ANNO LXVI - N. 2 APRILE - GIUGNO 2014 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DĠAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Ugo Adorno, Vincenzo Cardellicchio, Francesco Maria Ciaralli, Enrico De Giovanni, Giuseppe DellĠAira, Carlo Deodato, Pierluigi Di Palma, Salvatore Faraci, Angela Fragomeni, Fabrizio Gallo, Federico Maria Giuliani, Arturo Camillo Jemolo, Antonio Mastrone, Adolfo Mutarelli, Giovanni Palatiello, Giuseppe Palma, Paola Palmieri, Sara Peluso, David Romei, Sabrina Scalini, Rocco Steffenoni, Antonio Tallarida. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI IL DECRETO LEGGE 90/2014 Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto . . . . . . . . . . . . . . . . Dai lavori Parlamentari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Palma, Una sana ÒcuriositasÓ giuridica (auspicabile non ÒvanaÓ) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allĠAvvocatura di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arturo Camillo Jemolo, LĠavvocatura dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, Tre scritti per riflettere ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe DellĠAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, lĠinvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Antonio Mastrone, Sul termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso in materia tributaria (Cass., Sez. Un., sent. 16 giugno 2014 n. 13676). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Gentili, Note sul redditometro ed onere della prova (Cass. civ., Sez. Trib., sent. 19 marzo 2014 n. 6396) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Federico Maria Giuliani, Simulazione e fisco ancora allĠesame della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. V, sent. 27 gennaio 2014 n. 1568). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abuso e elusione nel procedimento e nel processo (Cass. civ., Sez. V, sent. 4 aprile 2014 n. 7961) (coautrice Sabrina Scalini). . . . . . . . . . . . . . . . . . Autonoma impugnabilitˆ di atti endoprocedimentali tributari: il Consiglio di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione (Cons. St., Sez. IV, sent. 14 aprile 2014 n. 1821) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giovanni Palatiello, Sulla Direttiva Reati: il giudice dellĠesecutivitˆ riconosce lĠaccesso allĠindennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere (C. app. Roma, ord. 9 maggio 2014 n. 7072/13 RG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ugo Adorno, Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi (Trib. lav. Perugia, ord. 27 marzo 2014) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Maria Ciaralli, Le astreintes nel processo civile e amministrativo (Cons. St., Ad. Plen., sent. 25 giugno 2014 n. 15). . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ŬŬ 3 ŬŬ 8 ŬŬ 15 ŬŬ 30 ŬŬ 37 ŬŬ 61 ŬŬ 71 ŬŬ 82 ŬŬ 92 ŬŬ 95 ŬŬ 106 ŬŬ 114 ŬŬ 122 ŬŬ 128 ŬŬ 135 ŬŬ 163 ŬŬ 170 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Stefano Varone, Sulle procedure concorsuali nella P.A. . . . . . . . . . . . . . Paola Palmieri, Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari delle Autoritˆ portuali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paola Palmieri, Natura giuridica dellĠIstituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di proprietˆ dello Stato Vaticano . . . . . . . . . Sergio Fiorentino, Canone dovuto dalle imprese di trasporto alla Rete Ferroviaria Italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Enrico De Giovanni, Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel caso di archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P.. . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Antonio Tallarida, Federalismo fiscale e nuova finanza locale . . . . . . . . Vincenzo Cardellicchio, Fabrizio Gallo, Stazione unica appaltante e Centrale di committenza: lo sviluppo degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione dei livelli di Governo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pierluigi Di Palma, Il trasporto aereo tra Stato e Regioni. . . . . . . . . . . . Sara Peluso, La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunitˆ e criticitˆ dello strumento alla luce del caso Colosseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rocco Steffenoni, LĠabolizione delle province: evoluzione di un processo di semplificazione delle autonomie locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Adolfo Mutarelli, LĠinsostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo rito speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? Angela Fragomeni, Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari David Romei, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195 ŬŬ 201 ŬŬ 208 ŬŬ 213 ŬŬ 231 ŬŬ 235 ŬŬ 250 ŬŬ 268 ŬŬ 278 ŬŬ 296 ŬŬ 319 ŬŬ 324 ŬŬ 358 TEMI ISTITUZIONALI Il Decreto Legge 90/2014 LĠiniziativa del Governo di intervenire dĠurgenza, con il decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, sugli stipendi, gli onorari e sul collocamento a riposo degli avvocati e procuratori dello Stato ha creato, oltre a ragguardevoli reazioni emotive, la voglia e la necessitˆ di molti colleghi di interrogarsi sulle funzioni e sulle vocazioni di un Istituto, quale lĠAvvocatura dello Stato, che affonda le proprie radici agli albori dello ÒStato di dirittoÓ e che ha sempre ritenuto di costituire un pezzo significativo nellĠassetto delle istituzioni della Repubblica. Di qui lĠidea di raccogliere nella sezione Òtemi istituzionaliÓ della Rassegna, con le norme di rilevanza diretta introdotte dal decreto legge governativo e dalla legge di conversione, gli interventi, gli spunti ed i saggi, vecchi e nuovi, che consentono di focalizzare i temi cruciali di un dibattito, soprattutto interno, che si svolge oramai da oltre quattro mesi sul ruolo effettivo (e sulla stima) dellĠAvvocatura dello Stato. I primi due documenti, che seguono il florilegio delle norme che direttamente ci riguardano, appartengono ai lavori parlamentari e riassumono i contenuti delle audizioni svolte presso la Camera dei deputati dallĠAvvocato Generale, avv. Michele Giuseppe Dipace, e dalle Associazioni rappresentative della categoria. Si tratta quindi di Òatti ufficialiÓ, dai quali tuttavia emergono direttamente e con forza le Òragioni a difesaÓ dellĠIstituto da parte di coloro che lo dirigono e lo rappresentano. Si tratta di dati e considerazioni che, ancorchŽ in certa misura pretermesse nella scelta parlamentare,  significativo che restino a testimonianza di quel che si  detto. Seguono, nella prima parte del dossier, tre saggi e una sentenza del TAR del Lazio. Il primo  una valutazione generale sui limiti, che la legislazione sopravveniente trova, per Costituzione e principi di diritto europeo, ad intervenire unilateralmente su rapporti di durata in corso di svolgimento. LĠestensore  il consigliere di Stato Carlo Deodato, che ha svolto le funzioni di Capo dellĠUfficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il secondo  un articolo richiesto ah hoc, al prof. Giuseppe Palma, ordinario di diritto amministrativo dellĠUniversitˆ Federico II di Napoli. Ricordavo dello stesso Autore un bellĠintervento svolto nel novembre 2012 ad un convegno che aveva ad oggetto proprio le Avvocature Pubbliche, e il testo originario del decreto legge (ed in parte anche il testo della legge approvata) recano una strana interazione tra lĠAvvocatura dello Stato e gli uffici legali di enti pubblici territoriali e non. Il terzo saggio  un articolo del 1968 di Arturo Carlo Iemolo, che, in una fase delicata nei rapporti tra lĠAvvocatura dello Stato ed il Governo (quella stessa fase che poi ha dato avvio allĠiter della Riforma del 1979), offre unĠattenta e ancora attuale ricostruzione del ruolo dellĠAvvocatura dello Stato nellĠamministrazione pubblica. La sentenza del TAR Lazio n. 10205/11, resa in una controversia sulla legittimitˆ di affidare solo ad alcune categorie ÒscelteÓ il ruolo di giudici tributari, indica anchĠessa le particolari connotazioni della professione di avvocato dello Stato. Nella seconda parte, un collage di tre documenti (atti parlamentari e stralci di articoli) dai quali lĠautore della composizione, cerca di cogliere, sul piano delle vicende storiche e della curiositˆ filologica, la connessione che sembra esistere tra la questione degli onorari, spesso riproposta in pi sedi, e lĠaffidamento in esclusiva agli avvocati e procuratori dello Stato della rappresentanza processuale, spesso mal sopportata dalle Amministrazioni in giudizio. Restano infine - terza parte - due ulteriori documenti, sui quali la direzione della Rassegna ha mantenuto il dubbio sullĠopportunitˆ della pubblicazione. Il primo  un saggio inviato a Lexitalia da Giuseppe DellĠAira, Avvocato distrettuale di Palermo, immediatamente a ridosso dellĠemanazione del decreto legge n. 90 del 2014; il secondo, di tono confidenziale, sono due e-mail inviate a tutti i colleghi dal giovane avvocato Salvatore Faraci, in servizio presso lĠAvvocatura distrettuale dello Stato di Caltanisetta. Si tratta di documenti che contestano le scelte del Governo Òcon toni non consoni ad una rivista di servizioÓ. Tuttavia tali scritti testimoniano egregiamente lo stato dĠanimo e il senso di smarrimento di chi sente di subire ingiustamente le gravi conseguenze sul piano professionale delle decisioni che il Governo andava assumendo. Considerando che lĠAvvocatura dello Stato resta comunque Òfatta di personeÓ, che credono nel valore istituzionale del proprio lavoro, la direzione della Rivista pur non condividendo Òin totoÓ quanto in tali documenti viene rappresentato e sostenuto, ritiene che sarebbe ingiusto non pubblicarli... Il direttore responsabile avv. Giuseppe Fiengo SOMMARIO: 1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto - 2. Dai lavori Parlamentari. PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana ÒcuriositasÓ giuridica (auspicabile non ÒvanaÓ) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allĠAvvocatura di Stato -(segue) Arturo Camillo Jemolo, LĠavvocatura dello Stato -(segue) Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere ... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 - 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullĠAvvocatura dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore. PARTE III - 5. Testimonianze Òa caldoÓ di due avvocati dello Stato: Giuseppe dellĠAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, lĠinvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina - (segue) Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. 1. Le norme di impatto diretto sulle funzioni di Istituto. Testo del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, recante: ÇMisure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.È. (14A06530) (GU Serie Generale n.190 del 18-8-2014 - Suppl. Ordinario n. 70). Art. 1 (Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni) 1. Sono abrogati l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, l'art. 72, commi 8, 9, 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'art. 9. comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 2. Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati. 3. Al fine di salvaguardare la funzionalitˆ degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. (...) Art. 8 (Incarichi negli uffici di diretta collaborazione) 1. All'art. 1, comma 66, della legge 6 novembre 2012 n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: Çcompresi quelli di titolaritˆ dell'ufficio di gabinetto,È sono sostituite dalle seguenti: Çcompresi quelli, comunque denominati, negli uffici di diretta collaborazione, ivi inclusi quelli di consulente giuridico, nonchŽ quelli di componente degli organismi indipendenti di valutazione,È; b) dopo il primo periodo  inserito il seguente: Çé escluso il ricorso all'istituto dell'aspettativa. È. 2. Gli incarichi di cui all'art. 1, comma 66, della legge n. 190 del 2012, come modificato dal comma 1, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, cessano di diritto se nei trenta giorni successivi non  adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo. 3. Sono fatti salvi i provvedimenti di collocamento in aspettativa giˆ concessi alla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. Sui siti istituzionali degli uffici giudiziari ordinari, amministrativi, contabili e militari nonchŽ sul sito dell'Avvocatura dello Stato sono pubblicate le statistiche annuali inerenti alla produttivitˆ dei magistrati e degli avvocati dello Stato in servizio presso l'ufficio. Sono pubblicati sui medesimi siti i periodi di assenza riconducibili all'assunzione di incarichi conferiti. Art. 9 (Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici) 1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalitˆ stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme  riversata nel bilancio dell'amministrazione. 4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate  ripartito tra gli avvocati e pro- curatori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme  destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento  destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni. 5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti col lettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualitˆ negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altres“ i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di paritˆ di trattamento e di specializzazione professionale. 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non pu˜ superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non pu˜ superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. 7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. 8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonchŽ il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1Ħ gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli giˆ previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica. Art. 19 (Soppressione dell'Autoritˆ per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e definizione delle funzioni dell'Autoritˆ nazionale anticorruzione) ... 5. In aggiunta ai compiti di cui al comma 2, l'Autoritˆ nazionale anticorruzione: a) riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all'art. 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; a-bis) riceve notizie e segnalazioni da ciascun avvocato dello Stato il quale, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 13 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, venga a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolaritˆ relative ai contratti che rientrano nella di sciplina del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per gli avvocati dello Stato segnalanti resta fermo l'obbligo di denuncia di cui all'art. 331 del codice di procedura penale; (...) Art. 33 (Parere su transazione di controversie) 1. La societˆ Expo 2015 p.a. nel caso di transazione di controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, pu˜ chiedere che l'Avvocatura Generale dello Stato esprima il proprio parere sulla proposta transattiva entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta. Art. 40 (Misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici) 1. All'art. 120 dell'allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo), sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 6  sostituito dal seguente: Ç6. Il giudizio, ferma la possibilitˆ della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza  dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando  necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticitˆ di cui all'art. 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonchŽ le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, pu˜ essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. (...) Art. 44 (Obbligatorietˆ del deposito telematico degli atti processuali) ... 2. All'art. 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1  aggiunto, in fine, il seguente periodo: ÇPer difensori non si intendono i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente. È; b) il comma 5  sostituito dal seguente: Ç5. Con uno o pi decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalitˆ dei servizi di comunicazione, pu˜ individuare i tribunali nei quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2014 ed anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l'obbligatorietˆ del deposito telematico.È. c) dopo il comma 9-bis, introdotto dall'art. 52, comma 1, lettera a), del presente decreto,  aggiunto il seguente: Ç9-ter. A decorrere dal 30 giugno 2015 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi alla corte di appello, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalitˆ telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autoritˆ giudiziaria. Le parti provvedono, con le modalitˆ di cui al presente comma, a depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Con uno o pi decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accertata la funzionalitˆ dei servizi di comunicazione, pu˜ individuare le corti di appello nelle quali viene anticipato, nei procedimenti civili iniziati prima del 30 giugno 2015 ed anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine fissato dalla legge per l'obbligatorietˆ del deposito telematico.È. (...) Art. 50 (Ufficio per il processo) ... 2. All'art. 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1: 1) dopo le parole: Çi tribunali ordinari,È sono inserite le seguenti: Çgli uffici requirenti di primo e secondo grado,È; 2) il secondo periodo  soppresso; b) dopo il comma 11  inserito il seguente: Ç11-bis. L'esito positivo dello stage, come attestato a norma del comma 11, costituisce titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario, a norma dell'art. 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni. Costituisce altres“ titolo idoneo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario lo svolgimento del tirocinio professionale per diciotto mesi presso l'Avvocatura dello Stato, sempre che sussistano i requisiti di merito di cui al comma 1 e che sia attestato l'esito positivo del tirocinio È. 2. Dai lavori parlamentari. CAMERA DEI DEPUTATI, COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI AUDIZIONE 3 LUGLIO 2014 AVVOCATO GENERALE, AVV. MICHELE DIPACE 1. Sono qui nella mia veste istituzionale di Avvocato Generale dello Stato con lĠunica finalitˆ di esporre alcune considerazioni sugli effetti delle disposizioni dellĠart. 9 del d.l. in materia di abbattimento degli onorari per lĠAvvocatura dello Stato. Innanzi tutto, mi sento di affermare fin da ora che, quali che siano gli sviluppi dellĠiter parlamentare del D.L., gli Avvocati dello Stato tutti continueranno a svolgere la loro delicata funzione di difesa e patrocinio del governo e degli altri organi costituzionali con il consueto e riconosciuto senso del dovere e professionalitˆ secondo la consolidata tradizione dellĠIstituto. 2. Le disposizioni in materia di onorari di causa recate dallĠart. 9 del D.L. n. 90 del 2014 incidono in modo cos“ significativo sullĠassetto ordinamentale dellĠAvvocatura dello Stato e sulla figura professionale dei suoi componenti che potrebbe a regime incidere anche sulla stessa funzionalitˆ dellĠIstituto. La predetta disposizione, comĠ noto, azzera gli onorari in precedenza attribuiti dalla legge agli avvocati e procuratori dello Stato nei casi di esito definitivamente vittorioso della lite con compensazione delle spese del giudizio (spese compensate) e limita al dieci per cento del totale gli onorari ripartibili tra gli avvocati quando questi siano liquidati dal giudice e riscossi nei confronti delle controparti (spese liquidate). Sostanzialmente, viene cos“ eliminato un compenso che ha costituito, da sempre, il segno distintivo del carattere professionale dellĠAvvocatura dello Stato. LĠAvvocatura dello Stato , comĠ noto, lĠorgano pubblico di tutela legale dellĠEsecutivo e degli altri organi anche costituzionali affidati al suo patrocinio. In ragione delle funzioni da loro svolte, che non differiscono in alcun modo, quanto ad oneri e responsabilitˆ, da quelle di ogni altro avvocato, fin dal tempo dellĠistituzione dellĠAvvocatura dello Stato, risalente al 1876, il legislatore ha sancito il diritto degli avvocati e procuratori dello Stato, selezionati per concorso pubblico tra i pi rigorosi in Italia, in aggiunta al trattamento stipendiale, alla percezione degli onorari delle (sole) cause vinte, quale corollario imprescindibile del carattere professionale dellĠattivitˆ a loro demandata. Nella relazione in data 22 dicembre 1875 della commissione incaricata di elaborare il regolamento preordinato allĠistituzione dellĠAvvocatura dello Stato, realizzata nellĠambito della riforma degli uffici del pubblico ministero prefigurata dalla legge 28 novembre 1875, n. 2781, furono infatti rimarcati gli evidenti vantaggi di interessare i difensori al buon successo delle liti per lĠAmministrazione; proprio su questo presupposto lĠart. 15 del regolamento 16 gennaio 1876, n. 2914, previde che ciascuna Avvocatura era deputata a curare ÒlĠesazione delle competenze dĠavvocati e procuratori poste a carico della controparte nei giudizi sostenuti direttamente da quegli Uffici, per ripartirle tra i loro funzionari, secondo le norme da approvarsi dal Ministro delle finanze, di concerto con quello della giustiziaÓ. Di questo sistema, nel dibattito parlamentare sviluppatosi negli anni immediatamente successivi, ne fu espressamente ravvisata lĠimprescindibilitˆ nel fatto che la mancanza di Òquella disposizione per la quale lĠavvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui  condannata la parte soccombenteÓ avrebbe irrimediabilmente Òspezzato i suoi legami col foroÓ e Òmutato i cardini dellĠistituzioneÓ; in altri termini, lĠavvocato ÒerarialeÓ sarebbe diventato Òassolutamente un impiegato dello StatoÓ (On. Spirito, Atti Parlamentari, Sessione 1889), con conseguente pre giudizio per lĠeffettivitˆ della difesa dello Stato e per lĠinteresse della collettivitˆ. Mi permetto di richiamare il resoconto di quella seduta della Camera dei deputati del 19 giugno 1889 perchŽ la questione che si tratt˜  praticamente identica a quella che oggi ci occupa; essa fu dibattuta con una ricchezza e finezza di argomentazioni, una coerenza logica ed una saggezza tali che, pur essendo passato da allora molto pi di un secolo, davvero non so individuare oggi ragioni pi efficaci per dimostrare che negare al difensore istituzionale dello Stato il diritto a percepire lĠonorario delle cause integralmente vinte possa rivelarsi un attacco alla natura professionale dellĠattivitˆ difensiva svolta dagli Avvocati dello Stato. Sia chiaro: oggi come allora si pu˜ essere certi che Ògli avvocati erariali non abbiano bisogno di questo stimolo per compiere il loro dovereÓ. Ma, oggi come allora,  altrettanto certo che eliminare o anche solo intaccare il diritto a percepire gli onorari delle cause vinte significherebbe disconoscere quel segno di comunanza con la libera professione forense che  innegabilmente alla base della dedizione, dimostrata in tutta la storia dellĠIstituto dagli avvocati e procuratori dello Stato, ad affrontare il proprio lavoro con grande spirito di sacrificio, senza mai risparmiarsi, senza mai rivendicare limiti massimi ai carichi di lavoro pro capite, con reperibilitˆ sullĠintera giornata, con un assiduo lavoro giornaliero per rispettare i termini processuali di scadenza. Ne costituisce inequivocabile riprova il fatto che, nonostante un organico di cui si  reiteratamente segnalata la macroscopica inadeguatezza e che attualmente, per effetto delle note limitazioni del turn over,  fermo ad appena trecentoquaranta avvocati e pro- curatori e a meno di novecento impiegati amministrativi, lĠIstituto continua ugualmente a far fronte ad un contenzioso imponente e complesso. Contenzioso che si  addirittura pi che quadruplicato solo negli ultimi cinque lustri e che di anno in anno si accresce secondo la media dellĠultimo decennio di almeno 180 mila nuovi affari (con punte superiori a 200 mila), di cui pi di 50.000 solo a Roma. Da studi esterni recentemente svolti si rileva che ciascun affare costa in media allo Stato (tenuto conto, oltre che degli emolumenti spettanti al personale togato e amministrativo, di ogni altra voce di bilancio degli oneri di funzionamento dellĠIstituto, ivi compresi i fitti figurativi degli immobili utilizzati) 800 euro circa, ossia un decimo dei costi di mercato. Pur in presenza di questa impressionante mole di lavoro - che si riflette in un carico medio di circa 500 nuovi affari legali per anno per avvocato, che si sommano alle migliaia di quelli pendenti - lĠefficacia dellĠimpegno, dei sacrifici e delle capacitˆ professionali degli avvocati e procuratori dello Stato  testimoniata dallĠesito pienamente vittorioso per le Amministrazioni difese (almeno il 70 per cento, per un valore di circa 18 miliardi di euro) delle controversie trattate non ultime quelle in materia di lotta allĠevasione fiscale. In questo quadro, le misure recate dallĠart. 9 del D.L. n. 90 del 2014 appaiono obiettivamente poco comprensibili, oltre che, in certo senso, contraddittorie con lĠesigenza comunemente avvertita, e che andrebbe ancor pi valorizzata, di correlare lĠerogazione dei compensi accessori allĠimpegno profuso e ai risultati concretamente ottenuti. Come tali, in effetti, esse sono percepite non solo dagli avvocati e procuratori dello Stato, ma anche dal personale amministrativo (si ricorda che questĠultimo, per effetto dellĠart. 43 della legge n. 69 del 2009,  destinatario di una quota pari al 12,50 per cento degli onorari spettanti agli avvocati e procuratori dello Stato): personale che, in funzione di supporto a quello togato, con questo condivide parte degli oneri e delle responsabilitˆ dellĠattivitˆ professionale dellĠIstituto. Il sostanziale azzeramento degli onorari (che proprio in ragione della loro natura di compenso professionale non sono pensionabili), ove confermato, avrebbe, dunque, un effetto obiettivamente disincentivante e frustrante, destinato inevitabilmente a pregiudicare la funzionalitˆ dellĠIstituto: effetto, questo, giˆ manifestatosi nella richiesta formulata dalle associazioni di categoria di determinare il limite dei carichi di lavoro individuali, come per il personale delle altre magistrature. Gli Avvocati dello Stato sono ben consapevoli della necessitˆ, nellĠattuale situazione di drammatica crisi economica, che tutte le componenti della pubblica amministrazione debbono compiere dei sacrifici anche economici, ai fini del contenimento della spesa pubblica, ma al riguardo la recente legge di stabilitˆ n. 147/2013 ha giˆ previsto, per un triennio una decurtazione degli onorari complessivamente stimabile oltre il 20% del loro ammontare. LĠabbattimento degli onorari ora disposto si traduce in un totale e irrimediabile snaturamento di un Istituto di alta qualificazione tecnico-professionale ed in una mortificazione dei propri componenti. Sono certo che sia stato ben compreso come la finalitˆ del mio intervento non  quella di assecondare rivendicazioni di tipo corporativo: nullĠaltro ho voluto fare, in coscienza, che adempiere al dovere, per me imprescindibile, di fare tutto il possibile affinchŽ sia preservato, nellĠesclusivo interesse della collettivitˆ nazionale, quel carattere coessenzialmente professionale dellĠattivitˆ dĠIstituto che continuamente si esprime nelle centinaia di migliaia di giudizi che vedono coinvolte le Amministrazioni patrocinate davanti ai giudici nazionali, internazionali e comunitari. Appellandomi alla consapevole sovrana volontˆ del Parlamento non posso, dunque, che concludere con lĠauspicio accorato che sia evitato il totale ed irrimediabile snaturamento di un Istituto che da quasi centoquarantĠanni contribuisce ad assicurare al Paese lĠattuazione dei principi dello Stato di diritto e la salvaguardia delle sue Istituzioni. AUDIZIONE 8 LUGLIO 2014 ASSOCIAZIONE UNITARIA AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO ASSOCIAZIONE NAZIONALE AVVOCATI E PROCURATORI DELLO STATO Desideriamo innanzitutto ringraziare il Presidente e gli Onorevoli componenti della I Commissione, per lĠopportunitˆ che viene offerta alle Associazioni di categoria dellĠAvvocatura dello Stato, di interloquire sugli effetti che la riforma degli onorari, introdotta dallĠart. 9 del D.L. 90/2014, ha per lĠAvvocatura dello Stato. Siamo qui per offrire una serie di dati conoscitivi che consentano di valutare appieno il servizio che lĠAvvocatura dello Stato rende ai cittadini di questo Paese; siamo qui per rispondere alle Vostre domande, tentare di dare un contributo al dibattito e fornire riflessioni utili sul modello di P.A. che si vuole perseguire, al fine di individuare le misure normative pi adatte a realizzare lĠobiettivo dellĠefficienza e dellĠeconomicitˆ dellĠamministrazione. L'Avvocatura dello Stato  un organo tecnico, altamente specializzato, autonomo e indipendente dalla molteplicitˆ delle amministrazioni patrocinate, preposto al contenimento della spesa pubblica attraverso l'esercizio dell'attivitˆ consultiva e di difesa esclusiva dello Stato in giudizio. Non si pu˜ che partire dai dati. Come avremo modo di dimostrare sono i numeri, nella loro nuda oggettivitˆ, a testimoniare che lĠAvvocatura dello Stato  un modello efficiente, che garantisce, a basso costo, risultati estremamente positivi in termini di controllo della legalitˆ, contenimento della spesa pubblica e, in definitiva, tutela delle tasche dei cittadini italiani. Solo partendo da questa premessa comune, fondata su dati oggettivi ed incontrovertibili,  possibile ragionare insieme sulle misure necessarie a migliorare il servizio, anche in termini di economicitˆ. Questi allora, in sintesi, i dati dellĠAvvocatura dello Stato. Attivitˆ: i 340 avvocati dello Stato, attualmente in servizio, curano in via esclusiva lĠassistenza legale e la difesa dello Stato (compresi gli Organi Costituzionali, e quindi Presidenza della Repubblica, Camera e Senato, oltre le Regioni e degli altri Enti ammessi al patrocinio), su tutto il territorio nazionale, e anche dinanzi a giurisdizioni sovranazionali, nei giudizi civili, penali, tributari e amministrativi, in 180.000 nuovi affari ogni anno, per una media di circa 500 nuovi affari allĠanno per ogni avvocato; curano anche la consulenza legale a favore delle amministrazioni in sede amministrativa, stragiudiziale e precontenziosa. Ogni giorno, dunque, nello studio di un avvocato dello Stato transitano decine di atti e di fascicoli e, con riferimento a ciascuno di essi viene presa, con velocitˆ e precisione, una decisione. Ogni giorno vengono elaborati una pluralitˆ di atti che richiedono studio delle questioni ed elaborazione di argomenti defensionali. Rilevanza economica del contenzioso: il valore economico del contenzioso curato ogni anno dallĠAvvocatura dello Stato  stimabile in 25-26 miliardi di euro allĠanno. Occorre precisare che si tratta di stime basate su proiezioni, considerato che  ben possibile, perchŽ  giˆ accaduto, che un solo contenzioso possa da solo superare di gran lunga tali cifre (si pensi alla controversia sullĠIrap da 100 miliardi di euro vinta dallĠAvvocatura dello Stato davanti alla Corte di Giustizia). Costo per lo Stato: il costo complessivo annuale di tutta lĠAvvocatura dello Stato  di soli 150 milioni di euro (nei quali vanno computate le retribuzioni del personale togato e amministrativo, compresi gli onorari di causa, nonchŽ ogni altra voce di bilancio concernente gli oneri di funzionamento dellĠIstituto, compresi i canoni di affitto degli immobili utilizzati, spese informatiche, per carta, cancelleria etc.). Si tratta di un costo medio pari a 800 euro a causa, per tutti i gradi di giudizio, indipendentemente dal valore della causa, anche quando milionario (di media, meno di 300 euro per ogni grado di giudizio), di gran lunga inferiore rispetto ai valori di mercato e al costo di qualunque attivitˆ di assistenza e patrocinio legale presso altre realtˆ pubbliche (basti guardare in proporzione ai costi di assistenza legale di Poste Italiane o di Ferrovie dello Stato, un tempo difese dallĠAvvocatura dello Stato). Risultati: oltre a svolgere attivitˆ consultiva (attivitˆ particolarmente apprezzata, a presidio della legalitˆ e della spesa, tanto che lĠart. 33 del d.l. 90/2014 lĠha prevista in via di urgenza a favore della societˆ Expo 2015 s.p.a., per la soluzione transattiva delle controversie), lĠAvvocatura dello Stato registra una percentuale di completa vittoria nel 70% circa delle cause patrocinate (senza considerare quelle ove si registra una soccombenza minima), garantendo la salvaguardia di un risparmio per lo Stato di circa 18 miliardi di euro. Retribuzioni: la retribuzione dellĠAvvocato dello Stato  costituita da una parte fissa e da una parte variabile, questa ultima legata ad oggettivi risultati positivi ottenuti in giudizio, pari ad una quota delle spese legali relative alle cause totalmente vinte: si tratta di un compenso tipico della professione forense, legato al merito pieno (solo per le cause totalmente vinte) certo ed oggettivo (frutto della decisione di un Giudice terzo); tale parte variabile non comprende lĠattivitˆ di consulenza legale svolta dallĠavvocato dello Stato nŽ il patrocinio curato dinanzi alla Corte Costituzionale o alle giurisdizioni sovranazionali, ove non cĠ regolamento di spese. LĠAvvocato dello Stato, peraltro, non ha carichi di lavoro predeterminati, nŽ limiti di orario ed  soggetto a termini ineludibili e a responsabilitˆ immediata, diretta e personale dinanzi alla Corte dei Conti in relazione alla trattazione di cause anche milionarie. Il modello Avvocatura dello Stato assicura dunque competenza e risultati particolarmente sod disfacenti nel rapporto costo benefici: fornisce infatti totale assistenza legale allo Stato in tutte le sue articolazioni e a una pluralitˆ di enti pubblici, in via esclusiva, al costo complessivo di 800 euro a causa, vincendo il 70% delle cause e offrendo anche consulenza legale per lĠadozione di provvedimenti amministrativi complessi, in funzione di presidio della legalitˆ e controllo della spesa. Tutto ci˜  possibile grazie alla competenza di un gruppo di avvocati scelti allĠesito di una selezione durissima: si accede per doppio concorso, il secondo - quello per Avvocato dello Stato - aperto a magistrati amministrativi e/o ordinari, procuratori dello Stato, professori universitari, dirigenti e avvocati del libero foro con una certa anzianitˆ (4 prove scritte e 15 materie orali, oltre ad una difesa orale relativa ad una contestazione giudiziale). LĠAvvocatura dello Stato ha bisogno di attrarre merito, efficienza e competenza per poter combattere ogni giorno, a difesa delle risorse pubbliche, contro agguerriti studi legali privati, che sempre di pi sono dotati di una elevata specializzazione e di una organizzazione strutturata, talvolta anche a carattere internazionale, per far fronte ad un contenzioso complesso, come quello concernente la lotta allĠevasione fiscale (ove la percentuale di vittoria delle cause patrocinate in Cassazione dallĠAvvocatura dello Stato si attesta intorno allĠ85%). Anche di recente lĠIstituto e le Associazioni sindacali hanno segnalato situazioni di criticitˆ dipendenti dall'esplosione del contenzioso verificatasi negli ultimi venti anni cui non ha corrisposto un proporzionale adeguamento dell'organico, la cui scopertura si  anzi aggravata negli ultimi cinque anni per via del blocco del turn over. Sono stati conseguentemente chiesti il completamento dellĠorganico mediante il reclutamento di giovani preparati, l'autonomia finanziaria, la modernizzazione degli strumenti operativi e decisionali (quali, CAPS a maggioranza elettiva, incarichi direttivi a tempo determinato, investimenti per lĠinformatizzazione, borse di studio per i giovani praticanti), nonchŽ una verifica ancora pi stringente dei risultati e della produttivitˆ individuale e di quella dei titolari di incarichi direttivi. Noi crediamo, infatti, che quando un modello funziona - e lĠAvvocatura dello Stato certo funziona e porta risultati oggettivi - il risparmio di spesa si raggiunge non tagliando, ma investendo; ci˜ perchŽ lĠinvestimento su un modello vincente ha rendimenti molto pi alti dei costi e consente immediati recuperi di efficienza e di performance del servizio garantito ai cittadini. Servizio e risultati che, nel caso dellĠAvvocatura, si traducono in immediati risparmi di spesa o nuove entrate per lĠErario. Basti pensare che anche solo riuscendo - con investimenti mirati - ad aumentare del 3 o 4% le vittorie in giudizio, si otterrebbe un risparmio stimato di spesa pari a 1 miliardo di euro, e cio pari a circa 7 volte il costo complessivo annuale di tutta lĠAvvocatura dello Stato, nonchŽ a pi di 30 volte il valore dellĠintervento che si propone. In questo contesto sorprende che la misura contenuta nellĠart. 9 proponga solo un isolato taglio lineare dei compensi legati al merito dimostrato sul campo, un sostanziale azzeramento del compenso professionale previsto per le cause totalmente vinte, che colpisce indistintamente tutti gli avvocati dello Stato, indipendentemente dalla loro produttivitˆ e soprattutto i pi giovani. Viene cancellato il compenso previsto per il merito certo, pieno e oggettivo dellĠAvvocato (la vittoria totale della causa, consacrata dal passaggio in giudicato della decisione), deciso da un Giudice terzo (e non dalla stessa amministrazione, magari allĠesito di oscuri percorsi di autovalutazione). Diciamo cancellato perchŽ a seguito del taglio di cui all'art. 9 cit. in futuro gli avvocati dello Stato si vedranno corrisposta una somma pari all'uno per cento degli onorari sino ad oggi riconosciuti. Si tratta invero di una norma estranea agli stessi principi ispiratori della riforma della p.a. (merito, responsabilitˆ, economicitˆ), che sgancia lĠattivitˆ professionale degli avvocati dello Stato dal risultato, cos“ rischiando di trasformare lĠavvocato dello Stato in un ÒburocrateÓ. Per una serie di elementari considerazioni la norma taglia onorari snatura lĠAvvocatura dello Stato, muovendosi in senso contrario a quella ricerca della performance cui invece dovrebbe tendere tutta la p.a. LĠavvocato dello Stato , anzitutto, un avvocato e, al fine di garantire la massima efficacia della difesa in giudizio dello Stato,  necessario che percepisca se stesso ed il proprio ruolo in tale specifica prospettiva. La misura in esame invece snaturando lo status dellĠavvocato dello Stato, ne snatura la funzione, minando seriamente la possibilitˆ che lĠavvocato dello Stato possa, in futuro, competere ad armi pari con gli avvocati del libero foro. Non solo. La misura in esame, paradossalmente, colpisce principalmente i giovani avvocati e procuratori dello Stato e produce, quindi, anche un effetto di vera e propria distorsione generazionale. I giovani avvocati e procuratori dello Stato, infatti hanno retribuzioni lorde pi basse rispetto ai loro colleghi e assai lontane dal tetto stipendiale (anche 1/5 rispetto al tetto); a causa di tale misura perdono immediatamente una voce variabile con cui si dava significativo e qualificante riconoscimento alle proprie competenze e responsabilitˆ, al risultato del proprio lavoro e al successo in giudizio, cos“ mutando improvvisamente un percorso professionale su cui tanto hanno investito e nel quale credono. In questo senso, considerando la peculiaritˆ dellĠattivitˆ svolta dallĠAvvocato dello Stato con un carico di lavoro indeterminato, scadenze ineludibili e responsabilitˆ immediata e diretta per cause anche milionarie - si corre il serio rischio che i giovani pi brillanti per capacitˆ e professionalitˆ non sceglieranno questa carriera, con una perdita di competenze e di appetibilitˆ, che non potrˆ non riverberarsi su risultati e sulla competitivitˆ futura. é indubbio, dunque, che gli effetti di tale disposizione non si esauriscono nel programmato risparmio di spesa iniziale, che anzi rischia di essere solo apparente, dovendo scontare inevitabili effetti in termini di indebolimento di un modello allo stato efficiente e competitivo, di presidio delle pubbliche finanze, con conseguente indiretto e futuro aggravio di costi per le casse dello Stato. LĠart. 9 cit., infatti, potrebbe conseguire lĠeffetto paradossale di realizzare la penalizzazione del merito, delle migliori intelligenze, dellĠefficienza e dei risultati oggettivi giˆ raggiunti, mentre lĠavvocatura dello Stato avrebbe bisogno di misure volte a conseguire la modernizzazione dei modelli organizzativi e decisionali, in funzione di miglioramento dellĠefficienza, dellĠeconomicitˆ e dellĠorganizzazione lavorativa, con virtuose ricadute sui risultati per le casse dello Stato. La domanda allora : vogliamo una struttura di controllo e contenimento della spesa pubblica efficiente, che produce risultati oggettivi e verificabili, costa meno del privato, guarda al merito e attira competenze? O vogliamo un modello di difesa dei conti pubblici debole? Vogliamo rafforzare e mantenere un modello di assistenza legale pubblica ed esclusiva, a costi irrisori e con risultati di eccellenza? O vogliamo un modello diverso, di affidamento - con i soldi pubblici - di incarichi e consulenze legali a professionisti privati, con ricadute disastrose in termini di aumento della spesa? Avere avvocati pubblici preparati e agguerriti, che si confrontano ogni giorno sul campo con avversari e studi legali bene organizzati, vincendo le cause solo per lo Stato a costi non paragonabili con quelli del settore privato, non pu˜ essere considerato un costo insopportabile nŽ un privilegio da tagliare. Ma la scelta intelligente di chi sceglie e premia il suo avvocato per competenza e merito. Questa  la domanda cruciale. Queste le nostre ragioni. Ed  su questo che ci piacerebbe discutere nellĠinteresse del Paese. Non vogliamo che lĠoccasione vada sprecata. PerchŽ il tempo delle riforme  qui ed  ora. Naturalmente noi Avvocati dello Stato non ci siamo mai sottratti e non intendiamo certo sottrarci ai sacrifici e al contributo che bisogna dare al Paese in questo momento di grave congiuntura economica. Nella legge di stabilitˆ 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147)  stato giˆ disposto infatti il taglio del 25% di tale forma di compenso legato al merito e al successo in giudizio. Qui per˜ non si discute di misure transitorie dirette a fronteggiare una congiuntura momentaneamente sfavorevole, ma di una misura strutturale, unicamente finalizzata alla sostanziale e definitiva eliminazione di una voce qualificante legata al merito e alla performance; il tutto, in assenza di corrispondenti misure di rafforzamento e modernizzazione del modello efficiente di avvocatura erariale. Il meccanismo premiale, che caratterizza e qualifica questo modello virtuoso di difesa dello Stato e presidio di legalitˆ va invece, per le ragioni sin qui illustrate, conservato e salvaguardato. E si auspica lĠabbandono della strada dellĠisolato e improduttivo taglio lineare e strutturale. Il che non vuol dire che gli avvocati dello Stato siano chiusi al confronto o abbiano un atteggiamento diretto alla conservazione dell'esistente. Chiediamo tuttavia che questo contributo sia davvero utile al Paese. Per questo chiediamo che non si cancelli proprio il meccanismo qualificante del modello vincente di avvocatura erariale; per questo chiediamo che si dia ancora maggiore forza e riconoscimento alle competenze e ai risultati raggiunti in termini di tutela delle finanze pubbliche. Per questo chiediamo una modernizzazione degli strumenti operativi e decisionali ed una verifica ancora pi stringente dei risultati e della produttivitˆ individuale e di quella dei titolari di incarichi direttivi. PerchŽ, quando il modello funziona, solo investendo e adeguandolo ai tempi  possibile aumentare lĠefficienza e lĠeconomicitˆ dellĠazione a presidio della legalitˆ e delle pubbliche finanze. Perch crediamo che qualunque misura di riforma, anche eventualmente temporanea e congiunturale, non possa prescindere da obiettivi di modernizzazione e investimento, finalizzati al miglioramento della performance. Solo cos“ possiamo davvero rendere un servizio al Paese e non sprecare lĠopportunitˆ della riforma. Siamo dunque disponibili allĠintroduzione di misure di ammodernamento e rafforzamento del modello di Avvocatura dello Stato e chiediamo che di essi si discuta nellĠambito di una riforma complessiva, nella sede appropriata della riforma della giustizia in corso di preparazione. Lo chiediamo in nome dei risultati ragguardevoli giˆ raggiunti al servizio dello Stato e a difesa delle tasche dei cittadini. E lo chiediamo soprattutto a tutela dei giovani e delle generazioni di avvocati dello Stato che verranno e che decideranno di mettere i loro talenti e le loro migliori competenze al servizio dello Stato. Per il Presidente dellĠAUAPS Avv. Antonio Gangemi Il Segretario dellĠAUAPS Avv. Giuseppe Zuccaro Il Presidente dellĠANAPS Avv. Rosario Di Maggio PARTE I - 3. Testimonianze recenti e passate: Carlo Deodato, I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo e il Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica - (segue) Giuseppe Palma, Una sana ÒcuriositasÓ giuridica (auspicabile non ÒvanaÓ) sul nuovo sistema retributivo degli appartenenti allĠAvvocatura di Stato -(segue) Arturo Camillo Jemolo, LĠavvocatura dello Stato - (segue) Una sentenza dei giudici amministrativi sul ruolo degli avvocati dello Stato. CARLO DEODATO I limiti costituzionali alla spending review: quello che il Governo eil Parlamento possono (e non possono) fare per ridurre la spesa pubblica SOMMARIO: 1. Premessa - 2. I limiti costituzionali allĠadozione di misure di contenimento della spesa relative a rapporti di durata - 3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dellĠuomo - 4. La compatibilitˆ con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti dellĠuomo della spending review italiana - 5. Considerazioni finali. 1. Premessa. Nel presente studio ci dedicheremo ad identificare i limiti costituzionali allĠattivitˆ legislativa preordinata alla riduzione della spesa pubblica. ComĠ noto, la necessitˆ di rispettare i vincoli finanziari europei (cristallizzati nel c.d. fiscal compact) e lĠobiettivo, ormai costituzionalizzato (con la legge costituzionale n. 1 del 2012), del pareggio di bilancio (1) hanno imposto unĠopera di revisione, in senso riduttivo, dei programmi di spesa pubblica, meglio nota come spending review. LĠanalisi delle voci di spesa risulta, in tal senso, finalizzata alla previa individuazione (essenzialmente politica) di quelle che possono essere ridotte ed alla successiva adozione delle misure (amministrative o normative, a seconda del titolo della spesa) mirate alla produzione dellĠeffetto della diminuzione dei relativi impegni finanziari. Ora, a fronte dellĠesigenza di intervenire su voci di spesa attinenti a diritti patrimoniali relativi a rapporti giuridici di durata, appare indispensabile scrutinare la compatibilitˆ costituzionale delle diverse misure adottabili, come contributo scientifico di riflessione, in unĠottica costruttiva (e per nulla polemica), sui principi costituzionali che possono rivelarsi vulnerati da una declinazione rozza, arbitraria o, comunque, poco consapevole della necessitˆ (per molti versi ineludibile) di riduzione della spesa pubblica. E proprio per evitare qualsivoglia sospetto di critica politica allĠoperato del Governo (di quello in carica o di quelli che lo hanno proceduto) o, peggio, di militanza nel partito della spesa pubblica, o, ancora peggio, di difesa corporativa di prerogative o di diritti quesiti, ci asterremo dalla disamina di singoli (1) R. DICKMANN, Governance economica europea e misure nazionali per l'equilibrio dei bilanci pubblici, Roma, 2013. provvedimenti e manterremo la nostra analisi su un piano generale e astratto, limitandoci a tracciare i confini allĠinterno dei quali devono essere concepite ed attuate le misure di riduzione della spesa (per sfuggire a fondate censure di incostituzionalitˆ) ed esaminando, sempre in astratto ed alla stregua dei predetti parametri, le diverse tipologie di interventi. Per offrire un contributo di riflessione che sia utile, attendibile e scientificamente coerente, fonderemo la nostra analisi sugli insegnamenti che la Corte Costituzionale ha avuto modo di elaborare ed impartire sulla materia in questione, in modo da verificare, sulla base di quei principi, le misure che appaiono o meno compatibili con la Costituzione. Esigenze di completezza della trattazione impongono, da ultimo, di non trascurare i postulati della Corte Europea dei diritti dellĠuomo in merito alla tutela dei diritti dei cittadini relativi a rapporti di durata e, anzi, di esaminare la legittimitˆ delle misure italiane di spending review anche con riguardo ai principi della CEDU. Il tema si presta, peraltro, ad essere analizzato anche secondo una prospettiva pi propriamente politologica, che esamini, segnatamente, lĠinfluenza della crisi del debito sulla forma di Stato, sulla trasformazione del welfare, sul grado di protezione dei diritti sociali e, in particolare, sulla possibile evoluzione dello Stato sociale (che riconosce ai cittadini perlopi diritti a prestazioni sociali pubbliche) in Stato liberale (che riconosce ai cittadini perlopi, se non solo, libertˆ negative) (2). Ma ci limiteremo, sotto questo profilo, a sommarie e necessariamente incomplete riflessioni nelle considerazioni conclusive. 2. I limiti costituzionali allĠadozione di misure di contenimento della spesa relative a rapporti di durata. 2.1- La Corte Costituzionale si  occupata giˆ da diversi anni delle questioni attinenti alla compatibilitˆ con la Carta fondamentale della Repubblica di disposizioni legislative che comportano lĠestinzione o la riduzione di diritti patrimoniali relativi a rapporti di durata e si  preoccupata, con una serie ormai copiosa di decisioni, di descrivere lĠambito entro il quale tale tipologia di norme sfugge alle censure di incostituzionalitˆ e resta confinata nellĠalveo (a dire il vero piuttosto angusto) della conformitˆ ai principi costituzionali (3). 2.2- La Corte ha, innanzitutto, chiarito (ormai da parecchi anni) che il principio di irretroattivitˆ delle leggi (codificato allĠart. 11 delle disposizioni (2) Per una compiuta analisi di tale tema si veda P. GRIMAUDO, Lo stato sociale e la tutela dei diritti quesiti alla luce della crisi economica globale: il caso italiano, in Federalismi. (3) Non dedicheremo unĠattenzione particolare alle leggi di interpretazione autentica, atteso che la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto che, ai fini del giudizio di costituzionalitˆ di una legge retroattiva, resta indifferente la sua autoqualificazione come di interpretazione autentica (Corte Cost. nn. 36/1985, 167/1986, 233/1988 e, pi di recente, 41/2011 e 308/2013). sulla legge in generale, c.d. preleggi), ancorch non costituzionalizzato (4) (se non, per la sola materia penale, allĠart. 25 Cost.), rappresenta Òuna regola essenziale del sistema a cui, salvo unĠeffettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillitˆ dei cittadiniÓ (5). Adoperando un lessico forse pi appropriato per esprimere la valenza di un principio costituzionale, il canone di irretroattivitˆ delle leggi  stato, infatti, definito condicio sine qua non della certezza del diritto (6), elemento essenziale di civiltˆ giuridica (7), fondamento dello Stato di diritto (8) e principio generale dellĠordinamento (9). Il rispetto di tale regola implica, in particolare, che la nuova legge non possa essere applicata non solo ai rapporti giuridici che hanno esaurito i loro effetti prima della sua entrata in vigore, ma anche a quelli originati anteriormente e ancora efficaci (nella misura in cui la disposizione sopravvenuta privi di efficacia il fatto giuridico genetico verificatosi prima di essa). Il Giudice delle leggi non ha, tuttavia, negato la compatibilitˆ costituzionale di disposizioni legislative che incidano, in senso peggiorativo, su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata (e che, nei limiti sopra precisati, possono essere qualificate come leggi retroattive o, comunque, equiparate a queste ultime, ai fini che qui rilevano), ammettendo, anzi, esplicitamente, che tale fattispecie di norme non incontra nella Costituzione un divieto assoluto (10) (la cui violazione implica, di per sŽ ed automaticamente, lĠincostituzio( 4) Deliberatamente non costituzionalizzato, essendo stato respinto dallĠAssemblea costituente lĠemendamento dallĠon. Domined˜ finalizzato a tutelare dalle leggi retroattive i diritti quesiti (Òla legge non dispone che per lĠavvenire: essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesitiÓ), come ricordato da G. GROTARELLI DEĠ SANTI, Profili costituzionali dellĠirretroattivitˆ delle leggi, Milano, 1975, p. 48. (5) Corte Cost., n. 155/1990. (6) Corte Cost., n. 194/1976. (7) Corte Cost., n. 13/1977. (8) Corte Cost., n. 108/1981. (9) Corte Cost., n. 91/1982. (10) R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, Giuffr, 1993; R. QUADRI, Applicazione della legge in generale, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1974; A. CERRI, Leggi retroattive e Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi, in Giur. Cost., 1975; L. PALADIN, Appunti sul principio di irretroattivitˆ, in Il foro amministrativo, 1959; A. FALZEA, Efficacia Giuridica, in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, 1965, p. 432; R. CAPONI, La nozione di retroattivitˆ della legge, in Giurisprudenza Costituzionale, 1990, p. 103 e ss.; CIAN G. -TRABUCCHI A., Commentario breve al Codice civile, Padova, 2011, p. 26 e ss.; G.U. RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, in Giurisprudenza costituzionale, 1964, p. 780 e ss.; M. PATRONO, Legge (vicende della), in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, 1973, p. 927 e ss.; A. PIZZORUSSO, Commentario al Codice civile, Art. 1-9. Fonti del diritto. Disposizioni preliminari, Bologna, 2011, p. 255 e ss.; G. GROTTARELLI DEĠ SANTI, Profili costituzionali dellĠirretroattivitˆ delle leggi, Milano, 1975, p. 48: T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, 2010, p. 99 e ss.; A.M. SANDULLI, Il principio della irretroattivitˆ della legge e la Costituzione, in Foro amministrativo, 1947, II, p. 81 e ss.; C. ESPOSITO, nalitˆ), ma ha presidiato la pertinente attivitˆ legislativa di una serie di vincoli la cui inosservanza (questa s“) comporta il vizio di incostituzionalitˆ (11). Sono stati, in particolare, identificati alcuni valori costituzionali che fungono da argini, nel senso che il loro superamento integra gli estremi della violazione costituzionale, allĠapprovazione di disposizioni legislative modificative in peius di diritti soggettivi perfetti relativi a rapporti di durata. In tale prospettiva, la Corte ha precisato che lĠapprovazione di leggi con efficacia retroattiva deve intendersi preclusa o, comunque, limitata dal necessario rispetto dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (12), del legittimo affidamento dei cittadini sulla stabilitˆ della situazione normativa preesistente (13) e sulla certezza delle situazioni giuridiche ormai consolidate (14), della coerenza dellĠordinamento (15), nonch di altri valori costituzionali quali, ad esempio, le garanzie del lavoro, la libertˆ di iniziativa economica (16) e lĠindipendenza della magistratura (17). Tale indirizzo  stato, da ultimo, confermato, se non rafforzato, da una recentissima pronuncia (18) con la quale i giudici di Palazzo della Consulta hanno ribadito e chiarito che la retroattivitˆ deve trovare adeguata giustificazione Ònella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generaleÓ. é stato, peraltro, ulteriormente precisato che la modifica in senso sfavorevole della disciplina dei rapporti di durata non pu˜ mai essere arbitraria o irrazionale (19) e devĠessere, in ogni caso, giustificata da esigenze eccezionali ed idonee, come tali, ad imporre sacrifici Òeccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefissoÓ (20). La irragionevolezza (e, quindi, la incostituzionalitˆ) delle misure pu˜, inoltre, essere esclusa solo se le decurtazioni previste sono imposte da esigenze straordinarie di contenimento della spesa pubblica e presentano unĠef- La Costituzione italiana, Padova, 1954; P. BARILE, Note e pareri sullĠirretroattivitˆ delle norme tributarie, in Diritto dellĠeconomia, 1957, p. 41 e ss.; M. NIGRO, In tema di irretroattivitˆ della legge e principi costituzionali, in Foro amministrativo, 1957, I, p. 35 e ss.; I. MANZONI, Sul problema della costituzionalitˆ delle leggi retroattive, in Rivista di diritto finanziario, 1968, p. 319 e ss.; S. CAIANELLO, La retroattivitˆ della norma tributaria, Napoli, 1981. (11) A. VALENTINO, Il principio dĠirretroattivitˆ della legge civile nei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dellĠuomo, in www.associazionedeicostituzionalisti. it. (12) Corte Cost., n. 282/2005. (13) Corte Cost., n. 160/2013, n. 209/2010, n. 525/2000. (14) Corte Cost., n. 24/2009, n. 74/2008, n. 156/2007. (15) Corte Cost., n. 209/2010. (16) Corte Cost., n. 211/1997. (17) Corte Cost., n. 397/1994. (18) Corte Cost., n. 156/2014. (19) Corte Cost., nn. 417 e 179/1996, 390/1995, 330/1999. (20) Corte Cost., n. 245/1997. ficacia temporale limitata e circoscritta (e, cio, se non modificano a regime i diritti incisi) (21). Non solo, ma i sacrifici non possono essere irragionevolmente imposti ad una sola categoria di cittadini (22), integrandosi altrimenti gli estremi del vizio di violazione del principio di eguaglianza (a causa della disparitˆ di trattamento che pu˜ essere ravvisata nella differente previsione di prestazioni patrimoniali a carico di diverse categorie di cittadini). 2.3- Come si vede da questa sintetica rassegna, il Giudice delle leggi ha, s“, ammesso la compatibilitˆ costituzionale di leggi modificative in peius di diritti soggettivi perfetti attinenti a rapporti di durata, ma ha circondato lĠaffermazione di tale astratta autorizzazione (rivolta al legislatore ordinario) di una serie di cautele, di avvertenze, di vincoli, di limiti che hanno reso piuttosto impervio e stretto il sentiero che pu˜ essere utilmente percorso per giungere alla meta dellĠapprovazione di disposizioni legislative del tipo in esame che sfuggano (prima) alle censure e (poi) alla declaratoria di incostituzionalitˆ (come confermato dallĠelevato numero di pronunce con cui  stato riscontrato il predetto vizio). La Consulta ha, in particolare, valorizzato, per un verso e con molteplici statuizioni, lĠesigenza di garantire il legittimo affidamento dei cittadini sulla certezza dei rapporti giuridici e sulla stabilitˆ delle situazioni soggettive (quale principio cardine della convivenza civile) e, per un altro, lĠinteresse alla tutela di altri valori costituzionali coinvolti (quali quelli relativi al lavoro ed alla libertˆ di iniziativa economica, oltre ch il principio di eguaglianza), quali limiti invalicabili allĠattivitˆ legislativa in esame. Ovviamente la Corte si  anche fatta carico della straordinarietˆ delle esigenze di contenimento della spesa pubblica ed ha, quindi, riconosciuto in esse gli estremi della causa giustificatrice dellĠapprovazione di leggi con efficacia retroattiva, ma ha, al contempo, presidiato queste ultime di ulteriori vincoli, perlopi riferiti alla temporaneitˆ dei sacrifici imposti ai cittadini ed alla stretta strumentalitˆ di questi ultimi alla soddisfazione delle necessitˆ di bilancio. 2.4- Si tratta, in definitiva, di una giurisprudenza, ormai consolidata ed intrinsecamente coerente con le esigenze di tutela di tutti gli interessi costituzionali coinvolti, che non descrive, tuttavia, un percorso lineare e sicuro per conseguire lo scopo dellĠapprovazione di leggi sicuramente immuni da vizi di incostituzionalitˆ, ma che certamente dissemina la strada di segnali e di avvertimenti che dovrebbero (se rettamente intesi) scongiurare quel pericolo. Saggiamente, in ogni caso, la Corte ha enucleato una serie di principi, di parametri valutativi e di paradigmi di giudizio che le consentano quel margine di apprezzamento nella delibazione del bilanciamento dei diversi valori in (21) Corte Cost., n. 310/2013. (22) Corte Cost., n. 113/2013, 223/2012. gioco che non pu˜ che restare riservato, in ultima istanza, alla prudente e sapiente decisione del Giudice a cui resta affidata la custodia dei principi su cui  fondata la Repubblica. 3. I limiti stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dellĠuomo. 3.1- Anche la Corte EDU, espressamente investita della questione, si  preoccupata di individuare i principi della Convenzione che vietano lĠapprovazione di disposizioni legislative che introducono una reformatio in peius di rapporti giuridici di durata. E, nel medesimo solco tracciato dalla Corte Costituzionale, anche la Corte di Strasburgo si  preoccupata di stabilire i limiti allĠinterno dei quali le norme del tipo in esame possono ritenersi rispettose dellĠart. 6 della CEDU e dellĠart.1 del Protocollo addizionale. DallĠesegesi della prima clausola, che sancisce il diritto al giusto processo, la Corte EDU ha, in particolare, ricavato due corollari: il divieto di ingerenza per il legislatore nelle controversie pendenti in cui  parte lo Stato e il principio di paritˆ delle armi, che impediscono lĠapprovazione di disposizioni retroattive finalizzate a risolvere (in favore dello Stato ed in danno del privato) cause pendenti (23). La seconda disposizione citata, che sancisce la tutela della proprietˆ privata,  stata, invece, valorizzata dalla Corte di Strasburgo al fine di assicurare la protezione delle legittime aspettative (esprance lgitime) dei cittadini nei confronti di disposizioni legislative ablative dei loro diritti, anche di credito (equiparati, a questi fini, a beni materiali), o finalizzate a ridurne il contenuto patrimoniale (24). 3.2- Anche la Corte EDU non ha, peraltro, escluso la compatibilitˆ con gli artt. 6 della Convenzione e 1 del Protocollo addizionale (che, si ripete, afferma il principio della protezione della proprietˆ, ma che  stato interpretato come esteso anche alla tutela dei crediti e delle aspettative legittime) di disposizioni legislative retroattive che modifichino in peius rapporti di durata a tutela di un preminente interesse generale, ma ha chiarito che lĠincisione dei diritti, per essere giudicata conforme ai suddetti parametri, devĠessere giustificata dallĠindefettibile sussistenza, oltre ch di un motivo imperativo di interesse generale (imprieux motifs dĠintŽret gŽnŽral), dal ragionevole vincolo di proporzionalitˆ tra il contenuto delle disposizioni ÒablativeÓ e lo scopo perseguito. In mancanza del rispetto della predetta condizione (e, cio, della proporzionata adeguatezza del mezzo prescelto rispetto al fine generale), ogni disposizione idonea ad imporre ai cittadini un sacrificio irragionevole, squilibrato (23) Raffinerie greche Stran e Stratis Andreatis/Grecia, sentenza 9 dicembre 1994. (24) De Stefano/Italia, 3 giugno 2008, ricorso 28443/06; Beyeler/Italia, 5 gennaio 2000, ricorso 33202/96; Ambruosi/Italia, 19 ottobre 2000, ricorso 31227/96. e sproporzionato confligge con le richiamate clausole della CEDU ed implica la condanna dello Stato che lĠha approvata (25). 3.3- Come si vede, la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di quella di Strasburgo obbediscono ai medesimi canoni valutativi ed affermano, in definitiva, gli stessi principi, cos“ riassumibili: le leggi retroattive che indicono sfavorevolmente su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata sono ammesse solo se si fondano sullĠesigenza di realizzare un preminente interesse generale e se il sacrifico imposto a diritti, o anche ad aspettative legittime e consolidate, non risulta sproporzionato, irragionevole o complessivamente squilibrato. 4. La compatibilitˆ con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti dellĠuomo della spending review italiana. 4.1- Cos“ tracciati i confini entro i quali il legislatore ordinario appare legittimato a estinguere o a ridurre il contenuto di diritti economici attinenti a rapporti di durata ovvero a conformarli secondo una diversa e pi sfavorevole disciplina giuridica, senza violare i principi della Costituzione Repubblicana e della CEDU, resta da verificare in che termini le misure di contenimento della spesa pubblica attinenti alla spending review ed ipotizzate o giˆ deliberate dal Governo in carica e da quelli precedenti risultano rispettose dei limiti sopra individuati. 4.2- Giova, al riguardo, premettere che i canoni di costituzionalitˆ della tipologia delle disposizioni considerate sono stati (consapevolmente) enunciati dalla Corte con un lessico tale da non vincolare il legislatore ordinario secondo parametri cogenti e stringenti e, soprattutto, in modo da riservare a sŽ quella valutazione discrezionale di ragionevolezza e quellĠapprezzamento sul bilanciamento dei diversi valori costituzionali, nei quali si risolve il proprio giudizio. Cos“ chiarito che i confini tracciati dal Giudice delle leggi sono rimasti volutamente incerti e mobili, tenteremo di declinare i principi dallo stesso ripetutamente affermati nelle diverse opzioni di intervento proposte nel programma di revisione della spesa, al fine di scrutinarne la coerenza con gli insegnamenti ricordati. E ci˜, si ripete, non al fine di costruire censure di incostituzionalitˆ allĠindirizzo delle disposizioni giˆ approvate o progettate, ma al diverso scopo di offrire un contributo scientifico alla confezione di interventi (che dovranno necessariamente essere declinati nella prossima manovra di finanza pubblica o, comunque, nella legge di stabilitˆ per il 2015) che riescano a coniugare le esigenze di contenimento della spesa pubblica con la tutela degli interessi e (25) Agrati ed altri/Italia, 7 giugno 2011, ricorsi nn.549/08, 107/09, 5087/09; Maggio e altri/Italia, sentenza 31 maggio 2011. dei valori costituzionali indicati dalla stessa Consulta come limiti invalicabili alla reformatio in peius di rapporti di durata e, quindi, in definitiva, a scongiurare lĠipotesi di approvazione di norme destinate ad essere dichiarate incostituzionali, con i conseguenti, noti effetti dannosi per le casse dello Stato. Come giˆ avvertito nella premessa, ci asterremo dalla disamina delle singole disposizioni giˆ efficaci o di quelle semplicemente progettate, ma limiteremo la nostra analisi alle tipologie astratte delle misure di riduzione della spesa che incidono su diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata, nella duplice consapevolezza del carattere inevitabilmente incompleto e non esaustivo del- lĠanalisi e, nondimeno, della sua utilitˆ (nella misura in cui identifica i canoni di costituzionalitˆ che devono governare lĠattivitˆ legislativa in discussione). Non trascureremo, ovviamente, il rilievo che ha assunto, sulla questione esaminata, la modifica costituzionale dellĠart. 81, gli impegni finanziari europei assunti dallĠItalia e, pi in generale, la crisi del debito sovrano. 4.3- Occorre ancora premettere, in via generale, che i rapporti di durata sono, di per sŽ, esposti alle modificazioni imposte dal mutamento delle condizioni che, nel loro momento genetico, avevano consentito di configurare un assetto di interessi economicamente equilibrato (tanto che, anche nei rapporti negoziali privati,  prevista dallĠart. 1467 del codice civile la risoluzione del contratto per eccessiva onerositˆ sopravvenuta). Anche nei rapporti di durata che incidono sulla spesa pubblica appare, quindi, configurabile una situazione per cui le mutate condizioni di bilancio rendano non pi sostenibile, in un quadro di finanza pubblica profondamente mutato rispetto al momento genetico dei diritti attribuiti al cittadino, il mantenimento di questi ultimi ed impongano, quindi, una riduzione del loro contenuto patrimoniale. 4.4- Si tratta, allora, di verificare in che termini e con quali modalitˆ la decurtazione (giˆ deliberata o ancora da approvare) di stipendi (ma non ci occuperemo, per evidenti ragioni, di quelli dei magistrati), di compensi per incarichi a tempo determinato, di pensioni o di corrispettivi di contratti in cui  parte una pubblica amministrazione soddisfi o meno i canoni di legittimitˆ (lato sensu intesa) postulati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU (ut supra ricordati). 4.5- Con una prima, generale avvertenza occorre rilevare che le disposizioni destinate a produrre effetti pregiudizievoli su diritti soggettivi perfetti attinenti a rapporti di durata possono ritenersi conformi ai principi sopra dettagliati solo se la reformatio in peius risulta compensata da comparabili benefici per il sistema di riferimento o, comunque, riequilibrata da vantaggi interni al comparto inciso dalle stesse (26). In altri termini,  necessario che il legislatore abbia concepito e costruito (26) Corte Cost. n. 92/2013. la disposizione in modo che il sacrificio imposto ai destinatari della stessa venga bilanciato da utilitˆ che appaiono idonee a giustificare la misura sfavorevole e che, al contrario, questĠultima non si riveli esclusivamente sorretta da esigenze di risparmio, che, diversamente opinando, risulterebbero, di per sŽ, capaci di legittimare qualsiasi norma ablativa di diritti soggettivi perfetti. La delibazione della costituzionalitˆ del tipo di disposizioni in esame si fonda, quindi, su un giudizio complessivo di ragionevolezza e di proporzionalitˆ delle stesse che, a sua volta, postula lĠapprezzamento del bilanciamento degli effetti pregiudizievoli prodotti con la consistenza ed il rilievo costituzionale dei valori che beneficiano dei corrispondenti e speculari vantaggi. 