversale e coordinato, volti alla prevenzione e repressione del fenomeno. Dunque, tale strumento ha assunto un profondo significato culturale, simbolico, politico e metodologico, che ha influenzato le successive politiche, anche in ambito UE, pur non esplicando effetti diretti negli ordinamenti dei singoli Stati Parti. 3. La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica. Diverso, in termini di efficacia e cogenza, lo strumento della Convenzione, che assurge a rango di vincolo nei confronti dello Stato, anche in riferimento alla potest legislativa ordinaria, in quanto derivante da obblighi internazionali ai sensi dellart. 117/1 Cost. Il Consiglio dEuropa ha adottato ad Istanbul l11 maggio 2011 la Con- 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 venzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica. In tale Trattato - in linea di continuit con la Raccomandazione Rec (2002) 5 - si riconosce che il raggiungimento delluguaglianza di genere de jure e de facto un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne; che la violenza contro le donne una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione; si riconosce altres la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e in quanto meccanismo sociale cruciale per mezzo del quale le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini. La Convenzione elenca quindi tra le varie gravi forme di violenza, la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti commessi in nome del cosiddetto "onore" e le mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parit tra i sessi; constata altres le ripetute violazioni dei diritti umani nei conflitti armati che colpiscono le popolazioni civili, e in particolare le donne, sottoposte a stupri diffusi o sistematici e a violenze sessuali e il potenziale aggravamento della violenza di genere durante e dopo i conflitti. Riconosce che le donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini e che la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato: ricorda infine che i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all'interno della famiglia. Dal punto di vista classificatorio la Convenzione - anche qui in linea di continuit con la Raccomandazione Rec (2002) 5 - stabilisce che per violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libert, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; che inoltre per violenza domestica si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano allinterno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che lautore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Le azioni contemplate dalla Convenzione possono essere classificate, rispettivamente, in : 1) Prevenzione (media, stereotipi culturali, educazione, politiche di uguaglianza di genere); CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 2) Protezione (formazione professionale, rete di sostegno, assistenza sanitaria e legale, pronto intervento, valutazione e gestione dei rischi); 3) Repressione (previsione di fattispecie penali); 4) Monitoraggio (osservatorio, raccolta dei dati, statistiche); 5) Integrazione delle singole politiche (coordinamento tra istituzioni e ONG.). Di particolare interesse in questa sede mi appare la disciplina sulle figure professionali e sui servizi di supporto, nellambito delle politiche di prevenzione e protezione. Larticolo 15 riguarda la Formazione delle figure professionali. Gli Stati firmatari devono fornire e rafforzare un'adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria. Particolare rilievo assume nella formazione la cooperazione coordinata interistituzionale, al fine di consentire una gestione globale e adeguata degli orientamenti da seguire nei casi di violenza. La Convenzione prevede inoltre (art. 16) programmi di intervento di carattere preventivo e di trattamento rivolti agli autori degli atti di violenza, con particolare riguardo ai reati di natura sessuale, imponendo tuttavia che la sicurezza, il supporto e i diritti umani delle vittime siano una priorit e che tali programmi, se del caso, siano stabiliti ed attuati in stretto coordinamento con i servizi specializzati di sostegno alle vittime. Stante il profondo legame tra violenza e stereotipi culturali la Convenzione prevede (art. 17) una serie di attivit di partecipazione da parte dei media e del settore privato allelaborazione e attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignit. Particolare attenzione dedicata alla previsione degli obblighi generali di protezione e sostegno per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza. In tale prospettiva sono contemplati adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorit giudiziarie, i pubblici ministeri, le autorit incaricate dellapplicazione della legge, le autorit locali e regionali, le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni o entit competenti, al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza. Occorre inoltre che tali misure, mediante servizi di supporto generale e speciale, siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro pi ampio contesto sociale; mi- 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 rino ad evitare la vittimizzazione secondaria; mirino ad accrescere lautonomia e lindipendenza economica delle donne vittime di violenze; consentano, se del caso, di disporre negli stessi locali di una serie di servizi di protezione e di supporto; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili. Per servizi di supporto generali, destinati a facilitare il recupero, si intendono le consulenze legali e un sostegno psicologico, unassistenza finanziaria, alloggio, istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di un lavoro. Le vittime debbono avere accesso ai servizi sanitari e sociali, dotati di risorse adeguate e di figure professionali adeguatamente formate per fornire assistenza alle vittime e indirizzarle verso i servizi appropriati anche al fine di aiutarle a sporgere denuncia. Riguardo ai servizi di supporto specializzati, secondo una ripartizione geografica appropriata, gli Stati Parti possono istituire servizi di supporto immediato specializzati, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza, case rifugi, linee telefoniche di sostegno. Lart. 25, afferente il supporto alle vittime di violenza sessuale, indica la creazione di centri di prima assistenza adeguati, facilmente accessibili e in numero sufficiente, per le vittime di stupri e di violenze sessuali, che possano proporre una visita medica e una consulenza medico-legale, un supporto per superare il trauma e dei consigli. Per evitare il rischio di isolamento delle vittime la Convenzione sollecita altres il ricorso alle testimonianze e alle segnalazioni, da parte delle figure professionali, alle organizzazioni o autorit competenti, qualora abbiano ragionevoli motivi per ritenere che sia stato commesso un grave atto di violenza. La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica stata recentemente firmata dallo Stato Italiano in seguito alle forti pressioni dei movimenti di donne e di alcune forze parlamentari: allo stato si in attesa della ratifica. Rester poi affidato alla discrezionalit del legislatore italiano definire le modalit di organizzazione dei servizi socio assistenziali e lindividuazione dei livelli concreti di tutela, nel rispetto degli obblighi e dei principi discendenti dalla Convenzione. 4. Le politiche comunitarie e gli strumenti dellUE. Il processo di consolidamento dei Trattati UE ha portato verso una progressiva accentuazione delle competenze comunitarie in materia di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini europei e ad una chiarificazione dei criteri di riparto rispetto alle competenze dei singoli Stati membri. Il principio della parit di genere e il divieto di discriminazioni sessiste sono stati progressivamente riconosciuti quali valori comuni dellUnione Europea e dunque affermati sia dal Trattato UE (art. 2) sia dalla Carta dei Diritti CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 Fondamentali dellUnione Europea (artt. 21 e 23). Tuttavia oramai principio consolidato che la Carta dei Diritti Fondamentali dellUnione Europea, a differenza della CEDU, avente valenza di obbligo internazionale convenzionale, trovi applicazione nellambito di procedure di interpretazione ed applicazione dei soli atti dellUnione e/o comunque nellattuazione delle politiche attive di derivazione comunitaria. In tale contesto la Commissione UE, con la Carta delle Donne 2010, ha introdotto nella strategia di attuazione della parit di genere, anche la lotta e il contrasto alla violenza contro le donne. Parimenti il Consiglio dellUnione Europea, nel Patto Europeo di Genere 2010 - 2015, ha evidenziato la stretta connessione tra la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, da un lato, e la Carta delle Donne 2010 della Commissione, dallaltro. Anche in tale atto ribadita la centralit della lotta alla violenza di genere per un rafforzamento democratico ed economico dellUnione. Le azioni per il raggiungimento dei citati obiettivi - e dunque per la realizzazione di uno spazio comune di eguaglianza, sicurezza e giustizia - sono condizionate dalle disposizioni del Trattato UE che regolano lesercizio delle funzioni comunitarie. Il trattato di Lisbona introduce infatti una classificazione precisa che distingue tre competenze principali (5): le competenze esclusive (articolo 3 del TFUE): le competenze concorrenti (articolo 4 del TFUE) e le competenze di sostegno (articolo 6 del TFUE). Vi sono poi le competenze specifiche in alcuni settori quali il coordinamento delle politiche economiche e occupazionali (articolo 5 del TFUE) (6): la PESC (articolo 24 del trattato sullUE) (7). Lesercizio delle competenze (5) Competenze esclusive (articolo 3 del TFUE): solo lUE pu legiferare e adottare atti vincolanti in questi settori, il ruolo degli Stati membri quindi soltanto quello di dare applicazione a questi atti, a meno che lUnione non li autorizzi ad adottare autonomamente taluni atti; (articolo 4 del TFUE): lUE e gli Stati membri possono adottare atti vincolanti in tali settori. Tuttavia gli Stati membri possono esercitare la loro competenza soltanto nella misura in cui lUE non ha o ha deciso di non esercitare la propria; le competenze di sostegno (articolo 6 del TFUE): lUE pu solamente sostenere, coordinare o completare lazione degli Stati membri. LUnione non dispone dunque di potere legislativo in questi settori e non pu interferire nellesercizio delle competenze riservate agli Stati membri. (6) LUE dispone di una competenza per assicurare le modalit di tale coordinamento. Deve altres definire gli orientamenti rivolti agli Stati membri. (7) LUE dispone di una competenza relativa a tutti i settori collegati alla PESC. Definisce e attua detta politica anche per il tramite del presidente del Consiglio europeo e dellalto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, i cui rispettivi ruoli e status sono riconosciuti dal trattato di Lisbona. Ci nonostante lUE non pu in nessun caso adottare atti legislativi in questo settore. Inoltre la Corte europea di giustizia non ha la competenza per deliberare in questo settore; la clausola di flessibilit (articolo 352 del TFUE), permette allUE di andare al di l del potere dazione che le attribuito dai trattati, se necessario per raggiungere lobiettivo prefissato. Tale clausola regolata da una procedura rigida e da talune restrizioni relative alla sua applicazione. 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dellUnione subordinato a tre principi fondamentali enunciati nellarticolo 5 del Trattato sullUE: il principio di attribuzione: lUnione dispone soltanto delle competenze che le sono attribuite dai Trattati; il principio di proporzionalit: lesercizio delle competenze dellUE si limita a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati; il principio di sussidiariet: nel caso delle competenze concorrenti, lUE pu intervenire solamente se in grado di agire in modo pi efficace rispetto agli Stati membri. Tale premessa consente di comprendere per quale ragione talune azioni in tema di contrasto alla violenza di genere rientrino nella competenza specifica dellUE - nellobiettivo di raggiungere una piena ed effettiva parit fra i sessi (8) - mentre altre azioni sono in via principale rimesse alla discrezionalit e responsabilit degli Stati membri: il caso dellorganizzazione dei propri servizi socio-sanitari ovvero della legislazione in sede penale. Tale riparto di competenze spiega anche il perch non esista una direttiva organica e multisettoriale contro la violenza nei confronti delle donne. Quindi, il quadro positivo, di diritto derivato, ampiamente variegato. In applicazione dei principi dei Trattati risulta particolarmente copiosa la produzione di raccomandazioni e risoluzioni (soft law) nonch di atti normativi - vincolanti per gli stati membri - costituiti principalmente da Direttive, ma limitatamente a talune materie. In particolare le Direttive sono volte a contrastare le discriminazioni di genere in ambito lavorativo, retributivo, di sicurezza sociale, di accesso alle forniture di beni e servizi. Di particolare rilievo poi lOrdine di Protezione Europeo (OPE) che riconosce uguale tutela alle vittime dei reati in tutta lUE. LOPE uno strumento che si fonda sul principio del reciproco riconoscimento nellambito della cooperazione giudiziaria penale tra gli stati membri rivolto in particolare a garantire protezione alle donne vittime di violenze, molestie, rapimento, stalking e tentato omicidio. Pi recentemente stata emanata la Direttiva che istituisce Norme minime in materia di diritti assistenza. LUnione Europea ha poi avviato un programma specifico cd. Daphne, articolato in tre distinte fasi temporali, volto a finanziare azioni mirate per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per proteggere le vittime e i gruppi a rischio, nellambito del programma generale Diritti fondamentali e giustizia. Ci che colpisce che a tale copiosa produzione di atti, di varia natura e (8) Carta delle donne adottata dalla Commissione europea nel marzo del 2010; strategia per luguaglianza tra donne e uomini per il periodo 2010 2015. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 genere - e conseguenti stanziamenti pubblici - non corrisponda una regressione del fenomeno n un sostanziale superamento delle discriminazione de facto ancora esistenti in ogni ambito della vita pubblica e privata. La causa primaria, allora, ancora oggi riconducibile allimpianto strutturale, pericolosamente sbilanciato da punto di vista di genere, su cui si fonda il potere e la forza decisionale ai vari livelli di governo, e dunque la stessa organizzazione familiare, sociale ed economica. Come si vedr questa lanalisi di fondo che ha ispirato le leggi organiche spagnole. 5. Gli Stati membri: il caso della Spagna. Gli Stati Europei hanno legiferato in vario modo per reprimere il fenomeno della violenza contro le donne: in alcuni casi con interventi settoriali di natura legislativa, ad esempio con modifiche integrative al codice penale, in altri casi con vere e proprie leggi organiche. Non tutti gli Stati hanno approntato Piani Nazionali o recepito le migliori pratiche internazionali di gestione dei centri antiviolenza. Il carattere variegato esistente in ambito europeo dipende certamente dalle politiche assistenziali e sanitarie attuate dai singoli Stati, dai relativi finanziamenti pubblici, dal tipo di relazioni interistituzionali e dai rapporti di collaborazione con gli attori pubblici e privati. Un rilievo fondamentale svolgono inoltre i media e le istituzioni coinvolte nellistruzione e nelleducazione, ma anche nei percorsi formativi e professionali. Una tra le legislazioni pi avanzate considerata quella spagnola. In particolare la Legge Organica n. 1/2004 sulle Misure di protezione contro la violenza di genere e la Legge Costituzionale 3/2007 del 22 marzo per la Parit effettiva tra gli uomini e le donne. Come si evince dalla Relazione il contenuto della legge n. 1/2004 abbraccia sia gli aspetti preventivi, educativi, sociali, assistenziali e di sostegno alle vittime, sia la normativa civile che afferisce alla sfera familiare o della convivenza, dove prevalentemente si verificano le aggressioni. Si affronta, ugualmente in modo deciso, il sistema delle pene che devono essere comminate a tutte le manifestazioni di violenza che questa legge regola. La violenza di genere inquadrata dalla Legge in modo integrale e multidisciplinare, iniziando dal processo di socializzazione e di educazione. La conquista delluguaglianza ed il rispetto della dignit umana e della libert della persona sono intesi come obiettivi prioritari per lintera societ. Tuttavia nella definizione di violenza di genere il legislatore privilegia il contesto delle relazioni affettive e di vita domestica: la presente legge ha come oggetto lazione contro la violenza che come manifestazione della discriminazione della situazione dineguaglianza e di relazioni di potere degli uomini 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 verso le donne esercitata su queste ultime da coloro che sono o sono stati loro congiunti oppure da coloro che sono o sono stati legati a queste ultime da una relazione affettiva analoga incluso i casi di assenza di coabitazione. Aspetti peculiari degni di nota sono la previsione di specifiche misure di sensibilizzazione, prevenzione e individuazione nellambito educativo (9); nel settore della pubblicit e dei mezzi di comunicazione (10); nellambito sanitario (11). Segue la parte relativa alla garanzia dei diritti, senza discriminazioni di sorta. In particolare sono contemplati i diritti allinformazione, tenendo conto delle peculiari condizioni personali e sociali delle vittime; il diritto allassistenza sociale integrale (dattenzione, soccorso, accoglienza e recupero integrale) gestita dalle Comunit Montane e dagli Organismi locali, in coordinamento con le altre istituzioni competenti; lassistenza legale gratuita e i corsi di specializzazione per gli avvocati; i diritti al lavoro e allassistenza sociale; i diritti delle funzionarie pubbliche alla modifica degli orario lavoro e alla mobilit geografica; i diritti economici da riconoscere alle donne vittime di violenza quali gli aiuti sociali, di accesso allalloggio e alle residenze pubbliche per anziani. Una particolare attenzione poi dedicata alla tutela costituzionale, attuata mediante listituzione di una Delegazione Speciale del Governo contro la violenza sulla Donna, di un Osservatorio dello Stato e di Unit specializzate delle forze e corpi di polizia. La tutela penale si articola mediante linasprimento di molte fattispecie penali e attraverso politiche di riorganizzazione territoriale dellamministrazione della giustizia con istituzione dei Tribunali della violenza della donna e della figura del Pubblico Ministero ad hoc, oltre a strumenti di semplificazione e accelerazione dei processi. Sono poi contemplati, per le ipotesi meno gravi, sistemi - di natura strutturale - di trattamento degli uomini autori della violenze di genere. Si tratta di istituti gi ampiamente sperimentati nella gran parte degli altri Paesi europei e documentati nellambito del progetto Work with perpetrators of domestic violence, Daphne II, finanziato dalla Commissione Europea (12). La successiva Legge spagnola n. 3/2007 del 22 marzo per la Parit effettiva tra gli uomini e le donne, di rango costituzionale, concepita in rapporto di rafforzamento della L. 1/2004, prevede che il sistema educativo, in ogni li- (9) Principi e valori in ogni fase del processo educativo e formativo: rispetto dei diritti e delle libert, principio di eguaglianza tra i sessi, tolleranza e coabitazione, soppressione stereotipi sessisti e promozione effettiva delleguaglianza , formazione iniziale e permanente dei professori. Rappresentanze entro i Consigli Scolastici e poteri ispettivi. (10) Viene qualificata illecita la pubblicit vessatoria e/o discriminatoria; previsioni circa la legittimazione ad agire in capo a Istituzioni e enti rappresentativi per linterruzione pubblicitaria. (11) Formazione operatori, sostegno alla diagnosi precoce; Piani Nazionali della Sanit integrati. (12) Si tratta di 170 programmi riferibili da 19 paesi Europei e raccolti nel data base dedicato. A ci si aggiunge la produzione del Documento Standards nel lavoro con gli uomini maltrattanti 2008. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 vello e grado, includa tra le proprie finalit listruzione nel rispetto dei diritti e delle libert fondamentali e nella parit di diritti e opportunit tra le donne e gli uomini. Analogamente, al fine di combattere le discriminazioni anche de facto esistenti, il medesimo sistema educativo include, tra i principi di qualit, leliminazione degli ostacoli che avversano la parit effettiva tra le donne e gli uomini e la promozione della piena parit tra le une e gli altri. Seguono misure specifiche in ordine al raggiungimento di uneguaglianza e parit di genere in ogni settore della vita pubblica e privata. Il quadro generale sopranazionale, brevemente descritto nelle linee generali, suggerisce che eventuali futuri interventi normativi in materia siano supportati da politiche attive di formazione, sensibilizzazione ed educazione nel riconoscimento e rispetto delle differenze e della parit di genere. Un processo indubbiamente lungo e faticoso. Credo inoltre che le misure di intervento nel settore culturale, educativo e formativo desumibili dalla legge spagnola possano fornire importanti spunti per una riflessione condivisa che sia alla base della produzione normativa italiana. Nutro viceversa forti perplessit in ordine allorganizzazione e scelta di modelli gestionali dei servizi socio-assistenziali - esclusivamente pubblicistici in Spagna - e in ordine ad una articolazione dellamministrazione degli organi giudiziari costituita da Tribunali speciali, attese le differenze strutturali e i limiti costituzionali che contraddistinguono il nostro ordinamento rispetto a quello spagnolo. 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 La politica energetica europea: Dalle origini alle pi recenti evoluzioni Mario Antonio Scino* SOMMARIO: 1. Loriginaria mancanza nel Trattato istitutivo della Comunit economica europea di disposizioni espressamente concernenti lenergia. 2. Il progressivo aumentare in sede comunitaria dellattenzione verso i problemi generali dellenergia in conseguenza dei c.d. shock petroliferi. 3. Limpatto dellAtto unico europeo sulle questioni generali dellenergia. 4. Le disposizioni del Trattato CEE legittimanti, in mancanza di una specifica attribuzione di competenza in materia di energia, gli interventi delle Istituzioni comunitarie nel settore energetico. 5. La svolta di Maastricht: lindividuazione espressa di una generale competenza comunitaria in materia di energia. 6. Il Trattato di Lisbona: il salto di qualit verso una politica energetica dellUnione di tipo globale ed integrato. 7. Le pi recenti evoluzioni della politica energetica europea. 1. Loriginaria mancanza nel Trattato istitutivo della Comunit economica europea di disposizioni espressamente concernenti lenergia. La competenza dellUnione europea in materia di politica energetica unacquisizione assai recente del diritto comunitario c.d. originario (ossia, come noto, del diritto dei Trattati), essendo stata espressamente prevista solo con il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Il Trattato istitutivo della Comunit economica europea, dunque, non conteneva, originariamente, alcuna disposizione espressamente concernente lenergia, n di carattere generale, n tantomeno di carattere specifico, ossia relativa ai comparti energetici non contemplati dai Trattati speciali. Per contro, il Trattato istitutivo della CECA (Comunit europea del carbone e dellacciaio) del 1951 ed il Trattato istitutivo della CEEA (Comunit europea dellenergia atomica) del 1957, entrambi di portata settoriale, riguardavano in modo preminente, se non esclusivo, temi energetici, attuando un livello di integrazione molto avanzato, con lattribuzione alle Istituzioni comunitarie di ampie funzioni di intervento. Col senno di poi, pu certo destare stupore che, mentre si disegnavano due apposite comunit consacrate - per intero luna, parzialmente laltra - a specifiche fonti di energia, il Trattato CEE, quello di valenza generale, serbasse un silenzio assoluto riguardo allenergia in quanto tale; ci che ha fatto affermare a taluno che lenergia rappresenta per la Comunit un vero paradosso (1). (*) Avvocato dello Stato. (1) C. BLUMANN, nergie et Communauts europennes, Premire Partie, in Rev. trim. droit. europ., 1984, p. 571. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 In realt, le ragioni di tale silenzio possono essere comprese se solo si consideri il contesto storico-economico in cui furono costituite le Comunit europee: in quel contesto, quando il problema della scarsit delle risorse di energia non era ancora attuale, non avendo le crisi mondiali energetiche ancora messo a nudo la debolezza dei sistemi basati principalmente sulle importazioni petrolifere n la sostanziale interdipendenza dei vari settori energetici, ben poteva ritenersi sufficiente aver provveduto a disciplinare quelle fonti che, per motivi diversi (risorsa europea il carbone; risorsa del futuro latomo), sembravano le sole meritevoli di specifica considerazione (2). Inoltre, va considerato che, allepoca dellistituzione delle Comunit europee i rapporti che i vari Stati membri intrattenevano con i Paesi produttori di petrolio erano di carattere essenzialmente bilaterale e che esistevano profonde differenze nei sistemi nazionali di produzione e distribuzione di energia elettrica, sia quanto a fonti energetiche utilizzate, sia quanto a tipologia degli operatori presenti sul mercato (3). 2. Il progressivo aumentare in sede comunitaria dellattenzione verso i problemi generali dellenergia in conseguenza dei c.d. shock petroliferi. Una maggiore attenzione, in sede comunitaria, ai problemi generali dellenergia, che si traduce ben presto nellesigenza di elaborare una politica energetica comune a livello europeo (4), anche al di fuori dei settori rientranti nellambito di applicazione dei due Trattati speciali, pu riscontrarsi a partire dagli anni 1973-1974, quando gli eventi legati al c.d. primo shock petrolifero rivelano in modo drammatico il problema della dipendenza energetica della Comunit dallestero. Limprovviso rialzo dei prezzi sui mercati dei prodotti petroliferi induce i paesi consumatori a riflettere seriamente sulla dimensione economica della questione energetica: non seulement lՎnergie devient un produit rare, mais encore, son cot lev risque de dstabiliser les conomies europennes, largement tributaires, pour leur approvisionnement nergtique, de lextrieur (5). Per far fronte alla contingenza della crisi petrolifera del 1973-1974 la Comunit - che sin dai primi anni Sessanta aveva sostanzialmente abbandonato (2) Cfr. G.G. GENTILE, La strada italiana al mercato europeo dellenergia elettrica, in Rass. giur. energia elettr., 1995, p. 303. (3) Cfr. G. CAIA - N. AICARDI, voce Energia, in Trattato di Diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G. GRECO, Parte speciale, tomo II, Milano, 1997, p. 676. (4) Sul fondamento giuridico e sullevoluzione della politica energetica comunitaria, v., tra gli altri, L. CARTOU, La politique de lՎnergie, in Rev. trim. droit. europ., 1983, p. 523 ss.; E. LAMANDA, La CEE e lattivit energetica, in AA. VV., Il governo dellenergia, direzione di S. CASSESE, Rimini, 1992, p. 217 ss.; C. CANEVARI, La politica dellenergia, in U. DRAETTA (a cura di), Elementi di diritto comunitario, Parte speciale, Il diritto sostanziale della Comunit Europea, Milano, 1995, p. 293 ss. (5) C. BLUMANN - G. JOLY, Energie et Communauts europennes, Deuxime Partie, in Rev. trim. droit. europ., 1986, p. 614. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 ogni tentativo di integrazione energetica globalista - comincia a tracciare le prime linee di una politica comune, che si manifesta nellapprovazione della Risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1974, volta a formulare i primi obiettivi comunitari di politica energetica, per il periodo fino al 1985 (la Risoluzione si proponeva essenzialmente lo scopo di ridurre il grado di dipendenza degli Stati membri dallenergia importata, migliorando la sicurezza delle forniture e riducendo lonere economico), seguita dalla Risoluzione del 13 febbraio 1975, concernente i mezzi da porre in opera per raggiungere tali obiettivi. Peraltro, soltanto con il c.d. secondo shock petrolifero, susseguente allo scoppio della guerra Iran-Irak, che si viene a creare una situazione irreversibile. Il Consiglio, spinto dalla necessit, adotta la Risoluzione del 9 giugno 1980, concernente gli obiettivi di politica energetica della Comunit per il 1990 e la convergenza delle politiche degli Stati membri, in cui conferma nella sostanza le proprie scelte strategiche del 1974 e provvede ad affinare ed attualizzare gli obiettivi individuati. 3. Limpatto dellAtto unico europeo sulle questioni generali dellenergia. Linteresse verso le questioni generali dellenergia andato poi crescendo con il trascorrere degli anni, soprattutto a seguito delladozione dellAtto unico europeo nel febbraio 1986. LAtto unico, come noto, in grandissima parte uno strumento modificativo dei Trattati CEE, CECA e CEEA: oltre a norme recanti emendamenti o sostituzioni di quelle precedentemente in vigore, contiene norme che completano la normativa iniziale (6). Anchesso, tuttavia, non conteneva alcuna disposizione che regolasse direttamente la materia dellenergia. Ciononostante, esso ha impresso una forte accelerazione al processo di integrazione dei singoli mercati energetici nazionali, e ci per aver posto quale suo principale obiettivo linstaurazione, entro il 31 dicembre 1992, del mercato interno, ovvero di uno spazio senza frontiere interne, nel quale assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (art. 8 A, cpv., del Trattato CEE (7), oggi art. 26 TFUE), cos rilanciando la costruzione del mercato comune voluta dal Trattato di Roma del 1957. Lindividuazione dellobiettivo di instaurare il mercato interno, e soprattutto lindicazione della relativa scadenza (8), hanno incoraggiato la Commissione ad intensificare lopera di studio e di elaborazione di proposte volte a rimuovere progres- (6) SullAtto unico europeo e sulle innovazioni istituzionali e sostanziali con esso introdotte, si vedano, tra gli altri, J.DE RUYT, LActe Unique Europen, in Rev. march comm., 1986, p. 307 ss.; T. BALLARINO, Gli Accordi di Lussemburgo e lAtto Unico Europeo, in Jus, 1992, p. 139 ss.; L. DANIELE, Il Trattato di Roma e lAtto unico a confronto: qualche considerazione, ivi, p. 145 ss. (7) Larticolo 8 A stato aggiunto dallart. 13 (Il Trattato CEE completato dalle disposizioni seguenti) dellAtto unico europeo. (8) Cfr. in tal senso F. CAPOTORTI, Normativa comunitaria ed energia elettrica, in Rass. giur. energia elettr., 1990, p. 892. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 sivamente le barriere nazionali poste alla realizzazione di un mercato interno dellenergia; ed a conseguire cos gli scopi (di sicurezza nellapprovvigionamento, di riduzione dei costi e di aumento della competitivit) assegnati al processo di integrazione comunitaria nellambito in considerazione (9). In vista del conseguimento dellobiettivo del completamento del mercato interno fissato per il 1992, lintegrazione dei singoli mercati energetici nazionali, ossia la realizzazione di un mercato comune dellenergia, liberato dagli ostacoli esistenti agli scambi, ha assunto una fondamentale rilevanza. Una volta assunto che lenergia non sfuggisse alla regola comune di cui allart. 8 A del Trattato CEE, lobiettivo globale del 1992 non risultava completamente raggiungibile senza unintegrazione dei singoli mercati energetici nazionali, che li aprisse alla concorrenza (10). Lenergia, infatti, rappresenta spesso una quota consistente dei costi di produzione e la compartimentazione dei suoi mercati rischia di danneggiare determinate industrie. 4. Le disposizioni del Trattato CEE legittimanti, in mancanza di una specifica attribuzione di competenza in materia di energia, gli interventi delle Istituzioni comunitarie nel settore energetico. Anche in mancanza di una specifica attribuzione di competenza in materia di energia e specialmente a partire dalla seconda met degli anni Ottanta del secolo scorso, per effetto della forte accelerazione impressa dallAtto unico europeo al processo di formazione e completamento del mercato interno, la Comunit ha potuto assumere iniziative e compiere passi anche importanti nel settore energetico. A prima vista, considerando che la Comunit non un ordinamento a fini generali, ma si fonda sullattribuzione di competenze specifiche ( caratterizzato, cio, dal principio detto delle competenze di attribuzione, il quale, fondamentalmente, implica che le Istituzioni della Comunit possano agire se non nellambito di competenze specificamente previste), sarebbero potute sembrare discutibili le iniziative comunitarie in un settore astrattamente rimasto nella competenza degli Stati membri. Peraltro, gli interventi comunitari nel campo dellenergia si sono rivelati ampiamente giustificabili attraverso largomentazione che tali interventi rinvenissero adeguato fondamento in diverse disposizioni del Trattato. In particolare - come in parte anticipato - nelle norme relative allinstaurazione e al funzionamento del mercato interno, e pi in ge- (9) M. POLITI, voce Energia nel diritto comunitario, in Digesto Disc. Pubbl., vol. VI, Torino, 1991, p. 2. (10) In argomento cfr. L. MEZZETTI, Europa 1992: realizzazione del mercato interno e integrazione del settore energetico comunitario, in Not. giur. reg., 1990, p. 137 ss.; L. HANCHER, P. A. TREPTE, Competition and the Internal Energy Market, in Eur. Comp. Law Rev., 1992, n. 4, p. 149 ss.; M.C. BOUTAARD- LABARDE, La construction du march europen de lՎnergie: la logique du droit communautaire de la concurrence, in Rev. nergie, 1994, p. 321 ss. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 nerale nelle norme che tutelano la libert di concorrenza fra le imprese (11). appena il caso di osservare che a tali due insiemi normativi corrisponde il complesso di poteri che costituiscono il nucleo essenziale delle competenze comunitarie. Secondo questa prospettiva, dunque, limpulso rivolto alla creazione di un mercato energetico integrato stato riguardato nel quadro pi ampio delle azioni comunitarie finalizzate alla creazione del mercato interno. Per altro verso, poich le imprese di produzione e di distribuzione di energia sono certamente da annoverare fra quelle operanti sul mercato comunitario, le competenze rivolte ad assicurare la libert di concorrenza fra le imprese sono risultate esercitabili nei loro riguardi. In funzione della realizzazione di un mercato europeo dellenergia aperto alla concorrenza, un peso notevole stato attribuito alla natura giuridica dellenergia. Cos, lenergia elettrica, stata qualificata, in sede di giurisprudenza comunitaria, dapprima per implicito (12) e poi espressamente (13), come una merce ai sensi dellart. 30 del Trattato CEE (oggi art. 34 TFUE). Orbene, evidente che, qualificando lenergia elettrica come una merce o un prodotto avente un suo mercato, i relativi problemi di scambi fra gli Stati membri sono riconducibili alle norme del Trattato sulla circolazione delle merci e che, pi in generale, in virt di tale sua affermata natura giuridica, essa risulta assoggettata allambito di applicazione dellart. 8 A del Trattato CEE, l dove prevista la realizzazione del mercato interno, ed alle regole di concorrenza. La qualificazione nel senso indicato dellenergia elettrica si rivelata dunque di fondamentale importanza, in quanto essenzialmente da essa che ha tratto fondamento il concetto di mercato interno dellenergia, ovvero di un mercato unico, privo di frontiere, in cui lenergia potesse costituire libera (11) Cfr. in tal senso F. CAPOTORTI, Normativa comunitaria, cit., p. 888; A. LOLLI, Riserva dimpresa e diritto comunitario. I monopoli elettrici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1993, p. 95; G. CAIA - N. AICARDI, voce Energia, cit., p. 679. (12) Corte di giustizia delle Comunit europee, sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, F. Costa c. Enel, in Racc., 1964, p. 1127 (la si pu leggere anche in Foro it., 1964, IV, c. 137 ss., con nota di N. CATALANO, Portata dei trattati istitutivi delle Comunit europee e limiti dei poteri sovrani degli Stati membri, c. 152 ss.). (13) Corte di giustizia delle Comunit europee, sentenza 27 aprile 1994, causa C-393-92, Comune di Almelo e altri c. NV Energiebedrijf Ijssellmij, in Racc., 1994, p. I-1477 (la si pu leggere anche in Rass. giur. energia elettr., 1994, p. 786 ss., con nota di G.P. TAGARIELLO, Accordi che ostacolano limportazione di elettricit e nozione di servizio dinteresse generale in una recente decisione della Corte di Giustizia, p. 794 ss.). La qualificazione dellenergia elettrica come merce ai sensi del Trattato CE ed il suo conseguente assoggettamento alle disposizioni del Trattato stesso relative alla libera circolazione delle merci sono state ribaditi espressamente anche nella sentenza 23 ottobre 1997, causa C-158/94, Commissione delle Comunit europee c. Repubblica italiana, in Racc., 1997, p. I-5789 (la si pu leggere, in parte, anche in Rass. giur. energia elettr., 1997, p. 848 ss., con nota di S. SANTI, Diritti esclusivi di importazione e di esportazione di energia elettrica e nozione di servizio dinteresse economico generale in una recente sentenza della Corte di Giustizia, p. 860 ss.), nella quale la Corte ha al riguardo richiamato sia la sentenza Costa che quella Comune di Almelo. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 merce di scambio (14) Peraltro, va rilevato che la qualificazione dellenergia come merce, o la sua equiparazione al prodotto, non elide comunque il carattere di servizio - ossia la qualificazione come tale - della prestazione continuativa di energia, data la evidente riconducibilit di tale prestazione sia alla definizione - per quanto residuale - di servizio, contenuta nellart. 60 del trattato CEE [oggi art. 57 TFUE](15), sia alla categoria dei servizi dinteresse economico generale delineata nel successivo art. 90 [oggi art. 106 TFUE] (16). Da questo punto di vista, dunque, hanno assunto rilievo anche le norme del Trattato riguardanti la libera circolazione dei servizi. Muovendo dal presupposto che lenergia ed i servizi ad essa relativi sono sottoposti alle norme del Trattato al pari di qualsiasi altra merce o di qualsiasi altro servizio, le Istituzioni comunitarie, pur senza avere, come visto, specifici poteri a disposizione, hanno potuto legittimamente porre in essere i loro interventi nella materia energetica, e ci anche sul piano propriamente normativo. Oltre alla serie di norme e di competenze sin qui richiamate, le Istituzioni comunitarie, per adottare atti volti a regolare i diversi aspetti della tematica dellenergia, hanno fatto frequentemente ricorso alla norma di cui allart. 235 del Trattato CEE (oggi art. 352 TFUE) - esprimente il principio concernente i cosiddetti poteri impliciti della Comunit - secondo cui quando unazione comunitaria sia necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunit, senza che il Trattato abbia previsto i poteri richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando allunanimit e dopo aver consultato il Parlamento europeo, autorizzato a prendere le disposizioni del caso. Infine, unaltra norma del Trattato capace di produrre un risultato di espansione delle competenze comunitarie nominate, e che quindi ha offerto agli organi comunitari un importante strumento di intervento nella materia dellenergia, stata rappresentata dallart. 100. Si tratta della norma che attribuisce al Consiglio unanime il potere di stabilire direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano unincidenza diretta sullinstaurazione o sul funzionamento del mercato comune. 5. La svolta di Maastricht: lindividuazione espressa di una generale competenza comunitaria in materia di energia. Lindividuazione espressa di una generale competenza comunitaria in ma- (14) Cfr. L. RAZZITTI, Principi ed evoluzione della normativa e della politica comunitaria in tema di energia elettrica, in Rass. giur. energia elettr., 1996, p. 632. (15) Tale articolo stabilisce che ai sensi del Trattato si considerano come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. (16) Cos G.G. GENTILE, La strada italiana, cit., p. 305. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 teria di energia si comunque avuta con il Trattato sullUnione europea - sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993 (17) - che, modificando ed integrando il testo del Trattato CEE, ha inserito tra le attribuzioni della Comunit europea anche ladozione di misure in materia di energia (art. 3, lett. t, TCE, come sostituito dallart. G, B. par. 3, TUE), nonch dettato alcune specifiche disposizioni in cui si fa espressa menzione dellenergia. Cos, pi in particolare, a seguito del Trattato sullUnione europea: - lazione che la Comunit pone in essere per adempiere al proprio compito (cos come formulato nellart. 2 TCE), comporta anche misure in materia di energia (art. 3, lett. t, TCE, cit.), ancorch tale azione debba procedere secondo i principi della sussidiariet e della proporzionalit (art. 3 B TCE); - deve svilupparsi unazione della Comunit diretta a promuovere lincentivazione della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee (art. 3, lett. n, TCE); e ci con speciale riferimento al settore delle infrastrutture dellenergia (oltre che dei trasporti e delle telecomunicazioni) (art. 129 B TCE); - la politica ambientale della Comunit pu indirettamente condizionare la materia energetica, anche se le misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dellapprovvigionamento energetico del medesimo possono essere adottate solo allunanimit dal Consiglio (art. 130 S TCE). Invero, la semplice menzione, nel testo, come rivisto a Maastricht, del Trattato che istituisce la Comunit europea, della competenza comunitaria ad adottare misure in materia di energia, non accompagnata da alcuna indicazione di principi, obiettivi e forme di esercizio della stessa, pur venendo a fornire una base giuridica certa agli atti comunitari in subiecta materia, non ha introdotto innovazioni di rilievo nelle condizioni di esplicazione della politica energetica n ha messo nuovi strumenti nelle mani delle Istituzioni comunitarie (18), che rimanevano cos quelli utilizzabili sulla base delle disposizioni vi- (17) La bibliografia relativa al Trattato di Maastricht vastissima. Ex plurimis, cfr.: Y. DOUTRIAUX, Le Trait sur lUnion Europenne, Paris, 1992; U. EVERLING, Reflections on the Structure of European Union, in Comm. mark. law. rev., 1992, p. 1053 ss.; E. MOAVERO MILANESI, Il Trattato di Maastricht e le novit che comporta: spunti di compendio e brevi riflessioni, in Dir. comun. scambi internaz., 1992, p. 7 ss.; M.P. CHITI, Il Trattato sullUnione europea e la sua influenza sulla Costituzione italiana, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1993, p. 343 ss.; J. CLOOS, G. REINESCH, D. VIGNES, J. WEYLAND, Le Trait de Maastricht: gense, analyse, commentaires, Bruxelles, 1993; V. CONSTANTINESCO, La structure du Trait instituant lUnion europenne - Les dispositions communes et finales - Les nouvelles comptences, in Cah. droit europ., 1993, p. 251 ss.; C. CURTI GIALDINO, Il Trattato di Maastricht sullUnione europea: genesi, struttura, contenuto, processo di ratifica, Roma, 1993; R. DEOHUSSE, La Communaut Europenne aprs Maastricht: vers un nouvel equilibre institutionnel?, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1993, p. 1 ss.; U. DRAETTA, Il Trattato di Maastricht e le prospettive dellintegrazione europea, in Riv. comm. internaz., 1993, p. 5 ss.; A. TIZZANO, Appunti sul Trattato di Maastricht: struttura e natura dellUnione europea, in Foro it., 1995, IV, c. 210 ss. (18) Cfr. G. CAIA - N. AICARDI, voce Energia, cit., p. 678. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 genti dei Trattati che istituiscono le Comunit europee (19). Altrettanto non a dirsi, invece, per quel comparto della materia energetica costituito dalle reti transeuropee di energia (elettrodotti, gasdotti, oleodotti, ecc.), con riferimento al quale il Trattato UE, come emerge dalle disposizioni richiamate, ha attribuito alle Istituzioni comunitarie competenze specifiche e peculiari. Gli che, anche a seguito dellinserimento, con la revisione di Maastricht, nel testo del Trattato CE, di previsioni normative facenti espressa menzione dellenergia, le misure comunitarie nella materia de qua hanno potuto essere adottate soltanto ricorrendo a poteri dazione di carattere generale ed orizzontale ovvero utilizzando strumenti contemplati per altri ambiti materiali, di cui il profilo energetico costituisca una componente. Anche dopo Maastricht, pertanto, i provvedimenti comunitari nella materia energetica sono stati assunti, fondamentalmente, nellesercizio dei poteri relativi allinstaurazione e al funzionamento del mercato interno ed alla tutela e promozione della concorrenza. cos che la Comunit, muovendo dalla premessa che i prodotti energetici e i servizi che vi corrispondono sono prodotti e servizi come gli altri ed al pari di questi sono quindi soggetti alle norme del Trattato, si posta, ormai da un quindicennio, quale obiettivo fondamentale e privilegiato della propria azione in campo energetico, la piena realizzazione del mercato interno e la promozione della concorrenza, al fine di assicurare, sia per le imprese che per i cittadini, la disponibilit di energia al minor prezzo ed alle migliori condizioni. 6. Il Trattato di Lisbona: il salto di qualit verso una politica energetica dellUnione di tipo globale ed integrato. Peraltro, la tappa pi importante del processo comunitario di costituzionalizzazione della materia energia certamente costituita dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009 (20). Tale Trattato, che segna la (19) Cos testualmente recita la dichiarazione n. 1 allegata allAtto finale del Trattato sullUnione europea. (20) Molto vasta la letteratura gi formatasi sul nuovo Trattato europeo. Limitandosi alle opere alle opere monografiche o collettanee, si possono richiamare: J. ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007; AA.VV., Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona, a cura di M.C. BARUFFI, Padova, 2008; M. DONY, Aprs la rforme de Lisbonne. Les nouveaux traits europens, Bruxelles, 2008; F. X. PRIOLLAUD D. SIRITZKY, Le trait de Lisbonne, Paris, 2008; J.L. SAURON, Comprendre le Trait de Lisbonne, Paris, 2008; AA.VV., La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, a cura di P. BILANCIA M. DAMICO, Milano, 2009; AA.VV., Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi studi sulla Costituzione europea, Quaderni della Rassegna di diritto pubblico europeo, n. 5, 2010; AA.VV., Europa: Costituzione o Trattato per suo Fondamento? Sul Trattato di Lisbona e i suoi sviluppi, a cura di M.M. FRACANZANI S. BARONCELLI, Napoli, 2010; AA.VV., Il Trattato di Lisbona tra conferme e novit, a cura di C. ZANCGHI L. PANELLA, Torino, 2010; AA.VV., Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, a cura di F. BASSANINI G. TIBERI, 2a ed., Bologna, 2010; M. FRAGOLA, Il Trattato di Lisbona, Milano, 2010. 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 conclusione di diversi anni di negoziati sulla riforma istituzionale, modifica il Trattato sullUE e il Trattato che istituisce la Comunit europea, senza tuttavia sostituirli. Il primo mantiene il suo titolo attuale, mentre il secondo viene ad essere denominato Trattato sul funzionamento dellUnione europea (TFUE). Lart. 4 TFUE inserisce lenergia e lambiente nellelenco di competenze concorrenti tra Unione e Stati membri. Va evidenziato che il Trattato di Lisbona migliora la capacit di azione dellUE in diversi settori prioritari: in ambiti come la politica energetica, la salute pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici, i servizi di interesse generale, la ricerca, lo spazio, la coesione territoriale, la politica commerciale, gli aiuti umanitari, lo sport, il turismo e la cooperazione amministrativa. Su energia e ambiente lUnione potr legiferare in maniera diretta in materie come lo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico. In questo scenario il ruolo del Parlamento Europeo non sar solo consultivo ma decisionale. Vengono introdotti per la prima volta e risultano quindi una novit assoluta: - il riferimento alla promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dellambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici; - il riferimento, in ambito energetico, allo spirito di solidariet tra gli Stati membri e alla promozione dell'interconnessione delle reti energetiche. Come stato efficacemente osservato (21), Siamo di fronte a un importante salto di qualit nel processo di integrazione europea, influenzato, come emerge anche dai lavori preparatori, dalla crescente urgenza di risolvere la sicurezza dellapprovvigionamento, del costo dellenergia e della sostenibilit ambientale. LUE potr sviluppare azioni positive anche attraverso le sinergie tra ambiente ed energia generate dalla nuova competenza sancita dal Trattato in tema di lotta ai cambiamenti climatici allart. 191 del TFUE. Con specifico riguardo allenergia, il Trattato di Lisbona rappresenta un strumento importante per lUE che consente di promuovere la sicurezza dellapprovvigionamento energetico, oltre allincremento dellutilizzo di risorse sostenibili e competitive (22). Un capitolo specifico del trattato, il nuovo Titolo XXI e larticolo 194 del TFUE, introducono una base giuridica ad hoc per la politica dellUnione in tale settore. In particolare, larticolo 194 definisce i principali ambiti e gli obiettivi generali della politica energetica: - funzionamento del mercato dell'energia, - sicurezza dell'approvvigionamento energetico, (21) C. CORAZZA, Ecoeuropa Le nuove politiche per lenergia e il clima, Milano, 2009, p. 11. (22) A. DI PIPPO, I beni pubblici europei: energia e ambiente, Astrid, 2009. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 - efficienza e risparmio energetico, - sviluppo di energie nuove e interconnessione delle reti. Viene introdotto per la prima volta il principio di solidariet, per far s che un paese che si trovi in gravi difficolt in termini di approvvigionamento energetico possa contare sullaiuto degli altri Stati membri. La procedura legislativa ordinaria prevista per le misure tese a garantire il funzionamento del mercato dellenergia e la sicurezza dellapprovvigionamento energetico nellUnione, nellambito di una politica a sostegno del risparmio energetico, dellefficienza energetica, dello sviluppo di energie nuove e rinnovabili e dellinterconnessione tra reti energetiche. Resta ferma, tuttavia, la non incidenza dei provvedimenti assunti dallUnione sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura dellapprovvigionamento energetico del medesimo. Lintroduzione di una specifica base giuridica per lenergia pu tradursi in un prezioso strumento per rafforzare la natura globale e integrata della nuova politica energetica dellUnione. Sulla base del nucleo storico della dimensione interna dei mercati dellenergia elettrica e del gas, si inseriranno, acquistando sempre pi importanza, strategie legate alla sostenibilit ambientale e alla dimensione esterna dellenergia, con particolare evidenza attribuita alla problematica della sicurezza degli approvvigionamenti (23). Per valutare la reale portata innovativa dellarticolo 194 del Trattato di Lisbona necessario considerarla nellambito del processo dintegrazione europeo nel settore energetico. vero che Larticolo 194 TFUE non crea ex novo una competenza comunitaria, mirando piuttosto a consolidare una competenza comunitaria che, ormai per prassi consolidata, veniva esercita in via di fatto ricorrendo a una pluralit di fondamenti normativi (24). Questo, per, non significa sminuire la portata delle novit introdotte dal Trattato. Al contrario, grazie al nuovo quadro normativo, la politica energetica dellUnione trover finalmente la sua base giuridica ad hoc. Le Istituzioni comunitarie, ad esempio, non dovranno pi dimostrare che ladozione delle misure energetiche, sia necessaria al raggiungimento di uno degli scopi previsti dal Trattato. Non bisogna dimenticare che lestensione della procedura di co-decisione alla competenza energetica incrementer il ruolo del Parlamento Europeo nella formazione degli atti in materia di energia. Di conseguenza: Larticolo 194 TFUE potr dunque rivelarsi un importante strumento di garanzia per un ap- (23) M. BOCACCIMARIANI G.M. PIANA, Energia e ambiente nel Trattato di Lisbona, in AA.VV., Il Trattato di Lisbona: genesi, struttura e politiche europee, I Quaderni europei, n. 28/2011, p. 18. (24) M. LOMBARDO, Limpatto del Trattato di Lisbona sulla politica energetica europea, in Diario Europeo n. 1-2/2009, p. 53. 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 proccio globale e coerente della legislazione europea e potr offrire una nuova legittimazione politica allazione dellUnione in materia di energia (25). 7. Le pi recenti evoluzioni della politica energetica europea. Da quanto sopra esposto emerge dunque lorizzonte dellart. 194 TFUE, che, oltre ad una pi chiara demarcazione dellazione dellUnione nel settore energetico, almeno sul piano astratto, offre a questultima un ampio raggio dazione. LUnione del dopo Lisbona in poi, sicuramente legittimata a dotarsi di una propria politica energetica e ad intervenire cos sulle pi complesse questioni dellenergia nel rispetto dellambiente e in uno spirito di solidariet fra Stati. Con la sottoscrizione del Trattato di Lisbona, in effetti, si ulteriormente intensificato il dibattitito europeo sugli obiettivi e gli strumenti delle politiche energetiche. Ci, invero, anche a fronte della cresciuta preoccupazione per gli alti prezzi del petrolio e del gas naturale, e per la dipendenza dei Paesi UE dalle importazioni di idrocarburi provenienti da un numero limitato di paesi, e per il riscaldamento del pianeta. Le priorit della politica energetica dellUnione Europea, peraltro, risultano gi indicate nel Libro verde sullenergia pubblicato dalla Commissione europea nel 2006. Esse sono: a) garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici (security of supply); b) limitare la dipendenza dalle importazioni di idrocarburi (competitiveness); c) coniugare le politiche energetiche con il contrasto al cambiamento climatico (sustainability). Alla luce di queste priorit, il 10 gennaio 2007, la Commissione ha definito un pacchetto integrato di misure, convergenti nella strategia detta del 20- 20-20 entro il 2020: a) riduzione del 20% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990; b) aumento dellefficienza energetica pari al 20% del consumo totale di energia primaria; c) incremento della quota del consumo energetico proveniente dalle energie rinnovabili fino al 20% del totale. Per lattuazione di questi obiettivi, lUnione europea ha successivamente adottato il c.d. pacchetto clima-energia, approvato dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2008 e composto da un regolamento, quattro direttive tra cui la direttiva 2009/29/CE e una decisione (26). (25) M. LOMBARDO, Limpatto del Trattato di Lisbona, cit., p. 54. (26) In argomento, cfr., amplius, D. CALDIROLA, Energia, clima e generazioni future, in Amministrare, 2009, p. 281 ss., e B. POZZO, Le politiche comunitarie in campo energetico, in B. POZZO (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie, cit., p. 64 s. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 Il 13 novembre 2008 la Commissione ha inoltre reso pubblica una Second Strategic Energy Review, che contiene un nuovo gruppo di misure volte soprattutto a garantire la sicurezza energetica, integrando cos le misure relative al 20-20-20 entro il 2020. Con specifico riferimento alla sicurezza degli approvvigionamenti, va evidenziato che lUnione europea, per garantire tale priorit, tale obiettivo, agisce essenzialmente su due fronti, uno interno (politiche di domanda e offerta) e laltro esterno (relazioni con i Paesi produttori e di transito). Sul piano interno, le istituzioni UE europee perseguono due obiettivi: a) il contenimento della domanda di energia degli Stati membri e b) la promozione dellautosufficienza energetica, soprattutto tramite lo sviluppo di fonti alternative ai combustibili fossili. Per quel che riguarda le politiche di domanda, limpegno dellUE si concentra soprattutto sullefficienza e il risparmio energetico. Gi da qualche anno lUnione sta sviluppando una fitta rete di direttive volte a favorire lefficienza energetica. Al riguardo, il Piano dazione per lefficienza energetica (2007- 2012), adottato dalla Commissione il 19 ottobre 2006, ha identificato importanti opportunit di risparmio nei settori delledilizia, delle industrie manifatturiere, della conservazione dellenergia e dei trasporti, fissando lobiettivo di ridurre entro il 2020 il consumo annuo di energia primaria del 20% rispetto alle proiezioni sul consumo energetico per quello stesso anno. Per quel che concerne lautosufficienza energetica, la strategia relativa alla sua promozione si incentra sul potenziamento della produzione domestica di risorse, indipendentemente dal fatto che esse provengano dagli idrocarburi, da fonti rinnovabili o dallenergia nucleare. Unenfasi particolare posta, peraltro, sulle energie rinnovabili, che sono unalternativa fondamentale ai combustibili fossili che lUE importa in grandi quantit. Lo sviluppo delle energie rinnovabili viene infatti considerato fondamentale perch contribuirebbe sia a ridurre le emissioni di gas serra sia a mitigare la dipendenza dallestero dellUnione (27). Gli sforzi dellUE per far fronte allinsicurezza energetica tramite soluzioni interne non sono tuttavia sufficienti a garantire un sicuro approvvigionamento di risorse. Poich oltre tre quarti del fabbisogno energetico europeo vengono soddisfatti dai combustibili fossili - petrolio, gas naturale e carbone, i quali sono in larga misura importati - il concetto di sicurezza energetica si traduce innanzitutto nellesigenza di garantire un flusso continuo di importazioni ad un prezzo ragionevole. Ne consegue che la politica energetica dellUE (27) Dal 1997 a oggi, il contributo delle energie rinnovabili al consumo di energia dellUE pi che raddoppiato, specialmente grazie a fonti quali il vento, le biomasse3 e lenergia solare. Malgrado ci, le energie rinnovabili costituiscono attualmente solo circa il 7% del consumo interno di energia dellUe. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 deve anche basarsi su una dimensione esterna incentrata sulla cooperazione e sullaccordo con i paesi esportatori, oltre che con quelli di transito e con i maggiori consumatori. In verit, la dipendenza energetica dallestero non costituisce di per s un grave problema, ma tende a divenirlo nella misura in cui, in un contesto di crescente competitivit globale, le risorse energetiche si concentrano in pochi paesi produttori, o di transito, retti da regimi politici alquanto instabili o non democratici. Questo il caso soprattutto del petrolio e del gas naturale, la cui dipendenza dalle importazioni crescente. LUE ha sviluppato una fitta rete di dialoghi bilaterali e regionali con i paesi produttori di energia, i paesi consumatori e di transito. Tra questi, la relazione pi importante rimane indubbiamente quella con la Russia, principale fornitore di idrocarburi per molti paesi europei (28). Tra i dialoghi regionali, si segnala, poi, il Forum euro-mediterraneo sullenergia attivo dal 1998. Tra gli obiettivi del forum si ricordano ladesione dei paesi nord-africani alla Carta dellEnergia, la riforma del loro sistema legislativo, regolamentare e industriale in linea con gli standard UE, lo sviluppo sostenibile e lintegrazione dei mercati energetici del Mediterraneo con quelli dellUE. Rilevante poi il dialogo UE-OPEC, lanciato nel 2005 con lintento di creare una piattaforma di discussione sui prezzi, gli investimenti e lo sviluppo di nuove tecnologie. Ad esso collegata una serie di relazioni bilaterali con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo e altri importanti produttori, come lIraq. Parallelamente, si fa sempre pi forte linteresse dellUE nei confronti dei produttori di gas e petrolio della regione del Mar Nero e del Mar Caspio con i quali, dal 2001, lUE condivide il programma di trasporto di gas e petrolio intra-statale conosciuto come INOGATE (si tratta di un accordoquadro in cui lEuropa si impegna a stimolare gli investimenti in queste regioni in cambio di garanzie di approvvigionamento). Sul continente europeo, lUE coordina le sue politiche energetiche con la Norvegia, allinterno di un intenso dialogo che comprende possibili esplorazioni nel Mare di Barents, la legislazione relativa al mercato interno dell'energia, la ricerca e lo sviluppo tecnologico del settore. Infine, vale la pena citare gli accordi coi paesi di transito delle rotte energetiche, quali lUcraina e la Moldavia. Questa fitta rete di dialoghi e cooperazioni regionali serve allUE per diversificare lorigine delle sue importazioni. Tuttavia, la tendenza degli Stati membri a priviliegiare i rapporti bilaterali (28) Il dialogo UE-Russia sullenergia stato lanciato nel 2000 con obiettivi molto ambiziosi: la sicurezza delle forniture e della domanda, una maggiore apertura del mercato russo dellenergia, la costruzione di infrastrutture per il trasporto e il collegamento di reti elettriche, la creazione di un ambiente favorevole agli investimenti in Russia, la cooperazione sul riscaldamento climatico, il risparmio di energia e la sicurezza nucleare. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 con i Paesi fornitori di energia limita la capacit di azione dellUnione. Le difficolt che lUE incontra nel perseguire con la massima efficacia una politica energetica comune dipendono anche dal non ancora avvenuto completamento di un autentico mercato unico dellenergia. La creazione di un mercato interno dellenergia tra le priorit dellUnione europea. Secondo la Commissione, una maggiore integrazione avrebbe leffetto di aumentare la concorrenza e quindi ridurre i prezzi, nonch di facilitare laccesso al mercato anche alle imprese di piccole dimensioni e a quelle che investono in energie rinnovabili. Una rete energetica europea sicura e solida dovrebbe garantire una migliore qualit dei servizi; favorire gli investimenti nelle infrastrutture; contribuire alla diversificazione delle vie di trasporto e delle fonti di energia, e quindi, in ultima istanza, alla sicurezza degli approvvigionamenti. Il mercato interno dellenergia, inoltre, una condizione essenziale perch lUE si doti di unautentica politica comune nei confronti dei principali fornitori di energia. Le basi per la creazione di un mercato unico per lenergia sono state poste alla fine degli anni Novanta, con la direttiva 96/92/CE relativa al mercato interno dellelettricit, e con la direttiva 98/30/CE relativa al mercato del gas. Il processo di integrazione ha per conosciuto unaccelerazione solo nel 2003, con le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, rispettivamente per lelettricit e per il gas naturale. Queste hanno introdotto il diritto di accesso non discriminatorio da parte di terzi alle reti di trasporto e di distribuzione, nonch agli impianti di gas naturale liquefatto. Inoltre, la legislazione del 2003 (ricompresa nel c.d. Secondo Pacchetto Energia) ha previsto la trasformazione dei gestori delle reti in entit legali distinte dalle imprese di fornitura e di produzione (c.d. unbundling). Al fine di dare alle imprese la possibilit di adattarsi, la Commissione ha scelto un approccio bens graduale, ma che avrebbe dovuto permettere ai consumatori industriali di scegliere liberamente i propri fornitori dal primo luglio 2004 e a quelli privati dal primo luglio 2007. Tuttavia, unindagine settoriale del 2006 sul funzionamento dei mercati del gas e dellelettricit rilevava la persistenza di notevoli distorsioni della concorrenza che impedivano, soprattutto alle imprese, di poter beneficiare pienamente dei vantaggi della liberalizzazione (29). Si riscontrava in primo luogo la sussistenza di un elevato livello di concentrazione di mercato, con poche e grandi compagnie dominanti i due settori in questione; in secondo luogo, queste stesse compagnie continuano a detenere il controllo della produzione e della distribuzione, determinando quindi il li- (29) Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 10 gennaio 2007, Una politica energetica per lEuropa, COM(2007) 1 def.; Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, del 10 gennaio 2007, Prospettive del mercato interno del gas e dellelettricit, COM(2006) 841 def. 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 vello dei prezzi dellelettricit e bloccando lentrata di nuovi utenti nel mercato elettrico e nel sistema di gasdotti; infine, si notava la frammentazione dei mercati lungo linee nazionali, e dunque la mancanza di una reale integrazione dei settori europei del gas e dellelettricit. Per superare tali criticit, la Commissione ha lanciato, il 17 settembre 2007, un terzo pacchetto legislativo (30), incentrato sui seguenti aspetti: un pi alto livello di separazione delle attivit di produzione e di distribuzione di energia; le competenze e lindipendenza dei regolatori nazionali, nonch la loro cooperazione a livello europeo; lelaborazione di codici commerciali e tecnici comuni per i gestori delle reti di trasporto; la trasparenza del mercato. La necessit di risolvere gli impedimenti che ostacolano la formazione di un mercato unico europeo realmente integrato, hanno anche portato all'istituzione dellACER (Agenzia per la Cooperazione dei Regolatori Nazionali) (31), ad opera del regolamento (CE) n. 713/2009. Il compito essenziale di tale Agenzia quello di coordinare e complementare le attivit dei differenti regolatori nazionali intervenendo sulle materie di portata europea, come ad esempio i gasdotti transfrontalieri. L'ACER pu sia fornire orientamenti-quadro non vincolanti, sia esprimersi in maniera impegnativa sulle condizioni di accesso alle reti transnazionali. Si tentato in questo senso di forzare lintegrazione del mercato europeo, condizionando la prassi consolidata negli Stati membri di gestire la propria politica energetica in prima persona e introdurre allo stesso tempo una figura garante che fosse indipendente sia dai governi nazionali, sia dallUnione Europea. Le misure politiche e normative adottate dallUE dal 2009 hanno inoltre consentito di creare una base forte e solida per la pianificazione delle infrastrutture europee. Il terzo pacchetto sul mercato interno dellenergia ha infatti gettato le basi della pianificazione e degli investimenti nelle reti europee, introducendo lobbligo a carico dei gestori dei sistemi di trasmissione (GST) di cooperare e di elaborare piani decennali regionali ed europei di sviluppo delle reti dellelettricit e del gas nel quadro della rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione ( European Network of Transmission System Operators - ENTSO) e fissando norme sulla cooperazione tra le autorit nazionali di regolamentazione in materia di investimenti transfrontalieri nel quadro dellACER. (30) Il c.d. Terzo Pacchetto Energia si compone di cinque misure normative (regolamento n. 713/2009 che istituisce unAgenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dellenergia, direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE in materia di energia elettrica e gas naturale, e i regolamenti n. 714/2009 e n. 715/2009 in materia di accesso alla infrastrutture di trasmissione / trasporto). (31) Su cui cfr. L. AMMANATI, L'agenzia per la cooperazione tra i regolatori dell'energia e la costruzione del mercato unico dell'energia, in Riv. it. dir. pubbl comun., 2011, p. 675 ss., e G. NAPOLITANO, LAgenzia dellenergia e lintegrazione regolatoria europea, in P. BILANCIA (a cura di), La regolazione dei mercati di settore tra autorit indipendenti nazionali e organismi europei, Milano, 2012, 153 ss. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 In sintesi, dunque, un obiettivo chiave del Terzo Pacchetto rappresentato dal rafforzamento della cooperazione tra regolatori nazionali come anche tra operatori dei sistemi di trasmissione. In questo senso, un ruolo cruciale per laccelerazione della trasformazione del mercato europeo dellenergia in un mercato realmente integrato non potr che essere svolto dallACER, chiamata a rafforzare e rendere pi efficace la regolazione a livello europeo attraverso una nuova forma di cooperazione tra regolatori nazionali e, per questa via, diffondere buone prassi regolatorie e conseguire una maggiore convergenza tra Stati membri, anche normativa. 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Considerazioni a caldo per spunti di riflessione alla sentenza sul regime linguistico nellUe (C. giustizia, Grande Sezione, sent. 27 novembre 2012, causa C-566/10 P, Repubblica italiana c. Commissione europea) Paolo Gentili* La sentenza importante perch una delle poche in cui la Corte mostri finalmente il coraggio di comportarsi da vera Corte costituzionale europea, e non da brutta copia di un Tar di provincia (come continua a fare in tante materie, p. es. negli aiuti di Stato, dove protegge veri abusi di potere della Commissione). Nel merito mi sembra particolarmente rilevante il punto 94 in cui, accogliendo il nostro motivo riassunto nel punto 79, chiarisce che altro la preparazione professionale e altro la preparazione linguistica: i concorsi debbono accertare soprattutto la prima, e questo pi facile se si lasciano i candidati liberi di esprimersi nelle lingue che conoscono meglio. Il solo punto che temo (conoscendo i nostri polli, o meglio, unsere Hhne) il 91: qui la Corte sembra prefigurare la possibilit per la Commissione di redigere non meglio qualificate comunicazioni enuncianti i criteri per una limitazione della scelta di una lingua come seconda lingua per partecipare ai concorsi. Scommettiamo che tra un po ne sforner una, ovviamente nel senso del trilinguismo? Altro aspetto da approfondire la possibilit di usare la sentenza nella lotta pi generale contro il trilinguismo, anche al di fuori dei concorsi. A questo proposito mi sembra importante la secca affermazione dei punti 69 e 74/75, dai quali trarrei il principio che nelle comunicazioni istituzionali rivolte alla generalit degli europei (quali si finalmente chiarito che sono anche i candidati a un concorso) usare senza motivo tre sole lingue costituisce una discriminazione vietata dallart. 21 della Carta. Roma, 27 novembre 2012 LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 27 novembre 2012 nella causa C-566/10 P - Pres. V. Skouris, Rel. A. Rosas, Avv. Gen. J. Kokott - Repubblica italiana (avv. Stato P. Gentili) c. Commissione europea. Impugnazione Regime linguistico Bandi di concorsi generali per lassunzione di amministratori e di assistenti Pubblicazione integrale in tre lingue ufficiali Lingua delle prove Scelta della seconda lingua tra tre lingue ufficiali (...) 1 Con la sua impugnazione, la Repubblica italiana chiede lannullamento della sentenza del Tribunale dellUnione europea del 13 settembre 2010, Italia/Commissione (T 166/07 e T 285/07; in prosieguo: la sentenza impugnata), con la quale tale giudice ha respinto i ricorsi di detto Stato membro intesi allannullamento dei bandi relativi ai concorsi generali EPSO/AD/94/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione, della comunicazione e dei media (GU 2007, C 45 A, pag. 3), EPSO/AST/37/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di assistenti (AST 3) nel settore della comunicazione e dellinformazione (GU 2007, C 45 A, pag. 15), ed EPSO/AD/95/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione (biblioteca/documentazione) (GU 2007, C 103 A, pag. 7) (in prosieguo, congiuntamente: i bandi di concorso controversi). Contesto normativo 2 Gli articoli 1 6 del regolamento (CEE) n. 1 del Consiglio, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunit economica europea (GU 1958, 17, pag. 385), come modificato dal regolamento (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 2006 (GU L 363, pag. 1; in prosieguo: il regolamento n. 1), dispongono quanto segue: Articolo 1 Le lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni dellUnione sono la lingua bulgara, la lingua ceca, la lingua danese, la lingua estone, la lingua finlandese, la lingua francese, la lingua greca, la lingua inglese, la lingua irlandese, la lingua italiana, la lingua lettone, la lingua lituana, la lingua maltese, la lingua olandese, la lingua polacca, la lingua portoghese, la lingua rumena, la lingua slovacca, la lingua slovena, la lingua spagnola, la lingua svedese, la lingua tedesca e la lingua ungherese. Articolo 2 I testi, diretti alle istituzioni da uno Stato membro o da una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti, a scelta del mittente, in una delle lingue ufficiali. La risposta redatta nella medesima lingua. Articolo 3 I testi, diretti dalle istituzioni a uno Stato membro o ad una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti nella lingua di tale Stato. Articolo 4 I regolamenti e gli altri testi di portata generale sono redatti nelle lingue ufficiali. Articolo 5 La Gazzetta ufficiale dellUnione europea pubblicata nelle lingue ufficiali. Articolo 6 Le istituzioni possono determinare le modalit di applicazione del presente regime linguistico nei propri regolamenti interni. 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 3 Gli articoli 1 quinquies, 7, paragrafo 1, primo comma, 24 bis, 27, 28, 29, paragrafo 1, e 45 dello Statuto dei funzionari delle Comunit europee, come modificato dal regolamento (CE, Euratom) n. 723/2004 del Consiglio, del 22 marzo 2004 (GU L 124, pag. 1; in prosieguo: lo Statuto dei funzionari), enunciano quanto segue: Articolo 1 quinquies 1. Nellapplicazione del presente statuto proibita ogni discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle, le origini etniche o sociali, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, lappartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, let o lorientamento sessuale. () 6. Nel rispetto del principio di non discriminazione e del principio di proporzionalit, ogni limitazione di tali principi deve essere oggettivamente e ragionevolmente giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della politica del personale. Tali obiettivi possono in particolare giustificare la fissazione di unet pensionabile obbligatoria e di unet minima per beneficiare di una pensione di anzianit. () Articolo 7 1. Lautorit che ha potere di nomina assegna ciascun funzionario mediante nomina o trasferimento, nel solo interesse del servizio e prescindendo da considerazioni di cittadinanza, ad un impiego corrispondente al suo grado, nel suo gruppo di funzioni. () Articolo 24 bis Le Comunit facilitano il perfezionamento professionale del funzionario, compatibilmente con le esigenze del buon funzionamento dei servizi e conformemente ai loro interessi. Di tale perfezionamento si tiene conto anche ai fini dello svolgimento della carriera. () Articolo 27 Le assunzioni debbono assicurare allistituzione la collaborazione di funzionari dotati delle pi alte qualit di competenza, rendimento e integrit, assunti secondo una base geografica quanto pi ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri delle Comunit. Nessun impiego deve essere riservato ai cittadini di un determinato Stato membro. () Articolo 28 Per la nomina a funzionario, occorre possedere i seguenti requisiti: () f) avere una conoscenza approfondita di una delle lingue delle Comunit e una conoscenza soddisfacente di unaltra lingua delle Comunit nella misura necessaria alle funzioni da svolgere. () Articolo 29 1. Per assegnare i posti vacanti in unistituzione, lautorit che ha il potere di nomina (...) () bandisce un concorso per titoli o per esami, ovvero per titoli ed esami. La procedura di concorso stabilita nellallegato III. Pu essere bandito un concorso anche per costituire una riserva ai fini di future assunzioni. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 () Articolo 45 1. La promozione conferita con decisione dellautorit che ha il potere di nomina in considerazione dellarticolo 6, paragrafo 2. Essa comporta per il funzionario la nomina al grado superiore del gruppo di funzioni al quale appartiene. La promozione fatta esclusivamente a scelta, tra i funzionari che abbiano maturato un minimo di due anni di anzianit nel loro grado, previo scrutinio per merito comparativo dei funzionari che hanno i requisiti per essere promossi. Ai fini dellesame comparativo dei meriti, lautorit che ha il potere di nomina tiene conto, in particolare, dei rapporti dei funzionari, delluso, nellesercizio delle loro funzioni, di lingue diverse da quella di cui hanno dimostrato di possedere una conoscenza approfondita ai sensi dellarticolo 28, lettera f) e, se del caso, del livello di responsabilit esercitate. 2. Precedentemente alla prima promozione successiva allassunzione, i funzionari devono dimostrare la loro capacit di lavorare in una terza lingua tra quelle menzionate allarticolo 314 del Trattato CE. Le istituzioni adottano una regolamentazione di comune accordo per lesecuzione del presente paragrafo. Tale regolamentazione prevede laccesso dei funzionari alla formazione in una terza lingua e fissa le procedure destinate a verificare la loro capacit di lavorare in una terza lingua, conformemente allarticolo 7, paragrafo 2, lettera d) dellallegato III. 4 Gli articoli 1, paragrafi 1 e 2, e 7 dellallegato III dello Statuto dei funzionari cos dispongono: Articolo 1 1. Il bando di concorso stabilito dallautorit che ha il potere di nomina, previa consultazione della commissione paritetica. Il bando deve specificare: a) il tipo di concorso (concorso interno nellambito dellistituzione, concorso interno nellambito delle istituzioni, concorso generale, eventualmente comune a due o pi istituzioni); b) le modalit (concorso per titoli o per esami, ovvero per titoli ed esami); c) la natura delle funzioni e delle attribuzioni relative ai posti da coprire e il gruppo di funzioni ed il grado proposti; d) conformemente allarticolo 5, paragrafo 3, dello statuto, i diplomi e gli altri titoli o il grado di esperienza richiesti per i posti da coprire; e) nel caso di concorso per esami, il tipo degli esami e la loro rispettiva valutazione; f) eventualmente, le conoscenze linguistiche richieste per la particolare natura dei posti da coprire; g) eventualmente, i limiti di et, nonch lelevazione di tali limiti per gli agenti in servizio da almeno un anno; h) il termine entro il quale devono pervenire le candidature; i) eventualmente, le deroghe accordate a norma dellarticolo 28, lettera a) dello statuto. Nei concorsi generali comuni a due o pi istituzioni, il bando di concorso stabilito dallautorit che ha il potere di nomina di cui allarticolo 2, paragrafo 2, dello statuto, previa consultazione della commissione paritetica comune. 2. Per i concorsi generali, si deve pubblicare un bando di concorso nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit Europee almeno un mese prima del termine entro il quale devono pervenire le candidature e, eventualmente, almeno due mesi prima della data fissata per gli esami. 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 3. Tutti i concorsi devono essere resi noti nellambito delle istituzioni delle tre Comunit europee negli stessi limiti di tempo. () Articolo 7 1. Previa consultazione del comitato dello statuto, le istituzioni affidano allUfficio di selezione del personale delle Comunit europee [in prosieguo: lEPSO] lincarico di adottare le misure necessarie ai fini dellapplicazione di norme uniformi nellambito delle procedure di selezione dei funzionari e delle procedure di valutazione e di esame di cui agli articoli 45 e 45 bis dello statuto. 2. L[EPSO] ha il compito di: a) organizzare concorsi generali su richiesta delle singole istituzioni; () d) assumere la responsabilit generale per la definizione e lorganizzazione della valutazione delle capacit linguistiche affinch le esigenze dellarticolo 45, paragrafo 2 dello statuto si attuino in modo armonizzato e coerente. () 5 LEPSO stato creato dalla decisione 2002/620/CE del Parlamento europeo, del Consiglio, della Commissione, della Corte di giustizia, della Corte dei conti, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle regioni e del Mediatore, del 25 luglio 2002 (GU L 197, pag. 53). Ai sensi dellarticolo 2, paragrafo 1, prima frase, di detta decisione, lEPSO esercita i poteri di selezione conferiti, in particolare, in virt dellallegato III dello Statuto dei funzionari alle autorit che hanno il potere di nomina delle istituzioni firmatarie della decisione stessa. Ai sensi dellarticolo 4, ultima frase, della decisione 2002/620, tutti i ricorsi nei settori contemplati da tale decisione sono diretti contro la Commissione europea. 6 Il ruolo dellEPSO stato precisato dallarticolo 7 dellallegato III dello Statuto dei funzionari, che stato aggiunto dal citato regolamento n. 723/2004. Fatti allorigine della controversia 7 Il 28 febbraio 2007, lEPSO ha pubblicato i bandi relativi ai concorsi generali EPSO/AD/94/07 e EPSO/AST/37/07 soltanto nelle edizioni in lingua tedesca, inglese e francese della Gazzetta ufficiale dellUnione europea, al fine di costituire, da un lato, un elenco di riserva destinato alla copertura di posti vacanti presso le istituzioni per amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione, della comunicazione e dei media e, dallaltro, un elenco di riserva destinato alla copertura di posti vacanti presso le istituzioni per assistenti (AST 3) nel settore della comunicazione e dellinformazione. 8 L8 maggio 2007, lEPSO ha pubblicato il bando relativo al concorso generale EPSO/AD/95/07 soltanto nelle edizioni in lingua tedesca, inglese e francese della Gazzetta ufficiale dellUnione europea, al fine di costituire un elenco di riserva destinato alla copertura di posti vacanti, in particolare presso il Parlamento europeo, per amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione (biblioteca/documentazione). 9 Il punto I A dei bandi di concorso controversi, disciplinante le condizioni di ammissione ai test di preselezione, prevedeva, sotto la rubrica Conoscenze linguistiche, che tutti i candidati dovessero avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali dellUnione (in prosieguo: le lingue ufficiali) quale lingua principale e una conoscenza soddisfacente del tedesco, dellinglese o del francese come seconda lingua, obbligatoriamente diversa dalla lingua principale. Era inoltre previsto, sotto la medesima rubrica, CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 che, per garantire la chiarezza e la comprensione dei testi di carattere generale e di tutte le comunicazioni tra lEPSO e i candidati, le convocazioni ai diversi test ed alle prove nonch ogni scambio di corrispondenza tra lEPSO o il segretariato della commissione giudicatrice ed i candidati avrebbero avuto luogo esclusivamente in tedesco, in inglese o in francese. Il punto I B dei bandi di concorso controversi indicava poi che i test di preselezione si sarebbero svolti in tedesco, in inglese o in francese ([seconda] lingua). 10 Il punto II A dei bandi di concorso controversi, relativo alla natura delle funzioni e alle condizioni di ammissione ai concorsi, stabiliva, sotto la rubrica Conoscenze linguistiche , che, per essere ammessi alle prove scritte, i candidati dovevano avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali come lingua principale e una conoscenza soddisfacente del tedesco, dellinglese o del francese come seconda lingua, obbligatoriamente diversa dalla lingua principale. Il punto II B dei bandi di concorso controversi stabiliva inoltre che le prove scritte si sarebbero svolte in tedesco, in inglese o in francese ([seconda] lingua). 11 Il 20 giugno e il 13 luglio 2007, lEPSO ha pubblicato due modifiche ai bandi di concorso controversi in tutte le versioni linguistiche della Gazzetta ufficiale dellUnione europea (C 136 A, pag. 1, e C 160, pag. 14). Nella modifica pubblicata il 20 giugno 2007 era indicato che i candidati dovevano possedere, per il concorso EPSO/AD/94/07, un diploma attestante una formazione universitaria completa di tre anni nel settore in questione, cio quello dellinformazione, della comunicazione e dei media, oppure un diploma attestante una formazione universitaria completa di tre anni in un altro settore, seguita da unesperienza professionale di almeno tre anni in un settore pertinente alla natura delle funzioni da svolgere. Riguardo al concorso EPSO/AST/37/07, era poi indicato che i candidati dovevano avere, secondo il tipo di qualificazione da loro posseduto, unesperienza professionale di tre o sei anni. Nella modifica pubblicata il 13 luglio 2007 era indicato, per il concorso EPSO/AD/95/07, che i candidati dovevano aver compiuto studi di livello universitario di durata triennale nel settore dellinformazione (biblioteca/documentazione) o studi di livello universitario di durata triennale seguiti da una qualificazione specialistica nel detto settore, e che non era richiesta alcuna esperienza professionale. Inoltre, le due modifiche rinviavano espressamente alla versione integrale dei bandi di concorso controversi pubblicati nelle edizioni tedesca, inglese e francese della Gazzetta ufficiale e fissavano nuovi termini per la presentazione delle candidature ai concorsi in parola. Ricorsi dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata 12 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l8 maggio 2007, la Repubblica italiana ha proposto un ricorso inteso allannullamento dei bandi di concorso EPSO/AD/94/07 ed EPSO/AST/37/07. La Repubblica di Lituania intervenuta a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana in tale causa, registrata con il numero di ruolo T 166/07. 13 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 luglio 2007, la Repubblica italiana ha proposto un ricorso inteso allannullamento del bando di concorso EPSO/AD/95/07. La Repubblica ellenica intervenuta a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana in tale causa, registrata con il numero di ruolo T 285/07. 14 Le cause T 166/07 e T 285/07 sono state riunite con ordinanza del 9 novembre 2009 ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza. 15 La Repubblica italiana contestava essenzialmente, in primo luogo, la mancata pubbli- 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 cazione integrale nella Gazzetta ufficiale dellUnione europea dei bandi di concorso controversi nelle lingue ufficiali diverse da quelle tedesca, inglese e francese e, in secondo luogo, larbitraria limitazione a tre lingue soltanto nella scelta della seconda lingua per la partecipazione ai concorsi in questione, per tutte le comunicazioni con lEPSO e per lo svolgimento delle prove. 16 Dopo aver rigettato una domanda di non luogo a provvedere presentata dalla Commissione, il Tribunale ha esaminato, in primo luogo, il motivo di ricorso relativo alla violazione dellarticolo 290 CE e, in secondo luogo, quello attinente alla violazione degli articoli 1, 4, 5 e 6 del regolamento n. 1. In terzo luogo, esso si pronunciato sul motivo di ricorso vertente sulla violazione dei principi di non discriminazione, di proporzionalit e del multilinguismo. Tale motivo, suddiviso in due parti, verteva, nella sua prima parte, sulla conformit ai suddetti tre principi della pubblicazione integrale, nella Gazzetta Ufficiale dellUnione europea, dei bandi di concorso controversi nelle sole lingue tedesca, inglese e francese. La seconda parte del motivo riguardava la conformit a questi stessi principi della scelta della seconda lingua tra le tre lingue fissate per la partecipazione ai concorsi in questione, per tutte le comunicazioni con lEPSO e per lo svolgimento delle prove. In quarto luogo, il Tribunale ha esaminato il motivo relativo alla violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, al fine di verificare se la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dellUnione europea dei bandi di concorso controversi violasse tale principio, dal momento che essa contraddiceva una prassi costante seguita sino al mese di luglio 2005, consistente nel redigere e pubblicare integralmente nella Gazzetta ufficiale dellUnione europea i bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali. Infine, il Tribunale ha esaminato i motivi relativi al difetto di motivazione dei bandi di concorso controversi e allo sviamento di potere. 17 Il Tribunale ha respinto ciascuno dei suddetti motivi di ricorso e, di conseguenza, i ricorsi di annullamento proposti. Conclusioni delle parti nel giudizio di impugnazione 18 La Repubblica italiana chiede che la Corte voglia: annullare la sentenza impugnata; statuire direttamente sulla controversia, annullando i bandi di concorso controversi; condannare la Commissione alle spese. 19 La Commissione chiede che la Corte voglia: respingere limpugnazione; condannare la Repubblica italiana alle spese. 20 La Repubblica ellenica conclude che la Corte voglia accogliere la sua comparsa di risposta, con conseguente annullamento della sentenza pronunciata dal Tribunale il 13 settembre 2010 nelle cause T 166/07 e T 285/07. 21 La Repubblica di Lituania non ha depositato comparsa di risposta. Sullimpugnazione 22 Limpugnazione fondata su sette motivi. Argomenti delle parti Il primo motivo 23 Il primo motivo di impugnazione riguarda la violazione dellarticolo 290 CE e dellarticolo 6 del regolamento n. 1. 24 Esso diretto contro i punti 41 e 42 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha statuito che i bandi di concorso controversi non violavano larticolo 290 CE, in quanto CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 essi erano stati adottati dalla Commissione in virt della competenza riconosciuta alle istituzioni e agli organi comunitari dallarticolo 6 del regolamento n. 1, il quale consente espressamente alle istituzioni di determinare le modalit di applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni. Facendo segnatamente riferimento al paragrafo 48 delle conclusioni presentate dallavvocato generale Poiares Maduro nella causa definita dalla sentenza del 15 marzo 2005, Spagna/Eurojust (C 160/03, Racc. pag. I 2077), ed alla giurisprudenza citata in detto paragrafo, il Tribunale ha statuito nei medesimi punti 41 e 42 che occorreva riconoscere alle istituzioni una certa autonomia funzionale nellesercizio della competenza ad esse conferita dallarticolo 6 del regolamento n. 1, al fine di garantire il loro buon funzionamento. 25 La Repubblica italiana fa valere che il Tribunale ha violato larticolo 290 CE e larticolo 6 del regolamento n. 1, riconoscendo la competenza della Commissione ad adottare i bandi di concorso controversi malgrado che, in primo luogo, nessun regolamento interno sia mai stato adottato dalla Commissione al fine di determinare le modalit di applicazione del citato regolamento n. 1, che, in secondo luogo, un bando di concorso non sia un regolamento interno e che, in terzo luogo, la Commissione, per il tramite dellEPSO, si sia sostituita al Consiglio pretendendo di dettare in via di mera prassi amministrativa un regime linguistico in una materia importante come i concorsi di ammissione alle carriere dellamministrazione dellUnione. 26 La Repubblica ellenica, facendo riferimento alla sentenza del Tribunale della funzione pubblica dellUnione europea del 15 giugno 2010, Pachtitis/Commissione (F 35/08, non ancora pubblicata nella Raccolta), sentenza che, al momento del deposito della comparsa di risposta della Repubblica ellenica, era stata oggetto di unimpugnazione della Commissione, poi respinta dal Tribunale con la sentenza del 14 dicembre 2011, Commissione/ Pachtitis (T 361/10 P, non ancora pubblicata nella Raccolta), sottolinea che lEPSO incompetente a stabilire la lingua di un concorso, non soltanto perch ci finisce per determinare il regime linguistico di unistituzione, pur rientrando tale aspetto nella competenza del Consiglio, ma anche perch le lingue costituiscono il contenuto delle prove e fanno parte delle conoscenze la cui valutazione spetta alla commissione giudicatrice. La Repubblica ellenica si interroga in merito allesistenza di unautonomia funzionale quale rilevata al punto 41 della sentenza impugnata fondata sullarticolo 6 del regolamento n. 1 e riconosciuta alle istituzioni dal Tribunale. Detto Stato membro conclude che il regolamento viene utilizzato per evitare il voto allunanimit richiesto dallarticolo 290 CE. 27 La Commissione sostiene che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto. Essa ricorda che la necessit di riconoscere alle istituzioni una certa autonomia funzionale risulta dalla giurisprudenza della Corte. Pertanto, sarebbe corretta la statuizione del Tribunale secondo cui i bandi di concorso sono unespressione di tale potere di auto organizzazione. Il fatto che la Commissione non abbia adottato disposizioni interne ai sensi dellarticolo 6 del regolamento n. 1 non sarebbe pertinente, in quanto tale disposizione non sarebbe altro che lespressione di un potere di auto organizzazione pi ampio. Il secondo motivo 28 Il secondo motivo di impugnazione riguarda la violazione degli articoli 1 e 4 6 del regolamento n. 1. 29 Esso diretto contro i punti 52 57 della sentenza impugnata. Al punto 52 di tale sentenza, il Tribunale, citando in particolare il punto 60 della sentenza del 5 ottobre 2005, Ra- 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 smussen/Commissione (T 203/03, Racc. FP pagg. I A 279 e II 1287), ha ricordato la costante giurisprudenza secondo cui il regolamento n. 1 non applicabile ai rapporti tra le istituzioni e i loro funzionari e agenti, in quanto fissa unicamente il regime linguistico applicabile tra le istituzioni ed uno Stato membro o una persona che ricade nella giurisdizione di uno degli Stati membri. Al punto 53 della sentenza impugnata, facendo riferimento in particolare al punto 13 della sentenza del 7 febbraio 2001, Bonaiti Brighina/Commissione (T 118/99, Racc. FP pagg. I A 25 e II 97), il Tribunale ha affermato che i funzionari e gli altri agenti delle Comunit, nonch i candidati a tali posti, () sono soggetti unicamente alla giurisdizione comunitaria e, inoltre, che lart. 6 del regolamento n. 1 consente espressamente alle istituzioni di determinare le modalit di applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni. Al punto 54 di detta sentenza, il Tribunale ha giustificato lequiparazione ai funzionari e agli altri agenti delle Comunit dei candidati a tali posti, in materia di regime linguistico applicabile, con la circostanza che tali candidati entrano in relazione con unistituzione unicamente al fine di ottenere un posto di funzionario o di agente per il quale talune conoscenze linguistiche sono necessarie e possono essere imposte dalle disposizioni comunitarie applicabili per assegnare il posto di cui causa. Su tale base, il Tribunale ha concluso, ai punti 55 e 56 della medesima sentenza, che gli artt. 1, 4 e 5 del regolamento n. 1 non si applicano ai bandi di concorso controversi e che [r]ientra () nella responsabilit delle istituzioni la scelta della lingua di pubblicazione esterna di un bando. 30 La Repubblica italiana sottolinea nuovamente che nessun regolamento interno stato adottato dalla Commissione in applicazione dellarticolo 6 del regolamento n. 1. Essa sostiene, inoltre, che un bando di concorso un testo di portata generale ai sensi dellarticolo 4 del regolamento n. 1, dal momento che esso pu interessare la generalit dei cittadini comunitari e che, comunque, il bando la legge particolare del concorso. Ci sarebbe confermato dallarticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, il quale impone la pubblicazione dei bandi di concorso nella Gazzetta ufficiale delle Comunit europee. Detto Stato membro contesta infine lequiparazione dei candidati di un concorso ai funzionari e agli altri agenti, sottolineando che un candidato un cittadino dellUnione, il quale titolare di un diritto pubblico soggettivo fondamentale ad accedere agli impieghi della funzione pubblica dellUnione e che, quando chiede di partecipare ad un concorso per entrare in unistituzione, necessariamente esterno a questultima. 31 La Repubblica ellenica sostiene che esiste una contraddizione tra i punti 41 e 42 della sentenza impugnata con i quali il Tribunale ha concluso che i bandi di concorso controversi erano stati adottati in virt della competenza riconosciuta alle istituzioni dallarticolo 6 del regolamento n. 1 e i punti 52 58 della medesima sentenza con i quali detto giudice ha respinto il motivo di ricorso relativo alla violazione degli articoli 1 e 4 6 del citato regolamento, giudicando che questultimo non fosse applicabile ai rapporti tra le istituzioni dellUnione e i loro funzionari. Secondo la Repubblica ellenica, o il regolamento n. 1 applicabile e allora larticolo 6 del medesimo pertinente o non lo . Detto Stato membro fa inoltre valere come il punto 60 della citata sentenza Rasmussen sia una semplice affermazione che non giustificata e che, in via tralatizia, divenuta giurisprudenza costante. 32 La Commissione sostiene che il Tribunale non incorso in alcun errore di diritto, segnatamente per quanto riguarda lequiparazione dei candidati di un concorso ai funzio- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 nari in ruolo. Un principio siffatto figurerebbe anche nella giurisprudenza della Corte per giustificare lapplicazione delle procedure dello Statuto dei funzionari a coloro che rivendicano tale qualit. Inoltre, un bando di concorso definirebbe le regole applicabili alle persone che sottopongono la propria candidatura, regole che esprimerebbero lesclusivo interesse del servizio e, dunque, i bisogni interni dellistituzione. Un bando siffatto non potrebbe dunque costituire un testo di portata generale. 33 La Commissione sottolinea che lallegato III dello Statuto dei funzionari impone degli obblighi al fine di garantire luguaglianza nellaccesso alle informazioni, e non esprime esigenze linguistiche di forma che caratterizzano il regime esterno, vale a dire le relazioni tra le istituzioni e il mondo esterno. Il terzo motivo 34 Il terzo motivo di impugnazione riguarda la violazione dei principi di non discriminazione, di proporzionalit e del multilinguismo, e segnatamente la violazione dellarticolo 12 CE, dellarticolo 22 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea (in prosieguo: la Carta), dellarticolo 6, paragrafo 3, UE, dellarticolo 5 del regolamento n. 1, dellarticolo 1, paragrafi 2 e 3, dellallegato III dello Statuto dei funzionari e, infine, dellarticolo 230 CE. 35 Detto motivo diretto contro i punti 72 91 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha statuito sulla prima parte di un motivo di ricorso, relativa alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dellUnione europea nelle lingue tedesca, inglese e francese dei bandi di concorso controversi, nonch alla pubblicazione nella citata Gazzetta, in tutte le lingue ufficiali, di modifiche ai suddetti bandi di concorso. 36 Al punto 72 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che non sussistono disposizioni n principi di diritto comunitario che impongano la pubblicazione sistematica nella Gazzetta ufficiale, in tutte le lingue ufficiali, di bandi di concorso. Esso ha tuttavia ricordato, al successivo punto 74, che, se vero che lamministrazione pu legittimamente adottare le misure che le sembrano adeguate al fine di disciplinare alcuni aspetti della procedura di assunzione del personale, tali misure non devono sfociare in una discriminazione fondata sulla lingua tra i candidati a un determinato posto. Al punto 84 della medesima pronuncia, il Tribunale ha constatato che i bandi di concorso controversi sono stati pubblicati, integralmente, soltanto nelle lingue francese, inglese e tedesca . Esso ha per sottolineato, al punto 85 della sua decisione, che le due modifiche pubblicate nella Gazzetta ufficiale dellUnione europea in tutte le lingue ufficiali, che informavano succintamente il pubblico dellesistenza e del contenuto dei bandi di concorso controversi e che rinviavano alle edizioni francese, inglese e tedesca per ottenere il loro testo integrale, hanno posto rimedio allomessa pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dei bandi di concorso controversi in tutte le lingue ufficiali. Il Tribunale ha cos concluso, al punto 90 della sentenza impugnata, che la pubblicazione integrale nella Gazzetta ufficiale dei bandi di concorso controversi in sole tre lingue, seguita da una pubblicazione succinta nella Gazzetta ufficiale, in tutte le lingue ufficiali, di modifiche di detti bandi, non costituisce una discriminazione [tra candidati] basata sulla lingua contraria allart. 12 CE[, che essa] non integra neppure una violazione dellart. 6, n. 3, UE, il quale si limita ad indicare che lUnione rispetta le identit nazionali[, e che] detta pubblicazione non viola lart. 22 della Carta, che comunque priva di forza giuridica vincolante. 37 La Repubblica italiana sostiene che il Tribunale, prendendo in considerazione le modi- 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 fiche dei bandi di concorso, ha violato larticolo 230 CE, in quanto la legittimit di un atto deve essere valutata tenendo conto della sua formulazione nel momento in cui viene emanato. Detto Stato membro sostiene inoltre che, comunque, la pubblicazione delle modifiche non ha consentito di porre rimedio alla mancata pubblicazione dei bandi in tutte le lingue ufficiali. 38 Secondo la Repubblica italiana, il ragionamento del Tribunale viziato da una tautologia, in quanto esso presume la conoscenza delle tre lingue a motivo del fatto che i bandi prevedevano soltanto queste tre lingue. Orbene, era necessario appunto giustificare la limitazione a tre lingue, nonch la discriminazione che ne derivava. 39 Anche la Repubblica ellenica sostiene che i bandi di concorso avrebbero dovuto essere pubblicati in tutte le lingue ufficiali e nega che la pubblicazione delle modifiche abbia posto rimedio alla violazione iniziale. 40 La Commissione rileva che gli argomenti sviluppati nellambito del presente motivo di impugnazione non rimettono in discussione il ragionamento seguito dal Tribunale ai punti 72, 73 76, nonch 79 81 della sentenza impugnata, il quale era a suo avviso sufficiente per fondare il dispositivo di tale sentenza. Ad ogni modo, il bando di concorso doveva indicare i requisiti dettati dallinteresse del servizio, al fine di evitare che persone non qualificate si presentassero inutilmente. Essa sostiene che il Tribunale ha correttamente motivato la conclusione cui giunto, secondo la quale lobbligo dellistituzione non di pubblicare tutti i bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali, ma soltanto di assicurare che il metodo di pubblicazione scelto non sia fonte di discriminazione tra candidati. Il quarto motivo 41 Il quarto motivo di impugnazione riguarda la violazione delle norme sulla non discriminazione in base alla lingua, nonch la violazione degli articoli 1 e 6 del regolamento n. 1 e degli articoli 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, 27, secondo comma, e 28, lettera f), dello Statuto dei funzionari. 42 Detto motivo diretto contro i punti 93 105 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale si pronunciato su una parte di un motivo di ricorso relativa alla scelta della seconda lingua tra tre lingue per la partecipazione ai concorsi in questione, per qualsiasi comunicazione con lEPSO e per lo svolgimento delle prove, e nei quali esso ha infine concluso, al citato punto 105, che occorreva respingere nella sua interezza il motivo relativo alla violazione dei principi di non discriminazione, di proporzionalit e di multilinguismo. 43 Fondandosi sulle conclusioni presentate dallavvocato generale Poiares Maduro nella causa decisa dalla citata sentenza Spagna/Eurojust, il Tribunale ha ricordato, al punto 93 della sentenza impugnata, che il buon funzionamento delle istituzioni e degli organi comunitari pu obiettivamente giustificare una scelta limitata di lingue di comunicazione interna. Al punto 94 di tale sentenza, esso ha altres ricordato che la scelta di una o di pi lingue ufficiali a livello interno non pu compromettere la parit di accesso dei cittadini dellUnione ai posti di lavoro offerti dalle istituzioni e dagli organi comunitari. Tuttavia, al punto 95 della medesima pronuncia, il Tribunale ha constatato che qualsiasi candidato ai concorsi di cui trattasi in possesso delle competenze linguistiche richieste dai bandi di concorso controversi ha potuto accedere e partecipare, alle stesse condizioni, ai procedimenti di assunzione. Al punto 99 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che la Repubblica italiana non ha fornito alcun elemento concreto atto a contestare la pertinenza delle conoscenze linguistiche richieste nei bandi di concorso con- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 troversi[, e che essa] non pu pertanto asserire che tale requisito non sia oggettivamente dettato dalle esigenze del servizio. Il Tribunale ha del pari rilevato, nel medesimo punto, che la mancata pubblicazione iniziale di una menzione in tutte le lingue ufficiali non ha penalizzato i candidati la cui lingua principale non era quella tedesca, inglese o francese, in quanto le due modifiche pubblicate successivamente hanno riaperto il termine per la presentazione delle candidature ai concorsi in questione. Infine, al punto 101 della medesima sentenza, il Tribunale ha statuito che, se certo i settori cui fanno riferimento i bandi di concorso controversi richiedono una grande variet di competenze linguistiche, il fatto che la lingua principale, della quale i bandi di concorso controversi richiedono una conoscenza approfondita, possa essere qualsiasi lingua ufficiale sufficiente a garantire una grande variet di competenze linguistiche nellassunzione dei candidati che rispondono ai suddetti bandi di concorso. 44 Mediante tale motivo di impugnazione, la Repubblica italiana sostiene che il fatto di accettare soltanto tre lingue ufficiali come seconda lingua, ai fini di qualsiasi comunicazione con lEPSO nonch dello svolgimento delle prove del concorso, costituisce una discriminazione sulla base della lingua, anzitutto rispetto alle altre lingue non ammesse come seconda lingua, ma anche nei confronti dei cittadini degli Stati membri che conoscano una seconda lingua ufficiale diversa dalle tre lingue ammesse. La Repubblica italiana fa valere che la facolt, per le istituzioni, di determinare le modalit di applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni riguarda solo il funzionamento interno delle istituzioni, e non lo svolgimento dei concorsi esterni, e che in ogni caso nessuna istituzione ha adottato disposizioni al riguardo. 45 Detto Stato membro sostiene inoltre che, alla luce del principio che vieta di riservare impieghi ai cittadini di un determinato Stato membro, enunciato allarticolo 27, secondo comma, dello Statuto dei funzionari, le limitazioni alluso delle lingue allinterno delle istituzioni devono essere considerate quali eccezioni necessitanti di congrua giustificazione. Inoltre, larticolo 28 dello Statuto dei funzionari preciserebbe che la seconda lingua pu essere scelta tra una qualsiasi delle lingue dellUnione e non prevedrebbe una posizione privilegiata di alcuna di esse a tale riguardo. La Repubblica italiana ne deduce che le lingue di selezione devono essere il pi possibile neutre rispetto ai titoli richiesti per superare la selezione, ci che presupporrebbe che tutte le lingue dellUnione possano essere ammesse. Secondo la Repubblica italiana, una corretta interpretazione dellarticolo 28, lettera f), dello Statuto dei funzionari deve portare alla conclusione che la valutazione dei titoli professionali necessari per superare la selezione, per essere efficiente e non discriminatoria, non dovrebbe essere influenzata in modo decisivo dalle conoscenze linguistiche del candidato. Questa interpretazione sarebbe confermata dallarticolo l dellallegato III dello Statuto dei funzionari, a norma del quale il bando di concorso deve specificare, eventualmente, le conoscenze linguistiche richieste per la particolare natura dei posti da coprire. Le limitazioni che tale disposizione prevede sarebbero soltanto semplici eventualit. Esse dovrebbero essere motivate nel bando di concorso e fondarsi su quanto necessario alle funzioni da svolgere e sulla particolare natura dei posti da coprire. Orbene i bandi di concorso controversi non avrebbero rispettato tali regole. 46 La Repubblica italiana contesta laffermazione compiuta dal Tribunale, ai punti 98 e 99 della sentenza impugnata, secondo cui essa non avrebbe dimostrato che la scelta delle tre lingue come lingue di svolgimento delle prove fosse incongrua rispetto alle finalit 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dei concorsi in questione. Detto Stato membro sostiene che lonere della prova gravava non su di esso, bens sulla Commissione, dal momento che tale istituzione si avvaleva di uneccezione alle norme secondo cui tutte le lingue comunitarie sono lingue ufficiali e lingue di lavoro. 47 La Repubblica italiana non nega limportanza delle esigenze organizzative interne, e perfino delle prassi, delle istituzioni. Essa afferma per che tale importanza, allorch si traduce in limitazioni delle possibilit di espressione linguistica dei cittadini europei, deve essere fatta valere nel contesto di norme trasparenti ed appropriate. Le istituzioni dovrebbero precisare la natura delle esigenze che possono condurre a limitazioni linguistiche non soltanto allinterno delle istituzioni, ma anche e tanto pi nei concorsi di accesso che non sono un mero affare interno a queste , nonch stabilire le modalit procedurali con cui pervenire a tali limitazioni. Secondo detto Stato membro, non sarebbe accettabile lesercizio di un potere discrezionale basato unicamente sul rilievo (fatto non si sa in quali sedi e con quali criteri) di presunte pratiche di fatto. 48 La Commissione sottolinea che la Repubblica italiana non contesta lesistenza di un bisogno oggettivo delle istituzioni giustificante la limitazione della scelta della seconda lingua del concorso a tre lingue ufficiali determinate. Essa ricorda, inoltre, che tali bisogni sono riconosciuti dalla giurisprudenza (sentenza del 5 aprile 2005, Hendrickx/Consiglio, T 376/03, Racc. FP pagg. I A 83 e II 379). Essa sostiene, infine, che la constatazione del Tribunale di cui al punto 95 della sentenza impugnata, secondo la quale qualsiasi candidato ai concorsi di cui trattasi in possesso delle competenze linguistiche richieste dai bandi di concorso controversi ha potuto accedere e partecipare, alle stesse condizioni, ai procedimenti di assunzione, costituisce una constatazione di fatto che non pu essere esaminata dalla Corte nellambito di unimpugnazione. Il quinto motivo 49 Il quinto motivo di impugnazione verte sulla violazione dellarticolo 6, paragrafo 3, UE, nella parte in cui tale norma afferma il principio della tutela del legittimo affidamento quale diritto fondamentale risultante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. 50 Esso diretto contro i punti 110 115 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale ha respinto il motivo di ricorso riguardante la violazione del suddetto principio. Il Tribunale ha in particolare statuito, al punto 110 di detta sentenza, che nessuno pu affermare la violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dallamministrazione e, al successivo punto 112, che una semplice prassi () non equivale a informazioni precise, incondizionate e concordanti ai sensi della giurisprudenza. 51 La Repubblica italiana sostiene che, nel negare lesistenza di un affidamento perch non erano state fornite assicurazioni, senza considerare la portata della prassi pluridecennale della cui esistenza lo stesso Tribunale aveva dato atto, questultimo ha violato il principio dellaffidamento. Avere da un certo momento, senza alcun preavviso e senza alcuna giustificazione, mutato rotta in senso trilinguistico, pu avere discriminato quanti ragionevolmente ipotizzavano di accedere alle carriere europee sulla base di competenze linguistiche diverse, e fino allora perfettamente legittimate. 52 La Commissione sostiene che, sul punto, il Tribunale non incorso in alcun errore di diritto. Il sesto motivo 53 Il sesto motivo di impugnazione concerne la violazione dellarticolo 253 CE, relativo allobbligo di motivazione degli atti. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 54 Esso diretto contro i punti 125 e 126 della sentenza impugnata. Al punto 125 di tale sentenza, il Tribunale ha ricordato che la funzione essenziale del bando di concorso consiste nellinformare gli interessati, con la maggiore precisione possibile, del tipo di condizioni richieste per occupare il posto di cui trattasi, al fine di porli in grado di valutare, da un lato, se sia per essi opportuno presentare la propria candidatura e, dallaltro, quali documenti giustificativi siano rilevanti per i lavori della commissione giudicatrice e debbano, conseguentemente, essere allegati agli atti di candidatura. Al punto 126 della suddetta sentenza, il Tribunale ha giudicato che lamministrazione non era tenuta a giustificare, nei bandi di concorso controversi, la scelta delle tre lingue da utilizzare come seconda lingua per partecipare ai concorsi e alle prove, dal momento che pacifico che tale scelta risponde alle sue esigenze interne. 55 La Repubblica italiana sostiene che il Tribunale ha confuso la funzione dei bandi di concorso e la loro motivazione. I bandi costituivano attuazione delle possibilit di restrizione linguistica concesse dallo Statuto dei funzionari e dovevano dunque indicare la precisa connessione funzionale tra la natura delle mansioni o le esigenze del servizio da svolgere e le restrizioni linguistiche apportate alla procedura di selezione. Il totale silenzio sullesistenza e sulla natura delle presunte esigenze interne rendeva la scelta operata dalla Commissione incontrollabile dal giudice e dai destinatari dellatto. Il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto affermando che la motivazione relativa alle esigenze corrispondenti del servizio poteva essere desunta dalla presenza, nel bando, di disposizioni restrittive. 56 La Commissione ricorda che la necessit di una motivazione in funzione della natura e della finalit dellatto in questione. Nel caso di specie, non si trattava di atti vincolanti, bens di atti informativi, ossia inviti a partecipare a dei concorsi. Essa ritiene che il Tribunale avesse pieno titolo per concludere, al punto 126 della sentenza impugnata, che nessuna motivazione era richiesta quanto alla scelta delle tre lingue da utilizzare. Il settimo motivo 57 Il settimo motivo di impugnazione verte sulla violazione delle norme sostanziali inerenti alla natura e alla finalit dei bandi di concorso, e in particolare degli articoli 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, 28, lettera f), e 27, secondo comma, dello Statuto dei funzionari. 58 Detto motivo diretto contro i punti 128 135 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha in particolare statuito che lEPSO non aveva commesso alcuno sviamento di potere dal momento che esso non aveva utilizzato il regime linguistico dei concorsi per fini estranei ai suoi compiti istituzionali. La Repubblica italiana contesta il punto 133 di detta sentenza, in cui il Tribunale ha rilevato che la commissione giudicatrice vincolata al bando di concorso e, in particolare, alle condizioni di ammissione stabilite da questultimo, nonch il successivo punto 134, dove il Tribunale ha concluso che [n]on si pu () contestare allEPSO di aver stabilito, nei bandi di concorso controversi, requisiti linguistici che, in quanto condizioni di ammissione, potevano escludere alcuni candidati potenziali e, in particolare, di aver fatto ricorso a modalit di pubblicazione che ostacolavano, in pratica, la partecipazione ai concorsi in parola degli interessati [che] non soddisface[ssero] tali requisiti linguistici. 59 Secondo la Repubblica italiana, il requisito linguistico distinto da quello professionale. I requisiti linguistici dovrebbero essere accertati dalla commissione giudicatrice nel corso della procedura di selezione, e non prima, ad opera dellautorit che emana il bando. Le restrizioni linguistiche preliminari, cio quelle previste nel bando, sarebbero ammissibili 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 solo se collegate a dimostrate esigenze di servizio. Orbene, nella specie, la Commissione non ha precisato nei bandi di concorso controversi alcuna esigenza linguistica giustificante le limitazioni, per nello stesso tempo ha preteso, come risulta dal punto 134 della sentenza impugnata, di ostacola[re], in pratica, la partecipazione ai concorsi in parola degli interessati che non fossero in grado di soddisfare al restrittivo requisito linguistico imposto dai bandi. Da ci il suddetto Stato membro conclude che il Tribunale, ritenendo che non spettasse alla commissione giudicatrice valutare le competenze linguistiche dei candidati, in quanto lautorit che emana il bando potrebbe in via preventiva operare una selezione preliminare degli interessati su base puramente linguistica, ha violato le norme sopra menzionate, nonch il principio che in queste insito, secondo cui i bandi di concorso debbono tendere a verificare, con la maggiore ampiezza possibile, lesistenza delle competenze linguistiche necessarie a ricoprire i posti presso le istituzioni. 