4.6- Passando alla disamina delle misure astrattamente concepite o concepibili, occorre, innanzitutto, distinguere, su un piano concettuale, due diverse tipologie di situazioni soggettive esposte al rischio di essere incise da nome di risparmio: quelle attinenti a rapporti di durata a tempo indeterminato che trovano la loro fonte in disposizioni legislative o in contratti collettivi e quelle attinenti a rapporti a tempo determinato che trovano la loro fonte in contratti, convenzioni, accordi o provvedimenti amministrativi che, comunque, implicano lĠadesione volontaria della persona fisica o giuridica interessata. Tale distinzione non serve solo a una sistemazione dogmatica delle fattispecie scrutinate ma vale, soprattutto, a discernere due tipologie di situazioni che esigono lĠapplicazione di diverse regole di compatibilitˆ costituzionale. 4.7- Principiando dalla disamina delle disposizioni che incidono su posizioni soggettive che attengono a rapporti di durata a tempo indeterminato (che si risolvono, in sostanza, nel ÒtaglioÓ delle pensioni o degli stipendi dei dipendenti pubblici), occorre, innanzitutto, avvertire che la Consulta ha giˆ esaminato la loro compatibilitˆ costituzionale, negandola ma individuando implicitamente, e contestualmente al rilievo dei vizi di incostituzionalitˆ, i canoni di legittimitˆ (insussistenti nella fattispecie giudicata) di tale tipo di norme. In particolare, la Corte ha riconosciuto il vizio di disparitˆ di trattamento a carico di disposizioni che, prevedendo un contributo (peraltro non concertato) a carico di dipendenti pubblici (senza che rilevi, a questo fine, la distinzione tra personale ÒcontrattualizzatoÓ e personale in regime di diritto pubblico) che superano una certa soglia di reddito, devono essere qualificate come norme dispositive di una prestazione patrimoniale imposta e, quindi, di un prelievo fiscale, incostituzionalmente applicato ad una sola categoria di contribuenti (27) (in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.). In esito a tale qualificazione del contributo (desunta dal riscontro, nella fattispecie esaminata, dei tre elementi indefettibili dellĠobbligazione tributaria indicati al punto 12.3 della sentenza n. 223/2012), la Corte ha, quindi, escluso la compatibilitˆ costituzionale di norme costruite con lĠescamotage della riduzione (27) Corte Cost. nn. 223/2012, 116/2013. del trattamento economico dei dipendenti pubblici, ma sostanzialmente impositive di un prelievo fiscale a carico solo di questi ultimi, siccome violative del principio di eguaglianza, che esige il pari trattamento, a paritˆ di reddito, tra diverse categorie di contribuenti (nella specie: lavoratori pubblici e privati) (28). Ne consegue che, se si vogliono validamente introdurre nellĠordinamento disposizioni finalizzate a ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici o le pensioni, occorre immaginare un meccanismo diverso da quello giˆ giudicato incostituzionale (e, quindi, non pi riproponibile in quei termini) e lĠunico finora concepito  quello che opera con lĠintroduzione di un limite massimo alle retribuzioni percepibili a carico delle finanze pubbliche (da declinarsi come unica soglia o come pi soglie a seconda della tipologia di incarico o di qualifica) e che implichi, quindi, la decurtazione della parte di stipendio che superi il ÒtettoÓ. Si tratta, allora, di verificare se tale modalitˆ di incisione degli stipendi o delle pensioni possa o meno reputarsi conforme ai principi affermati in materia dalla Consulta. Ora, si pu˜ anche prescindere dal (peraltro plausibile) rilievo che gli indici dai quali  stata desunta la natura tributaria del ÒcontributoÓ imposto dalle disposizioni giudicate incostituzionali con le sentenze nn. 223/2012 e 116/2013 potrebbero ravvisarsi anche in disposizioni costruite con il meccanismo dei ÒtettiÓ stipendiali (potendosi, di contro, obiettare che lĠintroduzione di soglie massime a carico di stipendi ed emolumenti che gravano sulla finanza pubblica obbedisce, con modalitˆ ragionevoli, non discriminatorie e non arbitrarie, ad imperative esigenze di riduzione generale ed uniforme della spesa pubblica), ma non si possono ignorare gli altri ÒpalettiÓ imposti dalla Corte. Sovvengono, al riguardo, due vincoli, tra quelli ripetutamente affermati dalla Consulta: il carattere temporaneo del sacrificio imposto e la preordinazione del risparmio alla soddisfazione di straordinarie esigenze di finanza pubblica. Dalla giurisprudenza sopra passata in rassegna si evince, infatti, che il superamento di tali due limiti (o anche di uno solo di essi) potrebbe comportare, con ragionevole probabilitˆ, la declaratoria di incostituzionalitˆ delle relative disposizioni. Quanto al primo,  sufficiente ricordare le numerose pronunce nelle quali la Corte, investita della questione della compatibilitˆ costituzionale di disposizioni che indicono sfavorevolmente su diritti perfetti relativi a rapporti di durata (e, cio, di fattispecie analoghe, se non identiche, a quella qui conside (28) O. BONARDI, La corta vita dei contributi di solidarietˆ, in Argomenti di diritto del lavoro, n. 6/2012; S.M. CICCONETTI, Dipendenti pubblici e principio di uguaglianza: i possibili effetti a catena derivanti dalla sentenza n. 223 del 2012 della Corte Costituzionale, in www.giurcost.org; D. PICCIONE, Una manovra governativa di contenimento della spesa Òtra il pozzo e il pendoloÓ: la violazione delle guarentigie economiche dei magistrati e lĠillegittimitˆ di prestazioni patrimoniali imposte ai soli dipendenti pubblici, in Giur. Cost., 2012, 3353; F. CALZAVARA, La sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2012 e la sua implicita potenzialitˆ espressiva, in Federalismi. rata), ha indicato il carattere transeunte delle norme (e, cio, la loro efficacia temporale limitata) quale indefettibile presupposto della costituzionalitˆ delle stesse (29) (Corte Cost., n. 299/1999 ha riconosciuto la compatibilitˆ costituzionale delle disposizioni scrutinate solo Òin quanto il sacrificio imposto ai pubblici dipendentiÉ  stato limitato a un annoÓ). Non solo, ma la durata limitata nel tempo devĠessere strettamente preordinata a coprire un arco temporale pari a quello al quale sono riferite le esigenze di bilancio che hanno determinato (e giustificato) lĠintervento. Ne consegue che, al contrario, disposizioni che modifichino in peius e a regime - e non con efficacia temporanea e strumentale al soddisfacimento delle straordinarie esigenze finanziarie addotte quale causa giustificatrice dellĠintervento - diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata incorrerebbero, verosimilmente, in un giudizio di incostituzionalitˆ. Quanto, invece, al secondo dei limiti sopra indicati, basti rilevare che, anche qui, la Corte ha chiarito che solo esigenze eccezionali di bilancio integrano gli estremi di una causa che giustifichi ed autorizzi lĠincisione, con efficacia retroattiva, di diritti perfetti attinenti a rapporti di durata (30). NellĠipotesi in cui, viceversa, i risparmi ottenuti dalla decurtazione degli stipendi e delle pensioni venissero destinati, anzichŽ al bilancio dello Stato, a coprire norme di spesa o a compensare minori entrate conseguenti a provvedimenti che arrecano benefici (in misura irragionevole) ad altre categorie di cittadini potrebbe lecitamente dubitarsi della conformitˆ costituzionale delle relative norme. In effetti, nelle fattispecie finora scrutinate dalla Corte solo esigenze extra ordinem di finanza pubblica sono state ritenute idonee a legittimare interventi del tipo qui considerato, sicch esigenze finanziarie diverse (soprattutto se riferite a provvedimenti che avvantaggiano categorie di cittadini diverse da quelle pregiudicate) dovrebbero giudicarsi del tutto inidonee ad assicurare la compatibilitˆ costituzionale delle disposizioni in questione. I valori della certezza del diritto e del legittimo affidamento, a ben vedere, possono ritenersi ragionevolmente e proporzionalmente sacrificati (secondo il ricordato insegnamento della Consulta) solo se i relativi interventi risultano finalizzati a soddisfare imperiose ed indifferibili esigenze di bilancio, ma non certo se si rivelano preordinati a coprire altre norme di spesa. Ne consegue che, ad avviso di chi scrive (ma con il conforto della giurisprudenza della Corte Costituzionale), norme che, operando con la logica dei ÒtettiÓ, producono effetti di decurtazione di stipendi o di pensioni in godimento possono ritenersi immuni da vizi di incostituzionalitˆ solo se rivestono unĠefficacia temporale limitata e se risultano strettamente funzionali alla soddisfazione di eccezionali esigenze di finanza pubblica. (29) Corte Cost., n. 299/1999 n. 99/1995. (30) Corte Cost., n. 299/1999. 4.8- La questione della costituzionalitˆ di disposizioni che incidono su situazioni soggettive ricollegabili a rapporti a tempo determinato (siano essi contratti con imprese o incarichi di lavoro a persone fisiche) devĠessere invece scrutinata alla stregua di coordinate peculiari e differenti. Soccorre, al riguardo, la giurisprudenza che si  formata nella disamina di disposizioni che hanno inciso diritti di credito relativi a rapporti convenzionali o a incarichi di lavoro o, pi in generale, a rapporti a tempo determinato tra persone fisiche o giuridiche e pubbliche amministrazioni e che si fondano su un accordo tra le parti in ordine alle condizioni giuridiche ed economiche (tale dovendosi intendere anche lĠaccettazione di un incarico formalizzato con un provvedimento amministrativo e non con un contratto). In tali giudizi la Corte ha avuto modo di chiarire che la tutela del legittimo affidamento sulla certezza giuridica e sulla stabilitˆ (pi volte indicata quale principio cardine dello Stato di diritto (31)) di situazioni soggettive generate da accordi e relative a rapporti a tempo determinato esige che il sacrificio economico autoritativamente imposto ai titolari dei relativi diritti di credito non leda posizioni consapevolmente acquisite dal privato e ormai consolidate (32) e non pregiudichi aspettative cristallizzate dallĠuniforme trattamento per un lungo periodo delle situazioni potenzialmente incise (33). Da tali rilievi pu˜, in definitiva, evincersi il principio della incompatibilitˆ costituzionale di disposizioni che comportino una novazione legale ed autoritativa del rapporto, fondata esclusivamente su esigenze di finanza pubblica e senza alcuna partecipazione del privato alla modifica (ovviamente in senso sfavorevole) delle relative condizioni. Diversamente opinando, invero, si perverrebbe allĠinaccettabile conseguenza di permettere al legislatore di modificare autoritativamente ed unilateralmente Òla specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto lĠaccordo e assunto le relative obbligazioniÓ, ledendo cos“ Òquello specifico affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazioneÓ e imprese private (34). Con lĠaffermazione dei predetti principi la Corte ha, quindi, inteso accordare una tutela pi pregnante ai diritti afferenti a rapporti pattizi (35), nei quali, (31) Corte Cost., n. 390/1995. (32) Corte Cost., n. 399/2008 ha ritenuto incostituzionale una disposizione che, avendo introdotto una disciplina pi stringente delle collaborazioni coordinate e continuative, ha previsto la cessazione anticipata, rispetto alla scadenza naturale, dei contratti giˆ instaurati al momento della sua entrata in vigore. (33) Corte Cost., n. 160/2013, che valorizza le esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato dal pacifico trattamento giuridico ed economico riservato agli interessati per un lungo periodo ai fini della declaratoria di incostituzionalitˆ di una disposizione sopravvenuta che lo modifica in peggio. (34) Corte Cost., n. 92/2013, che ha dichiarato lĠincostituzionalitˆ di disposizioni che hanno modificato in senso sfavorevole la disciplina dei compensi dovuti, su base convenzionale, ai custodi di veicoli sequestrati. quindi, il privato si  liberamente determinato ad assumere obbligazioni nei confronti di pubbliche amministrazioni in esito ad una valutazione circa la convenienza (per lui) dellĠassetto economico degli interessi regolati nella convenzione formalizzata e che non pu˜ poi essere (per i rapporti in essere) stravolto (ovviamente in senso peggiorativo) da sopravvenute disposizioni legislative che non prevedano (pena la loro incostituzionalitˆ, anche per violazione della libertˆ di iniziativa economica consacrata allĠart. 41) meccanismi di riequilibrio e compensazioni (che non possono certo essere individuati in mere esigenze di risparmio per lĠerario). Il rispetto dei ÒpalettiÓ sopra ricordati postula due soluzioni: lĠapplicazione degli effetti dannosi (per il privato) ai soli rapporti o contratti perfezionati successivamente allĠentrata in vigore delle disposizioni in questione (36) (e, quindi, in sostanza lĠesplicita esclusione dellĠefficacia delle decurtazioni in danno di quelli in essere) ovvero la previsione dellĠoperativitˆ anche a quelli vigenti, ma previa ridefinizione convenzionale del loro contenuto patrimoniale (con meccanismi di rinegoziazione obbligatoria, anche assistita da ragionevoli e proporzionate sanzioni, ma senza la modifica automatica ed unilaterale del rapporto). Al di fuori dei confini appena tracciati, ogni riduzione legale di diritti afferenti ad accordi o convenzioni a tempo determinato risulta esposta al rischio (rectius: allĠelevata probabilitˆ, se non alla certezza) di essere eliminata dal- lĠordinamento e di perdere, quindi, efficacia in esito ad un sicuro giudizio di incostituzionalitˆ. Una disposizione che operi direttamente la modifica, in senso riduttivo, di diritti soggettivi perfetti liberamente negoziati ed acquisiti dal privato in un rapporto a tempo determinato con una pubblica amministrazione si risolverebbe, a ben vedere, in unĠablazione della parte del credito estinta per legge, che la Corte ha giˆ ritenuto inaccettabile, in difetto di meccanismi compensativi ed in presenza di unĠalterazione secca, legale e non concordata dellĠequilibrio economico cristallizzato nellĠaccordo concluso tra la parte pubblica e quella privata. 4.9- QuandĠanche, tuttavia, le disposizioni modificative in malam partem dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici (afferenti a rapporti di lavoro (35) Corte Cost., n. 24/2009, che, giudicando una disposizione che aveva modificato, in senso peggiorativo per il privato, la disciplina relativa allĠefficacia degli accordi sullĠindennitˆ di espropriazione, ne ha rilevato lĠincostituzionalitˆ in quanto Òessa interviene su situazioni in cui si  consolidato lĠaffidamento del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina con essa contrastante e sbilanciandone lĠequilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e a svantaggio dellĠaltra (il proprietario)Ó. (36) Corte Cost. n. 399/2008, che ha dichiarato incostituzionale una disposizione proprio perchŽ applicabile anche ai contratti in corso, modificandoli in senso sfavorevole per il privato (quanto alla loro efficacia). sia a tempo indeterminato, che a tempo determinato) fossero confezionate nel rispetto dei limiti sopra indicati, le stesse potrebbero essere reputate, comunque, configgenti con lĠart. 36 della Costituzione. Senza sviluppare unĠanalisi compiuta dei profili di compatibilitˆ con il predetto parametro delle norme in questione (che esula dai confini della presente indagine), ci limitiamo a rilevare che, a fronte del riconoscimento costituzionale del diritto del lavoratore Òad una retribuzione proporzionata alla quantitˆ ed alla qualitˆ del suo lavoroÓ, ogni modificazione legale del trattamento retributivo postula (per la sua compatibilitˆ costituzionale) la verifica della conservazione di quel proporzionato equilibrio tra prestazione e stipendio imposto dal menzionato precetto costituzionale. A prescindere, infatti, dalla genesi contrattuale o legale della determinazione del trattamento retributivo modificato in peius dallo ius superveniens, il rispetto del canone costituzionale in questione esige che non venga alterato (in danno del lavoratore) quel vincolo di proporzionalitˆ tra il contenuto degli obblighi del lavoratore e quello del suo stipendio, che (si suppone) era stato (prima) considerato e (poi) cristallizzato nella quantificazione originaria di questĠultimo. Ora, una riduzione significativa dello stipendio (e, quindi, del diritto del lavoratore), a fronte del mantenimento della stessa quantitˆ e qualitˆ della prestazione dovuta (e, quindi, degli obblighi del lavoratore), potrebbe risolversi in una rottura del sinallagma e, quindi, in una lesione del principio della proporzionalitˆ della retribuzione. Ovviamente il vizio di incostituzionalitˆ potrˆ essere riscontrato solo in fattispecie nelle quali la misura della decurtazione si riveli idonea ad inficiare (squilibrandolo) il vincolo di corrispettivitˆ tra lavoro e retribuzione, ma la delicatezza del relativo apprezzamento, che non pu˜ che restare riservata, in ultima istanza, alla Corte Costituzionale, ci esime dal formulare qualsivoglia ipotesi o conclusione al riguardo. Basti, in questa sede, aver posto il problema e imposto una riflessione ai decisori pubblici circa lĠesigenza di evitare che le misure di spending review comportino (pena la loro incostituzionalitˆ) uno stravolgimento degli equilibri economici dei rapporti di lavoro sui quali sono destinate ad incidere. 4.10- Cos“ chiariti gli ambiti entro i quali le disposizioni di risparmio afferenti a rapporti di durata possono reputarsi costituzionalmente compatibili, resta da verificare in che termini la recente modifica dellĠart. 81 della Costituzione possa incidere sulle conclusioni ut supra raggiunte. Senza avventurarci sullĠimpervio sentiero (che esula dai confini della presente indagine) della disamina della valenza e dellĠinfluenza della predetta modifica costituzionale sulla politica economica del Governo, ci pare di poter affermare che le esigenze connesse al pareggio di bilancio possono rafforzare il rilievo e la forza assegnati alle necessitˆ finanziarie dello Stato (quale ra gione giustificatrice di leggi che incidono su rapporti di durata), ma non valgono in alcun modo a diminuire o a ridimensionare la tutela che la Consulta ha riconosciuto agli altri valori costituzionali individuati come limiti allĠattivitˆ legislativa in esame. 5. Considerazioni finali. La crisi del debito sovrano e le connesse esigenze di contenimento della spesa pubblica stanno comportando un radicale mutamento della concezione dei rapporti economici tra lo Stato e i cittadini. Il mantenimento dellĠassetto (dello Stato sociale) che si era consolidato fino a circa un decennio fa non risulta pi sostenibile e la conservazione tout court dei diritti patrimoniali dei cittadini (nei confronti dello Stato) risulta ormai antistorica e non pi difendibile. Si tratta, allora, di prendere atto della profonda crisi che sta soffrendo il quadro macroeconomico, di farsi carico della conseguente necessitˆ di revisione della spesa pubblica e, soprattutto, di governare questa transizione verso uno Stato (finanziariamente) pi leggero in modo da evitare traumi sociali, tensioni politiche e defatiganti contenziosi (tra Stato e cittadini). Sennonch, per governare questo processo evolutivo (che scardina decenni di gestione miope e, a volte, dissennata della spesa pubblica), appare indispensabile che i decisori politici (innanzitutto il Governo, ma, poi, anche il Parlamento) riescano a identificare modalitˆ di risparmio ragionevoli, proporzionate, socialmente sostenibili, non eccessivamente onerose e, in definitiva, rispettose degli insegnamenti impartiti al riguardo dalla Corte Costituzionale. In difetto di tale sapiente ed equilibrata gestione delle indifferibili e cogenti esigenze di revisione della spesa pubblica, ogni deliberazione normativa sproporzionatamente lesiva delle aspettative legittime dei suoi destinatari produrrebbe allarmi e reazioni sociali, oltre a comportare lĠinevitabile effetto della sua declaratoria di incostituzionalitˆ. Il prezzo che verrebbe pagato, in questĠultima sciagurata ipotesi, sarebbe davvero troppo alto per lĠintero sistema, perch non si limiterebbe alle onerose obbligazioni restitutorie e risarcitorie a carico dello Stato (conseguenti alla eliminazione delle norme dispositive, in violazione della Costituzione, dei risparmi di spesa), ma finirebbe per risolversi nella perdita di fiducia, di tranquillitˆ e di sicurezza dei cittadini (da valersi quali valori ripetutamente indicati dalla Corte Costituzionale quali beni da proteggere dagli effetti, per certi versi destabilizzanti, delle leggi irragionevolmente retroattive). Ma ci sentiamo di escludere che il Governo voglia sfidare la sorte ed infrangere le preziose ed ineludibili istruzioni del Giudice delle leggi e siamo, al contrario, sicuri che si preoccuperˆ di confezionare proposte legislative rispettose di quei principi e capaci di coniugare le stringenti esigenze di risparmio con la necessitˆ di non conculcare arbitrariamente i diritti dei cittadini. GIUSEPPE PALMA Una sana ÒcuriositasÓ giuridica (auspicabile non ÒvanaÓ) sul nuovosistema retributivo degli appartenenti allĠAvvocatura di Stato (*) 1. LĠinteresse ad esaminare la questione, che non poteva non allarmare gli attuali Avvocati dello Stato, nasce a dir cos“ in modo spontaneo in seguito alla costatazione che  sempre pi diffuso il metodo adottato di procedere alle riforme dellĠordinamento preesistente con scarsissimo apporto dei cultori professionali della vita giuridica, quasi completamente sostituiti dai professionisti della politica, contrariamente al passato in cui i primi (e le Universitˆ) venivano frequentemente consultati, e ci˜ non  follia pensare che costituisca lĠultimo retaggio del pensiero pratico, diffusosi diversi decenni orsono, allorch si contrapponeva al vigore delle norme giuridiche la cd. mera Òvolontˆ politicaÓ. Certo nel periodo presente il modus procedendi trova il sopraggiunto motivo efficiente nellĠallarme suscitato dalla situazione finanziaria, la quale consiglia di liberarsi dai ÒlacciuliÓ tecnico-giuridici ed in parte ci˜  ragionevole, ma non si pu˜ (e non si deve) obliterare che molto spesso le fessure causate alla ÒcristalleriaÓ (per cos“ dire) istituzionale, per ci˜ stesso di intuibile fragilitˆ, diverranno, superata la ritenuta momentanea esigenza, di difficilissima riparazione, specialmente ad opera del feroce conflitto tra le inimmaginabili opinioni politiche, tutte in buona fede prospettate come frutto di originale razionalitˆ. Senonch in proposito occorre un forte patrimonio etico-politico per assumere il modus procedendi dellĠadelante Pedro, con judicio di comune conoscenza letteraria. In questa sede ci si intende riferire alla disposizione contenuta nellĠart. 9 del D.L. n. 90 del 2014, primo comma, secondo cui il recupero delle spese legali, nellĠipotesi di sentenze favorevoli, vengono ripartite tra gli avvocati dello Stato nella ridotta misura del solo dieci per cento, laddove finora era sancita la ripartizione della somma totale. E ci˜ deve supporsi per quanto appena premesso per ragioni di economia di scala, infatti si ricorda che anche gli emolumenti di altre categorie di dipendenti burocrati dellĠapparato della p.A. risultano contestualmente ridotte. Benvero in questa sede non si nutre lĠintento di introdurre una rivendicazione sindacale di categoria, non soltanto perchŽ a tanto non si  legittimati, ma anche perchŽ la questione non appare riproponibile in termini s“ fatti, si intende piuttosto immergerla nellĠambito delle coordinate tecnico-giuridiche in virt proprio del richiamo metodologico premesso. A tal proposito va introdotta una prima precisazione. LĠart. 36 della Cost., ed  appena il caso di ricordare la rigiditˆ della nostra Costituzione, avverte e prescrive come ogni prestatore delle proprie capacitˆ lavorative abbia il diritto ad una retribuzione Òproporzionata alla qualitˆ e quantitˆÓ della sua prestazione, e non rileva in (*) N.B. Articolo redatto prima della legge di conversione 11 agosto 2014 n. 114 del D.L. 90/2014. questa sede lĠulteriore prescrizione che la retribuzione sia sufficiente ad assicurare a sŽ ed alla famiglia unĠesistenza libera e dignitosa. Consegue da una tale prescrizione che non spetta certamente (o se si vuole soltanto) alle forze sindacali imporre il grado di Òqualitˆ e quantitˆÓ del lavoro delle singole categorie, per cui la relativa forza sindacale, capace di farsi ascoltare, determina il regime giuridico retributivo che lĠapparato pubblico  indotto a riconoscere e ad adottare (differente conclusione andrebbe condivisa in ordine alla restante parte prescrizionale del citato articolo), bens“ il grado della qualitˆ del lavoro, in altri termini la sua importanza (funzionale) ai fini della corretta vita istituzionale in un dato momento storico-politico deve, in coerenza con la norma, essere il prodotto dellĠorganica valutazione politica, del soggetto responsabile della corretta vita istituzionale (si sottintende Stato). Ed il ricordato test rapporto retribuzione-qualitˆ della prestazione (= importanza del funzionamento del relativo ruolo nella scala, a dir cos“, gerarchica della societˆ) risulta imposta inderogabilmente ai supremi organi democratici preposti alla conduzione della suddetta vita sociale e deve ritenersi anche nel- lĠepoca di ÒangosceÓ economico-finanziarie, le quali richiedono ovviamente lĠadozione di opportune misure per ovviare a queste ultime ma sempre e costantemente con la salvaguardia del necessario (perch costituzionalizzato) rapporto differenziale intercorrente tra le varie categorie di dipendenti; in proposito non pu˜ legittimamente provocarsi una interruzione dellĠefficacia del regime costituzionale anche a fronte di gravi crisi economiche, peraltro sempre pi frequenti e periodiche nellĠambito di una economia che si avvia a trotto verso una finanza globalizzata. 2. Giunti a questo punto si intuisce che il discorso deve procedere sul piano del valore socio-istituzionale del ruolo dellĠavvocato di Stato, anzi degli appartenenti allĠOrgano Avvocatura di Stato e se ne comprenderanno in seguito i motivi. Anche in questa prospettiva va introdotta unĠessenziale premessa. Non pare importante e concludente risalire alle antiche origini della istituzione nellĠoriginario clima dellĠordinamento giuridico dellĠunificazione, non tanto perchŽ un tale itinerario  giˆ stato da me percorso in altra sede, ma soprattutto perchŽ, al fine di valutare il ÒvaloreÓ (cos“ ci si esprime pi sopra) e/o lĠimportanza della funzione istituzionale della Avvocatura e quindi dei suoi singoli componenti,  necessario interrogare lĠattuale grado dellĠevoluzione da esso subita anche per effetto (e perchŽ no) del nuovo regime (introdotto) costituzionale, a parte per le recenti dinamiche istituzionali (e sociali). NellĠappena citata sede, cui si rinvia, si metteva in luce la ininterrotta linea evolutiva che la istituzione qui esaminata aveva percorso specialmente nel nuovo clima, non pi inquinato dai residui del regime accentratore, nel quale  avvenuta la fioritura di una giustizia non pi esclusivamente condizionata alle esigenze di difesa degli interessi dellĠapparato amministrativo, di cui lĠavvocato di Stato assumeva il ruolo di braccio difensivo ad oltranza, ma in questo ambito ha finito per assumere un proprio ruolo, a dir cos“ a tutto tondo, di garante della legalitˆ tout court, distaccandosi dallĠambiente gerachizzato della burocrazia e ponendosi come insostituibile rapporto dialettico tra i cittadini-attori e organi amministrativi titolari del potere esercitato (1); sotto questo particolare riflesso come si fa a non notare che lĠAvvocatura (ed il singolo componente), assumendo il ruolo di garanzia della legalitˆ (che ricomprende il valore della giustizia), ha conquistato a pieno diritto il ruolo di ausiliario del potere giurisdizionale (e ci˜ non soltanto in virt dellĠattivitˆ contenziosa, ma soprattutto dellĠattivitˆ consultiva, come si sottolineava a suo tempo). Infatti ha assunto - si faceva rilevare - la connotazione istituzionale di organo ausiliario, poggiante sulla incontrovertibile costituzione materiale, il quale come tale (cos“ come gli altri organi ausiliari che ebbero la fortuna di ottenere il riconoscimento) (art. 100 Cost.), per un motivo o per un altro, si avviano da tempo ad introdursi appunto come organo dello Stato comunitˆ, distanziandosi della originaria configurazione di articolazione della complessa realtˆ governativa. Invero in questo periodo, nel quale si  costretti a vivere, si pu˜ notare come i notevoli dubbi sollevati, lungi dallĠessere superati, restino come intensa nebbia che offusca ogni possibile razionale condivisibile deduzione. Pertanto, se intorno allĠultima impostazione vi fossero ancora perplessitˆ,  sufficiente consultare i lavori preparatori della Costituente e specificamente la seduta pomeridiana del 10 gennaio 1947 (2^ Sottocommissione) nella quale Ambrosino portava a conoscenza che, in seguito ad una memoria ricevuta, condivideva lĠopportunitˆ di inserire nella Costituzione un preciso riconoscimento dellĠAvvocatura di Stato, organo ausiliare della giustizia, al fine di sancire il principio secondo cui veniva estesa a questa le Òmedesime garanzie che spettavano ai MagistratiÓ. Sul punto intervennero anche Bossi e Targetti i quali non si dimostrarono contrari al principio che volevasi consacrare, ma non ritennero che il principio Òpoteva trovar postoÓ in sede di disciplina del potere giudiziario ed il problema fu rinviato allĠAssemblea costituente nella quale (seduta del 27 novembre 1947) fu messo ai voti lĠarticolo 105 cos“ formulato ÒlĠavvocatura dello Stato provvede alla consulenza legale ed alla difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti indicati dalla legge Òe soprattuttoÓ agli avvocati e procuratori dello Stato competono garanzie adeguate per lĠesercizio delle loro funzioniÓ. Pur tuttavia, ancorch favorevolmente si esprimesse Domenid˜, asserendo tra lĠaltro che allĠAvvocatura sarebbe spettata sempre maggiore attivitˆ Òal fine di assicurare lĠosservanza del diritto da parte dellĠamministrazioneÓ e che perci˜ avrebbe posto Ònella massima evidenza la collaborazione alla funzione della (1) Cfr. Prospettive sul ruolo dellĠavvocatura pubblica nellĠarticolazione costituzionale della Repubblica, in Amministrativamente, www.amministrativamente.com. giustiziaÓ, la maggioranza vot˜ alla fine contro, sostenendo che lĠAvvocatura risultava giˆ compiutamente disciplinata dalla vigente legge. Ma la filosofia politico-istituzionale, da cui muoveva il principio, non pu˜ dirsi entrata in un buco nero, altrettanto politico, maggiormente se si  costretti a riconoscere che le successive coordinate istituzionali, evolvendosi secondo lo spirito della Costituzione, si sono incaricate a conformare in tal modo lĠistituzione Avvocatura, soprattutto sul piano del pratico esercizio delle sue funzioni. In conseguenza gli avvocati dello Stato, ancorch non si ponga lĠaccento sulle difficoltˆ della selezione concorsuale, le quali indubbiamente sono garanti della notevole preparazione professionale costantemente riconosciutagli, risultano componenti di un organo ausiliario pertanto non  pi lecito equipararli ai dipendenti burocratici quantunque in posizione di alta dirigenza (2). In conclusione, riconosciuto un tale valore, una tale importanza ad essa va rapportato il criterio di commisurazione del regime retributivo, il quale, anche alla luce delle preoccupazioni economico-finanziarie generali, non pu˜ giustificatamente muoversi allĠunisono del criterio riformativo delle retribuzioni degli altri dipendenti pubblici, perchŽ ormai non pi omologabili. Di seguito si procederˆ ad alcune ulteriori argomentazioni allo scopo di sottolineare le possibili ripercussioni negative proprie sul piano della funzione giustiziale. Va rilevato a tal proposito come, oltre alle negative condizioni finanziarie, sul tavolo verde della discussione politica, ivi inclusa quella del- lĠopinione pubblica, rimane da tempo irrisolta la problematica del funzionamento della giustizia (civile, penale ed amministrativa) per cui sarebbe pi giustificabile che si richiedesse ai singoli differenti operatori (giudici ed avvocati) un maggiore impegno operativo e non la previsione di nuove disposizioni causa, se mai, di un loro progressivo disinteresse, di un attenuato impegno, che finirebbe a sua volta per procrastinare il ÒrinnovamentoÓ della azione giurisdizionale. Basta muoversi nella prospettiva che il regime retributivo, che ora si intende modificare in chiave riduttiva,  stato a suo tempo adottato in modo intelligente e quindi proficuo -  da riconoscersi - poichŽ lĠintegrazione stipendiale, il cui importo non era commisurato a quote prestabilite, bens“ rapportabile dinamicamente al numero di cause risoltesi in modo favorevole allĠapparato pubblico, assumevano anche la funzione di incentivazione dellĠattivitˆ svolta, pertanto veniva assicurata la certezza che il singolo avvocato rivolgesse la massima attenzione (di scienza e coscienza) al caso contenzioso trattato in aula, nondimeno nellĠesprimere un parere la cui ponderazione attenta e profonda finiva per atteggiarsi come presupposto tecnico-giuridico dellĠeventuale risultato favorevole della causa ove proposta dal destinatario dellĠatto amministrativo conformemente adottato. (2) Cfr. ibidem. Orbene, se il metodo di incentivazione previsto perde la sua spinta allĠefficienza, anche la efficienza e lĠefficacia dellĠazione amministrativa viene con sŽ trascinata verso bassi livelli di profitto sociale nel presente periodo dellĠannebbiata civiltˆ giuridica e per la quale da tempo, anche da parte dei cultori professionali della scienza amministrativistica, si opera per ristabilire una siffatta efficienza, altrettanto imposta dalla Costituzione (il ben noto art. 97). Resterebbe da domandare se, assicurare lĠefficienza amministrativa non possa costituire anchĠessa un mezzo, tra quelli validi, a rendere la p.A. impermeabile a ipotesi di collusione, al posto di incrementare la pletora di nuove autoritˆ apposite (3). Al contrario la diminuita attenzione a seguito della ridotta incentivazione, nonchŽ il minore interesse che spinge (e non potrebbe diversamente) ad aggiornarsi in termini tecnico-scientifici, che concorre inovviabilmente al conseguimento di risultati favorevoli alla p.A., pu˜ spingere il singolo avvocato, in sede contenziosa, di limitarsi a tradurre in giudizio le motivazioni esplicative esposte dallo stesso funzionario che ha adottato il provvedimento impugnato, ovvero a sollecitarlo ad integrare ex post la lacunosa e/o carente motivazione provvedimentale. Il che, per quanto giˆ oggi accolto dallĠautoritˆ giurisdizionale adita, non ci si accorge che in questĠultimo caso si finisce per ammettere, sia pure sotto mentite spoglie, una sorta di interrogatorio-testimonianza del funzionario presunto colpevole dellĠatto illegittimo, laddove unĠuguale facoltˆ non viene attribuita alla parte privata con la conseguente violazione di molti principi fondamentali del giusto processo (art. 111 Cost.) e nel primo caso il giudizio finisce per divenire nella sostanza una sorta di procedimento amministrativo di secondo grado, specialmente allorch si ritiene di rendere irrilevante, sul piano della legittimitˆ, il mancato invito al privato di partecipare al procedimento, sostenendosi dal giudice la necessitˆ che sia il privato, non invitato, a chiarirgli cosa mai avrebbe contraddetto in sede procedimentale. E si potrebbe continuare. Ma occorre domandarsi: una degradata situazione di tal fatta non  una prova provata che per risollevarla occorre lĠinsostituibile collaborazione fattiva del difensore avvocato di Stato, soprattutto cosciente e consapevole del suo rinnovato ruolo? Occorre quindi evitare di operare interventi i quali, quantunque giustificabili da differenti esigenze pubbliche, finiscano per ripercuotersi in modo grave sul diverso settore sensibile della vita associata quale la giustizia tesa a tutelare ed a garantire gli interessi soggettivi del cittadino (e ci˜ anche nellĠambito della giurisdizione amministrativa), componenti essenziali del suo personale patrimonio costituzionale, anzicch arrendersi di fronte ad una giustizia che tende a ridivenire autoreferenziale (4). Prima di introdurre un differente ordine argomentativo, occorre sgom (3) Cfr. A margine del convegno sul contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche, ivi. brare il campo da una prevedibile pietra di inciampo. Non si obietti che lĠintegrazione stipendiale non viene totalmente eliminata ma soltanto ridotta (al 10 per cento). é vero che la mera riduzione svela allĠocchio attento che la sottostante esigenza  comunque avvertita, pur tuttavia la confessione implicita relativa alla permanente esigenza non  sufficiente in concreto a far permanere nella sua interezza il risultato, anzi e meglio lo stimolo al risultato che si vorrebbe pur sempre conseguire, dĠaltro canto non bisogna spendere pi parole per dimostrare che  il criterio in sŽ di commisurazione, la sua logica esistenziale ad assicurare lo scopo ultimo, che deve risultare direttamente e coerentemente conforme al sistema previgente. 3. é appena il caso di notare come lĠulteriore ordine di considerazione possa apparire proficuo al presente discorso soltanto e se si  disposti a ritenere la disciplina costituzionale non come un insieme di norme singole tra loro prevalentemente slegate a dir cosi, e non invece come componenti di un complessivo organico, di un coerente programma che in tale chiave pretende di essere attuato. In questĠultima prospettiva vale coerentemente da domandarsi a quale titolo la gran parte dellĠimporto delle spese legali finora spettanti allĠavvocatura di Stato viene stabilito per legge che spetti in futuro alle finanze statali e questo aspetto non  indifferente, ovvero insignificante, perchŽ non  difficile notare la notevole differenza tra le altre ipotesi, pur previste, di riduzione dellĠimporto stipendiale a danno dei differenti dipendenti burocratici, in ordine ai quali contabilmente trattasi di una sostanziale economia di spendita riservata allo Stato -datore di lavoro - mentre lĠipotesi, che interessa il caso degli avvocati di Stato in ordine ai quali lo Stato procede a prelevare parte dellĠimporto delle entrate, per cos“ dire ab externo, delle spese legali, di quelle spese cio che vengono versate obbligatoriamente dai privati che chiamano in giudizio un soggetto pubblico (nella maggior parte, si intende, da un privato-cittadino che  condannato dal giudice adito). é diversa. In questo caso il prelievo operato riguarda lĠesborso cui  tenuto nella maggior parte dei casi il privato-cittadino che ha azionato il suo ÒtentativoÓ di conservare e/o assicurarsi il c.d. bene della vita. A parte lĠosservazione critica che per il progressivo incremento dei contributi obbligatori si rende sempre pi difficile nutrire la speranza di ottenere giustizia, peraltro in un periodo nel quale si avverte sempre pi lĠesigenza di ricorrere allĠautoritˆ di un giudice (nella speranza che vi sia un giudice a Berlino), e conseguentemente si riducono progressivamente i ricorsi-azioni pro- posti (forse anche questĠultimo fenomeno appare indirettamente strumentale (4) Cfr. Il Consiglio di Stato consolida la vocazione di accrescere lĠefficienza della giustizia amministrativa muovendo decisamente lungo il potenziale indirizzo costituzionale. A proposito della legittimazione al ricorso, ivi. a ridurre lĠeccessivo arretrato ed i tempi dei processi intentati), rimane il fatto che lĠattuale mano pesante (per cos“ dire) del giudice nel quantificare lĠentitˆ delle spese giudiziarie, oggetto di condanna, specialmente in seguito al largo riconoscimento della temerarietˆ della lite, si tramuta forse involontariamente in un incremento del prelievo dello Stato, cos“ come qui definito, a danno del cittadino attore o (anche) convenuto in giudizio. Insomma si vuole indurre ad intravedere in questa ablazione alle finanze pubbliche dellĠesborso del privato la forma occulta di un ennesimo prelievo fiscale e/o tributario, e come tale si distingue dalla maggior parte dei versamenti generalmente previsti come ÒcostoÓ di un servizio prestato dalla mano pubblica, tra i quali se mai vanno inclusi i soprannominati contributi obbligatori, che hanno sostituito i famosi storici ÒciceroniÓ. Ma se  da riconoscere che il prelievo assume la ÒvesteÓ di tributo, allora non si pu˜ evitare di scomodare la disciplina contenuta nellĠart. 53 Cost., anche nellĠipotesi in cui, come nel caso di specie, la legge che impone il prelievo contributivo evita di impiegare una terminologia appropriata, poichŽ  lĠessenza intima della misura adottata a rendere necessariamente applicabile nella specie lĠindirizzo consacrato nellĠarticolo citato. LĠindirizzo in esso consacrato  che rende legittimo il prelievo tributario  quello della ÒprogressivitˆÓ, che va rapportato alle condizioni della potenzialitˆ economico-patrimoniale del singolo soggetto tenuto al versamento. Nella specie viceversa una siffatta progressione non risulta quale criterio secondo cui quantificare il prelievo, poichŽ  lo stesso giudice che nella quantificazione delle spese legali prescinde dalla situazione di potenzialitˆ economica della parte processuale, cosicch pu˜ verificarsi che la parte pi economicamente sprovveduta finisca a concorrere in maggiore misura al prelievo fiscale, configurandosi come unĠocculta debitrice di imposta. Il tono del discorso intrapreso da ultimo potrebbe agevolmente dilungarsi, ma non conviene; lĠintento perseguito era soltanto quello di richiamare lĠattenzione che in un Stato a regime costituzionale, come il nostro, non  rinvenibile alcuna esimente per il non rispetto della complessiva disciplina fondamentale, nŽ tampoco una sospensione della sua vigenza anche a fronte di differenti esigenze e necessitˆ, se non altro a favore di una adeguata educazione democratica che oggi non pare del tutto radicata o perlomeno dappertutto. Non si pu˜ non rilevare per˜ in conclusione come una siffatta prospettiva di intervento riformatore non soltanto lascia aperto una serie di problemi irrisolti, ma soprattutto pu˜ minare in radice la potenzialitˆ di funzionamento dellĠorgano ausiliario dellĠAvvocatura, nel quale invece dovrebbe concentrarsi ogni utile considerazione da parte di coloro che anelano sempre pi ad una giustizia ÒgiustaÓ e ad una legalitˆ diffusa, nella cui generalizzata assenza (forse)  da rinvenire anche lĠorigine del diffuso stato di corruzione che appare difficile da estirpare. Sui restanti aspetti, posso ricordare con Kafka che sono profondamente ignorante ci˜ nonostante la veritˆ esiste. ARTURO CARLO JEMOLO LĠavvocatura dello Stato (*) 1. Quante volte sento affermare che lo Stato  sempre servito peggio dei privati, mi sorge spontanea l'obiezione: - Per˜ c' l'Avvocatura dello Stato -. In quanto crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato dell'assistenza legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l'Avvocatura. Un tempo molto alimentata da magistrati (1), oggi con un sistema di concorsi cui partecipano giovani magistrati, avvocati del foro libero, e giovani che giˆ appartengono all'istituto nei ruoli dei procuratori, cui pure si accede mediante altro concorso; diretta negli ultimi sessant'anni da uomini diversi, tra cui solo un grande avvocato del foro libero, il Villa, ma gli altri tutti provenienti dai ranghi dell'Avvocatura medesima, con prevalenza di quelli che avevano dato opera alla consulenza piuttosto che alla trattazione di cause dinanzi al foro: l'istituto ha ragglunto nell'ambiente forense un alto prestigio. Tutti noi avvocati del foro libero sentiamo di avere avversari di prim'ordine ed ausiliari preziosi nei colleghi dell'Avvocatura dello Stato, a seconda che li troviamo nel campo opposto od invece alleati, allorch l'interesse del nostro cliente  parallelo a quello dello Stato. Le critiche che si fanno alla difesa erariale come sistema non hanno a vedere con questo valore degli avvocati, che ritengo sia da tutti riconosciuto. Quelle critiche toccano il sistema della legge, con il foro erariale e particolarmente quella nullitˆ insanabile (fortunatamente un temperamento  stato posto dalla sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 1967, n. 97) se la notifica non sia seguita presso l'Avvocatura, che colpisce gli avvocati inesperti, ed in definitiva gli umili, che non possono fare capo agli avvocati pi provetti; ed altres“ un certo comportamento dell'Avvocatura, che non ha spese di causa e quindi non suole cedere e porta ogni causa fino alla Cassazione, se non ottenga vittoria in gradi anteriori; a questo per˜, che  l'aspetto esteriore, quel che si vede, occorrerebbe contrapporre un lato meno apparente, i pareri ch'essa dˆ in tema di transazioni. Per il poco che  dato sapere, l'Avvocatura sarebbe conci (*) Estratto dall'Archivio Giuridico, Vol. CLXXV, Fasc. 1-2 (Sesta Serie, Vol. XLIV, Fasc. 1-2) 1968, Modena: S.T.E.M. Mucchi, 1968. (1) La possibilitˆ di nomina di magistrati, oltre che di avvocati e professori di diritto, ai vari gradi dell'Avvocatura, si dˆ sempre per l'art. 31 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611; per˜  poco o nulla praticata. liativa dove siano in gioco minori interessi, cos“ nelle cause di responsabilitˆ civile dello Stato per investimenti automobilistici; rigida molto, dove si profili la questione di massima, o ci siano di mezzo grossi interessi economici. La difesa dell'Avvocatura  particolarmente accanita nella materia fiscale, e direi soprattutto in quel settore della imposta di registro, che giˆ in tempi lontani aveva in seno all'Avvocatura insigni specialisti. Non conosco il rapporto tra Ministero delle Finanze ed Avvocatura (ma certamente l'impulso deve partire dal Ministero); noi avvocati possiamo solo constatare che alcune agevolazioni che il legislatore aveva ritenuto di accordare nell'interesse generale, attraverso le tesi dell'Avvocatura e l'accoglienza che hanno avuto da parte della Cassazione (che in qualche caso ha accolto l'istanza dell'Avvocatura di portare alle Sezioni unite questioni che erano fino allora state risolte sempre dalla Sezione semplice contro l'Amministrazione) sono rimaste in fatto annullate; penso in particolare agli artt. 12, 14, 20 della legge 2 luglio 1949 n. 408 ed art. 3 della legge 2 febbraio 1960 n. 35 per la costruzione di case non di lusso ed alla punizione che la giurisprudenza  venuta ad infliggere al costruttore di buona volontˆ che ha fabbricato rapidamente il primo edificio, prendendo respiro per avere i mezzi onde costruire i successivi, mentre ha fatto fruire del beneficio fiscale quegli che ha atteso l'ultimo giorno utile per iniziare tutte le costruzioni; nonch agli artt. 1Ħ e 2 della legge 4 aprile 1953 n. 261, relativa, al trattamento fiscale delle cessioni dei crediti degli appaltatori, ed alla giurisprudenza a termini della quale non si riscontrerˆ mai l'atto di cessione a banca che possa fruire del beneficio fiscale. Su pi larga scala che non sia quella degli avvocati ha fatto impressione l'atteggiamento assunto dall'Avvocatura dello Stato in tutte le cause in cui si  costituita dinanzi alla Corte costituzionale: difendendo sempre il permanere in vigore di disposizioni di legge che i giudici di merito dubitavano fossero in contrasto con la Costituzione, ed enunciando tesi, necessariamente sconfinanti nel terreno politico, di carattere accentuatamente conservatore. Qui in particolare del massimo interesse conoscere a chi spetti l'iniziativa e della posizione assunta e delle tesi in concreto svolte, se al Governo od all'Avvocatura Generale. Ma questo non ha a vedere con il meritato alto prestigio del corpo degli avvocati dello Stato. 2. Era pressoch fatale che il processo che io chiamo di disfacimento dello Ç Stato moderno È non potesse restare senza eco in una istituzione che accoglie uomini di tanto valore. Quando parlo di disfacimento dello ÇStato moderno È intendo del tipo di Stato, che, grosso modo, pu˜ dirsi s'instaurasse con Luigi XIV (La presa del potere di Luigi XIV di Rossellini ha voluto mostrarne l'aspetto spettacolare) e che ha a caratteristica non soltanto l'abbattimento di quanto restava di potere feudale, ma anche dell'autonomia dei grandi corpi dello Stato, Sorbona e Par lamenti. Questa l'opera di creazione dello Stato moderno, perseguita poi incessantemente e perfezionata con Napoleone, che cercherˆ d'inquadrare anche la gerarchia ecelesiastica entro lo Stato. Nei regimi costituzionali importa che non ci sia attivitˆ dello Stato di cui un ministro non abbia a rispondere dinanzi al Parlamento; il guardasigilli non risponderˆ del contenuto delle sentenze, ma dell'assiduitˆ dei giudici, del loro comportamento. Tale struttura sta rapidamente crollando in Italia dopo la seconda guerra mondiale, e non  questo il luogo per esaminare se sia fenomeno nostro nazionale o se si scorga anche oltre frontiera, n per ricercarne le cause. In questo clima, dopo l'Universitˆ e la magistratura, anche l'Avvocatura ha ritenuto di poter rivendicare una sua autonomia. I testi di tale rivendicazione sono anzitutto alcune espressioni che si leggono nella nota introduttiva dell'Avvocato Generale alla sua relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'opera svolta dallĠistituto negli anni 1961-65; cos“, che Çl'azione dell'Avvocatura dello Stato  venuta a costituire una componente indispensabile ad assicurare l'ordinato svolgimento della comunitˆ nazionale. Azione che non si svolge nella sola difesa giudiziale degli interessi dello Stato, e cio della comunitˆ, ma sempre pi si esprime in una continua e preziosa mediazione fra gli interessi e le esigenze statali e quelle dei singoli e, cosa anch'essa molto importante, fra le attribuzioni e gli interessi statali e quelli regionali e degli altri enti pubblici È: funzione di mediazione di cui nessuno disconosce la importanza, ma che molti saremmo tratti a considerare funzione politica: essendo proprio della funzione politica del Governo vedere entro l'ambito del diritto positivo quale pi o meno largo uso abbia a fare dei poteri che la legge attribuisce agli organi del potere esecutivo. Si legge ancora in tale relazione: Ç Chi oggi ponesse mente all'Avvocatura dello Stato considerandola, esclusivamente, sotto il profilo di organo legale costituito per la d“fesa degli interessi puramente patrimoniali della pubblica Amministrazione, darebbe a vedere di non avere molto chiari sia i fini che lo Stato democratico moderno ha posto a fondamento della sua stessa esistenza e della sua azione, sia il metodo adottato per la loro attuazione È. Ç Se nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti civili, l'avvocato deve obbedire soltanto all'imperativo etico "di comportarsi secondo scienza e coscienza ", un tale principio non poteva non essere riaffermato per l'organo legale dello Stato cui spetta il patrocinio della pubblica Amministrazione, la quale non  concepibile che litighi per motivi pretestuosi e futili come, invece, pu˜ avvenire per i privati. Ma a ben vedere il fondamento del- l'indipendenza dell'Istituto va ricercato nel sistema stesso dell'ordinamento statale. Una volta, infatti, creato un apposito organo con l'attribuzione di una specifica competenza tecnica o professionale, sarebbe inconcepibile che esso possa, nell'espletamento dell'attivitˆ consultiva e nello svolgimento delle sue attribuzioni nel corso dei procedimenti giurisdizionali, ricevere disposizioni e direttive da altro organo non ugualmente qualificato sul piano tecnico e professionale. L'indipendenza di giudizio , inoltre, condizione indispensabile per ottenere che la pubblica Amministrazione, nei suoi contrasti con i privati, adotti un atteggiamento sereno, obiettivo ed imparziale, conformemente al giudizio che sulle sue ragioni, al di fuori di ogni dipendenza od imposizione gerarchica, esprime l'organo legale, alla cui specifica competenza e responsabilitˆ spetta, dopo le opportune intese con gli uffici amministrativi interessati, di stabilire quali vertenze debbano essere sostenute giudizialmente, quali composte, quali abbandonate È. Un'altra affermazione dell'Avvocatura intorno ai suoi poteri ed alla sua posizione si riscontra nelle premesse della ricordata decisione della Corte costituzionale n. 97 del 1967: l'Avvocatura sosteneva di essere Ç organo autonomo dello Stato e fuori della gerarchia burocratica È, che agisce direttamente per lo Stato, Ç non per l'organo investito della capacitˆ processuale, usando di un proprio potere decisorio nel procedimento formativo della volontˆ statale circa la provocazione della lite o la resistenza in giudizio. L'Avvocatura avrebbe cosi la titolaritˆ della disponibilitˆ della lite È, La Ç dialettica dei poteri sarebbe Ç strumentalizzata attraverso un organo dello Stato istituzionalmente ordinato all'esercizio della funzione del giudizio È. La funzione dell'Avvocatura sarebbe Çassimilabile a quella del pubblico ministero È, e pertanto l'insanabilitˆ delle notifiche effettuate non presso lĠavvocatura competente sarebbe sullo stesso piano delle norme del codice di procedura civile e la insanabilitˆ delle nullitˆ afferenti all'intervento del pubblico ministero. Alcune delle affermazioni contenute nella relazione hanno provocato una interpellanza Trabucchi rivolta in Senato al Presidente del Consiglio, annunciata nella seduta del 4 aprile 1967, per conoscere se il Governo condivida quella tesi o se non sia da riaffermare Ç l'indiscutibile diritto riservato all'amministrazione ed al Potere esecutivo che ne risponde, di adottare anche nelle vertenze internazionali ed in quelle con i cittadini e con gli enti minori direttive di azione che, fermo il rispetto del diritto, corrispondano agli interessi della collettivitˆ e ad una concezione che si inquadri nei principi dettati dalla Costituzione della Repubblica È, ed altres“ se, anche nella scelta della linea di condotta processuale, Ç l'Avvocatura dello Stato non possa, all'occorrenza, essere richiamata alla necessitˆ di non avvalersi di eccezioni formali (quali quelle meramente processuali) se queste non si inquadrino in una linea di difesa che tenda a riportare i rapporti sostanziali fra Stato ed enti minori, e quelli fra lo Stato ed i cittadini su di un piano di assoluto rispetto della legge e dei principi costituzionali, nella lettera e nello spirito informatore È. Interpellanza che non venne a discussione e cui non fu quindi data risposta. 3. Pu˜ non essere superfluo, per inquadrare il tema, ricordare quelli che sono i rapporti tra il privato ed il legale cui egli affidi la sua difesa (molto pi semplici quelli con l'avvocato cui richieda soltanto un parere). Soglio dire che in fatto noi siamo tra i professionisti i pi disgraziati, perch non c' cliente, per quanto ignorante di legge, che non creda di essere in grado di dirigerci e darci lumi, lˆ dove non avrebbe tale pretesa di fronte al medico od all'ingegnere. Ma ha sicuramente ragione il legale che respinge i consigli del cliente, e gli pone l'alternativa, od avere fiducia in lui, o cercare altro difensore. Occorre tuttavia distinguere: vi sono materie “n cui chi si rivolge ad un avvocato ha diritto d'imporgli una certa linea: lo patrocini nella causa di separazione per colpa della moglie, ma punti solo sulle male parole, le ingiurie di questa, la sua trascuratezza nell'accudire alla casa, ed invece, per riguardo ai figli, non accenni allĠadulterio, che pure ha commesso; in altra causa: faccia assolvere il cliente dalla domanda di quegli che si asserisce suo creditore; ma non invochi la prescrizione; chi adisce l'avvocato vuole una sentenza che dica che l'altro  un mentitore, ch'egli non ha mai dovuto nulla, non una che venga ad affermare o lasciar credere che approfitta del fatto che l'attore ha lasciato trascorrere troppo tempo per proporre una domanda che sarebbe stata fondata, sicch egli si arricchisce di somme che non avrebbe avuto diritto di trattenere. Sono questi dei casi in cui sicuramente il legale deve seguire chi a lui si rivolge. Ma che dire delle cause infondate, che risposta si deve dare a quegli che dice -perderemo, ma se ho un respiro di un paio di anni mi tiro su - o semplicemente -se anche le alee favorevoli sono venti contro ottanta, tuttavia voglio tentare?. Occorre subito distinguere cause e cause; non pratico il foro penale, ma mi sembra impossibile essere avvocato di parte civile senza essere convinti della reale colpevolezza dell'imputato; e nel foro civile vi sono cause ... - d'interdizione, di disconoscimento di paternitˆ - che non si possono assumere senza sentirsi convinti della veridicitˆ del proprio asserto. Nelle cause strettamente economiche un legale non potrˆ mai abbassarsi a sostenere tesi aberranti; peraltro nell'ambito dell'opinabile gli  lecito sostenere la tesi meno probabile contro la pi probabile, cercar di scuotere la giurisprudenza consolidata (bene inteso, quando cos“ voglia l'assistito, che sarˆ stato informato della difficoltˆ di fare mutare la giurisprudenza affermatasi). Nella condotta del processo l'avvocato  veramente padrone, cos“ nella scelta dei mezzi di prova, nel ritenere pericoloso l'esperimento della prova per testi, su cui il cliente contava. Tuttavia non potrˆ essere sordo al desiderio di questi o che la causa vada per le lunghe o che invece abbia un corso celere (salvo sempre, in questo secondo caso, il suo diritto di non negare un rinvio al collega infermo o preso da un'altra discussione, malgrado ogni premura che l'interessato gli rivolga). Non mi sembra che i rapporti possano essere sostanzialmente diversi tra lo Stato e l'Avvocatura. Direi anzi che per lo Stato pi che per un privato possa esserci un'assoluta necessitˆ di iniziare cause che sarebbero sconsigliabili dal punto di vista delle probabilitˆ di successo e di non muoverne invece altre che sarebbero quasi sicuramente vinte. Si pensi ai rapporti internazionali, si ricordi come l'opinione italiana, pure cos“ rispettosa della indipendenza della magistratura, abbia sentito male di certe assoluzioni o mancati appelli nei processi austriaci contro i terroristi del- l'Alto Adige, e sarˆ facile concepire una serie d'ipotesi in cui  necessario che lo Stato mostri di voler portare dinanzi ai tribunali una propria richiesta od invece rinunci a ci˜ fare. Come esigenze politiche portano quasi quotidianamente lo Stato a scelte antieconomiche, cos“ molto spesso tali esigenze possono condurre a scelte che il buon legale non suggerirebbe. Come scrivevo, siamo in un periodo di disgregazione dello Stato liberale che, da noi come altrove, nella concezione comune a Cavour come a Crispi come a Sonnino come a Giolitti, importava un Parlamento che possa pronunciarsi e censurare ogni cattivo funzionamento di qualsiasi lato dell'apparecchio dello Stato (2); sicch l'opinione pubblica avrebbe ritenuto inammissibile che il ministro della Istruzione, interpellato ad es. sul pessimo governo che una facoltˆ fa dei suoi insegnamenti coprendo cattedre secondarie e lasciando scoperti insegnamenti principali, chiamando i meno capaci e respingendo gli aspiranti migliori, con il visibile intento di favorire parenti od amici degli attuali titolari, dovesse rispondere di non avere nulla a dire, perch per l'autonomia universitaria il governo che le facoltˆ facciano dei loro insegnamenti e relativi titolari sfugge al suo potere; e del pari che il ministro della Giustizia interpellato su pretori che non stanno in sede e non fanno sentenze, dovesse limitarsi a dire che trasmetterˆ al Consiglio superiore della magistratura la lagnanza. Ed  altres“ vero che ogni periodo storico ha i suoi miti e le finzioni che scambia per realtˆ; con cecitˆ mentali che ai posteri sono altrettanto incompenetrabili come le storie delle streghe e degli untori. Sicch potrebbe anche avvenire che, come oggi si  affermato il mito delle autonomie sorretto dalla idea che il grande colpevole, il grande peccatore,  sempre l'esecutivo, sono sempre i ministri, mentre i vari corpi sono gelosi custodi del loro buon funzionamento, severi censori del comportamento dei propri appartenenti, cosi domani apparisse accettabile l'idea di un ministro che richiesto perch non abbia rivendicato quel credito dello Stato, perch non si sia costituito parte civile in quella causa, potesse rispondere: perch l'avvocato generale dello Stato non lo ha voluto. (2) Sui mutamenti del rapporto tra Parlamento e potere esecutivo, vedi le belle, lucide pagine, pacate, scevre del rimpianto del passato, e che non scorgono la disgregazione che scorge l'a. di queste righe, che si rinvengono in C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano 1968, in particolare pg. 47 sgg., 119. Che cos“ si formasse un settore, di natura schiettamente politica, sottratto pur esso alla responsabilitˆ ministeriale ed al sindacato parlamentare. Peraltro l'evoluzione della opinione pubblica non ha ancora toccato questo punto. 4. Mi sembra quindi si debba dire che i ministri hanno sempre il d“r“tto di esigere che certe cause siano o non siano promosse. PoichŽ ho visto su giornali di categoria che le avvocature di enti parastatali avanzavano rivendicazioni analoghe a quelle dell'Avvocatura dello Stato, direi anzi che sarebbe meno inconcepibile che il presidente dell'l.N.P.S. o dell'I.N.A.I.L. si sentisse le mani legate dalla propria avvocatura, che non che ci˜ avvenisse per i ministri; in quanto non pu˜ parlarsi per quegli enti della funzione politica, della scelta politica che, come pu˜ andare contro i dettami della economia, cos“ pu˜ andare contro quelli della previsione intorno alle sorti della causa, scelta politica che  invece proprio funzione e dovere del governo. Se si ritorna quindi al parallelo con i rapporti tra il libero professionista ed il suo cliente, dovrˆ dirsi che giustamente l'Avvocatura dello Stato dovrebbe opporre un rifiuto sdegnoso al ministro che chiedesse il parere ostensibile in un certo senso; che  suo dovere pronunciarsi con assoluta indipendenza di giudizio intorno alle cause che sia bene intraprendere o non intraprendere, ai gravami da coltivare o meno. Ma occorre poi che la decisione ultima se intraprendere o meno la causa, appellare o meno, sia presa dal ministro responsabile: bene inteso, se questi s'interessi della vicenda giudiziaria, se non siamo ai processi da cui esula ogni aspetto politico, ogni questione di massima, e che costituiscono la grande maggioranza: rispetto ai quali l'Amministrazione lascia veramente ampissima libertˆ di assumere ogni determinazione all'Avvocatura. Da avvertire tuttavia che il termine Ç politica È non va assunto in senso stretto; in materia fiscale il sostenere o meno certe interpretazioni di una legge pu˜ avere ripercussioni in tutto il settore della economia nazionale; e male fa il ministro delle Finanze se si disinteressa (ed anche i ministri dell'Industria e dell'Agricoltura se non ritengono di poter avvertire il collega delle ripercussioni di certe giurisprudenze); male il ministro se lascia ai suoi uffici, naturalmente portati per abito mentale a non considerare che lo stretto interesse fiscale, di dire loro la parola decisiva, senza ch'egli la controlli. Direi che il parallelismo continui anche oltre il primo fondamentale punto, che spetta al cliente (qui all'Amministrazione) la scelta se iniziare o meno la causa, resistere o meno alla pretesa avversaria, appellare o meno dalla sentenza sfavorevole: con la avvertenza che mi parrebbe caso di scuola, che mai si nasconderˆ, quello della tesi cos“ assurda, che non possa un avvocato sottoscrivervi senza proprio disdoro. Penso pertanto che la condotta di causa debba essere lasciata all'Avvocatura, ma non senza la possibilitˆ di ragionevoli interventi dell'Amministrazione: sia nella richiesta di cercar di dilazionare l'andare a sentenza, in quanto sono in corso trattative di componimento, sia nel chiedere ad es. che non sia citata come teste una determinata personalitˆ (nel medesimo modo il cliente potrˆ chiedere all'avvocato che non indichi a teste quel tale, che pure potrebbe rendere la testimonianza pi favorevole e decisiva, perch ci sono ragioni intime, delicatissime, per cui non vuole ci sia neppure l'apparenza ch'egli abbia ottenuto qualcosa grazie ad un aiuto di quegli che dovrebbe essere citato a teste). Mentre su questi punti non credo si diano notevoli divergenze, se ne dˆ invece uno di particolare importanza, su cui il parallelismo con il patrocinio privato si arresta: quello delle tesi da far valere. Qui l'avvocato del foro libero  veramente sovrano: non pu˜ lasciarsi imporre dal cliente di sostenere che l'obbligazione era contrattuale od extracontrattuale, solidale od indivisibile, che siamo in un caso di prescrizione o di decadenza; e nella normalitˆ dei casi lo stesso seguirˆ rispetto all'Avvocatura dello Stato. Peraltro, specie nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, possono delinearsi delle tesi di schiettissima natura politica, rispetto a cui  difficile ammettere un agnosticismo governativo; anche perch, attesa l'unicitˆ dell'istituto Avvocatura, la grande serietˆ di questo istituto, non potrebbe esso, in un giudizio avvenire, sostenere per opportunitˆ di condotta di causa, tutto un diverso indirizzo. Cos“ nei rapporti tra Stato e Regioni. Dove tuttavia c' un limite, nella maggior parte dei casi, in quanto l'impugnativa di una legge regionale dev'essere chiesta dal Commissario del governo, e non pu˜ l'Avvocatura proporla di sua iniziativa; sicch essa, non ha ad esempio la responsabilitˆ di non avere “mpugnato la legge regionale sarda 12 aprile 1957 n. 10, che ammette azioni al portatore per le societˆ che nellĠisola diano vita a nuove attivitˆ industriali od armatoriali, mentre invece venne impugnata con successo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri analoga legge della Valle dĠAosta. Vi sono stati per˜ altri casi in cui nei giudizi costituzionali le tesi dell'Avvocatura hanno avuto ampia eco e sono state oggetto di discussioni, che necessariamente toccavano concetti eminentemente politici, orientamenti che di solito sono alla base della politica governativa. II pi noto concerne la questione che ha dato luogo alla sentenza della Corte costituzionale 19 febbraio 1965 n. 9, con la difesa da parte dell'Avvocatura della legittimitˆ costituzionale dell'art. 553 cod. pen. e 112 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza. La difesa dell'Avvocatura provoc˜ la nota di M.S. Giannini, Per una maggiore ponderazione degli interventi del Presidente del Consiglio (3) che terminava: ÇIl risultato ultimo  che il Presidente del Con (3) Giurisprudenza costituzionale, 1965, pg. 67 sgg.; vedi anche S. TOSI, ll governo davanti alla Corte nei giudizi incidentali di legittimitˆ costituzionale, Milano, 1963. siglio dei ministri si presenta all'opinione pubblica, come un sostenitore della teoria della mistica della stirpe! È; soggiungendo per˜ subito che non si trattava di un problema politico, bens“ di un Ç caso, particolarmente vistoso ed esasperato, di quella disfunzionalitˆ della Presidenza del Consiglio, che ormai da tanto tempo si lamenta È. Perch il Giannini non poneva neppure in dubbio il potere-dovere del Governo di decidere esso la tesi da sostenere, escludendo la scelta di questa fosse insindacabile apprezzamento dell'Avvocato Generale dello Stato. Meno nota, ma anche pi impegnativa sul terreno politico,  la difesa che l'Avvocatura Generale aveva fatto dell'art. 5 del Concordato (la norma sui sacerdoti apostati o irretiti da censure), in una questione di legittimitˆ costituzionale, che non venne decisa dalla Corte, in quanto questa ritenne che non avesse natura giurisdizionale l'organo che l'aveva ad essa sottoposta. Ivi l'Avvocatura sostenne l'incompetenza della Corte costituzionale ad esaminare questioni di costituzionalitˆ aventi ad oggetto norme del Concordato; Ç che i Patti lateranensi pongono in essere un sistema speciale, al riparo dall'influsso di norme eterogenee, che la Costituzione ha espressamente riconosciuto non in contrasto con le altre sue disposizioni anche se idoneo a derogarle come ogni eccezione ai principi È; che Ç il sacerdote apostata o irretito da censura si trova nella stessa situazione del laico condannato o a carico del quale sia stata accertata una causa d'indegnitˆ morale, che precluda, in base alla legge, l'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive È (4). Degne di nota anche le posizioni prese dall'Avvocatura, sempre nelle difese dinanzi alla Corte costituzionale, in tema di cerimonie di culto e libertˆ di propaganda dei culti ammessi. Non occorre insistere su ci˜ che abbiano di carica politica tali tesi, di ci˜ che, in particolare la seconda, possa pesare su tutti i rapporti avvenire tra Stato e Chiesa. Ritenere che il Govemo non abbia os ad loquendum rispetto all'enunciazione di tali tesi, equivarrebbe a negare che spetti ad esso la funzione politica (5). Ma anche rispetto ad ipotesi, in cui la politicizzazione del caso sia meno palese, difenderei il diritto di scelta del Governo, rispetto all'Avvocatura; direi qui proprio rispetto a chi ne sta al vertice, all'Avvocato Generale, con il quale potrebbe in definitiva delinearsi il contrasto. Premetto che non  il caso di fare qui appello al caso di coscienza per dire che la coscienza dell'avvocato non pu˜ essere coartata: se non si altera il valore dei termini, e si chiama caso di coscienza la scelta tra due tesi giuridiche. (4) A.C. JEMOLO, Premesse ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, 1965, pg. 120. (5) Per critiche in sede parlamentare all'atteggiamento dell'Avvocatura nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, cfr. i discors“ alla Camera dell'on. Gullo nelle tornate del 13 luglio 1956, 21 luglio stesso anno, 30 ottobre 1962, 27 maggio 1964, 10 marzo 1965, Atti parlamentari, Camera, leg, II, pg. 27474 sg., 28214 sg., leg. III, pg. 35370 sg., leg. IV, pg. 7390 sg., 13501 sg. Non so invero immaginare che si profili qui alcuna delle ipotesi che possono davvero costituire il caso di coscienza degli avvocati, quelli cui accennavo delle cause d'interdizione o di disconoscimento di paternitˆ, gli altri d'impugnativa di un matrimonio allorch uno dei coniugi tiene enormemente al legame, di accuse di falsificazione di testamento o di circonvenzione, la richiesta di somme che  molto dubbio siano dovute. Tantoppi che sicuramente l'Avvocato Generale non ha i poteri del Procuratore generale della Corte dei conti, non pu˜ in base ad informazioni avute od alla lettura dei giornali chiedere alle amministrazioni documenti per giudicare se sia o meno da instaurare una vertenza. L'ipotesi che si avvicina pi alla evocazione del caso di coscienza  quella dell'Avvocatura investita di una vertenza amministrativa od una lite civile, che ravvisi l'opportunitˆ di una denuncia penale o di una querela o di una costituzione di parte civile. E pu˜ anche ricordarsi che tra le tante voci corse negli anni passati, e che Dio solo sa se avessero o meno qualche fondamento, ci fu quella di un certo malumore da parte della Presidenza del Consiglio per l'atteggiamento assunto dal- l'Avvocatura in noti processi contro presidenti od alti funzionari di enti pubblici, accusati di peculato per il modo con cui avrebbero erogato i fondi dei loro enti, non appropriandoseli, bens“ destinandoli a finalitˆ che non avrebbero risposto a quelle contemplate dalle leggi organiche o dagli statuti degli enti stessi. Chi rammenta quei processi, ricorda anche che c'era in proposito una netta divisione in seno all'opinione pubblica; tra chi condivideva la tesi della responsabilitˆ penale, sostenuta, anche con qualche asprezza, dall'Avvocatura dello Stato, oltre che dal pubblico ministero, ed accolta poi, sia pure con attenuazioni, dalla magistratura giudicante, e chi invece riteneva quei presidenti o funzionari, od almeno alcuni tra loro, dei benemeriti, che avevano supplito con la loro iniziativa a deficienze di leggi o ad inerzia di Ministeri e di altri organi collegiali, permettendo agli enti di raggiungere i loro scopi (e si  detto che per qualcuno di questi enti la scomparsa del preteso reo ha rappresentato un crollo, di attivitˆ e di prestigio). Avessero ragione gli uni o gli altri, c'era questa divisione della opinione pubblica, e trattavasi di casi clamorosi, oggetto d'intere pagine di giornali, di tavole rotonde. In queste circostanze sarebbe stato pieno diritto del Govemo di prescrivere all'Avvocatura di non costituirsi parte civile: naturalmente assumendo la responsabilitˆ della decisione, dichiarandola in Parlamento, ed eventualmente in un comunicato stampa. Ed a mio avviso male ha fatto l'Avvocatura se ha provveduto di sua iniziativa, senza informare il ministro competente. (Va da s che se organi di governo, informati che l'Avvocatura intendeva costituirsi parte civile, si sono limitali a storcere la bocca, ed a dire dei forse e dei ma, bene invece ha fatto l'Avvocatura a procedere per la via che le sembrava migliore). 5. Queste osservazioni, sulla inalienabilitˆ da parte del Governo della sua funzione politica, anche nei riflessi ch'essa ha in trattazioni di cause (e sul potersi ravvisare l'ambito della politica quante volte siamo di fronte a casi che appassionano lĠopinione pubblica, non intorno alla persona di Tizio o di Caio, ma ad una questione di massima che si profila) mi sono sembrate riferirsi ad una realtˆ cos“ palese, da dover essere subito enunciate; lasciando ad un secondo momento di esaminare se le tesi dell'Avvocatura trovino qualche conferma nei testi di legge. A questo proposito il pi ovvio rilievo  che la Costituzione, mentre menziona tra gli organi ausiliari del Governo il Consiglio di Stato e la Corte dei conti - ed ha poi un titolo relativo a Ç La magistratura È, individuando in seno a questa anche il pubblico ministero -, non contiene alcun cenno dell'Avvocatura dello Stato. L'art. 1Ħ del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 sull'Avvocatura (il t.u. ha subito lievi modifiche, che qui non interessano, con le leggi 20 giugno 1955 n. 519 e 23 novembre 1966 n. 1035) stabililisce che ad essa spetta la rappreaentansa, il patrocinio e lĠassistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche organizzate ad ordinamento autonomo È, e pure nei successivi articoli si parla costantemente di amministrazioni dello Stato; cos“ all'art. 14 si legge che ÇL'avvocatura dello Stato corrisponde direttamente con le amministrazioni dello Stato, alle quali richiede tutti gli schiarimenti, le notizie e i documenti necessari per l'adempimento delle sue attribuzioniÈ. L'art. 13 suona: Ç L'avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi; esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle ammmistrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le amministrazioni interessate; esprime pareri sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni; prepara contratti e suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio È. Altres“ da ricordare l'art. 17 (Ç Gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dipendono dal capo del governo e sono posti sotto la immediata direzione del- l'avvocatura generale dello Stato È) e l'art. 23 ( Ç Gli avvocati dello Stato sono equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario in conformitˆ della tabella B annessa al presente t.u. È). Ancora da menzionare l'art. 20 della legge 11 marzo 1953 n. 87 sulla Corte costituzionale, per cui Ç il Governo, anche quando intervenga nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro a ci˜ delegato,  rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto È. Mi pare che nessuno di questi testi avalli la tesi che l'Avvocatura abbia un suo potere di decidere intorno alle cause da instaurare o meno, da transigere o meno;  previsto che le transazioni siano predisposte direttamente anche dalle amministrazioni interessate, e che l'Avvocatura esprima soltanto un parere; nessun accenno ad una spogliazione di un potere di decidere da parte delle amministrazioni dello Stato. Non mi sembra neppure che resti confermata la tesi che l'Avvocatura agisca direttamente per lo Stato e non per l'organo investito della capacitˆ processuale, se dovesse con ci˜ intendersi che essa non patrocinasse giˆ di volta in volta le singole amministrazioni, ma sempre lo Stato astraendo dalle amministrazioni medesime. Tesi che mi resta astrusa, in un sistema come il nostro, in cui l'azione dev'essere diretta necessariamente contro una certa branca del- l'Amministrazione, e spesso l'Avvocatura eccepisce la carenza di legittimazione processuale dell'Amministrazione convenuta, e talora anche la decadenza o prescrizione dell'azione che fu s“ proposta in termine, ma diretta contro un 'Amministrazione diversa da quella che aveva legittimazione (6). L'espressione dell'art. 13 del t.u., per cui l'Avvocatura provvede alla tutela legale dei diritti e degl'interessi dello Stato  espressione esatta e sintetica, ma questo non toglie che tali diritti ed interessi abbiano sempre per titolare una branca dell'Amministrazione, e che l'Avvocatura si presenti come rappresentante e tutrice di questa branca. Lo Stato in astratto avulso da ogni branca di amministrazione, non lo incontriamo mai; anche dinanzi alla Corte costituzionale, nei casi in cui sia interessata la funzione politica dello Stato,  un determinato organo, la Presidenza del consiglio dei ministri, quello che impersona lĠinteresse dello Stato. Quel che pu˜ solo dirsi  che l'Avvocatura ha la rappresentanza e la tutela di tutte le amministrazioni dello Stato, indistintamente, ed altres“ ch'essa non (6) Anche in G. BELLI, v. Avvocatura dello Stato, n. 1, Enciclopedia del diritto, IV, pg. 670 sg., si legge che Çl'avvocatura dello Stato  istituzionalmente l'organo di difesa legale e di consulenza, non di una singola amministrazione, ma dello Stato considerato nella sua unitarietˆ È; ci˜ ch' pienamente accettabile nel senso che  l'organo a disposizione di tutte le Amministrazioni per la difesa e consulenza legale (ma anche le Prefetture, ed altri organi ancora, possono del pari essere richiesti di svolgere attivitˆ per conto di tutte le amministrazioni); e potrebbe anche farsene risultare il corollario affermato dall'a., sia pure senza una base testuale, che pure Camera e Senato dovrebbero fare capo all'Avvocatura quando si controvertesse su contratti da loro formati. Ma una coa  parlare di organo che abbia la capacitˆ di agire per tutte le amministrazioni dello Stato (cio di volta in volta ora per l'una ora per l'altra amministrazione) e diversa cosa  concepire un'attivitˆ che si svolga nell'interesse dello Stato nella sua unitˆ, e non giˆ attraverso lo schermo delle singole anministrazioni. Quanto ai precetti agli avvocali dello Stato di tenere presenti nelle loro difese gl'interessi dello Stato tutto, di non correre il rischio di sostenere tesi diverse secondo l'opportunitˆ della vertenza, siamo in tema di deontologia professionale, e ci˜ non ha a vedere con il profilo giuridico dell'istituto. Per G. DUNI, Lo Stato e la responsabilitˆ patrimoniale, Milano, 1968, pg. 414 sg., poich le norme sulla eh“amata in giudizio dello Stato contenute nel t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 prevedono solo azioni fondate contro singole amministrazioni statali, esse non sarebbero applicabili per le azioni da intentarsi contro lo Stato basate su attivitˆ del potere legislativo (che il Duni ammette, indipendentemente dalle questioni di costituzionalitˆ di singole leggi); peraltro a quelle norme del t.u. dovrebbe farsi ricorso in via di analogia, come pure sarebbe da utilizzare per la soluzione da scegliere l'art. 20, comma 3, della legge 11 marzo 1953 n. 87; sarebbe quindi da convenire il Presidente del Consiglio; applicabili comunque le norme del t.u. sul foro erariale.  organo burocratico interno della Presidenza del Consiglio dei ministri: che la sua dipendenza da questo  connessa eminentemente alla impossibilitˆ di organi - tolte le Camere e la Corte costituzionale - che non facciano capo ad un'Amministrazione dello Stato impersonata da un ministro, almeno per ci˜ ch' nomina del personale e bilancio delle spese inerenti al suo funzionamento; ma che la sua funzione si svolge indipendentemente dalla Presidenza del consiglio, in costante rapporto con le singole amministrazioni. Di ci˜ che possa desumersi o meno dalla tabella di assimilazione tra avvocati dello Stato e magistrati (senza distinzione tra magistrati della giudicante e della requirente) (7) trattano le decisioni del Consiglio di Stato che oltre ricordiamo. Qui basti ricordare che anche agli avvocati dello Stato  applicato il limite di etˆ per il collocamento a riposo fissato per i magistrati (decr. leg. 4 maggio 1948 n. 844, che peraltro non richiama norme stabilite per i magistrati e si limita ad estendere a tutti gli avvocat“ dello Stato il limite che l'art. 34 del t.u. fissava per gli avvocati di grado superiore a quello di sostituto); che la legge 24 maggio 1951 n. 292 all'art. 12 a fini di trattamento economico assimila, secondo una tab. D annessa alla legge, magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della giustizia militare ed avvocati e procuratori dello Stato (il trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario  considerato in altra tabella) e la relazione del guradasigilli Piccioni suona Ç quanto all'Avvocatura dello Stato  da rilevare che i suoi componenti sono giˆ equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario secondo un principio che  espressamente sancito nel vigente ordinamento (art. 23 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1811) che trova fondamento nel peculiare carattere della funzione in cui si estrinseca una diretta collaborazione con gli organi giurisdizionali. Non sarebbe ora evidentemente opportuno discostarsi da questo principio con l'abrogazione espressa della norma citata: ci˜ in relazione, tra l'altro, alla esigenza di assicurare anche per l'avvenire il migliore reclutamento del personale dell'Avvocatura, che viene principalmente tratto dai magistrati ordinariÈ (quest'ultima affermazione non sembra esattissima). Parole da cui ben poco si pu˜ ricavare. Il trattamento delle tabelle annesse a questo decreto del '51  stato poi sostituito da quello delle tabelle annesse alla legge 29 dicembre 1956 n. 1433 (ancora una tabella per i magistrati dell'ordine giudiziario ed una per quelli del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della giustizia militare e per gli avvocati dello Stato); l'art. 12 della legge 24 maggio 1951 terminava: ÇPer quanto non  preveduto in questo articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni generali relative (7) Ignoro se esista ancora presso l'Avvocatura generale la cartella di una pratica, dei primissimi anni del secolo, che vidi vari anni or sono. L'avvocato generale erariale del tempo rivendicava per il suo ufficio il rango di procuratore generale della Cassazione (eravamo al tempo delle cinque cassazioni, ma i procuralori generali come i presidenti fruivano di quello ch'era allora il pi alto trattamento economico, comune solo al Presidente del Consiglio di Stato, a quello della Corte dei Conti ed ai generali di esercito). La Presidenza del Consiglio aveva respinto la istanza. agli impiegati dello Stato e quelle dei rispettivi ordinamentiÈ; l'art. 5 della legge 29 dicembre 1956 n. 1433 suona: al personale qui contemplato Ç si applicano le disposizioni dello statuto degli impiegati civili dello Stato, contenute nel decr. 11 gennaio 1956 n, 17, solo in quanto non siano contrarie ai rispettivi ordinamentiÈ, e sulla stessa linea l'art. 384 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 3 usa la dizione - che non  peraltro netta esclusione dell'applicabilitˆ delle norme vigenti per la comune degl'impiegati - Ç Le disposizioni del presente decreto si applicano a tutti gli impiegati civili dello Stato, salvo le disposizioni speciali vigenti ... per quelli addetti agli uffici giudiziari, al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti, ai Tribunali militari e all'Avvocatura dello Stato... È (8). A questo proposito, dell'assimilabilitˆ o meno degli avvocati dello Stato ai magistrati, si suole spesso ricordare una decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 13 ottobre 1942 n. 454 (9), adottata a proposito dell'applicazione delle infauste leggi razziali, in cui si neg˜ che agli avvocati dello Stato spettasse il trattamento fatto da una legge ai funzionari inamovibili. Ritenne allora il Consiglio di Stato che non fosse sufficiente per stabilire la inamovibilitˆ che il funzionario non possa essere rimosso se non in seguito ad un Ç giudizio di pari È, cio della commissione del personale del- l'Avvocatura, costituita soltanto da avvocati; in quanto un organo costituito tutto da funzionari del medesimo ruolo pu˜ ben costituire qualcosa di diverso dall'organo di pari, nel significato tradizionale ed arcaico del termine, pu˜ cio rappresentare soltanto un collegio tecnico di funzionari dello stesso istituto che si sostituisce al consiglio di amministrazione del comune personale burocratico. Non parve al Consiglio neppure argomento probante per la tesi della inamovibilitˆ la esistenza delle tabelle di equiparazione ai magistrati: sia perch queste menzionavano anche i magistrati del pubblico ministero che non godevano le stesse garanzie dei magistrati della giudicante; sia perch Ç trattasi di una equiparazione di rango avente una origine tradizionale e storica, proveniente fin dal tempo della istituzione delle Avvocature erariali, quando il personale di queste fu prelevato in gran parte dalla magistratura e, dati i passaggi pi frequenti, che non siano ora, che si operavano, fra i detti organismi È. Sembr˜ invece al Consiglio che occorresse guardare Ç al criterio sostanziale, o, meglio, razionale, che sta a base e, insieme, contiene la giustificazione dell'istituto della inamovibilitˆ ... criterio offerto dalla finalitˆ dell'istituto È: assicurare a dati funzionari Ç indipendenza ed autonomia di giudizio e di de (8) L'art. 384 non aveva corrispondente nei decreti 11 gennaio 1956 nn. 16, 17, che facevano solo salvi, provvisoriamente, gli ordinamenti speciali in vigore, fino a che non fosse provveduto al coordinamento previsto dall'art. 4 della legge 20 dicembre 1954 n. 1181; il decreto n. 17 chiamava a fare parte come membri ordinari del consiglio superiore della pubblica amministrazione due sostituti avvocati generali dello Stato, che pi non figurano all'art. 138 del decr. pres. 10 gennaio 1957 n. 3. (9) Riv. dir. pubbl., 1943, II, 40 sgg.; Foro it., 1943, III, 34 sgg. cisione È; questo si dˆ per i magistrati della giudicante e per i professori, non per gli avvocati dello Stato. E qui occorre riprodurre la decisione, perch, se pure questo non fosse sicuramente nell'intenzione della IV Sezione, potrebbe trovare in essa un qualche appoggio la tesi che l'Avvocato generale si stacchi da tutto il personale ad esso sottoposto e non abbia a subire alcuna direttiva (la decisione non dice ci˜, per˜ negli esempi che fa di sottoposizione a direttive non menziona chi  al vertice dell'istituto). Si legge invero: i sostituti ed i viceavvocati Ç nel redigere le loro difese e nel preparare i pareri sono sottoposti alle direttive del- l'avvocato distrettuale; lo stesso avvocato distrettuale pu˜ ricevere direttive dall'Avvocatura generale; l'Avvocato generale sovraintende alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi con generali disposizioni e speciali norme direttive, risolve le divergenze sia tra gli uffici distrettuali dell'Avvocatura sia tra quelli e gli uffici amministrativi (art. 15 t.u. del '33). Quindi non pu˜ mai darsi il caso che un avvocato dello Stato, sia pure un avvocato distrettuale, abbia il potere di rimanere fermo al proprio avviso come avviene, invece, per il giudice, singolo o collegiale, il cui giudidizio pu˜ essere bens“ riformato o annullato, dalla autoritˆ giudiziaria superiore, ma al quale non si pu˜ fare obbligo di uniformars“, nell'esprimere tale giudizio, all'avviso dellĠorgano burocratico superiore, o come avviene anche per per il professore universitario, che ha la libertˆ di esprimere quelle idee o di aderire a quelle correnti scientifiche che egli ritiene, senza essere soggetto ad alcun controllo che non sia quello della generale critica scientifica... Come nella trattazione degli affari contenziosi e consultivi, cos“ anche nella rappresentanza in giudizio, l'avvocato dello Stato rappresenta l'ufficio e non la persona fisica che in un determinato momento lo dirige; da ci˜ la facoltˆ di sostituzione e di avocazione, gl'interventi diretti anche della Avvocatura generale... il che  evidentemente inconcepibile rispetto all'opera del funzionario inamovibile, come, ad esempio, per quella del giudice >>. Calamandrei che aveva difeso la tesi del ricorrente, non accolta dal Consiglio di Stato, annotava la decisione, partendo dalla visione di quello che  il compito dell'avvocato nel foro libero, reagendo alla opinione di Carnelutti che scorgeva. nell'avvocato un nuncius della parte, affermando la sua indipendenza rispetto al cliente; e chiedendosi se poteva ammettersi che questo, che era per l'avvocato del foro libero, potesse non essere per l'avvocato dello Stato; e, scriveva: Ç LĠindipendenza del difensore  sentita come una esigenza di ordine pubblico, posta, anche se in contrasto coll'interesse del cliente, nell'interesse della giustizia; si deve ritenere che questo interesse della giustizia non conti pi quando la parte in causa  la pubblica amministrazione, e che in tal caso la giustizia non si accorga pi che l'asservimento del difensore si risolve sempre in una minaccia per l'indipendenza del giudice? È. E giˆ sosteneva quel che e la tesi oggi della relazione dell'Avvocato generale: ÇSe fra lĠAvvocatura e gli uffici amministrativi sorgono divergenze sulla soluzione di una questione o sul modo di trattare una causa, l'ultima parola in proposito spetta all'avvocato generaleÈ. Non contestava che in una diversitˆ di vedute intorno al miglior modo di condurre una causa, dovesse prevalere l'opinione del superiore gerarchico, avvocato distrettuale od avvocato generale; ma in tal caso il superiore avrebbe dovuto avocare a sŽ la trattazione, od affidarla ad altro avvocato; non avrebbe mai potuto costringere l'inferiore a trattare la causa contro la propria coscienza, n il rifiuto di questi avrebbe mai potuto assurgere a mancanza disciplinare (10). La tesi di Calamandrei va tenuta nel massimo conto, e su quest'ultimo punto occorrerˆ ancora tornare. Penso peraltro ch'egli nelle sue premesse partisse da una idealizzazione della funzione dell'avvocato che non ha riscontro non solo nella realtˆ, ma nel nostro stesso sistema giuridico; il dovere di lealtˆ della parte, anche se interpretato rigidamente, non assurge a dovere di essere convinta anche della tesi di diritto che intende fare valere (pu˜ essere posizione moralmente non certo condannabile quella di chi lotta per fare prevalere uno ius condendum, che ritiene rispondente ai canoni di giustizia superiore, di fronte a quello che pur sa essere ius conditum); parallelamente il dovere del difensore  di non ingannare il giudice, non esporre fatti che sappia non veri - ma non  dato spingersi fino ad imporgli di non tacere intorno alle circostanze avverse al suo cliente, - e di non sostenere, anche per rispetto a s stesso, tesi assurde. Ma non credo che la rispettabilitˆ dell'avvocato venga meno se oggi nell'interesse del cliente invoca la giurisprundenza consolidata, e domani, in un'altra causa, tenta scuoterla. Questa concezione dell'avvocato che nell'interesse della g“ustizia deve anche contrastare all'interesse del cliente, o la si prende nel senso pi semplice, che l'avvocato  anzitutto uomo e dev'essere uomo morale, ed in tale caso non patrocinerˆ mai colui che vuole compiere una sopraffazione a danni di altri, e gli rifiuterˆ il suo patrocinio, o diversamente mi pare piuttosto propria di uno di quei regimi statolatri che Calamandrei detestava, con la fede nello Stato capace di realizzare la giustizia, tutti coadiutori dello Stato in questo compito, colui che perde la causa, se buon cittadino, convinto di avere errato e che la sua pretesa era infondata. Sarebbe porre l'avvocato in quella che in un sano tempo era la posizione dell'arbitro di parte (ora decaduto al rango di primo avvocato, di cui quegli che figura avvocato di parte non  che un coadiutore), arbitro che veramente aveva anzitutto presente la necessitˆ di pronunciare un lodo giusto. A parte il rovello che aveva in s chiunque difendesse un perseguitato dalle leggi razziali, poteva in Calamandrei quel suo nobilissimo tormento, quel suo martirio, cos“ bene reso da Satta (11), quel suo idealismo, che lo portava a porre (10) Gli avvocati dello Stato e l'inamovibilitˆ, Foro ital., 1943, III, 34. (11) S. SATTA, Interpretazione di Calamandrei, Riv. trimestrale di diritto e procedura, 1967, 397 sgg. tanto in in alto, su un eletto soglio, giudici ed avvocati (mentre, occorre pur dirlo, era tratto dalla formazione mentale, dalle origini familiari, dalla fede dei vecchi repubblicani, a poco sentire quanto fosse esigenza dell'amministrazione). Ma a me sembra che fosse nel vero la decisione del Consiglio di Stato allorch stabiliva la posizione degli avvocati dello Stato, omettendo solo di soggiungere che anche l'Avvocato generale deve in definitiva piegarsi alla volontˆ dell'Amministrazione (omissione che non era sfuggita a Calamandrei, il quale deduceva: all'avvocato generale, che non ha Ç al di sopra di s superiori gerarchici che possano sovrapporsi al suo avviso, la inamovibilitˆ dovrebbe essere senz'altro riconosciuta È). Una delle norme sulla epurazione, il decr. luog. 4 gennaio 1945 n. 2, doveva poco dopo stabilire al suo art. 10, che i benefici economici previsti per il personale inamovibile dall'art. 3 del decr. luog. 11 ottobre 1944 n. 257 e dal- l'art. 9 dell'attuale decreto, si sarebbero applicati anche nei confronti degli avvocati dello Stato che fossero collocati a riposo in base al detto decreto n. 257. Ma non mi sembra che questa norma incida sulla questione di quelli che sono i poteri dell'Avvocatura nel rifiutare direttive dell'Amministrazione, o dei singoli avvocati nel rifiutare di dare alla trattazione delle cause lĠimpulso proposto dai loro superiori. Il ricorso di un procuratore dello Stato, che reclamava per il proprio collocamento a riposo il limite di etˆ stabilito per gli avvocati, ha dato luogo alle considerazioni della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 ottobre 1961 n. 513 (12). Ivi si considera ancora l'argomento della tabella di equiparazione ai magistrati del t.u. del 1933, osservandosi che si tratta di Ç equiparazione di rango e di dignitˆ, ma non di stato giuridico È, essendo sempre rimaste distinte le norme regolatrici dei rispettivi stati giuridici. Dopo altre considerazioni, e sulla diversitˆ non solo di stato giuridico, ma anche di limiti di etˆ per il collocamento a riposo dei vari personali considerati nelle leggi del '51 e del 56, e sulla differente attivitˆ svolta dagli avvocati e dai procuratori, la decisione ha alcune affermazioni che possono interessare per il tema qui trattato. Il limite di etˆ fissato per il collocamento a riposo degli avvocati dello Stato  uno dei limiti posti come garanzia dĠindipendenza, per sottrarre ad eventuali suggestioni o pressioni od arbitri; e un limite posto Ç per esigenze sostanziali di indipendenaa della funzione È; a questa si connette la facoltˆ del Governo, di cui all'art. 5 del t.u. del 1933, di chiedere l'assistenza di avvocati del foro libero: norma Ç introdotta non giˆ, come talora si ritiene, per supplire ad insufficienze tecniche della difesa erariale, ma anzi per conciliare la piena facoltˆ di giudizio dell'avvocatura dello Stato, che potrebbe esprimere avvisi contrari alla tesi del Governo, con la discrezionalitˆ di questo, che potrebbe ciononostante ritenere necessario sostenere una tesi dalla quale l'Av (12) Il Consiglio di Stato, 1961, I, 1605 sgg. vocatura dello Stato dissente. Malgrado la mancanza d'espressa disposizione costituzionale, pu˜ estendersi la qualifica di Çorgano ausiliario del Governo È alla Avvocatura. Queste affermazioni mi lasciano dubbi. Per giudicare se possa ancora parlarsi del limite di etˆ come garanzia d'indipendenza, mi occorrerebbe conoscere - ci˜ che nessun testo mi dice - se si diano oggi dei collocamenti a riposo di funzionari, contro la loro volontˆ, prima del compimento dei limiti tabellari (a prescindere, naturalmente, dalle ipotesi di superati limiti di aspettativa per ragioni di salute, o di sopravvenuta incapacitˆ ad adempiere alla funzione). La facoltˆ di ricorrere ad un avvocato del foro libero non  mai stata esercitata. Non pu˜ evidentemente pensarsi che sarebbe da esplicare nel caso in cui non si trovasse in tutta l'Avvocatura un avvocato disposto a sostenere la tesi dell'Amministrazione, perch ci˜ mostrerebbe essere la tesi cos“ assurda, da costituire quasi ingiuria chiedere a quell'avvocato del foro libero di sostenerla; occorrerebbe quindi pensare che fosse l'Avvocato generale che si rifiutasse di fare difendere quella tesi dal suo istituto, e che la legge gli riconoscesse proprio quella facoltˆ, di dire: - l'Avvocatura non si presta. - Ma la dizione dell'art. 5 del t.u. non conforta una tale concezione: Ç Nessuna amministrazione dello Stato pu˜ richiedere l'assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali inteso il parere dell'avvocato generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal consiglio dei ministri. L'incarico nei singoli casi dovrˆ essere conferito con decreto del capo del governo di concerto col ministro dal quale dipende l'amministrazione interessata e col ministro per le finanze È. La norma ha tutto lĠaspetto di essere dettata per impedire un certo clientelismo, ministri od anche direttori generali che volessero affidare cause ad avvocati amici; non  l'avvocato generale che prende l'iniziativa, secondo la lettera dell'articolo essa sembra partire dalla amministrazione e l'avvocato generale dev'essere soltanto sentito, n sembra affatto che sarebbe lesivo del prestigio dell'Avvocatura pensare che vi fossero casi in cui occorresse ricorrere ad uno specialista estraneo ad essa; per cause di natura storica, od in cui occorresse la conoscenza di un diritto straniero di un tipo diverso da quello dei Paesi occidentali ed americani, che ci  ormai sufficientemente familiare. Infine organi ausiliari dell'intera amministrazione sono molteplici; vediamo oggi gli uffici tecnici erariali determinare le indennitˆ delle imprese elettriche trasferite all'Enel, ci˜ ch' estraneo alle attribuzioni del Ministero da cui dipendono; e tutti i Ministeri penso possano non solo agire attraverso i Prefetti, ma anche chiedere l'opera degli uffici del Genio civile, comunque avere da questi dei pareri. La menzione nella Costituzione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti mi sembra significhi qualcosa di pi, l'idea di una necessaria cooperazione ad un'attivitˆ di buon governo; e sta comunque che quella menzione importa che questi organi non potrebbero venire soppressi senza una legge costituzionale, ci˜ che non si dˆ per l'Avvocatura. 6. Affermato che non vi sono nel diritto positivo elementi che consentano di attribuire all'Avvocatura mansioni che abbiano una qualsiasi rilevanza costituzionale, che ne facciano un organo ausiliare del Governo nel senso in cui lo sono Consiglio di Stato e Corte dei conti - per i quali del resto la qualit“ca derivante dal collocamento della loro menzione nella Carta costituzionale  incompleta e non del tutto esatta, - che l'esistenza dell'Avvocatura non toglie alle singole amministrazioni statali il potere di decidere in ultima analisi l'atteggiamento da prendere ogni volta che si profili il problema se fare valere o meno una pretesa, resistere o meno ad una pretesa altrui: resta tuttavia a considerare la peculiarltˆ comune a tutti gli organi dello Stato che pur dovendo sottostare a direttive, non importa se di superiori gerarchici o di altri organi dell'Amministrazione che affidano loro compiti o danno prescrizioni, esplicano per˜ mansioni strettamente tecniche; ed altres“ l'altra peculiaritˆ - che per lo pi coincide con la prima - della esposizione del nome del singolo impiegato o funzionario (13). Ed a questo proposito sarˆ a guardare non pi all'Avvocato generale, di cui giˆ si  detto, ma ai singoli avvocati. Nei comuni organi burocratici - Ministeri, Prefetture, Intendenze di finanza - il singolo impiegato trova un limite al suo dovere di non sottostare alle prescrizioni del superiore nella norma dell'art. 17 dello statuto degl'impiegati civili dello Stato: se ritenga l'ordine palesemente illegittimo, deve farne rimostranza al superiore che ha impartito quell'ordine, dichiarando le ragioni del proprio convincimento; ma se l'ordine  rinnovato per scritto, deve darvi esecuzione: salvo peraltro che l'atto fosse vietato dalla legge penale (ad es. il funzionario di un Ministero addetto ai contratti che si veda ordinato dal suo ministro di ammettere alla gara chi non abbia i requisiti per parteciparvi, pu˜ chiedere al ministro l'ordine scritto in tal senso; ma una volta che lo abbia ricevuto, deve darvi esecuzione). Lo statuto prevede soltanto l'ordine illegittimo; non quello erroneo; rispetto al quale potrebbe tuttavia applicarsi analogicamente l'art. 16, comma 2: Ç Quando, nell'esercizio delle sue funzioni, l'impiegato rilevi difficoltˆ od (13) Non mi consta - ma chi pu˜ leggere tutto il moltissimo che si scrive? - che i cultori del diritto del lavoro abbiano appuntato l'attenzione sul caso del dipendente che sottoscrive in proprio (non come rappresentante della impresa) una dichiarazione od attestazione, rivolta al pubblico, nell'interesse della impresa. Cos“ ricordo di aver visto sull'involucro di un prodotto alimentare l'attestazione con la firma di un dottor X sulle sostanze contenute nel prodotto, con relativa analisi quantitativa; il dottor X era un dipendente della impresa produttrice. L'esposizione della sottoscrizione ha una conseguenza sulla posizione (di dirigente, d'impiegato con funzioni dirett“ve, ecc.) del dipendente? questa esposizione pu˜ considerarsi coperta dalla retribuzione, anche se non vi sia un contratto individuale che espressamente la contempli tra gli obblighi del dipendente stesso? inconvenienti, derivanti dalle disposizioni impartite dai superiori per l'organizzazione o lo svolgimento dei servizi, deve riferirne per via gerarchica, formulando le proposte a suo avviso opportune per rimuovere la difficoltˆ o lĠinconveniente È; non mi pare dubbio che incorrerebbe in colpa grave e nella relativa responsabilitˆ l'impiegato che eseguisse senza batter ciglio un ordine palesemente erroneo. Ed  altres“ a notare che spesso errore ed illegittimitˆ coincidono: cos“ se venga ordinato di effettuare per una data causale un pagamento, allorch il pagamento connesso a quella causale giˆ sia stato eseguito. Comunque nella burocrazia non appare conturbante lĠipotesi dell'impiegato che debba stendere un provvedimento, od in una relazione manifestare una opinione, contro quello che sarebbe il suo convincimento: chi sottoscrive  il Ministro od il Prefetto; del minutante non c' traccia fuori del fascicolo d'uff“cio (se il minutante avesse la mia abitudine, di scrivere giˆ a macchina la brutta copia, neppure nel fascicolo resterebbe traccia della sua persona, se nella sua amministrazione non ci sia l'uso della sigla di chi ha minutato; in questo caso niente vieta al minutante di scrivere sulla minuta: Çredatta secondo le istruzioni ricevute dal direttore di divisione È; ma anche quando sorgono controversie in tema di responsabilitˆ, non si risale mai a quello che un tempo era l'umile segretario, oggi divenuto consigliere). Il provvedimento amministrativo inoltre molte volte  una scelta operata dall'Amministrazione entro certi limiti di libertˆ;  vero che si danno casi in cui essa sarebbe vincolata a fare o non fare, e che pu˜ quindi parlarsi di tecnicismo nella interpretazione della legge. Sappiamo tuttavia che questa interpretazione lascia quasi costantemente un margine d'incertezza; anche i veri errori di diritto che talvolta coglie la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sono cosa diversa dagli errori di calcolo dell'ingegnere o di analisi del chimico. La giurisprudenza sulla responsabilitˆ dell'avvocato che ha errato non pu˜ correre parallela a quella sulla responsabilitˆ del chimico, o di chi compie un calcolo sulla resistenza dei materiali, o del chirurgo che non si attiene a certe prescrizioni. Per questa ragione la posizione del burocrate cui  ordinato di stendere un provvedimento ch'egli ritiene errato, non pu˜ essere assimilata a quella dell'altro burocrate - ingegnere del Genio civile o del Corpo delle miniere - cui venisse ordinato di redigere un progetto od un'analisi di roccie, che egli ritenesse errati. Qui veramente la erroneitˆ ed il falso coinciderebbero, ed egli a buon diritto si rifiuterebbe di stendere quell'elaborato, anche se non dovesse venire da lui sottoscritto. (Ma anche nel campo tecnico vi sono scelte dell'Amministrazione; ho sentito parlare di un certo porto non so se di terza o quarta categoria, che tutte le ragioni tecniche, di venti, correnti e maree, vorrebbero fosse costruito a sud di un dato promontorio; mentre lĠAmministrazione vuole sia costruito a nord, per non rischiare che attragga a s il traffico di un altro porto; questa  ancora una scelta politica, in contrasto con consigli della tecnica, di spettanza dell'Amministrazione; la quale non potrebbe invece mai, insistiamo, esigere dal pi umile dei suoi dipendenti di preparare, sia pure non sottoscrivendoli, calcoli o rilievi errati). Dove poi c' l'esposizione personale del funzionario che sottoscrive, potrebbe parere che, anche rimossa ogni idea di alterazione della veritˆ e rimanendo sul terreno dell'opinabile, anche ricordato che non siamo mai qui dinanzi ai veri casi di coscienza, quelli che implicano per il credente l'idea di peccato, dovesse pur sempre affermarsi che nessuno possa essere costretto a sostenere una tesi che non senta (si diceva giˆ al mio tempo che non solo il colonnello comandante del reggimento non poteva imporre al sottotenente medico di dichiarare sano il soldato che quello ritenesse malato, ma anche il capitano medico avrebbe potuto sovrapporre il suo giudizio a quello del subalterno, non per˜ costringere questi a sottoscrivere una diagnosi cui non credeva). Pu˜ trasferirsi senz'altro questo nell'ambito dell'avvocatura? Mi riporto al foro libero e potrei anche fare appello a reminiscenze personali. In uno studio di qualche importanza (anche i nostri; in altri Paesi gli studi di avvocati sono quasi piccoli ministeri) accanto ad un titolare ci sono dei sostituti; ma uno o due di questi per etˆ e per esperienza assumono rango di associati; e sottoscrivono con il titolare memorie e ricorsi (talora sono fatti apparire unici difensori di un litisconsorte). L'opera di collaborazione si svolge in perfetta cordialitˆ, di solito, e di fronte al giudice i vari avvocati appaiono sul medesimo piano; sta peraltro che alla paritˆ giuridica non si accompagna una paritˆ reale, e soprattutto che il cliente si  rivolto al titolare dello studio, all'avvocato di maggiore fama. Il meno anziano molte volte constata che le osservazioni di questi, i mutamenti ch'egli suggerisce nella linea di difesa, corrispondono all'interesse del cliente; qualche volta pu˜ invece non essere persuaso. Ma, per venire ai miei ricordi personali, non mi sono sentito umiliato le poche volte che, pure non essendo convinto, ho mod“f“cato la comparsa od il ricorso secondo ci˜ che ritenevano Enrico Redenti o poi V.E. Orlando, che credevano in un mezzo di ricorso in cui io non credevo, che ritenevano pericoloso quell'argomento che a me sembrava buono, e che loro pensavano potesse suggerire all'avversario una tesi affascinante a suo pro; o semplicemente urtare il giudice. Non vedo perch l'avvocato dello Stato, che, firma s“ la comparsa, ma  inserito in un organismo a tutti noto, con gradi e gerarchia, sicch pu˜ sempre dire, come in effetto dice, che quella linea  stata voluta dall'Avvocato generale o dall'avvocato distrettuale, dovrebbe sentirsi umiliato. (Pu˜ del resto notarsi che nelle difese gli avvocati dello Stato possono sostituirsi l'uno all'altro, senza che occorrano particolari provvedimenti; sicch  costante e lodevole uso che le difese scritte siano firmate da chi ne  l'autore, ma nulla vieterebbe che recassero invece la sottoscrizione dell'Avvocato generale o di quello distrettuale). Non si dˆ un 'apposita norma che regoli i rapporti tra gli avvocati distret tuali ed il personale dei loro uffici o tra l'Avvocato generale e quello addetto alla avvocatura generale (quando l'art. 15 del t.u, suona: l'avvocato generale Çsovraintende alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi con generali istruzioni e speciali norme direttive È, mi pare si riferisca all'andamento del servizio nel suo complesso, e non alle mansioni che sono proprie dell'Avvocatura generale, come quella che patrocina dinanzi alle giurisdizioni superiori e che esercita le mansioni di avvocatura distrettuale per il distretto di Roma); in mancanza di quest'apposita norma e cercando di conciliare i pr“ncipi generali con la peculiaritˆ del funzionario statale che sottoscrive in proprio, direi: che un avvocato dello Stato non possa rifiutarsi di compilare gli scritti difensivi secondo le direttive impartite dall'avvocato distrettuale o dall'Avvocato generale; che in un caso di reciso dissenso potrˆ pregare di passare il compito ad un collega, e un superiore per poco che conosca l'arte del saper vivere, non rifiuterˆ di accedere a questa preghiera, ov'essa sia veramente eccezionale, quanto a dire impartita una tantum: ma se non fosse possibile accedervi, ad es. per mancanza di personale, non potrebbe l'avvocato rifiutarsi di seguire nelle difese quelle direttive. Ma cos“ in questo caso, come nell'altro, dello scritto defensionale steso dall'avvocato e profondamente modificato dal superiore, con modifiche non di pura forma, credo che potrebbe l'avvocato rifiutare la sua sottoscrizione, chiedendo al superiore di apporre la propria. Non ritengo che potrebbe invece rifiutare di prestarsi alla discussione orale: con il cumulo di lavoro che si dˆ in molte avvocature non  a pensare siano sempre possibili sostituzioni. La discussione orale  assai meno impegnativa della sottoscrizione di una comparsa o di un ricorso: anche sommi avvocati si trovano talora a dover discutere, associati all'ultimo momento, con il rovello che la difesa non sia stata diversamente architettata; siccome ormai il gioco  fatto, non si dˆ menomazione della loro rinomanza se si limitano a cercare i migliori argomenti per sostenere l'impalcatura che altri, che con la firma ne ha assunto la responsabilitˆ, ha eretto. Non scorgo una norma di legge che preveda questi casi, ma la soluzione che prospetto mi sembra il contemperamento delle due situazioni, quella burocratica del capo dell'ufficio che pu˜ dare direttive e sui cui ricade in definitiva la responsabilitˆ dell'esito buono o meno buono della pratica, e quella peculiare del dipendente che sottoscrive come proprio lo scritto. 7. é stata di recente dibattuta la questione se dagli artt. 15 (l'Avvocato generale fa tutte le proposte per le nomine e per ogni altro provvedimento riguardante il personale dell'Avvocatura), e 17 (Ç Gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dipendono È dal Presidente del Consiglio, Ç e sono posti sotto la immediata direzione dell'Avvocato generale È) del t.u., e dalle norme degli artt. 55, 56 e 57 del regol. 30 ottobre 1933 n. 1612 per cui  il Presidente del Consiglio, su proposta dell'Avvocato generale, che provvede ai trasferimenti, alle desti nazioni a capo degli uffici distrettuali, alle missioni degli avvocati dello Stato, possa vedersi un rapporto di gerarchia tra l'Avvocato generale ed il Presidente del Consiglio, sicch sia dato ricorso gerarchico avverso i provvedimenti del primo; problema per cui  a tener presente l'art. 40 del t.u. (Ç la censura e la riduzione dello stipendio sono inflitte dall'Avvocato generale con provvedimento definitivo È, ci˜ che pare accennare ad una non definitivitˆ di altri provvedimenti, e pertanto alla esistenza di una gerarchia). Tale questione della possibilitˆ di ricorso gerarchico alla Presidenza del Consiglio avverso provvedimenti dell'Avvocato generale ha formato oggetto di un parere del Consiglio di Stato, ad. gen., 23 novembre 1967 (14). L'Avvocatura generale sosteneva che per essa, come per il Consiglio di Stato e per la Corte dei conti, non pu˜ darsi gerarchia tra chi  a capo di questi istituti ed il Presidente del Consiglio dei ministri. Un rapporto di gerarchia si costituirebbe solo tra organi di amministrazione attiva; per quanto attiene al- l'amministrazione dell'Avvocatura e cos“ del personale, l'Avvocato generale ha il complesso di poteri che normalmente spettano ai ministri, ma che ha pure il presidente della Corte dei conti in virt dell'autonomia di questo istituto. Ci sono alcuni provvedimenti che debbono venire adottati dalla Presidenza del Consiglio, ma sempre su proposta dell'Avvocato generale; in questi casi si ha attivitˆ coordinata dei due organi, che  cosa ben diversa dal rapporto gerarchico. La Presidenza del Consiglio negava invece l'assimilazione dell'Avvocatura al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti, fondandosi soprattutto sulla menzione nella Costituzione dei due ultimi e non dell'Avvocatura, ma facendo altres“ presente che non solo non poteva porsi in dubbio l'assoluta indipendenza dello svolgimento della funzione giurisdizionale dei due organi e di quella di controllo della Corte dei conti, ma doversi notare che anche la funzione consultiva del Consiglio di Stato si svolge a garanzia della obiettivitˆ e legalitˆ dell'azione amministrativa, mentre l'Avvocatura rimarrebbe compresa nell'Amministrazione, quale organo tecnico cui spetta curare la realizzazione e la tutela, per le vie giurisdizionali, degl'interessi propri dell'Amministrazione rappresentata. Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti sarebbero organi dello Stato-comunitˆ o Stato-ordinamento, l'Avvocatura dello Stato-amministrazione. Il Consiglio di Stato nel suo parere ha dato rilievo alla posizione costituzionale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, tradizionale nel nostro ord“namento, e che pu˜ anche riannodarsi agli istituti del regno di Sardegna. Invece l'Avvocatura trae le sue origini dagli uffici del contenzioso finanziario, organi del Ministero delle Finanze, istituiti con un r.d. 9 ottobre 1862 n. 915. Ed ha poi detto che occorre far capo al rapporto che lega l'Avvocatura all'Amministrazione, ma collegare questo rapporto a quello che lega il comune av (14) Il Consiglio di Stato, 1967, I, pg. 2349; Giustizia civile, 1968, II, 151. vocato alla parte. Questa  l'Amministrazione, e nel Presidente del Consiglio Çsi riassumono la direzione e l'impulso dell'attivitˆ amministrativa È, mentre l'Avvocato generale Çdeve rendersi interprete delle esigenze di questa È; la responsabilitˆ economica, giuridica, anche politica, del giudizio cade sempre sull'Amministrazione. Certo l'Avvocatura non pu˜ essere tenuta a sostenere una causa che ritenga indifendibile; Çla dignitˆ dell'Amministrazione dovrebbe a priori escludere che questa decida di comparire in giudizio nella veste del litigante temerario; comunque per il caso in cui si realizzi un insanabile contrasto di valutazione fra l'Amministrazione e l'Avvocatura, si pu˜ ricorrere all'art. 5 del t.u. 30 ottobre 1933, che prevede la possibilitˆ che la difesa dello Stato sia affidata a un avvocato del libero foro È. Quindi possibilitˆ in massima di ricorso gerarchico contro il provvedimento dell'Avvocato generale al Presidente del Consiglio dei ministri. Concorderei nella conclusione e nelle parti essenziali del parere. Non su ogni punto. Cos“ non so ravvisare differenza di sostanza tra l'attivitˆ consultiva del Consiglio di Stato e quella dell'Avvocatura, entrambe volte a ricercare che il provvedimento divisato sia conforme a legge e sia conveniente per l'Amministrazione. Cos“ non ritengo, come ho detto, che possa l'Avvocatura rifiutare d'instaurare una causa che il Governo intenda invece espletare; ed il parere non mi sembra tenga conto di ci˜ che avrebbe di pregiudizievole il ricorso all'avvocato del foro libero, se esso dovesse istituzionalmente significare che l'Avvocatura ritiene assolutamente indifendibile la tesi dell'Amministrazione. 8. Vorrei ancora accennare ad un'altra peculiaritˆ dell'Avvocatura: che, pur essendovi gradi e promozioni di grado, non si hanno competenze specifiche per grado; per l'art. 1Ħ del t.u. Ç gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni È. Non gioca quindi per loro una norma sulle attribuzioni dei vari gradi, come si dˆ nello statuto deglĠimpiegati civili, e la norma dell'art. 31 di detto statuto, Ç L'impiegato ha diritto all'esercizio delle funzioni inerenti alla sua qualifica... pu˜ essere destinato a qualunque altra funzione purch corrispondente alla qualifica che riveste È non pu˜ trovare che un'applicazione particolare. Non ne farei per˜ discendere la conseguenza che qui l'avvocato dello Stato sia in balia del superiore come non  l'impiegato della burocrazia, e che mentre il direttore di divisione non potrebbe essere ridotto alle mansioni di consigliere, il sostituto avvocato generale possa venire ridotto alle pi modeste mansioni, a curare questioni d'ingiunzioni fiscali, od in genere ad attendere alle vertenze che nel foro libero sono di spettanza dei giovani legali. Ogni impiegato di qualsiasi ruolo e grado ha diritto a disimpegnare le sue funzioni; un diritto morale di non minore importanza di quello economico alla retribuzione; sarebbe assurdo negare tale diritto a chi ha la posizione moralmente pi ele vata. Se qualcuno viene dal superiore ritenuto ormai inabile all'esercizio delle sue funzioni, deve aprirsi il procedimento per la dispensa dal servizio; diversamente anche in seno all'Avvocatura deve seguirsi la consueta regola di attribuire a ciascuno un lavoro inerente al suo grado ed alla sua anzianitˆ, e pure l'avvocato dello Stato ha le difese che avrebbero il direttore di divisione ed il direttore di sezione nel caso che il direttore generale volesse fare loro compiere il lavoro normalmente svolto dai consiglieri. In un giudizio di legittimitˆ potrˆ esserci qualche difficoltˆ a riscontrare quando ci˜ segua; tutti sappiamo che stendere una citazione  molte volte assai pi impegnativo che non redigere un ricorso in Cassazione e che anche dinanzi ad un pretore pu˜ venire agitata una questione di massima di grande rilievo. Ci˜ non toglie che dallo stesso diritto positivo, che contempla un albo speciale degli abilitati al patrocinio in Cassazione, emerga che sono ritenuti di particolare rilievo i giudizi dinanzi alle giurisdizioni superiori, sicch la sistematica sottrazione ad un avvocato di questi ricorsi, non compensata dall'attribuzione d“ lavori del ramo consulenza di particolare importanza, integrerebbe quella lesione della sua posizione che gli darebbe diritto d'insorgere. Una sentenza dei giudici amministrativisul ruolo degli avvocati dello Stato N. 08127/2012 REG.PROV.COLL. N. 08898/2011 REG.RIC. N. 10205/2011 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8898 del 2011, proposto da: (...), rappresentati e difesi dallĠavv. Enrico Iossa ed elettivamente domiciliati presso lo studio dellĠavv. F. Pontesilli in Roma, Via Orestano, n. 21; contro il MINISTERO DELLĠECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dallĠAvvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; e con l'intervento di ad opponendum: (...), tutti rappresentati e difesi dallĠavv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; sul ricorso numero di registro generale 10205 del 2011, proposto da: CONSIGLIO DELLĠORDINE DEGLI AVVOCATI DI COSENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Morcavallo, Giovanni Spataro e Giancarlo Gentile ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Morcavallo in Roma, Via Arno, n. 6; contro il MINISTERO DELLĠECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore ed il CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentati e difesi dallĠAvvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; e con l'intervento di ad opponendum: (...), tutti rappresentati e difesi dallĠavv. Giuseppe Nerio Carugno ed elettivamente domiciliati presso lo studio SPW & Associati in Roma, Via Bertoloni, n. 27; per l'annullamento quanto al ricorso n. 8898 del 2011: - del bando di concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 16 agosto 2011 per la copertura di 960 posti vacanti di giudici presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali; -di ogni altro atto e provvedimento, preordinato, connesso, collegato e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti. quanto al ricorso n. 10205 del 2011: del bando di concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 agosto 2011 per n. 960 posti di giudici tributari indetto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Visti i ricorsi con i relativi allegati; Vista la costituzione in entrambi i giudizi delle Amministrazioni intimate nonchŽ gli interventi ad opponendum negli stessi proposti e tutti i documenti depositati; Esaminate le ulteriori memorie con i documenti prodotti; Visti gli atti tutti delle cause; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2012 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con il ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 alcuni dipendenti delĠAgenzia delle entrate (meglio specificati in epigrafe), con una maturata professionalitˆ nellĠambito del settore tributario per avere svolto attivitˆ di difesa dellĠamministrazione innanzi alle commissioni tributarie e comunque per avere sempre operato in detto settore, contestano la legittimitˆ del bando di concorso per la copertura di 960 posti vacanti di giudice tributario nella parte in cui esso si presenta riservato ad una sola delle categorie di legittimati ad essere nominati giudice tributario, previo superamento di concorso, indicate tassativamente nellĠart. 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, vale a dire a quella (macrocategoria) riconducibile alla lettera a) del predetto articolo 4 e quindi Òi magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, e gli avvocati e procuratori dello Stato a riposoÓ. Premettono i ricorrenti che il bando impugnato  stato pubblicato in seguito allĠintroduzione nel nostro ordinamento dellĠart. 39 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 che, al comma 4, ha previsto lĠespletamento di un concorso per la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti appartenenti alle categorie di cui allĠart. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 1992 Òin servizio, che non prestino giˆ servizio nelle predette commissioniÓ. Ad avviso dei ricorrenti il bando  illegittimo in quanto adottato in applicazione di una disposizione di legge che manifesta palesi contrasti con numerosi principi costituzionali. Un primo contrasto si appalesa con riferimento ai principi di cui agli artt. 3 e 97 cost. per la Òingiustificata disparitˆ di trattamento operata tra i dirigenti dellĠAgenzia delle Entrate e gli avvocati e procuratori dello Stato, entrambe categorie apicali di dipendenti pubblici che non hanno nessuna differenziazione dal punto di vista giuridicoÓ (cos“, testualmente, a pag. 5 del ricorso introduttivo) dal momento che, nello specifico, i ricorrenti Òhanno sempre svolto attivitˆ di difesa dellĠamministrazione nei giudizi pendenti innanzi le Commissioni tributarie o quanto meno hanno operato nel settore tributario, maturando quelle capacitˆ tecniche ed extragiuridiche che il Legislatore del 1992 ha inteso garantire. Tecnicismo che non appartiene alla categoria degli avvocati e procuratori dello Stato che non presenziano mai alle udienze innanzi le Commissioni Tributarie essendo le funzioni delegate ai funzionari dellĠAgenzia delle EntrateÓ (cos“, testualmente, alle pagg. 4 e 5 del ricorso introduttivo). Peraltro nella norma in questione si manifesterebbe una evidente violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, ledendo anche i principi di diritto comunitario, palesandosi in quella disposizione restrittiva un patente contrasto con lĠart. 51 cost., in relazione al principio di eguaglianza dei cittadini per lĠaccesso ai pubblici uffici e con lĠart. 97 in ordine al buon andamento della Pubblica amministrazione. Del resto, soggiungono i ricorrenti, anche la giurisprudenza Òattribuisce valore preminente allĠinteresse dellĠamministrazione ad operare la selezione dei candidati da assumere nellĠambito della pi amplia platea possibile dei concorrentiÓ (cos“, testualmente, a pag. 8 del ricorso introduttivo), mentre la norma in questione deroga irragionevolmente alla disciplina generale, fissata dal Legislatore nel 1992, introducendo una disparitˆ di trattamento ingiustificata tra le categorie dei soggetti legittimati ad aspirare alla nomina a giudice tributario, attribuendo un sacrificio non giustificato nei confronti delle categorie escluse. Sotto altro versante, ad avviso dei ricorrenti, va rimarcato come il principio di uguaglianza operi come criterio di giudizio sulle leggi anche secondo lĠavviso dei giudici comunitari (in proposito viene citata la decisione della Corte di giustizia UE 12 luglio 2001, causa C189/ 2001) e, di conseguenza, costituendo una specificazione del ridetto principio, il Legislatore nellĠintrodurre disposizioni di legge deve tenere conto anche del principio di non discriminazione di matrice comunitaria (in proposito viene richiamata la decisione della Corte di giustizia UE 12 dicembre 2000, causa C-442/2000): con riferimento ad entrambi i principi la previsione normativa in esame si presenta violativa di entrambi ed ingiustificata, oltre che irragionevole. Da qui la proposizione della questione di illegittimitˆ costituzionale dellĠart. 39 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 nella parte in cui, al comma 4, ha previsto lĠespletamento di un concorso per la copertura di posti vacanti per 960 giudici tributari da reclutarsi esclusivamente tra i soggetti appartenenti alle categorie di cui allĠart. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo n. 545 del 1992, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. oltre che per contrasto con i principi di matrice comunitaria di uguaglianza e di non discriminazione e la conseguente richiesta di annullamento, in via derivata, del bando impugnato. 2. Si  costituita in giudizio lĠAvvocatura generale dello Stato per il Ministero intimato e per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria contestando analiticamente le avverse prospettazioni e rilevando come la norma, posta dai ricorrenti sotto i riflettori dellĠindagine in merito alla sua compatibilitˆ costituzionale, sia pienamente rispettosa dei principi costituzionali e comunitari invocati dai medesimi ricorrenti, in particolare non potendosi considerare irragionevole nŽ tanto meno contrastante con le diposizioni costituzionali invocate lĠobiettivo perseguito con la norma in questione dal Legislatore di voler Òrafforzare ulteriormente (il) processo di inserimento progressivo di un consistente numero di giudici togati nelle Commissioni tributarieÓ, al fine di garantire la soddisfazione Òdelle esigenze dei contribuenti di ottenere giustizia in tempi brevi, con provvedimenti emessi da organi la cui futura composizione garantirˆ maggiore terzietˆ e imparzialitˆÓ (cos“, testualmente, alle pagg. 7 e 8 della memoria conclusiva). Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo lĠinammissibilitˆ del ricorso per difetto di causa petendi e di petitum, avendo dedotto i ricorrenti come censura principale del gravame esclusivamente la illegittimitˆ costituzionale della disposizione in attuazione della quale  stato bandito il concorso, sicchŽ il petitum del ricorso proposto pu˜ considerarsi come tendente ad un vantaggio non immediato ma esclusivamente condizionato allĠesito del- lĠeventuale giudizio costituzionale, senza peraltro che nel ricorso stesso venga evidenziato alcun deficit di legittimitˆ proprio del bando. Nel merito gli intervenienti rappresentano come il gravame debba essere respinto posto che lĠobiettivo di salvaguardia dellĠinteresse pubblico consistente nellĠassicurare Òuna maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altres“ imparzialitˆ e terzietˆ del corpo giudicanteÓ (cos“, testualmente, a pag. 6 del- lĠatto di intervento) risulta essere ben marcato ed esplicitato nella norma di legge in attuazione della quale  stato pubblicato il bando di concorso qui principalmente impugnato. 3. Con separato ricorso, rubricato al n. R.g, 10205 del 2011, il Consiglio dellĠOrdine degli avvocati di Cosenza, sul presupposto di voler tutelare gli appartenenti alla categoria forense iscritta a quellĠordine dalla ingiusta esclusione dal novero dei legittimati a partecipare al concorso in questione, ha anchĠesso impugnato il relativo bando prospettandone la illegittimitˆ derivata dalla illegittimitˆ costituzionale delle disposizioni contenute nellĠart. 39, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111. Nel contestare il grave contrasto costituzionale il Consiglio ricorrente evidenzia come le cennate disposizioni siano state emanate in palese conflitto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. nonchŽ con lĠart. 21 della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, perchŽ scorrettamente invasive dei principi di uguaglianza, non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego ed alle cariche pubbliche. Conseguentemente il Consiglio ricorrente chiedeva al Tribunale amministrativo adito di sollevare la questione di illegittimitˆ costituzionale della fonte primaria che si pone a presupposto dellĠemanazione del bando, sussistendo la rilevanza della questione e la non palese infondatezza della stessa. 4. Anche in questo secondo ricorso si  costituita in giudizio lĠAvvocatura generale dello Stato per il Ministero intimato e per il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione attiva in capo al Consiglio dellĠOrdine degli avvocati (di Cosenza). Nel merito la difesa erariale ha confermato la correttezza del bando in quanto pienamente aderente alla disposizione di fonte primaria della quale esso costituisce attuazione e ha ribadito la perfetta compatibilitˆ costituzionale della ridetta disposizione che non manifesta alcun contrasto con i principi costituzionali nonchŽ con quelli comunitari la cui violazione  paventata dal Consiglio ricorrente. Hanno spiegato intervento ad opponendum alcuni magistrati ordinari, che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso in questione, sostenendo anchĠessi il difetto di legittimazione attiva del consiglio ricorrente. Come  avvenuto in occasione dellĠintervento nel primo ricorso del quale si  pi sopra detto (seppure gli intervenienti, in questo caso, siano persone fisiche diverse da quelle intervenute nel primo giudizio), anche in questo secondo atto di intervento  stata eccepita, per le stesse ragioni giˆ illustrate, lĠinammissibilitˆ del ricorso per difetto di causa petendi e di petitum. Nel merito gli intervenienti riproducono quanto giˆ rappresentato in occasione del primo giudizio chiedendo la reiezione del gravame. 5. Nel corso del giudizio le parti presentavano ulteriori memorie confermando le giˆ rassegnate conclusioni. 6. Va anzitutto rilevata la evidente sussistenza dei presupposti richiesti dallĠart. 70 c.p.a. per disporre la riunione dei due ricorsi perchŽ siano decisi in un unico contesto, dal momento che tra gli stessi intercorrono palesi connessioni, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo, trattandosi di contenziosi attinenti ad una medesima procedura selettiva ed assumendosi in entrambi il contrasto della medesima disposizione di fonte primaria con taluni principi costituzionali e comunitari che coincidono nelle deduzioni che accompagnano gli atti introduttivi dei due gravami. Pu˜, dunque, disporsi la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 del 2011. 7. Va preliminarmente verificata la fondatezza della eccezione sollevata dagli intervenienti e dalla difesa erariale nellĠambito del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 con riferimento alla paventata carenza di interesse a ricorrere in capo al Consiglio dellĠOrdine degli avvocati di Cosenza. Come  noto le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza, con il rigoroso ed inderogabile limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti, ovvero capaci di dividere la categoria in posizioni disomogenee. L'interesse collettivo deve identificarsi con l'interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata, e non con interessi di singoli associati o gruppi di associati, perchŽ l'associazione di categoria  legittimata a proporre ricorso soltanto a tutela della totalitˆ dei suoi iscritti, e non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. In particolare, gli enti esponenziali - secondo i principi che vietano conflitti infraassociativi anche meramente potenziali -non possono sostituirsi processualmente ad una componente non totalitaria dei propri iscritti per impugnare bandi dei quali altri iscritti potrebbero invece decidere di avvalersi, per partecipare in modo proficuo alla selezione cos“ bandita (ritenendo convenienti clausole che, viceversa, l'associazione di riferimento sostiene essere lesive per la categoria). Nel caso di specie, il bando in questione esclude tutti gli avvocati (tranne quelli dello Stato) dalla partecipazione al concorso e ci˜ perchŽ previsto dallĠart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011. Appare dunque evidente che ciascun avvocato del libero foro ovvero avvocato operante in avvocature pubbliche diverse dallĠAvvocatura dello Stato sia legittimato, in quanto escluso dalla partecipazione al concorso in questione, a proporre ricorso contro il relativo bando e cos“ i singoli consigli dellĠOrdine (non ultimo il Consiglio nazionale forense), con la conseguenza che lĠeccezione di carenza di legittimazione ad impugnare il bando sollevata nei confronti del Consiglio dellĠOrdine degli avvocati di Cosenza si presenta infondata. 8. - Ancora in rito va rilevato che non appare convincente lĠeccezione sollevata dagli intervenienti, con riferimento ad entrambi i giudizi, secondo i quali si paleserebbe lĠinammissibilitˆ dei ricorsi in quanto lĠimpugnazione del bando non costituirebbe un bersaglio diretto dei due contenziosi, ma avrebbe uno scopo meramente strumentale stante il principale interesse dei ricorrenti a veder sollevata dal Tribunale amministrativo adito la questione di illegittimitˆ costituzionale della disposizione contenuta nellĠart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011. Infatti la legittimitˆ o meno del bando di concorso impugnato, una volta verificata la sua piena coerenza con la norma alla quale con la sua pubblicazione viene data attuazione (fatto che non  contestato da nessuna delle parti in causa) e con essa la sussistenza o meno del potere in capo allĠAmministrazione (e per essa al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria) di bandire il concorso con le modalitˆ qui contestate, possono essere scrutinati esclusivamente in seguito alla verifica di compatibilitˆ costituzionale della norma recata dalla fonte di livello primario, dalla quale scaturisce il potere di bandire la selezione per lĠarruolamento di 960 nuovi magistrati tributari limitando la partecipazione ad alcune categorie di aspiranti rispetto a tutte quelle tassativamente determinate in via generale dal decreto legislativo n. 545 del 1992. Deriva da ci˜ che non si palesa alcuna carenza di attualitˆ dellĠinteresse a ricorrere da parte dei ricorrenti in ordine allĠimpugnazione del bando di gara, dal momento che  proprio con la pubblicazione del bando che diviene attuale e concreto il pregiudizio provocato dalla introduzione di una norma di legge nel nostro ordinamento che si afferma essere contrastante con principi costituzionali e comunitari e quindi di portata pregiudizievole per i soggetti destinatari. 9. Nel merito, come si  giˆ detto, entrambi i ricorsi si soffermano sulla necessitˆ di sottoporre alla Corte costituzionale la questione circa la compatibilitˆ delle disposizioni recate dallĠart. 39, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 che cos“ recita (nella versione prodotta dalla modifica intervenuta per effetto della legge di conversione n. 111 del 2011 e, successivamente, ad opera dell'art. 2, comma 35-quinquies, lett. b), del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148): Ò4. Al fine di coprire, a decorrere dal 1Ħ gennaio 2012, i posti vacanti alla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio di Presidenza provvede ad indire, entro due mesi dalla predetta data, apposite procedure ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, senza previo espletamento della procedura di cui all'articolo 11, comma 4, del medesimo decreto legislativo, per la copertura di 960 posti vacanti presso le commissioni tributarie. Conseguentemente le procedure di cui al citato articolo 11, comma 4, avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto sono revocate. I concorsi sono riservati ai soggetti appartenenti alle categorie di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, in servizio, che non prestino giˆ servizio presso le predette commissioni. Ai fini del periodo precedente, si intendono in servizio i magistrati non collocati a riposo al momento dell'indizione dei concorsi.