60 La Commissione rileva che la Repubblica italiana ripete largomentazione gi sviluppata negli altri motivi di impugnazione e rinvia a sua volta alle risposte da essa fornite a tali motivi. Essa ricorda nuovamente che la Repubblica italiana non ha messo in dubbio la realt della situazione fattuale nelle istituzioni, concernente limpiego di certe lingue per facilitare la comunicazione interna. Giudizio della Corte 61 Occorre esaminare congiuntamente, da un lato, i primi tre motivi di impugnazione relativi alla pubblicazione dei bandi di concorso controversi e, dallaltro, gli ultimi quattro motivi, riguardanti la designazione delle lingue tedesca, inglese e francese come seconda lingua, come lingua di comunicazione con lEPSO e come lingua delle prove del concorso. Sui primi tre motivi di impugnazione, relativi alla pubblicazione dei bandi di concorso 62 Ai sensi dellarticolo 1 dellallegato III dello Statuto dei funzionari, il bando di concorso viene emanato dallautorit avente il potere di nomina dellistituzione che organizza il concorso stesso, previa consultazione della commissione paritetica, e deve specificare un certo numero di informazioni riguardanti la procedura di selezione. A seguito della decisione 2002/620, i poteri di selezione conferiti segnatamente da tale allegato alle autorit che hanno il potere di nomina delle istituzioni firmatarie della decisione stessa sono esercitati dallEPSO. 63 Nellambito della presente impugnazione, due sono le norme fatte valere come fonte di un obbligo di pubblicare i bandi di concorso controversi in tutte le lingue ufficiali, e precisamente larticolo 4 del regolamento n. 1 e larticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato disposto con larticolo 5 del regolamento n. 1. Occorre dunque esaminare gli obblighi previsti da ciascuna di tali norme. 64 Larticolo 4 del regolamento n. 1 stabilisce che i regolamenti e gli altri testi di portata generale sono redatti nelle lingue ufficiali. A questo proposito la Commissione fa valere: anzitutto, che il regolamento n. 1 non applicabile ai bandi di concorso, in quanto questi ultimi concernono persone equiparate ai funzionari; poi, e in ogni caso, che listituzione ha la facolt di determinare la lingua di pubblicazione del bando a norma dellarticolo 6 del suddetto regolamento; infine, che i bandi di concorso non sono testi di portata generale. 65 Al punto 52 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che, secondo una sua consolidata giurisprudenza, il regolamento n. 1 non applicabile ai rapporti tra le istituzioni e i loro funzionari e agenti, in quanto esso fissa unicamente il regime linguistico applicabile tra le istituzioni e uno Stato membro o una persona ricadente nella giurisdizione di uno degli Stati membri. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 66 A giudizio del Tribunale, tale inapplicabilit troverebbe giustificazione, da un lato, nel fatto che i funzionari e gli altri agenti, nonch i candidati di un concorso, sono assoggettati, per quanto riguarda lapplicazione delle disposizioni dello Statuto dei funzionari, unicamente alla giurisdizione delle Comunit e, dallaltro lato, nellarticolo 6 del regolamento n. 1. 67 A questo proposito occorre rilevare, anzitutto, che larticolo 1 del regolamento n. 1 enuncia espressamente quali sono le lingue di lavoro delle istituzioni, mentre larticolo 6 del medesimo regolamento stabilisce che le istituzioni possono determinare le modalit di applicazione del regime linguistico nei loro regolamenti interni. Tuttavia, si deve constatare che le istituzioni interessate dai bandi di concorso controversi non hanno stabilito, sulla base dellarticolo 6 del regolamento n. 1, le modalit del regime linguistico nei loro regolamenti interni. In particolare, come rilevato dallavvocato generale al paragrafo 29 delle sue conclusioni, i bandi di concorso non possono essere considerati come costituenti dei regolamenti interni in ordine a tale aspetto. 68 In assenza di norme regolamentari speciali applicabili ai funzionari e agli agenti, e in mancanza di norme al riguardo nei regolamenti interni delle istituzioni interessate dai bandi di concorso controversi, nessun testo normativo consente di concludere che i rapporti tra tali istituzioni e i loro funzionari e agenti siano totalmente esclusi dalla sfera di applicazione del regolamento n. 1. 69 Lo stesso vale, a fortiori, per quanto riguarda i rapporti tra le istituzioni e i candidati a un concorso esterno che non sono, di norma, n funzionari n agenti. 70 Quanto poi alla questione se dei bandi di concorsi generali, quali i bandi di concorso controversi, ricadano sotto larticolo 4 del regolamento n. 1 o sotto larticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, sufficiente constatare come questultima disposizione stabilisca specificamente che, per i concorsi generali, deve essere pubblicato un bando di concorso nella Gazzetta ufficiale delle Comunit europee. 71 Pertanto, senza che occorra stabilire se un bando di concorso sia un testo di portata generale ai sensi dellarticolo 4 del regolamento n. 1, sufficiente constatare che, a norma dellarticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato disposto con larticolo 5 del regolamento n. 1, il quale dispone che la Gazzetta ufficiale dellUnione europea pubblicata in tutte le lingue ufficiali, i bandi di concorso controversi avrebbero dovuto essere pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali. 72 Poich tali disposizioni non prevedono alcuna eccezione, il Tribunale ha commesso un errore di diritto statuendo, al punto 85 della sentenza impugnata, che la successiva pubblicazione delle modifiche in data 20 giugno e 13 luglio 2007, le quali contenevano soltanto informazioni succinte, aveva posto rimedio allomessa pubblicazione integrale nella suddetta Gazzetta dei bandi di concorso in tutte le lingue ufficiali. 73 Ad ogni modo, anche se tali modifiche contenevano un certo numero di informazioni relative al concorso, partendo dal presupposto che i cittadini dellUnione europea leggano la Gazzetta ufficiale dellUnione europea nella loro lingua materna e che tale lingua sia una delle lingue ufficiali dellUnione, un potenziale candidato la cui lingua materna non fosse una delle lingue in cui erano stati pubblicati integralmente i bandi di concorso controversi doveva procurarsi la citata Gazzetta in una di tali lingue e leggere il bando in questa lingua prima di decidere se presentare la propria candidatura a uno dei concorsi. 74 Un candidato siffatto era svantaggiato rispetto ad un candidato la cui lingua materna fosse una delle tre lingue nelle quali i bandi di concorso erano stati pubblicati integral- 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 mente, sia sotto il profilo della corretta comprensione di tali bandi sia relativamente al termine per preparare ed inviare una candidatura a tali concorsi. 75 Tale svantaggio la conseguenza della diversit di trattamento a motivo della lingua, vietata dallarticolo 21 della Carta e dallarticolo 1 quinquies, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari, generata dalle pubblicazioni suddette. Tale articolo 1 quinquies prescrive, al paragrafo 6, che, nel rispetto del principio di non discriminazione e del principio di proporzionalit, ogni limitazione di tali principi deve essere oggettivamente giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della politica del personale. 76 Alludienza, la Commissione ha chiarito che la nuova prassi di pubblicazione limitata dei bandi di concorso era stata resa necessaria dal carico di lavoro risultante dalle adesioni dei nuovi Stati allUnione europea nel corso degli anni 2004 e 2007 e, in particolare, dallaumento improvviso del numero di lingue ufficiali, mentre lEPSO non disponeva delle capacit di traduzione sufficienti. Tuttavia, alludienza stato sostenuto che tale prassi di pubblicazione non sembrava collegata alle adesioni, perch essa perdurava, perch i testi dei bandi di concorso avevano carattere ripetitivo, ci che dunque non doveva costituire un carico di lavoro insormontabile, e perch i problemi materiali relativi alle capacit di traduzione dovevano essere messi in bilanciamento con il diritto per tutti i cittadini dellUnione di prendere conoscenza dei bandi di concorso alle medesime condizioni. 77 Ne consegue che la prassi di pubblicazione limitata non rispetta il principio di proporzionalit e configura pertanto una discriminazione fondata sulla lingua, vietata dallarticolo 1 quinquies dello Statuto dei funzionari. 78 Dal complesso di tali elementi risulta che il Tribunale incorso in errori di diritto statuendo che n larticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato disposto con larticolo 5 del regolamento n. 1, n larticolo 1 quinquies del medesimo Statuto erano stati violati nellambito della pubblicazione dei bandi di concorso controversi. Sugli ultimi quattro motivi di impugnazione, relativi alle lingue imposte come seconda lingua, per le comunicazioni con lEPSO e per le prove dei concorsi 79 La Repubblica italiana, pur riconoscendo che un multilinguismo integrale potrebbe nuocere allefficacia del lavoro nelle istituzioni, critica la mancanza di regole chiare, obiettive e prevedibili riguardo alla scelta della seconda lingua dei concorsi, circostanza questa che non consentirebbe a un candidato di prepararsi alle prove. Essa sostiene, inoltre, che lobbligo di presentare il concorso in una seconda lingua costituisce in realt una forma inadeguata di preselezione, in quanto, a suo avviso, un candidato dovrebbe essere selezionato sulla base, anzitutto, delle sue competenze professionali e, poi, delle sue conoscenze linguistiche. 80 Alludienza, la Commissione ha chiarito che le tre lingue scelte sono quelle pi utilizzate nelle istituzioni e questo da molto tempo e che risultava da uno studio dellEPSO che, tra lanno 2003 e lanno 2005 vale a dire unepoca in cui i candidati potevano scegliere la loro seconda lingua pi del 90% dei candidati di concorsi avevano scelto le lingue tedesca, inglese o francese come seconda lingua. Inoltre, la Commissione ha fatto valere che lindicazione delle lingue di concorso nel bando consente ai candidati di prepararsi alle prove. 81 A questo proposito, come si ricordato al punto 67 della presente sentenza, larticolo 1 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 del regolamento n. 1 designa 23 lingue non soltanto come lingue ufficiali, ma anche come lingue di lavoro delle istituzioni dellUnione. 82 Inoltre, larticolo 1 quinquies, paragrafo 1, dello Statuto dei funzionari stabilisce che, nellapplicazione dello Statuto stesso, vietata qualsiasi discriminazione fondata, tra laltro, sulla lingua. A norma del paragrafo 6, prima frase, del medesimo articolo, qualsiasi limitazione dei principi di non discriminazione e di proporzionalit deve essere oggettivamente e ragionevolmente giustificata e deve rispondere a obiettivi legittimi di interesse generale nel quadro della politica del personale. 83 Inoltre, larticolo 28, lettera f), dello Statuto dei funzionari dispone che, per la nomina a funzionario, necessario avere una conoscenza approfondita di una delle lingue dellUnione e una conoscenza soddisfacente di unaltra lingua dellUnione. Tale disposizione precisa invero che la conoscenza soddisfacente di unaltra lingua richiesta nella misura necessaria alle funzioni che il candidato chiamato a svolgere, ma non indica i criteri che possono essere presi in considerazione per limitare la scelta di tale lingua nellambito delle 23 lingue ufficiali. 84 Vero che, ai sensi dellarticolo 1, paragrafo 1, lettera f), dellallegato III dello Statuto dei funzionari, il bando di concorso pu specificare eventualmente le conoscenze linguistiche richieste per la particolare natura dei posti da coprire. Tuttavia, da tale disposizione non discende unautorizzazione generale a derogare alle prescrizioni dellarticolo 1 del regolamento n. 1. 85 Le disposizioni suddette non prevedono dunque criteri espliciti che consentano di limitare la scelta della seconda lingua, indipendentemente dal fatto che tale restrizione avvenga a favore delle tre lingue imposte dai bandi di concorso controversi oppure a favore di altre lingue ufficiali. 86 Occorre aggiungere che le istituzioni interessate dai bandi di concorso controversi non sono assoggettate ad un regime linguistico specifico (v., riguardo al regime linguistico dellUAMI, sentenza del 9 settembre 2003, Kik/UAMI, C 361/01 P, Racc. pag. I 8283, punti 81 97). 87 Occorre tuttavia verificare se il requisito della conoscenza di una delle tre lingue in questione possa essere giustificato cos come sostiene la Commissione dallinteresse del servizio. 88 A questo proposito, dallinsieme delle disposizioni sopra citate risulta che linteresse del servizio pu costituire un obiettivo legittimo idoneo ad essere preso in considerazione. In particolare, come si indicato al punto 82 della presente sentenza, larticolo 1 quinquies dello Statuto dei funzionari autorizza limitazioni ai principi di non discriminazione e di proporzionalit. necessario per che tale interesse del servizio sia oggettivamente giustificato e che il livello di conoscenze linguistiche richiesto risulti proporzionato alle effettive esigenze del servizio (v., in tal senso, sentenze del 19 giugno 1975, Kster/Parlamento, 79/74, Racc. pag. 725, punti 16 e 20, nonch del 29 ottobre 1975, Kster/Parlamento, 22/75, Racc. pag. 1267, punti 13 e 17). 89 Al punto 126 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che Ǐ pacifico che la scelta delle tre lingue da utilizzare come seconda lingua per partecipare ai concorsi e alle prove risponde alle esigenze interne dellamministrazione. Tuttavia, il Tribunale non soltanto non ha motivato la propria affermazione, ma ha per giunta constatato che una motivazione siffatta da parte dellamministrazione non era richiesta. 90 A questo proposito, occorre sottolineare che eventuali norme che limitino la scelta della 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 seconda lingua devono stabilire criteri chiari, oggettivi e prevedibili affinch i candidati possano sapere, con sufficiente anticipo, quali requisiti linguistici debbono essere soddisfatti, e ci al fine di potersi preparare ai concorsi nelle migliori condizioni. 91 Orbene, come si ricordato al punto 67 della presente sentenza, le istituzioni interessate dai concorsi non hanno mai adottato norme interne ai sensi dellarticolo 6 del regolamento n. 1. Inoltre, la Commissione non ha neppure invocato lesistenza di altri atti, quali ad esempio comunicazioni enuncianti i criteri per una limitazione della scelta di una lingua come seconda lingua per partecipare ai concorsi. Infine, i bandi di concorso controversi non recano alcuna motivazione che giustifichi la scelta delle tre lingue in questione. 92 Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la citata sentenza Hendrickx/Consiglio non conferma la tesi secondo cui linteresse del servizio potrebbe giustificare il requisito della conoscenza della lingua tedesca, inglese o francese indicato nei bandi di concorso controversi. Infatti, mentre tali bandi di concorso generali erano rivolti a cittadini dellUnione che, in grande maggioranza, non erano abitualmente in contatto con le istituzioni, la citata sentenza Hendrickx/Consiglio riguardava un avviso di concorso interno aperto ai funzionari e agli agenti in servizio presso il segretariato generale del Consiglio dellUnione europea con almeno cinque anni di anzianit di servizio presso le Comunit. Inoltre, le funzioni da esercitare erano descritte in maniera precisa, ci che consentiva ai funzionari e agli agenti del segretariato generale di comprendere la giustificazione delle lingue imposte per le prove e al Tribunale di esercitare il suo controllo sulla scelta di tali lingue. 93 Nei limiti in cui sia possibile far valere un obiettivo legittimo di interesse generale e dimostrarne leffettiva sussistenza, importante ricordare che una differenza di trattamento a motivo della lingua deve altres rispettare il principio di proporzionalit, vale a dire essa deve essere idonea a realizzare lobiettivo perseguito e non deve andare oltre quanto necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2005, ABNA e a., C 453/03, C 11/04, C 12/04 e C 194/04, Racc. pag. I 10423, punto 68). 94 Conformemente allarticolo 27, primo comma, dello Statuto dei funzionari, le assunzioni devono assicurare allistituzione la collaborazione di funzionari dotati delle pi alte qualit di competenza, rendimento e integrit. Poich tale obiettivo pu essere meglio salvaguardato quando i candidati sono autorizzati a presentare le prove di selezione nella loro lingua materna o nella seconda lingua della quale si reputano maggiormente esperti, onere delle istituzioni sotto questo aspetto effettuare un bilanciamento tra lobiettivo legittimo che giustifica la limitazione del numero delle lingue dei concorsi e lobiettivo dellindividuazione dei candidati dotati delle pi alte qualit di competenza. 95 Alludienza, la Commissione ha fatto valere che i candidati avevano la possibilit di prepararsi dopo la pubblicazione del bando di concorso. Occorre nondimeno rilevare che il termine tra la pubblicazione di ciascun bando di concorso controverso e la data delle prove scritte non consente necessariamente a un candidato di acquisire le conoscenze linguistiche sufficienti per dimostrare le proprie competenze professionali. Quanto alla possibilit di apprendere una di queste tre lingue nella prospettiva di futuri concorsi, essa presuppone che le lingue imposte dallEPSO siano determinabili con grande anticipo di tempo. Orbene, la mancanza di norme quali quelle menzionate al punto 91 della presente sentenza non garantisce in alcun modo il perdurare della scelta delle lingue di concorso e non consente alcuna prevedibilit in materia. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 96 Inoltre, le conoscenze linguistiche dei funzionari sono un elemento essenziale della loro carriera e le autorit che hanno il potere di nomina dispongono di vari mezzi per controllare tali conoscenze e limpegno mostrato dai funzionari per metterle in pratica e acquisirne eventualmente di nuove. Ci risulta in particolare dallarticolo 34, paragrafo 3, dello Statuto dei funzionari, relativo al periodo di prova, e dallarticolo 45, paragrafo 1, del medesimo Statuto, riguardante i criteri di promozione. Limportanza delle conoscenze linguistiche stata del resto rafforzata dalla riforma del 1 maggio 2004, introdotta dal regolamento n. 723/2004, dal momento che, a norma dellarticolo 45, paragrafo 2, dello Statuto, il funzionario ormai tenuto a dimostrare, anteriormente alla sua prima promozione dopo lassunzione, la propria capacit di lavorare in una terza lingua tra quelle menzionate allarticolo 314 CE. 97 Dunque, in proposito, spetta alle istituzioni effettuare un bilanciamento tra lobiettivo legittimo che giustifica la limitazione del numero di lingue dei concorsi e le possibilit per i funzionari assunti di apprendere, in seno alle istituzioni, le lingue necessarie allinteresse del servizio. 98 Dalle considerazioni svolte ai punti 81 97 della presente sentenza risulta che gli elementi presentati dalla Commissione al Tribunale non consentivano un controllo giurisdizionale inteso a verificare se linteresse del servizio costituisse un obiettivo legittimo giustificante una deroga alla regola enunciata allarticolo 1 del regolamento n. 1. Il Tribunale dunque incorso in un errore di diritto. 99 Non vi luogo a pronunciarsi sugli altri motivi e addebiti invocati in rapporto con le seconde lingue imposte per i concorsi. 100 Dallinsieme di tali elementi e, pi in particolare, dai punti 78 e 98 della presente sentenza risulta che la sentenza impugnata deve essere annullata. Sui ricorsi in primo grado 101 Ai sensi dellarticolo 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia dellUnione europea, questultima pu, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, statuire definitivamente sulla controversia se lo stato degli atti lo consente. 102 Nella specie, per le motivazioni sopra illustrate, e considerando, pi in particolare, la violazione dellarticolo 1, paragrafo 2, dellallegato III dello Statuto dei funzionari, letto in combinato disposto con larticolo 5 del regolamento n. 1, e la violazione del principio di non discriminazione a motivo della lingua, enunciato allarticolo 1 quinquies dello Statuto dei funzionari, occorre annullare i bandi di concorso controversi. 103 Come proposto dallavvocato generale ai paragrafi 115 e 116 delle sue conclusioni, e al fine di preservare il legittimo affidamento dei candidati prescelti, non opportuno rimettere in discussione i risultati dei suddetti concorsi. Sulle spese 104 Ai sensi dellarticolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando limpugnazione accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, questultima statuisce sulle spese. 105 Ai sensi dellarticolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione in virt dellarticolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente condannata alle spese se ne stata fatta domanda. 106 La Repubblica italiana ha chiesto la condanna della Commissione al pagamento delle 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 spese relative al procedimento di primo grado e al procedimento di impugnazione. Essendo rimasta soccombente nelle difese proposte, la Commissione deve essere condannata a sopportare le spese sostenute dalla Repubblica italiana nonch quelle da essa stessa sostenute in entrambi i gradi di giudizio. 107 Larticolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, anchesso applicabile al procedimento di impugnazione in virt dellarticolo 184, paragrafo 2, del medesimo regolamento, stabilisce che le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico. In conformit di tale norma, vi luogo per decidere che la Repubblica ellenica e la Repubblica di Lituania sopporteranno ciascuna le proprie spese. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 1) La sentenza del Tribunale dellUnione europea del 13 settembre 2010, Italia/Commissione (T 166/07 e T 285/07), annullata. 2) I bandi dei concorsi generali EPSO/AD/94/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione, della comunicazione e dei media, EPSO/AST/37/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di assistenti (AST 3) nel settore della comunicazione e dellinformazione, ed EPSO/AD/95/07, per la costituzione di un elenco di riserva ai fini dellassunzione di amministratori (AD 5) nel settore dellinformazione (biblioteca/documentazione), sono annullati. 3) La Commissione europea condannata a sopportare le spese sostenute dalla Repubblica italiana nonch quelle da essa stessa sostenute in entrambi i gradi di giudizio. 4) La Repubblica ellenica e la Repubblica di Lituania sopportano ciascuna le proprie spese. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 Intervento orale del Governo Italiano (avv. Stato Wally Ferrante, AL 49012/11) nella causa C-509/11. Materia: Trasporti Signor Presidente, signori Giudici, signor Avvocato Generale, Premessa 1. Preliminarmente, devo sottolineare che il Governo italiano ha tempestivamente inviato via fax le osservazioni scritte in data 2 febbraio 2012 ma non ha potuto provvedere al deposito delloriginale entro il 12 febbraio successivo in quanto, per le avverse e straordinarie condizioni metereologiche, il Prefetto di Roma ha disposto la chiusura degli uffici pubblici nei giorni 3, 4, 10 e 11 febbraio 2012. 2. Il Ministro della Giustizia, con decreti dell8 febbraio 2012 e del 13 marzo 2012, ha quindi disposto la proroga di quindici giorni di tutti i termini scadenti nei suddetti giorni o nei cinque giorni successivi. 3. Listanza di deposito tardivo delloriginale delle osservazioni scritte, avanzata dallAgente del Governo il 15 febbraio 2012, sulla base di tali presupposti, stata tuttavia respinta dal Presidente della Corte, di qui lesigenza di partecipazione alla fase orale del procedimento. FATTI DI CAUSA 4. La domanda di pronuncia pregiudiziale stata sollevata in relazione ad una causa, pendente in Austria, tra unimpresa ferroviaria e lautorit nazionale di regolamentazione. 5. Detta impresa applica ai contratti di trasporto condizioni generali che prevedono anche disposizioni relative allindennizzo per il prezzo del biglietto nel caso di ritardo o soppressione del servizio. 6. Lautorit nazionale di regolamentazione, con decisione del 6 dicembre 2010, ha imposto alla ricorrente di modificare le modalit di indennizzo nella parte in cui escludono il diritto allindennizzo o al rimborso delle spese sostenute in ragione del ritardo del treno in alcuni casi specifici accomunati dallassenza di colpa del trasportatore. 7. La ricorrente ha impugnato tale provvedimento assumendo che lautorit resistente non sarebbe competente ad ordinare una modifica delle modalit di indennizzo e che lesclusione dellobbligo di indennizzo in caso di forza maggiore sarebbe contemplato dal regolamento n. 1371/2007 relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario. I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 QUESITO POSTO DALLA CORTE 8. Ci detto, con il quesito rivolto alle parti, la Corte chiede di pronunciarsi sulla natura amministrativa o giurisdizionale dellautorit nazionale di regolamentazione austriaca nonch organismo di controllo ai sensi dellart. 30 del regolamento n. 1371/2007, la Schienen Control Kommission. 9. Al riguardo, il Governo italiano concorda con lopinione espressa dallAvvocato Generale nella causa C-136/11 in ordine alla natura giurisdizionale della Schienen Control Kommission. 10. Da quanto allegato e documentato da questultima nella risposta scritta al quesito rivoltole dalla Corte, risulta che la stessa rispetta le condizioni per poter essere definita un organo giurisdizionale, conformemente alla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia (da ultimo sentenza del 10 dicembre 2009, causa C-205/08, Umweltanwalt von Krnten). 11. Tali condizioni sono: lorigine legale dellorgano, il suo carattere permanente, lobbligatoriet della sua giurisdizione, lapplicabilit del principio del contraddittorio nel relativo procedimento, la decisione in base a norme giuridiche, lindipendenza dei suoi componenti. 12. La Schienen Control Kommission infatti stata istituita in via permanente con legge federale e nella sua giurisdizione, che obbligatoria, rientrano le controversie relative ai mercati ferroviari. I procedimenti dinanzi ad essa si svolgono in contraddittorio e possono prevedere unudienza alla quale possono essere citati testimoni e periti. La stessa soggetta alla legge generale sul procedimento amministrativo e le sue decisioni non sono annullabili per via amministrativa ma sono soggette al sindacato giurisdizionale del Verwaltungsgerichtshof (Tribunale amministrativo). Infine, i suoi tre componenti non possono essere ministri o segretari di Stato del governo federale o del governo di un Land e devono essere indipendenti da qualsiasi soggetto che presenti un collegamento con le attivit della Schienen Control Kommission. In particolare, il suo presidente deve appartenere alla magistratura ed nominato dal Ministro della giustizia mentre gli altri membri sono nominati dal governo federale. 13. evidente tuttavia che, mentre nella causa C-136/11 la Schienen Control Kommission era stata investita, quale organo giurisdizionale, nella controversia insorta tra la Westbahn Management e la BB-Personenverkehr, con conseguente legittimazione a sollevare una questione pregiudiziale ai sensi dellart. 267 TFUE, nella presente causa principale, la Schienen Control Kommission coinvolta in veste di parte nella controversia che la contrappone alla BB-Personenverkehr innanzi al Verwaltungsgerichtshof e quindi non sarebbe legittimata a sollevare una questione pregiudiziale ai sensi dellart. 267 TFUE, che infatti stata sollevata dal Tribunale amministrativo. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 PRIMO QUESITO 14. Ci detto, pu essere affrontato il merito della causa. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede, nella sostanza, alla Corte di Giustizia di stabilire se lorganismo nazionale designato da ciascuno Stato membro possa ordinare allimpresa ferroviaria ladozione di specifiche modalit di indennizzo, l dove quelle introdotte da parte di tale impresa non siano conformi ai criteri dettati dallarticolo 17 del Regolamento n. 1371/2007. 15. Al quesito, il Governo italiano d risposta positiva. 16. La questione riguarda la portata e lefficacia della tutela dei diritti del consumatore, acquirente e fruitore dei servizi di trasporto ferroviario, nonch lestensione dei poteri di intervento dellautorit di regolazione cui spetta la funzione generale di tutela del consumatore. 17. Secondo il diritto nazionale austriaco, lorganismo di controllo ha solo il potere di dichiarare inefficaci le clausole che stabiliscano modalit di indennizzo dei passeggeri non conformi al regolamento. 18. In base allarticolo 30 del Regolamento n. 1371/2007/CE: Ogni Stato membro designa uno o pi organismi responsabili dellapplicazione del presente regolamento. Ciascun organismo adotta le misure necessarie per garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri. 19. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Svezia nelle sue osservazioni scritte, il regolamento non si limita a richiedere listituzione dellorganismo di controllo e prevederne lindipendenza ma sancisce anche la competenza di tale organismo che appunto quella di adottare le misure necessarie per garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri. 20. Il Governo italiano dellavviso che il citato art. 30 debba essere interpretato nel senso di riconoscere allorganismo di controllo non solo il potere di dichiarare inefficaci le clausole che prevedano modalit di indennizzo non conformi al regolamento medesimo, ma anche quello di ordinare allimpresa ferroviaria ladozione di clausole che contemplino modalit di indennizzo conformi allarticolo 17. 21. Tale norma disciplina lindennit per il prezzo del biglietto in caso di ritardo del treno o soppressione del servizio. 22. In particolare, il par. 1 dellart. 17 prescrive le condizioni e la misura dellindennizzo; il par. 2 stabilisce il termine entro il quale va corrisposto lindennizzo e le modalit di erogazione dello stesso; il par. 3 prevede linapplicabilit di costi che possano decurtare limporto del risarcimento, ferma restando una franchigia minima; infine, il par. 4 prevede due cause di esclusione del diritto allindennizzo: la previa informazione circa il ritardo prima dellacquisito del biglietto e il ritardo inferiore a 60 minuti in caso di prosecuzione del viaggio su un servizio diverso o con un itinerario alternativo. 23. Ci posto, un siffatto potere di intervento dellorganismo di controllo ap- 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 pare necessario a garantire che i diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario - identificati nel terzo considerando del Regolamento 1371/2007/CE come parte debole del contratto di trasporto - ricevano una tutela piena, adeguata, tempestiva ed efficace. 24. Tra gli obiettivi del Regolamento compare anche il rafforzamento dei diritti di indennizzo e di assistenza ai passeggeri in caso di ritardo, perdita di coincidenza o soppressione del servizio (tredicesimo considerando). 25. Pertanto, prevedere che i poteri dellorganismo di controllo contemplino solo la mera dichiarazione di inefficacia significherebbe privare tale organismo degli strumenti necessari a garantire il pieno soddisfacimento della sua missione. 26. Nellipotesi in cui dovesse prevalere questultima opzione interpretativa, lorganismo di controllo non potrebbe disporre di uno strumento di intervento decisivo ed efficace ai fini del riconoscimento, a favore dei passeggeri, di un sistema di indennizzo adeguato. 27. Ci potrebbe anche prestarsi a favorire comportamenti dilatori dellimpresa ferroviaria volti a ritardare ladozione di meccanismi di indennizzo conformi ai criteri del Regolamento. 28. Dunque, la tesi secondo cui lorganismo di controllo pu ordinare allimpresa ferroviaria ladozione di specifiche modalit di indennizzo appare perfettamente conforme alla ratio dellarticolo 30 del Regolamento, poich riconosce allorganismo di controllo un potere necessario e proporzionato rispetto al fine enunciato nella norma stessa, che quello di garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri. 29.A ci si aggiunga che lattribuzione allorganismo di controllo di ampi poteri di intervento, anche di tipo sostitutivo, appare coerente con quanto previsto nellarticolo 32 del Regolamento citato, ai sensi del quale gli Stati membri stabiliscono sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive per le infrazioni alle disposizioni del Regolamento stesso. 30. La Commissione, nelle sue osservazioni scritte, pur ritenendo, al punto 22, che certamente possibile che, in base al regolamento, lautorit nazionale di regolamentazione possa prescrivere il contenuto concreto della clausola di indennizzo affinch sia conforme allart. 17, ritiene tuttavia che il regolamento non imponga in modo cogente che detta autorit debba avere un tale potere sostitutivo. 31. Secondo la Commissione, il regolamento lascerebbe agli Stati membri la competenza a decidere sullestensione dei poteri delle autorit di regolamentazione. 32. Non si pu concordare con tale assunto. Infatti, se vero che lart. 30 del regolamento rimette agli Stati membri la designazione dellorganismo di controllo, non pu sostenersi che detti organismi possano avere, in ogni Stato, poteri di intervento totalmente diversi. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 33. Lesigenza di uniformit nellapplicazione del regolamento e la finalit dello stesso di assicurare una efficace tutela dei diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario ne risulterebbero del tutto compromesse ove le autorit nazionali di regolamentazione non avessero in ogni Stato membro analoghi poteri di intervento per arginare eventuali pratiche dilatorie delle imprese ferroviarie. 34. Tali pratiche potrebbero comportare una sorta di ping-pong, come paventato dal giudice del rinvio, tra autorit e imprese che, a seguito del mero annullamento di una clausola non conforme allart. 17, potrebbero riproporla in modo di nuovo non conforme ai criteri dettati dal regolamento e cos allinfinito. 35. Ci effettivamente accaduto diverse volte, come stato evidenziato dalla Schienen Control Kommission nelle sue osservazioni scritte al punto VII. 36. La stessa Germania, pur giungendo nelle sue osservazioni scritte a conclusioni opposte rispetto a quelle del Governo italiano, ricorda, al punto 11, che per realizzare gli obiettivi di miglioramento della qualit e dellefficacia dei servizi ferroviari nonch della tutela dei diritti dei passeggeri, il regolamento armonizza in particolare la responsabilit delle imprese ferroviarie e il regime di indennizzo per i ritardi e le cancellazioni dei treni. 37. evidente che questa armonizzazione non pu passare che per una uniforme disciplina dei poteri di intervento degli organismi di controllo deputati a vigilare sul rispetto del regolamento medesimo. 38. Peraltro, al punto 29, la Germania ammette che, se le condizioni generali di contratto delle imprese ferroviarie violano nel caso specifico il regolamento 1371/2007, le misure necessarie che gli organismi nazionali sono tenuti ad adottare comprendono la possibilit di imporre allimpresa ferroviaria di modificare le suddette condizioni. Tali organismi non potrebbero tuttavia prescrivere allimpresa il contenuto concreto delle condizioni contrattuali. 39. Sinceramente non si comprende quale sostanziale differenza ci sia tra queste due ipotesi. Posto che la possibilit di imporre la modifica delle condizioni non conformi va senzaltro oltre il mero potere di annullare la condizione medesima, non si vede come lorganismo nazionale potrebbe imporre allimpresa di modificare la clausola senza indicare in che termini. 40. Si concorda quindi con la tesi sostenuta dal Giudice del rinvio secondo la quale lorganismo nazionale ha il potere di rendere obbligatorio per unimpresa ferroviaria il contenuto specifico delle modalit di indennizzo, affinch siano conformi al regolamento. 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 SECONDO QUESITO 41.Venendo al secondo quesito, il giudice del rinvio chiede alla Corte di Giustizia se larticolo 17 del Regolamento n. 1371/2007/CE debba essere interpretato nel senso di consentire allimpresa ferroviaria di escludere la sua responsabilit in ordine allindennizzo per il prezzo del biglietto in presenza di cause di forza maggiore, in analogia con quanto previsto nei Regolamenti n. 261/2004/CE, n. 1177/2010/UE e n. 181/2011/UE in materia di trasporto aereo, via mare e con autobus nonch dallart. 32, par. 2 delle regole uniformi concernenti il contratto di trasporto internazionale per ferrovia dei viaggiatori e dei bagagli (allegato I del regolamento). 42. Al quesito, il Governo d risposta negativa. 43. Al riguardo, si ritiene che larticolo 17 del Regolamento 1371/2007 rechi una disciplina compiuta ed esaustiva dellindennit per il prezzo del biglietto, che contempla, come si visto, due specifiche cause di esclusione della responsabilit - la previa informazione circa il ritardo e il ritardo inferiore a 60 minuti - e non prevede invece lesonero di responsabilit per causa di forza maggiore. 44. Come correttamente rilevato dallAustria al punto 5 delle sue osservazioni scritte, non vi una lacuna da colmare nel regolamento 1371/2007 in quanto lo stesso, allart. 17, disciplina esaustivamente i casi di esonero da responsabilit senza, scientemente, prevedere lesclusione di responsabilit per causa di forza maggiore. 45. Si tratta quindi di unomissione consapevole e voluta - atteso che detto regolamento successivo a quello del 2004 in materia di trasporto aereo - da ritenersi perfettamente legittima in assenza di un principio generale, nel diritto dellUnione, che consenta in ogni caso di invocare la forza maggiore. 46. Non vi infatti alcuna sentenza della Corte di Giustizia che richiami lesistenza di un tale principio a prescindere dalla specifica previsione della normativa in concreto applicabile (punto 10 delle osservazioni dellAustria). 47. Appare poi assorbente il fatto che il rinvio operato dallarticolo 15 del Regolamento 1371/2007 alle disposizioni del Contratto di trasporto Internazionale per ferrovia dei Viaggiatori e dei bagagli (CIV), ed in particolare allarticolo 32 di questultimo, fa espressamente salve le disposizioni del presente capo, segnatamente gli articoli da 15 a 18, tra le quali rientra appunto anche lart. 17, che limita ai due casi suddetti lesclusione della responsabilit. 48. Sorprende peraltro laffermazione della Commissione, al punto 30 delle osservazioni scritte, secondo la quale sarebbe incontestato che gli articoli 16 e 18 - che dispongono, in caso di ritardo, il rimborso integrale del biglietto, lofferta di prosecuzione del viaggio con un mezzo o un itinerario CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 alternativo e lassistenza ai passeggeri con pasti ed alloggio in albergo - non prevedono alcun esonero di responsabilit per causa di forza maggiore mentre tale esonero sarebbe applicabile allindennit di cui allart. 17. 49. Tutte e tre le norme infatti sono fatte salve dal richiamo dellart. 15 allart. 32 dellallegato I del regolamento e quindi prevalgono, quali disposizioni speciali, rispetto al predetto art. 32. 50. La stessa tesi sostenuta dalla ricorrente nella causa principale, la BBPersonenverkehr che, nelle sue osservazioni scritte ai punti 52 e 53, assume che il rinvio dellart. 15 allart. 32 dellallegato I riguarderebbe solo lart. 17 mentre resterebbe salva la diversa disciplina degli articoli 16 e 18 in quanto tali norme, contrariamente allart. 17, non riguarderebbero i ritardi dei treni. 51. Tale tesi, oltre a confliggere palesemente con il tenore dellart. 15, che fa salve tutte le disposizioni del capo IV a quindi gli articoli 15, 16, 17 e 18, altres chiaramente contrastante con il contenuto degli articoli 16 e 18 che, anche essi, disciplinano i diritti dei passeggeri in caso di ritardo. 52. Lo stesso Governo tedesco, pur giungendo a conclusioni opposte, riconosce, al punto 39 delle sue osservazioni scritte, che la formulazione dellart. 15 comporta che la disciplina contenuta nellart. 32 dellallegato I si applica solo in maniera sussidiaria, quando cio le disposizioni del capo IV del regolamento, e segnatamente lart. 17, non prevedano regole contrarie. 53. Ed proprio ci che accade nel caso di specie. Lart. 17, paragrafo 4 infatti prevede espressamente le cause di esonero da responsabilit per ritardo del treno senza includere quella per forza maggiore. 54. Inoltre, detta norma prevede una disciplina dellindennizzo del prezzo del biglietto che non in alcun modo contemplata nellart. 32 dellallegato I e che, come dice la stessa Germania al punto 45, redatta in modo incondizionato ed applicabile in via prioritaria rispetto allart. 32 dellallegato I. 55. Detta ultima norma infatti disciplina unipotesi particolare di risarcimento, riguardante le spese ragionevoli di alloggio, nonch le spese ragionevoli per avvisare le persone che attendono il viaggiatore, derivanti dalla soppressione, dal ritardo o dalla mancanza di una corrispondenza che precludano la prosecuzione del viaggio nello stesso giorno. 56. Il citato articolo 17 contempla, invece, unipotesi diversa che quella dellindennizzo del prezzo del biglietto in caso di ritardo e soppressione del treno, che deve essere sempre pagato dallimpresa ferroviaria l dove ricorrano le condizioni indicate nellarticolo 17 stesso. 57. Del resto che le due ipotesi siano diverse e che per esse non possano valere le medesime cause di esclusione della responsabilit dellimpresa 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 ferroviaria desumibile anche dalla circostanza che il viaggiatore, che ha subto il ritardo, potrebbe non avere sempre diritto anche al risarcimento delle spese di alloggio o per avvisare le persone che lo attendono, nei casi ad esempio in cui la prosecuzione del viaggio sia possibile nello stesso giorno. 58. Come correttamente osservato dalla Svezia al punto 14 delle sue osservazioni scritte, la finalit del regolamento e cio la tutela del consumatore e il rafforzamento dei diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario (sesto considerando) militano contro una interpretazione estensiva delle cause di esclusione della responsabilit dellimpresa ferroviaria previste dallart. 17. 59. La stessa Commissione, pur giungendo a conclusioni contrarie, richiama, al punto 41, il principio secondo il quale le eccezioni devono essere oggetto di uninterpretazione restrittiva. 60. Contraddittoriamente, per, la Commissione invoca una sorta di interpretazione analogica delle cause di esclusione della responsabilit previste dai regolamenti disciplinanti il trasporto aereo, via mare e per autobus, affermando che non vi ragione di pensare che il legislatore dellUnione abbia voluto disciplinare diversamente il trasporto ferroviario, ripartendo diversamente il rischio tra passeggeri e impresa di trasporto (punto 40). 61. La base testuale che preclude tale interpretazione invece proprio che in quei regolamenti lesonero di responsabilit per causa di forza maggiore espressamente previsto mentre nel regolamento 1371/2007 non lo . 62. Il Governo italiano ritiene quindi che dette cause di esonero di responsabilit non siano estensibili al trasporto ferroviario anche in ragione delle peculiari motivazioni, attinenti alle condizioni metereologiche e alla sicurezza, che giustificano dette esenzioni per quei tipi di trasporto e non anche per quello ferroviario. 63. Lart. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004 sul trasporto aereo dispone che: il vettore aereo operativo non tenuto a pagare una compensazione pecuniaria a norma dellart. 7, se pu dimostrare che la cancellazione del volo dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. 64. Lart. 20, n. 4 del regolamento n. 1177/2010 sul trasporto via mare stabilisce che il diritto a compensazione economica connessa al prezzo del biglietto in caso di ritardo allarrivo non dovuto se il vettore prova che la cancellazione o il ritardo provocato da condizioni metereologiche che mettono a rischio il funzionamento sicuro della nave o da circostanze straordinarie che ostacolano lesecuzione del servizio passeggeri, le quali non potevano essere evitate anche adottando tutte le misure ragionevoli. 65. Infine, lart. 23, n. 2 del regolamento n. 181/2011 sul trasporto con autobus prescrive che la sistemazione in albergo o in altro alloggio nonch il trasporto tra la stazione e il luogo di alloggio quando si renda necessario CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 un soggiorno di una o pi notti non sono dovuti se il vettore prova che la cancellazione o il ritardo sono dovuti a condizioni metereologiche avverse o gravi catastrofi naturali che mettono a rischio il funzionamento sicuro dei servizi a mezzo autobus. 66. Linapplicabilit delle suddette norme di esenzione da responsabilit al trasporto ferroviario deriva altres dal preciso tenore dellart. 6 del regolamento n. 1371/2007, in base al quale gli obblighi nei confronti dei passeggeri stabiliti nel regolamento medesimo non possono essere soggetti a limitazioni o esclusioni, segnatamente mediante lintroduzione di clausole derogatorie o restrittive nel contratto di trasporto. 67. Detta norma prevede semmai che le imprese ferroviarie possono offrire al passeggero condizioni contrattuali pi favorevoli delle condizioni fissate dal regolamento ma certamente non peggiorative. 68. Del resto, la Corte di Giustizia (sentenza 19 novembre 2009, cause riunite C-402/07 e C-432/07, Sturgeon, punto 45) ha chiaramente affermato che le disposizioni che conferiscono diritti ai passeggeri del traffico aereo, comprese quelle che riconoscono il diritto alla compensazione pecuniaria, devono essere interpretate estensivamente (nello stesso senso, Corte di giustizia, sentenza 22 dicembre 2008, causa C-549/07, Wallentin-Herzmann, punto 17). 69.A contrario, si deduce che le disposizioni che prevedono esclusioni o limitazioni di responsabilit a carico dei vettori debbono essere interpretate restrittivamente e non oltre i casi dalle stesse espressamente disciplinati. 70. Tanto vero che la citata sentenza Sturgeon ha ritenuto che un problema tecnico occorso ad un aereomobile e che comporta la cancellazione o il ritardo del volo non rientra nella nozione di circostanze eccezionali ai sensi dellart. 5, n. 3 del regolamento n. 261/2004. 71. Si concorda quindi con la tesi sostenuta dal Giudice del rinvio secondo la quale lart. 17 del regolamento n. 1371/2007 non contempla esenzioni di responsabilit per causa di forza maggiore. Lussemburgo, 22 novembre 2012 Wally Ferrante Avvocato dello Stato 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Osservazioni del Governo della Repubblica italiana (avv. Stato Wally Ferrante, AL 30397/12) nella causa C-314/12. Materia: Ravvicinamento delle legislazioni Propriet industriale e commerciale QUESTIONE PREGIUDIZIALE 1. Con lordinanza del 11 maggio 2012, depositata in data 29 giugno 2012 dal Oberster Gerichtshoh Austria, stato chiesto alla Corte di Giustizia dellUnione europea di pronunciarsi, ai sensi dellart. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: 1. Se lart. 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE debba essere interpretato nel senso che un soggetto, il quale mette a disposizione del pubblico in internet materiali protetti senza lautorizzazione dei titolari dei diritti (articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29), utilizza i servizi del fornitore di accesso a internet dei soggetti che accedono a tali materiali. 2. In caso di risposta negativa alla prima questione: se una riproduzione effettuata per uso privato (articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29) e una riproduzione priva di rilievo economico proprio e transitoria o accessoria (articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/29) siano ammissibili soltanto qualora loriginale usato per la riproduzione sia stato riprodotto, diffuso o reso accessibile al pubblico in modo lecito. 3. In caso di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, e di conseguente necessit di adottare provvedimenti inibitori ai sensi dellarticolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29 nei confronti del fornitore di accesso a internet degli utenti: se sia compatibile con il diritto dellUnione, in particolare con la necessit di operare un bilanciamento fra i diritti fondamentali delle parti coinvolte, vietare a un fornitore di accesso a internet in modo totalmente generale (dunque senza la prescrizione di misure concrete) di consentire ai suoi clienti laccesso a un determinato sito internet fintanto che ivi siano, esclusivamente o prevalentemente, resi accessibili contenuti senza lautorizzazione dei titolari dei diritti, qualora il fornitore di accesso a internet possa evitare sanzioni per la violazione di tale divieto dimostrando di avere comunque adottato tutte le misure ragionevoli. 4. In caso di risposta negativa alla terza questione: se sia compatibile con il diritto dellUnione, in particolare con la necessit di bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti coinvolte, prescrivere a un fornitore di accesso a internet determinate misure volte a ostacolare i suoi clienti nellaccesso a un sito internet nel quale siano CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 resi disponibili contenuti in modo illecito, qualora tali misure comportino un impiego di mezzi non trascurabile e, tuttavia, possano essere facilmente aggirate anche senza particolari conoscenze tecniche. ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 2. La questione pregiudiziale trae origine da una controversia tra due societ titolari di diritti dautore su vari film (di seguito le ricorrenti) e una societ fornitrice di accesso ad internet di grandi dimensioni (di seguito la convenuta) che ha messo a disposizione del pubblico i predetti film sul sito internet gestito sotto il dominio kino.to senza la previa autorizzazione dei titolari dei diritti. 3. Tale sito internet ha lobiettivo di fornire agli utenti laccesso su vasta scala a film protetti. 4. Le ricorrenti hanno chiesto, in via cautelare, che sia vietato alla convenuta di fornire ai propri clienti laccesso al sito internet kino.to ove tale sito metta a disposizione dei clienti medesimi i film in relazione ai quali le ricorrenti sono titolari di diritti. 5. La domanda delle ricorrenti stata accolta nei giudizi di primo e di secondo grado. 6. La convenuta ha proposto ricorso per cassazione e tale giudice ha sollevato le suddette questioni pregiudiziali, dando atto che il dominio kino.to attualmente non attivo e che tuttavia la decisione dovr basarsi sullo stato di fatto esistente al momento della decisione di primo grado, essendo irrilevanti modifiche intervenute successivamente. NORMATIVA COMUNITARIA 7. La direttiva 2001/29/CE sullarmonizzazione di taluni aspetti del diritto dautore e dei diritti connessi nella societ dellinformazione (di seguito direttiva sul diritto dautore), allart. 8, paragrafo 3, recante sanzioni e mezzi di ricorso, dispone: Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto dautore o diritti connessi. 8. La predetta norma, di cui viene chiesta linterpretazione, impone, in via preliminare, di soffermarsi sulla figura degli intermediari, essendo tale nozione centrale per la risposta ai quesiti. 9. Al riguardo, il citato art. 8, paragrafo 3 richiede, ai fini di una pi compiuta analisi, di essere esaminato anche alla luce delle norme comunitarie che disciplinano il ruolo e le responsabilit dei prestatori intermediari nei servizi della societ dellinformazione, rinvenibili nella direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della societ dellinformazione, in particolare il commercio elettronico nel mercato in- 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 terno (di seguito direttiva sul commercio elettronico), che riguarda la circolazione dei servizi nella societ dellinformazione, inclusa la materia del diritto dautore. 10. Bench il giudice del rinvio ometta di menzionare tale direttiva nella ricostruzione del quadro normativo, la rilevanza della stessa discende direttamente dal sedicesimo considerando della direttiva sul diritto dautore, ove si precisa che questultima dovrebbe essere attuata in tempi analoghi a quelli previsti per lattuazione della direttiva sul commercio elettronico, in quanto tale direttiva fornisce un quadro armonizzato di principi e di regole che riguardano tra laltro alcune parti importanti della direttiva sul diritto dautore che, in particolare, lascia impregiudicate le regole relative alla responsabilit della direttiva sul commercio elettronico. 11. Questultima direttiva, infatti, agli articoli 12, 13 e 14 definisce le caratteristiche delle tre figure di prestatori intermediari e descrive rispettivamente le attivit di mere conduit, caching e hosting e le relative responsabilit. 12. In particolare, lart. 12, recante Semplice trasporto (mere conduit"), cos dispone: 1. Gli Stati membri provvedono affinch, nella prestazione di un servizio della societ dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; c) non selezioni n modifichi le informazioni trasmesse. 2. Le attivit di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo. 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilit, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione (sottolineatura aggiunta). 13. Lart. 13, recante Memorizzazione temporanea detta "caching", cos dispone: 1. Gli Stati membri provvedono affinch, nella prestazione di un servizio della societ dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere pi efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli: a) non modifichi le informazioni; b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni; c) si conformi CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore; d) non interferisca con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni; e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell'accesso. 2. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilit, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione (sottolineatura aggiunta). 14. Infine, lart. 14, recante "Hosting", cos dispone: 1. Gli Stati membri provvedono affinch, nella prestazione di un servizio della societ dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attivit o l'informazione illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illegalit dell'attivit o dell'informazione; b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso. 2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l'autorit o il controllo del prestatore. 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilit, per un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa, in conformit agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore ponga fine ad una violazione o la impedisca nonch la possibilit, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell'accesso alle medesime (sottolineatura aggiunta). 15. Le tre suddette categorie di prestatori intermediari operano in un regime di esonero dallobbligo di vigilanza preventiva sui contenuti, come previsto dallart. 15 della medesima direttiva, impregiudicata la possibilit, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga fine ad una violazione. 16. Lart. 15, infatti, recante Assenza dell'obbligo generale di sorveglianza, cos dispone. 1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano n un 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attivit illecite. 2. Gli Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della societ dell'informazione siano tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorit competente di presunte attivit o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorit competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l'identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati. RISPOSTA AL PRIMO QUESITO 17. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede nella sostanza alla Corte di giustizia se, dallinterpretazione dellart. 8, paragrafo 3 della direttiva sul diritto dautore, possa evincersi che, tra gli intermediari che possono essere destinatari di provvedimenti inibitori, rientrino anche i fornitori di accesso ad internet degli utenti che accedono al materiale illecito. 18. Il Governo italiano ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva. 19. Come si visto, la generale presunzione di irresponsabilit del prestatore intermediario, sancita dagli articoli 12, 13 e 14 della direttiva sul commercio elettronico, viene a cadere nel momento in cui ricorrano le circostanze ivi espressamente menzionate che sostanzialmente rimuovono la condizione di non responsabilit quando il prestatore viene a conoscenza dellillecito. 20. Come infatti precisato al considerando 48 della direttiva sul commercio elettronico, la medesima direttiva non pregiudica la possibilit per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che ragionevole attendersi da loro ed previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attivit illecite. 21. Per quanto riguarda i tipi di interventi che possono essere richiesti dalle autorit competenti (giurisdizionale o amministrativa) nei confronti dei prestatori intermediari, le citate norme prevedono una serie di azioni ex post, per porre fine alle violazioni, in capo a chi presta le attivit di memorizzazione temporanea (caching) e di memorizzazione (hosting). 22. Ai sensi dellarticolo 13, paragrafo 1, lett. e), della direttiva sul commercio elettronico, il fornitore di servizi di caching tenuto ad agire prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato o per disabilitarne l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorit amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione del relativo accesso. 23. Ai sensi dellarticolo 14, paragrafo 1, lett. b), della direttiva sul commercio CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 elettronico, il fornitore di servizi di hosting, non appena a conoscenza del fatto che l'attivit o l'informazione illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non appena a conoscenza di fatti o di circostanze che rendano manifesta l'illiceit dell'attivit o dell'informazione, tenuto ad agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso. 24. Il fornitore di servizi di mere conduit, invece, non soggetto ad obblighi positivi consistenti nella rimozione delle informazioni o nella disabilitazione dellaccesso alle stesse, proprio in virt della specifica attivit che svolge, consistente nel semplice trasporto delle informazioni, la cui disponibilit in rete indipendente dalle sue azioni. 25. A tale categoria di intermediario, come espressamente previsto allarticolo 12, paragrafo 3, della direttiva sul commercio elettronico, pu essere rivolta, tramite le autorit giurisdizionali o amministrative competenti, solo un ingiunzione volta a impedire o porre fine alla violazione. 26. In tale quadro, la ricostruzione del giudice di rinvio - secondo la quale per intermediario ai sensi dellarticolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto dautore non deve intendersi solamente il fornitore di accesso utilizzato dallautore della violazione per mettere a disposizione in modo illecito il materiale ma anche il fornitore di accesso ad internet dei soggetti che comunque accedono a tali materiali - appare del tutto condivisibile per i motivi di seguito illustrati. 27. In primo luogo, tale tesi supportata dal cinquantanovesimo considerando della direttiva sul diritto dautore, in base al quale i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilit di chiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. 28. Il generico riferimento allintermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo permette di ricomprendere in tale nozione anche il fornitore di accesso ad internet degli utenti che accedono al materiale protetto. 29. In secondo luogo, la lettura dellarticolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto dautore deve essere operata, in questo caso, alla luce dellarticolo 3 della direttiva medesima, che concerne la disposizione di carattere sostanziale in tema di diritto di comunicazione al pubblico. 30. Ebbene, il diritto di comunicazione al pubblico di unopera consiste proprio nel mettere a disposizione tale materiale in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente. 31. In tale quadro, appare evidente che anche lattivit del fornitore di accesso degli utenti, e non solo quella del fornitore daccesso di chi offre materiale illecito, appare necessaria a commettere la violazione. 32. Pi in dettaglio, come del resto, illustrato dal giudice del rinvio, lautore della violazione utilizza necessariamente anche i servizi del fornitore di 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 accesso degli utenti per mettere a disposizione del pubblico il materiale illecito, senza i quali egli non solo non potrebbe trarre alcun vantaggio economico ma - occorre aggiungere e sottolineare - non potrebbe neppure commettere la violazione, che consiste appunto nella messa a disposizione del pubblico in rete del materiale protetto, consentendone laccesso dal luogo e nel momento scelti individualmente. 33. Per le ragioni esposte, si propone pertanto di rispondere al primo quesito nel senso di individuare tra gli intermediari di cui allart. 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE anche i fornitori di accesso ad internet degli utenti che accedono al materiale illecito. RISPOSTA AL SECONDO QUESITO 34. Avendo dato risposta positiva al primo quesito, non necessario rispondere al secondo quesito. RISPOSTA AL TERZO E AL QUARTO QUESITO 35. Con il terzo quesito, in sostanza, il giudice del rinvio chiede alla Corte se sia ammissibile un provvedimento inibitorio a carico del fornitore di accesso a internet ex articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto dautore, formulato in modo generale e consistente nel blocco totale dellaccesso al sito a tutti i suoi clienti. 36. Con il quarto quesito, al quale occorre rispondere solo in caso di risposta negativa al terzo quesito, il giudice chiede alla Corte di chiarire se sia ammissibile prescrivere a un fornitore di accesso ad internet misure specifiche di blocco qualora la facile aggirabilit dei blocchi sia tale da rendere sproporzionati gli sforzi connessi alla loro attivazione. 37. La stretta correlazione tra i due quesiti rende opportuno affrontare contestualmente i problemi interpretativi sottoposti allattenzione della Corte, rimettendo tuttavia al giudice nazionale la valutazione del caso concreto e della conseguente proporzionalit del provvedimento inibitorio da adottare. 38. In proposito, la giurisprudenza della Corte, richiamata dallo stesso giudice del rinvio, ha chiaramente affermato, rispettivamente per un fornitore di servizi di mere conduit (sentenza del 24 novembre 2011, causa C-70/10, Scarlet Extended) e per un prestatore di servizi di hosting (sentenza del 16 febbraio 2012, causa C-360/10, Sabam) che il diritto dellUnione osta ad uningiunzione rivolta da un giudice nazionale ad un prestatore di servizi di accesso ad internet o di hosting che lo obblighi a predisporre un sistema di filtraggio delle informazioni che si applichi indistintamente a tutti gli utenti, a titolo preventivo, a spese esclusive del prestatore e senza limiti di tempo, onde bloccare la messa a disposizione del pubblico del materiale rispetto al quale il richiedente vanta diritti di propriet intellettuale. 39. Infatti, sebbene la tutela del diritto dautore - in quanto appartenente alla CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 sfera del diritto di propriet intellettuale - sia sancita dallart. 17, paragrafo 2 della Carte dei diritti fondamentali dellUnione europea, non pu desumersi n da tale disposizione, n dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto. 40. Al riguardo, come gi affermato dalla sentenza della Corte del 29 gennaio 2008, causa C-275/06, Promusicae, compito delle autorit e dei giudici nazionali, nel contesto delle misure adottate per proteggere i titolari di diritto dautore, garantire un giusto equilibrio tra la tutela di tali diritti e quella dei diritti fondamentali delle persone su cui incidono dette misure. 41. In particolare, uningiunzione generalizzata di vietare il totale accesso al sito internet a tutti i clienti potrebbe causare una violazione della libert di impresa del fornitore di accesso ad internet non proporzionata allo scopo. 42. Una tale misura potrebbe inoltre non apparire coerente con quanto disposto dal quarantacinquesimo considerando della direttiva sul commercio elettronico, secondo il quale le limitazioni della responsabilit dei prestatori intermedi lasciano impregiudicata la possibilit di azioni inibitorie di altro tipo, che obblighino, tra laltro, ad impedire o a porre fine ad una violazione anche con la rimozione dellinformazione o la disabilitazione dellaccesso alla medesima e quindi in modo selettivo e non generalizzato. 43. Inoltre, gli effetti di uningiunzione che imponga un blocco totale dellaccesso al sito non si limiterebbero al prestatore di servizi, incidendo anche sui diritti fondamentali degli utenti dei servizi di tale prestatore ed in particolare sul loro diritto di ricevere o di comunicare informazioni. 44. Detta ingiunzione rischierebbe peraltro di ledere la libert di informazione sotto altro profilo in quanto la misura investirebbe allo stesso modo un contenuto illecito ed un contenuto lecito, con il risultato di bloccare anche laccesso a materiale lecito. 45. Alla luce di quanto sopra, si osserva che la questione interpretativa posta al vaglio della Corte sottende lanalisi del ventaglio di provvedimenti inibitori alla luce della necessit di assicurare un equo contemperamento tra lesigenza di garantire unefficace tutela del diritto dautore con la libert di ricevere e di comunicare notizie e informazioni. 46. Al riguardo, appare possibile ricorrere ad interventi dalla pervasivit graduata in ragione della potenziale offensivit della violazione, adottando provvedimenti inibitori pi severi per i casi di violazioni sistematiche del diritto dautore. 47. Mentre in capo ai prestatori di caching e hosting agevole configurare un intervento di rimozione selettiva dei contenuti illeciti, azione particolarmente adatta e rispettosa del principio di proporzionalit per le violazioni episodiche o isolate, nel caso di violazioni sistematiche ad opera del prestatore di servizi di mere conduit, invece, diventa pressoch im- 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 possibile operare un intervento selettivo, con conseguente frustrazione dellefficacia dellintervento. 48. Per le violazioni massive, come quella che appare sottesa alla causa de qua, lunica forma di intervento che consenta un raggiungimento della finalit di tutela del diritto dautore appare infatti il blocco dellaccesso a tutto il sito internet, ad opera dei prestatori di mere conduit. 49. Inoltre, lintervento di inibizione dellaccesso del prestatore di servizi di mere conduit appare essere lunico possibile nel caso di siti internet ospitati su server esteri rispetto al Paese verso il quale sono destinati i contenuti illegali, stante linefficacia, sia in termini di tempistica che di risultato delle richieste di blocco di contenuti destinate a hosting provider o caching provider ubicati in territori extra UE. 50. Un tale provvedimento non sembra precluso dallart. 15, paragrafo 1 della direttiva sul commercio elettronico, che si limita a vietare un obbligo generale di sorveglianza e quindi di filtraggio, in capo ai prestatori, sulle informazioni che trasmettono o memorizzano nonch un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attivit illecite. 51. Tale norma vieta quindi un obbligo generale di controllo preventivo a carico degli intermediari ma non impedisce di adottare misure generalizzate ex post di blocco dellaccesso ad un sito una volta che le violazioni siano state accertate, su istanza dei titolari dei diritti violati, da parte del giudice nazionale. 52. I criteri di valutazione del requisito della prevalente finalit di un sito possono essere ricondotti alla sistematicit delle violazioni, facendo riferimento a parametri quali, ad esempio, il valore economico della violazione nonch la reiterazione della violazione e lincoraggiamento alla fruizione illegale dei contenuti. 53. Tali elementi indiziari potrebbero includere: a) la persistenza della messa a disposizione di contenuti in violazione delle norme sul diritto d'autore; b) la significativa quantit dei contenuti diffusi in violazione del diritto d'autore e la sponsorizzazione del sito attraverso strumenti di linkaggio in grado di comportare laccesso di un numero elevatissimo di utenti; c) il valore economico dei diritti violati; d) lincoraggiamento anche indiretto della fruizione di contenuti diffusi in violazione delle norme sul diritto d'autore, ad esempio, fornendo indicazioni in merito alle modalit tecniche per accedere a contenuti illegali, ricavando introiti da modelli di business legati alla loro fruizione mediante pagamento o associando ad essi messaggi pubblicitari, cos inducendo nellutente lerronea convinzione che trattasi di attivit lecita. 54. In conclusione, si ritiene che spetti al giudice nazionale verificare la gradualit della tipologia di provvedimenti inibitori da adottare nel caso con- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 creto, tenendo conto dei principi di proporzionalit e di contenimento dei costi a carico degli intermediari, che consentano di garantire un equo contemperamento tra i vari diritti in gioco, tutti meritevoli di tutela, ed in particolare tra il diritto dautore da un lato e la libert di impresa e il diritto allinformazione dallaltra. CONCLUSIONI 55. Il Governo italiano propone alla Corte di risolvere il primo quesito nel senso che lart. 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE debba essere interpretato nel senso che un soggetto, il quale mette a disposizione del pubblico in internet materiali protetti senza lautorizzazione dei titolari dei diritti utilizza i servizi del fornitore di accesso a internet dei soggetti che accedono a tali materiali. 56. Avendo dato risposta positiva al primo quesito, non necessario rispondere al secondo quesito. 57. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di risolvere il terzo e il quarto quesito nel senso che spetti al giudice nazionale verificare la gradualit della tipologia di provvedimenti inibitori da adottare nel caso concreto, tenendo conto dei principi di proporzionalit e di contenimento dei costi a carico degli intermediari, che consentano di garantire un equo contemperamento tra il diritto dautore da un lato e la libert di impresa e il diritto allinformazione dallaltra. Roma, 3 ottobre 2012 Wally Ferrante Avvocato dello Stat CONTENZIOSO NAZIONALE Spunti in materia di mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali (Nota a Cassazione, sez. trib. civ., sent. 6 ottobre 2011, n. 20445) Lorenzo Diotallevi* 1. Con contratto stipulato in data 23 dicembre 1992, la Saif s.r.l. ha acquistato da Edilizia Napoli Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione al prezzo di lire 14.047.803.346 oltre Iva al 4 per cento. Successivamente, nellambito della transazione concordata in relazione alla controversia insorta sullesecuzione dellappalto di lavori commissionato dallacquirente alla venditrice, in data 14 aprile 1993, stato stipulato un altro contratto, con il quale si previsto il ritrasferimento a Edilizia Napoli Nord dellimmobile al medesimo prezzo, la corresponsione a Saif - a tacitazione di eventuali pretese risarcitorie - di un indennizzo pari a 2 miliardi di lire, nonch il rimborso dellIva, con contestuale emissione di nota di credito a compensazione della fattura emessa in occasione della conclusione del primo negozio. 2. Tale comportamento veniva contestato dallAgenzia delle Entrate, la quale ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione per lannullamento della sentenza della Commissione tributaria regionale di Bari del 23 maggio 2005, n. 28 che, avendo qualificato il contratto stipulato in data 14 aprile 1993 come atto di mutuo dissenso, avente efficacia risolutoria del primo accordo, ha da ci ricavato lapplicabilit, in favore di Saif, dellart. 26, commi 2 e 3, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale viene riconosciuto il diritto alla detrazione dellimposta versata per loperazione eseguita e successivamente venuta meno in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti. In particolare, lAgenzia delle Entrate ha denunciato il vizio di violazione (*) Dottore in Giurisprudenza, gi praticante forense presso lAvvocatura dello Stato. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 e falsa applicazione degli artt. 1321, 1343, 1470 ss., 1362 ss. e 1453 c.c., degli artt. 21 e 26 del citato d.p.r., nonch vizio di motivazione, sottolineando come i giudici di merito abbiano desunto leffetto risolutorio del secondo contratto da una vicenda inerente ad un altro e distinto rapporto contrattuale, in ordine al quale soltanto era insorta una controversia e si era posta lesigenza di addivenire alla stipula di un accordo transattivo. Ha altres osservato la ricorrente che il primo contratto aveva ormai prodotto i suoi effetti traslativi, con la conseguenza di non potersi ammettere un negozio risolutorio di un contratto gi eseguito. In questottica, lAgenzia delle Entrate ha evidenziato come la retrovendita immobiliare conclusa tra le parti si configurasse come un nuovo negozio traslativo, soggetto ad Iva allaliquota del 9 per cento vigente al tempo della stipula. 3. Con sentenza del 6 ottobre 2011, n. 20445, la Corte di Cassazione, sez. trib. civ., ha rigettato il ricorso proposto dallAgenzia delle Entrate. In particolare - per quel che qui interessa -, con riferimento allasserita violazione delle norme codicistiche in materia di interpretazione del contratto, il Giudice di legittimit, dopo aver escluso, in termini generali, che, a differenza di quanto prospettato dalla difesa erariale, la risoluzione con efficacia ex tunc oper(i) esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa, e cio alle situazioni patologiche connesse alla esecuzione del contratto, ha affermato che la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione convenzionale o accordo risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione delloriginario regolamento di interessi (). Quanto, invece, alla seconda obiezione - secondo cui il contratto da risolvere per mutuo dissenso aveva gi prodotto i suoi effetti, trattandosi di contratto ad effetti reali -, il Supremo Collegio ha sottolineato che (l)a risoluzione convenzionale integra () un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo, ed ha aggiunto che (l)effetto ripristinatorio () espressamente previsto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo lonere della forma ad substantiam (...). 4. Tutto ci premesso, la sentenza in commento suscita fondate perplessit in relazione ai seguenti profili: a) laffermazione della naturale retroattivit del mutuo dissenso; b) lestensione di tale principio ai contratti ad effetti reali. Quanto al punto a), va ribadito come la Corte di Cassazione abbia ritenuto CONTENZIOSO NAZIONALE 139 applicabile al caso di specie lart. 1458 c.c., a mente del quale (l)a risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali leffetto della risoluzione non si estende alle prestazioni eseguite (1). Una simile opzione, invero, presuppone la ricostruzione del mutuo dissenso come ipotesi particolare di risoluzione convenzionale (2). Sennonch, non possono essere sottaciute le profonde differenze esistenti tra gli istituti in parola quanto a presupposti e oggetto. Sotto il primo profilo, pacifico come la risoluzione convenzionale richieda la sussistenza di vizi funzionali della causa - quali positivamente individuati dalla legge (3) -, laddove con il mutuo dissenso le parti, sul presupposto della validit ed efficacia del contratto, procedono allo scioglimento di un preesistente rapporto giuridico di carattere patrimoniale, non avendo pi interesse alla sua realizzazione (4). Sotto il secondo, invece, vՏ da dire che, mentre ai sensi dellart. 1453, comma 1, c.c. la risoluzione pu operare solo ed esclusivamente con riferimento a contratti a prestazioni corrispettive, per il combinato disposto degli artt. 1321 e 1372 c.c., il mutuo dissenso teoricamente predicabile in relazione a qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, e dunque - per quel che qui interessa - anche in mancanza di detto nesso di sinallagmaticit (5). Ma cՏ di pi. Infatti, che il principio dellefficacia retroattiva della risoluzione non possa trovare applicazione nelle ipotesi di mutuo dissenso, sembra trovare conferma, non solo nelle rilevanti differenze strutturali e funzionali riscontrabili tra i due istituti, ma anche in considerazioni di ordine sistematico e interpretativo. Si vuole, in primo luogo, fare riferimento alla circostanza che la retroattivit costituisce un fenomeno eccezionale che, come tale, necessita di una esplicita previsione di legge (6). Daltra parte, se - come evidenziato da autorevole dottrina - il vincolo (1) V. supra il paragrafo n. 2. (2) In tal senso, v., in dottrina, F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1974, 217-218; F. GRADASSI, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compravendita immobiliare, in Notariato, 6, 1997, 520-521; E. ROPPO, Il contratto, in G. IIUDICA e P. ZATTI (a cura di), Tratt. dir. civ., Milano 2001, 540. (3) vale a dire linadempimento (art. 1453 c.c. ss.), limpossibilit sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c ss.) e la sua eccessiva onerosit (art. 1467 c.c. ss.). (4) In proposito, v. A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano 1980, 256 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 1998, 700; A. GALATI, Mutuo dissenso e contratti ad effetti reali, in www.treccani.it, 2. (5) Cfr. A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 2. (6) Il punto messo in evidenza da W. BIGIAVI, Irretroattivit della risoluzione per inadempimento, in Riv. dir. comm. 1934, I, 718; G. DEIANA, Contrarius consensus, in Riv. dir. priv. 1939, I, 103 ss.; S. ROMANO, voce Revoca, in Noviss. Dig. It, XV, Torino 1968, 810. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 della legge una precondizione selettiva delle conseguenze sulle quali pu essere trasferita una questione di valutazione (7), e se il tenore letterale segna il limite estremo delle variabili di senso ascrivibili al testo (8), ne deriva che non pu essere affermata lefficacia retroattiva del mutuo dissenso, laddove lart. 1458 c.c. si limita a fare riferimento alle sole ipotesi di risoluzione per inadempimento (9). 5. Ci detto, deve altres essere osservato come laffermazione della naturale efficacia retroattiva del mutuo dissenso sia ancor pi discutibile se riferita ai contratti ad effetti reali. In primo luogo, se la causa del mutuo dissenso risiede nellestinzione di un rapporto giuridico pendente, va da s che nessun effetto eliminativo predicabile in relazione a contratti - come quello concluso in data 23 dicembre 1992 da Edilizia Napoli Nord e Saif - i cui effetti reali siano gi integralmente prodotti (10). A ci si aggiungano le conseguenze pregiudizievoli che, ad accettare la soluzione criticata, si verrebbero a determinare sui diritti acquisiti dai terzi (11). Tuttal pi - stato evidenziato -, si potrebbe ammettere lefficacia retroattiva del mutuo dissenso con riferimento ai contratti ad effetti obbligatori, nonch a tutte quelle ipotesi in cui la costituzione o il trasferimento del diritto non si realizzino immediatamente, allatto della manifestazione del consenso (12), ma siano differiti ad un momento successivo (13). N a conclusioni diverse sembra condurre la giurisprudenza richiamata dalla Corte di Cassazione al fine di giustificare laffermazione in base alla quale non () dato () riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo lonere della forma ad substantiam (). Si tratta, infatti, di pronunce aventi ad oggetto contratti ad effetti obbligatori (14), ovvero compravendite immobiliari in relazione alle quali stato bens ritenuto ammissibile il ricorso al mutuo dissenso, ma stato pure sottolineato come, attraverso tale operazione negoziale, (7) Cos, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano 1996, 103. (8) Di nuovo, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, cit., 103. (9) In tal senso, A. GALATI, Il mutuo dissenso, cit., 4. (10) Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in A. CICU e F. MESSINEO (a cura di), Tratt. dir. civ. comm., Milano 1971, 1024; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Torino 1980, 290; A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 9. (11) Cfr. G. DEIANA, Contrarius consensus, cit., 103 ss. (12) Cfr. lart. 1376 c.c. (13) Basti pensare alle varie ipotesi di vendita obbligatoria, ovvero alla vendita di genere (art. 1378 c.c.), alla vendita di cosa altrui (art. 1478 c.c.), alla vendita di cosa futura (art. 1472 c.c.), alla vendita alternativa (art.1286 c.c.), alla vendita con patto di riservato dominio (art.1523 c.c.). Sul punto, cfr., ad es., A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova 1995, 726; A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 9. (14) ovvero un contratto preliminare di compravendita immobiliare (Cass., sez. un. civ., sent. 28 agosto 1990, n. 8878) e una vendita di cosa futura (Cass., sez. II civ., sent. 6 novembre 1991, n. 11840). CONTENZIOSO NAZIONALE 141 si realizzi una nuova e distinta vicenda traslativa (15). Con il che il Giudice di legittimit ha finito, in realt, per aderire alla tesi prospettata, nel caso di specie, dalla difesa erariale, laddove ha qualificato il contratto stipulato da Edilizia Napoli Nord e Saif, in data 14 dicembre 1993, come retrovendita. Una soluzione, questa, in linea con le considerazioni di ordine teorico e pratico sopra esposte, ove si ponga mente al fatto che solo la stipulazione di un contronegozio - vale a dire di un negozio uguale e contrario rispetto a quello precedentemente concluso - pu consentire alle parti di rimuovere - con efficacia, evidentemente, ex nunc - le modificazioni reali prodottesi in via definitiva, senza con ci andare ad incidere sul generale principio di tutela dellaffidamento dei terzi (16). Cassazione civile, Sez. V, sentenza 6 ottobre 2011 n. 20445 - Pres. Pivetti, Rel. Olivieri, P.M. Gambardella (conforme) - Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato) c. S.A.I.F. s.r.l. (avv. Lacarra). (...) Svolgimento del processo Con sentenza 23 maggio 2005 la 13A sezione della Commissione Tributaria Regionale di Bari, rigettava l'appello proposto dall'Ufficio finanziario, confermando la sentenza impugnata, rilevando che il contratto stipulato in data 14 dicembre 1993 tra SAIF s.p.a. ed Edilizia Napoli Nord s.r.l. aveva effetto risolutorio del precedente contratto stipulato per atto pubblico in data 23 dicembre 1992 tra le stesse parti con il quale la SAIF s.r.l. - successivamente dichiarata fallita in data 25 novembre 1996 dal Tribunale di Bari - aveva acquistato da Edilizia Napoli Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione per il prezzo di L. 14.047.803.346 oltre Iva al 4%. I Giudici di appello rilevavano che l'atto di risoluzione era intervenuto nell'ambito della soluzione transattiva concordata tra le parti in ordine alla controversia insorta sulla esecuzione dell'appalto di lavori commissionato dalla acquirente alla venditrice. Pertanto con il contratto del 14 dicembre 1993 si procedeva al ritrasferire l'immobile al medesimo prezzo corrisposto (nonch alla corresponsione a SAIF di un indennizzo di L. 2 miliardi a tacitazione di pretese risarcitorie) ed al rimborso da parte di Edilizia Napoli Nord della IVA pagata da SAIF, con contestuale emissione da parte della stessa Edilizia Napoli Nord di nota di credito n. (omissis) - con aliquota (15) Cfr. Cass., sez. II civ., sent. 15 maggio 1998, n. 4906, secondo cui nel caso di contratto di trasferimento della propriet immobiliare, per la cui validit la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poich per effetto di esso si opera un nuovo trasferimento della propriet al precedente proprietario. Nel medesimo senso, Cass., sez. III civ., sent. 18 febbraio 1980, n. 1186; Cass., sez. II civ., sent. 14 febbraio 1981, n. 908; Cass., sez. II civ., sent. 14 luglio 1989, n. 3288; Cass., sez. II civ., sent. 7 marzo 1997, n. 2040, parimenti richiamate dal Giudice di legittimit. (16) In tal senso, ad es., D. RUBINO, La compravendita, cit., 1024; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, cit., 290; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in G. GROSSO e S. SANTORO-PASSARELLI (a cura di), Tratt. dir. civ., Milano 1972, 205 ss., 290; A. GALATI, Mutuo dissenso, cit., 4. 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 IVA al 4% - a compensazione della fattura emessa in occasione del primo contratto. La identit del contenuto dei due contratti e la motivazione relativa alla volont manifestata dalle parti di risolvere stragiudizialmente la controversia tra le stesse insorta, legittimava la operazione eseguita che doveva ricondursi sotto la disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, non potendo dar luogo il secondo atto ad una nuova operazione economica a fini fiscali come riteneva l'Ufficio finanziario che qualificava il secondo atto come retrovendita. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento SaiF s.p.a. Motivi della decisione 1. I Giudici di appello hanno fondato la propria decisione qualificando il contratto stipulato dalle parti in data 14 dicembre 1993 come atto di muto dissenso volto allo scioglimento del precedente atto pubblico in data 23 dicembre 1992. A tale conclusione sono pervenuti all'esito della interpretazione del contenuto dei due atti negoziali nonch dei rapporti intercorsi tra le parti nel periodo di tempo tra la stipula del primo e del secondo contratto. Quanto al primo aspetto i Giudici di merito hanno rilevato che le disposizioni e clausole pattizie di entrambi i contratti erano da ritenersi identiche e contrarie, sicch il secondo contratto veniva ad elidere gli effetti del primo. Quanto al secondo aspetto i Giudici rilevavano che la societ prima acquirente aveva commissionato all'alienate l'appalto dei lavori di ultimazione dell'immobile compravenduto, nonch aveva conferito alla stessa mandato a vendere le singole unit immobiliari. Essendo insorta tra le parti controversia in ordine all'esatto adempimento dei rapporti obbligatori, le parti erano pervenute alla definizione delle reciproche pretese, ripristinando lo "status quo ante" mediante la risoluzione di comune accordo di tutti rapporti negoziali intercorsi tra di esse (contratto di compravendita - con restituzione del medesimo importo corrisposto a titolo di prezzo ed emissione, restituzione all'originario acquirente dell'IVA applicata al 4% e contestuale emissione di nota credito di pari importo; contratto di appalto -con corresponsione a SAIF di un indennizzo a tacitazione di ogni pretesa di natura risarcitoria; contratto di mandato a vendere), dovendo sussumersi tale accordo nella figura dell'accordo transattivo. Inoltre elemento decisivo a sostegno della qualificazione del secondo atto come negozio risolutorio veniva attribuito dai Giudici di merito alla circostanza che il secondo contratto era intervenuto entro l'anno dalla stipula del primo, elemento questo espressamente considerato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 per il riconoscimento di diritto alla detrazione - restituzione della imposta versata per la operazione eseguita e successivamente venuta meno "in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti". 2. La Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello, denunciando vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1343 c.c., dell'art. 1470 c.c. e segg., dell'art. 1362 c.c. e segg. e dell'art. 1453 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 26 nonch vizio di motivazione, in quanto i Giudici di merito che avrebbero desunto l'effetto risolutorio del secondo contratto da una vicenda inerente un altro e distinto rapporto contrattuale intercorso tra le parti (appalto lavori), in ordine al quale soltanto era insorta controversia e dunque sussisteva la esigenza della stipula di un atto transattivo: con la conseguenza che dovevano essere tenute distinte le cause negoziali relative alla transazione, avente ad oggetto il rapporto di appalto, ed alla retrovendita immobiliare che configurava, pertanto, un nuovo negozio traslativo ed andava quindi assoggettata ad IVA all'aliquota del 9% vigente al tempo della stipula. Pur senza negare che la retrocessione della propriet dell'immobile era stata determinata dalla risoluzione del contratto di appalto, tuttavia ci configurava soltanto il motivo ma non la causa giustificativa del nuovo atto. Inoltre la autonomia del successivo negozio di vendita derivava necessariamente dal fatto che CONTENZIOSO NAZIONALE 143 il primo contratto aveva ormai prodotto i propri effetti traslativi e pertanto non poteva configurarsi un negozio risolutorio di un contratto gi eseguito. 3. Controdeduce il Fallimento SAIF s.p.a. aderendo alle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e rilevando che indipendentemente dalla qualificazione del secondo contratto come atto transattivo, era innegabile che la originaria operazione eseguita dalle parti (trasferimento della propriet immobiliare) era venuta meno, entro l'anno, per volont delle parti contraenti, con la conseguenza che dovevano comunque ritenersi integrati i presupposti che legittimavano il recupero dell'IVA assolta in occasione della stipula del contratto risolto per mutuo dissenso. 4. Il ricorso deve essere rigettato m relazione ad entrambe le censure prospettate con l'unico complesso motivo. Occorre premettere che la qualificazione del contratto una operazione ermeneutica volta ad identificare il modello legale astratto di contratto all'interno del quale sussumere il contratto in concreto stipulato, a fine di assoggettare quest'ultimo alla disciplina dettata dal primo. Tale operazione strutturalmente si articola in tre fasi, la prima delle quali consiste nella ricerca della comune volont dei contraenti, la seconda nella individuazione della fattispecie legale e l'ultima consiste nel giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto in concreto accertati (cfr. Corte cass. 3^ sez. 16 giugno 1997 n. 5387: Corte cass. 3^ sez. 5 luglio 2004 n. 12289). La prima fase si risolve in un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimit solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 c.c. e segg. Le successive consistono nella ricerca del paradigma legale da applicare alla fattispecie (id est della norma o del complesso normativo in base al quale si intende regolare il rapporto dedotto in giudizio) e nella qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione - cio del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma - per verificare la corrispondenza degli elementi di fatto accertati a quelli individuanti la fattispecie normativa. Queste fasi comportano applicazione di norme giuridiche ed il giudice non vincolato dal "nomen juris" adoperato dalle parti, ma pu correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto. La ricostruzione data dal giudice di merito incensurabile in sede di legittimit allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione dell'attivit negoziale oppure nella contrapposizione di un'interpretazione della medesima a quella del giudice di merito (cfr. Corte cass. 2^ sez. 3 novembre 2004 n. 21064; Corte cass. 3^ sez. 22 giugno 2005 n. 13399). Tanto premesso, con riferimento alla asserita violazione delle norme codicistiche indicate in rubrica, palesemente privo di pregio l'assunto della ricorrente secondo cui la risoluzione con efficacia ex tunc opera esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa e cio alle situazioni patologiche connesse alla esecuzione del contratto, essendo appena il caso di rilevare che la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione convenzionale o accordo risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono libere di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione dell'originario regolamento di interessi: come infatti ribadito dalle pronunce di questa Corte la risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce un caso di ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio uguale e contrario a quello da risolvere (cfr. Corte cass. 3^ sez. 10. marzo 1966 n. 683; id. 2^ sez. 30 agosto 2005 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 n. 17503; id. 3^ sez. 10 luglio 2008 n. 18859). Inconsistente altres la obiezione secondo cui il contratto da risolvere per mutuo consenso aveva gi prodotto i propri effetti, trattandosi di contratto ad efficacia reale. La risoluzione convenzionale integra, infatti, un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo e "la sua peculiarit di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre effetti estintivi delle posizioni giuridiche create da esso" (cfr. Corte cass. 3^ sez. 27 novembre 2006). L'effetto ripristinatorio , peraltro, espressamente previsto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l'onere della forma "ad substantiam": "la forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di propriet sui beni immobili, dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio cui le parti abbiano inteso dare vita, quali l'indicazione del bene ritrasferito e del prezzo, nonch la manifestazione della effettiva volont di operare il nuovo trapasso del bene" (cfr. con riferimento a contratto di compravendita immobiliare: Corte cass, 3^ sez.. 18 febbraio 1980 n. 1186; id. 2^ sez. 14 febbraio 1981; id. 2^ sez. 14 luglio 1989 n. 3288; id. 2^ sez. 7 marzo 1997 n. 2040; id. 2^ sez. 15 maggio 1998 n. 4906 "nel caso di contratto di trasferimento della propriet immobiliare, per la cui validit la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poich per effetto di esso si opera un nuovo trasferimento della propriet al precedente proprietario (v. sent. 20 dicembre 1988 n. 6959. 28 agosto 1990 n. 8878) ...": cfr. con riferimento al contratto di vendita di cosa futura Corte cass. 2^ sez.. 6 novembre 1991 n. 11840 che desume l'obbligo della forma scritta dell'accordo risolutorio dalla efficacia definitiva e non meramente obbligatoria della vendita). Del pari manifestamente infondato il denunciato vizio di sussunzione della fattispecie concreta nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 nonch la censura per vizio motivazionale. La norma invocata attribuisce al cedente (nella specie alla Edilizia Napoli Nord s.r.l.) di portare in detrazione l'imposta - previa registrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 - in ogni caso in cui "un'operazione per la quale sia stata emessa fattura... viene meno in tutto od in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullit, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, o per mancato pagamento...'" (comma 2). Qualora tali eventi si verifichino "in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti la neutralit fiscale pu essere fatta valere esclusivamente entro l'anno dalla operazione imponibile (comma 3). Orbene gli elementi normativi della fattispecie possono quindi individuarsi: a) nella realizzazione di una operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che deve essere "vera e reale e non gi del tutto inesistente", come deve argomentarsi dalla disposizione di chiusura del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 che individua il presupposto impositivo, in caso di operazione inesistente, e dunque in assenza di un fatto imponibile definito nel suo effettivo contenuto economico D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, nel mero elemento cartolare della fattura (cfr. Corte cass. 5^ sez. 10 giugno 2005 n. 12353); b) nella realizzazione di una causa di scioglimento del contratto (cui consegue i venir meno della "operazione imponibili": nella specie cessione di bene immobile), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale della intervenuta risoluzione (Corte cass. 3^ sez. 21 gennaio 2010 n. 987). Deve sussistere quindi un titolo idoneo a realizzare gli effetti risolutori del precedente contratto (Corte cass. 1^ sez. 23 aprile 1993 n. 4767 ove si esclude CONTENZIOSO NAZIONALE 145 che un "accordo" comportante variazioni dell'imponibile o dell'imposta riguardo ad una precedente operazione regolarmente assoggettata ad IVA non pu essere desunto dal mero fatto che una delle parti del rapporto di cessione ha emesso, senza neppure indicarne la causa, alcune "note di accredito"): con la conseguenza che laccordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta "ad substantiam" soggetto alla stessa forma stabilita per la sua conclusione e lanzidetto requisito formale pu ritenersi sussistente solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volont negoziale e che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volont (Corte cass. 2^ sez. 7 marzo 1997 n. 2040; id. 3^ sez. 27 novembre 2006 n. 25126; id. 2^ sez. 6 aprile 2009 n. 8234): c) nella identit delle parti dell'accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale (Corte cass. 5^ sez. 12 febbraio 2010 n. 3380); d) nel regolare adempimento degli obblighi di registrazioni previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972: in tema di detrazioni IVA, la norma di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2 - a mente della quale le ragioni per cui un'operazione fatturata viene meno in tutto o in parte, ovvero sia ridotta nel suo ammontare imponibile, possono essere varie, e consistere, in particolare, non solo nella nullit, nell'annullamento, nella revoca, nella risoluzione, nella rescissione, ma anche in ragioni "simili", quali il mancato pagamento o la concessione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente - va interpretata nel senso che ci che rileva, per volont legislativa, non tanto la modalit secondo cui si manifesta la causa della variazione dell'imponibile IVA, quanto, piuttosto, che, tanto della variazione, quanto della sua causa, si effettui registrazione ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 del citato D.P.R. (Corte cass. 5^sez. 6 luglio 2001 n. 9195. Sui rispettivi obblighi di registrazione gravanti sul cedente e sul cessionari cfr. Corte cass. 1 sez. 11 giugno 1993 n. 6552); e) nel lasso temporale infrannuale entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutoria nel caso in cui l'effetto risolutorio trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso: la prova relativa pu legittimamente essere fornita soltanto attraverso l'indicazione di quei dati che risultino idonei a collegare le due operazioni - essendo lo scopo perseguito dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di immodificabilit, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell'imponibile o dell'imposta, ex art. 26 citato - merc dimostrazione, da parte del contribuente, dell'identit tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un canto, e l'oggetto della registrazione della variazione, dall'altro, s da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Corte cass. 5^ sez. 6 luglio 2001 n. 9188). Orbene i Giudici territoriali hanno correttamente ricondotto la fattispecie concreta nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, ravvisando la identit di contenuto dei due atti negoziali uguali e contrari (quanto all'oggetto - propriet dell'immobile - ed alla prestazione avente ad oggetto il pagamento del prezzo, nonch quanto alla forma), accertando la identit delle parti contraenti, la eseguita registrazione della variazione contabile ai fini della detrazione IVA da parte del cedente, la esatta corrispondenza dell'imposta versata e di quella recuperata (con applicazione della identica aliquota pari al 4%), la esistenza del presupposto temporale richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3. Hanno inoltre desunto l'effetto risolutorio del primo contratto dall'inserimento del contratto stipulato in data 14 dicembre 1993 nell'ambito della composizione transattiva, con la quale le medesime parti hanno voluto definire tutti i rapporti pendenti, della pi ampia vicenda negoziale intercorsa tra le parti che oltre al contratto di compravendita concerneva anche il contratto 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 di appalto relativo alla esecuzione dei lavori di ultimazione dell'intero immobile ed il contratto di mandato a vendere le singole unit immobiliari. Evidente la confusione in cui incorre la Agenzia delle Entrate laddove ipotizza una mancanza originaria della causa negoziale dell'accordo risolutorio allegando che il contenzioso tra le parti concerneva esclusivamente il rapporto originato dal contratto di appalto, in tal modo non considerando che, tanto gli artt. 1321 e 1372 c.c. quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3, prevedendo espressamente l'accordo delle parti quale negozio risolutorio idoneo a determinare il venir meno della "operazione imponibile", prescindono del tutto da eventuali vizi genetici o funzionali della causa del contratto che le stesse intendono risolvere. La critica motivazionale della ricorrente, pertanto, si risolve soltanto nel contrapporre una diversa ricostruzione giuridica dei fatti rispetto a quella effettuata dai Giudici di merito, senza individuare specificamente gli errori logici che inficiano la ratio decidendi della sentenza impugnata, con la conseguenza che l'accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce apprezzamento di fatto del Giudice di merito, che rimane incensurabile in sede di legittimit in presenza di congrua motivazione (Corte cass. 3^ sez. 27 novembre 2006 n. 25126). 5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato ed in applicazione del principio di soccombenza la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Suprema Corte di cassazione: - rigetta i ricorso e condanna la Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 7.200,00 (di cui Euro 7.000,0 per onorari) oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge. CONTENZIOSO NAZIONALE 147 I licenziamenti disciplinari dopo la l. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero). Considerazioni alla luce della prima pronuncia giurisdizionale in materia (Nota a Tribunale di Bologna, ordinanza 15 ottobre 2012) Stefano Bini* La legge 28 giugno 2012, n. 92, c.d. Riforma Fornero, ha come noto significativamente inciso sullintero corpus normativo del diritto del lavoro italiano e, in special modo, su quello attinente alla materia dei licenziamenti. Particolarmente rilevanti risultano essere, tra le altre, le modifiche apportate allart. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori), al dichiarato fine di facilitare e snellire la flessibilit in uscita dal rapporto di lavoro, rivisitando cos lapparato sanzionatorio connesso alle ipotesi di illegittimit del licenziamento. A distanza di poco pi di un anno dallimportante ed innovativa promulgazione del c.d. Collegato Lavoro (l. 4 novembre 2010, n. 183), il Legislatore nuovamente intervenuto, animato dallintento di realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantit e qualit, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione [...] (1). Il disegno riformatore posto a fondamento della l. 92/2012 ha portato ad un radicale superamento del precedente schema di classificazione delle sanzioni applicabili in conseguenze di illegittimi casi di recesso datoriale dal rapporto di lavoro: mentre infatti precedentemente il rimedio principale (se non unico), nelle ipotesi di licenziamento invalido, era costituito dalla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, unitamente al risarcimento del danno, (*) Ammesso alla pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, Dottorando di ricerca in "Diritto ed Impresa" (LUISS "Guido Carli", Roma). (1) Significativa la non usuale esposizione delle finalit e degli obiettivi che il legislatore intende perseguire, di cui allart. 1, comma 1 (incipit) della legge 28 giugno 2012, n. 92: La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantit e qualit, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare [...] c) ridistribuendo in modo pi equo le tutele dellimpiego [...] adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altres di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie [...]. Di interesse anche Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Comunicato stampa La riforma del mercato del lavoro legge , Roma, 27 giugno 2012, p. 2. Per quanto concerne lintroduzione del nuovo rito per limpugnazione dei licenziamenti, si rinvia allesaustivo saggio di A. GIORDANO, Il nuovo rito per limpugnazione dei licenziamenti, Treccani.it, 2012, www.treccani.it/magazine/diritto. 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 in misura non inferiore a cinque mensilit (2), con la legge entrata in vigore lo scorso 18 luglio 2012 si supera il carattere di esclusivit, che aveva precedentemente connotato la soluzione della reintegrazione: cos il giudice ad essere investito della scelta della sanzione da irrogare nel concreto caso di specie, sulla base dei criteri e dei parametri previsti, anche se solo in generale, dalla normativa (3). Le tipologie di licenziamento sono sostanzialmente ricondotte a tre: disciplinare, economico e discriminatorio; non potendosi in questa sede esaminare la complessiva disciplina di riforma in materia, si prenderanno in considerazione solamente i profili della stessa, che presentino maggiore interesse, ai fini di una chiara ed organica analisi dellordinanza che qui si annota. Quello relativo ai licenziamenti disciplinari costituisce dunque certamente uno dei profili di maggiore interesse nellindagine attorno allampia materia del recesso dal rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla sua riconducibilit nellambito del potere disciplinare, ex art. 7 St. lav. Essendo la c.d. Riforma Fornero di cos recente introduzione, sono le concrete implicazioni applicative ad assumere una rilevanza ed una valenza davvero cruciali: il ruolo della giurisprudenza di merito, assume dunque un fondamentale ruolo integrativo, complementare allelaborazione dottrinale di commento alla disciplina normativa. In questottica, pertanto, si presenta di notevole interesse quello che potrebbe essere definito come il primo provvedimento giudiziale post Riforma Fornero, ovvero lordinanza del Tribunale di Bologna del 15 ottobre 2012 (procedimento n. 2631/2012). Con il provvedimento appena richiamato, la sezione lavoro del Tribunale di Bologna ha disposto la reintegrazione del dipendente di unimpresa, impiegato con qualifica di responsabile del reparto qualit, licenziato per aver espresso, in uno scambio di e-mail con il suo diretto superiore gerarchico, la seguente valutazione circa lattitudine alla pianificazione dellimpresa: Parlare di pianificazione nel Gruppo [nome dellimpresa, omissis] come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attivit in questa azienda . Affermata primariamente la necessit di considerare e qualificare il fatto storico nellambito di una pi ampia contestualizzazione spazio-temporale, tesa a tenere in debito conto, oltre che la sequenza di avvenimenti e condotte, anche (e - nellapproccio ermeneutico adottato dal giudice - soprattutto) la situazione psicologica dei soggetti coinvolti, il Tribunale di Bologna fonda la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro del lavo- (2) Per quanto concerne la disciplina dei licenziamenti in vigore anteriormente allentrata in vigore della recente riforma del mercato del lavoro, si veda R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 352 e ss. (3) F. TOFFOLETTO, Il nuovo regime sanzionatorio previsto dalla legge Fornero in caso di licenziamento invalido, Top Legal, ottobre 2012, n. 9, p. 46. CONTENZIOSO NAZIONALE 149 ratore licenziato, su due argomentazioni tra loro marcatamente eterogenee. Invero il fatto viene considerato, nel caso di specie, come insussistente e al contempo riconducibile alla c.d. lieve insubordinazione inquadrata, dalla contrattazione collettiva concretamente applicabile, nellambito delle condotte punite con sanzione conservativa. Il Tribunale di Bologna, presenta in primo luogo uninteressante argomentazione attorno allinterpretazione da attribuire alla nozione di insussistenza del fatto, di cui allart. 1, comma 42 della l. 92/2012: [...] la norma in questione, parlando di fatto, fa necessariamente riferimento al c.d. Fatto Giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nellunicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente lelemento soggettivo (4). Perch quindi il fatto possa ritenersi effettivamente sussistente, occorre che la condotta del prestatore di lavoro si sia pienamente verificata tanto sotto il profilo oggettivo, quanto sotto quello soggettivo-psicologico, attinente allanimus del lavoratore stesso. Sulla base della suddetta considerevole premessa argomentativa, nellordinanza si procede cos osservando che la proposizione oggetto del contendere (Parlare di pianificazione nel Gruppo [nome dellimpresa, omissis] come parlare di psicologia con un maiale) non pu ritenersi pronunciata nel quadro di quella che potrebbe definirsi come una lucida, fredda e deliberata ponderazione, tesa a ledere il prestigio della societ di appartenenza, dovendosi al contrario ritenere che la stessa frase rappresenti limpetuosa reazione del lavoratore alla stressante pressione cui era sottoposto da parte del superiore gerarchico, viste anche le scuse per il comportamento posto in essere, che il lavoratore ha successivamente formulato e presentato (5). Posta pertanto dal giudice uninterpretazione pi ampia ed estensiva della nozione di fatto, il comportamento del prestatore di lavoro viene ad essere preso in considerazione non solo limitatamente al dato materiale ed oggettivo, ma unitamente alla centrale componente soggettiva dellelemento psicologico; a sostegno di tale tesi ermeneutica, la sezione lavoro del Tribunale di Bologna argomenta la necessit di osservare i principi generali dellordinamento civilistico della diligenza, nonch della buona fede, calati nellambito dello svolgimento del rapporto di lavoro (si vedano a tal proposito gli artt. 1175 e 1176 (4) Tribunale di Bologna, ordinanza 15 ottobre 2012, procedimento n. 2631/2012, p. 2. (5) Nellordinanza, la condotta posta in essere dal superiore gerarchico del lavoratore licenziato, attraverso le diverse mail inviate, viene considerata e valutata in termini di palese ed inutile contenuto denigratorio, connotato da unintrinseca offensivit della professionalit del dipendente. Il Tribunale di Bologna, invero, ricostruisce il fatto posto in essere dal lavoratore nella pi ampia cornice di una relazione di causalit, tra la mail inutilmente denigratoria del superiore gerarchico e quella non finalizzata a ledere il prestigio aziendale del lavoratore, espressione di un disagio conseguente allo stress lavorativo, indotto - ed ecco quindi lessenza del nesso di causalit, rinvenuto dal giudice - proprio dal contenuto e, soprattutto, dal tono della mail del superiore gerarchico. 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 c.c., rispettivamente rubricati: Comportamento secondo correttezza e Diligenza nelladempimento). Assumendo a fondamento della propria decisione tali considerazioni di carattere interpretativo della normativa di recente introduzione, dunque, il Tribunale riconosce la insussistenza del fatto nel comportamento posto in essere dal lavoratore licenziato. Meritevole per di attenzione il fatto che il suddetto Tribunale, fonda tale dichiarazione di insussistenza del fatto, non sulla esclusione dellelemento soggettivo (riconosciuto, nella stessa ordinanza, come elemento imprescindibile ai fini dellaccertamento del fatto, inteso nella sua accezione di fatto giuridico), ma piuttosto sulla valutazione della sua scusabilit. Semplificando, il giudice ritiene il fatto insussistente non perch il fatto non stato oggettivamente posto in essere o perch non ricorre il necessario elemento soggettivo nel comportamento del lavoratore, quanto invece perch considera la condotta del prestatore come scusabile, in quanto impetuosamente reattiva al comportamento offensivamente denigratorio del superiore gerarchico. Appare gi prima facie evidente come liter argomentativo adottato e seguto dallorgano giudicante nella concreta fattispecie si presenta pervaso da una intrinseca e sostanziale peculiarit; il fatto considerato insussistente, cos da determinare la reintegrazione del lavoratore licenziato ex art. 18, comma 4, St. lav., sebbene per la ragione di tale insussistenza sia rinvenuta nella scarsa rilevanza del fatto stesso; valutando purtuttavia il fatto scarsamente rilevante sotto un profilo di analisi disciplinare, per, se ne riconosce in tal guisa la sua ontologica esistenza. La condanna alla reintegrazione del lavoratore viene altres motivata dal Tribunale sulla base di un secondo argomento, rappresentato dalla riconducibilit del fatto contestato nellambito delle cc.dd. condotte punibili con sanzione conservativa, secondo quanto disposto dalla contrattazione collettiva e dai codici disciplinari, concretamente applicabili al rapporto di lavoro. Considerate le due distinte fattispecie giuridiche astratte, contemplate dallart. 18, commi 4 e 5, l. 300/1970, nella sua versione riformata dalla l. 92/2012, Nel caso in esame, osserva il Tribunale che ricorrono entrambe le fattispecie previste dalla norma in questione. Lart. 1, comma 41 della l. 92/2012, nel predisporre la nuova formulazione del quarto comma dellart. 18 dello Statuto dei lavoratori, prevede che il giudice del lavoro possa condannare il datore di lavoro, unitamente al pagamento di unindennit risarcitoria (6), alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro solamente allorquando sia accertata la infondatezza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, posti a fondamento del recesso stesso, per insussistenza del fatto contestato ovvero perch la condotta posta in essere dal prestatore di lavoro (il fatto) inquadrabile tra quelle per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedano una sanzione conservativa. CONTENZIOSO NAZIONALE 151 Nel dettaglio, il contratto collettivo di categoria cui fare riferimento nel caso de quo rappresentato dal C.C.N.L. Metalmeccanici del 2008 che, alla lettera c) dellart. 9 (Titolo 7, Sezione 4), dispone che: Incorre nei provvedimenti di ammonizione scritta, multa o sospensione, il lavoratore che: [...] compia lieve insubordinazione nei confronti dei superiori; come appare chiaro dalla lettura della disposizione contrattuale, tutti i citati provvedimenti, presentati nella loro crescente gradazione di gravit, presentano natura conservativa. Una riflessione pi ampia potrebbe a tal punto esplorarsi, seppur concisamente, con riferimento allinquadrabilit della condotta contestata nel caso di specie nellambito della lieve insubordinazione (con conseguente sanzione conservativa ex art. 9, lett. c), titolo 7, sezione 4, C.C.N.L. Metalmeccanici 2008), oppure nel novero della pi generica insubordinazione ai superiori, per la quale lart. 10, lett. A), lett. a), titolo 7, sezione 4, C.C.N.L. Metalmeccanici 2008, contempla la sanzione del licenziamento con preavviso (licenziamento per giustificato motivo soggettivo). La questione rientra nellambito di quella che potrebbe definirsi come una sovrapponibilit di casistiche, verificabili allorquando la medesima fattispecie concreta appaia come sussumibile sotto un molteplice novero di fattispecie giuridiche astratte; si pensi esemplificativamente alle tre nozioni di lieve insubordinazione nei confronti dei superiori (art. 9, lett. c)), insubordinazione ai superiori (art. 10, lett. A), lett. a)) e grave insubordinazione ai superiori (art. 10, lett. B), lett. a)): forte appare la necessit di fondare tale distinzione sulla base di parametri ed elementi oggettivi che certamente appaiono essere contestabili. Nella fattispecie oggetto di analisi, appare tuttavia chiaro che le diverse ragioni argomentate dal Tribunale nellordinanza, corroborano linterpretazione della condotta del lavoratore come in s espressiva di una lieve insubordinazione nei confronti dei superiori. A margine delle considerazioni sin qui svolte, emerge che limportanza della pronuncia esaminata risiede, oltre che nel fatto di aver costituito essa il primo provvedimento giudiziario in materia di licenziamenti dopo lentrata in vigore della riforma Fornero (7), nel significativo contributo ermeneutico offerto, fornendo essa uninterpretazione dellart. 1, comma 41 della l. 92/2012 di rilevante interesse. Il decisum del Tribunale di Bologna appare certamente distante dallo spi- (6) Lindennit risarcitoria prevista dal comma 4 dellart. 18, St. lav. deve essere commisurata allultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello delleffettiva reintegrazione dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivit lavorative, nonch quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dellindennit risarcitoria non pu essere superiore a dodici mensilit della retribuzione globale di fatto. (7) Di certo interesse lanalisi critica del nuovo art. 18, St. lav., elaborata da S. MAGRINI, Quer pasticciaccio brutto (dellart. 18), in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2012, n. 3, pp. 535 e ss. 