Ó. Nello stesso art. 39, il comma 1 chiarisce in via generale lĠintento del Legislatore nellĠintrodurre nuove disposizioni nel settore della giustizia tributaria precisando che: ÒAl fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altres“ imparzialitˆ e terzietˆ del corpo giudicante, sono introdotte disposizioni volte a: a) rafforzare le cause di incompatibilitˆ dei giudici tributari; b) incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili in servizio o a riposo ovvero tra gli avvocati dello Stato a riposo; c) ridefinire la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in analogia con le previsioni vigenti per gli organi di autogoverno delle magistratureÓ. Per completezza illustrativa delle norme che hanno rilievo nel presente contenzioso, lĠart. 9 del decreto legislativo n. 545 del 1992 (recante la disciplina dei procedimenti di nomina dei componenti delle commissioni tributarie) nella sua nuova formulazio cos“ dispone: Ò1. I componenti delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze, previa deliberazione del consiglio di presidenza, secondo l'ordine di collocazione negli elenchi previsti nel comma 2. 2. Il consiglio di presidenza procede alle deliberazioni di cui al comma 1 sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni commissione tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 per il posto da conferire che hanno comunicato la propria disponibilitˆ all'incarico e sono in possesso dei requisiti prescritti. 2-bis. Per le commissioni tributarie regionali i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo. 3. Alla comunicazione di disponibilitˆ all'incarico deve essere allegata la documentazione circa l'appartenenza ad una delle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 e il possesso dei requisiti prescritti, nonchŽ la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilitˆ indicate all'art. 8. 4. La formazione degli elenchi di cui al comma 2  fatta secondo i criteri di valutazione ed i relativi punteggi indicati nella tabella E e sulla base della documentazione allegata alla comunicazione di disponibilitˆ all'incarico. 5. Il Ministro delle finanze stabilisce con proprio decreto il termine e le modalitˆ per le comunicazioni di disponibilitˆ agli incarichi da conferire e per la formazione degli elenchi di cui al comma 2. 6. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilitˆ all'incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti,  fatta con decreto del Ministro delle finanze, su conforme deliberazione del consiglio di presidenza.Ó. Orbene tutti i ricorrenti sostengono che le nuove disposizioni introdotte con il surriprodotto art. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011 contrastino con i principi presidiati dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. nonchŽ con lĠart. 21 della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, dal momento che tali previsioni di fonte primaria invadono e colpiscono i principi di uguaglianza, non discriminazione, di libero accesso al pubblico impiego ed alle cariche pubbliche. In particolare i ricorrenti di cui al ricorso rubricato al n. R.g. 8898 del 2011 sostengono, nella loro qualitˆ di dipendenti dellĠAgenzia delle entrate e di consueti difensori dellĠAmministrazione finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, di essere stati ingiustificatamente esclusi dal novero delle categorie di aspiranti alla nomina di 960 giudici tributari presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali, quando non solo lĠart. 9 del decreto legislativo n. 545 del 1992 li elenca tra le categorie dei naturali legittimati a partecipare alle procedure per la nomina di giudice tributario, ma incomprensibilmente tra i soggetti legittimati a partecipare alla selezione di cui al bando qui gravato compaiono gli avvocati dello Stato che, in via ordinaria, si astengono dal difendere lĠAmministrazione finanziaria dinanzi alle Commissioni tributarie, delegando tale attivitˆ proprio ai dipendenti dellĠAmministrazione finanziaria stessa. Ci˜ determina una evidente disparitˆ di trattamento tra pubblici dipendenti, quali sono anche gli avvocati dello Stato, non potendo soccorrere a giustificare la ragionevolezza della disposizione contestata lĠobiettivo di accentuare la presenza di giudici tributari provenienti da categorie di soggetti per le quali  pi spiccato il carattere di terzietˆ, dal momento che tale profilo, tra le categorie favorite dallĠart. 39, comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011,  proprio dei magistrati ma certo non degli avvocati dello Stato. Analogamente il Consiglio dellĠOrdine degli avvocati di Cosenza, nel ricorso rubricato al n. R.g. 10205 del 2011, denuncia il carattere decisamente discriminatorio della norma appena richiamata, attraverso la quale  favorito ingiustificatamente lĠaccesso ad una carica pubblica di una categoria di soggetti, gli avvocati dello Stato, pretermettendo coloro che aspirano a svolgere le funzioni di giudice tributario e che attualmente, al pari degli avvocati dello Stato, svolgono la (medesima) professione forense. 10. Il Collegio, pur ritenendo rilevanti le questioni sollevate in entrambi i giudizi, ne evidenzia la manifesta fondatezza. Va premesso, in via generale, che l'esame delle censure formulate nei confronti della legge che si vuole sottoposta a controllo di costituzionalitˆ deve tener conto del vasto ambito di discrezionalitˆ che spetta al legislatore nelle scelte relative alla creazione e all'organizzazione dei pubblici uffici. Tali scelte - come  stato precisato in numerose circostanze dalla Corte costituzionale - non si sottraggono al sindacato sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialitˆ proclamati dall'art. 97, primo comma, della Costituzione. Le valutazioni consentite alla Corte costituzionale, tuttavia, per non esorbitare dagli apprezzamenti propri del controllo di costituzionalitˆ sulle leggi e non travalicare in quelli riservati agli organi legislativi, non possono eccedere i limiti del controllo di irragionevolezza. L'applicazione dell'anzidetto criterio di giudizio non permette di condividere il rilievo generale da cui espressamente muovono i ricorrenti: che la legge denunciata, non costituendo altro che un mero provvedimento di favore nei confronti di una determinata categoria di dipendenti pubblici, quella degli avvocati e procuratori dello Stato (atteso che le censure si appuntano soprattutto sulla previsione che favorirebbe i procuratori e gli avvocati dello Stato, senza sviluppare particolari rilievi al riguardo della previsione che individua nei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ulteriori categorie preferite dal legislatore per lĠarruolamento dei nuovi 960 giudici tributari), al fine dellĠinserimento di tali dipendenti nel novero delle pochissime categorie di soggetti legittimati a partecipare alla selezione di cui al bando qui principalmente impugnato. Come pu˜ leggersi agevolmente nei lavori preparatori alle disposizioni legislative qui contestate ed in particolare nella relazione illustrativa, l'articolo 39 del decreto legge n. 98 del 2011 detta disposizioni volte a rafforzare le cause di incompatibilitˆ dei giudici tributari e a incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, nonchŽ a modificare correlativamente alcune disposizioni relative al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. In questo ambito la disposizione recata dal comma 4 Òmira a consentire, nel pi breve tempo possibile, la copertura di 960 posti vacanti. Ci˜ nel- lĠintento di arginare le gravi inefficienze che potrebbero derivare dallĠimpossibilitˆ di far funzionare i collegi giudicanti per carenza di personale giudicante dimessosi per incompatibilitˆ sopravvenutaÓ (cos“, testualmente, nella relazione illustrativa). Con ulteriore specifico riferimento alle questioni qui in esame, nella relazione illustrativa si legge anche che lĠintendimento del Legislatore che si vuole raggiungere incrementando la presenza di magistrati ed avvocati dello Stato allĠinterno delle commissioni coincide con la necessitˆ di Òrispondere allĠesigenza di ammodernare la composizione delle commissioni tributarie regionali, alla luce dellĠevoluzione del processo tributario dagli anni novanta ad oggi, che ha risentito del sempre maggiore tecnicismo della materia tributaria (É)Ó. Orbene appare evidente, anche dalla lettura della relazione illustrativa al testo di legge in esame, che le previsioni normative censurate per un verso costituiscono prescrizioni urgenti ed eccezionali (da qui la loro presenza in un decreto legge) per sopperire a condizioni di estrema difficoltˆ nelle quali versa la giustizia tributaria (non a caso il testo impone letteralmente e con marcata definitivitˆ il periodo di indizione del concorso straordinario, entro due mesi dal 1Ħ gennaio 2012) nonchŽ, sotto altro versante, che la scelta del governo prima e del legislatore poi in sede di conversione, di attingere per tale reclutamento straordinario in alcune categorie tra quelle legittimate sin dal 1992 ad aspirare alla nomina di giudice tributario, si muove nel solco della duplice esigenza di rafforzare la caratteristica della terzietˆ del giudice tributario, garantendo al tempo stesso quella ormai necessaria alta specializzazione nel settore. Indubbiamente tali caratteristiche corrispondono alla figura degli avvocati dello Stato che, pur se tecnicamente difensori della parte pubblica, garantiscono nello svolgimento delle loro funzioni una attivitˆ tendenzialmente rivolta alla cura del pubblico interesse, piuttosto che compendiarsi in una difesa acritica dellĠoperato dellĠAmministrazione. Con riguardo poi al livello di competenze nel settore,  noto che gli avvocati dello Stato tendono a specializzarsi in discipline e ci˜ accade anche per quella tributaria rispetto alla quale attualmente patrocinano dinanzi a tutte le Corti della giustizia tributaria per la difesa delle Amministrazioni finanziarie coinvolte nei contenziosi in materia, limitandosi soltanto a delegare talvolta (il che vuol dire che la titolaritˆ della difesa tecnica si mantiene in capo allĠAvvocatura pubblica) ai funzionari dellĠAgenzia delle entrate la difesa giudiziale dellĠAmministrazione presso le commissioni di prima istanza, fermo restando che quando la natura o l'importanza delle questioni dibattute lo consiglino, lĠAmministrazione finanziaria pu˜ sempre richiedere lĠintervento dellĠAvvocatura (distrettuale o generale), che  poi in ogni caso necessario negli eventuali gradi successivi di giudizio. Peraltro lĠAvvocatura dello Stato assume la difesa delle Amministrazioni patrocinate sempre come istituzione (pur avendosi un affidamento personalizzato di ciascun affare, con garanzie interne che ne condizionano la revocabilitˆ), gli avvocati e procuratori dello Stato sono forniti di mandato promanante direttamente dalla legge (art. 1 del regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611, recante il Testo unico sullĠAvvocatura dello Stato), che li abilita all'esercizio delle loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni sulla base della semplice contezza della loro qualitˆ ed il patrocinio ha caratteri di esclusivitˆ, non potendo esso essere sostituito dalle amministrazioni statali, e neanche dagli enti pubblici che se ne avvalgono (quando tale utilizzazione non sia meramente facoltativa), se non nei casi e nelle forme previste dalla legge. LĠattivitˆ degli avvocati e procuratori dello Stato assume quindi, indubbiamente, anche per le garanzie derivanti dalla riserva di legge che ne copre l'organizzazione e il funzionamento e per il principio di autonomia che ne informa la funzione nell'ambito dell'organizzazione complessiva dello Stato, una rilevanza istituzionale a livello di ordinamento generale, che non consente alcuna assimilazione con l'attivitˆ di qualsiasi altra struttura organizzata per l'assistenza legale ad un determinato soggetto ovvero con gli avvocati professionisti che operano nel libero foro. D'altro canto va anche sottolineata la differenza tra lĠAvvocatura dello Stato e gli uffici legali costituiti presso enti pubblici nonchŽ rispetto a quegli altri uffici (spesso denominati con sigle che si avvicinano, non coincidendo per˜ le funzioni, a quelle pi proprie degli uffici legali composti da avvocati iscritti negli elenchi speciali presso i Consigli dellĠOrdine degli avvocati) che costituiscono mere articolazioni organizzative degli enti stessi, in nulla dissimili dalle altre strutture amministrative che ne assicurano il funzionamento, ed ai quali, nella ripartizione interna dei compiti, viene assegnato quello di curare pratiche legali della pi varia natura, per cui non sia richiesta obbligatoriamente assistenza legale, e di seguire i rapporti con i liberi professionisti o con lĠAvvocatura dello Stato, che dell'ente assumono la rappresentanza processuale e la difesa in giudizio, potendo saltuariamente essere delegati a rappresentare lĠente in giudizio specialmente quando non  richiesto, per la parte processuale privata, lĠausilio di una difesa tecnica. In questo caso ci si trova, chiaramente, dinanzi a semplici uffici amministrativi (quali anche soggetti privati ad organizzazione complessa usano costituire) che non assumono le caratteristiche e non svolgono istituzionalmente ed esclusivamente la funzione di pa trocinare (in senso tecnico) lĠente nei giudizi nei quali  coinvolto. Da quanto si  sopra osservato discende che il plesso dellĠAvvocatura dello Stato  connotato da peculiari caratteri di autonomia che lo rende istituzionalmente non confondibile con le amministrazioni patrocinate, sottolineandosi non da ultimo, quale significativa garanzia del ruolo svolto da quellĠIstituzione, lĠelevato prestigio professionale degli avvocati e procuratori che ne fanno parte, grazie anche ai rigorosi criteri di selezione. Appare nello stesso tempo evidente che non tutte le caratteristiche sopra rappresentate possono (legislativamente) rilevarsi nella categoria dei dipendenti dellĠAgenzia delle entrate nŽ in quella dei professionisti del libero foro. 11. - Il legislatore nazionale, quindi, nella sua discrezionalitˆ e responsabilitˆ politiche, ha provveduto a ridefinire un'attivitˆ e un'organizzazione, quale  quella della giustizia tributaria, caratterizzandole in maniera diversa e pi rigorosa rispetto al passato, e ci˜ attraverso previsioni che, in ragione di quanto si  fin qui detto, non appaiono irragionevoli o idonei ad evidenziare una illogicitˆ dei contenuti normativi rispetto agli obiettivi prefissati e chiaramente definiti nelle medesime norme qui oggetto di contestazione. Lo strumento prescelto dal legislatore nel caso in esame (e cio quello di limitare la partecipazione al concorso straordinario per la nomina di 960 giudici tributari ad alcune soltanto tra le categorie di tradizionali aspiranti) appare congruente e, nell'insieme, non palesemente irragionevole, tenuto conto delle giˆ accennate esigenze di accrescere il profilo di terzietˆ del- lĠorgano giudicante nella materia del contenzioso tributario e di garantire una risposta efficace al profondo tecnicismo che ormai caratterizza la materia stessa. Il legislatore ha ritenuto che lĠinserimento di nuovi giudici tributari selezionati tra magistrati dei tre plessi (ordinario, amministrativo e contabile) e tra gli appartenenti allĠAvvocatura dello Stato (avvocati e procuratori) possa costituire una efficace risposta alle esigenze sopradette che si sono manifestate in tutta la loro rilevanza negli ultimi anni, determinando un momento di serio impasse nel funzionamento della giustizia tributaria (al pari del resto di altri settori giudiziari che, proprio per le ridette ragioni, sono oggetto di incisivi interventi legislativi di riordino nel corso della presente Legislatura). Tali considerazioni, del resto, appaiono in linea con il costante pensiero espresso dalla Corte costituzionale che, in sede di interpretazione della portata della regola del concorso pubblico, ha sovente sottolineato come la facoltˆ del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico aperto non pu˜ essere esclusa in assoluto, seppur deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., ex plurimis, le sentenze 18 febbraio 2011 n. 52 e 4 giugno 2010 n. 195). Ad avviso del Collegio i suindicati parametri di compatibilitˆ costituzionale sono stati rispettati dal legislatore nella redazione del testo di legge qui contestato dai ricorrenti, di talchŽ esso non si palesa in manifesto contrasto con i principi desumibili dagli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonchŽ dai connessi principi di diritto comunitario in tema di restrizioni allĠaccesso a posti di pubblico impiego o a cariche pubbliche. 12. In ragione delle suesposte considerazioni i ricorsi, per come riuniti, vanno respinti. Sussistono nondimeno i presupposti per compensare integralmente tra le parti costituite le spese di giudizio, ai sensi dellĠart. 92 c.p.c. come richiamato dallĠart. 26, comma 1, c.p.a., tenuto conto della peculiaritˆ delle questioni sottese alle controversie qui decise. P.Q.M. pronunciando in via definitiva sui ricorsi indicati in epigrafe: 1) dispone la riunione del ricorso n. R.g. 10205 del 2011 al ricorso n. R.g. 8898 del 2011; 2) li respinge entrambi; 3) spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella Camera di consiglio del 18 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati: Luigi Tosti, Presidente Stefano Toschei, Consigliere, Estensore Silvia Martino, Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 26/09/2012 PARTE II - 4. Tre scritti per riflettere... - 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullĠAvvocatura dello Stato e la sua storia - 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore. 4. Tre scritti per riflettere ... Tre scritti di epoca diversa spiegano come il tema degli onorari (dellecause vinte poste a carico delle controparti) si collega per gli avvocati delloStato ad un tema pi prezioso, quale quello della Òrappresentanza dello Stato in giudizioÓ e, conseguentemente della cosiddetta Ògestione delle litiÓ. Il primo documento  il resoconto del dibattito parlamentare del 19 giugno 1889, nel quale il ministro del Tesoro, Giovanni Giolitti si opponeva allo stanziamento in bilancio delle somme (versate allĠErario dalle controparti soccombenti) da restituire agli avvocati a compenso della loro attivitˆ. La Camera dei deputati, dopo un serrato dibattito, respingeva la proposta del ministro. Il secondo documento  uno stralcio del saggio di presentazione dellĠAvvocatura dello Stato e della sua storia inserito nel volume ÒLa chiesa, la biblioteca Angelica e lĠAvvocatura Generale dello Stato - Il complesso di S. Agostino in Campo MarzioÓ edito dallĠI.P.Z.S. nel 2009. LĠinteresse di questo richiamo ritorna ad Antonio Giolitti, che nel 1907 riprende, sotto altro profilo, lĠargomento che lo aveva visto soccombente venti anni prima e modifica, smantellandolo, lĠoriginario ordinamento dellĠavvocatura erariale (si chiamava cos“ ...). Gli avvocati diventano ÒfunzionariÓe la rappresentanza legale dello Stato passa in via esclusiva alle direzioni generali dei ministeri e/o comunque agli uffici burocratici. LĠesito dellĠesperimento, sia sul piano funzio nale che economico, non  dei pi felici ed il suo fedelissimo avv. Giovanni Villa, nominato Avvocato Generale, ritorna allĠantico nel 1913. Il terzo contributo  un articolo del direttore della Rassegna apparso sul Sole 24 Ore nel mese di agosto, nel quale, rispetto alle riforme introdotte con il decreto legge n. 90/2014 dal Governo Renzi, cerca di ritrovare, nel dibattito in corso, un filo istituzionale che col generico richiamo allĠabolizione dei Òprivilegi di castaÓ sembra essersi perso ... g.f. 4.1. Dibattito parlamentare 19 giugno 1889. Atti Parlamenari - 2757 -Camera dei Deputati LEGISLATURA XVI 3a SESSIONE DISCUSSIONI 2 a TORNATA DEL 19 GIUGNO 1889 XCII 2a TORNATA DI MERCOLEDí 19 GIUGNO 1889 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BIANCHERI. SOMMARIO. É= Seguitasi la discussione del bilancio del tesoro e prendono parte alla discussione i deputati Cavalletto, Cucchi Luigi, Ungaro, Ricci Vincenzo, Napodano, Spirito, Grimaldi, il relatore deputato Cadolini ed il ministro del tesoro - Sono approvati i capitoli e gli articoli del disegno di legge =... ... ... La seduta comincia alle 2,20 pomeridiane. loro carico nei giudizi sostenuti dalle avvo(É) cature erariali. Capitolo 137 bis. Quote dovute ai funzionari Dir˜ brevemente le ragioni per le quali ho delle Avvocature erariali sulle somme versate creduto di presentare questa proposta. La Cadalle controparti per competenze di avvocati mera poi farˆ quello che crederˆ di fare. e procuratori poste a loro carico nei giudizi Intorno a cotesta questione ho ricevuto una sostenuti dalle Avvocature erariali e paga-quantitˆ di memorie e di opuscoli, gran parte menti di spese gravanti le competenze mede-dei quali spero non provenga da funzionari sime (Spesa d'ordine). della avvocatura erariale, perch gli argo- La Commissione propone lo stanziamento di menti legali che vi si trovano, hanno un va110,000 lire. lore cos“ misero ch se da quei funzionari L'onorevole ministro ha facoltˆ di parlare. provenissero mi farebbero dubitare molto del Giolitti, ministro del tesoro. Siccome la vantaggio che lo Stato pu˜ ricavare dall'opera Commissione del bilancio ha espresso il de-loro. (Si ride). Ma spero e confido che non siderio che dicessi prima io l'avviso del Mi-vengano da quella parte. nistero, ho approfittato della facoltˆ, datami La questione della legalitˆ  stata mossa da dal presidente, di parlare per abbreviare fino questo punto di vista. Si  sostenuto cio che a un certo punto la questione. il regolamento del 16 gennaio 1876, il quale Il Ministero propone di incamerare a benefi-all'articolo 15 diede all'avvocatura erariale cio dello Stato quelle quote che finora i fun-questa partecipazione, avesse forza di legge. zionari delle avvocature erariali riscuotevano Ora a me basterˆ citare due circostanze per sulle somme versate dalle controparti per dimostrare che quel regolamento non pu˜ competenze di avvocati e procuratori poste a avere forza di legge. La prima  una circostanza di fatto, perch quel regolamento per tuttoci˜ che riguarda la misura degli stipendi, il numero delle avvocature erariali, il numero dei funzionari di ogni avvocatura  stato modificato quasi ogni anno per semplice decreto reale e senza che s'invocasse la necessitˆ di una legge. Tutte le volte adunque che si  trattato di aumentare la spesa, non c' mai stato nessuno il quale abbia trovato che vi facesse ostacolo quel regolamento; la prima volta in cui si propone di diminuire la spesa, si sostiene che quel regolamento ha forza di legge. E lo si sostiene per questa ragioni, che l'articolo 7 della legge 28 novembre 1875 che istitu“ le avvocature erariali, dopo alcune disposizioni relative ad argomenti estranei alla presente questione, ordinava che il regolamento Òdisporrˆ per tuttoci˜ che pu˜ occorrere per l'attuazione della presente legge.Ó Ora io osservo che quando una legge delega al potere esecutivo delle facoltˆ che il potere esecutivo per se non avrebbe, allora l'atto compiuto dal potere esecutivo in virt del potere delegato  una legge; ma quando non si fa altro che dire al Governo: voi farete un regolamento per provvedere all'esecuzione della legge, con questo si ricorda puramente e semplicemente quella facoltˆ che il Governo ha dallo Statuto fondamentale del regno di provvedere per regolamento all'esecuzione delle leggi. In esecuzione del citato articolo 7 della legge del 1875  stato fatto il regolamento del 16 gennaio 1876, in cui era stabilita all'articolo 15 la distribuzione ai funzionari dell' avvocatura erariale delle somme per compenso d'avvocato ripetute dalla parte avversaria. Ho giˆ detto e ripeto che questo regolamento  stato mutato quasi ogni anno, modificando gli stanziamenti di bilancio, ed accrescendo gli stipendi ed il numero dei funzionari. Mi parrebbe strano l'ammettere la tesi che questo documento sia legge quando si tratta di diminuire la spesa, e sia decreto quando si tratta di accrescerla. Sul punto della legalitˆ, mi pare quindi che non vi possa essere contestazione. Ora a me pare che sarebbe fare ingiuria al corpo cos“ rispettabile dell'avvocatura erariale, le cui origini gloriose risalgono al compianto nostro collega Mantellini, che ricord˜ l'onorevole Cavalletto, il supporre che questi avvocati erariali, se loro si toglie questa speciale retribuzione, invece di andare innanzi ai tribunali a dire delle ragioni buone ci vadano a dire delle ragioni cattive. Questa ingiuriosa ipotesi, messa innanzi in alcune di quelle memorie, delle quali ho parlato poco fa, la escludo in modo assoluto e considero la questione dal punto di vista della misura degli stipendi. Ora, se la Camera osserva la misura degli stipendi degli avvocati erariali, vedrˆ che l'avvocato erariale  trattato alla pari della magistratura. D'altra parte noto che questa partecipazione  data in modo da compensare una parte sola del lavoro delle avvocature. Questi uffici hanno attribuzioni consultive che forse sostanzialmente sono le pi importanti, perchŽ allo Stato interessa soprattutto di fare contratti i quali non diano luogo a liti. Tale parte di lavoro non ha compenso all'infuori dello stipendio. Nella parte della difesa delle cause poi succede questo fatto che nelle cause dove la ragione dello Stato  evidente e quindi la difesa facile, l'avvocatura ripete le spese dalla parte contraria; nelle cause dubbie invece nelle quali pi difficile  la difesa, per lo pi le spese si dichiarano compensate, e nulla percepisce l'avvocatura. Infine nel compenso di cui parliamo vi  la massima disuguaglianza tra una avvocatura erariale e l'altra. Citer˜ solo due cifre. Nell'esercizio 1887-88 l'avvocatura erariale di Milano ha avuto fra tutti i suoi funzionari 1924 lire, mentre l'avvocatura di Napoli ne ha avute 43,200. Cito queste due cifre per dimostrare che almeno il modo di riparto, come  stato fatto finora  assolutamente inammissibile. Di San Donato. Dipende dal numero degli affari. Giolitti, ministro del tesoro. Non dipende da ci˜. Di San Donato. E allora come lo spiegate? Giolitti, ministro del tesoro. Io constato il fatto,  inutile ora andarne a ricercare la causa. Conchiudo dicendo che qui si tratta di una spesa di 110 mila lire che ho creduto, senza danno del servizio e senza illegalitˆ, si potesse risparmiare. Detto questo ed esposte le ragioni per le quali ho creduto di dover proporre lĠeconomia, me ne rimetto interamente alla Camera. Presidente. Ha facoltˆ di parlare lĠonorevole Napodano. Napodano. Ringrazio l'onorevole ministro che ha voluto prevenire le osservazioni che intendevo di fare. Incomincier˜ ringraziandolo dell'ultima sua dichiarazione, di rimettersene completamente alla Camera, la quale potrˆ cos“ riguardare la questione con la massima imparzialitˆ. Anzitutto, trattandosi di sole centodieci mila lire non mette il conto di spostare gli interessi... (Rumori). Se si trattasse di somme rilevanti, comprenderei l'interesse dell'erario, ma, per uno stanziamento cosi tenue, pu˜ benissimo la Camera passarci sopra. Vengo ora al doppio ordine di considerazioni svolte dall'onorevole ministro: illegalitˆ e convenienza. Qnanto alla illegalitˆ, io non posso sotto scrivere all'opinione sua che il regolamento del 15 giugno 1876, che fu emesso in virt dei poteri delegati dalla Camera al Governo, per l'ordinamento delle avvocature erariali, possa considerarsi come un atto governativo da potersi modificare con un semplice atto del potere esecutivo. Questo regolamento  il fondamento dell'ordinarnento delle avvocature erariali; le quali sorsero e crebbero sotto l'impero di esso. Coloro i quali hanno fatto concorsi, esami per entrare nell'avvocatura erariale, fecero assegnamento sulla disposizione del regolamento stesso secondo la quale potevano partecipare ai proventi delle cause che riuscissero a vincere. Quindi non credo che, con un semplice provvedimento del bilancio, si possa derogare legalmente a quello che fu organicamente costituito, a quello su cui i fanzionari delle avvocature erariali fecero assegnamento, a quello che ha ricevuto la consacrazione del- l'uso. Alla questione di legalitˆ, pare a me per˜ che sia superiore la questione di convenienza, e dir˜ anche la questione d'interesse pubblico. Io comprendo che non si possa fare agli avvocati erariali il torto di pensare che, ove sia accettata la proposta del ministro, essi sostituiscano alle buone le cattive ragioni. Ma l'onorevole ministro deve considerare che gli avvocati erariali difendono tutte le cause nel- l'interesse delle pubbliche amministrazioni, e che solamente per le cause che vincono possono partecipare ai compensi che si riscuotono dai soccombenti: mentre per le cause che perdono (e credo che forse potranno essere il maggior numero) essi perdono il lavoro insieme alla causa. L'onorevole ministro ha ricordato la maniera con la quale segue la ripartizione di questi compensi, ed ha notato come questi ascendano a una cifra minima a Milano, e ad una somma abbastanza cospicua a Napoli. Ma questo, a mio credere, non sta a prova della ineguaglianza della distribuzione della somma; sta invece a provare che il numero delle cause trattate e vinte a Napoli  superiore a quello delle cause trattate e vinte a Milano; e basta questo doppio coefficiente a spiegare la diversitˆ delle cifre citate dal- lĠonorevole ministro. L'onorevole ministro ha poi notato che lĠAvvocatura erariale, a paritˆ, di condizioni,  trattata assai meglio dell'ordine giudiziario. Ma se questa asserzione vale a dimostrare che i magistrati sono malissimo retribuiti, non vale per indurne la conseguenza che sia necessario pagar male anche gli avvocati erariali. Se fosse presente l'onorevole guardasigilli, potrei ricordargli le dichiarazioni da lui ripetutamente fatte in sede conveniente di bilancio a tutti quelli che presero parte a quella discussione, e notarono la troppo umile retribuzione concessa ai funzionari dell'ordine giudiziario: e infatti gli sforzi dell'illustre guardasigilli, coi disegni di legge che sono giˆ innanzi alla Camera, mirano precisamente a portare una riforma alla circoscrizione giudiziaria, per migliorare la condizione economica dei magiatrati. Ma da questo, onorevole ministro, non pu˜ derivare, ripeto, la conseguenza che bisogni togliere questo compenso che godono gli avvocati erariali. Io non dico giˆ che questi compensi siano la ragione assoluta che li spinga a lavorare bene, con rettitudine, con alacritˆ, perch, indubbiamente, in Italia vi  troppa onestˆ nei pubblici funzionari, per supporre che essi vogliano proporzionare alla retribuzione il modo col quale debbono attendere all'adempimento dei loro doveri. Ma  pur vero per˜ che quei proventi costituiscono un compenso per certe cause abbastanza gravi per le quali non basta il tempo di ufficio, e per le quali l'avvocato erariale, per istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, accurato, indipendente da quello a cui sarebbe tenuto per ragione di orario. Inoltre diciamo le cose come sono. Se togliete la speranza di maggior guadagno, toglierete maggiore stimolo all'azione umana, in fatto di lavoro, perch il lavoro stesso sia compiuto nel modo migliore. E per˜, onorevole ministro e onorevoli colleghi della Camera, senza dilungarmi pi oltre vorrei che teneste conto dellĠeco che questa questione ha sollevato anche in alcuni corpi importanti dell'avvocatura: perch giˆ parecchi Consigli dell'ordine degli avvocati, come quello di Roma, quello di Napoli ed altri, han fatto voti affinch gli avvocati erariali, assimilati ad ogni altra avvocatura libera, possano conservare questo emolumento che rappresenta il frutto dei loro lavori professionali. Presidente. Ha facolta di parlare lĠonorevole Spirito. Spirito. Io mi associo alle considerazioui del- l'onorevole Napodano; e quindi aggiunger˜ poche parole soltanto. Anzitutto dir˜ che sono convinto che la instituzione dell'avvocatura erariale abbia giˆ, portatato importanti beneficii alle pubbliche amministrazioni, e che potrˆ portarne anche maggiori. E dico ci˜ perch mi pare che la proposta che il Ministero ora ha quasi abbandorata, piccola in apparenza, potrebbe avere in realtˆ una portata assai pi grave, inquantoch colpirebbe al vivo l'istituzione stessa. Essa  stata concepita a questo modo: lo avvocato erariale non  un impiegato, n un magistrato, nŽ un avvocato; ma  ad un tempo impiegato, magistrato ed avvocato. E soprattutto egli non ha spezzato i suoi legami col foro: locch  dovuto appunto a quella disposizione per in quale 1'avvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui  condannata la parte soccombente. Sopprimete questo, e l'avvocato erariale diventerˆ assolutarnente un impiegato dello Stato e voi avrete mutato i cardini della istituzione. Non  giˆ che, mancando la prospettiva di quel piccolo utile, debba in tutto venir meno lo zelo degli avvocati erariali. No; sarebbe un'esagerazione; nelle avvocature erariali sono uomini di valore e di cuore, i quali continuerebbero a compiere onestamente il loro dovere. Ma lĠuomo  mestieri prenderlo quale : quel piccolo interesse personale acuisce l'ingegno e lo zelo dell'avvocato erariale. Non dimentichiamo un precedente storico. Noi avemmo per alcuni anni la istituzione dell'avvocato dei poveri, il quale non era che uno stipendiato dello Stato. Ebbene, quella istituzione and˜ di mano in mano cadendo e poi si dov sopprimerla, ch quegli avvocati non avevano il prestigio del magistrato, n potevano gareggiare con l'avvocatura libera. Invece l'avvocatura erariale gareggia di prestigio e di valore con gli avvocati liberi che invece di esserne gelosi, hanno nobilmente fatto manifestazioni favorevoli alla tesi che noi sosteniamo. lo non entro nella questione legale di vedere se il Governo possa o no ritenere per s i compensi che pagano le parti soccombenti. Credo anzi che lo potrebbe; poich il regolamento del gennaio 1876 non parmi che abbia carattere legislativo. Ma io domando:  conveniente,  opportuno, o non  forse molto pericolosa la proposta ministeriale. Il ministro dice che questi benefici non si dividono equamente. Io tengo alla precisione del linguaggio: questi utili non si dividono egualmente ma equamente. La equitˆ sta appunto nella disuguaglianza, la quale  soltanto formale, perch colui che ha meno  quegli che meno ha lavorato ed a cui meno ha arriso la vittoria. Ed  quindi giusto che egli abbia meno, e che abbia di pi chi pi ha lavorato e chi ha ottenuto maggiori vittorie, con grande vantaggio della pubblica finanza. Tolto quindi di mezzo il dubbio di una qualsiasi ingiustizia nella distribuzione degli utili, non so vedere perch di straforo, in un articolo del bilancio, noi dovremo portare un colpo cos“ grave ad una istituzione che non da oggi soltanto, ma da lungo tempo io credo utile al paese. Sono giˆ parecchi anni che nella qualitˆ di consigliere del municipio di Napoli, feci la proposta di un'avvocatura municipale sul medesimo tipo dell'avvocatura erariale. Nel mio concetto era anzi prevalente il criterio di cointeressare quegli avvocati alle cause municipali, dando ad essi i compensi da pagarsi dalle parti soccombenti. N dica, onorevole ministro, che v' incoerenza nel fatto che il lavoro consultivo dell'avvocato erariale, che  forse pi importante del lavoro propriamente giudiziario, non ha alcuna retribuzione speciale. Ma chi dovrebbe darla questa retribuzione? Lo Stato; ma lo Stato dˆ lo stipendio per quell'opera n vi  bisogno di retribuzione speciale. Invece  giusto e conveniente che l'avvocato erariale abbia una retribuzione speciale, quando con lĠopera sua ha assicurato la vittoria della causa. Ora, trovando io logica ed equa questa disposizione, mi parebbe pericolosa la soppressione di essa. Ed  per ci˜ che, ringraziando lĠonorevole ministro della dichiarazione fatta di non insistere nella sua idea e rimettersene alla decisione della Camera, prego vivamente gli onorevoli colleghi di accettare la proposta della Commissione di ripristinare lo stanziamento di 110,000 lire. Presidente. Ha facoltˆ di parlare lĠonorevole Grimandi. Grimaldi. Dopo la proposta della Commissione generale del bilancio di reintegrare le 110,000 lire sul capitolo in questione, e dopo che in argomento hanno parlato gli onorevoli Napodano e Spirito, a me non resta se non riepilogare brevemente la discussione, inquantoch il mio parere  perfettamente conforme a quello espresso da essi or ora alla Camera. E perchŽ la Camera intenda la questione nei suoi veri termini mi permetto di ricordare come del resto ha giˆ fatto la Commissione, che questa somma ha la contropartita nel bilancio dellĠentrata, e che si tratta delle competenze attribuite ai funzionari dellĠavvocatura erariale sulle somme versate dalle parti soccombenti, per competenze poste a loro carico nei giudizi sostenuti dagli avvocati erariali, e pagamenti di spese gravanti le competene medesime. Io non tratto la questione legalitˆ, sulla qule si  versato lĠonorevole ministro del tesoro, che con equanimitˆ ha finito col rimetteresi al giudizio della Camera. Non entro nella questione della legalitˆ, non posso per˜ fare a meno di notare una circostanza che certo ha dovuto fare impressione nellĠanimo dellĠonorevole ministro: e la circostanza  la seguente. LĠavvocatura erariale sorse dietro la legge del 1875 ed  governata dalla legge medesima, e dal regolamento del 1876. Sia che si possa, sia che non si possa in sede di bilancio mutare ci˜ che nel regolamento  stato detto; sia che si dia o no a questo regolamento il carattere legislativo; certo  che questa istituzione  nata con la sicurezza di avere da una parte lo stipendio, dallĠaltra le competenze in questione. Ora in forza appunto di questo duplice vantaggio, molti giovani del foro e della magistratura passarono allĠavvocatura erariale, la quale, secondo le disposizioni finora vigenti, loro assicurava questa duplice natura di assegno: sicch a me pare che vi sia un certo diritto acquisito. Certamente questo pu˜ essere mutato con unĠaltra legge, se al ministro parrˆ di dare una diversa base a questa istituzione; ma senza questa legge e nello stato delle cose  pi opportuno, e pi prudente, e pi conveninete consiglio lasciare le cose come sono. NŽ mi impone la circostanza della non equa ripartizione di questa somma. Come dice il ministro; nŽ voglio entrare nei criteri con cui viene essa fatta, noti allĠonorevole ministro pi che a me. Certo , che la differenza tra una Avvocatura erariale e lĠaltra nascono, come ben disse lĠonorevole Napodano, dalla quantitˆ delle cause che si trattano in ciascuna di esse, e dal numero delle vittorie riportate; perchŽ queste competenze sono il risutato delle spese dei compensi che pagano le parti soccombenti. Credo anchĠio che gli avvocati erariali non abbiano bisogno di questo stimolo per compiere il loro dovere, e che lo compiono con zelo e premura lodevole; ma  innegabile che la posizione degli avvocati erariali, mentre da una parte  uguale a quella di tutti gli altri funzionari dello Stato, dallĠaltra  soggetta a maggior fatica e maggior cura che li accomuna alla libera professione forense. E sul proposito dico che tornerˆ gradito certamente allĠonorevole ministro il fatto che una istituzione da lui dipendente abbia avuto il suffragio di tre curie nobilissime, quali sono Roma, Palermo e Napoli, nelle quali cittˆ i Consigli dellĠOrdine si sono riuniti per pregare il ministro e la Camera di lascire queste competenze, oltre gli stipendi agli avvocati erariali, con cui giornalmente lottano nella palestra forense. Onorevoli colleghi, se vĠ da modificare la ripartizione, se vĠ da modificare lĠistituzione, facciamolo; ma facciamolo guardando il problema in tutte le sue parti, non in una parte sola, quale  quella delle quote di competenze. Cerchiamo di vedere se questo sistema sia utile; e nel caso che non sia utile, vediamo di aumetare gli stipendi, come lo stesso ministro pensa; ma ad ogni modo risolviamo il problema interamente e non parzialmente, come faremmo elimando lo stanziamento proposto nel capitolo, del quale discutiamo. Una ultima parola mi sia concessa. Io, sempre, e dai banchi del Governo e sui banchi di deputato, ho sostenuto la istituzione dellĠAvvocautra erarile, e la sosterr˜. Prego la Camera di voler considerare una cosa sola Se non vi fosse questa istituzione, composta di persone che hanno per compito di difendere contro tutti e sempre gli interessi dello Stato pensi la Camera a che conseguenze si andrebbe incontro. Vi sono nei bilanci dello Stato parecchi milioni; ed un ministro del tesoro non avendo quella istituzione, avrebbe bisogno di ricorrere agli avvocati liberi. Quali potrebbero essere gli effetti di questo sistema, io, avvocato, non lo dico; lo lascio alle considerazioni della Camera. Non veniamo dunque a colpire una istituzione, che  proficua e soprattutto onesta. (Bene!) Presidente. Ha facoltˆ di parlare l'onorevole ministro del tesoro. Giolitti, ministro del tesoro. Ringrazio gli onorevole Spirito, Napodano e Grimaldi di avere riconosciuto che nella proposta del Governo non c'era nulla che offendesse disposizioni di legge. Questo  il punto a cui tengo di pi, perch l'accusa di aver fatto una proposta contraria alla legge mi sarebbe rincresciuta. Quanto al merito della questione io non ho nulla da ripetere. Voglio solamente dichiarare che non era nelle mie intenzioni, quando proposi di sopprimere codesto assegno di recare la menoma offesa ad una istituzione che altamente apprezzo, e alla quale appartengono carissimi amici miei. Dichiarato questo, non ho nulla da soggiungere senonch la Camera faccia quello che crede, per parte mia non prender˜ neppure parte al voto. Se la Camera sopprimerˆ lo stanziamento tutto sarˆ finito; se lo lascerˆ dichiaro che sarˆ necessario qualche provvedimento affinchŽ quel provento sia ripartito con criteri pi uniformi. Presidente Ha facoltˆ di parlare l'onorevole Cavalletto. Cavalletto. Dopo il discorso irrefutabile del- l'onorevole Grimaldi, al quale mi associo pienamente, e dopo le promesse dell'onorevole ministro di studiare l'argomento, io credo che si possa andare ai voti approvando lo stanziamento di 110,000 lire proposto dalla Commissione. Presidente. Onorevole relatore, Ella deve riferire intorno ad una petizione, mi pare. Cadolini, relatore. Faccio notare all'onorevole presidente che nella relazione  stata menzionata la petizione del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma. E se non ho creduto necessario di esporre gli argomenti in essa contenuti, si  perchŽ in conclusione sono sempre le ragioni esposte a nome della maggioranza della Giunta; e siccome questa presenta una proposta conforme ai voti del Consiglio dell'ordine degli avvocati, cos“ non occorre fare un maggior svolgimento delle idee contenute nella petizione. Presidente. Come dunque la Camera ha udito, al capitolo 137bis il Governo aveva proposto di sopprimere lo stanziamento degli anni scorsi: la Commissione invece lo ha riproposto, o l'onorevole ministro ha dichiarato di rimettersene alla deliberazione della Camera. Io dunque pongo a partito lo stanziamento proposto dalla Commissione al capitolo 137bis in lire 110,000. Coloro che lo approvano vogliano alzarsi. (Dopo prova e controprova la Camera op- prova lo stanziamento proposto dalla Commissione al capitolo 137bis). 4.2. (segue) Stralcio di un saggio sullĠAvvocatura dello Stato e la sua storia (*). Ç Pur tuttavia gli anni del Giolittismo e dei nuovi interessi emergenti nel- l'Italia di fine secolo non sono facili per l'Avvocatura Erariale: l'interesse pubblico generale si disperde, le potenzialitˆ espansive dell'Istituto creato dalla Destra Storica si imbattono in un'articolazione della macchina statale che diventa sempre pi complessa e tende a regolarsi secondo schemi autoreferenziali. Ed  in questo clima che matura un'aspra polemica tra gli avvocati generali erariali e il mondo politico amministrativo degli inizi del secolo, polemica che culminerˆ con le dimissioni nel 1913 di Adriano De Cupis, l'ultimo avvocato generale erariale espressione dell'oligarchia creata dal Mantellini (24). (*) DaÒLĠAvvocatura dello Stato: una sfida culturale apertaÓ, GIUSEPPE FIENGO e PAOLO GENTILI, in ÒLa chiesa, la biblioteca Angelica e lĠAvvocaura Generale dello Stato - Il complesso di S.Agostino in Campo MarzioÓ, Roma, I.P.Z.S., 2009. (24) Le fonti su questa vicenda restano alquanto sibilline. La nota biografica di Adriano De Cupis in L'Avvocatura dello Stato, Roma, I.P.Z.S., 1976, p. 558, recita: "... Giuspubblicista di notevole valore (di lui basti ricordare la fondamentale opera sulla Contabilitˆ di Stato, che costitu“ la prima trattazione sistematica della materia), profondo conoscitore della Pubblica Amministrazione, si impegn˜ durante i nove anni in cui resse l'Istituto nel suo perfezionamento e potenziamento, forte anche della nomina a Senatore conferitagli nel 1905. La legge 14 luglio 1907, n. 485 sul riordinamento dell'Avvocatura ed i Un chiarimento su queste dimissioni traspare direttamente dai dati normativi e dalla curiosa vicenda dell'endiadi "rappresentanza e difesa". La legge 4 luglio 1907 n. 485, coeva alla legge 7 luglio 1907 n. 42, che sottraeva all'Avvocatura Erariale gran parte delle controversie delle Ferrovie dello Stato, segna infatti un durissimo attacco del Parlamento all'Istituto e alla sua formula mantelliniana: scompare ogni accenno alla rappresentanza, sostituito dall'endiadi "la difesa delle cause e le consultazioni legali nell'interesse dello Stato"; si estende la possibilitˆ delle amministrazioni attive di derogare alla difesa dell'Avvocatura Erariale; l'intero regolamento del 16 gennaio 1876 viene esplicitamente abrogato (25). E, tanto per far capire che da una parte pendeva il potere, si stabilisce che "i funzionari" dell'Avvocatura Erariale dovessero essere assunti per concorso. La rappresentanza, espunta dalla legge, ricompare - dopo la nomina di Villa, un fedelissimo di Giolitti, ad avvocato generale - nella stessa formulazione mantelliniana, nel regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi sulla regia avvocatura approvato con R.D. 24 novembre 1913 (art. 1) in connessione con la previsione legislativa di una riserva di deliberazione del Consiglio dei Ministri per dar la stura alla possibilitˆ per le amministrazioni attive di nominare e comunque utilizzare direttamente avvocati del libero foro. Solo in epoca fascista la rappresentanza riacquista pari dignitˆ della difesa nel testo unico emanato con R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, in gran parte tuttora vigente, laddove (art. 1) si stabilisce che "la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate in ordinamento autonomo, spettano all'Avvocatura dello Stato ". E in effetti il vigente Testo Unico del 1933, emanato allo scopo di coordinare la normativa preesistente con le regole del foro dello Stato (abolizione dei delegati erariali) e con quelle della rappresentanza e difesa dell'Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato, segna storicamente un momento di razionalizzazione e di reviviscenza dell'ordinamento Mantellini, nel senso che vi  una chiara tendenza del legislatore a ribadire quei principi in parte di- successivi provvedimenti legislativi 22 giugno 1913, n. 679 e 24 novembre 1913 n. 1303 e 1304 furono frutto della sua opera e della convinta determinazione con cui affront˜ - da vero grand commis dello Stato - ogni difficoltˆ, senza arretrare nemmeno dinanzi alla risorsa ultima delle dimissioni". L'indirizzo di saluto rivolto da Adriano De Cupis ai colleghi al momento di lasciare l'incarico nel gennaio del 1913 reca nel primo capoverso alcuni cenni a un profondo disagio: "Non per superbire (voi mi conoscete) ma per legittima protestazione dico, con la franchezza di sicura coscienza, che all'alto e difficile ufficio io non mancai, nulla avendo trascurato di quanto della grandezza e dignitˆ degli Uffici e del grado che vi tenni poteva essere richiesto; ultima prova di ci˜ (poichŽ voi ne sapete la ragione)  il dipartirmi da voi...". (25) Del regolamento 16 gennaio 1876 restano in vita solo poche disposizioni, tra le quali l'art. 8, il cui tenore, avulso dall'organico testo originario, finisce per giustificare quell'interpretazione giurisprudenziale che si era andata consolidando sulla vigenza delle tabelle organiche del 1965 e sulla spettanza agli organi di amministrazione attiva della rappresentanza processuale. spersi dalla giurisprudenza e dagli atti normativi dell'inizio del secolo. L'accorpamento in un unico articolo della formula sulla rappresentanza e difesa con il principio, stabilito al secondo comma dell'art. 1 che "gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni, in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale bastando che consti la loro qualitˆ", mostra chiaramente la volontˆ di incentrare nell'organo tecnico di difesa (che assume ora il nome di Avvocatura dello Stato) tutti i poteri di rappresentanza e di patrocinio anteriormente distinti tra difensore e amministrazione È. 4.3. (segue) Articolo pubblicato sul Sole24Ore (*). C' largo consenso all'idea del presidente Renzi che le amministrazioni pubbliche italiane, confusionarie e costose rispetto al contesto europeo, abbiano bisogno di una buona sfoltita. Tuttavia la fretta e, forse, la scarsa conoscenza dei temi da trattare creano problemi che rischiano di mettere in discussione le basi su cui si fondano le democrazie liberali. Al riguardo  noto che uno dei princ“pi giuridici, posti agli albori del- l'Unificazione del Regno d'Italia, fu quello che lo Stato (e il re), chiamati davanti a un giudice per risolvere una questione civile o criminale, dovessero comunque e sempre "affrontarsi con i privati ad armi pari": era ostico far capire alla nascente borghesia come un giudice, nominato, promosso e pagato dal re, potesse senza apprensione dargli torto. Fu cos“ che fu sancita la regola che davanti ai tribunali le amministrazioni pubbliche non potessero presentarsi direttamente con i propri funzionari, ma dovessero sempre agire, come il privato cittadino, con l'intermediazione di un avvocato. Questa regola di civiltˆ non fu estesa, per ragioni di controllo sociale, alle questioni criminali, laddove lo Stato continuava a svolgere istituzionalmente il duplice ruolo di accusatore e giudice. Nondimeno gli avvocati, pubblici e privati, divennero i garanti di un sistema che assicurava ai giudizi civili, sulle tasse e sulle ereditˆ, trasparenza e oggettivitˆ. Un ulteriore passaggio, finalizzato a spogliare il potere esecutivo dalla "gestione delle liti", fu l'istituzione, per le cause dell'amministrazione centrale, dell'Avvocatura dello Stato, una sorta di General Attorney, di nomina non politica, che cumulava l'esclusiva della difesa in giudizio con la responsabilitˆ propria dell'avvocato. I provvedimenti sull'Avvocatura dello Stato, inseriti nel decreto legge sulla Pa 90/2014, convertito in legge, sembrano dimenticare il tema, che resta importante. Le disposizioni proposte dal Governo tendono ad eliminare la particolare prerogativa della difesa dello Stato in giudizio, riconducendo il ruolo degli avvocati dello Stato a quello di semplici dipendenti pubblici. E poichŽ (*) Il Sole24Ore - Commenti & Inchieste, 12 agosto 2014, ÒRegole di civiltˆ nella difesa dello StatoÓ, GIUSEPPE FIENGO. evidenti ragioni di spesa non consentono gli affidamenti della difesa e di consulenze ai migliori (e non raccomandati) avvocati del Foro Libero, si finisce inevitabilmente per tornare a una situazione "di difesa diretta" da parte degli uffici interni, che si riteneva eliminata in Italia, come in Europa, con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865. Questa scelta "non dichiarata" del Governo interrompe un sistema consolidato che, almeno per le cause in cui  parte un'amministrazione statale, aveva una sua logica, una funzionalitˆ e costi contenuti. C'erano aspetti critici, ma l'idea che si ricava  quella di una scarsa consapevolezza della posta in gioco, per cui, nell'intenzione di accorpare funzioni e stipendi, si finisce per "gettare l'acqua sporca con tutto il bambino". Il punto di arrivo - che con le innovazioni introdotte dal Governo  destinato a valere anche nei giudizi civili ed amministrativi -  davanti agli occhi di tutti: nei giudizi penali la difesa diretta conserva l'iniqua identificazione dei ruoli tra l'accusatore e il giudice e cos“ la giustizia penale, sul piano pratico dell'efficienza e linearitˆ, non funziona: credo che l'Italia sia uno dei pochi Paesi al mondo nel quale un imputato di un grave reato possa essere assolto, dopo lunghi anni di processo e tante udienze, senza che il giudice provveda al rimborso delle spese legali, che l'azione intentata ha ingiustamente provocato. Vale ancora il vecchio principio che "il Re non ha mai torto.". Un risultato analogo rischia di profilarsi nei giudizi civili con la partecipazione diretta di funzionari amministrativi e/o con l'affidamento delle cause a legali scelti "fiduciariamente" dalle direzioni generali. La professionalitˆ e la deontologia di un avvocato non sono facilmente surrogabili; le amministrazioni sono funzionalmente strutturate in modo da massimizzare il loro interesse di settore e spesso mancano di una visione generale dei problemi. Se questo  l'effetto dei provvedimenti in corso di adozione, al di lˆ di facili battute sugli stipendi elevati degli avvocati dello Stato, sembra chiaro che, su temi cos“ importanti, che attengono alle garanzie fondamentali dei cittadini nei confronti dello Stato, sia necessario un momento di riflessione per conoscere l'obiettivo dell'azione del Governo: in quali mani vanno a finire la rappresentanza e la difesa dello Stato nei giudizi civili e amministrativi? PARTE III - 5. Testimonianze Òa caldoÓ di due avvocati dello Stato: Giuseppe dellĠAira, Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, lĠinvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina -(segue) Salvatore Faraci, Due e-mail di un avvocato dello Stato. GIUSEPPE DELLĠAIRA Dal Leopoldo alla Leopolda: ovvero, lĠinvoluzione acritica della scuola giuridica fiorentina (*) SOMMARIO: 1. LĠAvvocato dello Stato e la sua indipendenza - 2. Le origini storiche del- lĠIstituto e lĠintuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: solo il tiranno non ha bisogno di un Avvocato. DallĠAvvocatura regia allĠAvvocatura erariale - 3. Il ruolo professionale e la retribuzione. Magistrati, ministeriali ed incentivazione - 4 . Chi si onererˆ in concreto dei costi dellĠoperazione: un risparmio che  solo di facciata - 5. Le informazioni che mancano alla pubblica opinione sul- lĠincomparabile carico dellĠintera categoria - 6. Il dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? 1. LĠAvvocato dello Stato e il suo patrocinio indipendente. Quando, nel corso di una Conferenza stampa in streaming, lĠattuale Presidente del Consiglio, anticipando quanto non  ancora di pubblico dominio neanche mentre scrivo (anzi, le notizie diffuse su internet erano di ben altro tenore), ha ridacchiato compiaciuto sullo zero - mostrato ai cronisti che vedeva contenti perchŽ vogliosi del sangue altrui (ma restii a donare il proprio!) - pari allĠonorario di chi, da un secolo e mezzo, si danna per sanare i danni di legislatori spesso inadeguati, mi ha colto un irriverente, ma incontenibile, senso di sconcerto. Il lettore penserˆ allĠisterica contestazione dellĠappartenente ad una casta privilegiata e irredimibile. Ma devo deluderlo. Si trattava di reazione istintiva al semplicismo con cui chi dovrebbe applicare i fondamenti della democrazia, specie quando si avventura in riforme epocali, affronta un delicatissimo momento storico, indulgendo in verbosi e populistici proclami. Parlare qui di giacobinismo suonerebbe quasi offensivo per lĠirripetibile fucina di uguaglianza che comunque fu, nel bene e nel male, la rivoluzione francese. Ma il richiamo pu˜ giovare, perchŽ nel messaggio plurisecolare di quegli eventi ancora oggi  dato cogliere la centralitˆ del pubblico interesse, e la strumentalitˆ a quellĠobiettivo di ogni altra misura, pi o meno utile che fosse alla conquista del consenso delle masse. Invero, cos“ dovrebbe essere per tutte le decisioni e le scelte dellĠAmministratore, che solo al benessere dei cittadini, non al loro disinformato consenso, dovrebbe mirare. Ed invece, ci˜ che quotidianamente constatiamo dimostra tutti gli anni luce che ci separano da quelle essenziali regole di condotta. (*) Sulla pubblicazione del saggio si rimanda alle considerazioni in premessa. Ciascuno dei tanti, compiaciuti sostenitori del vecchio adagio su feste, farina e forca, con indifferenza sembra oggi accantonare le regole dello Stato democratico, ignorando la storia e talvolta offendendo con irriverenza chi, dopo anni di studio e notti insonni, ha sacrificato svago e affetti allĠidea, ormai peregrina, di contribuire al meglio nella realizzazione degli interessi dellĠAmministrazione pubblica, ovvero della collettivitˆ intera. Probabilmente una dimensione municipale degli orizzonti non contribuisce a chiarire che lĠapertura alle auto dei diversamente abili degli accessi alle Z.T.L. costituisca garanzia di un fondamentale interesse generale, non certo immotivato privilegio per chi dispone della deroga, salvo che la coscienza non rimorda sui criteri che hanno guidato il rilascio dei permessi. E nella stessa dimensione pu˜ apparire problematica la percezione della differenza tra il vincolo di immedesimazione organica, che lega un Avvocato dello Stato alla Presidenza del Consiglio, e quello, pi intenso e diretto, che dal Vertice politico di un Ente viene imposto al Dirigente, incaricato, con riserva di spoil system, di guidare lĠUfficio legale dello stesso Ente (o peggio per i nepotismi pi impensabili viene assegnato a quellĠattivitˆ contenziosa). Non intendo mettere in dubbio la professionalitˆ e lĠindipendenza di nessuno. Ma  certo che a caratterizzare il ruolo del difensore di una parte pubblica dovrebbe sempre essere lĠincondizionata autonomia di chi lo svolge, perch chiamato non a tutelare lĠAmministratore, ma lĠAmministrazione, e cos“ i pubblici interessi di cui per definizione  tenuta a farsi portatrice. Un Avvocato che, per organizzazione e carriera, contrappone la sua totale autonomia operativa al Capo dellĠesecutivo  lĠarchetipo dello ÒStato di dirittoÓ, principio ancora oggi garantito dalla paritˆ, davanti al Giudice terzo, tra titolare dellĠinteresse qualificato, e Amministrazione, che quellĠinteresse pu˜ pretendere di sacrificare solo operando in conformitˆ alla legge. Sembra tuttavia che simili criteri, propri del nostro sistema, ma anche di quello che lĠEuropa vuole realizzare, non dissuadano dal proposito di sopprimere il Giudice degli interessi, solo perch ha osato annullare provvedimenti dei Sindaci. E non convincano, invece, della necessitˆ, a tutela della generalitˆ, che piuttosto siano proprio quei Sindaci ad impegnarsi per adottare provvedimenti quanto pi possibile legittimi (ovvero conformi alle regole imposte dal diritto vigente in una societˆ democratica!). 2. Le origini storiche dellĠIstituto e lĠintuizione di Pietro Leopoldo di Toscana: Òsolo il tiranno non ha bisogno di un AvvocatoÓ. DallĠAvvocatura regia della Toscana allĠAvvocatura erariale dellĠunificazione. Fin qui alcuni dei principi fondanti della democrazia. Quanto alla storia, se anche in questo campo qualcuno avesse tempo e voglia di addentrarsi, potrebbe facilmente constatare che lĠidea di un corpo unico di difensori pubblici si debba - nientemeno - allĠilluminato governo di Pietro Leopoldo di Toscana ( il primo sintomo delle singolari coincidenze astrali che convergono sulla sorte degli avvocati pubblici), il cui lungimirante (per lĠepoca) concetto di organizzazione democratica si esprimeva giˆ nella considerazione che Òsolo i tiranni non hanno bisogno di un avvocatoÓ (cui oggi  lecito aggiungere lĠaggettivazione ÒliberoÓ). Invero, in quella felice regione italiana era attivo, addirittura giˆ nel 1282, un ÒArchivio delle Riformazioni della ToscanaÓ, cui veniva richiesto ogni parere sulle controversie giurisdizionali, e che si ergeva a massimo tutore delle prerogative sovrane. Ai tempi della Repubblica fiorentina (siamo alla metˆ del XVI secolo) di tale organo furono celebratissimi segretari Niccol˜ Machiavelli e Donato Gian- notti, nonch, nei secoli a venire, altrettante illustri personalitˆ, fino allĠistituzione, ad opera di Pietro Leopoldo e con motuproprio del 27 maggio 1787, di unĠAvvocatura regia. LĠufficio, temporaneamente soppresso dal Governo francese, fu significativamente ripristinato giˆ nel 1814, e mantenne le sue prerogative fino a quando il titolare della funzione, grazie alle leggi del neonato Stato Nazionale, mut˜ la sua denominazione da Avvocato regio della Toscana a primo Avvocato Erariale del Regno. Ebbene, Pietro Leopoldo aveva istituito lĠAvvocatura regia ÒperchŽ le cause del Fisco, della regalia e del patrimonio regio fossero trattate e difese con puro spirito di veritˆ e di giustizia, nŽ lĠinteresse del Fisco mai prevalesse alla ragione dei privatiÓ. Per questa illuminata ragione aveva affidato allĠAvvocato regio il compito esclusivo di promuovere o sopire le liti, e di patrocinare le cause dello Stato, non solo davanti al Magistrato supremo di Firenze, ma anche in ogni altro Tribunale, davanti al quale era abilitato ad avvalersi di delegati residenti, chiamati ad agire secondo le sue istruzioni. Nessuna lite cio poteva iniziarsi se non consigliata dallĠAvvocato regio, cos“ come nessuna transazione poteva concludersi senza il suo assenso, essendo quellĠAvvocato il consulente primo dellĠAmministrazione, oltre che il vero e unico dirigente addetto al contenzioso e al consultivo. Risale invece al 1862 la costituzione delle prime Direzioni del contenzioso finanziario del Regno, inizialmente modellate sullĠinefficiente sistema borbonico, proprio delle Agenzie del contenzioso, le quali si limitavano a distribuire a liberi avvocati i patrocini delle liti dellĠAmministrazione. Continua per˜ ad essere sintomaticamente rilevante che sin dal 1866 alcune Direzioni, compresa, nel 1870, la Direzione di Roma, si accorparono a quella di Firenze (ancora!); e fu per via delle radicali innovazioni sul contenzioso pubblico, introdotte dalle note ed ancor oggi basilari leggi del 1865, che al Direttore di Firenze venne conferita per la prima volta la qualifica di ÒGeneraleÓ. Questi, nonostante fiorentino, nelle sue relazioni annuali di nullĠaltro per˜ si doleva se non della noncuranza per quelle funzioni mostrata dallĠItalia unificata. Anzi, nella sua relazione per lĠanno 1874 riferiva di 8335 cause, incrementate di altre 478 nel 1875, e del successo conseguito su 3470 il primo anno, ma salito ad oltre 5000 in quello successivo. Soprattutto per˜, quel Direttore Generale si doleva che i costi di gestione delle liti fossero in costante e ingiustificato aumento, e, pi direttamente, che quel lievitare andasse imputato al fatto che i Magistrati di province diverse da quelle lombarde e venete Òprocedono con una certa larghezza nella liquidazione delle spese a carico dellĠerarioÓ. Non mancava di citare, a moĠ dĠesempio, le vicende di una controversia con la societˆ ferroviaria dellĠAlta Italia, vinta in prime cure davanti al Tribunale di Firenze con favorevole liquidazione di L. 54 per spese. Tuttavia la Corte dĠAppello, cui aveva fatto ricorso la societˆ, riformando la decisione di primo grado aveva liquidato le spese a carico dellĠErario nella sproporzionata misura di L. 2.055,50, che la parte pubblica avrebbe dovuto pagare se non fosse intervenuta la successiva, favorevole pronuncia della Cassazione. é probabilmente ai contenuti di quella relazione che si debbono le successive iniziative del legislatore statale, il quale, fallito il progetto di affidare il patrocinio allĠUfficio del Pubblico Ministero, istitu“, dal 1876 e nelle cittˆ del regno pi popolate di cause e dĠaffari, tante Avvocature regie Òdi tipo toscanoÓ (sic!), sotto la direzione di un unico Avvocato generale, affinch come Ufficio Òdifendessero le liti dellĠAmministrazione, le componessero, le rinunziassero, consigliassero su ogni negozio di essa amministrazione, ne sciogliessero i quesiti, accudissero alle contrattazioniÓ,. Nascevano cos“ Uffici chiamati, come riferiscono le cronache del tempo, a Òdirigere per davveroÓ il contenzioso, senza limitarsi a trasmettere note, a delegare patrocini e a liquidare compensi. Sicch, con decreto reale del 16 gennaio 1876 vennero istituite otto regie avvocature (Roma, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino e Venezia). Ed  con lĠart. 15 di quel decreto che fu assegnato alle neo istituite Avvocature anche il compito di riscuotere i compensi di patrocinio, posti a carico delle controparti, e ripartire poi le somme riscosse tra i titolari, secondo i criteri fissati da un decreto ministeriale che, e non  poco, port˜ la firma di un Ministro come Depretis. ÒSi volle interessare alla vittoria gli Avvocati regi e i sostituti - recitano sempre le sagge cronache del tempo - la qual molla va toccata con delicato accorgimento, e fu solo dopo gli effetti che ha persuaso i pi restii a mantenerlaÓ, in aggiunta al trattamento economico che, nel 1880, veniva ÒclassatoÓ in due separate fasce ÒretributiveÓ, rispettivamente di 8 e 9 mila lire (prebende consistenti per quei tempi, ma rispettose della severa selezione cui lĠaccesso alla funzione era giˆ allora condizionato). A dettare le regole fondamentali fu infine il primo, grande preposto alla funzione di Avvocato Generale Erariale, quel Giuseppe Mantellini - neanche a dirlo anche lui toscano! - che, recependo a motto e modello dellĠIstituto il Òfortiter in re et suaviter in modisÓ, sugger“ ad ogni Avvocato dello Stato la concisione di Demostene, unita alla prudenza e sapienza di Papiniano, advocatus fisci e procuratore di Cesare. 3. Il ruolo professionale e la retribuzione. Magistrati, ministeriali e incentivazione. Oggi  sempre da Firenze, e paradossalmente da chi alla ÒLeopoldaÓ ispira le sue idee di riforma, che viene decretata la fine di questa Istituzione storica, e soprattutto della professionalitˆ dei suoi componenti, che si vogliono ridurre a semplici travets. LĠidea, invero, non  per niente nuova. Infatti, personaggi di incomparabile spessore politico, come Giovanni Giolitti, ci tentarono sul finire del XIX secolo. Ma furono costretti a ricredersi sullĠutilitˆ di simile misura da una difesa plebiscitaria della categoria, spontaneamente assunta da tutte le componenti intellettuali e addentro al problema, fossero Avvocati liberi professionisti (che non temevano la concorrenza, non confidavano in potenti amicizie, e testimoniavano lealmente la capacitˆ dei loro contraddittori in giudizio) o docenti universitari, pi attenti ai principi fondanti del diritto pubblico che a quelli di altra sconosciuta branca, di cui gli italiani dovranno constatare la centralitˆ, e cio il diritto municipale. Dai lavori parlamentari del lontano 19 Giugno 1889 (ancora una volta  la cronologia degli eventi a testimoniare coincidenze astrali per alcune inopportune iniziative) si trae la volontˆ di Giovanni Giolitti, allĠepoca Ministro del Tesoro, ma stranamente di origini piemontesi, di cassare gli stanziamenti per le Òquote dovute ai funzionari delle Avvocature erariali per competenze di avvocati e procuratori nei giudizi sostenuti dalle Avvocatura stesseÓ. La proposta, allora come oggi, si proponeva di Òincamerare a beneficio dello Stato le quote che fino ad allora i funzionari riscuotevano sulle somme versate dalle controparti per competenze di avvocati e procuratori poste a loro carico nei giudizi sostenuti dalle avvocature erarialiÓ. Altrettanto singolare  che la proposta, come quella odierna, si giustificasse e motivasse con la paritˆ di trattamento economico di base tra Avvocati Erariali e Magistrati, e ipotizzasse un risparmio di spesa pari a 110mila lire del tempo. Il che, sempre per quelle strane correlazioni di tempo e luogo che caratterizzano nei secoli la vicenda, ciclicamente giudicata, ma a sproposito, decisiva per le pubbliche finanze, si motiva, altrettanto singolarmente, per essere stato il Giolitti caposezione del Ministero delle Finanze, per dichiararsi impegnato nella severa politica tributaria e nella tendenza al pareggio di bilancio, e per operare lo stesso Ministro come Magistrato che, in contrapposizione a De Pretis, intendeva contenere la spesa pubblica, giˆ allĠepoca furori controllo. Allora, come oggi, a sostenere lĠiniziativa era lo stesso equivoco di fondo sulla titolaritˆ del credito da espropriare a vantaggio della voracitˆ di guerra- fondai, allora, o di salvatori dalle acque, oggi; ma a suo tempo, diversamente da oggi, il tema venne democraticamente dibattuto in Assemblea legislativa, nellĠovvio presupposto che nessuna improrogabile urgenza imponesse di utilizzare, come oggi si pretende, per di pi a dispetto di inderogabili principi costituzionali, meccanismi di normazione eccezionale, come il decreto legge. Ebbene, i resoconti parlamentari dellĠepoca, oltre a testimoniare lĠattenzione dei (veri) rappresentanti del popolo per quello che lĠIstituto rappresenta, concordano sulla funzione, giˆ allora giudicata decisiva, propria degli Avvocati dello Stato, saggiamente riconoscono che le Òdifferenze stipendialiÓ con altre magistrature possono al pi riguardare lĠincongruitˆ dei trattamenti altrui, e non lĠeccesso di quelli riconosciuti agli Avvocati dello Stato, e confermano che quei proventi ÒaggiuntiviÓ costituiscono compenso per Òcerte cause abbastanza gravi, per le quali non basta il tempo di ufficio, e per le quali lĠavvocato erariale, per istudiarle, ha bisogno di un lavoro indefesso, accurato, indipendente da quello a cui sarebbe tenuto per ragione di orarioÓ. Senza qui aggiungere, con quei, saggi, politici del tempo, che Òse togliete la speranza di maggior guadagno, toglierete il maggiore stimolo allĠazione umana, in fatto di lavoro, perchŽ il lavoro stesso sia compiuto nel modo miglioreÓ. 4. Chi si onererˆ dei costi dellĠoperazione: un risparmio che  solo di facciata. A supportare le unanimi opposizioni al disegno ministeriale era pertanto la constatazione che lĠavvocato erariale Ònon  un impiegato, nŽ un magistrato, nŽ un avvocato: ma  ad un tempo impiegato, magistrato e avvocato. E soprattutto egli non ha spezzato i suoi legami con il foro: lo che  dovuto appunto a quella disposizione per la quale lĠavvocato erariale ha diritto a prendere egli il compenso cui  condannata la parte soccombenteÓ. Onde, si legge alla fine di quel resoconto parlamentare, se Òsopprimete questo, lĠavvocato erariale diventerˆ assolutamente un impiegato dello Stato e voi avrete mutato i cardini della istituzioneÓ, considerato che Òvi sono nei bilanci dello Stato parecchi milioni [oggi miliardi di Euro! N.d.r.], ed un Ministro del Tesoro non avendo quella istituzione avrˆ bisogno di ricorrere ad Avvocati liberiÓ. ÒQuali potrebbero essere gli effetti di questo sistema - si interrogava al tempo il qualificato interveniente - io, avvocato, non lo dico [a interloquire era lĠon. Grimaldi n.d.r.]; lo lascio alle considerazioni della Camera. Non veniamo per˜ a colpire una istituzione che  proficua, e soprattutto onestaÓ. La Camera, ovviamente, approv˜ lo stanziamento, che quindi dal 1876, ovvero da quasi 150 anni, conferma simili modalitˆ di riconoscimento ai connotati professionali esclusivi dellĠattivitˆ degli Avvocati dello Stato. Ad indurre alla riflessione dovrebbero oggi essere, in primo luogo, le te stimonianze del passato, coniugate alla constatazione che altre Avvocature pubbliche, comprese le regionali e comunali, hanno nei decenni consentito, modellandosi per struttura e, parzialmente, per funzione su quella dello Stato, lĠincremento di enormi risparmi sui costi del contenzioso. Questi risparmi per˜ non potranno essere garantiti, per qualitˆ dei risultati e per quantitˆ degli esborsi, dalle odierne scelte irrazionali, cui seguirˆ la prevedibile perdita, a breve, di tantissime professionalitˆ, dotate di esperienza non facilmente sostituibile. Forse chi si occupa di pubblica funzione dovrebbe poi leggere meglio il senso di alcuni dati, che riguardano la, ormai sporadica, collocazione nel mercato del lavoro dei pi preparati laureati in giurisprudenza. Orbene, a difficoltˆ di selezione ipoteticamente pari (il che  opinabile, perch gli Avvocati dello Stato sostengono due successivi concorsi pubblici, molto impegnativi per le limitatissime disponibilitˆ esistenti nei ruoli organici separati di procuratore e Avvocato dello Stato, alla data odierna non del tutto coperte),  provato dalle circostanze che chi - si tratta di pochissimi - ha superato contestualmente i concorsi per procuratore dello Stato e per magistratura ordinaria, ha prevalentemente optato per la prima delle due alternative, confidando, comĠ logico presumere, su un trattamento economico pi favorevole, nonostante lĠaltrettanto oggettivo maggior carico di lavoro da affrontare. Altrettanto, ma in senso ÒinversoÓ, accade per il concorso di secondo grado. I pi giovani e preparati dei procuratori dello Stato propendono alla partecipazione, con riscontrato e significativo ampio successo, ai concorsi per magistrato del TAR o della Corte dei Conti, ed optano poi per quelle carriere alternative, le quali garantiscono, indipendentemente dalla minore redditivitˆ della funzione, carichi di lavoro pi umanamente gestibili e limitati, e soprattutto, quanto a termini decadenziali e conseguenti responsabilitˆ, direttamente governabili. Tutto questo ha motivazioni precise, da ricercare nellĠabnorme impegno che si pretende dagli Avvocati dello Stato, e che gli stessi profondono, come confermato dai dati che, a questo punto, diventa necessario fornire a chi legge. 5. Le informazioni negate alla pubblica opinione e lĠinumano onere per lĠintera categoria. Si  detto che lĠorganico nazionale complessivo, suddiviso nei due ruoli degli Avvocati e Procuratori dello Stato,  pari a 370 unitˆ. Attualmente tale organico  coperto nei limiti di 340 posti; i restanti 30 sono disponibili nel ruolo dei procuratori, ma sono vacanti per le improvvide disposizioni sui limiti alle nuove assunzioni ed allo stesso turn over. Al concorso pubblico per procuratore dello Stato (tre prove scritte e otto orali) si accede con la laurea in giurisprudenza, mentre a quello per Avvocato, che si articola in quattro prove scritte e nove orali, possono partecipare sia coloro che, da almeno un triennio, appartengono al ruolo dei procuratori, sia i magistrati amministrativi e/o ordinari, nonch i docenti universitari, i dirigenti pubblici e gli avvocati liberi professionisti che vantino particolari anzianitˆ. LĠIstituto, comĠ noto, cura in via esclusiva il patrocinio di tutte le Amministrazioni statali, e di quelle, regionali o autonome, che hanno deliberato di avvalersene. Fa eccezione la Regione Siciliana, che per norma di attuazione del suo Statuto fruisce da decenni di modalitˆ di patrocinio pubblico in tutto e per tutto identiche a quelle dello Stato. Ne segue che su quelle 340 unitˆ professionali gravano annualmente pi di 170.000 nuovi affari contenziosi, che, comprese le giurisdizioni internazionali, producono un costante incremento annuo del carico, pari, in media, a 500 nuove cause pro capite. Poich la durata media minima di ciascun giudizio  pari, in Italia, a tre anni per ogni grado, se ne trae, sempre in via di approssimazione media e per difetto, che il carico individuale per ciascun avvocato dello Stato debba stimarsi in 4.000 cause attive, cui si sommano i giudizi di legittimitˆ, quelli davanti alle giurisdizioni internazionali, e quelli relativi ad incidenti di costituzionalitˆ. Il valore economico di tale contenzioso , sempre per approssimato difetto, da stimare pari a 25/26 miliardi di Euro annui, mentre il costo a carico dello Stato (non si computano nŽ i vantaggi per le regioni, nŽ quelli per tutti gli altri soggetti che del patrocinio fruiscono in forma totalmente gratuita!) per il funzionamento dellĠintera struttura, comprensivo quindi di tutti gli oneri per il personale e dei costi di gestione per mezzi e sedi, non supera i 150 Û/M.ni per anno. Da qui un costo effettivo, per ciascuna causa e per tutti i possibili gradi di giudizio, pari a meno di 900 Euro, con una spesa che, come prova la comune esperienza,  di gran lunga inferiore non solo agli ordinari valori di mercato, ma addirittura al puro costo di qualsivoglia attivitˆ di patrocinio e consulenza legale, anche se fornita presso altre amministrazioni pubbliche. Una rapida verifica delle omologhe causali della spesa, sostenuta da soggetti pubblici che in passato hanno fruito del patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato, e sono nel tempo transitati ad un regime di diritto privato, pu˜ meglio provare lĠillogicitˆ dellĠodierna scelta governativa. Si tenga conto che trattasi di singole componenti del complesso Òpubblica AmministrazioneÓ, la cui articolazione comprende invece centinaia di attuali ÓfruitoriÓ del patrocinio statale del quale si discute. Ebbene, S.p.A. Poste Italiane, pur disponendo di un proprio Ufficio legale interno, ha speso nel 2012 per Òconsulenze varie e assistenze legaliÓ quasi 42 milioni di Euro, contro i circa trenta del 2013 (i dati si leggono a pag. 232 dellĠultimo bilancio): da sola, ha quindi erogato il 20% di quanto complessi vamente costa lĠintera struttura dellĠAvvocatura dello Stato. A sua volta, S.p.a. Ferrovie dello Stato giˆ nel primo anno in cui - come ente pubblico economico - declin˜ il patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato, spese oltre 10 miliardi delle vecchie lire per la difesa legale. Oggi il consolidato 2012, alla voce prestazioni professionali e consulenze, denuncia una spesa di 36 milioni di Euro (altro 20%, che sommato al precedente raggiunge per due sole entitˆ pubbliche un importo pari al 40% della spesa totale per lĠAvvocatura dello Stato). Ancora, il bilancio di ANAS s.p.a. (altro soggetto sostanzialmente pubblico, che pur avendo creato una propria struttura legale interna, con costi che non sono qui scorporabili da quelli complessivamente sostenuti per il personale, si avvale ordinariamente di legali esterni, affidando alla facoltativitˆ del patrocinio dellĠAvvocatura quanto lĠuno e gli altri scelgono di non fare) denuncia oneri per il contenzioso pari nel 2011 ad oltre 15 milioni di euro, arrivando a pi di 16,5 nel 2013 (somma un altro 10%, che porta alla metˆ del costo complessivo per la difesa di tutti i Ministeri, della Regione Siciliana e di ogni altro Ente pubblico che dellĠAvvocatura dello Stato si avvale!). Ma la ciliegina sulla torta la mette AGEA, Agenzia per le erogazioni in Agricoltura. Sul quotidiano Italia Oggi del 4 Dicembre scorso ciascuno ha potuto leggere di un contenzioso tra detta Agenzia e lĠAgenzia delle Entrate per un rimborso IVA del valore di circa 100 milioni di Euro. Questo contenzioso, quanto a difesa davanti le Commissioni Tributarie competenti, affidata ad un commercialista libero professionista, sarebbe costato alle finanze pubbliche ben 5,5 milioni di Euro. E qui non  neanche immaginabile una proporzionalitˆ percentuale ai tanto vituperati costi delle pubbliche difese! 6. Il legittimo dubbio sugli obiettivi reali: cui prodest? Si pu˜ ritenere notorio, tanto da motivare lĠinserimento nellĠelenco delle prime riforme di sistema e da giustificare primari interventi urgenti a salvataggio della Nazione, il fatto che ciascun Avvocato dello Stato fruisca di una componente retributiva fissa, ragguagliata, per fasce di equipollenza ed anzianitˆ, a quella dei magistrati, ma per la quale non  previsto incremento alcuno per lo svolgimento di funzioni direttive, e di una componente variabile, non pensionabile (caso unico nella definizione dei trattamenti retributivi corrisposti con regolare periodicitˆ nel lavoro dipendente!) e costituita appunto dalle quote onorari spettati nel caso di incondizionato esito favorevole del giudizio. QuestĠultima componente  quindi strettamente legata ai riscontri oggettivi sui risultati, essendo costituita da quota parte delle spese legali relative a cause definite con esito del tutto favorevole allĠAmministrazione (basta cio il rigetto di una domanda riconvenzionale, o la pronuncia di una condanna minima, a dispetto delle originarie richieste milionarie di parte avversa, per esclu dere ogni titolo al riparto, nonostante il risultato finale complessivo possa aver garantito risparmi elevatissimi allĠUfficio patrocinato!). Trattasi, a tutta evidenza, di compenso tipico della professione forense, legato a risultati che in forma incondizionata (esiti in toto favorevoli) e oggettiva (il riconoscimento su qualitˆ e rilevanza del risultato proviene da soggetto terzo e imparziale, quale  il Giudice) esprimono il merito di chi ha prestato la propria opera professionale. DĠaltra parte, ed  quanto non solo giustifica, ma rende significativa, perchŽ dimostra con evidenza la non comune qualitˆ professionale di tutti gli Avvocati dello Stato, la ÒcontestataÓ entitˆ rilevante delle risorse, lĠIstituto, che svolge anche tantissima attivitˆ consultiva, vanta una percentuale di vittorie pari al 70% delle controversie patrocinate, e cos“ garantisce alla parte pubblica la salvaguardia di risorse in contestazione, stimabili in circa 18 miliardi di Euro (sulla media di 26, oggetto complessivamente di contestazione). Pensare oggi di eliminare lĠunico compenso incentivante legato, con criteri oggettivi, ai risultati conseguiti dal dipendente pubblico esprime eclatante insensatezza e superficialitˆ, se non altro perchŽ fortissimo  il rischio che allĠindifferenza per il risultato corrisponda un impegno meno intenso nel raggiungimento dellĠutilitˆ finale, e soprattutto un disincentivo al merito, che potrˆ incidere negativamente sullĠaccesso ai ruoli dellĠIstituto delle professionalitˆ pi qualificate, che il mercato  nelle condizioni di offrire. Il sospetto, a fronte di cos“ tanta irrazionalitˆ ed incoerenza,  che si perseguano obiettivi che nulla hanno a che vedere con il contenimento della spesa e con la redistribuzione delle risorse. Piuttosto, sulla falsariga della costosa scelta, di cui nessuno parla, di un difensore inglese per i due mar˜, i quali detenuti erano e tali continuano a restare nella lontana India (dalla lettura del curriculum si apprende che sir Daniel Bethlehem  cresciuto in Sudafrica,  stato consigliere legale esterno del Foreign Office, ma sarebbe principalmente un manager di scuba diving, un esperto di trekking e uno scalatore di alte montagne, con buona pace della spiccata propensione mostrata dal Governo sui temi di diritto),  facile sospettare che lĠattenzione ai risparmi di spesa finisca per essere il pi remoto, anche se il pi verbosamente pubblicizzato, degli obiettivi. Da Leopoldo alla Leopolda: si pu˜ esprimere cos“, con quello che non  un banale gioco di parole, nŽ un irrilevante cambiamento di genere, ma una radicale differenza di attenzione nella gestione democratica del sistema. E paradossalmente, lĠimpronta maschile, pur risalente nei secoli, finisce per smentire la condivisa prevalenza qualitativa dellĠamministrare al femminile. SALVATORE FARACI Due e-mail di un avvocato dello Stato Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] Inviato: mercoled“ 11 giugno 2014 12:10 A: 'Avvocati_tutti' Oggetto: riforma p.a. punto 35 Sono in pausa in attesa delle ripresa dellĠudienza dĠassise per la strage di Capaci. Ieri sera avevo scritto questa mail che, poi, non ho inviato. Alla luce delle considerazioni svolte dai colleghi penso che vada inviata. Cari colleghi scusate lo sfogo. Ottime le lettere in oggetto inviate alle Autoritˆ. Ottime tutte le proposte. Per˜ al Ministro manderei questo semplice resoconto della giornata odierna (e non  detto che allĠesito del 13 giugno non lo faccia). Ò Signor Ministro non voglio tediarla per˜  bene che Ella, a nome del Governo, conosca il lavoro dei suoi avvocati anche quello pi usuale e quotidiano e lontano dai riflettori. Sono le ore 20,31 p.m. e sono ancora in ufficio da stamattina dalle 9,30. Sono cos“ stanco e sfinito che mi butterei dalla finestra. Sono solo naturalmente a questĠora. Ho una forte distorsione alla caviglia - abbastanza gonfia - che mi opprime continuamente per una caduta. Non ho fatto un pasto decente nŽ credo riuscir˜ a farlo in serata. Lavoro di oggi : 1) redazione di memoria per lĠagenzia delle Dogane su un 702 bis che scade domani. 2) redazione di opposizione di terzo allĠesecuzione ex art. 619 per lĠagenzia dei beni seque strati: scade domani perchŽ cĠ lĠudienza per la - eventuale - vendita. 3) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per responsabilitˆ dei giudici segnatamente del Tar Palermo e del C.G.A.; scade domani. 4) redazione di comparsa in appello con appello incidentale per epatite; scade domani. 5) redazione note conclusive proc. penale in abbreviato per parte civile Agenzia delle Dogane; udienza discussione domani. 6) studio dellĠudienza dibattimentale strage Capaci c.d. troncone quater domani Corte Assise. 7) studio di tutti i miei fascicoli di corte appello civile domani (n. 10) con compilazione al collega degli statini . Beninteso ho dovuto preparami anche parte dei fascicoli e collazionarli. Il tutto utilizzando al massimo lĠintelligenza che il Buon Dio mi ha dato, con la luciditˆ necessaria e la serietˆ dovuta alla funzione. Naturalmente la giornata di oggi non  dissimile da quella di ieri ne lo sarˆ da quella di domani. Mi sento in colpa con me stesso e con la mia famiglia. Ha ragione mia moglie quando mi dice Òstai attentoÓ Òtutto questo stress pu˜ farti ammalare sul serioÓ . Ebbene io non posso restituire alcun titolo per protesta, come suggerisce qualche collega, non essendo nŽ cavaliere nŽ commendatore: per˜ potrei pi semplicemente smettere di farmi del male e in aderenza al principio di auto- protezione mettermi, come mio diritto, in malattia (magari per qualche settimana) perchŽ non sto bene e non  giusto che mi affligga oltre il consentito ed il lecito; se poi qualche decina - o centinaia - di milioni di euro andrˆ in fumo É pazienza. Il diritto alla Salute prima di ogni cosa É o no? Non credo che Ella possa acconsentire a deroghe di tal fatta. Non sono venuto in avvocatura dello Stato per farmi suicidare dal lavoro Sig. Ministro, concluderei, soprattutto se non volete ricompensarmi nemmeno in minima parte. Grato per la sua attenzione le porgo distinti saluti Ó. Spero proprio di non dovere inviare una lettera simile. Un saluto a tutti. Ebbene se ci saranno ulteriori riforme penalizzanti mi riservo, senza indugio, azioni legali a tappeto anche per lĠemergente danno alla salute e lĠassenza dei carichi di lavoro. Un abbraccio a tutti. Da: Salvatore Faraci [mailto:salvatore.faraci@avvocaturastato.it] Inviato: gio 03/07/2014 13.53 A: Noviello Giustina; Avvocati_tutti Oggetto: R: URGENTE- Ordine del giorno assemblea generale del 4.7.2014 ore 12 Cari colleghi nessuno deve avere timore o paura di esprimere sinceramente la propria ÒmeditataÓ opinione su ci˜ che sta accadendo, che incide in modo rilevante non solo sul reddito ma anche su aspetti ben pi profondi ed importanti della nostra vita e di cui ciascuno, a seconda della sua sensibilitˆ, sta giˆ sperimentando gli effetti. Ci˜ anche quando lĠopinione non sia non ortodossa o accomodante. Ho il massimo rispetto di tutti e delle opinioni di tutti. Ho il massimo rispetto del coraggio o della titubanza di tutti e non posso che ringraziare le associazioni, seppur non iscritto a nessuna delle due, per ci˜ che stanno facendo e faranno anche laddove non ne condivida lĠazione. Per˜ ci˜ non pu˜ esimermi dallĠavere rispetto, anzitutto, del mio pensiero. Ovvio che non ho magiche soluzioni nŽ la pretesa di indicare vie risolutive, ma letto lĠordine del giorno ho deciso di non partecipare allĠassemblea nŽ di delegare alcuno. Lo dico senza polemica, senza disfattismo e senza voler creare ulteriori conflitti con nessuno. Ho riflettuto molto in questi giorni e le conclusioni a cui sono pervenuto sono abbastanza semplici: -la mia analisi, al netto di retorica e stile garibaldino, era ed  corretta ed  avallata da inoppugnabili fatti. Non voglio pi tornarci sopra perchŽ mi sono scocciato di affabulare sullĠevidenza, nŽ voglio parlare di ci˜ di cui, secondo il noto detto di Wittgenstein,  meglio tacere. -lĠunica via, per quanto mi riguarda, che, nel futuro, vedo utile e percorribile - comunque vadano le cose -  solo quella giudiziaria. Pensare di votare, per affidare a qualsivoglia un parere sulla legittimitˆ costituzionale dellĠart. 9, mi fa semplicemente inorridire. Intanto perchŽ la legge - e non un parere - dispone che sia lĠIstituto ad esprimere formalmente le eventuali criticitˆ costituzionali dellĠintervento normativo, poi perchŽ anche uno studentello al 3 anno di legge avrebbe buon gioco a dimostrare la palese incostituzionalitˆ della norma, infine perchŽ la questione di pregiudizialitˆ  giˆ stata respinta. Pensare di votare sulla scelta di una societˆ di comunicazione non mi crea meno orrore. Non sar˜ pi un avvocato ma, ancora, non sono diventato un pluri-mandatario di succhi di frutta e yogurt che ha bisogno della pubblicitˆ o dellĠinteressamento di un terzo per Òun asserito quanto inutile ed indimostrato lobbismo parlamentareÓ . In ogni caso anche sorvolando su questo la proposta non  consentanea allo scopo. Intanto perchŽ la votazione in aula  fissata per il 14 luglio e non si vede cosa si possa fare in meno di 10 giorni (considerato che il marketing  una scienza), poi perchŽ per magnificare il prodotto  sufficiente interloquire seriamente, tramite lĠaudizione richiesta ed ottenuta, in Commissione Affari Costituzionali, infine perchŽ lĠopinione pubblica non sarˆ mai dalla nostra parte qualunque cosa possa essere propagandata. Sulla gestione del sito che tipo di votazione potremmo mai fare? Sulla gestione economica delle iniziative a tutela della categoria valgono le negative considerazioni di cui sopra. SullĠinformativa dei lavori parlamentari che tipo di votazione potremmo fare? Sulla predisposizione dĠemendamenti dico che lĠipotesi  semplicemente inutile (vedi dichiarazione on. PD) e persino ulteriormente dannosa. Meglio lasciare tutto comĠ. In ogni caso ha ragione il collega Vigoriti. Senza unĠorganica riforma dellĠIstituto e delle norme processuali in materia di spese, lĠabrogazione tout court dellĠart. 21, dati gli inalterati carichi di lavoro,  semplicemente irricevibile ed  materia da sottoporre esclusivamente al- lĠesame del giudice competente alla tutela. Rilevo infine che il funzionamento del caps e del co.co. non sono strettamente attinenti alla questione in esame, ne lontanamente decisive per la sorte del D.L., cos“ come la riunificazione delle associazioni. Spero che il mio motivato dissenso possa comunque, essere utile allĠassemblea per ulteriori riflessioni. CONTENZIOSO NAZIONALE Sul termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso in materia tributaria CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 16 GIUGNO 2014 N. 13676 Antonio Mastrone* La controversia sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite con la decisione in commento, attiene ad una domanda di rimborso di parte delle trattenute fiscali operate dal datore di lavoro in qualitˆ di sostituto dĠimposta. La domanda era proposta a seguito della pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C207/ 04, Vergani, che dichiarava la normativa nazionale in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della paritˆ di trattamento tra uomini e donne in relazione all'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Infatti, il camma 4 bis dellĠart. 19 del Dlgs n. 344 del 2003 aveva previsto, nellĠoriginaria formulazione, un'aliquota ridotta alla metˆ sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato 50 anni, se donne, e 55 anni, se uomini. Il giudice d'appello, in particolare, respingendo le difese dell'Ufficio, aveva confermato la sentenza di primo grado ribadendo il diritto al rimborso del contribuente anche per l'anno 2001 ritenendo che, la decorrenza del termine quadriennale per proporre l'istanza (2001-2004 nel caso), stabilito dall'art. 38, D.P.R. n. 602/1973, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si sarebbe realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. La domanda di rimborso, per la restituzione delle suddette somme, era, infatti, stata presentata solo in data 1Ħ febbraio 2006. La VI sezione civile aveva rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando il contrasto interno alla giurisprudenza di legittimitˆ in ordine alla suddetta questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario. Le SSUU hanno, con la pronuncia in commento risposto al seguente quesito: se il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria nazionale (art. 38 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) per lĠesercizio del diritto di rimborso di unĠimposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva allĠindebito versamento, incompatibile dalla sopra citata sentenza della Corte di Giustizia Europea, decorra dalla data di versamento dellĠimposta oppure da quella in cui  intervenuta la pronuncia che ne abbia sancito la contrarietˆ allĠordinamento comunitario. Con lĠordinanza di rimessione il collegio rimettente aveva auspicato un punto di equilibrio tra le diverse pronunce interpretative susseguitesi nel corso del tempo (1). Secondo il collegio, infatti, tale equilibrio poteva essere raggiunto escludendo dallĠambito di operativitˆ dei meccanismi decadenziali impeditivi del- lĠesercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole ossia di inerzia giustificata, dallĠaffidamento del contribuente nella legittimitˆ comunitaria della norma impositiva interna e sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale. Le SSUU tuttavia hanno per˜ disatteso la suddetta indicazione enunciando il principio secondo cui, in caso di imposta dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di Giustizia Europea in epoca successiva al versamento, il termine di decadenza per lĠesercizio del diritto al rimborso, ai sensi dellĠart. 38 D.P.R. 602/1973, decorre dalla data del versamento e non da quella in cui  intervenuta la pronuncia. In effetti la sentenza appare essere del tutto compatibile con il principio di Òadattamento del diritto interno a quello comunitarioÓ secondo cui il diritto dellĠUE prevale, in ragione del principio di effettivitˆ, nei confronti del diritto (1) In particolare secondo lĠorientamento prevalente e pi antico il termine decorre dalla data del pagamento dellĠimposta, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata lĠincompatibilitˆ della norma interna con il diritto comunitario (Cass. SSUU 3458/1996, in tema di rimborso della c.d. tassa sulle societˆ; Cass. 4670 e 13087 del 2012, sullĠimposta oli lubrificanti). Secondo altro orientamento il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito della sentenza della Corte di Giustizia , e ci˜ in virt dei principi elaborati dalla Corte stessa in tema di overruling (Cass. SSUU n. 15144 del 2011) nel senso che lĠimprevedibile mutamento della giurisprudenza non pu˜ ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente consolidato orientamento. interno. Tale principio  altres“ sancito dagli artt. 10 e 11 e 117 co.1 (cosi come riformato dalla l. 3/2001), della Costituzione. La Suprema Corte ha quindi ritenuto fondato il ricorso proposto dal- lĠAgenzia delle Entrate anche in considerazione del principio di certezza del diritto attuato con gli istituti della prescrizione e della decadenza sanciti dal codice civile agli artt. 2934 e ss. A conferma di ci˜ i giudici di Piazza Cavour hanno, apprezzabilmente, ritenuto estendibile la disciplina di cui allĠart. 2935 c.c. Òdecorrenza della prescrizioneÓ anche al caso di specie affermando che detto articolo deve essere interpretato con riferimento alla possibilitˆ legale di agire, salve le eccezioni stabilite dalla legge relative allĠimpossibilitˆ di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto. In effetti, la decadenza consiste nella perdita del diritto da parte del titolare che non ha agito entro un termine perentorio, come tale posto a tutela delle situazioni giuridiche in attuazione del principio di certezza del diritto. Nel caso di specie infatti, il giudice di legittimitˆ ha considerato che lĠeventuale contrasto tra norma interna e norma comunitaria pu˜ sempre essere fatta rilevare in giudizio dal soggetto che si reputasse leso dalla presenza di una norma ritenuta in contrasto con lĠordinamento comunitario. In questo caso lĠinteressato pu˜ sempre chiedere che venga sollevata la relativa questione dinanzi allĠorgano competente. Qualora, come nel caso di specie, il soggetto rimanga inerte  ovvio che il rapporto venga ad esaurirsi e quindi il titolare perda la possibilitˆ di agire per la sua stessa inerzia. Da ci˜ ne deriva che non pu˜ essere ravvisato un impedimento c.d. ÒlegaleÓ ad agire prima che una norma nazionale sia dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (Cass. 10231 del 1998, cit. 7176 del 1999, 18276 del 2004). La Corte ha altres“ dichiarato fondato il ricorso dellĠAgenzia delle Entrate rilevando che qualora il contrasto sia affermato e rilevato da una sentenza della Corte di Giustizia Europea in tema di tributi, detta pronuncia produce effetti analoghi alla dichiarazione di illegittimitˆ costituzionale (Cass. 3306/04; 20863/10). Ad ulteriore giustificazione e conferma di quanto esposto il supremo organo giudicante ha altres“ escluso, nel caso di specie, la rilevanza del c.d. fenomeno dellĠoverruling cosi come prospettato dal Collegio rimettente. Tale principio, infatti, ricorre solo quando si registra una svolta repentina della giurisprudenza rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Ci˜  confermato anche dalla sentenza delle SSUU della Suprema Corte di Cassazione n. 15144 dellĠ11 luglio 2011 secondo cui ÒIl fenomeno del cd. overruling ricorre quando si registra una svolta inopinata e repentina rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Elementi costitutivi sono quindi: lĠavere a oggetto una norma processuale, il rappresentare un mutamento imprevedibile, il determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa. In applicazione del valore del Giusto processo, deve essere esclusa lĠoperativitˆ della preclusione derivante dallĠoverruling nei confronti della parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa. Per essa, insomma, la tempestivitˆ dellĠatto deve essere valutata con riferimento alla giurisprudenza vigente al momento dellĠatto stessoÓ. Alla luce di detta pronuncia emerge che il presupposto affinchŽ possa applicarsi detto istituto, derivante dallĠordinamento anglosassone, non  ravvisabile solo nellĠapplicazione di una diversa norma processuale o nella compressione del diritto alla difesa di un soggetto, ma da un improvviso cambiamento della giurisprudenza, che nella questione in esame non  avvenuto. Infatti, per eliminare qualsiasi ombra di dubbio circa lĠimpossibilitˆ applicativa di tale principio  sufficiente osservare come non pu˜ considerarsi un Òcambiamento repentino giurisprudenzialeÓ la pronuncia di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, attraverso la quale si dichiara lĠincompatibilitˆ di una norma nazionale con una di natura comunitaria. Peraltro la Corte di Giustizia, nel caso di specie, non sembra essersi pronunciata nŽ su norme di carattere processuale (quale ad esempio un improvviso effetto preclusivo dellĠesercizio di un diritto) nŽ sulle norme sostanziali riguardanti gli istituti della decadenza e della prescrizione. Ed infatti, il principio di overruling ha rilevanza quando il repentino mutamento interpretativo riguardi una norma processuale e che incida su di un diritto sul quale il soggetto aveva, in buona fede, fatto affidamento. Ne deriva, giustamente, che tale principio non sembra applicabile al caso in esame, in quanto nessuna compressione del diritto di difesa  stato leso. Le SSUU, con la sentenza in commento, hanno solamente proceduto ad applicare le norme sugli istituti della decadenza e della prescrizione cos“ come interpretati e specificati dal c.c. agli artt. 2935 e ss. In conclusione la sentenza in commento appare apprezzabile sia per lĠapplicazione data al principio di effettivitˆ del diritto comunitario sia per la definizione in essa contenuta dei Òrapporti c.d. esauritiÓ in relazione al principio di certezza dellĠordinamento applicato agli istituti della prescrizione e della decadenza. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 16 giugno 2014 n. 13676 -Primo Pres. f.f. Adamo, Pres. Sez. Rordorf, Rel. Virgilio, P.M. Ceniccola (difforme) - Agenzia entrate (avv. gen. Stato) c. P.F. (n.c.). Ritenuto in fatto 1. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, per quanto qui ancora rileva,  stato rigettato l'appello dell'Ufficio locale dell'Agenzia e confermato il diritto di P.F. al rimborso della maggiore IRPEF che era stata trattenuta dal datore di lavoro, Banca Nazionale del Lavoro, sulle somme corrispostegli dal 2001 al 2004 a titolo di incentivo alle dimissioni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 4 bis, (poi divenuto - a seguito della nuova numerazione introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003 - art. 19, comma 4 bis). La domanda di rimborso, presentata in data 1 febbraio 2006, era basata sulla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 21 luglio 2005, resa in causa C-207/04, Vergani, con la quale la norma nazionale sopra indicata (secondo la quale era prevista un'aliquota ridotta alla metˆ sulle somme erogate in favore dei lavoratori che avevano superato i 50 anni, se donne, e i 55 anni, se uomini) era stata dichiarata in contrasto con la Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della paritˆ di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Il giudice d'appello, in particolare, respingendo l'eccezione dell'Ufficio, ha confermato il diritto al rimborso anche per l'anno 2001, ritenendo che la decorrenza del termine quadriennale per proporre l'istanza, stabilito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, dovesse essere individuata nella data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia, solo a seguito della quale si era realizzato il presupposto del diritto alla restituzione. 2. Il P. non ha svolto attivitˆ difensiva. 3. La sesta sezione civile, sottosezione tributaria, con ordinanza n. 959 del 2013, depositata il 16 gennaio 2013, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, considerato che la questione della decorrenza del termine per l'esercizio del diritto al rimborso di somme versate in applicazione di una norma impositiva dichiarata in contrasto col diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia  stata decisa in senso difforme da pronunce della sezione tributaria ed anche in ragione della particolare rilevanza della questione stessa. 4. Il ricorso  stato, quindi, fissato per l'odierna udienza. 5. La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto 1.1. La questione sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se il termine di decadenza, previsto dalla normativa tributaria (nella specie, trattandosi di imposta sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) per l'esercizio, attraverso la presentazione di apposita istanza, del diritto al rimborso di un'imposta che sia stata dichiarata, in epoca successiva all'indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, decorra comunque - come sostiene l'Agenzia delle entrate - dalla data del detto versamento, oppure - come ha ritenuto il giudice a quo - da quella in cui  intervenuta la pronuncia che ne ha sancito la contrarietˆ all'ordinamento comunitario. 1.2. La vicenda normativa che ha dato origine alla controversia in esame ha avuto uno svolgimento alquanto peculiare. In sintesi: a) l'art. 17, comma 4 bis, del TUIR, comma introdotto dal D.Lgs. n. 314 del 1997 e poi ri prodotto nel D.Lgs. n. 344 del 2003, art. 19, comma 4 bis, ("nuovo" TUIR), prevedeva che "per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'etˆ di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all'art. 16 (poi 17), comma 1, lett. a), l'imposta si applica con l'aliquota pari alla metˆ di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennitˆ e somme indicate alla richiamata lett. a) del comma 1 dell'art. 16"; b) la Corte di giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza emessa il 21 luglio 2005 nella causa C-207/04, Vergani, afferm˜ che tale disposizione si poneva in contrasto con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della paritˆ di trattamento fra gli uomini le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro; c) il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, convertito in L. n. 248 del 2006, abrog˜ l'art. 19, comma 4 bis, TUIR, cit., ma dispose che tale disciplina "continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, nonch con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto"; d) l'Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006, espresse l'avviso che le istanze di rimborso proposte in base alla detta sentenza non potessero essere accolte, argomentando che non necessariamente l'adeguamento della legislazione nazionale alla statuizione della Corte Europea si sarebbe dovuto risolvere nell'applicazione agli uomini del pi favorevole limite di etˆ di accesso al beneficio previsto per le donne (50 anni), giacch, almeno in linea teorica, tale adeguamento si sarebbe potuto realizzare anche applicando alle donne il pi sfavorevole limite di etˆ di accesso al beneficio (55 anni) previsto per gli uomini; e) la Corte di giustizia, nuovamente investita della questione, con ordinanza del 16 gennaio 2008, nelle cause riunite da C-128/07 a C- 131/07, Molinari e aa., ha statuito che "qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finch non siano adottate misure volte a ripristinare la paritˆ di trattamento, il giudice nazionale  tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell'altra categoria"; f) con circolare n. 62/E del 29 dicembre 2008, l'Amministrazione ha definitivamente preso atto di quanto stabilito dalla Corte di giustizia. 1.3. L'ordinanza di rimessione, premesso che sulla specifica fattispecie oggetto del giudizio non vi sono precedenti nella giurisprudenza di legittimitˆ, segnala che in pi occasioni, invece, la Corte  stata chiamata ad occuparsi del problema della decorrenza del termine di decadenza dal diritto al rimborso di altre imposte dichiarate comunitariamente illegittime. Da un lato, l'orientamento prevalente e pi antico,  nel senso della decorrenza del termine dalla data del pagamento, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l'incompatibilitˆ della norma interna con il diritto comunitario: si segnalano Cass., sez. un., n. 3458 del 1996 (in tema di rimborso della c.d. tassa sulle societˆ), Cass. n. 4670 e n. 13087 del 2012 (sull'imposta di consumo sugli oli lubrificanti). Dall'altro, secondo Cass. n. 22282 del 2011 (resa anch'essa in tema di accisa versata sugli oli lubrificanti), il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella data di deposito della sentenza della Corte di giustizia, e ci˜ in virt dei principi elaborati da questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011), nel senso, cio, che l'imprevedibile mutamento di giurisprudenza - che introduca una decadenza o una preclusione prima escluse - non pu˜ ridondare a svantaggio del cittadino che ha fatto incolpevole affidamento sul precedente consolidato orientamento. Il Collegio rimettente, premesso di ritenere che i principi affermati in tema di overruling non si attagliano direttamente al caso qui in esame, afferma, tuttavia, che gli stessi costituiscono indice di un processo evolutivo tendente ad introdurre nell'ordinamento dei tempera menti al principio della intangibilitˆ dei meccanismi decadenziali, al fine di renderlo compatibile con la effettivitˆ della tutela dei diritti soggettivi: in tale prospettiva la decadenza non si ricollegherebbe al decorso del tempo, ma si configurerebbe, almeno in parte, come sanzione dell'inerzia colpevole del soggetto interessato (nella specie, del contribuente). Ma, soprattutto, prosegue l'ordinanza, ci˜ che, giˆ prima della sentenza sull'overruling, si  andato sempre pi valorizzando  il principio di tutela dell'affidamento del cittadino, come norma fondamentale che presidia la regolazione dei rapporti tra legge, giurisprudenza e fattispecie concreta. In definitiva, conclude la Corte, un punto di equilibrio tra le opposte esigenze potrebbe essere individuato escludendo dall'ambito di operativitˆ dei meccanismi decadenziali impeditivi dell'esercizio delle azioni di rimborso le ipotesi di inerzia incolpevole, ossia di inerzia giustificata dall'affidamento del contribuente nella legittimitˆ comunitaria della norma impositiva interna, che risulti fondato sulla prassi amministrativa o sugli orientamenti prevalenti nella giurisprudenza nazionale. 2.1. Ad avviso del Collegio, non vi  spazio per introdurre temperamenti od eccezioni a principi ed esigenze fondamentali dell'ordinamento, quali quelli coinvolti nella fattispecie, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell'UE. 2.2. Va premesso, in linea generale, come si dirˆ meglio in seguito, che gli istituti della prescrizione e della decadenza sono posti a presidio del principio, irrinunciabile in ogni ordinamento giuridico, della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, con il corollario della conseguente intangibilitˆ dei c.d. rapporti esauriti. Per quanto riguarda la fissazione della durata del termine di prescrizione dei diritti, o di decadenza dagli stessi, il legislatore gode di ampia discrezionalitˆ, con l'unico limite del- l'eventuale irragionevolezza, qualora esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilitˆ di esercizio del diritto cui si riferisce e quindi inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso (cfr., tra le tante, Corte cost. n. 234 del 2008). Anche la Corte di giustizia ha sempre ritenuto compatibile con il diritto dell'Unione la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del diritto, in quanto termini del genere non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C-429/12, Pohl, punto 29). 2.3. Va ora affrontato il tema - in cui si inquadra la questione rimessa a queste sezioni unite -della decorrenza del termine, cio della individuazione del momento a partire dal quale il termine inizia a decorrere. In materia tributaria (premesso che nell'ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull'istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in linea di principio, l'applicazione della disciplina prevista per l'indebito di diritto comune: cfr. Cass. n. 11456 del 2011), rilevano, in particolare, per quanto qui interessa, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella "data del versamento" o in quella "in cui la ritenuta  stata operata", e il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, norma residuale e di chiusura del sistema, in virt del quale "la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non pu˜ essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si  verificato il presupposto per la restituzione". L'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte  rigoroso nella identificazione (di regola) nel giorno del versamento del dies a quo (come tale non computabile) del termine di decadenza per l'esercizio del diritto al rimborso dell'importo pagato. Si , infatti, affermato, ad esempio, che: a) il termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un'eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietˆ, poich subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell'obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento del- l'acconto stesso, nel caso in cui quest'ultimo, giˆ al momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poich in questi casi l'interesse e la possibilitˆ di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento (tra le altre, Cass. nn. 56 del 2000, 4282, 7926 e 14145 del 2001, 21557 del 2005, 13478 del 2008, 4166 del 2014); b) il termine di decadenza per la presentazione della domanda di rimborso non pu˜ farsi decorrere dalla data della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative delle norme tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti natura normativa ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario (Cass. nn. 11020 del 1997, 813 del 2005, 23042 del 2012, 1577 del 2014) (n, ai fini di una diversa conclusione sul punto, assume rilievo la sentenza della Corte di giustizia 15 dicembre 2011, C427- 10, Banca Popolare Antoniana Veneto, attinente a vicenda del tutto peculiare). Deroghe al detto principio sono state individuate, in applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 cit., comma 2, nei casi di procedimenti di riconoscimento di agevolazioni tributarie, poich  dal momento della conclusione di tale procedimento che sorge per il contribuente il diritto alla restituzione della differenza tra l'imposta versata nella misura ordinaria e quella risultante dall'applicazione dei benefici fiscali, con la conseguenza che la domanda di rimborso deve essere presentata nel termine di due anni, decorrente dall'anzidetto momento (Cass. nn. 7116 del 2003, 10312 del 2005, 24183 del 2006, 16328 del 2013); oppure nel caso in cui una legge sopravvenuta aveva introdotto, con effetto retroattivo, un beneficio fiscale prima non previsto, peraltro con l'esplicita previsione di decorrenza del termine per proporre domanda di rimborso dalla data di entrata in vigore dello ius superveniens (Cass. n. 3575 del 2010). 2.4. Deve ora esaminarsi il quesito specifico, qui direttamente rilevante, relativo all'individuazione del giorno di decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso qualora, successivamente al versamento del tributo, intervenga una pronuncia della Corte di giustizia che dichiari la disciplina impositiva nazionale in contrasto con il diritto comunitario. Anche in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte , in misura assolutamente prevalente (come riconosce la stessa ordinanza di rimessione), nel senso della decorrenza del termine comunque dal giorno successivo al versamento poi rivelatosi indebito. Giˆ con riferimento al problema della decorrenza del termine decadenziale nel caso di ritardata trasposizione nell'ordinamento interno di direttiva comunitaria (self executing, cio con contenuto incondizionato e preciso), questa Corte, nell'individuare il dies a quo nel giorno del pagamento, ha avuto occasione di affermare che: a) il principio posto dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione "comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu˜ essere fatto valere" - il quale  da ritenersi applicabile anche alla decadenza - deve essere inteso con riferimento alla sola possibilitˆ legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilitˆ di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (Relazione al codice, p. 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 del 1991); b) tra gli impedimenti "di fatto" va annoverato anche l'ostacolo all'esercizio di un diritto rappresentato dalla presenza di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell'instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce passivamente detto impedimento, non pu˜ sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non pu˜ essere ravvisato un impedimento "legale", come tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che - mentre l'accertamento della illegittimitˆ costituzionale di una norma  riservato ad un organo diverso dall'autoritˆ giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23) - il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria pu˜ essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa,  tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ. conff.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004). Tali principi sono stati confermati, sulla base delle stesse ragioni, anche per le ipotesi in cui l'incompatibilitˆ del diritto interno con il diritto comunitario sia stata dichiarata con sentenza della Corte di giustizia (cfr. Cass. nn. 4670 e 13087 del 2012). Del resto,  altrettanto consolidato il principio della equiparazione, ai fini che qui interessano, tra tributi dichiarati costituzionalmente illegittimi e tributi dichiarati in contrasto con il diritto comunitario (Cass. nn. 3306 del 2004 e 20863 del 2010). Ci˜ anche in considerazione del fatto che la Corte di giustizia ha affermato che l'interpretazione di una norma di diritto dell'Unione data dalla Corte nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 267 TFUE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore: in altri termini, una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bens“ puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata (da ult., sentenza 16 gennaio 2014, C- 429/12, cit., punto 30). 3. Deve escludersi che sulla questione in esame possa esplicare effetti diretti la nota pronuncia di questa Corte in tema di overruling (Cass., sez. un., n. 15144 del 2011, cui adde Cass., sez. un., n. 24413 del 2011 e n. 17402 del 2012). La portata applicativa del principio ivi affermato  stata pi volte chiarita dalla giurisprudenza successiva, che queste sezioni unite condividono, secondo la quale, affinch un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinch si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cio, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte (Cass. nn. 28967 del 2011, 6801 e 13087 del 2012, 5962 e 20172 del 2013). é sufficiente osservare, in linea generale, che nel caso di pronuncia che dichiari la contrarietˆ di una norma nazionale al diritto comunitario non si  in presenza di un "mutamento della giurisprudenza"; e, con riferimento alla questione in esame e con argomento ancor pi decisivo, va rilevato che la sentenza della Corte di giustizia non solo non  intervenuta (in malam partem, cio con effetti preclusivi dell'esercizio del diritto) su norme di carattere processuale, ma neanche sulle disposizioni, di natura sostanziale, che qui interessano, relative ai termini (di prescrizione o decadenza) per l'esercizio del diritto alla ripetizione dell'indebito tributario, bens“, con effetto ampliativo, su una norma tributaria che riduceva illegittimamente la portata di un beneficio fiscale. 4.1. Di ci˜, come giˆ detto,  consapevole lo stesso Collegio rimettente, il quale, tuttavia, rinviene nella ratio sottesa alla giurisprudenza in tema di overruling (e non solo), ed anche a recenti interventi legislativi (in particolare, all'art. 153 c.p.c., comma 2, in tema di rimessione in termini, introdotto dalla L. n. 69 del 2009), una sempre maggiore valorizzazione della tutela dell'affidamento incolpevole del cittadino nella certezza delle norme vigenti, come interpretate ed applicate: e ne trae l'auspicio che sia fatta salva dall'operativitˆ del meccanismo decadenziale (il cui dies a quo andrebbe fatto coincidere con la declaratoria di illegittimitˆ comunitaria) l'ipotesi della inerzia incolpevole del cittadino contribuente nella legittimitˆ comunitaria della norma impositiva interna. 4.2. La tesi non pu˜ essere condivisa. Deve ribadirsi che costituisce principio immanente in ogni Stato di diritto quello in virt del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in presenza di determinati eventi, quali lo spirare di termini di prescrizione o di decadenza, l'intervento di una sentenza passata in giudicato, o altri motivi previsti dalla legge, e ci˜ a tutela del fondamentale e irrinunciabile principio, di preminente interesse costituzionale, della certezza delle situazioni giuridiche: si tratta della nota categoria dei c.d. rapporti esauriti, la cui definizione spetta solo al legislatore determinare, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Dalla detta finalitˆ discende che non sono configurabili, contrariamente a quanto ritiene l'ordinanza di rimessione, profili di carattere sanzionatorio nei citati istituti (e in particolare nella decadenza). Il limite dell'esaurimento del rapporto in ordine alla efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimitˆ costituzionale  principio pacifico e non si ravvisano ragioni, sotto questo aspetto, come giˆ detto, per distinguere dette pronunce dalle sentenze, aventi anch'esse efficacia dichiarativa, con le quali la Corte di giustizia afferma l'incompatibilitˆ di una norma nazionale con il diritto comunitario. La ratio della giurisprudenza sull'overruling, con il valore in essa attribuito all'affidamento incolpevole nel "diritto vivente", non  trasferibile al caso in esame. Qui non si  in presenza di un soggetto che, avendo esercitato il proprio diritto nel termine previsto dalla legge, come all'epoca costantemente interpretata, si ritrova ex post decaduto in ragione di un imprevedibile revirement giurisprudenziale che ha, in sostanza, abbreviato il termine, situazione per la quale appariva doveroso, in ossequio al valore superiore del giusto processo e quindi alla garanzia di effettivitˆ dei mezzi di azione e di difesa (come chiaramente esposto nella sentenza n. 15144 del 2011), apprestare una tutela che facesse salva la sua posizione, attraverso una sorta di autocorrezione del sistema per via interpretativa. Nella fattispecie, vi , invece, una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea che, con effetto retroattivo analogo a quello di una sentenza di illegittimitˆ costituzionale, ha dichiarato in contrasto con una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di agevolazione fiscale, ampliandone la portata soggettiva. La posizione del soggetto che, in vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio,  ri masto inerte fino all'intervento della sentenza (o anche successivamente), cos“ trovandosi in tutto o in parte decaduto dal diritto al rimborso, non  assimilabile, sotto il profilo dell'esigenza di tutela, a quella sopra esposta: pur prescindendo dal fatto che si verte in materia non processuale ed anche a voler ammettere la configurabilitˆ di un affidamento incolpevole nella legittimitˆ (nel caso, comunitaria) della norma vigente, la tutela di una tale situazione deve ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche (tanto pi cogente in materia di entrate tributarie), che riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe. Spetta, in definitiva, al solo legislatore, in casi come quello in esame (cos“ come in quello del sopravvenire di una legge retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, in ordine all'eventuale introduzione di norme che prevedano termini e modalitˆ di "riapertura" di rapporti esauriti. 5. Alla stregua degli enunciati principi, il ricorso dell'Agenzia delle entrate va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (essendo pacifico che l'istanza di rimborso  stata presentata dal contribuente il 1 febbraio 2006), la causa va decisa nel merito, dichiarando non dovuto il rimborso per l'anno 2001. 6. In considerazione delle ragioni che hanno dato luogo all'ordinanza di rimessione al Primo Presidente, le spese dell'intero giudizio devono essere compensate. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto il rimborso per l'anno 2001. Compensa le spese dell'intero giudizio. Cos“ deciso in Roma, il 25 febbraio 2014. Note sul redditometro ed onere della prova CASSAZIONE CIVILE, SEZ. V, SENTENZA 19 MARZO 2014 N. 6396 Paolo Gentili* Questa sentenza contiene un ripensamento circa lĠonere del contribuente, attinto da accertamento basato su redditometro, di provare, quanto alla componente di maggior reddito indotta da spesa per incrementi patrimoniali, che tale spesa fu specificamente sostenuta con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. La sentenza ritiene sufficiente la prova della disponibilitˆ di tali redditi; non richiede anche quella della loro destinazione a tale spesa. Il punto era in discussione da tempo (accenni a dubbi giˆ in Cass. 3111/2014). Una critica pu˜ muovere dalla considerazione che se la prova ÒridottaÓ ora richiesta si giustifica con la presunzione che i redditi esenti o soggetti a ritenuta di imposta siano stati utilizzati per finanziare gli incrementi patrimoniali, si addossa allĠamministrazione una prova contraria impossibile, come sarebbe la prova che il contribuente, invece, per finanziare gli incrementi ha utilizzato disponibilitˆ diverse. Il che  contrario al principio di vicinanza della prova; e sul piano del diritto sostanziale, si traduce in una interpretazione abrogante dellĠart. 38 comma 6 vecchio testo dpr 600/73: se lĠamministrazione, del tutto legittimamente, ricorre allĠaccertamento sintetico basato su spese per incrementi patrimoniali, e la semplice prova della disponibilitˆ di redditi esenti o soggetti a ritenuta di imposta fa cadere tale accertamento, lĠamministrazione dovrebbe procedere, in realtˆ, ad accertamento ordinario per dimostrare che vi erano ulteriori disponibilitˆ non dichiarate e utilizzate per finanziare gli incrementi patrimoniali. Ma ci˜ non  spesso possibile in fatto, perchŽ sono maturati i termini di decadenza; e, soprattutto, in diritto, perchŽ lĠaccertamento sintetico ex 38 c. 6 non  una forma di accertamento parziale, integrabile con accertamenti successivi. é, al contrario, definitivo, per cui lo si pu˜ integrare solo in caso di sopravvenienza di elementi conoscitivi. La questione, a partire dal 2010,  ovviamente superata dal nuovo comma 4 dellĠart. 38, che codifica la necessitˆ che il contribuente provi anche la destinazione specifica della spesa ÒincrementativaÓ. Ma per il passato vi sono numerosi contenziosi in cui si discute la questione trattata dalla sentenza allegata. Comunque, la riforma del 2010 contiene un ulteriore argomento a favore dellĠinterpretazione precedente: lĠattuale (*) Avvocato dello Stato. Osservazioni inviate per e-mail, lun. 7 aprile 2014, dallĠavv. Gentili ai colleghi tributaristi. comma 7 dellĠart. 38 prevede il previo contraddittorio obbligatorio, per cui il pericolo che le prove fornite dal contribuente facciano cadere lĠaccertamento sintetico dopo la sua emanazione, viene meno. Il contribuente dovrˆ Òscoprire le carteÓ prima dellĠemanazione dellĠaccertamento, e cos“ lĠamministrazione potrˆ regolarsi per tempo se procedere in via sintetica o in via ordinaria. Prima questo non era possibile, per cui la controprova richiesta in giudizio al contribuente doveva per forza di cose essere integrale, e non parziale. Cassazione, Sez. V civile, sentenza 19 marzo 2014 n. 6396 -Pres. Bielli, Rel. Conti, P.M. Fimiani (conforme) - Z.A.G. (avv. ti Miani e Conte) c. Ministero economia e finanze, Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. L'Agenzia delle Entrate di Milano 6 notificava al contribuente Z.A.G. un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IRPEF, addizionale regionale e sanzioni relativi all'anno 2004, rettificando il reddito dichiarato - pari a Euro 3.708,00 - ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, e ritenendolo incongruo rispetto agli acquisti di autovetture ed imbarcazioni operati dal contribuente fra il 2003 ed il 2005, al possesso di due autovetture e di un'ulteriore imbarcazione nonch alla disponibilitˆ di cinque immobili, per un valore complessivo pari a Euro 1.230.000,00. 2. L'Ufficio, considerando il reddito per anno necessario per le disponibilitˆ riscontrate, ride- terminava per l'anno in esame il reddito del contribuente in Euro 391.737,00. 3. Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Milano sostenendo l'incongruitˆ dei conteggi operati dall'Ufficio, la motivazione incongrua dell'avviso di accertamento e rilevando l'esistenza di disponibilitˆ economiche che avevano giustificato gli acquisti. 4. La CTP di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando il reddito del contribuente in Euro 174.924,92. 5. Avverso la decisione di primo grado il contribuente e l'Ufficio proponevano rispettivamente appello principale e appello incidentale. 6. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 5/24/2012 pubblicata il 10.1.2012 respingeva le impugnazioni compensando le spese. 6.1 Secondo i giudici di appello l'accertamento fondato sui parametri di cui ai D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, si fondava sulla presunzione legale a favore del- l'Amministrazione nascente dai parametri, dovendo il contribuente fornire con qualsiasi argomentazione la dimostrazione della insussistenza degli elementi e delle circostanze di fatto sulle quali si basa l'accertamento e conseguentemente del reddito accertato. 6.2 Il contribuente, inoltre, aveva dimostrato di non essere pi titolare dell'autovettura Jaguar dall'anno 1981, pure documentando che l'acquisto dell'imbarcazione AZIMUT 55 era avvenuto non in contanti ma in forza di un contratto di leasing. Sulla base di questi due elementi la CTP aveva correttamente rideterminato il reddito del contribuente. Non poteva, tuttavia - per la CTR - condividersi l'assunto del contribuente in ordine al sostenimento delle spese con la donazione di Euro 700.000,00 ricevuta dalla madre del suddetto nell'anno 2004, la stessa risultando da scrittura privata non autenticata non suffragata da data certa, nemmeno potendosi considerare la data di inserimento nella denunzia di successione che sembrava rivestire "i crismi di una strategia difensiva per contrastare l'accertamento in esame". 6.3 Aggiungeva la CTR, quanto ai redditi da capital gain, che non appariva sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilitˆ finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni. 6.4 La CTR rigettava, infine, l'appello incidentale ritenendo che le spese sostenute negli anni 2006 e 2007 non erano state adeguatamente esplicitate nell'avviso di accertamento. 6.5 Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a un'unica complessa censura, al quale ha resistito l'Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo. La parte contribuente ha depositato controricorso e memoria ex art. 374 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 7. Con l'unica complessa censura la parte ricorrente principale deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rilevando che il giudice di appello, pur affermando che il contribuente poteva fornire prova contraria agli accertamenti del- l'Ufficio sinteticamente determinati, aveva omesso di considerare gli elementi, documentalmente prodotti nel corso del giudizio di primo grado, che erano in grado di provare il possesso di redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte o legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile per giustificare le spese indicate dall'Ufficio. 7.1 In questa direzione, ad avviso del ricorrente, deponevano le ampie disponibilitˆ finanziarie, rappresentate da titoli azionali, obbligazionari e titoli di stato oltre che la donazione di 700.00,00 Euro ricevuta dalla madre e documentata, nel corso del giudizio, dalla produzione della scrittura privata e del versamento sul conto corrente intestato al contribuente del novembre 2004. Le motivazioni esposte dalla CTR erano sul punto sbrigative quanto alle disponibilitˆ certificate dalla Banca Euromobiliare ed errate quanto alla donazione della madre dovendosi ritenere, nonostante quanto prospettato dalla CTR, che la scrittura privata, indicata nella denunzia di successione e per la quale era stata pagata la relativa imposta, aveva quanto meno data certa dalla morte della donante ed era comunque attestata dal versamento risultante sul conto corrente. Il vizio di motivazione era dunque palese sotto il profilo della decisivitˆ degli elementi non considerati. 8. L'Agenzia delle entrate, nel controricorso, ha dedotto l'infondatezza delle censure tanto sotto il profilo della violazione di legge che rispetto al prospettato vizio di motivazione. 8.1 Quanto alla prima questione, evidenzia che la giurisprudenza di questa Corte aveva ormai ammesso la piena operativitˆ del sistema dell'accertamento sintetico alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, determinando una presunzione di fondatezza della pretesa impositiva che aveva l'effetto di spostare l'onere della prova sul contribuente. 8.2 Quanto al dedotto difetto di motivazione, l'Agenzia osserva che la CTR aveva correttamente esaminato il materiale probatorio agli atti, ritenendo che il contribuente non aveva fornito la prova di avere utilizzato le disponibilitˆ esistenti o parte di esse a giustificazione delle spese sostenute per incrementi patrimoniali rilevati a suo carico. Peraltro, proprio dalla documentazione prodotta dal contribuente era risultata una minusvalenza patrimoniale che, ben lungi dal tradursi in una potenzialitˆ finanziaria, costituiva ulteriore elemento incompatibile con gli incrementi patrimoniali e con gli indici di spesa posti a fondamento della pretesa erariale. 8.3 Anche la documentazione relativa al capital gain, a parte la sua scarsa intelligibilitˆ, non era oggettivamente idonea, per l'Agenzia, a comprovare con certezza la provenienza ed effettiva disponibilitˆ della provvista finanziaria necessaria per l'effettuazione degli acquisti, riscontrati come enormemente sproporzionati rispetto al reddito dichiarato. 9. La parte contribuente, nel controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4, depositato in replica al ricorso incidentale dell'Agenzia, ha poi esposto ulteriori argomenti a sostegno della censura formulata in ricorso, contestando le prospettazioni esposte dall'Agenzia. Non poteva infatti sostenersi che il contribuente fosse gravato dell'onere di dimostrare che proprio le somme possedute fossero quelle effettivamente spese per gli incrementi patrimoniali. Cos“ facendo, infatti, l'Agenzia aveva finito col pretendere una prova diabolica o quasi diabolica. In realtˆ, per superare gli elementi indicati dall'ufficio il contribuente era tenuto solamente a dimostrare -e ci˜ aveva fatto in concreto - "... di avere delle ricchezze a disposizione per donazioni, oppure per disponibilitˆ di redditi esenti da imposta o da obbligo dichiarativo in quanto assoggettati ad imposta sostitutiva". 10. Per un pi agevole esame della vicenda  opportuno premettere che la parte contribuente non pone in discussione che, per effetto dell'accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 - nella versione ratione temporis vigente -, l'Ufficio possa beneficiare di una presunzione legale relativa fondata sui coefficienti redditometrici che il contribuente pu˜ superare fornendo la prova contraria. Su tale questione, decisa conformemente dalla CTR, deve ritenersi ormai formato il giudicato, ancorch si rinvengano precedenti di questa Corte che tale principio hanno talvolta declinato in maniera parzialmente diversa - cfr., da ultimo, Cass. n. 25532/12 - a fronte di un indirizzo, numericamente pi consistente, orientato in maniera conforme ai principi esposti dalla CTR sul presupposto che  la fonte legale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, cit.) a prevedere che la disponibilitˆ di taluni beni (art. 2, D.P.R. ult.cit.) costituisce una presunzione legale di capacitˆ contributiva che il contribuente pu˜ vincere provando che il reddito presunto sia esente, soggetto a ritenuta d'imposta o sia alimentato da indebitamento o da erogazione di patrimonio - v. Cass. n. 14168/12 -. 10.1 A parte tale questione, che nel caso di specie assume marginale rilievo, il tema di indagine demandato a questa Corte  dunque esclusivamente correlato alle valutazioni che la CTR ha espresso in ordine alle prove che il contribuente assume di avere fornito per superare la presunzione alla quale l'Ufficio si  richiamato per giustificare la ripresa a tassazione. 10.2 Secondo la parte ricorrente principale, infatti, la motivazione addotta dalla CTR sarebbe "sbrigativa" in quanto il contribuente aveva fornito tutti gli elementi documentali idonei a dimostrare l'esistenza di disponibilitˆ finanziarie capaci di giustificare le spese correlate al possesso di beni e gli incrementi patrimoniali, inizialmente stimate dall'Ufficio, per l'anno in esame, in Euro 1.230.000,00. 10.4 A tale risultato l'Amministrazione era giunta considerando, per il periodo 2003/2005: a) per l'anno 2003, la vendita di un' imbarcazione per Euro 10.000,00; b) per l'anno 2004, l'acquisto di altra imbarcazione (Zanuc II - stimato quale incremento patrimoniale pari ad Euro 280.000,00 sulla base del prezzo di vendita dello stesso natante riscontrato nell'anno 2005); c) per l'anno 2005, l'acquisto dell'imbarcazione da diporto Azimut a mezzo leasing per un corrispettivo stimato in Euro 960.000,00, da considerare come spese per incremento patrimoniale che l'Ufficio ha ritenuto sostenute, come tutte le precedenti indicate, con redditi conseguiti in quote costanti nell'anno in cui era stata effettuata e nel quadriennio precedente. A tali dati l'Ufficio aveva aggiunto i valori correlati al possesso di un auto a benzina Jaguar e di un'altra a gasolio, al possesso dell'imbarcazione a motore ed al possesso della residenza principale e di altre quattro residenze secondarie. 10.5 Sulla base di tali dati l'Ufficio, a fronte di un reddito dichiarato per l'anno 2004 in Euro 3.708,00, rideterminava il reddito per l'anno in esame in Euro 391.737,00. 10.6 In definitiva, l'Ufficio aveva determinato in via sintetica il reddito del contribuente avvalendosi, in parte, del meccanismo del c.d. redditometro che desumeva in via induttiva l'esistenza di elementi indicativi di capacitˆ contributiva in forza dei D.M. che individuano la disponibilitˆ dei beni ivi indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacitˆ contributiva ai fini dell'applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, (accertamento con metodo sintetico) nella condizione di chi "a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni" - nel caso di specie il possesso di immobili e di autovetture - (v. Cass. n. n. 7408 del 31/03/2011, Cass. 1294 del 22/01/2007 e Cass. n. 12448 del 08/06/2011). Per altro verso, l'Amministrazione procedeva all'accertamento sulle somme impiegate per incrementi patrimoniali alla stregua dell'art. 38, comma 5, D.P.R. ult. cit. 10.7 A fronte di tale accertamento il contribuente aveva contestato, per un verso, l'esistenza di un errore di calcolo nella quota relativa alle spese sostenute - pari ad Euro 246.000,00 - e, per altro, la circostanza che l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut era stato fatto con le forme del leasing, operando un pagamento del maxi canone con compensazione del credito che il ricorrente contribuente aveva maturato per la vendita di altro natante. Tali elementi, incidenti sulla determinazione del reddito accertato dall'Ufficio, avrebbero dovuto imporre la rideterminazione dei valori considerati dall'Ufficio in complessivi Euro 345.986,40 ed in quota parte di Euro 69.197,28 per l'anno di riferimento. 