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 rito del legislatore (8): A fronte di una invarianza delle tutele a favore del lavoratore in caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare, con la riforma si riduce lincertezza che circonda gli esiti dei procedimenti eventualmente avviati in caso di licenziamento per motivi economici (9). Tale distanza interpretativa trova la sua principale ragione giustificativa nella considerevole discrezionalit rimessa al Giudice tanto nella valutazione dei comportamenti posti in essere dal prestatore di lavoro quanto nella decisione circa le sanzioni da ricondurre alle diverse fattispecie di licenziamento disciplinare, concretamente verificatesi. Pur non volendo in alcun modo esprimere considerazioni attorno alla condivisibilit o meno della decisione del Tribunale di Bologna dello scorso 15 novembre 2012, appare per inevitabile constatare come gli ampi margini di discrezionalit rimessi al magistrato giudicante - nellassenza di fattispecie di reintegrazione normativamente ben definite - possono verosimilmente determinare significative disparit decisionali di trattamento, in presenza di casi tra loro identici (o quantomeno simili), ma differentemente considerati da giudici diversi (10). La formulazione delle due ipotesi al ricorrere delle quali deve trovare applicazione la sanzione della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (insussistenza del fatto contestato e sussumibilit del fatto sotto una delle condotte punibili con sanzione conservativa ex contrattazione collettiva o codici disciplinari) risulta cos ampia e poco circoscritta, da poter abbracciare qualsiasi ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo. Largomento principe considerato dal Tribunale di Bologna per sorreggere la condanna alla reintegrazione costituita dalla sostanziale involontariet (assenza dellanimus, dellelemento soggettivo, con riferimento ad un comportamento comunque oggettivamente sussistente) e scusabilit (scarsa rilevanza, vista anche la formulazione delle scuse da parte dello stesso lavoratore licenziato) della condotta del prestatore: si afferma in sostanza la sproporzione del licenziamento, rispetto alla natura lieve della insubordinazione, per la quale occorrerebbe ricorrere a sanzioni conservative. (8) Per unorganica analisi sul punto, si veda in Dottrina F. CARINCI, Il legislatore e il giudice: limprevidente innovatore ed il prudente conservatore (in occasione di Trib. Bologna, ord. 15 ottobre 2012), in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2012, n. 4-5, pp. 773 e ss: [...] noi tutti consegnati ad una giurisprudenza di merito che, come testimonia questa prima ordinanza del Tribunale di Bologna, si prospetta allinsegna di una continuit sostanziale, ma con una forzatura rispetto alla finalit perseguita dalla legge, s da produrre la madre di ogni incertezza, quale data dalla delegittimazione della stessa fonte regolativa. (9) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Comunicato stampa La riforma del mercato del lavoro legge, Roma, 27 giugno 2012, p. 2. (10) D. CARBONE, Riforma Fornero e nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: un caso di reintegra del dipendente licenziato, in Italia Oggi, 7 novembre 2012, www.italiaoggi.it/news/dettaglio_ news.asp?id=201211070351001468&chkAgenzie=PREV. CONTENZIOSO NAZIONALE 153 Appare per a tal punto lecito chiedersi quando il licenziamento disciplinare illegittimo potr effettivamente incontrare la condanna del datore di lavoro alla sola liquidazione dellindennit risarcitoria (nella misura compresa tra 12 e 24 mensilit). La risposta che sembrerebbe potersi esprimere, alla luce dellorientamento espresso dalla recentissima pronuncia di merito esaminata, sembrerebbe essere quasi paradossale: la tutela esclusivamente economica troverebbe applicazione - secondo largomentazione ermeneutica dellordinanza del Tribunale di Bologna - esclusivamente nei casi di licenziamento legittimo, ovverosia allorquando si accerti la sussistenza del comportamento nella sua complessit oggettiva e soggettiva, tanto sotto il profilo materiale quanto sotto quello soggettivo, unitamente alla rilevanza della condotta stessa. Unattenzione particolarmente vigile dovr allora necessariamente essere focalizzata sulle prossime pronunce in materia, al fine di registrare la uniformit o difformit di approcci ermeneutici rispetto allorientamento recentemente assunto dal Tribunale di Bologna. Il contesto italiano di relazioni industriali, improntato ad una concezione del lavoratore inteso quale parte debole del rapporto di lavoro, lascia pensare che larea della tutela esclusivamente economica sar notevolmente compressa, a favore di una maggiore predisposizione alla reintegrazione del lavoratore (11). Tribunale di Bologna, Sez. lavoro, ordinanza 15 ottobre 2012 - Giud. M. Marchesini. (...) Il Tribunale di Bologna in funzione di Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva, osserva quanto segue. Il fatto storico che ha dato luogo al licenziamento di (...) da parte di (...) srl, documentale ed incontestato tra le parti. Nello specifico accaduto che in data 13 luglio 2012, (...) superiore gerarchico diretto del ricorrente ha inviato al medesimo ricorrente, un'e-mail interna avente il seguente contenuto: "Per favore controlla questi disegni, hanno modificato di nuovo i disegni (alcune cose). Tolleranze sono state modificate. Per favore fare misurare sulla base di questi ultimi disegni allegati. Buttare via i disegni che avevamo chiesto ieri". In data 17 luglio 2012, (...) ha risposto con la seguente e-mail: "Confido per marted 24 luglio 2012 di avere i rilievi con le tempistiche di modifica dei programmi". Nello stesso giorno, (...) rispondeva alla predetta e-mail con la seguente e-mail: "Non devi confidare. Devi avere pianificato l'attivit, quindi se hai dato come data il 24 luglio, deve essere quella la data di consegna dei dati. Altrimenti indichi una data diversa, che non confidente ma certa, per favore". (11) R. PESSI, Intervista ad Adnkronos Labitalia (Pessi, dubbi di costituzionalit su disciplina per licenziamenti economici), 21 marzo 2012. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Nella stessa data, (...) rispondeva all'e-mail di (...), con la seguente e-mail: "Parlare di pianificazione nel Gruppo (...), come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attivit in questa azienda. Pertanto, se Dio vorr, per martedi 24 luglio 2012, avrai tutto quello che ti serve". Questo il fatto storico che ha dato luogo al licenziamento del ricorrente, sulla base di un'asserita giusta causa di licenziamento, in relazione al contenuto offensivo dell'ultima e-mail dello stesso ricorrente. Ci posto osserva il Tribunale che la qualificazone e la valutazione di tale fatto, come di qualunque fatto storico, richiede la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione nel tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonch nella sequenza degli avvenimenti e nelle condotte degli altri soggetti che hanno avuto un ruolo nel fatto storico in esame e nelle condotte antefatte e nelle condotte post factum dei protagonisti. Ci posto osserva il Tribunale che da una serena e complessiva valutazione del fatto storico che ha dato luogo al presente procedimento, emerge con evidenza la modestia dell'episodio in questione, la sua scarsa rilevanza offensiva, ed il suo modestissimo peso disciplinare. Infatti, in primo luogo, (...) lavora in azienda dal luglio 2007 con qualifica di impiegato e mansioni di Responsabile del reparto qualit, e non ha mai avuto precedenti richiami disciplinari, neppure minimi. In secondo luogo, la frase incriminata " come parlare di psicologia ..n un maiale", non stata pronunciata a freddo, in maniera pensata e deliberata, nell'ambito di un'aggressione verbale preordinata e finalizzata a ledere il prestigio aziendale, bens stata pronunciata, in un evidente momento di disagio conseguente da una parte allo stress lavorativo che emerge dallo scambio epistolare, da cui si evince che il lavoratore era sotto pressione per le scadenze lavorative in essere. poi stata pronunciata a fronte e nell'immediatezza di un' e-mail del superiore gerarchico il cui contenuto palesemente ed inutilmente denigratorio e contenutisticamente offensivo della professionalit del soggetto cui era diretta, ossia dello stesso (...). Infatti se si esamina il tono ed il contenuto della e-mail di (...), che qui si riporta: "Non devi confidare. Devi avere pianificato l'attivit, quindi se hai dato come data il 24 luglio, deve essere quella la data di consegna dei dati. Altrimenti indichi una data diversa, che non confidente ma certa, per favore", emerge con evidenza il contenuto implicitamente ed inutilmente denigratorio ed offensivo, ed il tono che palesemente di aggressivo rimprovero e dispregiativo, e riflette a sua volta, con ogni probabilit, quello che era in quel momento, uno stato di tensione e stress lavorativo dello stesso (...), a sua volta sotto pressione per le incombenze legate all'attivit di certificazione che era in essere, con scadenze ravvicinate ed assillanti. A ci si aggiunge, quale ulteriore elemento valutativo dell'atteggiamento psicologico del ricorrente, che lo stesso ricorrente, nell'immediatezza del fatto, con lettera del 24 luglio 2012, ha dato atto dell'inopportunit della propria affermazione, ne ha spiegato la genesi, riconducendola ad un momento di stress lavorativo, ed ha posto le scuse del predetto comportamento. Ne consegue, sotto il profilo della valutazione di gravit del ..m..rtamento addebitato al ricorrente, che lo stesso non idoneo ad integrare il concetto di giusta causa di licenziamento ex art. 2119. Da tale valutazione inerente la gravit del fatto come sopra ricostruito, discende un'importante conseguenza, relativa alla disciplina applicabile. Infatti, la recente riforma dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970, ha modificato la predetta norma, ed ha delineato nel comma 4, le fattispecie di licenziamento disciplinare con reintegra, distin- CONTENZIOSO NAZIONALE 155 guendole dalle fattispecie di licenziamento disciplinare senza reintegra, disciplinate dal successivo comma 5 della stessa norma. Nello specifico, l'art. 18 comma 4 della L. n. 300 del 1970, come novellato, prevede che il Giudice dispone la reintegra del lavoratore, nelle ipotesi in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, allorch ricorra un'ipotesi di insussistenza del fatto contestato, o qualora il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili. Nel caso in esame, osserva il Tribunale che ricorrono entrambe le fattispecie previste dalla norma in questione. Infatti, per quanto riguarda la fattispecie inerente la c.d. "insussistenza del fatto contestato", osserva il Tribunale che la norma in questione, parlando di fatto, fa necessariamente riferimento al c.d. Fatto Giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nell'unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l'elemento soggettivo. N pu ritenersi che l'espressione "insussistenza del fatto contestato", utilizzata dal legislatore facesse riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione dei principi generali dell'ordinamento civilistico, relativi alla diligenza ed alla buona fede nell'esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto l'aspetto materiale ed oggettivo, ma privi dell'elemento psicologico, o addirittura privi dell'elemento della coscienza volont dell'azione. Per quanto riguarda poi la fattispecie inerente l'ipotesi che "il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili, osserva il Tribunale che l'art. 9 Sez. 4. Titolo 7 C.C.N.L. Metalmeccanici 2008, applicabile al rapporto di lavoro in questione, prevede espressamente solo sanzioni conservative, nella diversa gradazione ivi contemplata, per la fattispecie della c.d. "lieve insubordinazione nei confronti dei superiori", previsioni in cui rientra palesemente, per le ragioni sopra esposte, il fatto commesso dal ricorrente. Per tali motivi deve essere disposta la reintegra del ricorrente, nel posto di lavoro e nelle mansioni, . in mansioni equivalenti, ed il risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni mensili globali di fatto dovute e non corrisposte, dal giorno del licenziamento al giorno della reintegra, con interessi legali e rivalutazione monetaria seconde indici Istat, dalla mora al saldo. Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in Euro 2.000,00 oltre Iva e .... P.Q.M. Il Giudice del Tribunale di Bologna in funzione di Giudice del Lavoro, dichiara l'illegittimit del licenziamento intimato da (...) srl a (...), in data 30 luglio 2012, ed ordina ad (...) srl la reintegra di (...), nel posto di lavoro e nelle mansioni, o in mansioni equivalenti. Condanna (...) srl al risarcimento del danno a favore di (...), liquidato in misura pari alle retribuzioni mensili globali di fatto dovute, dal giorno del licenziamento a quello di reintegra, dedotto l'aliunde perceptum, oltre alla regolarizzazione contributiva, con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici Istat, dalla mora al saldo. Condanna (...) srl alla rifusione delle spese processuali a favore del ricorrente, liquidate in Euro 2,000,00 oltre Iva e ..., con distrazione ai Procuratori Antistatari. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Licenziamento: Legge Fornero e pubblici dipendenti (e.mail a Tribunale Perugia, ordinanza 10 novembre 2012) Ugo Adorno* Da: Ugo Adorno [mailto:ugo.adorno@avvocaturastato.it] Inviato: ven 30/11/2012 12.40 A: Avvocati_tutti Oggetto: Licenziamento: Legge fornero e pubblici dipendenti Con l'allegata ordinanza del 10 novembre u.s., il Tribunale del lavoro di Perugia si pronunciato (in senso positivo) sulla questione dell'applicabilit della disciplina sostanziale (art. 18 St. lav.) e processuale della legge Fornero ai dipendenti pubblici, sia pure dichiaratamente nei limiti della cognizione sommaria propria della fase cautelare. Si afferma infatti che il rinvio allo statuto dei lavoratori, per quel che interessa in materia di licenziamento, operato, infatti, con lutilizzo della tecnica del rinvio mobile, che recepisce il contenuto di norme collocate in altre fonti adeguandosi automaticamente allevoluzione delle medesime, dal che consegue lapplicazione del nuovo art. 18 St. lav. (e del rito speciale che detto articolo richiama) anche al pubblico impiego privatizzato. Dal che ne derivata la necessaria applicazione del rito celere ex art. 47 legge Fornero. Il Tribunale ha ritenuto anche lammissibilit del 700 come rimedio cautelare atipico, in mancanza di altri mezzi per fare valere lurgenza, pur nellambito di un processo di merito incanalato su una corsa veloce. Lordinanza criticabile, sul punto, posto che il rimedio ex art. 700 c.p.c. ha carattere residuale, e che la residualit non opera solo limitatamente ai provvedimenti cautelari disciplinati dal codice di procedura, ma anche in relazione a quelli contemplati nel codice civile o in leggi speciali, a quelli c.d. endo-processuali, alle tutele speciali non cautelari, etc. In applicazione dello stesso principio, allora, anche nel presente caso, il rimedio ex art. 700 c.p.c. doveva essere dichiarato inammissibile, risultando limpugnazione del licenziamento compiutamente disciplinata dallart. 1, L. 92/2012, co. 48 ss., con specifica previsione di una fase sommaria durgenza tesa a soddisfare le medesime esigenze cui risulta preordinato lo strumento della tutela atipica. In ogni caso, lordinanza, proprio nel prevedere lammissibilit di una fase cautelare atipica riguardante un giudizio che benefica di per s di un (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 157 rito celere ha riconosciuto un peso preponderante alla valutazione del periculum in mora che deve essere oggetto di una allegazione rigorosissima (nel caso di specie assente). Da quanto risulta, la pronuncia sembra essere la prima in materia di pubblico impiego, ... Buon lavoro a tutti UA Tribunale di Perugia, Sez. lavoro, ordinanza 10 novemnre 2012 - Giud. M. Medoro. (...) R.S. si rivolto a questo Tribunale per ottenere, in via interinale ed urgente, previa declaratoria di illegittimit del licenziamento intimatogli in data 29 agosto 2012 dal Ministero dell'Istruzione (d'ora in poi, MIUR), alle dipendenze del quale presta servizio dal 2007 in qualit di collaboratore scolastico, la reintegrazione nel posto di lavoro. Il MIUR e l'Ufficio scolastico regionale si sono costituiti in giudizio sostenendo, in via preliminare l'inammissibilit del ricorso alla tutela cautelare atipica per difetto del requisito di residualit in ragione dell'entrata in vigore del rito speciale accelerato previsto dalla legge 92/2012 e contestando il fondamento delle numerose censure, formali e sostanziali, di legittimit del recesso intimato in tronco al () a seguito della sentenza con cui questo Ufficio, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., aveva applicato al medesimo, con il beneficio della sospensione condizionale, la pena di mesi 10 di reclusione e di 2.000,00 e di multa per i reati p. e p. dagli artt. 81, cpv., 600 quater, secondo comma e 600 ter, terzo e quinto comma, c.p. Il ricorso deve ritenersi ammissibile, ma va respinto per lassorbente difetto dell'imprescindibile requisito del periculum in mora per le considerazioni dappresso brevemente indicate. La legge n. 92 del 28 giugno 2012 "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita", ha modificato profondarnente, tra laltro, la disciplina dei licenziamenti del personale delle aziende con pi di 15 dipendenti, ristrutturando, in particolare - a precetti sostanzialmente invariati - la disciplina delle sanzioni applicabili, confinando in uno spazio tendenzialmente residuale (o quantomeno tale sembra essere lintenzione del legislatore in senso soggettivo) la tutela in forma specifica costituita dalla reintegra nel posto di lavoro. A completamento di un complesso disegno di cui fanno parte anche interventi di modifica del sistema degli arnmortizzatori sociali e una nuova regolamentazione di alcune figure contrattuali (lavoro subordinate a termine, lavoro a progetto, associazione in partecipazione) tesa a ridurre la c.d. flessibilit in entrata nel mercato del lavoro, lart. 1, commi 47 e ss. ha introdotto un rito speciale accelerato, costituito da una fase a cognizione sommaria e da una eventuale fase successiva a cognizione piena per decidere le controversie in tema di impugnazione dei licenziamenti ai sensi dell'art. 18 St. lav. A monte, i commi 7 e 8 dello stesso art. 1, con una formulazione piuttosto anodina, si sono posti il problema dell'applicazione della riforma nel suo complesso ai rapporti di pubblico impiego, stabilendo the "7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificcizioni, in coerenza con quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo. 8. Al fine dell'applicazione del comma 7 il Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalitt e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche" . Tale enunciazione di principio, con le cautele imposte dalla cognizione sommaria che caratterizza la sede e peraltro da una prima lettura che vede gi confrontarsi posizioni molto diverse in dottrina, manifesta l'intento (in contraddizione con la tendenza sviluppata sin dalla legge-delega 421/1992 ma in sintonia con l'assetto attuale di molti aspetti della relazione lavorativa pubblica) di approvare un corpo di norme speciali per la disciplina dei rapporti di pubblico impiego c.d. privatizzato pur nell'ottica di recepire i principi-cardine della novella attraverso un confronto con le OO.SS. Si pone, - dunque il problema - nelle more dell'approvazione di questa ulteriore novella di individuare i parametri sostanziali e processuali di riferimento per la regolamentazione delle vicende che cadono, a partire dal 18 luglio 2012, sotto l'impero dell'attuale legislazione. Sulla base di queste premesse, ritiene lo scrivente che, allo stato, non possa negarsi l'applicazione ai rapporti di lavoro pubblico della disciplina attualmente vigente in materia di licenziamenti dal punto di vista sia sostanziale che processuale. Depone in tal senso l'art. 51 del d.lgs. 165/2001 (T.U.P.I.) che stabilisce che "Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, comma 1. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti". Il rinvio allo statuto dei lavoratori, per quel che interessa in materia di licenziamento, operato, infatti, con l'utilizzo della tecnica del rinvio mobile che recepisce il contenuto di norme collocate in altre fonti adeguandosi automaticamente all'evoluzione delle medesime, dal che consegue l'applicazione del nuovo art. 18 St lav. (e del rito speciale che il predetto articolo richiama) anche al pubblico impiego privatizzato. La tesi opposta, propugnata da una parte della dottrina, poggia sull'assunto - non secondario dell'intenzione sopra lumeggiata di dettare norme speciali in materia, ma non spiega come sia possibile, a fronte di una lettera cos chiara che la riforma non ha corretto n intaccato, dettando disposizioni transitorie, considerare il rinvio di tipo recettizio e, per l'effetto, porre a base delle decisioni sui licenziamenti pubblici il vecchio art. 18 St. lav. abrogato dalla legge 92/12, determinandone una sopravvivenza a tempo indeterminato che la norma sopra riportata e la carenza di una espressa salvezza delle disposizioni precedenti paiono inequivocabilmente escludere. La legittimit del licenziamento oggetto di causa, intimato il 29 agosto 2012 nella piena vigenza della riforma dovr, dunque, essere vagliata alla luce del nuovo art. 18 St. lav. e la presente controversia, nella fase di merito, andr trattata con il rito speciale imposto dall'art. 1, commi 47 e ss. della legge 92/2012 a tutela dell'interesse di entrambe le parti alla celere definizione del giudizio. Detto rito, infatti, a differenza di quello - disegnato dagli artt. 702 - bis e ss. c.p.c. non ha carattere opzionale e non , perci, a disposiziorte della parte che, sull'assunto di una prognosi di sommariet dell'istruttoria, abbia interesse a velocizzare la causa, ma funzionale all'interesse pubblico ad una risposta rapida che la Giustizia deve dare in ordine alla prosecuzione del rapporto. Dalle consideraziorti che precedono discende che il presente ricorso d'urgenza formalmente CONTENZIOSO NAZIONALE 159 ammissibile giacch il rito celere-sommario, non presupponendo il vaglio del periculum in mora ed essendo preordinato alla formazione di un giudicato, una species del rito ordinario del lavoro e non pu quindi considerarsi sostitutivo della tutela cautelare. Deve, quindi, convenirsi con la difesa del ricorrente che, nel caso in esame, non difetta la residualit del mezzo che la tutela cautelare atipica dell'art. 700 c.p.c. richiede giacch non esistono altri strumenti omogenei preordinati ad assicurare l'anticipazione, interinale ed urgente, della reintegraziorte pretendibile in sede di merito attraverso il rito speciale. Cionondimeno, della tutela cautelare, come prima e pi di prima essendo il processo di merito incanalato su una corsia veloce, devono sussistere tutti i presupposti, a partire da quello pi qualificante costituito proprio dal pericolo irnminente ed attuale di un pregiudizio grave ed irreparabile che potrebbe rendere inutile la sentenza emessa al termine del giudizio di merito. Nel caso in esame, di contro, il R. invoca la reintegrazione non articolando alcuna deduzione atta ad illuminarne l'urgenza, limitandosi a richiamare l'orientamento giurisprudenziale che associa alla perdita del posto di lavoro un periculum in re ipsa. Sul punto va osservato che la giurisprudenza di questo Tribunale, in armonia con il maggioritario orientamento del Giudici di merito, ha costantemente sancito che anche nel caso di perdita del posto di lavoro, chi ricorre all'A.G.O. deve allegare ed offrire la prova dell' esistenza di circostanze atte a dimostrare che il tempo necessario per il tramite del rito ordinario (ma ora attraverso il rito veloce) a riallacciare il rapporto in grado di procurare conseguenze irreparabili a chi lo invoca. Ci significa, nella pi semplice delle ipotesi, che il ricorrente deve quantomeno offrire un quadro completo della propria situazione patrimoniale e cos dimostrare l'urgenza della reintegra adducendo che non dispone di fonti di reddito alternative al posto di lavoro che ha perduto sufficienti a garantire il mantenimento proprio e della propria famiglia. Nel caso in esame, l'assoluta carenza di allegazioni e produzioni documentali sul punto non pu che fare deporre in direzione della mancanza del requisito dell'urgenza che, peraltro, doveva essere argomentato tenendo conto che non pi possibile poggiare sull'assunto dei tempi lunghi di un processo strutturato per essere rapido e deformalizzato. Nulla sposta il precedente giurisprudenziale di questo Ufficio, risalente peraltro ad oltre sei anni fa, nel quale, a differenza di quanto ipotizzato dalla difesa del ricorrente, si argomentava della sussistenza dell'urgenza anche in base ad un compendio fattuale attinente la situazone patrimoniale del lavoratore e della sua famiglia di cui nel caso che ci occupa non v' traccia. Del resto, solo una qualificata urgenza, tale cio da non potete attendere neppure i ristretti termini di emissione dell'ordinanza prevista dall'art. 1, comma 51, della legge 92/2012 potrebbe giustificare - unicum nel nostro ordinamento - l'apposizione del primo tassello d un giudizio potenzialmente composto da una concatenazione di ben sei distinte fasi processuali di cui tre a cognizione sommaria (700, reclamo al Collegio, fase sommaria del giudizio celere, opposizione a cognizione piena, reclamo alla Corte d'Appello, giudizio di legittimit dinanzi alla S.C.). Il ricorso cautelare va, dunque, rigettato, assorbita ogni considerazione sul fumus boni juris, per difetto di periculum in mora. Non pu accedersi, da ultimo, alla richiesta subordinata avanzata dal R. nel verbale di udienza del 9 ottobre 2012 di trattare il procedimento "direttamente" con il rito Fornero: a ci osta, all'evidenza, sia il conflitto logico con la sopra argomentata ammissibilit della tutela cautelare richiesta proprio dal ricorrente sia l'impossibilit di applicare in via analogica in questo caso le disposizioni sul mutamento di rito (artt. 426-427 c.p.c. e 4 d.lgs. 150/2011) che sono dettate allo scopo di consentire la correzione dellerrore di impostazione dell'azione di merito tesa ad ottenere la definizione di una controversia con la formaziorte di un giudicato e non ad ot- 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 tenere un'improponibile osmosi tra forme di tutela (cautelare e di merito) strutturalmente differentti. Le considerazioni sopra esposte determirtano la reiezione del ricorso. L'assoluta peculiarit "cronologica" della fattispecie, tra i primi casi verificatisi in un contesto di grande incertezza dal punto di vista normativo sostanziale e processuale, costituisce una ragione grave ed eccezionale, ai sensi dell'attuale art. 92 c.p.c. per dichiarare integrabnente compensate tra le parti le spese della presente fase. PQM Visti gli artt. 669 bis e seguenti e 700 c.p.c.; - respinge il ricorso; - compensa le spese. Si comunichi. Perugia, 9 novembre 2012 CONTENZIOSO NAZIONALE 161 Art. 143, comma 11, T.U.E.L. Un breve appunto e una sentenza di conferma (TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, sent. 15 ottobre 2012, n. 2005) Lart. 143 T.U.E.L., come novellato dallart. 2, comma 30, della legge 15 luglio 2009, n. 94, prevede che Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione dincandidabilit il Ministro dellinterno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile. La giurisprudenza, formatasi nel breve arco temporale di vigenza della prefata disposizione, ha evidenziato che lipotesi di incandidabilit disciplinata allart. 143, comma 11, T.U.E.L. presenta presupposti, funzione ed effetti non assimilabili a quelli di cui allipotesi contemplata dallart. 58 del medesimo T.U.E.L. (cfr. provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria del 14 marzo 2011); pi in particolare, la giurisprudenza ha osservato che mentre lincandidabilit di cui allart. 58 del T.U.E.L. consegue automaticamente al verificarsi dei presupposti enucleati dalla legge (sentenza di condanna definitiva per determinati delitti, applicazione di misure di prevenzione con provvedimento definitivo) e limita considerevolmente il diritto di elettorato passivo in quanto opera senza limiti di tempo ed esclusa solo se concessa la riabilitazione ai sensi dellart. 178 c.p., lincandidabilit di cui allart. 143, comma 11, T.U.E.L. deve essere dichiarata con un provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale, limitata, sotto il profilo temporale, al primo turno elettorale successivo allo scioglimento e, da un punto di vista spaziale, alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali relative al territorio regionale in cui si trova lente locale il cui consiglio sia stato attinto dal provvedimento dissolutorio, ed infine correlata non alla condanna definitiva per specifici titoli di reato (ovvero alla applicazione, sempre con provvedimento definitivo, di misure di prevenzione) bens a condotte, in ipotesi non contestate in sede penale, che abbiano dato causa allo scioglimento del consiglio dellente locale (cfr. provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria, sopra menzionato). Alla luce di quanto sopra, ben si comprende il motivo per il quale il legisla- 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 tore ha previsto che lincandidabilit di cui allart. 143, comma 11, del T.U.E.L. debba essere dichiarata con provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale. Occorre, a questo punto, stabilire quando il provvedimento di cui sopra diventi definitivo e, conseguentemente, a quali e quanti mezzi di impugnazione sia assoggettabile il provvedimento reso dal Tribunale. Lart. 143, comma 11, del T.U.E.L. prevede che al relativo giudizio si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile; vengono, pertanto, in rilievo gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Di particolare interesse, risultano, ai fini che ci occupano, le disposizioni di cui allart. 739 c.p.c. secondo le quali Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si pu proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto se dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se dato in confronto di pi parti. Salvo che la legge disponga altrimenti, non ammesso reclamo contro i decreti della Corte d'appello. In forza delle predette previsioni, sembrerebbe doversi concludere che il provvedimento del Tribunale, che dichiari lincandidabilit di un soggetto ai sensi dellart. 143, comma 11, del T.U.E.L., diventi definitivo in caso di mancata proposizione del reclamo nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione dello stesso ovvero quando il provvedimento di primo grado (come nel caso che ci occupa) sia stato confermato dalla Corte di Appello adita in sede di reclamo. Trattasi di conclusione che non pu, tuttavia, ritenersi corretta per le ragioni che seguono. La Corte di Cassazione ha, in diverse occasioni, affermato lammissibilit del ricorso per Cassazione ai sensi dellart. 111, comma 7, Cost., avverso quei provvedimenti, relativi a diritti soggettivi ed a status, che siano stati emessi all'esito di una procedura contenziosa in camera di consiglio (cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza del 18 novembre 2008, n. 28873 relativa al giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dello status di apolide; Corte di Cassazione, sentenze 20 dicembre 2007 n. 26822, 15 gennaio 2007 n. 747, relative allo status di rifugiato politico ed ai provvedimenti che lo riconoscono). La predetta ricorribilit in Cassazione stata, invece, esclusa con riferimento a provvedimenti di volontaria giurisdizione, emessi cio in procedimenti non contenziosi (cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, sentenze 5 febbraio 2008 n. 2576, 4 novembre 2003 n. 16568, 7 maggio 1998 n. 4614). Orbene, non revocabile in dubbio che il provvedimento giurisdizionale, con il quale venga dichiarata lincandidabilit di un soggetto ai sensi dellart. 143, comma 11, del T.U.E.L., abbia natura decisoria, incida su interessi di rango costituzionale (il diritto di elettorato passivo, da un lato, e linteresse al CONTENZIOSO NAZIONALE 163 buon andamento della Pubblica Amministrazione, dallaltro) e sia emesso allesito di una procedura contenziosa, sebbene svolta nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio. Quanto al primo profilo, la natura decisoria del provvedimento in argomento trova conferma nelle motivazioni del provvedimento reso dalla Corte di Appello di Palermo in data odierna; alle pagine 3 e 4, infatti, il Giudice di appello palermitano richiama espressamente la giurisprudenza di legittimit che ritiene compatibili le regole del rito camerale con provvedimenti che presuppongono una fase contenziosa e sfociano in un provvedimento di natura decisoria. Quanto, poi, al terzo profilo (non abbisognando il secondo di ulteriori considerazioni), giova osservare, proprio con riferimento al giudizio che ha riguardato lOn.le (...), che sia il Tribunale di Marsala che la Corte di Appello di Palermo hanno riconosciuto inequivocabilmente la natura contenziosa del procedimento, assicurando il pi ampio contraddittorio tra le parti con la concessione, alluopo, di seppure brevi differimenti dello svolgimento delludienza camerale ai fini del deposito di memorie e repliche scritte. Per completezza, si evidenzia che non potrebbe pervenirsi a diversa conclusione facendo leva sulla previsione di cui allart. 741 c.p.c. a tenore del quale I decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo. Non bisogna, infatti, confondere lefficacia ovvero lesecutoriet di un provvedimento giurisdizionale con la definitivit dello stesso. A questultimo proposito, giova richiamare quanto concordemente affermato dallAvvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio di Stato - Sezione I Consultiva, in ordine al quesito, posto dal Ministero dellInterno, circa la possibilit di procedere allo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dellart. 141, comma 1, lett. B, n. 1, e comma 3, del T.U.E.L., subito dopo la sentenza con la quale la Corte di Appello abbia dichiarato lincandidabilit del sindaco, senza attendere la pronuncia definitiva della Corte di Cassazione. In merito, entrambi gli Organi consultivi hanno ritenuto che non possa sostenersi lequiparabilit della esecutoriet della sentenza di accertamento di una condizione di incandidabilit alla definitivit della decisione, evidenziando che solo la sentenza passata in giudicato o la sentenza di ultima istanza determina un accertamento irretrattabile, mentre tale non la sentenza (ancorch esecutiva) soggetta a ricorso ad una istanza giurisdizionale superiore (cfr. Avvocatura Generale dello Stato, parere del 19 febbraio 2002, prot. n. 15967/57 e Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 1392/02 del 22 maggio 2002). Si resta a disposizione per ogni ulteriore chiarimento. Roma, 4 maggio 2012 Maurizio Borgo 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Tar Sicilia, Palermo, Sezione Seconda, sentenza del 15 ottobre 2012 n. 2005 - Pres. Giamportone, Est. Cavallo. (...) 1. Nei giorni 6 e 7 maggio 2012 si svolta la competizione elettorale per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio Comunale di Cefal, che ha visto vincitore il sig. R.L. con 3325 voti validi. Tra i candidati per il posto di primo cittadino concorrevano anche, tra gli altri, E.C., odierno ricorrente e secondo classificato con 2190 voti validi, e V.S., gi Sindaco del Comune siciliano di Salemi, che ha ottenuto 1621 voti. 2. Il prof. C., unitamente al candidato al consiglio comunale G.S., in data 14 giugno 2012 ha depositato presso questo Tribunale Amministrativo Regionale un ricorso ai sensi dell'art. 130 c.p.a., chiedendo la declaratoria di nullit delle operazioni elettorali e l'annullamento di tutti gli atti del relativo procedimento, nonch la rinnovazione delle operazioni elettorali e quindi, in finale, la ripetizione delle elezioni. Il motivo posto a fondamento della suddetta richiesta risiede nella pretesa alterazione delle operazioni elettorali, e quindi, da ultimo, del risultato finale, a causa della partecipazione del prof. V.S. alla competizione elettorale. Sostengono infatti i ricorrenti che S. non avrebbe potuto partecipare alla tornata elettorale, in quanto dichiarato incandidabile ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 143, comma 11, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali - T.U.E.L.), per ragioni connesse alla sua precedente qualit di sindaco del Comune di Salemi, il cui consiglio comunale, con D.P.R. del 30 marzo 2012, stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Ed allora, a detta del C., stante il chiaro tenore della disposizione sopra citata, che vieta la partecipazione - nel territorio regionale interessato - al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio comunale qualora l'incandidabilit sia dichiarata con provvedimento definitivo, S. non avrebbe sicuramente potuto prender parte alla competizione elettorale, posto che il Tribunale di Marsala, con Provv. del 20 aprile 2012, lo ha dichiarato "incandidabile" per le prime elezioni siciliane successive al decreto di scioglimento del Comune di Salemi (quindi, anche per quelle in corso a Cefal), e che tale provvedimento stato confermato con decreto della I Sezione della Corte di Appello di Palermo del 3 maggio 2012. I ricorrenti sostengono che il provvedimento della Corte d'Appello sia definitivo, per il combinato disposto degli artt. 739 e 741 c.p.c., ossia della normativa processuale applicabile al giudizio per la declaratoria di incandidabilit; di conseguenza, S. non avrebbe potuto prender parte alle elezioni, che avrebbero dovuto essere rinviate per cause di forza maggiore ex art. 8, comma 4, del D.P. reg. n. 3/1960, come pure chiesto dalla Prefettura di Palermo all'Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, responsabile delle elezioni, che invece non aveva accolto tale richiesta. A detta dei ricorrenti il solo fatto della presenza del nominativo dell'incandidabile V.S. nei manifesti ma soprattutto nelle schede elettorali, avrebbe alterato senza rimedio la competizione elettorale, in quanto i cittadini di Cefal avrebbero potuto votare, come in effetti hanno fatto in una cospicua percentuale (circa il 16% dei voti espressi), per un soggetto dichiarato non candidabile prima dello svolgimento delle elezioni, e questo senza che la maggior parte di loro fosse debitamente informata della circostanza. Il voto espresso per S., pertanto, sarebbe nullo ab origine, in quanto una parte dei cittadini di Cefal sarebbe stata indotta a votare per un soggetto il cui nome era stampigliato sulla scheda come candidato Sindaco, ma che al momento dello svolgimento delle elezioni non aveva la capacit soggettiva per farlo. CONTENZIOSO NAZIONALE 165 Chi incandidabile, infatti, non pu prendere parte fin dall'inizio della procedura alla competizione elettorale, come pi volte ribadito dalla giurisprudenza, anche siciliana, richiamata diffusamente nel ricorso. Non essendosi invece bloccate le elezioni, i voti poi andati a S. (ben 1621), nonch quelli attribuiti alle liste elettorali con lui collegate (che hanno ottenuto 3 seggi in consiglio comunale), sarebbero da considerare nulli, con evidente alterazione del risultato elettorale, tale da legittimarne l'annullamento e la conseguente ripetizione delle elezioni. 3. Con decreto presidenziale dell'8 giugno 2012, veniva fissata l'udienza per la discussione al 9 ottobre 2012 e ordinate le notifiche dello stesso alle parti resistenti e controinteressate. 4. Il 28 giugno 2012 si costituito il Comune di Cefal, chiedendo la conferma del risultato elettorale e dei provvedimenti impugnati. 4.1. In via preliminare, il Comune ha eccepito l'inammissibilit del ricorso per difetto di litisconsorzio necessario, a causa della mancata vocatio in ius del Ministero dell'Interno e della Prefettura, quest'ultima, in particolare, per esser titolare del potere di adottare misure interdittive dello svolgimento delle elezioni, ai sensi dell'art. 143 T.U.E.L. 4.2. In secondo luogo, ha prospettato l'infondatezza del ricorso sotto il profilo della inesistenza di un provvedimento definitivo di incandidabilit di V.S.. Tale non sarebbe, infatti, quello pronunciato dal Tribunale di Marsala il 20 aprile 2012, in quanto lo stesso era stato oggetto di reclamo, da parte di S., davanti alla Corte d'Appello, sicch le note dell'Assessorato che confermavano il prossimo svolgimento delle elezioni, impugnate anch'esse con il ricorso introduttivo, sarebbero da ritenersi perfettamente legittime. Ma neppure il decreto della Corte d'Appello di Palermo, del 3 maggio 2012, avrebbe potuto considerarsi tale, posto che avverso lo stesso possibile il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost., ricorso che, stando a quanto affermato dal Comune medesimo, stato proposto dal prof. S., sia pur dopo le elezioni. In ogni caso, a detta dell'ente resistente, il decreto della Corte d'Appello non sarebbe stato notificato o comunicato all'Assessorato regionale competente, e sarebbe, sotto questo profilo, privo di efficacia. 4.2.2. In subordine a tale prospettazione, il Comune ha chiesto la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., proprio per via della pendenza del ricorso in cassazione. 4.3.Infine, e solo per il caso di accoglimento della tesi dei ricorrenti sulla incandidabilit di V.S., la parte resistente ha lungamente articolato in ordine alla circoscrivibilit degli effetti di detta incandidabilit ai soli voti ottenuti da S. e dalla liste a lui collegate, senza che possa configurarsi alterazione alcuna del risultato elettorale finale e dei voti ottenuti dal sindaco eletto, R.L.. 5. Con memoria depositata il 29 giugno 2012, si costituita l'Avvocatura dello Stato di Palermo, eccependo, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva delle Amministrazioni intimate, in quanto l'art. 130 c.p.a. e la giurisprudenza hanno dato risalto al criterio di imputazione sostanziale, e non formale, degli effetti della competizione elettorale, sicch le parti pubbliche (nella specie, Assessorato, Ufficio Centrale Elettorale e Commissione elettorale circoscrizionale) non avrebbero alcun ruolo e alcun interesse nella procedura conclusa, n, tantomeno, nel giudizio incardinato davanti al T.a.r. 5.1. Piuttosto, il ricorso sarebbe inammissibile in quanto non notificato all'unico vero controinteressato, della cui incandidabilit si sta trattando, ossia il prof. V.S.. 5.2. Nel merito, la difesa erariale, dopo aver efficacemente riepilogato i fatti alla base dell'odierno giudizio, ha sostenuto la legittimit della decisione dell'Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica di non sospendere o bloccare i comizi elettorali 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 in forza dell'art. 8 del D.P. Reg. n. 3 del 1960, che prevede a fondamento del rinvio solo " sopravvenute cause di forza maggiore". Inoltre, esaminando il procedimento "atipico" di cui all'art. 143 T.U.E.L., l'Avvocatura ha evidenziato come decisiva, ai fini della decisione del giudizio, sia la valutazione sulla misura in cui i decreti del Tribunale di Marsala prima, e della Corte d'Appello poi, possano ritenersi idonei a confermare la dedotta non candidabilit del prof. S., ovvero se, sulla base di quelle due pronunce di merito, possa ritenersi definitivamente accertata l'esistenza di adeguati presupposti alla declaratoria di incandidabilit dello S. alle prime elezioni successive. La circostanza che l'accertamento della Corte d'Appello riguardi uno status personale, collegato alla responsabilit delle condotte poste in essere come membri del disciolto consiglio comunale, renderebbe dunque ammissibile l'esistenza di un terzo grado di giudizio, e, di conseguenza, ricollegabile solo all'ultima pronuncia la connotazione di "definitivit", ai sensi e per gli effetti di cui al comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. In conclusione, alla data delle elezioni, S. - essendo ancora in termini per fare ricorso in Cassazione, successivamente presentato - non poteva considerarsi incandidabile in via definitiva. 6. Con memoria depositata il 30 giugno 2012, si costituito il Sindaco eletto R.L., che ha anch'egli incentrato le proprie difese sulla non definitivit del provvedimento della Corte d'Appello del 3 maggio 2012, che dichiarava S. incandidabile. 6.1. Ha altres aggiunto che, alla data ultima fissata per la presentazione delle candidature (11 aprile 2012), il prof. S. era perfettamente candidabile, in quanto il decreto del Tribunale di Marsala interveniva solo il 20 aprile 2012, e quello della Corte d'Appello il 3 maggio successivo. 6.2. Infine, ha chiesto la declaratoria di inammissibilit del ricorso per difetto di interesse in relazione alla impossibilit del travolgimento dell'intero risultato elettorale per la partecipazione di un soggetto incandidabile, e in relazione al mancato superamento della prova di resistenza, ed anche l'inammissibilit della domanda relativa alla rinnovazione delle operazioni elettorali a partire dal momento della asserita illegittima ammissione della candidatura di V.S.. 7. Con memoria depositata il 21 settembre 2012, i ricorrenti hanno, preliminarmente, prospettato l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilit formulata dall'Avvocatura dello Stato circa la mancata notificazione del ricorso al candidato S.. Quest'ultimo, infatti, non avrebbe conseguito dall'accoglimento del ricorso alcun pregiudizio, non essendo beneficiario del provvedimento impugnato. Per questo motivo, egli non pu ritenersi parte necessaria nel giudizio. 7.1. Pure l'eccezione di inammissibilit per mancata evocazione in giudizio della Prefettura e del Ministero dell'Interno stata ritenuta infondata, anche in ragione del fatto che le funzioni di quest'ultimo sono svolte, in Sicilia, dall'Assessorato regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, debitamente citato. 7.2. In ordine al mancato superamento della prova di resistenza, i ricorrenti hanno evidenziato che l'azione di annullamento proposta anche da G.S., in qualit di candidato al consiglio comunale ed elettore del Comune di Cefal. 7.3. Nel merito, hanno prospettato l'infondatezza delle difese avversarie in ordine sia alla mancata tempestiva comunicazione del decreto della Corte d'Appello di Palermo (avvenuta il 5 maggio 2012), sia alla definitivit del decreto della Corte d'Appello, quest'ultimo riferibile al rilievo della incandidabilit per la sola tornata elettorale del 6 e 7 maggio 2012, proprio quella interessata anche dalle elezioni per l'elezione del Sindaco di Cefal. D'altra parte, non avrebbe senso la previsione di un procedimento rapido per l'accertamento della incandidabilit se poi fosse possibile proporre ricorso per Cassazione avverso la decisione del CONTENZIOSO NAZIONALE 167 reclamo da parte della Corte d'Appello, considerando i tempi assai pi lunghi di tale giudizio. In pratica, per la difesa dei ricorrenti, la rapidit del procedimento giurisdizionale contemplato dall'art. 143 comma 11 T.U.E.L. sarebbe posta a garanzia dell'interesse della collettivit a non essere amministrata da soggetti rei di condotte che hanno dato causa allo scioglimento degli organi rappresentativi, e anche del soggetto colpito dalla declaratoria di incandidabilit, che vede rapidamente definita la propria situazione relativa all'esercizio del diritto di elettorato passivo. Tutto questo, invece, verrebbe vanificato accedendo alla tesi della non definitivit del provvedimento camerale di secondo grado. 8. Con memoria depositata il 28 settembre 2012, L. ha replicato alle affermazioni avversarie circa la non ricorribilit in Cassazione del decreto della Corte d'Appello, in quanto i procedimenti camerali contenziosi, quale quello in oggetto, mirando alla soluzione di conflitti su diritti soggettivi, possono sfociare in provvedimenti che sono idonei al giudicato, e come tali impugnabili per Cassazione. Non vi sarebbe dubbio, pertanto, che l'accertamento dell'esistenza del diritto all'elettorato passivo rientri nel novero di tali situazioni. 8.1. Con la stessa memoria, si replicato alle ulteriori contestazioni dei ricorrenti in ordine alle prospettazioni circa l'inammissibilit del ricorso per mancato superamento della prova di resistenza e del difetto di interesse (cfr. supra, pt. 6.2.). 9. Alla udienza pubblica del 9 ottobre 2012, il Comune resistente ha depositato l'avviso di cancelleria della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, relativo alla fissazione per il 14 novembre 2012 dell'udienza pubblica per la discussione del ricorso proposto da V.S. avverso il decreto della Corte d'Appello di Palermo. 10. Il collegio, sentiti tutti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa per la decisione. DIRITTO 1. Il Collegio prende in esame, preliminarmente, le eccezioni di rito e di merito presentate, a vario titolo, da tutte le parti resistenti costituite. Si tratta, nell'ordine di esame ritenuto logico da parte del giudicante, i) dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva delle Amministrazioni intimate; ii) dell'inammissibilit del ricorso per mancata vocatio in ius, in qualit di parti necessarie del giudizio, del Ministero dell'Interno e della Prefettura nonch iii) del prof. V.S.. La dedotta inammissibilit del ricorso per difetto di interesse del ricorrente in relazione all'impossibilit del travolgimento del risultato elettorale, ed in relazione al mancato superamento della prova di resistenza (cfr. supra pt. 6.2.), essendo strettamente collegata alla decisione del ricorso nel merito e, di conseguenza, irrilevante in caso di rigetto dello stesso, pur afferendo ad una condizione dell'azione, verr esaminata dal collegio solo in caso di accoglimento dell'impugnativa. 2. L'eccezione di difetto di legittimazione a resistere delle Amministrazioni intimate, prospettata dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, fondata solo in parte. Essa va sicuramente accolta con riguardo alla posizione dell'Ufficio Centrale Elettorale e della Commissione circoscrizionale, in quanto, per giurisprudenza pacifica e consolidata, tali uffici pubblici non sono centri di imputazione sostanziale degli interessi dedotti in giudizio e, quindi, non sono parti necessarie del relativo contenzioso. Gli uffici elettorali, in particolare, stante la loro natura di organi straordinari e temporanei in posizione neutra, investiti solo del compito di dichiarare la volont del corpo elettorale, esauriscono la loro funzione con la proclamazione degli eletti, e quindi non sono direttamente o indirettamente toccati dall'esito del giudizio elettorale davanti al T.a.r. 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Infatti, l'art. 130 comma 3, c.p.a., prescrivendo che il ricorso relativo alle operazioni elettorali riguardanti le consultazioni amministrative debba essere notificato "all'ente della cui elezione si tratta", oltre che alle altre parti che vi abbiano interesse, individua quale unica parte pubblica necessaria l'ente locale interessato alle elezioni, cui vanno imputati i risultati elettorali ed al quale soltanto spetta la legittimazione passiva (ex plurimis Cons. Stato, 23 luglio 2010 n. 4851; C.G.A. 18 maggio 2007 n. 396; T.a.r. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 10 luglio 2012 n. 266; T.a.r. Sicilia, Palermo, sez. II, 05 marzo 2012, n. 494; T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, 09 dicembre 2010, n. 4115; T.a.r. Calabria, Catanzaro, 28 ottobre 2010, n. 2648; T.a.r. Piemonte, sez. I, 28 luglio 2010, n. 3136; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 231; T.a.r. Lazio, Latina, 29 gennaio 2010, n. 45). Deve essere, pertanto, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio Elettorale e della Commissione circoscrizionale, con estromissione degli stessi dal presente giudizio. 2.1. Astrattamente, tale eccezione avrebbe dovuto essere accolta anche con riferimento all'Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, anch'esso evocato in giudizio e difeso dall'Avvocatura dello Stato, ed anch'esso ben lungi dall'essere centro di imputazione del risultato elettorale, nonostante il ruolo di primo piano svolto, in Sicilia, nella convocazione dei comizi elettorali e nella gestione dell'intero procedimento. Tuttavia, il collegio rileva che tra gli atti impugnati dai ricorrenti vi sono anche le note assessoriali prot. 64589 del 30 aprile 2012 e 65542 del 2 maggio 2012, a mezzo delle quali l'Assessorato, in risposta alle richieste della Prefettura che chiedeva lo slittamento della competizione elettorale ad altra data (a ci a seguito del pronunciamento, del Tribunale di Marsala prima e della Corte d'Appello poi, sull'incandidabilit di V.S.), confermava lo svolgimento delle elezioni nelle date del 6 e 7 maggio 2012. Dette note, ad avviso del collegio, sono state correttamente impugnate nel contesto del ricorso proposto dal prof. C. e dal sig. S. ai sensi dell'art. 130 c.p.a. Tale circostanza, pertanto, legittima la presenza in questo giudizio dell'Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, chiamato a difendere (come in effetti fa) il proprio operato, ed interessato alla reiezione del ricorso e alla conferma del risultato elettorale. D'altronde, quando il comma 3, lett. c) dell'art. 130 c.p.a. fa riferimento, ai fini della notifica del ricorso, alle " altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato", non pu che riferirsi a parti il cui interesse all'esito del giudizio, trascendendo l'aspetto della mera aspettativa di fatto, si connoti da un punto di vista giuridico come interesse al mantenimento del risultato elettorale. Nel caso concreto, l'Assessorato regionale, con le note impugnate, ha ritenuto di non dover sospendere o procrastinare le elezioni in programma da l a pochissimi giorni, negando la presenza delle "cause di forza maggiore" paventate dalla Prefettura di Palermo, che invece ne aveva sollecitato l'intervento. Considerando che la decisione assessoriale strettamente collegata alla valutazione giuridica circa la candidabilit o meno del prof. S., la cui peculiare posizione soggettiva - dopo i pronunciamenti dell'autorit giudiziaria - non stata ritenuta tale da integrare una causa di forza maggiore, risultano evidenti al collegio le ragioni di connessione tra i provvedimenti dell'Assessorato, oggetto del ricorso, e l'esito della competizione elettorale, anch'essa impugnato, sicch sussiste l'interesse giuridicamente qualificato dell'Amministrazione regionale a veder confermata la bont del proprio operato. Sotto questo profilo, pertanto, non pu censurarsi la chiamata in giudizio dell'Assessorato da parte dei ricorrenti, che dunque resta parte del processo, anche ai fini della possibile condanna CONTENZIOSO NAZIONALE 169 alle spese e dell'esame delle eccezioni e prospettazioni contenute nei propri atti processuali. 3. Chiarito quali siano le effettive parti del giudizio, il collegio passa all'esame delle eccezioni di inammissibilit del ricorso per mancata notifica ad uno o pi controinteressati. 3.1. Il Comune ha prospettato la mancanza del litisconsorzio necessario con riferimento alla Prefettura di Palermo e al Ministero dell'Interno, in quanto titolari dello specifico potere di azione in materia elettorale, nonch, stando al disposto del comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L., del potere di adottare "ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista". L'eccezione del tutto infondata. Nel ribadire quanto gi chiarito in ordine alle parti necessarie del giudizio elettorale, che sono solo quelle cui vanno imputati i risultati elettorali e che sono ora elencate dal Codice del Processo Amministrativo all'art. 130, il collegio sottolinea, da un lato, l'assoluta irrilevanza di eventuali e comunque non meglio tipizzati poteri del Prefetto in ordine al ricorso elettorale di cui di discute, sicch la circostanza che, nel caso concreto, la Prefettura non sia intervenuta in alcun modo nella competizione elettorale, conferma la correttezza della scelta dei ricorrenti di non evocarla in giudizio; dall'altro, si ricorda che nella Regione Sicilia l'art. 8 del D.P. Reg. 20 agosto 1960 n. 3 ("Approvazione del testo unico delle leggi per la elezione dei consigli comunali nella Regione Siciliana") ha attribuito all'Assessorato Regionale per gli Enti Locali tutti i poteri in ordine allo svolgimento delle competizioni elettorali, sicch nella materia de qua il Ministero dell'Interno non ha alcun ruolo che renda sia pur astrattamente possibile la sua presenza in giudizio. 3.2. Parimenti infondata l'eccezione di inammissibilit del ricorso, sollevata dalla difesa erariale, per la mancata notificazione dello stesso "all'unico vero controinteressato, ovvero il prof. V.S.", della cui incandidabilit si starebbe controvertendo. Il collegio non pu non evidenziare che il ricorso elettorale sottoposto alla sua attenzione non ha ad oggetto l'incandidabilit di S. a Sindaco del Comune di Cefal (come invece accaduto nel giudizio davanti al tribunale di Marsala prima e alla Corte d'Appello di Palermo poi), bens l'esito della competizione elettorale del 6 e 7 maggio 2012, nella quale il prof. S. si classificato al terzo posto tra i soggetti candidati a ricoprire la carica di Sindaco di Cefal. Quand'anche, in via incidentale ed ai fini della decisione del ricorso, questo collegio debba valutare la candidabilit o meno dello S., ci non lo qualifica come "controinteressato" ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 130 e 41 c.p.a., giacch il controinteressato solo ed esclusivamente colui che ha un interesse sostanziale analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso, e quindi, in concreto, il solo candidato eletto Sindaco e gli altri soggetti risultati vincitori della tornata elettorale (T.a.r. Sicilia, Catania, sez. I, ord., 17 novembre 2005, n. 425). Infatti, "solo i soggetti i quali ricevano un pregiudizio, attuale e diretto, dalla pronuncia di annullamento del risultato elettorale , sono titolari di un interesse processuale uguale e di segno contrario a quello del ricorrente, mentre la lesione subita dai candidati non eletti non immediata e diretta: la situazione giuridica connessa all'aspettativa al subentro , infatti, soltanto ipotetica ed eventuale, perci non idonea a conferire la qualit di controinteressato ma, semmai, quella di titolarit di un interesse "di fatto" all'esito della controversia che legittima il soggetto a divenire parte processuale attraverso lo strumento dell'intervento in giudizio" (T.a.r. Molise, 26 giugno 1996, n. 231). Semmai il prof. S. potrebbe aver avuto interesse, in qualit di cointeressato e analogamente ai ricorrenti, alla ripetizione delle operazioni elettorali, posto che egli, classificatosi al terzo posto, si trova in una situazione del tutto analoga a quella del C., con l'unica (rilevante) dif- 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 ferenza che non avrebbe certamente sollevato questioni relative alla sua stessa pretesa incandidabilit, status che egli - alla luce della vicenda giudiziaria che lo ha visto protagonista davanti agli organi di giustizia ordinaria - ha finora contestato. Al di l di queste considerazioni, il collegio osserva che i ricorrenti hanno notificato il ricorso a ben ventiquattro effettivi controinteressati (consiglieri comunali eletti ed assessori nominati dal Sindaco), in linea con la lett. c) del comma 3 dell'art. 130 c.p.a., che fa riferimento " ad almeno un controinteressato". Inoltre, l'eventuale rilievo - da parte del collegio - della pretermissione di taluni controinteressati determina esclusivamente l'onere per il ricorrente di integrare il contraddittorio su richiesta del giudice, ai sensi dell'art. 41 c.p.a., ma non pu comportare l'inammissibilit del ricorso laddove si rilevi, come nel caso di specie, che almeno un altro controinteressato stato evocato in giudizio. 4. Il collegio passa all'esame del merito della vicenda sottoposta al suo giudizio, avendo cura di illustrarne il quadro normativo e processuale, poich fondamentale ai fini della comprensione della stessa. L'art. 143 T.U.E.L. ("Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Responsabilit dei dirigenti e dipendenti") disciplina, per l'appunto, la procedura di scioglimento degli organi elettivi degli enti locali interessati da fenomeni di criminalit mafiosa. Il Comune di Salemi, in provincia di Trapani, di cui V.S. era stato Sindaco per alcuni anni, stato sciolto con D.P.R. del 30 marzo 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 20 aprile 2012 S.O. n. 79. Pertanto, in base al comma 11 della medesima disposizione, introdotto con l'art. 2, comma 30, della L. n. 94 del 2009, agli amministratori del Comune disciolto si sarebbe dovuta applicare la speciale disciplina sulla loro incandidabilit per la prima tornata elettorale successiva allo scioglimento. Pi precisamente, il comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L stabilisce che : "Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilit il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile". La disposizione prevede, dunque, una particolare ipotesi di responsabilit "dirigenziale", applicabile ad ampio spettro sia ai dirigenti che ai membri degli organi elettivi degli enti locali disciolti. Tuttavia, lungi dal trattarsi di una responsabilit "automatica", essa deve essere oggetto di accertamento in via definitiva da parte degli organi giurisdizionali a ci preposti, in quanto sfocia nella sanzione della "incandidabilit" - in ambito regionale - alle prime elezioni successive allo scioglimento dell'ente locale, impingendo quindi nella sfera soggettiva pi intima dei candidati, in quanto ha ad oggetto il diritto di elettorato passivo, che, come noto, un diritto costituzionalmente garantito. L'accertamento della incandidabilit devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario, che CONTENZIOSO NAZIONALE 171 opera nell'ambito dei "procedimenti speciali" di cui al Libro IV del Codice di procedura civile (artt. 737 - 742 bis c.p.c.), e precisamente con il cd. rito camerale, caratterizzato da forme celeri di presentazione e decisione del ricorso, che avviene sempre in camera di consiglio, da parte del collegio. La scelta del legislatore di devolvere l'accertamento della incandidabilit a tale particolare forma di procedimento giurisdizionale collegata alla circostanza che essa si applica per tutti i procedimenti in materia di "famiglia e stato delle persone". Tuttavia, si fa notare sin d'ora che la disciplina de quo richiamata dal comma 11 dell'art. 143 "in quanto compatibile". 5. Orbene, come pure sottolineato dalle difese di tutte le parti resistenti, che, al pari dei ricorrenti, hanno insistito lungamente sull'argomento, il punto nodale della presente vicenda giudiziaria la questione relativa alla candidabilit o meno del prof. V.S. alle elezioni per il rinnovo degli organi elettivi del Comune di Cefal. Infatti, l'unico articolato motivo di ricorso da parte dei ricorrenti concerne la legittimit di una competizione elettorale nella quale stato presente, ottenendo il 16% dei voti validi, un soggetto che, a detta loro, non avrebbe potuto parteciparvi, sicch il solo fatto che quasi un quinto degli elettori di C. si sia determinato a dargli il suo voto significa chiara alterazione degli equilibri in campo, della volont e della libera autodeterminazione del corpo elettorale e quindi, in finale, di tutta la competizione svoltasi il 6 e 7 maggio 2012. A ci aggiungendosi che alcuni esponenti delle liste che appoggiavano il suddetto candidato, odierni controinteressati non costituiti, siedono tuttora in consiglio comunale. quindi evidente che diventa cruciale stabilire se il prof. S. fosse candidabile alle elezioni del Comune di Cefal: se lo era, le elezioni sono valide; se non lo era, spetta a questo collegio annullarle. 5.1. Il collegio rigetta il ricorso, in quanto ritiene che V.S. fosse candidabile alla data di svolgimento delle elezioni e che quindi le medesime siano valide. Sotto un primo profilo, va rilevato che nessun dubbio pu sussistere in ordine al fatto che alla data di presentazione delle candidature (11 aprile 2012), il prof. S. fosse perfettamente candidabile, non essendo intervenuta alcuna pronuncia dell'autorit giudiziaria, e non potendo in alcun modo attribuirsi valore retroattivo a quelle successivamente intervenute. 5.2. Dovendo spostare l'analisi sulla candidabilit al momento dello svolgimento delle elezioni e dovendo quindi incidentalmente valutare se a tale data il prof. S. fosse o meno candidabile, questo giudice si orienta per la prima delle due soluzioni, e questo in base all'attuale maggioritaria interpretazione giurisprudenziale circa la sottoponibilit o meno del provvedimento della Corte d'Appello, emesso in sede di reclamo ai sensi dell'art. 739 c.p.c., ad un ulteriore grado di giudizio davanti alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7 della Costituzione. La normativa processuale richiamata, infatti, non contempla espressamente tale rimedio, ed anzi caratterizzata da un regime di sostanziale revocabilit che, ad una prima lettura, sembrerebbe escludere la possibilit stessa di un giudicato formale e sostanziale, sicch, sotto questo profilo, il provvedimento "definitivo" non potrebbe che essere quello del Tribunale, se non reclamato, o quello della Corte d'Appello in seconda istanza. Tuttavia, come si vedr, nonostante il silenzio della legge, la giurisprudenza ha aperto il varco alla proposizione del ricorso straordinario in Cassazione, in particolari ipotesi. In sostanza, nel caso concreto, come debitamente illustrato nella parte in Fatto della presente sentenza, la definitivit o meno del provvedimento della Corte d'Appello di Palermo a determinare il consolidamento dello status di incandidabile del prof. S.. 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Pertanto, poich la proposizione, da parte di quest'ultimo, di ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello del 3 maggio 2012 non consente di dedurre, in automatico, la non definitivit della pronuncia di incandidabilit (e questo perch la Suprema Corte potrebbe ritenerlo non ammissibile), il collegio chiamato a decidere in via incidentale, e senza nulla togliere rispetto al futuro decisum della Cassazione, circa la legittimit o meno di un terzo grado di giudizio nella materia de qua, in quanto la risposta positiva a questo quesito determina, come conseguenza pressoch automatica, quella di ritenere non definitivo il giudizio della Corte d'Appello e quindi, la candidabilit del prof. S. alla data di svolgimento delle elezioni, che, conseguentemente, si sarebbero svolte in maniera del tutto legittima. 5.3. Per arrivare alle conclusioni sopra accennate, necessario illustrare, sia pure in maniera concisa, come si conviene a un provvedimento giurisdizionale, la materia di cui si sta trattando. Il procedimento giurisdizionale in camera di consiglio, di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., pacificamente utilizzato per ambiti assai diversi tra loro, assumendo la definizione di "contenitore neutro" da parte della dottrina pi perspicace. In pratica, esso utilizzato sia per la gestione di procedimenti cd. non contenziosi (la cd. volontaria giurisdizione, caratterizzata da funzioni giurisdizionali non necessarie e dalla gestione di interessi da parte del giudice, ovviamente nei casi previsti dalla legge), sia per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli status, ambito rimesso necessariamente alla potest di un magistrato e, normalmente, assoggettato alla cognizione piena, la quale costituisce la forma tipica nella quale assicurare la tutela dei diritti. Esistono, tuttavia, alcune eccezioni, in particolari materie e per particolari esigenze - soprattutto di celerit della decisione - per cui la tutela di diritti e status attribuita sempre all'autorit giurisdizionale, ma attraverso la forma del procedimento speciale o sommario, la cui principale differenza sostanziale rispetto al procedimento a cognizione piena consiste nella astratta non attitudine al giudicato dei provvedimenti decisori emessi dal giudice. In poche parole, l'attitudine al giudicato formale e sostanziale (artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) di cui si sostanziano le sentenze emesse al termine di un giudizio di cognizione ordinaria, astrattamente assente per i provvedimenti emessi al termine del procedimento camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. innegabile per che, fin dall'entrata in vigore del Codice di procedura civile, il processo di "cameralizzazione dei diritti" sia stato pressoch continuo e massiccio, al punto che gi nel 1950 l'art. 51 della L. 14 luglio 1950, n. 581 aveva introdotto l'art. 742 bis, il quale stabilisce che " le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorch non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone". Tenuto conto della essenzialit del procedimento camerale e, soprattutto, della astratta sua non attitudine a dare certezze assimilabili al giudicato formale e sostanziale (certamente ottenibili attraverso il procedimento a cognizione piena, destinato a sfociare in una sentenza), la dottrina maggioritaria ha costantemente ritenuto che la procedura ex artt. 737 e ss. da sola, mentre appare adeguata nei casi in cui, attraverso essa, si attua la gestione di interessi, risulta strutturalmente e funzionalmente inadeguata ad assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti e degli status, in quanto da un lato non garantista (a causa della struttura procedimentale semplificata, della presenza di una istruttoria atipica quanto ai mezzi di prova ed informale quanto alle modalit di espletamento, etc.), dall'altro perch inidonea al giudicato (i decreti sono sempre revocabili ex art. 742 c.p.c.). Pertanto, sul piano ermeneutico la conseguenza per il giudice non pu che essere che in pre- CONTENZIOSO NAZIONALE 173 senza di ipotesi in cui il legislatore ha richiamato, in tutto o in parte, il procedimento di cui agli artt. 737 e ss. per la tutela giurisdizionale dei diritti, doveroso offrire l'interpretazione che risulti il pi possibile conforme con l'esigenza, da un lato, di semplificazione-accelerazione di cui espressione la scelta legislativa concretatasi con il ricorso allo schema camerale, dall'altro di garantire che il ricorso allo schema camerale non significhi messa al bando della possibilit di avvalersi della cognizione piena. Sotto questo punto di vista, la non attitudine al giudicato costituisce sicuramente la criticit maggiore. Infatti, poich il combinato disposto degli artt. 739, comma 3 c.p.c. ("salvo che la legge disponga altrimenti, non ammesso reclamo contro i decreti della corte d'appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo") e 742 c.p.c. (" i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca") delinea uno schema che esclude la possibilit stessa di un provvedimento con caratteristiche di definitivit, ne discende che esso appare adeguato nei casi in cui, attraverso il medesimo, si attui la gestione di interessi, ma altres evidente che esso sostanzialmente entrato in crisi in concomitanza con la sua espansione applicativa, legata sia all'introduzione del citato art. 742 bis, sia con una serie di interventi legislativi " a pioggia", i quali, nel disciplinare nuovi procedimenti, hanno espressamente richiamato tutte o alcune delle disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. Tale espansione applicativa ha significato l'utilizzo del procedimento camerale per la tutela di posizioni sostanziali di diritto soggettivo o status, ovvero di situazioni sostanziali su di essi pesantemente incidenti. In questo modo il quadro di fondo si modificato, passandosi da una situazione iniziale nella quale si aveva una tendenziale coincidenza tra procedimento in camera di consiglio e tutela giurisdizionale di interessi, alla situazione odierna, caratterizzata da eccessiva frammentazione delle fattispecie e da un uso promiscuo del procedimento, per la tutela di situazioni sostanziali alquanto disomogenee, che vanno dalla gestione di interessi ad esclusiva rilevanza pubblicistica alla attuazione di diritti soggettivi violati, di obbligazioni civili classiche come di diritti della personalit. Tra questi, il riferimento contenuto nel comma 11 dell'art. 143 del T.U.E.L. sicuramente tra gli ultimi arrivati (la norma fu modificata nel 2009, introducendo per l'appunto il comma 11) e, per le implicazioni che pu avere in ordine ai diritti coinvolti, come detto di rilievo costituzionale, sicuramente uno tra i pi problematici. Infatti, la questione dell'incandidabilit o meno di un cittadino alle competizioni elettorali, coinvolge aspetti strettamente personali, poich incide sul diritto di elettorato passivo e, in qualche modo, anche sulla stessa reputazione e onorabilit del soggetto coinvolto, ma al contempo tocca anche aspetti pubblicistici, pure di livello costituzionale, perch posta a garanzia del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e, in finale, del diritto delle comunit locali ad avere assicurato il diritto a votare per vedersi garantito un assetto politico quanto pi possibile immune da contaminazioni e deviazioni di qualsiasi genere. 5.4. Tornando al caso concreto, poich sulla questione non esistono precedenti giurisprudenziali, il collegio non pu che far riferimento all'evoluzione della giurisprudenza di legittimit in materia di adeguamento dello schema camerale alle esigenze di tutela piena dei diritti soggettivi coinvolti nei procedimenti sommari, ed in particolare a quella giurisprudenza che ammette l'utilizzo del ricorso straordinario in cassazione per garantire almeno un grado di giudizio a cognizione piena e per salvare, al contempo, l'impianto codicistico da una declara- 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 toria di incostituzionalit per violazione dell'art. 111 Cost., che sin dalla sua versione originaria, prima delle modifiche di cui alla l. cost. 23 novembre 1999 n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione), consentiva il ricorso in cassazione per violazione di legge "contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libert personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali". Un ruolo decisivo stato ed tuttora prospettato dalla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di ricorribilit ex art. 111 Cost. dei provvedimenti emanati al termine di procedimenti camerali, che ha inaugurato quest'orientamento con la sentenza a Sezioni Unite del 30 luglio 1953, n. 2593, avente ad oggetto il procedimento di cui agli artt. 28-30 della L. n. 794 del 1942 ("l'ordinanza del giudice che decide un'opposizione a decreto ingiuntivo in materia di spese e di onorari di avvocati e procuratori per prestazione di opera giudiziale, avendo carattere decisorio, impugnabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione"). Sulla scorta di tale pronuncia sono seguite numerose altre. Tra le pi recenti, Cass. Civ. Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238, che ha ammesso la ricorribilit in cassazione con ricorso straordinario del decreto emesso in camera di consiglio dalla corte d'appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull'istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonch caratterizzato da stabilit temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus (la sentenza ha anche stabilito che il decreto, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, pu essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all'ultimo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., nel testo novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata). Nel medesimo senso, Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2007 n. 25619; id., 18 agosto 2006 n. 18187; id., 28 giugno 2006 n. 18627; id., 16 maggio 2005 n. 10229; id., 30 dicembre 2004 n. 24265. Parimenti, il ricorso straordinario stato escluso quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della decisoriet e definitivit in senso sostanziale (come nel caso di provvedimenti emessi in sede di volontaria giurisdizione, che disciplinino, limitino, escludano o ripristinino la potest dei genitori naturali ai sensi degli artt. 317 bis, 330, 332, 333 cod.civ.), neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, posto che la situazione strumentale in tal modo prospettata non assume certo una rilevanza sostanziale di decisoriet e definitivit (Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2010 n. 11756; id., 1 agosto 2007 n. 16984). Anche la Corte Costituzionale ha utilizzato, in diverse occasioni, il richiamo alla affermata ricorribilit per Cassazione dei decreti della Corte d'Appello quando aventi ad oggetto diritti soggettivi accertati con provvedimenti dotati di definitivit in senso sostanziale (ex multis, C. Cost., 1 marzo 1973, n. 22; 16 aprile 1985, n. 103). Alla base di tutte queste decisioni vi la comune interpretazione del termine " sentenza", di cui all'art. 111, comma 7, Cost., quale provvedimento " a contenuto decisorio", secondo la tesi, fatta propria dalla dottrina maggioritaria e della maggior parte della giurisprudenza anche di merito, della prevalenza della sostanza sulla forma, sicch quando la legge abbia voluto escludere la forma di "sentenza ", apparentemente escludendo anche la possibilit di un'impugnazione straordinaria, l'interpretazione sistematica dell'ordinamento giuridico consente di fare uso del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., anche per interpretare le norme sui proce- CONTENZIOSO NAZIONALE 175 dimenti camerali in maniera costituzionalmente orientata, facendole uscire indenni, dopo sessant'anni di vigenza della Costituzione, dal sindacato di costituzionalit. 5.5. Cos riassunta, tuttavia, la questione verrebbe posta in termini troppo semplicistici rispetto alla complessit della stessa, agli istituti coinvolti e anche al dibattito giurisprudenziale e dottrinario che ha alimentato, e tuttora alimenta, da oltre sette decenni. Al fine di stabilire, sia pure in via incidentale, se il provvedimento emesso dalla Corte d'Appello in sede di reclamo nella fattispecie contemplata dal comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. sia o meno definitivo e, come tale, idoneo a sancire l'incandidabilit del soggetto cui si rivolga, il collegio non pu prescindere dal fondamentale insegnamento della sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 23 ottobre 1986 n. 6220. In base a quanto in essa stabilito, il problema della impugnabilit di un provvedimento, ai sensi dell'art. 111, comma 2 (ora, comma 7) della Costituzione, cos come sviluppatosi a seguito della giurisprudenza successiva alla citata sentenza n. 2593 del 1953, deve risolversi verificando di volta in volta se ne ricorrano la due condizioni consistenti nella "decisoriet", intesa come risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status, e nella "definitivit", intesa come mancanza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato quei diritti e quegli status. Citando le parole delle Sezioni Unite, " le due condizioni devono coesistere, in quanto irrilevante la decisoriet se il provvedimento sempre modificabile e revocabile tanto per una nuova e diversa valutazione delle circostanze precedenti, quanto per il sopravvenire di nuove circostanze, nonch per motivi di legittimit (art. 742 c.p.c.). In questi casi il provvedimento non contiene una statuizione definitiva ed un pregiudizio irreparabile ai diritti che vi sono coinvolti". "Pur essendo necessaria la prima condizione attinente al contenuto (per esempio: una modifica del diritto o dello status), detto contenuto deve essere anche espressione di un potere giurisdizionale esercitato con carattere vincolante rispetto all'oggetto della pronuncia, in modo da garantire l'immodificabilit da parte del giudice che lo ha pronunciato e l'efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. " Il problema, afferma la Corte, "sorge a proposito dei procedimenti in camera di consiglio, regolati con le forme degli artt. 737 e ss. perch (a meno di una deroga espressa, che per esempio qualifichi come sentenza il provvedimento terminativo: v. Cass. 9 dicembre 1985 n. 6211), dovrebbe applicarsi in via di principio l'intera normativa, e quindi anche gli artt. 739 ultimo comma e 742, con conseguente esclusione dell'art. 111 comma 2 Cost. A prima vista, l'esclusione degli artt. 739 ultimo comma e 742 (e la conseguente applicazione dell'art. 111 Cost.) ancorata ad un criterio incerto e non risolutivo (l'incidenza su diritti soggettivi o status) sia perch l'esperienza giurisprudenziale dimostra la variet di soluzioni adottate per il medesimo caso, sia perch sarebbe una pura e semplice petizione di principio ritenere il provvedimento suscettibile di conseguire l'efficacia di giudicato in base agli indici relativi alla sua decisoriet su diritti soggettivi o status". La Corte, pertanto, ritiene che si "debbano utilizzare degli indici pi puntuali, tratti dalla concreta regolamentazione della singola materia, per quel che concerne i principi fondamentali del processo contenzioso (domanda, contraddittorio e difesa, immutabilit del provvedimento sotto forma di preclusioni). Dove i suddetti indici esistono, l'opzione verso la "sostanza" contenziosa, pur nella "forma volontaria" ha un alto grado di attendibilit. Dove non esistono, quell'opzione appare contrastante con la scelta del legislatore (salvo il controllo di costituzionalit, se ne sia il caso, e cio se vi sia contratto fra alcuni di quegli indici e la qualificazione 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 del provvedimento finale)." Pertanto, la Corte fornisce alcuni precisi indici per stabilire l'idoneit al giudicato, quali: a) l'esistenza di una controversia o conflitto in ordine a diritti soggettivi o status, con la conseguenza che se si in presenza di situazioni di interesse, che la legge non ritiene di affidare all'autonomia privata, ma sottopone al controllo giudiziario mediante interventi incidenti sulla attribuzione, esercizio e conformazione delle posizioni soggettive coinvolte nella cura o gestione di tale interesse, si fuori dal campo della giurisdizione contenziosa; b) la strutturazione del procedimento in forme che, anche se rimesse al'iniziativa della parte, assicurino il diritto di azione e di difesa ed il contraddittorio. Secondo la Corte, "la negazione di tali diritti pu essere considerata in una duplice direzione: o come sospetto di incostituzionalit di una disciplina che - pur conducendo al giudicato e quindi al pregiudizio definitivo ed irreparabile delle posizioni soggettive delle parti - non assicura quelle garanzie; o come presa d'atto di una scelta legislativa che, da un canto, esclude il giudicato e quindi il pregiudizio irreparabile prevedendo il rimedio alternativo della modificabilit e revocabilit e, dall'altro lato, esclude l'incostituzionalit"; c) la mancata espressa previsione della revocabilit dei provvedimenti per fatti originari e sopravvenuti. 5.6. Senza avventurarsi nell'esame, pressoch infinito, della casistica in subiecta materia, il collegio giunge dunque al punto di dover applicare alla fattispecie oggetto del giudizio quanto esposto sin ora quale portato dell'evoluzione giurisprudenziale sull'argomento della ricorribilit in cassazione dei provvedimenti emessi in sede camerale, aventi ad oggetto materie contenziose e comunque collegati all'accertamento di diritti o status. Come pi volte ribadito, l'incandidabilit - di cui al comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L. - deve essere dichiarata con provvedimento definitivo. Il collegio deve dunque accertare, da un lato, se la qualit sulla quale si controverte (ossia, la "candidabilit") sia da considerare o meno alla stregua di un diritto o di uno status (cos integrandosi il requisito poc'anzi illustrato sub a), che attiene alla decisoriet del provvedimento); dall'altro, deve verificare se il procedimento sia strutturato in modo da assicurare la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa (requisito sub b); infine, deve stabilire se il provvedimento della Corte d'Appello possa essere inteso come definitivo nel senso sopra indicato, sia sotto il profilo della sua non revocabilit (requisito sub c) che sotto quello della sua attitudine a pregiudicare, con l'efficacia propria del giudicato, i diritti e gli status del soggetto coinvolto. 5.6.1.Sul primo punto la motivazione quasi superflua: l'art. 51 della Costituzione garantisce il diritto all'elettorato passivo, in quanto "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". La giurisprudenza amministrativa e civile ha in pi occasioni (da ultimo, con ampia ricognizione della giurisprudenza in materia, Tar Sicilia, Catania, 24 febbraio 2012, n. 483) affermato che "il diritto di accedere alle cariche elettive pubbliche di cui all'art. 51 Cost. - cd. diritto di elettorato passivo - rappresenta un diritto politico fondamentale, riconosciuto e garantito dalla Costituzione". "Esso costituisce un aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica del paese, e rientra nel novero dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. (cfr. Corte Cost. 235/88 e 571/89)". "Pur trattandosi di diritto costituzionalmente tutelato ed inviolabile, lo stesso costituente ha previsto la possibilit che il legislatore ordinario lo limiti attraverso norme di contenuto ge- CONTENZIOSO NAZIONALE 177 nerale che stabiliscano i requisiti di accesso alle cariche elettive. La Consulta, movendo dal principio per cui "l'eleggibilit la regola, e l'ineleggibilit deve essere l'eccezione" (Corte Cost. 310/1991) ha pi volte affermato che tutte le limitazioni legali al diritto di elettorato passivo devono essere necessarie e ragionevolmente proporzionate (Corte Cost. 141/1996 e 476/1991), devono rispondere all'esigenza di "realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali" (Corte Cost. 235/1988), o comunque essere ispirate da "motivi adeguati e ragionevoli finalizzati alla tutela di un interesse generale" (Corte Cost. 571/1989), quale ad esempio la "salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche (sentenze n. 407 del 1992, nn. 197, 218 e 288 del 1993, nn. 118 e 295 del 1994, n. 141 del 1996), finalit, queste, "di indubbio rilievo costituzionale" (sentenza n. 197 del 1993), connesse "a valori costituzionali di rilevanza primaria" (sentenza n. 218 del 1993)" (Corte Cost. 132/2001)". L'attivit di "selezione" di tali interessi primari che giustificano l'apposizione di limitazioni al diritto di elettorato passivo si snoda attraverso un giudizio discrezionale di bilanciamento degli interessi meritevoli di tutela, affidato alla competenza del legislatore ordinario (Corte Cost. 160/97), con la conseguenza che in subiecta materia non esistono spazi discrezionali per l'Amministrazione pubblica, e, quindi, trattandosi di diritti soggettivi, l'accertamento dei medesimi rimesso alla cognizione del giudice ordinario. 5.6.1.1. In relazione al caso concreto, non vi sono dubbi che con il comma 11 dell'art. 143 il legislatore abbia previsto una ipotesi di incandidabilit, ulteriore rispetto a quelle di cui all'art. 58 T.U.E.L., affidando l'accertamento della medesima alla giurisdizione del giudice ordinario, sia pure nella forma dei procedimenti in camera di consiglio. Pertanto, nel procedimento camerale applicabile alla fattispecie concreta, sicuramente coinvolto un diritto soggettivo (che ha i suoi riflessi anche sotto il piano, quanto mai importante, della tutela del diritto della personalit all'onorabilit e al rispetto nel contesto sociale di appartenenza). Risulta dunque integrato il primo dei tre requisiti illustrati come necessari per la sottoponibilit a ricorso straordinario dei provvedimenti giurisdizionali della Corte d'Appello. 5.6.2. In ordine al secondo dei suddetti requisiti (procedimento strutturato in modo da assicurare la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa), il collegio non nutre dubbi sulla risposta positiva, anche considerando lo svolgimento del giudizio in capo al prof. S. nei due gradi svoltisi davanti ai giudici di primo e secondo grado. Anche se detto procedimento origina da un'iniziativa d'ufficio del Ministero dell'Interno (che "invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio"), la disposizione, nel prevedere che il tribunale valuti "la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa", impone al giudice l'effettuazione di una effettiva e nuova ponderazione dei fattori che hanno condotto allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale (ossia, "concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalit organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi"). Se cos non fosse, non si vede alcuna logica nell'operato del legislatore, che, a fronte dello scioglimento dell'ente, non ha previsto una automatica incandidabilit degli amministratori decaduti dalla carica (come invece accade per l'incandidabilit di cui all'art. 58 T.U.E.L., che discende in automatico dal verificarsi della situazioni contemplate dalla norma), ma ha rimesso alla magistratura ordinaria l'accertamento della stessa ricorrendone tutti i presupposti, sia pure 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 nelle forme rapide e sommarie del giudizio in camera di consiglio, nel cui ambito comunque garantito il contraddittorio. Questo specifico profilo stato colto anche dal provvedimento del tribunale di Marsala del 22 aprile 2012, con il quale veniva dichiarata l'incandidabilit di S., confermata dalla Corte d'Appello di Palermo. Proprio dall'esame dei suddetti provvedimenti, ampiamente motivati anche in ordine ai rapporti tra gli amministratori locali coinvolti ed esponenti della criminalit organizzata, il collegio trae conforto nel ritenere che il procedimento all'esito del quale sopravvenuta la pronuncia di incandidabilit stato condotto all'insegna del pieno rispetto del diritto di difesa del soggetto resistente. Sul punto, la stessa Corte d'Appello, nel suo provvedimento, che, a fronte di un'eccezione di legittimit costituzionale dell'art. 143 comma 11 T.U.E.L , in relazione ai principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., sollevata dalla difesa di V.S., ha superato la stessa facendo riferimento alla natura dei procedimenti camerali e ai suoi connotati di celerit e urgenza, quanto mai opportuni in un contesto nel quale la natura degli interessi coinvolti, entrambi di rilievo costituzionale (diritto di elettorato passivo da un lato; buon andamento della Pubblica Amministrazione dall'altro) legittimano il ricorso a un procedimento diverso, e alquanto pi snello, di quello di cognizione ordinaria. In particolare sotto il profilo della inesistenza, nell'art. 737 c.p.c., di un termine a difesa, la Corte d'Appello ha chiarito che la " natura urgente delle materie consegnate dal legislatore al procedimento camerale, induce a ritenere irragionevole la previsione di qualsivoglia termine minimo di comparizione, che proprio per la sua astratta predeterminazione potrebbe risultare contrastante col raggiungimento delle finalit di volta in volta sottoposte al vaglio dell'Autorit giudiziaria". Sotto l'altro profilo, anche esso sollevato dalla difesa di S., della congruit del termine a difesa, la Corte ha ribadito il principio generale secondo il quale detta congruit va valutata comparando l'interesse di chi sia gravato dall'onere di rispettarlo con quello, generale, al compimento di un atto entro un termine tale da non vanificare le finalit per le quali sia attivato un determinato procedimento (nel caso concreto, l'imminente svolgimento delle elezioni). 5.6.3. Infine, con riguardo all'ultimo dei requisiti sopra illustrati (la mancata espressa previsione della revocabilit dei provvedimenti per fatti originari e sopravvenuti), non resta che considerare il disposto del comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L, che non solo non contempla alcuna ipotesi di revocabilit del provvedimento, ma anzi fa riferimento alla attitudine del medesimo a diventare definitivo. Per contro, la " revocabilit" cui fa riferimento l'art. 742 c.p.c. ormai associata esclusivamente ai provvedimenti di volontaria giurisdizione, non idonei a passare in giudicato (ex multis, Cass. civ., sez. I, 9 dicembre 1985, n. 6223; id., 6 novembre 2006, n. 23673). Lo stesso art. 739 c.p.c. esclude la reclamabilit (alias, impugnabilit) dei provvedimenti di secondo grado "salvo che la legge disponga altrimenti", aprendo dunque la strada alla possibilit di una fase di impugnazione ulteriore davanti alla Corte di cassazione, quando ci sia reso necessario in ragione della natura delle situazione soggettive coinvolte. 5.7. Ne consegue che, interpretando in modo sistemico, e alla luce della giurisprudenza su richiamata, la disciplina degli artt. 737 e ss. con quella del T.U.E.L, non pu che pervenirsi alla conclusione che la declaratoria di incandidabilit ad opera della Corte d'Appello abbia in s tutte le caratteristiche necessarie per essere assoggettata al ricorso straordinario per Cassazione, non potendosi ricondurre alla pronuncia dei giudici di secondo grado quella definitivit strutturalmente e funzionalmente incompatibile con un ulteriore grado di giudizio. CONTENZIOSO NAZIONALE 179 Il collegio, ovviamente, perviene a queste conclusioni senza trascurare che, cos interpretata, la disciplina dell'art. 11 dell'art. 143, presta il fianco alle critiche di chi sostiene (compresi i ricorrenti) che ammettendo la proponibilit del ricorso in Cassazione vengono meno tutte le esigenze di celerit che il legislatore ha inteso tutelare rimettendo questo tipo di accertamento alle forme semplificate e veloci, anche quanto a mezzi di impugnazione, del procedimento camerale. Non vi dubbio che tale aspetto stato ben evidenziato dalla Corte di Appello, nel suo Provv. del 3 maggio 2012, con il quale, nel rigettare le questioni di costituzionalit della disciplina sollevate dalla difesa degli appellanti, faceva riferimento proprio all'esigenza costituzionale di assicurare la certezza del diritto in una materia dalle profonde implicazioni sociali e costituzionali, stante la natura costituzionalmente protetta di tutti gli interessi coinvolti (non ultimo, quello delle comunit locali a votare per soggetti la cui candidabilit non messa in discussione). Tuttavia, pur constatando che con l'ammissibilit del ricorso in cassazione, la disposizione del comma 11 dell'art. 143 T.U.E.L verrebbe snaturata quanto alla sua ratio intrinseca, di accertamento rapido della incandidabilit o meno degli amministratori locali coinvolti nello scioglimento del proprio ente, questo Collegio evidenzia che il caso sottoposto al proprio giudizio quanto mai peculiare, in quanto lo scioglimento del Comune di Salemi (e, quindi, l'inizio del procedimento di cui all'art. 143 comma 11, ad opera del Ministero dell'Interno) , per pura coincidenza, avvenuto a ridosso della consultazione elettorale indetta per il 6 e 7 maggio 2011. Considerando che il tempo fisiologico per una consiliatura di cinque anni, alquanto improbabile che lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, e le successive elezioni, si verifichino nel medesimo periodo. Va altres considerato che il divieto di candidarsi riguarda solo le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, e naturalmente solo se l'incandidabilit venga accertata con provvedimento definitivo. Ne consegue che solo per una pura fatalit la vicenda che ha visto protagonista il prof. S. si concentrata, sostanzialmente, nell'arco di un mese, di talch il definitivo pronunciamento della Cassazione (successivo solo di sei mesi alla data delle elezioni, che, tenuto anche conto della sospensione feriale, un tempo pi che ragionevole per una decisione delle Suprema Corte) arriver quando ormai le elezioni si sono svolte, con la partecipazione dello S., come pi volte illustrato. Evidentemente, il solo fatto che ci sia accaduto dimostra che, per quanto improbabile, la circostanza non solo possibile, ma anche suscettibile di ripetersi. Tuttavia, allo stato, da ritenere che questo fatto non possa impedire la proposizione del ricorso in cassazione avverso la decisone della Corte d'Appello, in quanto nessuna interpretazione - sia pur ragionevole - della ratio di una legge pu precludere agli interessati di tutelare appieno i propri diritti in tutte le forme consentite dall'ordinamento. 6. Alla luce di quanto sopra esposto, diventa irrilevante, per il collegio, procedere all'esame delle eccezioni e prospettazioni delle parti resistenti, relative al possibile accoglimento della tesi dei ricorrenti in ordine alla incandidabilit del prof. V.S.. 6.1. Anche la richiesta del Comune, peraltro subordinata, di sospensione del processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c. non merita l'esame del collegio, che ribadisce la natura incidentale del proprio accertamento, posto che esso devoluto, nel merito, esclusivamente alla cognizione del giudice ordinario. 7. In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese di giudizio, liquidate in dispositivo. 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - dichiara il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio Centrale Elettorale e della Commissione Elettorale Circoscrizionale; - respinge il ricorso; - condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore delle parti resistenti costituite in giudizio, pro quota, che liquida in complessivi Euro 3000,00 (tremila/00); - dispone che la Segreteria, ai sensi dell'art. 130, comma 8, c.p.a., trasmetta copia della presente sentenza al Prefetto della Provincia di Palermo nonch al Sindaco pro tempore del Comune di Cefal, per gli ulteriori adempimenti previsti e per quelli di cui al comma 11 dello stesso art. 130 c.p.a. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa. Cos deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 9ottobre 2012. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO La consulenza di legittimit e di merito delle amministrazioni compete, in via esclusiva, allAvvocatura dello Stato (Appunto a Consiglio di Stato, Sez. seconda, parere del 23 ottobre 2012 n. 04320) LAvvocatura dello Stato lorgano istituzionalmente preposto a fornire pareri ed indicazioni nellinteresse dellamministrazione; ad essa spetta supportare le scelte decisionali delle amministrazioni ogni qual volta le stesse ritengano, a loro discrezione, di doversi avvalere della consulenza pubblicoistituzionale. AllAvvocatura compete il supporto gestionale dellamministrazione con riguardo anche alleventuale profilarsi di contenziosi. Di contro, il Consiglio di Stato non organo consultivo dellAmministrazione e, quindi, non partecipa, mediante unattivit di consulenza di legittimit o di merito, allordinario svolgersi dellazione amministrativa; per tale funzione di consulenza previsto lausilio dellAvvocatura dello Stato. M.B. Numero 04320/2012 e data 23/10/2012 R E P U B B L I C A I TA L I A N A C o n s i g l i o d i S t a t o Sezione Seconda Adunanza di Sezione del 4 luglio 2012 NUMERO AFFARE 00265/2012 OGGETTO: Ministero delleconomia e delle finanze, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. Lotteria istantanea Sette e Vinci Vertenza Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato (AAMS) e Istituto Poligrafico Zecca dello Stato (IPZS) Parere sulla proposta di transazione. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 LA SEZIONE Vista la relazione dellAmministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. n. 49948, in data 16 dicembre 2011, trasmessa dal Ministero delleconomia e delle finanze, Ufficio del coordinamento legislativo finanze, con nota prot. n. 3-1309 del 2 febbraio 2012, con la quale stato richiesto al Consiglio di Stato il parere sullaffare in oggetto; Visto il parere interlocutorio reso nellAdunanza del 7 marzo 2012; Vista la nota prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011 dellAvvocatura generale dello Stato, trasmessa, in relazione al predetto parere interlocutorio, dal Ministero delleconomia e delle finanze - Ufficio del coordinamento legislativo - Finanze con lettera prot. n. 38293 del 13 giugno 2012; Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Gerardo Mastrandrea; Premesso: Il quesito ha come oggetto la possibile soluzione, mediante un apposito atto di transazione, della vertenza intercorsa tra Amministrazione dei Monopoli di Stato (AAMS) e lIstituto Poligrafico Zecca dello Stato (IPZS), in relazione alla vicenda della lotteria istantanea denominata Sette e Vinci, per la quale si sono verificati errori di stampa da parte del Poligrafico dello Stato, che hanno determinato lemissione di biglietti apparentemente vincenti venduti nella zona di Curno, risalenti al maggio 1996. In particolare, premetteva lAAMS che allepoca dei fatti lattivit di ideazione, stampa e gestione delle lotterie, istantanee e tradizionali, era gestita dallAAMS medesima, mentre la stampa, in concreto, dei biglietti era affidata ex lege al Poligrafico dello Stato, quale struttura in house del Ministero delle finanze. In relazione a tali errori di stampa, si registrata linsorgenza di una consistente mole di contenzioso, ad oggi non del tutto definito (risultano pendenti n. 19 giudizi, per i quali stata emessa sentenza di primo o secondo grado, perdipi favorevole allAmministrazione, successivamente impugnata dai detentori dei biglietti in questione, o per i quali si attendono notizie dalle Avvocature distrettuali sulla definitivit dei provvedimenti), con rischio dunque di notevole ulteriore esborso di risorse pubbliche. In proposito, puntualizzava lAmministrazione, la situazione connessa al contenzioso stata contenuta e fronteggiata in virt dellaccoglimento di tesi difensive impostate sulla ripetibilit, nei casi di specie, della sola somma pari al costo del biglietto, ma non pu escludersi che alla fine si addivenga a pronunzie di condanna dellAmministrazione al pagamento dei premi reclamati dagli attori. Ricadendo lerronea stampa dei biglietti nellimputabilit esclusiva dellIPZS, lAAMS, con la finalit di evitare laccollo dellonere economico corrispondente, ha, nel tempo, disposto la cessazione dei pagamenti al predetto Istituto a fronte di fatture emesse per la stampa di biglietti per altre lotterie. E ci, fino alla conclusione dei giudizi ancora pendenti. Precisava, altres, lAmministrazione riferente che tra la stessa e lIPZS intercorsa negli anni anche per il tramite dellAvvocatura dello Stato una copiosa corrispondenza. In particolare, rileva che detto Istituto, pur avendo gi in data 4 dicembre 1996 (nota prot. n. 297) assunto limpegno di fronteggiare eventuali ed accertate responsabilit per i fatti contestati o contestabili dalla stessa, ha successivamente disatteso tali impegni (nota prot. n. 192 dell8/04/2004), respingendo, di contro, le richieste di rimborso delle somme pagate dallAmministrazione oggetto del citato contenzioso ed inviando, peraltro, periodici solleciti di pagamento delle fatture sospese. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 Riferiva, inoltre, lAAMS che da circa due anni, con la mediazione dellAvvocatura generale dello Stato, sono in corso trattative per addivenire ad una transazione per la quale la stessa si resa disponibile a riconoscere la somma di 11.677.053,32, per fatture non pagate, oltre interessi legali, in cambio del riconoscimento della somma di 900.183,44, quale importo versato dallAmministrazione in esecuzione di sentenze passate in giudicato e di provvedimenti giudiziari, nonch di 130.872,00 per i costi concernenti limpiego del personale adibito al contenzioso insorto. LIPZS ha manifestato la propria disponibilit ad accedere a tale proposta, mentre non ha acconsentito alla proposta di pattuizione transattiva rispetto agli ulteriori oneri relativi ai contenziosi tuttora pendenti. Tali oneri economici, precisava lAmministrazione, ammontano ad 1.724.066,04 e si riferiscono a contenziosi per i quali solo potenziale lindividuazione delleffettivo soggetto onerato, essendosi consolidata una giurisprudenza favorevole allAmministrazione. Concludendo, lAAMS evidenziava che, rispetto allepoca nella quale i fatti si sono verificati, mutata la natura giuridica dellIPZS, ora S.p.A., con il Ministero delleconomia e delle finanze unico azionista, e trasmetteva la bozza dellatto di transazione sopra descritto, predisposta dallIPZS, ai fini dellacquisizione del parere del Consiglio di Stato, ai sensi della direttiva del Ministro delle finanze del 22 settembre 1997. La Sezione, in sede di esame dellaffare in oggetto, nellAdunanza del 7 marzo 2012, premesso che linvocata direttiva del Ministro delle finanze in data 22 settembre 1997, nellindividuare i casi nei quali conveniente acquisire il parere facoltativo del Consiglio di Stato ai fini del miglior perseguimento dellinteresse pubblico cita ogni transazione allorquando limporto dal quale si origina il relativo contratto sia di misura superiore a lire 500 milioni, precisando, tuttavia, che detto parere va richiesto in aggiunta a quello che prescritto si debba acquisire dallAvvocatura di Stato, osservava che il parere che a lume di tale direttiva duopo sia richiesto al Consiglio di Stato non si configura come sostitutivo, ma, semmai, al pi, come aggiuntivo. Il Collegio riteneva, pertanto, imprescindibile acquisire il parere dellAvvocatura dello Stato sullatto transattivo in oggetto, cos come, peraltro, tenuta di norma in tutti i casi nei quali si predispongano schemi di transazione con la P.A. al fine di addivenire alla soluzione di controversie insorte e sospendeva lemissione del parere, evidenziando, altres, che restava, comunque, impregiudicata ogni definitiva valutazione sulla sussistenza dei presupposti a rendere il parere richiesto. In relazione al predetto parere interlocutorio, con nota prot. n. 38293 del 13 giugno 2012, il Ministero delleconomia e delle finanze - Ufficio del coordinamento legislativo - Finanze ha trasmesso la nota dellAvvocatura generale dello Stato,.prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011. Considerato: La Sezione ritiene doveroso rilevare, preliminarmente, che lAvvocatura generale dello Stato, nel parere di cui alla nota prot. n. 406363 del 17 dicembre 2011, pur dando conto di alcune variazioni contenute nella nuova bozza di transazione, rispetto a quella precedentemente esaminata, ha concluso approvando in linea legale la bozza di transazione de qua, non sussistendo elementi di diversit sostanziale rispetto alla precedente bozza sulla quale si era gi pronunciata favorevolmente con nota in data 6 luglio 2011, prot. n. 221948P. Ci premesso, il Collegio, nel prendere atto di tale esito, deve nondimeno osservare che, nel caso di specie, in relazione alla questione prospettata, non appaiono sussistere i presupposti per attivare lattivit consultiva facoltativa del Consiglio di Stato e quindi rendere il parere richiesto. 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Giova ricordare, in via generale, che in base allorientamento consolidatosi dopo la riqualificazione dellattivit consultiva del Consiglio di Stato, intervenuta alla luce delle disposizioni di cui allart. 17, commi 25 e segg., l. n. 127/1997, ferma restando la tipicit dei pareri da richiedersi in via obbligatoria, i pareri richiesti in via facoltativa devono investire questioni di diritto di portata generale e non attenere ad aspetti gestionali di natura concreta e singolare: il Consiglio di Stato non , dunque, destinato a supportare le scelte decisionali delle amministrazioni ogni qual volta le stesse ritengano, a loro discrezione, di doversi avvalere della consulenza pubblico-istituzionale. Per una siffatta opera di supporto gestionale, con riguardo anche alleventuale profilarsi di contenziosi, soccorre, infatti, lAvvocatura dello Stato, organo istituzionalmente preposto a fornire pareri ed indicazioni nellinteresse non dellordinamento generale ma dellAmministrazione assistita. Corre lobbligo di rammentare, invero, che il Consiglio di Stato, che non organo consultivo dellAmministrazione, e che quindi non partecipa, mediante unattivit di consulenza di legittimit o di merito, allordinario svolgersi dellazione amministrativa (per tale funzione di consulenza previsto lausilio dellAvvocatura dello Stato), ma che deve qualificarsi quale organo ausiliario del Governo in una particolare posizione di autonomia, indipendenza e terziet, attraverso la quale la funzione consultiva concorre insieme a quella giurisdizionale a realizzare la giustizia nellamministrazione, non pu che fornire il proprio avviso in stretta e rigorosa interpretazione della legge e su questioni di larga massima, la cui soluzione potr guidare la successiva azione amministrativa nel suo concreto, futuro esplicarsi (cfr. Cons. Stato, II, 25 settembre 2002, n. 2994/02). Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene la Sezione che linvocata direttiva del Ministro delle finanze in data 22 settembre 1997, che in base ad una valutazione di convenienza, e, quindi, meramente discrezionale, ancorch ai fini del miglior perseguimento dellinteresse pubblico, individua le fattispecie nelle quali acquisire il parere facoltativo del Consiglio di Stato (peraltro, si ribadisce, non a caso configurato come aggiuntivo e non sostitutivo del parere dellAvvocatura generale dello Stato, Organo deputato) non pu costituire il fondamento giuridico per incardinare in capo al Consiglio di Stato la competenza, non supportata da alcuna previsione puntuale di legge, a rendere il parere sullatto transattivo in questione. Alla stregua delle considerazioni che precedono, prendendo atto, dunque, che lAvvocatura generale dello Stato, quale organo istituzionalmente competente, si gi espressa, deve, pertanto, essere pronunciato il non luogo ad esprimere il richiesto parere. P.Q.M. La Sezione dichiara non esservi luogo ad esprimere parere. L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Gerardo Mastrandrea Pietro Falcone PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 Sul patrocinio c.d. autorizzato degli enti lirici (ora, fondazioni di diritto privato) (Parere prot. 297282 del 23 luglio 2012, AL 16227/12, avv. MARIA ELENA SCARAMUCCI) Con nota del 16 aprile u.s. codesta Avvocatura esponeva di avere rilevato che il patrocinio della Fondazione (...), che per legge e per Statuto dello stesso Ente attribuito allAvvocatura dello Stato, viene da tempo affidato, se pur in relazione a singole controversie, ad avvocati del libero foro, senza alcuna motivazione in ordine alla sussistenza di particolari ragioni giustificative di tale deroga. Anche al fine di stabilire per tutti gli enti lirici, dopo la loro trasformazione in fondazioni di diritto privato, un indirizzo uniforme in materia di patrocinio c.d. autorizzato, chiedeva, quindi, alla Scrivente di chiarire quale atteggiamento si dovesse assumere nei confronti (...) in relazione alla problematica sopra evidenziata. Prima di passare allesame del quesito, si ritiene opportuno richiamare i presupposti e il contenuto del patrocinio previsto dal r.d. n. 1611 del 1933, come modificato dalla legge n. 103 del 1979, che distingue le ipotesi della rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato da quelle sulla assunzione da parte dellAvvocatura dello Stato della rappresentanza e difesa di amministrazioni non statali. Nella prima ipotesi previsto che nessuna amministrazione statale possa richiedere lassistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dellAvvocato generale dello Stato, secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei Ministri. Nella seconda ipotesi, di cui allart. 43, comma 1, previsto che LAvvocatura dello Stato pu assumere la rappresentanza e la difesa ... di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto. I commi 3 e 4 dellart. 43 disciplinano direttamente i requisiti per la valida dispensa dal patrocinio obbligatorio ed indirettamente i presupposti per la valida nomina di un professionista del libero Foro. Secondo i principi generali espressi nella circolare dellAvvocatura Generale n. 46/2002 in merito alla natura e agli effetti del patrocinio, oltre che sulla scorta della conforme giurisprudenza della S.C., del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, laffidamento da parte dellEnte pubblico di un incarico a un avvocato del libero Foro ha carattere di specialit, e deve essere supportato dallesistenza di oggettive e inderogabili esigenze, nonch da adeguata motivazione. La mancata deliberazione da parte dellEnte, linesistenza della motivazione o la mancata sottoposizione della deliberazione dismissiva allorgano 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 di vigilanza, integrando una violazione del sistema normativo di cui al predetto art. 43, determinano linvalidit del mandato e il conseguente difetto di ius postulandi del difensore, che condurrebbe alla nullit di tutte le attivit processuali svolte, con conseguente prevedibile danno erariale. Ci premesso, si ricorda che con il D.Lgs del 29 giugno 1996 n. 367 stato disposto l'avvio alla trasformazione degli Enti Lirici in Fondazioni di diritto privato, mentre l'art. 1 del D.L. 24 novembre 2000 n. 345 (convertito in Legge 26 gennaio 2001 n. 6) ne ha stabilito la trasformazione effettiva a decorrere dal 23 maggio 1998. Il co. 3 della citata norma prevede che la Fondazione, che dotata di uno statuto che ne specifica le finalit, pu continuare ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Come noto, lo Statuto della Fondazione (...) (adottato dal CdA della stessa Fondazione nella seduta del 6 maggio 1999 e approvato con D.M. 15 giugno 1999) ha previsto allart. 20, testualmente che: La Fondazione si avvale della consulenza e del patrocinio legale dellAvvocatura dello Stato, ai sensi dellart. 7 del D.Lgs. n. 134/1998, salva diversa deliberazione del Consiglio di Amministrazione. Pu, pertanto, affermarsi che, nei confronti (...), non vi sia stata, a seguito della riforma, soluzione di continuit nel rapporto di patrocinio autorizzato con lAvvocatura dello Stato. Nonostante quanto sopra premesso, osserva la Scrivente che il comportamento della Fondazione nei confronti di codesta Avvocatura induce a ritenere che la stessa interpreti la citata disposizione statutaria, non alla stregua del dato normativo sopra ricordato (art. 43, commi 3 e 4), ma nel senso della possibilit che il patrocinio erariale possa essere derogato mediante deliberazione del Consiglio di amministrazione ogniqualvolta questultimo, in base a proprie insindacabili valutazioni, lo ritenga opportuno. Ricordato che anche per la Fondazione (...) - in quanto ente pubblico finanziato dallo Stato e sottoposto alla vigilanza dello Stato - si pone lesigenza di evitare un aggravio di spese per la difesa in giudizio, essendo il patrocinio dellAvvocatura dello Stato sostanzialmente gratuito, si ribadisce che la portata della norma statutaria non pu eccedere quelli che sono i limiti tracciati dal chiaro dettato normativo sopra richiamato, secondo il quale, anche nel caso di patrocinio c.d. autorizzato, la rappresentanza e la difesa ... sono assunte dallAvvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva. Caratteri fondamentali e inderogabili del patrocinio dellAvvocatura dello Stato, infatti, sono quelli della organicit e della esclusivit consistenti, rispettivamente, nello stabilirsi col rapporto di patrocinio - sia obbligatorio che autorizzato - di un rapporto di immedesimazione organica col soggetto patrocinato, sicch nellambito di tale rapporto il soggetto patrocinato rappresentato, per ogni profilo e senza necessit di specifico mandato, dallAv- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 vocatura dello Stato ed nellimpossibilit di affidare il proprio patrocinio a legale diverso dallAvvocatura dello Stato o di affiancare a questultima altro legale del libero Foro (artt. 5, co. 1, e 43, co. 4, R.D. 1611/33). Ambedue i sottolineati caratteri hanno la loro ragion dessere nellesigenza di unicit e coerenza di indirizzi che potrebbe venir compromessa dalleventualit o di approntare, di volta in volta, per svolgere scelte di gestione processuale, specifiche direttive o di svolgere difese non coerenti con gli indirizzi generali di istituto, conformi alla tutela generale dei pubblici interessi necessariamente informata a criteri di uniformit interpretativa ed applicativa della legalit. Alla luce di quanto sopra esposto, la Scrivente ritiene che la norma statutaria autorizzatoria, sia se inserita in un provvedimento normativo che in un provvedimento amministrativo, non possa contenere altro che la previsione dellestensione dei compiti dellAvvocatura dello Stato ontologicamente dovuti per le Amministrazioni dello Stato anche ad altri enti diversi dalle amministrazioni statali. Non quindi consentito alla Fondazione di autodeterminarsi in ordine allaffidamento del patrocinio ad avvocati del libero Foro al di fuori delle condizioni poste dalla legge, ossia in presenza di oggettive e inderogabili esigenze, previa deliberazione sorretta da adeguata motivazione. Viene da parte di codesta Avvocatura [distrettuale] segnalata, tuttavia, la difficolt in cui lufficio potrebbe venire a trovarsi nellassumere la difesa della Fondazione ove la consistenza del relativo contenzioso tornasse a livelli incompatibili con lattuale organico presente in sede. A prescindere dalle ipotesi regolate dallart. 417 bis cpc (controversie individuali di lavoro), in merito alle quali si espresso il Comitato consultivo in data 10 febbraio 2010, si osserva che nulla osta a che una diversa motivata delibera (sempre necessaria) da parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione riguardi non ununica controversia, bens un gruppo ben definito e omogeneo di giudizi (casi comunque speciali), nellipotesi in cui non si possa ricorrere - ad esempio, per impossibilit dellAmministrazione di fornire adeguato supporto, o altre motivate ragioni - agli strumenti ordinari individuati negli articoli 2 e 3 del T.U. n. 1611/33. Il Comitato consultivo si di recente espresso in argomento in data 20 ottobre 2011, affermando che lo strumento della delibera di carattere generale pu essere attivato laddove, in considerazione dellAutorit giudiziaria dinanzi alla quale i giudizi pendono (natura del Giudice; sua ubicazione), delloggetto delle cause (non particolare rilevanza economica e/o giuridica; ripetitivit), dei tempi del giudizio, il ricorso a patrocinatore privato assicuri in determinati casi e in presenza di peculiari circostanze di fatto (a titolo meramente esemplificativo, la contiguit con lAmministrazione e con il Foro, tali da rendere pi celere e agevole listruttoria e pi facile la presenza in udienza) una pi pratica difesa della parte pubblica e si risolva, in ultima 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 analisi, in una soluzione pienamente conforme allinteresse pubblico. Come in quella sede stato anche sottolineato, una simile scelta - da intendersi sempre eccezionale, come lart. 43 prescrive - non potrebbe che essere concordata con lAvvocatura dello Stato (ed eventualmente sottoposta, ove previsto, allOrgano di vigilanza) a seguito di un attento e scrupoloso esame, ferma restando in singoli casi la possibilit di eccezione per particolari ragioni che rendano invece preferibile il ricorso allAvvocatura. Nulla osta, inoltre, a che tali accordi vengano trasfusi in una convenzione sul modello di quella gi conclusa con altri Enti pubblici ammessi al patrocinio dellAvvocatura dello Stato, vincolante per entrambe le parti, eventualmente con lintervento dellautorit di vigilanza. Sulla questione stato sentito il Comitato consultivo, che si espresso in conformit nella seduta del 19 luglio 2012. Ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale (Parere prot. 298530 del 24 luglio 2012, AL 12735/12, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) 1. Con la nota indicata a margine codesto Ufficio espone che: - a seguito della pubblicazione del bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile (pubblicato nella G.U. 75 del 20 settembre 2011), sono stati presentati due ricorsi proposti da due stranieri, rispettivamente dinnanzi al Tribunale di Brescia e al Tribunale di Milano, con i quali - ai sensi dellart. 44 D.lgs 286/1998, come modificato dalla L. 189/2002 - stata denunciata la natura asseritamente discriminatoria della clausola del predetto bando, nella parte in cui ammette i soli cittadini italiani alla selezione suddetta; - di detti giudizi luno (quello instaurato a Milano) si chiuso in primo grado con una decisione sfavorevole allUfficio, con la quale stato dichiarato discriminatorio lart. 3 del bando; sono state sospese le procedure di selezione, ed stato ordinato allamministrazione di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza, consentendo laccesso agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande; la decisione suddetta, impugnata dallUfficio, stata sospesa dalla Corte dAppello con riferimento allordine di sospensione delle procedure di selezione e ad ogni conseguente pronuncia ordinatoria derivante; il giudizio pende tuttora; PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 - laltro giudizio promosso dinnanzi al Tribunale di Brescia (rimesso alla III sezione civile da quella Lavoro originariamente adita), stato definito in primo grado con una sentenza (trasmessa alla Scrivente con la nota del 10 maggio 2012), che ha respinto il ricorso. Per le vie brevi codesta Amministrazione ha fatto sapere che avverso la sentenza stato proposto appello (con udienza indicata in citazione il 20 novembre 2012). 2. In relazione alla sopra descritta situazione di fatto, codesto Ufficio espone altres che, avendo concluso le procedure relative al bando ordinario sopra specificato, dovrebbe procedere alla pubblicazione sul sito istituzionale dellavviso recante le date entro le quali gli enti devono far pervenire il progetto per laccompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili e successivamente emanare il Bando Straordinario per la selezione dei volontari da impiegare nei suddetti progetti, individuando i requisiti per la partecipazione alle selezioni, precisando che il descritto problema si pone anche in vista della imminente pubblicazione del bando per la selezione dei volontari da impiegare nei progetti autofinanziati da soggetti privati. 3. Si chiede pertanto il parere della Scrivente in ordine alla possibilit di indire nuovi bandi senza prevedere l'ammissione degli stranieri al servizio civile, tenuto conto che l'esecuzione dell'ordinanza del Tribunale di Milano comporterebbe il problema di chiarire in cosa consista la regolare residenza in Italia del cittadino straniero. 4. Tanto premesso, limitando le successive considerazione alla posizione degli stranieri extracomunitari, ai quali si riferiscono le controversie che hanno dato luogo alla richiesta di parere, si osserva quanto segue. 5. La sentenza del Tribunale di Milano aveva - dichiarato il carattere discriminatorio dellart. 3 del Bando; - sospeso le procedure di selezione; - ordinato allamministrazione di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza, consentendo laccesso agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande. La decisione suddetta stata sospesa dalla Corte di Appello con specifico riferimento allordine di sospensione delle procedure di selezione e ad ogni conseguente pronuncia ordinatoria derivante (1); sicch sembra che la decisione di primo grado sia stata sospesa per quello che riguarda gli effetti ordinatori e non per quanto concerne il contenuto dichiarativo, ci facendo venir meno, fino allesito del giudizio di merito (la cui prossima udienza fis- (1) Infatti dal verbale di udienza risulta che gli appellati non si oppongono alla sospensione degli effetti della decisione impugnata per la sola parte in cui ordina alla Presidenza ... di sospendere le procedure di selezione e di modificare il bando 20 settembre 2011, ferma restando ogni altra statuizione e in particolare gli effetti dellaccertamento circa il carattere discriminatorio della esclusione degli stranieri. 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 sata per il 22 novembre 2012), lesecutivit della stessa e gli obblighi conseguenti con riferimento alla procedura concorsuale per cui causa. 6. Sotto un profilo pi generale, si osserva che la clausola del bando che ammette i soli cittadini italiani alla selezione per il servizio civile - ritenuta dal Tribunale di Milano comportamento discriminatorio ai sensi dellart. 44 D.lgs. 286/98 (come modificato dalla L. 189/2002) - stata invece considerata legittima e non discriminatoria da altri giudici di merito (tra altri dal Tribunale di Brescia, con la sentenza rimessa con la nota del 10 maggio 2012). 7. Oltre a ci si deve rilevare che la riserva ai soli cittadini dellaccesso al servizio civile prevista dallart. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 (Disciplina del Servizio civile a norma dellart. 2 della L. 64/2001) che prevede quanto segue: Requisiti di ammissione e durata del servizio. 1. Sono ammessi a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini italiani, muniti di idoneit fisica, che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di et e non superato il ventottesimo. Con riferimento a tale norma non stato aperto incidente di costituzionalit, sicch la norma suddetta - la quale crea per lamministrazione un diretto vincolo non suscettibile di applicazione discrezionale - tuttora vigente ed efficace. Si aggiunga a ci che una ipotetica censura di incostituzionalit del richiamato art. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 prevedibilmente non troverebbe avallo presso la Consulta, la quale si ripetutamente pronunciata sulla peculiare natura del servizio civile, chiarendo che le norme sul servizio civile trovano fondamento, anzitutto, nell'art. 52 della Costituzione che configura la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione pi ampia dell'obbligo di prestare servizio militare. In questo contesto deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della obbligatoriet del servizio militare ... configura il servizio civile come l'oggetto di una scelta volontaria, che costituisce adempimento del dovere di solidariet (art. 2 della Costituzione), nonch di quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della societ (art. 4 Cost., secondo comma). In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria (Corte cost. 16 luglio 2004, n. 228, richiamata e ribadita da Corte cost., 2 dicembre 2005, n. 431). Alla luce di tali principi si ritiene che ben difficilmente un ipotetico vaglio costituzionale della norma suddetta potrebbe concludersi sfavorevolmente, travolgendo la legittimit di eventuali bandi emessi sulla base della predetta disposizione; il che - a parere della Scrivente - porta anche ad escludere la natura discriminatoria (ai sensi dellart. 44 D.lgs 286/1998) della clausola del bando che riserva ai soli cittadini laccesso al servizio civile. 8. Un ipotetico obbligo di disapplicazione diretta della norma da parte di PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 codesta Amministrazione potrebbe venire, in astratto, dalla sua eventuale incompatibilt con norme comunitarie direttamente efficaci o trasposte, sicch opportuno valutare anche tale aspetto al fine di rendere il richiesto parere. Al proposito vengono in rilievo la Direttiva 2000/43/CE (Direttiva del Consiglio che attua il principio della parit di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica) e la Direttiva n. 2000/78/CE (concernente la parit di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), recepite con i D.lgs. 215 e 216 del 2003. Per quanto concerne la direttiva 2000/43/CE, lart. 3 (Campo di applicazione) precisa che La presente direttiva non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalit e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all'ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel territorio degli Stati membri, n qualsiasi trattamento derivante dalla condizione giuridica dei cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati. Tali principi sono stati ribaditi anche in sede di recepimento, infatti il D.Lgs. n. 215/2003 prevede (art. 3) che il principio di parit di trattamento senza distinzione di razza e di origine etnica si applichi a tutte le persone, sia nel settore pubblico che privato, e sia suscettibile di tutela giurisdizionale, con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni di licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attivit nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime; e) protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale; f) assistenza sanitaria; g) prestazioni sociali; h) istruzione; i) accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio. Tuttavia la medesima norma precisa che il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalit e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, n qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti. Daltra parte anche la direttiva n. 2000/78/CE (che riprende le diverse tipologie di discriminazioni individuate dalla direttiva n. 2000/43, applicandone il divieto, con specifico riferimento all'occupazione ed alle condizioni di lavoro, ad una serie di situazioni eterogenee, quali religione, convinzioni personali, handicap, et, tendenze sessuali) non riguarda, neanchessa, le differenze di trattamento basate sulla nazionalit, aspetto questo confermato anche dal D.lgs. 216/2003 che di tale direttiva costituisce trasposizione. 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Tale ambito di applicazione, unitamente alla considerazione della peculiare natura del servizio civile, non riconducibile al rapporto di lavoro (cfr. Corte Cost. 2004, n. 228), a parere della Scrivente esclude la rilevanza, in materia, di profili comunitari. In relazione a quanto sopra, pertanto, si pu concludere che lart. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77 non appare incompatibile con la richiamata normativa comunitaria, il che esclude una sua diretta disapplicabilit (per tale ragione) da parte dellAmministrazione. 9. In conclusione alla luce degli esposti principi e tenuto conto delle norme vigenti (che peraltro, a quanto consta, potrebbero essere oggetto di modifica da parte del legislatore), a parere della Scrivente nulla osta alla indizione di nuovi bandi contenenti la clausola di riserva ai soli cittadini dellaccesso al servizio civile in conformit allart. 3 co. 1 del D.lgs. 5 aprile 2002 n. 77, essendo questultima norma in vigore ed efficace, non in contrasto con principi comunitari (in quanto tale non disapplicabile dallAmministrazione), e non manifestamente contrastante con i parametri costituzionali, ci sembrando anche sufficiente - in via di principio - ad escludere che da essa possano essere indotti comportamenti potenzialmente discriminatori. In tale contesto anche in caso di ipotetica soccombenza dellAmministrazione in singoli giudizi intrapresi da soggetti non cittadini per accedere alla selezione, detta soccombenza non sarebbe di per s sufficiente - in presenza di una siffatta norma di legge efficace e vincolante - a giustificare una eventuale modifica dei bandi n lo stralcio della clausola che a tale norma di legge si conforma. Sul presente parere stato sentito il Comitato Consultivo di cui allart. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si espresso in conformit. Applicabilit ai dirigenti RAI dei limiti alle retribuzioni disposti dal d.p.r. 195/2010 (Parere prot. 312424 del 2 agosto 2012, AL 27777/12, avv. GIUSEPPE ALBENZIO) Codesto Ministero chiede alla Scrivente parere sull'applicabilit ai dirigenti RAI dei limiti alle retribuzioni disposti dal d.p.r. 195/2010. 1. Ad avviso di questa Avvocatura, la limitazione al trattamento retributivo disposta in via generale dall'art. 3, comma 44, 1. 244/2007 non si applica: a) ai componenti del Consiglio di amministrazione della RAI; b) ai dipendenti con contratto di lavoro subordinato. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 a) il disposto generale appena citato ("3. 44. Il trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, universit, societ non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonch le loro controllate, ovvero sia titolare di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, non pu superare quello del primo presidente della Corte di cassazione. Il limite si applica anche ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ai presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di societ non quotate, ai dirigenti") non si applica ai casi previsti dall'art. 4 d.p.r. 195/2010 ("3. Le attivit soggette a tariffa professionale, le attivit di natura professionale non continuativa, i contratti dopera di natura non continuativa ed i compensi determinati ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, codice civile, degli amministratori delle societ non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate investiti di particolari cariche, non sono assoggettati al rispetto del limite di cui al presente regolamento). La retribuzione dei componenti degli organi di amministrazione delle societ non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell'art. 2359, prima comma, numero 1), del codice civile (quale la RAI) era stata oggetto di specifica disposizione riduttiva nella stessa 1. 244/2007, art. 3, comma 12, lett. a): "I compensi deliberati ai sensi dell'articolo 2389, prima comma, del codice civile sono ridotti, in sede di prima applicazione delle presenti disposizioni, del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componenete dell'organo di amministrazione". L'esclusione concerne i compensi dei componenti degli organi di amministrazione, da intendersi il Presidente e i componenti del Consiglio di Amministrazione RAI, e non sembra estensibile anche al Direttore Generale, attesa la necessit di stretta interpretazione della disposizione esentiva di natura eccezionale contenuta nel citato art. 4 d.p.r. 195/2010 e la natura e le funzioni del Direttore Generale, organo di gestione dell'azienda e di esecuzione delle deliberazioni consiliari, secondo quanto delineato dall'art. 29 dello Statuto RAI. b) La disposizione generale in esame non trova applicazione neppure per gli emoIumenti indicati nel comma 2 dell'art. 4 del d.p.r. 195/2010 il quale recita: "2. Ai fini della verifica del rispetto del limite non computato il corrispettivo globale percepito per il rapporto di lavoro o il trattamento pensionistico corrisposti al soggetto destinatario, rispettivamente, dall' amministrazione o dalla societ di appartenenza e dall'ente previdenziale. Ai fini della verifica del rispetto del limite non computata la parte del compenso che il soggetto destinatario obbligato a versare in fondi. Negli incarichi di durata pluriennale con compenso cumulativamente previsto, al fini della de- 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 terminazione del limite, il compenso computato in parti uguali per gli anni di riferimento, tenendo conto delle frazioni di anno". Nessuna rilevanza in materia assumono le disposizioni dellart. 23-ter d.l. 201/2011 e del suo decreto attuativo (DPCM 23 marzo 2012) aventi ad oggetto solo "emolumenti o retribuzioni nellambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo", quindi con esclusione delle societ non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, oggetto della disposizione generale del 2007. Pertanto, la detta esclusione, tutt'ora operante per i dipendenti delle societ controllate (e, quindi, della RAI) e non pi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, potrebbe essere applicata alla retribuzione del Direttore Generale qualora questa figura possa qualificarsi come rapporto di lavoro dipendente. In proposito, si osserva che lo Statuto RAI - art. 29 - contempla la figura con riferimento ai poteri attribuiti, senza indicazioni sulla natura del relativo rapporto di lavoro, cos che lo stesso potrebbe in astratto strutturarsi sub specie di lavoro subordinato o di lavoro autonomo. Occorre, pertanto, verificare in concreto il contenuto del contratto che lega il Direttore Generale all'azienda onde attribuirgli la necessaria qualificazione. Qualora il detto contratto possa qualificarsi di natura dirigenziale subordinata, la relativa retribuzione sfuggirebbe al "tetto" retributivo previsto dall'art. 3, comma 44, 1. 244/2007, in virt dell'art. 4, comma 2, d.p.r. 195 sopra citato; nel caso, invece, il contratto sia da qualificarsi come di natura professionale autonoma, la retribuzione dovrebbe essere assoggettata al "tetto" di cui sopra perch non potrebbe rientrare nelle ipotesi estensive previste dal comma 3 del citato art. 4, n con riferimento alle "attivit soggette a tariffe professionale" (non ricorrendone i presupposti) n quanto a "le attivit di natura professionale non continuativa, i contratti d'opera di natura non continuativa" (attesa la natura "continuativa" del rapporto). In conclusione, allo stato attuale della normativa vigente, i limiti alle retribuzioni disposti dall'art. 3, comma 44, 1. 244'2007 sembrano non potersi applicare ai componenti degli organi di amministrazione della RAI, secondo l'art. 4, comma 3, d.p.r. 195/2010, mentre non trovano applicazione per il Direttore Generale soltanto qualora sia stato assunto con contratto di lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 4, comma 2, stesso decreto. 2. De jure condendo, bisogna dar conto del testo del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, come modificato ed approvato dal Senato in sede di conversione (n. 3396 atto senato) ed attualmente all'esame della Camera dei Deputati per la definitiva approvazione. Il trattamento economico dei dipendenti delle societ a prevalente parte- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 cipazione pubblica e, quindi, della RAI preso in considerazione sia dall'art. 4, comma 11 ("...il trattarnento economico complessivo ... non pu superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2011") sia dall'art. 2, commi 20- quater e 20-quinquies (aggiunti in sede di conversione); questi ultimi impingono nell'oggetto del parere richiesto, nel senso che, estendendo anche ai compensi dei componenti dei consigli di amministrazione ed al trattamento economico annuo onnicomprensivo dei dipendenti delle dette societ il tetto del trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione, e prevedendo l'applicabilit della disposizione solo per il futuro ("a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione ... e ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto") confermano la correttezza della ricostruzione della normativa attualmente vigente sopra delineata e delle conclusioni formulate neI precedente punto 2.1. Sul presente parere state sentito ii Comitato Consultivo che si e espresso in conformit nella seduta del 2 agosto 2012. Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nellambito di rapporto di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali - D.P.C.M. 23 marzo 2012 (Parere prot. 368257 del 26 settembre 2012, AL 21789/12, avv. WALLY FERRANTE) Con la nota del 1 giugno 2012, codesto Istituto ha chiesto lavviso di questa Avvocatura in merito alla computabilit, per il personale dirigenziale fuori ruolo proveniente dallAvvocatura dello Stato, degli onorari ex art. 21 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 ai fini del calcolo della percentuale del 25% dellammontare complessivo del trattamento economico percepito di cui allart. 23 ter (*) del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Ci alla luce di quanto disposto dagli articoli 3 e 4 del D.P.C.M. (*) Art. 23 ter: (...) 2. Il personale di cui al comma 1 che chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorit amministrative indipendenti, non pu ricevere, a titolo di retribuzione o di indennit per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, pi del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito (...). [N.d.r.] 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 del 23 marzo 2012, adottato in attuazione del comma 1 del predetto art. 23 ter che, come noto, fissa un tetto retributivo massimo per chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nellambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali. Trattandosi di questioni di massima di particolare delicatezza, la Scrivente, (...) ha reputato opportuno acquisire preliminarmente lavviso della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica e del Ministero delleconomia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato in ordine al quesito prospettato. Con nota del 26 luglio 2012, n. 64018, il Ministero delleconomia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato ha rappresentato che gli importi degli onorari spettanti al personale dellAvvocatura dello Stato collocato fuori ruolo presso lISVAP non possono essere computati nel calcolo del trattamento economico su cui applicare la percentuale del 25 %, in quanto trattasi di voci di natura variabile, legate alleffettiva prestazione presso lamministrazione di origine e strettamente correlate allattivit che gli interessati, collocati fuori ruolo presso lISVAP, non svolgono pi presso lAvvocatura. Ci premesso, va sottolineato che lart. 4 del citato D.P.C.M. del 23 marzo 2012, al comma 2, dispone, a proposito del conferimento di incarichi dirigenziali a personale collocato fuori ruolo o in aspettativa, che se lassunzione dellincarico comporta la perdita di elementi accessori della retribuzione propri del servizio nellamministrazione di appartenenza, alla percentuale di cui al comma 1 si aggiunge un importo pari allammontare dei predetti elementi accessori, che vengono contestualmente considerati ai fini del calcolo della percentuale medesima. Come anche ritenuto dal Ministero delleconomia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, tale norma non sembra potersi applicare agli onorari percepiti dagli avvocati e procuratori dello Stato ai sensi dellart. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 trattandosi di emolumenti accessori e di natura variabile, il cui importo muta di anno in anno e da dipendente a dipendente in base allanzianit e alla sede di servizio nonch al numero degli avvocati e procuratori in ruolo. Nello stesso senso ha concluso la Corte dei Conti (Sezioni riunite di controllo del 4 ottobre 2011, n. 51/CONTR/11) in relazione alle risorse destinate a remunerare le prestazioni professionali dellavvocatura interna di comuni e province. Come gi rappresentato con nota del Segretario Generale del 24 febbraio 2012, n. 69263 P indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, dal tenore letterale dellart. 9, comma 2 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si evince, a contrario, che gli onorari degli avvocati e procuratori dello Stato, salvo espressa previsione di legge, non rientrano nel loro trattamento PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 economico complessivo e quindi non possono essere computati ai fini dellapplicazione del tetto retributivo di cui allart. 23 ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Del resto, ai sensi dellart. 17, comma 3 della legge 2 aprile 1979, n. 97, recante norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato, i compensi previsti dal citato art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 sono esclusi dal principio di onnicomprensivit del trattamento economico degli avvocati e procuratori dello Stato. Ne consegue, coerentemente, che detti compensi non possono essere inclusi nella base di calcolo della percentuale del 25% di cui al pi volte citato art. 23 ter. Sui profili di massima della presente questione, si espresso in conformit il Comitato Consultivo nella seduta del 25 settembre 2012. Concessioni radio/televisive: possibilit di affito del servizio da parte del concessionario (Parere prot. 372568 del 28 settembre 2012, AL 25265/12, avv. ALESSANDRO DE STEFANO) Con la nota in riferimento codesta Amministrazione chiede se, in via di astratto diritto, sia possibile riconoscere la validit di un contratto di affitto di azienda, con il quale il concessionario di un servizio di radiodiffusione sonora e televisiva analogica in ambito locale o per la radiodiffusione sonora in ambito nazionale ceda ad altro soggetto il diritto di esercitare la propria attivit. Nel caso in cui al predetto quesito si dovesse dare risposta affermativa, codesta Amministrazione chiede altres se l'obbligo di pagamento del canone di concessione sia da imputarsi al concessionario o all'affittuario, che di fatto gestisce l'emittente. Questa Avvocatura ritiene che occorre distinguere i profili di carattere privatistico, che attengono al rapporto negoziale che intercorre tra le parti, dai profili di diritto pubblicistico, che concernono il rapporto con l'Amministrazione concedente. Sotto il primo aspetto, si rileva che - secondo la giurisprudenza della Cassazione - il contratto rientra nell'autonomia privata delle parti e pu considerarsi valido ed efficace tra di esse, perch non contrasta con norme imperative ed non ha per oggetto un bene indisponibile. Si ravvisa infatti una specie di 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 sub-concessione, con cui il concessionario dispone delle facolt derivanti dal rapporto pubblicistico istituito con l'Amministrazione, che hanno la consistenza di veri e propri diritti soggettivi nei rapporti interprivati (in tal senso, cfr. Cass., 27 marzo 2009, n. 7532, che richiama i principi enunciati dalle SS.UU. con sentenze nn. 9233/02 e 4021/93). Tuttavia, come riconoscono le stesse sentenze citate innanzi, ci non implica che l'Amministrazione concedente sia obbligata a prender atto dell'accordo privato intercorso tra le parti ed a trasferire al terzo affittuario le posizioni soggettive che derivano dall'atto di concessione adottato a favore del locatore. Infatti, il rapporto pubblicistico rimane regolato dalla legge, che costituisce espressione di esigenze e di interessi di carattere generale. Da ci consegue che l'Amministrazione potr disporre il trasferimento del rapporto concessorio nei soli casi e con i soli limiti in cui ci sia consentito dalle norme vigenti, e potr invece ritenere che il contratto di affitto non sia opponibile nei suoi confronti, fino a pervenire alla dichiarazione di decadenza dal rapporto, qualora la situazione non sia conforme alle previsioni normative ed agli obblighi del concessionario. In questa prospettiva, si deve osservare che l'art. 27, comma 5, del d.lgs. 177 del 2005, che specificamente disciplina il trasferimento delle concessioni di cui trattasi, si limita a consentire la devoluzione del rapporto a seguito di trasferimenti di impianti, di rami di azienda o di intere emittenti a favore di altro concessionario, ovvero l'acquisizione di concessionarie costituite in forma di societ cooperative a r.l. da parte di societ di capitali, ovvero le cessioni di intere emittenti radiofoniche analogiche a societ di capitali di nuova costituzione da parte di soggetti titolari di pi concessioni. La specificit delle previsioni normative, che individuano con rigore i soggetti, l'oggetto e le condizioni delle operazioni di trasferimento, induce a ritenere che il legislatore abbia voluto ammettere la voltura delle concessioni delle frequenze nelle sole ipotesi espressamente contemplate, escludendo la possibilit di interpretazioni analogiche ed estensive. In particolare, non sembra che il riferimento alle "cessioni" di emittenti radiofoniche analogiche da parte dei titolari di pi concessioni a favore di societ di nuova costituzione possa essere ritenuto comprensivo dell'ipotesi dell'affitto di azienda. Il legislatore ha fatto riferimento ad una fattispecie che contempla la definitiva dismissione della concessione da parte del precedente titolare; e non sembra che a questa ipotesi possa essere equiparata la diversa fattispecie in cui si determini una scissione tra la titolarit e l'esercizio dell'emittente. Oltre tutto, una simile fattispecie comporterebbe una serie di problemi applicativi che il legislatore ha verosimilmente voluto evitare, come quello - posto in evidenza da codesta Amministrazione con il proprio secondo e condizionato quesito - della individuazione del soggetto obbligato al pagamento PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 del canone concessorio. Non si pu inoltre trascurare che la possibilit di trasferire il diritto di emittenza radiotelevisiva mediante contratto di affitto potrebbe originare fenomeni speculativi, che il legislatore non ha inteso avallare. Le considerazioni sopra svolte sembrano confermate dai principi di carattere generale che disciplinano il rilascio della licenza d'uso delle frequenze, che costituisce condizione essenziale per l'esercizio dell'attivit di trasmissione radio-televisiva. A tal riguardo, la normativa comunitaria di riferimento prevede che "gli Stati membri hanno la facolt di prevedere che le imprese trasferiscano i diritti di uso delle radiofrequenze ad altre imprese" [art. 9 della direttiva 2002/21/CE (cd. "direttiva quadro") ] e che "Nel concedere i diritti [per l'uso delle frequenze: n. d. r.] gli Stati membri precisano se sono trasferibili su iniziativa del detentore degli stessi e a quali condizioni, nel caso delle frequenze radio, conformemente all'art. 9 della direttiva 2002/21/CE" [(art. 5, par. 2, comma 2, della direttiva 2002/20/CE (cd. "direttiva autorizzazioni")]. Nel recepire questi principi, l'art. 27, comma 5 bis, del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, ha previsto che "al momento del rilascio dei diritti d'uso [delle frequenze radio: n. d. r.] il Ministero specifica se tali diritti possono essere trasferiti dal titolare e a quali condizioni". Un'ulteriore conferma della soluzione interpretativa qui sostenuta si desume dal comma 6 bis del citato d.lgs. n. 259 del 2003, introdotto dall'art. 23, comma 5, del d.lgs. 28 maggio 2012, n. 70, secondo cui "il Ministero e l'Autorit [...] assicurano che le frequenze radio siano utilizzate in modo efficiente ed efficace [...] ", ed adottano, se del caso, misure appropriate, quali ad esempio l'obbligo di vendita o di locazione dei diritti d'uso delle frequenze radio". Da questa norma si desume per un verso che i concessionari sono tenuti ad utilizzare in modo efficiente e efficace le frequenze ad essi assegnate (circostanza che non si verificherebbe, qualora potessero utilizzarle come beni di mero godimento e come oggetto di negozi di affitto), e per un altro verso che il legislatore ha considerato la locazione soltanto come una misura di regolamentazione, diretta ad evitare la distorsione della concorrenza, e non pure come una facolt del concessionario. Per queste ragioni, si ritiene che il trasferimento possa essere ammesso nelle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, nonch negli ulteriori casi eventualmente previsti dal provvedimento di concessione. Ne consegue che, al di fuori di tali ipotesi, la dismissione ed il trasferimento a terzi del diritto d'uso, sebbene valido sotto il profilo civilistico, non comporta il diritto del terzo di conseguire il riconoscimento della sua emittente, e pu configurare anzi una violazione degli obblighi gravanti sul concessionario. In tal senso sembra d'altronde orientata la prassi amministrativa. In relazione ad una controversia proposta da un'emittente televisiva (...) ed attualmente pendente dinanzi al Tar del Lazio (causa n.r.g. ...), codesto Ministero ha infatti rappresentato di non aver censito un impianto gestito dalla ricorrente 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 perche acquisito in base ad un contratto di comodato d'uso a titolo gratuito ed a tempo indeterminato, che non conferisce affatto la titolarit dell'esercizio. In senso analogo si espresso l'Ispettorato Territoriale del Lazio con nota del 6 luglio 2012 in relazione al caso dell'emittente (...), qui segnalato per le vie brevi da codesto Ministero. Si ritiene quindi che al contratto di affitto del ramo di azienda di un'emittente radiofonica non possano riconoscersi effetti nei confronti dell'Amministrazione, se ci non sia espressamente consentito dall'atto di concessione. Il presente parere viene reso previa audizione del Comitato Consultivo di questa Avvocatura, che si e espresso in conformit nella seduta del 25 settembre u.s. Spese di custodia dei veicoli sequestrati o sottoposti a fermo amministrativo per violazione del codice della strada (Parere prot. 375988 del 1 ottobre 2012, AL 10575/12, avv. DANIELA CANZONERI e dott. GIUSEPPE ZUCCARO) 1. Individuazione della fattispecie. Codesto Ministero ha proposto alla Scrivente il seguente quesito: Se le disposizioni di cui agli artt. 11 e 12 D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571 devono essere interpretate nel senso che lart. 11 porrebbe a carico dellAmministrazione le sole spese vive che lamministrazione o il terzo hanno sostenuto per assicurare la custodia dei veicoli sequestrati o sottoposti a fermo amministrativo per violazione del codice della strada, mentre lart. 12 porrebbe a carico dei proprietari degli anzidetti veicoli le ulteriori spese di conservazione. I dubbi interpretativi sono sorti a seguito di due distinti pareri resi dalla Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli (CS 4073/2011 del 6 luglio 2011 prot. 81476P, e CS 2774/2012, prot. 35257P del 13 marzo 2012). Il primo dei pareri dellAvvocatura Distrettuale di Napoli stato reso in funzione difensiva, avuto riguardo ad una proposta di transazione avanzata da una ditta iscritta nellelenco di cui allart. 8 del D.P.R. 571/82 a seguito di emissione di decreti ingiuntivi ottenuti nei confronti dellamministrazione sullassunto che su questa gravasse lobbligo di anticipazione delle spese di custodia di alcuni veicoli sottoposti alla misura cautelare del sequestro ammi- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 nistrativo ex art. 11 del D.P.R. 571/82 ed ancora giacenti presso la depositeria, mentre il secondo stato reso, unitamente ad altri successivi, in funzione esplicativa dellassunto difensivo con riguardo agli aspetti generali che la problematica dellaffidamento della custodia aveva presentato nel corso degli anni, in particolare dalla entrata in vigore delle modifiche al Codice della Strada introdotte con D.L. 30 settembre 2003 n. 269. Il presente parere non costituisce quindi un riesame - per ci solo inammissibile - dei pareri resi dallAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli in funzione difensiva, ed volto unicamente allesame dei quesiti generali sottesi alla richiesta di parere formulata da codesta Amministrazione. 2. Soluzioni prospettabili. Considerazioni preliminari. Tutto ci premesso e considerato, occorre precisare che i pareri dellAvvocatura Distrettuale di Napoli hanno il merito di aver messo in evidenza il cronico ritardo delle Amministrazioni interessate a dare attuazione alla disciplina del c.d. custode-acquirente di cui allart. 214-bis C.d.S., dettata dal legislatore proprio al fine di scardinare il sistema del ricorso alle depositerie ex art. 8 del D.P.R. 571/82 che ha dato luogo, per un ventennio, a gravi disfunzioni che si sono tradotte per le casse dellerario in un gravissimo danno (cfr. nota dellAvvocatura Distrettuale di Napoli del 23 maggio 2012, prot. 67089 P). Ne deriva che appare assolutamente necessario procedere in tempi brevi a dare attuazione alla disciplina del c.d. custode-acquirente, provvedendo alla tempestiva individuazione dei custodi-acquirenti di cui allart. 214-bis C.d.S. in tutti gli ambiti provinciali del territorio nazionale. Nelle more dello svolgimento delle gare per lindividuazione dei custodiacquirenti, codesto Ministero dovr procedere (come suggerito dallAvvocatura Distrettuale di Napoli), negli ambiti provinciali ancora scoperti e nellipotesi in cui sia gi stato individuato ed in concreto operi il c.d. custodeacquirente in ambiti provinciali limitrofi, allaffidamento della custodia dei veicoli sottoposti a sequestro o a fermo, in favore di tale operatore. Sempre nelle more dellattivazione del custode-acquirente, codesto Ministero dovr fare ricorso alla procedura di cui allart. 38 d.l. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003, al fine di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli da lungo tempo giacenti presso di esse. La norma in esame detta infatti le disposizioni per la semplificazione in materia di sequestro, fermo, confisca e alienazione dei veicoli. ComՏ noto, essa, al comma 2, prevede che: I veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate a seguito dell'applicazione di misure di sequestro e sanzioni accessorie previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero quelli non alienati per mancanza di acquirenti, purch immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse storico e 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 collezionistico, comunque custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 2003, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito. Vorr, pertanto, codesto Ministero adottare, di concerto con lAgenzia del Demanio, un nuovo decreto dirigenziale, al fine di riattivare la procedura straordinaria di alienazione e rottamazione, nel rispetto dei presupposti previsti dal comma 2 dellart. 38 cit., al fine di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli ivi esistenti. Codesto Ministero dovr altres procedere, per i veicoli che non rientrano nellambito di applicazione del citato comma 2 dellart. 38 d.l. 269/2003, secondo le modalit di cui al successivo comma 11 dellart. 38 cit, secondo il quale: In relazione ai veicoli, diversi da quelli oggetto della disciplina stabilita dal presente articolo, che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono giacenti presso le depositerie autorizzate a seguito dell'applicazione di misure di sequestro o di fermo previste dal decreto legislativo n. 285 del 1992, l'organo di polizia che ha proceduto al sequestro o al fermo notifica al proprietario l'avviso previsto dal comma 2-quater dell'articolo 213 del predetto decreto legislativo, introdotto dal comma 1, lettera a), n. 2) del presente articolo, con l'esplicito avvertimento che, in caso di rifiuto della custodia del veicolo a proprie spese, si proceder, altres, all'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria e della sanzione amministrativa accessoria previste, al riguardo, dal comma 2-ter del predetto articolo 213, introdotto dal comma 1, lettera a), n. 2) del presente articolo. Il termine di dieci giorni, dopo il cui inutile decorso si verifica il trasferimento della propriet del veicolo al custode, decorre dalla data della notificazione dell'avviso. Giova precisare che la procedura di cui allart. 38 co. 2 del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003, non riveste carattere eccezionale e temporaneo. Lart. 38, co. 3, cit., prevede, infatti, che nel caso di giacenza presso le depositerie di un certo tipo di veicoli e al verificarsi di determinate condizioni, allalienazione ed alle attivit ad essa funzionali e connesse (per quanto concerne i veicoli di cui al comma 2) procedano congiuntamente il Ministero dellInterno e lAgenzia del Demanio, secondo modalit stabilite con decreto dirigenziale di concerto tra le due amministrazioni. Ci conferma il difetto del carattere di temporaneit alla procedura in esame: la circostanza che il decreto dirigenziale del 2004 dettava una determinata tempistica appare coerente con tale atto, avente natura meramente amministrativa, volto a regolamentare unattivit da porre in essere con riferimento ad uno stato di fatto (alienazione di veicoli giacenti presso le depositerie al momento della adozione del decreto); nulla esclude, per, ladozione di un nuovo decreto dirigenziale che vada a regolamentare le medesime attivit, allorch il presupposto che consente la adozione della procedura di alienazione (giacenza da un certo tempo presso le depositerie di determinati veicoli sottoposti a misure di sequestro e sanzioni accessorie ex D.Lgs. n. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 285/92, ovvero non alienati, ovvero non confiscati e di cui al punto 2 del medesimo articolo) venga constatato in un momento successivo alla adozione del decreto dirigenziale del 2004. Il carattere temporaneo o eccezionale della procedura, inoltre, non trova conferma neppure nella rubrica dellarticolo 38 cit., che detta le Norme di semplificazione in materia di sequestro, fermo, confisca e alienazione di veicoli. Facendo corretta applicazione delle previsioni di cui ai commi 2 e 11 dellart. 38 d.l. 269/2003 s.m.i., si ritiene che, nelle more dellindividuazione del custode-acquirente, si possa perseguire lobiettivo voluto dal legislatore, di liberare le depositerie giudiziarie dai veicoli da lungo tempo ivi custoditi, e ci con conseguente ingente risparmio di spesa per lErario. 3. Ambito di applicazione della disciplina di cui al D.P.R. 571/1982, e del D.Lgs. 285/1992 (c.d. Codice della Strada). Venendo ora allesame delle complesse problematiche sollevate dalla questione in esame, occorre, in primo luogo, rilevare che la corretta applicazione degli artt. 213 e 214 del C.d.S. dovrebbe ridurre drasticamente il numero dei veicoli da ricoverare presso le depositerie giudiziarie. Lapplicazione delle sanzioni collegate alla mancata assunzione dellobbligo di custodia da parte dei soggetti contemplati nelle anzidette norme dovrebbe, infatti, costituire un forte deterrente al verificarsi delle anomalie caratterizzanti il previgente sistema, nel quale di fatto il veicolo veniva abbandonato dal proprietario. A norma infatti dellart. 214 , per quel che qui interessa, salvo quanto previsto dal comma 2-quinquies, nelle ipotesi di cui al comma 1, il proprietario ovvero, in caso di sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto obbligato in solido, nominato custode con l'obbligo di depositare il veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilit o di custodirlo, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, provvedendo al trasporto in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale () -2 bis. Entro i trenta giorni successivi alla data in cui, esauriti i ricorsi anche giurisdizionali proposti dall'interessato o decorsi inutilmente i termini per la loro proposizione, divenuto definitivo il provvedimento di confisca, il custode del veicolo trasferisce il mezzo, a proprie spese e in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale, presso il luogo individuato dal prefetto ai sensi delle disposizioni dell'articolo 214-bis. Decorso inutilmente il suddetto termine, il trasferimento del veicolo effettuato a cura dell'organo accertatore e a spese del custode, fatta salva l'eventuale denuncia di quest'ultimo all'autorit giudiziaria qualora si configurino a suo carico estremi di reato () -ter. All'autore della violazione o ad uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligati che rifiutino di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite dall'organo di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 di una somma da euro 1.725 a euro 6.903, nonch la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi. In questo caso l'organo di polizia indica nel verbale di sequestro i motivi che non hanno consentito l'affidamento in custodia del veicolo e ne dispone la rimozione ed il trasporto in un apposito luogo di custodia individuato ai sensi delle disposizioni dell'articolo 214-bis () -quater. Nelle ipotesi di cui al comma 2-ter, l'organo di polizia provvede con il verbale di sequestro a dare avviso scritto che, decorsi dieci giorni, la mancata assunzione della custodia del veicolo da parte del proprietario o, in sua vece, di altro dei soggetti indicati nell'articolo 196 o dell'autore della violazione, determiner l'immediato trasferimento in propriet al custode, anche ai soli fini della rottamazione nel caso di grave danneggiamento o deterioramento. A norma del successivo art. 214 c.d.s.: Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, nelle ipotesi in cui il presente codice prevede che all'accertamento della violazione consegua l'applicazione della sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo, il proprietario, nominato custode, o, in sua assenza, il conducente o altro soggetto obbligato in solido, fa cessare la circolazione e provvede alla collocazione del veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilit ovvero lo custodisce, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio (). Nei casi di cui al comma 1, il veicolo affidato in custodia all'avente diritto o, in caso di trasgressione commessa da minorenne, ai genitori o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata, previo pagamento delle spese di trasporto e custodia. All'autore della violazione o ad uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligato che rifiuti di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite dall'organo di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 731 a euro 2.928, nonch la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi. Da ci deriva che solo nelle residuali ipotesi di rifiuto alla assunzione della custodia, da parte del proprietario o del conducente del veicolo, al momento della contestazione della violazione ed applicazione della misura cautelare, si dovr ricorrere alla custodia presso il custode-acquirente o in altro luogo di custodia. Nelle suddette ipotesi residuali, nel caso in cui non sia stato individuato il custode-acquirente, occorre avere riguardo a tre aspetti: 1) individuazione del luogo di custodia; 2) regime delle spese; 3) disciplina della alienazione e rottamazione. Occorre premettere che il ricorso allaffidamento della custodia alle depositerie iscritte nellelenco di cui allart. 8 del D.P.R. 29 luglio 1982 n. 571, (disciplina che da ritenersi in vigore dettando norme di carattere generale applicabili in tutti i casi di sequestro di cose, di veicoli e natanti conseguente PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 alla commissione di un illecito amministrativo), determini il protrarsi di un sistema che nellintenzione del legislatore avrebbe dovuto cessare in tempi ragionevoli legati alla individuazione del custode acquirente. Si rammenta inoltre che a mente dellart. 7 del suddetto D.P.R. di regola Le cose sequestrate sono custodite nell'ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro, a cura del capo dello stesso, ovvero del diverso ufficio competente secondo le direttive impartite dalle singole amministrazioni e che solo per ravvisate e motivate ragioni di opportunit esse non possano essere custodite presso gli uffici di cui al primo comma, il capo degli stessi ovvero il dipendente preposto al servizio pu disporre che la loro custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un custode. Quanto al secondo punto si ritiene che lonere di anticipazione a carico dellamministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro ex art. 11 del D.P.R. 571/82 si riferisca unicamente alle ipotesi in cui la custodia stata curata dalla stessa amministrazione ai sensi del 1^ e 2^ comma del citato articolo 7. Alla suddetta interpretazione si giunge in forza del tenore letterale della norma anche in ragione delle condivisibili osservazioni formulate da codesto Ministero: 1) la liquidazione delle spese per la conservazione e custodia da anticipare va effettuata non sulla base delle c.d. tariffe prefettizie ma sulla base di nota delle spese sostenute corredata della relativa documentazione; 2) la nota delle spese sostenute per la conservazione e custodia, che l art. 11 co. 1 del citato D.P.R. pone esplicitamente a carico dellamministrazione (salva ripetizione nei confronti del proprietario/trasgressore) deve essere trasmessa senza indugio, quindi immediatamente dopo il sequestro; 3) per come ritenuto da codesto Ministero in sintesi , nel comma 1 dellart. 7 disciplinata lipotesi che il veicolo venga posto e mantenuto in custodia presso lufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro, mentre il 3^ comma regola lipotesi che il veicolo sia affidato ad un custode terzo che, per i veicoli a motore, ai sensi dellart. 8, deve essere individuato preventivamente dal Prefetto. Solo ai primi dei detti casi contemplati dal predetto art. 7 pu ricondursi quanto stabilito dallart. 11 co. 3, ossia che lamministrazione richiede al capo dellufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro la nota spese sostenute per la conservazione e la custodia delle cose, risultando di tutta evidenza che solo chi ne ha direttamente sostenuto i costi ha titolo per trasmettere la nota spese ai fini dellanticipazione, e, tra laltro deve farlo senza indugio. Tale disciplina non trova invece applicazione nel caso di affidamento in custodia a soggetto terzo (custode) e ci per espressa previsione normativa dello stesso art. 11 co. 3 (...). Diversamente, nelle ipotesi in cui la custodia sia affidata ad un terzo, ed in particolare ai soggetti abilitati iscritti nellelenco prefettizio di cui allart. 8 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 del citato D.P.R., lart. 12 prevede che: 1) la liquidazione delle somme dovute al custode (per cui non vi onere di anticipazione) ivi comprese quelle sostenute per gli ausiliari, effettuata dall'autorit di cui al primo comma dell'art. 18 della legge, tenuto conto delle tariffe vigenti e degli usi locali; 2) essa effettuata su richiesta del custode dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca ovvero sia stata disposta la restituzione delle cose sequestrate; 3) lamministrazione pu disporre, a richiesta del custode, acconti sulle somme dovute; 4) lamministrazione agisce in via di regresso nei confronti del proprietario/ trasgressore salvo il caso di annullamento in sede giurisdizionale della sanzione accessoria, o di archiviazione della sanzione amministrativa, oppure di prescrizione del diritto, nel qual caso le spese di custodia restano definitivamente a carico dellamministrazione. Quanto al terzo aspetto soccorre lesplicita previsione dellart. 38 comma 12 del D.L. 269/2003 a mente del quale: nelle ipotesi disciplinate dagli articoli 213, comma 2-quarter e 214 comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 285 del 1992, rispettivamente introdotto dal presente articolo, fino alla stipula delle convenzioni previste dallart. 214-bis del medesimo decreto, lalienazione o la rottamazione dei veicoli continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. In ultimo occorre rilevare che la natura giuridica del custode di cui agli artt. 8 e 12 D.P.R. 571/82 sembra partecipare di alcuni aspetti della figura di titolare di un ufficio pubblico o incaricato di pubblico servizio che custodisce in luogo dellamministrazione. Tale valutazione potrebbe indurre a ritenere non applicabile alla fattispecie in esame la normativa comunitaria in materia di appalti, anche se i pi recenti orientamenti della Corte di Giustizia hanno ribadito lapplicabilit, per quanto di ragione, dei principi generali dei trattati anche agli atti di concessione. Sulla questione di massima stato sentito il Comitato Consultivo dell8 giugno 2012, che si espresso in conformit. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 Criterio dellaccessoriet/essenzialit della prestazione nella disciplina dei contratti misti (Parere prot. 380591 del 3 ottobre 2012, AL 11154/2012, avv. MARCO STIGLIANO MESSUTI) Con la nota che si riscontra si chiede il parere della Scrivente in ordine allo schema di transazione ex art. 239, D.Lgs. n. 163/2006, tra (...). Al riguardo si osserva quanto segue. Il quesito in epigrafe impone l'analisi di due distinte questioni: 1) se, da un punto di vista formale, l'impresa appaltatrice possa essere decaduta dalle richieste formulate a codesta amministrazione e se, dunque, nel caso di specie, si versi nell'ipotesi di un appalto di forniture ovvero di un appalto di lavori, con contestuale applicazione del relativo regime giuridico ed in particolare, per l'appalto di lavori, della disciplina delle riserve (e parallele decadenze) sul registro di contabilit (articoli 165 e 174 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, applicabile ratione temporis); 2) se, nel merito, le pretese avanzate dallimpresa affidataria dellappalto siano giustificate e meritevoli di accoglimento in sede di transazione; se parimenti gli importi, riconosciuti da codesta amministrazione con lo schema di transazione, siano comunque giustificati in relazione ai programmi negoziali stipulati. 1. Con riferimento alla questione sub 1), va preliminarmente segnalato che il contratto ad oggetto del presente parere riguardava originariamente la fornitura (a forfait e chiavi in mano) con posa in opera ed installazione, con relativa verifica funzionale, di "alcune e determinate" parti meccaniche ed attrezzature necessarie allallestimento di (...). Per converso, con la stipula dei diversi contratti ed atti aggiuntivi, il contratto in questione ha progressivamente riguardato la fornitura di altra strumentazione meccanica ed, in definitiva, la realizzazione di un (...), comprensiva anche della costruzione di una foresteria e delle strutture di servizio. La prestazione originaria del contratto - una semplice fornitura - stata dunque novata del tempo, posto che, all'esito della stipula dei vari contratti ed atti aggiuntivi, la prestazione richiesta all'impresa ha per contenuto la vera e propria costruzione del (...). Tanto premesso, pregiudiziale stabilire se l'impresa appaltatrice possa o meno essere decaduta - sotto un profilo formale - dalle proprie richieste nei confronti della stazione appaltante, il tutto in base alla peculiare disciplina delle riserve sul registro di contabilit ex articoli 165 e 174 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; ed a tal fine occorre in prima battuta verificare quale sia il criterio discretivo tra i contratti pubblici di lavori (cui si applica il regime delle riserve) e quelli di forniture (cui non si applica il regime delle riserve), 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 per poi concentrarsi sulla specifica disciplina applicabile ai contratti cd. misti, e cio quei contratti che dovessero eventualmente presentare - come accade nel caso di specie - componenti di lavori e componenti di forniture. Ci detto, il criterio distintivo tra gli appalti di lavori e quelli di forniture dettato dall'art. 3, commi 7, 8 e 9, del D.Lgs. n. 163/2006. Le previsioni legislative in questione, anche se chiare in apparenza, non sono tuttavia idonee a distinguere una fornitura od un lavoro senza l'ausilio di un'attivit di interpretazione. D'altra parte, due diversi approcci giurisprudenziali (non incompatibili tra loro) si contendono l'individuazione dell'esatta portata precettiva dell'art. 3, commi 7, 8 e 9, del Codice dei Contratti Pubblici. Un primo orientamento, ricavato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, si fonda sul criterio dell'essenza del bene ad oggetto della prestazione. Ne deriva che, indipendentemente dalla definizione dell'appalto contenuta nel bando di gara, si definisce contratto di fornitura quel negozio a mezzo del quale l'amministrazione si approvvigiona di prodotti commercializzabili e, pertanto, omologati, introducibili in commercio e finiti, vale a dire non necessitanti di una fase di progettazione (o solo da installare; cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2011, n. 6376; Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6544). I contratti che prevedono la realizzazione di prototipi (come quello in esame) sarebbero, per esclusione, appalti di lavori. Un secondo orientamento giurisprudenziale, invece, trova fondamento nella giurisprudenza comunitaria, in diverse pronunce del Consiglio di Stato e dei TAR, nonch nella Relazione accompagnatoria a cura della Commissione di Redazione del D.Lgs. n. 163/2006. Questo indirizzo giurisprudenziale vede nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 3 D.Lgs. n. 163/2006, un "recepimento della nozione comunitaria di appalto" (Relazione accompagnatoria cit., sub art. 3 del D.Lgs. n. 163/2006), vale a dire la trasposizione pura e semplice dell'art. 1, par. 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/18/CE. Pertanto, secondo la predetta tesi, la definizione di appalto di lavori, servizi e forniture deve essere rintracciata nell'ambito del diritto comunitario ed in seguito adattata alle esigenze del diritto nazionale (cfr. BIANCA, CARINGELLA, PROTTO, Codice e Regolamento Unico dei Contratti Pubblici commentato articolo per articolo, Dike Giuridica, Trento, 2011, p. 24; GAROFOLI, FERRERI, Codice degli Appalti Pubblici. Annotato con dottrina giurisprudenza e formule, Nel Diritto Editore, 2012, pagine 71 e ss.). Quest'ultimo approccio da preferirsi. Infatti, sugli organi amministrativi e giudiziari degli Stati Membri incombe l'obbligo di formulare un'interpretazione comunitariamente orientata della normativa nazionale attuativa delle direttive appalti, anche con riferimento alla definizione di appalto di lavori, servizi, forniture (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, Sez. I, 18 gennaio 2007, causa C-220/05). Per questo motivo occorre verificare come la giurisprudenza comunitaria abbia interpre- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 tato l'art. 1, par. 2, lett. b) e c), della direttiva 2004/18/CE, per poi trasporre tale indagine sul piano del diritto interno. Sul punto, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, gi Corte di Giustizia delle Comunit Europee, ha precisato: a) che, al di l delle indicazioni nominalistiche contenute nel bando di gara, il contenuto della prestazione ad oggetto del contratto di appalto idonea a distinguere un appalto di lavori da uno di forniture (Consiglio di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2006, n. 348): di conseguenza, gli appalti di lavori si configurano essenzialmente come prestazioni di servizi ed obbligazioni di facere verso corrispettivo, preordinate alla trasformazione della realt fisica o comunque di materiali preesistenti (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, 25 marzo 2010, causa C-451/08; 26 maggio 2011, causa C-306/08; Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 537; Sez. V, 31 gennaio 2006, n. 348); viceversa, gli appalti di forniture hanno ad oggetto prestazioni di dare o di consegnare, in quanto essi costituiscono contratti di locazione, compravendita, leasing, cessione di beni, anche prodotti in relazione alle istruzioni del consumatore o dell'amministrazione (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, Sez. IV, 11 giugno 2009, causa C-300/07; 25 febbraio 2010, causa C 381/08), senza che la fornitura debba necessariamente coincidere con un tipo negoziale specificato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2005, n. 3171; Sez. III, 23 novembre 2011, n. 6181) ed indipendentemente dall'esistenza di un servizio accessorio, quale pu essere la manutenzione ordinaria di distributori automatici di bevande (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 10 maggio 2012, causa C-368/10); b) che l'esistenza di una fase di progettazione pu essere indice sintomatico dell'esistenza di un appalto di lavori, anzich di un appalto di forniture (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, Sez. VI, 12 luglio 2001, causa C-399/98); c) che indice sintomatico dell'esistenza di un appalto di lavori risulta essere la devoluzione dell'opera da realizzare, secondo il criterio della funzione economica e tecnico-strumentale, al servizio della collettivit, anche mediante la realizzazione di strutture e centri polifunzionali ricreativi, non previsti dall'all. I della direttiva 2004/18/CE, ma pur sempre idonei ad incidere sull'assetto del territorio e a perseguire interessi di carattere pubblico e generale (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, in cause C-220/05 e C-399/98, citt.); d) che indice dell'esistenza di un appalto di lavori anche l'assimilabilit, per analogia, dell'opera o del manufatto ad oggetto della prestazione dell'appaltatore ad una delle opere tipizzate nell'all. I della direttiva 2004/18/CE: L'allegato I svolge un'importante funzione. Questo strumento, infatti, costituisce un parametro di fondamentale rilievo, grazie al quale possibile verificare che una determinata prestazione od una determinata opera rientrano nel concetto di lavoro di cui all'articolo 1, comma 2, b) della direttiva 2004/18 (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, 23 aprile 2009, causa C-292/07). Da quanto esposto emerge che la fornitura della strumentazione mecca- 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 nica, preordinata alla costruzione di (...), vale a dire la prestazione ad oggetto del rapporto negoziale originario, costituisce un appalto di forniture. Tale prestazione, in effetti, si sostanzia nella consegna di prodotti finiti a favore dell'amministrazione, la quale poi provveder al montaggio, direttamente od indirettamente, mediante affidamento di un appalto. Per converso, la costruzione e la progettazione del (...) - e cio le prestazioni ad oggetto del rapporto negoziale in corso, come novato dai contratti e dagli atti aggiuntivi () - rientrano nelle specifiche degli appalti di lavori, anche perch le prestazioni di facere sono indici sintomatici di un appalto di lavori, cos come indice sintomatico di un appalto di lavori l'esistenza di una fase di progettazione, contemplata solo per i lavori ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006. Egualmente, in ossequio a quanto affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunit Europee nella causa C-292/07, cit., i (...). possono benissimo essere assimilati ai sistemi di (...), i quali costituiscono un appalto di lavori tipizzato dal legislatore comunitario e nazionale (cfr. all. I alla Direttiva 2004/18/CE, punto 45.31; all. I al D.Lgs. n. 163/2006, punto 45.31). D'altra parte, il TAR Valle d'Aosta, con la sentenza del 7 marzo 2005, n. 36, in continuit con la succitata giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia delle Comunit Europee, ha stabilito che le attivit di realizzazione di impianti tecnologici ed elettrici, e finanche quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria, rappresentano l'oggetto di un appalto pubblico di lavori. Inoltre, sebbene vi sia certamente una componente di forniture nel contratto di appalto sottoposto all'attenzione della Scrivente (progressivamente l'impresa ha avuto l'incarico di fornire diverse componenti della strumentazione meccanica preordinata alla costruzione del (...), proprio in virt degli atti e dei contratti aggiuntivi che lo stesso appalto ha assunto, come prestazione qualificante, la realizzazione di un (...) chiavi in mano. Di conseguenza, laddove anche il contratto di appalto stipulato da codesta amministrazione fosse qualificato come appalto misto di forniture e di lavori, allappalto de quo dovrebbe ritenersi applicabile in tutto e per tutto la disciplina dei contratti pubblici di lavori, ai sensi dellart. 14 del D.Lgs. n. 163/2006 e giusta l'operativit del principio sostanzialistico di essenzialit della prestazione di realizzazione dell'opera, contrapposta all'accessoriet della fornitura di strumentazione meccanica. Daltro canto, ex art. 14, comma 2, lett. a), del Codice dei Contratti Pubblici, un contratto pubblico avente per oggetto la fornitura di prodotti e, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione considerato un appalto pubblico di forniture. Per converso, ex art. 14, comma 3, del Codice dei Contratti Pubblici, loggetto principale del contratto costituito da lavori se limporto dei lavori assume rilievo superiore al cinquanta percento, salvo PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 che, secondo le caratteristiche specifiche dellappalto, i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto ai servizi o alle forniture, che costituiscano loggetto principale del contratto; ed a tal fine, secondo la rilevante giurisprudenza amministrativa, costituzionale e comunitaria il criterio dellaccessoriet/ essenzialit della prestazione ad ispirare comunque la disciplina dei contratti misti ed a discriminare, in definitiva, tra un appalto misto con prevalenza dei lavori (o di servizi) ed un appalto misto con prevalenza della componente forniture. In breve, appartiene alla specie degli appalti misti con prevalenza dei lavori quell'appalto in cui la realizzazione dei lavori possiede un'autonomia ed una prevalenza causale tale da giustificare il ricorso alla regolamentazione dei contratti di lavori. Viceversa, appartiene al novero degli appalti misti con prevalenza delle forniture quell'appalto in cui la componente dei lavori strumentale rispetto al programma negoziale, finalizzato alla consegna di prodotti e, dunque, all'esecuzione di prestazioni di dare (Corte di Giustizia delle Comunit Europee, Sez. II, 21 febbraio 2008, causa C-412/04; Sez. VI, causa C- 399/98, cit.; Corte Costituzionale, 12 febbraio 2010, n. 45; Consiglio di Stato, Sez. V, 30 maggio 2007, n. 2765; TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 11 febbraio 2011, n. 450). Dunque, trattandosi nel caso di specie di un appalto ibrido di lavori e di forniture, in cui i lavori rappresentano la prestazione essenziale del contratto, ai sensi dellart. 14 del Codice dei Contratti Pubblici, risulta applicabile la disciplina degli appalti di lavori. (omissis) 2. (omissis) *** Si coglie loccasione per sottolineare lopportunit che, laddove codesta amministrazione dovesse avere la necessit - in futuro - di trasformare una fornitura nella realizzazione di un lavoro, la stipula dei contratti e degli atti aggiuntivi, la quale nova il piano negoziale originario, venga preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara, e non dal ricorso alla procedura negoziata ex art. 57 del Codice dei Contratti Pubblici. Pi precisamente, con riferimento al caso di specie, questo GU ha evidenziato che, a mezzo della stipula dei contratti e degli atti aggiuntivi, il piano negoziale si progressivamente trasformato da un appalto di forniture, avente ad oggetto la dazione di strumentazione meccanica preordinata alla costruzione di (...), ad un appalto di lavori, finalizzato alla costruzione di un vero e proprio (...). Ci nondimeno, il rispetto delle condizioni che, negli appalti di forniture, giustificano laffidamento con procedura negoziata (art. 57, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 163/2006), non necessariamente coincide con il rispetto delle condi- 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 zioni che, negli appalti di lavori, consente il ricorso alla stessa procedura (art. 57, commi 1 e 5, D. Lgs. n. 163/2006). Senza dimenticare come, sotto il profilo qualitativo, non possibile affidare senza gara una prestazione - sub specie di appalto di lavori - del tutto diversa da quella originaria, relativa ad una fornitura, e ci anche in relazione al possesso degli appropriati requisiti di capacit tecnica richiesti per l'esecuzione di opere del genio civile (...). Pertanto, nel caso in cui codesta amministrazione, per motivi anche finanziari, dovesse in futuro avere la necessit di appaltare progressivamente la realizzazione di un impianto assimilabile ad un lavoro, si ribadisce lopportunit di non ricorrere sic et simpliciter alla procedura negoziata, ma di valutare se, in relazione allintera opera da costruire, non sia preferibile - e forse anche obbligatorio - lutilizzo delle normali procedure ad evidenza pubblica previa pubblicazione del bando di gara. In particolare, si rammenta che, per la realizzazione di opere ad alto tasso tecnologico ed, in specie, per le sole fasi di progettazione ed ideazione dellopera, trovano applicazione gli articoli 91, comma 5, nonch 99 e ss. e 108 del Codice dei Contratti Pubblici. Per il subappalto, cfr. articoli 37, comma 11, e 118 del D.Lgs. n. 163/2006. Sul presente parere si espresso in conformit il Comitato Consultivo nella seduta del 25 settembre 2012. Nei termini suesposti il parere di questa Avvocatura. Si resta a disposizione per ogni ulteriore ed eventuale chiarimento. Attivit del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco in favore di Prefetto/Commissario Delegato di Protezione civile (Parere del 26 ottobre 2012 prot. 421152, AL 20354/12, avv. GIANNA MARIA DE SOCIO) 1. Oggetto del parere. La questione oggetto del presente parere concerne la possibilit per il Prefetto Commissario Delegato per lo stato di emergenza determinatosi a seguito dei lavori di ammodernamento del tratto autostradale (...), di stipulare a titolo oneroso convenzioni con la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco per listituzione di un presidio dei VVF sul predetto tratto autostradale. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 2. Profili di fatto. Dalla documentazione trasmessa risulta che: - nellambito del Piano di Coordinamento Generale dellEmergenza ai sensi dellOPCM 3628/20007 (stilato nel luglio 2007 ed aggiornato nel luglio 2011) stata prevista, tra laltro, listituzione di presidi multi operativi, uno dei quali sito in localit (...), presidiato nellarco delle 24 ore con una squadra dei Vigili del Fuoco, con apposito automezzo attrezzato per il soccorso meccanico ; - sulla base del predetto Piano, in data 12 luglio 2011 stata stipulata tra la Prefettura (...) e la Direzione Regionale dei VF (...) una convenzione ai sensi dellart. 17 L. 246/2000, in cui si premette che la presenza dei VVF in tali presidi non si pu configurare come attivit di soccorso tecnico urgente e che, di norma, i VVF impiegati in attivit di vigilanza operano fuori dai turni ordinari di servizio e prestano dunque lavoro straordinario. In base a tali premesse si stabilito nella suddetta Convenzione che il servizio da parte dei VVF venga prestato a titolo oneroso e commisurato appunto alle tariffe previste dal vigente CCNL. In particolare, dalla documentazione trasmessa risulta che il corrispettivo dovuto stato quantificato nella somma di euro 851.940,00 per straordinario del personale, 85.120 per automezzi e strutture logistiche, per un totale di euro 937.060,00; - il relativo decreto di approvazione (...) stato restituito non registrato dalla locale Sezione Regionale della Corte dei Conti che, nella propria deliberazione (...), ha ritenuto illegittima la Convenzione in parola in base alla considerazione, tra laltro, che in base alle norme vigenti le funzioni di protezione civile rientrano espressamente e de plano nellambito delle competenze del Corpo Nazionale dei vigili del Fuoco senza dunque che occorra lerogazione di un corrispettivo; - successivamente il Prefetto Commissario Delegato, con nota del 5 marzo 2012, ha chiesto a codesta Avvocatura Distrettuale il proprio parere in ordine alla documentazione amministrativa e contabile da esibire agli organi di controllo per giustificare la spesa relativa allimpiego del personale; - codesta Avvocatura con la nota in data 25 maggio 2012, richiamata la normativa di settore, rileva a) che sembra condivisibile laffermazione della Corte dei Conti secondo la quale le funzioni di protezione civile, allorquando si sia in presenza di interventi disposti dal dipartimento della protezione civile, siano funzioni che il Corpo dei Vigili del Fuoco deve assicurare senza che occorra a tal fine sottoscrizione di convenzione o erogazione di corrispettivo, b) che, contrariamente a quanto espressamente previsto nellallegato al Piano del 2007 ove precisato che il servizio sar svolto al di fuori degli orari ordinari, i servizi dovrebbero essere garantiti in via prioritaria con prestazioni lavorative rese in orario di servizio ordinario, sicch sulla base di tale assunto 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 codesta Avvocatura rileva che ove la dotazione organica dovesse risultare insufficiente ... lonere di spesa per le prestazioni di lavoro straordinario dovrebbe essere ricompreso nellambito degli stanziamenti del pertinente capitolo di spesa del bilancio di previsione del Ministero dellInterno. In caso di documentata insufficienza solo leccedenza potr eventualmente trovare copertura finanziaria con oneri a carico dellordinanza di protezione civile; c) ove invece dovesse ritenersi che il servizio chiesto dal Prefetto Commissario Delegato sia un servizio soggetto a convenzione ai sensi dellart. 27 D.lgs. 139/2006, gli introiti dovrebbero essere destinati ad incrementare il fondo unico di amministrazione, sicch non dovrebbe esistere alcuna correlazione tra gli introiti suddetti e gli eventuali oneri per la retribuzione del lavoro straordinario. - codesta Avvocatura vista la natura di alcune delle questioni trattate, ha ritenuto di sottoporre alla Scrivente il parere (non ancora trasmesso allAmministrazione), per le valutazioni di questo Ufficio in ordine allopportunit di esprimere parere di massima. Tanto premesso si osserva quanto segue. 3. Normativa di riferimento. La legge 24 febbraio 1992 n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile) allart. 11 prevede che: . 11. Strutture operative nazionali del Servizio. 1. Costituiscono strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione civile: a) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale della protezione civile; 2. In base ai criteri determinati dal Consiglio nazionale della protezione civile, le strutture operative nazionali svolgono, a richiesta del Dipartimento della protezione civile, le attivit previste dalla presente legge nonch compiti di supporto e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. Il D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 (Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della L. 29 luglio 2003, n. 229), allart. 1 prevede che: 1. Struttura e funzioni. 1. Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di seguito denominato: Corpo nazionale , una struttura dello Stato ad ordinamento civile, incardinata nel Ministero dell'interno - Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, di seguito denominato: Dipartimento, per mezzo della quale il Ministero dell'interno assicura, anche per la difesa civile, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 il territorio nazionale, nonch lo svolgimento delle altre attivit assegnate al Corpo nazionale dalle leggi e dai regolamenti, secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo. 2. Il Corpo nazionale componente fondamentale del servizio di protezione civile ai sensi dell'articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Il medesimo D.lgs. 139/2006, nel capo Capo IV (Soccorso pubblico), agli artt. 24 e 25, prevede quanto segue: 24. Interventi di soccorso pubblico. 1. Il Corpo nazionale, al fine di salvaguardare l'incolumit delle persone e l'integrit dei beni, assicura gli interventi tecnici caratterizzati dal requisito dell'immediatezza della prestazione, per i quali siano richieste professionalit tecniche anche ad alto contenuto specialistico ed idonee risorse strumentali, ed al medesimo fine effettua studi ed esami sperimentali e tecnici nello specifico settore. 2. Sono compresi tra gli interventi tecnici di soccorso pubblico del Corpo nazionale: a) l'opera tecnica di soccorso in occasione di incendi, di incontrollati rilasci di energia, di improvviso o minacciante crollo strutturale, di frane, di piene, di alluvioni o di altra pubblica calamit; b) l'opera tecnica di contrasto dei rischi derivanti dall'impiego dell'energia nucleare e dall'uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche. 3. Gli interventi tecnici di soccorso pubblico del Corpo nazionale, di cui al comma 2, si limitano ai compiti di carattere strettamente urgente e cessano al venir meno della effettiva necessit. 4. In caso di eventi di protezione civile, il Corpo nazionale opera quale componente fondamentale del Servizio nazionale della protezione civile ai sensi dell'articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e assicura, nell'ambito delle proprie competenze tecniche di cui all'articolo 1, la direzione degli interventi tecnici di primo soccorso nel rispetto dei livelli di coordinamento previsti dalla vigente legislazione. 5. Il Corpo nazionale, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, in materia di difesa civile: a) fronteggia, anche in relazione alla situazione internazionale, mediante presidi sul territorio, i rischi non convenzionali derivanti da eventuali atti criminosi compiuti in danno di persone o beni, con l'uso di armi nucleari, batteriologiche, chimiche e radiologiche; b) concorre alla preparazione di unit antincendi per le Forze armate; c) concorre alla predisposizione dei piani nazionali e territoriali di difesa civile; d) provvede all'approntamento dei servizi relativi all'addestramento e all'impiego delle unit preposte alla protezione della popolazione civile, ivi compresa l'attivit esercitativa, in caso di eventi bellici; e) partecipa, con propri rappresentanti, agli organi collegiali competenti in 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 materia di difesa civile. [] 25. Oneri per i servizi di soccorso pubblico. 1. I servizi di soccorso pubblico resi dal Corpo nazionale non comportano oneri finanziari per il soggetto o l'ente che ne beneficia. Qualora non sussista un imminente pericolo di danno alle persone o alle cose e ferme restando la priorit delle esigenze di soccorso pubblico, il soggetto o l'ente che richiede l'intervento tenuto a corrispondere un corrispettivo al Ministero dell'Interno. Alla determinazione e all'aggiornamento delle tariffe si provvede con il decreto di cui all'articolo 23, comma 2. Giova poi richiamare il recente D.P.R. 28 febbraio 2012 n. 64 (Regolamento di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 140 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217), il cui art. 53 (collocato nel CAPO II - I servizi di soccorso pubblico) prevede quanto segue: Art. 53 Esecuzione dei servizi di soccorso pubblico 1. I servizi di soccorso pubblico, di cui all'articolo 24 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, resi dal Corpo nazionale, come definiti dalle disposizioni vigenti, sono espletati dalle strutture del Corpo nazionale in favore della popolazione, secondo quanto indicato nel presente regolamento e nelle direttive del Dipartimento. 2. Il servizio di soccorso pubblico assume valenza prioritaria rispetto ad ogni altro servizio programmato o in corso di espletamento da parte del personale. 3. I servizi di soccorso pubblico, di cui al presente articolo, sono effettuati in modo gratuito e nessun compenso aggiuntivo dovuto da parte dei beneficiari del servizio. Sotto il profilo contabile gli introiti derivanti dalle convenzioni e dai servizi a pagamento sono disciplinati come segue. Lart. 17 della L .10 agosto 2000 n. 246 (Potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco), prevede quanto segue: 17. Convenzioni. 1. Gli introiti derivanti da convenzioni che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tramite la competente direzione generale, e il Dipartimento della pubblica sicurezza stipulano con regioni, enti locali e altri enti pubblici o privati rispettivamente nell'ambito dei compiti istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della Polizia di Stato vengono versati su appositi capitoli dell'entrata del bilancio dello Stato per la immediata riassegnazione alle pertinenti unit previsionali di base, rispettivamente, del centro di responsabilit Protezione civile e servizi antincendi e del centro di responsabilit Pubblica sicurezza dello stato di previsione del Ministero dell'interno. L'art. 27 D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 (Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) prevede quanto segue: 27. Introiti derivanti da servizi a pagamento. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 1. Gli introiti derivanti dai servizi a pagamento resi dal Corpo nazionale sono versati alla competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato ed affluiscono ad apposita unit previsionale di base dello stato di previsione dell'entrata, per essere riassegnati alla pertinente unit previsionale di base della spesa del Ministero dell'interno. Gli introiti derivanti dai servizi a pagamento e dall'attivit di addestramento e formazione svolta dal Corpo nazionale, ai sensi del comma 4 dell'articolo 17, sono destinati ad incrementare il fondo unico di amministrazione relativo al personale del Corpo. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 15 novembre 1973, n. 734, e dall'articolo 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. 4. Interpretazione sistematica delle norme in esame. 4.1. Alla luce della normativa sopra riportata la questione che si pone, al fine di dare il parere in esame, quella di chiarire se gli artt. 24 e 25 del D.lgs. 139/2006 (che circoscrivono la non onerosit della prestazione ai soli interventi tecnici caratterizzati dal requisito dell'immediatezza della prestazione volti al fine di salvaguardare l'incolumit delle persone e l'integrit dei beni) possano essere applicati o meno agli interventi esplicati dal Corpo VVF quale struttura operativa e componente fondamentale del Servizio Nazionale della Protezione civile. 4.2. Al proposito giova soffermarsi sulla particolare struttura organizzativa della protezione civile. ComՏ noto con la legge del 24 febbraio 1992, n. 225 l'Italia ha organizzato la protezione civile come "Servizio nazionale", coordinato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto, come prescritto dallart. 1 della predetta legge 225, dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici nazionali e territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale. Al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione delle attivit di protezione civile, provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri attraverso il Dipartimento della Protezione civile. In definitiva, mentre nella maggioranza dei Paesi europei la protezione civile un compito assegnato ad una sola istituzione o a poche strutture pubbliche, lItalia ha fatto la scelta di coinvolgere nella funzione varie amministrazioni, al centro e in periferia, in tal modo realizzando un modello di organizzazione ritenuto funzionale ad un contesto territoriale come quello italiano, che presenta una elevata gamma di possibili rischi di calamit. In tale ottica, lart. 11 della L. 1992 n. 225, richiamato dallart. 1 del D.lgs. 139/2006, prevede (definendole Strutture operative nazionali del Servizio) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco definito (dallart. 1 co. 2 del D.lgs. 139/2006) quale componente fondamentale della protezione civile. Il secondo comma del menzionato art. 11 L. 225/1992 precisa poi che In 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 base ai criteri determinati dal Consiglio nazionale della protezione civile, le strutture operative nazionali svolgono, a richiesta del Dipartimento della protezione civile, le attivit previste dalla presente legge nonch compiti di supporto e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. In definitiva alla luce di tali disposizioni sembra che il Corpo Nazionale dei VVF, non solo e non tanto contribuisce sotto il profilo funzionale allo svolgimento del servizio di protezione civile, ma costituisce componente organizzativa della Protezione Civile. In tale logica va letto il secondo comma del menzionato art. 11 D.lgs. 225/1992, secondo cui le strutture operative nazionali (tra cui i VVF) devono svolgere le attivit previste dalla presente legge nonch compiti di supporto e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. Tale disposizione prevede lobbligo (devono) per ciascuna struttura operativa nazionale (tra cui i VVF) di svolgere funzioni di supporto (oltre che di consulenza) per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. Il descritto sistema normativo avvalora a parere della Scrivente la conclusione secondo cui il rapporto che lega il Corpo dei VVF alle altre strutture operative nazionali e al vertice della protezione civile, si configura in termini di vero e proprio nesso organico e non solo funzionale. 5. Applicazione dei principi alla questione in esame. 5.1. Passando allesame della fattispecie in esame, risulta che: a) il rapporto tra Corpo Nazionale dei VVF, da un lato, e Protezione civile (governo o commissario delegato), dallaltro, viene impostato in termini interorganici (e non intersoggettivi) e b) lambito delle attribuzioni istituzionali del Corpo del VVF viene allargato in via generale anche a ricomprendere ogni compito di supporto per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. In tale contesto normativo appare ben difficile ipotizzare la necessit di una regolamentazione economica in termini onerosi del suddetto rapporto. In definitiva la normativa sulla protezione civile, configurabile come lex specialis, porta ad escludere che la questione in esame possa essere risolta applicando la norma, di carattere generale, degli artt. 24 e 25 del D.lgs. 139/2006 (che prevedono la onerosit degli interventi dei VVF laddove non ricorra il requisito dell'immediatezza della prestazione). 5.2. In effetti che dette norme non possano essere applicate al caso in esame discende dalla considerazione di principi pi generali legati alla natura stessa delle Amministrazioni coinvolte (Ministero dellInterno/VVF e Presidenza del Consiglio dei Ministri/ Dipartimento della Protezione Civile) en- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 trambe amministrazioni statali. In effetti, a parere della Scrivente, linesistenza di una autonoma soggettivit giuridica delle suddette amministrazioni, entrambe organi dello Stato, osta anche in via di principio alla monetizzazione dei relativi rapporti. Tale conclusione anche confermata da alcuni significativi dati normativi testuali, infatti: - le convenzioni previste dallart. 17 della L. 246/2000 sono quelle che il Corpo VVF stipula (solo) con regioni, enti locali e altri enti pubblici o privati; non sembra pertanto che la norma possa essere applicata anche per prestazioni che il Corpo eroga alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla quale va ricondotta lattivit svolta dai Commissari delegati ai sensi dellart. 5 L. 225/1992; - lo stesso art. 25 D.lgs. 139/2006 nel prevedere interventi a pagamento indica che obbligato a versare il corrispettivo il soggetto o l'ente che richiede lintervento, con ci riferendosi evidentemente a rapporti intersoggettivi e non al caso, come nella specie, in cui il rapporto si profili in termini di relazione interorganica tra branche delle amministrazioni dello Stato. 5.3. Appare pertanto corretta laffermazione, prospettata dalla Sezione di Controllo della Corte dei Conti ed avallata da codesta Avvocatura Distrettuale, secondo cui lorgano straordinario governativo di protezione civile, una volta ritenuta, la necessit di prestare il servizio in questione, ben poteva direttamente rivolgersi al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, quale struttura operativa primaria del servizio di protezione civile, senza dover regolare rapporti economici mediante convenzione, ci tanto pi in una fattispecie in cui il Governo ha ritenuto, come nel caso in esame, di deliberare lo stato di emergenza e di avvalersi di un commissario delegato, in quanto sia il Governo che il commissario eventualmente delegato, dispongono direttamente (e senza necessit di convenzioni onerose) delle strutture operative nazionali del Servizio di Protezione civile previste dallart. 11 L. 225/1992. Analogamente, per le medesime ragioni di specialit, si ritiene che la questione della onerosit non possa essere risolta in base alla normativa sulla prevenzione incendi boschivi ovvero sulla prevenzione incendi in luoghi in intrattenimento (DM 261/1996), trattandosi, come giustamente rileva codesta Avvocatura Distrettuale, di norme proprie di altri settore e comunque incompatibili con la L. 225/1992. 6. Conclusioni. Alla luce delle esposte argomentazioni, si assumono le seguenti conclusioni: - vista lesistenza di una relazione meramente interorganica tra lAmministrazione dellInterno/VVF e la Presidenza del Consiglio/Dipartimento della Protezione Civile, gli interventi esplicati dal Corpo VVF quale struttura operativa nazionale del Servizio Nazionale della Protezione civile, e componente fondamentale dello stesso, non sono suscettibili di una regolamentazione 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 economica in termini onerosi; - detti interventi non possono essere dunque disciplinati dagli artt. 24 e 25 del D.lgs. 139/2006 (che prevedono la onerosit degli interventi dei VVF laddove non ricorra il requisito dell'immediatezza della prestazione), trattandosi di norme incompatibili con lart. 11 L. 225/1992 (richiamato dallart. 1 D.lgs. 139/2006), configurabile quale lex specialis che da un lato configura un rapporto interorganico tra le varie strutture operative e tra le stesse e il vertice della protezione civile, daltro lato prevede lo svolgimento di compiti di supporto in capo a tutte le strutture operative, senza limitazione di competenze; - per la medesima ragione la questione in esame non pu essere risolta facendo applicazione delle norme relative alla prevenzione degli incendi boschivi ovvero alla prevenzione incendi in luoghi in intrattenimento, trattandosi di norme proprie di altri settori e comunque incompatibili con la L. 225/1992, configurabile quale lex specialis; - in relazione a quanto sopra appare ininfluente affrontare la questione della modalit di svolgimento del servizio da parte degli addetti alla Direzione Regionale dei VVF della (...), in termini di lavoro straordinario o meno, in quanto in ogni caso, lo svolgimento del presidio sulla tratta autostradale in esame appare rientrante nel vasto ambito dei compiti di supporto di cui allart. 11 co. 2 L. 225/1992; - alla luce delle esposte considerazioni non assume dunque rilievo il principio, evidenziato da codesta Avvocatura Distrettuale in via subordinata, secondo cui se il servizio in esame fosse soggetto a convenzione, gli introiti dovrebbero essere comunque destinati ad incrementare il fondo unico di amministrazione (sicch non dovrebbe esistere alcuna correlazione tra gli introiti suddetti e gli eventuali oneri per la retribuzione del lavoro straordinario). Si deve pertanto concludere che nel caso in esame le pur oggettive esigenze rappresentate dalla Direzione Regionale dei Vigili del fuoco per la (...) debbano trovare adeguata soluzione attraverso altri strumenti, compatibili con il suesposto quadro normativo. Il parere richiesto (da estendere opportunamente per conoscenza al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero dellInterno) potr essere pertanto reso nei termini sopra esposti. Sul presente parere stato sentito il Comitato Consultivo di cui allart. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si espresso in conformit nella seduta del 22 ottobre 2012. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 Sanzione pecuniaria irrogata dallAntitrust: debenza di interessi in caso di rateizzazione ex art. 26 L. 689/81 (Parere del 28 novembre 2012 prot. 471058, AL 48436/11, avv. AGNESE SOLDANI)(*) LAutorit in indirizzo ha chiesto parere alla Scrivente Avvocatura in ordine alla possibilit o meno di richiedere interessi sulle somme relative alle sanzioni pecuniarie dalla stessa comminate e rateizzate ai sensi dellart. 26 1. 689/1981 (L'autorit giudiziaria o amministrativa che ha applicato la sanzione pecuniaria pu disporre, su richiesta dell'interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta; ciascuna rata non pu essere inferiore a euro 15. In ogni momento il debito pu essere estinto mediante un unico pagamento). Nella richiesta di parere si rappresenta che sino ad oggi, argomentando dallassimilazione dellillecito amministrativo allillecito penale - sulla considerazione del necessario interesse pubblico tutelato da entrambi i rami dellordinamento - si seguita la prassi di non richiedere interessi in caso di rateazione, come espressamente disposto in relazione alle pene pecuniarie dallart. 236 D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia) (1). Secondo quanto riferisce codesta Autorit, diversa invece la prassi seguita per quanto concerne gli interessi di mora sul ritardato pagamento della sanzione. La fattispecie disciplinata dallart. 27 l. 689/81, secondo cui salvo quanto previsto nellart. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo trasmesso allesattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti. Alla luce del tenore della norma, vengono applicati da codesta Autorit gli interessi di mora per il periodo intercorrente tra il momento in cui il credito diviene esigibile e la scadenza del semestre di cui al citato art. 27, nella misura degli interessi legali, in conformit al parere del Consiglio di Stato, Sez. III n. 74/97, e con lavallo della giurisprudenza di merito. (*) Il dott. Tommaso Pistone, praticante forense presso lAvvocatura Generale dello Stato, stato di ausilio allavv. Soldani nella stesura del parere. (1) Art. 236 (L) D.P.R. 115/2002: Pene pecuniarie rateizzate 1. Per le pene pecuniarie rateizzate, rispettivamente ai sensi dellarticolo 133 ter del codice penale e dellarticolo 238, linvito al pagamento o il provvedimento del giudice nella fase della conversione contiene lindicazione dellimporto e la scadenza delle singole rate. 2. Il termine per il pagamento decorre dalla scadenza delle singole rate. 3. Non sono dovuti interessi per la rateizzazione. 4. In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed tenuto al pagamento, in ununica soluzione, della restante parte del suo debito. 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Tuttavia, muovendo dal convincimento che lipotesi del ritardo nelladempimento non sia assimilabile, quanto a disciplina, a quella della concessione del beneficio della rateizzazione, nella richiesta di parere sembra invece suggerirsi che la possibilit di richiedere gli interessi sulle somme rateizzate possa rinvenire altrove la propria fonte normativa. In particolare, si chiede se tale possibilit sia ammessa sia in virt del richiamo in via analogica agli artt. 19 e 21 del D.P.R. 602/1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) (2), anche per effetto della disciplina contenuta nel D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia) relativa alla rateizzazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, sia in virt di un principio generale, rinvenibile nel sistema, relativo allapplicazione degli interessi sul pagamento rateale delle sanzioni amministrative. Al fine di fornire risposta al quesito lordine logico delle questioni da affrontare e risolvere sembra essere il seguente: 1. natura giuridica (penale amministrativa) delle sanzioni irrogate dallAGCM; 2. applicabilit o meno della disciplina di cui allart. 27 l. 689/81 (maggiorazione comprensiva di interessi in caso di ritardo nel pagamento) anche allipotesi di rateizzazione del pagamento; 3. possibilit o meno di applicare in via diretta o di estendere in via analogica le disposizioni rinvenibili nella legislazione speciale (con particolare riguardo al T.U. delle spese di giustizia) allipotesi della rateizzazione delle sanzioni amministrative comminate dallAntitrust; 4. applicabilit o meno del principio generale di cui allart. 1282 c.c. al pagamento rateale della sanzione amministrativa ex art. 26 1. 689/81. 1. La natura giuridica delle sanzioni irrogate dallAGCM. Stabilire se le sanzioni pecuniarie irrogate dallAGCM abbiano natura penale o amministrativa costituisce una priorit nella definizione del quesito (2) Art. 19 D.P.R. 602/73: Dilazione del pagamento 1. Lagente della riscossione, su richiesta del contribuente, pu concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficolt dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili (la disposizione prosegue dettando una disciplina specifica per il caso in cui limporto iscritto a ruolo sia superiore a cinquantamila euro). Art. 21 D.P.R. 602/73: Interessi per dilazione di pagamento. Sulle somme il cui pagamento stato rateizzato o sospeso ai sensi dellarticolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo. Lammontare degli interessi dovuto determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione dellimposta ed riscosso unitamente allimposta alle scadenze stabilite. I privilegi generali e speciali che assistono le imposte sui redditi sono estesi a tutto il periodo per il quale la rateazione prolungata e riguardano anche gli interessi previsti dallart. 20 e dal presente articolo . PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 in oggetto. Infatti qualora se ne dovesse ravvisare la natura penale si perverrebbe alla esclusione della debenza di interessi in caso di pagamento rateale sulla base di due ordini di considerazioni. Da un lato, lapplicazione di principi di stretta matrice penalistica porterebbe ad interpretare le disposizioni della l. 689/81 in via restrittiva. Il principio di legalit troverebbe dunque la propria fonte direttamente nellart. 25 co. 2 Cost. e contribuirebbe a creare un sistema governato dal principio di stretta legalit, per il quale vale la massima secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Il silenzio dellart. 26 circa la debenza di interessi sarebbe quindi un silenzio significativo, sintomo di una volont negativa del legislatore. Daltro canto, affermata la natura penale delle sanzioni antitrust, si perverrebbe allesclusione della corresponsione di interessi anche argomentando in ordine allespressa disposizione di cui allart. 236 D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia), la quale stabilisce che per le pene pecuniarie non sono dovuti interessi per la rateizzazione (il principio era sancito anche nellart. 181 disp. att. c.p.p., ora abrogato dal D.P.R. 115/2002 e sostituito dal citato art. 236). Pertanto, pare opportuna una sia pur breve disamina della dibattuta questione circa la natura delle sanzioni amministrative pecuniarie in generale, per poi analizzare in particolare la natura delle sanzioni irrogate dallAGCM, anche attesa la recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dellUomo n. 43509/2011, relativa proprio alle sanzioni in antitrust. Le argomentazioni principali poste a fondamento della tesi della natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative pecuniarie (che fa riferimento ad un ramo dellordinamento definito diritto punitivo amministrativo o addirittura diritto penale amministrativo) fanno leva, in buona sostanza, sulla natura afflittiva e punitiva delle sanzioni amministrative pecuniarie, sullobbligatoriet e non discrezionalit dellinstaurazione del procedimento e dellapplicazione della sanzione, sulla non trasmissibilit agli eredi dellobbligo di pagare la somma di denaro e sulla previsione legislativa secondo cui limporto delle sanzioni deve essere determinato tenendo conto delle circostanze del fatto, della personalit dellautore dellillecito e delle sue condizioni economiche; criteri, questi ultimi, dettati proprio dalla l. 689/81. Il profilo sanzionatorio-afflittivo pertanto sarebbe prevalente rispetto alla considerazione della sanzione quale mero debito pecuniario. Tuttavia, lorientamento maggioritario sostiene la tesi avversa, secondo cui sebbene le sanzioni pecuniarie siano indubbiamente partecipi di una funzione essenzialmente afflittiva, e non potrebbe essere altrimenti, tale funzione non pu condurre automaticamente allaffermazione della natura penale delle stesse: secondo linsegnamento di illustre dottrina (Zanobini), la sanzione amministrativa intesa come una pena in senso tecnico, applicata da una pubblica amministrazione nellesercizio di una potest amministrativa, inquadrata 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 nella struttura della responsabilit da illecito amministrativo. Pur essendo parte della medesima categoria funzionale e poste a tutela di un determinato interesse pubblico, nonch omogenee sotto il profilo teleologico, le sanzioni penali ed amministrative si distinguono in base alla diversa valutazione dellillecito e delle sue conseguenze. Pertanto, il legislatore di volta in volta opera una scelta tra sanzione penale e sanzione amministrativa, ricorrendo alla prima quando si rende necessaria la protezione dellinteresse generale della societ civile e alla seconda quando invece occorre tutelare un interesse pi ristretto, devoluto alle cure dellamministrazione alla quale contestualmente conferito il potere sanzionatorio. Quando lirrogazione della pena rileva nel campo dei rapporti tra amministrazione e amministrato, e dunque anche tra organo di vigilanza e vigilato, la misura sanzionatoria ha natura amministrativa. Si ritiene che le considerazioni appena esposte valgano anche in riferimento alle sanzioni irrogate dallAGCM. N sembrerebbe di ostacolo ad una simile conclusione il tenore della sentenza della Corte Europea dei Diritti dellUomo, pronunciata nella causa Menarini c. Italia, del 27 settembre 2011, la quale ha affermato la natura penale della sanzione antitrust oggetto di quel giudizio, peraltro sulla base della considerazione della particolare entit (e dunque gravit) della stessa (3). Ci a conferma del fatto che la valutazione, secondo la Corte, va comunque effettuata caso per caso, con conseguente insussistenza di un principio generalizzato relativo alla natura penale delle sanzioni antitrust. Peraltro, la sentenza si riferisce esclusivamente alla materia della concorrenza (e non anche a quella delle pratiche commerciali scorrette) e, in ogni caso, ha affermato la natura penale della sanzione sub iudice rispetto alla Convenzione, vale a dire ai soli fini dellapplicabilit del principio del giusto processo, pur riconoscendo esplicitamente che nel diritto italiano le condotte anticoncorrenziali non sono sanzionate dal diritto penale (4). Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si ritiene che la questione interpretativa circa leventuale debenza di interessi in caso di pagamento ra- (3) Nel caso di specie si trattava infatti di una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro, circostanza questa che ha avuto un ruolo determinante nellaffermazione della natura penale della sanzione, come si evince da un significativo passaggio della motivazione: tenuto conto dellelevato importo della sanzione inflitta, la Corte ritiene che essa sia, per la sua gravit, di natura penale. (4) Nella causa Menarini c. Italia la ricorrente lamentava la violazione del suo diritto ad adire un giudice avente piena giurisdizione, terzo ed imparziale. La Corte dunque ha affermato la natura penale della sanzione antitrust ai soli fini dellapplicabilit del principio del giusto processo, che peraltro ha ritenuto comunque garantito dalla giustizia amministrativa, affermando che nel caso di specie, la societ ricorrente ha avuto la possibilit di impugnare la sanzione amministrativa in questione dinanzi al TAR di Roma e presentare appello dinanzi al Consiglio di Stato. Secondo la giurisprudenza della Corte, tali organi soddisfano i requisiti di indipendenza e di imparzialit del giudice di cui allarticolo 6 della Convenzione (PredilAnstalt SA. c. Italia (dec.), n. 31993/96, 8 giugno 1999). PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 teale della sanzione debba esser risolta tenendo presente la natura amministrativa delle sanzioni antitrust. 2. Linapplicabilit della disciplina di cui allart. 27 l. 689/81 (maggiorazione comprensiva di interessi in caso di ritardo nel pagamento) anche allipotesi di rateizzazione del pagamento. Si condivide l'avviso di codesta Autorit circa la non applicabilit dei principi affermati dalla giurisprudenza in tema di interessi previsti dall'art. 27 l. 689/81 (che prevede la maggiorazione comprensiva degli eventuali interessi in caso di ritardo nel pagamento di una sanzione pecuniaria) all'ipotesi contemplata nell'art. 26 (pagamento rateale della sanzione), in quanto trattasi di fattispecie non assimilabili. Si rammenta che lart. 27 dispone: Salvo quanto previsto nellart. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo trasmesso allesattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti. Condivisibilmente codesta Amministrazione, con lavallo del Consiglio di Stato (parere reso dalla Sez. III, n. 74/97) e della giurisprudenza di merito, esige il pagamento degli interessi anche per il primo semestre del ritardo, nel corso del quale non ancora applicabile la maggiorazione prevista dalla predetta norma. Ci in quanto, pur in assenza del necessario presupposto temporale per lapplicazione della maggiorazione (comprensiva degli eventuali interessi), il provvedimento sanzionatorio comunque gi dotato di esecutivit ed esecutoriet e quindi il credito, liquido ed esigibile, produce comunque interessi di mora. Come si accennava, tali considerazioni non possono tuttavia essere estese allipotesi del pagamento rateale, essendo gli interessi c.d. dilatori o di rateazione strutturalmente diversi dagli interessi moratori: i primi sono giustificati esclusivamente dallesigenza di compensare il creditore per aver rinunciato al pagamento per la durata della dilazione e, correlativamente, dalla disponibilit per il debitore di somme di denaro per la durata della dilazione stessa; gli interessi moratori, invece, hanno una funzione essenzialmente risarcitoria in quanto trovano la propria ratio nelle inadempienze della parte debitrice, aspetto questo del tutto assente nellipotesi della rateizzazione. Peraltro, il beneficio del pagamento rateale trova la propria fonte in un provvedimento autorizzatorio dell'Amministrazione, che ha l'effetto di rimodulare la disciplina del rapporto di riscossione. Ci impedisce di qualificare come ritardo la situazione in cui viene a trovarsi l'interessato nelle more della scadenza del termine stabilito per il pagamento delle rate, posto che tale contegno determinato proprio da un'autorizzazione espressa dell'Amministrazione titolare dal lato attivo del relativo rapporto giuridico. Viceversa, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 27 l. 689/81 si al cospetto di 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 un vero e proprio ritardo nel pagamento della sanzione, dovuto ad una mera inadempienza dell'interessato, che non ha rispettato il termine (rimasto immutato) e, trattandosi di ritardo non autorizzato, rende il credito produttivo di interessi di mora. La conclusione potrebbe essere diversa nellipotesi in cui la rateizzazione venisse concessa dopo la scadenza del termine per il pagamento tempestivo, ipotesi che non pu escludersi a priori, atteso che lart. 26, nel disciplinare la rateazione della sanzione, non dice che tale beneficio pu essere concesso solo prima della scadenza del predetto termine. E in effetti la possibilit di concedere la rateazione una volta scaduto il termine per il pagamento tempestivo non da escludersi anche in considerazione del fatto che la rateazione viene concessa, per espressa previsione normativa, in considerazione delle condizioni economiche disagiate del destinatario della sanzione e quindi di una condizione obiettiva in cui il trasgressore versa, che prescinde da ogni profilo di responsabilit. Certamente, per, il mero fatto giuridico della scadenza di quel termine, comporta che la somma da rateizzare non sar pi la (sola) sanzione originaria, bens la sanzione cos come rideterminata ai sensi del successivo art. 27, vale a dire maggiorata, maggiorazione nella quale restano assorbiti gli interessi dovuti per il ritardo stesso. 3. Linapplicabilit in via diretta e la non estensibilit in via analogica delle disposizioni rinvenibili nella legislazione speciale (con particolare riguardo al T.U. delle spese di giustizia) allipotesi della rateizzazione delle sanzioni amministrative comminate dallAntitrust. 3.1. Sulla inapplicabilit del T.U. spese di giustizia e delle norme sulla riscossione dei tributi ad esso ricollegate. Gli indici normativi ed il consolidato orientamento giurisprudenziale (Corte di Cassazione Sezioni Unite, 5 gennaio 1994, n. 52; T.A.R. Lazio Sez. I, 10 giugno 1998, n. 1902) confermano che la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dallAGCM regolata dalla legge di depenalizzazione n. 689 del 1981. Lart. 31 della legge n. 287 del 1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) stabilisce che per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689. Le sezioni I e II del Capo I riguardano rispettivamente i principi generali (artt. 1 - 12) e lapplicazione delle sanzioni pecuniarie (artt. 13 - 31). A sua volta lart. 26 disciplina il pagamento rateale della sanzione pecuniaria, stabilendo che lautorit (giudiziaria o) amministrativa che ha applicato la sanzione pu disporre, su richiesta dellinteressato che si trovi in condizioni economiche PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta. Sebbene la norma nulla disponga in ordine alla eventuale corresponsione di interessi, parte considerevole della dottrina sembra orientata nel senso di ritenere esigibili gli interessi in caso di pagamento rateale, per effetto dellentrata in vigore del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, D.P.R. 115/2002. In particolare stato affermato che lart. 240 D.P.R. 115/2002, rubricato dilazione e rateizzazione di pagamento ed inserito nel Titolo V dedicato alle disposizioni particolari per le sanzioni amministrative pecuniarie, avrebbe ormai affiancato e sostituito lart. 26 l. 689/81. Lart. 240 dispone infatti che per il pagamento rateale e per la dilazione del pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie si applica larticolo 19, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e successive modificazioni. A sua volta lart. 19 D.P.R. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) prevede che lagente della riscossione, su richiesta del contribuente, pu concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficolt dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili, e prosegue dettando una disciplina specifica relativa alla garanzia del credito qualora limporto iscritto a ruolo sia superiore a cinquantamila euro. Tale ultima disposizione deve peraltro essere letta in combinato disposto con l'art. 21 D.P.R. 602/73 secondo cui sulle somme il cui pagamento stato rateizzato o sospeso ai sensi dell'articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo. Lammontare degli interessi dovuto determinato nel provvedimento con il quale viene accordata la prolungata rateazione dellimposta ed riscosso unitamente allimposta alle scadenze stabilite. I privilegi generali e speciali che assistono le imposte sui redditi sono estesi a tutto il periodo per il quale la rateazione prolungata e riguardano anche gli interessi previsti dallart. 20 e dal presente articolo. La dottrina maggioritaria ritiene dunque esigibili gli interessi in caso di pagamento rateale della sanzione amministrativa comminata ai sensi della l. 689/1981 per effetto del combinato disposto degli artt. 240 D.P.R. 115/2002 e 19 e 21 D.P.R. 602/73. Ad una simile conclusione ostano per una serie di considerazioni. Si detto che lart. 240 D.P.R. 115/2002 inserito nel Titolo V dedicato alle disposizioni particolari per le sanzioni amministrative pecuniarie. La rubrica del titolo deve essere letta ed interpretata alla luce della definizione che di sanzione amministrativa pecuniaria fornisce il medesimo DPR all'art. 3 lett. v) - rubricato proprio definizioni - secondo cui sanzione amministrativa pecuniaria la sanzione pecuniaria, anche derivante da conversione della sanzione interdittiva, dovuta dalle persone giuridiche, dalle societ e dalle associazioni anche prive di personalit giuridica, ai sensi del 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Lart. 240 si riferisce pertanto alle sole sanzioni irrogate agli enti per illecito amministrativo dipendente da reato, vale a dire di quella particolare forma di responsabilit amministrativa degli enti introdotta dal D.lgs. 231/2001 (applicabile a enti forniti di personalit giuridica, societ e associazioni anche prive di personalit giuridica, con esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici, nonch degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) che pu essere affermata qualora una persona fisica, a diverso titolo inserita nell'organizzazione dell'ente, abbia commesso un fatto costituente reato - espressamente contemplato nel medesimo testo normativo - nellinteresse dellente medesimo o a suo vantaggio. Quindi le sanzioni amministrative pecuniarie cui si riferisce il Titolo V del DPR 115/2002 sono ben diverse dalle sanzioni amministrative irrogate ai sensi della l. 689/1981. Del resto, la limitazione del concetto di sanzioni amministrative pecuniarie ai soli illeciti amministrativi degli enti dipendenti da reato conforme allintero impianto normativo del DPR 115/2002, con il quale il legislatore ha inteso istituire per lappunto un Testo Unico riguardante le entrate dello Stato connesse allesercizio della funzione giurisdizionale e dunque al processo, sia esso penale, civile, amministrativo, contabile o tributario. In questo ambito dunque logico che rientrino anche le sanzioni amministrative dipendenti da reato, che ai sensi dellart. 36, comma 1 D.Lgs. 231/2001 possono essere irrogate solo da un giudice, ed anzi dal giudice penale. Dunque il - peraltro dibattuto - carattere amministrativo di tali sanzioni deriva certamente dalla natura giuridica delle stesse e non dalla qualifica dellautorit alla quale la legge ha attribuito il potere di irrogarle. Ne deriva che mentre per le sanzioni amministrative pecuniarie comminate ai sensi del D.Lgs. 231/2001 si applica il combinato disposto degli artt. 19 e 21 DPR 602/73 - in virt del rinvio recettizio contenuto nellart. 240 citato - con conseguente esigibilit degli interessi sulle somme eventualmente rateizzate, altrettanto non pu affermarsi con riferimento alle sanzioni antitrust, alle quali lart. 240 non pu essere direttamente applicabile. 3.2. Sulla non estensibilit in via analogica delle norme del T.U. spese di giustizia e della altre disposizioni speciali. Non sembra inoltre potersi affermare, come sembra prospettare codesta Autorit, che la disciplina del T.U. sulle spese di giustizia sia comunque estensibile, sia pure in via analogica, alle sanzioni ex l. 689/1981 per effetto del presunto combinato disposto degli artt. 231, 234 e 240. Anzitutto, non sembra sia rinvenibile un combinato disposto delle tre norme appena menzionate, atteso che gli artt. 231 e 234 D.P.R. 115/2002 sono inseriti nel Titolo III, Disposizioni particolari per spese processuali, spese PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 229 di mantenimento e sanzioni pecuniarie processuali e concernono, rispettivamente, la reiscrizione a ruolo dei crediti iscritti a ruolo e discaricati per inesigibilit e lattribuzione al concessionario della riscossione del potere di riscuotere le spese delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte a ruolo (5). Lart. 240 invece, come noto, prevede in virt del rinvio agli artt. 19 e 21 DPR 602/73, la rateizzabilit delle sanzioni amministrative derivanti da reato e comminate agli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Le tre norme si riferiscono dunque a fattispecie tra loro diverse. Per quanto concerne la prospettata applicazione analogica delle norme del T.U. in materia di spese di giustizia, la l. 689/81 esclude la possibilit di far ricorso al procedimento analogico. Invero, il sistema creato con la l. 689/81 affine a quello penale, almeno per quanto riguarda i principi generali sanciti nella Sezione I, Capo I, e ripropone dunque, anche per le sanzioni amministrative pecuniarie, il principio di stretta legalit, con il necessario corollario del divieto di analogia in malam partem (art. 1 commi 1 e 2 l. 689/81), come confermato dal costante orientamento della giurisprudenza secondo cui con lart. 1 della legge 689 del 1981 il legislatore - prevedendo che nessuno pu essere assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione (comma 1) e che le leggi che prevedono sanzioni amministrative punitive si applicano soltanto per i casi e i tempi in esse considerati (comma 2) - ha inteso sancire lapplicabilit alle sanzioni amministrative dei principi di legalit, di irretroattivit e di divieto di analogia (Cassazione civile Sez. I, 28 dicembre 2004, n. 24053; fra le altre: Cassazione civile Sez. VI, 28 dicembre 2011, n. 29411; Cassazione civile Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14828; Cassazione civile Sez. I, 1 agosto 2003, n. 11732). Le argomentazioni sino ad ora esposte in relazione all'inammissibilit dell'applicazione analogica dellart. 240 del T.U. in materia di spese di giustizia a maggior ragione valgono in riferimento agli artt. 19 e 21 D.P.R. 602/73 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) e 202 bis del Codice della Strada, i quali dettano discipline specifiche per ipotesi non assimilabili (5) Art. 231 D.P.R. 115/2002: Reiscrizione a ruolo. In applicazione dell'art. 20, comma 6, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, sono fissati i criteri eccezionali sulla base dei quali l'ufficio provvede alla reiscrizione degli articoli di ruolo discaricati ai sensi degli articoli 19 e 20, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112. Art. 234 D.P.R. 115/2002: Riscossione delle spese. Ai sensi dell'articolo 48, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, le spese delle procedure esecutive relative a tutte le entrate iscritte a ruolo sono riscosse dal concessionario nel processo in corso per la riscossione coattiva del credito principale. 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 alle sanzioni antitrust (6). Poich dunque la loro applicazione alle sanzioni antitrust potrebbe trovare fondamento solo in unoperazione di estensione analogica, anche in questo caso dovrebbe essere esclusa tale possibilit. 4. L'applicabilit del principio generale di cui all'art. 1282 c.c. al pagamento rateale della sanzione amministrativa ex art. 26 1. 689/81. Occorre infine stabilire se la debenza degli interessi sulle somme rateizzate possa trovare fondamento nellart. 