10.8 Per altro verso, il contribuente deduceva il possesso di disponibilitˆ economiche ingenti, evidenziate, a suo dire, dalla gestione titoli che per gli anni 2004 e 2005 indicava somme in Euro comprese fra i 2.100.000,00 ca. ed i 2.700.000,00 ca. per anno. Inoltre, il contribuente depositava certificati rilasciati dalla Banca Euromobiliare dalla quale risultavano minusvalenze pari ad Euro 2.207.108,63 per l'anno 2004 e ad Euro 913.920,51 per l'anno 2005, da ci˜ desumendo una potenzialitˆ finanziaria di almeno Euro 3.121.029 per l'anno 2003. 10.9 Quanto alla donazione di Euro 700.000,00 ottenuta dalla madre, la stessa veniva documentata dal contribuente, giusta scrittura privata risalente al luglio 2004, alla quale doveva riferirsi il versamento sul di lui conto corrente, in data 18.11.2004, del relativo importo, anch'esso documentato da un estratto conto prodotto nel corso del giudizio di primo grado. 10.10 Ora, a fronte di tale compendio documentale, la CTR ha per un verso escluso la rilevanza della donazione di Euro 700.000,00, ritenendola non documentata ed anzi lasciando intravedere un'operazione di aggiramento postumamente posto in essere dal contribuente all'atto della morte della genitrice - al solo fine di contrastare l'accertamento. Quanto al rendiconto del capital gain, la CTR ha dichiarato che "... non appare sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilitˆ finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni di cui trattasi". 10.11 Occorre a questo punto rammentare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte,in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non riguarda la sola disponibilitˆ di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non giˆ con qualsiasi altro reddito (dichiarato) cfr. Cass. n. 6813 del 20/03/2009; conf. Cass. 23785/2010 e Cass. n. 4183/2013. 10.12 Si  in particolare ritenuto, nella prima delle decisioni teste evocate - alle quali le sentenze successive fanno pedissequo riferimento -, che per l'art. 38, comma 6, ult. cit. "... non  sufficiente la prova della sola disponibilitˆ di redditi - e men che mai di redditi esenti ovvero di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta - ma  necessario anche la prova che la spesa per incrementi patrimoniali sia stata sostenuta, non giˆ con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi esenti o... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta". Secondo questa interpretazione "... senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (la stessa si presume) posta, a suo svantaggio, dalla norma ...". 10.13 In definitiva, secondo l'indirizzo appena espresso, sembra implicita al sistema normativo l'esistenza, accanto all'onere di dimostrare l'esistenza di redditi esenti capaci di sostenere le spese per incrementi patrimoniali anche di altro - aggiuntivo - onere di tenere i propri conti in modo de ricostruire i movimenti finanziari per fornire giustificazioni in merito al sostenimento delle proprie spese in caso di accertamento. 10.14 Ora, rileva il Collegio che a seguire l'indirizzo appena ricordato dovrebbe ritenersi comunque corretta la decisione impugnata ed infondata la censura esposta dal ricorrente principale, in quanto il contribuente ha dedotto solo la disponibilitˆ di redditi sufficienti per la disponibilitˆ e gli incrementi patrimoniali contestati dall'Ufficio, ma non risulta avere neppure allegato n che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare le "spese per incrementi patrimoniali" recuperata a tassazione dall'Ufficio. 10.15 Ma a tale indirizzo non ritiene di aderire questa Corte. 10.16 Ed invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nella versione ratione temporis vigente all'epoca del presente giudizio, dispone testualmente che "... il contribuente ha facoltˆ di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente  costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entitˆ di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione". 10.17 A ben considerare, il testo della norma - qui la Corte limitando ovviamente l'indagine all'art. 38, comma 6, ult. cit. nel testo vigente all'epoca, in relazione all'irrilevanza delle modifiche normative successivamente intervenute in materia - non impone affatto la dimostrazione dettagliata: dell'impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione - semplice o legale che sia - che il reddito, dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a ben, considerare, significa che nessun'altra prova deve dare la parte contribuente circa l'effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell'esistenza di tali redditi. 10.18 N dalla disciplina normativa anzidetta pare potersi evincere un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l'effettiva disponibilitˆ finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente. 10.19 Se, infatti, l'Ufficio ha desunto dagli incrementi un maggior reddito rispetto a quello dichiarato e il contribuente ha dedotto e dimostrato attraverso il prospetto di gestione titoli di Stato, azionari e obbligazionari l'esistenza di disponibilitˆ finanziarie sottoposte a tassazione separata capaci di consentire detti incrementi, il fatto presuntivo esposto dall'Ufficio non pu˜ continuare a produrre i propri effetti in ragione della condotta del contribuente, ove la stessa sia idonea a comprovare l'esistenza di redditi non dichiarati capaci di realizzare gli incrementi o e spese correlate al possesso di beni. 10.20 Una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult.cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del pre supposto impositivo, non pi correlato all'esistenza di un reddito ma, piuttosto, all'esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinali e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d'imposta. 10.21 Orbene, appare evidente, in relazione a quanto test affermato, la fondatezza dei rilievi esposti nel motivo di ricorso principale. 10.22 Ed invero, l'iter motivazionale esposto dal giudice di appello  gravemente lacunoso, contenendo anche non marginali errori in diritto che viziano l'iter logico della decisione quanto alla rilevanza delle disponibilitˆ finanziarie. 10.23 Per un verso, quanto alla donazione della somma di Euro 700.00,00, non pare potersi revocare indubbio che l'omesso esame, da parte della CTR, della certificazione relativa al versamento di Euro 700.00,00 sul conto del contribuente per l'anno 2004 non poteva in ogni caso essere tralasciato dalla CTR al fine di verificare la disponibilitˆ finanziaria dello stesso, se appunto si considera che l'omissione di tale elemento ha condizionato l'intero passaggio argomentativo del giudice di appello, il quale ha apoditticamente ritenuto di non considerare veritiera la scrittura privata relativa alla donazione indicata nella denuncia di successione. 10.24 L'identitˆ tra l'importo della donazione fatta dalla madre e l'importo versato sul conto del contribuente nello stesso anno indicato nella scrittura privata (anche se non autenticata e priva di data certa) avrebbe dovuto indurre il giudice di appello ad un pi attento esame del- l'intera documentazione, mancando il quale l'affermazione circa il carattere artificioso dello stesso risulta illogica. 10.25 Del resto, proprio su tale punto questa Corte ha avuto modo di chiarire che, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalitˆ, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalitˆ medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento - cfr. Cass. n. 24597 del 03/12/2010; conf. Cass. n. 11389/2008. 10.26 Non meno lacunose ed, anzi, addirittura fondate su un presupposto contrario a legge, appaiono le argomentazioni spese dalla CTR in ordine alla irrilevanza delle rendite finanziarie del contribuente ai fini della controversia, posto che il giudice di appello ha illogicamente motivato la decisione di rigetto del ricorso escludendo ogni valore probatorio alla documentazione prodotta dal contribuente sul presupposto, errato in diritto, che detto contribuente fosse tenuto a "dimostrare la provenienza ed effettiva disponibilitˆ finanziaria per l'effettuazione delle acquisizioni". 10.27 Tale motivazione si fonda, infatti, per l'un verso su argomentazioni in netto contrasto con i principi fatti propri da questo Collegio ed esposti nei paragrafi precedenti e, per altro verso, si dimostra gravemente lacunosa, non contenendo un esame analitico delle disponibilitˆ finanziarie allegate dalla parte contribuente, sottoposte a tassazione separata, e alla loro idoneitˆ a giustificare i fatti posti a base dell'accertamento fiscale. 11. Passando all'esame dell'appello incidentale, affidato ad un unico motivo, l'Agenzia lamenta l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla quantificazione delle spese prospettate dall'Ufficio. La CTR, dedicando due sole righe per rigettare l'impugnazione incidentale proposta, avrebbe tralasciato di rispondere ai rilievi esposti dall'Ufficio in ordine alla quantificazione degli incrementi patrimoniali considerati in sede di avviso di accertamento. 12. La parte contribuente ha dedotto l'inammissibilitˆ e infondatezza della censura. 13. Il motivo  inammissibile. 13.1 é noto infatti, che la motivazione omessa o insufficiente  configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non giˆ quando, invece, vi sia difformitˆ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione - per tutti, da ultimo, Cass. n. 24148del 25/10/2013. 13.2 Orbene, nel caso di specie la ricorrente incidentale si  limitata a prospettare la carenza motivazionale della decisione impugnata, erroneamente deducendo che la CTR avesse dedicato solo due righe di motivazione all'appello incidentale proposto in appello. 13.3 Cos“ facendo l'appellante incidentale non si  avveduta che il giudice di appello aveva specificamente individuato gli elementi fattuali dai quali inferire che l'originario accertamento compiuto dall'Ufficio aveva erroneamente valutato alcuni elementi, considerando la titolaritˆ di una autovettura giˆ da tempo ceduta dal contribuente e omettendo di considerare il maxi canone di leasing corrisposto per l'"acquisto" dell'imbarcazione Azimut mediante compensazione di somma proveniente da alienazione di altro natante. Ci˜ la CTR aveva fatto condividendo le prospettazioni difensive esposte dalla parte contribuente - v. infatti il conteggio riprodotto a pag. 8 del ricorso dal contribuente a suo tempo esposto nel ricorso introduttivo 13.4 Orbene, rispetto a tale ricostruzione degli incrementi patrimoniali e del possesso di beni l'Ufficio non ha formulato alcuna critica all'operato della CTR, invece limitandosi a riproporre le tesi difensive rivolte, in definitiva, a determinare un risultato diverso dagli accertamenti compiuti dalla CTR che, in quanto esenti da illogicitˆ e incongruitˆ, non possono essere rivisti in questa sede. L'appello incidentale va quindi rigettato. 14. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre quello incidentale va rigettato. La sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformerˆ ai principi sopra esposti, provvedendo altres“ sulle spese del giudizio di legittimitˆ. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia che si uniformerˆ ai principi sopra esposti, provvedendo altres“ sulle spese del giudizio di legittimitˆ. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 gennaio 2014. Simulazione e fisco ancora allĠesame della Suprema Corte CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 27 GENNAIO 2014, N. 1568 Federico Maria Giuliani * SOMMARIO: 1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 - 2. Le questioni risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione - 3. (Segue): b) lĠapplicazione delle norme codicistiche sulla simulazione in accertamento e contenzioso tributario - 4. (Segue): c) la dicotomia simulazione/abuso - 5. Le questioni aperte: a) la prova dellĠelemento soggettivo - 6. (Segue): b) la tendenza interpretativa Òneo-amministrativistaÓ sul procedimento tributario. 1. Premessa: Cass., Sez. V Civile, 27 gennaio 2014, n. 1568 (1). 1.1. Se soltanto un lustro fa il tema della simulazione ai danni del fisco rimaneva in ombra nella giurisprudenza, esso  ora sempre pi affrontato dalle commissioni tributarie e dalla Quinta Sezione Civile della Cassazione. Ne sortiscono utili precisazioni che contribuiscono a chiarire lĠargomento, sulla cui rilevanza pratica interpreti e operatori non nutrono dubbi. In questo senso si segnala ancora una recente sentenza del Supremo Collegio. 1.2. La Sezione Tributaria di piazza Cavour si occupa di un accertamento basato sullĠassunto per cui il contribuente - imprenditore collettivo -, ponendo in essere una simulazione contrattuale ai danni del fisco, incorrerebbe nella omissione di fatture e conseguente evasione dallĠimposta sul valore aggiunto. La vicenda sĠappunta sul diverso regime I.V.A. applicabile da una parte al contratto di procacciamento dĠaffari e dallĠaltra parte al mandato a vendere senza rappresentanza - tenendo presente che, per lĠoccasione, lĠoggetto di tali operazioni  costituito da beni mobili registrati (autovetture). Mentre infatti il mandatario a vendere senza rappresentanza acquista dal mandante la proprietˆ del bene e la ritrasferisce al terzo acquirente, il procacciatore dĠaffari - osserva la Cassazione -  figura contrattuale atipica, priva del vincolo di stabilitˆ dellĠagente e priva al contempo dei poteri decisori del mandante. Il procacciatore si limita a trasferire al soggetto, per conto del quale opera, le proposte contrattuali raccolte - di solito a mezzo di moduli fornitigli dalla Òcasa madreÓ. SicchŽ nel caso del mandatario senza rappresentanza si delineano, in capo allĠintermediario, due compravendite soggette a I.V.A. (cosa che non accade neppure in capo allĠagente); mentre nel caso del procacciatore vi  il semplice corrispettivo dĠintermediazione e una sola compravendita di cui il procacciatore stesso non  parte. Assume lĠAgenzia delle entrate che lĠasserito procacciatore ivi dissimuli, (*) Avv. del Libero Foro (Milano) e libero scrittore. (1) In il fisco, n. 8/2014, fascicolo 1, p. 786 ss., con commento di M. DENARO. dĠintesa con il preponente e il terzo acquirente, una doppia compravendita ai danni del fisco, ostentando surrettiziamente il contratto dĠintermediazione complessivamente meno oneroso sul piano dellĠimposta sul valore aggiunto. 2. Le questioni risolte: a) il binomio simulazione/interpretazione. Si tendeva a opinare, fino a epoca recente, che la mutazione del tipo contrattuale, quale esito dellĠaccertamento tributario, non potesse corrispondere di per se stessa allĠassunto simulatorio, riducendosi piuttosto a semplice qualificazione negoziale: operazione giuridica riconducibile soltanto agli artt. 1362 ss. c.c. SicchŽ appariva a molti commentatori - e in allora allo stesso giudice di legittimitˆ - incongrua e ipertrofica, per esempio, lĠaffermazione per cui dividend stripping e dividend washing dissimulassero contratti diversi da quelli asseriti dai contribuenti (2). Si riteneva, inoltre, che una cosa  qualificare, ad esempio, un usufrutto azionario o una doppia compravendita cartolare come un quid alii, mentre altra cosa  affermare che detti contratti sono simulati; anche perchŽ - si aggiungeva - simulati non possono essere perchŽ Òeffettivamente volutiÓ. Se non che la Corte Suprema  andata cospicuamente affinando lo sguardo su questi aspetti, sviluppando a pi riprese un concetto, la cui rilevanza essenziale pu˜ forse sfuggire a unĠanalisi superficiale, ma non pu˜ essere negletta da interpreti e operatori attenti. Il concetto consiste nel superamento del luogo comune, per cui simulazione e interpretazione contrattuale sono due sfere diverse che nulla hanno in comune tra loro. Di contro, accertare/individuare/divisare una simulazione costituisce unĠoperazione anzitutto e per lo pi interpretativa di testo e contesto negoziali. é unĠoperazione, cio, consistente nel fare emergere (quasi in maieutica) le anfibolie testuali e contestuali, che risultano insopprimibili se non a mezzo dellĠistituto simulatorio mutante il tipo (3). Questo concetto sembra ormai compenetrato nellĠargomentare della Sezione Quinta Civile di piazza Cavour; e ci˜ sia in recenti arresti di cui ci siamo giˆ occupati (4), sia da ultimo nella sentenza del 27 gennaio 2014. Nel momento in cui la Sezione ragiona in termini di possibile doppia compravendita dissimulata sotto le mentite spoglie di un procacciamento dĠaffari, essa oltrepassa il vetusto refrain secondo cui: a) non avrebbe senso alcuno parlare di riqualificazione contrattuale da parte dellĠamministrazione finan (2) Contra, isolatamente, G. FALSITTA, Usufrutto di azioni e contratto in maschera, in ID., Per un fisco civile Giuffr, Milano, 1996, p. 183; ID., Elusione fiscale illegittima, contratto travestito e societˆ <>, ivi, p. 191 ss.; F.M. GIULIANI, La simulazione dal diritto civile allĠimposizione sui redditi, in Le monografie di Contratto e impresa, Cedam, Padova, 2009, passim; ID., Simulazione e fisco (sotto la specie dellĠimposizione sui redditi) tra diritto civile e diritto tributario, in www.federicomariagiuliani.com (2007). (3) Ci permettiamo di rinviare ancora a F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. (4) F.M. GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C., in il fisco, n. 33/2013, fascicolo n. 2, p. 5178 ss. ziaria, dacchŽ essa ÒqualificherebbeÓ semmai, e non Òri-qualificherebbeÓ per definizione (5); b) la sola ri-qualificazione a rigore concepibile sarebbe quella della simulazione, emergente da ricostruzioni logico-giuridiche del negozio, che sono ridotte per˜ al fondo a ri-categorizzazioni del tipo. Questi falsi miti appaiono archiviati in nomofilachia, sebbene sembri talvolta che i commentatori tendano ad É archiviare tale archiviazione. ChŽ se poi si volesse, per avventura, obiettare alla sentenza in commento di negligere la teoria del c.d. doppio trasferimento automatico nel mandato a vendere senza rappresentanza (o con rappresentanza indiretta) (6) - sicchŽ non avrebbe senso concepire lĠipotesi di due compravendite separate con doppia I.V.A. in luogo di un doppio trasferimento istantaneo da committente a commissionario e da questi a terzo acquirente -, a tale critica si replicherebbe come segue: a) la teoria del doppio trasferimento automatico non  affatto unanime in dottrina e giurisprudenza civilistiche (7); b) quandĠanche si decida di aderire a tale teoria - il che giˆ di per sŽ non  scontato -,  palese che essa vale al pi per i beni mobili, ma non de plano per immobili e mobili registrati (8); e si dˆ il caso che nella specie fossero in considerazione cessioni di autovetture; c) ultima ma non minima replica, non  affatto scontato che anche un doppio trasferimento automatico, sebbene istantaneo, non importi doppia imposta sul valore aggiunto sulla doppia cessione di proprietˆ. 3. (Segue): b) lĠapplicazione delle norme codicistiche sulla simulazione in accertamento e contenzioso tributario. Altro punto teorico-pratico, su cui Cass. n. 1568/2014 pone un importante accento,  lĠassunto per cui, onde potere il fisco fare valere la simulazione consumata a proprio danno dal contribuente, invoca e applica gli artt. 1414 ss. c.c., e in specie lĠart. 1417 sulla prova della simulazione opposta dai terzi interessati. In uno con ci˜ la sentenza precisa che lĠonere della prova incombe allĠAgenzia delle entrate - in accertamento e contenzioso - e che tale prova pu˜ essere fornita anche a mezzo di presunzioni. Chi scrive si era giˆ espresso in questi termini anni fa, giustapponendo alle norme civilistiche sulla simulazione lĠart. 37, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 (9). Eppure in allora appariva forzata - siccome troppo civilistica - questa trasposizione di una norma quale lĠart. 1417 nel coacervo dei poteri dellĠamministrazione in accertamento tributario, atteso che a questi ultimi sono preposte norme settoriali. (5) Cfr. op.ult.cit. (6) Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Ed. sc. it., XIV ed., Napoli, 2009, p. 1177. (7) Cass., 27 maggio 2003, n. 8393; Cass., 7 dicembre 1994, n. 10522. (8) F. GAZZONI, op.loc.cit. (9) F.M. GIULIANI, La simulazione, cit. Anche sotto questĠangolo in un lustro molta acqua  passata sotto i ponti. Il diritto pretorio ha chiaramente dissipato le resistenze sulla portata generale dellĠart. 1417 del codice civile. 4. (Segue): c) la dicotomia simulazione/abuso. Di notevole momento, ancora,  che Cass. n. 1568/2014 non operi alcuna infelice confusione tra simulazione ai danni del fisco e abuso del diritto tributario. NŽ si dica che ci˜ accade perchŽ, nel caso di specie, la pretesa del fisco  nata giˆ in accertamento come facente riferimento alla simulazione; poichŽ si sa come lĠabuso possa, per giurisprudenza, essere rilevato anche dal giudice dĠufficio -con il solo baluardo del contraddittorio processuale sulla c.d. questione nuova. Piuttosto simulazione e abuso costituiscono due sfere tuttĠaffatto distinte, non fosse altro perchŽ non si vede come la teoria dellĠabuso tributario, che di per sŽ giˆ costituisce un allargamento sistematico/atipico dellĠelusione tipizzata, possa andare a sovrapporsi a un istituto civilistico consolidato e disciplinato quale la simulazione. Anche a questo riguardo la giurisprudenza di legittimitˆ evidenzia un percorso di utile chiarificazione, poichŽ fino a qualche anno fa non ci si sarebbe stupiti pi di tanto, in un caso quale quello esaminato da Cass. n. 1568/2014, di leggere in parte motiva che la questione era quella di acclarare se la societˆ intermediaria avesse abusato dellĠistituto dellĠagenzia o del procacciamento dĠaffari, anzichŽ acquistare e poi rivendere, al solo (o precipuo) fine di conseguire un complessivo risparmio dĠI.V.A. TuttĠal contrario qui la Cassazione conclude confermando lĠimpugnata sentenza di seconde cure, che aveva escluso la simulazione; e lo fa affermando che il giudice di merito ha sufficientemente motivato sul mancato conseguimento delle prove della simulazione stessa da parte dellĠAgenzia delle entrate. Di abuso, perspicuamente, non vi  nemmeno lĠombra. 5. Le questioni aperte: a) la prova dellĠelemento soggettivo. é in linea di principio non revocabile in dubbio lĠassunto di Cass. n. 1568/2014, secondo cui la prova simulatoria, incombente allĠamministrazione in accertamento e contenzioso, attiene sia al profilo oggettivo sia a quello soggettivo. Se non che la ricerca dellĠintento simulatorio, essendo per sua natura v˜lta allĠindividuazione di un volere, consiste inevitabilmente nella ricerca dĠindici o indizi oggettivi, dai quali inferire il c.d. animus simulandi. TalchŽ in buona sostanza tale prova si espleta sulla base di quelle stesse contraddizioni, testuali e contestuali del contratto, che presiedono allĠaffermazione dellĠesistenza oggettiva della simulazione. Nel caso, peraltro, della simulazione ai danni del terzo-fisco, lĠevasione dĠimposta rappresenta il clou del componente finalistico. SicchŽ alla luce di queste considerazioni appare forse pletorica, ancorchŽ tradizionalmente - e istituzionalmente - corretta, la tesi della necessitˆ di una prova anche di tipo soggettivo. O quanto meno lĠassunto della necessitˆ di una tale prova meriterebbe maggiori precisazioni, in punto di simulazione specifica ai danni del fisco. 6. (Segue): b) la tendenza interpretativa Òneo-amministrativistaÓ sul procedimento tributario. Mette poi conto di menzionare il recente sviluppo interpretativo, che attiene al contraddittorio endo-procedimentale tributario. Dopo una fase storica in cui la legge sul procedimento amministrativo (n. 241/1990) era per lo pi vista, dal punto di vista tributario, come un testo normativo da cui prendere le distanze - stante il carattere speciale dellĠaccertamento dellĠAgenzia delle entrate -, si assiste nellĠultimo torno di tempo a una rivalutazione sistematica della necessaria dialettica fisco/contribuente nella fase anteriore alla notificazione dellĠatto impositivo. Si ritiene militino, a sostegno di una tale generalizzazione del contraddittorio endo-procedimentale, norme quali quelle sulle garanzie del contribuente nellĠanti-elusione. Si aggiungono prescrizioni dello Statuto del contribuente (l. 212/2000), quali quella sulla buona fede e sulle osservazioni e richieste relative al processo verbale di constatazione. E naturalmente dietro tutto questo si enfatizza il sostrato della legge n. 241/1990. In questo contesto evolutivo - allĠinterno del quale, se pure peculiarmente, giˆ si attende una pronuncia del Giudice delle leggi (10) -, ricade di necessitˆ anche lĠipotesi dellĠaccertamento basato sulla simulazione. Se, cio, un contraddittorio endo-procedimentale sĠimponesse - come taluno ritiene - sempre e in ogni caso prima della notificazione di qualsiasi atto accertativo, anche la contestazione della simulazione dovrebbe essere elevata dagli uffici in un momento anteriore al provvedimento impugnabile, per consentire al contribuente (asserito simulatore) una previa confutazione extra/ante-processuale. Non  questa la sede per addentrarsi in questo complesso tema, ma esso va tenuto presente nella sua portata anche operazionale, e nei suoi prossimi sviluppi giurisprudenziali. Cassazione civile, Sez. V, sentenza 27 gennaio 2014 n. 1568 -Pres. Cirillo, Rel. Valitutti, P.M. Del Core (difforme) - Agenzia delle entrate (avv. gen. Stato) c. G. SNC (avv. DĠArrigo). Svolgimento del processo 1. Nel corso di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Bolzano nei confronti (10) Vedi Cass., Sez. Trib., ord. 5 novembre 2013, n. 247, in banca dati fisconline. Ivi la peculiaritˆ sta nel fatto che si pone un problema di discrasia tra elusione e abuso quanto alle garanzie endo-procedimentali; e chiaramente, nel caso di elusione e abuso, si  in presenza di una sorta di sotto-insieme rispetto a un insieme. della societˆ A.L. s.n.c., i verbalizzanti acquisivano elementi dai quali traevano il convincimento che tra quest'ultima e la societˆ G. s.n.c. sussistesse un rapporto di commissione, in forza del quale la commissionaria G. s.n.c. avrebbe ceduto alla committente A.L. s.n.c. diverse autovetture senza emissione di regolare fattura. L'Ufficio, mediante emissione di due avvisi di rettifica per gli anni 1995 e 1996, recuperava, pertanto, a tassazione l'IVA non versata dalla G. s.n.c., oltre interessi e sanzioni. 2. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente dinanzi alla CTP di Brescia, che rigettava il ricorso. 2.1. La CTR della Lombardia, con sentenza n. 252/65/05, depositata il 18.1.06, accoglieva, peraltro, l'appello proposto dalla contribuente, ritenendo sussistente nella specie, tra le due societˆ, non un rapporto di commissione, bens“ un rapporto di procacciamento di affari, in forza del quale la A.L. s.n.c. procurava alla G. s.n.c. la vendita di auto a clienti stranieri, emettendo fattura per le proprie prestazioni di intermediazione. 3. Per la cassazione della sentenza n. 252/65/05 ha, quindi, proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. La G. s.n.c. ha replicato con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 111 Cost., comma 6. 1.1. L'impugnata sentenza non esporrebbe, infatti, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione adottata, non consentendo, pertanto, di ricostruire l'iter logico-giuridico seguito dal Collegio, in relazione alle questioni sollevate dalle parti ed agli elementi di prova offerti a sostegno delle stesse. 1.2. Il motivo  infondato. 1.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, la motivazione omessa o insufficiente  configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudicante, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Per converso, il vizio in parola non pu˜ ritenersi sussistente quando vi sia difformitˆ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimitˆ (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 24148/13; Cass. 3370/12; 6288/11). 1.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la CTR ha compiutamente ed esaustivamente esaminato, dandone atto nella motivazione della decisione adottata, gli elementi di prova documentale versati in atti, e segnatamente le fatture emesse dalla A.L. s.n.c. nei confronti della G. s.n.c, traendone il convincimento, adeguatamente motivato, che il rapporto tra le due societˆ fosse da qualificare come un rapporto di procacciamento di affari. In forza di tale rapporto, a parere del giudice di appello, la A.L. s.n.c. procurava dei clienti privati tedeschi alla G. s.n.c., che provvedeva a rimetterle il compenso per l'intermediazione e l'assistenza alla vendita. Ed i passaggi essenziali di tale ricostruzione, operata dalla CTR, sono stati riportati dalla stessa Agenzia delle Entrate nel motivo di ricorso. 1.2.3. Se ne deve necessariamente inferire, a giudizio della Corte, che il dedotto vizio motivazionale finisce per tradursi in una richiesta di riesame del procedimento logico-giuridico effettuato dalla CTR, poich non conforme alle aspettative di parte ricorrente; istanza questa, peraltro, non accoglibile in questa sede di legittimitˆ, per i motivi suesposti. 2. Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1731, 1742 e 2729 c.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 2.1. Sostiene, invero, l'Amministrazione finanziaria che l'A.L. s.n.c, in qualitˆ di mandante, desse incarico alla G. s.n.c., in qualitˆ di mandatario, di provvedere all'acquisto di autovetture da destinare alla vendita a clienti tedeschi, in forza di un contratto di commissione, ai sensi degli artt. 1731 c.c. e segg. Configurando la fattispecie negoziale in questione una forma particolare di mandato senza rappresentanza - stante il tenore letterale dell'art. 1731 c.c., che fa riferimento a vendite o acquisti da effettuarsi per conto del committente ed in nome del commissionario - la G. sarebbe stata, pertanto, obbligata - secondo la ricorrente - a trasferire le auto acquistate per conto della A.L. s.n.c. a quest'ultima, in adempimento del contratto suindicato (art. 1706 c.c., comma 2). Con la conseguenza che, trattandosi di passaggi dal commissionario al committente di beni acquistati in esecuzione di un contratto di commissione, la commissionaria G. s.n.c. avrebbe dovuto fatturare le diverse cessioni delle autovetture alla committente A.L. s.n.c, attesa la previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 3), che assoggetta tali operazioni ad IVA, assimilandole alle cessioni ordinarie di beni. 2.2. Per contro, la G. s.n.c. - secondo la ricostruzione operata dall'Ufficio - aveva provveduto ad alienare direttamente ai clienti tedeschi le autovetture acquistate per conto della A.L. s.n.c, omettendo di fatturare la cessione delle auto a quest'ultima, in adempimento del contratto di commissione. La A.L. s.n.c. aveva provveduto, peraltro, ad emettere fatture per le proprie provvigioni di intermediazione e di assistenza alla vendita nei confronti della G. s.n.c. 2.3. In tal modo le due societˆ, ad avviso dell'Ufficio, avrebbero simulato l'esistenza di un contratto di procacciamento di affari, dissimulando il reale contratto di commissione tra le stesse intercorso, al fine di evitare alla commissionaria G. s.n.c. la fatturazione ed il conseguente versamento dell'IVA sulle cessioni operate, in qualitˆ di commissionaria, nei confronti della committente A.L. s.n.c. 3. La censura  infondata. 3.1. é noto che la figura contrattuale atipica del procacciatore di affari, la cui attivitˆ consiste nel raccogliere le ordinazioni dei clienti, trasmettendole, poi, alla casa, che resta libera di accettarle o meno,  chiaramente distinguibile da quella dell'agente, per un verso, e da quella del mandatario, per altro verso. 3.1.1. A differenza dell'agente - il quale non si limita a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti, ma promuove stabilmente la conclusione di contratti (senza tuttavia concluderli direttamente, neppure se fornito di poteri di rappresentanza) per conto del preponente, nell'ambito di una determinata sfera territoriale - il procacciatore di affari opera senza alcun vincolo di stabilitˆ ed in via del tutto episodica, raccogliendo le ordinazioni dei clienti e trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni (Cass. 13629/05; 12776/12). 3.1.2. Inoltre - ed  il profilo che qui pi interessa - il procacciatore di affari si differenzia dal mandatario senza rappresentanza - tenuto a compiere uno o pi atti giuridici per conto del mandante (art. 1703 c.c.), acquistando i diritti ed assumendo gli obblighi derivanti dagli atti compiuti per i terzi, per ritrasferirli, poi, al mandante - poich non dispone dei poteri decisori del mandatario, operando il procacciatore come semplice veicolo di trasmissione delle proposte, che di regola raccoglie per iscritto in appositi moduli fornitigli dalla casa, nel cui interesse egli procura gli affari (Cass. 3932/68). 3.2. Orbene,  evidente che, stante la chiara e netta distinzione operabile tra le figure contrattuali sopra descritte, costituisce - sul piano generale - onere di colui che affermi la sussistenza dell'una, dissimulata attraverso la simulazione dell'altra, di fornire la prova della vicenda simulatoria dedotta (Cass. 9012/09). Con specifico riferimento alla prova dei contratti che possano integrare una frode al fisco, questa Corte ha - di poi - avuto modo di affermare che, in base al criterio stabilito in via ordinaria dall'art. 2697 c.c., l'Amministrazione finanziaria, qualora faccia valere la simulazione assoluta o relativa di un contratto stipulato dal contribuente, ai fini della regolare applicazione delle imposte, non  dispensata dall'onere della relativa prova, la quale, tenuto conto della qualitˆ di terzo dell'Amministrazione, pu˜ essere offerta con qualsiasi mezzo, e quindi anche mediante presunzioni. Ed  evidente che, incidendo l'accordo simulatorio sulla volontˆ stessa dei contraenti, detta prova non pu˜ rimanere circoscritta ad elementi di rilevanza meramente oggettiva, ma deve necessariamente proiettarsi anche su dati idonei a disvelare convincentemente i profili negoziali di carattere soggettivo, riflettentisi sugli scopi perseguiti, in concreto, dalle parti (cfr. Cass. 17221/06; 1549/07; 12249/10). 3.3. Senonch, nel caso di specie, a fronte dell'unico dato documentale certo, costituito dalle fatture emesse dalla A.L. nei confronti della G. s.n.c., per le provvigioni relative all'attivitˆ di intermediazione e di assistenza nelle vendite operate dalla G. s.n.c. ai clienti esteri procurati dalla stessa A.L. s.n.c, che dimostravano - con evidenza - l'esistenza di un rapporto di procacciamento di affari, nessuna prova di segno contrario ha offerto l'Amministrazione finanziaria, a sostegno della pretesa simulazione di tale contratto. La sussistenza di un dissimulato contratto di commissione  rimasta, invero, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, al livello di una mera asserzione sfornita del bench minimo elemento di riscontro sul piano probatorio, in violazione dei principi suesposti, in materia di onere della prova della simulazione. 4. Per tutti i motivi che precedono, pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 5. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della ricorrente, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Tributaria, il 2 dicembre 2013. Abuso e elusione nel procedimento e nel processo CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE, SENTENZA 4 APRILE 2014, N. 7961 Federico Maria Giuliani e Sabrina Scalini * SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Una doverosa ÒdistinctionÓ - 3. Le norme di riferimento 4. LĠabuso del diritto tributario, allo stato, ÒbeneficiaÓ della rilevabilitˆ dĠufficio (a differenza dellĠelusione) nel processo, ma per contrappasso subisce un procedimento meno garantista -5. Conclusione. 1. Premessa. Con perspicua pronuncia (1) la Sezione Tributaria della Corte Suprema enuncia una regola di diritto che, sebbene giˆ alle volte male massimata (confondendo elusione e abuso tributario), lumeggia un problema di coordinamento sistematico-distintivo. LĠabuso del diritto tributario continua a essere rilevabile dĠufficio dal giudice in ogni grado del processo tributario. Di contro lĠelusione, di cui allĠart. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, deve essere puntualmente contestata nellĠavviso di accertamento, con citazione della norma della legge medesima; s“ che lĠaccertamento non pu˜ in alcun modo essere meglio qualificato giuridicamente nel processo, invocando in atti difensivi per la prima volta (lĠamministrazione) lĠart. 37-bis. 2. Una doverosa ÒdistinctionÓ. Abbiamo pi volte rimarcato nei nostri scritti una corriva tendenza, nel linguaggio parlato e scritto, a fare un tuttĠuno delle nozioni di elusione e abuso. Si dice infatti che in buona sostanza si tratta della stessa cosa. La Corte di Cassazione, nella sentenza da cui si prende spunto (2), pone invece una linea di demarcazione assai netta fra le due categorie, operando una distinzione che non  soltanto terminologica, ma greve di conseguenze sul piano della disciplina sostanziale e processuale. SicchŽ sĠimpone di tenere ben chiare le idee, evitando quanto pi possibile commistioni - anche se puramente esplicative -, foriere di perigliose confusioni, in senso bens“ teorico ma soprattutto pratico. 3. Le norme di riferimento. Il quadro di riferimento normativo  piuttosto semplice. Nel caso di specie, non a caso, lĠamministrazione aveva emanato, nei con (*) Avv.ti del libero Foro. (1) Cass., Sez. V Civ., 4 aprile 2014, n. 7961, in il fisco, 2014, n. 19, p. 1866 s. (2) Supra, alla nota precedente. fronti di una s.r.l., un avviso di accertamento rettificativo dĠIrpef e Ilor, vigenti al tempo delle dichiarazioni, motivato con la sola menzione dellĠart. 39, d.p.r. n. 600/1973. La notifica dellĠavviso stesso non era stata preceduta da alcuna richiesta di chiarimenti, destinata alla societˆ contribuente. Nessun cenno vi era allĠart. 37-bis. 3.1. Ora come noto, il suddetto art. 39 disciplina i casi di rettifica dei redditi dĠimpresa delle persone fisiche, distinguendo al suo secondo comma - rispetto al primo - lĠaccertamento extra-contabile, emanabile in presenza di taluni presupposti fattuali (omessa indicazione tout court del reddito dĠimpresa in dichiarazione, sottrazione e/od omessa tenuta di scritture contabili, inattendibilitˆ complessiva di queste ultime, ecc.). LĠaccertamento extra-contabile, oltre a prescindere dalle scritture nella rideterminazione del reddito dĠimpresa, pu˜ essere costruito e argomentato anche a mezzo di presunzioni semplici (non dotate dei requisiti di gravitˆ, precisione e concordanza). Sta di fatto che un richiamo motivazionale accertativo, che si esaurisce nellĠart. 39 (richiamato per i soggetti Ires, giˆ Irpeg, dallĠart. 40), non  stato ritenuto adeguato dai supremi Giudici acciocch lĠamministrazione potesse sostenere, nel processo tributario, che si fosse in presenza di atti e/o negozi e/od operazioni elusive, riconducibili allĠart. 37-bis, d.p.r. n. 600/1973. 3.2. Puntualmente, non avendo lĠufficio accertatore contestato lĠelusione ex art. 37-bis, la stessa amministrazione non procedette affatto a previa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale col contribuente, cos“ come dettato - a pena di nullitˆ dellĠavviso - dal comma 4Ħ dello stesso art. 37-bis (Òrichiesta di chiarimentiÓ). Del resto, che questĠultima precisazione sia puntuale e non revocabile in dubbio,  dimostrato palesemente dal comma 5Ħ dellĠart. 37-bis medesimo, laddove la legge impone - di nuovo a pena di nullitˆ - che, a seguito della ricezione delle ÒgiustificazioniÓ scritte dal contribuente (dopo lĠapposita richiesta), lĠavviso debba essere specificamente motivato tenendo conto delle osservazioni fornite dal contribuente. 3.3. Ora lĠarresto nomofilattico in questione non si limita a stabilire quanto appena detto: che cio un avviso di accertamento, se non motivato espressamente con la menzione dellĠart. 37-bis, non pu˜ a posteriori essere (ri-)qualificato come antielusivo dallĠAgenzia delle Entrate. Aggiunge infatti la Corte che lĠinterpretazione e applicazione dellĠart. 37bis, ove non contestata apertis verbis in rettifica, non pu˜ essere rilevata dĠufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. Dipoi la sorte dellĠavviso, emanato in presenza di fatti pur riconducibili allĠart. 37-bis, e per˜ non motivato (nŽ proceduralmente spiccato) sulla base dello stesso articolo, non pu˜ che essere lĠannullamento da parte del giudice tributario. 4. LĠabuso del diritto tributario ÒbeneficiaÓ, allo stato, della rilevabilitˆ dĠufficio (a differenza dellĠelusione) nel processo, ma per contrappasso subisce un procedimento meno garantista. 4.1. NellĠaffermare quanto dianzi esposto allĠAlta Corte non sfugge la contraddizione potenzialmente ravvisabile con la stessa giurisprudenza tributaria, affermativa del principio per cui lĠabuso del diritto tributario, quale regola generale evincibile da precetti costituzionali, ben pu˜ essere rilevato dĠufficio dal giudice in ogni grado del processo. E in effetti le domande, che il lettore pratico-teorico della sentenza sbito si pone, sono le seguenti: ma se  vero - come  vero - che lĠart. 42 cpv. d.p.r. n. 600/1973 dispone che lĠavviso di accertamento deve essere motivato con lĠindicazione delle Òragioni giuridicheÓ che lo hanno determinato (ergo le norme di legge), perchŽ per i casi di elusione sĠimpongono menzione (e procedure) di cui allĠart. 37-bis, e invece nel caso di un asserito (dallĠufficio) abuso, la specifica menzione dello ÒabusoÓ stesso non  necessaria, cos“ come non  necessaria la menzione delle norme costituzionali posta a presidio del- lĠomonima teorica giurisprudenziale? E perchŽ lĠabuso pu˜ essere rilevato ex officio dal giudice tributario in ogni stato e grado del processo, cosa che non pu˜ invece intervenire nei casi di elusione, sussumibili sotto lĠart. 37-bis del decreto sullĠaccertamento? 4.2. A questi interrogativi rispondono i giudici di piazza Cavour sottolineando non tanto il fatto che lĠabuso - siccome categoria dedotta dal Supremo Collegio dal sistema (in specie costituzionale) - non trova riscontro esplicito in una norma di legge ad hoc. Piuttosto ci˜ che si sottolinea  il concetto dĠinvaliditˆ/inoppugnabilitˆ di negozi e operazioni allĠamministrazione finanziaria. Siccome, per norma tipica, tale inopponibilitˆ  dettata dallĠart. 37-bis, se manca il riferimento esplicito a quella nella motivazione accertativa il giudice tributario - in qualunque stato e grado del processo - non pu˜ supplire alla irrimediabile carenza (violativa di legge), consumata dallĠente accertatore sul piano del contraddittorio endo-procedimentale. Questa sembra essere la logica del costrutto. Detto altrimenti, lĠinopponibilitˆ negoziale al fisco passa attraverso il necessario contraddittorio endo-procedimentale prescritto ex lege a pena di nullitˆ. Se in pi manca la menzione dellĠart. 37-bis in motivazione, lĠaccertamento non pu˜ pi essere qualificato come antielusivo da nessuno in alcuna sede. 5. Conclusione. Non  pi proponibile alcuna confusione tra abuso ed elusione, come in vece  sovente accaduto e accade, su riviste e primari quotidiani, anche economici, nazionali. QuandĠanche si voglia dire che lĠelusione  un sottoinsieme dellĠinsieme ÒabusoÓ - e che lĠelusione  tipizzata ex lege mentre lĠabuso non lo  -, ogni assimilazione tra i due concetti rappresenta un fatto latore di malintesi grevi di ponderosi corollari operazionali. Si pu˜ invero prendere nota del fatto che lĠapparente distonia di disciplina tra elusione e abuso, sul piano della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale tra ufficio e contribuente,  giˆ allĠesame della Corte Costituzionale su rimessione della Cassazione. Ma ci˜ semmai rappresenta la conferma - e non giˆ la negazione - di una dicotomia ineluttabile tra le due nozioni, sotto pi profili, nel diritto vivente. Cassazione civile, Sezione V, sentenza 4 aprile 2014 n. 7961 -Pres. Cappabianca, Rel. Crucitti, P.M. Sepe (conforme) - U.C. s.r.l. (avv. Negroni) c. Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato). Svolgimento del processo La Commissione Tributaria del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava, su appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi proposti dalla U.C. s.r.l. avverso avvisi di accertamento, ai fini iperg-ilor per gli anni 1996 e 1997 e di rettifica iva per l'anno 1997, fondati sulle risultanze del bilancio della Societˆ, ritenute non confortate da alcuna logica di mercato, e sulla circostanza che la contribuente avesse operato un ricarico macroscopicamente contrastante con quello medio di settore; laddove, di contro, la documentazione prodotta in risposta al questionario inviato dall'Ufficio era generica ed insufficiente. Il Giudice di appello, in particolare - osservato "in conformitˆ al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis introdotto dal D.Lgs. n. 358 del 1997, che il caso di specie fosse riconducibile all'ipotesi di elusione di imposta ove, quand'anche le scritture contabili risultino complete e regolari ..., l'attivitˆ posta in essere dal contribuente si manifesti antieconomica in relazione al settore merceologico nel quale lo stesso opera - riteneva che in siffatta ipotesi la legittima presunzione di elusione fiscale pu˜ essere vinta soltanto con giustificazioni oggettive, razionali ed attendibili le quali, nel caso di specie, invero non sono state fornite se non con un generico richiamo a subappalti che, peraltro, nella catena creata vieppi sembrano confermare l'intento elusivo della contribuente". Infine, il Giudice di appello, rilevato, in ordine agli errori di calcolo lamentati dalla contribuente, che istituzionalmente la Commissione non poteva n verificarli n riformularli, invitava l'Ufficio a controllare e "se, del caso, a riformulare i conteggi effettuati, per la definitiva quantificazione dell'imposta dovuta, considerando quale percentuale di ricarico quella dell'8%". Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, U.C. s.r.l. Ha resistito con controricorso l'Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione 1. L'eccezione, sollevata dall'Agenzia delle Entrate, di inammissibilitˆ del ricorso perch notificato a "Agenzia delle Entrate, Ufficio Roma ... - Area Controllo -Team legale" non merita accoglimento. L'orientamento di questa Corte , in effetti, consolidato (cfr. sentenze citate dalla controricorrente) nel ritenere - sia pure ai diversi fini della idoneitˆ a far decorrere il termine breve per proporre il ricorso per cassazione - la nullitˆ della notificazione delle sentenze delle commissioni tributarie regionali eseguita nei confronti del "Team Assistenza Legale" dell'Agenzia delle Entrate, dovendosi escludere che detto "Team" abbia funzioni di rappresentanza dell'ente ed essendo impossibile stabilire se tale struttura e le persone che ne fanno parte siano incaricate di ricevere le notifiche o addette alla sede. Ma, nel caso in esame, la tempestiva costituzione dell'Agenzia delle Entrate la quale ha resistito, con controricorso, dibattendo anche sul merito della controversia, ha sanato detta nullitˆ (cfr.tra le tante, di recente Cass. Ordinanza n. 18238/2012). 2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la sentenza impugnata di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso ogni valutazione sulla doglianza relativa all'inammissibilitˆ dell'appello per mancanza di specifiche censure e, inoltre, insufficientemente motivato in ordine alla dedotta rinuncia al contendere per l'annualitˆ del 1997. Si deduce ancora la contraddittorietˆ ed illogicitˆ della motivazione laddove si demanda all'Ufficio la verifica sulla correttezza dei calcoli. 2.1. La prima doglianza  inammissibile. Il mezzo difetta di specificitˆ laddove, impedendo a questa Corte ogni valutazione al proposito, non riporta n il contenuto dell'appello della controparte n dello scritto difensivo nel quale sarebbero stati dedotti la mancanza di specificitˆ dei motivi di impugnazione e l'asserita rinuncia al contendere da parte dell'Agenzia delle Entrate relativamente all'annualitˆ 1997. Ma, ancor prima, il mezzo  inammissibile per l'assenza del c.d. "momento di sintesi", necessario ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile all'odierno ricorso per essere stata la sentenza impugnata depositata il 5.4.2006. Anche l'ultima doglianza (illogicitˆ e contraddittorietˆ della motivazione in ordine ai paventati errori di calcolo dei quali sarebbero stati inficiati gli avvisi di accertamento) va incontro alla sanzione di inammissibilitˆ. Il mezzo, infatti, non  autosufficiente non avendo la ricorrente riportato con completezza la contestazione, mossa nel giudizio di merito, in ordine all'inesattezza dei calcoli come effettuati dall'Ufficio; ma, ancor prima, la doglianza  inconducente, laddove la motivazione resa, al proposito, dalla C.T.R. (dichiaratasi istituzionalmente priva del potere di verificare e riformulare i detti calcoli) equivale ad una pronuncia di rigetto della relativa domanda e l'invito, rivolto all'Ufficio, al controllo e se, del caso, alla riformulazione dei conteggi costituisce mera sollecitazione priva di contenuto decisorio ed ordinatorio. 3. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 bis e 42. In particolare, la ricorrente si duole della circostanza che il riferimento al citato art. 37 bis fosse stato introdotto per la prima volta in atto di appello laddove l'avviso di accertamento faceva riferimento solo all'art. 39 stesso D.P.R. con ulteriore violazione, quindi, dell'art. 42 il quale prescrive che l'avviso di accertamento deve contenere l'indicazione delle norme giustificative dell'operato dell'Ufficio mentre, secondo la giurisprudenza, detta motivazione non pu˜ essere integrata in corso di giudizio. Inoltre, secondo la prospettazione difensiva, nella specie non era applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis in quanto non erano stati richiesti, come prescritto a pena di nullitˆ dalla norma al suo quarto comma, i chiarimenti al contribuente. 3.1. Il motivo  fondato. Agli atti  pacifico e non contestato tra le parti che gli avvisi di accertamento, oggetto di contenzioso, vennero emessi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ai fini IPERG ed ILOR, ed ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 ai fini IVA. L'Agenzia delle Entrate, in contro- ricorso, nel non disconoscere che la questione in ordine alla sussistenza, nella specie, di una finalitˆ elusiva di imposta fosse stata introdotta per la prima volta nel giudizio di secondo grado, ha ribadito che, nella specie, non era stata data una diversa qualificazione giuridica al rapporto dedotto in giudizio n era stata indicata una diversa base normativa, ma si erano svolte delle semplici osservazioni giuridiche che il giudice di appello si era limitato a condividere. L'assunto non pu˜ essere condiviso. L'esistenza di un generale principio antielusivo, traente fonte non solo dalla giurisprudenza comunitaria, ma, per le imposte dirette, anche e soprattutto dagli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano  pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha avuto modo di rilevare, anche, che l'esistenza di detto principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in abuso del diritto consente al giudice tributario di utilizzare, anche d'ufficio, lo strumento dell'inopponibilitˆ all'amministrazione anche per ogni altro profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda far discendere dall'operazione elusiva (cfr. Sez. V, Sentenza n.30057 del 23/12/2008). Quanto esposto, per˜, non si attaglia al caso in specie, laddove il Giudice tributario - lungi dal rilevare una causa di invaliditˆ o di opponibilitˆ all'amministrazione dei negozi opposta dal contribuente - ha illegittimamente mutato la stessa motivazione degli avvisi di accertamento fondandoli su una diversa norma di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis) la cui applicabilitˆ, peraltro, per la sua natura, anche, procedimentale, non  rilevabile ex officio. 4. In conclusione, quindi, in accoglimento del secondo motivo e rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e la controversia rinviata al Giudice di merito affinch proceda al riesame alla luce dei principi sopra illustrati e provveda al regolamento delle spese processuali di questo grado. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2013. Autonoma impugnabilitˆ di atti endoprocedimentali tributari: il Consiglio di Stato si pronuncia sul verbale di contestazione CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, SENTENZA 14 APRILE 2014, N. 1821 Federico Maria Giuliani * SOMMARIO: 1. Il caso - 2. La soluzione - 3. Considerazioni critiche - 4. Conclusioni. 1. Premessa: il caso. 1.1. In un perspicuo e recente arresto (1), dotato di notevole rilevanza operazionale, il Supremo Consesso della giustizia amministrativa si occupa dei presupposti (giurisdizione, interesse) per lĠammissibilitˆ dellĠazione contro i vizi del processo verbale di constatazione. LĠarresto merita attenzione anche perchŽ la sua motivazione evoca e investe il pi ampio tema della tutela del contribuente avverso le patologie di atti tributari endoprocedimentali ufficiosi (in specie, oltre ai processi verbali di constatazione, comunicazioni dĠirregolaritˆ e avvisi bonari). 1.2. Il caso concreto  facilmente riassumibile. La Direzione regionale abruzzese dellĠAgenzia delle entrate redige processo verbale di constatazione a carico di societˆ di capitali sita in Lanciano, a seguito e per effetto di verifica fiscale nei locali commerciali di questa. La societˆ verificata impugna il p.v.c. avanti il T.A.R. Abruzzo, deducendo violazione di principi e norme tributarie, violazione della legge sul procedimento amministrativo, violazione dellĠart. 52, d.p.r. istitutivo dellĠI.V.A., nonchŽ violazione degli artt. 7 e 12 dello Statuto del contribuente. E ci˜ poichŽ - asserisce lĠistante - vi  carenza di potere accertativo in capo allĠufficio finanziario, carenza di firma congiunta dei due verificatori, nonchŽ omessa indicazione del responsabile del procedimento. Si tratta di asserite Òcarenze strutturaliÓ del processo verbale, che non intaccano il merito delle contestazioni fiscali dei verbalizzanti. Nondimeno il T.A.R. dellĠAbruzzo dichiara inammissibile il gravame, per carenza di giurisdizione amministrativa, in favore del giudice tributario. A nulla rileva - secondo il Tribunale - che nel frattempo fosse stato esperito, davanti al giudice tributario, ricorso avverso lĠavviso di accertamento basato sul p.v.c.; e ci˜ proponendo le medesime lagnanze giˆ declinate, sbito dopo il p.v.c., nel processo amministrativo. A nulla rileva altres“ - per il T.AR. Abruzzo -che il giudizio tributario, al momento della definizione del processo amministrativo di primo grado, pendesse ormai davanti alla Corte di Cassazione. (*) Avvocato del libero Foro di Milano, libero scrittore. (1) Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1821, Pres. Numerico, Est. Spagnoletti. Piuttosto importa, per il Tribunale stesso, la giurisprudenza costante su ÒpienezzaÓ ed ÒesclusivitˆÓ (cos“ alla lettera) della giurisdizione tributaria a scapito del G.A., sugli atti aventi natura e contenuto fiscali. E invero, in specie dopo la novella di cui allĠart. 12, legge n. 448/2001 - sostitutiva dellĠart. 2, d.lgs. n. 546/1992 -, osserva il T.A.R. che la giurisdizione delle commissioni tributarie assorbe oramai tutte le controversie su imposte e tasse, fatta eccezione per la fase dellĠesecuzione forzata e per lĠimpugnazione dei regolamenti (dove per˜ non  il G.A., bens“ lĠA.G.O. a intervenire). Tale arresto di primo grado viene impugnato dalla societˆ contribuente davanti al Consiglio di Stato, dove in punto di giurisdizione la tesi del contribuente appellante  quella per cui il p.v.c. - siccome atto meramente preparatorio/istruttorio, e quindi privo di pretesa pecuniaria e di effetti tributari diretti nella sfera patrimoniale del contribuente - non  autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario. Tanto  vero - aggiunge il ricorrente in appello - che il processo verbale di constatazione non compare nellĠelenco degli atti autonomamente impugnabili, di cui allĠart. 19 del decreto sul contenzioso tributario. 2. La soluzione. La Sezione Quarta di Palazzo Spada, investita della questione, respinge lĠappello del contribuente, ribadendo il difetto di giurisdizione amministrativa. Secondo il Supremo consesso il p.v.c.  bens“ atto privo di effetti procedimentali tributari, e non produttivi di efficacia lesiva immediata e diretta. Infatti dal p.v.c pu˜, ma non deve, promanare poi un avviso di accertamento, il quale sarˆ bens“ questa volta impugnabile. Tutto ci˜ per˜ non toglie che il giudice competente sia la Commissione tributaria. E comunque, specie quando il gravame si fonda su asseriti vizi procedi- mentali/formali del p.v.c. - come  accaduto nel caso concreto - il C.d.S. afferma che essi possono bens“ essere fatti oggetto dĠimpugnazione giurisdizionale, ma soltanto non immediatamente nŽ autonomamente, cio in un secondo momento eventuale, che  lĠimpugnazione nel giudizio tributario dellĠavviso di accertamento conseguente (2). Peraltro - conclude il Consiglio di Stato - quegli atti, che sono per legge presupposto necessario di talune attivitˆ ispettive particolarmente invasive (prodromiche allĠaccertamento), ricadono anchĠesse sotto il controllo della giurisdizione tributaria (3). é il caso, per esempio, dellĠautorizzazione del Procuratore della Repubblica, necessaria acciocchŽ gli uffici finanziari - o per essi la polizia tributaria - possano procedere a perquisizione personale e/o domi (2) Ex multis nello stesso senso Cass., Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, n. 787; id., 30 ottobre 2002, n. 15305, tutte leggibili in banca dati fisconline. (3) Cos“ infatti giˆ Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045. ciliare (scil. fuori dai locali dellĠimpresa). E ci˜ per il combinato disposto degli artt. 33, comma 1, d.p.r. n. 600/73 e 52, commi 2 e 3, d.p.r. n. 600/73. 3. Considerazioni critiche. Prescindendo qui dalle questioni teoriche (processuali), cui la sentenza in rassegna in sottofondo rinvia, sĠimpongono per˜ alcune riflessioni complessive. 3.1. Un primo corollario della sentenza  il seguente. Durante gli accessi dellĠufficio impositore o della guardia di finanza (quale suo collaboratore), il contribuente che ritiene ricorrano violazioni delle garanzie poste dalla legge a tutela della sua riservatezza [tanto pi aumenta lĠinvasivitˆ dei controlli, tanto pi occorrono autorizzazioni e/o presupposti di fatto], non pu˜ certo adire urgentemente il giudice tributario, onde ottenere un immediato provvedimento giurisdizionale che ordini alla P.A. di cessare lĠattivitˆ ispettiva non consentita. ChŽ non sono in gioco ivi atti autonomamente impugnabili, bens“ condotte attizie endoprocedimentali, non foriere di per sŽ stesse di pretese pecuniarie da parte del fisco. E invero neppure, a quello stesso fine, pu˜ il contribuente adire il T.A.R, chiedendo una tutela cautelare ancorchŽ questa, come noto, nel processo amministrativo sia atipica e dunque adattabile alle esigenze del caso concreto. Per il G.A., infatti, non soltanto difetta la giurisdizione in materia tributaria (salvo situazioni sempre pi sparute e isolate), ma difetta altres“ un presupposto per addivenire a una pronuncia sul merito qual  lĠinteresse a ricorrere. Infatti lĠart. 35, comma 1, d.lgs. n. 104/2010 (ÒC.P.A.Ó), statuendo lĠinammissibilitˆ (rilevabile anche dĠufficio) del ricorso privo dĠinteresse ad agire, si porta dietro il radicato concetto dellĠinteresse magari anche non economico, e per˜ necessariamente attuale, a fronte di una lesione concreta e immediata (4). Alla luce di ci˜, evidentemente, lĠatto prodromico ad altro atto (accessi, ispezioni, verifiche rispetto allĠavviso di accertamento) non  autonomamente impugnabile, perchŽ anzitutto non  certo che allĠaccesso faccia seguito lĠemanazione di un atto impositivo ufficioso; inoltre lĠatto prodromico endoprocedimentale, di per sŽ solo, non intacca la sfera economico-patrimoniale del contribuente. 3.2. Ora per˜, siccome si  soliti affermare in giurisprudenza e dottrina che - come pocĠanzi accennato - lĠinteresse a ricorrere non deve essere necessariamente economico, ma pu˜ essere altres“ morale - purchŽ attuale e non probabilistico -, viene da chiedersi se una immediata lesivitˆ non patrimoniale, per esempio, di una perquisizione domiciliare non debitamente autorizzata, (4) Per tutti si consulti sul punto R. GAROFOLI, Compendio di diritto amministrativo, Nel Diritto ed., Roma, 2012, p. 405 s. possa integrare gli estremi dellĠinteresse a ricorrere, con tanto di domanda di tutela cautelare. Da questo punto di vista lĠassunto del C.d.S. sulla spettanza al solo giudice tributario di un vizio endoprocedimentale quale quello testŽ ipotizzato (5), non pu˜ che portare a una risposta sistematica che si articola come segue: a) al giudice amministrativo  sul punto preclusa la giurisdizione, chŽ si versa in un procedimento tributario, se pure in in fase istruttoria. Al giudice tributario, per parte sua, la legge impone di occuparsi del vizio in parola non immantinente, ma solo se e quando quello sarˆ chiamato a giudicare sullĠ(eventuale) avviso di accertamento conseguente, cio sulla incidenza del vizio endoprocedimentale sullĠatto ufficioso autonomamente impugnabile. b) in questĠultima sede dovrˆ stabilirsi qual  lĠeffetto Òa catenaÓ del vizio istruttorio, sia sul piano del processo (p.e. inutilizzabilitˆ delle prove cos“ acquisite), sia sul piano della validitˆ/invaliditˆ dellĠaccertamento ufficioso. c) nel processo tributario non  contemplata, fra le altre cose, una tutela cautelare ante causam quale quella del nuovo codice del processo amministrativo; d) in conclusione, si potrˆ al pi pensare a unĠazione di risarcimento dei danni morali cagionati con lĠingiusta perquisizione. Ma, allĠuopo, lĠazione ex art. 2043 ss. non pu˜ che competere al giudice civile (chŽ il G.A. ne  tagliato fuori giusta quanto sopra; e al G.T. non  data una possibile giurisdizione sui danni come invece al G.A.). 4. Conclusioni. 4.1. La sentenza del C.d.S. in commento, negando lĠautonoma impugnabilitˆ del processo verbale di constatazione (oltre a dichiarare il difetto di giurisdizione amministrativa in favore di quella tributaria, con per˜ tutela ÒdifferitaÓ), assume - come giˆ detto - una posizione in linea con la Suprema Corte in ordine a tale atto (6). Di contro, a conclusione opposta (impugnabilitˆ autonoma/immediata)  pervenuto lo stesso Supremo Collegio, col noto revirement del 2012 (7), in punto di comunicazioni dĠirregolaritˆ. A queste si tendono ad assimilare, con una sorta di lettura estensiva dellĠarresto, i c.d. avvisi bonari (8). E se convergenza giurisprudenziale vi  sullĠormai acquisita ÒesclusivitˆÓ -piuttosto che mera ÒspecialitˆÓ - della giurisdizione tributaria (9), la dottrina  in parte contraria allĠautonoma impugnabilitˆ delle comunicazioni dĠirrego (5) V. supra, par. 2 al fondo. (6) Fra le molte Cass., Sez. I, 28 aprile 1998, 4312; Cass., Sez. trib., 20 gennaio 2004, n. 787, ambedue in banca dati fisconline. (7) Cass., 11 maggio 2012, n. 7344, in banca dati fisconline. (8) Se cos“ , Cass. n. 7344/2012 ribalta Cass., Sez. Trib., 15 ottobre 2004, n. 1791, che statuiva la non autonoma impugnabilitˆ degli avvisi bonari (vedile entrambe in banca dati fisconline), (9) Vedi Cons. St. n. 1821/2014, cit. e Cass. n. 7344/2012, cit. laritˆ e degli avvisi bonari (10), e in altra parte favorevole al revirement impresso nel 2012 dal giudice nomofilattico al riguardo (11). 4.2. Il quadro complessivo diventa pi chiaro, sol che si distinguano come perspicuamente suggerito (12) - le nozioni di autonoma impugnabilitˆ (facoltativa) e onere dĠimmediata/autonoma impugnazione (autonoma impugnabilitˆ obbligatoria). E invero la Corte di Cassazione, nel suo arresto del 2012 sulle comunicazioni dĠirregolaritˆ (13), delinea chiaramente unĠimpugnabilitˆ dellĠatto senza per˜ lĠonere dĠimpugnazione. Ci˜ in quanto - osserva il S.C. - la successiva cartella di pagamento  atto sostitutivo della pregressa comunicazione: sicchŽ il contribuente pu˜ bens“ impugnare la cartella senzĠavere previamente impugnato la comunicazione dĠirregolaritˆ; se dĠaltronde egli aveva scelto dĠimpugnare autonomamente e immediatamente la comunicazione, allora con la notifica della cartella il processo avente a oggetto la comunicazione si estingue per sopravvenuta carenza dĠinteresse ad agire. Se si tiene in debito conto questĠultimo dato, una certa quale apparente disarmonia tra Cass. e C.d.S., sul tema generale della tutela avverso gli atti endoprocedimentali tributari, si attenua. NŽ vi sarebbe da stupirsi di ulteriori novitˆ giurisprudenziali in materia magari proprio in punto dĠimpugnabilitˆ autonoma del p.v.c (pur senzĠonere dĠimpugnazione). In questĠultimo senso (dĠimmediata proponibilitˆ di un gravame avverso il processo verbale) non a caso si sono giˆ espressi autorevoli giudici tributari di merito (14). Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 14 aprile 2014 n. 1821 -Pres. Numerico, Est. Spagnoletti - B. s.p.a. (avv.ti Di Trani e Sciacchitano) c. Ministero dellĠEconomia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dellĠAbruzzo (avv. gen. Stato). FATTO e DIRITTO 1.) La societˆ B. S.r.l., ora B. S.p.A., con sede in Lanciano, con il ricorso in primo grado n.r. 168/2008 ha impugnato un processo verbale di constatazione, formato da funzionari del- l'Agenzia delle Entrate - Direzione regionale dell'Abruzzo, in data 27 dicembre 2007, relativo ad una verifica fiscale, deducendone l'illegittimitˆ con unico motivo complesso articolato sotto tre rubriche ( 1) Violazione di norme e principi generali in materia fiscale tributaria; 2) Violazione della legge n. 241/1990 art. 7; 3) Violazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972, dell'art. (10) F. TESAURO, Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. Trib., a www.datalexis.it (11) R. LUPI, Torna lĠimpugnazione degli avvisi bonari, in www.fondazionestuditributari.com (12) Op. ult. cit. (13) Supra, nt. 9. (14) Comm. Trib. Reg. Lombardia, sent. 6 aprile 2012, n. 46/28/2012, in banca dati fisconline. 36 d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 7 e 12 della legge n. 212/2000), in relazione a lamentate carenze strutturali dell'atto (carenza di potere accertativo in capo all'Ufficio finanziario, carenza di firma congiunta dei due verificatori, omessa indicazione del responsabile del procedimento). Con la sentenza n. n. 84 del 25 gennaio 2013 il T.A.R. per l'Abruzzo ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di giurisdizione amministrativa in favore della giurisdizione tributaria, in base ai rilievi di seguito testualmente riportati: "... in disparte il fatto che le censure dedotte avverso il suddetto processo verbale di contestazione sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso proposto avverso il conseguente avviso di accertamento (ricorso rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale, e in sede di appello, dalla Commissione Tributaria Regionale, e ora pendente in Cassazione), deve ritenersi assorbente il fatto che la Giurisprudenza ha da tempo chiarito che la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, essendo piena ed esclusiva, si estende non soltanto al- l'impugnazione del provvedimento impositivo ma anche alla legittimitˆ di tutti gli atti del procedimento e che a seguito della riforma di cui all'articolo 12 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, la giurisdizione del Giudice Tributario, si estende ormai a qualunque controversia in materia di imposte tasse che non attenga al momento della esecuzione in senso stretto (Cassazione civile, sezioni unite, 14 marzo 2011, ordinanza n. 5928; Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana 28 luglio 2011 n. 523)". Con appello notificato il 24 aprile 2013 e depositato l'8 maggio 2013, la sentenza  stata impugnata deducendone l'erroneitˆ, quanto alla declaratoria di difetto di giurisdizione amministrativa, rilevando, in sintesi, sul che il processo verbale di constatazione  atto preparatorio e istruttorio, privo di effetti tributari diretti, non impugnabile in via autonoma dinanzi al giudice tributario, nŽ ricompreso nell'elencazione degli atti impugnabili nel processo tributario, con riproposizione delle censure giˆ dedotte con il ricorso in primo grado. Nel giudizio si sono costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate, che hanno dedotto, a loro volta, l'infondatezza dell'appello. Nella camera di consiglio del 2 luglio 2013 l'appello  stato discusso e riservato per la decisione. 2.) L'appello in epigrafe  destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza impugnata e quindi della declaratoria del difetto di giurisdizione amministrativa. Il processo verbale di constatazione  l'atto in cui si condensano le risultanze degli accessi nei locali destinati all'esercizio di attivitˆ commerciali, agricole, artistiche o professionali, finalizzati a "... ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni...", da parte di funzionari dell'amministrazione finanziaria (ora dell'Agenzia delle Entrate) e/o muniti di apposita autorizzazione; dal medesimo debbono risultare "... le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute" e "... deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione", fermo il diritto del contribuente di ottenerne copia (art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, applicabile anche in materia di imposte dirette sui redditi ai sensi dell'art. 33 comma 1 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). é evidente che trattasi di atto privo di contenuto ed effetti provvedimentali, dal quale pu˜ eventualmente scaturire l'emanazione di un accertamento tributario, privo pero ex se di effetti tributari e di efficacia lesiva, e in quanto tale, appunto, non impugnabile in via diretta e autonoma dinanzi alle commissioni tributarie, secondo giurisprudenza affatto pacifica (Cass. civile, Sez. Trib., 29 maggio 2006, n. 12789; id., 20 gennaio 2004, n. 787, che rileva come esso sia atto endoprocedimentale, sfornito di rilevanza giuridica esterna e di valore impositivo; id., 30 ottobre 2002, n. 15305, che ha altres“ negato che la non impugnabilitˆ - da escludere ai sensi del previgente art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, e ora dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - configuri profili d'illegittimitˆ costituzionale). é altres“ chiaro che la non immediata impugnabilitˆ non preclude che eventuali vizi del processo verbale, che infirmino l'efficacia probatoria del medesimo, quanto alle modalitˆ del- l'accesso e/o all'acquisizione dei documenti, possono comunque essere fatti valere in relazione all'impugnazione dell'atto di accertamento, e in tal senso, come osservato dal giudice amministrativo abruzzese, non  senza significato che "... le censure dedotte avverso il suddetto processo verbale di contestazione sono state poi integralmente reiterate nel successivo ricorso proposto avverso il conseguente avviso di accertamento ...", ancorchŽ il relativo ricorso tributario sia stato rigettato dalla commissione tributaria provinciale con sentenza confermata dalla commissione tributaria regionale, pendendo, all'epoca dell'emanazione della sentenza gravata nella presente sede, ricorso per cassazione. D'altro canto, questa Sezione ha giˆ avuto modo di chiarire che atti che si pongano quali presupposti di attivitˆ ispettiva e acquisitiva prodromica all'accertamento sono sindacabili dinanzi alla giurisdizione tributaria ed esulano dalla giurisdizione amministrativa (nella specie l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica alla perquisizione del domicilio del contribuente o del legale che lo rappresenta: Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2008, n. 6045). 3.) In conclusione, l'appello deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata, e con la condanna della societˆ appellante alla rifusione delle spese e onorari del giudizio d'appello, liquidati come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) rigetta l'appello in epigrafe n.r. 3431/2013 e, per l'effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per lĠAbruzzo, Sede de LĠAquila, Sezione I, n. 84 del 25 gennaio 2013 e condanna la societˆ B. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla rifusione in favore dell'Avvocatura generale dello Stato, distrattaria ex lege, delle spese e onorari del giudizio d'appello, liquidati in complessivi Û 5.000,00 (cinquemila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013. Sulla Direttiva Reati: il giudice dellĠesecutivitˆ riconosce lĠaccesso allĠindennizzo nelle sole situazioni transfrontaliere(*) CORTE DI APPELLO DI ROMA, ORDINANZA 9 MAGGIO 2014 R.G. 7072/13 IN ALLEGATO: 1. Atto defensionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - 2. Ordinanza della Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, C-122/13. Con ordinanza in data 9 maggio 2014 la Corte dĠappello di Roma - pronunciandosi per la prima volta sullĠambito di applicabilitˆ della c.d. Direttiva Reati n. 80/2004 dopo la recente ordinanza della Corte di Giustizia UE del 30 gennaio 2014 - ha sospeso lĠesecutivitˆ dellĠimpugnata sentenza del Tribunale di Roma n. 22327/13 (a cui, a suo tempo, i mezzi di informazione hanno dato ampio risalto), ritenendo Òle ragioni poste dallĠAvvocatura dello Stato a fondamento dellĠappello incidentale ... provviste di adeguato fumusÓ. All. 1) CT 31313/2009 Avv. G. Palatiello Avvocatura Generale dello Stato ECC.MA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE (R.G. n. 7072/13 rel. Cons. Ferdinandi Prima udienza di comparizione 29.4.2014) COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA con APPELLO INCIDENTALE TEMPESTIVO e contestuale ISTANZA DI SOSPENSIONE ex art. 283 c.p.c. DELLA SENTENZA IMPUGNATA Nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio in carica, e del Ministero della Giustizia (c.f. 80184430587), in persona del Ministro in carica, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (c.f. 80224030587 per il ricevimento degli atti FAX 0696514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; - appellati/appellanti in via incidentale contro G.G. e G.A.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Claudio Defilippi e Debora Bosi ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Marco Celio Rufo n. 40, presso lo studio del- lĠAvv. Barbara Pezzetta; - appellanti/appellati in via incidentale per la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 62440/09 di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), de (*) Sul punto e per gli atti pregressi si rimanda a quanto giˆ pubblicato in Rass. 2013, III, 26 ss. positata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a mezzo del servizio postale il 30.12.2013; FATTO e SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO Con atto di citazione notificato in data 11 settembre 2009, i sig.ri G.G. e G. A.M. - allegando che Z.J. (rispettivamente nipote e figlia di essi attori), in data 29 aprile 2006 (mentre si trovava al nono mese di gravidanza ed era, pertanto, prossima al parto), fu barbaramente uccisa dal N.L., condannato con sentenza definitiva n. 461/08 dal Tribunale di Venezia per il reato di omicidio volontario - hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni dello Stato in epigrafe al fine di sentir accertare la responsabilitˆ delle stesse per il mancato recepimento della direttiva 2004/80/CE <> e conseguentemente condannarle al risarcimento del danno morale iure proprio, biologico iure proprio, non patrimoniale da uccisione del congiunto, esistenziale e patrimoniale iure proprio, per la somma complessiva di Û 500.000,000; in subordine, accertare la responsabilitˆ ex artt. 2043 e 2059 c.c. delle medesime amministrazioni e conseguentemente condannarle al risarcimento dei danni subiti, sempre nella misura di Û 500.000,00. La deducente Avvocatura Generale dello Stato si costituiva in giudizio nellĠinteresse delle Amministrazioni intimate con comparsa del 15.2.2010 contestando diffusamente le avverse domande, delle quali chiedeva il rigetto, siccome del tutto infondate. AllĠudienza di prima comparizione e trattazione del 18.3.2010, il G.I. designato assegnava i termini di cui allĠart. 183, comma 6Ħ, c.p.c. rinviando per lĠammissione dei mezzi di prova allĠudienza del 25.11.2010. Con memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. del 16.4/17.4.2010, la difesa erariale svolgeva ulteriori argomentazioni giuridiche a sostegno delle tesi affermate nella comparsa di risposta. AllĠudienza del 25.11.2010, il G.I., ritenuta non necessaria alcuna attivitˆ istruttoria, rinviava la causa al 18.4.2013 per la precisazione delle conclusioni. A tale ultima udienza le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti e la causa veniva assunta in decisione con lĠassegnazione dei termini di legge ex art. 190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. In data 17.6.2013 la difesa erariale depositava comparsa conclusionale. Indi il Tribunale emetteva la sentenza in epigrafe con la quale accoglieva parzialmente le domande e, per lĠeffetto, cos“ provvedeva: Òa) rigetta la domanda proposta da G.G.; b) condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di A.M.G. della somma di Û 80.000,00, oltre ad interessi al saggio legale ex art. 1248 c.c. maturati dallĠ11.9.2008, fino al pagamento; c) compensa le spese processuali tra tutte le partiÓ. Avverso la sentenza di prime cure, nella parte in cui  stata respinta la domanda risarcitoria proposta dal Sig. G.G. ed in ordine al quantum liquidato in favore della Sig.ra G.A.M., oltre che in relazione al capo di sentenza che ha disposto la compensazione delle spese processuali del grado, i Sig.ri G.G. e G.A.M., con atto notificato il 19.12.2013 hanno proposto appello (nei confronti sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia del Ministero della Giustizia), affidato a tre distinti motivi, al quale si resiste, rilevandone lĠassoluta inammissibilitˆ e/o infondatezza per le seguenti ragioni in punto di DIRITTO 1) In via preliminare si eccepisce inammissibilitˆ delle domande risarcitorie riproposte in appello dai Sig.ri G. nei confronti del Ministero della Giustizia per inter- venuta formazione di giudicato interno ex art. 329 , co. 2, c.p.c. Alla pagine 2 e 3 della comparsa di risposta depositata in primo grado, la scrivente difesa erariale aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, evidenziando che Òla domanda risarcitoria di parte attrice trova fondamento nellĠasserito mancato recepimento della Direttiva 2004/80/CE e nella Convenzione europea del 24.11.1983, entrambe in materia di indennizzo delle vittime dei reati violenti. Orbene, al riguardo, al Ministero della Giustizia non  imputata, nŽ imputabile, alcuna delle condotte esposte nellĠatto di citazione, non avendo lo stesso alcuna competenza riguardo allĠadozione delle misure di recepimento della Direttiva 2004/80/CE o in merito alla Convenzione. Il mancato recepimento di norme comunitarie, quale fatto complessivamente imputabile allo Stato,  un illecito che trova passivamente legittimata la sola Presidenza del Consiglio quale organo di vertice dellĠintero apparato amministrativo stataleÓ. Il Tribunale di Roma ha accolto tale eccezione, statuendo, in proposito, che ÒTenuta al risarcimento del danno  soltanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, questo essendo il soggetto istituzionale che rappresenta lo Stato rispetto allĠattivitˆ legislativa di recepimento delle direttive europee, non attribuita ad alcun ministero, a prescindere dalle competenze a questo attribuite. Infatti, ai sensi dellĠart. 3 del D.lgs. n. 300/99, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare lĠazione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dellĠItalia allĠUnione Europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma,  stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilitˆ per lĠattuazione degli impegni assunti nellĠambito dellĠUnione Europea. Ne consegue che, sulla base della prospettazione attorea ed in relazione alla disciplina prevista per il rapporto controverso, lĠunico soggetto su cui grava lĠobbligo risarcitorio  la Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo al quale la legge rimette il compito di recepire la normativa comunitaria e che, conseguentemente, ha la responsabilitˆ in caso di mancata o tardiva attuazione nellĠordinamento internoÓ (cfr. pagina 13, alla fine, della sentenza di primo grado). Tale capo di sentenza, non essendo stato impugnato da parte dei Sig.ri G., deve intendersi passato in giudicato ex art. 329, comma 2, c.p.c., con conseguente inammissibilitˆ delle domande risarcitorie dai medesimi riproposte nei confronti del Ministero della Giustizia. 2) Nel merito, infondatezza dellĠavverso appello principale. Il Tribunale capitolino, pur avendo ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente allĠobbligo previsto dallĠart. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, poichŽ non avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime dei reati (nella specie, lĠomicidio volontario) legati alla criminalitˆ comune, commessi nel proprio territorio, ha, tuttavia, respinto la domanda risarcitoria proposta dal Sig. G.G., sulla scorta della seguente motivazione (pag. 11) : ÒIl tribunale ritiene, infine, che il presupposto costituito dalla pronuncia della sentenza di condanna al risarcimento del danno cagionato dalla commissione del reato intenzionale violento si sia verificato in relazione alla sola A. M.G. in favore della quale, in veste di parte civile costituita nel processo penale,  stata emessa la condanna del N. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, con assegnazione della somma di Û 80.000,00 a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, ai sensi dellĠart. 539 c.p.p. 4.8 Come evidenziato in precedenza, non risulta invece che L.N. sia stato condannato in sede penale o civile, a risarcire anche il danno subito da G.G. La domanda di condanna al risarcimento del danno proposta da questĠultimo nei confronti delle Amministrazioni convenute non pu˜ quindi essere accolta, non essendo verificatosi uno dei presupposti richiesti dalla direttiva 2004/80/CE per beneficiare della tutela indennitaria a carico dello Stato. Con motivo di appello rubricato Òin ordine al rigetto della domanda proposta dal sig. G.G.: violazione della direttiva comunitariaÓ, il medesimo Sig. G.G. censura la decisione del primo giudice per non aver riconosciuto il suo presunto Òdiritto al c.d. danno tanatologicoÓ, nonchŽ alla rifusione delle spese funerarie, quantificate in Û 3.798,71Ó (v. pag. 8 dellĠatto di appello) A tale riguardo, lĠappellante, dopo aver premesso che, secondo il legislatore comunitario, nella nozione di vittima di reato intenzionale violento sarebbero ricompresi anche i prossimi congiunti della persona uccisa, e che sarebbe possibile ricorrere alla tutela rimediale contemplata dalla direttiva 2004/80/CE Òanche nel caso in cui non vi sia una sentenza penale definitiva di condanna (diversamente dal caso in esame)Ó, sostiene che Òa maggior ragione deve ritenersi si possa ricorrere anche quando non vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale ovvero non sia stato azionato un procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento danni nei confronti del responsabile del violento ed intenzionale crimineÓ. Pertanto, ad avviso dellĠappellante principale, Òil profilo della sussidiarietˆ richiesto dalla normativa comunitaria al fine di usufruire di tale forma di ristoro deve essere intesa quale impossibilitˆ da parte della vittima di poter conseguire il risarcimento del danno dallĠautore del reato nŽ tanto meno da responsabili civili diversi dagli autori materiali dei reatiÓ (v. pag. 7 dellĠatto di appello). Non sarebbe quindi richiesto, in altri termini, che la ÒvittimaÓ debba ottenere un Òaccertamento giudizialeÓ circa il danno da reato risarcibile. 2.1) Contrariamente a quanto ex adverso dedotto, la decisione del Tribunale di Roma, nella parte in cui ha disatteso la domanda di risarcimento del danno proposta dal Sig. G.G., merita di essere confermata. Ed invero, anche a voler ritenere, per un momento, che nella nozione comunitaria di vittima rientrino anche i prossimi congiunti della persona uccisa <>, e che sia ravvisabile, nella specie, la responsabilitˆ risarcitoria dello Stato italiano per incompleta attuazione della direttiva 2004/80/CE <>, non vĠ dubbio che il Sig. G.G. non abbia alcun titolo per far valere la predetta responsabilitˆ, attesa lĠassoluta carenza dei presupposti di applicabilitˆ della direttiva 2004/80/CE. Al riguardo, assume rilevanza decisiva il decimo ÒconsiderandoÓ della direttiva, da cui si trae il principio per cui lĠindennizzo pu˜ essere richiesto agli Stati membri nei soli casi in cui le vittime del reato Ònon possano ottenere un risarcimento dallĠautore del reato, in quanto questi pu˜ non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento del danno, oppure pu˜ non essere identificato o perseguitoÓ. Ne discende, con ogni evidenza, che soltanto quando sia stata emessa una pronuncia di condanna, o in sede penale o in sede civile, al risarcimento dei danni in favore della vittima e a carico dellĠautore del reato, e questĠultimo non sia a sua volta in grado di ottemperare alla stessa, potrebbe astrattamente invocarsi la tutela rimediale prevista dalla direttiva 2004/80/CE. Pertanto, anche qualora fosse addebitabile alla Repubblica italiana lĠomesso recepimento dellĠart. 12, par. 2, della direttiva, (ci˜ che, invece, come si vedrˆ infra, deve essere recisamente escluso), la pretesa fatta valere dal Sig. G.G. difetterebbe, comunque, (come, in effetti, difetta) del presupposto dellĠ Òaccertamento del danno da reatoÓ, essendo pacifico in causa che costui non si  costituito parte civile nel processo penale, nŽ ha mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere un siffatto accertamento. Di qui la manifesta infondatezza del suddetto motivo di appello principale, che merita, pertanto, di essere respinto. 3) In ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla Sig.ra G.A.M., il Tribunale, dopo aver ritenuto sussistente - come giˆ detto - la responsabilitˆ dello Stato italiano per mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, ha quantificato il danno risarcibile in Û 80.000, ritenendo che (pag. 13): Ònel caso in esame i canoni dellĠequitˆ e dellĠadeguatezza siano soddisfatti determinando lĠammontare dellĠindennizzo in misura corrispondente allĠintero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionaleÓ. Con motivo di appello rubricato Òin ordine al quantum della domanda avanzata dalla sig.ra A.M.G.: violazione della direttiva 2004/80/CEÓ, lĠappellante principale sig.ra G.A.M. ha contestato tale quantificazione del danno ed ha richiesto la liquidazione di ulteriori Û 420.000,00. La Sig.ra G.A.M., partendo dalla premessa che la somma liquidata dal primo Giudice non possa ritenersi conforme ai criteri dellĠequitˆ e dellĠadeguatezza, torna, infatti, a sostenere che il danno risarcibile dovrebbe essere quantificato tenendo conto, anzichŽ della provvisionale determinata dal giudice penale, delle seguenti specifiche voci: danno morale iure proprio, danno biologico iure proprio, danno esistenziale, danno patrimoniale e non patrimoniale, inteso come danno alla vita (v. pag. 12 dellĠatto di appello). 3.1) Giova subito premettere che, in veritˆ, la decisione di accoglimento della domanda proposta dalla Sig.ra G.A.M., appare errata sotto, altri, molteplici profili, sicchŽ avverso la medesima statuizione si proporrˆ infra appello incidentale. Ad ogni modo, per il momento, ci si pu˜ limitare a rilevare la palese infondatezza del- lĠappello principale proposto dalla sig.ra G.A.M., poichŽ esso muove dal presupposto, del tutto errato, che la direttiva in esame assicuri alle vittime di reato intenzionale violento il ristoro integrale dei danni subiti in conseguenza del delitto. La sig.ra G.A.M. ha, infatti, agito nei confronti dello Stato come se questo fosse responsabile civile dello spregevole reato commesso da N.L., mentre la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati violenti non  certo quella di sostituire (o aggiungere) lo Stato allĠautore del delitto nella responsabilitˆ verso le vittime. LĠobbligo che la Direttiva pone agli Stati membri  solo quello di predisporre Òun indennizzo equo e adeguatoÓ. I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e, quindi, del presunto danno conseguente al mancato recepimento della Direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario dovuto dal responsabile del fatto. NŽ lo Stato, in base al diritto interno, pu˜ essere chiamato a rispondere dellĠomicidio commesso da N.L., non ricorrendo alcuna delle fattispecie di responsabilitˆ (diretta e/o indiretta) dello Stato per il fatto altrui ai sensi degli artt. 185 cod. pen. e 2043 e 2047 e ss. cod. civ. Senza recesso alcuno dal proposto appello incidentale, deve allora, concludersi che lĠindennizzo riconosciuto dal Tribunale di Roma, quantificato in Û 80.000,00, oltre interessi legali dal d“ della domanda (11.9.2009),  pienamente idoneo a garantire alla ÒvittimaÓ del reato quel ristoro serio e non simbolico richiesto, in ipotesi, dalla direttiva 2004/80/CE. 3.2) Per completezza, come giˆ evidenziato nel corso del giudizio di primo grado, si ribadisce che, in ogni caso, la domanda attrice appare comunque del tutto sfornita di prova circa i titoli e lĠentitˆ del ÒrisarcimentoÓ richiesto. Esaminando le singole voci di danno richieste si osserva che: a) Quanto alle varie voci di danno non patrimoniale richieste iure proprio (ossia il danno morale, il danno biologico, il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, ed il danno esistenziale),  da osservare, in primo luogo, che, nellĠavverso appello, al pari della citazione in primo grado, si rinviene soltanto lĠallegazione da parte dellĠappellante della sua qualitˆ di soggetto che avrebbe subito lesioni, e la trascrizione di principi dottrinali e giurisprudenziali in materia. Manca ogni indicazione delle circostanze concrete che dovrebbero condurre ad ipotizzare la lesione della sfera psico-fisica di parte attrice in conseguenza dellĠillecito. é, poi, da osservare che la pi recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha evidenziato che sebbene il risarcimento del danno non patrimoniale alla salute debba essere liquidato in modo da tenere conto di tutti i pregiudizi patiti, non risulta, tuttavia, possibile duplicare il risarcimento attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, quale la con- giunta attribuzione del danno morale, del danno alla vita di relazione e del danno esistenziale, categoria, questĠultima, priva nel nostro ordinamento di configurazione autonoma (v. Cass. SS.UU. n. 26972/2008). b) Si contesta, comunque, la quantificazione di tutte le voci di danno, effettuata senza lĠaggancio ad alcun parametro di valutazione. 4) Del pari infondato  il terzo motivo di appello, concernente la statuizione di compensazione delle spese del primo grado, atteso che le circostanze, espressamente indicate dal Tribunale in motivazione, (e cio, Òla novitˆ della questioneÓ e Òla carenza di precedenti al momento della proposizione della domandaÓ) integrano pienamente quelle gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dellĠart. 92 c.p.c. come novellato dalla legge n. 69 del 2009, consentono al giudice di compensare tra le parti le spese di causa. A ci˜ si aggiunga che la questione controversa presenta consistenti profili di dubbio, ove si consideri che la stessa sentenza della Corte dĠappello di Torino, Sez. III, n. 106/12, a cui il Tribunale di Roma dichiara di volersi conformare,  stata impugnata per cassazione dallĠAvvocatura Generale dello Stato, con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e che la medesima Corte dĠappello di Torio con ordinanza in data 11.9.12 ha sospeso ex art. 373 c.p.c. lĠefficacia esecutiva di tale sentenza (v. all. 5). Di qui la manifesta infondatezza anche del terzo motivo di appello principale, che merita, pertanto, di essere respinto. **** Ferma lĠinfondatezza dellĠappello principale dei Sig.ri G., la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, ut supra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata, propone APPELLO INCIDENTALE avverso e per la riforma della sentenza n. 22327/13, emessa inter partes (nella causa n. 62440/09 di R.G.) dal Tribunale di Roma Sezione II Civile (Giudice dott. Federico Salvati), depositata in cancelleria in data 8.11.2013, e notificata con formula esecutiva a mezzo del servizio postale il 30.12.2013, nella parte in cui: a) ha ritenuto che sia la madre che il nonno (rispettivamente G.A.M. e G.G.) della vittima (J.Z.) fossero legittimati ad agire iure proprio al fine di ottenere la corresponsione dellĠindennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, in favore delle vittime di reati intenzionali violenti; b) sia con riferimento alla posizione della sig.ra G.A.M., sia con riguardo alla posizione di G.G., ha ritenuto che lo Stato italiano sarebbe inadempiente allĠobbligo previsto dal- lĠart. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, che imporrebbe a tutti gli Stati membri lĠobbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime, nel territorio del proprio Stato, di reati intenzionali violenti, ivi compreso lĠomicidio volontario; c) ha, comunque, parzialmente accolto la domanda della Sig.ra G.A.M., liquidando il risarcimento in misura (Û 80.000,00) del tutto errata ed esorbitante; d) in via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale , comunque, errata nella parte in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sullĠindennizzo liquidato in favore della Sig.ra G. dallĠ11 settembre 2008, anzichŽ dallĠ11 settembre 2009. La sentenza in epigrafe merita, dunque, di essere riformata per i seguenti: MOTIVI Prima di passare allĠesposizione delle ragioni a sostegno della proposta impugnazione incidentale, appare opportuno precisare che, esclusivamente in relazione alla domanda risarcitoria riproposta dal Sig. G.G., i primi due motivi del proposto appello incidentale (relativi ai capi della sentenza di prime cure recanti il riconoscimento della legittimazione ad agire iure proprio nonchŽ lĠaccertamento dellĠinadempimento dello Stato italiano allĠobbligo di recepire lĠart. 12, par. 2, della direttiva in esame) rimangono, ovviamente, condizionati alla denegata ipotesi di accoglimento dellĠappello principale del medesimo Sig. G.G. Sussiste, invece, in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, lĠinteresse attuale e concreto alla proposizione dellĠimpugnazione in via incidentale con riguardo alla posizione della Sig.ra G.A.M., rispetto alla quale la medesima amministrazione  integralmente soccombente. ¤¤¤ Fatta tale doverosa premessa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri affida il proposto gravame incidentale ai seguenti MOTIVI 1. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLĠINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO); IN PARTICOLARE DELLĠART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO CON I ÒCONSIDERANDOÓ NN. 5, 6 E 10, E CON LA DECISIONE QUADRO 2001/220/GAI DEL CONSIGLIO IN DATA 15 MARZO 2001 RELATIVAALLA POSIZIONE DELLAVITTIMA NEL PROCEDIMENTO PENALE (RICHIAMATA NEL CONSIDERANDO N. 5 DELLA DIRETTIVA); NONCHƒ DELLĠART. 90, COMMA 3, C.P.P.; CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA AD AGIRE IURE PROPRIO IN CAPO ALLA SIG.RA G.A.M. E AL SIG. G.G., RISPETTIVAMENTE MADRE E NONNO DELLA PERSONA DECEDUTA IN CONSEGUENZA DI REATO INTENZIONALE VIOLENTO (OMICIDIO VOLONTARIO), AL FINE DI OTTENERE LA CONDANNA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ALLA CORRESPONSIONE, IN LORO FAVORE, DELLĠINDENNIZZO PREVISTO DALLA DIRETTIVA 2004/80/CE, ESCLUSIVAMENTE IN FAVORE DELLE VITTIME DIRETTE DI REATI INTENZIONALI VIOLENTI. Anche alla luce dellĠart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato (pag. 10): Ò(É) che il rapporto di parentela che legava gli attori alla vittima, non contestato, consente di qualificare i primi come Òprossimi congiuntiÓ della seconda ai sensi dellĠart. 187 c.p. e che pertanto gli attori possono astrattamente beneficiare della tutela accordata dalla direttiva 2004/80/CE, essendo la vittima deceduta in conseguenza del reato. In base alla norma interna (art. 90, comma 3, c.p.p.), infatti, Òqualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltˆ ed i diritti attribuiti dalla legge alla persona offesa possono essere esercitati dai prossimi congiuntiÓ. Giova preliminarmente evidenziare che lĠindennizzo previsto dalla citata direttiva DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLĠINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO)  riconosciuto esclusivamente in favore della ÒvittimaÓ del reato intenzionale violento. Costituendo tale indennizzo unĠelargizione di natura solidaristica, posta a carico del- lĠintera collettivitˆ sociale, lĠespressione ÒvittimaÓ deve intendersi in senso restrittivo, come riferita esclusivamente alla persona offesa, cio al titolare dellĠinteresse protetto dalla norma incriminatrice. Tale interpretazione del termine ÒvittimaÓ, ai fini della Direttiva in esame, trova conferma, proprio in ambito comunitario, nella Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva) che ha, appunto, definito la vittima come Òla persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membroÓ. Di contro, la Convenzione Europea del 1983, relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, che, a detta di parte appellante principale, appresterebbe tutela anche in favore dei congiunti della vittima, non  stata mai ratificata dallĠItalia, per cui tale convenzione non  idonea a fondare, in capo alle odierne controparti, alcuna pretesa direttamente azionabile in sede giudiziale nei confronti dello Stato italiano. Nel caso di specie, G.A.M. e G.G., rispettivamente madre e nonno di J.Z., hanno agito iure proprio al fine di ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione, in loro favore, dellĠindennizzo previsto dalla Direttiva 2004/80/CE, esclusivamente in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. SennonchŽ, i predetti sig.ri G. sono qualificabili come danneggiati dal reato commesso da N.L., non come vittime di tale spregevole delitto (tali essendo, esclusivamente, la povera J.Z. ed il nascituro che portava in grembo), con la conseguenza che le loro pretese fondate in via diretta sulla predetta direttiva, in quanto azionate iure proprio e non iure hereditatis, devono ritenersi inammissibili per difetto di legitimatio ad causam attiva, o comunque, destituite di pregio nel merito, per palese difetto di titolaritˆ del diritto fatto valere. Il Tribunale di Roma, per superare tale lĠostacolo, ha ritenuto di poter fondare la legittimazione iure proprio della madre e del nonno della vittima sul disposto dellĠart. 90, comma 3, c.p.p. a mente del quale: Òqualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltˆ e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiuntiÓ. Cos“ decidendo, il primo Giudice ha, di fatto, ampliato, oltre ogni limite di ragionevolezza, lĠambito applicativo dellĠart. 12, par. 2, della direttiva in esame: e ci˜ ha fatto traendo spunti di interpretazione dal disposto di una norma interna, appunto lĠart. 90, comma 3, c.p.p. Preme subito rilevare che, giˆ sotto il profilo metodologico, una siffatta attivitˆ ermeneutica non pu˜ condividersi: se una stessa norma europea dovesse essere interpretata dai Giudici dei singoli Stati membri secondo i principi e le norme dei rispettivi ordinamenti nazionali, si avrebbe che, a fronte di una medesima disposizione comunitaria, vi sarebbero regole diverse nel diritto vivente dei vari Paesi dellĠUnione. In tal modo, ogni qualvolta i giudici nazionali si trovassero dinanzi ad incertezze sul significato o sulla portata di una norma comunitaria da applicare, ne potrebbero dare unĠinterpretazione autonoma fondata su criteri ermeneutici ÒnazionaliÓ, con lĠevidente rischio di una difforme interpretazione ed applicazione del diritto comunitario allĠinterno dellĠUnione. Per evitare un simile rischio, incompatibile con lĠesigenza di una uniforme applicazione del diritto europeo in tutto il territorio dellĠUnione, non vĠ dubbio che lĠinterpretazione della norma comunitaria debba essere condotta tenendo conto esclusivamente dellĠacquis comunitario che, come sopra ricordato, intende attribuire determinate prerogative esclusivamente alla ÒvittimaÓ del reato, nellĠaccezione restrittiva prima illustrata. Peraltro, anche a voler fare applicazione dellĠart. 90, comma 3, c.p.p. - come fatto dal Tribunale - dovrebbe ugualmente escludersi la legittimazione iure proprio in capo agli odierni appellati incidentali. Tale disposizione si riferisce, infatti, solo ed esclusivamente alle facoltˆ processuali spettanti alla persona offesa nellĠambito del processo penale, e non ha, viceversa, alcuna attinenza con le pretese risarcitorie sostanziali derivanti dal reato. Detto in altri termini, nel caso di decesso della vittima, la legge, ai soli fini processuali, riconosce in proprio ai prossimi congiunti il ruolo di persona offesa, ma non li legittima ad esercitare iure proprio le pretese sostanziali risarcitorie e/o indennitarie spettanti alla vittima. In sostanza, i prossimi congiunti della persona offesa che sia deceduta in conseguenza del reato potranno esercitare, ai sensi dellĠart. 90, comma 3, c.p.p., soltanto i diritti e le facoltˆ processuali che sarebbero spettate alla vittima, e cio esclusivamente le prerogative processuali previste dallĠart. 90, comma 1 c.p.p. e dalle altre norme del codice di rito penale. Resta fermo, invece, che i prossimi congiunti non potranno certamente agire iure proprio per far valere le pretese sostanziali (indennitarie e/o risarcitorie) spettanti alla vittima. In parte qua, la sentenza del primo giudice , dunque, gravemente viziata, in quanto, come sopra argomentato, la Direttiva in esame si limita a tutelare i soli cittadini comunitari che si spostino da uno Stato membro ad un altro e che per questo subiscano un reato: essa quindi esclude un diritto proprio allĠindennizzo a favore di soggetti (come per esempio i congiunti) diversi da chi  stato la diretta vittima del reato. In definitiva, anche sotto tale profilo, le avverse domande risultavano sprovviste di fondamento trattandosi di pretese avanzate iure proprio da soggetti danneggiati, diversi dalla vittima del reato. 2.) IN VIA SUBORDINATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLĠ ART. 10 (EX ARTICOLO 5) DEL TRATTATO CHE ISTITUISCE LA COMUNITAĠ EUROPEA (TCE); DELLĠART. I5 DEL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER LĠEUROPA (C.D. TRATTATO DI ROMA); DELLĠART. 4, COMMA 3, DEL TRATTATO SULLĠUNIONE EUROPEA (TUE); DELLĠART. 288 (EX ARTICOLO 249 TCE), COMMA 3, DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELLĠUNIONE EUROPEA (TFUE); DELLĠART. 117, COMMA 1, COST.; DELLA DIRETTIVA 29.4.2004 N. 2004/80/CE (DIRETTIVA DEL CONSIGLIO RELATIVA ALLĠINDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO), IN PARTICOLARE LĠART. 12, COMMA 2, IN COMBINATO DISPOSTO CON I ÒCONSIDERANDO 1, 2 7, 10, 11 E 14Ó E CON LĠART. 18, COMMA 1; DELLĠART. 1173 COD. CIV. INSUSSISTENZA, NELLA FATTISPECIE, DELLE CONDIZIONI GIURIDICHE RICHIESTE DALLA GIURISPRUDENZA, COMUNITARIA ED INTERNA, AI FINI DELLĠAFFERMAZIONE DELLA RESPONSABILITË DELLO STATO PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO. Anche alla luce dellĠart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte qui integralmente trascritta: (pag. 5 ss.) ÒCon riferimento alla pretesa fatta valere con riferimento a quanto prescritto dalla direttiva 2004/80/CE del Consiglio (Òrelativa allĠindennizzo delle vittime di reatoÓ), si osserva quanto segue (É). Il Capo II, invece,  volto a disciplinare - nellĠunico articolo che lo compone - i Sistemi di indennizzo nazionale. Il secondo comma dellĠart. 12, infatti, prevede che Òtutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano lĠesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittimeÓ. Il primo comma prescrive che le disposizioni riguardanti lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere dovranno essere applicate sulla base di vari sistemi nazionali la cui costituzione  prevista dal secondo comma. La direttiva, quindi, impone agli Stati membri di adottare normative che consentano alle vittime di reati intenzionali violenti in essi residenti, ove ne ricorrano i presupposti, di ottenere lĠindennizzo sia qualora il reato sia commesso nello Stato di residenza, sia qualora sia commesso in un altro Stato membro; in tal caso la richiesta sarˆ formulata allo Stato di residenza (v. anche cons. 2), allo scopo di Òfacilitare lĠaccesso allĠindennizzoÓ. La creazione di sistemi di indennizzo in ciascuno Stato membro per i reati commessi sul proprio territorio in danno di residenti, costituisce quindi il necessario presupposto per consentire al residente che abbia subito la lesione in un altro Stato membro, di richiedere lĠindennizzo al proprio Stato di residenza. Che la direttiva imponga la creazione del sistema per indennizzare i residenti che siano stati vittime dei reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere) lo si desume - oltre che dal settimo considerando - anche dalla previsione relativa allĠattuazione contenuta al primo comma dellĠart. 18, che in dividua due distinti termini perchŽ gli Stati membri si conformino: il 1.1.2006 di carattere generale e il 1.7.2005, per il solo art. 12 paragrafo 2. La previsione della duplicitˆ del termine trova giustificazione nellĠesigenza che i sistemi di indennizzo di ciascuno Stato membro siano giˆ predisposti al momento dellĠentrata in funzione, in tutti gli Stati membri, delle strutture deputate al coordinamento degli Stati, allo scopo di dare realizzazione concreta al diritto allĠindennizzo per le situazioni transfrontaliere. Per tali ragioni deve concludersi che con la direttiva 2004/80/CE  stato imposto agli Stati membri lĠobbligo di adottare un sistema che consenta di percepire lĠindennizzo di cui si tratta anche alle vittime di reati violenti che risiedano nel medesimo Stato in cui  stato commesso il reato (in tal senso anche C. App. Torino n. 106 del 23.1.2012). La Repubblica italiana non ha integralmente adempiuto allĠobbligo di conformarsi alla direttiva nella parte in cui impone lĠadozione di Òsistemi di indennizzo nazionaleÓ. Come condivisibilmente giˆ affermato dalla citata sentenza della Corte di appello di Torino n. 106/2012, il d.lgs. 6.11.2007, n. 204 (Òattuazione della direttiva 2004/80/CE relativa allĠindennizzo delle vittime di reatoÓ), non ha dato completa attuazione alla direttiva, poichŽ si  limitato a regolare (peraltro tardivamente) la procedura per lĠassistenza alle vittime di reato, commessi in un altro Stato membro, le quali risiedano in Italia (art. 1), ma non ha dato attuazione al disposto dellĠart. 12, par. 2, della direttiva, che imponeva agli Stati membri a che la normativa interna prevedesse un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, entro il termine dellĠ1.7.2005, previsto dallĠart. 18. Se  infatti vero che sussistono numerose norme interne volte ad assicurare, anche in forma indennitaria, la tutela delle vittime di reati violenti commessi nello Stato italiano (ad es., in materia di reati di criminalitˆ organizzata di stampo mafioso o di terrorismo)  anche vero che in Italia Ònon esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalitˆ comuneÓ (come riconosciuto dalle Amministrazioni convenute nella comparsa di risposta, alla pag. 7). Ci˜ premesso, il Tribunale ritiene che non possa essere posto in dubbio che il delitto di omicidio volontario costituisca un Òreato intenzionale violentoÓ. Come si  detto, per i danni conseguenti alla commissione di tale delitto - ove la fattispecie concreta non sia riconducibile, come nel caso in esame, alle specifiche tipologie contemplate dalle norme vigenti - lĠordinamento interno non prevede attualmente alcuna forma di tutela indennitaria qualora la vittima non riesca a conseguire il risarcimento del danno. In conclusione, lo Stato italiano non ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2004/80/CE, non colmando i vuoti di tutela in favore delle vittime di reati violenti intenzionali, nel cui ambito rientra la situazione oggetto del presente giudizioÓ. Come risulta dalla motivazione testŽ riportata, in sostanza, il Tribunale di Roma ha ritenuto che lo Stato Italiano non avrebbe pienamente adempiuto allĠobbligo stabilito dallĠarticolo 12, par. 2, della Direttiva n. 2004/80/CE di introdurre un sistema di indennizzo generalizzato per le vittime dei reati di omicidio. In particolare, il Tribunale, conformandosi a quanto statuito dalla Corte dĠappello di Torino, Sez. III, con sentenza n. 106/12 -peraltro impugnata per cassazione dallĠAvvocatura Generale dello Stato con ricorso n. 13168/12 di R.G., tuttora pendente, e sospesa ex art. 373 c.p.c. con ordinanza in data 11.9.12 della medesima Corte dĠappello - ha ritenuto che la predetta direttiva, allĠart. 12, par. 2, imporrebbe a tutti gli Stati membri lĠobbligo di indennizzare i residenti che siano stati vittime di reati violenti nel territorio del proprio Stato (e non solo in situazioni transfrontaliere). PoichŽ la Repubblica italiana non avrebbe stabilito un sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalitˆ comune, commessi nel proprio territorio (nella specie, lĠomicidio volontario), a giudizio del Tribunale, sarebbe inadempiente allĠobbligo previsto dal ricordato par. 2 dellĠart. 12. Ritenuto, dunque, lĠinadempimento della Repubblica Italiana a quanto disposto dallĠart. 12, par. 2, della Direttiva, il Tribunale capitolino - richiamando i principi affermati dalla sentenza n. 9147/2009 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di responsabilitˆ civile dello Stato per il mancato recepimento delle direttive non self executing ha, altres“, accertato, sia pure in favore della sola A.M.G. - madre della vittima deceduta in conseguenza del reato - il diritto al ristoro del danno asseritamene derivante dal predetto inadempimento dello Stato, consistente, nel caso in esame, nellĠimpossibilitˆ di ottenere lĠerogazione dellĠindennizzo Òequo ed adeguatoÓ previsto dalla Direttiva n. 2004/80/CE, determinandolo equitativamente nella misura di Û 80.000,00, esattamente corrispondente allĠimporto liquidatole dal giudice penale a titolo di provvisionale. Tali assunti non possono essere affatto condivisi. Giova premettere che secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia delle Comunitˆ europee, la responsabilitˆ di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario presuppone che: a) la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli; b) la violazione sia grave e manifesta; c) esista un nesso causale diretto tra la violazione dellĠobbligo incombente allo Stato ed il danno subito dai soggetti lesi. Ai fini del risarcimento , dunque, necessario che la direttiva, seppur non autoesecutiva, ovvero non dotata di efficacia diretta, attribuisca diritti ai singoli, e che tali diritti siano chiaramente desumibili dal contenuto della stessa; inoltre, deve trattarsi di una violazione grave e manifesta, da parte dello Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale. A tale riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati, in particolare, il grado di precisione e di chiarezza della norma violata e lĠampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle Autoritˆ nazionali, la scusabilitˆ del- lĠeventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da unĠistituzione comunitaria abbiano potuto concorrere allĠomissione, allĠadozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario. Quanto al nesso di causalitˆ, occorre, infine, che il danno discenda in via diretta dal fatto che la direttiva non  stata recepita tempestivamente; ovverosia, che il diritto attribuito al singolo in sede comunitaria non possa essere tutelato in altro modo (si vedano, in particolare, Corte giust. 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90 ÒFrancovichÓ; Corte giust. 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, ÒBrasserie du pecheur e FactortameÓ; Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94 ÒDillenkoferÓ; Corte giust. 15 giugno 1999 causa C-140/97; Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01; Corte giust. 25 gennaio 2007, causa C-278/05 ÒRobinsÓ; Corte giust. 26 marzo 1996 causa C- 392/93 ÒThe Queen c. H.M. Treasury, ex parte British Telecommunications pic.Ó). Gli insegnamenti della Corte di Giustizia sono stati recepiti dalla giurisprudenza interna che ha enunciato i seguenti principi di diritto: a) anche lĠinadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a ri sarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario; b) il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorchŽ la norma comunitaria, non dotata di carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra la violazione ed il danno subito dai singoli (cfr. Cass., S.U. n. 9147/2009; Cass. n. 5842/2010; Cass. n. 10813/2011). Nella fattispecie in esame non sono per˜ affatto ravvisabili le condizioni giuridiche richieste dalla giurisprudenza, comunitaria ed interna, ai fini dellĠaffermazione della responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto comunitario. 2.1) Ed invero, lo scopo e le finalitˆ della Direttiva 2004/80/CE sono ben chiarite nei ÒconsiderandoÓ che precedono lĠarticolato. In particolare, nel IĦ considerando, si legge che Òuno degli obiettivi della Comunitˆ Europea consiste nellĠabolizione degli ostacoli (É) alla libera circolazione delle persone (É)Ó, di cui la tutela dellĠintegritˆ personale dei cittadini che si recano in un altro Stato membro costituisce un corollario (secondo ÒconsiderandoÓ); a tal fine il settimo ÒconsiderandoÓ precisa che Òla presenta direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territoriÓ. I successivi undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo ÒconsiderandoÓ, precisano poi, rispettivamente, che: -Òdovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autoritˆ degli Stati membri per facilitare lĠaccesso allĠindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiedeÓ; -Òquesto sistema dovrebbe consentire alle vittime di reato di rivolgersi sempre ad unĠAutoritˆ del proprio Stato membro di residenza e dovrebbe ovviare alle eventuali difficoltˆ pratiche e linguistiche connesse alle situazioni transfrontaliereÓ; - Òil sistema dovrebbe comprendere le disposizioni necessarie a consentire alla vittima di trovare le informazioni richieste per presentare la domanda di indennizzo e a permettere una cooperazione efficiente tra le autoritˆ coinvolteÓ. Dunque la direttiva disciplina lĠaccesso allĠindennizzo delle vittime di reati violenti nelle situazioni c.d. ÒtransfrontaliereÓ e non attribuisce alcun diritto ai residenti verso il proprio Stato di residenza. E ci˜ in quanto, come noto, il diritto comunitario non disciplina le Òsituazioni meramente interneÓ, tanto che lĠart. 12, par. 1, della direttiva prevede che le disposizioni riguardanti lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano allĠinterno degli Stati membri sulla base dei rispettivi sistemi, quindi entro i limiti nei quali un sistema di indennizzo sia stato previsto. LĠindennizzo nelle c.d. situazioni transfrontaliere, in altre parole,  riconosciuto entro i limiti in cui i singoli ordinamenti (i Òsistemi degli Stati membriÓ) riconoscano tale diritto ai propri cittadini. Il legislatore comunitario, quindi, nellĠambito dei rapporti tra i singoli Stati membri ed i loro residenti, rimette alla discrezionalitˆ del legislatore interno la scelta della tipologia dei sistemi di indennizzo da prevedere. NellĠambito del nostro ordinamento esistono una serie di leggi speciali che prevedono sistemi di indennizzo (1) in relazione ad alcune specifiche tipologie di reati (associazione mafiosa, usura etc., etc.), individuate per il particolare allarme sociale che suscitano e per la loro pervasivitˆ, ma non esiste alcun sistema di indennizzo per le vittime dei reati legati alla criminalitˆ comune. Da quanto appena esposto, pertanto, pu˜ inferirsi che la direttiva 2004/80/CE non costituisce fonte di alcun diritto direttamente azionabile dai residenti nei confronti del loro Stato di appartenenza. La tesi qui patrocinata - ovvero la necessaria riferibilitˆ alle sole situazioni c.d. transfrontaliere - ha, del resto, ricevuto lĠautorevole avallo della Corte di Giustizia delle Comunitˆ Europee, la quale ha avuto modo di affermare che Òla direttiva istituisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato lĠaccesso allĠindennizzo in situazioni transfrontaliere. Essa intende assicurare che, se un reato intenzionale (1) Nel nostro ordinamento sono presenti numerose norme settoriali che disciplinano lĠerogazione di speciali elargizioni a favore di particolari categorie di vittime di reato, indicate nel seguente elenco: 1) legge 13 agosto 1980, n.466, articoli 3 e 4, recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche; 2) legge 20 ottobre 1990, n.302, articoli 1, 3, 4 e 5, recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalitˆ organizzata; 3) decreto legge 31 dicembre 1991, n.419 - convertito dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172 - articolo 1, di istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive; 4) legge 8 agosto 1995, n.340, articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 4 e 5 della legge n.302/1990 - recante norme per lĠestensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n.302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica; 5) legge 7 marzo 1996, n.108, articoli 14 e 15 recante disposizioni in materia di usura; 6) legge 31 marzo 1998, n.70 articolo 1 - nel quale sono richiamati gli articoli 1 e 4 della legge n.302/1990 - recante benefici per le vittime della cosiddetta ÒBanda della Uno biancaÓ; 7) legge 23 novembre 1998, n.407, articolo 2, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalitˆ; 8) legge 23 febbraio 1999, n.44 articoli 3, 6 , 7 e 8 recante norme in materia di elargizioni a favore dei soggetti danneggiati da attivitˆ estorsiva; 9) D.P.R. 28 luglio 1999, n.510, art. 1, regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalitˆ organizzata; 10) legge 22 dicembre 1999, n.512, articolo 4, recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietˆ alle vittime dei reati di tipo mafioso; 11) decreto legge 4 febbraio 2003, n.13 - convertito con modificazioni dalla legge n.56/2003 - recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalitˆ organizzata; 12) decreto legge 28 novembre 2003, n.337 - convertito con modificazioni dalla l.n. 369/2003 articolo 1, recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici allĠestero; 13) legge 3 agosto 2004, n.206, articolo 1, recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice; 14) legge 23 dicembre 2005, n.266, finanziaria 2006, che allĠarticolo 1 commi 563, 564 e 565, detta disposizioni per la corresponsione di provvidenza alle vittime del dovere, ai soggetti equi- parati ed ai loro familiari; 15) legge 20 febbraio 2006, n.91 norme in favore dei familiari dei superstiti degli aviatori italiani vittime dellĠeccidio avvenuto a Kindu lĠ11 novembre 1961; 16) D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 regolamento concernente termini e modalitˆ di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati. violento  stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, questĠultima sia indennizzata da tale primo StatoÓ (cos“ Corte di Giustizia sent. 28.6.2007, DellĠOrto, C-467/05, punto 57). Ed in termini ancora pi chiari si  di recente espresso il medesimo Giudice Comunitario, che, occupandosi incidentalmente dellĠambito operativo della direttiva 2004/80/CE ha ribadito che, Òcome risulta segnatamente dal suo articolo 1, (...) << tale direttiva: n.d.r.>>  diretta a rendere pi agevole per le vittime della criminalitˆ intenzionale violenta l'accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere, mentre  pacifico che, nel procedimento principale, le imputazioni riguardano reati commessi (É) in un contesto puramente nazionaleÓ (cfr. Corte di giustizia, sentenza 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11, punto 37). Anche quanto previsto nel ¤ 2 dellĠart. 12 della direttiva in esame dovrˆ pertanto essere esaminato alla luce della predetta ratio, tenendo, cio, ben presente che lĠunico diritto che la normativa comunitaria attribuisce attiene alle situazioni transfrontaliere. La Direttiva stabilisce dunque - al predetto art. 12, ¤ 2 - che tutti gli Stati membri provvedano Òa che le loro normative interne prevedano lĠesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittimeÓ. Tale disposizione non pu˜ che essere interpretata alla luce di quanto disposto dal giˆ esaminato ¤ 1 (Òle disposizioni della presente direttiva riguardanti lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territoriÓ), nel senso che lĠart. 12, mentre nel ¤ 1 rimanda ai sistemi di indennizzo giˆ previsti dai singoli Stati membri, nel ¤ 2 prescrive agli altri Stati membri -che ne siano sprovvisti - di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Il ¤ 2, in altri termini, non si applica agli Stati membri (come lĠItalia) che, allĠentrata in vigore della direttiva, si fossero giˆ dotati di un tale sistema di indennizzo (si veda nota 1), nŽ  possibile ritenere - come fatto dal Tribunale - che il legislatore europeo abbia voluto imporre a tutti gli Stati membri (e quindi anche a quelli, come lĠItalia i cui ordinamenti giˆ prevedevano un adeguato sistema di indennizzo delle vittime de quibus) di introdurre, con legge o norma di pari grado, una ulteriore ipotesi di indennizzo (rispetto a quelle giˆ esistenti de iure condito) in favore delle vittime del reato di omicidio volontario. E ci˜ per la fondamentale ragione che il Diritto dell'Unione non ha, e non aveva nemmeno nel 2004 all'epoca dell'emanazione della direttiva, alcuna competenza per disciplinare il trattamento processuale dei reati di violenza comune, ivi comprese le loro conseguenze patrimoniali specifiche. Per convincersene  sufficiente considerare che lĠodierno Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea prevede, all'art. 82, una serie di poteri nell'ambito della "cooperazione giudiziaria in materia penale", volti a facilitare la circolazione e l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari nello spazio europeo. é, viceversa, assente una qualsivoglia delega di poteri al livello di governo europeo rispetto al diritto penale sostanziale o processuale: pertanto gli Stati membri mantengono la piena sovranitˆ tanto sulla tipizzazione degli illeciti penali quanto sul rito e sulle sanzioni irrogabili. Ne  evidente conferma il successivo art. 83, il quale prevede che possano emanarsi direttive le quali intervengano a fissare "norme minime relative alla definizione del reati e delle sanzioni in sfere di criminalitˆ particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale". Segue un elenco, che si riferisce ai reati di terrorismo, tratta degli esseri umani, traffico internazionale di armi o stupefacenti ed altro (Va peraltro notato che non si  finora compiutamente proceduto neppure in tali materie). Sono in ogni caso esclusi da questa sfera di possibile intervento tutti i reati non menzionati dall'elenco di cui all'art. 83, e che non presentano quindi - secondo il Trattato - quel carattere transfrontaliero e di eccezionale rilievo sovranazionale che impone una definizione minima comune. Pertanto, nonostante possano esservi reati di particolare gravitˆ ed allarme sociale, quali appunto lĠomicidio c.d. comune, ci˜ non comporta alcuna cessione di competenza nei confronti del livello normativo europeo. Il reato di omicidio comune resta, pertanto, assoggettato alla competenza del legislatore nazionale, tanto sotto profilo della sua definizione, quanto in merito al suo trattamento processuale, sanzionatorio e risarcitorio. Un ulteriore argomento a sostegno delle tesi qui patrocinate si ricava dalla previsione, nel corpo dellĠart. 18, par. 1, della direttiva, di due diversi termini per l'attuazione della stessa: un primo termine, fissato al 1Ħ luglio 2005, entro il quale gli Stati membri (sprovvisti di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti) avrebbero dovuto dare attuazione alla disposizione contenuta nell'art. 12, par. 2, dando immediata comunicazione alla Commissione delle norme approvate al riguardo; ed un secondo, e successivo termine, fissato al 1Ħ gennaio 2006, entro il quale, sulla base dei sistemi di indennizzo introdotti ex art. 12, par. 2, cit., Òmettere in vigoreÓ Òle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttivaÓ. Contrariamente a quanto ritenuto dal primo Giudice, il termine del 1Ħ luglio 2005 per l'attuazione dell'art. 12, comma 2, deve intendersi stabilito per i soli Stati membri che, sprovvisti di sistemi di indennizzo per le vittime di reati violenti, debbano introdurli ex novo nei rispettivi ordinamenti, onde, poi, potersi conformare, nel successivo termine del 1Ħ gennaio 2006, alle altre norme della direttiva, di natura organizzativa e procedurale, poste a tutela delle situazioni transfrontaliere. Ne  riprova il fatto che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1Ħ gennaio 2006), dell'obbligo di adottare Òle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttivaÓ, e non anche l'inadempimento del par. 2 dellĠart. 12; e ci˜, evidentemente, perchŽ la Repubblica Italiana, come si  visto, era giˆ munita di un articolato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007), non imponendo, viceversa, la direttiva alcun obbligo di prevedere forme di indennizzo anche per il reato di omicidio comune. Del resto, come giˆ rilevato nel corso del giudizio di primo grado, il predetto 12, ¤ 2, della Direttiva 2004/80/CE si distingue dalle altre norme della Direttiva: a differenza di queste ultime (che prevedono in maniera dettagliata gli adempimenti di ciascuno Stato membro in ordine alla predisposizione della procedura per la presentazione della domanda di indennizzo), lĠart. 12, ¤ 2, non effettua affatto una puntuale ricognizione delle singole fattispecie di reato cui riconnettere lĠobbligo di indennizzo, nŽ fornisce criteri atti a determinare la misura ÒequaÓ della somma da riconoscere alle vittime, limitandosi ad enumerare il duplice criterio della ÒintenzionalitˆÓ e della Ònatura violentaÓ del crimine. é evidente che sul punto il legislatore comunitario, conformemente alla clausola di cui al ¤ 1 dellĠart. 12 (che prevede il limite rappresentato dai sistemi indennitari di ciascuno Stato membro), ha inteso, allĠart. 12 ¤ 2, demandare ai singoli ordinamenti lĠindividuazione delle fattispecie indennizzabili e dei parametri in base ai quali determinare il quantum dellĠindennizzo stesso (2). Dunque, lĠart. 12, comma 2, della direttiva richiamata non  di diretta applicabilitˆ, ma necessita, al contrario, della intermediazione della Autoritˆ pubblica statale, comportando soltanto lĠobbligo di raggiungere un determinato risultato, senza contenere alcuna definizione puntuale dei criteri cui il legislatore interno deve attenersi nel raggiungerlo. Le determinazioni in parola rientrano, pertanto, nella esclusiva competenza del legislatore interno, senza che allo stesso possano essere mossi rimproveri di inadempimento al diritto comunitario. La discrezionalitˆ che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri nel determinare il modello di tutela indennitaria  amplissima, potendo la stessa - comĠ avvenuto in Italia - essere limitata solo ad alcune tipologie di reati ovvero essere subordinata a determinate condizioni (ad esempio, alla verifica del comportamento della vittima, che non deve avere neppure colposamente agevolato o provocato la commissione del reato, alla dimostrata insolvenza del responsabile del reato; e cos“ via). Tale aspetto non  sfuggito ad autorevole dottrina (R. Conti, in Corr. Giur., 2/2011, 248 e ss.), la quale ha osservato quanto segue: ÒNemmeno pu˜ sottacersi che la disposizione contenuta al par. 2 dellĠart. 12, nella parte in cui impone di costituire sistemi che garantiscano un indennizzo equo ed adeguato delle vittime, appare connotata da profili di scarsa specificitˆ e determinatezza, tale da incidere fortemente sullĠidoneitˆ della stessa ad integrare unĠipotesi di responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto dellĠUnione europea (É). In definitiva, il testo finale della Direttiva, depurato da tutte quelle disposizioni che, nella proposta originaria, avevano delineato un meccanismo di base sul quale poter edificare la pretesa del danneggiato - anchĠesso delimitato nella proposta originaria -  rimasto cos“ privo di quei caratteri di precisione e determinatezza che non solo escludono di poter ipotizzare lĠimmediata efficacia della direttiva non trasposta, ma rendono estremamente problematica lĠipotizzabilitˆ di una responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto dellĠUnione europeaÓ. Tale lettura, da ultimo,  stata integralmente condivisa anche dalla giurisprudenza nazionale. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 7565/2013 (v. all. 4), sconfessando espressamente la propria precedente giurisprudenza alla quale, come detto, si  richiamato anche il Tribunale di Roma con la sentenza impugnata ha chiarito che la Direttiva 2004/80/CE ha ad oggetto esclusivamente Òsituazioni transfrontaliere, nella prospettiva della cooperazione e in applicazione del principio di libera circolazione delle personeÓ. (2) Ci˜ che, peraltro,  stato riconosciuto anche dallo stesso Tribunale: alla pag. 11 della motivazione si legge, infatti, che ÒlĠindennizzo che avrebbe dovuto essere riconosciuto ad A.M.G. non sarebbe stato corrispondente alla somma che sarebbe stata liquidata a titolo risarcitorio a carico di L.N., ma avrebbe dovuto essere determinato - secondo gli specifici criteri prescelti dal legislatore nazionale - con riferimento ai concetti di equitˆ ed adeguatezza. Esso non avrebbe potuto essere perci˜ meramente simbolico, ma in ogni caso idoneo a consentire una forma di ristoro del pregiudizio subito, e avrebbe dovuto essere proporzionato alla gravitˆ del reato e quindi del bene della vita su cui la condotta dellĠagente ha incisoÓ. Che quella appena esposta sia la tesi preferibile, lo si pu˜ ricavare anche da altri argomenti. A questo riguardo,  sufficiente analizzare le vicende che hanno portato allĠadozione della Direttiva in questione, muovendo dalla analisi della proposta presentata dalla Commissione il 16 ottobre 2002 (pubblicata in GUCE C 45 E/69 del 25 febbraio 2003). NellĠiniziale articolato, la sezione I, composta di ben 15 articoli, prevedeva espressamente quale obiettivo della Direttiva la fissazione di Ònorme minime per il risarcimento alle vittimeÓ (art. 1); dettagliava (art. 2) lĠambito di applicazione soggettivo e territoriale, definendo la nozione di ÒvittimaÓ; di Òreato intenzionaleÓ e di Òlesioni personaliÓ; prevedeva che fosse lo Stato membro sul cui territorio il reato  stato commesso ad erogare il risarcimento (art. 3); individuava (art. 4) i princ“pi relativi alla determinazione del- lĠimporto del risarcimento, prevedendo altre norme estremamente dettagliate, propedeutiche alla creazione di un sistema uniforme di risarcimento delle vittime di reato. Dal confronto tra il testo della proposta ed il testo dellĠattuale direttiva, emerge chiaramente come lĠobiettivo iniziale sia stato abbandonato, a causa sia dellĠimpossibilitˆ di raggiungere un compromesso politico proprio sulla introduzione di norme c.d. minime, sia della difficoltˆ di individuare unĠadeguata base giuridica nel trattato, che permettesse tale ÒinvasioneÓ delle competenze nazionali da parte del diritto comunitario. Ritenere che tale sistema di norme c.d. minime sia stato comunque creato in forza del ¤ 2 dellĠart. 12 della Direttiva significherebbe vanificare il lavoro di mediazione che ha portato alla elaborazione del testo definitivo, facendo rivivere le parti della Direttiva che gli Stati membri non hanno voluto accettare, pretendendone lĠeliminazione per dare il proprio consenso allĠapprovazione finale della Direttiva. In definitiva, come riconosciuto da autorevole dottrina Òla direttiva del 2004, trasfigurata per effetto dei notevoli rimaneggiamenti subiti nel corso del suo iter di approvazione, non intendeva creare alcuna armonizzazione fra i Paesi membri in ordine ad un sistema comune di tutela per i reati violenti, limitandosi a demandare ai singoli Stati il compito di regimentare, secondo modalitˆ non armonizzate, un sistema di indennizzo per la vittime di reato valevole per le situazioni transfrontaliereÓ (R. Conti, in Corriere Giur., 2013, 11, 1387). La conformitˆ dellĠordinamento italiano rispetto agli obblighi comunitari  peraltro confermata anche alla luce della comparazione con gli ordinamenti degli altri Paesi europei. Esemplificativamente, si ricorda infatti che: -secondo lĠordinamento greco, lo Stato risponde solamente per i reati posti in essere da parte dei pubblici ufficiali; -in Spagna, per lĠindennizzo statale  richiesto che, in conseguenza del reato, si siano verificate la morte, le lesioni personali gravi ovvero gravi danni alla salute fisica o mentale; -nei Paesi Bassi, lĠindennizzo da parte dello Stato  possibile solamente nel caso di decesso o lesioni gravi; -in base allĠordinamento austriaco,  ammissibile un indennizzo solo per il reato che abbia prodotto una lesione personale o un danno alla salute della vittima; -nella Repubblica Francese,  stato istituito un fondo che indennizza solo le vittime di reati gravi contro la persona ovvero di reati sessuali; -in Germania, infine, il diritto al risarcimento  condizionato alla presenza di una menomazione fisica o mentale quale conseguenza dellĠaggressione violenta. Come si pu˜ vedere, ciascuno Stato membro ha modulato in via autonoma lĠaccesso allĠindennizzo di cui alla direttiva comunitaria, a conferma del carattere ampiamente di screzionale dellĠattivitˆ rimessa a ciascun ordinamento dal legislatore soprannazionale. LĠItalia, dal canto suo, ha ritenuto di dover circoscrivere la possibilitˆ di adire lo Stato a fini indennitari alle sole ipotesi di reato sopra elencate, le quali - con tutta evidenza rappresentano le fattispecie delittuose pi gravi del sistema penalistico interno. In parte qua, la sentenza del primo giudice , dunque, affetta da vistosi errori, in fatto e in diritto, in quanto, come sopra argomentato,: a) non ha tenuto conto che la Direttiva 2004/80/CE si applica soltanto alle vittime di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, e che rimangono invece escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la vittima risiede abitualmente; b) ha di conseguenza, erroneamente, riconosciuto lĠinadempimento dello Stato italiano a quanto disposto dallĠart. 12, par. 2, della Direttiva e condannato lo stesso al risarcimento del danno in favore della Sig.ra A.M.G. ¤¤¤ Concludendo sul punto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, lĠart. 12, comma 2, della Direttiva n. 2004/80/CE non attribuisce in via diretta ed immediata ai congiunti del residente in Italia, che ivi sia rimasto vittima di omicidio, alcun diritto allĠindennizzo verso lo Stato italiano, nel caso di impossibilitˆ di ottenere il risarcimento dallĠautore del reato, demandando, viceversa, ai singoli Stati membri, lĠindividuazione, secondo apprezzamenti ampiamente discrezionali, delle fattispecie indennizzabili e dei parametri e criteri in base ai quali determinare il quantum dellĠindennizzo stesso. PoichŽ il predetto art. 12, comma 2, asseritamente violato, non  Òpreordinato a conferire diritti ai singoliÓ, alla luce dei superiori principi, non ricorrono i presupposti per condannare lo Stato al risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario. 2.2.) In ogni caso, la violazione del diritto comunitario, in ipotesi, addebitabile nella specie allo Stato italiano, non  Ògrave e manifestaÓ, ove si considerino, da una parte, la scarsa chiarezza dellĠart. 12, comma 2, della Direttiva in esame (testimoniata, del resto, dal presente contenzioso e, da numerosi altri, analoghi, pendenti dinanzi ai giudici di merito), e, dallĠaltra, le condotte tenute, nella specie, dalle istituzioni comunitarie che hanno ingenerato, nello Stato Italiano, il ragionevole convincimento che il sistema di indennizzo dei reati intenzionali violenti, giˆ esistente nellĠordinamento interno alla data del 1Ħ luglio 2005 (v. art. 18 della Direttiva), fosse conforme al diritto europeo. In relazione al primo profilo, se si tiene conto dellĠesistenza di precedenti nella giurisprudenza comunitaria e nazionale che suffragano la tesi del carattere ÒtransnazionaleÓ dellĠambito applicativo della suddetta direttiva (cos“ la citata sentenza n. 7565/2013 del Trib. Torino) o, quanto meno, se si pone mente ai dubbi interpretativi recentemente sollevati da autorevole dottrina e dalla medesima giurisprudenza nazionale, (v. Trib. Firenze, ordinanza del 20/2 15.3.2013, che, come sopra rilevato, ha sottoposto alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale, la questione interpretativa del citato art. 12, par. 2), non si pu˜ certamente affermare che la normativa europea sia sufficientemente chiara e precisa da importare quale unica interpretazione ragionevole quella contraria alle scelte operate dal Legislatore italiano, che ha ritenuto di non introdurre alcun sistema di indennizzo per le vittime, nel proprio territorio, del reato di omicidio volontario c.d. comune. Quanto alla condotta tenuta dalle istituzioni comunitarie, giova nuovamente evidenziare che la Commissione Europea ha contestato alla Repubblica Italiana unicamente il mancato adempimento, entro il secondo termine menzionato nell'art. 18, par. 1, (1Ħ gennaio 2006), dell'obbligo di adottare Òle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttivaÓ, e non anche l'inadempimento del par. 2 dellĠart. 