1282 cod. civ. (i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente), inteso come principio generale applicabile a tutti i debiti pecuniari, ivi compresi quelli di cui si discute. Deve al riguardo evidenziarsi come la questione appaia dubbia, atteso che sussistono argomenti a sostegno tanto della tesi negativa quanto della tesi positiva. N sembra risolutiva la - peraltro esigua - giurisprudenza pronunciatasi al riguardo: nella sentenza 18 dicembre 2003 n. 8345 il Consiglio di Stato ha affermato che in mancanza di una specifica disciplina di settore, lart. 1282 c.c. senzaltro applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta l'obbligazione ex lege di pagare una certa somma di denaro. La pronuncia appena citata stata per resa in una controversia avente ad oggetto le sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori ex art. 3 L. 2 febbraio 1985 n. 47, e dunque il principio stato in realt affermato in tema di debenza degli interessi moratori, in relazione al quale la l. 47/1985 - che pure stabiliva delle maggiorazioni della sanzione in caso di ritardato pagamento - non conteneva una disciplina specifica. A ben vedere dunque, la norma applicata dal Consiglio di Stato non stata lart. 1282 del cod. civ., ma lart. 1224 del cod. civ. La possibile risposta negativa al quesito se, pur in difetto di espressa previsione da parte dellart. 26, siano dovuti interessi in caso di pagamento rateale in virt dellapplicabilit dellart. 1282 cod. civ. anche ai crediti pecuniari derivanti da sanzioni amministrative, potrebbe trovare fondamento anzitutto nella considerazione che essendo il sistema della l. 689/1981 (come gi argomentato nel par. 1 del presente parere), disegnato sulla falsariga di quello penale in virt della previsione del principio di stretta legalit, andrebbe mutuata dallordinamento penale la massima secondo la quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, con la conseguenza che il silenzio dellart. 26 circa la debenza di interessi in caso di rateizzazione sarebbe da intendersi come un silenzio signi- (6) Ai sensi dellart. 202 bis, comma 4, ultimo periodo Sulle somme il cui pagamento stato rateizzato si applicano gli interessi al tasso previsto dall'articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 231 ficativo, sintomo di una volont negativa del legislatore. Ci in quanto listituto della rateizzazione della sanzione di cui allart. 26 ha carattere eccezionale, perch derogatorio del principio secondo il quale gli atti amministrativi (ivi compresi quelli a contenuto sanzionatorio) dal momento della loro emissione sono dotati di immediata esecutivit ed esecutoriet, mentre la previsione della rateizzabilit costituisce una deroga a tale principio perch finisce col differire la possibilit di immediata ed integrale esecuzione coattiva del provvedimento, sicch, trattandosi di norma di stretta interpretazione, laver omesso di prevedere la corresponsione di interessi dovrebbe essere considerato indice di una volont normativa in tal senso piuttosto che di una lacuna. Potrebbe inoltre essere ritenuto che tale opzione interpretativa trovi conferma nel tenore del successivo art. 27 l. 689/81, il quale, giova ribadirlo, stabilisce che Salvo quanto previsto nellart. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo trasmesso allesattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti. Potrebbe in altri termini ritenersi alquanto anomalo che il legislatore si sia preoccupato di disciplinare la debenza degli interessi in caso di maggiorazione della sanzione (prevedendone lassorbimento in detta maggiorazione) e non lo abbia fatto per lipotesi di semplice rateizzazione disciplinata dallart. 26, pur esplicitamente richiamato nella clausola di salvezza contenuta nel predetto art. 27. Tali argomenti potrebbero tuttavia essere superati ove si muova dalla considerazione che poich lart. 1282 cod. civ. codifica un principio immanente nel sistema ed applicabile indistintamente a tutti i debiti pecuniari (che se certi, liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto), ivi compresi quelli derivanti da sanzioni amministrative pecuniarie, non vi era necessit di una espressa previsione dellart. 26 in punto di debenza di interessi, previsione che ove vi fosse stata avrebbe costituito una duplicazione della norma gi scritta nel citato art. 1282 cod. civ., sicch a ben vedere il silenzio della norma sul punto non sarebbe affatto un silenzio significativo. In questottica, la clausola di salvezza contenuta nel successivo art. 27, che disciplina gli interessi moratori, potrebbe essere interpretata nel senso che salva lipotesi in cui il ritardo nelladempimento dipenda da un provvedimento che concede la dilazione dello stesso, alle altre ipotesi di ritardo non autorizzato si applica la disciplina della maggiorazione della sanzione. A ben vedere, dunque, la vera essenza del problema consiste non tanto nello stabilire se il silenzio dellart. 26 sulla debenza degli interessi possa o meno essere colmato dal disposto dellart. 1282 cod. civ., ma nello stabilire se sussistano i requisiti di applicabilit dellart. 1282, val a dire se il credito 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 derivante dalla sanzione rateizzata sia certo, liquido ed esigibile. Il problema si pone in particolare con riferimento al requisito della esigibilit. Secondo l'insegnamento della Cassazione, la prestazione esigibile quando il creditore pu chiedere il pagamento o perch scaduto il termine a favore del debitore, o perch il pagamento pu essere richiesto in qualsiasi momento. Anche il Consiglio di Stato, nel parere n. 74/97 citato da codesta Autorit, conferma l'assunto precisando che il credito si qualifica esigibile quando sia scaduto e quindi il creditore possa immediatamente agire in executivis per ottenerne ladempimento. Si tratta dunque di stabilire se il provvedimento che ammetta linteressato alla rateizzazione - e dunque alla dilazione del pagamento - faccia o meno perdere al credito da sanzione amministrativa il suo carattere di credito originariamente esigibile. La soluzione al problema sembra dipendere, a ben vedere, dalla individuazione della ratio giustificatrice sottesa alla norma sulla rateizzazione, sicch la risposta potrebbe essere diversa ove si muova da una lettura che potremmo definire di impronta pubblicistica o, viceversa, da una lettura che potremmo definire pi prettamente civilistica. a) La lettura di impronta pubblicistica potrebbe far leva sulla considerazione che, poich ai sensi dellart. 26 lamministrazione concede il beneficio del pagamento rateale qualora listante si trovi in condizioni economiche disagiate, la concessione del beneficio costituisce modalit di esercizio del potere sanzionatorio che - pur fortemente vincolato quanto a presupposti dellirrogazione della sanzione e quantificazione della stessa - pu attraverso tale istituto discrezionalmente commisurare la pena alle condizioni personali del trasgressore, sulla falsariga di quanto gi avviene, in sede di prima determinazione della sanzione, in applicazione dellart. 11 l. 689/1981, a tenore del quale Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravit della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonch alla personalit dello stesso e alle sue condizioni economiche. In altri termini, la legge consente di tener conto, in sede di irrogazione della sanzione, delle condizione economiche del trasgressore, sia commisurando ad esse lentit della sanzione (art. 11), sia commisurando ad esse il termine entro il quale la sanzione deve essere pagata, e scaduto il quale pu essere riscossa (art. 26). In tal modo non solo vengono salvaguardate le esigenze dellinteressato, ma viene anche realizzato il principio di uguaglianza sostanziale, in considerazione della evidente maggiore afflittivit del provvedimento sanzionatorio PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 233 pecuniario nei confronti di chi versa in condizioni disagiate rispetto al soggetto abbiente. In caso di rateizzazione, la fonte legittimante il pagamento dilazionato potrebbe dunque essere qualificata come un provvedimento amministrativo autorizzatorio, con il quale lAutorit stabilisce delle nuove e diverse modalit di pagamento, che vanno a modificare la disciplina del rapporto di riscossione: per effetto di tali modifiche, il diritto di riscuotere la somma risulta frazionato e si adegua alle scansioni cronologiche stabilite nel provvedimento. Tale impostazione potrebbe condurre, di conseguenza, allaffermazione che per effetto del provvedimento di accoglimento dellistanza di rateizzazione, il credito derivante dalla sanzione, da credito allorigine immediatamente esigibile si trasforma in credito sottoposto ad una serie di termini (coincidenti con le scadenze delle singole rate), sicch poich gli importi delle rate diverrebbero esigibili solo alle (e non prima delle) relative scadenze, gli interessi su tale rateizzazione non potrebbero essere richiesti ai sensi dellart. 1282 cod. civ., perch difetterebbe il requisito della esigibilit della prestazione prima della scadenza delle singole rate. b) Pur nella consapevolezza della sostenibilit della tesi appena enunciata, sembrerebbe tuttavia preferibile, ad avviso della Scrivente, la soluzione opposta, che muovendo da unimpostazione di stampo pi prettamente civilistico, consente di pervenire allaffermazione che il credito da sanzione amministrativa ex l. 689/1981, pur in presenza di un provvedimento che ammetta linteressato alla rateizzazione, non perda, per ci solo, il requisito della esigibilit del quale ab origine dotato. Tale soluzione sembra infatti meglio rispondere allesigenza di un equo contemperamento tra linteresse del soggetto sanzionato che si trovi in condizioni economiche disagiate (soddisfatto dallaccoglimento della richiesta di rateizzazione) e linteresse dellamministrazione alla integrale riscossione della sanzione comminata. Invero, poich gli interessi c.d. dilatori o di rateazione sono giustificati dallesigenza di compensare il creditore per aver rinunciato al pagamento per la durata della dilazione e, correlativamente, dalla disponibilit per il debitore di somme di denaro per la durata della dilazione stessa, ove il credito rateizzato non producesse interessi, la concessione della rateizzazione si tradurrebbe in una implicita rinuncia a parte di esso: a quella parte, cio, di somme di denaro della quale lamministrazione non ha immediatamente goduto a causa della dilazione e per la durata della stessa. In altri termini, potrebbe affermarsi che la norma che attribuisce allamministrazione il potere di rateizzare la sanzione persegue lesclusivo intento di concedere pi tempo al sanzionato, senza per che ci si traduca anche in uno sconto della sanzione comminata. 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Del resto, deve considerarsi che altrove nellordinamento - nelle specifiche normative di settore che contengono una regolamentazione delle sanzioni amministrative - si rinvengono norme analoghe sulla rateizzabilit della sanzione, che disciplinano espressamente il regime degli interessi, non tanto al fine di stabilire la regola dellan della loro debenza, bens al fine di stabilire la regola del quantum (7). Quelle norme, in altre parole, contengono una previsione espressa in punto di interessi non perch in assenza di tale previsione gli interessi non sarebbero dovuti, ma perch in assenza di tale previsione - che fissa un tasso di interesse superiore a quello legale - gli interessi dovrebbero essere corrisposti nella misura del tasso legale. Da tale considerazione sembra potersi inferire che tali norme costituiscano la conferma della esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale, immanente nel sistema, secondo il quale lautorizzazione del creditore al pagamento rateale di un credito gi ab origine esigibile - qualunque sia la natura del credito e dunque anche se si tratti di credito da sanzione amministrativa pecuniaria - implica linsorgere di unobbligazione accessoria a quella principale, consistente nellobbligo di corrispondere i c.d. interessi di rateazione, nella misura del tasso legale, salvo che non sia diversamente stabilito. Sulla questione stato sentito il Comitato Consultivo che si espresso in conformit (7) Ci si riferisce ai gi menzionati artt. 19 e 21 D.P.R. 602/73 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nonch allart. 202 bis comma 4, ultimo periodo del Codice della Strada, a tenore del quale Sulle somme il cui pagamento stato rateizzato si applicano gli interessi al tasso previsto dall'articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT La Giornata della Trasparenza. Per un Freedom of Information Act (FOIA) anche in Italia (*) (Roma, 19 settembre 2012, sede della Fnsi) Intervento di GIUSEPPE FIENGO La difficile via italiana Il compito del mio intervento in questo convegno un po particolare: devo eliminare dal nostro ordinamento giuridico quella che, nella legislazione elettorale americana, si chiamava la clausola del nonno. Dopo la Guerra di secessione e labolizione della schiavit, i democratici razzisti del Sud approvarono leggi che rendevano pi difficili la registrazione nelle liste elettorali e la partecipazione alle elezioni, con il risultato che la maggioranza dei neri e di molti bianchi poveri se ne trov praticamente esclusa. Gli ex stati confederati approvarono nuove costituzioni o emendamenti che di fatto privarono nuovamente del diritto di voto la maggioranza delle persone povere e di colore, grazie ad una combinazione di tasse da pagare per votare, di test di alfabetizzazione e di comprensione di testi scritti, di requisiti di residenza e/o registrazione all'anagrafe. La clausola del nonno, in particolare, non consentiva il rilascio del certificato elettorale a chi non dimostrava che il nonno del richiedente sapesse leggere e scrivere Anche noi, in Italia, sul tema dellaccesso ai documenti pubblici, abbiamo (*) Obiettivo della Giornata promossa da Foia.it con il contributo del Sindacato dei giornalisti italiani una proposta operativa ed immedita in cui si chiede al Governo e al Parlamento di introdurre nella legislazione italiana il diritto alla trasparenza e allaccesso agli atti della pubblica amministrazione da parte di chiunque, indipendentemente dai motivi e dalle intenzioni per cui li richiede. Questo lo scopo principale di Foia.it che annovera costituzionalisti, esperti della pubblica amministrazione, tecnici ministeriali, rappresentanti delle istituzioni giornalistiche e di gruppi e associazioni. 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 unelusione amministrativa di principi che sono pacifici in tutta Europa, che sarebbero anche presenti nella nostra legislazione, ma che la prassi amministrativa e la gente comune ignora. La regola normale che gli atti pubblici sono pubblici - come dice la parola stessa - liberamente e facilmente fruibili da tutti. Quindi il mio compito di giurista semplice, proprio perch le leggi ci sono e si tratta solo di eliminare la clausola del nonno, che in Italia rappresentata da tutti quegli ostacoli strutturali e funzionali, che il nostro mondo giuridico-amministrativo frappone tra i cittadini e i documenti pubblici. Bisogna conoscerlo bene il nostro mondo (io sono nellamministrazione - ci sto da una vita) per capire dove mettere le mani, anche perch questo benedetto diritto allinformazione dei cittadini un qualcosa di molto delicato, proprio per come strutturato: quando cerco qualcosa, devo prima di tutto sapere che esiste, e quindi se cerco un documento, devo averne la conoscenza, devo sapere se, come e quando stato formato; se non so che esiste, voi capite bene, che non chiedo niente. Altro aspetto delicato, che potremmo chiamare funzionale, che questa informazione deve essere tempestiva, mi deve arrivare presto, perch, se mi arriva tardi, quando i giochi sono fatti, non ci faccio niente; diventa storia e cessa di essere partecipazione e democrazia. Quindi comprendete che mi trovo di fronte ad un qualcosa (il cosiddetto diritto allinformazione) che estremamente fragile da utilizzare. Ed per questo che ringrazio Palmieri e ne apprezzo la metodologia: Non buttiamo le cose che abbiamo, perch tutti gli interventi intanto partono da punti fermi reali. Il testo delle modifiche legislative proposte: 1. In attuazione della Convenzione sullaccesso ai documenti ufficiali, approvata il 18 giugno 2009 dal Consiglio dEuropa, la Repubblica attribuisce a chiunque il diritto di avere accesso ai documenti amministrativi, senza riguardo ai motivi o alle intenzioni per cui li richiede. 2. Sono conseguentemente modificate le seguenti disposizioni della legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche ed integrazioni: allart. 22 comma 1 lett. a) sono soppresse le parole degli interessati; allart. 22, comma 1 soppressa lintera lett. b); allart. 24 comma 1 sono soppresse le lettere b) e c); lart. 24 comma 3 soppresso; allart. 24 comma 6 soppressa la lettera b); allart. 24 comma 6 lett. d) sono soppresse le parole finanziario, industriale e commerciale; lart. 24 comma 7 soppresso; lart. 25 comma 2 soppresso; allart. 25 comma 1 soppresso linciso salve le disposizioni in materia di bollo nonch i diritti di ricerca e di visura. 3. Le misure di pubblicit e le condizioni di efficacia degli atti previste dal D.L. 22 agosto 2012 n. 83 si estendono a tutti i documenti amministrativi comunque protocollati in entrata ed in uscita da un ufficio pubblico. Per una informazione pi completa in www.articolo21.org/2012/09/il-foia-anche-in-italia-ecco-laproposta- operativa/ LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 237 Ed un grosso omaggio devo fare al ministro Passera, anche se ho una certa ritrosia a fare omaggi ai politici. Larticolo 18 del nuovo decreto sviluppo stabilisce infatti che gli atti che danno un vantaggio ai privati, ai dipendenti pubblici ed alle imprese, per essere efficaci, devono essere pubblicati su Internet: si tratta indubbiamente di una grande rivoluzione culturale. Gliene devo dare atto, perch sposare lefficacia giuridica degli atti e quindi il controllo della Ragioneria Generale dello Stato, di tutte le Ragionerie territoriali, sulla circostanza che latto di concessione di un vantaggio, per essere materialmente pagato, per essere condotto a buon fine, deve in qualche misura essere ostensibile sui siti dellamministrazione concedente, secondo me, un grande atto di trasparenza e di coraggio. Quindi incominciamo col dire che liniziativa FOIA qualcosa lha ottenuta; abbiamo fatto un passo serio. Tenete presente, poi, che tutta questa materia non poi tanto avulsa dal contesto economico, perch una trasparenza vera, effettiva, la possibilit per gli operatori di avere atti, carte e problemi immediatamente ostensibili, significa alcuni punti in pi (o in meno) dei rating che formulano le societ specializzate a valutare gli investimenti in Italia. La gente ragiona: devo andare ad investire in Italia, devo vedere le carte, capire perfettamente come stanno le cose, se ho bisogno di un intermediario, di un avvocato che mi fa il ricorso per laccesso e cose di questo genere, sono costi in pi da affrontare. Quindi - voglio dire - linvestimento in Italia migliora. Quindi stiamo parlando anche di economia, non soltanto di astratte libert Allora, stavo dicendo che volevo ringraziare Palmieri, perch mi ha ricondotto, giustamente, alla regola che non si butta quello che comunque si ha. Giusto, sacrosanto! Ed io non voglio buttar via la meravigliosa giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei TAR, che riuscita a creare un diritto di accesso, sia pure tramite gli avvocati. Con tutti i difetti che ho segnalato, per ha creato una giurisprudenza che esiste, che opera, che dice che cosa si pu vedere, che cosa non si pu vedere. Quindi - voglio dire - nessuno butta niente, ci mancherebbe altro! Per alcune correzioni bisogna farle. Perch? Perch ormai stiamo in Europa e non pi possibile fermarsi. E allora cՏ un testo proposto, che vi spiego e vi leggo. Sono tre commi che possono cambiare molto. I commi sono le frasi delle leggi. Scusate, qui non tutti siete parlamentari, n tutti siete giuristi, quindi devo spiegare che cosa sono i commi. La prima disposizione che si propone unaffermazione generale che dice In attuazione della convenzione sullaccesso dei documenti ufficiali, approvata nel 2009 dal Consiglio dEuropa, la Repubblica - e con questo voglio dire quindi lo Stato, i Comuni, le Province, e qualsiasi soggetto pubblico - attribuisce a chiunque il diritto di avere accesso ai documenti amministrativi, senza riguardo ai motivi e alle intenzioni per cui li richiede. Anche la sem- 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 plice curiosit deve essere in qualche modo garantita. Questa la regola europea questo il testo della dichiarazione del Consiglio dEuropa. Quindi questa, e non altra, deve diventare norma della Repubblica Italiana. Ma questa nuova norma deve necessariamente essere coordinata con quello che cՏ, ed in Italia cՏ la Legge n. 241 del 1990 che, nel regolare il procedimento amministrativo sancisce il diritto di accesso e di partecipazione dei privati. Occorre quindi, proprio per sfruttare il lungo lavorio della giurisprudenza su questa norma, introdurre lievi, ma significative, modificazioni a tale legge. E incomincia lelenco degli emendamenti - i parlamentari presenti sanno bene come si fa -: Art. 22, comma 1, lett. a) b) e c). Piccoli aggiustamenti... Va qui richiamata, anche in questa occasione, la buona abitudine, mutuata dalle norme europee a partire dagli anni 90, di far precedere le disposizioni precettive di una legge dalle definizioni. Cosa utile in Europa, dove si tratta di unificare una pluralit di diritti nazionali ma non del tutto coerente con la tradizione giuridica italiana: le definizioni, in un ordinamento codificato, le fanno i giudici, le fa la Cassazione molto meglio. Ma detto questo, va bene cos In una definizione cՏ scritto: Il diritto di accesso il diritto degli interessati. Beh, no. Lo leviamo, abrogato appunto il termine interessati. Seconda definizione recata dalla lettera b): Per interessati sintendono tutti i soggetti etc. E che cimporta? Togliamo dal testo vigente la lettera b) dellart. 22. Poi andiamo avanti, e leggiamo che il diritto daccesso escluso per i procedimenti tributari Ma perch deve essere escluso laccesso per i procedimenti tributari? Se cՏ una cosa che pubblica sono i soldi delle tasse, mie e dei miei concittadini; una sorta di cassa comune. Il minimo che occorre sapere chi ci mette il danaro e come viene speso E andiamo ancora avanti. Dice la legge n. 241 del 90 che nei procedimenti della pubblica amministrazione diretti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali e di pianificazione sarebbe escluso laccesso. Per le leggi, va bene: cՏ lautonomia del Parlamento e degli interna corporis (?). Ma tra gli atti normativi ci sono anche i regolamenti, hanno un procedimento, che si articola secondo la legge: perch a tali atti non si pu accedere? Ma soprattutto ritengo fuori luogo lesclusione degli atti amministrativi generali, di pianificazione o di programmazione. Proprio no, qui voglio vedere come il Comune fa un Piano Regolatore! Questa disposizione la possiamo abolire. E andiamo avanti nella proposta. Non vogliamo neppure il 3 comma dellarticolo 24, quando dice: Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate al controllo generalizzato delloperato delle pubbliche amministrazioni. La norma va abrogata. In tutto questo meccanismo di emendamenti mirati credo che si recuperano tutta la giurisprudenza e tutta la saggezza del Consiglio di Stato, che ap- LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 239 plica queste disposizioni normalmente e lo si pu fare con il nuovo testo da domani. Nelle aule, di giustizia, ma anche fuori da tali aule, negli uffici amministrativi: perch, quando escono le sentenze del Consiglio di Stato poi le amministrazioni, anche se talvolta a malincuore, si adeguano. Anche qui, attenzione, tutto questo potere che sarebbe dellamministrazione non lo vedo! Purtroppo, oramai, dopo che i dirigenti vengono nominati solo per un anno o due, sulla base di quello che decide il ministro, e se non vengono riconfermati magari perch non fanno quello che dice il ministro se ne devono andare a casa Quindi, voglio dire, attenzione! Noi abbiamo ucciso il Civil Service, la dirigenza amministrativa, un po burocrate, ma anche autonoma che avevamo in Italia Sul punto occorre prestare molta attenzione. Altre cose semplici: l'accesso pu arrecare danno alla privacy: evidentemente, conserviamo la disposizione delle legge n. 241 del 90, ma eliminando tutto il riferimento del monetario e della politica valutaria: se esiste una materia sulla quale vogliamo sapere tutto, oramai il monetario, lo spread, tutte queste cose, perch poi sono cose che entrano nella nostra tasca; perch quando qualcuno vi dice che si alza lo spread mi ritrovo 200 euro in meno nella busta paga: vuol dire che cՏ un rapporto diretto tra me e la politica monetaria e la vorrei capire bene. Ne ho diritto perch sono soldi miei, perch la mia vita, il mio standard di vita, quindi sono questi gli elementi sui quali posso fare poi tutte le mie scelte, anche politiche E poi lultima norma da abrogare: la richiesta di accesso ai documenti non deve essere motivata. Il controllo democratico delle comunit, anche spinto fino alla semplice curiosit dei cittadini (e dei giornalisti) va comunque tutelata. Questo evidente. Come vedete, si propone un lavoro di semplice pulitura nel quale stata eliminata anche quella norma che dispone che, per avere un documento, devo pagare limposta di bollo. Francamente - e qui ringrazio Valerio Onida, che mi ha segnalato lanomalia prima dellapertura del convegno - limposta per la stampa o la trasmissione di un documento che lamministrazione gi possiede in digitale, francamente, mi sembra obiettivamente una piccola clausola del nonno. Queste sono le modificazioni che si chiedono alla legge n. 241 del 1990 e che si possono fare subito, inserendole in un ordinamento e in una prassi gi consolidate da unegregia giurisprudenza del giudice amministrativo. Un ultima notazione, che vuole essere il mio tributo al ministro Passera Passera e al suo Ufficio Legislativo. Mi riferisco a quelle condizioni dellart. 18 del decreto legge, che spero sia convertito, che collegano lefficacia degli atti alla pubblicit e alla trasparenza, anzi alla pubblica fruizione su internet. [ndr. la conversione in legge ci fu poco dopo la Giornata della trasparenza]. Ho una grande speranza, un grosso desiderio: che questa nuova disposi- 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 zione di legge possa entrare nel sistema urbanistico, nel sistema della gestione del territorio. Perch se non ho conoscenza dei fatti che incidono sul territorio, se non conosco gli atti, non riesco a capirci niente e come cittadino non so da che parte schierarmi. La regola della pubblicit dovrebbe valere per tutti gli atti comunque protocollati dalla pubblica amministrazione. chiaro, se sto lavorando a un atto, ho diritto a non farlo vedere finch non finito, ma quando protocollato, esce da un ufficio pubblico, sia pure a livello interno, tra lorgano periferico e lorgano centrale, bene, quellatto un atto che vive, che esiste e tutti hanno diritto di vederlo, anche nella sua dinamica. Anche questo principio molto semplice. Sono cose in conclusione che si possono fare, senza dire che per farle avremmo bisogno di una catarsi generale del Paese, di fare altre cose. Le proposte di oggi si possono realizzare con facilit e celermente e spero che diventino parte del nostro ordinamento democratico, in analogia alle leggi di tutti i principali Stati europei. Non ho nientaltro da dire. Grazie. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 241 IMU ed immobili a utilizzazione mista indistinta (lesenzione proporzionale tra schema decretale e parere consiliare) (Nota a Cons. St., Sez. Consultiva per gli Atti Normativi, 27 settembre 2012, parere n. 07658/2012) Federico Maria Giuliani* Sabrina Scalini** SOMMARIO: 1. La questione: a) introduzione. 2. (Segue): b) la soluzione ministeriale e le ragioni del (parziale) dissenso consiliare. 3. Considerazioni conclusive. 1. La questione: a) introduzione. Il parere che si annota, emanato in data 27 settembre 2012 dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, nato a seguito di richiesta del Ministro dellEconomia e delle Finanze formulata ai sensi dellart. 17, comma 25, l. 15 maggio 1997, n. 127 (1), in relazione a uno schema di decreto ministeriale in materia tributaria. Ed invero, lart. 91-bis, comma 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modificazioni, in legge n. 27 del 24 marzo 2012, ha emendato lart. 7, d.lgs. n. 504 del 30 dicembre 1992, contenente lelenco degli immobili esenti dallallora ICI. Tanto esso ha fatto inserendo, al comma 1, lett. i), di detto art. 7, linciso con modalit non commerciali. OndՏ che la relativa esenzione oggi afferisce, testualmente, agli enti pubblici e privati, diversi dalle societ, che risiedono nel territorio dello Stato, e non hanno, per oggetto esclusivo o prevalente, lesercizio di attivit commerciale; rectius afferisce agli immobili, che sono utilizzati da tali enti e da essi destinati esclusivamente allo svolgimento, con modalit non commerciali, di attivit assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonch alle attivit di religione o di culto (2). Nel contempo, lo stesso art. 91-bis, d.l. n. 1/2012 (cos come convertito con mod. in legge) affrontava in specie il delicato (e discusso) tema dei c.d. immobili a utilizzazione mista, quali ad esempio quelli impiegati in parte per pura attivit di religione e culto, e in parte per attivit di tipo commerciale. il (*) Avvocato del libero Foro, Milano. (**) Avvocato del libero Foro, Bologna. (1) Trattasi dei pareri obbligatori, in fase endoprocedimentale necessaria, che il Governo e i singoli Ministri devono chiedere al Consiglio di Stato per lemanazione di atti normativi. Cfr., sul punto, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XIII ed., Milano, 2011, p. 477 s. (2) La norma esentativa da ICI, di cui sopra nel testo, applicabile anche allimposta municipale propria (IMU), giusta quanto previsto dallart. 9, comma 8, d.lgs. 16 marzo 2011, n. 23 (sul federalismo fiscale municipale), il quale espressamente richiama lart. 7, comma 1, lettere da b) a f), nonch h) ed i), d.lgs. n. 504/1992, istitutivo dellICI. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 caso, in ipotesi, di stabili destinati in parte qua ad ospitalit alberghiera, allinterno dei quali per vivono stabilmente persone aderenti ad ordini ecclesiastici. Orbene, per sciogliere il non facile nodo della esenzione soltanto parziale da IMU di codesti immobili, il legislatore ha contemplato due diversi casi, rispettivamente indicati ai commi 2 e 3 del citato art. 91-bis. La prima ipotesi quella pi semplice, che interviene allorquando i due impieghi sono frazionabili allinterno della medesima unit immobiliare. Per queste situazioni, il capoverso dellart. 91-bis prevede che la parte di unit immobiliare, identificabile come adibita ad uso commerciale - s come dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente (rispetto alla porzione dedicata, per esempio, alla religione e/o al culto) -, sia sottratta allesenzione da IMU. Diversamente, per i pi ardui casi - c.d. misti indistinti -, in cui non possibile operare il frazionamento autonomo degli immobili o di loro porzioni, in relazione agli usi commerciali e non, il comma 3 dellart. 91-bis contempla lapplicazione di un criterio di proporzionalit, da quantificarsi ed attestarsi, da parte del contribuente, in apposita dichiarazione. Ed proprio sul punto di siffatta dichiarazione, che la legge prevede lemanazione di un decreto ministeriale, ex art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 (3), vlto a stabilirne le modalit e le procedure (c.vo aggiunto). Ma a ci la norma stessa non si limita, in punto di delega, prevedendo che il decreto ministeriale debba contemplare altres gli elementi rilevanti ai fini della individuazione del rapporto proporzionale. Ne cos scaturito lo schema di articolato decretale, su cui la Sezione Consultiva del Supremo Consesso ha espresso, al Ministero dellEconomia e delle Finanze, il parere (quanto meno in parte) negativo, sopra riportato. (3) Sono i decreti del singolo Ministro, aventi natura regolamentare, da adottare previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato e previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Autorevole dottrina (G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, VII ed., Padova, 2010, p. 76 s.) osserva che, stante la relativit della riserva di legge in materia tributaria, i regolamenti dei singoli Ministri possono essere legittimamente impiegati nel sistema delle fonti; e ci secondo la classificazione tipologica di cui ai commi 1 e 2 dellart. 17, l. n. 400/1988 (esecutivi, attuativi o integrativi, delegati o di delegificazione, et alia). Sinnesta, su tale assunto, la nota problematica, pi ampiamente amministrativistica, sulla distinzione, alle volte finanche denegata, fra regolamenti esecutivi ed attuativi [su cui vedansi F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009, p. 448; ID., Compendio di diritto amministrativo, II ed., Roma, 2010, p. 68; ID. L. TARANTINO, Commento allart.17, l. 23 agosto 1988, n. 400, in Codice Amministrativo, Roma, 2009, p. 243 s.; cui adde E. CASETTA, op. cit., p. 389, a parer del quale la soluzione della disputa starebbe semplicemente nel lessico adottato dalla stessa <<400/1988>>, dacch ivi, contemplandosi sia i regolamenti esecutivi, sia quelli integrativi ed attuativi, verrebbero meno le ragioni di perplessit in ordine al sostantivo <>, impiegato nella previgente disciplina: s che, mentre i regolamenti esecutivi si limitano a specificare la legge, quelli attuativi ed integrativi ne sviluppano i principi, introducendo elementi di integrazione]. Con particolare riguardo ai regolamenti ministeriali (ed invero anche interministeriali), di cui al comma 3 (e 4) dellart. 17 della stessa <<400/1988>>, altro scrittore rileva che, per essi, a differenza di quanto accade per i regolamenti governativi di emanazione presidenziale (ex commi 1 e 2 del medesimo articolo), sempre necessario che la potest regolamentare sia conferita, in modo specifico ed espresso, dalla legge (L. COSSU, voce Regolamenti governativi e ministeriali, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, dir. da S. Cassese, vol. V, Milano, 2006, p. 5035). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 243 2. (Segue): b) la soluzione ministeriale e le ragioni del (parziale) dissenso consiliare. Osserva la Sezione Consultiva che vi una discrasia tra una parte dello schema decretale e la precisa sfera del potere regolamentare attuativo, attribuito dalla norma primaria alla fonte secondaria. Lo schema di decreto, infatti, si prodiga nellindicazione dei requisiti, generali e settoriali, per la qualificazione di questa o quella attivit, come svolta o meno con modalit commerciali; laddove, di contro, lart. 91-bis, comma 3, d.l. n. 1/2012 (come convertito in legge n. 27/2012) prevedeva un regolamento, che per un verso insistesse sulle modalit e procedure dellauto-dichiarazione di proporzionalit (il quale aspetto, proprio in quanto meramente procedurale, diverge dai criteri dindividuazione della commercialit), e per altro verso si concentrasse sugli elementi rilevanti ai fini della individuazione (non gi della commercialit, bens) della proporzionalit nellutilizzo misto e indistinto. Questultimo aspetto, per parte sua, non , a ben vedere, di altrettanto lineare soluzione quanto il primo, poich si potrebbe opinare che, onde fissare i criteri identificativi della proporzionalit sia strumentalmente (ed eziologicamente) necessario focalizzare a priori ci che costituisce modalit commerciale e non. Allattento estensore del parere non sfugge questo angolo di problematicit, atteso che egli sottolinea fra laltro, in motivazione, se non il dato puramente quantitativo, per lo meno la qualificazione piuttosto articolata>>, che lart. 1, ed in specie gli artt. 3 e 4, dello schema decretale dedicano alle modalit distintive tra attivit commerciali e diverse. Ci equivale a dire che, nellesercizio del potere regolamentare specificamente attribuitogli dalla legge - per individuare gli elementi rilevanti ai fini del calcolo di proporzione, in autodichiarazione, degli immobili a destinazione mista indistinta -, il Ministro si sarebbe ampiamente dilungato su di un aspetto del tutto esterno al fulcro del potere delegato, cio allactio finium regundorum tra le attivit commerciali e quelle non tali; cos debordando, in guisa troppo articolata (e non gi meramente marginale/strumentale) in unarea non coperta dallattribuzione del potere regolamentare stesso. Un potere regolamentare, questo, su cui, non a caso nessun criterio espresso e specifico indicava la legge in ordine agli elementi discretivi da adottare, per distinguere le diverse tipologie di attivit (4). (4) Sul potere regolamentare delegato ex lege nei regolamenti ministeriali, vedi supra, nota 3, ult. cpv. (Talune perplessit, in passato, non sono mancate sulla figura stessa del regolamento delegato, atteso che la Costituzione contempla soltanto i decreti legislativi delegati e non gi, appunto, gli omonimi regolamenti; ma ivi trattavasi dei c.d. regolamenti liberi, cio capaci di regolare materie prima disciplinate dalla legge; per essi, per, oggi la <<400/1988>> contempla, in specie, i regolamenti di delegificazione: cfr. F. NEGRO, voce Regolamenti, in AA.VV., Dizionario di diritto amministrativo, a cura di F. Caringella, vol. M-Re, Roma, 1991, p. 190). Quanto detto sopra, nel testo, emerge da due passi significativi dellannotato parere, laddove scrive la 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Da qui, in buona sostanza, la Sezione Consultiva trae le proprie conclusioni. Le restanti parti dello schema decretale non meritano obiezioni, poich in esse trattasi delle procedure dellautodichiarazione di proporzionalit, nel caso degli immobili ad utilizzazione mista e indistinta. Lo stesso vale per il segmento decretale afferente agli elementi rilevanti, nella stessa situazione mista indistinta, ai fini del computo del predetto rapporto proporzionale. Ch sono due aspetti, questi, sui quali indubbia lattribuzione ex lege del potere regolamentare. Quanto invece allampia parte censurata dellarticolato decretale - quella, cio, sui criteri distintivi per qualificare le attivit come svolte con modalit commerciali o meno -, si suggerisce un intervento ad hoc del legislatore, ovvero lintervento case by case dellamministrazione finanziaria in via interpretativa/ applicativa, sulla scorta dei principi generali interni e di diritto UE, magari in forma di risposta a interpelli. Si rammenta, infine, la delicatezza della materia, atteso che - anche a seguito di circolare ministeriale sullo stesso tema emanata alcuni anni or sono (5) -, la Commissione UE ha avviato, il 12 ottobre 2010, una indagine sulla sussistenza di un aiuto di Stato, proprio sugli stessi profili che vengono in emersione nel parere di cui trattasi (6). 3. Considerazioni conclusive. Il pronunciamento della Sezione Consultiva deve, ad avviso di chi scrive, Sezione Consultiva:<< (..) lamministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dalloggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazioni normative atte a specificare la natura non commerciale di una attivit>>. E ancora, poco pi avanti, leggesi nella parte motiva del parere: <>. (5) Min. Economia e Finanze, circ. 26 gennaio 2009, n. 2/DF, in www.finanze.gov.it/export/download/ altri2/circolare_n2DF.pdf (6) Come noto, le disposizioni legislative che contengono aiuti di Stato (tra cui le esenzioni e le agevolazioni tributarie) devono essere autorizzate dalla Commissione Europea. A tale scopo lart. 108, par. 3, TFUE, prevede il c.d. obbligo di notifica in tempo utile alla Commissione - affinch questa presenti osservazioni dei progetti diretti ad istituire o modificare aiuti. Se la Commissione ritiene un progetto incompatibile con il mercato interno, inizia senza indugio la procedura di controllo; al che lo Stato membro non pu dare esecuzione alla misura prima di una decisione finale. Sul tema vedasi, p.e., P. BORIA, Diritto tributario ed europeo, Milano, 2010, p. 219 ss., ove fra laltro si distingue fra aiuto inammissibile e aiuto illegale. Questultimo interviene allorch la misura di sostegno non stata previamente comunicata alla Commissione ai sensi del TFUE. Quanto, invece, allaiuto inammissibile, ancorch debitamente comunicato ex ante, il suo fulcro patologico ivi indicato come potenziale ostruzione alla libert di concorrenza sul mercato comune e, in particolare, quale produzione potenziale di effetti negativi rispetto alla operativit sul mercato dei soggetti non beneficiari della misura stessa di sostegno. Nel caso di specie, di cui sopra nel testo, consta che la Commissione UE in data 12 ottobre 2010 abbia avviato lindagine, in relazione agli aiuti concessi ad attivit commerciali svolte da enti non commerciali ai fini ICI; se pure con la precisazione secondo cui, essendo quelle norme anteriori allentrata dellItalia nellUnione, non si potr ottenere restituzione delle somme, ma al pi esigere modificazione delle norme interne dello Stato membro. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 245 essere condiviso nella sua essenza. Una certa commistione lessicale sembrerebbe emergere, prima facie, nella parte motiva tra attuazione dello schema decretale rispetto allart. 91-bis, comma 3, d.l. n. 1/2012 (come convertito in legge 27/2012), e daltra parte il carattere non attuativo generale del decreto stesso, rispetto alla nuova disciplina di esenzione IMU per gli immobili degli enti non commerciali. Nondimeno, aderendo a quella ricostruzione che, proprio nella materia tributaria, compenetra la classificazione regolamentare del comma 1 dellart. 17 della <<400/88>> con i decreti ministeriali di cui al comma 3 dello stesso articolo (7), si pu invero ragionare in termini di un regolamento ministeriale attuativo, e perci dotato di maggiori spazi di integrazione, rispetto a quanti ne avrebbe un regolamento meramente esecutivo, costretto entro i confini di specificazione del dettato della norma primaria (8). La ragione per cui, poi, lestensore del parere fa riferimento alla <>, anzich alla <>, dellanzidetto art. 91-bis, a rigor di logica desumibile dal fatto che, proprio scavando intorno alla dicotomia classificatoria tra regolamenti esecutivi ed attuativi in generale - ex lett. a) e b) del comma 1, art. 17, legge 400/88) -, si sovente scritto che soltanto i regolamenti attuativi presuppongono una normazione primaria pi generica, rispetto a quella che presiede i regolamenti meramente esecutivi (9). S ch, vista la genericit del dettato dellart. 91-bis (d.l 1/12, conv. in l. 27/12), la Sezione pare avere optato per la qualificazione regolamentare attuativa (anzich esecutiva), proprio in sintonia perspicua dottrina tributaria; salvo poi dover accertare che, trattandosi appunto di regolamento ministeriale (e non governativo-presidenziale), il comma 3 dellart. 17 della <<400/88>> impone una delega espressa e specifica di fonte primaria, nonch il rispetto di essa da parte del dicastero delleconomia e delle finanze (10). Donde la necessit logico-giuridica di esprimere parere parzialmente negativo, per violazione dei limiti di delega, su quellampia parte dello schema decretale che afferiva ai criteri di individuazione delle modalit dutilizzo commerciale e non. Taluno, in ci, potrebbe ravvisare una qualche contraddizione. Ma, ad avviso di chi scrive, trattasi di contrasto meramente apparente. Vi , infatti, ampio spazio <> nella specie - e non meramente esecutivo -, quanto alle procedure della dichiarazione, nonch in relazione alle modalit di redazione/ presentazione di essa. E lo stesso vale per la individuazione di quegli elementi, che rilevano per il computo del rapporto di proporzionalit, allin- (7) V., supra, nota 3 allinizio. (8) V., ancora supra, nota 3, ove si menziona E. CASETTA, op. cit. (9) Per tutti G. FALSITTA, op. cit., p. 77. (10) V. supra nota 3, ult. cpv. 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 terno della destinazione mista indistinta, fra uso commerciale e non. Di contro, vi soltanto un minimo spazio, di potere delegato regolamentare - essenzialmente strumentale alla individuazione degli elementi test menzionati (in specie lultimo), per la creazione di parametri nuovi, in base ai quali distinguere la destinazione commerciale da quelle diverse (e qui, difatti, intervenuto lo straripamento, rettamente divisato dal Consiglio). Se tutto ci vero, si impone per una precisazione aggiuntiva. A parere di autorevole dottrina (11), la messa in relazione dellart. 17, l. 400/1988, con la riserva (se pure relativa) di legge nella materia tributaria (ex art. 23 Cost.), importa un sommovimento strutturale proprio in punto di regolamenti attuativi. Questi ultimi, cio, non sarebbero tout court ammissibili, per tutta la parte della disciplina del tributo coperta da riserva; e ci atteso che, in tale ambito, non sarebbe consentita una formulazione di norme primarie elencativa di meri principi. E siccome le esenzioni e le agevolazioni sono fatte ricadere, quanto meno da una parte dellermeneutica, nella sfera della riserva di legge (12), in questo angolo visuale lannotato parere, nel momento stesso in cui sembra qualificare il decreto allesame come attuativo, avrebbe potuto porsi in apicibus una questione teorico sistematica di costituzionalit prima di - e forse piuttosto che - addentrarsi in distinzioni tra porzioni decretali incluse nel potere regolamentare delegato ex lege ovvero esterne ad esso. E ci, naturalmente vale non per gli aspetti procedurali della dichiarazione di proporzionalit; ma piuttosto per lenunciazione di principio degli elementi, in base ai quali calcolare lesenzione proporzionale in presenza di destinazione mista indistinta. In tale prospettiva, il potere regolamentare in parte qua, forse non sussisteva ab ovo, attesa in specie la vaghezza e comunque la non specificit dei criteri dettati dalla norma primaria. Ed proprio alla luce di questo aspetto critico - correlato allart. 23 Cost., piuttosto che allart. 17 l. n. 400/88 -, che potranno essere meditate anche le nuove iniziative legislative posteriori al parere, volte per esempio a introdurre, in un nuovo stile dellart. 91-bis del d.l. n. 1/2012 (come convertito in legge), formule di delega inclusive della dicotomia tra utilizzo commerciale e non (sul cui carattere sufficientemente dettagliato metter conto, in tale logica, interrogarsi). Di contro, percorrendo un sentiero ancora diverso, si potrebbe pensare, in ordine allo schema decretale criticato dal Consiglio di Stato, che si tratti di (11) F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, X ed., Torino, 2009, p. 22. (12) F. TESAURO, op. cit., p. 15. Contra S. LA ROSA, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, Milano, 1968, p. 125 ss. (Per lA., le esenzioni operano sempre a vantaggio del contribuente. Al che, per, pu ribattersi che le medesime, di riflesso, si risolvono in uno svantaggio per i contribuenti in esse non contemplati). Nel senso che le esenzioni ad agevolazioni tributarie debbano essere prescritte, in modo sufficientemente dettagliato, da norme di legge, vedi anche Corte Cost., 21-25 febbraio 2011 n. 60, in www.cortecostituzionale. it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=60. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 247 parte tecnico-estimativa di determinazione della base imponibile, in ordine alla quale la giurisprudenza costituzionale ammette invero lintervento delle fonti subordinate (13). Senonch, nel caso dellannotato parere, al pi in gioco, nello schema di decreto, la sfera tecnico-estimativa di una esenzione, piuttosto che di una base imponibile aprioristicamente assoggettata a tributo. Ne consegue che la problematica costituzionale, di cui si detto, non pare liquidabile de plano nei termini test ipotizzati (14). Per concludere, unultima riflessione suggerita dal passo motivazionale in cui la Sezione Consultiva prospetta, quale soluzione alternativa a un intervento legislativo, il lasciare allamministrazione finanziaria la disciplina applicativa dei casi concreti, in base ai principi generali ed eventualmente in interpello. Al riguardo, pi che principi generali paiono venire, sul punto, in considerazione norme specifiche, quali lart. 16, legge 20 maggio 1985, n. 222, che richiamato testualmente dallart. 7, comma 1, lett. i), d.lgs n n. 504 del 1992 (ICI), a sua volta richiamato, per lIMU dal decreto sul federalismo fiscale municipale (15). Se non che, anche da tali norme del 1985 sulle attivit non commerciali in materia di ICI, non emerge alcun dato utile al fine del computo proporzionale di riparto, in presenza di una destinazione mista indistinta. E, daltra parte, pensare che linterpello ordinario, ex art. 11 Statuto del contri- (13) Corte Cost., 4 luglio 1961, n. 48, in /www.giurcost.org/decisioni; Id., 4 luglio 1963, n. 127, ivi; Id., 1 luglio 1969 n. 129, ivi. (14) Per un superamento, per, della problematica costituzionale della riserva, allorquando come nel caso di specie vi una norma delegante di rango primario, vedasi R. LUPI, Diritto Tributario. Parte generale, VII ed., Milano, 2000, p. 20, il cui argomentare sembra proprio allinearsi a quello della Sezione Consultiva, nel parere di cui sopra, allorquando il chiaro autore osserva che <>. bens vero che, in tale passo, il Lupi tratta dei d.p.r. e non gi dei d.m.; e pur tuttavia, concettualmente, la struttura ragionativa pare analoga al parere in commento, con la sola variante per cui il d.m. come si visto (supra, nota 3, ult. cpv.) abbisogna sempre di una delega espressa nella norma primaria. Si noti per che, nel momento stesso in cui si segue limpostazione di questo scrittore, ci si trova poi a dover fronteggiare lulteriore suo assunto, giusta il quale i decreti del Ministro dellEconomia integrano, << anche attraverso scelte di opportunit, le previsioni legislative>> (op. ult. cit., p. 19, c.v. aggiunti). Il che, per certi versi, potrebbe rimettere in discussione lasserita (dal CdS) illegittimit dello schema decretale, nella sua ampia parte strumentalmente dedicata allactio finium regundorum tra modalit commerciali e non. Di contro, per, sta lassunto di integrazione ed attuazione squisitamente tecnica dei regolamenti ministeriali in materia tributaria, che in altro chiaro autore leggesi (A. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, rist. agg., Torino, 2004, p. 5). Ci riavvicina tosto a una condivisione dellargomentare del CdS, atteso che una cosa il sostenere che era opportuno fare una strumentale digressione sulla dicotomia tra modalit commerciali e non; altra cosa , invece, il sostenere che questa stessa dicotomia fosse mera integrazione di natura squisitamente tecnica. E, infatti, vedi lo stesso R. LUPI, nella versione successiva di Diritto tributario. Parte generale, VIII ed., Milano 2005, p. 31 s., dove lautore sincentra sul tecnicismo del regolamento ministeriale delegato, non pi menzionando le scelte, lato sensu politiche, da parte del dicastero. (15) V., supra, nota 2. 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 buente, possa rappresentare la panacea risolutrice nel caso degli immobili a destinazione mista indistinta - dove il problema del computo proporzionale, pi che derivare da obiettive condizioni di incertezza nellapplicazione/interpretazione della legge risiede(va), se non altro allepoca del parere a margine, nel vuoto pressoch totale di normazione primaria -, appare quanto meno revocabile in dubbio. Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere 27 settembre 2012, n. 07658/2012 Pres. Cossu, Rel. Chieppa Ministero dellEconomia e delle Finanze. OGGETTO: Ministero dell'economia e delle finanze. Schema di decreto del Ministro delleconomia e delle finanze, recante regolamento avente ad oggetto la determinazione delle modalit e delle procedure per stabilire il rapporto proporzionale tra le attivit svolte con modalit commerciali e le attivit complessivamente svolte dagli enti non commerciali di cui allart. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, ai fini dellapplicazione dellesenzione dallimposta municipale propria di cui allart. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. LA SEZIONE Vista la relazione prot. n. 3-11473/ucl del 5 settembre 2012 con la quale il Ministero dell'economia e delle finanze ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto; Esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Roberto Chiappa. Riferisce lAmministrazione che il presente regolamento adottato in attuazione dellart. 91- bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che disciplina, a decorrere dal 1 gennaio 2013, lapplicazione dellesenzione dallimposta municipale propria (IMU) prevista dallart. 7, comma 1, lett. i) del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili degli enti non commerciali di cui allart. 73, comma 1, lettera c), del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR). Il citato comma 3 dellarticolo 91-bis, prevede che, qualora lunit immobiliare abbia una utilizzazione mista (commerciale e non commerciale) e non sia possibile procedere alla individuazione della frazione dellunit immobiliare nella quale si svolge lattivit non commerciale, lesenzione dallIMU, si applica in proporzione allutilizzazione non commerciale quale risulta da apposita dichiarazione. Lo stesso comma 3 affida ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, la definizione delle modalit e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale. In attuazione di tale disposizione legislativa, stato predisposto lo schema di regolamento in esame, che si compone di sette articoli, relativi alle definizioni (art. 1), alloggetto del regolamento (art. 2), ai requisiti, generali e di settore, per lo svolgimento con modalit non commerciali delle varie attivit (artt. 3 e 4), alla individuazione del sopra menzionato rapporto proporzionale e alla relativa dichiarazione (artt. 5 e 6) ed alle disposizioni finali (art. 7). Considerato: LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 249 1. Lo schema di regolamento d attuazione allarticolo 91-bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che disciplina, a decorrere dal 1 gennaio 2013, lapplicazione dellesenzione dallimposta municipale propria (IMU) per gli enti non commerciali. Lambito di applicazione dellesenzione fissato direttamente dal legislatore e riguarda, sotto il profilo soggettivo, gli enti pubblici e privati, diversi dalle societ, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit commerciali e, sotto il profilo oggettivo, gli immobili utilizzati da tali soggetti, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalit non commerciali di attivit assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonch delle attivit di religione o di culto. Con il citato art. 91-bis del d.l. n. 1/2012 stato inserito, nellart. 7 del d. lgs. n. 504/1992, linciso con modalit non commerciali al fine di delimitare lambito di applicazione dellesenzione con riguardo allutilizzo dellimmobile e sono state disciplinate, ai commi 2 e 3, due diverse ipotesi di utilizzazione mista. Quando possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente a attivit di natura non commerciale, lesenzione si applica solo alla frazione di unit in cui tale attivit si svolge (art. 91-bis, comma 2). Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 91-bis, comma 3). Loggetto dello schema di regolamento in esame limitato a tale ultima ipotesi e, in particolare, alla definizione delle modalit e delle procedure relative alla predetta dichiarazione e degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale. Trattandosi di un decreto ministeriale da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, il potere regolamentare deve essere espressamente conferito dalla legge e, di conseguenza, il contenuto del regolamento deve essere limitato a quanto demandato a tale fonte dal comma 3 dellart. 91-bis del d.l. n. 1/2012. Non demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dellesenzione IMU per gli immobili degli enti non commerciali. Sulla base di tali considerazioni deve essere rilevato che parte dello schema in esame diretta a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attivit come svolte con modalit non commerciali. Tale aspetto esula dalla definizione degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale in caso di utilizzazione dellimmobile mista c.d. indistinta e mira a delimitare, o comunque a dare una interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di determinate attivit. Peraltro, si tratta di una qualificazione piuttosto articolata, contenuta in parte nelle definizioni dellarticolo 1 e soprattutto nei requisiti fissati in via generale dallart. 3 e per i singoli settori dallart. 4. Con questultima disposizione lamministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dalloggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazioni normative atte a specificare la natura non commerciale di una attivit. Basti fare riferimento al criterio dellaccreditamento o convenzionamento con lo Stato per le attivit assistenziali e sanitarie o ai diversi criteri stabiliti per la compatibilit del versamento di rette con la natura non commerciale dellattivit. 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 In alcuni casi utilizzato il criterio della gratuit o del carattere simbolico della retta (attivit culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dellimporto non superiore alla met di quello medio previsto per le stesse attivit svolte nello stesso ambito territoriale con modalit commerciali (attivit ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attivit didattiche). Non questa la sede per verificare la correttezza di ciascuno di tali criteri, ma la loro diversit e eterogeneit rispetto alla questione dellutilizzo misto conferma che si in presenza di profili, che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito. Tali profili potranno essere oggetto di un diverso tipo di intervento normativo o essere lasciati allattuazione in sede amministrativa sulla base dei principi generali dellordinamento interno e di quello dellUnione europea in tema di attivit non commerciali (sia in termini generali attraverso circolari, sia con riferimento a fattispecie specifiche mediante altri strumenti, quali ad esempio le risposte allinterpello del contribuente). Va, peraltro, ricordato che proprio sulla analoga questione dellesenzione dallICI la Commissione europea ha avviato in data 12 ottobre 2010 una indagine al fine della valutazione della sussistenza di un aiuto di Stato, avente ad oggetto anche la circolare del Ministero delle finanze n. 2/DF del 26 gennaio 2009, che in parte trattava aspetti oggetto del presente schema. Ci impone estrema prudenza nellindividuare lo strumento idoneo a fare chiarezza sulla qualificazione di una attivit come non commerciale e tale strumento non appare poter essere il presente regolamento per le ragioni anzidette (quanto meno per le parti contenute in alcune definizioni e negli articoli 3, 4 e 7, comma 1). 2. Con riferimento alle ulteriori parti del regolamento non vi sono osservazioni da formulare, avendo lamministrazione correttamente definito le modalit e le procedure relative alla dichiarazione richiesta in caso di utilizzazione mista indistinta e gli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale (superficie, numero dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attivit con modalit commerciali ovvero non commerciali, periodi temporali). P.Q.M. Nelle considerazioni che precedono il parere. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 251 Il governo delle risorse idriche tra competenze statali e territoriali Loredana Martinez* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. L'evoluzione normativa in materia di acqua: dalla tutela degli usi alla tutela della risorsa - 3. Lincidenza del diritto comunitario sulla disciplina interna - 4. Lirrilevanza dellassetto federalista disegnato dalla riforma del titolo V della Costituzione in punto di riparto di competenze amministrative - 4.1. Premessa - 4.2. Le competenze amministrative statali in materia di tutela del suolo - 4.3. Le competenze in materia di tutela delle acque - 4.4. Le competenze in materia di Servizio idrico integrato - 5. I problemi legati allesternalizzazione del Servizio idrico integrato: le funzioni di regolazione, di vigilanza, di controllo e di garanzia - 6. Le competenze delle Regioni e degli Enti locali - 7. Il problema del coordinamento delle funzioni - 8. Conclusioni. 1. Premessa. L'argomento di questo convegno richiama subito alla mente gli attuali temi che ruotano intorno al Servizio idrico integrato e, soprattutto, quello che riguarda le forme di gestione e di affidamento di questo peculiare servizio pubblico che, secondo quanto statuito dal comma 2 dellart. 141 del Testo unico dellambiente (D.lgs. 165/2001) costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue (). Le presenti disposizioni si applicano anche agli usi industriali delle acque gestite nell'ambito del servizio idrico integrato. Si tratta di un ambito di notevole importanza a cui, tuttavia, si affiancano, ulteriori importanti questioni che nel corso del tempo hanno impegnato il legislatore nella produzione di un fascio di norme piuttosto ricco ed articolato. Le molteplici disposizioni che si sono susseguite durante gli oltre centocinquanta anni di legislazione sullacqua compongono, infatti, un quadro normativo assai complesso, che non ha ancora ricevuto una completa razionalizzazione nemmeno a seguito dellentrata in vigore del Codice dellambiente, dove ora la materia delle risorse idriche risulta disciplinata per quel che riguarda i profili attinenti alla tutela dellambiente. A tale fonte normativa si affiancano, peraltro, una serie di norme molto pi datate, tra cui, il Testo unico sullacqua, varato nel lontano 1933, ed una (*) Docente a contratto dellinsegnamento di Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali dellUniversit degli Studi di Sassari. Il presente lavoro di prossima pubblicazione in MARINA GIGANTE (a cura di), L'acqua e la sua gestione. Un approccio multidisciplinare. Atti del convegno, Sassari 20-21 maggio 2011, Jovene, 2012. 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 serie di altre disposizioni che congiuntamente vanno a comporre una base normativa i cui confini abbracciano tutti quegli ambiti dove questo bene assume rilievo, tantՏ che si rinvengono norme sulle acque dolci, salate, stanziali, aperte, piovane, superficiali, sotterrane, minerali, termali, potabili, balneari ed, ancora, sullacqua intesa come corpo idrico e, cio, nella sua dimensione di fiume, di lago e di mare. Per ciascuna delle richiamate categorie si riscontrano, inoltre, disposizioni relative alle modalit duso, agli standard qualitativi e quantitativi, alle modalit di sfruttamento economico (1) nonch alle possibili forme di gestione. La presenza di un cos ricco e variegato quadro normativo e lasistematicit dello stesso, si riflette peraltro sulla possibilit di ricostruire in modo semplice e lineare lassetto delle competenze amministrative disegnato dal legislatore nel campo delle risorse idriche, anche in considerazione del fatto che la normativa pi datata stata elaborata sulla base di regole e di principi che, sotto questo profilo, risultano profondamente innovati a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001. A seguito della detta revisione costituzionale, anticipata nelle sue linee fondamentali da due importanti interventi normativi varati dal legislatore ordinario precedentemente (2)(3), il criterio principale su cui si fonda il sistema di distribuzione delle competenze amministrative rappresentato, infatti, dal principio di sussidiariet verticale che, a differenza di quello previgente, sulla base del quale le funzioni legislative doppiavano quelle amministrative, impone al legislatore ordinario di allocare le funzioni in capo ai Comuni, salvo eccezioni determinate da esigenze di amministrazione unitaria di taluni profili amministrativi. La logica di distribuzione delle competenze amministrative, peraltro stata investita anche da un altro fenomeno contrassegnato dal proliferare di organismi autonomi di nuova istituzione, quali sono le agenzie, le autorit indipendenti, o, ancora, le societ in mano pubbliche o quelle a capitale misto pubblico-privato, in capo ai quali vengono spostate alcune importanti funzioni amministrative. Il sistema di allocazione delle funzioni amministrative ha subito, peraltro, linfluenza del diritto comunitario, ancorch in via indiretta, in tutti quegli ambiti che interferiscono con la sfera delle libert economiche riconosciute al cittadino comunitario dal Trattato dellUnione europea. Nel campo delle risorse idriche ci facilmente rilevabile in quanto, la (1) Al riguardo, si veda M.A. SANDULLI, G.B. CONTE, Le grandi derivazioni a scopo idroelettrico: una risorsa strategica in problemi di competenza legislativa e tutela comunitaria del diritto di stabilimento e della concorrenza, in www.aregon.es. (2) Il riferimento alla L. 59/1997 e al D.lgs. 112/1998. (3) Il principio di sussidiariet si ritrova in varie disposizioni introdotte dalle cosidette riforme Bassanini. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 253 rilevanza ambientale ed economica di questo bene ha spinto buona parte delle competenze legislative verso la sede statale, con conseguente erosione della sfera di competenze regionale, in ragione del fatto che la materia ambientale e quella della concorrenza risultano attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, con luteriore conseguente effetto, come si dir, di trascinamento delle relative competenze amministrative. La valorizzazione dellacqua come bene ambientale ha comportato anche lespansione di funzioni scarsamente valorizzate nella disciplina pi datata, quali quelle di ordine programmatorio, pianificatorio, regolatorio, gestorio e di controllo a cui continuano comunque ad affiancarsi quelle autorizzatorie e concessorie collegate al carattere demaniale di questo bene (4). La permeabilit del nostro ordinamento giuridico alle fonti normative extrastatuali ha determinato, peraltro, anche un rinnovato equilibrio nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino da cui scaturito anche un diverso equilibrio del rapporto autorit-libert il cui effetto stato quello della progressiva deflazione degli strumenti autoritativi a favore di quelli consensuali, quali sono, ad esempio, gli accordi amministrativi disciplinati dallart. 11 della L. 241/90 (5), anche se in materia di acqua tali strumenti possono trovare (4) Sui beni demaniali e la relativa disciplina si vedano: A. M. SANDULLI, Beni Pubblici, in Enc. dir., V, Milano, 1959, pp. 280 e ss.; COLOMBINI G., Demanio e patrimonio dello Stato e degli enti pubblici, Dig. disc. pubbl., V, Torino, 1990, pp. 1 e ss.; MAZZAROLLI L., PERICU G., ROMANO A., ROVERSIMONACO F.A., SCOCA F.G., Diritto Amministrativo, Bologna, 2001, pp. 1114 e ss.; VIGNOCCHI G., GHETTI G., Corso di diritto pubblico, Milano, Giuffr, 1999, pp. 707 e ss.; ARCIDIACONO L., CARULLO A., RIZZA G., Istituzioni di diritto pubblico, Bologna, 2005, pp. 508 e ss.; DI LORENZO A., I beni demaniali dei Comuni e delle Province, I.C.A., 1952; AVANZI S., Il nuovo demanio, Padova, 2000; AAVV., Beni demaniali e patrimoniali dello Stato, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1956; CUDIA C., Le modificazioni del regime proprietario dei beni pubblici tra atti e fatti della Pubblica Amministrazione: orientamenti giurisprudenziali e sistema, in Foro Amm. TAR, 2003, fasc. 12, pp. 3666 e ss.; VITALE S., Responsabilit della P.A. per la custodia di beni demaniali e concorso di colpa del danneggiamento, in Giust. Civ., 1996, 6, 1711. Sul demanio idrico, in particolare, si vedano: PERNIGOTTI U., Acque Pubbliche Parte Generale (voce), in Enc. dir., I, Milano, 1958, pp. 400 e ss.; PALAZZOLO S., Acque Pubbliche (voce), in Enc. Dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, pp. 34 e ss.; CERULLI IRELLI V., Acque pubbliche (voce), in Enc. giur., Roma, Treccani, 1988, pp. 10 e ss.; BOLDON ZANETTI G., La tutela ambientale delle aree di pertinenza dei corpi idrici e il divieto di sdemanializzazione, in Riv. giur. ambiente, 2005, 5, 819; BROCCA M., Il vincolo paesaggistico relativo ai fiumi, torrenti e corsi dacqua ex art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 490/1999: alcune problematiche, in Riv. Giur. ambiente, 2002, 3-4; CIVITARESEMATTEUCCI S., La salvaguardia del regime fluviale tra pianificazione di bacino, poteri cautelari e prescrizioni idrauliche, in Riv. giur. ambiente, 1996, 5, 715; URBANI P., La pianificazione per la tutela dellambiente, delle acque e per la difesa del suolo, in Riv. Giur. ambiente, 2001, 2, 199. (5) Ci avvenuto attraverso un duplice passaggio: in una prima fase, avviata con la legge generale sul procedimento amministrativo del 1990, la svolta si avuta con lintroduzione non tanto di una serie di regole dazione relative allesercizio dei poteri pubblici nei riguardi dei cittadini, quanto piuttosto del principio di fondo per cui lamministrazione, nel perseguimento dellinteresse pubblico, sempre tenuta a considerare e a valutare tutti gli interessi coinvolti, al fine di garantire la scelta della migliore soluzione possibile comportante il minore sacrificio delle situazioni giuridiche dei soggetti interessati. In una seconda fase, culminata nelle riforme del procedimento amministrativo del 2005 e del 2009, si assistito alla valorizzazione del momento partecipativo dei cittadini nellattuazione del potere pubblico: 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 scarsa applicazione sia per la natura demaniale di questo bene sia per il fatto che i profili gestori sono assoggettati ai tradizionali procedimenti amministrativi discrezionali. Alla luce della breve premessa di cui sopra, con il presente contributo si cercher, quindi, di ricostruire le linee evolutive dellassetto delle competenze in materia di acqua tenendo conto del mutato quadro normativo costituzionale e dellinterpretazione fornita dalla Corte Costituzionale in riferimento agli interventi normativi varati dal legislatore ordinario in materia di risorse idriche. Si prenderanno, pertanto, le mosse dallevoluzione storica di tale normativa per giungere a soffermarsi sul tema pi caldo di questo momento storico rappresentato dalle questioni che ruotano intorno alla gestione del servizio idrico integrato. 2. L'evoluzione normativa in materia di acqua: dalla tutela degli usi alla tutela della risorsa. Uno dei primi problemi afferenti alla materia dell'acqua quello di riuscire a circoscrivere l'ambito normativo, sia per lestensione dello stesso, sia perch le relative norme spesso risultano sparse in corpi normativi dedicati ad ambiti che nulla hanno a che vedere con la materia dellacqua, come nel caso delle norme dettate in materia dal Testo unico delle leggi sanitarie del 1934 (infra). Al fine di tratteggiare una sintesi che consenta di evidenziare le linee direttrici su cui si sviluppata la relativa disciplina risulta, quindi, necessario procedere attraverso lindividuazione di cinque fasi normative, ognuna delle quali, come si vedr, risulta essere espressione degli interessi pubblici che progressivamente sono emersi in riferimento a questo campo. La prima di queste, affonda le proprie radici negli ultimi scorci del XIX secolo, quando l'acqua era ancora un bene disponibile in quantit sufficiente per soddisfare i fabbisogni primari (consumo umano, agricoltura, navigazione), tanto che i suoi usi erano sostanzialmente liberi e le preoccupazioni del legislatore si incentravano soprattutto sui problemi di regimazione delle acque e sulla corretta manutenzione delle relative pertinenze. Le prime leggi si limitavano, infatti, a dettare norme sulla costruzione delle infrastrutture idriche e sulla tutela degli alvei e delle sponde. Del tutto estranei a questa disciplina erano invece i profili inerenti alla tutela quantitativa e qualitativa di questa risorsa giacch in quel periodo l'acqua era ancora chiara ed abbondante, anche se in realt gi nel 1904 erano state in tale prospettiva si colloca la scelta ideologica in favore degli strumenti privatistici e consensuali, ormai preferiti rispetto a quello tradizionale del provvedimento autoritativo per il perseguimento delle finalit pubbliche (artt. 1 e 11 della legge n. 241 del 1990, come modificati dalla legge n. 15 del 2005). La posizione degli amministrati pare, infatti, rivestire sempre meno quella di soggetti passivi delle scelte dellamministrazione in quanto il privato ormai tende a divenire co-protagonista e partecipe di esse, fin dal momento della selezione degli interessi pubblici da perseguire e della modalit con cui realizzarli. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 255 dettate le prime norme volte a tutelare, quantomeno, i corpi idrici (6). A questa prima fase, seguita una seconda stagione normativa in cui si colloca lancora vigente Testo Unico sulle acque e gli impianti elettrici, varato con il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, dove trovano disciplina gli usi speciali di questo bene demaniale, cos definiti perch non sottraggono il bene alla sua normale destinazione, e i relativi procedimenti amministrativi a cui sono assoggettati tali usi e, specificamente, la licenza per svolgere lattivit di fluitazione e di pesca e la concessione per lo svolgimento dellattivit di navigazione delle acque interne e per gli usi eccezionali, questultimi ricollegati alla derivazione delle acque a fini industriali, irrigui o di forza motrice. Questa materia oggi risulta arricchita dalla disciplina dettata dal Codice dei contratti in materia di Concessioni di beni pubblici che, secondo la giurisprudenza amministrativa pi recente, prevede una procedura che applica a queste fattispecie gli stessi principi degli appalti pubblici e delle concessioni di servizio, ritenendo necessario per lente pubblico dare corso ad una procedura competitiva per la scelta del concessionario (7). Risale a questo periodo anche il Testo Unico sulle leggi sanitarie del 1934 (8) che, differenza delle altre disposizioni sino a quel momento varate, per la prima volta detta norme sui parametri di qualit dell'acqua destinata all'uso umano (9). Questa norma rappresenta, quindi, la prima disposizione volta a tutelare il bene acque sotto il profilo ambientale, anche se sar necessario attendere diversi anni prima di poter leggere ulteriori norme di tale natura. Infatti, solo a cavallo degli anni 60-70 del secolo scorso esplode il problema dellinquinamento delle acque superficiali e delle falde acquifere e, quindi, solo in questo momento emerge la sensibilit ambientale nei confronti di tale bene. La disciplina che verr varata in questo arco temporale, spinta dallo squilibrio che si iniziava a registrare tra la domanda e lofferta di acque idonee ai diversi usi, contrassegna linizio di una nuova stagione normativa caratterizzata dal radicale cambiamento della politica sull'acqua. In questa terza fase normativa si colloca, infatti, la L. 319/76 (10), nota (6) La disciplina sulla tutela dei corpi idrici contenuta precipuamente nel R.D. n. 523/1904 Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie, la cui lunga vigenza stata intaccata da piccoli ritocchi normativi. (7) Si veda, Corte giustizia, Ce, 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen; Corte giustizia, Ce, 7 dicembre 2000, C-324/98; Corte cost., 20 maggio 2010, n. 180; Cons. St., sez. V, 31 maggio 2011, n. 3250; Cons. St., sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151; Cons. St., sez. V, 21 novembre 2006, n. 6796; sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 253, tutte in www.dejure.it. (8) Il riferimento al r.d. 27 luglio 1934 n. 1265. (9) La disciplina in materia di qualit delle acque destinate ad uso umano oggi contenuta nel Decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 con il quale stata data attuazione alla Direttiva comunitaria 98/83/CE. (10) La legge Merli, recante "Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento" stata abrogata dall'art. 63, comma 1, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e dall' articolo 175, comma 1, lettera b) del 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 anche come legge Merli, attraverso la quale si inizia a pensare all'acqua come bene ambientale da gestire secondo processi volti a promuovere un uso razionale e sostenibile delle risorse idriche. Lobiettivo era, soprattutto, quello di disciplinare gli scarichi degli insediamenti produttivi in quanto gi da allora rappresentavano la principale causa del forte stato di inquinamento del territorio. Questo momento storico anche quello in cui iniziano a svilupparsi i primi strumenti pianificatori e programmatori in tema di risorse idriche ed, infatti, viene introdotto il Piano di attuazione per una regolazione dei corsi dacqua naturali, il Piano Regolatore Generale degli Acquedotti nonch il Piano Regionale di Risanamento delle Acque (P.R.R.A.). Negli anni 80 si colloca, invece, la quarta fase, contrassegnata dal fatto che si inizia a riconoscere limportanza delle dinamiche che intercorrono fra gli ambienti terrestri e quelli acquatici e, quindi, si rileva la necessit di introdurre forme di gestione unitaria estese su scala territoriale. Emerge, infatti, la chiara e urgente necessit di affrontare congiuntamente tutte le questioni relative alla difesa del suolo e alluso ottimale delle risorse idriche, non solo con interventi singoli, ma soprattutto attraverso forme di pianificazione capaci di integrare le esigenze di tutela e di sviluppo. Per la prima volta, si attuano anche interventi normativi volti a valorizzare forme di interazione tra i diversi soggetti pubblici e in questottica si superano gli interventi pianificatori limitati ai singoli confini territoriali dei diversi enti, prevedendo strumenti pianificatori ispirati ai criteri geomorfologici e ambientali del territorio. In questa direzione, la l. n. 183/89 ha complessivamente riorganizzato le competenze statali e quelle locali in materia di difesa del suolo ed ha istituito, per la prima volta, le Autorit di bacino attribuendogli le funzioni di tutela dellintero bacino idrografico e, precisamente, compiti di difesa del suolo, di risanamento delle acque e di gestione del patrimonio idrico. Nella stessa direzione, ma con maggiore attenzione per gli aspetti relativi ai profili gestori dellacqua potabile, si posta la legge n. 36/94, con la quale stato avviato in Italia un profondo processo di modernizzazione e di riorganizzazione del settore idrico, reso scarsamente efficiente dallallora estrema frammentazione degli operatori, circostanza che certamente non consentiva laffermarsi di una gestione di tipo industriale e, sotto il profilo del servizio D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. La legge Merli la prima legge importante in materia di tutela dell'ambiente, riguarda le acque e proprio a partire da essa la giurisprudenza e la dottrina hanno iniziato a mettere i primi mattoni di quella branca specialistica che pu essere definita diritto ambientale. Il legislatore stabiliva un'unica disciplina degli scarichi con un'applicazione rigida e uniforme di valori limite degli inquinanti, senza tener in alcun conto il tipo e l'uso del corpo recettore destinatario. Inoltre non definiva espressamente i requisiti degli scarichi stessi, che sono stati identificati a seguito della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 257 allutenza, non garantiva omogeneit degli standard qualitativi del servizio. Per fare fronte a questa situazione, la legge assegnava alle autorit regionali e locali la funzione di riorganizzare i servizi di acquedotto da realizzarsi per Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.), ovvero per ambiti che dovevano superare quelli del singolo Comune, come, in linea generale, sino ad allora accadeva. La Legge n. 36/1994 ha dettato anche numerose norme e importanti principi di carattere squisitamente ambientale ed, infatti, ha statuito che "tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorch non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche" (11). L'ultima stagione giuridica risulta, invece, contrassegnata dalla forte preoccupazione di conciliare le esigenze dello sviluppo economico e sociale con la preservazione degli equilibri ecologici della risorsa idrica. Questo, del resto. il momento in cui avanza anche la disciplina comunitaria che trova recepimento, inizialmente, attraverso ladozione del Decreto legislativo n. 152/99, oggi non pi vigente, ma pietra miliare della futura evoluzione normativa che sfociata nel Codice dellambiente (D.lgs. n. 152/2006), con il quale sono state abrogate una serie di norme, tra cui il richiamato D.lgs. 152/99, ed stato operato un certo riordino di quelle norme volte a disciplinare lacqua sotto il profilo della tutela ambientale. Il richiamato Codice, nel Parte Terza che, non a caso, intitolata Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche, ha il pregio, infatti, di aver accorpato molte previgenti leggi, innovandone in alcuni casi i contenuti. Innanzitutto, il legislatore del 2006 ha ribadito la natura di bene demaniale di tutte le acque, superficiali e sotterranee, ancorch non estratte dal suolo, nonch delle infrastrutture necessarie per la sua gestione (acquedotti, fognature ed infrastrutture varie - art. 143). Altro importante principio contenuto in questa legge quello di solidariet, gi peraltro presente nella Legge Galli, che ora trova declinazione nell'affermato principio di tutela dei diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale (12). Nondimeno, si rinvengono specifici principi in tema di gestione del Servizio idrico integrato, quali l'efficienza, l'efficacia e l'economicit, nonch (11) Tale norma, inoltre, subordina la puntuale utilizzazione della risorsa a criteri di solidariet e di salvaguardia del bene ambientale e d particolare rilevanza alle aspettative delle generazioni future circa la possibilit di fruire di un integro patrimonio idrico. In buona sostanza, per la prima volta le norme in materia di risorse idriche valorizzano gli aspetti relativi ad un uso sostenibile rispetto agli equilibri ambientali. Non solo, si inizia a pensare all'acqua come risorsa scarsa da preservare attraverso l'adozione di misure organiche relative al ciclo dellacqua (negli aspetti interconnessi del prelievo, dell'uso e della restituzione) e, in tale direzione, si dettano una serie di regole e di principi che prevedano l'affidamento della gestione del servizio ad un operatore unico ed indipendente. (12) Si veda a riguardo MATTEOLI, Art. 144, in Commentario breve al Codice dell'ambiente (a cura di) Costanzo-Pellizer, Padova, 2012, 382. 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 principi riguardanti le modalit di affidamento del servizio stesso il cui principio base rappresentato dallaffidamento del servizio attraverso gara nel rispetto del principio di derivazione comunitaria dettato a tutela della libert di concorrenza (infra) (13). Il quadro si completa poi con altri importanti principi, tra cui quello della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni e quello secondo cui la tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua deve essere determinata sulla base del livello di inquinamento prodotto. Altri principi sono posti a presidio della tutela dei corpi idrici, ovvero di quei volumi di acqua che vanno a formare i fiumi, i laghi, o che risultano contenuti in falde acquifere o in strutture artificialmente create dall'uomo (art. 54). L'art. 145 detta, infatti, il principio dell'equilibrio idrico, consistente nella necessit di garantire il deflusso minimo necessario alla vita degli alvei nonch degli equilibri degli ecosistemi organizzati, e l'art. 146 il principio del risparmio idrico. I detti principi, peraltro, si affiancano a molti altri principi generali applicabili a tutta la materia ambientale, tra i quali devono essere menzionati quelli di precauzione, di prevenzione e dello sviluppo sostenibile. 3. Lincidenza del diritto comunitario sulla disciplina interna. Il processo normativo di cui ora sono stati richiamati i principali snodi evolutivi rappresenta il frutto non solo della sensibilit del legislatore interno per i problemi dellacqua, ma anche il precipitato dei principi comunitari dettati in materia ambientale dalle diverse Direttive che si sono susseguite sin dal finire degli anni '70. Le fonti comunitarie si compongono, infatti, di un certo numero di direttive aventi ad oggetto la tutela dall'inquinamento (14), la determinazione dei criteri di qualit (15) rispetto ai diversi usi (16), nonch la gestione integrata delle risorse idriche. A tale ultimo riguardo, la Direttiva quadro 2000/60/CE (17), adottata dal (13) Profilo, quest'ultimo, che pi di altri ha impegnato la dottrina e la giurisprudenza in quest'ultimo periodo per l'intricata evoluzione normativa che si susseguita in riferimento alle note questioni sorte circa le possibili forme di gestione e di modalit di affidamento di questo servizio pubblico a rilevanza economica. Questione su cui, comunque, ci soffermer di seguito. (14) Cfr. Direttiva 76/464/CEE del Consiglio, del 4 maggio 1976, concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico della Comunit. (15) Tra queste si richiama la Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE) e la Direttiva 91/676/CEE (direttiva nitrati), che congiuntamente combinano la definizione degli obiettivi di qualit ambientale con la fissazione di valori limite demissione, confermano il nuovo approccio al problema dell'inquinamento delle acque. (16) Direttiva 80/778/CEE del Consiglio, 15 luglio 1980, sulla qualit delle acque destinate al consumo umano, in G.U.C.E. 30 agosto 1980, n. L 229; Direttiva 76/160/CEE del Consiglio, dell8 dicembre 1975, concernente la qualit delle acque di balneazione, in G.U.C.E. L 31 del 5 febbraio 1976; Direttiva 79/923/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1979, relativa ai requisiti di qualit delle acque destinate alla molluschicoltura, in G.U.C.E. L 281 del 10 novembre 1979. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 259 Parlamento europeo e del Consiglio dellUnione europea il 23 ottobre 2000 occupa un ruolo di primaria importanza poich ha dettato una serie di principi volti a realizzare unequilibrata integrazione dei profili ambientali con quelli economici e sociali (18) introducendo a tal fine un fitto reticolo di principi, tutti orientati a mantenere o a raggiungere la sostenibilit ambientale dell'intero territorio comunitario. Uno dei punti pi rilevati riguarda lanalisi degli aspetti di natura economica a cui ciascun Stato tenuto ad attuare in riferimento agli usi della risorsa idrica, e a tale riguardo, negli articoli 5 e 9 viene espressamente richiesto ai singoli Stati Membri di conformare la propria politica tenendo conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali, da calcolarsi sulla scorta del principio chi inquina paga (19). La direttiva, tra laltro, precisa che lacqua una risorsa naturale ed un bene comune da difendere e non un bene commerciale L'acqua non un prodotto commerciale al pari degli altri, bens un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale (20). Secondo questa Direttiva, quindi, la gestione dellacqua deve essere improntata al tendenziale pareggio di bilancio, cos come recita il 38 Considerando della Direttiva in argomento, secondo cui il principio del recupero dei costi [...] dovrebbe essere preso in considerazione sulla base del principio chi inquina paga. A tal fine, sar necessaria un'analisi economica dei servizi idrici, basata sulle previsioni a lungo termine della domanda e dell'offerta nel distretto idrografico (21). (17) La Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, pubblicata in G.U.C.E. n. L 327 del 22 dicembre 2000, in www.eur-lex.europa.eu. (18) CORDINI GIOVANNI, La tutela dellambiente idrico in Italia e nellUnione europea, in Rivista giuridica dellambiente, fasc. 5, 2005, Giuffr editore, Milano, pp. 716-717. URBANI PAOLO, Il recepimento della direttiva comunitaria sulle acque (2000/60): profili istituzionali di un nuovo governo delle acque, in Rivista giuridica dellambiente, fasc. 2, 2004, Giuffr editore, Milano, p. 210. (19) Si veda a tale riguardo, il punto 11 dei Considerando della Direttiva in argomento, il quale recita Come stabilito dall'articolo 174 del trattato, la politica ambientale della Comunit deve contribuire a perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualit dell'ambiente, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, che dev'essere fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonch sul principio "chi inquina paga". (20) Si veda il primo considerando della Direttiva 2000/60/CE. (21) Secondo quanto stabilito dall'Allegato III alla Direttiva 60/2000 L'analisi economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei dati pertinenti) al fine di: a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, di cui all'articolo 9, tenuto conto delle previsioni a lungo termine riguardo all'offerta e alla domanda di acqua nel distretto idrografico in questione e, se necessario: stime del volume, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici, stime dell'investimento corrispondente, con le relative previsioni; 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Altro importante principio contenuto nella predetta Direttiva quello secondo cui la La fornitura idrica un servizio d'interesse generale, come indicato nella comunicazione della Commissione I servizi di interesse generale in Europa. Le azioni contenute nella norma sono, quindi, complessivamente ed univocamente finalizzate alla protezione delle acque ed al suo uso sostenibile al fine di proteggere l'ambiente ed assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione (22). Orbene, i principi richiamati, come si vedr, influiscono pesantemente sullassetto delle competenze amministrative disegnate dal legislatore italiano nel campo delle risorse idriche. 4. Lirrilevanza dellassetto federalista disegnato dalla riforma del titolo V della Costituzione in punto di riparto di competenze amministrative. 4.1. Premessa. Il breve excursus storico ha consentito di evidenziare come l'evoluzione della normativa in materia di acqua sia stata contrassegnata dall'emergere di norme volte a disciplinare questo bene sotto il profilo degli usi particolari ed eccezionali, oltre che di norme volte a tutelarne lintrinseca qualit di bene naturale, come attesta la disciplina, interna e comunitaria, pi recente. La legislazione pi datata, come visto, era maggiormente incentrata sulla regolamentazione di questo bene quale bene demaniale, orientamento che si rafforzato con lampliamento di tale qualificazione a tutte le categorie di acqua e/o di corpi idrici. In questa direzione, gi si poneva l'art. 1 del Testo Unico sulle acque (R.D. n. 1175/1933), dove si legge che tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate e incrementate, le quali considerate sia isolatamente per la loro portata o per lampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia al sistema idrografico al quale appartengono abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse. b) formarsi un'opinione circa la combinazione delle misure pi redditizie, relativamente agli utilizzi idrici, da includere nel programma di misure di cui all'articolo 11 in base ad una stima dei potenziali costi di dette misure. (22) Il 2Considerando della Direttiva 60/2000 recita Una buona qualit delle acque contribuir ad assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione. Il 37 Considerando recita Gli Stati membri dovrebbero designare le acque usate per la produzione di acqua potabile, garantendo il rispetto della direttiva 80/778/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, relativa alla qualit delle acque destinate al consumo umano. L'art. 7, recita che Gli Stati membri individuano: tutti i corpi idrici utilizzati per l'estrazione di acque destinate al consumo umano che forniscono in media oltre 10 m3 al giorno o servono pi di 50 persone, e, i corpi idrici destinati a tale uso futuro [...] Gli Stati membri provvedono alla necessaria protezione dei corpi idrici individuati al fine di impedire il peggioramento della loro qualit per ridurre il livello della depurazione necessaria alla produzione di acqua potabile. Gli Stati membri possono definire zone di salvaguardia per tali corpi idrici. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 261 In modo analogo, lart. 822 del Codice civile del 1942, il quale, a sua volta, statuisce che Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia e, pi di recente, la legge Galli (23) ed, ancora, il Codice dell'ambiente (24) secondo cui sono pubbliche tutte le acque superficiali e sotterranee, anche non estratte dal sottosuolo [...]. A tale orientamento normativo, sulla spinta del diritto comunitario, si sono accompagnate una serie di norme afferenti al campo della tutela dellambiente, con inevitabili riflessi anche sul versante delle competenze amministrative. Tale circostanza ha comportato linevitabile attrazione di questa materia verso lo Stato, quale livello istituzionale a cui attribuita la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dellambiente, ai sensi dellart. 117, lett. s) della Costituzione. Ne conseguita, altres, lattrazione verso il medesimo livello delle relative competenze amministrative, nonostante l'art. 118 Cost. statuisca che tali funzioni devono essere attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne lesercizio unitario, siano conferite a Province, Citt Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiariet, differenziazione ed adeguatezza. Peraltro, il principio di sussidiariet era gi stato reso operativo dalla legge n. 59/97 (25) e dal D.lgs. 112/98 (26) in forza di questi provvedimenti era stata attuata infatti una corposa e generalizzata devoluzione di competenze amministrative dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, tra cui anche molte competenze amministrative in materia di acqua. La riforma del Titolo V della Costituzione si infatti innestata in un tessuto normativo che gi aveva anticipato il favor per l'assegnazione delle funzioni amministrative in capo agli enti pi vicini all'ambito territoriale cristallizzando l'assetto federalista gi tratteggiato dal D.lgs. 112/98 ed enfatizzando il ruolo dei Comuni attribuendo agli stessi la generalit delle funzioni amministrative ex art. 118 Cost. Questo nuovo quadro normativo, fondato sul principio di sussidiariet verticale, avrebbe dovuto militare verso la generale attribuzione in capo ai Comuni delle competenze amministrative anche in materia di acqua. In realt, invece, al pari di ci che si verificato in tutti quei campi attraversati dalle cos dette materie trasversali, anche in materia di acqua si assistito allirrobustimento delle funzioni amministrative statali per lattrazione delle stesse verso il livello istituzionale destinatario delle funzioni legislative (23) Si veda l'art. 1 della legge n. 36 del 1994. (24) Si veda l'art. 144, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006. (25) Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. (26) Tale legge rubricata "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59". 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 in materia di tutela dellambiente e della concorrenza. Infatti, questo stato il destino di tutte quelle funzioni amministrative ricollegate alle dette materie trasversali giacch lart. 118 Cost. non ha operato alcuna allocazione diretta di tali funzioni amministrative, ma ha solo introdotto il principio regolatore della detta distribuzione. La giurisprudenza costituzionale, tra laltro, ha ritenuto ammissibile l'attrazione delle funzioni in argomento in capo allo Stato ogniqualvolta si rilevino esigenze unitarie di esercizio delle funzioni amministrative. In una importante sentenza della Suprema Corte si legge, infatti, che la valutazione della necessit del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente effettuata dall'organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad un livello territoriale inferiore (27). La Corte Costituzionale ha, quindi, avvallato le scelte del legislatore ordinario interpretando il principio di sussidiariet come principio mobile che giustifica l'attrazione delle competenze, legislative ed amministrative, verso il livello pi alto. Si pu quindi ben condividere quanto messo in luce da certa dottrina circa il fatto che in qualche modo stato resuscitato un parallelismo tra funzione legislativa e funzione amministrativa (28). 4.2. Le competenze amministrative statali in materia di tutela del suolo. La prospettazione delineata trova piena conferma proprio nel Codice dell'Ambiente e a riprova di ci sufficiente scorrere il testo normativo per rendersi conto del forte accentramento statale di quasi tutte le competenze amministrative in esso delineate. A tale proposito, prendendo le mosse dalla parte dedicata alle Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione (29), dove contenuta (27) Si vedano le sentenze Corte Cost. n. 303/2003 e n. 6/2004. (28) Si veda P. CARETTI, G. TARLI BARBERI, Diritto regionale, Torino, 2009. (29) Si veda al riguardo la Sezione prima della parte Terza del Codice dell'ambiente recante Norme in materia del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche. Questa sezione composta da una serie di disposizioni poste a salvaguardia del suolo sotto quei profili che interagiscono con il sistema idrogeologico e che si riconnettono a quei fenomeni non percepibili dal punto di vista fisico perch inerenti gli equilibri idrogeologici, il rischio idraulico e l'ottimizzazione degli usi della risorsa. Si tratta di interventi volti alla conservazione e recupero del suolo, alla difesa e sistemazione dei corsi d'acqua, alla moderazione delle piene, alla disciplina delle attivit estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune e nel mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, alla difesa e consolidamento dei versanti e degli abitati contro frane, valanghe e altri fenomeni di dissesto, al contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, alla protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine, alla razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, allo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica e di navigazione interna, nonch della gestione dei re- LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 263 la disciplina volta a difendere il territorio dagli effetti dannosi dellacqua sotto il profilo idrogeologico e idraulico (30), si rileva chiaramente lassoluta preferenza del livello statale. Infatti, tutte le funzioni di natura conoscitiva (art. 56), di pianificazione, di programmazione e di attuazione dei necessari interventi operativi (art. 58) (31), risultano ancorati alle competenze legislative statali, nonostante il contrario principio di sussidiariet e il formale abbandono del richiamato principio del parallelismo tra funzioni legislative e quelle amministrative (32). In realt, ci non immediatamente percepibile dalla lettura di una delle prime norme dedicate al sistema di competenze amministrative, ovvero l'art. 53, dove si legge che Alla realizzazione delle attivit previste al comma 1 concorrono, secondo le rispettive competenze, lo Stato, le regioni a statuto speciale ed ordinario, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e le comunit montane e i consorzi di bonifica e di irrigazione. Questa, infatti, una norma generica in cui si richiama esclusivamente il criterio direttivo indicato nella legge delega n. 308/2004 (33), con la quale lativi impianti, manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e conservazione dei beni; alla regolamentazione dei territori interessati dai predetti interventi ai fini della loro tutela ambientale, al riordino del vincolo idrogeologico. Le funzioni amministrative contemplate in tale ambito sono molteplici e spaziano da quelle di tipo conoscitivo (art. 56) a quelle di pianificazione, di programmazione e di attuazione dei necessari interventi operativi (art. 58) e, come si vedr, riguardano settori tra loro anche molto diversi, ci sull'evidente presupposto della sussistenza di una stretta connessione tra il crearsi di situazioni a rischio idrogeologico e il modo in cui il territorio viene utilizzato per i vari scopi, tra cui quelli connessi all'edilizia, agli usi agricoli, alla forestazione ed allo sfruttamento del patrimonio faunistico ed idrico. (30) Le norme in essa contenute si riferiscono, infatti, alla conservazione e recupero del suolo, alla difesa e sistemazione dei corsi d'acqua, alla moderazione delle piene, alla disciplina delle attivit estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune e nel mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, alla difesa e consolidamento dei versanti e degli abitati contro frane, valanghe e altri fenomeni di dissesto, al contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, alla protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine, alla razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, allo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica e di navigazione interna, nonch della gestione dei relativi impianti, manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e conservazione dei beni; alla regolamentazione dei territori interessati dai predetti interventi ai fini della loro tutela ambientale, al riordino del vincolo idrogeologico. In relazione al concetto di ambiente allargato anche a quei profili non immediatamente percepibili, quale pu essere l'equilibrio ecologico, si veda M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come diritto dell'ambiente, in www. Federalismi.it, 30; B. CARAVITA, Diritto dell'ambiente, Bologna, 2005, 22 ss. (31) La molteplicit delle funzioni si ricollega al fatto che lacqua un bene che dal punto di vista ambientale interagisce ed interferisce con il suolo su cui scorre e tale stretta connessione ha spinto il legislatore a dettare norme volte ad evitare le potenziali situazioni di rischio idrogeologico dovute al non corretto uso e sfruttamento del territorio (attivit edilizia, attivit agricola, di forestazione e di sfruttamento del patrimonio faunistico ed idrico). (32) In tal senso si veda la gi citata sentenza della Corte Costituzionale n. 4 /2004 in cui si delinea un modello nel quale la funzione amministrativa a trascinare quella legislativa. Tale considerazione tratta da P. CARETTI, G. TARLI BARBERI, Diritto regionale, Torino, 2009. (33) Precisamente nellart. 1, comma 8, 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 stato conferito al Governo il potere di redigere, tra l'altro, anche lo schema del Testo unico di cui si discorre. Il detto art. 53 nulla dice in riferimento alle specifiche funzioni attribuite a ciascun soggetto pubblico ed proprio tale silenzio, tuttavia, che rappresenta, congiuntamente all'assenza di enumerazione delle competenze attribuite ai diversi enti territoriali, come si vedr, uno dei punti di debolezza di questa riforma in punto di riparto di competenze e ci anche se alcune funzioni amministrative risultano ben dettagliate nei successivi articoli 55, 57, 58, 59, 60, 61, 62 e 63. Analogo discorso pu essere fatto in riferimento alle funzioni di tipo conoscitivo, inerenti quei compiti di raccolta e di elaborazione dei dati relativi alle condizioni generali dell'ambiente. In questo caso, non solo si rileva il mantenimento di questa funzione in capo allo Stato, ma si rilevano anche gli effetti di quel fenomeno di destrutturazione del potere pubblico a cui si gi fatto cenno poich in questo caso al Ministero dellAmbiente e del Mare (di seguito indicato anche solo come Ministero dell'Ambiente) (34) si affianca uno di quei tanti organismi operanti in materia di risorse idriche, rappresentato in questo caso dall' ISPRA (35). La primazia statale in materia di acqua spicca ancora con maggiore enfasi nel campo dei poteri pianificatori e programmatori dove si rileva il ruolo primario di alcuni organi statali e, precisamente, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa e del suolo (36) e del Ministero dell'Ambiente. In particolare, a questultimo sono assegnate "tutte le funzioni ed i compiti spettanti allo Stato" nel settore della difesa del suolo, di cui fanno parte tutte quelle attivit di carattere generale (37) che si estrinsecano nel controllo delle funzioni svolte dagli altri soggetti (38), a cui si aggiungono anche quelle di (34) Con particolare riferimento alla difesa del suolo dalle frane, dagli alluvioni e da altri fenomeni di dissesto idrogeologico. (35) L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale stato istituito dalla L. 133/2008 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 112/2008). L'ISPRA svolge le funzioni dell'ex APAT, ex ICRAM, ex INFS. (36) L'art. 57, commi 3 e 4, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nella parte in cui attribuisce al Comitato dei ministri "funzioni di alta vigilanza" (comma 3) e nella parte in cui concreta tali funzioni prevedendo la verifica della "coerenza nella fase di approvazione" degli atti di pianificazione (comma 4) stato impugnato per presunta illegittimit costituzionale da diverse Regioni. Il Giudice delle leggi, al riguardo ha stutuito che, per principio generale, la competenza in tema di funzioni di vigilanza coincide con quella relativa all'attivit oggetto di vigilanza, le disposizioni censurate non contengono alcun riferimento che possa indurre a ritenere che i compiti di vigilanza da essi attribuiti al Comitato dei ministri riguardino anche attivit rientranti nelle attribuzioni delle regioni e deve quindi ritenersi che quei compiti di vigilanza abbiano ad oggetto esclusivamente attivit di competenza statale. Cfr. Corte Cost., 23 luglio 2009, n. 232. (37) I piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-Regioni. (38) In particolare al Ministero dell'ambiente sono attribuite funzioni di programmazione, finanziamento e controllo per quanto concerne la tutela e l'utilizzazione delle acque e la tutela dell'ambiente per quanto concerne i rischi derivanti dissesti idrogeologici (frane, alluvioni, ecc.); compiti di coordi- LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 265 tipo conoscitivo (39). Il predetto Ministero svolge una copiosa attivit propositiva che sfocia nell'elaborazione di importanti atti da sottoporre all'approvazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri aventi ad oggetto, tra l'altro (40), i Piani di Bacino (41) che, come noto, costituiscono lo strumento principale per l'attuazione delle politiche in materia di difesa del suolo e di lotta alla desertificazione (42). Anche al predetto Comitato dei Ministri vengono attribuite importanti competenze che si declinano nel potere di adottare atti di indirizzo e di coordinamento delle politiche settoriali connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di Bacino. A sua volta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri riveste un ruolo centrale in quanto approva tutti gli atti adottati dai richiamati Ministero e Comitato dei Ministri ed, inoltre, deputato a fissare le politiche ambientali di dettaglio e namento ed indirizzo delle Autorit di bacino; identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio per quanto concerne la determinazione dei valori naturali ed ambientali, la difesa del suolo e l'impatto delle infrastrutture sul territorio; la determinazione dei criteri, dei metodi dei criteri e degli standard di raccolta ed elaborazione che deve osservare l'Ispra, ovvero valutazione degli effetti conseguenti all'esecuzione dei Piani, Programmi e progetti su scala nazionale. (39) Queste attivit conoscitive di fatto si estrinsecano nel pregnante controllo dell'organo esecutivo delle funzioni svolte da altri soggetti che, per parte della dottrina, si giustifica sotto il profilo della legittimit costituzionale, con la mancanza di un'autonoma capacit di previsione, ovvero con la rilevanza nazionale degli interessi in gioco. (40) Tra i diversi compiti si richiamano quelli aventi ad oggetto le deliberazioni relative alla verifica ed al controllo dei piani di bacino e dei programmi nazionali di intervento; le deliberazioni con cui vengono definiti i metodi e i criteri per lo svolgimento delle attivit conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione; gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in caso di inerzia dei soggetti preposti alla tutela del suolo; in via residuale, ogni altro atto di indirizzo e di coordinamento. (41) Il piano di bacino distrettuale (art. 65) un "piano territoriale di settore" e "strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato" e la procedura per la sua emanazione la seguente: la Conferenza istituzionale permanente (organo dell' Autorit di bacino composto da rappresentanti del Governo e delle regioni il cui territorio compreso nel distretto idrografico di cui si tratta) stabilisce indirizzi, metodi e criteri; l' Autorit di bacino redige il piano di bacino; la Conferenza istituzionale permanente lo adotta ed infine esso approvato con d.P.C.m. Il piano di gestione (art. 117) "articolazione interna del Piano di bacino distrettuale" e "piano stralcio del Piano di bacino" medesimo e la procedura per la sua emanazione la stessa del piano di bacino. Esso, dunque, si pone sullo stesso piano giuridico del piano di bacino, concerne lo stesso ambito territoriale e si distingue dal piano di bacino perch ha ad oggetto esclusivamente la tutela delle acque (e non anche del suolo). Il piano di tutela delle acque (art. 121), invece, non qualificato come piano stralcio della pianificazione di bacino, ma definito come "specifico piano di settore" e concerne il singolo bacino idrografico. La procedura per la sua emanazione la seguente: l' Autorit di bacino definisce gli obiettivi su scala di distretto; la Regione adotta il piano; questo trasmesso al Ministero dell'ambiente ed all'Autorit di bacino per le verifiche di competenza; le regioni approvano il piano. (42) A queste funzioni si aggiungono anche quelle relative alla predisposizione dello schema di programma triennale nazionale di interventi da realizzare nel Bacino idrografico, alla ripartizione degli stanziamenti tra le amministrazioni statali e regionali nonch ai poteri di vigilanza, ancorch limitati all'area di competenza statale, cos come ha precisato la Corte Costituzionale. 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 a determinare le principali attivit di programmazione e di pianificazione (43). Si tratta di poteri particolarmente incisivi in quanto volti ad approvare atti che sono in grado di vincolare tutti i successivi interventi delle altre amministrazioni. Lo Stato, peraltro, esercita ampi e pregnanti poteri amministrativi anche attraverso i diversi Enti che operano in materia di acqua, tra i quali le Autorit di Bacino (44), a cui sono attribuite rilevanti funzioni di pianificazione territoriale esercitate attraverso ladozione del Piano di bacino e i sottopiani in cui questo si articola, ovvero, il Piano di gestione delle acque (45) ed il Piano di assetto idrogeologico; in questi provvedimenti sono contenute le diverse norme riguardanti l'assetto idraulico (46), l'assetto idrogeologico (47), la gestione delle risorse idriche presenti nel bacino, la gestione delle aree di demanio idrico e la vigilanza per la tutela del demanio idrico. (43) Secondo quanto dispone l'art. 57 del Codice dell'ambiente il Presidente del Consiglio dei Ministri previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, approva con proprio decreto: a) su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: 1) le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attivit di cui agli articoli 55 e 56, nonch per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei programmi di intervento; 2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-Regioni; 3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa diffida, in caso di persistente inattivit dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione; 4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente sezione; b) su proposta del Comitato dei Ministri di cui al comma 2, il programma nazionale di intervento. (44) L'autorit di bacino un ente pubblico non economico composto da rappresentati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivit produttive, delle politiche agricole e forestali, della funzione pubblica, dei beni e attivit culturali oltre che da i Presidenti delle Regioni o delle Provincie autonome il cui territorio interessato dal distretto idrografico. Preme segnalare a tale riguardo che all'autorit di bacino nazionale istituita con la L. 183/1989 sarebbero dovute subentrare le autorit di bacino distrettuali previste dall'art. 63 del Codice dell'Ambiente. Per contro, le attribuzioni dell'Autorit di bacino nazionale sono state prorogate sino all'istituzione delle autorit di bacino distrettuale prima con il D.lgs n. 153/2006 e per ultimo con la legge 13/2009. (45) Il Piano di gestione, definito dall'art. 117 come articolazione interna del Piano di bacino distrettuale e piano stralcio del Piano di bacino medesimo viene emanato con la stessa procedura e dalle stesse autorit gi viste a proposito del piano di bacino. Esso, dunque, si pone sullo stesso piano giuridico del piano di bacino, concerne lo stesso ambito territoriale e si distingue dal piano di bacino perch ha ad oggetto esclusivamente la tutela delle acque (e non anche del suolo). Questo Piano rappresenta lo strumento operativo attraverso il quale si devono pianificare, attuare e monitorare le misure per la protezione, il risanamento e il miglioramento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e agevolare un utilizzo sostenibile delle risorse idriche. . (46) Gestione dei corsi dacqua naturali; programmazione, progettazione ed esecuzione di interventi di assetto idraulico e mitigazione del rischio idraulico; indagini, rilevazioni, monitoraggio fisico dei corpi idrici; progettazione, realizzazione e manutenzione di opere idrauliche; organizzazione delle funzioni di polizia e sorveglianza idraulica per il presidio del territorio e dei tronchi di vigilanza; servizio di piena e pronto intervento idraulico; attivit istruttoria finalizzata al rilascio di autorizzazioni, pareri idraulici e concessioni demaniali. (47) Progettazione e realizzazione di interventi di consolidamento abitati e versanti, di indagini geognostiche, di pronti interventi e di somma urgenza; Monitoraggio dei movimenti franosi, sopralluoghi ed istruttorie segnalazioni dissesti; Autorizzazione invasi con sbarramento; Attivit inerenti le perimetrazioni degli abitati da consolidare, la pianificazione territoriale, le discariche, le attivit estrattive e laggiornamento dellinventario del dissesto. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 267 Il ruolo di spicco di questa Autorit si comprende meglio se si pone mente al fatto che il Piano di bacino (48) costituisce lo strumento conoscitivo, precettivo e programmatorio di tutte le possibili opere di modifica attuabili nellambito di ciascun Bacino idrografico. Al quadro di funzioni delineate si aggiungono peraltro ulteriori competenze in materia di risorse idriche riconosciute ad altri Ministeri, tra cui il Ministero delle politiche agricole e forestali (MIPAF) (49) e il Ministero della salute (relativamente ai controlli previsti dal Testo Unico sulle leggi sanitarie n. 1265 del 1934). 4.3. Le competenze in materia di tutela delle acque. Anche l'ambito della tutela delle acque e dei corpi idrici praticamente affidato alla totale cura degli apparati amministrativi statali in quanto anche questo settore ascrivibile alla materia tutela dellambiente, al pari del precedente. Lart. 75 del Codice dellambiente ricalca, infatti, lo schema del richiamato art. 53 (50) nonch limpostazione delle norme che a questo articolo si susseguono, dove, ancora una volta, spicca il ruolo del Ministero dell'ambiente quale destinatario di molteplici compiti (51) tra i quali la fissazione di valori limite, la determinazione dei criteri su cui fondare verifiche, accertamenti, ge- (48) Si tratta di un piano territoriale con valenza precettiva considerato che dal momento della sua adozione e nelle more della sua approvazione scattano le misure di salvaguardia a cui devono attenersi tutte le eventuali modifiche dei Piani territoriali di livello inferiore, compresi i Piani urbanistici comunali. Si veda al riguardo Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3780 pronunciata in riferimento alla Legge n. 183/19 Ai sensi dell'art. 17, l. 18 maggio 1989 n. 183 il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato; di conseguenza per loro natura le norme del piano di bacino e quelle connesse alla tutela dell'assetto idrogeologico del territorio hanno propria complessiva ed autonoma rilevanza ai fini della pianificazione del territorio (ad esempio per l'identificazione della fascia di rispetto di tutti i corsi d'acqua), della quale costituiscono un prius logico e funzionale. (49) Elabora e coordina le linee politiche agricole forestali agro-alimentari e per la pesca a livello nazionale, europeo e internazionale. In particolare, il MIPAF tramite la direzione generale per le politiche strutturali e lo sviluppo rurale svolge compiti di disciplina generale e coordinamento nazionale in materia di grandi reti infrastrutturali di irrigazioni dichiarate di rilevanza nazionale ed ha inoltre compiti in materia di interventi straordinari nel Mezzogiorno. Inoltre, gli istituti di ricerca e sperimentazione del Ministero hanno competenze tecnico-scientifiche nel settore delle risorse idriche. (50) Questa norma dispone che a) lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute; b) le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali. (51) Si registra, invece, uno scarso potere di tipo pianificatorio anche se, come si vedr, all'organo amministrativo statale riconosciuto un potere consuntivo vincolante esercitato sul Piano di tutela delle acque, infatti, bench venga adottato ed approvato dalle Regioni la sua approvazione risulta subordinata all'ottenimento del parere vincolante ed obbligatorio dell'Autorit di Bacino, ex art. 121 del Codice dellambiente. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 stioni (52) a cui si aggiunge, peraltro, anche un certo potere autorizzatorio (53). 4.4. Le competenze in materia di Servizio idrico integrato. Un discorso a parte merita la gestione delle risorse idriche, dove rilevano diverse questioni, tra le quali spiccano quelle concernenti le forme di gestione e le relative modalit di affidamento di questo peculiare servizio pubblico. La questione assai complessa, tuttavia, in questa sede occorre quanto- (52) I relativi interventi hanno ad oggetto la fissazione dei valori limite di emissione delle sostanze e degli agenti inquinanti, la definizione degli obiettivi minimi di qualit dei corpi idrici superficiali e sotterranei e individuazione delle misure volte alla prevenzione e riduzione dellinquinamento e al risanamento degli stessi, il rilevamento dello stato dei corpi idrici, dei livelli di inquinamento e individuazione delle infrastrutture per attivit di disinquinamento; la definizione e limplementazione delle azioni di contrasto allinquinamento delle acque superficiali anche al fine di individuare e promuovere le migliori tecnologie disponibili; la definizione di criteri generali e di metodologie volte al campionamento, alla misurazione, allanalisi, al controllo delle acque, del relativo biota e dei sedimenti; la determinazione dei criteri metodologici generali per la formazione e laggiornamento dei catasti degli scarichi e degli elenchi delle acque e delle sostanze pericolose; la fissazione di criteri di indirizzo e coordinamento per il monitoraggio della qualit dei corpi idrici; individuazione di criteri e indirizzi per la gestione delle aree di pertinenza dei corpi idrici; la definizione delle modalit tecniche generali, delle condizioni e dei limiti di utilizzo di prodotti, di sostanze e dei materiali pericolosi, nonch laggiornamento dellelenco delle sostanze nocive che non possono essere scaricate nei corpi idrici; lelaborazione di norme tecniche generali per la regolamentazione del riutilizzo delle acque reflue, delle attivit di smaltimento di liquami e fanghi, la determinazione dei criteri metodologici per lacquisizione e la elaborazione di dati conoscitivi e per la predisposizione e lattuazione dei piani di risanamento delle acque da parte delle regioni; lelaborazione delle informazioni sulla qualit delle acque destinate alluso umano; lorganizzazione dei dati conoscitivi relativi allo scarico delle sostanze pericolose; la definizione di criteri e indirizzi per la gestione degli invasi artificiali ai fini della salvaguardia della qualit dellacqua invasata e della tutela del corpo ricettore; lindividuazione e aggiornamento dei criteri di identificazione delle aree che necessitano di specifiche misure di prevenzione dallinquinamento e di risanamento, con particolare riferimento alla laguna di Venezia e al suo bacino scolante, alle aree sensibili, zone vulnerabili e aree di salvaguardia, nonch definizione di indicazioni e misure per la predisposizione dei relativi programmi dazione da parte delle regioni. Lesercizio delle funzioni in materia di programmazione, a scala di bacino, delle azioni per il ripristino e la tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei e per la razionale utilizzazione delle risorse idriche; il censimento e monitoraggio delle risorse idriche, nonch individuazione di linee direttive sulla gestione del demanio idrico; la definizione dei criteri generali in materia di derivazioni di acqua, nonch svolgimento delle attivit di competenza relative ai trasferimenti dacqua che interessino il territorio di pi regioni e pi distretti idrografici e delle attivit connesse al rilascio di concessioni di grandi derivazioni per i vari usi di competenza statale, derivazioni da fiumi internazionali e sovra canoni da bacini imbriferi montani; lelaborazione delle linee di programmazione degli usi plurimi delle risorse idriche e delle linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino; Individuazione di metodi e regole per la determinazione del minimo deflusso vitale; lelaborazione delle linee guida per lindividuazione delle aree a rischio di crisi idrica; la definizione dei criteri ed indirizzi per la gestione dei servizi di approvvigionamento, captazione ed accumulo delle acque per gli usi produttivi; lelaborazione delle direttive per il censimento delle risorse idriche e per la disciplina delleconomia idrica; la definizione ed aggiornamento dei criteri e dei metodi per il conseguimento del risparmio idrico attraverso il mantenimento e il recupero delle capacit dinvaso e il riutilizzo delle acque reflue; il monitoraggio dei documenti di pianificazione in materia di tutela delle acque e di gestione integrata delle risorse idriche e verifica della congruenza con gli esistenti strumenti di pianificazione. (53) Il riferimento alle autorizzazioni in materia di immersioni e scarichi in mare, nonch in materia di movimentazione dei fondali marini. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 269 meno soffermarsi sui tratti essenziali del dibattito che si sviluppato intorno al Servizio idrico integrato prendendo le mosse dall'evoluzione della disciplina normativa (54). Al riguardo, deve essere richiamato l'art. 150 (55) del d.lgs. n. 152 del 2006 dove, previa graduazione tra i modelli di gestione previsti nell'art. 113 del Testo Unico delle leggi sullordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), si afferma la preferenza per laffidamento del servizio in concessione a societ di capitali. La richiamata norma del Testo unico degli enti locali, riferita ai modelli di gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica, tra i quali compreso il servizio idrico, originariamente contemplava la possibilit per le amministrazioni locali di scegliere tra diverse forme di gestione e, pi precisamente, tra la gestione in economia, la concessione a terzi e l'affidamento diretto ad azienda speciale o a societ per azioni a prevalente capitale pubblico. Tuttavia, sin dal 2001, la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica inizi ad essere guidata da logiche imprenditoriali tanto che, come si vedr, il legislatore nel 2008 giunse ad imporne l'esternalizzazione, salvo alcune eccezioni. Questo percorso prese avvio con quelle norme (56) che imposero agli Enti locali di trasformare le aziende speciali in societ di capitale e a scorporare la gestione del servizio da quella delle reti e le infrastrutture, a cui hanno fatto seguito una serie di norme via via sempre pi orientate ad imporre lesternalizzazione del servizio. Infatti, il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, modificava nuovamente il richiamato art. 113 del Testo Unico, contraendo i modelli gestori a sole tre tipologie (57). Ancora, in riferimento a tutti i servizi pubblici a rilevanza economica, a (54) Sullevoluzione della disciplina dei servizi idrici integrati, si veda J. BERCELLI, Servizi idrici, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, VI 5513 ss; A. MASSARUTO, Privati dellacqua? Tra bene comune e mercato, Bologna, 2011, 50 ss; P. RUBINO, I Servizi idrici: una riforma incompiuta, in Leccezione e la regola, Tariffe, contratti e infrastrutture, a cura di Biancardi, Bologna, 2009, 485 ss. (55) Il comma 3 dell'art. 150 prevede che La gestione pu essere altres affidata a societ partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a societ solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purch il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalit di cui al comma 2. (56) Si veda al riguardo, lart. 35, cc. 8 e 9, legge 28 dicembre 2001, n. 448. (57) Concessione a societ di capitali scelta attraverso procedura concorsuale (lett. a); societ mista pubblica-privata, con scelta del socio privato attraverso gara (lett. b); societ in house - societ a totale capitale pubblico, che nella sua ragione sociale abbia lo svolgimento prevalente delle sue attivit a favore degli enti pubblici soci. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 breve distanza di tempo, intervenne l'art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (58), che impose agli enti locali la scelta tra due soli modelli gestori: la concessione a imprese individuate con procedura concorsuale, oppure laffidamento a societ miste, previo svolgimento della gara per la scelta del socio privato. L'in house providing divenne, invece, una soluzione recessiva. Tuttavia, in riferimento al SII, il legislatore aveva lasciato aperta la via della gestione diretta da attuarsi attraverso lapparato organizzativo dello stesso soggetto pubblico, secondo quanto previsto nel Regolamento di attuazione dell'art. 23 bis (59). Tuttavia, innegabile che con l'art. 23 bis si era introdotta la regola generale dellaffidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in favore di imprenditori privati, con evidenti ricadute negative sul potere degli enti locali di scegliere liberamente le forme di gestione ritenute pi idonee. Ne conseguita una lunga serie di ricorsi proposti da diverse Regioni davanti alla Corte Costituzionale aventi ad oggetto proprio la dichiarazione di incostituzionalit dellart. 23 bis per violazione del riparto di competenza legislativa in quanto si riteneva che la detta norma disciplinasse profili normativi che secondo il riparto di competenza legislativa delineato dall'art. 117 Cost., cos come rimodulato a seguito della gi richiamata riforma del titolo V, sarebbero dovuti appartenere alla competenza legislativa residuale delle regioni: la materia dei servizi pubblici non risulta, infatti, contenuta nell'elenco di materie spettanti alla competenza esclusiva statale e non rientra nemmeno in quello relativo alla potest residuale delle regioni. Tuttavia, la Suprema Corte, con la sentenza n. 325/10 ne ha dichiarato la piena legittimit costituzionale di questa norma riconoscendo al legislatore statale la possibilit di vietare di regola la gestione diretta dei servizi pubblici a rilevanza economica in nome del principio di tutela della concorrenza. Il Giudice delle Leggi ha considerato, infatti, pro concorrenza anche quelle norme poste a presidio della concorrenza per il mercato, ovvero quelle misure (58) Questo articolo stato convertito nella legge di conversione 6 agosto 2008, n. 113, poi modificato dallart. 15 d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 2009, n. 166. (59) L'art. 4 del D.P.R. ammetteva l'affidamento in deroga alle modalit ordinarie previa dimostrazione della sussistenza di situazioni eccezionali che non consentivano un efficace ed utile ricorso al mercato, peraltro da motivare in base ad un'analisi di mercato che in materia di SII risultava alleggerita dal pi snello regime probatorio. Ad esempio non era richiesta l'indagine di mercato e non era richiesta la dimostrazione di una prova negativa circa la non sussistenza di condizioni di mercato che consentivano la liberalizzazione, e poi perch fornisce i criteri su cui fondare la dimostrazione delle condizioni di efficienza che stanno alla base della richiesta di deroga inoltrata dall'Ente pubblico. L'ente avrebbe dovuto comunque dimostrare che la gestione in house non era distorsiva della concorrenza e che non era svantaggiosa per i cittadini rispetto a modalit alternative di gestione. In un certo qual modo, il legislatore limita quindi anche la discrezionalit dell'Autorit garante che autorizza la deroga, circoscrivendo l'ambito di verifica alla sussistenza di alcuni parametri fissati dallo stesso legislatore, in particolare: Al riguardo, si veda, M. A. SANDULLI, Il Servizio idrico integrato, in www.federalismi.it. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 271 indirette volte a porre le premesse per l'applicazione di quell'altra serie di regole relative all'affidamento mediante gara (concorrenza nel mercato) (60). L'acceso dibattito (61) che si sviluppato intorno all'art. 23 bis ha portato all'indizione di un referendum popolare che ha determinato l'abrogazione del detto articolo (62) oltre che del comma 2, dellart. 150 del Codice dell'ambiente, nella parte in cui individua la competenza dell'Autorit d'ambito per l'affidamento e l'aggiudicazione (63), nonch dell'art. 154. Il legislatore, tenendo conto dell'esito referendario ha novellato la disciplina in materia di servizi pubblici locali dettando, con lart. 4 del d.l. n. 138 del 2011 (conv. dalla l. n. 148 del 2011) modificato dallart. 9 dalla l. n. 183 del 2011 e dallart. 25 del d.l. n. 1 del 2012, successivamente convertito in legge n. 27/2012, una disciplina di carattere generale che ha sostanzialmente riproposto i contenuti dell'abrogato art. 23-bis e, soprattutto, dal d.p.r. n. 168/2010 (Regolamento attuativo), facendo cos rivivere norme che erano state abrogate con il predetto referendum anche se il servizio idrico integrato era stato escluso (fatte salve alcune disposizioni che qui non rilevano) dallambito di applicazione della nuova disciplina dei SPL recata dalla predetta disciplina. Tuttavia, a seguito di ulteriori impugnazione da parte di diverse Regioni anche delle predette norme, la Corte costituzionale con sentenza n. 199/2012 ha dichiarato lillegittimit costituzionale della richiamata disciplina in quanto ha riscontrato la sostanziale reiterazione della disciplina abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011, e ci a prescindere dal fatto che la predetta disciplina avesse escluso il servizio idrico integrato. Ad ogni buon conto, bisogna tenere conto che questo servizio ancora costruito dalla normativa statale come un servizio pubblico a rilevanza economica, considerata la vigenza del 1 comma dellart. 154 del Codice dellAmbiente ove ancora stabilito che La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato e che tutte le quote della tariffa hanno natura di corrispettivo. (60) Si veda al riguardo, M. A. SANDULLI, Il paternariato pubblico privato istituzionalizzato nell'evoluzione normativa, in www.federalismi.it. (61) Al riguardo si sono sviluppati due diversi orientamenti caratterizzati non solo dal diverso atteggiarsi dello Stato rispetto all'intervento diretto nel campo della produzione di beni e servizi, ma anche dal diverso rapporto tra amministrazione e amministrati sotteso ai due differenti profili ricostruttivi, giacch al binomio amministrazione-cittadino, tipico delle gestioni in mano pubblica, si sostituisce quello imprenditore-utente delle gestioni affidate alla sfera del privato. (62) La disciplina generale dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica, contenuta nellart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (conv. dalla l. n. 133/2008) modif. dallart. 15 del d.l. n. 135 del 2009 (conv. dalla l. n. 166/2009), stata abrogata (con il d.p.r. n. 113/2011) a seguito del referendum popolare svoltosi il 12 e 13 giugno 2011. In via derivata, risulta, altres, abrogato il d.p.r. n. 168 del 2010, che costituiva il regolamento di attuazione del citato art. 23-bis. (63) A norma dell'articolo 12, comma 1, lettera b), del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168, il presente comma deve intendersi abrogato, ad eccezione della parte in cui individua la competenza dell'Autorit d'ambito per l'affidamento e l'aggiudicazione. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Si tratta, infatti, di un servizio che, cos come prescrive la disciplina comunitaria, deve comunque assicurare la copertura dei costi di gestione e degli investimenti necessari allammodernamento delle reti al fine della conservazione della risorsa idrica e, quindi, i relativi affidamenti devono rispettare quantomeno le norme generali in materia di affidamenti statuite a livello comunitario. Anche se occorre osservare che la prescrizione comunitaria non deve essere declinata nellobbligo di esternalizzare il servizio e, tantomeno, nellobbligo di conseguire profitti dalla gestione del servizio (65): del resto, tutte le amministrazioni pubbliche devono tendere al pareggio di bilancio e non per questo pu affermarsi che si tratta di soggetti che svolgono attivit a rilevanza economica. Infatti, non sussistano ostacoli alla gestione totalmente pubblica di questo servizio n a livello nazionale n a livello comunitario (66) e ci sia in forza del Codice dell'Ambiente che della vigente disciplina comunitaria (67). A tale riguardo, preme, infatti, osservare che le fonti comunitarie non esigono n promuovono la concorrenza per il mercato e neppure dettano norme intese a promuovere tale rinuncia (68). Il diritto comunitario non limita cio la possibilit per l'ente pubblico di svolgere attivit economiche per mezzo di un'organizzazione propria, pertanto, il generalizzato divieto per l'ente locale di fornire i servizi pubblici economici per mezzo dell'organizzazione propria , solo ed esclusivamente, il prodotto di una scelta del legislatore nazionale, una scelta di carattere politico dettata dallo sfavore per l'ente locale come operatore economico. Questa interpretazione trova, peraltro, supporto anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia pronunciata in tema di in house providing con la quale si chiarisce che il principio di concorrenza deve essere osservato esclusivamente quando un servizio deve essere esternalizzato (69). Ad ogni modo, il dibattito sulle forme di gestione del Servizio idrico integrato non si ancora sopito ed ancora oggi vede divisi coloro che tendono (65) Cfr., F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, in www.astrid-online.it. (66) F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, cit. (67) Infatti, bisogna tenere conto che questo servizio ancora costruito dalla normativa statale come un servizio pubblico a rilevanza economica considerata la vigenza del 1 comma dellart. 154 del Codice dellAmbiente ove ancora stabilito che La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato e che tutte le quote della tariffa hanno natura di corrispettivo. Si tratta, infatti, di un servizio che, ancora oggi, deve assicurare la copertura dei costi di gestione e degli investimenti necessari allammodernamento delle reti al fine della conservazione della risorsa idrica. (68) Si veda al riguardo F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, cit., secondo cui l'apertura del mercato degli appalti o delle concessioni, infatti, prescritta dal diritto comunitario quando l'amministrazione intende avvalersi dell'opera di terzi, ma non c' alcun mercato che debba essere aperto se l'amministrazione si avvale dei mezzi propri. Questo principio, quindi, non esige che si crei un mercato del contratto, a scapito della libert dell'ente pubblico di rendersi produttore del servizio. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 273 a valorizzare la gestione pubblica dell'acqua (70), ritenendo che solo in questo modo potr garantirsi il diritto fondamentale all'acqua, rispetto a quelli che ritengono necessaria l'esternalizzazione della gestione al fine di raggiungere una maggiore efficienza prodotta dalla concorrenza. Orbene, la breve illustrazione delle fibrillanti questioni che ruotano intorno al tema della gestione e dell'affidamento del servizio idrico, consente ora di soffermarsi sul quadro delle competenze amministrative, cos come risulta delineato nella vigente disciplina. A tale riguardo, come gi in parte si messo in luce, anche in questo campo si registra lo stesso fenomeno che si registrato in riferimento agli ambiti di cui ai punti precedenti e cio lattrazione verso lo Stato di quelle funzioni tradizionalmente spettanti agli enti locali. In punto di competenze amministrative l'art. 142 del Codice dell'ambiente riecheggia lo schema delineato nei richiamati artt. 61 e 75 del Codice; in esso si legge, infatti, che " il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate dalla presente sezione. Le regioni esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate (69) Una conferma in tal senso si rinviene nella sentenza della Corte di Giustizia nel caso C- 231/07, punti 39-40 e 53 che, in riferimento all'art. 113, comma 5, relativo all'affidamento diretto della gestione dei servizi pubblici a societ cd in house, ha affermato la legittimit di questa disposizione. Ed ancora nella decisione, sempre della Corte di giustizia del 9 giugno 2009 relativa alla causa C-480/06 che ha ammesso che unautorit pubblica pu adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entit esterne non appartenenti ai propri servizi e che pu farlo altres in collaborazione con altre autorit pubbliche anche considerato che il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorit pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico. (70) Circa la qualificazione del diritto all'acqua come diritto fondamentale preme precisare che l'acqua non compare nel catalogo dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti dalla nostra carta costituzionale; che tale diritto non risulta enucleato in nessuna carta costituzionale europea e nemmeno nella pi recente Carta dei diritti fondamentali europei, varata a Nizza e ora codificata nel Trattato di Lisbona; che la Corte Costituzionale qualifica l'acqua come diritto strumentale ad altri diritti. Nella sentenza n. 259 del 2006 l'acqua viene definita come risorsa da salvaguardare a tutela di altri diritti fondamentali come la tutela del patrimonio ambientale. Anche se bisogna sottolineare che certa dottrina, nel silenzio della Costituzione ricostruisce il diritto all'acqua facendo riferimento a quelle norme costituzionali, cos dette a fattispecie aperta, tra cui lart. 2 sui diritti inviolabili delluomo; lart. 3 sulla dignit sociale; lart. 9 sulla tutela del paesaggio; lart. 33 sulla tutela della salute come fondamentale diritto dellindividuo e interesse della collettivit; (Frosini, Luciani, Staiano). A tale riguardo, occorre sottolineare che, proprio in riferimento al SII, il Consiglio di Stato con una sentenza non pi recentissima, la n. 5501/09, ha affermato che l'utente-consumatore legittimato ad agire anche nei confronti della pubblica amministrazione per vedere tutelato il proprio diritto fondamentale all'erogazione di servizi pubblici secondo determinati standard e qualit. Ad ogni buon conto, se in Italia e nelle altre carte costituzionali europee non trova esplicito riconoscimento il diritto all'acqua come diritto fondamentale, al contrario tale diritto fondamentale esplicitamente riconosciuto in alcune costituzioni dell'America Latina: Bolivia, Equador, Guatemala, Panama, Messico. Forse la ragione di questa scelta trova le sue ragioni nel fatto che la natura fondamentale di un diritto obbliga ad apprestare garanzie di effettivit e di giustiziabilit. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 e nel rispetto delle attribuzioni statali di cui al comma 1, ed in particolare provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio. Gli enti locali, attraverso l'Autorit d'ambito di cui all'articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto. Ma anche in questo caso i principi generali qui richiamati trovano riscontro nelle norme seguenti. A tale proposito sufficiente richiamare l'art. 148 del Codice dove si attribuiva alle Autorit d'ambito le competenze spettanti agli enti locali in materia di SII. In realt, le Autorit d'Ambito sono state soppresse (71), ma il richiamo a questi organismi comunque utile per ricevere conferma del disegno centralista tratteggiato dal legislatore del Codice. Infatti, tali organismi erano strutture dotate di personalit giuridica, costituite in ciascun ambito territoriale ottimale, alla quale gli enti locali dovevano partecipare obbligatoriamente (72) ed alle quali era stato trasferito l'esercizio delle competenze spettanti agli Enti locali in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1. A questi enti era demandata, tra l'altro, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato nonch l'esercizio delle funzioni di regolazione generale e di controllo. La ratio dell'art. 148 era, infatti, quella di rendere unitaria la gestione del SII, nell'ottica di garantire una maggiore efficienza (73). A seguito della soppressione delle dette Autorit le relative funzioni sono transitate sul livello regionale e ci, pur non comportando lautomatica riespansione dei poteri degli enti locali in materia di SII, potrebbe, tuttavia, riaprire la via ad una possibile, ancorch ipotetica, riedizione dei poteri locali nel campo dei SII. In realt, la novella normativa nulla dice circa i possibili soggetti a cui le Regioni potranno attribuire queste funzioni, ma ci non esclude possibili soluzioni volte a valorizzare il livello territoriale anche attraverso forme di collaborazione tra enti locali e ci a prescindere dal fatto che il detto servizio risulti tuttora ascritto nellambito dei servizi pubblici a rilevanza economica. Ad ogni buon conto, molte Regioni non hanno ancora provveduto al tra- (71) Le autorit d'Ambito sono state soppresse dall'articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, come modificato dall'articolo 1, comma 1-quinquies, del D.L. 25 gennaio 2010, n. 2. (72) Con esclusione dei comuni con meno di 1000 abitanti ai sensi dellart. 148, comma 5 del Codice dellambiente. (73) Si veda al riguardo Corte cost. n. 246/09. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 275 sferimento delle funzioni e quelle che hanno provveduto, come nel caso della Regione Lombardia, le hanno attribuite alle Province, con esclusione dell'Ambito territoriale relativo alla citt di Milano, per il quale tali funzioni sono attribuite allo stesso Comune di Milano (74). La soluzione di trasferire alle Province tali funzioni solleva qualche perplessit innanzitutto per il progetto politico volto ad abolire il livello provinciale o comunque a rimodularlo secondo logiche territoriali che potrebbero non corrispondere a quelle sottese alla determinazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione delle risorse idriche, ferma restando la possibilit di creare forme associative tra enti disciplinate da accordi sottoscritti ai sensi dellart. 15 della l. 241/90. La giurisprudenza costituzionale non pare, infatti, escludere la possibilit per le Regioni di spostare sugli Enti locali le funzioni amministrative ad esse attribuite con legge statale, salvo sempre il rispetto delle esigenze di gestione unitaria (75). 5. I problemi legati allesternalizzazione del Servizio idrico integrato: le funzioni di regolazione, di vigilanza, di controllo e di garanzia. Il progressivo processo di privatizzazione che ha interessato il settore dei SII ha fatto emergere un altro problema, che quello afferente ai problemi di regolazione, di controllo e di vigilanza di un servizio pubblico essenziale, quale quello in questione, sempre pi destinato ad occupare nuovi spazi nel libero mercato. La riconosciuta rilevanza economica di questo servizio e il correlato favour per la sua esternalizzazione pongono infatti il problema di creare le condizioni di mercato per consentire il passaggio di questo servizio dal monopolio pubblico al mercato concorrenziale. Le funzioni di regolatore del mercato dei Servizi idrici integrati, nella originaria stesura del Codice dell'ambiente erano attribuiti ad un soggetto, ormai soppresso, rappresentato dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche. A questo organo, che era stato istituito presso il Ministero dellambiente succeduta la "Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, istituita dalla Legge n. 77 del 24 giugno 2009 con le medesime funzioni del soppresso Comitato (76). (74) Si veda la legge regionale n. 26/2003 cos come modificata a seguito della Legge nazionale che ha previsto la soppressione delle Ato. (75) Si veda al riguardo, P. CARETTI - G. TARLI BARBERI, cit., 231. In giurisprudenza Corte Cost. nn. 259/2004; 214/2005. (76) In realt, il ruolo della Commissione, nonostante lampliamento delle funzioni rispetto a quelle assegnate al Comitato per la vigilanza sulluso delle risorse idriche, rimase incentrato in quello di valutazione dei Piani dambito. A tale proposito si veda, M. ATELLI, La qualit del servizio idrico integrato e la sua misurabilit: il ruolo del Co.n.vi.Ri, in Lacqua, 2011, 2, 9 ss. 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Anche questa Commissione stata soppressa e ad essa succeduta l'Agenzia per la regolazione e la vigilanza (77). Tale Organismo, tuttavia, non mai entrata in funzione, ed a pochi mesi dalla sua istituzione le relative funzioni sono state trasferite alla Autorit per l'energia ed il gas (78). Le predette funzioni ora, quindi, verranno esercitate da una Autorit caratterizzata da forte indipendenza, sia sotto il profilo funzionale che sotto quello organizzativo, giacch opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio nel quadro degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo e dal Parlamento (79). L'Autorit, tra laltro, autonoma anche finanziariamente, infatti, per legge le risorse per il suo funzionamento non provengono dal bilancio dello Stato ma da un contributo sui ricavi degli operatori regolati. Al fine di conoscere il completo fascio di funzioni che verranno attribuite allAutorit, occorrer comunque attendere i Decreti attuativi che la Presidenza dei Ministri avrebbe dovuto emanare entro 90 giorni dall'entrata in vigore del predetto D.L. 201/2011. In realt, al momento stata emanata dal Consiglio dei Ministri solo una bozza Decreto da cui gi emerge che le funzioni ad essa attribuite rispecchiano in gran parte quelle che l'art. 11, comma 14, del D.L. 70/2011 aveva attribuito alla soppressa Agenzia (80). Si tratta di quelle fun- (77) L'Agenzia stata istituita con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70 il cui ruolo si caratterizzava per i forti poteri di regolamentazione e di vigilanza che, almeno sulla carta, gli erano stati attribuiti, tra cui la regolazione dei criteri tariffari - fino ad allora di competenza del ministero dell'Ambiente -, il potere di determinare gli standard di qualit nell'erogazione dei servizi agli utenti nonch il potere di stabilire l'indennizzo dovuto nei casi di violazione degli standard qualitativi definiti. Questi poteri, naturalmente, avevano arricchito il quadro dei poteri gi esercitati dal soppresso ente, tra cui, la predisposizione del metodo tariffario, il potere prescrittivo e conformativo relativo ai piani d'ambito, il potere di predisporre le convenzioni tipo per l'affidamento del servizio, il potere di dettare direttive circa le regole di trasparenza da osservare nella elaborazione del quadro contabile, il potere di definire i livelli minimi di qualit dei servizi, il potere di controllo delle modalit di erogazione dei servizi e tutela e garanzia dei diritti degli utenti. In dottrina si veda. G. NAPOLITANO, Lagenzia per lacqua, in Gior. Dir. Amm., 10, 2011, 1077 ss. (78) Il detto trasferimento contemplato nell'ambito degli interventi di riduzione dei costi di funzionamento delle Autorit indipendenti previsti dal decreto 6 dicembre 2011, n. 201, il c.d. Decreto Monti. (79) L'indipendenza e l'autonomia sono garantite, peraltro, anche dalle modalit di nomina dei propri componenti, complessivamente cinque, nominati con decreto del Presidente della Repubblica con una procedura che prevede il parere vincolante, a maggioranza dei 2/3 dei membri delle Commissioni parlamentari competenti sui nomi proposti dal Ministro dello Sviluppo economico e approvati dal Consiglio dei ministri. Questa procedura garantisce un altissimo quorum di gradimento parlamentare, di fatto bipartisan. (80) L'Agenzia svolge, con indipendenza di valutazione e di giudizio, le seguenti funzioni: a) definisce i livelli minimi di qualit del servizio, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori, e vigila sulle modalit della sua erogazione, esercitando, allo scopo, poteri di acquisizione di documenti, accesso e ispezione, comminando, in caso di inosservanza, in tutto o in parte, dei propri provvedimenti, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo ad euro 50.000 e non superiori nel massimo a euro 10.000.000 e, in caso di reiterazione delle violazioni, qualora ci non comprometta la fruibilit del servizio da parte degli utenti, proponendo al soggetto affidante la sospensione o la decadenza della concessione; determina altres obblighi di indennizzo automatico in favore degli utenti in caso di viola- LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 277 zioni attinenti alla predisposizione del metodo tariffario, alla predisposizione di convenzioni tipo regolanti i rapporti con i soggetti gestori e alla redazione delle direttive contenenti indicazioni volte a rendere trasparenti le gestioni. A tale compiti si affiancano, altres, quelli di controllo, tra cui la verifica delladeguatezza degli investimenti programmati nei Piani dambito, la valutazione dei costi delle singole prestazioni, le modalit di erogazione dei servizi e la verifica della sussistenza dellequilibrio economico finanziario delle gestioni. Lautorit anche investita di compiti di garanzia nei confronti dei soggetti fruitori del servizio ed in tale direzione pu adottare linee guida contenenti misure idonee ad assicurare la parit di trattamento dei consumatori, la garanzia di continuit della prestazione dei servizi, la qualit e lefficacia delle prestazioni, le azioni di risarcimento danni in caso di lesione degli interessi degli utenti. In tale direzione, sono previsti pregnanti poteri di regolazione, di controllo, di vigilanza e sanzionatori, peraltro, esercitati dallAutorit con gli stesi poteri ad essa conferiti dalla legge istitutiva della stessa, ovvero dalla legge n. 481/1995. Dalla lettura del predetto schema pu quindi gi rilevarsi lincisivit dei zione dei medesimi provvedimenti; b) predispone una o pi convenzioni tipo di cui all'articolo 151 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; c) definisce, tenuto conto della necessit di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua; d) predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformit ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinch' sia pienamente realizzato il principio del recupero dei costi ed il principio "chi inquina paga", e con esclusione di ogni onere derivante dal funzionamento dell'Agenzia; fissa, altres, le relative modalit di revisione periodica, vigilando sull'applicazione delle tariffe, e, nel caso di inutile decorso dei termini previsti dalla legge per l'adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle autorit al riguardo competenti, come individuate dalla legislazione regionale in conformit a linee guida approvate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previa intesa con la Conferenza unificata, provvede nell'esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all'autorit competente ad adempiere entro il termine di venti giorni; e) approva le tariffe predisposte dalle autorit competenti; f) verifica la corretta redazione del piano d'ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e impartendo, a pena d'inefficacia, prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessit di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorit d'ambito territoriale ottimale e i gestori del servizio idrico integrato; g) emana direttive per la trasparenza della contabilit delle gestioni e valuta i costi delle singole prestazioni, definendo indici di valutazione anche su base comparativa della efficienza e della economicit delle gestioni a fronte dei servizi resi; h) esprime pareri in materia di servizio idrico integrato su richiesta del Governo, delle regioni, degli enti locali, delle Autorit d'ambito, dei gestori e delle associazioni dei consumatori, tutela i diritti degli utenti anche valutando reclami, istanze e segnalazioni in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio, nei confronti dei quali pu intervenire con i provvedimenti di cui alla lettera a); i) pu formulare proposte di revisione della disciplina vigente, segnalandone altres i casi di grave inosservanza e di non corretta applicazione; l) predispone annualmente una relazione sull'attivit svolta, con particolare riferimento allo stato e alle condizioni di erogazione dei servizi idrici e all'andamento delle entrate in applicazione dei meccanismi di autofinanziamento, che trasmessa al Parlamento e al Governo entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce. 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 poteri esercitati dallAutorit nei confronti dei soggetti coinvolti nellambito della gestione della risorsa idrica, sia alla luce di quelli contenuti nello schema di Decreto, sia in considerazione dei recenti arresti giurisprudenziali che gi avevano riconosciuto ampi poteri conformativi al soppresso soggetto regolatore. A tale proposito, una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (81) ha dichiarato, infatti, legittimo un provvedimento adottato dall'allora operante Conviri con cui si imponeva ad un'Autorit d'ambito territoriale ottimale (AA.TT.OO.) il recupero di somme indebitamente corrisposte al gestore del servizio idrico integrato per servizi accessori (82). Ed, ancora, un'altra sentenza dello stesso Giudice amministrativo (83), ha riconosciuto la competenza del soggetto regolatore a dettare le tariffe anche nei confronti di quelle gestioni estranee al sistema del SII, che sino ad ora applicavano il regime tariffario stabilito con delibera del CIPE (84). Non resta ora che attendere gli effetti delle azioni che verranno intraprese dallAutorit in questione. (81) Si veda al riguardo, Consiglio di Stato, sez. VI, 27 ottobre 2011, n. 5788, secondo cui Non essendo le autorit d'ambito qualificabili come organismi esponenziali delle autonomie locali, (...) ma essendo gli stessi muniti di personalit giuridica distinta dagli enti locali compresi nel relativo territorio e titolari di autonomi rapporti giuridici senza l'intermediazione degli enti locali che ne fanno parte, l'incidenza degli atti del CO.VI.R.I., posti in essere nell'esercizio dei poteri di controllo e di vigilanza sull'operato delle Autorit d'ambito, sul correlativo assetto regolatorio e tariffario non integra alcuna lesione n delle autonomie locali collegate al principio rappresentativo n delle competenze assegnate agli enti territoriali locali. () l'espressa previsione normativa della facolt del CO.VI.R.I. di impartire prescrizioni "sulla necessit di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le Autorit d'ambito e i gestori in particolare quando ci sia richiesto dalle ragionevoli esigenze degli utenti", vale a legittimare appieno, sotto un profilo di legalit/tipicit/nominativit dei provvedimenti amministrativi, il contenuto dispositivo della gravata delibera, contenente l'ordine, rivolto all'A.A.T.O. n. 3 Medio Valdarno, di recuperare la somma in via transattiva riconosciuta a Publiacqua s.p.a..(). Tale prescrizione comporta per necessit logico-giuridica la revisione del piano nella parte in cui prevedeva l'aumento della tariffa in misura rispondente al correlativo importo, senza che vi si possa scorgere un'illegittima e non consentita ingerenza dell'autorit di controllo/vigilanza nella predisposizione del piano d'ambito. (82) Il Giudice di secondo grado, prendendo le mosse da quella previsione normativa che riconosceva al Conviri il potere di esercitare la vigilanza anche sulle clausole contrattuali che regolano i rapporti fra affidatario del servizio e gestore ha ritenuto ingiustificabile lattribuzione a favore del gestore di un importo che poi sarebbe stato recuperato attraverso le tariffe da applicare all'utenza, poich detto vantaggio patrimoniale rappresentava un margine di guadagno eccedente il corrispettivo del servizio, cos come doveva essere determinato secondo il con il c.d. metodo normalizzato. (83) Al riguardo, si veda, Tar Lazio con sentenza sez. I 14 febbraio 2012 n. 1437. (84) Tra le tante novit introdotte dal c.d. Decreto Sviluppo, ossia il D.L. 13 maggio 2011 n. 70 Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 maggio 2011, n. 110), ve ne una passata in secondo piano ma di notevole importanza per il settore idrico. Larticolo 10 infatti, che ricordiamo dovrebbe contenere disposizioni riguardanti i servizi ai cittadini, dopo aver istituito lAgenzia nazionale per i servizi idrici (commi dall11 al 27), stabilisce al comma 28 la cessazione del regime transitorio (nelle more dellapplicazione del Metodo Normalizzato previsto nel Decreto 1 agosto 1996) per la determinazione delle tariffe idriche con specifiche deliberazioni CIPE. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 279 6. Le competenze delle Regioni e degli Enti locali. La disamina svolta ha posto in luce come moltissime funzioni risultano attribuite allo Stato, ma ci non significa che le Regioni e gli Enti locali risultino privi di funzioni in materia delle risorse idriche. Alle Regioni sono demandati alcuni compiti di natura conoscitiva anche se limitatamente allobbligo di rilevare e di aggiornare i dati relativi ai bacini idrografici, alle condizioni e ai tipi di corpi idrici, ai punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee nonch allo stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee esistenti allinterno di ciascun Bacino idrografico al fine di trasmetterli al Ministero dellambiente. Alle Regioni sono riconosciute, peraltro, esigue funzioni anche in materia di pianificazione e di programmazione, con eccezione di quello inerente l'adozione del Piano di tutela delle acque (85) (art. 121) e di perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico (86). A tali compiti si affiancano, tuttavia, quelli esercitati in via diretta o su delega statale, tra cui quelli inerenti la progettazione, la realizzazione e la gestione delle pi importanti opere idrauliche nonch quello di adozione del Piano regionale di gestione, del Piano stralcio per la tutela del rischio idrogeologico (87), del Piano Regionale per l'adeguamento delle infrastrutture (88) e del Piano di gestione da rischio alluvioni ed, ancora, in materia di tutela quantitativa e qualitativa della risorsa idrica, del Piano di tutela acque (art. 121 Codice ambiente) oltre che del Piano gestione acque (89). A tali compiti (85) Tale strumento programmatorio contiene una serie di elementi, tra i quali, i risultati dellattivit conoscitiva, lindividuazione degli obiettivi di qualit dellacqua, lelenco dei corpi idrici a specifica destinazione o comunque richiedenti una tutela particolare, le misure di tutela, lindicazione delle cadenze temporali degli interventi e delle priorit, gli interventi di bonifica. Ed ancora, con questo provvedimento le Regioni esercitano funzioni conoscitive, attuative e collaborative relative alla navigazione interna e alla realizzazione di dighe e sbarramenti non superiori ad una certa dimensione. (86) L'apposizione del vincolo idrogeologico si giustifica laddove si rende necessario salvaguardare da una utilizzazione inappropriata una certa porzione di territorio con il rischio di perdita di stabilit dei terreni o di compromissione del regime delle acque, pertanto determinate utilizzazioni dei suoli vengono assoggettate ad autorizzazioni e prescrizioni ai sensi del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267. A questa funzione si aggiunge il fascio di competenze conoscitive, attuative e collaborative riconosciute nell'ambito dei distretti idrografici nonch le competenze in materia di navigazione interna, di dighe e di sbarramenti di altezza non superiore ai 15 metri e con capacit di invaso non superiore ai 1.000.000 di metri cubi nonch i poteri di polizia idraulica per la parte di propria competenza. (87) Ai sensi dell'art. 68 del Codice dell'ambiente i Piani stralcio contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime oltre che individuare le infrastrutture e i manufatti che determinano il rischio idrogeologico. (88) Il riferimento al Piano previsto dal comma 6 dell'art. 86 del Codice dell'ambiente. (89) Il Piano di Gestione, previsto dalla Direttiva quadro sulle Acque (Direttiva 2000/60/CE) rappresenta lo strumento operativo attraverso il quale si devono pianificare, attuare e monitorare le misure per la protezione, il risanamento e il miglioramento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e agevolare un utilizzo sostenibile delle risorse idriche. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 si aggiungono, altres importanti funzioni di amministrazione attiva (90). Se, invece, si sposta l'attenzione verso gli Enti locali si vedr come anche a questi soggetti risultino attribuite diverse competenze, di cui, tuttavia, risulta difficile procedere ad una loro elencazione, poich molte di esse sono determinate ed attribuite dalle Regioni nell'ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali e, pertanto, risultano variabili da Regione a Regione. A tale proposito si pu, comunque, dire che i compiti dei Comuni risultano limitati alle piccole opere idrauliche volte alla mitigazione del rischio idraulico. Alle Province sono, invece, attribuiti diversi compiti relativi alla tutela qualitativa della risorsa (91), alla tutela del suolo, in riferimento alla regimazione delle acque (92) e alluso e sfruttamento delle risorse idriche (93). 7. Il problema del coordinamento delle funzioni. L'aver richiamato le pi significative tappe del processo evolutivo in materia di acqua nonch le diverse funzioni amministrative su cui si articola il governo delle risorse idriche ha consentito di mettere in luce l'incessante affiorare di sempre nuovi interessi pubblici a cui il legislatore ha cercato di dare risposta con la complicata legislazione di cui gi si detto, ma soprattutto ha consentito di mettere in luce l'evoluzione della geografia dei poteri amministrativi che si rilevano in questo ambito normativo. Allo stesso modo ha consentito di evidenziare la centralit del ruolo statale nella materia delle risorse idriche per l'interferenza di questa materia su materie di tipo trasversale, quali appunto sono l'ambiente e la concorrenza. Alla luce del riscontrato spiccato centralismo statale lulteriore problema (90) Quali sono quelli di polizia idraulica, concessioni di estrazione di materiale litoide dai corsi d'acqua; le concessioni di spiagge lacuali, superfici e pertinenze dei laghi, le concessioni di pertinenze idrauliche e di aree fluviali; esercitano la funzione di polizia delle acque; gestiscono il demanio idrico, nominano i regolatori per il riparto delle disponibilit idriche. (91) Si tratta di autorizzazioni allo scarico nei corpi idrici superficiali delle acque reflue domestiche, industriali, urbane e di prima pioggia e relativi controlli (D.Lgs.152/2006 - Parte Terza art. 124 c. 7); Autorizzazioni agli scarichi di acque reflue domestiche sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo provenienti da agglomerati con numero di A. E. pari o superiore a 50 e relativi controlli (D. Lgs.152/2006 - Parte Terza art. 124 c. 7); Autorizzazioni allo scarico nella stessa falda delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile (D.Lgs.152/2006 Parte Terza art. 104 c.2). (92) Si tratta di autorizzazioni e pareri ai fini idraulici allesecuzione di opere idrauliche (R.D. 523/1904 capo VII art. 93-101); Autorizzazioni e pareri allesecuzione di opere interessanti manufatti di bonifica e loro pertinenze (R.D. 368/1904 titolo VI); Realizzazione, gestione e manutenzione di opere, impianti ed attivit inerenti alla difesa del suolo. (93) Si tratta di autorizzazioni alla ricerca di acque sotterranee ad uso diverso dal domestico (R.D. 1775/1933 artt. 94 e 95); Riconoscimento del diritto ad utilizzare e derivare acque sotterranee per una portata inferiore o uguale a 20 l/s (R.D. 1775/1933 art. 2 lett. C); Concessioni di derivazione di acqua pubblica (R.D. 1775/1933 art. 7 - DPR 238/99 art.1 c. 4 -); Licenze di attingimento di acqua pubblica a mezzo pompe mobili e semimobili da acque superficiali (R.D. 1775/1933 art 56). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 281 che si pone quello di come garantire le prerogative delle Regioni e degli Enti locali in materia di risorse idriche, considerato che in questo campo il ruolo di questi soggetti pu trovare garanzia solo attraverso forme di cooperazione tra i diversi livelli istituzionali che, sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, fanno leva sul principio di leale collaborazione. Pertanto, se da un lato possibile che, in presenza di esigenze di unitariet, possa operare la c.d. chiamata in sussidiariet, dall'altro necessario che il livello statale osservi il detto principio di leale cooperazione. Tuttavia, proprio l'assenza di enumerazione delle competenze attribuite ai diversi enti sin da subito ha fatto intendere ci che poi si verificato, ovvero il fiorire di numerosi contenziosi aventi ad oggetto il ritaglio delle varie competenze amministrative tra i diversi livelli di governo per la violazione del detto principio. Ci accaduto in riferimento al riparto delle funzioni pianificatorie e programmatorie, dove poco spazio stato riconosciuto alle Regioni anche laddove formalmente risultino titolari del detto potere. Ad esempio, le Regioni hanno competenza ad approvare il Piano di Tutela delle acque, tuttavia il procedimento di adozione subordinato al parere vincolante dellAutorit di Bacino. Ora, se si guarda alla compagine organizzativa di questo Organismo facile rilevare come i suoi componenti risultino di prevalente derivazione ministeriale (94). Questa circostanza impedisce, evidentemente, la piena emersione delle istanze regionali e in definitiva decreta l'assoggettamento anche di questo Piano al potere statale. Il ruolo pianificatorio delle Regioni risulta sfumato non solo in riferimento al Piano di tutela delle acque, ma anche sotto altri e diversi aspetti e ci emerge chiaramente se si confronta l'assetto dei poteri disegnato dal Codice dellambiente rispetto a quello che era stato disegnato dal d.lgs. 112/98. Lart. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998 prevedeva, infatti, che l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento alla difesa (94) Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorit di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivit produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attivit culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonch i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile. Alle conferenze istituzionali permanenti del distretto idrografico della Sardegna e del distretto idrografico della Sicilia partecipano, oltre ai Presidenti delle rispettive regioni, altri due rappresentanti per ciascuna delle predette regioni, nominati dai Presidenti regionali. La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza. Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente. 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 del suolo, pur rientrando tra i compiti di rilievo nazionale, dovesse avvenire attraverso intese nella Conferenza unificata (95). Per contro, l'art. 57 del Codice dell'ambiente prevede che nel settore della difesa del suolo e della lotta alla desertificazione, tali atti sono approvati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e i principi in esso contenuti sono definiti sentita la Conferenza Stato-Regioni (96). In sintesi, stata prevista una forma di confronto pi debole determinata dalla estromissione della Conferenza Stato-Citta da tale tipo di confronto interistituzionale. Tra laltro, il Giudice delle leggi, a seguito dell'impugnazione del richiamato art. 57, ha ritenuto che il parere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni sui principi degli atti di indirizzo e coordinamento fosse sufficiente ad assicurare il coinvolgimento delle Regioni. Ancora, il d.lgs. n. 112 del 1998, aveva operato il generale trasferimento alle Regioni di tutte quelle funzioni relative alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura (art. 89, comma 1, lettera a), ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento (art. 89, comma 1, lettera c) e alla polizia delle acque (art. 89, comma 1, lettera g). Una generalizzata devoluzione che non ha trovato poi riscontro nell'art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 dove si stabilisce che le Regioni per (95) La Conferenza Unificata stata istituita dal d. lgs. 28 agosto 1997, n. 281, che ne ha definito anche la composizione, i compiti e le modalit organizzative ed operative (articoli 8 e 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281). La Conferenza Unificata, sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Citt ed autonomie locali, opera al fine di: favorire la cooperazione tra l'attivit dello Stato e il sistema delle autonomie; esaminare le materie e i compiti di comune interesse. competente in tutti casi in cui Regioni, Province, Comuni e Comunit montane, ovvero la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Citt ed autonomie locali sono chiamate ad esprimersi su un medesimo oggetto (art. 9, comma 2, del d.lgs. 281/1997). Questa risulta dalla unione della Conferenza Stato Regioni e dalla Conferenza Stato Citt e costituisce, quindi, la principale sede di rappresentanza unitaria delle regioni e degli enti locali presso il centro. Le competenze della conferenza unificata sono di tipo analogo a quelle delle due conferenze che ne sono parte. Essa promuove e sancisce intese ed accordi; esprime pareri; designa rappresentanti negli organismi competenti in materie di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunit montane. La conferenza unificata, poi, interviene nel procedimento di adozione di importanti scelte politiche dello Stato. Per esempio, essa deve dare il suo parere sui pi importanti atti di programmazione economica e finanziaria; deve essere consultata dal governo sulle linee generali delle politiche del personale pubblico locale e regionale. (96) La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano opera nellambito della comunit nazionale per favorire la cooperazione tra lattivit dello Stato e quella delle Regioni e le Province Autonome, costituendo la "sede privilegiata" della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali. La conferenza Stato-Regioni: la sede dove il Governo acquisisce lavviso delle Regioni sui pi importanti atti amministrativi e normativi di interesse regionale; persegue lobiettivo di realizzare la leale collaborazione tra Amministrazioni centrale e regionali; si riunisce in una apposita sessione comunitaria per la trattazione di tutti gli aspetti della politica comunitaria che sono anche di interesse regionale e provinciale. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 283 la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all'approvazione e all'esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni (lettera d), e provvedono, per la parte di propria competenza, all'organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni (lettera e). La Corte Costituzionale, che si pronunciata su questa norma sempre a seguito di diversi ricorsi proposti dalle Regioni, ha precisato che la disposizione in discorso non produce alcun effetto lesivo sulle attribuzioni regionali. Nello stesso senso la Suprema Corte si pronunciata in punto di funzioni conoscitive. Infatti, a seguito dell'impugnazione dell'art. 55, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, con cui si deduceva la violazione del principio di leale collaborazione per il previsto accentramento in un soggetto statale del potere di scelta circa la costituzione e gestione di un unico sistema informativo nonch l'obbligo del raccordo dei sistemi informativi regionali, senza coinvolgimento delle Regioni, il Giudice delle leggi, con sentenza Corte Cost. n. 323/2009, ha affermato che la norma in questione appartiene ad un ambito materiale riservato alla competenza esclusiva statale, ai sensi dellart. 117, secondo comma, lettera r), Cost. recante Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale. Pertanto, anche in questo caso si conclude ritenendo che la norma in questione non lesiva delle prerogative regionali perch statuisce esclusivamente un obbligo di coordinamento meramente informativo di per s non idoneo a ledere sfere di autonomia costituzionalmente garantite (sentenza n. 376 del 2003). Analoga situazione si registra in materia di Servizio Idrico Integrato giacch il principio di tutela della concorrenza ha giustificato persino l'attrazione verso il livello statale delle scelte relative alle forme di gestione di questo particolare servizio pubblico. In questo senso, si pone, infatti la giurisprudenza della Corte Costituzionale pronunciata in riferimento all'art. 23 bis che, con la sentenza n. 325/10, stato dichiarato legittimo in quanto di natura concorrenziale. Le argomentazioni su cui si fondano i ricorsi proposti presso il Giudice Costituzionale, come visto, hanno ad oggetto la riserva legislativa operata dallo Stato a proprio favore e a discapito di quella regionale. L'impianto centralista disegnato dal legislatore trova tuttavia qualche temperamento nello stesso sistema legislativo e in qualche paletto che di recente ha posto la Corte costituzionale. La centralizzazione statale risulta infatti bilanciata dalla previsione di strumenti di raccordo, quale la Conferenza Stato-Regioni, il cui ruolo consun- 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 tivo consente alle Regioni di esprimere pareri in vari ambiti (97). Tale strumento procedimentale stato, infatti, fortemente valorizzato da alcune pronunce della Corte Costituzionale con una serie di sentenze, tra cui la gi segnalata sentenza n. 232/09. Questa decisione, che come visto, stata pronunciata a seguito di molteplici ricorsi promossi da varie Regioni italiane volti a contestare i pregnanti poteri di pianificazione, programmazione e fissazione delle varie politiche da parte del governo e dei vari Ministeri coinvolti, afferma, infatti, che i poteri decisionali del centro sono soggetti al rispetto di principi di legalit procedurale. In questa direzione si pongono anche altri dictum della Suprema Corte, ad esempio laddove ha ritenuto fondate le censure mosse contro la previsione dell'art. 57, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri l'approvazione del programma nazionale di intervento senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni. Ebbene, in questo caso, tale norma stata ritenuta in contrasto con il principio di leale collaborazione e con il D.lgs. n. 112 del 1998, che al riguardo prevedeva varie modalit di coinvolgimento delle Regioni (98). La Corte ha ritenuto che il programma nazionale di intervento un atto che, per l'ampiezza del proprio contenuto, suscettibile di produrre significativi effetti indiretti anche nella materia del governo del territorio e che, quindi, necessario il coinvolgimento delle Regioni nelle forme del parere, cos come previsto dall'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998. Allo stesso modo, la lett a) del comma 3 dell'art. 58 stato ritenuto in contrasto con gli artt. 117 e 118 e con il principio di leale collaborazione laddove la norma attribuisce al Ministro dell'ambiente funzioni di programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo senza alcun coinvolgimento delle Regioni. Anche in questo caso, la Corte afferma che bench gli interventi in tema di difesa del suolo appartengano a pieno titolo alla materia della tutela dell'ambiente, le generali funzioni di programmazione e finanziamento che l'art. 58, comma 3, lettera a), assegna al Ministro dell'ambiente, sono tali da produrre effetti significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio. In altre parole, secondo la Corte, il legislatore statale nellesercizio delle sue competenze esclusive collegate alla materia tutela dellambiente pu prevedere certamente una centralizzazione, ma ci esclude che gli enti di livello sotto or- (97) Secondo quanto dispone l'art. 59 del T. U. la Conferenza Stato-Regioni formula pareri, proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 57, in ordine alle attivit ed alle finalit di cui alla presente sezione, ed ogni qualvolta ne richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (98) Si vedano gli artt. 86, comma 3, e 89, commi 1, lettera h) del detto Decreto legislativo n. 112/98. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 285 dinato, in particolare le Regioni, possano essere esclusi dal processo decisionale. Lo spiccato centralismo che caratterizza questo ambito ha comunque superato il vaglio della Corte Costituzionale (99), considerata linclinazione del Supremo Consesso a giustificare l'attrazione verso lo Stato di un ampio fascio di poteri sulla scorta dell'esigenza di tutela unitaria sullintero territorio. 8. Conclusioni. Lanalisi svolta ha consentito di mettere in luce alcuni punti critici della disciplina vigente in materia di acqua, rappresentati dalla forte presenza statale in tutti gli ambiti in cui lacqua rileva, dalla spiccata frammentazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo e dal relativo problema di coordinamento delle funzioni. Tuttavia, se lemerso centralismo si giustifica ogniqualvolta le norme abbiano come obiettivo la tutela dellambiente, esso non pare giustificarsi in riferimento a quelle norme che tendono a far transitare verso il livello statale ambiti materiali tradizionalmente affidati al livello locale, come nel caso del Servizio Idrico Integrato, anche perch le prerogative regionali e locali sostanzialmente si giocano sullassetto delle competenze amministrative. Ad ogni buon conto, la pi recente politica legislativa pare evidenziare una virata verso una maggiore valorizzazione del livello locale, quantomeno in riferimento alla gestione del SII, considerato lattuato trasferimento in capo alle Regioni delle relative funzioni. Un altro passaggio di non poco momento rappresentato dallavvenuto trasferimento delle funzioni regolatorie e di vigilanza ad un soggetto estraneo alla compagine governativa. Lo Stato si spoglia, infatti, anche di questa importante e delicata funzione attribuendola all'Autorit per l'energia e il gas, ad un soggetto, quindi, indipendente dai poteri statali e che, per di pi, sa fare il suo mestiere, considerata lalta specializzazione che pu vantare in campo regolatorio, di vigilanza e di tutela dell'utente. Le particolari competenze di questa Autorit e la sua ormai rodata capacit di interloquire con le diverse realt locali non potr infatti che fornire un apporto essenziale ed imprescindibile nel processo di privatizzazione di questo settore in riferimento al quale necessario accompagnare il passaggio dal monopolio pubblico, che ancora oggi si registra in questo settore, al mercato della concorrenza (100) garantendo al contempo sia la posizione dei nuovi ingressi nel mercato sia la tutela dei consumatori. In riferimento al processo di liberalizzazione del mercato, a prescindere (99) Si veda, Corte Cost. n. 232/2009. (100) Si veda al riguardo G.CANITANO, F. MONTAGNINO, P. PERUZZI, L'assetto dei gestori e la concorrenza nel servizio idrico integrato, in www.Dec.unich.it, Working paper, n. 2, 2008 . 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dalle diverse ideologie che sorreggono le diverse prospettive sottese al dibattito ancora in corso circa la privatizzazione di questo settore, preme sottolineare quanto affermato da certa dottrina, e cio che l'efficienza gestionale di questo settore non si ottiene cambiando la forma giuridica del gestore se poi tutto resta come prima (101). Del resto sufficiente scorrere i dati pubblicati dal Conviri per rendersi conto che ci sono eccellenti gestioni pubbliche e pessime gestioni private. Sembra, comunque, che i recentissimi interventi normativi consentano di intravedere lavvio di una politica sull'acqua costruita intorno a capisaldi che risultano imprescindibili in qualsivoglia processo di privatizzazione, quale anche quello dell'attribuzione delle funzioni regolatorie ad un'Autorit indipendente (102). Pare infatti intravedersi il tramonto di scelte normative che si limitavano alla semplice allocazione delle funzioni verso il livello centrale ed anzi, al contrario, appare una certa tendenza a spogliare il centro di alcuni poteri in materia di acqua: alla soppressione del Conviri si affianca, infatti, anche la soppressione delle Ato e l'attribuzione alle Regioni delle relative competenze. Da ultimo, si vuole sottolineare come i problemi dellacqua non ruotano solo intorno alle opzioni gestionali del Servizio idrico integrato, ma anche a tutte le questioni collegate alla sua tutela qualitativa e quantitativa. Non dovrebbe, infatti, sfuggire lenorme incidenza degli usi agricoli e di quelli industriali in termini di consumi della risorsa e di effetti inquinanti, sui quali paradossalmente non pare soffermarsi l'attenzione degli addetti ai lavori. Una buona politica sulle risorse idriche non pu, infatti, prescindere dallinterazione di strategie volte a risolvere i problemi dellacqua a tutto tondo al fine di porre rimedio ai severi problemi di inquinamento, ai gravi problemi di approvvigionamento di acqua potabile e ai disastri ambientali dovuti allassenza di pianificazione o allincapacit di far osservare le norme contenute negli stessi strumenti pianificatori. In altre parole, il descritto coacervo di norme fa acqua da tutta le parti e di ci non pu che essere responsabile lapparato statale e, comunque, tutti gli enti e soggetti ad esso correlati, considerato che il potere di governo in questambito materiale allocato nella quasi sua totalit in capo allapparato statale. Non pu, peraltro, sfuggire la necessit di rimettere mano alla descritta articolazione delle competenze amministrative giacch l'illustrato accentramento non ha dato i frutti sperati, n in termini di efficienza amministrativa, (101) A. MASSARUTO, Privati dell'acqua? Tra bene comune e mercato, Bologna 2011. (102) Sui problemi regolatori, si veda, L. DANESI, M. PASSARELLI, P. PETRUZZI, Quale livello di regolazione per i servizi idrici? Uno schema di analisi sulla distribuzione verticale ed orizzontale delle funzioni di regolazione, in Mercato, concorrenza, regole, 2008, 389 ss.; G. NAPOLITANO, Per unautorit indipendente di regolazione dei servizi idrici, Roma. Fiderutility, 2010. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 287 n in termini di risultato, anche alla luce degli obiettivi contenuti nella disciplina comunitaria e in quella interna. In conclusione, deve comunque mettersi in luce che pare intravedersi lavvio di una nuova strategia politica, quantomeno in riferimento alla gestione del Servizio idrico integrato anche se ci non sar sufficiente per uscire dalla situazione di impasse in cui verte lambito delle risorse idriche se, al contempo, non si proceder al contestuale riassetto della governance delle risorse idriche al fine di ridefinire i ruoli di ciascun attore del sistema e di ridurre e/o eliminare la frammentazione e la sovrapposizione delle competenze che, come visto, ancora oggi non risultano ben ripartite tra i diversi livelli istituzionali. Del resto, questa esortazione si rinviene anche nel pi volte citato schema di Decreto della Presidenza del Consiglio relativo alle funzioni di regolazione del servizio idrico integrato trasferite all'Autorit per l'energia elettrica e il gas. Non rimane, dunque, che attendere le nuove elaborazioni normative per verificare se e in che misura tale monito verr accolto dal legislatore statale. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Liberalizzazioni, ambiente ed energia Serena Oggianu* SOMMARIO: 1. Premessa 2. La liberalizzazione del settore energetico 3. Il servizio energetico quale servizio di interesse economico generale 4.1. Lenergia e lambiente: profili sostanziali 4.2. Lenergia e lambiente: profili processuali 5. Il riparto di competenza tra Stato, Regioni ed enti locali nel settore dellenergia 6. Conclusioni. 1. Premessa. Limportanza delle tematiche energetiche nellambito del diritto comunitario pu trarsi gi dal rilievo che proprio allorigine della prima Comunit europea, la Comunit europea del carbone e dellacciaio (CECA) (1), si posta lesigenza di mettere lintera produzione del carbone e dellacciaio sotto una comune Alta Autorit nel quadro di unorganizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei, secondo la nota dichiarazione resa da Robert Schuman, ministro degli esteri francese, il 9 maggio 1950. Nondimeno solo con le modifiche recentemente apportate con il Trattato di Lisbona che lenergia divenuta oggetto di uno specifico titolo (XXI), che si compone del solo art. 194 TFUE (Energia), in luogo delle misure previste nelle precedenti versioni del Trattato della Comunit europea (2). Lo stretto legame tra energia ed ambiente poi confermato nelle disposi- (*) Ricercatrice di diritto amministrativo, Universit di Roma Tor Vergata, Facolt di giurisprudenza. Assistente di studio, Giudice costituzionale dott. Aldo Carosi. Il presente scritto la relazione tenuta dallAutrice al Convegno su Liberalizzare o regolamentare: il diritto amministrativo di fronte alla crisi, Copanello, 29-30 giugno 2012 - in corso di pubblicazione nei relativi atti. (1) Il Trattato Ceca, firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 25 luglio 1952 tra i sei Paesi firmatari (Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo) stato lo strumento mediante il quale si cercato di eliminare la forte conflittualit tra Francia e Germania, dovuta allo sfruttamento dei giacimenti di carbone ed acciaio delle regioni della Saar e della Ruhr. (2) Nella sua versione originaria il Trattato istitutivo della Comunit economica europea del 1957 non conteneva alcun riferimento al settore energetico, che del resto era disciplinato dagli altri due trattati, quello sulla Ceca e quello sullEuratom. Solo con le modifiche apportate dal Trattato di Maastricht del 1992 allart. 3 del trattato della Comunit europea (che proprio a partire da Maastricht perde lattributo di economica) viene previsto che per il perseguimento dei propri obiettivi la Comunit adotti misure in materia di energia e si fa riferimento nella contigua e strumentale materia dello sviluppo delle reti transeuropee (art. 129 d TCE) . Con il Trattato di Amsterdam significativamente, ferma la disciplina ora richiamata, si opera un intervento additivo sotto il profilo procedurale. In particolare, in materia di ambiente allart. 175 TCE si prevista ladozione allunanimit delle misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo, disposizione poi ripresa nellattuale art. 192, par. 2 TFUE. Per un approfondimento del graduale percorso che ha condotto alla formazione del diritto europeo dellenergia M. MARLETTA, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Torino, Giappichelli, 2011, spec. pp. 55 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 289 zioni dedicate a questultimo, in specie dallart. 192, par. 2, rientrante nel titolo XX (Ambiente), ai sensi del quale in deroga alla procedura decisionale ordinaria, il Consiglio, deliberando all'unanimit secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adotta misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo (lett. c). Sul punto occorre notare, da un lato, che la scelta di una procedura pi gravosa (unanimit) rispetto allordinaria di cui allart. 294 TFUE si pone come una condizione di salvaguardia delle scelte energetiche adottate da ciascuno Stato ed dunque indice della volont dellUnione di limitare ad ipotesi pienamente condivise con gli Stati membri lingerenza per ragioni ambientali sulle scelte politiche nazionali in questo settore; dallaltro, che tale previsione va ben oltre lintegrazione delle esigenze connesse con le tematiche ambientali che lUnione chiamata ad operare nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile, secondo la previsione di cui allart. 11 TFUE. Del resto anche la contiguit topografica tra i due titoli (XX, Ambiente e XXI Energia) esprime la stretta correlazione tra le due politiche. Per altro verso, nellarco di tempo che va dallistituzione delle Comunit europee alla loro piena sostituzione da parte dellUnione europea quale unico soggetto politico e giuridico (3), le esigenze proprie dellenergia e dellambiente si sono dovute misurare con i processi di liberalizzazione, che si fon- (3) Si noti che proprio questa coesistenza dellelemento della politicit con quello della giuridicit, che connota lUnione europea che si affermata progressivamente con le modifiche apportate nel corso del tempo ai trattati istitutivi ed in modo pi netto con il Trattato di Lisbona, ha determinato, sia pure su base volontaria, lerosione della sovranit degli Stati membri e ha consentito uningerenza variamente modulata in ragione delle materie ovvero delle singole questioni sul loro indirizzo politico. Il tema vastissimo e nelleconomia del presente contributo pu solamente essere accennato. La dottrina, gi a partire dal periodo liberale e in epoca fascista, ha approfondito il concetto di indirizzo politico, individuandone i caratteri distintivi nella libert teleologica e nella atipicit ed interrogandosi sulla sua distinguibilit dai tre poteri dello Stato, legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Secondo una prima tesi, lindirizzo politico doveva essere configurato come una mera innominata attivit ed in tal senso V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dellindirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939, 55 ss. Secondo altri si tratterebbe di unautonoma funzione, con il conseguente problema di individuare poi lorgano che ne sarebbe titolare. Cos C. MORTATI, Lordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico, Roma, 1931. La necessit di affrontare funditus il concetto di indirizzo politico si posta nuovamente a seguito delladozione della Costituzione repubblicana, in considerazione dellautonomia e dellimmediata efficacia delle norme costituzionali, anche di quelle programmatiche. Per tutti V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, 68 ss.; M. DOGLIANI, Interpretazione della Costituzione, Milano, 1982, 39 ss. Attualmente il tema dellindirizzo politico, strettamente correlato alla sovranit degli Stati nazionali, impone una nuova riflessione proprio in ragione dellincidenza delintegrazione europea. Per le coordinate su tale profilo G. TESAURO, Sovranit degli Stati e integrazione comunitaria, in Dir., un. Eu., 2006, 235. Per un approfondimento della funzione di indirizzo politico nellambito del diritto amministrativo per tutti E. PICOZZA, Lattivit di indirizzo della pubblica amministrazione, Padova, Cedam, 1988. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dano sul generale obiettivo contenuto gi nelloriginario Trattato di Roma, agli articoli sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato (4), di abolire progressivamente, nella prospettiva del mercato unico europeo, i monopoli e gli oligopoli di servizi pubblici, che si reggevano a livello nazionale sulla concessione di diritti speciali ed esclusivi. Pur essendo incerto il confine tra le due categorie di diritti (5), normalmente si inteso per diritto di esclusiva, il diritto di svolgere al di fuori della concorrenza unattivit economica di tipo integrato (ad es. produzione, vettoriamento, trasporto, trasmissione, distribuzione e vendita dellenergia elettrica o del gas), anche se in pi rari casi il diritto esclusivo stato esteso ad attivit tra loro conglomerate e non integrate (ad es. sistema I.R.I. S.p.a.) e viceversa in altri casi limitati a segmenti di attivit. Per diritto speciale si intende comunemente un diritto di utilizzare le formule della dichiarazione di interesse, nonch procedimenti ablatori, non necessariamente espropriativi, quanto al settore energetico, quali limposizione di servit di elettrodotto, oleodotto, gasdotto, etc. Il mercato comune europeo dellenergia si realizzato mediante la liberalizzazione dei singoli segmenti, caratterizzata per la gradualit del relativo processo ed improntata al carattere ambivalente dellenergia quale res e quale opera (6), soprattutto in ragione di obiettivi come la sicurezza e la continuit dell'approvvigionamento, capaci di fondare per il relativo bene una deroga alla libert fondamentale di circolazione delle merci (Parte terza, Politiche della Comunit, titolo I) e parimenti una connotazione di specialit rispetto al principio di libera circolazione dei servizi, in base alla disciplina contenuta negli artt. 16 (7) e 86 (8) TCE (ora rispettivamente art. 14 e art. 106 TFUE (9)). (4) Il riferimento alla Parte terza (Politica della Comunit) del Trattato che istituisce una Comunit economica europea, Capo I (Regole di concorrenza), sezione prima (regole applicabili alle imprese) specialmente art. 90 gli Stati membri non emanano n mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, nonch sezione terza (Aiuti concessi dagli Stati), artt. 92-94 TCee. (5) Anche la definizione contenuta nel codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) allart. 207, comma 2, adottata in recepimento degli artt. 2 e 8 dir. n. 2004/17 e degli artt. 1 e 2, d.lgs. n. 158/1995 e ai sensi della quale Sono diritti speciali o esclusivi i diritti costituiti per legge, regolamento o in virt di una concessione o altro provvedimento amministrativo avente l'effetto di riservare a uno o pi soggetti l'esercizio di una attivit di cui agli articoli da 208 a 213 [vale a dire le attivit nei settori c.d. speciali, tra i quali proprio lenergetico] e di incidere sostanzialmente sulla capacit di altri soggetti di esercitare tale attivit non sembra offrire indicazioni che chiariscano la distinzione tra le due categorie, poich le tratta unitariamente definendone i profili attinenti alla fonte (costituzione per atto pubblico legislativo ovvero provvedimentale) e alleffetto (riserva di attivit con lesclusione o la limitazione della capacit di altri soggetti). (6) Per un approfondimento di questa distinzione, che peraltro non sembra predicabile per gli altri servizi a rete (trasporti, telecomunicazioni), F. VETR, Il servizio pubblico a rete. L'esempio paradigmatico dell'energia elettrica, Torino, Giappichelli, 2005. (7) Ai sensi dellart. 16 Tce in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonch del loro ruolo nella promozione della coe- LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 291 2. La liberalizzazione del settore energetico. L'introduzione della concorrenza nel settore energetico, in ragione della competenza concorrente della Comunit europea (ora Unione europea), si realizzata attraverso lo strumento della direttiva in due tempi: dapprima il diritto comunitario intervenuto per la realizzazione di un mercato dei prezzi e di un mercato delle reti; successivamente stata adottata una disciplina organica dell'organizzazione e del funzionamento di un mercato comune. Quanto alle prime iniziative comunitarie di liberalizzazione occorre ricordare la direttiva 90/377/CEE del Consiglio del 29 giugno 1990 sulla trasparenza dei prezzi dell'energia elettrica e del gas, recepita nel nostro ordinamento con il d.m. 26 giugno 1992. Con questo primo intervento stato fissato l'obiettivo della maggiore omogeneit dei mercati degli Stati membri sotto il profilo delle tariffe e delle condizioni di vendita del prodotto energia. Le disposizioni della direttiva citata, pi volte modificate, sono state infine rifuse nella direttiva 2008/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica. Hanno invece la finalit di realizzare l'apertura del mercato, rendendo pi agevole l'accesso alle reti, la direttiva 90/547/CEE del Consiglio del 29 ottobre 1990 per l'energia elettrica e la direttiva 91/296/CEE del Consiglio del 31 maggio 1991 per il gas, recepite rispettivamente con il d.m. 26 giugno 1992 e con il d.m. 18 giugno 1994. Realizzano un primo intervento di carattere generale, in quanto non circoscritto a singoli segmenti ma diretto a disciplinare l'intero settore energetico, la direttiva 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996 per l'energia elettrica e la direttiva 98/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 per il gas, recepite con il d.lgs. 16 marzo sione sociale e territoriale, la Comunit e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinch tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti. (8) Lart. 86 Tce disponeva: 1. Gli Stati membri non emanano n mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunit. 3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni. (9) Rispetto alla previgente formulazione occorre rilevare che allattuale art. 14 TFUE stato aggiunto un periodo finale, il quale dispone che Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi. stato invece riproposto senza modifiche n integrazione il precedente art. 86 TCE. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 1999, n. 79 e con il d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164. Con questi interventi si giunge ad un'apertura parziale del mercato energetico, poich la liberalizzazione delle forniture era disposta solo per i c.d. clienti idonei, quelli cio i cui consumi superavano la soglia indicata, mentre gli altri (i c.d. clienti vincolati) rimanevano soggetti alla disciplina nazionale. Peraltro la concorrenza poteva realizzarsi con forme e modalit molto differenti tra i diversi ordinamenti (10) in ragione della possibilit di scelta rimessa agli Stati membri nel quadro dei principi generali (11), sia pure nella prospettiva di un futuro progressivo avanzamento del processo di liberalizzazione. L'ulteriore tappa stata raggiunta con le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, entrambe del Parlamento europeo e del Consiglio adottate in data 26 giugno 2003, rispettivamente sul mercato interno dell'energia elettrica e del gas. Con queste direttive, poi abrogate rispettivamente dalle direttive 2009/72/Ce e 2009/73/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambe del 13 luglio 2009, da un lato, si supera la ristretta prospettiva della liberalizzazione mediante l'accesso alla rete da parte del terzo (12) per giungere ad una disciplina generale delle attivit che compongono il servizio energetico; dall'altro, si esprime la necessit di approntare strumenti di tutela dei diritti del consumatore mediante la previsione della trasparenza delle condizioni contrattuali, di strumenti di risoluzione delle controversie e della possibilit di operare il cambio del fornitore. Le direttive da ultimo citate (2009/72/Ce e 2009/73/Ce) e quella sulla trasparenza dei prezzi (2008/92/CE) sono state re- (10) Per un'analisi delle dinamiche legislative degli Stati membri in ordine al recepimento della normativa comunitaria in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, anche con riferimento alle tematiche ambientali, oltre che all'esigenze del mercato V. PEPE (a cura di), Diritto comparato dell'energia. Esperienze europee, Napoli, ESI, 2008 pp. 17 ss. (11) Sul punto N. AICARDI, Energia, in M. P. CHITI e G. GRECO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo, Tomo II, II ed., Milano, Giuffr, 2007, pp. 1007 ss. e spec. p. 1030-1031, il quale richiama l'alternativa prevista dalle direttive citate, quanto alla realizzazione di nuovi impianti tra l'autorizzazione, strumento che assicura una libera iniziativa degli operatori, e la gara d'appalta, che pone dei vincoli quantitavi. Ancor pi significativo il divario in ordine alla scelta rimessa agli Stati quanto all'organizzazione dell'accesso alla rete nel caso dell'energia elettrica. Rileva, infatti l'A., che accanto al sistema di accesso dei terzi alla rete in senso stretto (sistema c.d. del common carrier o del third party access TPA), era previsto il ricorso al sistema opposto del cd. acquirente unico, con attribuzione ad un unico soggetto della responsabilit dell'acquisto e della vendita di energia elettrica. Nel caso del gas, invece, la direttiva indicava il solo sistema del TPA. (12) Proprio alle politiche comunitarie sulla liberalizzazione dei servizi a rete ha consentito lemersione del concetto giuridico di rete, per sua natura complesso che riunisce la pluralit di componenti strutturali e tecnologiche e la pluralit di autonomie interessate al suo percorso sul territorio alla sua unitariet progettuale e funzionale e allunicit dellente responsabile per la sua gestione complessiva. () la disciplina delle liberalizzazioni ha dovuto garantire un generalizzato diritto di accesso e la neutralit della rete di trasporto e distribuzione al fine di aprire alla concorrenza il mercato dei servizi pubblici. La rete pertanto deve essere terza e imparziale rispetto ai servizi erogati ed agli operatori che la utilizzano poich deve rendere fruibile il godimento di un monopolio naturale a mezzo del servizio pubblico. Cos G. DE VERGOTTINI, Il governo delle reti tra Unione europea, Stato e Regioni, in Annuario di dir. en., 2012, pp. 17 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 293 cepite nel nostro ordinamento con il d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 e hanno completato il processo di liberalizzazione del settore energetico (13). Si noti peraltro che nel settore dellenergia alimentata da fonti rinnovabili o assimilate (14), lItalia stranamente ha anticipato il processo di liberalizzazione europea con le leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e n. 10. La prima contiene la disciplina relativa al funzionamento degli impianti di produzione e alla promozione delle fonti rinnovabili; la seconda pone la normativa concernente l'utilizzo di queste ultime e del risparmio energetico. Difatti, con la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (15), attuata con il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/30/CE dell'8 maggio 2003 relativa ai biocarburanti e con la direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004 sulla promozione della cogenerazione, che la Comunit fissa gli obiettivi di incremento di tali forme alternative di produzione di energia ed individua gli strumenti che ne consentono lo sviluppo mediante misure di sostegno e l'obbligo degli Stati di garantire l'accesso alle relative reti di trasmissione e distribuzione. Le direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE sono state peraltro abrogate dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, recepita con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28. Ci che rileva, ai fini del discorso che va si va svolgendo, che tali fonti energetiche rinnovabili hanno una vocazione ( proprio il caso di dire) naturale alla salvaguardia dell'ambiente, oltre che al conseguimento di interessi prettamente economici, quali la riduzione della dipendenza energetica da fornitori esteri, l'aumento della sicurezza dell'approvvigionamento, l'incremento della competitivit delle industrie europee. La centralit ed anzi la priorit che lo sviluppo di energia prodotta da fonti rinnovabili ha assunto nell'ambito dell'azione svolta dalle istituzioni comunitarie ha trovato chiara espressione, da un lato, nelle stesse direttive, laddove sono previsti, sia pure nel rispetto degli artt. 87 e 88 TCE sugli aiuti di Stato, regimi di sostegno diretto ed indiretto (art. 3 dir. fonti rinn. e art. 7, par. 1 dir. cogen.), nonch nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha mostrato di ritenere recessivo l'imperativo dell'apertura al mercato a fronte di normative nazionali dirette a favorire lo svi- (13) Per un approfondimento della disciplina contenuta agli artt. 15 (Programma di adempimenti e responsabile della conformit) e 16 (sviluppo della rete e poteri decisionali in sede di investimento) del d.lgs. n. 93/2011 A. POLICE, Il programma di adempimento ed il piano decennale di sviluppo della rete, in ann. Dir. en., 2012, pp. 91 ss. (14) Sul tema M. RAGAZZO, Le politiche sull'energia e le fonti rinnovabili, Torino, Giappichelli, 2011; A. MACCHIATI, G. ROSSI (a cura di), La sfida dell'energia pulita. Ambiente, clima e energie rinnovabili: problemi economici e giuridici, Bologna, Il Mulino, 2009. (15) Le fonti energetiche rinnovabili sono ai sensi dell'art. 2 della direttiva le fonti energetiche rinnovabili non fossili: fonti eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, da biomassa, da gas di discarica e da gas residuati dai processi di depurazione e biogas. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 luppo dello sfruttamento di fonti non convenzionali (16). Appare da ultimo opportuno precisare che la liberalizzazione, attuata prevalentemente mediante direttive (17) (ma nel settore del trasporto anche mediante regolamenti), si distingue sia dallapertura globale di un intero settore di attivit alle regole del mercato, come avvenuto per gli appalti pubblici; sia dalle procedure di privatizzazione che sono strutturalmente legate alla trasformazione di enti pubblici in societ di capitali o alla privatizzazione di beni pubblici, ma non necessariamente alla liberalizzazione (18). Tuttavia sul punto appare interessante sottolineare, da un lato, che la normativa europea delinea un processo di liberalizzazione del settore energetico senza imporre agli Stati membri obblighi n offrire indicazioni circa l'assetto proprietario degli operatori; dall'altro, (16) CGCE sent. 13 marzo 2001, in causa C-379/98, caso PreussenElektra, nella quale i giudici comunitari hanno affermato che: una normativa di uno Stato membro che, da un lato, obbliga le imprese private di fornitura di energia elettrica ad acquistare l'energia elettrica prodotta nella loro zona di fornitura da fonti di energia rinnovabili, a prezzi minimi superiori al valore economico reale di tale tipo di energia elettrica e, dall'altro, ripartisce l'onere finanziario derivante da tale obbligo tra dette imprese di fornitura di energia elettrica e i gestori privati delle reti di energia elettrica situati a monte, non costituisce un aiuto statale ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato. Per un approfondimento, A. COLAVECCHIO, Misure nazionali incentivanti la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili all'esame della Corte di giustizia: note minime in margine alla sentenza PreussenElektra, in rass. giur. en. el., 2001, pp. 838 ss.; A. GRATANI, Quando le misure nazionali che impongono lacquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili possono rappresentare aiuti statali allambiente o restrizione alle importazioni vietate dal diritto comunitario, in Riv. Giur. Amb., 2001, 2, p. 609 ss.; L. RUBINI, Brevi note a margine del caso PresseunElektra, ovvero come prendere seriamente le norme sugli aiuti di Stato e la tutela dellambiente nel diritto comunitario, in Riv. Dir. com. e sc. intern., 2001, 3, pp. 473 ss. Successivamente la CGCE con la sent. 4 dicembre 2003, in causa C-448/01, caso EVN e Wienstrom, ha ammesso che La normativa comunitaria in materia di appalti pubblici non osta a che un'amministrazione aggiudicatrice adotti, nell'ambito della valutazione dell'offerta economicamente pi vantaggiosa per assegnare un appalto di fornitura di elettricit, un criterio d'aggiudicazione che impone la fornitura di elettricit ottenuta da fonti di energia rinnovabili, collegato ad un coefficiente del 45%, essendo al riguardo priva di pertinenza la circostanza che il detto criterio non consente necessariamente di pervenire all'obiettivo perseguito. In argomento, G. GARZIA, Bandi di gara per appalti pubblici e ammissibilit delle clausole c.d. ecologiche, in Foro amm.-CdS, 2003, pp. 3515 ss.; B. POGACE, I criteri ambientali negli appalti pubblici: dalle prime pronunce della Corte di giustizia alla nuova direttiva, 2004718, in urb. app., 2004, 12, pp. 1385 ss. (17) Prima delle direttive citate nel testo la Comunit economica europea aveva manifestato il proprio interesse al riavvicinamento delle discipline nazionali del settore energetico mediante raccomandazioni, aventi ad oggetto, al pari delle prime direttive in materia, il il sistema tariffario. Il riferimento alla raccomandazione 81/924/CEE del Consiglio del 27 ottobre 1981 per l'energia elettrica, alla raccomandazione 83/230/CEE del Consiglio del 21 aprile 1983 per il gas e alla raccomandazione 88/349/CEE del Consiglio del 9 giugno 1988 sullo sviluppo dello sfruttamento delle energie rinnovabili. Tali atti, sebbene non vincolanti per gli Stati membri, hanno avuto l'importante ruolo di iniziare a sensibilizzare gli stessi sull'esigenza di realizzare un mercato comune in un settore strategico per le economie nazionali. (18) Sul punto N. IRTI, Privatizzazione dell'Enel e luoghi dell'interesse pubblico, in rass. giur. en. el., 1995, pp. 289 ss. il quale precisa l'indipendenza concettuale tra liberalizzazione e privatizzazione, che devono essere tenute distinte: la liberalizzazione riguarda l'offerta sul mercato, cio la possibilit che una merce o un servizio siano prodotti da una pluralit di imprese, e surrogabili l'uno con l'altro per scelta del consumatore. La privatizzazione riguarda la composizione del capitale di una data societ, operi essa in regime di monopolio o in concorrenza con le altre imprese (p. 290). Accanto ad entrambe peraltro si pone il problema di ricostruire le tecniche di tutela dell'interesse pubblico (p. 292). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 295 che laddove per varie ragioni l'apertura al mercato si realizzata anche mediante la privatizzazione delle imprese di Stato emersa in misura maggiore la necessit dell'assunzione da parte dei pubblici poteri di un ruolo di regolazione (19). Nondimeno si pu sostenere che alcune forme di privatizzazione possono rappresentare una delle misure, sia pure in s non sufficienti, per realizzare un processo di liberalizzazione. In tale prospettiva, infatti, si pone la trasformazione dell'Enel da ente pubblico operante in regime di riserva (a seguito della nazionalizzazione operata dalla l. 1962) (20) in societ per azioni concessionaria dello Stato ad opera dellart. 15 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con l. 8 agosto 1992, n. 359, quale ad es. la cessione di capacit generazionale imposta ad Enel S.p.a. mediante un piano per il trasferimento degli impianti a societ appositamente costituite, ai sensi dellart. 8 del d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, c.d. Decreto Bersani) (21). Del resto, occorre ripetere che la privatizzazione delle imprese operanti nel settore energetico (19) Per un approfondimento F. RANALLI, S. TESTARMATA, Il settore elettrico italiano: processi di liberalizzazione del mercato e di privatizzazione delle imprese, in R. MELE e R. MUSSARI (a cura di), L'innovazione della governance e delle strategie nei settori delle public utilities, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 101 ss. e spec. p. 107, ove si rileva che le motivazioni alla base del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche sono riassumibili nella ricerca di livelli di efficacia e di efficienza nella fornitura del servizio pi elevati, nell'esigenza di risanamento dei bilanci statali, nonch nel convincimento di una parte ideologica, quella conservatrice, che le privatizzazioni siano uno strumento di democratizzazione, grazie all'apertura del capitale azionario ad un pubblico diffuso e alla riduzione del potere delle organizzazioni sindacali, le quali, non potendo pi sperare in ambigui sussidi incrociati alle imprese pubbliche, devono adattarsi alle regole di mercato. (20) Sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica, G. LANDI, Energia elettrica (nazionalizzazione), in enc. dir., vol. XIV, Milano, Giuffr, 1965, pp. 899 ss.; C. LAVAGNA, Il trasferimento all'Enel delle imprese elettriche, in riv. trim. dir. pubbl., 1965, pp. 593 ss. (21) In tal modo stato consentito lingresso di nuovi operatori nel settore economico liberalizzato dellenergia elettrica. In particolare questo risultato stato realizzato mediante la creazione di tre societ elettriche, denominate GenCo i.e. generation company, a ciascuna delle quali stato trasferito un determinato numero di centrali elettriche prima di propriet dell'ENEL per una potenza complessiva di almeno 15.000 MW. Le tre societ erano: GenCo 1 - Eurogen con una potenza totale degli impianti pari a 7.008 MW; GenCo 2 - Elettrogen con una potenza totale degli impianti pari a 5.438 MW; GenCo 3 - Interpower con una potenza totale degli impianti pari a 2.611 MW. A partire dal 2000 queste societ sono state messe in vendita con conseguente riduzione della capacit di generazione dell'operatore fino a quel momento dominante e la creazione e lingresso di operatori concorrenti. In argomento, L. R. PERFETTI, Principio di legalit e politica economica. Sui limiti posti alle imprese pubbliche nel settore dellenergia, Foro amm.-Cons. St., 2002, 6, pp. 1561 ss., il quale esprime perplessit sulle ricadute che le affermazioni contenute nella sent. Cons. St., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2922, possono avere in termini generali sul rispetto del principio di legalit da parte dellintervento dello Stato nellambito della politica energetica nazionale. La pronuncia citata, che chiude la controversia promossa dal Consorzio Italpower, che raggruppava alcune tra le principali imprese pubbliche partecipate dagli enti locali (nella specie ACEA di Roma, AEM di Milano, AEM di Torino), per la lesione derivante dall'esclusione dalla gara per la dismissione delle centrali elettriche dell'Enel, ha peraltro il pregio di aver affermando a chiare lettere che liberalizzazione e privatizzazione sono due concetti distinti - luno riferito allattivit di mercato, laltro alla struttura organizzativa e finanziaria dei soggetti che vi operano - sebbene tra loro sussistano interferenze reciproche. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 non costituisce, secondo le direttive adottate in materia, un obbligo per gli Stati membri, stante il principio di neutralit quanto alla titolarit (pubblica o privata), ritenendo prevalente il profilo della mission. Di conseguenza si tratta di una trasformazione rimessa ai singoli Stati (22). In generale, come rilevato dalla dottrina (23), lintervento del diritto europeo non consistito solamente nella eliminazione degli ostacoli nazionali alla libera circolazione dei beni e dei servizi, ma proprio con riferimento al settore energetico lUnione europea ha adottato sia una disciplina costitutiva del mercato comune dellenergia elettrica e del gas, sia norme che devono essere osservate dalle autorit nazionali di regolazione. Realizza questo risultato armonizzando gli ordinamenti nazionali mediante principi comuni, conformandone la struttura organizzativa e lazione, ma lasciando al contempo ampi margini di discrezionalit in considerazione delle specificit dei singoli Stati membri. 3. Il servizio energetico quale servizio di interesse economico generale. Come noto le attivit che si inquadrano nel settore dellenergia elettrica e del gas costituiscono, secondo la nomenclatura comunitaria - presente nel Trattato della Comunit europea (24) e ulteriormente definita nel contenuto ad opera di un libro verde e di una successiva comunicazione della Commissione (25), nonch della giurisprudenza della Corte di Giustizia (26) - un esem- (22) Quanto alla capacit di tale profilo di creare asimmetrie nella liberalizzazione dei mercati, F. MUNARI, Il contesto comunitario e il ruolo degli organi europei, in E. BRUTI LIBERATI, F. DONATI (a cura di), Il nuovo diritto dell'energia tra regolazione e concorrenza, Torino, Giappichelli, 2007, pp.15 ss. e spec. p. 21. nonch in generale F. CINTIOLI, La tutela della neutralit dei gestori delle reti e l'accesso nei settori dell'energia elettrica e del gas, ivi, pp. 141 ss. (23) Per questo rilievo G. DELLACANANEA, Lorganizzazione comune dei regolatori per lenergia elettrica e il gas, in Riv. Ital. Dir. pubbl. com., 2004, 6, pp. 1385 ss., il quale conclude che l'Unione non segue il modello di tipo monista, ma quello di tipo policentrico. Esso presenta svariati vantaggi: preserva l'autonomia degli Stati, cio degli enti fondatori; permette la sperimentazione di figure organizzative e tecniche di regolazione; consente la concorrenza tra i regolatori. (24) Il riferimento allart. 16 TCE, ora confluito nellart. 14 TFUE, ai sensi del quale Fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonch del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinch tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi. (25) Il riferimento al Libro verde sui servizi di interesse generale della Commissione europea, adottato in data 21 maggio 2003 (COM (2003) 270 def.). In ordine alla distinzione tra servizi di natura economica e servizi che ne sono privi, indicazioni sono state offerte nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che accompagna la comunicazione "Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo" - I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo del 20 novembre 2007 (COM (2007) 725 def. ) si ribadisce che a tale interrogativo non pu essere data LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 297 pio significativo di servizio di interesse economico generale (27). Orbene, nella terminologia utilizzata dalla normativa di alcuni Stati membri, il servizio di interesse generale dovrebbe corrispondere ai c.d. servizi pubblici essenziali (come ad es. quelli cui si riferisce lart. 43 Cost. a proposito dei monopoli naturali, dei servizi pubblici essenziali e proprio delle fonti di energia), ma la corrispondenza non perfetta, specie per quanto riguarda lesperienza del nostro ordinamento. Difatti nella dimensione nazionale il servizio pubblico, sebbene distinto dalla funzione pubblica (28) - in considerazione della sua natura una risposta a priori; infatti necessaria un'analisi caso per caso, poich si tratta spesso di realt specifiche che variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro, e addirittura da un'autorit locale all'altra; le modalit di fornitura sono in costante evoluzione in risposta all'evolversi della situazione economica, sociale e istituzionale, ad esempio variazioni delle esigenze dei consumatori, novit tecnologiche, ammodernamento delle pubbliche amministrazioni e il trasferimento delle competenze al livello locale. (26) Ex plurimis, Corte di giustizia Ce, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001, ove in tema di in house i giudici comunitari affermano che al fine di determinare se tale bisogno sia privo di carattere industriale o commerciale, spetta al giudice nazionale valutare le circostanze nelle quali tale societ stata costituita e le condizioni in cui essa esercita la propria attivit, tra cui, in particolare, l'assenza di uno scopo principalmente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attivit nonch l'eventuale finanziamento pubblico dell'attivit in esame. Questa pronuncia della Corte di giustizia richiamata anche dalla sentenza della Corte costituzionale del 27 luglio 2004, n. 272, che ha dichiarato lillegittimit costituzionale dellart. 113 bis t.u. enti locali. (27) Sui servizi di interesse generale G.C. SALERNO, Servizi di interesse generale e sussidiariet orizzontale tra ordinamento costituzionale e ordinamento dellUnione europea, Torino, Giappichelli, 2010; L. CERASO, I servizi di interesse economico generale e la concorrenza limitata, Napoli, Jovene, 2010, spec. pp. 39 ss.; J.V. LOUIS, S. RODRIGUES (a cura di), Les services d'intrt conomique gnral et l'Union europenne, Bruylant, Bruxelles, 2006; ID. (a cura di), I servizi pubblici a rete, Raffaello Cortina editore, Milano, 2000; G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, Il Mulino, 2005; A. MASSERA (a cura di), Il diritto amministrativo dei servizi pubblici fra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, Pisa, 2004; E. SCOTTI, Il servizio pubblico: tra tradizione nazionale e prospettive europee, Padova, Cedam, 2003, spec. p. 185; R. VILLATA, L. BERTINOZZI, Servizi di interesse economico generale, in M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffr, 2007, parte speciale, tomo IV, II ed., pp. 1791 ss.; V. CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, fini sociali, servizi dinteresse generale, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2006, pp. 747 ss.; G.F. CARTEI, I servizi di interesse economico generale tra riflusso dogmatico e regole del mercato, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2005, pp. 1119 ss.; A. POLICE, W. GIULIETTI, Servizi pubblici, servizi sociali e mercato: un difficile equilibrio, in serv. pubbl. app., 2004, pp. 831 ss. (28) Chiarisce la distinzione tra pubblica funzione e servizio pubblico, G. MIELE, Pubblica funzione e servizio pubblico, in Arch. Giur., 1933, XXVI, p. 172 ss., il quale giunge alla conclusione che, in assenza di sufficienti appigli nella legislazione positiva, tale distinzione pu essere tracciata sotto un duplice punto di vista a seconda che si considerino le organizzazioni ovvero le attivit: nel primo caso le funzioni rappresentano organizzazioni pubblicistiche destinate, in via principale o esclusiva, all'esercizio di un potere giuridico proprio dell'ente pubblico; dal secondo punto di vista ҏ funzione pubblica l'attivit degl'individui stretti allo Stato, originariamente o successivamente, da un particolare rapporto pubblicistico, che emanano atti giuridici o compiono fatti giuridici o collaborano all'emanazione o al compimento di entrambi in virt di un potere giuridico pubblicistico. Si reputano invece incaricati di un pubblico servizio gl'individui, adetti ad organizzazioni regolate secondo principi di diritto pubblico, che sulla base di uno speciale rapporto pubblicistico con lo Stato, esplicano ogni altro genere di attivit di natura pubblicistica. Se, infine, funzione e servizio coesistono in capo allo stesso soggetto, ove ricorra il rapporto di mezzo a scopo tra il secondo e la prima, l'individuo deve ritenersi investito di una pubblica funzione (p. 202). 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 industriale o commerciale e comunque della sua organizzazione, gestione ed erogazione secondo moduli non autoritativi - ripeteva il carattere della pubblicit proprio del soggetto che ne era titolare. Di qui il concetto di servizio pubblico in senso soggettivo: l'assunzione mediante legge da parte di un soggetto pubblico, sia pure variamente strutturato (ente pubblico economico, azienda municipalizzata, impresa pubblica), del compito di erogare la relativa prestazione, in altre parole, non era un atto meramente ricognitivo, bens costitutivo della natura giuridica pubblica del servizio (29). Per converso, proprio al fine di comprendere appieno la problematica ambientale (infra), occorre ricordare che essendo la Cee originariamente ispirata ad uneconomia libera di mercato non conosceva proprio la nozione di servizio pubblico come nozione distinta ed in un certo senso opposta a quella di servizio privato. Quindi anche allenergia si applicava la nozione generale di servizio di cui allart. 50 Tce (ora art. 57 TFUE), dovendo quindi intendersi come prestazione economica nel settore dellindustria e del commercio fornita normalmente dietro retribuzione. Inoltre dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dagli atti di diritto derivato si ricava che da subito l'ordinamento comunitario ha accolto un'accezione oggettiva del servizio pubblico, da intendersi come attivit resa nell'interesse della collettivit, dando preminenza alla mission perseguita anzich alla natura giuridica del soggetto erogatore (30). Le progressive esigenze di riavvicinamento e di armonizzazione delle legislazioni nazionali (cui il Trattato ha dedicato apposite disposizioni, quali quelle di cui allart. 93 TCE) hanno portato la Cee (nel frattempo divenuta Ce) ad una presa di coscienza delle necessit non solo economiche, ma anche di coesione economico-sociale, di cui si tenuto conto nella formulazione anche giurisprudenziale del concetto di servizio di interesse economico generale (supra), particolarmente nel settore dei trasporti, delle telecomunicazioni e proprio in quello dellenergia. Tale tensione tra le ragioni del mercato e quelle sociali, che progressivamente hanno trovato espressione in seno al Trattato, specialmente dopo le modifiche apportate da Maastricht, emerge chiaramente dalla formulazione dell'art. 86 TCE (ora art. 106 TFUE), in specie al par. 2, ai sensi del quale le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica (29) In tal senso F. VETR, Il servizio pubblico a rete. L'esempio paradigmatico dell'energia elettrica, Torino, Giappichelli, 2005, p. 18 (30) Per un approfondimento sul punto mediante una ricostruzione sistematica degli orientamenti della Corte di giustizia e degli atti delle istituzioni comunitarie, E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, II ed., Torino, 2004, pp. 286 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 299 missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione. In questa prospettiva si pongono allora gli obblighi di servizio pubblico, che sono stati concepiti come un aggravamento del normale contenuto di un servizio economico privato, al fine di assicurare il rispetto di esigenze di natura sociale non adeguatamente tutelate dalle sole regole della concorrenza, come dimostra il regolamento sui trasporti (31). Nel settore dell'energia elettrica la direttiva n. 2003/54 prevede espressamente che nel pieno rispetto delle pertinenti disposizioni del trattato, in particolare dell'art. 86, gli Stati membri possono, nell'interesse economico generale, imporre alle imprese che operano nel settore dell'energia elettrica obblighi relativi al servizio pubblico concernenti la sicurezza, compresa la sicurezza dell'approvvigionamento, la regolarit, la qualit e il prezzo delle forniture, nonch la tutela ambientale, compresa l'efficienza energetica e la protezione del clima (art. 3, par. 2). La disposizione testualmente citata, cui fa il paio quella contenuta nella direttiva 2003/55/CE (art. 3, par. 2) per il settore del gas naturale - peraltro entrambe confluite nellart. 3, par. 2 della direttiva 2009/72/Ce e della direttiva 2009/73/Ce - evidenzia la consapevolezza da parte del diritto europeo che l'apertura del settore energetico al mercato non pu realizzarsi mediante la collocazione delle relative attivit a regime di mercato, ma richiede che la liberalizzazione avvenga nel rispetto di una pluralit di esigenze di natura non economica, tra le quali in particolare quelle ambientali. Al contempo, in un rapporto di reciproco bilanciamento, gli obblighi di servizio pubblico devono essere rispettosi di alcuni principi al fine di non pregiudicare nella sostanza la realizzazione della concorrenza nel relativo segmento (32). A tale proposito si richiede che siano improntati ai criteri (31) Il riferimento al Reg. n. 1191/1969 del 26 giugno 1969, come modificato dal Reg. 1893/1991 del 20 giugno 1991 del Consiglio, relativo allazione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile. Sul punto E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, op. ult. cit., il quale rileva che lart. 14 del citato Regolamento comunitario, nel disciplinare il contratto di servizio pubblico, prevede un rapporto sinallagmatico tra le parti e allente pubblico spetta non pi un potere autoritativo, che si esprime con il provvedimento di concessione e con il disciplinare accessivo, secondo lo schema dei contratti ad oggetto pubblico (sui quali M.S. GIANNINi, Diritto amministrativo, Milano), bens una potest di conformazione del negozio giuridico mediante lintroduzione, nellassetto degli interessi, di obblighi di servizio pubblico, posti a carico del gestore per soddisfare gli interessi generali cui il servizio stesso preordinato. (32) La Corte costituzionale ha peraltro chiarito che la nozione nazionale di concorrenza, riflettendo quella operante in ambito comunitario, include in s sia interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, sia interventi mirati a ridurre gli squilibri attraverso la creazione delle condizioni per la instaurazione di assetti concorrenziali (sent. Corte cost. n. 14/3004; n. 29/2006 e n. 272/2004). Pi precisamente secondo i giudici costituzionali occorre distinguere, nellambito della nozione comunitaria di concorrenza, a) misure antistrust, che coincidono con le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalit di controllo, eventualmente anche di sanzione (sentenza n. 430 del 2007); b) concorrenza nel mercato: realizzata da quelle disposizioni legislative di promozione, che mi- 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dell'obbiettivit, della non discriminazione, della proporzionalit e che non comportino un eccessivo aggravamento delle condizioni in cui opera l'impresa che ne onerata. Inoltre appare opportuno sottolineare come l'imposizione di tali vincoli pubblicistici non ha carattere transitorio, proprio perch non funzionale alla piena realizzazione dell'apertura del mercato, ma ha un connotato di stabilit, ben potendo parimenti variare nel contenuto a fronte dell'evoluzione tecnologica del settore (33). Da ultimo, contigua ma non coincidente con la nozione di servizio pubblico quella di servizio universale (34), che corrisponde a quella attivit (che pu comprendere lintera area di un determinato servizio di interesse economico generale ovvero solo un suo segmento), che a prescindere se sia ammessa a concorrenza, deve essere prestata a particolari e inderogabili condizioni, quali luniversalit, la facilit di accesso non solo in senso materiale ma anche per ci che attiene alle tariffe, leconomicit, la tutela delle fasce sociali pi deboli, etc. Questa esigenza si tradotta laddove non sia possibile assicurare il servizio universale o comunque esso sia oggetto del c.d. contratto di servizio nel collegamento della nozione con i cc.dd. obblighi di servizio pubblico. Tuttavia le due nozioni, anche se collegate, non sono affatto sovrapponibili. Sebbene lobbligo di servizio sia noto originariamente nella normativa comunitaria sui trasporti per assicurare il servizio universale, ha progressivamente compreso ulteriori servizi, che hanno attinenza con il benessere delle popolazioni locali, indipendentemente se le stesse siano consumatori-utenti della relativa prestazione. Tali sono appunto gli obblighi di servizio connessi alla tutela ambientale, dei beni culturali e del paesaggio (35), del governo del territorio, etc. Lobbligo di servizio in tal caso non si riflette solo, come avviene nelloriginario obbligo di servizio, sul contenuto del contratto di servizio (nel senso che gli obblighi, di per s condizioni accidentali del contratto inerenti alla salvaguardia degli utenti vengono parificati a condizioni essenziali del contratto stesso). Difatti rano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacit imprenditoriale e della competizione tra imprese (citata sentenza n. 430 del 2007); c) concorrenza per il mercato: a questo concetto afferiscono le disposizioni legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da assicurare la pi ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (sentenza n. 401 del 2007). Proprio con riferimento ai cc.dd. servizi a rete, tra i quali rientrano i servizi del settore energetico, la Corte costituzionale ha rilevato la sussistenza di concomitanti esigenze di assicurare la cosiddetta concorrenza nel mercato attraverso la liberalizzazione dei mercati stessi, che si realizza, tra laltro, mediante leliminazione di diritti speciali o esclusivi concessi alle imprese (vedi considerando n. 3 della direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/17/CE) (sent. n. 401 del 2007). (33) Cos F. VETR, Il servizio pubblico a rete, op. cit., p. 286, il quale rileva che gli obblighi di servizio pubblico impongono vincoli pubblicistici, che concretano un nuovo modo di essere dell'intervento pubblico nel settore, ma non hanno carattere transitorio, poich non sono finalizzati a realizzare il traghettamento al mercato. (34) In argomento, M. CLARICH, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in rass. giur. en. el., 1998, pp. 41 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 301 in tali casi gli obblighi di servizio costituiscono un potenziale limite alla legittimazione allesercizio di quelle attivit e condizionano, non necessariamente in senso negativo, il titolo al quale sottoposto lesercizio dellattivit stessa. 4.1. Lenergia e lambiente: profili sostanziali. Come autorevolmente rilevato, il punto di snodo del rapporto tra energia ed ambiente costituito dal territorio, sul quale insistono le infrastrutture necessarie per la produzione del bene e l'erogazione del relativo servizio e possono prodursi le conseguenze dannose derivanti dall'esercizio degli impianti (36). Sotto questo profilo, l'equilibrio tra gli obiettivi del settore energetico, fisiologicamente orientati alla produzione industriale e allo sviluppo economico e le ragioni dell'ambiente, prioritariamente indirizzate alla protezione del relativo bene e alla salvaguardia delle condizioni di vita (37) si realizza mediante la previsione di prescrizioni di natura strutturale e statica, da un lato, e funzionale e dinamica, dall'altro, entrambe conformanti e/o condizionanti le infrastrutture di settore. Peraltro si noti che si tratta di strumenti giuridici che consentono di dare autonoma consistenza ad interessi estrinseci rispetto a quelli propri del settore e che vengono previsti anche per le infrastrutture necessarie all'erogazione di altri servizi a rete, quali le telecomunicazioni ed il trasporto, ugualmente incidenti sulla dimensione ambientale e sanitaria. Le prime consistono in una serie di vincoli relativi alla definizione delle caratteristiche tecniche di sicurezza degli impianti e della rete per la protezione sanitaria dei lavoratori e nella indicazione della distanza dell'infrastruttura da zone abitative a tutela della salute della popolazione mediante la definizione delle c.d. fasce di rispetto; si pensi a titolo esemplificativo a quanto previsto per gli elettrodotti o per le fonti di energia elettrica che producono inquinamento luminoso o acustico (38). (35) Sul bilanciamento quale modalit di risoluzione del conflitto tra paesaggio e attivit produttive, con particolare riferimento allenergia eolica indicata come paradigmatica di tale contrasto, nonch occasione per un ripensamento dei concetti di ambiente e paesaggio e del ruolo primario del risultato nellambito della legittimit dellazione amministrativa F. DE LEONARDIS, Criteri di bilanciamento tra paesaggio e energia eolica, in Dir. amm., 2005, 4, pp. 889 ss., il quale indica tre criteri di bilanciamento: lillegittimit dei divieti assoluti, la concretezza della motivazione e la localizzazione di risultato. (36) Il riferimento a M. S. GIANNINI, Riflessioni su energia ed ambiente, op. cit. (37) Per l'approfondimento di questo rilievo P. DELL'ANNO, Funzioni e competenze nella vicenda energetico-ambientale e loro coordinamento, in Rass. giur. en. el., 1987, p. 599. (38) La normativa di riferimento costituita dalla l. 22 febbraio 2001, n. 36, Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualit per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti e dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualit per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, nonch dalla legislazione regionale di settore. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Le prescrizioni di natura funzionale e dinamica invece consistono nel sottoporre la possibilit di realizzare un impianto di produzione di energia convenzionale o rinnovabile a determinati procedimenti dichiarativi e/o autorizzatori, nell'ambito dei quali si realizzano la ponderazione ed il bilanciamento con le finalit della tutela ambientale. I principali procedimenti dichiarativi coincidono con le c.d. valutazioni ambientali (39): la valutazione ambientale strategica (VAS), la valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione di incidenza (VI). La valutazione ambientale strategica si deve compiere su tutti i piani territoriali e programmi di interventi pubblici e privati, specialmente se aventi valore strategico (40). Si tratta di un istituto introdotto con la Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, che stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e ss.mm.ii. Lart. 5 del decreto citato definisce la Vas come il processo che comprende () lo svolgimento di una verifica di assoggettabilit, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio. La Vas ha la finalit di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4, co. 4 lett. a d.lgs. n. 152 del 2006). La valutazione di impatto ambientale (41), invece, riguarda singole categorie di opere pubbliche, tra cui in particolare proprio le centrali elettriche, sia quelle alimentate da fonti energetiche tradizionali, sia quelle da fonti rinnovabili. Lart. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce la Via procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto () ai fini dell'individuazione delle soluzioni pi idonee al (39) L'espressione di F. FRACCHIA, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON (a cura di), Diritto dell'ambiente, Roma - Bari, Laterza, 2008, pp. 213 ss. e spec. pp. 401 ss. (40) Sulla distinzione tra Vas e Via relativamente alloggetto della valutazione Cons. stato, IV sez., 19 novembre 2010, n. 9113: ai sensi dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 152/2006, la procedura di V.A.S. ("valutazione ambientale strategica") espressamente riservata alla valutazione ambientale di piani e programmi, restando conseguentemente escluse le varianti riguardanti la realizzazione di singoli progetti, per i quali il legislatore abbia predisposto il diverso strumento del procedimento di V.I.A. ("valutazione di impatto ambientale"). (41) M. S. GIANNINI, Riflessioni su energia e ambiente, in rass. giur dell'en. el., IV, 1987, n. 3 ed ora in Scritti, vol. VIII, Milano, Giuffr, 2006, pp 751 e spec. p. 756, chiarisce che dal punto di vista giuridico la valutazione di impatto ambientale non un istituto, ma un momento del procedimento amministrativo, che si inserisce nella fase istruttoria. Rileva peraltro che sotto l'etichetta d'impatto ambientale, sta uscendo fuori un'altra nozione, che quella di risultato sociale di effettuazione di un'opera, nella specie, per quanto qui interessa, di opera per la produzione di energia, ma in genere di qualsiasi opera pubblica. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 303 perseguimento della finalit, comune alla Vas, di assicurare che l'attivit antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacit rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversit e di un'equa distribuzione dei vantaggi connessi all'attivit economica. Per mezzo della Vas e della Via si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attivit normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione (art. 4, co. 3 d.lgs. n. 152 del 2006). In particolare, mediante la Via si persegue lobiettivo di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualit della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacit di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita (art. 4, co. 4, lett. b d.lgs. n. 152 del 2006). Quanto alla competenza, il riparto stato delineato, ancor prima della riforma del titolo V Cost., dal d.lgs. n. 112/1998 (c.d. decreto Bassanini). Lart. 35 di quest'ultimo prevede che agli adempimenti relativi alla valutazione di impatto ambientale (VIA) dei progetti di ricerca e di coltivazione di minerali solidi e risorse geotermiche sulla terraferma (art. 34 d.lgs. n. 112/1998) provvedono le regioni, sentiti i comuni interessati, secondo le norme dei rispettivi ordinamenti, a decorrere dall'entrata in vigore delle leggi regionali in materia; queste disposizioni non si applicano ai progetti di ricerca e di coltivazione di idrocarburi in mare. Quanto all'ambito oggettivo di applicazione di questi procedimenti di recente la direttiva 2011/92/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 concernente la valutazione dellimpatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, nel codificare le modificazioni che nel tempo hanno interessato la precedente direttiva 85/337/CEE del Consiglio, ha distinto i progetti che sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale (Allegato I) e quelli per i quali spetta agli Stati membri determinare se debba procedersi a tale valutazione (Allegato II) secondo due modalit, anche cumulabili: esame caso per caso ovvero fissazione di soglie e criteri (art. 4 dir. 2011/92/CEE)(42). (42) Tra i progetti per i quali la direttiva prevede che gli stati membri procedano a via, ai nostri fini assumono rilevanza tra quelli indicati allallegato I: a) Centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica pari o maggiore di 300 MW; b) centrali nucleari e altri reattori nucleari, compreso lo smantellamento e lo smontaggio di tali centrali e reattori ( 1 ) (esclusi gli impianti di ricerca per la produzione e la lavorazione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 kW di durata permanente termica). Tra i progetti la cui assoggettabilit a Via rimessa alla decisione degli Stati membri per lindustria energetica sono indicati: a) Impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda (progetti non compresi nellallegato I); b) Impianti industriali per il trasporto di gas, vapore e acqua calda; trasporto di energia elettrica mediante linee aeree (progetti non compresi nellallegato I); c) Stoccaggio in superficie di gas naturale; d) Stoccaggio di gas combustibile in serbatoi sotterranei; e) Stoccaggio in superficie di combustibili fossili; f) Agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite; g) Impianti per il trattamento e lo stoccaggio di residui radioattivi (se non compresi nellallegato I); h) 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 In tal modo viene rimesso agli Stati membri, nel rispetto peraltro dei presupposti di fatto costituiti dalla tipologia di progetti indicati nellAllegato II, il c.d. screening ambientale al fine di stabilire se sia opportuno procedere o meno a valutazione di impatto ambientale. Quindi, secondo le prospettazioni classiche in tema di discrezionalit, lo stesso diritto europeo riconosce che gli interessi pubblici ambientali, paesaggistici e dei beni culturali, possono rendere recessivo linteresse pubblico primario di carattere industriale alla produzione di energia elettrica e di gas naturale, dei quali lItalia peraltro Paese largamente importatore (43). La c.d. valutazione dincidenza riguarda invece pi propriamente gli aspetti di protezione della natura nel suo complesso e quindi gli habitat naturali e i siti di interesse naturalistico disciplinati a livello comunitario dalla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, nonch la protezione dellavifauna realizzata a partire dalla direttiva 79/409CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, pi volte modificata e ora rifusa nella direttiva 2009/147/CE del 30 novembre 2009. La prima stata implementata nel nostro ordinamento con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, la seconda con la l. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). In pratica tutti i siti che possono far parte della Rete Natura 2000, siano essi Siti di interesse comunitario (SIC), Zone speciali di conservazione (ZSC) o Zone di protezione speciale (ZPS), debbono essere oggetto di un apposito studio di valutazione di incidenza, che viene realizzato nellambito del procedimento di vas o normalmente di via, secondo quanto puntualmente disposto dal Codice dellambiente (d.lgs. n. 152/2006) (44). Il secondo passaggio dellincidenza degli obblighi di servizio pubblico sullesercizio delle attivit energetiche si attua nel procedimento autorizzatorio alla costruzione ed esercizio degli impianti ovvero alla costruzione e allesercizio degli elettrodotti e gasdotti. Come noto, a ci si provvede per ragioni di semplificazione amministrativa, con la autorizzazione integrata ambientale (AIA), nella quale incorporato il c.d. sub procedimento di VIA, che in realt un vero e proprio Impianti per la produzione di energia idroelettrica; i) Impianti di produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento (centrali eoliche). IT 28.1.2012 Gazzetta ufficiale dellUnione europea L 26/11; j) Impianti per la cattura di flussi di CO 2 provenienti da impianti che non rientrano nellallegato I della presente direttiva ai fini dello stoccaggio geologico a norma della direttiva 2009/31/CE. (43) Sullattivit di importazione ed in particolare sul fondamento normativo e sul sindacato giurisdizionale del potere di regolazione dellAutorit per lenergia elettrica e il gas, a commento della sent. Tar Lombardia Milano, sez. II, 23 novembre 2000, n. 3635 e ord. Cons. St., sez. VI, 1 dicembre 2000, n. 6206, M. RAMAJOLI, Sistema dasta, concorrenza e regolazione dellimportazione di energia elettrica, in Giorn. Dir. Amm., 2001, 3, pp. 380 ss. (44) Il Decreto del Ministero dellambiente del 25 marzo 2004 riporta lelenco dei siti di importanza comunitaria in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Il decreto del Ministero dellambiente 25 marzo 2005 adotta lelenco delle zone a protezione speciale, classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 305 procedimento autonomo dichiarativo. Ai sensi dellart. 4, comma 4, lett. c) del d.lgs. n. 152 del 2006 lautorizzazione integrata ambientale ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attivit di cui all'allegato VIII (45) e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale. Da ultimo occorre rilevare che lincidenza degli obblighi di servizio pubblico collegati allambiente tanto pi forte quanto il territorio interessato dalla localizzazione dellimpianto sia gi oggetto della tutela ambientale rafforzata attraverso i vincoli previsti dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), dalla legge statale 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree naturali protette) o dalle leggi regionali a protezione della natura o dalla normativa ecologica di settore, quali le aree a rischio di incidenti rilevanti, le aree soggette a bonifica dei siti contaminati, le aree di dissesto idrogeologico o di rischio sismico di I grado, le zone di rispetto per altri impianti, per cimiteri o altri servizi pubblici. In buona parte quelli ora descritti costituiscono gli strumenti di tutela ambientale in relazione allimpatto degli impianti di produzione dellenergia elettrica e/o degli impianti di gas naturale. Tuttavia la tutela ambientale nella gerarchia degli interessi pubblici non equiparata a qualsivoglia interesse pubblico, sia dal punto di vista del diritto comunitario che dello stesso diritto nazionale. In particolare per il diritto comunitario lambiente una supermateria potenzialmente rientrante nella competenza primaria dellUnione europea, con la conseguenza che in via generale non pu trovare applicazione il principio di sussidiariet comunitaria nella sua proiezione verticale. Inoltre i principi di tutela ambientale devono essere adeguatamente valutati e bilanciati nellelaborazione ed attuazione delle altre politiche comunitarie. Tuttavia un limite alla possibilit di perseguire la tutela ambientale dato dal c.d. sviluppo sostenibile (46), per cui il principio stesso non deve tradursi in un blocco indiscriminato dello sviluppo delle attivit economiche. Inoltre il fatto che le attivit connesse al ciclo dellenergia vengano comunque positivamente valutate nei procedimenti di Vas, Via e Sic. O addirittura positivamente valutate (45) Quanto al settore alle attivit energetiche il riferimento a: 1.1 Impianti di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW; 1.2. Raffinerie di petrolio e di gas; 1.3. Cokerie; 1.4. Impianti di gassificazione e liquefazione del carbone; 1.4-bis Terminali di rigassificazione e altri impianti localizzati in mare su piattaforme off-shore. (46) Con specifico riferimento al settore energetico, ove in maniera pi pregnante il perseguimento di obiettivi di sviluppo economico e sociale devono costantemente rapportarsi alle esigenze di tutela ambientale, S. KHTZ, Energia e sviluppo sostenibile. Politiche e tecnologie, Rubettino, 2005. 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dallAIA non le esonera dalle eventuali sanzioni se risultino inquinanti a posteriori, compresa la chiusura, e le sottopone alla rigorosa osservanza di tutti i principi previsti dagli artt. 174 ss. in materia di tutela ambientale. 4.2. Lenergia e lambiente: profili processuali. Il rispetto dei limiti imposti dallobbligo di servizio pubblico a tutela dellambiente ed in generale losservanza di tutti i tipi di vincoli e prescrizioni, nonch standard ambientali, paesaggistici, naturalistici e culturali viene anche assicurato in sede giurisdizionale mediante lesperimento delle diverse azioni, tra le quali si ricordano: a) quelle a protezione degli interessi ambientali, collettivi e diffusi, da parte delle associazioni ambientaliste ufficialmente individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalit programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonch della continuit dell'azione e della sua rilevanza esterna, ai sensi dellart. 13 della l. 8 luglio 1986, n. 349. Come noto, tali associazioni possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e sono legittimate a ricorrere in sede amministrativa avverso lillegittimo esercizio ovvero le illegittime omissioni del potere amministrativo, quando pregiudichino lambiente (art. 18, comma 5, l. n. 349 del 1986). Si noti che sul punto la legislazione nazionale ha realizzato una fuga in avanti rispetto alla normativa comunitaria, che ha tardato a riconoscere la medesima legittimazione alle associazioni ambientaliste nel relativo ambito sovranazionale. Difatti solamente in tempi recenti, rispettivamente con il Regolamento Ce n. 1367/2006 del 6 settembre 2006 e con la decisione Ce n. 50/2008 della Commissione del 13 dicembre 2007, in attuazione della Convenzione di Aarhus (47), stata introdotta la possibilit di chiedere alle istituzioni europee il riesame interno degli atti amministrativi in materia ambientale adottati dagli organi comunitari ed stata riconosciuta la legittimazione attiva delle associazioni ambientaliste allesercizio della tutela giurisdizionale. Gi prima con la direttiva 2003/4/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 relativa allaccesso del pubblico allinformazione ambientale e la direttiva 2003/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale, la Comunit europea ha dato attuazione agli obiettivi fissati in occasione della citata Convenzione. (47) La Convenzione di Aarhus della Commissione economica per lEuropa delle Nazioni Unite (UNECE) stata firmata nellomonima cittadina danese il 25 giugno 1998, in attuazione del Decimo principio della Dichiarazione sullambiente e lo sviluppo approvata dalla Conferenza delle Nazioni Unite nel 1992 a Rio de Janeiro, relativo alla realizzazione dellobiettivo della pi ampia partecipazione della collettivit civile nelle questioni ambientali in termini di conoscenza e di incidenza sulle decisioni adottate dai pubblici poteri. La Comunit ha approvato la convenzione di Aarhus il 17 febbraio 2005 con la dec. 2005/370/CE del Consiglio del 17 febbraio 2005. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 307 Con il Reg. n. 1367/2006 si inteso disciplinare i tre pilastri della convenzione di Aarhus, vale a dire accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale, in un unico atto normativo e stabilire disposizioni comuni per quanto riguarda gli obiettivi e le definizioni. La dec. n. 2008/50 ha dato attuazione alle disposizioni del Regolamento citato relative al riesame interno di atti e omissioni di natura amministrativa in materia ambientale. Si noti che rispetto alla disciplina nazionale, nel diritto comunitario ai sensi dellart. 12 (48) del Reg. n. 1367/2006 la sussistenza della legittimazione delle associazioni ambientaliste condizionata al previo esperimento dei rimedi disposti in via amministrativa, con soluzione che ripete quella in origine prevista nel nostro ordinamento quanto ai rapporti tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale. Sotto questo profilo, dunque, sembra che la soluzione offerta dal diritto interno assicuri una forma di tutela pi diretta, in quanto non mediata dalla necessit per le associazioni ambientaliste di adire prima listituzione che ha adottato latto o che ha commesso lomissione (49). Sono potenzialmente oggetto di tali impugnative, per quanto riguarda il settore dellenergia, non solo i procedimenti ed i provvedimenti che ne legittimano lesercizio (tra i quali soprattutto lAIA), ovvero che ne valutano positivamente linserzione in un programma territoriale o di sviluppo di opere pubbliche (Vas) ovvero valutano positivamente la fattibilit di una singola opera pubblica (Via), ma altres tutti i piani territoriali e persino quelli ambientali con specifico valore di piano territoriale (quali i piani territoriali di coordinamento provinciale, i piani territoriali paesistici, i piani dei parchi e delle altre aree protette, etc...). Quindi anche un piano regolatore che abbia recepito la localizzazione di una centrale elettrica non esente dal rischio di essere impugnato, qualora la procedura non sia perfettamente legittima. (48) Articolo 12 Ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia 1. Lorganizzazione non governativa che ha formulato la richiesta di riesame interno ai sensi dellarticolo 10 pu proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato. 2. Qualora listituzione o lorgano comunitario ometta di agire a norma dellarticolo 10, paragrafo 2 o paragrafo 3, lorganizzazione non governativa ha il diritto di proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato. In argomento, A.TANZI, E. FASOLI, L. IAPICHINO (a cura di), La Convenzione di Aarhus e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, Padova, Cedam, 2011. (49) Per inciso si noti invece che discorso diametralmente opposto deve svolgersi quanto al diritto di accesso alle informazioni ambientali riconosciuto in materia ambientale a chiunque, cittadino a associazione, senza necessit di dimostrare la titolarit di uno specifico interesse e esercitabile mediante una richiesta generica dal d.lgs. 9 agosto 2005, n. 195 proprio in attuazione della normativa comunitaria contenuta nella direttiva 2003/4/CE e diversamente da quanto previsto in generale dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo al Capo V, agli artt. 22 ss. e dal Decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184, ove si riconosce il diritto di accesso solo a chi sia portatore di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale chiesto l'accesso. Per un approfondimento di questa tematica A. ANGELETTI (a cura di), Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale, Napoli, ed. scient. Ital., 2011; G. RECCHIA (a cura di), Informazione ambientale e diritto di accesso, Padova, Cedam, 2007. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 b) Il secondo tipo di azione la c.d. class action amministrativa di cui al d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (50), mediante la quale il giudice amministrativo pu comandare lobbligatoria adozione di atti amministrativi generali, di atti di individuazione di standard, di piani attuativi, etc, che concorrono nel loro insieme o singolarmente a formare il pacchetto dei c.d. obblighi di servizio pubblico in materia ambientale. A tal fine i presupposti dellazione e la legittimazione ad agire sono indicati allart. 1, ai sensi del quale Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralit di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalit stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standards qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorit preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni definiti dalle stesse in conformit alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrit delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (co. 1). Il ricorso pu essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralit di utenti e consumatori, che possono esperire la class action (co. 4). Nondimeno non si tratta di una tutela che ripeta quella gi approntata dallordinamento con la disciplina del novero delle azioni devolute al giudice (50) Tra i pi recenti contributi in materia di class action nellamministrazione di risultato G. SORICELLI, Contributo allo studio della class action nel sistema amministrativo italiano, Milano, Giuffr, 2012; F. MANGANARO, Lazione di classe in unamministrazione che cambia, in www.giustamm.it, 2010; F. CINTIOLI, Note sulla c.d. class action amministrativa, in www.giustamm.it, 2010; F. MARTINES, Lazione di classe del d.lgs. 198/2009: unopportunit per la pubblica amministrazione?, in www. giustam. it, 2010; M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive comunitarie (a proposito di class action allitaliana), in www.giustamm.it, 2010; C.E. GALLO, La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb. App., 2010, pp. 50 1 ss.; D. SICLARI, Decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, Attuazione dellarticolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per lefficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, in E. PICOZZA (a cura di), Codice del processo amministrativo. D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, commento articolo per articolo, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 329 ss.; ID., Profili di diritto processuale amministrativo: class actions e tutela degli interessi collettivi e diffusi in Trattato di diritto dellambiente diretto da P. DELLANNO e E. PICOZZA, Cedam, Padova, 2012, pp. 403 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 309 amministrativo nellambito della propria giurisdizione. Difatti, da un lato, lart. 1 citato precisa che il ricorso non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti avverso i quali pu essere proposto; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari. Dallaltro tale istituto appare pienamente incardinato nellambito della giurisdizione del giudice amministrativo, che indicata come esclusiva; inoltre questioni di competenza sono rilevabili anche d'ufficio. Si tratta dunque di una forma di tutela complementare rispetto a quella ordinaria in via generale affidata al giudice amministrativo e che, con specifico riferimento alla protezione di interessi che emergono in materia ambientale riconosciuti giuridicamente rilevanti dallordinamento, sia quando facciano capo a singoli che quando sino adespoti ovvero collettivi, bilancia la limitazione prevista nel Codice dellambiente in ordine alla risarcibilit del danno ambientale (51). Il riferimento alla disciplina contenuta nella Parte sesta del d.lgs. n. 152 del 2006. Inoltre, occorre sottolineare che la class action nei confronti della pubblica amministrazione supera le dimensioni del singolo caso concreto in cui viene esperita, poich non ha una prospettiva risarcitoria, ma ha lattitudine a produrre effetti riflessi sul complessivo andamento dellamministrazione, avendo la dichiarata finalit di ripristinare il corretto svolgimento della funzione ovvero la corretta erogazione del servizio. Per dirla in termini di analisi economica del diritto, si tratta di esternalit positive che hanno una valenza ancora maggiore a tutela dellambiente, in ragione della natura di bene immateriale e dei caratteri di appartenza, partecipazione e solidariet di questultimo (52). 5. Il riparto di competenza tra Stato, Regioni ed enti locali nel settore dellenergia con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale. noto che ai sensi dellart. 117, terzo comma Cost. sussiste la competenza concorrente di Stato e Regioni in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, il cui contenuto stato chiarito dalla Corte costituzionale (53). Allo Stato spetta dunque l'adozione della disciplina di prin- (51) Per un approfondimento di questo rilievo D. SICLARI, Profili di diritto processuale amministrativo: class action e tutela degli interessi collettivi e diffusi, in E. PICOZZA (a cura di), Trattato di diritto dellambiente, Padova, Cedam, 2012, pp. 403 ss. e spec. P. 425. (52) Per un approfondimento di questi concetti, PICOZZA, Diritto dell'economia: disciplina pubblica, Padova, 2004, nonch pi recentemente ID., Introduzione al diritto amministrativo, Padova, 2007, il quale rileva come rispetto ai beni immateriali si inverta la relazione, che si fonda sul concetto di appartenenza: non l'ambiente che appartiene all'uomo, ma viceversa l'uomo che appartiene all'ambiente. Inoltre, ciascun essere umano chiamato a partecipare alla tutela e alla protezione dell'ambiente, in un vincolo di solidariet con gli altri consociati. (53) Nella sent. 14 ottobre 2005, n. 383 ha chiarito che la formula produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, di cui all'art. 117, co. 3 Cost. deve ritenersi corrispondere alla nozione di settore energetico di cui alla legge n. 239 del 2004, cos come alla nozione di politica energetica nazionale utilizzata dal legislatore statale nell'art. 29 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (...), che era esplicitamente comprensiva di qualunque fonte di energia. 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 cipio e alle Regioni la definizione della normativa di dettaglio. Anche in tali ipotesi il c.d. federalismo costituzionale stato anticipato dal c.d. federalismo amministrativo, stante il trasferimento di significative funzioni amministrative alle Regioni in questa materia operato dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Titolo I, Capo V) in attuazione della l. delega 15 marzo 1997, n. 59. Tuttavia l'apparente linearit del riparto (54) presto smentita ove si tenga conto dell'elaborazione offerta dalla Corte costituzionale, che in pi occasioni ha rilevato la ricorrenza di preminenti interessi di carattere unitario, che possono comportare una particolare articolazione del rapporto tra normativa di principio e disciplina di dettaglio (55), relativamente al profilo degli obblighi comunitari e alle esigenze sottese all'approntamento delle infrastrutture. La realizzazione degli obiettivi posti dalle direttive comunitarie pu comportare esigenze di unitariet del procedimento sull'intero territorio nazionale; parimenti per ci che concerne la progettazione e la realizzazione di impianti di produzione e di distribuzione di energia stata rilevata la necessit di rispettare le regole tecniche fissate a livello nazionale (56). Peraltro, come i profili della liberalizzazione e della tutela ambientale sopra trattati suggeriscono, la materia dell'energia si pone al punto di passaggio di altre competenze statali esclusive per ci che concerne la tutela della concorrenza (57), dei livelli essenziali delle prestazioni e soprattutto l'ambiente (58). In particolare con riferimento a quest'ultimo occorre ricordare come dapprima la Corte costituzionale abbia affermato che lambiente non fosse una materia in senso stretto, bens una materia valore, che investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In questa prospettiva spettava allo Stato per lo pi definire standards minimi di tutela, che potevano essere im- (54) Peraltro gi allindomani della riforma del titolo V della Costituzione sono state espresse delle perplessit in ordine alla collocazione dellenergia tra le materie di competenza concorrente. Sul punto S. CASSESE, Lenergia elettrica nella legge costituzionale n. 3/2001, in Rass. giur. en. elettr., 2002, 498 ss. (55) In generale sul tema G. SCIACCA, Sussidiariet istituzionale e poteri statali di unificazione normativa, Napoli, 2009; W. NOCITO, Dinamiche del regionalismo italiano ed esigenze unitarie, Milano, 2011. (56) In tal senso, richiamando la sentenza della Corte cost. 25 luglio 2005, n. 336 pronunciata nel diverso settore a rete delle telecomunicazioni, nonch le sent. 6 e 7 del 2004, F. DONATI, Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di energia, in Il nuovo diritto dell'energia tra regolazione e concorrenza, op. cit., pp. 35 ss. e spec. p. 38. Nello stesso senso la successiva sent. 17 marzo 2006, n. 103. (57) Per i limiti derivanti alla competenza concorrente delle regioni in materia energetica dall'esercizio di competenza legislativa esclusiva statale in materia di concorrenza ai sensi dell'art. 117, co. 2, lett. e), sent. corte cost. 18 gennaio 2008, n. 1. (58) Molto chiaro nellindicare nella coesistenza di una molteplicit di interessi afferenti a diverse materie le ragioni del difficile riparto delle competenze in termini di esclusivit dellintervento e al contempo della preferibile percorribilit di soluzioni procedimentali nel settore energetico G. COMPORTI, Energia e ambiente, in G. ROSSI, Diritto dellambiente, Milano 2011, p. 276, il quale rileva che il carattere diffuso ed intersettoriale degli interessi relativi alle questioni ambientali ed energetiche ha, in definitiva, impedito lattuazione del pur perseguito disegno di attribuzione delle materie a distinte organizzazioni compatte a carattere istituzionale e territoriale e ha svelato lassorbente rilievo svolto dal procedimento quale sede di raccordo, coordinamento e valutazione integrata. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 311 plementati da parte delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati a quelli ambientali (59). Questa soluzione si impone, secondo la citata giurisprudenza costituzionale, quando in una fattispecie in cui si verifichi lintreccio di materie (e conseguentemente di competenze), non sia possibile trovare una soluzione mediante lapplicazione del c.d. principio di prevalenza, con la conseguenza che legge statale e legge regionale si trovano in concorrenza; nel caso opposto, se prevale la competenza esclusiva statale la stessa sar piena e come tale comprensiva della potest regolamentare. Successivamente la materia dell'ambiente stata intesa in senso oggettivo, precisando che sul medesimo bene giuridico unitariamente inteso (ambiente) insistono la tutela (o conservazione) di competenza esclusiva dello Stato e la fruizione (in particolare il governo del territorio), di competenza concorrente regionale (60). Le Regioni possono prevedere misure di tutela ulteriori e/o maggiori rispetto agli standards unitari cos definiti per disciplinare il diverso oggetto delle loro competenze (61). Inoltre, con moto ascensionale, le funzioni amministrative ripartite all'art. 118 Cost. secondo il principio di sussidiariet verticale possono essere esercitate dallo Stato quanto ricorrano interessi di carattere unitario. Di conseguenza tale spostamento delle funzioni amministrative attrae a s la relativa competenza legislativa, che altrimenti spetterebbe alle Regioni (anche in materia concorrente quale l'energia), non essendo ipotizzabile che tali funzioni siano esercitate dallo Stato secondo discipline differenziate dettate dalle Regioni (62). Tuttavia la chiamata in sussidiariet non solo deve essere, sotto il profilo (59) V. sentt. Corte cost. 26 luglio 2002, n. 407; 20 dicembre 2002, n. 536; 4 luglio 2003, n. 226; 7 ottobre 2003, n. 307; 22 luglio 2004, n. 259; 29 dicembre 2004, n. 429; 16 giugno 2005, n. 232 e 25 luglio 2005, n. 336; 28 giugno 2006, n. 246; 1 dicembre 2006, n. 398. Per una ricostruzione dell'evoluzione normativa e un'interessante rassegna degli arresti della giurisprudenza costituzionale in materia di ambiente G. CORDINI, Principi costituzionali in materia di ambiente e giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in riv. giur. amb., 2009, pp. 611 ss. (60) Questo orientamento della Corte costituzionale, che ha sostituito al concetto atecnico di intreccio di materie e competenze quello giuridico di concorso di materie, si avuto a partire dalle sentenze 7 novembre 2007, n. 367 e 14 novembre 2007, n. 378. Per un approfondimento P. MADDALENA, La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di tutela e fruizione dell'ambiente e le novit sul concetto di materia, sul concorso di pi competenze sullo stesso oggetto e sul concorso di materie, in riv. giur. amb., 2010, pp. 685 ss., nonch pi recentemente ID., L'interpretazione dell'art. 117 e dell'art. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e fruizione dell'ambiente, in riv. giur. amb., 2011, pp. 735 ss. (61) In tal senso 23 gennaio 2009, n. 12; 6 febbraio 2009, n. 30; 5 marzo 2009, n. 61; sent. 15 aprile 2008, n. 102; 18 giugno 2008, n. 214. (62) Particolarmente interessante quanto affermato in argomento dalla Corte costituzionale con la sent. 17 giugno 2010, n. 215: In considerazione del fatto che si verte in materia di produzione, trasmissione e distribuzione dellenergia, non pu in astratto contestarsi che lindividuazione e la realizzazione dei relativi interventi possa essere compiuta a livello centrale, ai sensi dellart. 118 della Costituzione. In concreto, per, quando un simile spostamento di competenze motivato con lurgenza che si ritiene necessaria nellesecuzione delle opere, esso devessere confortato da valide e convincenti argomentazioni. Ora, agevole osservare che, trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo durgenza dovrebbe comportare lassunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 contenutistico, proporzionata, non affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalit, ma anche, dal punto di vista procedurale, oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata (intesa forte), il cui mancato raggiungimento costituisce un ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento (intesa in senso forte) (63). Tuttavia sul punto occorre richiamare le modifiche recentemente introdotte all'istituto della Conferenza di servizio, di cui agli artt. 14 ss. l. 7 agosto 1990, n. 241, ad opera del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con l. 30 luglio 2010, n. 122, e specialmente allart. 14 quater, che ha previsto uno strumento politico per il mancato raggiungimento dell'accordo in tale sede. Ci comporta che, se opera la chiamata in sussidiariet, la formazione di una legge statale che incida in dettaglio nella materia stessa e non si limiti alla mera indicazione dei principi generali, deve essere oggetto di una previa intesa con le regioni di volta in volta interessate e se lintesa non si realizza, essa pu essere superata con la procedura di alta amministrazione e cio con la decisione politica del Presidente del Consiglio dei ministri. Ne consegue un indebolimento della dimensione consensuale e collaborativa dello strumento dellintesa. Per quanto poi riguarda le Regioni a statuto speciale, se prima della riforma del titolo V della Cost. poteva riconoscersi la loro differenziazione quanto alla titolarit di competenze in materia energetica potenzialmente in senso pi ampio rispetto a quelle spettanti alle Regioni a statuto ordinario e talora corrispondente a quella ora definita all'art. 117, co. 3 Cost. (es. la Sardegna (64)), la medesime. Invece la disposizione impugnata stabilisce che gli interventi da essa previsti debbano essere realizzati con capitale interamente o prevalentemente privato, che per sua natura aleatorio, sia quanto allan che al quantum. Si aggiunga che la previsione, secondo cui la realizzazione degli interventi affidata ai privati, rende lintervento legislativo statale anche sproporzionato. Se, infatti, le presunte ragioni dellurgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare dellesecuzione immediata delle opere, non cՏ motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi. I canoni di pertinenza e proporzionalit richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimit di previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni non sono stati, quindi, rispettati. Tale orientamento, che ammette la chiamata in sussidiariet da parte dello Stato non solo per ci che concerne lindividuazione, ma anche la realizzazione degli interventi in materia di energia stato poi confermato dalla sent. 12 maggio 2011, n. 165. (63) In tal senso la pronuncia 1 ottobre 2003 n. 303, i cui principi sono stati sviluppati, quanto al settore energetico, a partire dalla successiva sent. 13 gennaio 2004, n. 6, in Giur. cost., 2004, pp. 205 ss., con commento di F. BILANCIA, La riforma del titolo V della Costituzione e la perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari, ivi, pp. 137 ss.; F. DE LEONARDIS, La Consulta tra interesse nazionale ed energia, ivi, pp. 145 ss.; E. PESARESI, Nel regionalismo a tendenza duale, il difficile equilibrio tra unit ed autonomia, ivi, pp. 153 ss., nonch sent. 2005, n. 383. (64) L'art. 4 dello Statuto sardo riconosceva alla Regione una competenza legislativa concorrente in materia di produzione e distribuzione di energia elettrica. Sul punto D. FLORENZANO, op. cit., p. 133, il quale rileva che la prospettiva della normativa statutaria delle regioni ad autonomia speciale appariva limitata e indebolita da un approccio non organico al tema e da una visione del tutto parziale degli interessi sottesi al settore energetico, imperniata su una rilevante cifra patrimoniale e/o ad una mera aspirazione conservativa delle risorse locali. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 313 giurisprudenza costituzionale successiva sembra diretta nel senso di una sostanziale omologazione dei due tipi di autonomia regionale (65). Per quanto invece concerne il ruolo delle autonomie locali in materia energetica, la Regione deve coinvolgere adeguatamente i comuni, le province e gli altri enti pubblici locali a dimensione territorialmente definita (Comunit montane, Consorzi di bonifica e consorzi industriali, Autorit di bacino, etc...) nei procedimenti di valutazione e di autorizzazione, nonch nella formazione delle leggi regionali. Tuttavia una significativa differenza sullimportanza del ruolo della Regione, da un lato, e del comune e della Provincia, dallaltro, confermata da una cospicua giurisprudenza della Corte costituzionale, che a tale proposito ha coniato la distinzione tra intesa forte ed intesa debole, nel senso che il ruolo del comune ridotto a mera consultazione e non di partecipazione alla decisione, come invece riconosciuto alla Regione (66). In secondo luogo mentre la procedura di intesa tra Stato e Regioni delimitata nelle sue linee generali nella l. 5 giugno 2003, n. 131 di adeguamento dellordinamento alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (c.d. riforma del titolo V), il ruolo specifico di coinvolgimento dei singoli Comuni e Province varia a livello statale nelle singole leggi e cos anche a livello regionale. Dal punto di vista della tutela processuale contro leggi statali e regionali illegittime, Stato e Regioni dispongono del giudizio di legittimit costituzionale in via principale (art. 127 Cost.) (67) e del conflitto di attribuzioni (art. (65) In argomento, D. FLORENZANO, La disciplina delle attivit elettriche nelle regioni ad autonomia speciale, in D. FLORENZANO, S. MANICA (a cura di), Il governo dell'energia tra Stato e Regioni, Un. studi di Trento, 2009, pp. 127 ss. e spec. p. 149, ove si ricorda quanto affermato nella sent. Corte cost. 383 del 2005 (in senso conforme a quanto affermato per il Friuli Venezia Giulia nella sent. n. 8 del 2004): le competenze statutarie in materia di energia sono sicuramente meno ampie rispetto a quelle riconosciute in tale materia alle Regioni dall'art. 117, terzo comma, Cost. Non vi sono dubbi, pertanto, che la Provincia di Trento possa, sulla base dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, rivendicare una propria competenza legislativa concorrente nella materia della produzione, trasporto e distruzione nazionale dell'energia identica a quella delle Regioni ad autonomia ordinaria (cfr. sentenza n. 8 del 2004), e quindi anche una potest amministrativa pi ampia in quanto fondata sui principi dell'art. 118 Cost. rispetto a quella ad essa spettante sulla sola base del d.P.r. 235 del 1977, quale integrato dal d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463. (66) In specie la Corte cost. ha ritenuto rispettato il principio di leale collaborazione mediante il raggiungimento di unintesa debole, in quanto consistente nel mero coinvolgimento procedimentale degli enti locali, affinch siano messi in grado di interloquire e di evitare la sostituzione attraverso lautonomo adempimento (ex plurimis sentt. 2 marzo 2004, nn. 69-72). (67) Un caso recente e particolarmente interessante in cui lo Stato ha impugnato una legge regionale in materia di energia stato risolto dalla Corte costituzionale con la sent. 11 novembre 2011, n. 308, in Giornale Dir. Amm., 2012, 1, 80. In particolare stata dichiarata lillegittimit costituzionale di una legge della Regione Molise, le cui disposizioni prevedevano, un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Il legislatore regionale ha individuato le suddette aree senza una adeguata e preventiva istruttoria che tenesse conto dei diversi interessi coinvolti, cos come prevista dalle linee guida previste dallart. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, vietando l'installazione di ogni tipo di impianto alimentato da fonte di energia alternativa, indipendentemente dalla sua tipologia o potenza. In particolare, la Corte, gi con la sentenza n. 168 del 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 134 Cost.), anche se per questultimo lannullamento di eventuali atti generali limitato alla Regione interessata. Per quanto riguarda i Comuni e le Province, che non sono poteri dello Stato, la tutela giurisdizionale si pu realizzare in sede di giudizio incidentale di legittimit costituzionale nellambito di un giudizio civile, penale o amministrativo ovvero mediante impugnazione diretta del provvedimento amministrativo favorevole al settore energetico, ma lesivo delle prescrizioni e dei vincoli di tutela ambientale ovvero degli obblighi di servizio pubblico, che avrebbero dovuto condizionare il rilascio del provvedimento autorizzatorio (68). Infatti, se il Comune non ha competenza di amministrazione attiva in materia energetica e ambientale e quindi non esercita il rapporto di rappresentanza politica, tuttavia ha in base al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. T.U. enti locali) il c.d. rapporto di esponenzialit con la propria popolazione, che lo legittima ad agire in giudizio contro gli effetti dannosi dellimpianto energetico anche se localizzato fuori dal proprio territorio o da quello dei comuni confinanti (69). 2010 ha affermato che non consentito alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa e ci in quanto l'adozione delle linee guida nazionali, informata al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Per un commento, L. MARTINA, La localizzazione degli impianti da fonti di energia rinnovabile, in Giorn. Dir. Amm., 2012, 6, pp. 637 ss. Per una sintetica ma efficace rassegna delle recenti pronunce con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato lillegittimit costituzionale di leggi regionali, che hanno posto condizioni pi restrittive rispetto alla legislazione statale per la localizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili S. AMOROSINO, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell'ambiente e del paesaggio, in riv. giur. amb., 2011, 6, pp. 753 ss. (68) Si ricordi per completezza che l'art. 311 Cod. amb. riserva allo Stato, in persona del Ministro dell'ambiente, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale conseguente alla lesione dell'interesse collettivo avente ad oggetto il bene ambiente. Alle Regioni, alle province e agli enti locali anche associati, nonch alle persone fisiche e giuridiche e alle organizzazioni non governative, che promuovono la protezione dell'ambiente ai sensi dell'art. 13 della l. 8 luglio 1986, n. 349 spetta il pi limitato potere di denuncia al fine di sollecitare l'intervento dello Stato. Peraltro i soggetti diversi dallo Stato, singoli ovvero associati, compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire in forza dell'art. 2043 c.c. per il risarcimento di qualsiasi altro danno patrimoniale, a condizione che provino la lesione di un diritto particolare, diverso dall'interesse pubblico collettivo e generale. Cos da ultimo Cass., sez. III pen., 12 gennaio 2012, n. 633, conforme a Cass., sez. III pen., 21 ottobre 2010, n. 41015; Cass., sez. IV pen., 11 marzo 2011, n. 9923. Per un approfondimento D.DI CARLO, Profili di diritto processuale civile, in P. DELL'ANNO, E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto ambientale, vol. I, Principi generali, Padova, Cedam, 2012, pp. 432 ss. (69) Per il riconoscimento della legittimazione e dell'interesse ad agire dell'ente locale in materia ambientale, in quanto titolare di un interesse collettivo, Tar Lazio, 1990, n. 1064: il comune, quale ente territoriale esponenziale di una determinata collettivit di cittadini della quale cura gli interessi a promuovere lo sviluppo, pienamente legittimato ad impugnare dinnanzi al giudice amministrativo i provvedimenti ritenuti lesivi dell'ambiente. In senso conforme, successivamente Cons. St., sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5296: al comune va riconosciuta la legittimazione ad impugnare il provvedimento di approvazione di una discarica, sia per la qualit di ente esponenziale degli interessi dei residenti che potrebbero subire danni dalla scelta compiuta dall'autorit competente nell'individuazione delle aree per l'attivazione dell'impianto di discarica, sia per la qualit di titolare del potere di pianificazione urbanistica su cui certamente incide la collocazione dell'impianto medesimo. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 315 La Provincia, invece, ha anche un rapporto di rappresentanza politica, in quanto titolare di numerose funzioni direttamente o indirettamente attinenti allenergia, quali lautorizzazione agli elettrodotti, agli impianti di produzione di energia da rifiuti e la tutela delle c.d. aree vaste in numerosi settori (70). Di conseguenza anche essa , ancora di pi del comune, legittimata ad impugnare i provvedimenti amministrativi in materia energetica lesivi degli interessi ambientali di cui sopra (71). Infine, secondo la giurisprudenza (72), detta legittimazione va riconosciuta anche ad enti territoriali intermedi, istituzionalmente rappresentativi delle comunit locali (quali ad es. le comunit montane), qualora le autorizzazioni e i procedimenti dichiarativi in materia energetica ledano i citati interessi ambientali, spesso collegati alla tutela delle attivit agro-silvo-pastorali. 6. Conclusioni. Il quadro normativo tratteggiato pone in evidenza le tappe fondamentali della liberalizzazione del settore energetico e gli strumenti di raccordo con le ragioni dellambiente offerti dallordinamento europeo e da quello nazionale. Per valutare lassetto di interessi che ne deriva sembra necessario appuntare lattenzione su due profili, peraltro tra loro strettamente connessi. Sotto un profilo sostanziale, il servizio energetico, riguardato sia come bene che come attivit, non pu essere appiattito sullo schema di una qualunque altra utilit ampiamente intesa, che venga offerta sul mercato. In altre parole non pu essere lasciato alle sole leggi della domanda e dellofferta, perch la sua presenza deve essere assicurata alla collettivit dai pubblici poteri a determinate condizioni qualitative e quantitative. La liberalizzazione allora pu (70) Ai sensi dellart. 31, co. 2 del d.lgs. n.112 del 1998 sono attribuite in particolare alle province, nell'ambito delle linee di indirizzo e di coordinamento previste dai piani energetici regionali, le seguenti funzioni: a) la redazione e l'adozione dei programmi di intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico; b) l'autorizzazione alla installazione ed all'esercizio degli impianti di produzione di energia; c) il controllo sul rendimento energetico degli impianti termici. (71) Recentemente con riferimento alla Provincia, nella sent. Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 2 febbraio 2010, n. 521, si ha affermato che non pu essere fondatamente messa in discussione la legittimazione da parte di questo ente locale ad impugnare provvedimenti che recano pregiudizio all'ambiente per opere che vengono realizzate all'interno del territorio di competenza. A tale proposito si rileva che sarebbe d'altronde alquanto irragionevole riconoscere legislativamente all'ente territoriale la possibilit di agire in giudizio (in via successiva) per il risarcimento del danno ambientale (come fa l'art. 18, co. 3, l. 349/86) e negargli invece la possibilit di agire (in via preventiva) per impedirgli la produzione di quello stesso danno. Sarebbe altrettanto irragionevole riconoscere la titolarit di un interesse collettivo ad associazioni ambientaliste, il cui collegamento con il territorio interessato dall'abuso talora costituito soltanto dal fine statutario, e non individuarlo nell'ente istituzionalmente esponenziale della comunit di riferimento. (72) Gi a partire dalla nota sent. Tar Campania, sez. Salerno, 13 marzo 1987, n. 117, in Trib. amm. reg., 1987, 2043 ss., il giudice amministrativo ha riconosciuto che sussiste la legittimazione di una comunit montana, che comprenda nel suo territorio anche comuni costieri, ad impugnare un permesso di ricerca di idrocarburi in mare, nei limiti delle precipue attribuzioni e competenze. 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 certamente realizzare una rimodulazione degli interventi delle istituzioni nazionali e comunitarie, ma la riduzione della sfera pubblica (73) non pu giungere alla configurazione del servizio energetico come unattivit libera. Ne consegue, sotto un profilo procedurale, la necessit (si potrebbe dire ontologica) di regolamentare la realizzazione delle infrastrutture e la loro localizzazione, nonch tutte le attivit connesse al servizio energetico. Liberalizzazione e regolamentazione non sono dunque concetti antitetici, ma piuttosto complementari, in quanto precipitati di un medesimo principio generale, che quello di sussidiariet (74). Proprio questultima infatti trova la propria realizzazione sia nella sua dimensione orizzontale, nel momento in cui si tratti di definire lan dellintervento dei pubblici poteri rispetto alliniziativa rimessa ai privati, cos come nel settore energetico avvenuto nel richiamato processo di liberalizzazione; sia nella sua proiezione verticale quando occorra individuare il quis ed il quomodo del ruolo spettante ai soggetti istituzionali europei e nazionali mediante la regolamentazione di questo segmento di mercato. Proprio in tale ambito dovranno trovare adeguata espressione esigenze ulteriori rispetto a quelle strettamente economiche afferenti allenergia, quali innanzitutto quelle connesse alla tutela dellambiente. Sembra, dunque, essere questa la chiave di volta per affrontare le problematiche di un settore quale quello energetico, il cui corretto funzionamento si pone quale condizione imprescindibile per lo svolgimento della quasi totalit delle attivit umane, economiche ma non solo. (73) Il tema particolarmente complesso e per un suo approfondimento si rinvia a M. MAZZAMUTO, La riduzione della sfera pubblica, Torino, Giappichelli, 2000, nonch in termini critici verso la prospettata riduzione e nel senso di una tendenziale riespansione dellintervento dei soggetti pubblici M. DUGATO, La riduzione della sfera pubblica?, in dir. amm., 2002, pp. 169 ss. e spec. p. 179, il quale rileva che il sorgere di nuovi interessi imputati alla collettivit ha determinato lespansione dellattivit pubblica diretta alla loro protezione. A volte ci ha addirittura indotto la creazione di nuovi enti esponenziali dei nuovi interessi ed ha determinato un aumento del pubblico come soggetto . (74) Il principio di sussidiariet oggetto di una letteratura vastissima. Ex plurimis L. FRANZESE, Percorsi della sussidiariet, Padova, Cedam, 2010; ID., Ordine economico ed ordinamento giuridico: la sussidiariet delle istituzioni, II. Ed., Padova, Cedam, 2005; P. DURET, Sussidiariet ed auto amministrazione dei privati, Padova, Cedam, 2004; D. DALESSANDRO, Sussidiariet, solidariet e azione amministrativa, Milano, Giuffr, 2004; A. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiariet verticale e sussidiariet orizzontale, Milano, Giuffr, 2001; P. VIPIANA, Il principio di sussidiariet verticale. Attuazione e prospettive, Milano, Giuffr, 2002; P. DE CARLI, Sussidiariet e governo economico, Milano, Giuffr, 2002. Per un approfondimento del principio di sussidiariet nella prospettiva storica del concetto di solidariet e pi ampiamente della questione sociale M.C. BLAIS, La solidariet. Storia di unidea, Milano, Giuffr, 2012. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 317 Il Rapporto sulla corruzione nella pubblica amministrazione: analisi del fenomeno e delle proposte Francesco Spada* 1. Premessa. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione 23 dicembre 2011, stata istituita la Commissione per lo studio e lelaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, che ha di recente presentato il Rapporto finale sulla corruzione nella pubblica amministrazione. Il Rapporto si articola in due parti: la prima contenente unanalisi di carattere generale e la seconda unindagine di tipo settoriale. Dallanalisi svolta emerge, nel complesso, lesigenza di una politica integrata che contempli, oltre al rafforzamento dei rimedi di carattere repressivo, lintroduzione di strumenti di prevenzione che incidano sia sulle occasioni della corruzione che sui fattori che ne favoriscono la diffusione. Lanalisi svolta accoglie una nozione ampia di corruzione, non limitata alla fattispecie penale, ma estesa anche ad episodi che si risolvono nel risvolto in negativo dellintegrit pubblica. Il Rapporto evidenzia una metamorfosi quantitativa e qualitativa del fenomeno: sotto il primo profilo, in particolare, si riscontra un ridimensionamento della corruzione denunciata e sanzionata, a fronte di un aumento della corruzione praticata. Proprio la diffusione del fenomeno impone ladozione di una politica di tipo coordinato ed integrato, con ladozione di misure di carattere extrapenale, destinate ad operare sul versante prevalentemente amministrativo con funzione di prevenzione. Daltra parte, limplementazione di una politica siffatta resa necessaria anche in considerazione dei costi (diretti ed indiretti) implicati dal fenomeno corruttivo, individuabili nellalterazione della libera concorrenza e nello sviluppo della concentrazione della ricchezza in capo a coloro che accettano e beneficiano del mercato della corruzione a scapito di coloro che invece si rifiutano di beneficiarne. Tanto premesso, si esaminer qui di seguito il contenuto del Rapporto, suddividendo la trattazione in due parti: la prima riguarder i dati del fenomeno (*) Dirigente di II fascia del Ministero dellEconomia e delle Finanze. Ha svolto la pratica forense presso lAvvocatura Generale dello Stato. Il presente contributo riflette le opinioni dellAutore e non impegna in alcun modo lAmministrazione di appartenenza. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 corruttivo, in termini di dimensioni e di costi; la seconda concerner le misure proposte. 2. I dati del fenomeno. I dati del fenomeno corruttivo esaminati nel Rapporto - in termini di dimensioni - sono di due tipi: dati giudiziari e dati relativi alla percezione del fenomeno. Per quanto concerne i dati giudiziari, i delitti di concussione e di corruzione consumati sono passati, secondo il Rapporto, dai 311 del 2009 ai 223 del 2010: si , quindi, registrata una loro riduzione nella misura di 88 casi. Anche con riferimento ai soggetti denunciati per i delitti di concussione e di corruzione il Rapporto ne rileva una diminuzione, essendosi passati dalle 1821 persone denunciate nel 2009 alle 1226 nel 2010. Il numero di condanne per reati di corruzione , infine, passato da un massimo di oltre 1700 nel 1996 a 239 nel 2006, ossia quasi un settimo rispetto a 10 anni prima. Dai dati fin qui esaminati emerge laccennato riferimento al ridimensionamento della corruzione denunciata e sanzionata. I dati relativi alla percezione del fenomeno - dai quali emerge, al contrario, laccennato incremento della corruzione praticata - sono stati misurati nel Rapporto attraverso lelaborazione di alcuni indici. Il Corruption Perception Index (CPI) di Transparency International misura la corruzione percepita: lItalia si attestata a 3.9 contro il 6.9 della media OCSE, su una scala da 1 a 10, in cui 10 individua lassenza di corruzione, classificandosi al 69 posto (a pari merito con il Ghana e la Macedonia). Il Global Corruption Barometer di Transparency International misura la percezione del fenomeno corruttivo da parte dei cittadini con riferimento a specifiche istituzioni: in Italia, per il biennio 2010/2011, il primato spetta alla corruzione politica, seguita da quella del settore privato e della pubblica amministrazione. LExcess Perceived Corruption Index (EPCI) misura quanto un Paese si discosta dai valori di corruzione attesi: lItalia si classifica al penultimo posto nella classifica dei Paesi considerati da Transparency International ed superata soltanto dalla Grecia. Infine, il Rating of control of corruption (RCC), elaborato dalla Banca Mondiale e che va da 0 a 100 (dove 100 indica lassenza di corruzione), colloca lItalia agli ultimi posti in Europa, essendo passata dal valore 82 nel 2000 al valore 59 nel 2009. Fin qui i dati, in termini di dimensioni del fenomeno; il Rapporto esamina, poi, ulteriori dati, in termini di costi diretti, indiretti e sistemici. La Corte dei Conti ha stimato i costi diretti del fenomeno corruttivo in diversi miliardi di euro, circa 60 ogni anno. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 319 I costi indiretti sono quelli di meno agevole quantificazione connessi a: ritardi nella definizione delle pratiche amministrative; cattivo funzionamento degli apparati pubblici; inadeguatezza delle opere pubbliche, dei servizi pubblici e delle forniture pubbliche; non oculata allocazione delle scarse e limitate risorse pubbliche; perdita di competitivit del Paese. I costi di tipo sistemico non sono misurabili in termini economici e riguardano i valori fondamentali per la tenuta dellassetto democratico: eguaglianza; trasparenza dei meccanismi decisionali; fiducia nelle Istituzioni; funzionamento delle Istituzioni e legittimazione democratica delle stesse; fiducia dei cittadini nella legalit e nellimparzialit dellazione degli apparati pubblici. Gli effetti della corruzione sulla crescita, infine, sono distinti nel Rapporto a seconda che si esamini il breve periodo ed il lungo periodo. Nel breve periodo, infatti, la corruzione pu essere funzionale ad assicurare il superamento di sacche di inefficienza dellapparato pubblico e la sopravvivenza di meccanismi e sistemi di impresa tecnologicamente non avanzati. Nel lungo periodo, invece, si stabilisce una relazione inversamente proporzionale tra diffusione della corruzione e crescita economica. La corruzione frena, infatti, il progresso tecnologico delle imprese, incentivate ad investire nel mercato della tangente anzich in quello dellinnovazione e della ricerca. Secondo un recente studio della Banca Mondiale ripreso nel Rapporto: le imprese costrette a fronteggiare una pubblica amministrazione corrotta crescono, in media, quasi del 25% di meno di imprese che non fronteggiano detto problema; le piccole e medie imprese e quelle pi giovani sono le imprese pi fortemente colpite dal fenomeno corruttivo. Infine, risulta che ogni punto di discesa nella classifica della percezione della corruzione redatta da Transparency International provoca la perdita del sedici per cento degli investimenti dallestero. 3. Le misure proposte. Un primo gruppo di misure proposte nel Rapporto riguarda i piani di organizzazione in funzione di prevenzione del rischio corruzione ed, in particolare: adozione di piani organizzativi in funzione di prevenzione della cor- 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 ruzione da parte delle singole amministrazioni ispirati a modelli di risk management; elaborazione di un sistema organico di prevenzione della corruzione affidato ad unAutorit indipendente che formuli linee guida per le singole amministrazioni e ne controlli lattuazione; indicazione, da parte della legge, dei contenuti minimi dei piani organizzativi che le singole amministrazioni dovranno adottare. In particolare, con riferimento ai contenuti minimi dei piani organizzativi, il Rapporto prevede: individuazione, allinterno delle amministrazioni, di chi provvede allelaborazione della mappatura dei rischi e allindividuazione delle soluzioni organizzative con finalit di prevenzione, con il coinvolgimento dellorgano di indirizzo politico; rotazione degli incarichi nelle fasi procedimentali pi a rischio; monitoraggio dei legami tra lamministrazione ed i soggetti che alla stessa si rapportano; obblighi di informazione per il dirigente deputato a vigilare sul funzionamento del piano. Per gli enti locali e gli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, il Rapporto prevede, inoltre, la valorizzazione della rete dei Prefetti per: il supporto tecnico ed informativo agli enti locali; il collegamento tra enti locali ed Autorit indipendente nazionale; la vigilanza sullattuazione della legge e delle linee guida contenute nei piani. Infine, per i Comuni e per le Province, il Rapporto prevede: attribuzione al Segretario del ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione; modificazione della vigente disciplina dello status del Segretario, al fine di rivisitarne il tasso di fiduciariet che ne caratterizza la nomina e di ridefinirne i compiti ed i doveri di comportamento. Un secondo gruppo di misure proposte riguarda le regole di integrit. In particolare, il Rapporto prevede: non conferibilit di incarichi dirigenziali per coloro che, per un certo periodo di tempo, anteriormente al conferimento abbiano svolto incarichi o rivestito cariche in imprese sottoposte a regolazione, controllo o contribuzione economica da parte dellamministrazione; abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico; abbiano rivestito incarichi pubblici elettivi; abbiano rivestito cariche in partiti politici; parziale rivisitazione della disciplina delle incandidabilit e delle ineleggibilit, attraverso lintroduzione di un divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a seguito di sentenze di condanna per alcune fattispecie di reato. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 321 Con riferimento ai codici di condotta, il Rapporto prevede: rafforzamento del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, chiarendone la natura di fonte che individua doveri di comportamento giuridicamente rilevanti, sanzionabili disciplinarmente; revisione del quadro dei doveri dei dipendenti, mediante lespressa previsione di doveri che assicurano lindipendenza personale del dipendente e lesercizio imparziale delle funzioni affidate; adozione di codici di comportamento anche per il personale politico. Infine, con riguardo alla responsabilit disciplinare, il Rapporto prevede: regolamentazione specifica, attraverso fonte di rango legislativo, del sistema della responsabilit disciplinare; integrazione delle ipotesi di licenziamento disciplinare, relativamente ai responsabili di reati contro la pubblica amministrazione; definizione puntuale dei caratteri di indipendenza degli organismi chiamati ad irrogare sanzioni disciplinari; previsione di adeguati meccanismi di trasparenza di indici relativi alla funzionalit delle procedure disciplinari e di informazioni analitiche relative alle violazioni riscontrate, ai singoli procedimenti avviati, allo stato di questi ultimi ed al loro esito, nel rispetto della normativa sulla tutela della privacy. Un terzo gruppo di misure proposte riguarda il tema della trasparenza. In particolare, il Rapporto prevede linnalzamento del livello di trasparenza attraverso lobbligo di pubblicazione di: dati relativi ai titolari di incarichi politici di livello statale, regionale e locale riguardanti la situazione patrimoniale complessiva del titolare al momento dellassunzione della carica; la titolarit di imprese; le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei congiunti fino al secondo grado di parentela; i compensi cui d diritto lassunzione della carica in questione; dati reddituali e patrimoniali di alcune categorie di dipendenti pubblici, a partire da quelli con funzioni dirigenziali. Con riferimento alla trasparenza e alla procedimentalizzazione dellattivit di rappresentanza di interessi (c.d. lobbying), il Rapporto prevede: definizione, a monte, delle nozioni di rappresentante di interessi particolari, portatore di interessi particolari, decisore pubblico, processi decisionali pubblici, attivit di rappresentanza di interessi; istituzione del Registro pubblico dei rappresentati di interessi particolari, prevedendo che lo stesso sia tenuto da unAutorit terza ed imparziale; definizione degli obblighi e delle responsabilit gravanti sui soggetti che svolgono attivit di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici; previsione di forme di analitica relazione - imposte anche ai decisori pubblici - delle attivit di rappresentazione di interessi svolte; 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 elaborazione di un codice di condotta dei lobbisti; introduzione di un regime di incompatibilit per arginare il fenomeno del c.d. pantouflage: restrizioni allo svolgimento di attivit di lobbying da parte dei pubblici ufficiali per il periodo immediatamente successivo alla cessazione dellincarico, con particolare riferimento a coloro che hanno ricoperto incarichi pubblici negli uffici di staff. In relazione al whistleblowing, il Rapporto prevede: introduzione, in analogia con altri Paesi, di un sistema premiale che incentivi le segnalazioni dellillecito, basato sulla corresponsione di una somma di denaro parametrata in termini percentuali a quella oggetto di recupero a seguito della sentenza di condanna della Corte dei Conti per danno allerario e danno allimmagine; chiara definizione dellambito delle informative protette e delle persone tutelate; elaborazione di procedure per facilitare la segnalazione di atti sospetti di corruzione, incoraggiando luso di protettivi canali di denuncia facilmente accessibili; meccanismi di protezione efficaci (es. individuazione di un organismo specifico con il potere di ricevere e di esaminare le denunce di ritorsione e/o di indagini improprie). Con riferimento alla formazione e alla promozione della cultura della legalit, il Rapporto prevede: promozione della cultura della legalit nei confronti del personale pubblico da parte delle istituzioni pubbliche di formazione dei dipendenti; promozione della cultura della legalit nei confronti della societ, favorendo percorsi formativi mirati, anche su indirizzo dei Ministri dellistruzione e delluniversit e della pubblica amministrazione e con il coinvolgimento delle istituzioni della societ civile. Infine, in relazione ai codici di autoregolamentazione delle imprese, il Rapporto prevede: valorizzazione degli strumenti di autoregolamentazione di cui le associazioni imprenditoriali hanno dimostrato di sapersi dotare nel contrastare il fenomeno mafioso; estensione, a chi non denuncia episodi di corruzione, delle misure espulsive e sospensive che Confindustria ha gi adottato nei confronti di chi non denuncia di aver subito unestorsione o altro delitto che, direttamente o indirettamente, abbiano limitato lattivit economica a vantaggio di imprese o persone riconducibili ad organizzazioni criminali. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Il sistema delle impugnazioni nel processo amministrativo (Convegno in Roma, Palazzo Altieri, 19 novembre 2012) Relazione di Ignazio Francesco Caramazza* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La crisi di trasformazione della giustizia amministrativa nel passaggio di millennio - 3. Il sistema delle impugnazioni nel codice - 4. Conclusioni. 1. Il bel volume di Mario Sanino la cui presentazione avviene in occasione di questo convegno contiene nel suo incipit un richiamo allinsegnamento di Mario Nigro. Sanino ha fatto tesoro di quellinsegnamento (uno dei cui motivi ricorrenti era lesortazione allapprofondimento della storia della giustizia amministrativa, essenziale per comprenderne appieno lessenza) tanto vero che il primo corposo capitolo del suo volume dedicato proprio a quella storia, a partire addirittura dallEditto di Saint Germain. Non intendo certo risalire tanto addietro nel tempo e mi limiter allentrata in vigore della Carta repubblicana del 1947 che costituzionalizz il sistema di giustizia esistente con tutte le sue ben note originalit e contraddizioni. Basti pensare a quella che vede contrapporre, da un lato, la qualificazione dellinteresse legittimo come posizione soggettiva sostanziale (art. 24) e, dallaltro, la qualificazione del giudizio amministrativo come giudizio sullatto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico elemento innovativo portato dalla Costituzione repubblicana consiste nellintroduzione del principio del doppio grado, con la previsione (art. 125) della istituzione a livello regionale di organi di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva (*) Avvocato Generale dello Stato, cessato dalla carica il 30 settembre 2012. 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dare attuazione la legge 6 dicembre 1971 n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, che, comՏ noto, non contiene alcuna rivoluzionaria innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle formule tradizionali. Si molto dibattuto sul se e sul come con la normativa in esame il principio del doppio grado nel giudizio amministrativo sia stato costituzionalizzato. La lettura dellart. 109 del Codice, che prevede che il terzo interessato allopposizione in pendenza di appello non possa proporre opposizione ma debba intervenire in tale giudizio sembrerebbe far propendere - a meno di declaratoria di incostituzionalit della norma - per la tesi che il principio non stato costituzionalizzato o quanto meno che non lo stato in via totalizzante. Lo stesso dicasi per il caso previsto dallart. 104 del Codice sui motivi aggiunti in appello, che devolvono questioni non esaminate dal Tribunale amministrativo al giudizio del Consiglio di Stato, il quale decider, quindi, in unico grado. Analoghe considerazioni, possono svolgersi con riguardo allart. 101 che prevede la riproposizione al giudice di appello delle domande ed eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate in primo grado, con conseguente attribuzione al Consiglio di Stato della natura di unico giudice di merito rispetto ad esse (1). Sembra, per, opportuno accantonare il problema e preme, invece, rilevare la singolare scelta operata dal legislatore con la costituzione di un doppio grado di giudizio mediante la tecnica di un innesto dal basso: cio mediante la creazione di organi di primo grado sottordinati ad un giudice - il Consiglio di Stato - fino allora giusdicente in unico grado e trasformato in giudice di appello. Altra singolarit quella della assoluta esiguit delle norme processuali dettate per regolare il doppio grado di giudizio (artt. 28, 29, 34 e 35 L. 1034/71), s che tutto il sistema delle impugnazioni nella giustizia amministrativa appariva regolato da diverse disposizioni distinte nel tempo, derivanti da pi fonti non coordinate e largamente incomplete. Oltre a quella ora citata occorre ricordare infatti le norme contenute in eterogenei testi normativi: Regolamento di procedura del Consiglio di Stato, (R.D. 17 agosto 1907 n. 642 artt. 81 e 86), T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato (R.D. 26 giugno 1924 n. 1034 art. 46), codice di procedura civile (artt. 395 e 396) Costituzione (art. 111): norme volte a regolare, rispettivamente, revocazione e ricorso per cassazione. Tale esiguit, sempre esistita, di norme procedurali volte a regolare il processo amministrativo, non a caso venne avvertita - nonostante la sostanziale invarianza del diritto amministrativo sostanziale - con la introduzione nel sistema di giustizia dellappello, che pacificamente considerato il pi importante mezzo di impugnazione, attese le sue caratteristiche sindacatorie sia di merito che di rito della pronuncia di primo grado e che postula, quindi, pi ar- (1) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr, Milano 2011, 303. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 ticolate previsioni procedurali rispetto al giudizio in unico grado. E sempre non a caso, nel 1983, Mario Nigro, nel suo articolo ancora attuale una giustizia amministrativa? (2) definiva la struttura del processo amministrativo come rozza, invecchiata, asfittica ed invocava lemanazione di un vero codice processuale amministrativo. Come sappiamo, dovevano trascorrere quasi trenta anni prima che linvocazione fosse accolta. Tuttavia il nostro giudice amministrativo riusc a colmare insufficienze e lacune, forte della propria solidissima esperienza pretoria, ed agevolato anche dal fatto che levoluzione della giustizia amministrativa fu assai lenta fino quasi al passaggio di millennio, s che le pur fragili strutture processuali (rectius: procedurali) si rivelarono sufficienti a gestire un diritto sostanziale evoluto, si, rispetto a quello delle origini, ma che non aveva subto quel radicale mutamento - una vera e propria crisi di trasformazione - che doveva verificarsi a cavallo del passaggio di millennio e che avrebbe reso improcrastinabile lemanazione di un codice del processo amministrativo in presenza di una gamma completa di azioni esperibili (3) e della disponibilit da parte del giudice amministrativo di un accresciuto e sostanzialmente completo strumentario decisorio, istruttorio e cautelare. 2. Crisi di trasformazione, si detto, e non riforma perch una riforma postula un disegno unitario e coerente mentre, nella specie, si assistito al confuso - anche se spesso sinergico - accavallarsi di iniziative assunte dai vari poteri dello Stato. A dare il via fu il legislatore delegante della legge 15 marzo 1997, n. 59, che indic fra i principi e criteri direttivi la estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi compreso quello relativo al risarcimento del danno in alcune materie, cos superando un tab pi che secolare. Segu il legislatore delegato, con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 che, nellattuare la delega, devolvette alla giurisdizione esclusiva anche le tre nuove materie dei servizi pubblici, dellurbanistica e delledilizia. Intervennero poi le Sezioni Unite della Cassazione con la celeberrima sentenza 22 luglio 1999, n. 500, che infranse il dogma della irrisarcibilit degli interessi legittimi, il Consiglio di Stato, con la pronuncia 30 marzo 2000, n. 1 dellAdunanza Plenaria ed ancora, in dissonanza, le Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze n. 71 e 72 del 30 marzo 2000. Fu poi la volta della Corte costituzionale, che, con la sentenza 17 luglio 2000, n. 292, sanzion un eccesso di delega nel decreto delegato n. 80/1998. (2) In Foro it. 1983, V, 249. (3) A. POLICE, Relazione presentata al Seminario sul libro III del progetto del Codice, tenutosi a Tor Vergata il 30 aprile 2010. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Il Parlamento, infine, con la legge 21 luglio 2000, n. 205, sostituendo, con modifiche, gli artt. 33, 34 e 35 del decreto delegato, elimin ogni questione di eccesso di delega, ed estese la tutela risarcitoria a tutte le aree nelle quali il giudice amministrativo esercita giurisdizione. Il risultato di questa convulsa stagione fu la fulminea accelerazione ed il compimento di tre tendenze evolutive che si erano andate lentissimamente e timidamente dipanando nellarco di tre quarti di secolo, e precisamente: a) la trasformazione del criterio di discrimine fra le due giurisdizioni da quello della situazione tutelata a quello della materia; b) lattribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria oltre a quella cassatoria in materia di giurisdizione esclusiva; c) la estensione della tutela risarcitoria ai pregiudizi derivanti dalla lesione degli interessi legittimi. In relazione alla terza linea di tendenza sar sufficiente un accenno alla lenta ma inesorabile espansione, nellarco del secolo scorso (e non solo certo in Italia), dellistituto della responsabilit civile, specialmente nella sua dimensione aquiliana (4). Per limitarci al nostro Paese basti ricordare, in sede di puro diritto civile, lestensione dellistituto, dapprima limitato alle lesioni dei soli diritti assoluti, ai diritti di credito, alle chances, alle aspettative e, in definitiva, a qualunque attentato allintegrit del patrimonio. In sede di diritto amministrativo si rammenti la - peraltro modesta - evoluzione compiutasi in materia di reviviscenza dei diritti degradati a seguito di caducazione dellatto degradatorio, di illegittima ricompressione di diritti espansi in virt di procedimento poi annullato, di interessi legittimi dichiarati eccezionalmente risarcibili in ossequio ad obblighi europei (art. 13 L. 19 febbraio 1992 n. 142), di interessi legittimi dichiarati risarcibili in leggi dallefficacia sospesa e poi abrogate, in decreti legge non convertiti dopo varie reiterazioni o in leggi recanti elaborazioni di principi e criteri direttivi mai attuati dalla normativa secondaria (5). Inutile sottolineare come, rispetto a tali timide linee di tendenza lentissimamente evolute nellarco di svariati decenni, il loro brusco e veloce completamento, suggellato dal crisma legislativo, sia stato avvertito come una violenta soluzione di continuit. Tanto pi violenta, poi, in quanto accompagnata da una innovazione non preannunciata da alcuna sia pur timida avvisaglia, e cio lattribuzione alla competenza del giudice amministrativo della tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Le novit erano tante e tali da far dubitare pi di un giudicante della loro conformit a Costituzione, con conseguente devolu- (4) A. DE VITA, Al crocevia degli itinerari dei diritti europei, in Politica del diritto, 2000, 537. (5) Per una compiuta rassegna di tutte le ipotesi di cui sopra, vedasi E. FOLLIERI, Lo stato dellarte della tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in Atti del XLIII Convegno di studi di Scienza dellAmministrazione, Giuffr, Milano, 1998, 55 e ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 327 zione alla Corte della questione di legittimit costituzionale dellart. 7 della legge 205/2000 sotto svariati profili. La Corte ha risposto alle attese con la famosa sentenza 204/2004 (seguita da altre che si sono messe nel solco da quella tracciato: vedasi segnatamente la sentenza 259/2009). Seguirono minori interventi normativi. Come noto, la Corte Costituzionale richiam il legislatore al rispetto dellart. 103 della Costituzione, che consente di affidare al giudice amministrativo la cognizione dei diritti soggettivi solo nelle materie che formano oggetto della giurisdizione generale di legittimit e quindi con esclusione delle materie in cui non esistano interessi legittimi e dei meri comportamenti, che non costituiscono espressione - neanche mediata - di poteri autoritativi ed al suo insegnamento si adeguarono giurisprudenza e legislazione successive. Giova a tal punto considerare che prima di tale sentenza, i rivolgimenti di fine millennio della giustizia amministrativa e quelli successivi erano stati salutati dai commentatori in vario modo. Il tema dominante e largamente prevalente era, comunque, quello di un requiem per linteresse legittimo, destinato a dissolversi nel diritto soggettivo con la perdita della funzione di discrimine delle giurisdizioni, ormai assolta dal criterio delle materie o dei blocchi di materie. Lanomalo sistema dualistico italiano (in cui cio il contenzioso della pubblica Amministrazione conosciuto da due distinti giudici, a seconda della situazione soggettiva dedotta in giudizio) - si diceva - ha finalmente perso la sua anomalia e si avvia a diventare monistico, come accade in tutti gli altri Stati dEuropa, nei quali uno solo il giudice della pubblica Amministrazione: quello ordinario (ed unico) nei paesi a sistema di common law e quello amministrativo nei paesi a sistema di civil law. Levoluzione della giustizia amministrativa italiana sembrava incamminata lungo una via di omogeneizzazione soprattutto indotta, in realt, dal diritto dellunione Europea che non conosce gli interessi legittimi e con il quale appare soprattutto incompatibile la loro irrisarcibilit, tradizionalmente sancita nel nostro ordinamento. Non a caso una delle prime e pi sostanziose soluzioni di continuit legislativa nel principio di irrisarcibilit fu indotta da una direttiva europea (citata legge 19 febbraio l992 n. 142 art. 13). La via prescelta dal legislatore del 1997-2000 per realizzare tale risultato di omogeneizzazione fu quella di accentuare al massimo una tendenza gi manifestatasi in maniera sempre meno timida in tutto il secondo cinquantennio del secolo trascorso, cio lespansione dellarea della giurisdizione esclusiva, sulla base di una ritenuta insussistenza di limiti costituzionali posti in materia al legislatore. Come si visto, la Corte Costituzionale andata in diverso avviso ed ha delimitato con chiarezza quali siano, in proposito, i limiti del potere discrezionale del legislatore. Limiti, peraltro, tanto poco costrittivi - soprattutto se 328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 si considera quanto spazio lasci allinterprete una locuzione quale materia nella quale la pubblica Amministrazione esercita un potere autoritativo - da consentire al legislatore ordinario di affidare, in sede di giurisdizione esclusiva, al giudice amministrativo italiano tutta larea di competenza che il sistema francese affida al suo giudice amministrativo. Anche nel diritto francese, infatti, quando lAmministrazione nuse pas les prrogatives de puissance publique et se met en civil, cio agisce iure privatorum, la giurisdizione del giudice ordinario. Lo stesso dicasi per i comportamenti, qualificabili come voie de fait, cio i comportamenti senza potere. Sar appena il caso di aggiungere che, naturalmente, le diverse giurisprudenze nazionali potranno divergere nel qualificare quali attivit siano da considerarsi iure gestionis e quali comportamenti siano da qualificare senza potere. Daltronde, anche a livello italiano, come noto, non vi stata concordia sul punto, fra Cassazione e Consiglio di Stato. Limportante che tutta larea astrattamente disegnata dal nostro legislatore negativo come costituzionalmente sottratta alla giurisdizione amministrativa corrisponda concettualmente a quella pure sottratta ad essa nel pi classico e tradizionale modello di giustizia amministrativa monistica continentale: quello francese. Il paragone diventa ancora pi calzante ove si pensi allacquisto da parte del giudice amministrativo italiano della tutela risarcitoria in materia cos di diritti come di interessi. Il che realizza un totalizzante contenzioso di piena giurisdizione. In realt la sostanziale anomalia italiana nel quadro europeo della giustizia amministrativa non era tanto quella, formalmente pi evidente, del discrimine delle giurisdizioni basato sulla dicotomia diritto-interesse legittimo quanto quella sostanziale del doppio tab della irrisarcibilit dellinteresse legittimo e della negazione della tutela risarcitoria in sede di giustizia amministrativa, con conseguenti dinieghi di giustizia o, nella migliore delle ipotesi, necessit di defatiganti ricorsi successivi ai due ordini giurisdizionali. Il secondo tab fu infranto dal legislatore delegante del 1997. Il primo dalla Cassazione del 1999. Il legislatore del 2000 si limit - se si passa la colloquiale espressione - a fare due pi due. Se il giudice amministrativo somministra anche tutela risarcitoria o se la lesione dellinteresse legittimo pu causare danno risarcibile, ebbene al giudice amministrativo spetter la relativa pronuncia. Finalmente, dopo quasi un secolo e mezzo di travagliato percorso, il sistema italiano di giustizia amministrativa si avviato a diventare monista (anche se di un monismo diverso da quello originariamente voluto). La cosa pi singolare - ma questo conferma che il paradosso lessenza della storia della nostra giustizia amministrativa - che per giungere a questo risultato, che d alla giurisdizione amministrativa italiana una pienezza di poteri comparabile a quella delle omologhe giurisdizioni continentali, la Corte Costi- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 329 tuzionale ha fatto leva sulla costituzionalizzazione dellinteresse legittimo. Cio su di un istituto nato come arma di guerra(6) brandita dallEsecutivo per difendere i propri privilegi dalle insidie del controllo giurisdizionale. Gli anni successivi hanno poi visto Consiglio di Stato e Cassazione cimentarsi - spesso in contrasto fra loro - sulla esegesi del nuovo assetto della giustizia amministrativa. Il codice in esame si inserisce, quindi, - anche alla luce delle finalit e dei criteri direttivi indicati nella delega di cui allart. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - come il momento di razionalizzazione e di chiusura di quel lungo e tormentato processo evolutivo durato oltre un secolo e che ha subito, come si visto, una vistosa accelerazione alla fine del suo lungo percorso. Il risultato un sistema di giustizia amministrativa completo che fornisce al giudice amministrativo un istrumentario probatorio cautelare e decisorio perfettamente comparabile a quello del giudice civile, con piena equiordinazione delle parti in causa. 3. Alle impugnazioni dedicato il libro III del Codice, un libro snello, articolato in cinque titoli ed appena ventuno articoli, semplici e lineari, autorevolmente qualificato come il meglio scritto, il meno criticato dalla dottrina (7) ed il meno modificato in sede di intereventi correttivi dalla Commissione e dal Governo. La delega specifica di cui allart. 44 della L. 69/2009 muoveva da un criterio di unitariet del sistema delle impugnazioni, e molto opportunamente il primo titolo del libro concerne le impugnazioni in generale il che costituisce una novit assoluta nella storia della normazione sul processo amministrativo (8). Gli appena nove articoli che lo compongono vanno integrati con le disposizioni generali del libro I, segnatamente con gli articoli 38 e 39, intitolati al rinvio interno ed al rinvio esterno e che segnano una decisa inversione di tendenza rispetto al passato. Il primo stabilisce, infatti, che le disposizioni che regolano il processo di primo grado si applicano anche al processo di impugnazione, se non espressamente derogate. Al contrario, alla stregua della previgente normativa, nei giudizi dinanzi ai tribunali amministrativi regionali si osservavano le norme di procedura applicabili dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (art. 19 L. (6) M. NIGRO, Ma cosՏ questo interesse legittimo? Interrogatori vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1982, V, 470. (7) A. POLITI, Interventi al Seminario sul libro III del codice, tenutosi allUniversit di Tor Vergata il 30 novembre 2010. (8) M. LIPARI, in Il processo amministrativo comunitario a cura di A. QUARANTA e V. LOPILATO, Giuffr, Milano, 2011, 685. 330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 1034/71), applicabili, ovviamente, anche in sede di giudizi dappello (art. 29 l. 1034/71). Il secondo (art. 39 del codice), stabilisce che, per quanto non espressamente disciplinato, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali, cos attribuendo al codice di procedura civile il valore di legge processuale generale. Nel sistema previgente, per contro, il vuoto normativo in proposito veniva (non di frequente) colmato dalla giurisprudenza con il ricorso ai principi generali del processo civile solo quando la ratio dellistituto in esame fosse comune alle due discipline processuali, attesa la specificit del processo amministrativo (9). Passando allesame delle norme contenute nel libro III preciso che per evidenti ragioni di brevit, non essendo certo questa la sede per una disamina analitica, mi limiter a brevi cenni su alcune delle novit pi importanti e significative contenute nei cinque titoli del libro. Nel titolo I sulle impugnazioni in generale vorrei ricordare due innovazioni eterogenee in quanto relative luna ai principi fondanti del diritto processuale, laltra a concreti problemi di quotidianit del processo. La prima costituita dallart. 99 che potenzia la funzione nomofilattica dellAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato in quanto, in linea con quanto previsto per la Corte di cassazione dallart. 374 c.p.c., attribuisce alle decisioni dellAdunanza carattere vincolante per i successivi giudizi (10). Con riguardo a detta norma deve, poi, osservarsi che con il D.Lgs. 14 settembre 2012 n. 160, art. 1, comma 1, lett. o) al primo comma stato aggiunto il periodo LAdunanza plenaria, qualora ne ravvisi lopportunit, pu restituire gli atti alla sezione. Questa previsione non era stata proposta dalla commissione speciale del Consiglio di Stato e la relazione governativa tace in ordine alla sua ratio. Come stato autorevolmente notato la disposizione additiva lascia perplessi in quanto sembra conferire allAdunanza Plenaria un potere discrezionale poco o punto congruente con la funzione giurisdizionale (11). La seconda innovazione riguarda, pi prosaicamente, il tema delle notifiche, risolvendo il problema (assai frequente nella pratica e non sempre dovuto a sfortunata causalit) del trasferimento del procuratore domiciliatario del soccombente nellimminenza della scadenza del termine per limpugnazione con il conferimento, alla parte soccombente, di adeguato rimedio. (9) S. PERONGINI, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffr, Milano, 2011, 6 e ss. (10) M. SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, 113 ed ampia dottrina ivi citata. (11) R. DE NICTOLIS, Il secondo correttivo del Codice del Processo amministrativo, in Federalismi. it n. 20/12. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 331 Il secondo comma dellart. 93 prevede, infatti, che Qualora la notificazione (dellimpugnazione) abbia avuto esito negativo perch il domiciliatario si trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, la parte che intende proporre limpugnazione pu presentare al presidente del tribunale amministrativo regionale o al presidente del Consiglio di Stato, secondo il giudice adito con limpugnazione, unistanza, corredata dallattestazione dellomessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione o per la rinnovazione dellimpugnazione. Per quanto riguarda i titoli successivi, intestati allappello, alla revocazione, allopposizione di terzo ed al ricorso per cassazione, mi limiter ad annotare, quanto allappello, oltre alle osservazioni gi formulate in proposito, che il codice ha recepito, in linea con la delega, tutti gli orientamenti giurisprudenziali consolidati o maggioritari, introducendo nel processo amministrativo la novit della riserva di appello (che va per necessariamente notificata). Sulla revocazione - a parte la sostanziale identit di disciplina con listituto processual-civilistico (12) - sembra potersi osservare che la novit rilevante concerne i rapporti fra revocazione ed appello. La previgente normativa (art. 28 L. 1034/71) conferiva alla parte, di fronte alla sentenza di primo grado, la facolt di optare per il ricorso in revocazione dinanzi al TAR o per lappello al Consiglio di Stato. La nuova normativa prevede, invece, che contro la sentenza dei tribunali amministrativi regionali la revocazione ammessa soltanto se i motivi non possono essere dedotti con lappello. Quanto allopposizione di terzo, giover ricordare come lopposizione ordinaria fosse stata introdotta nellordinamento non gi dal legislatore, ma dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 17 maggio 1995 n. 177 dichiar incostituzionali lart. 36 della L. 1034/71 nella parte in cui non prevedeva lopposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato e lart. 28 della stessa legge nella parte in cui non prevedeva lopposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione della sentenza del tribunale amministrativo regionale divenuta giudicato. Le incertezze insorte nella giurisprudenza amministrativa ai fini della individuazione del giudice competente a decidere lopposizione proposta contro la sentenza di primo grado e lorientamento di individuarlo nel giudice di appello (13) sono state superate dallart. 109 del codice, che individua il giudice competente a conoscere dellopposizione nel giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, a meno che contro la stessa non venga proposto appello, nel qual caso il terzo opponente deve intervenire nel relativo giudizio. Novit introdotta dal codice nel processo amministrativo , poi, lopposizione revocatoria. (12) A. QUARANTA - V. LOPILATO, op. cit. (13) Cons. Stato, V, 28 maggio 1997 n. 582; Ad. Plen. 11 gennaio 2007 n. 2. 332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Quanto, infine, al ricorso per cassazione (previsto, ovviamente, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione), lart. 111, modificato due volte in sede di correttivi al fine di garantire pienezza di contraddittorio, effettivit della tutela cautelare e piena collaborazione fra le due giurisdizioni che giudicano il ricorso luna nel merito e laltra nella cautela, molto opportunamente - in pendenza del ricorso per cassazione - disciplina pi dettagliatamente la fase cautelare del giudizio di sospensione della sentenza del Consiglio di Stato, giudizio che, come ovvio, si svolge dinanzi al Consiglio di Stato stesso. La seconda correzione, in particolare, precisa che lordinanza (di accoglimento o di rigetto dellistanza di sospensiva) sia trasmessa alla cancelleria della Corte di cassazione (14). 4. Conclusivamente, pu affermarsi che la codificazione, di cui il libro delle impugnazioni costituisce parte essenziale, oltre a rispondere, sul piano formale, ad esigenze di unificazione, chiarificazione e coordinamento, persegue lobiettivo sostanziale di riconoscere al giudice amministrativo, sulla scorta dellevoluzione normativa e della giurisprudenza di legittimit e costituzionale uno strumentario di poteri istruttori, cautelari e decisori comparabile con quello di cui dotato il giudice civile. Pu dirsi, quindi, che lemanazione del Codice del processo amministrativo, costituisce una svolta epocale e, come ha affermato il Presidente de Lise nel suo discorso di insediamento alla Presidenza del Consiglio di Stato, rappresenta una pietra miliare che conferisce alla disciplina del processo amministrativo la stessa dignit formale degli altri rami dellordinamento processuale. Non a caso Mario Sanino, nella parte conclusiva del suo bel volume che oggi viene presentato, ha sottolineato un significativo valore simbolico del Codice, che rappresenta, per la disciplina del giudizio amministrativo - dopo oltre centoventi anni - una evoluzione da regola di procedura a regola di diritto processuale. (14) R. DE NICTOLIS, op. cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 333 Translatio iudicii tra giurisdizioni e sorte dei provvedimenti cautelari Emanuele Manzo* SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Declinatoria di giurisdizione, translatio iudicii e misure cautelari: levoluzione interpretativa. 3. Lintroduzione dellart. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104: problematiche conseguenti. 4. Processo cautelare civile e processo cautelare amministrativo: lincidenza della questione di giurisdizione. 5. Segue: la proposizione della domanda cautelare, la strumentalit delle misure cautelari e la tutela cautelare ante causam. 6. La portata dellart. 11, comma 7, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. 7. Spunti problematici conclusivi. 1. Premessa. Come noto, lart. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, sulla scia delle storiche pronunce del 2007 della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale (1), ha normativizzato listituto della translatio iudicii tra giudice ordinario e giudice speciale (e viceversa). Altrettanto note sono le molteplici problematiche che listituto, per come congegnato dal legislatore del 2009, ha sollevato: gli interrogativi e i nodi che linterprete chiamato a sciogliere sono infatti innumerevoli, tanto che si da pi parti evidenziata linadeguatezza dellattuale testo normativo (2). (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. (1) Ci si riferisce, ovviamente, a Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4190 e Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77, pubblicate in Foro it., 2007, I, 1009, con nota di R. ORIANI, possibile la translatio iudiciinei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale; in Riv. dir. proc., 2007, 1577 ss., con nota di M. ACONE, Giurisdizione e translatio iudicii... aspettando Godot; in Guida al dir., 2007, 13, 89 ss., con note di G. FINOCCHIARO, Necessario lintervento del legislatore per chiarire le modalit di riassunzione e M. CLARICH, Un istituto operativo anche in caso di errore; in Riv. giurisp. trib., 2007, 557 ss., con nota di C. GLENDI, Translatio iudicii tra diverse giurisdizioni: problemi pratici e prospettive in apicibus; in www. judicium.it, con nota di C. DELLE DONNE, La Cassazione, la Consulta ed il principio di conservazione degli effetti della domanda proposta a giudice privo di potestas iudicandi. La parola passa ora al legislatore; in La giurisdizione nellesperienza giurisdizionale contemporanea, Milano, 2008, 183 ss., a cura di R. MARTINO, con nota di A. PANZAROLA, Translatio iudicii e dichiarazione di difetto di giurisdizione. (2) Lintervento legislativo, sebbene relativamente recente, ha suscitato linteresse di numerosi Autori. Tra i molteplici commenti si segnalano: C. ASPRELLA, La translatio iudicii, Milano, 2010, 160 ss.; F. AULETTA, Decisione delle questioni di giurisdizione, in Dir. e giur., 2009, 400 ss.; G. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in Giusto proc. civ., 2009, 749 ss.; M. BOVE, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1295 ss.; F. CIPRIANI, La translatio tra giurisdizioni italiane, in Foro it., 2009, V, 249 ss.; C. CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corriere giur., 2009, 877; ID., La translatio iudicii tra giurisdizioni nel nuovo art. 59 della legge di riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1267 ss.; G. GIOIA, in Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, diretto da C. CONSOLO, Milano, 2009, sub art. 59, 471 334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Alla intrinseca contraddittoriet della disciplina posta dal citato art. 59, devono essere poi aggiunte le difficolt di coordinamento di siffatta normativa a carattere generale (3) con quella, per cos dire settoriale, introdotta dal pi recente art. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo amministrativo) (4). Con le brevi considerazioni che seguono ci si intende soffermare soltanto su uno dei profili controversi e dibattuti: quello degli effetti della declinatoria di giurisdizione, e della conseguente possibilit di translatio iudicii, sulle misure cautelari previamente concesse. 2. Declinatoria di giurisdizione, translatio iudicii e misure cautelari: levoluzione intrepretativa. La questione, ovviamente, non del tutto nuova, in quanto il problema della sorte del provvedimento cautelare a seguito della dichiarazione di difetto di giurisdizione si poneva ancor prima che venisse introdotto il meccanismo della translatio iudicii tra giurisdizioni. A dire il vero, la suesposta problematica stata di regola affrontata in termini pi generali, ossia con riferimento allattitudine della sentenza di rigetto in rito a costituire causa di immediata caducazione del provvedimento cautelare (5). Questione che si poneva, e si pone ancora oggi, se solo si consideri che le pronunce di rigetto in rito non appaiono immediatamente riconducibili n alla previsione di cui al comma 1 dellart. 669 novies c.p.c., che ricollega linefficacia del provvedimento cautelare allestinzione del giudizio di merito, n a quella di cui al comma 3 del medesimo articolo, a mente del quale il provvedimento cautelare perde efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, venga dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso. ss.; A. GIUSSANI, Le novit in materia di scelta del giudice nella l. n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1191 ss.; S. MENCHINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, in G. BALENA, R. CAPONI, A. CHIZZINI, S. MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 252 ss.; G. MONTELEONE, Difetto di giurisdizione e prosecuzione del processo: una confusa pagina di anomalie processuali, in Riv. dir. proc., 2010, 271 ss.; A. PROTO PISANI, La riforma del processo civile, in Foro it., 2009, V, 226 ss.; E.F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione tra intuizioni felici e confusione di idee, in Riv. dir. proc., 2009, 1537 ss.; G.F. RICCI, La riforma del processo civile, Torino, 2009, 3 ss.; G. TRISORIO LIUZZI, Commento allart. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in Nuove leggi civ. comm., 2010, 1217 ss; P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario e la disciplina della translatio iudicii nella l. n. 69 del 2009, in Giust. civ., 2010, 105 ss. (3) La portata generale dellart. 59 della legge n. 69/2009 confermata dal fatto che tale norma non stata inserita nel codice di procedura civile, bens collocata in una legge speciale. (4) Secondo G. COSTANTINO, Note a prima lettura sul codice del processo amministrativo. Appio Claudio e lapprendista stregone, in Foro it., 2010, V, 240, lintroduzione, nellart. 11, di una disciplina specifica per i giudici amministrativi diversifica, senza obiettive ragioni, gli effetti della declinatoria di giurisdizione nei processi innanzi a questi ultimi e pone inevitabili problemi di coordinamento. (5) Cfr. C. PUNZI, Il Processo civile. Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 54-55. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 335 Ebbene, al riguardo, la giurisprudenza (6) la dottrina prevalenti (7) - nonostante alcune distinzioni (8) e fatto salvo, probabilmente, il caso delle misure cautelari a cosiddetta strumentalit attenuata (9) - hanno ritenuto che anche la sentenza di rigetto in rito, mediante una interpretazione analogica del citato art. 669 novies c.p.c., costituisse causa di caducazione automatica del provvedimento cautelare. Con lunica eccezione, prospettata da una parte della dottrina (10), di quelle pronunce in rito che, pur definendo il giudizio davanti al giudice adito, ne consentono comunque la continuazione davanti ad altro giudice. Si tratta, in particolare, dei casi di rimessione della causa ad altro giudice in seguito a dichiarazione di incompetenza del giudice adito (11), ovvero in presenza di cause di connessione o di continenza. Ci detto, venendo alla questione della carenza di giurisdizione, nel contesto anteriore alle pronunce del 2007, alla luce del dogma della incomunica- (6) Cfr. Cass., 16 settembre 1993, n. 9556, in Dir. e giur., 1993, 541 ss.; Trib. Roma, 19 febbraio 1997, in Giur. merito, 1998, I, 236 ss, con nota di P. PECUSSI; Trib. Brescia, 16 maggio 1995, in Foro it., I, 2995 ss.; Trib. Trani, 4 luglio 2000, in Giur. merito, 2001, I, 989 ss. (7) A. ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 252; A. CARRATTA, Inefficacia del sequestro pronunciato ante causam da giudice incompetente ed ambito di applicazione dellart. 669 novies c.p.c., nota critica a Trib. Milano, 15 giugno 1998, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, 474 ss.; G. FRUS, Commento allart. 669 novies, in Le riforme del processo civile, a cura di S. CHIARLONI, Bologna, 1992, 714 ss.; G. OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, 716 ss.; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli 1991, 350; A. SALETTI, Appunti sulla nuova disciplina delle misure cautelari, in Riv. dir. proc., 1991, 381 nota 62; F. TOMMASEO, Commentario ai provvedimenti urgenti per il processo civile, in Corr. giur., 1991, 102 ss. Nello stesso senso era orientata la prevalente dottrina ancor prima che venisse introdotto lart. 669 novies (ad opera delle legge n. 353 del 1990): v. al riguardo V. ANDRIOLI, Commento al c.p.c., IV, Napoli, 1964, 195; S. SATTA, Commentario del c.p.c., IV, 1, Milano, 1968, 186. (8) Cfr. Cass., 21 agosto 2007, n. 17778, secondo cui Il provvedimento cautelare (nella specie un sequestro conservativo) non perde efficacia nel caso in cui il successivo giudizio di merito sia definito da una sentenza che dichiari nullo il ricorso, essendo prevista la caducazione del provvedimento nelle sole ipotesi tassative di cui all'art. 669 "novies" cod. proc. civ.; nello stesso senso Trib. Messina, 7 dicembre 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 556 ss. con nota di G. NICOTINA. (9) Sulle misure cautelari a strumentalit attenuata v. infra, 16 ss. (10) P. LUISO, Diritto Processuale civile2, IV, Milano, 1999, 178; L. MONTESANO-G. ARIETA, Il nuovo processo civile, Torino, 1991, 141; S. RECCHIONI, Il processo cautelare uniforme, Torino, 2005, 652; G. VERDE, Appunti sul procedimento cautelare, in Foro it., 1992, V, 432 ss. In giurisprudenza cfr., Cass., 20 agosto 1998, n. 8247, secondo cui lincompetenza del giudice originariamente adito non comporta linefficacia del sequestro autorizzato dal giudice competente, essendo applicabile il generale principio di cui allart. 50 cod. proc. civ. che vuole conservati gli effetti processuali e sostanziali connessi alla domanda, pur se proposta dinanzi a giudice incompetente, sulla base della cosiddetta translatio iudicii. Contra A. CARRATTA, Inefficacia del sequestro pronunciato ante causam cit., per il quale la possibilit di riassumere il giudizio dinanzi al giudice ritenuto competente non comporta che la presenza del vizio di competenza non sia idonea ad interrompere il nesso di strumentalit tra la misura cautelare e gli effetti della pronuncia di merito, e questo proprio per la ragione che uno dei presupposti per il concretizzarsi di quel nesso di strumentalit dato dalla coincidenza (tendenziale) fra giudice cautelare e giudice competente a conoscere del merito. (11) Sugli effetti della translatio iudicii in seguito a dichiarazione di incompetenza cfr. in generale G. BONGIORNO, Il regolamento di competenza, Milano, 1970, 45 ss. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 bilit tra giurisdizioni, risultava piuttosto agevole affermare che la dichiarazione di difetto di giurisdizione dovesse comportare ex se la caducazione della misura cautelare. La stessa Corte di Cassazione, del resto, aveva espressamente preso posizione in favore della caducazione, quale necessario effetto della pronunciata declinatoria di giurisdizione del giudice amministrativo, delle ordinanze cautelari emesse nel corso dello stesso giudizio (12). Questa tesi, evidentemente, non poteva non essere sottoposta ad un attento e meditato ripensamento in seguito ai fondamentali interventi giurisprudenziali del 2007, sopra richiamati. Ed in effetti, alla luce del riconoscimento del principio della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda erroneamente proposta dinanzi a giudice carente di giurisdizione, si altres paventata la possibilit di riconoscere ultrattivit al provvedimento cautelare concesso dal giudice successivamente dichiaratosi sfornito di giurisdizione (13). In altri termini, progressivamente maturata lidea che il provvedimento cautelare gi concesso, stante la riconosciuta permeabilit tra le giurisdizioni, in forza dellormai ammessa possibilit di traslare il giudizio dinanzi ad altro plesso giurisdizionale, non possa pi venir meno per il solo fatto che sia intervenuta una declinatoria di giurisdizione. Difatti, non essendo la decisione che neghi la giurisdizione idonea a caducare tout court lattivit precedentemente svolta, ne dovrebbe ragionevolmente conseguire anche la salvezza delle misure cautelari gi emanate. Ci che conta, al fine di garantire la predetta salvezza, che sia evitata lestinzione del processo mediante la sua tempestiva trasmigrazione dinanzi allorgano giurisdizionale indicato come munito di potestas iudicandi (14). Spostando per un momento lattenzione sul versante della giurisprudenza amministrativa, si deve tuttavia notare che essa, nonostante il revirement giurisprudenziale del 2007, aveva manifestato un atteggiamento pi cauto e probabilmente incline ad una conservazione del tradizionale orientamento. I giudici amministrativi, infatti, hanno continuato a ribadire che, sebbene in forza della translatio iudicii non sono pregiudicati gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta dinanzi a giudice carente di giurisdizione, resta comunque ferma la naturale e automatica cessazione degli effetti del decreto cautelare presidenziale eventualmente concesso inaudita altera parte in questa procedura (15). Laffermazione del giudice amministrativo, sebbene testualmente riferita (12) Cass., Sez. Un., 29 settembre 2003, n. 14489. (13) Per una completa analisi del problema dellefficacia dei provvedimenti cautelari emessi da giudice incompetente e sfornito di giurisdizione si rinvia a P. VITTORIA, Translatio iudicii e giurisdizione cautelare, in Giusto proc. civ., 2009, 447 ss. (14) In verit, come si dir successivamente, la mancata tempestiva riassunzione del processo non potrebbe nemmeno reputarsi idonea a caducare la misure cautelari cd. anticipatorie (v. infra, 16 ss.). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 337 al decreto cautelare, sembra potenzialmente idonea ad assumere valenza generale: da essa potrebbe infatti inferirsi un principio in forza del quale qualsivoglia misura cautelare, in seguito alla declaratoria di difetto di giurisdizione, debba essere naturaliter caducata (16). Al riguardo, sembra sufficiente anticipare, per il momento, che - per le ragioni che verranno successivamente esaminate - il pi cauto atteggiamento manifestato dalla giurisprudenza amministrativa trova, con ogni probabilit, una sua razionale giustificazione tutta interna a quello che il sistema processuale amministrativo. Ovviamente, la problematica della sorte dei provvedimenti cautelari a seguito della sopravvenuta declinatoria di giurisdizione si riproposta allattenzione degli interpreti nel momento in cui il legislatore, in ossequio allautorevole esortazione della Corte Costituzionale (17), ha introdotto e disciplinato il meccanismo della translatio iudicii tra giurisdizioni. (15) Cfr. Tar Campania-Napoli, 2 febbraio 2009, n. 555; Tar Campania-Napoli, 2 marzo 2009, n. 1194; Tar Campania-Napoli, 4 giugno 2009, n. 3067. (16) Invero, non ci si pu esimere dallevidenziare che, nel processo amministrativo, ai sensi del previgente art. 21, comma 9, della legge n. 1034 del 1971, il decreto cautelare presidenziale era efficace sino alla pronuncia del collegio e che, come precisa lattuale art. 56, comma 4, c.p.a., il decreto perde efficacia se il collegio, nella successiva camera di consiglio, non provvede sulla domanda cautelare. Ne deriva, pertanto, che lefficacia del decreto presidenziale, almeno nel processo amministrativo, inevitabilmente e necessariamente limitata alla data della successiva camera di consiglio, a prescindere dal fatto che il collegio, in quella sede, abbia o meno provveduto sulla domanda cautelare. Ebbene, se cos , ne deriva che la statuzione del giudice amministrativo, contenuta nelle pronunce richiamate nella precedente nota, circa la naturale e automatica cessazione degli effetti del decreto cautelare presidenziale, si rivela in primo luogo superflua, atteso che, come detto, lo stesso legislatore che contempla espressamente, e senza alcuna eccezione, siffatta caducazione. Ma soprattutto, si tratta di statuizione che - per come inserita nel corpo della motivazione - sembra idonea a far sorgere il dubbio che essa sia in realt preordinata a precisare - limitandola - la portata del principio della salvezza degli effetti della domanda proposta dinanzi a giudice carente di giurisdizione. Infatti, in tutte le pronunce del Tar Campania prima richiamate si afferma che la recente pronuncia della Corte costituzionale 12 marzo 2007, n. 77 ha chiarito che, in sede di translatio iudicii, non sono pregiudicati gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta dinanzi al giudice carente di giurisdizione ma che ciononostante, ossia quasi a voler limitare la portata di tale innovativo principio, resta comunque ferma la naturale e automatica cessazione degli effetti del decreto cautelare presidenziale eventualmente concesso inaudita altera parte in questa procedura. In sostanza, la conclusione cui giunge il giudice amministrativo non sembra tanto fondata sulle intrinseche ed oggettive peculiarit del decreto cautelare (destinato inevitabilmente a venir meno), quanto sul principio per cui la declinatoria di giurisdizione, se vero che fa salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, non pu tuttavia reputarsi idonea a far salve anche le misure cautelari gi concesse. Pertanto, cos ragionando, non sembrerebbe affatto azzardato voler individuare in tali pronunce i sintomi di un diverso modo di atteggiarsi, da parte della giurisprudenza amministrativa, alla problematica che qui ci occupa. (17) Si legge nella sentenza Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77 che La disciplina legislativa che, con lurgenza richiesta dallesigenza di colmare una lacuna dellordinamento processuale, verr emanata, sar vincolata solo nel senso che essa dovr dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne munito. 338 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 In verit, lart. 59 della legge n. 69 del 2009 (18) ha del tutto ignorato la problematica che qui interessa: nessuna disposizione regola infatti il fenomeno della sorte dei provvedimenti cautelari emanati dal giudice che abbia poi declinato la giurisdizione. Nonostante ci, nel silenzio del legislatore, gran parte della dottrina processualcivilistica ha avuto buon gioco a ribadire lidea gi maturata dopo le pronunce del 2007. Vale a dire: la declinatoria di giurisdizione non pu comportare la caducazione automatica della misura cautelare previamente concessa, dal momento che la valida e tempestiva riassunzione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente di per s idonea a far salva lattivit processuale svolta dinanzi al primo giudice (19). Ne deriva che alla pronuncia in rito che dichiari il difetto di giurisdizione pu riconoscersi, secondo una efficace espressione, una attenuata idoneit definitoria del processo (20), dal momento che essa, pur valendo a chiudere il giudizio dinanzi al giudice adito, non comporta una sua definizione in senso proprio, lasciando comunque aperta la possibilit di una sua continuazione davanti ad un diverso giudice. Pertanto, lattivit giurisdizionale - compresa quella cautelare - svolta dinanzi al primo giudice, poi dichiaratosi privo di giurisdizione, potr essere conservata qualora il medesimo processo prosegua dinanzi al giudice fornito di giurisdizione. (18) Lart. 59 della legge n. 69 del 2009 dispone che 1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altres, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo. 2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalit e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile. 3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono gi pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa riassunta pu sollevare d'ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione. 4. L'inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l'estinzione del processo, che dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. 5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. (19) C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile2, II, Profili generali, Torino, 2012, 65; S. MENCHINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., 261; A. GIUSSANI, Le novit in materia di scelta del giudice nella l. n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 1203. (20) Cfr. E. MERLIN, I limiti temporali di efficacia, la revoca e la modifica, in Il nuovo processo cautelare, a cura di G. TARZIA, Padova, 1993, 321. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 339 Non vՏ dubbio che il quadro brevemente delineato appaia pienamente coerente con linnovata concezione della giurisdizione, la cui carenza, al pari di quanto gi paventato per la competenza, non si rivela pi idonea a sancire la definitiva chiusura in rito del processo. Del resto, se con riguardo alla declinatoria di competenza, come gi detto, era diffusa lidea che il provvedimento cautelare emanato dovesse comunque conservare la sua efficacia (21), analoga soluzione potrebbe oggi ragionevolmente imporsi anche con riferimento alla declinatoria di giurisdizione (22). Ci posto, sembra tuttavia doveroso precisare che, anche a voler ritenere, come sembra opportuno, che le misure cautelari emanate dal giudice poi dichiaratosi sfornito di giurisdizione debbano comunque restare in vita, tali misure, una volta che sia stata effettuata la trasmigrazione del giudizio, possono essere modificate, anche profondamente, dal giudice innanzi a cui la causa verr riassunta qualora diverse siano le regole dettate in proposito dalle norme disciplinanti la tipologia di misure cautelari nella sua giurisdizione (23). In sostanza, si dovr pur sempre verificare se, trasmigrato il giudizio, sia necessario rimodulare le misure cautelari concesse, al fine di adeguarle alle tutele di merito che possono essere concesse dal giudice ad quem e al fine di renderle compatibili con le regole processuali vigenti dinanzi a quellorgano giurisdizionale. Ci significa che la misura cautelare potr essere revocata se non contemplata affatto dalle norme che regolano il giudizio ad quem (24); oppure potr essere modificata se la posizione soggettiva, per la quale era stata concessa cautela nel giudizio a quo, sia tutelata da unaltra tipologia di provvedimento nel giudizio ad quem (25). Fatta questa doverosa precisazione, levidente pregio della suesposta ricostruzione sta nel fatto che essa si rivela idonea a garantire la continuit - ed (21) V. Autori sub nota 10; Cfr. E. MERLIN, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, in Il processo cautelare4, a cura di G. Tarzia e A. SALETTi, Padova, 2011, 459. (22) Tale rilievo operato da G. IMPAGNATIELLO, Le novit in tema di giurisdizione e competenza, 7 della relazione svolta allincontro di studio La nuova riforma del processo civile, tenutosi il 2 e 3 ottobre 2009 nellUniversit di Foggia, e reperibile in www.judicium.it, il quale effettua anche un parallelo con il processo penale, laddove la sopravvivenza del provvedimento cautelare alla declinatoria di competenza espressamente prevista dallart. 27 c.p.p., a norma del quale le misure cautelari disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321. (23) C. CONSOLO, La translatio iudicii, cit., 1272; in modo analogo anche C. GLENDI, La circolarit dellazione tra le diverse giurisdizioni nellordinamento nazionale, in Proc. trib., 2009, 2655 ss.; B. RAGANELLI, Levoluzione della giurisprudenza e il recente intervento del legislatore in tema di translatio iudicii, in Dir. proc. amm., 2010, 789 ss. (24) Nel processo tributario, ad esempio, lunica misura cautelare applicabile la sospensione dellesecuzione dellatto impositivo impugnato, ai sensi dellart. 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. (25) Sulla revoca e modifica dei provvedimenti cautelari cfr. in generale G. BASILICO, La revoca dei provvedimenti civili contenziosi, Padova, 2001, 241 ss. 340 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 in definitiva leffettivit - della tutela cautelare (26), evitando che, nel passaggio da una giurisdizione allaltra, possano prodursi pericolosi vuoti di tutela. Si evita, cio, che la parte che nel giudizio a quo aveva beneficiato della concessione di un provvedimento cautelare possa poi, a causa della sopravvenuta declinatoria di giurisdizione, rimanere temporaneamente sprovvista di cautela, con il conseguente rischio di veder vanificata lutilit della futura decisione di merito. 3. Lintroduzione dellart. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2012, n. 104: problematiche conseguenti. Siffatta ricostruzione subisce, tuttavia, un importante e, per certi versi inaspettato, sconvolgimento in seguito allapprovazione del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, meglio noto come codice del processo amministrativo (in seguito c.p.a.). Il legislatore ha infatti introdotto, allart. 11 c.p.a. (27), una disciplina specifica in materia di translatio iudicii, che in pi punti si discosta dal gi esistente art. 59 della legge n. 69 del 2009 e che ha posto, come si gi anticipato, inevitabili problemi di coordinamento. Ebbene, rispetto al tema che qui ci occupa, dato registrare, in evidente controtendenza rispetto allintervento legislativo del 2009, una precisa presa di posizione del legislatore che, al comma 7 dello stesso articolo, ha stabilito che Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al (26) Cfr. M. MUSCARDINI, Giurisdizione e competenza, in Il processo cautelare4, a cura di G. TARZIA e A. SALETTI, Padova, 2011, 363. (27) Ai sensi dellart. 11 c.p.a.: 1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne fornito. 2. Quando la giurisdizione declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. 3. Quando il giudizio tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, questultimo, alla prima udienza, pu sollevare anche dufficio il conflitto di giurisdizione. 4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le Sezioni Unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono questultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite. 5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, pu concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti. 6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. 7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 341 giudice munito di giurisdizione (28). In sostanza, viene sancito un principio di efficacia temporanea e limitata della misura cautelare concessa dal giudice che si sia poi dichiarato sfornito di potere giurisdizionale. Una soluzione, questultima, che stata definita di compromesso e che, si detto, potrebbe rappresentare un ragionevole punto di equilibrio (29). In questa ottica, il legislatore del processo amministrativo avrebbe contemperato due esigenze: da un lato, quella di evitare la caducazione automatica della misura cautelare, con conseguente superamento di eventuali tesi - potenzialmente ricavabili da quelle pronunce dei giudici amministrativi di cui si prima dato conto (30) - favorevoli a siffatta caducazione nonostante la riconosciuta possibilit di translatio; dallaltro, quella di evitare una ultrattivit temporalmente indefinita della misura cautelare concessa dal giudice a quo, preservandone lefficacia per un breve periodo di trenta giorni, ma facendo comunque salva la facolt di riproporre le istanze cautelari dinanzi al giudice munito di giurisdizione. Lart. 11, comma 7, c.p.a. consente quindi di affermare che, quanto meno con riferimento alle misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, esclusa una loro immediata inefficacia a seguito di declinatoria di giurisdizione, deve invece essere riconosciuta una loro limitata ultrattivit. Tale ultrattivit, ed questo laspetto essenziale, non peraltro garantita a condizione che il giudizio sia stato riassunto o la domanda tempestivamente riproposta dinanzi al legittimo organo giurisdizionale, nel rispetto cio del termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione. Essa infatti temporalmente limitata al pi breve periodo di trenta giorni dalla pubblicazione della declinatoria di giurisdizione: sussiste, in sostanza, uno sfasamento temporale tra il termine finale di efficacia temporanea delle misure cautelari e quello entro il quale effettuare la trasmigrazione processuale (31). La ratio sottesa al settimo comma dellart. 11 c.p.a., individuabile, come detto, nella volont di limitare nel tempo lefficacia della misura cautelare concessa da un giudice che non sarebbe stato legittimato a concederla - in (28) Secondo C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, con esame anche dellincidenza scoordinata del nuovo codice della giustizia amministrativa, in Corr. giur., 2010, 769, Poich la translatio importa la prosecuzione del medesimo procedimento, una previsione esplicita in punto di efficacia delle misure cautelari disposte nella sua prima tranche, dopo la chiusura in mero rito, era invero necessaria, pena una gravissima incertezza, e tutti i problemi ad essa connessi con un moto pendolare fra immediato venir meno e proroga sine die salva revoca o modifica ex art. 669 decies c.p.c.. (29) M. SICA, in Codice del nuovo processo amministrativo, a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO, Roma, 2010, sub art. 11, 245. Anche secondo G. BATTAGLIA, Riparto di giurisdizione e translatio iudicii, in Riv. dir. proc., 2012, 101, la scelta del legislatore pare collocarsi a met tra lopzione della perdita di efficacia dei provvedimenti cautelari e lopzione della conservazione dellefficacia dei provvedimenti stessi. (30) V. supra pag. 4 (in particolare sub note 13 e 14). (31) F. TALLARO, in Codice del processo amministrativo, a cura di R. GAROFOLI, 2010, sub art. 11, 160. 342 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 quanto privo di potere giurisdizionale - non costituisce, in verit, un unicum allinterno del sistema processuale amministrativo. Una norma del tutto analoga infatti prevista in materia di translatio a seguito di dichiarazione di incompetenza, dal momento che lart. 15 c.p.a., ai commi 7 e 8, stabilisce che I provvedimenti cautelari pronunciati dal giudice dichiarato incompetente perdono efficacia alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di pubblicazione dellordinanza che regola la competenza e La domanda cautelare pu essere riproposta al giudice dichiarato competente. Ed ancora, in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con riferimento allipotesi della sua trasposizione in sede giurisdizionale, previsto che Le pronunce sullistanza cautelare rese in sede straordinaria perdono efficacia alla scadenza del sessantesimo giorno successivo alla data di deposito dellatto di costituzione in giudizio previsto dal comma 1. Il ricorrente pu comunque riproporre listanza cautelare al tribunale amministrativo regionale (art. 48, comma 2, c.p.a.). In sostanza, il minimo comune denominatore delle citate disposizioni sta nella volont di garantire la continuit della tutela cautelare soltanto per un limitato arco temporale, tendenzialmente breve, facendo ovviamente salva la riproponibilit dellistanza cautelare dinanzi al legittimo organo giurisdizionale. Come era ovvio che fosse, lintroduzione dellart. 11, comma 7, c.p.a. non poteva non mettere in crisi le certezze cui era pervenuta la dottrina processualcivilistica che aveva affrontato il tema dei rapporti tra giurisdizione e tutela cautelare (32). La norma de qua ha infatti disorientato la dottrina del processo civile, facendo sorgere il seguente interrogativo: il principio della caducazione del provvedimento cautelare, dopo che sia decorso il termine di trenta giorni, codificato allart. 11, comma 7, c.p.a., deve reputarsi applicabile a qualsivoglia ipotesi di translatio iudicii o, al contrario, deve trovare applicazione limitata alle sole misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, poi dichiaratosi sfornito di giurisdizione? A tale interrogativo potrebbe essere offerta una risposta immediata, destinata per a rivelarsi semplicistica ed approssimativa, limitandosi cio a notare che, attesa la collocazione sistematica della norma de qua - inserita in un codice settoriale e non in una testo normativo di portata generale, quale invece lart. 59 della legge n. 69 del 2009 - se ne dovrebbe allora dedurre, per ci solo, una sua applicazione circoscritta al processo amministrativo. Un siffatto modo di ragionare non sarebbe tuttavia esente da critiche, dal momento che, ogni qualvolta viene in considerazione una norma che disciplini (32) Nota infatti S. MENCHINI, Eccezione di giurisdizione, regolamento preventivo e translatio: il codice di rito e il nuovo codice della giustizia amministrativa, in Giur. it., 2011, 227, che il legislatore del processo amministrativo andato di diverso avviso rispetto alla dottrina. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 343 la trasmigrazione del processo da un organo giurisdizionale ad un altro, ci si trova inevitabilmente dinanzi a norme che regolano fattispecie che riguardano pi giudici, e che, pi in particolare, disciplinano il regime di atti che, emanati da un giudice, devono essere poi presi in considerazione nel giudizio trasmigrato dinanzi al diverso giudice. In altri termini, non sembra che alla collocazione sistematica della norma possa attribuirsi rilievo dirimente ai fini della risoluzione della problematica che qui si posta. Altrettanto errata sarebbe uninterpretazione che volesse fondarsi esclusivamente sul dato letterale dellart. 11 c.p.a. Secondo una certa ricostruzione, la tecnica di redazione dei vari commi che compongono lart. 11 c.p.a. non sarebbe uniforme: in particolare, mentre i commi 1, 2, 3, 4, 6 dellart. 11 c.p.a. sarebbero dettati con specifico riferimento al processo amministrativo - riproducendo, senza elementi di novit, le previsioni gi contenute nellart. 59 della legge n. 69 del 2009 - i commi 5 e 7 avrebbero una portata generica, riferendosi al giudice senza alcuna specificazione, e sarebbero quindi suscettibili di applicazione generalizzata (33). In verit, anche il tenore letterale dellart. 11 c.p.a., isolatamente considerato, non sembra di per s idoneo a fornire una risposta appagante allinterrogativo sollevato. 4. Processo cautelare civile e processo cautealre amministrativo: lincidenza della questione di giurisdizione. A ben vedere, per dissipare ogni dubbio circa il reale campo dapplicazione del comma 7 dellart. 11 c.p.a., lunica strada che si rivela percorribile quella che muova da un raffronto, ovviamente circoscritto alla questione che qui si posta, tra il sistema di tutela cautelare predisposto nel codice di procedura civile e quello congegnato dal legislatore del processo amministrativo (34). Soltanto una siffatta indagine consentir infatti di chiarire se la norma de qua debba reputarsi applicabile anche alle misure cautelari concesse dal giudice ordinario che si dichiari sfornito di giurisdizione (35) - potendosi quindi ad essa attribuire portata generalizzante - o se, al contrario, si tratti di (33) M. SICA, op.cit., 220 ss., il quale tuttavia precisa che sia il comma quinto che il comma settimo dellart. 11 sarebbero, altres, espressione di principi generali e quindi, in quanto tali, applicabili in ogni processo, salve espresse e contrarie disposizioni di legge. (34) Sul processo cautelare amministrativo v. ampiamente A. PANZAROLA, in Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2012, 813 ss.; M.V. LUMETTI, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012. (35) Lo stesso dicasi per i giudizi contabili: opportuno precisare che le regole contenute nel codice di procedura civile si applicano anche ai giudizi dinanzi alla Corte dei Conti, in forza del rinvio contenuto nellart. 26 del regolamento di procedura (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038). Nel processo tributario, invece, considerato che lunica misura cautelare prevista la sospensione dellatto impositivo impugnato (art. 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) la complessiva problematica assume, probabilmente, una portata meno rilevante. 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 norma che trova una coerente giustificazione esclusivamente nellalveo del processo amministrativo. Al fine di compiere tale indagine, sembra preliminarmente opportuno verificare quale sia, in ambedue i sistemi processuali, lincidenza che esplica la questione di giurisdizione sullesercizio del potere cautelare. Nel sistema processuale civile certamente possibile, almeno in determinati casi, che un giudice, sebbene privo di potere giurisdizionale, possa legittimamente emanare misure cautelari. Ci si vuole innanzitutto riferire agli artt. 669 ter e quater c.p.c. (nonch allart. 10 della legge n. 218/1995 e allart. 31 del Reg. CE n. 44/2001 (36)) che consentono espressamente al giudice italiano del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare di emanare tale provvedimento anche ove competente nel merito sia il giudice straniero. Orbene, essendo espressamente contemplata la circostanza che un giudice non munito di giurisdizione - in unipotesi in cui, tra laltro, ancora non opera la translatio iudicii - possa concedere misure cautelari, si detto che a fortiori tale possibilit deve essere ammessa laddove la translatio sia possibile - ossia qualora si tratti di difetto di giurisdizione nei confronti di altro giudice italiano (37). Anche a non voler attribuire rilievo determinante alla fattispecie, probabilmente eccezionale, sopra considerata, deve comunque tenersi presente che, ai sensi dellart. 669 quater, comma 2, c.p.c. il giudice a quo potrebbe concedere misure cautelari dopo la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, anche laddove, ritenendo evidentemente fondato il dubbio circa la sussistenza della propria giurisdizione, abbia sospeso il processo ex art. 367 c.p.c. Da tali previsioni normative parte della dottrina ha ricavato il principio secondo cui i limiti imposti dalle diverse giurisdizioni non dovrebbero ostacolare lesercizio della tutela cautelare (38). Soluzione che trova oggi ulteriore giustificazione alla luce della riconosciuta possibilit di trasmigrazione del giudizio dinanzi al giudice munito di giurisdizione, diretta proprio ad impedire che lerrore nella scelta del giudice possa vanificare leffettivit della tutela giurisdizionale (39). (36) Per unattenta disamina dellart. 31 del Reg. 44/2001 cfr. F. SALERNO, Giurisdizione ed efficacia della decisione straniera nel regolamento (CE) n. 44/2001, Padova, 2006, 281 ss. (37) G. IMPAGNATIELLO, op. cit., 7; M. MUSCARDINI, op. cit., 330. (38) M. MUSCARDINI, op. cit., 358. (39) P. VITTORIA, op. cit., 465; R. BARBIERI, Translatio iudicii e caducazione dei provvedimenti cautelari nel nuovo codice del processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, 1458. (39) Una parte della dottrina ha evidenziato che ci, tuttavia, non significa postulare lassoluta irrilevanza del difetto di giurisdizione sullefficacia delle misure cautelari. Sembrerebbe infatti indubitabile, si detto, che il provvedimento cautelare concesso da giudice poi dichiaratosi privo di giurisdizione, possa essere reclamato o revocato prima che sia stato confermato dal giudice ad quem, e che, una volta che sia stato accertato e dichiarato il difetto di giurisdizione, non potr che derivarne, quale ovvia conseguenza, la sua caducazione. (cfr. Codice di procedura civile commentato, a cura di C. CONSOLO, 2010, CONTRIBUTI DI DOTTRINA 345 Spostando a questo punto lattenzione alla corrispondente disciplina del processo amministrativo, si notano subito alcune differenze di non scarso rilievo. Il vecchio art. 30, comma 2, della legge n. 1034 del 1971 (cd. legge Tar) (40), abrogato in seguito allentrata in vigore del codice del processo amministrativo, consentiva al giudice, a fronte della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, di concedere ugualmente la tutela cautelare richiesta. In sostanza, tale norma ricalcava la simmetrica disciplina prevista nel codice di procedura civile. Al contrario, il nuovo art. 10, comma 2, c.p.a., nel disciplinare listituto del regolamento di giurisdizione, ha optato per una soluzione radicalmente diversa. Tale norma, infatti, prevede che nel giudizio sospeso possono essere chieste misure cautelari, ma il giudice non pu disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione. Tale previsione ha quindi introdotto un obbligo, per il giudice cui sia stata richiesta lemanazione di una misura cautelare, di previa valutazione circa la sussistenza della propria giurisdizione. Non sembra azzardato affermare che in questo modo si sia resa estremamente improbabile la concessione di misure cautelari nel corso di un processo amministrativo che sia stato sospeso in seguito alla proposizione di un regolamento di giurisdizione. di tutta evidenza, infatti, che se il giudice ritiene di dover sospendere il processo di merito, non reputando cio infondata la contestazione della sua giurisdizione, difficilmente potr poi convincersi del contrario nel momento in cui investito dellistanza cautelare. In concreto, leffetto che la norma presumibilmente produrr sar quello di rendere sporadica la concessione di misure cautelari ogni qualvolta il giudice, per aver ritenuto listanza di regolamento di giurisdizione non manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione non manifestamente infondata, abbia di conseguenza disposto la sospensione del processo. Tralasciando in questa sede i dubbi, paventati dai primi commentatori (41), circa la ragionevolezza e la legittimit costituzionale della norma de qua, non pu negarsi che la stessa appaia comunque espressiva di una precisa vo- 2335; R. BARBIERI, Translatio iudicii e caducazione dei provvedimenti cautelari nel nuovo codice del processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, 1458). Al riguardo, si anche notato che problema di non facile soluzione se il giudice del reclamo o della revoca debba decidere in base al proprio convincimento sulla sussistenza della giurisdizione, ovvero semplicemente prendere atto della dichiarazione di difetto di giurisdizione gi emessa. In particolare, ci si deve chiedere se la declinatoria di giurisdizione possa valere di per s quale mutamento delle circostanze sopravvenute, tale da giustificare laccoglimento del reclamo e, in mancanza, la modifica o revoca del provvedimento cautelare da domandare al giudice ad quem (cfr. Codice di procedura civile commentato, a cura di C. CONSOLO, 2010, 2335). (40) Lart. 30, comma 2, della legge n. 1034/1971 cos disponeva: Nei giudizi innanzi ai tribunali amministrativi ammessa domanda di regolamento preventivo di giurisdizione a norma dell'articolo 41 del codice di procedura civile. La proposizione di tale istanza non preclude l'esame della domanda di sospensione del provvedimento impugnato. (41) M. SICA, op. cit., sub art. 10, 192; R. BARBIERI, op.cit., 1468. 346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 luntas legis: evitare che, nel processo amministrativo, la misura cautelare sia emanata da un giudice che nutra dubbi sulla sua giurisdizione e, per leffetto, limitare la concessione di provvedimenti cautelari alla previa positiva verifica circa la sussistenza del potere giurisdizionale. Se cos , sembra allora possibile trarre una prima conclusione: se vero che nel processo civile non escluso che un giudice privo di giurisdizione possa ugualmente concedere una misura cautelare, altrettanto vero che siffatta possibilit deve essere negata nel processo amministrativo. In altri termini, se nel processo civile lurgenza del provvedere prevale sulla valutazione relativa alla sussistenza della giurisdizione, nel processo amministrativo vale il contrario: in tanto sar concessa cautela allinteresse o al diritto da tutelare, in quanto il giudice adito abbia preliminarmente ritenuto di essere fornito di potestas iudicandi. A questo punto, stante lincidenza che, nel processo cautelare amministrativo, attribuita alla questione di giurisdizione, possono probabilmente gi comprendersi le ragioni per le quali il legislatore, con il comma 7 dellart. 11 c.p.a., abbia voluto regolare espressamente la problematica della sorte dei provvedimenti cautelari. Si infatti inteso salvaguardare, sia pure per un limitato periodo di tempo, lefficacia della misura cautelare disposta da un giudice carente di giurisdizione. Difatti, in assenza di questultima previsione, non sarebbe stato azzardato ipotizzare che i giudici amministrativi, nel declinare la giurisdizione, avrebbero insistito nel disporre anche la caducazione delle misure cautelari concesse (42). 5. (segue) La proposizione della domanda cautelare, la strumentalit delle misure cautelari e la tutela cautelare ante causam. Utili indicazioni, ai fini che qui interessano, possono ricavarsi anche da una breve disamina delle modalit con le quali, in entrambi i sistemi processuali, si propone listanza cautelare. Nel processo civile, lart. 669 bis c.p.c. si limita a prevedere che la domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente. Nel processo amministrativo, invece, il ricorrente che voglia accedere alla tutela cautelare tenuto non soltanto a proporre la domanda cautelare con il ricorso di merito o con distinto ricorso notificato alle altre parti (art. 55, comma 3, c.p.a.), ma deve soprattutto tener presente che, ai sensi dellart. 55, comma 4, c.p.a., dettato in tema di misure cautelari collegiali, la domanda cautelare improcedibile finch non presentata listanza di fissazione delludienza per il merito. Analogamente, lart. 56 c.p.a. sanziona con limprocedibilit la do- (42) Ed in effetti si gi detto che la giurisprudenza amministrativa, nonostante lavvento della translatio iudicii, sembrava orientata a negare ultrattivit alla misura cautelare concessa da giudice privo di giurisdizione. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 347 manda volta ad ottenere una misura monocratica provvisoria finch non presentata listanza di fissazione dudienza per il merito. Con tali disposizioni il legislatore (43), risolvendo un contrasto giurisprudenziale sorto in relazione alla questione se lomessa proposizione dellistanza di fissazione delludienza di discussione, impedendo lesame del ricorso nel merito, precludesse o no anche lesame dellistanza cautelare, ha chiaramente optato per la tesi pi rigorosa. Lonere di presentazione dellistanza di fissazione delludienza per il merito, previsto addirittura a pena di procedibilit della domanda cautelare, sembra infatti evidenziare una certa sfiducia, da parte del legislatore del processo amministrativo, nei confronti di una definizione interinale e provvisoria degli interessi. Al contrario, sembra evincersi una correlativa predilezione per una rapida definizione nel merito della controversia (44). Partecipi di questa ratio sono anche quelle norme contenute nel codice del processo amministrativo che consentono di definire la domanda cautelare attraverso una celere fissazione delludienza di merito. Siffatta possibilit, per le sole misure collegiali subordinata alla verifica che essa non vanifichi le esigenze di tutela del ricorrente (art. 55, comma 10, c.p.a.), mentre costituisce la regola rispetto ai riti abbreviati comuni (art. 119, comma 3, c.p.a.). Sarebbe come a dire: laddove possibile, sempre meglio una decisione immediata nel merito, pretermettendo del tutto unautonoma fase cautelare. La differenza tra i due sistemi processuali risulta ancora pi evidente - e decisiva ai fini che qui interessano - se ci si sofferma sul regime di strumentalit delle misure cautelari. Nel processo civile, il nesso di strumentalit strutturale delle misure cautelari previsto, in via generale, dallart. 699 novies, comma 1, secondo cui se il procedimento di merito non iniziato nel termine perentorio di cui allart. 669 octies ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia. Dalla suddetta norma si evince che, nel processo civile, la misura cautelare a strumentalit classica o forte perde la sua efficacia qualora la parte non inizi, entro un dato termine, il processo di merito o qualora questo, pur instaurato, dovesse successivamente estinguersi (ad esempio nellipotesi di mancata tempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice ad quem). Tale regola, peraltro, come noto, non si applica alle misure cautelari anticipatorie a cosiddetta strumentalit attenuata. Nel processo civile, infatti, (43) Che sul punto, del resto, ha attuato pienamente la delega, dal momento che lart. 44, 2 comma, sub lett. f) n. 1 della legge n. 69 del 2009, attribuendo al Governo il compito di riordinare la tutela cautelare, gli ha imposto di prevedere che la domanda di tutela interinale non pu essere trattata fino a quando il ricorrente non presenta istanza di fissazione di udienza per la trattazione del merito. (44) Il rilievo operato da R. BARBIERI, op. cit., 1466. 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 le parti possono, ai sensi dellart. 669 octies, commi 6 e 7, c.p.c., mantenere gli effetti dei provvedimenti durgenza emessi ai sensi dellart. 700 c.p.c. e degli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito (previsti dal codice civile o da leggi speciali) rinunciando ad iniziare la causa (nel caso di tutela ante causam) o rinunciando alla sua definizione in merito per estinzione. In sostanza, il provvedimento cautelare anticipatorio si rivela potenzialmente autosufficiente: ci significa che, nel processo civile, la cd. strumentalit strutturale della misura cautelare anticipatoria si presta ad essere superata o comunque attenuata (45). Ebbene, alla luce del peculiare regime delle misure cautelari anticipatorie, la dottrina processualcivilistica si posta il problema della sorte di dette misure nelle ipotesi in cui la causa di merito si concluda con una decisione in rito. Se, infatti, come si detto allinizio del presente scritto (46), rispetto alle misure cautelari a strumentalit classica la dottrina tradizionale tende ad interpretare estensivamente lart. 669 novies, comma 3, c.p.c., ritenendo che alla decisione che dichiari inesistente il diritto a cautela del quale la misura sia stata concessa possano essere assimilate anche le decisioni definitive di rito - ma non pi, ormai, come detto, la pronuncia che neghi la giurisdizione, almeno in caso di translatio iudicii, al pari di quanto gi previsto per la dichiarazione di incompetenza - rispetto alle misure a strumentalit attenuata, si tende invece ad operare un distinguo. Secondo la tesi prevalente assumerebbe infatti rilievo dirimente il tipo di vizio che abbia impedito la decisione nel merito. In sostanza, ove si tratti di vizio attinente specificamente alla causa di merito, la decisione in rito non sarebbe idonea a caducare la misura anticipatoria ( il caso, ad esempio, della nullit della citazione); al contrario, ove si tratti di impedimento o vizio processuale riferibile anche alla misura cautelare, questultima, sia pure anticipatoria, sarebbe destinata a venir meno (47). Pertanto, considerando la questione di giurisdizione, se vero che la carenza di questultima, nel sistema ante translatio iudicii, era certamente riconducibile alla seconda categoria di vizi, e pertanto considerata idonea a caducare (45) Sulla misure cautelari anticipatorie v. ampiamente A. CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997; L. QUERZOLA, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006. (46) V. supra, 2 ss. (47) B. SASSANI - R. TISCINI, La riforma dei procedimenti in materia di diritto societario, in Giust. civ., 2003, II, 63 ss.; G. BALENA (M. BOVE), Le riforme pi recenti del processo civile, Bari, 2005, 348 ss.; R. CAPONI, in AA.VV. Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, in Foro it., 2005, V, 137; M. COMASTRI, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. BRIGUGLIO e B. CAPPONI, Padova, 2007, I, 196; E. DALMOTTO, in AA.VV., Le recenti riforme del processo civile- Commentario, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, II, 1270; M.F. GHIRGA, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, 795; F.P. LUISO - B. SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 223; S. MENCHINI, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, I, 77. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 349 tali misure, nellattuale sistema la soluzione prospettabile nel senso della loro sopravvivenza, almeno in caso di translatio iudicii. Anche per tali misure vale infatti il principio secondo cui la valida e tempestiva riassunzione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente deve reputarsi di per s idonea a far salva lattivit processuale svolta dinanzi al primo giudice. Ci si potrebbe, tuttavia, spingere oltre. Infatti, secondo altro indirizzo interpretativo, la misura cautelare anticipatoria sarebbe sempre insensibile alla decisione in rito del giudizio di merito e continuerebbe in ogni caso a sopravvivere. Tale conclusione, si detto, sarebbe non solo maggiormente rispettosa della lettera dellart. 669 novies, comma 3 - che, in effetti, subordina espressamente linefficacia di ogni misura cautelare alla sola decisione di merito che dichiari inesistente il diritto - ma anche in sintonia con il sistema, nel quale spesso si risolvono i vizi processuali in cause di estinzione del processo, ossia proprio in una situazione che, per espressa previsione di legge, non comporta inefficacia della misura cautelare a strumentalit attenuata (48). Orbene, accogliendo questultima interpretazione potrebbe allora ipotizzarsi, per quanto qui interessa, che nemmeno la mancata tempestiva trasmigrazione del processo, dinanzi al giudice indicato come giurisdizionalmente competente, possa di per s travolgere siffatte misure. In altri termini, dal momento che tali misure si rivelano potenzialmente idonee a regolare in maniera stabile gli interessi per i quali chiesta tutela, non sembrerebbe azzardato ipotizzare che, negata la giurisdizione e non effettuata la riassunzione in termini, la consequenziale estinzione del processo non potrebbe determinare la caducazione della misura anticipatoria gi concessa. Questultimo indirizzo interpretativo si rivela senza alcun dubbio incompatibile con la norma posta dallart. 11, comma 7, c.p.a. In effetti, seguendo questa strada, risulterebbe irragionevole, su un piano logico ancor prima che giuridico, che in caso di declinatoria di giurisdizione venisse riconosciuta alle misure cautelari anticipatorie una ultrattivit temporalmente limitata, atteso che, cos ragionando, tali misure non perderebbero efficacia nemmeno nel caso in cui il processo di merito dovesse estinguersi per non essere stato tempestivamente riassunto. Ad ogni modo, se anche non ci si volesse spingere sino al punto di rico- (48) D. BORGHESI, Tutela cautelare e strumentalit attenuata: profili sistematici e ricadute pratiche, in Sulla riforma del processo civile Atti dellincontro di studio Ravenna 19 maggio 2006, Bologna, 2007, 89 ss.; S. DEMATTEIS, La riforma del processo cautelare, Milano, 2006, 145; A. SALETTI, Le misure cautelari a strumentalit attenuata, in Il processo cautelare4, a cura di G. TARZIA e A. SALETTI, Padova, 2011, 316 ss.; Secondo S. RECCHIONI, op. cit., 654 ss., la sopravvivenza delle misure anticipatorie alle sentenze processuali comporta una mutazione genetica di tali provvedimenti i quali, nati per definizione provvisori e modificabili, diverrebbero stabili e irrevocabili (salvo il mutamento di circostanze). In sostanza, il provvedimento cautelare si trasformerebbe in una anomala misura decisoria, abnorme rispetto alla sua genesi, con conseguente proponibilit del rimedio del ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 noscere che le misure cautelari a strumentalit attenuata continuino a conservare efficacia, nonostante la mancata tempestiva riassunzione del processo, ci che rileva, ai fini del nostro discorso, che simili problematiche non possono affatto porsi nel processo cautelare amministrativo. In questultimo non si hanno, infatti, misure cautelari a strumentalit attenuata: anzi, per quanto sopra detto, con il nuovo codice sembra essersi addirittura rafforzato il nesso di strumentalit strutturale tra provvedimento cautelare e decisione di merito. In definitiva, sembra scorgersi per linterprete limpossibilit di ricondurre ad unit i due sistemi di tutela cautelare e, di conseguenza, limpossibilit di attribuire al comma 7 dellart. 11 c.p.a. portata generale. Quanto appena detto sembra confermato, una volta di pi, dalla disciplina della tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo, della quale opportuno fornire brevi cenni. Come noto, una delle principali novit del codice del processo amministrativo sta nellaver consentito la concessione della tutela cautelare anche ante causam, ossia prima dellinstaurazione del processo di merito. Siffatta possibilit non era invece contemplata in passato, ed era emersa soltanto settorialmente nellart. 245 del Codice dei contratti pubblici (49). Tuttavia, lidea di fondo che emerge nel codice del processo amministrativo resta quella per cui la tutela cautelare, sebbene ante causam, sia comunque intimamente legata al giudizio di merito, nel senso che non si d tutela cautelare a prescindere dal processo dichiarativo in funzione del quale essa concessa, secondo una evidente logica di strettissima strumentalit (50). Non a caso, lart. 61, comma 5, c.p.a. stabilisce che il provvedimento di accoglimento di una istanza cautelare formulata ante causam perda efficacia se entro 15 giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi 5 giorni, corredato dallistanza di fissazione delludienza. Pertanto, il legislatore ha espressamente ancorato la tutela cautelare ante causam alla fissazione di un termine perentorio per introdurre la causa di merito, con la conseguenza che la tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo solo quella a strumentalit classica: il provvedimento, cio, perde effetto se non viene immediatamente instaurato il processo dichiarativo al servizio del quale esso concesso (51). (49) Sulla tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo e sulle problematiche che si ponevano nel sistema previgente cfr. G. RUFFINI, La tutela cautelare ante causam del giudice amministrativo tra lart. 700 c.p.c. e lart. 3 della legge n. 205/2000, in AA. VV., Le nuove frontiere del giudice amministrativo tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva, Milano, 2005, 113 ss. (50) Secondo M. BOVE, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in www.judicum.it, alla luce della disciplina della tutela cautelare ante causam prevista nel c.p.a., se ne dovrebbe anche ricavare, sia pure in assenza di unesplicita previsione normativa, che il provvedimento cautelare comunque concesso perda effetto pure qualora il processo di merito dovesse estinguersi. (51) In tal senso M. BOVE, op. cit. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 351 In aggiunta, sempre con riferimento alla tutela cautelare ante causam, si prevede che il provvedimento cautelare concesso ante causam possa in ogni caso avere effetti per soli 60 giorni, alla scadenza dei quali, se non stato confermato con ordinanza emanata in corso di causa, perde effetto (art. 61, comma 5, c.p.a.) Ancora una volta ci si imbatte, quindi, in una disposizione che rende inefficace una misura cautelare per il solo fatto che sia decorso un termine e senza che il beneficiario di tale misura possa fare alcunch per evitare la predetta caducazione (52). 6. La portata dellart. 11, comma 7, del D.Lgs. 2 luglio 2012, n. 104. Giunti a questo punto, si pu probabilmente tentare di rispondere allinterrogativo da cui si partiti. Sembrerebbe infatti possibile affermare che soltanto nellambito del processo amministrativo possa trovare la sua ragion dessere il comma 7 dellart. 11 c.p.a. Lultrattivit limitata della misura cautelare concessa dal giudice che abbia poi declinato la giurisdizione soluzione eccezionale che, per quanto sopra detto, si inserisce e trova coerente giustificazione esclusivamente nel contesto del processo cautelare amministrativo, il quale manifesta la tendenza a restringere la durata della regolazione interinale del rapporto affidata alla misura cautelare. Al contempo, essa sembra rivelarsi incompatibile con le tipiche caratteristiche del processo cautelare civile. Del resto, che il principio generale debba essere quello per cui la misura cautelare deve restare in vita sino a quando sia consentita la trasmigrazione del processo, sembra confermato anche dal pi volte richiamato comma 3 dellart. 669 novies c.p.c., a mente del quale il provvedimento cautelare perde efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, venga dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso. Tale norma, in un contesto processuale, come quello attuale, in cui espressamente ammessa la translatio iudicii tra giurisdizioni, potrebbe essere sottoposta ad una interpretazione, per cos dire, evolutiva. Ed infatti, dal momento che una pronuncia di difetto di giurisdizione, ove sia possibile la translatio iudicii, non contiene per definizione alcuna statuizione circa la spettanza del bene della vita, ne consegue che essa non pu mai reputarsi idonea a caducare tout court la misura cautelare concessa dal giudice a quo: la declaratoria di inesistenza del diritto, idonea a rendere inefficace la misura cautelare ex art. 669 novies, comma 3, c.p.c., soltanto quella che provenga dal giudice munito di potere giurisdizionale. Detto altrimenti, considerato che ormai le diverse giurisdizioni non costituiscono pi mondi separati ed incomunicabili, la stessa strumentalit delle misure cautelari deve essere colta con riferimento alla decisione di merito che (52) In verit, come nota M. BOVE, op. cit., non si vede perch linteressato dovrebbe perdere i vantaggi della tutela cautelare magari per situazioni che non dipendono da lui. 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 verr pronunciata dal giudice che risulter munito di potestas iudicandi, ossia dallunico giudice titolare del potere di dichiarare esistente o inesistente il diritto. Ne deriva che, almeno sino a quando non siano ancora scaduti i termini per attuare la trasmigrazione del processo dinanzi allorgano giurisdizionale deputato a statuire nel merito, la misura cautelare deve necessariamente restare in piedi, con lunica eccezione, normativamente prevista, per le misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, per la quali vige appunto un eccezionale regime di ultrattivit limitata. In definitiva, tirando le fila di tutto quanto detto, se, come sembra, loperativit dellart. 11, comma 7, c.p.a. deve essere circoscritta alle sole misure cautelari concesse dal giudice amministrativo, le soluzioni prospettate dalla dottrina processualcivilistica nellimmediatezza dellintroduzione del meccanismo della translatio iudicii tra giurisdizioni possono, ancora oggi, essere tenute ferme. Ne consegue che, dichiarato il difetto di giurisdizione, le misure cautelari previamente concesse da qualsivoglia giudice - ad eccezione di quelle emanate dal giudice amministrativo - saranno salvate alla sola condizione che il processo sia stato tempestivamente trasferito dinanzi al giudice munito di giurisdizione. 7. Spunti problematici conclusivi. Circoscritta, nei termini appena esposti, la portata della norma de qua, non ci si pu esimere dal notare che essa, con ogni probabilit, sar comunque destinata a far sorgere rilevanti problemi applicativi. In primo luogo, sembra lecito dubitare della congruit del termine di trenta giorni (53), soprattutto se si considera che esso decorre dalla pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione. In effetti, potrebbe accadere che la parte non abbia avuto tempestiva conoscenza di tale circostanza. Oppure, considerati i fisiologici ritardi nelle comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie, assai di rado la parte interessata potr venire a conoscenza della pubblicazione il giorno stesso in cui questa stata effettuata (54). Per tali ragioni si da pi parti ritenuto che sarebbe stato di gran lunga preferibile far decorrere il dies a quo dalla comunicazione della declinatoria (55). Del resto, il termine di trenta giorni non pu non rivelarsi angusto se solo si consideri che entro il suddetto termine la parte interessata non dovr limitarsi a chiedere la misura cautelare al secondo giudice, ma soprattutto dovr ottenere detta misura. Ci significa che, di fatto, il termine di trenta giorni costituisce anche il termine finale entro il quale il giudice ad quem dovr provvedere sullistanza cautelare riproposta. Ne consegue che, al fine di ga- (53) C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit., 769. (54) M. SICA, op. cit., sub art. 11, 248; S. MENCHINI, Eccezione di giurisdizione, cit., 227; R. BARBIERI, op. cit., 1469. (55) M. SICA, op. cit., sub art. 11, 248; R. BARBIERI, op. cit., 1470. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 353 rantire la continuit della tutela cautelare, sar necessario che la decisione del giudice ad quem intervenga sempre prima della scadenza del termine di ultrattivit dellefficacia della misura cautelare. Resta da fare unultima considerazione. Se vero che il processo cautelare amministrativo sembra mostrare una sua coerenza interna, e se vero che norme come quella di cui allart. 11, comma 7, c.p.a. possono essere ragionevolmente giustificate soltanto se si considera il contesto processuale nel quale sono destinate ad operare, non sfugge allinterprete la possibilit di ipotizzare, a monte, un pi generale problema di legittimit costituzionale di una previsione normativa cos congegnata. Ed in effetti, in dottrina si paventato il rischio che la stessa sanzione dellinefficacia della misura cautelare, per il solo ed inevitabile fatto che sia decorso un termine, e senza che il beneficiario di detta misura possa fare alcunch per evitare la predetta inefficacia, possa essere in contrasto con il principio di effettivit della tutela giurisdizionale (56). In sostanza, il fatto che lultrattivit della misura cautelare sia temporalmente limitata potrebbe far sorgere dubbi di legittimit costituzionale, anche e soprattutto se si considera una recente pronuncia della Corte Costituzionale (57). Il Giudice delle Leggi, sia pure con riferimento ad una peculiare fattispecie (58), ha chiarito che qualora linefficacia di un provvedimento cautelare costituisca un effetto legale che consegue al mero decorso del tempo, prescindendo da ogni verifica sulla persistenza (o magari laggravamento) delle circostanze che avevano condotto al provvedimento, si produrrebbe un evidente vulnus alla effettivit della tutela giurisdizionale e, quindi, al fondamentale diritto di difesa garantito dallart. 24, secondo comma, Cost. in ogni stato e grado del procedimento. Ebbene, non vՏ dubbio che, qualora volesse ricavarsi da tale pronuncia un principio generale (59), in forza del quale la misura cautelare, nel nostro or- (56) R. BARBIERI, op. cit., 1471. (57) Corte Cost., 23 luglio 2010, n. 281, che ha dichiarato lillegittimit costituzionale dellart. 1, comma, 3 del d.l., 8 aprile 2008, n. 59 (Disposizioni urgenti per lattuazione di obblighi comunitari e lesecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle comunit europee), convertito, con modificazioni dalla l., 6 giugno 2008, n. 101. (58) La questione esaminata dalla Corte Costituzionale concerneva la legittimit costituzionale di una sospensione a tempo della efficacia esecutiva di una cartella di pagamento. (59) Invero, siffatta possibilit non appare azzardata atteso che la stessa Corte Costituzionale, nella pronuncia richiamata, sembrerebbe spingersi oltre le peculiarit del caso sottoposto al suo giudizio e voler quasi trarre un principio generale. Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza n. 281 del 2010 che: La detta sospensione, come le altre misure cautelari a contenuto anticipatorio o conservativo, ha funzione strumentale alleffettivit della stessa tutela giurisdizionale, sicch il vulnus prodotto dalla sua efficacia contenuta nei ristretti termini sopra indicati incide inevitabilmente sulla detta effettivit e, quindi, sul diritto fondamentale garantito dallart. 24, secondo comma, Cost. in ogni stato e grado del procedimento. Infatti, se fuor di dubbio che il legislatore gode di ampia discrezionalit nella conformazione degli istituti processuali (giurisprudenza costante di questa Corte), pur vero che il diritto di 354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 dinamento, non pu perdere efficacia per il solo ed inevitabile fatto del decorso di un termine, ossia senza che vi sia stata alcuna negligenza da parte del soggetto a cui favore la misura sia stata concessa ovvero senza che sia stato attribuito al giudice il potere di valutare la sussistenza e la permanenza dei presupposti di concedibilit della stessa misura, dovrebbe probabilmente mettersi in discussione la stessa legittimit costituzionale dellart. 11, comma 7, c.p.a. Anzi, a ben vedere, seguendo questa strada e spingendosi oltre, risulterebbero non conformi a Costituzione tutte quelle norme contenute nel codice del processo amministrativo che postulano linefficacia della misura cautelare esclusivamente a fronte della mera decorrenza di un termine. Ci si vuole cio riferire a quei casi in cui linefficacia della misura cautelare prevista non come sanzione per il mancato compimento, da parte del beneficiario della stessa, di una certa attivit processuale da effettuarsi entro un dato termine, bens quale automatica ed inevitabile conseguenza derivante tout court dalla scadenza di un termine di efficacia aprioristicamente fissato dal legislatore ( questo, ad esempio, il caso - oltre che dellart. 11, comma 7, c.p.a. - anche dellart. 61, comma 5, c.p.a. in materia di tutela cautelare ante causam). Il tema, cui si appena accennato, involge inevitabilmente questioni di carattere pi generale circa la funzione e lessenza stessa della tutela cautelare ed esula, pertanto, dagli obiettivi del presente scritto. In attesa che la giurisprudenza si misuri con tali problematiche, resta comunque lauspicio che la stessa non esiti a riconoscere, nel trasferimento del processo da un plesso giurisdizionale ad un altro - e con la sola eccezione prevista ex lege per le misure cautelari concesse dal giudice amministrativo - la piena continuit della tutela cautelare accordata. difesa, al pari di ogni altro diritto garantito dalla Costituzione, deve essere regolato dalla legge ordinaria in modo da assicurarne il carattere effettivo. Pertanto, qualora per lesercizio di esso, anche e tanto pi sotto il profilo della tutela cautelare, siano stabiliti termini cos ristretti da non realizzare tale risultato, il precetto costituzionale violato. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 355 Gli accordi in materia ambientale Serena Oggianu* SOMMARIO: 1. Gli accordi in materia ambientale nel diritto europeo. 1.1. La Comunicazione della Commissione del 1996. 1.2. La Comunicazione della Commissione del 2002. 2. Gli accordi in materia ambientale nel diritto nazionale. 2.1. Gli accordi ambientali: struttura e funzione. 2.2. Gli accordi ambientali nellambito dei procedimenti dichiarativi ed autorizzatori. 2.3. Gli accordi ambientali nei singoli settori. 1. Gli accordi in materia ambientale nel diritto europeo. 1.1. La Comunicazione della Commissione del 1996. A partire dalla redazione del Quinto programma dazione a favore dellambiente del 1992 (COM(92)23 del 4 aprile 1992, punto 31) (1) la Comunit europea (ora Unione europea) ha espresso il proprio favor verso gli accordi ambientali nella prospettiva di un rafforzamento della tutela dellambiente e della integrazione della normativa di settore con gli strumenti che realizzano il mercato comune (2). In particolare con la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento sugli accordi in materia di ambiente (Com (96)561 del 27 novembre 1996), fondata sul principio della condivisione delle responsabilit (shared responsibility), questi atti consensuali, definiti come accordi tra lindustria e le amministrazioni pubbliche per il perseguimento di obiettivi ambientali, vengono considerati altres come strumenti di attuazione della politica ambientale comunitaria ed al contempo come fattori che favoriscono la deregolamentazione e la riduzione delle interferenze burocratiche, consentendo un intervento pi efficace dellindustria gi in un momento antecedente alladozione di una legislazione puntuale. Conseguentemente in questa prospettiva gli operatori economici sono chiamati ad assumere un ruolo proattivo nella tutela ambientale e non vengono pi considerati solamente come fonte di danno. (*) Ricercatrice di diritto amministrativo, Universit di Roma Tor Vergata, Facolt di giurisprudenza. Assistente di studio, Giudice costituzionale dott. Aldo Carosi. Il presente scritto in corso di pubblicazione anche nel Trattato di diritto dellambiente diretto da P. DELLANNO e E. PICOZZA, II, Padova Cedam. (1) Il Quinto programma dazione suggerisce una linea di collaborazione con lindustria, rilevando che le misure ambientali prese in precedenza in questo settore erano di natura prescrittiva e seguivano lapproccio non si deve. La nuova strategia si basa invece su un approccio del tipo agiamo insieme e rispecchia la nuova consapevolezza del mondo industriale e produttivo che lindustria non costituisce solo una parte importante del problema ambientale, ma che anche parte della sua soluzione. La nuova strategia presuppone in particolare un rafforzamento del dialogo con il settore industriale e lincoraggiamento a concludere accordi su base volontaria o ad adottare altre forme di autoregolamentazione. (2) Si parlato a proposito di sussidiariet normativa, sulla quale N. LUGARESI, Diritto dellambiente, III ed., Padova, Cedam, 2008, p. 144. 356 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Le finalit che la Comunicazione si propone sono: sviluppare gli orientamenti di unapplicazione efficace degli accordi; definire le condizioni di applicazione degli accordi ai fini dellattuazione di alcune disposizioni delle direttive comunitarie; verificare le modalit di attuazione degli accordi ambientali a livello comunitario. Perch questi strumenti consensuali siano efficaci necessario, a giudizio della Commissione, che fissino obiettivi quantificati, abbiano un approccio per fasi con obiettivi intermedi, siano pubblicati e siano oggetto di monitoraggio e di relazioni sui risultati. Inoltre vengono indicate talune condizioni che favoriscono il successo degli accordi: ai negoziati devono partecipare un numero limitato di soggetti; occorre che siano fissati obiettivi, che coprano in modo sufficientemente ampio il settore a cui si riferiscono; le autorit pubbliche devono chiarire la loro posizione per ci che concerne le finalit perseguite; necessario che si realizzi la sensibilizzazione dellopinione pubblica e che si tenga conto del comportamento dei consumatori. Dal punto di vista del contenuto, gli accordi ambientali devono indicare esattamente chi sono le parti e deve essere specificato il tema sul quale le stesse esprimono il loro consenso; gli obiettivi devono tradursi in puntuali obblighi e per maggiore chiarezza latto deve contenere la definizione dei termini principali; deve essere specificata la durata del vincolo e deve essere possibile apportarvi delle modifiche, che consentano di tenere conto del progresso tecnico o delle mutate condizioni di mercato; dovrebbe essere prevista la possibilit per i terzi di aderirvi (per evitare il fenomeno dei c.d. free rider), nonch la facolt di cessazione unilaterale in caso di mancato adempimento dellaccordo. Pi in generale deve essere definito il regime di diritto pubblico ovvero di diritto privato, cui soggiace latto per stabilire le leggi applicabili, il tipo di responsabilit e la giurisdizione competente in materia. La Commissione, inoltre, si preoccupa di ribadire che sebbene gli obiettivi ambientali possono, ai sensi dellart. 85 TCE (ora art. 105 TFUE), fondare delle restrizioni alla concorrenza, le stesse verranno valutate secondo il principio di proporzionalit, esclusa in ogni caso la possibilit che creino ostacoli al buon funzionamento del mercato unico. In maniera analoga si prevede che le ragioni ambientali possano consentire deroghe al generale divieto di aiuti di Stato nei casi in cui ci sia possibile secondo gli orientamenti offerti dalla stessa Commissione (3). Da ultimo nella Comunicazione si conferma che in materia di accordi ambientali essenziale garantire il rispetto delle norme dellOrganizzazione mondiale del commercio (OMC) in materia di libera circolazione delle merci e di ostacoli tecnici agli scambi. (3) Il riferimento alla Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dellambiente pubblicata in GU C n. 72 del 10 marzo 1994. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 357 Con la Raccomandazione del 9 dicembre 1996 la Commissione ha fornito orientamenti per luso di accordi tra le autorit pubbliche e i settori economici interessati. In particolare vengono definiti i requisiti ed il contenuto necessario di tali atti, che dovrebbero: assumere la forma di un contratto, il cui rispetto sia garantito dal diritto civile o da quello pubblico; specificare le finalit perseguite, nonch quantificare ed indicare obiettivi intermedi con le relative scadenze; essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale o sottoforma di documento ufficiale ugualmente accessibile al pubblico; prevedere il controllo dei risultati conseguiti, periodiche relazioni alle autorit competenti ed unadeguata informazione del pubblico; essere aperti a tutti i partner che intendono conformarsi alle condizioni dellaccordo. A tali prescrizioni si affianca un contenuto eventuale, la cui inserzione nellassetto negoziale rimessa alla scelta delle parti, ove lo ritengano opportuno. In particolare a tale proposito gli accordi dovrebbero: prevedere un comitato o un organismo indipendente che presieda alla raccolta, alla valutazione o alla verifica dei risultati conseguiti; prescrivere alle imprese e ai partecipanti di rendere disponibili ai terzi le informazioni sulla loro attuazione secondo le condizioni dellaccesso allinformazione in materia ambientale, dettate nella dir. 90/313/Cee del Consiglio del 7 giugno 1990; prevedere sanzioni dissuasive quali sanzioni pecuniarie amministrative, penalit convenzionali o il ritiro delle autorizzazioni in caso di inadempimento. Inoltre la Commissione chiarisce che quando gli accordi sono utilizzati come strumenti di attuazione delle direttive comunitarie, dovrebbero esserle notificati assieme a tutte le informazioni pertinenti e contemporaneamente alle altre misure nazionali adottate per attuare la direttiva, in modo da consentire una verifica della loro efficacia in quanto mezzo di recepimento. Proprio questultimo profilo posto in evidenza nella successiva risoluzione del Consiglio del 7 ottobre 1997 sugli accordi in materia ambientale. In questo documento, infatti, pi volte si esorta la Commissione a precisare entro quali limiti e nel rispetto di quali condizioni e modalit lo strumento convenzionale pu assicurare un adeguato recepimento degli obblighi imposti agli Stati membri mediante direttive. Da parte sua il Comitato economico e sociale con un parere del 27 febbraio 1997 (97/C 287/01) ha indicato una serie di criticit in materia di accordi ambientali alla luce di quanto affermato nella Comunicazione della Commissione. Innanzitutto si rileva che nella prassi degli Stati membri tali atti convenzionali non sono stati strumenti di deregolamentazione, quanto piuttosto di applicazione della disciplina ambientale; inoltre occorre tenere conto anche dellimportanza di accordi e dichiarazioni non vincolanti per legge (c.d. codici di comportamento), importanti nella prassi ed utili per lelaborazione di una misura legislativa o di un provvedimento amministrativo di attuazione. Inoltre il Comitato precisa che la migliore premessa per la riuscita di un accordo ambientale durevole data dalla presenza di vantaggi e quindi di diritti 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 e di doveri ripartiti tra le parti in modo equilibrato. Peraltro in una dimensione pi ampia, gli accordi devono essere inseriti nella politica comunitaria in materia di ambiente, in particolare osservandone gli obiettivi: elevato livello di tutela; precauzione e azione preventiva; principio chi inquina paga. Difatti le finalit e i valori limite dellintervento comunitario non possono essere oggetto di accordi ambientali, poich la politica ambientale un compito pubblico e gli strumenti consensuali non possono n devono condurre ad una sua privatizzazione. Quanto al contenuto degli accordi non pu mai consistere nella rinuncia da parte dellautorit contraente alladozione di un atto legislativo. Sotto il profilo della legittimazione, il Comitato rileva che bench i negoziati a livello settoriale possano essere condotti dalle associazioni, successivamente tali accordi richiedono anche lassenso di ogni singola impresa. Quanto alla dimensione degli accordi ambientali, nel parere si rileva che la Commissione non ha preso in considerazione il livello comunitario. In particolare il Comitato, pur condividendo questa impostazione, afferma che accordi globali su problemi globali potranno essere conclusi con associazioni europee con il coinvolgimento delle istituzioni comunitarie a cui spetta lattivit legislativa. In tali ipotesi verranno assunti impegni volontari ovvero potranno essere realizzati risultati di trattative prodromici alla preparazione di una misura legislativa o a convenzioni di diritto internazionale. 1.2. La Comunicazione della Commissione del 2002. Il 5 giugno 2002 la Commissione europea ha adottato il piano dazione Semplificare e migliorare la regolamentazione (COM(2002) 278 def.), nel quale ha sottolineato la possibilit di un corretto utilizzo di misure alternative alla legislazione senza che si verifichino interferenze con quanto previsto nel trattato e con le prerogative proprie del legislatore. In particolare si previsto il ricorso alla coregolamentazione, alla autoregolamentazione, agli accordi volontari settoriali, al metodo aperto di coordinamento, agli interventi finanziari, alle campagne di informazione. In questo contesto si inserisce la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni del 17 luglio 2002 (COM(2002) 412 def.), con la quale si supera lapproccio circoscritto a livello nazionale della precedente Comunicazione per riguardare gli accordi ambientali prioritariamente a livello comunitario. In tal modo si cercato di affrontare e risolvere le criticit gi rilevate dalle altre istituzioni comunitarie. Sulla base dellespresso riconoscimento che lambiente costituisce un settore strategico caratterizzato da unesperienza recente nel campo dellautoregolamentazione e degli accordi volontari settoriali con questo atto del 2002 la Commissione mira a concretizzare lobiettivo, stabilito nellambito del sesto programma dazione per lambiente (COM(2001) 31 def. del 24 gennaio CONTRIBUTI DI DOTTRINA 359 2001), di realizzare miglioramenti ambientali in modo pi efficace e rapido. Difatti riconosce che gli accordi ambientali possono produrre importanti benefici qualitativi quali lo sviluppo del consenso sociale, un pi ampio scambio di informazioni, la sensibilizzazione delle imprese ed il miglioramento dellecogestione ambientale. Innanzitutto si riconosce che gli accordi ambientali possono avere differenti origini. Infatti pu trattarsi di decisioni spontanee prese dalle parti (spesso associazioni di categoria) nei pi diversi ambiti di intervento e senza che la Commissione abbia proposto provvedimenti legislativi, n abbia intenzione di legiferare; in tal caso questultima incoraggia le parti interessate ad adottare una strategia di anticipazione nellelaborazione di detti accordi. In secondo luogo la loro stipulazione pu scaturire dallintenzione espressa dalla Commissione di intervenire normativamente in un determinato settore. Infine possono essere avviati dalla Commissione stessa. Inoltre nella Comunicazione, dal punto di vista definitorio, si precisa che agli accordi ambientali sul piano comunitario sono accordi in cui i soggetti interessati si impegnano ad ottenere una riduzione dei livelli di inquinamento (4), come sanciti dal diritto ambientale, ovvero obiettivi di carattere ambientale di cui allart. 174 TCE (ora art. 191 TFUE). Per altro verso questi accordi devono essere tenuti distinti da quelli sottoscritti dagli Stati membri come misura attuativa nazionale di una direttiva comunitaria. La Commissione non partecipa alla negoziazione di questi atti negoziali, che nondimeno possono essere riconosciuti dalla stessa grazie ad uno scambio di lettere, una sua raccomandazione, anche accompagnata dalla decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante il controllo ovvero ancora nellambito della coregolamentazione stabilita dai legislatori comunitari. Proprio con la Comunicazione del 2002 la Commissione chiarisce la distinzione tra gli accordi ambientali come pratiche di autoregolamentazione, in quanto non hanno nessun effetto vincolante a livello comunitario, ovvero come strumenti di coregolamentazione. Nel primo caso sono generalmente le parti interessate a prendere spontaneamente liniziativa per regolare ed organizzare la loro attivit al fine di raggiungere gli obiettivi definiti nel Trattato. La Commissione pu ritenere preferibile non fare proposte legislative, ma limitarsi a stimolare o incoraggiare questi atti di autoregolamentazione mediante raccomandazioni ovvero rico- (4) In particolare la Commissione ricorda che successivamente alla Comunicazione del 1996 sono stati gi stipulati taluni accordi comunitari in materia ambientale tra le associazioni di produttori di automobili europea, giapponese e coreana sulla riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture. Tali accordi hanno trovato peraltro riconoscimento in alcune raccomandazioni della Commissione (1999/125/CE, 2000/303/CE e 2000/304/CE) e sono stati integrati dalla decisione del Parlamento europeo e del Consiglio (n. 1753/2000/CE del 22 giugno 2000), che istituisce un sistema di controllo della media delle emissioni specifiche di CO2 prodotte dalle autovetture nuove. 360 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 noscerli mediante uno scambio di lettere, senza che questo implichi la rinuncia al proprio potere di iniziativa. Gli accordi ambientali possono essere conclusi in maniera pi formale e vincolante nel contesto della regolamentazione, consentendo cos alle parti interessate di attuare un atto legislativo comunitario specifico. Nellambito della c.d. coregolamentazione il legislatore stabilisce gli aspetti essenziali dellatto: gli obiettivi da perseguire, modalit e tempi di attuazione, metodi di controllo aventi ad oggetto lapplicazione dellatto e le eventuali sanzioni necessarie per garantire la certezza del diritto dellatto stesso. Generalmente la Commissione prende liniziativa ovvero risponde ad unazione volontaria da parte del settore industriale. Nellambito del sistema della coregolamentazione, che coniuga i vantaggi degli atti consensuali alle garanzie legali dellapproccio legislativo, la Commissione assume dunque un ruolo centrale. Inoltre, questultima, ove gli accordi non producano i risultati previsti, pu sempre presentare una proposta legislativa tradizionale. Sia nellambito dellautoregolamentazione che della coregolamentazione i criteri di valutazione degli accordi ambientali, che devono essere osservati sono: efficacia rispetto ai costi di amministrazione, rappresentativit delle parti interessate, obiettivi quantificati e scaglionati, coinvolgimento della societ civile, attivit di controllo e di notifica, sostenibilit, compatibilit degli incentivi. Differenti sono invece gli obblighi procedurali: nel caso della autoregoalmentazione dovranno essere osservati soprattutto gli obblighi di trasparenza e di pubblicit da parte della Commissione, che debba decidere se procedere al riconoscimento dellaccordo ambientale e verificare il conseguimento degli obiettivi, anche al fine di esercitare il proprio diritto di iniziativa e proporre eventualmente il provvedimento vincolante; nelle ipotesi di coregolamentazione dovr procedersi inoltre, nella fase preparatoria, alla consultazione delle parti interessate e dovranno essere integrati nellatto giuridico stesso alcuni elementi chiave, come lobiettivo ambientale, i requisiti in materia di controllo, nonch un meccanismo di follow up nel caso di esito negativo dellaccordo ambientale. Anche in questultimo caso rimane fermo il diritto di iniziativa della Commissione, potendo questa proporre un atto legislativo vincolante se laccordo non raggiunge i risultati previsti. Da ultimo nella Comunicazione del 2002 la Commissione si preoccupa di riaffermare esplicitamente che gli accordi ambientali, non previsti da nessuna disposizione del trattato, devono osservare linsieme delle norme poste da questo relativamente al mercato interno della concorrenza, ivi compresi gli orientamenti riguardanti gli aiuti di Stato a favore dellambiente, nonch gli impegni internazionali della Comunit anche in materia commerciale (5). Si noti che rispetto alla precedente Comunicazione in via generale la prospettiva assunta dalla Commissione complementare a quanto gi precedentemente affermato. Difatti mentre nella prima occasione lattenzione stata CONTRIBUTI DI DOTTRINA 361 posta sui profili strutturali e contenutistici, soprattutto nella dimensione degli Stati membri, nellultimo intervento si inteso chiarire ulteriormente la funzioni svolta dagli accordi in materia ambientale e specialmente il loro ruolo di integrazione rispetto allordinaria funzione legislativa nellambito dellordinamento comunitario. 2. Gli accordi in materia ambientale nel diritto nazionale. 2.1. Gli accordi ambientali: struttura e funzione. Lattenzione crescente manifestata in ambito comunitario nei confronti degli accordi (6) come strumenti capaci di integrare ed implementare gli obiettivi della politica ambientale ha comportato in ambito nazionale ladozione di una normativa di settore imperniata sulla semplificazione, sulla flessibilit e sulla maggiore cooperazione tra soggetti pubblici ed industria. Se infatti, in via generale, con la l. n. 59 del 1997 e il d.lgs. n. 112 del 1998 trova applicazione il principio di sussidiariet verticale nel riparto di competenze amministrative tra Stato e Regioni ed enti locali, inizia altres ad imporsi la necessit di un ripensamento del rapporto tra istituzioni e collettivit civile nella prospettiva di un ridimensionamento della sfera pubblica, in applicazione del principio di sussidiariet orizzontale. Sotto questo profilo proprio la materia ambientale si presta pi di altre a realizzare forme di partenariato pubblicoprivato mediante lo strumento dellaccordo volontario a fronte delle sollecitazioni provenienti dal diritto comunitario. Sono difatti immediatamente successivi alla Comunicazione della Commissione del 1996 il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. Decreto Ronchi), che allart. 4 prevede che nellambito del riciclaggio dei rifiuti le autorit competenti debbano promuovere la stipulazione di accordi con i soggetti economici interessati; nonch il d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (Testo unico delle acque), che disciplina allart. 28 luso degli strumenti volontari per la riduzione dellinqui- (5) La Commissione nella Comunicazione del 2002 richiama la necessit di rispettare gli impegni assunti dalla Comunit con la firma della Convenzione di Arhus del 25 giugno 1998 sullaccesso allinformazione, sulla partecipazione allattivit decisoria e sullaccesso alla giustizia in materia ambientale, nonch di verificare la piena conformit di ogni accordo ambientale con le regole dellOrganizzazione mondiale del commercio. (6) In generale sullistituto G. GRECO, Accordi amministrativi: tra provvedimento e contratto, Torino, Giappichelli, 2003; R. MOREA, Gli accordi amministrativi tra norme di diritto privato e principi italo-comunitari, Napoli, Esi, 2008; S. PENSABENE LIONTI, Gli accordi con la pubblica amministrazione nellesperienza del diritto vivente, Torino, Giappichelli, 2007; P. GRAUSO, Gli accordi della pubblica amministrazione con i privati, Milano, Giuffr, 2007; R. PROIETTI, Partecipazione e accordi nel procedimento amministrativo: aspetti sostanziali, problemi applicativi, tutela e prospettive di riforma, Milano, Giuffr, 2004; V. MENGOLI, Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni, Milano, Giuffr, 2003; F. TIGANO, Gli accordi procedimentali, Torino, Giappichelli, 2002; C. MAVIGLIA, Accordi con lamministrazione pubblica e disciplina del rapporto, Milano, Giuffr, 2002; R. DAMONTE, Atti, accordi e convenzioni nella giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2002; G. MANFREDI, Accordi e azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2001. 362 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 namento idrico e del consumo di acqua. La normativa contenuta in queste fonti ora confluita nel Codice dellambiente (d.lgs. n. 152 del 2006) allinterno del quale laccordo continua a manifestare una significativa duttilit di forme e di contenuti in linea con le pregresse esperienze comunitarie e nazionali. Per queste ragioni gli accordi in materia ambientale si caratterizzano per un accentuato polimorfismo, tanto che, nonostante il loro carattere pubblicistico e intrinsecamente autoritativo (7), talora sono riconducibili a modelli ben definiti nella legislazione nazionale, talaltra presentano elementi di apprezzabile atipicit. Quanto agli istituti che in via generale rientrano nel novero degli accordi stipulati dalla pubblica amministrazione, occorre certamente richiamare la disciplina dettata allart. 11 della l. n. 241 del 1990, che prevede i c.d. accordi tra pubblica amministrazione e privati integrativi o sostitutivi di provvedimento, nonch il successivo art. 15, che regola gli accordi tra pubbliche amministrazioni. Costituisce unipotesi specifica allinterno di questultima categoria quella dettata allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, che ha ad oggetto i c.d. accordi di programma. Per altro verso gli interventi che coinvolgono una molteplicit di soggetti pubblici e privati implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome, nonch degli enti locali e possono essere regolati sulla base degli accordi definiti allart. 2, comma 203 della l. 23 dicembre 1996, n. 662: programmazione negoziata, intesa istituzionale di programma, accordo di programma quadro, patto territoriale, contratto di programma, contratto di area. Dal punto di vista strutturale tali atti consensuali hanno una dimensione prevalentemente verticale, dal momento che nella maggior parte dei casi si prevede che possano essere stipulati tra soggetti pubblici e soggetti privati. Questi ultimi vi possono partecipare come singoli, ma anche in forma associata. Raramente la normativa dispone che laccordo sia stipulato solo tra soggetti pubblici, in una proiezione per cos dire orizzontale. Tale elemento soggettivo si riflette sulla delimitazione delloggetto dellaccordo ambientale. Difatti la partecipazione dei privati introduce nellassetto realizzato mediante lo strumento convenzionale interessi ulteriori a quello pubblico, per lo pi di natura economica. Ne consegue che questi accordi sono riconducibili alla figura generale del partenariato pubblico privato di tipo contrattuale, poich consentono di integrare gli obiettivi di tutela propri della politica ambientale con le strategie e i sistemi di gestione delle imprese. Tali moduli operativi ot- (7) Si veda in tal senso quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella celeberrima sent. 5 luglio 2004, n. 204: La materia dei pubblici servizi pu essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facolt, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facolt (la quale, tuttavia, presuppone lesistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990) (cons. dir., pnt. 3.4.2.). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 363 tengono una significativa preferenza rispetto alla istituzione di soggetti terzi a partecipazione mista, soprattutto poich le esigenze ambientali mutano rapidamente nel tempo e nello spazio. Si tratta di strumenti in larga parte volontari e dunque facoltativi, sebbene - come si avr modo di segnalare infra - non manchino ipotesi in cui il legislatore nazionale ne ha previsto lobbligatoriet, in termini di previo esperimento del tentativo di concludere laccordo, quale presupposto giuridico per lesercizio dellattivit autoritativa da parte della pubblica amministrazione; ovvero predisponendo delle misure per il superamento del mancato incontro del consenso delle parti. Dal punto di vista funzionale, deve rilevarsi che gli accordi talora sono meramente procedimentali e hanno la finalit di semplificare la procedura, talatra vengono utilizzati quali strumenti di governo, pianificazione e programma. Inoltre, ove previsto da puntuali disposizioni di legge, possono assumere una funzione derogatoria rispetto alla normativa che sarebbe altrimenti applicabile, con il contro limite del necessario rispetto della disciplina comunitaria. Proprio questultima possibilit conferisce ad alcuni accordi ambientali un forte connotato di atipicit rispetto ai modelli indicati nelle leggi generali sopra richiamate. Da ultimo occorre rilevare che la funzione di tutela ambientale che connaturata a tutti gli accordi tra soggetti pubblici e soggetti privati in questa materia comporta che la definizione dellassetto di interessi e la sua realizzazione sia oggetto di interesse da parte della collettivit. Di conseguenza la procedura di formazione e lattivit di esecuzione di quanto pattuito devono svolgersi con la massima trasparenza al fine di unadeguata informazione degli stakeholders e del pubblico in generale. In alcuni casi laccordo diviene addirittura lo strumento per mezzo del quale viene disciplinata lattivit di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati in materia ambientale. 2.2. Gli accordi ambientali nellambito dei procedimenti dichiarativi ed autorizzatori. Il modello degli accordi ambientali previsto dalle norme procedurali generali relative ai procedimenti di valutazione ambientale strategica (VAS), valutazione di impatto ambientale (VIA) e autorizzazione integrata ambientale (AIA), di cui alla Parte seconda del Codice dellambiente. In particolare occorre richiamare la disciplina dettata dallart. 9 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo risultante dalle modifiche apportate dallart. 1, comma 3 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dallart. 2 comma 7 del d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128. Rispetto alla sua originaria formulazione, lattuale art. 9, al comma 1, prevede una piena integrazione tra la disciplina dettata in materia di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 ss.mm.ii. e le procedure di verifica e autorizza- 364 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 zione disciplinate dal Codice dellambiente, sia pure nei limiti della clausola di compatibilit. Tale previsione avrebbe potuto, in s considerata, essere sufficiente per consentire lapplicazione di tutti gli istituti regolati nella l. n. 241 del 1990 ai procedimenti dichiarativi ed autorizzatori di cui alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006. Nondimeno il legislatore ha inteso porre espressamente delle disposizioni quanto alla conferenza di servizi ed agli accordi, rispettivamente ai commi 2 e 3 dellart. 9. Mentre lesperibilit della conferenza di servizi istruttoria ivi prevista non sembra aggiungere nulla di significativo a quanto gi si sarebbe potuto ricavare dalla previsione generale di cui al comma 1, ad una diversa conclusione sembra doversi giungere proprio con riferimento agli accordi. In particolare, ai fini del discorso che si va svolgendo, lart. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 per un verso conferma la piena inserzione dellistituto nellambito delle procedure ivi disciplinate, anche sotto il profilo temporale (nel rispetto dei tempi minimi definiti per la consultazione del pubblico), dallaltro aggiunge elementi strutturali e funzionali ulteriori rispetto al modello degli accordi fra privati e pubbliche amministrazioni di cui allart. 11 della l. n. 241 del 1990 e fra pubbliche amministrazioni di cui al successivo art. 15. Difatti rispetto allart. 11 il fine perseguito con lo strumento convenzionale non quello di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, n di sostituirsi a questo, bens quello di disciplinare lo svolgimento delle attivit di interesse comune ai fini della semplificazione e della maggiore efficacia dei procedimenti. Per altro verso gli accordi previsti allart. 9, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 non sembrano corrispondere pienamente neppure al modello di cui allart. 15 della l. n. 241/1990, nonostante la coincidenza delloggetto consistente nella disciplina dello svolgimento delle attivit di interesse comune. In particolare, sotto il profilo strutturale, possono essere conclusi non solamente tra soggetti pubblici, ma anche tra pubbliche amministrazioni ed il soggetto proponente, che ai sensi del precedente art. 5 pu anche essere il privato che elabora il piano, programma o progetto soggetto alle disposizioni del presente codice (comma 1, let. r). Quanto alla funzione dellistituto, invece, in luogo della sola semplificazione cui si ispira la disciplina dettata dallart. 15 della l. n. 241 del 1990, lart. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 indica anche il fine della maggiore efficacia dei procedimenti, secondo la prospettiva propria della c.d. amministrazione di risultato. Ci in linea con quanto sopra rilevato circa gli orientamenti delle istituzioni comunitarie, in specie della Commissione, in ordine allo strumento degli accordi ambientali. Da ultimo, proprio il profilo dei soggetti che possono concludere gli accordi previsti dallart. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 non consente di riportare la disciplina ivi contenuta nellalveo degli accordi di programma di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, che possono essere stipulati solamente CONTRIBUTI DI DOTTRINA 365 dai rappresentanti degli enti territoriali, almeno stante il tenore letterale della disposizione (8). Tuttavia sul punto da rilevare come numerose disposizioni contenute nelle norme di settore del Codice dellambiente (infra), pur richiamando espressamente la figura dellaccordo di programma di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, al contempo prevedono la partecipazione a tale atto negoziale da parte di soggetti privati. Sebbene il modello di accordi delineato dal Codice dellambiente nellart. 9 non sia pienamente riconducibile a quello delineato nella legge sul procedimento amministrativo, agli artt. 11 e 15 e nel testo unico degli enti locali allart. 34, per le diversit strutturali e funzionali ora rilevate, sembrerebbe possibile indicare un elemento comune, quantomeno a quelli conclusi tra pubbliche amministrazioni. Si tratta della loro configurabilit in termini di accordi quadro, assimilabili alla categoria civilistica dei contratti normativi, in quanto sono destinati a disciplinare in astratto con riguardo ad ipotesi future le modalit di svolgimento di determinate fasi procedimentali a fini di semplificazione e di efficacia (9). Rispetto alla disciplina posta dallart. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 appare come meramente ripetitiva quella posta in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) al successivo art. 25, comma 4, come risultante dalla sostituzione operata dallart. 1, comma 3 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. Difatti, non sembra aggiungere ulteriori indicazioni ai fini della ricostruzione dogmatica del modello la previsione secondo cui lautorit competente pu concludere con le altre amministrazioni interessate accordi per disciplinare lo svolgimento delle attivit di interesse comune ai fini della semplificazione delle procedure. Al contrario riveste interesse la disposizione dettata allart. 29 quater del Codice dellambiente, che disciplina la procedura per il rilascio dellautorizzazione integrata ambientale (AIA) per la realizzazione di impianti industriali. In particolare il comma 15 dispone che in considerazione del particolare e rilevante impatto ambientale, della complessit e del preminente interesse nazionale dellimpianto, nel rispetto delle disposizioni del presente decreto, possono essere conclusi, dintesa tra lo Stato, le regioni, le province e i comuni (8) In dottrina peraltro non sono mancati Autori che hanno invece ritenuto fin da subito percorribile la soluzione interpretativa che ammette la partecipazione dei privati agli accordi tra pubbliche amministrazione ed in specie agli accordi di programma di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, nonostante il tenore letterale delle disposizioni citate. In tal senso, A. CONTIERI, La programmazione negoziata. La consensualit per lo sviluppo. I principi, Napoli, 2000, pp. 130 ss.; P.L. PORTALURI, Le funzioni urbanistiche necessarie dei soggetti privati: aspetti di diritto interno e comunitario, in riv. Ital. Dir. pubbl. com., 1999, pp. 343 ss.; F. PUGLIESE, Risorse finanziarie consensualit ed accordi nella pianificazione urbanistica, in Dir. amm., 1999, pp. 17 ss.; A. PREDIERI, Gli accordi di programma, in quad. reg., 1991, pp. 959 ss. (9) In tal senso R. GRECO, sub art. 9, in R. GRECO (a cura di), Codice dellambiente annotato con dottrina, giurisprudenza e formule, II ed., Roma, Nel diritto, 2011, p. 70. 366 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 territorialmente competenti e i gestori, specifici accordi, al fine di garantire, in conformit con gli interessi fondamentali della collettivit, larmonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali. In tali casi lautorit competente, fatto comunque salvo quanto previsto al comma 12, assicura il necessario coordinamento tra lattuazione dellaccordo e la procedura del rilascio dellautorizzazione integrata ambientale. Nei casi disciplinati dal presente comma i termini di cui al comma 10 sono raddoppiati. Tale disciplina, a fronte dellobbligatoriet della convocazione della conferenza di servizi ai fini del rilascio dellautorizzazione integrata ambientale prevista al precedente comma 5, si caratterizza innanzitutto per la facoltativit della scelta di utilizzare lo strumento convenzionale dellaccordo. Peraltro, questultimo sembra differire profondamente, cos come configurato al comma 15, da quello risultante dalla previsione generale contenuta nellart. 9, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006. Difatti non appare prioritaria la finalit di semplificazione, pur essendo ovviamente questa un risultato in s connaturato allutilizzo obbligatorio dellistituto della conferenza di servizi, quanto piuttosto il bilanciamento, che appunto loggetto dellaccordo, tra le istanze facenti capo alla collettivit (di qui il riferimento agli interessi fondamentali della stessa) e le finalit di natura prettamente economica (sviluppo del sistema produttivo nazionale, politiche del territorio e strategie ambientali). In altre parole potrebbe dirsi che mentre gli accordi di cui allart. 9, comma 3 hanno una funzione di semplificazione procedurale, quelli ai quali fa riferimento lart. 29 quater realizzano il risultato di una ponderazione consensuale (oltre che contestuale) degli eterogenei interessi, che emergono in sede di rilascio dellautorizzazione integrata ambientale. Che del resto il risultato perseguito non sia e non possa essere in tal caso la semplificazione confermato dallultimo periodo dellart. 29 quater, comma 15 ove si prevede il raddoppio dei termini di cui al comma 10, entro i quali lautorit competente deve esprimere le proprie determinazioni sulla domanda di questo provvedimento autorizzatorio. La natura di accordo sostanziale ed il suo carattere facoltativo, infine, suggeriscono linquadramento dellistituto tra quelli in senso lato deflattivi del contenzioso, poich in tale sede dato al gestore rappresentare i propri interessi e far valere le proprie ragioni, in modo presumibilmente pi compiuto di quanto potrebbero realizzare le amministrazioni coinvolte a fronte dellesercizio dei soli diritti di partecipazione al procedimento. Sotto tale profilo non sembra, infatti, essere sufficiente la previsione dellobbligatoriet della conferenza di servizi, stante la disciplina dettata agli artt. 14 ss. della l. n. 241 del 1990, ove non prevista espressamente la partecipazione dei privati (10). CONTRIBUTI DI DOTTRINA 367 2.3.Gli accordi ambientali nei singoli settori. Lo strumento dellaccordo previsto e disciplinato anche in norme settoriali del Codice dellambiente. In particolare occorre innanzitutto richiamare la disposizione contenuta nellart. 70, comma 4, ove in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione (Parte terza, Sezione I) si prevede che gli accordi di programma di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 costituiscano lo strumento attuativo dei programmi triennali di intervento, che a loro volta attuano i piani di bacino. Stante lespresso riferimento al modello consensuale contenuto nel citato articolo del testo unico degli enti locali, non si pongono particolari problemi di inquadramento dogmatico. solo il caso di rilevare che laccordo di programma, cos come chiaramente affermato nellart. 70, comma 4 del Codice dellambiente, consente unattuazione in forma integrata e coordinata dei programmi da parte degli enti territoriali competenti senza necessit di procedere alla costituzione di soggetti terzi, in forme associative variamente articolate. Inoltre ai sensi del citato art. 34 gli accordi di programma possono comportare variazioni degli strumenti urbanistici e in base a quanto disposto dallart. 12, co. 1 lett. b) del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilit) possono altres valere quale dichiarazione di pubblica utilit. Si fa espressamente riferimento a tale istituto consensuale anche nellart. 75 del d.lgs. n. 152 del 2006 in materia di tutela delle acque dallinquinamento (Parte terza, Sezione II) (11). In particolare, al comma 9 gli accordi di programma con le competenti autorit sono indicati come strumento ulteriore del quale possono avvalersi i consorzi di bonifica e di irrigazione per concorrere alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque anche al fine di una loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi dacqua e della fitodepurazione. In tal modo si pu realizzare una tutela concertata delle risorse idriche da parte dei consorzi di bonifica, delle autorit di bacino, delle province e delle regioni interessate. La partecipazione di soggetti privati alla stipulazione di accordi e contratti di programma prevista in materia di tutela dei corpi idrici e disciplina degli (10) D conto dei vari tentavi della dottrina per fondare sulle previsioni della l. n. 241 del 1990, ed in particolare su quella in tema di partecipazione procedimentale, la possibilit per i privati di essere parti della conferenza di servizi S. CIVITARESE MATTEUCCI, Conferenza di servizi (dir. amm.), in Enc. Dir., Annali, II, t. 2, Milano, Giuffr, 2008, pp. 271 ss. e spec. pp. 289-290. Sullistituto in generale D. DORSOGNA, Conferenza di servizi e amministrazione della complessit, Torino, Giappichelli, 2002. (11) Si veda quanto rilevato supra, quanto al dato che proprio la tutela delle acque dallinquinamento ha costituito materia nella quale hanno trovato previsione gli accordi ambientali gi a partire dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 scarichi (Parte terza, sezione II, titolo III) allart. 101, comma 10 del d.lgs. n. 152 del 2006. Questultimo dispone infatti che le autorit competenti possono promuovere e stipulare tali atti consensuali con soggetti economici interessati al fine di favorire il ripristino idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilit di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare, per le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualit. Tale previsione sembra derogare in modo significativo al modello dellaccordo di programma di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000 e non solo per ragioni procedimentali afferenti allambito di applicazione soggettivo dellistituto. Per meglio dire, da un lato, proprio la partecipazione dei soggetti privati a questo a conferire alloggetto dellaccordo di programma unaccentuata connotazione economica che non si rinviene nella formulazione del citato articolo 34; dallaltro, ed probabilmente questo il profilo pi significativo, con il solo limite del rispetto della normativa comunitaria e degli obiettivi di qualit ambientale, laccordo di programma stipulato con i privati viene addirittura configurato come strumento per derogare alla disciplina generale, sia pure limitatamente alla fissazione dei limiti agli scarichi. Gli accordi di programma sono inoltre previsti nellambito degli strumenti di tutela (Parte terza, sezione II, titolo IV) allart. 120, che disciplina il rilevamento dello stato di qualit dei corpi idrici. In particolare al comma 3 previsto che al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilit con il sistema informativo nazionale dellambiente (SINA), le Regioni possono promuovere, nellesercizio delle rispettive competenze, accordi di programma con lAgenzia per la protezione dellambiente e per i servizi tecnici (APAT), le Agenzie regionali per la protezione dellambiente, le Province, le Autorit dambito, i consorzi di bonifica e di irrigazione e gli altri enti pubblici interessati. In tal modo lo strumento negoziale, sia pure configurato come facoltativo, favorisce la creazione di un sistema informativo in seno alla elaborazione ed attuazione di programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee allinterno di ciascun bacino idrogeografico (comma 1). per questa ragione per la quale nei programmi devono altres essere definite le modalit di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni (comma 3, ult. per.). Tale disciplina si inserisce peraltro nellambito della funzione programmatoria e di pianificazione, nonch di consultazione pubblica delineata agli artt. 117-123 del Codice dellambiente, rispetto alla quale lattivit conoscitiva appare prodromica e strumentale. Sempre nel settore delle risorse idriche ed al fine di pianificarne lutilizzo, lart. 158 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che laddove il fabbisogno comporti CONTRIBUTI DI DOTTRINA 369 o possa comportare il trasferimento di acqua tra regioni diverse e ci travalichi i comprensori di riferimento dei distretti idrogeografici, le Autorit di bacino, sentite le Regioni interessate, promuovono accordi di programma tra le regioni stesse, nel rispetto delle finalit di tutela e di uso di questa risorsa. Rispetto alle ipotesi finora passate in rassegna, la previsione richiamata presenta la peculiarit di configurare lo strumento convenzionale come obbligatorio, secondo quanto suggerito dallutilizzo del tempo indicativo (promuovono) da parte del legislatore. La ragione va individuata nel rilievo che trattandosi di unattivit che coinvolge pi enti territoriali il suo svolgimento non pu prescindere dalla definizione consensuale delle modalit di realizzazione degli interventi. In altre parole laccordo di programma in tale ipotesi configurato non come uno strumento alternativo, bens come quello che consente il rispetto delle sfere di competenze degli enti coinvolti. Sotto questo profilo appare invece pi elastica la disciplina dettata in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati (Parte quarta) (12). Difatti lart. 177 al comma 5 dispone che per conseguire le finalit e gli obiettivi propri di questo settore lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali esercitano i poteri e le funzioni di rispettiva competenza nel rispetto della disciplina dettata nel Codice dellambiente, adottando ogni idonea azione ed avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli dintesa anche sperimentali, di soggetti pubblici e privati. In tale previsione lo strumento convenzionale non limitato nella sua concreta configurazione al modello di cui allart. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, poich viene lasciata alle istituzioni la scelta tra diversi atti consensuali in un ordine decrescente di vincolativit, che giunge fino alla possibilit di stipulare protocolli di intesa anche sperimentali. Inoltre mediante lo stesso accordo di programma pu essere realizzato un coinvolgimento di soggetti privati e una regolamentazione concordata con gli stessi delle attivit di gestione dei rifiuti. Peraltro si tratta di una previsione che viene ripresa e specificata nel successivo art. 180, comma 1, lett. C), ove tra le iniziative per la promozione in via prioritaria della prevenzione e della riduzione della produzione e della nocivit dei rifiuti indicata la promozione di accordi e contratti di programma o protocolli di intesa anche sperimentali; nonch nellart. 180 bis nellambito delle iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti. Tra le funzioni spettanti al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) di prevede la promozione di accordi di programma da concludersi anche in questo caso con operatori economici privati per favorire il reciclaggio ed il re- (12) Si noti, che il ricorso allo strumento dellaccordo ambientale tra soggetti pubblici e privati, come gi rilevato supra nel testo, stato gi largamente previsto per il settore della gestione dei rifiuti nel d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. 370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 cupero dei rifiuti di imballaggio ai sensi dellart. 224, comma 2, lett. d). Inoltre il CONAI, ai sensi del comma 5, pu stipulare un accordo di programma quadro su base nazionale con l'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), con l'Unione delle province italiane (UPI) o con le Autorit d'ambito al fine di garantire l'attuazione del principio di corresponsabilit gestionale tra produttori, utilizzatori e pubbliche amministrazioni. In particolare, tale accordo stabilisce: l'entit dei maggiori oneri per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, da versare alle competenti pubbliche amministrazioni, determinati secondo criteri di efficienza, efficacia, economicit e trasparenza di gestione del servizio medesimo; gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle parti contraenti; le modalit di raccolta dei rifiuti da imballaggio in relazione alle esigenze delle attivit di riciclaggio e di recupero. Limportanza di tale strumento convenzionale confermata dal successivo comma 12, ove si prevedono nel caso in cui non si proceda alla stipula misure per favorire il raggiungimento dellintesa e, nelle ipotesi in cui questa risulti non possibile, strumenti per il superamento della mancata conclusione delle convenzioni. Hanno invece una finalit derogatoria del principio generale secondo il quale vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle nelle quali gli stessi sono stati prodotti, gli accordi regionali o internazionali di cui allart. 182, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. A tali strumenti convenzionali, non ulteriormente qualificati e descritti dalla disposizione citata, si pu ricorrere qualora gli aspetti territoriali e lopportunit tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano. La medesima finalit derogatoria hanno gli accordi di programma previsti allart. 205, recante misure per incrementare la raccolta differenziata. Pi precisamente ai sensi del comma 1 bis, nel caso in cui, dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico, non sia realizzabile il raggiungimento degli obiettivi ivi fissati il comune pu richiedere al Ministro dellambiente una deroga al rispetto degli obblighi relativi alla raccolta differenziata. Tuttavia in questo caso la disposizione pone dei vincoli contenutistici stringenti allassetto di interessi che pu essere convenuto nellaccordo di programma. Difatti, se vero che il Ministro pu autorizzare la deroga previa stipula di un accordo di programma con la regione e gli enti locali interessati, lo strumento convenzionale deve stabilire: le modalit mediante le quali il comune richiedente intende conseguire gli obiettivi di riutilizzo e reciclaggio di rifiuti (art. 181, comma 1); la destinazione a recupero di energia della quota di rifiuti indifferenziati che residua dalla raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati, qualora non destinati al recupero di materia; la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani da destinare al reciclo, che il comune richiedente si obbliga ad effettuare. Inoltre, ai sensi del successivo comma 1 ter, laccordo di programma pu stabilire obblighi, nel quadro normativo vigente, per il perseguimento delle finalit stabilite in ordine alla CONTRIBUTI DI DOTTRINA 371 gestione dei rifiuti, nonch stabilire le modalit di accertamento delladempimento degli obblighi assunti e la disciplina delleventuale inadempimento. Agli accordi di programma ivi previsti si riconosce infine un effetto conformativo dei piani regionali, con una sorta di inversione dellordine degli atti di pianificazione e programmazione (comma 1 ter, ult. per.). Peraltro il settore dei rifiuti si pone come un campo elettivo per lutilizzo delle modalit consensuali di perseguimento e cura dellinteresse pubblico alla tutela dellambiente. Difatti, proprio allart. 206 viene adottata una disciplina di carattere generale (dunque non riferita ai singoli interventi di gestione, bonifica, raccolta e reciclaggio di rifiuti) di accordi e contratti di programma al fine di perseguire la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, con particolare riferimenti alle piccole imprese. Sono legittimati alla stipulazione di questi atti consensuali il Ministro dellambiente, le altre autorit competenti con gli enti pubblici, le imprese di settore, gli altri soggetti pubblici e privati e le associazioni di categoria. Diversamente dai precedenti accordi, rileva nel caso in esame la previsione che vi partecipino anche persone giuridiche titolari di interessi collettivi, quali le associazioni ambientali. Lart. 206 precisa altres il contenuto di queste convenzioni, che hanno ad oggetto: a) l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l'attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e distributivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosit e ad ottimizzarne il recupero; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantit e la pericolosit dei rifiuti e i rischi di inquinamento; f) la sperimentazione, la promozione e l'attuazione di attivit di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l'adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l'eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l'impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti. Ai sensi del successivo comma 2 gli accordi e contratti di programma possono essere stipulati tra i medesimi soggetti per promuovere e favorire l'utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale di cui al regolamento (Cee) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001; per attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilit ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero. 372 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 Tali strumenti possono senza dubbio realizzare delle semplificazioni amministrative, ma non data agli stessi la possibilit di derogare alla normativa comunitaria (comma 3). La copertura degli oneri derivanti dalla stipula di questi accordi e contratti realizzata mediante risorse individuate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento. Inoltre sempre con questo decreto sono fissate le modalit di stipula dei medesimi (comma 4). Lart. 206, infine, al comma 5 realizza un importante raccordo tra la normativa nazionale e quella comunitaria in materia di accordi ambientali. Infatti, si prevede che ai sensi della comunicazione 2002/412 del 17 luglio 2002 della Commissione delle Comunit europee sia possibile concludere accordi ambientali che la Commissione pu utilizzare nell'ambito della autoregolamentazione, intesa come incoraggiamento o riconoscimento dei medesimi accordi, oppure della coregolamentazione, intesa come proposizione al legislatore di utilizzare gli accordi, quando opportuno. Fa il paio con la disciplina ora brevemente descritta quella contenuta allart. 246 con riferimento alla bonifica di siti contaminati (Parte quarta, titolo V) (13). In particolare si prevede che i soggetti obbligati e quelli altrimenti interessati agli interventi in questo settore hanno diritto di definire modalit e tempi di esecuzione degli stessi mediante appositi accordi di programma da stipularsi con le amministrazioni competenti (comma 1). Nel caso in cui vi siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica di una pluralit di siti che interessano il territorio di pi regioni, i tempi e le modalit di intervento possono essere definiti con appositi accordi di programma che devono essere conclusi con le regioni interessate (comma 2). Se i siti hanno una rilevanza nazionale gli stessi soggetti possono concludere per le medesime finalit accordi di programma con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri della salute e delle attivit (13) Si noti che lart. 246 del Codice dellambiente delimita in materia di bonifica dei siti inquinati un ambito di applicazione pi ampio degli accordi di programma rispetto alla previsione contenuta nellart. 18, comma 2 della legge 31 luglio 2002, n. 172 (Disposizioni in materia ambientale), che circoscrive lutilizzo di tale strumento ai siti di interesse nazionale e con riferimento al solo progetto definitivo: Per realizzare il programma di interventi di cui al comma 1, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio stipula, con i Ministri dell'interno delegato per il coordinamento della protezione civile, delle attivit produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, con i presidenti delle giunte regionali, delle province e con i sindaci dei comuni territorialmente competenti, uno o pi accordi di programma per l'approvazione del progetto definitivo di bonifica e di ripristino ambientale. Gli accordi di programma comprendono il piano di caratterizzazione dell'area e l'approvazione delle eventuali misure di messa in sicurezza di emergenza, gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza definitiva e l'approvazione del progetto di valorizzazione dell'area bonificata, che include il piano di sviluppo urbanistico dell'area e il piano economico e finanziario dell'investimento, secondo le procedure previste dall'articolo 34 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 373 produttive, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni (comma 3). Quanto ai soggetti legittimati interessante notare che la previsione vi ricomprende anche il responsabile dellinquinamento. Ma vi di pi. Si riconosce che a fronte di una sua richiesta la concertazione costituisca per lamministrazione competente una soluzione obbligata. Difatti, la disposizione prevede un diritto di avvalersi dello strumento convenzionale, a fronte del quale si configura un obbligo di procedere in modo concertativo. Peraltro, trattandosi di un limite al potere dellamministrazione di agire in via autoritativa, lart. 246 del Codice dellambiente si premura di delimitare temporalmente lobbligatoriet dellaccordo di programma, calibrando i termini ivi previsti sulla dimensione dellinteresse (regionale, pluriregionale ovvero nazionale) che viene in evidenza nel caso concreto. Da ultimo laccordo di programma indicato quale strumento per lelaborazione e lapprovazione di siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale con aree demaniali e acque di falda contaminate, ai sensi dellart. 252 bis del Codice dellambiente. Alla stipulazione possono addivenire i soggetti interessati, i Ministri per lo sviluppo economico, dellambiente e il Presidente della Regione territorialmente competente, sentiti il Presidente della Provincia ed i Sindaci dei Comuni interessati (comma 1). Anche in questo caso si prevede la partecipazione dei soggetti responsabili della contaminazione, in mancanza della quale lamministrazione riacquista il potere di agire dufficio, fermo il diritto di rivalsa. La stessa previsione si applica anche nel caso in cui il soggetto responsabile non adempia alle obbligazioni assunte con lo strumento convenzionale (comma 9). Gli accordi di programma assicurano il coordinamento delle azioni per determinarne i tempi, le modalit, il finanziamento ed ogni altro connesso e funzionale adempimento per l'attuazione dei programmi di riconversione industriale e disciplinano in particolare ai sensi del comma 3: a) gli obiettivi di reindustrializzazione e di sviluppo economico produttivo e il piano economico finanziario degli investimenti da parte di ciascuno dei proprietari delle aree comprese nel sito contaminato al fine di conseguire detti obiettivi; b) il coordinamento delle risultanze delle caratterizzazioni eseguite e di quelle che si intendono svolgere; c) gli obiettivi degli interventi di bonifica e riparazione, i relativi obblighi dei responsabili della contaminazione e del proprietario del sito, l'eventuale costituzione di consorzi pubblici o a partecipazione mista per l'attuazione di tali obblighi nonch le iniziative e le azioni che le pubbliche amministrazioni si impegnano ad assumere ed a finanziare; d) la quantificazione degli effetti temporanei in termini di perdita di risorse e servizi causati dall'inquinamento delle acque; e) le azioni idonee a compensare le perdite temporanee di risorse e servizi, sulla base dell'Allegato II della direttiva 2004/35/CE; a tal fine sono preferite le misure di miglioramento della sostenibilit ambientale degli impianti esistenti, sotto il profilo del miglioramento 374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2012 tecnologico produttivo e dell'implementazione dell'efficacia dei sistemi di depurazione e abbattimento delle emissioni; f) la prestazione di idonee garanzie finanziarie da parte dei privati per assicurare l'adempimento degli impegni assunti; g) l'eventuale finanziamento di attivit di ricerca e di sperimentazione di tecniche e metodologie finalizzate al trattamento delle matrici ambientali contaminate e all'abbattimento delle concentrazioni di contaminazione, nonch ai sistemi di misurazione e analisi delle sostanze contaminanti e di monitoraggio della qualit ecologica del sito; h) le modalit di monitoraggio per il controllo dell'adempimento degli impegni assunti e della realizzazione dei progetti. La stipula dell'accordo di programma costituisce riconoscimento dell'interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico e produttivo (comma 4). In considerazione delle finalit di tutela e ripristino ambientale perseguite, l'attuazione da parte dei privati degli impegni assunti con l'accordo di programma costituisce anche attuazione degli obblighi di cui alla direttiva 2004/35/CE e delle relative disposizioni di attuazione di cui alla parte VI del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7). RECENSIONI MAURIZIO BORGO - MARCO MORELLI (*), Lacquisizione e lutilizzo di immobili da parte della P.A. Espropriazione per pubblica utilit e strumenti alternativi. (Giuffr Editore, 2012, pp. XIV, 394) Prefazione di Michele Dipace (*) Ancora un libro che parla di espropriazione per pubblica utilit! Con questa esclamazione ho accolto l'invito, gentilmente rivoltomi dagli Autori, di scrivere la prefazione del presente volume. Mi sono, allora, chiesto quale fosse l'utilit di una nuova opera scientifica sullargomento e lho rinvenuta nella seguente considerazione: lespropriazione per pubblica utilit certamente una delle figure giuridiche pi affascinanti, tormentate e complesse del diritto amministrativo, la cui peculiarit consiste nel trovarsi, per cos dire, al confine tra diritto pubblico e privato, come testimoniato dal fatto che delle relative vicende giurisdizionali conoscono sia il giudice ordinario che il giudice amministrativo. Ben venga, pertanto, un'Opera che ha il pregio di coniugare la rigorosa trattazione scientifica degli argomenti con l'esame della casistica oggetto delle numerose pronunce giurisprudenziali intervenute nei quasi dieci anni di vigenza del Testo Unico Espropri (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327); un arco temporale, quest'ultimo, che consente agli Autori di trarre, per cos dire, qualche somma in ordine ai risultati dell'intento di razionalizzazione e coordinamento delle diverse disposizioni legislative e regolamentari esistenti, che ha ispirato il predetto T.U.. Peraltro, merito degli Autori avere cercato di guardare al di l dell'espropriazione dedicando una parte dell'Opera all'analisi delle modalit di acquisizione di immobili da parte delle pubbliche amministrazioni alternative al tradizionale istituto ablatorio. Il capitolo primo dellOpera tratta degli aspetti generali dell'espropriazione come delineati dal d.P.R, 8 giugno 2001 n. 327. (*) Maurizio Borgo, avvocato dello Stato. Marco Morelli, avvocato del Foro di Roma. Michele Dipace, Avvocato Generale dello Stato. 376 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3 /2012 Vengono, pertanto, esaminati l'oggetto e l'ambito di applicazione del T.U., i soggetti e l'oggetto della procedura espropriativa, l'ufficio espropri e la possibilit di istituzione di uffici tra enti consorziati; per finire, gli Autori si soffermano sul tema della responsabilit del delegante e del delegato in materia di esproprio. Nel capitolo secondo, gli Autori, dopo avere fotografato le quattro fasi del procedimento espropriativo: vincolo, dichiarazione di pubblica utilit, indennit, decreto o cessione volontaria, esaminano specificamente la fase preliminare alla procedura espropriativa ovvero la sottoposizione del bene al vincolo. Dopo una ricognizione delle note distinzioni fra vincoli derivanti da piani urbanistici e vincoli discendenti da atti diversi nonch tra vincoli conformativi e vincoli espropriativi, il capitolo si occupa delle tematiche legate alla zonizzazione e localizzazione delle opere ai fini espropriativi, della partecipazione degli interessati alla procedura di apposizione del vincolo e, per finire, del delicatissimo problema della reiterazione dei vincoli espropriativi. Il capitolo terzo dedicato alla dichiarazione di pubblica utilit ovvero a quella che la Corte Costituzionale ebbe a definire la pietra angolare della procedura espropriativa. Vengono esaminati gli istituti dell'accesso ai fondi e del piano particellare; particolare attenzione dedicata alla individuazione degli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilit anche alla luce delle novit introdotte dal d.l. 24 gennaio 2012, alla vexata quaestio dei termini e del loro superamento nonch al procedimento che porta alla d.p.u. ed alla partecipazione degli interessati. II capitolo quarto dedicato all'esame della fase conclusiva della procedura espropriativa, sia nella forma ordinaria del decreto di esproprio ovvero della cessione volontaria che in quella accelerata di cui all'art. 22. Una particolare disamina doverosamente riservata alla procedura di occupazione di urgenza foriera, in passato, del ben noto fenomeno patologico della c.d. "accessione invertita". II capitolo quinto si occupa dell'indennit di esproprio sotto ogni profilo procedimentale e sostanziale. Particolare attenzione viene dedicata alle recenti sentenze della Corte Costituzionale nn. 181/2011 e 338/2011 in tema di valore agricolo medio e dichiarazione ICI. Non viene trascurata la trattazione di profili c.d. secondari quali quello delle indennit aggiuntive, del regime fiscale dell'indennit di espropio, dell'indennit di asservimento e di quellindennit per reiterazione di vincoli espropriativi. II capitolo sesto dedicato agli aspetti patologici dell'espropriazione ovvero alle occupazioni illegittime. Dopo un excursus storico sulle origini della c.d. occupazione acquisitiva e sulla distinzione tra la stessa e lipotesi pi grave della c.d. occupazione usurpativa, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, gli Autori si soffermano sulla soluzione iniziale data al problema dal d.P.R. n. 327/2001 ovvero sullart. 43 fino ad arrivare alla declaratoria di illegittimit costituzionale della norma ad opera della sentenza 10 ottobre 2010 n. 293 della Consulta, senza trascurare la disamina delle problematiche derivate dall'intervento caducatorio della Consulta. Il capitolo settimo interamente dedicato allart.42-bis del T.U. introdotto dal d.l. 6 luglio 2011 n. 98, ed alle pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato le prime concrete applicazioni della disposizione. Il capitolo ottavo, di chiusura dell'Opera, come pi sopra anticipato, guarda al di l, o per meglio dire oltre l'esproprio; esso dedicato alle forme di acquisizione, per cos dire alternative rispetto all'espropriazione: nel capitolo vengono esaminati istituti quali quello dell'usucapione della PA. della dicatio ad patriam nonch le modalit di acquisizione di strade e piazze. RECENSIONI 377 Il libro, pertanto, si palesato, alla lettura, del tutto necessario perch contiene una approfondita analisi dottrinale e giurisprudenziale dell'istituto della espropriazione per p.u. analizzando tutte le problematiche dell'istituto stesso, ed soprattutto un utile strumento per gli operatori del diritto e per coloro che, in ogni caso, si trovano ad essere interessati al procedimento espropriativo. VITO TUFARIELLO, La responsabilit civile. Il danno da immissioni. (Collana:Il diritto italiano nella giurisprudenza. A cura di PAOLO CENDON) (Utet Giuridica, 2012, pp. XXIV, 856) La legislazione in campo ambientale, nellultimo trentennio, ha subito una netta evoluzione frutto soprattutto di grosso impulso da parte del legislatore comunitario, a cui non sempre ha fatto seguito la medesima applicazione da parte del legislatore nazionale. A volte le due fonti normative, la comunitaria e nazionale, nel loro articolato sovrapporsi, hanno causato grosse problematiche, in relazione al diritto da applicare alle singole questioni, ed in pi occasioni per dirimere le controversie si dovuti ricorrere alle pronunzie dellinterprete comunitario, sempre puntuale nel fornire gli indirizzi interpretativi richiesti. La legislazione ambientale, nel suo evolversi, si dovuta frammentare in pi impatti. Ci ha dato luogo alla creazione di norme di settore che, purtroppo, non denotano i caratteri della stabilit, posto che spesso e frequentemente subiscono stravolgimenti che creano imbarazzo e confusione negli operatori chiamati a svolgere giornalmente la propria opera. Lopera il danno da immissioni, nella sua variegata articolazione, vuole fornire uno strumento utile per costoro e consentire agli operatori e professionisti del settore di avere ben chiare sia la normativa vigente ed applicabile al caso di specie sia linterpretazione della medesima in base alla risoluzione dei casi pratici fin qui susseguitisi. Per ogni singolo impatto ambientale delineato si cercato di evidenziare i profili di danno che possono scaturire, al fine di costituire la base di eventuali azioni poste in essere nei confronti di coloro che incorrono in violazioni normative causando evidenti danni oggettivi e soggettivi. Non si nasconde che la lettura del testo risulter non molto facile, soprattutto per coloro che intenderanno cimentarsi non avendo, alle spalle, una profonda e qualificata conoscenza della materia qui trattata. Sono certo, per, che una lettura pi attenta e dedicata, unita alla scorrevolezza del testo, consentir di superare tali difficolt iniziali. LAutore Finito di stampare nel mese di gennaio 2013 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Via Roberto Malatesta n. 296 - Roma