12, evidentemente ritenendo che la Repubblica Italiana si fosse giˆ munita di un adeguato sistema di indennizzo per varie categorie di reati intenzionali violenti (cfr. Corte di Giustizia CE, Sent. 112 del 29.11.2007). Peraltro, come giˆ segnalato nel corso del giudizio di primo grado, la stessa Commissione Europea, in data 20 aprile 2009, ha predisposto una Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo ed al Comitato economico e sociale europeo sulla applicazione della Direttiva 2004/80/CE, nella quale vengono esaminati aspetti inerenti lĠapplicazione della disciplina, la sua efficacia e - soprattutto - viene effettuata lĠanalisi comparata dei sistemi di indennizzo degli Stati membri, valutando la conformitˆ dei relativi sistemi con le disposizioni della direttiva medesima. Ebbene, nella sezione 3.4.1 (ÒEsistenza di sistemi di indennizzo nazionaliÓ) lĠunico ordinamento interno oggetto di censure risulta essere quello greco: ÒTutti gli Stati membri, salvo la Grecia, garantiscono un indennizzo alle vittime di reati intenzionali contro la personaÓ. LĠunica contestazione mossa allĠItalia  invece quella inerente la mancata comunicazione delle misure di attuazione degli artt. 1-3 della Direttiva, relativi alla individuazione delle autoritˆ cui presentare la domanda (obbligo ora assolto con lĠemanazione del D.lgs n. 204/2007). Da quanto precede discende che lĠeventuale inadempimento dello Stato al disposto del- lĠart. 12, comma 2,  dipeso da errore scusabile e non pu˜, pertanto, dare luogo a responsabilitˆ risarcitoria. 2.3) In via ulteriormente gradata, va comunque evidenziato che non ricorre il requisito del nesso di causalitˆ diretto tra la violazione dellĠobbligo incombente allo Stato ed il danno subito dai soggetti lesi. La sola sig.ra G.A.M., come accertato dallo stesso Tribunale (v. pag. 11), si  costituita parte civile nel processo penale che ha visto la condanna (definitiva) dellĠomicida della figlia. Nella sede penale questĠultimo  stato, altres“, condannato al risarcimento dei danni nei confronti di essa parte civile, con il riconoscimento di una provvisionale (come noto provvisoriamente esecutiva) di Û 80.000. é pacifico in causa che la Sig.ra G.A.M. non ha mai posto in esecuzione la provvisionale nei confronti dellĠ autore del reato per ottenere il risarcimento del danno giˆ liquidato in sede penale. LĠinerzia serbata nella vicenda dalla Sig.ra G.A.M. vale ad escludere anche il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e lĠasserito inadempimento della direttiva. Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza dĠappello appare radicalmente errata. Quanto al Sig. G.G., invece, la carenza del nesso di causalitˆ tra il danno lamentato e la violazione dellĠobbligo incombente allo Stato  confermata dalla pacifica constatazione -sopra illustrata - che costui non si  costituito parte civile nel processo penale, nŽ ha mai instaurato un autonomo processo civile per ottenere lĠaccertamento del danno da reato. ¤¤¤ Nella denegata ipotesi in cui si ritenesse di non condividere gli argomenti che precedono, vorrˆ codesta Ecc.ma Corte, data la notevole rilevanza della questione, rivolgere alla Corte di Giustizia dellĠUE ex art. 267 TFUE (giˆ art. 234 TCE) i seguenti quesiti pregiudiziali: Ò 1) dica codesta Corte di Giustizia se lĠart. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allĠindennizzo delle vittime di reato), letto in combinato disposto con i ÒconsiderandoÓ nn. 5, 6 e 10 della medesima Direttiva, nonchŽ con quanto previsto dalla Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio in data 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (richiamata nel considerando n. 5 della Direttiva), debba essere interpretato nel senso che lĠindennizzo ivi previsto in favore delle vittime di reati intenzionali violenti spetti, iure proprio e non iure hereditatis, anche ai prossimi congiunti (nella specie madre e nonno) della persona deceduta in conseguenza del reato (nella specie omicidio volontario), dovendo anche tali soggetti essere equiparati alla vittima del predetto reato, cio alla persona offesa, titolare dellĠinteresse protetto dalla norma incriminatrice o se, invece, debba essere escluso un diritto proprio allĠindennizzo ai sensi della Direttiva sopra richiamata a favore di soggetti (come prossimi congiunti) diversi da chi  stato la diretta vittima del reato di omicidio volontarioÓ; 2) nel caso in cui il quesito che precede venga risolto nel senso che un diritto proprio - e non iure hereditatis - allĠindennizzo previsto dallĠ art. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allĠindennizzo delle vittime di reato) debba essere riconosciuto anche in favore dei prossimi congiunti (madre e nonno) della vittima diretta del reato di omicidio volontario, dica, altres“, codesta Corte di Giustizia se lĠart. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE (Direttiva del Consiglio relativa allĠindennizzo delle vittime di reato), a mente del quale Òtutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittimeÓ, debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri hanno lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto di omicidio volontario, o se, invece, tale secondo paragrafo del predetto art. 12 si limiti ad imporre agli Stati membri che ne siano sprovvisti lĠobbligo di predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, a prescindere dallĠampiezza di tale sistema e dalle singole ipotesi di reato ivi contemplate, di talchŽ il predetto art. 12, par. 2 non si applica agli Stati membri che, come lĠItalia, giˆ prevedessero, alla data di entrata in vigore della direttiva, un adeguato sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori; 3) Nel caso in cui il predetto art. 12, par. 2 debba essere interpretato nel senso che gli Stati membri abbiano lo specifico obbligo di introdurre, nei rispettivi ordinamenti, norme nazionali che istituiscano forme di indennizzo in favore delle vittime del delitto di omicidio volontario, dica, infine, codesta Corte di Giustizia se il predetto art. 12, comma 2, della Direttiva 29.4.2004 n. 2004/80/CE vada, altres“, interpretato nel senso che esso attribuisce in via diretta ed immediata al residente nel territorio dello Stato membro (ed ai suoi prossimi congiunti, anchĠessi residenti nello Stato membro) che ivi sia rimasto vittima (e quindi sia deceduto in conseguenza) del reato di omicidio volontario, un diritto allĠindennizzo verso lo Stato di residenza ove il reato  stato commesso o se, invece, sia corretta lĠinterpretazione dellĠart. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, secondo cui questĠultimo si applica solo alle vittime di reati intenzionali violenti commessi sul territorio di uno Stato membro diverso da quello di residenza, mentre rimangono escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi, come quella rilevante in questa sede, in cui il reato venga commesso nello stesso Stato membro in cui la vittima risiede abitualmenteÓ. Per completezza si evidenzia che, con ordinanza in data 20 febbraio/15 marzo 2013, il Tribunale civile di Firenze ha chiesto alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dellĠart. 267 TFUE, sulla seguente questione: Ò1) Se lĠart. 12 della direttiva 2004/80/CE debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere lĠindennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti o intenzionali od imponga invece agli Stati membri, in attuazione della citata Direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti ed intenzionaliÓ. In tale causa pregiudiziale C-122/13, la Corte di Giustizia ha deciso di statuire senza trattazione orale e senza conclusioni dellĠAvvocato Generale (v. all. 6). é quindi ragionevole presumere che la decisione verrˆ depositata entro lĠestate del corrente anno 2014. 3. IN VIA ASSOLUTAMENTE SUBORDINATA: IN RELAZIONE AL QUANTUM liquidato in favore della Sig.ra G. A.M.: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1173, 2043, 2056, 1226 c.c.; dellĠart. 185 c.p.; nonchŽ dellĠ art. 12 Direttiva n. 2004/80/CE. Erronea assimilazione dello Stato al responsabile (civile) del reato e conseguente confusione dellĠindennizzo asseritamente dovuto dallo Stato in base alla direttiva in esame con il risarcimento integrale del danno ex lege Aquilia. Anche alla luce dellĠart. 342 c.p.c. come sostituito, in sede di conversione, dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 143, con il presente motivo di gravame (dedotto in via assolutamente subordinata) si intende appellare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato (pag. 13): ÒlĠammontare dellĠindennizzo dovuto dallo Stato in virt della direttiva 2004/80/CE potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorio a carico dellĠautore del reato. Il tribunale ritiene per˜ che nel caso in esame i canoni dellĠequitˆ e del- lĠadeguatezza siano soddisfatti determinando lĠammontare dellĠindennizzo in misura corrispondente allĠintero importo liquidato dal giudice penale a titolo di provvisionaleÓ. In particolare, in ordine al quantum debeatur, il Tribunale di Roma ha riconosciuto alla Sig.ra G., la somma di Û 80.000,00, determinata secondo Òi canoni dellĠequitˆ e del- lĠadeguatezzaÓ. Tale somma corrisponde esattamente alla provvisionale riconosciuta alla sig.ra G.A.M. in sede penale (v. pag. 13 della sentenza impugnata). Da quanto precede emerge, con tutta evidenza, che il Tribunale - pur avendo, dapprima, riconosciuto, che ÒlĠindennizzo potrebbe non corrispondere alla somma liquidata a titolo risarcitorioÓ - ha poi finito, in sede di liquidazione del quantum debeatur, per confondere il concetto di risarcimento con quello di indennizzo, ritenendo che la domanda di indennizzo possa essere intesa come una domanda di ristoro integrale dei danni che lĠattrice ha subito in conseguenza del delitto di cui la figlia  stata vittima. Il che appare confermato dal fatto che la condanna indennitaria a carico dello Stato  stata commisurata proprio alla provvisionale riconosciuta alla Sig.ra G. A.M. in sede penale. In altri termini, il Tribunale ha determinato il risarcimento a carico dello Stato come se questo fosse il diretto responsabile del reato. Tuttavia, come giˆ ricordato, la ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non pu˜ essere certamente quella di sostituire o aggiungere lo Stato allĠautore del delitto nella responsabilitˆ verso le vittime: a tutto concedere lĠobbligo che la direttiva pone agli Stati membri , invero, solo quello di predisporre un indennizzo Òequo ed adeguatoÓ, necessariamente diverso dal- lĠintegrale ristoro del danno civile. I criteri di liquidazione di tale indennizzo (e - quindi - dellĠasserito danno conseguente al mancato recepimento della direttiva) dovrebbero, pertanto, essere del tutto autonomi e diversi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario ex lege aquilia dovuto dai responsabili del fatto di reato. NŽ, del resto, pu˜ lo Stato italiano essere chiamato a rispondere, in base al diritto interno, del reato in questione, non ricorrendo (ovviamente) alcuna delle fattispecie di responsabilitˆ (diretta od indiretta) dello Stato per il fatto altrui, ai sensi degli artt. 2043 cc., 28 Cost. e 185 c.p., surrettiziamente applicati dal primo giudice. In punto di determinazione del quantum debeatur, la sentenza del primo giudice , dunque, affetta da vistosi errori di diritto in quanto ha confuso lĠindennizzo asseritamente dovuto dallo Stato in base alla direttiva in esame con il risarcimento integrale del danno ex lege Aquilia, pervenendo, cos“, ad una liquidazione del tutto erronea ed esorbitante, che andrˆ, perci˜, operata ex novo (alla luce dei criteri sopra illustrati) ed ulteriormente ridimensionata. 4.) IN VIA ASSOLUTAMENTE GRADATA: VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 2043, 2056, 1224 E 1284 C.C. ERRONEA INDIVIDUAZIONE DELLA DATA DI DECORRRENZA DEGLI INTERESSI MORATORI AL TASSO LEGALE DOVUTI SULLA SOMMA CAPITALE LIQUIDATA IN FAVORE DELLA SIG.RA A.M.G. In via del tutto subordinata, la sentenza del Tribunale di Roma , comunque, errata nella parte in cui ha fatto decorrere gli interessi legali sullĠindennizzo liquidato in favore della Sig.ra G. dallĠ11 settembre 2008, anzichŽ dallĠ11 settembre 2009, che  la data effettiva della notifica della domanda giudiziale. &&& ISTANZA DI SOSPENSIONE EX ART. 283 C.P.C. Dall'esposizione che precede emerge con evidenza il fumus boni iuris che assiste la proposta impugnazione incidentale. Quanto al periculum in mora, si rappresenta che, in ragione dellĠentitˆ non irrisoria del- lĠimporto riconosciuto alla Sig.ra G.A.M. e, soprattutto, della difficile situazione economica in cui ella dichiara di trovarsi (v. pag. 25, rigo 18 ss., dellĠatto di citazione in primo grado (3))  concreto il rischio per lĠAmministrazione, nellĠipotesi di accoglimento del gravame, di non poter recuperare le somme che dovessero essere corrisposte nelle more del giudizio di appello in esecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. Nella specie, come riconosciuto anche dalla Corte dĠappello di Torino in relazione a fattispecie analoga a quella in esame (C. App. Torino, ordinanza del 11.9.12: cfr. all. 5), (3) Ove, appunto, si afferma che, al fine di sostenere le spese per il funerale della loro congiunta, la predetta Sig.ra A.M.G. ha dovuto fare ricorso allĠaiuto economico di altri parenti. sussistono, dunque, gravi e fondati motivi, in relazione al concreto pericolo di insolvenza dellĠappellata in via incidentale, che suggeriscono la sospensione della efficacia esecutiva e/o dellĠesecuzione della sentenza impugnata in via incidentale. Di contro, la sospensione della sentenza impugnata non arrecherebbe alcun apprezzabile pregiudizio allĠ odierna appellata incidentale, essendo lo Stato, per definizione soggetto, ÒsolvibileÓ. ¤¤¤ Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia, come in epigrafe rappresentati, difesi ed elettivamente domiciliati, rassegnano le seguenti CONCLUSIONI "Piaccia all'Ecc.ma Corte dĠappello adita, respinta ogni altra difesa, eccezione o deduzione, previo accoglimento dell'istanza di inibitoria ex art. 283 c.p.c. spiegata con lĠappello incidentale, e previa domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dellĠUE ex art. 267 TFUE (giˆ art. 234 TCE) nei termini esposti in narrativa, respingere lĠappello principale, siccome infondato ed accogliere lĠappello incidentale e, per lĠeffetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respingere tutte le domande proposte in primo grado dagli odierni appellanti principali; con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizioÓ. Unitamente alla presente comparsa di risposta si produrranno: 1) copia notificata dellĠappello principale; 2) 2) bis) copie autentiche della sentenza appellata, notificate il 30.12.2013; 3) il fascicolo di parte del precedente grado; 4) sentenza del Tribunale di Torino n. 7565/2013; 5) ordinanza della Corte dĠappello di Torino dellĠ11.9.12; 6) avviso di cancelleria della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, relativo alla causa pregiudiziale C-122/13. Ai sensi degli artt. 9 e 13 dpr 115/2002 e succ. modd. ed int. si dichiara che il valore della controversia introdotta con lĠappello incidentale  pari a circa Euro Û 80.000,00 Roma, 28.1.2014 lĠAvvocato dello Stato Giovanni Palatiello All. 2) ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 30 gennaio 2014 ÇRinvio pregiudiziale Cooperazione giudiziaria in materia penale Direttiva 2004/80/CE Articolo 12 Indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti Situazione puramente interna Manifesta incompetenza della CorteÈ Nella causa C.122/13, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dellĠarticolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia) con decisione del 20 febbraio 2013, pervenuta in cancelleria il 15 marzo 2013, nel procedimento Paola C. CONTENZIOSO NAZIONALE 159 contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, LA CORTE (Sesta Sezione), composta da A. Borg Barthet, presidente di sezione, M. Berger (relatore) e F. Biltgen, giudici, avvocato generale: Y. Bot cancelliere: A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: per la sig.ra C., da P. Pellegrini, avvocato, per il Regno di Spagna, da S. Centeno Huerta, in qualitˆ di agente, per la Repubblica italiana, da G. Palmieri e G. Palatiello, in qualitˆ di agenti, per il Regno dei Paesi Bassi, da M. K. Bulterman, in qualitˆ di agente, per la Commissione europea, da A.-M. Rouchaud-Jo‘t e F. Moro, in qualitˆ di agenti, vista la decisione, adottata dopo aver sentito lĠavvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente allĠarticolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, ha emesso la seguente Ordinanza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullĠinterpretazione dellĠarticolo 12 della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa allĠindennizzo delle vittime di reato (GU L 261, pag. 15). 2 Tale domanda  stata presentata nellĠambito di una controversia tra la sig.ra C. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito alla responsabilitˆ di questĠultima derivante della mancata trasposizione, da parte della Repubblica italiana, della direttiva 2004/80 e al danno in tal modo subito dalla sig.ra C. Contesto normativo Il diritto dellĠUnione 3 I considerando 7 e 11 della direttiva 2004/80 cos“ recitano: Ç(7) La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere; (...). (...) (11) Dovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autoritˆ degli Stati membri per facilitare lĠaccesso allĠindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiedeÈ. 4 LĠarticolo 12 di tale direttiva, che fa parte del suo Capo II, intitolato ÇSistemi di indennizzo nazionaliÈ, cos“ dispone: Ç1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. 2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano lĠesistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittimeÈ. Il diritto italiano 5 La direttiva 2004/80  stata recepita in Italia, segnatamente, mediante il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa allĠindennizzo delle vittime di reato (Supplemento ordinario alla GURI n. 261 del 9 novembre 2007). Tale decreto rinvia, per quanto riguarda i requisiti sostanziali per la concessione di un indennizzo a carico dello Stato italiano, a leggi speciali che prevedono le forme di indennizzo delle vittime di reati commessi nel territorio nazionale. Tuttavia, non tutti i tipi di reati violenti intenzionali sono contemplati da tali leggi speciali. Quindi, nessuna legge speciale garantisce un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi dellĠarticolo 12 della direttiva 2004/80, della vittima di un reato di violenza sessuale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale. Procedimento principale e questione pregiudiziale 6 La sig.ra C. ha chiesto al giudice del rinvio di condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni, quantificati in EUR 150 000, previo accertamento della responsabilitˆ di questĠultima per mancata attuazione della direttiva 2004/80. 7 A sostegno della sua domanda la ricorrente nel procedimento principale afferma di essere stata vittima di violenze sessuali commesse dal sig. M. QuestĠultimo  stato condannato, in particolare, a corrisponderle la somma di EUR 20 000 a titolo di provvisionale. Tuttavia, il sig. M. non vi ha mai ottemperato. Al momento della sua condanna, infatti, era detenuto, nullatenente e senza impiego nŽ dimora. Ad avviso della sig.ra C., quando il sig. M. uscirˆ di prigione, sarˆ insolvente e verrˆ espulso dallĠItalia, cosicchŽ essa perderˆ qualsiasi possibilitˆ di ottenere da parte di questĠultimo un indennizzo equo ed adeguato. Orbene, la Repubblica italiana non avrebbe adottato le misure necessarie a garantirle comunque un indennizzo equo ed appropriato, in violazione dellĠobbligo che graverebbe su tale Stato membro in virt dellĠarticolo 12 della direttiva 2004/80. 8 Dinanzi al giudice del rinvio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiede il rigetto della domanda in quanto irricevibile e infondata. Essa sostiene in particolare che la direttiva 2004/80  diretta a disciplinare solo lĠindennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali nelle situazioni transfrontaliere, mentre il reato in esame  stato commesso nel territorio italiano e la vittima  una cittadina italiana. 9 Il giudice del rinvio ritiene, in proposito, che, se lĠobiettivo della direttiva 2004/80 consiste nella creazione di misure volte a facilitare lĠindennizzo delle vittime di reato nelle situazioni transfrontaliere e nel consentire che la vittima di un reato possa sempre rivolgersi ad unĠautoritˆ dello Stato membro di residenza, lĠarticolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva potrebbe tuttavia essere interpretato nel senso che obbliga tutti gli Stati membri ad adottare strumenti idonei a garantire lĠindennizzo delle vittime di reati violenti e intenzionali. In tal caso, la Repubblica italiana sarebbe venuta meno ai suoi obblighi in quanto la sua normativa interna prevede un sistema di indennizzo limitato a determinati reati, con esclusione di quelli commessi con violenze sessuali. 10 Ci˜ premesso, il Tribunale ordinario di Firenze ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale seguente: Ç[S]e lĠarticolo 12 della direttiva [2004/80/CE] debba essere interpretato nel senso che esso permette agli Stati membri di prevedere lĠindennizzo per le vittime di alcune categorie di reati violenti o intenzionali o imponga invece agli Stati membri, in attuazione della citata direttiva, di adottare un sistema di indennizzo per le vittime di tutti i reati violenti od intenzionaliÈ. Sulla competenza della Corte CONTENZIOSO NAZIONALE 161 11 Si deve ricordare, anzitutto, che la direttiva 2004/80, come emerge dal suo considerando 7, Çstabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato lĠaccesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliereÈ. Il considerando 11 di tale direttiva precisa in proposito che Ç[d]ovrebbe essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autoritˆ degli Stati membri per facilitare lĠaccesso allĠindennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiedeÈ. 12 La Corte ha giˆ sottolineato che la direttiva 2004/80 prevede un indennizzo unicamente nel caso di un reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente (sentenza del 28 giugno 2007, DellĠOrto, C.467/05, Racc. pag. I.5557, punto 59). 13 NellĠambito del procedimento principale, tuttavia, emerge dalla decisione di rinvio che la sig.ra C.  stata vittima di un reato intenzionale violento commesso nel territorio dello Stato membro in cui ella risiede, vale a dire la Repubblica italiana. Pertanto, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nellĠambito di applicazione della direttiva 2004/80, bens“ solo del diritto nazionale. 14 Orbene, in una situazione puramente interna, la Corte non , in linea di principio, competente a statuire sulla questione posta dal giudice del rinvio. 15 é vero che, secondo una giurisprudenza costante, anche in una simile situazione, la Corte pu˜ procedere allĠinterpretazione richiesta nellĠipotesi in cui il diritto nazionale imponga al giudice del rinvio, in procedimenti come quello principale, di riconoscere ai cittadini nazionali gli stessi diritti di cui il cittadino di un altro Stato membro, nella stessa situazione, beneficerebbe in forza del diritto dellĠUnione (v., in particolare, sentenza del 21 febbraio 2013, Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C.111/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, non spetta alla Corte prendere lĠiniziativa in tal senso se dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta che al giudice del rinvio  effettivamente imposto siffatto obbligo (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Omalet, C.245/09, Racc. pag. I.13771, punti 17 e 18). 16 Infatti, la Corte  tenuta a prendere in considerazione, nellĠambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dellĠUnione e i giudici nazionali, il contesto di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dalla decisione di rinvio (sentenza del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C.378/07 a C.380/07, Racc. pag. I.3071, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 17 Orbene, nel caso di specie,  sufficiente constatare che, mentre la Commissione europea ha sostenuto nelle sue osservazioni scritte che siffatto obbligo deriva dal diritto costituzionale italiano, dalla decisione di rinvio stessa non risulta che il diritto italiano imponga al giudice del rinvio di riconoscere alla sig.ra C. gli stessi diritti di cui un cittadino di un altro Stato membro, nella medesima situazione, beneficerebbe in forza del diritto dellĠUnione. 18 Ne consegue che, sul fondamento dellĠarticolo 53, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, la Corte  manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Tribunale ordinario di Firenze. Sulle spese 19 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) cos“ provvede: La Corte di giustizia dellĠUnione europea  manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Tribunale ordinario di Firenze (Italia). Corte di appello di Roma, ordinanza 9 maggio 2014 R.G. 7072/2013 -Pres. Roberto Reali, Rel. Francesco Ferdinandi. (...) ritenuto che per quanto apprezzabile in questa sede di sommaria delibazione e fatta salva ogni diversa valutazione in sede di merito, le ragioni poste dall'avvocatura dello Stato a fondamento dell'appello incidentale appaiono provviste di adeguato ÒfumusÓ sembrando che la direttiva CE 80/2004 ed il sistema indennitario ivi previsto possano trovare applicazione al solo caso di reato intenzionale violento commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, come opinato dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con recentissima ordinanza (ord. 30.1.14, causa C-122/13), sulla base del considerando settimo, ove si precisa che la direttiva stabilisce un sistema dl cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso allĠindennizzo nelle situazioni transfrontaliere e del considerando undicesimo, ove si prevede che venga ad essere introdotto un sistema di cooperazione tra le autoritˆ degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo nei casi in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede; che ricorre anche il pericolo nel ritardo, sussistendo il fondato timore che lo Stato non possa ripetere quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado, avuto riguardo alle condizioni economiche di G.A.M., che essa stessa ebbe a prospettare come precarie nell'atto di citazione dinanzi il Tribunale, rappresentando che aveva potuto affrontare le spese del funerale della vittima solo grazie all'aiuto dei parenti; PQM sospende l'esecutivitˆ della sentenza n. 22327/13 del Tribunale di Roma depositata il 8.11.13 nel procedimento n 62440/09 RG, e fissa per le conclusioni l'udienza del 23.1.18, ore 9,30. Cos“ deciso in Roma, li 6.5.14 Cittadinanza extracomunitaria ed accesso ai pubblici impieghi TRIBUNALE PERUGIA, SEZ. LAVORO, ORDINANZA 27 MARZO 2014, R.G. 2272/2013 Ugo Adorno* Da: Ugo Adorno [mailto:ugo.adorno@avvocaturastato.it] Inviato: mar 08/04/2014 12.53 A: Montagnoli Riccardo; Bellisario Dario; Capaldo Lorenzo; Laura Paolucci; Avvocati_tutti Oggetto: Cittadinanza non UE e accesso ai pubblici impieghi. ... in materia di ÒdiscriminazioneÓ lamentata da cittadini extracomunitari nel- lĠaccesso ai pubblici impieghi, ... trasmett[o] lĠordinanza con cui il Tribunale del lavoro di Perugia ha rigettato la domanda proposta da una extracomunitaria docente, che contestava la sua esclusione dalle GAE. LĠordinanza (art. 702-bis cpc) si segnala per lĠequilibrio delle riflessioni, del tutto scevre da connotazioni di politica sociale. In punto di fatto, il giudice ha affermato che la ricorrente aveva acquisito lo status di titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo nel 2102, dopo, cio, che le graduatorie scolastiche erano state trasformate in GAE e chiuse (con alcune tassative eccezioni) a nuovi inserimenti a prescindere dalla cittadinanza. Ne segue che la stessa non poteva lamentare alcuna discriminazione, non potendo ella conseguire un bene della vita precluso a chiunque, a prescindere dalla cittadinanza. Con la precisazione che tutto ci˜ non riguarda la situazione futura, in cui per effetto dellĠattuazione, nellĠordinamento interno, del disposto della direttiva comunitaria 109/03, con la modifica dellĠart. 38 TUPI, la straniera lungo soggiornante avrˆ diritto allĠinserimento nelle graduatorie dĠistituto al pari dei cittadini italiani. In punto di diritto, lĠordinanza, nel dare atto della peculiaritˆ della materia dellĠaccesso ai pubblici impieghi (artt. 51 e 98 Cost.), ha rilevato che lĠadempimento a un obbligo comunitario (reso necessario anche dallĠapertura di procedura di infrazione nei confronti dellĠItalia) con previsione eccezionale (e di stretta interpretazione) estensiva della possibilitˆ di accedere al p.i. a individuate categorie di soggetti, conferma che tale possibilitˆ non riguarda, nŽ pu˜ riguardare, extracomunitari appartenenti a categorie differenti, cio non in possesso di titolo di soggiorno di lunga durata: lĠaccesso al pubblico impiego non concerne diritti in materia civile (di cui allĠart. 2 comma 2 TUI e alla convenzione OIL), nŽ si pu˜ riscontrare violazione del d. l.gs. n. 215/03 (*) Avvocato dello Stato. Unitamente alla ordinanza segnalata dallĠavv. Adorno - per mezzo di posta elettronica come da prassi consolidata per scambio/condivisione in tempo quasi reale di aggiornamenti giurisprudenziali - se ne pubblica lĠabstract. che (art. 2 comma 3) esclude dal suo ambito di applicazione le differenze di trattamento basate sulla nazionalitˆ, nŽ vi  violazione dellĠart. 14 CEDU che concerne il godimento di diritti e libertˆ fondamentali fra cui non rientra lĠaccesso al pubblico impiego. Conclude, al riguardo, il provvedimento rilevando che Òil fatto che la legge riconosca l'accesso al pubblico impiego solo a categorie di cittadini stranieri che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e non occasionale con il territorio dello Stato o tutelate in virt del peculiare statuto internazionale (si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perchŽ la diversitˆ di trattamento non appare irragionevole, anche in considerazioni delle peculiaritˆ tipiche dello statuto del pubblico impiego, come disegnato dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 CostÓ. Ugo Adorno Tribunale di Perugia, Sezione lavoro, ordinanza 27 marzo 2014, n. 2272 R.G. anno 2013 -Giud. Marco Medoro - S.X.D. (avv. Ballerini) c. Ministero Istruizione, Universitˆ e Ricerca, Ufficio Scolastico regionale per lĠUmbria (avv. distr. Stato Perugia). 1. X.S.D. si  rivolta a questo Tribunale per sentire dichiarare il carattere discriminatorio del- l'art. 8 del D.M. 44/2011, nella parte in cui subordina l'accesso alle graduatorie provinciali ad esaurimento del personale docente al requisito della cittadinanza italiana o di uno stato membro dell'U.E. e per ottenere che venga ordinato al MIUR di cessare il comportamento discriminatorio tenuto nei confronti dei cittadini "extracomunitari" e della ricorrente in particolare e, per l'effetto, condannare il suddetto Ministero ad inserire la ricorrente (senza alcuna riserva afferente la cittadinanza) nelle graduatorie sopra menzionate per l'insegnamento della lingua inglese nonchŽ a risarcire alla stessa "i danni tutti patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi" per effetto della discriminazione subita. Il giudizio, originariamente radicato presso il Tribunale di Genova,  stato riassunto dinanzi a questo Ufficio a seguito di ordinanza dichiarativa dell'incompetenza emessa dal primo Giudice. A sostegno delle domande, ha spiegato atto di intervento l'organizzazione sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. 2. In via del tutto preliminare, in accoglimento dell'eccezione sollevata dalle parti resistenti, va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione l'intervento ad adiuvandum dell'organizzazione sindacale FLC-CGIL Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. L'organizzazione sindacale argomenta, al riguardo, che, qualora il rapporto oggetto di causa venisse considerato "analogo a quello di lavoro", il suo diritto di prendere parte al processo sarebbe indiscutibile, in quanto si tratterebbe di giudizio che ella avrebbe addirittura potuto incardinare autonomamente quale ente esponenziale riconosciuto di interessi collettivi ai sensi dell'art. 44, comma 10, del d.lgs. 286/1998. Aggiunge che, in ogni caso, avrebbe titolo a partecipare al processo in qualitˆ di soggetto impegnato sui temi della paritˆ tra italiani e stranieri e della solidarietˆ tra italiani e migranti. Ritiene il Giudicante che nessuna delle due argomentazioni sia convincente: quanto alla prima, la disposizione invocata dall'organizzazione ha carattere eccezionale, riferendosi alle sole relazioni lavorative in essere ed  perci˜ non estendibile in via interpretativa e - in ogni caso attribuisce la prerogativa di alfiere dell'interesse collettivo "alle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale", fattispecie che non si attaglia al caso in esame, in cui a volere intervenire  la Camera del Lavoro di Genova e non quella di Perugia. Quanto alla seconda, si tratta, all'evidenza, della spendita di un mero interesse di fatto, mentre  pacifico che la partecipazione ad un processo civile da parte di un terzo allo scopo di appoggiare l'azione o la resistenza altrui deve essere corroborato da un interesse che abbia una consistenza giuridicamente riconosciuta (cfr, ex multis, Cass., sez. III, 1111/2003; sez. I, 5736/1993). 3. Sempre in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilitˆ del ricorso proposto nei confronti dell'Istituto scolastico "Cavallotti" per difetto di legittimazione passiva: in materia di rapporto di lavoro scolastico, il MIUR e l'USR sono le sole amministrazioni provviste di legittimazione a resistere in giudizio, il primo, quale unico potenziale datore di lavoro della docente ricorrente e il secondo in forza dell'espresso disposto dell'art. 8 del d.p.r. 17/2009 (come modificato dal d.p.r. 132/2011). 4. Nel merito, il ricorso  infondato e deve essere rigettato per le considerazioni dappresso esposte, nell'ambito della cognizione sommaria tipica della presente sede. 4.1 Espone la ricorrente: -di essere cittadina albanese regolarmente soggiornante in Italia in forza di permesso di soggiorno di durata illimitata rilasciato dalla Questura di Perugia successivamente ad un primo titolo temporaneo rilasciato dalla medesima autoritˆ per motivi di famiglia; - di avere fatto ingresso in Italia nel 2007 assieme al marito S.G. e al figlio minorenne S. A. al fine di sottoporre quest'ultimo a cure mediche necessarie ed urgenti; -di avere deciso di fissare stabilmente la propria residenza in Italia e di avere perci˜ chiesto al Miur il riconoscimento del titolo professionale acquisito in Albania; -di avere presentato, in data 8.5.2009, istanza di iscrizione nelle graduatorie per il personale docente e di esservi stata ammessa con riserva, in attesa del superamento dell'esame di lingua italiana presso l'Universitˆ per Stranieri di Perugia e di avere tempestivamente comunicato il superamento dell'esame avvenuto nel maggio 2010; - di avere stipulato con 1'IPSAARCT "Cavallotti" di Cittˆ di Castello un contratto a termine quale supplente di lingua inglese dal 12.1.11. al 3.4.11 e che, tuttavia, il dirigente scolastico dell'istituto, il 19.5.2011, dando atto di avere commesso un errore, in quanto la docente risultava inserita in graduatoria con riserva, salvo il trattamento economico corrisposto, negava il riconoscimento del servizio prestato ai fini giuridici; -che in seguito il Miur non consentiva il suo accesso alle graduatorie, confermando la propria decisione anche in seguito a reclamo, spiegando che ostava allo scopo la mancanza del requisito della cittadinanza italiana e mantenendo detto avviso anche a seguito di diffide inoltrate a mezzo legale; - che il Miur non ha provveduto a modificare il proprio orientamento sebbene sul punto l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR istituito presso il dipartimento Pari Opportunitˆ della Presidenza del Consiglio dei Ministri) abbia formulato l'ipotesi che l'esclusione della docente dalle graduatorie ad esaurimento costituisca una discriminazione diretta in quanto espressione di un trattamento diseguale in ragione della cittadinanza di uno Stato esterno all'U.E. 4.2 Argomenta, quindi, la ricorrente, in punto di diritto: -che l'esclusione dalle graduatorie sarebbe discriminatoria in quanto fondata sull'unica ragione della carenza del requisito della cittadinanza italiana o di altro Stato appartenente all'U.E. ed avrebbe leso l'affidamento ingenerato nella stessa in ordine alla possibilitˆ di prestare servizio come docente per effetto di assunzione a termine da parte dell'Istituto "Cavallotti" e, ancor prima, per essere stata indotta dal Miur a completare la procedura di abilitazione all'insegnamento sostenendo l'esame di italiano e da ci˜ deriverebbe il diritto ad essere inserita nelle graduatorie ed ottenere il risarcimento dei danni sofferti; -che le disposizioni regolamentari che ne precludono l'accesso alle graduatorie violano gli art. 2 e 43 del d.lgs. 286/1998 essendo fondate su una diversificazione di trattamento in base alla cittadinanza; - che nella medesima direzione militerebbero le disposizioni della convenzione OIL n. 143/1975, ratificata dall'Italia, l'art. 14 della CEDU ed altre disposizioni settoriali (dettate in materia di persone cui  riconosciuto lo status di rifugiato, lettori universitari); -che, da ultimo, la direttiva 2003/109 CE, attuata dal d.lgs. 3/2007 e dalla legge 97/2013 consente ai cittadini di Stati estranei all'U.E., titolari di permessi di soggiorno di lunga durata, di accedere a pubblici impieghi eccezion fatta per quelli che comportino l'esercizio di poteri pubblici. 5. Le doglianze della ricorrente vanno esaminate dividendo - in quanto profondamente differenti - le situazioni in fatto e in diritto, rispettivamente, successive e precedenti all'acquisto, da parte della ricorrente, della qualitˆ di titolare di permesso di soggiorno di lunga durata. Ci˜ alfine di verificare se in detti stati e con riferimento al bene della vita negato dal Miur alla ricorrente ed oggetto dell'odierna lite, che  costituito dalla pretesa di inserimento nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, sia stata consumata o meno una discriminazione ai sensi dell'art. 43, primo comma, del d.lgs. 286/1998. 5.1 Con riguardo alla situazione pi recente ed attuale, va rilevato che la ricorrente ha acquistato lo status di titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo in data 27.10.2012 (doc. 1 fasc. ric.) e cio decorsi cinque anni dal suo ingresso regolare in Italia (pag. 2 ricorso) ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. 286/1998 come interpolato dal d.lgs. 3/2007 attuativo della direttiva 2003/109 CE (cfr in particolare art. 4). Va con ci˜ esclusa la rilevanza di tale status ai fini di indagare la discriminazione denunciata e ci˜ non solo perchŽ questa si riferisce ad atti gestori posti in essere dal Miur in periodi precedenti al 27.10.2012, ma soprattutto perchŽ le graduatorie provinciali per i docenti sono state definitivamente chiuse a nuovi ingressi (restando possibili solo aggiornamenti del punteggio e trasferimenti da una graduatoria provinciale all'altra) per effetto dell'art. 1, comma 605, lett. c) della legge 296/2006, vigente dal 1.1.2007, ad eccezione degli inserimenti - per il biennio 2007-08 - dei docenti giˆ in possesso di abilitazione o in procinto di conseguirla in quanto frequentanti i corsi abilitanti speciali ex dl. 97/2004, i corsi di specializzazione all'insegnamento secondario (SISS) o i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), o quelli di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il corso di laurea in Scienza della formazione primaria. In altri termini, la ricorrente non pu˜ sostenere che il rifiuto di farla accedere alle graduatorie provinciali ad esaurimento sia discriminatorio traendo spunto dalla normativa che tutela i titolari di permesso di soggiorno di lunga durata giacchŽ ella ha acquisito detto status quando le graduatorie in questione erano chiuse per legge da anni a ingressi di nuovi docenti e ci˜ a prescindere dalla cittadinanza posseduta dagli stessi e, peraltro, in quanto oggetto di doglianza sono condotte precedenti all'acquisizione del permesso in questione. Occorre rilevare - per mera completezza di analisi - che, per effetto dell'approvazione della legge 6.8.2013 n. 97 (c.d. legge europea), a decorrere dal 4.9.13, l'art. 38 del d.lgs. 165/2001 (c.d. T.U.P.I.)  stato modificato recependo pienamente gli obiettivi imposti dalla direttiva 2003/109 CE relativa allo status dei cittadini di paesi esterni all'U.E. titolari di permesso di lungo soggiorno, cos“ che i suddetti, al pari dei cittadini dell'Unione, possono oggi accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche ". . . che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale" demandando ad un successivo D.P.C.M. l'individuazione concreta di detti posti e dei requisiti necessari per l'accesso ai posti in questione dei cittadini di paesi stranieri. Ne consegue che attualmente non pare revocabile in dubbio, in assenza del decreto attuativo della norma primaria (ma si pu˜ prendere come tertium comparationis il D.P.C.M. 7.2.1994 N. 174 con ci˜ escludendo che la docenza costituisca una funzione che comporta esercizio di poteri pubblici), che la ricorrente ha la possibilitˆ di accedere all'insegnamento al pari di una cittadina italiana o di altro Stato dell'U.E., per esempio attraverso supplenze conferite attingendo il suo nome dalle graduatorie di istituto, ma ci˜ ovviamente non le consente di accedere ad opportunitˆ (quale  l'iscrizione alle graduatorie provinciali ad esaurimento) precluse ratione temporis per legge a tutti i docenti, quale ne sia la cittadinanza. 5.2 Ritiene il Tribunale che la denunciata discriminazione non sussista nemmeno con riferimento all'esclusione dalle graduatorie della ricorrente come cittadina di Stato esterno all'U.E. tout court. Va premesso che l'accesso al pubblico impiego costituisce materia connotata da un'insopprimibile peculiaritˆ, che deriva direttamente dalla Costituzione che, all'art. 51, chiarisce che l'estensione di tale prerogativa a categorie diverse dai cittadini dello Stato italiano  un'eccezione, il perimetro della quale deve essere disegnato dalla legge ordinaria e ci˜ in quanto l'art. 98 Cost. prevede che gli impiegati pubblici sono vincolati ad un servizio da prestare "nell'esclusivo interesse della Nazione". La disamina del quadro normativo attuale non autorizza a ritenere che ai cittadini di Stati non appartenenti all'U.E. che non siano titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sia stato attribuito il diritto ad accedere al pubblico impiego. Proprio il fatto che la legge europea del 2013 (n. 97 del 6.8.13) - che si prefigge lo scopo di attuare pienamente gli obblighi stabiliti dalla direttiva 109/2003 CE - ha sancito ai fini che ci occupano la completa parificazione ai cittadini italiani e comunitari dei cittadini di Stati esterni all'U.E. purchŽ titolari di permesso di lungo soggiorno, dimostra che coloro che sono sprovvisti di detto titolo non sono posti sullo stesso piano dei primi. Del resto, la novella in questione ha, per definizione, carattere eccezionale giacchŽ estende, come si  detto, una prerogativa in linea di principio riservata ai possessori dello status civitatis e la sua approvazione  stata preceduta da una procedura di infrazione (casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/HOME citati nella rubrica dell'art. 7 della legge 97/13) aperta dalla Commissione U.E. nei confronti del- l'Italia proprio a causa dell'inesatto adempimento degli obblighi imposti dalla direttiva 109/2003. Il fatto che ci sia stato bisogno di un'apposita disposizione per affermare che gli stranieri titolari di permesso di lungo soggiorno possono accedere ai posti di impiego pubblico non comportanti esercizio di poteri pubblici conferma che tale prerogativa non era contemplata -in violazione della direttiva 109/2003 - dall'ordinamento interno precedente e che parimenti, allora come adesso, detta prerogativa non riguarda gli stranieri non titolari di permesso di soggiorno di lunga durata. 5.3 Sebbene le osservazioni sin qui svolte appaiano assorbenti, mette conto rilevare che le conclusioni qui formulate non mutano alla luce degli altri parametri normativi invocati dalla difesa della ricorrente. In particolare, appare inconferente ai fini che ci occupano l'art. 2, comma 2 del d.lgs. 286/1998 che attribuisce ai cittadini di Stati esterni all'U.E. l'eguaglianza dei diritti in materia civile, e del successivo comma 3 che richiama la convenzione OIL n. 143/1975 ratificata dall'Italia con la legge n. 158/1981, che non contiene alcuna norma che attribuisce ai cittadini stranieri il diritto di accesso al pubblico impiego. Inconferenti sono anche i riferimenti della difesa della ricorrente all'art. 49 del d.p.r. 349/1999, regolamento attuativo del testo unico in materia di cittadini stranieri, che riguarda il riconoscimento dei titoli abilitanti all'esercizio delle professioni e al d.lgs. 215/2003, inerente misure contro le discriminazioni basate sulla razza e l'origine etnica, attesa anche l'inequivocabile specificazione dell'art. 3, comma 2 di detta fonte: "Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalitˆ e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, nŽ qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti". Confermano e non smentiscono l'assunto precedentemente esposto, in ragione del carattere di specialitˆ che le caratterizza, le norme dettate in materia di lettori e professori universitari (art. 27 del d.lgs. 286/1998) e di rifugiati (art. 25 d.lgs. 251/2007). Se l'ordinamento avesse previsto, in via generale e illimitata, che tutti i cittadini stranieri potessero accedere ai pubblici impieghi non comportanti l'esercizio di pubblici poteri, non vi sarebbe stata alcuna ragione di stabilire, nella seconda disposizione citata che "é consentito al titolare dello status di rigiato l'accesso al pubblico impiego, con le modalitˆ e le limitazioni previste per i cittadini del- l'Unione europea". Da ultimo, non pertinente  il riferimento all'art. 14 della CEDU che vieta ogni forma di discriminazione riguardante il godimento dei diritti e delle libertˆ fondamentali riconosciute dalla stessa convenzione, tra le quali non v' l'accesso a pubblici impieghi e senza limiti a cittadini stranieri. 5.4 Alla luce delle considerazioni tutte sin qui esposte, deve concludersi nel senso che la ricorrente non ha subito, una discriminazione illegittima ad opera del Miur, ma semplicemente l'applicazione delle disposizioni regolamentari applicative dell'art. 70, comma 13, del T.U.P.I. che, richiamando il d.p.r. 487/1994, riservava l'accesso al pubblico impiego ai cittadini italiani e a quelli di Stati dell'U.E., eccettuati i casi previsti dal D.P.C.M. 7.2.1994. Non vi sono ragioni per ritenere l'assetto normativo sin qui descritto seriamente sospetto di illegittimitˆ costituzionale: il fatto che la legge riconosca l'accesso al pubblico impiego solo a categorie di cittadini stranieri che hanno dimostrato di avere instaurato un legame stabile e non occasionale con il territorio dello Stato o tutelate in virt del peculiare statuto internazionale (si pensi ai rifugiati) non sembra confliggere con l'art. 3 Cost. perchŽ la diversitˆ di trattamento non appare irragionevole, anche in considerazioni delle peculiaritˆ tipiche dello statuto del pubblico impiego, come disegnato dallo stesso Costituente agli artt. 51 e 98 Cost. Tale convincimento non  toccato dall'ordinanza n. 139/2011 della Corte Costituzionale menzionata dalla difesa della ricorrente che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimitˆ costituzionale dell'art. 38 TUPI sollevata dal Tribunale di Rimini, nella parte in cui detta norma preclude l'accesso al pubblico impiego dei cittadini di paesi esterni all'U.E., si  limitata a rilevare che l'ordinanza di rimessione era palesemente contraddittoria in quanto, pur avendo sostenuto una lettura delle norme che avrebbe superato il dubbio di costituzionalitˆ ipotizzato, ha posto la questione sol perchŽ l'amministrazione resistente in quel giudizio sosteneva una tesi differente senza con ci˜ patrocinare alcuna particolare ipotesi ermeneutica. 6. Le domande articolate non possono trovare accoglimento neppure in base al preteso affidamento che la ricorrente sostiene avere maturato in ragione del comportamento tenuto dal- l'amministrazione. é dirimente osservare al riguardo che, anche ammesso che dal compimento di atti gestori contra legem possa derivare un affidamento, la lesione dello stesso pu˜ determinare, al pi, il risarcimento dei danni sofferti per avere ragionevolmente confidato nell'acquisizione di un certo diritto, nella misura dell'interesse negativo (ai sensi dell'art. 1337 c.c.) consistente nell'attribuzione di una somma equivalente a ci˜ che si  perduto per avere investito in una prospettiva poi non realizzatasi e non certamente l'attribuzione di un bene della vita che l'ordinamento non riconosce (cfr Cass., 21700/13; 14333/2003). 7. Il rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non, "patiti e patiendi" dalla ricorrente discende automaticamente da quanto statuito nei punti precedenti e, in ogni caso, consegue dal fatto che la pretesa non  sorretta, prima che dalla prova, neppure dall'individuazione delle voci di danno che dovrebbero essere ristorate. Il fatto che l'art. 28 del d.lgs. 150/11 consenta espressamente che, con l'ordinanza definitoria del giudizio, il Giudice possa statuire sul risarcimento del danno, anche non patrimoniale (comma 5) non dispensa la ricorrente dagli oneri di allegazione e prova di avere sofferto il pregiudizio di cui chiede il ristoro. 8. Visto l'art. 92 c.p.c., la complessitˆ della materia del contendere, esaltata dalla sommarietˆ del rito con cui la stessa viene trattata e l'esistenza di tensioni giurisprudenziali costituiscono ragioni sufficientemente gravi ed eccezionali per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Visti gli artt. 44 del d.lgs. 286/1998, 28 del d.lgs. 150/2011 e 702 ter c.p.c.: - dichiara inammissibile l'intervento di FLC-CGIL - Camera del lavoro metropolitana di Genova; - dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell'Istituto Professionale per i servizi alberghieri e ristorazione IPSSARCT F. Cavallotti" di Cittˆ di Castello; -respinge nel resto il ricorso; -compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa. Il Giudice Marco Medoro Si comunichi. Perugia, 27/03/2014 Le astreintes nel processo civile e amministrativo CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 25 GIUGNO 2014 N. 15 (*) Francesco Maria Ciaralli** SOMMARIO: Premessa - 1. Le origini e la natura dellĠistituto. Profili comparatistici - 2. Le astreintes nellĠordinamento italiano. LĠart. 614 bis c.p.c. - 3. Le misure coercitive indirette in diritto amministrativo. LĠart. 114 c.p.a. a confronto con lĠastreinte civilistico - 4. Il perimetro applicativo dellĠastreinte secondo il Consiglio di Stato - 5. Rilievi conclusivi. Premessa LĠesigenza di evitare che Òuna decisione giudiziale definitiva e vincolante resti inoperante a danno di una parteÓ (1)  allĠorigine della ricerca di strumenti compulsori suscettibili di indurre il soccombente ad eseguire la sentenza. LĠesecuzione diretta, infatti, che consente di realizzare in via immediata (*) Sentenza giˆ segnalata dallĠavv. Stato DĠAvanzo con lĠe-mail che integralmente si riproduce: Da: Gabriella D'Avanzo [mailto:gabriella.davanzo@avvocaturastato.it] Inviato: gio 10/07/2014 16.51 A: Avvocati_tutti Oggetto: Astreinte art. 114, comma 4 lett. e) c.p.a. Con la recente sentenza n. 15 del 2014 il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, ha affermato il seguente principio di diritto secondo cui ÒNellĠambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalitˆ di mora di cui allĠart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo,  ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniariaÓ. La stessa pronuncia, tuttavia, si pronuncia in senso favorevole sul secondo ordine di motivi da noi proposto (e cio che doveva ritenersi del tutto illegittima la liquidazione ÒautomaticaÓ della predetta misura, visto che la disposizione in esame consente il riconoscimento previa verifica dei presupposti cui il legislatore ha inteso subordinare la condanna) affermando che: ÒlĠart. 114, comma 4 lett. e c.p.a., proprio in considerazione della specialitˆÉ del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltˆ nel- lĠadempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquitˆ, previsto nel codice di rito civile (art. 614 bi c.p.a.) quello del tutto autonomo della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando lĠassenza di preclusioni astratte sul piano dellĠammissibilitˆ, spetterˆ allora al giudice dellĠottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale, sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dellĠammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne lĠimporto Ó. é, pertanto, opportuno sollecitare lĠAmministrazione intimata a comunicarci con assoluta tempestivitˆ quali adempimenti siano stati posti in essere per dare corso alle richieste dei ricorrenti, o le ragioni della mancata esecuzione del giudicato, posto che lĠomessa produzione, da parte del debitore pubblico, di osservazioni sul punto indurrˆ, Òin sede di verifica concretaÓ, il giudice dellĠottemperanza a ritenere la sussistenza dei presupposti stabiliti dallĠart. 114 cit. per lĠapplicazione della sanzione di cui trattasi. Un caro saluti a tutti G (**) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. il diritto oggetto del procedimento, senza necessitˆ di cooperazione alcuna da parte del debitore, non costituisce strumento efficace nelle ipotesi in cui la partecipazione dellĠobbligato sia necessaria per conseguire il soddisfacimento del creditore. I mezzi esecutivi indiretti mirano, viceversa, ad ÔindurreĠ lĠobbligato ad osservare quella condotta collaborativa che  indefettibile ai fini della realizzazione del diritto creditorio, provocando ÒlĠadempimento mediante minaccia allĠobbligato di una sanzione che gli arrechi uno svantaggio pi grave di quello che gli arreca lĠadempimentoÓ (2). Il principale mezzo di coercizione indiretta, recentemente introdotto nellĠordinamento processuale italiano ma giˆ da tempo noto in altre esperienze europee, si rinviene nel c.d. astreinte, definito come strumento a carattere esclusivamente patrimoniale che ha lo scopo di incentivare lĠesecuzione di una sentenza attraverso la minaccia di condanna al pagamento di una somma di denaro, che diviene concreta nel caso di mancata o tardiva esecuzione del provvedimento del giudice (3). Tale strumento di coazione indiretta  attualmente operante, sia pur con talune rilevanti differenze, sia nel processo civile che in quello amministrativo (4). Proprio lo iato venutosi a creare nella formulazione del medesimo istituto da parte dei due codici di rito ha indotto il Consiglio di Stato a chiarire la ratio, i limiti e le peculiaritˆ dellĠastreinte nel processo amministrativo, pronunciando in Adunanza Plenaria la sentenza numero 15 del 25 giugno 2014, qui in commento. (1) Cos“ ha statuito la Corte Europea dei Diritti dellĠUomo in due arresti, sent. Hornsby c. Grecia, 13 marzo 1997, nonchŽ Ventorio c. Italia, 17 maggio 2011, entrambe disponibili sul sito istituzionale della Corte. La relazione intercorrente tra lĠirrogazione delle astreintes e le garanzie poste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali  attentamente presa in considerazione dalla dottrina francese. In particolare, parte della dottrina sostiene lĠestensione delle garanzie previste in materia penale anche ai procedimenti in esito ai quali vengono applicate astreintes, sulla base del carattere sostanzialmente afflittivo delle stesse (DECOCQ, LĠapplication de la Convention europŽenne aux procŽdures communautaires de concurrence pouvant aboutir ˆ des amendes ou ˆ des astreintes, in MŽlanges en hommage ˆ Louis Edmond Pettiti, Bruxelles, 1998, pp. 298 ss.). (2) PROTO PISANI, Appunti sullĠesecuzione forzata, in Foro italiano, 1994, V, p. 306. (3) CAPPONI, Astreintes nel processo civile italiano?, in Giustizia civile, 1999, n. 4, p. 157. (4) LĠart. 614 bis, rubricato ÒAttuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fareÓ,  stato inserito nel codice di procedura civile dallĠart. 49, comma primo, l. 18 giugno 2009, n. 69, con efficacia a decorrere dal 4 luglio 2009. LĠart. 114, comma quarto, lett. e), codice del processo amministrativo, recato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, prevede in sede di ottemperanza lĠirrogabilitˆ, su richiesta di parte, della condanna a versare una determinata somma di denaro per ogni violazione, inosservanza o ritardo del soccombente nellĠesecuzione della sentenza. Le analogie e differenze tra lĠapplicazione delle astreintes nel processo civile e amministrativo sono esaminate funditus infra. 1. Le origini e la natura dellĠistituto. Profili comparatistici. Per quanto la funzione essenziale perseguita dallĠastreinte sia la medesima in tutti gli ordinamenti nei quali  in vigore, lĠistituto si atteggia diversamente per alcuni tratti della disciplina che ne determinano portata e incisivitˆ. Le prime applicazioni dei mezzi di esecuzione indiretta si rinvengono nel diritto romano classico, giusta il quale, nei casi di condanna a rilasciare un fondo o a realizzare un opus, Òsi stabiliva che il soccombente avrebbe dovuto in difetto pagare una somma pari ad una multa del valore del fondo o del- lĠopera da realizzareÓ (5). Giova porre in rilievo che secondo il diritto romano i mezzi di coazione indiretta erano irrogabili per assicurare lĠesecuzione di qualunque sentenza di condanna, a prescindere dalla fungibilitˆ dellĠoggetto, e si configuravano come misure alternative allĠesecuzione. Viceversa, in epoca medievale lĠapplicazione degli strumenti di induzione allĠadempimento era circoscritta ai casi in cui lĠinteresse del creditore non potesse essere soddisfatto attraverso lĠesperimento dellĠesecuzione diretta, abbisognando necessariamente della partecipazione del debitore. In Francia, madrepatria dellĠastreinte e precursore - ancora una volta delle novelle codicistiche italiane, tale mezzo di coazione  stato per la prima volta formalizzato da una sentenza del Tribunale di Cray del 1811, mediante la quale il soccombente fu condannato a Òcompiere una pubblica ritrattazione sotto pena di dover pagare tre franchi per ogni giorno di ritardo nellĠadempimentoÓ (6); conseguentemente, lĠastreinte fu strutturato come una pena privata, non avente il fine di riparare un pregiudizio bens“ quello di ÒstimolareÓ il soccombente a conformarsi tempestivamente allo iussum del giudice (7). LĠart. 1036 dellĠabrogato codice di procedura civile stabiliva che: ÒLes tribunaux, suivant a gravit des circostances, pourront, dans les causes dont ils seront saisis, pronocer, meme dĠoffice, des injonctionsÓ, le quali si qualificavano come vera e propria sanzione accessoria avente il fine di colmare il vuoto tra i tradizionali mezzi di esecuzione forzata e la ÒrassegnazioneÓ allĠinadempimento dellĠordine giudiziale (8). La legge 5 luglio 1972, n. 626, ha qualificato lĠastreinte come sanzione (5) CRIVELLI, Penalitˆ di mora, astreintes, figura consimili, in I danni risarcibili nella responsabilitˆ civile, Il danno in generale, Torino, 2005, p. 462. (6) TRAPUZZANO, Le misure coercivite indirette, Padova, 2011, p. 27 s. (7) LĠart. 6, legge 5 luglio 1972, qualifica lĠastreinte come ÒindŽpendente des dommages-intŽretsÓ e dunque se ne palesa la natura di sanzione civile indiretta, mirante a punire lĠinosservanza di un ordine e non a riparare un pregiudizio patrimoniale. Occorre rilevare che nellĠordinamento francese lĠastreinte, antecedentemente alla menzionata legge del 1972, si configurava come un istituto di diritto pretorio, nato dallĠesigenza di superare il principio della piena alternativitˆ tra risarcimento del danno ed esecuzione in forma specifica sancito dal Code NapolŽon, in ossequio ai canoni liberal-individualistici di ripulsa da ogni mezzo coercitivo che colpisse la sfera giuridica dei privati. oggetto di condanna accessoria il cui adempimento non estingue lĠobbligazione principale. Conseguentemente, il soccombente pu˜ essere condannato a corrispondere un determinato importo al creditore vittorioso a prescindere dallĠallegazione di un danno ed in aggiunta al risarcimento del medesimo, stante la cumulabilitˆ della misura reintegrativa con quella sanzionatoria. Inoltre, per quanto concerne la giustizia amministrativa, la legge 8 febbraio 1995 ha conferito sia ai Tribunaux Administratifs sia alle Cours Administratives dĠAppel il potere di irrogare a carico dellĠAmministrazione, giˆ in sede di pronuncia sul merito, lĠastreinte in funzione dissuasiva per ogni successivo inadempimento alla sentenza. Occorre rilevare che nellĠordinamento francese, al pari di quello romano, lĠastreinte  comminabile per indurre il soccombente ad eseguire ogni sentenza di condanna, non rilevando che la condotta ordinata sia infungibile, come statuito peraltro dalla giurisprudenza di legittimitˆ in numerosi arresti (9). Da ci˜ discende che lo strumento in esame  costruito, nellĠordinamento francese, come mezzo sanzionatorio che giustifica un trasferimento di ricchezza dal soccombente inadempiente al creditore vittorioso e che, in ossequio alla sua natura meramente compulsorio-retributiva, mira a ÒpunireÓ lĠinosservanza di ogni tipo di sentenza di condanna, indipendentemente dalla fungibilitˆ della prestazione ordinata dal giudice. Ulteriore conseguenza  la possibilitˆ di concorso tra due distinte procedure esecutive, una per lĠastreinte e lĠaltra per lĠesecuzione forzata della prestazione originaria (10). Emerge qui una rilevante differenza tra la struttura dellĠastreinte vigente nel diritto processuale francese ed i connotati essenziali degli analoghi strumenti diffusi negli altri ordinamenti europei. La natura compulsoria dellĠistituto, infatti, mirante a punire una disobbedienza allĠordine del giudice prescindendo dallĠallegazione e dalla dimostrazione di un qualunque pregiudizio sub“to dal creditore, ha indotto i legislatori tedesco ed inglese ad individuare nello Stato il destinatario dellĠimporto che il soccombente inadempiente  condannato a corrispondere (11). (8) PERROT, LĠeffettivitˆ dei provvedimenti giudiziari nel diritto civile, commerciale e del lavoro in Francia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, p. 1588, riportato in CRIVELLI, op. cit., p. 463. (9) Si veda la decisione del 20 dicembre 1993, in Bullettin Civil de la Cour de Cassation, 1993, I, p. 380. (10) TRAPUZZANO, op. cit., p. 29. (11) Sia la misura coercitiva tedesca (Zwangsgeld) sia quella inglese (Contempt of the Court) sono suscettibili di conversione in arresto qualora il patrimonio dellĠobbligato non sia capiente, in applicazione di istituti rispettivamente denominati Zwangsgeld/Ordnungshaft ed arrest for the Contempt of the Court. Per un esame approfondito delle applicazioni dellĠastreinte negli ordinamenti di civil law e common law, si veda PUCCIARIELLO - FANELLI, LĠesperienza straniera dellĠesecuzione forzata indiretta, in CAPPONI, LĠesecuzione processuale indiretta, Milano, 2011. Alla stregua della legislazione inglese e tedesca, dunque, non pu˜ tradursi in arricchimento del creditore vittorioso la sanzione irrogata per mera inosservanza di un comando dellĠautoritˆ giudiziaria, perchŽ altrimenti questĠultimo conseguirebbe un vantaggio patrimoniale surrogandosi, nei fatti, allo Stato il cui comando  rimasto ineseguito (12). Non si pu˜ omettere di rilevare, tuttavia, il deficit di effettivitˆ in cui lĠistituto dellĠastreinte cos“ concepito potrebbe incorrere qualora debitrice soccombente fosse una Pubblica Amministrazione, poichŽ in tal caso si verificherebbe il fenomeno per cui lo Stato persona sarebbe condannato a corrispondere una sanzione pecuniaria allo Stato comunitˆ, sub specie, tuttavia, proprio di unĠarticolazione dello Stato persona. UnĠulteriore articolazione si sviluppa poi tra gli ordinamenti inglese e tedesco, poichŽ in questĠultimo lĠastreinte pu˜ assistere esclusivamente gli obblighi di fare infungibile o di non fare, che non possono essere adempiuti senza la collaborazione del debitore e abbisognano quindi di uno strumento coercitivo - beninteso a carattere patrimoniale - di ÒpersuasioneÓ, non pleonastico con riferimento invece agli obblighi a contenuto fungibile, per la realizzazione dei quali lĠesecuzione forzata costituisce uno strumento sufficiente. Proprio le caratteristiche assunte dallĠistituto nei vari ordinamenti in cui  operante consentono di apprezzarne meglio la natura, unica nonostante le specificitˆ nazionali. Sul piano funzionale, la tutela coercitiva, mirante a prevenire la verificazione di un pregiudizio,  distinta dalla tutela risarcitoria, la quale ha invece lo scopo di neutralizzare successivamente un pregiudizio giˆ verificatosi, attraverso la reintegrazione in forma specifica del bene danneggiato o, nei casi in cui ci˜ non sia possibile, attraverso lĠattribuzione di una somma di denaro (13). Sul piano dogmatico, la dottrina, pressochŽ unanime (14), qualifica lĠastreinte come strumento di esecuzione indiretta che tende Òad influire sulla volontˆ dellĠobbligato perchŽ si determini a prestare ci˜ che deveÓ (15), cui si aggiunge la finalitˆ di retribuire la disobbedienza ad un ordine del giudice. Se questo  il tratto comune a tutte le applicazioni dellĠistituto, le legislazioni nazionali pongono diverso accento sulla finalitˆ compulsoria ovvero retributiva dellĠastreinte. (12) Soprattutto in Germania, lĠastreinte ha una marcata connotazione pubblicistica, Òla cui funzione prevalente  identificata dallĠesigenza di rafforzamento del prestigio e dellĠautoritˆ delle decisioni giudiziarieÓ (TRAPUZZANO, op. cit., p. 32). (13) TRAPUZZANO, op. cit., p. 96. (14) Autorevole, sia pur minoritaria, dottrina contesta che gli strumenti di coercizione indiretta rientrino nel novero dei mezzi esecutivi, in quanto miranti ad ottenere lĠosservanza di un precetto giuridico ad opera del debitore soccombente, sia pure attraverso il Òmeccanismo della coazione psicologicaÓ, mentre il quid proprium dei procedimenti esecutivi risiederebbe nel Òprescindere totalmente dalla volontˆ e dallĠattivitˆ del soggetto obbligatoÓ (MONTELEONE, Recenti sviluppi nella dottrina del- lĠesecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 1982, p. 296). Ove maggiore rilevanza viene annessa allĠesigenza di punire la disobbedienza ad una sentenza (Germania e Regno Unito), lĠastreinte  configurato come sanzione pecuniaria da corrispondere allo Stato, quale ente esponenziale anche del potere (giudiziario) la cui decisione  stata colpevolmente disattesa. Ove, invece, fa premio lĠesigenza di assicurare la realizzazione dellĠinteresse creditorio (Francia), lĠimporto  direttamente devoluto alla parte che ha prevalso in giudizio, non a titolo di risarcimento del danno bens“ quale strumento per dissuadere il debitore soccombente dal procrastinare lĠinadempimento. Ulteriore differenza si riscontra per quanto concerne le condotte coercibili, sia pure indirettamente, mediante astreintes. In taluni ordinamenti (Germania, Romania, Grecia, Slovenia e, parzialmente, Italia) lo strumento  concepito per assistere le sole sentenze di condanna il cui adempimento non pu˜ essere utilmente assicurato tramite esecuzione forzata, quali quelle che ordinano una condotta di fare infungibile o non fare, mentre in altri ordinamenti (Francia, Regno Unito e, parzialmente, Italia) lĠastreinte  configurato come un rimedio di carattere generale, impiegabile a prescindere dalla qualificazione della condotta ordinata con la condanna. 2. Le astreintes nellĠordinamento italiano. LĠart. 614 bis c.p.c. Il processo che ha condotto allĠintroduzione delle misure coercitive indirette nellĠordinamento italiano  stato lungo ed articolato, poichŽ molto hanno pesato le diffidenze liberal-individualistiche verso strumenti che si riteneva integrassero Òuna forma di eccessiva ingerenza dello Stato nelle libere scelte degli individui anche in merito allĠosservanza, in forma specifica o meno, di un comando giudizialeÓ (16). Tuttavia, e sia pur limitatamente ai soli obblighi di facere e non facere, giˆ nel 1923 lĠart. 667 del Progetto Carnelutti affermava che ÒSe lĠobbligo consiste nel fare o non fare, il creditore pu˜ chiedere che il debitore sia condannato a pagargli una pena pecuniaria per ogni giorno di ritardo nellĠadempimento a partire dal giorno stabilito dal giudiceÓ. Nei medesimi termini, inoltre, si esprimeva il disegno di legge Reale risalente al 1975. La dottrina italiana, nonostante le resistenze riscontrate in sede legislativa, aveva in ogni caso raggiunto un consenso nellĠescludere che la tutela tramite astreintes fosse ammissibile nei casi in cui fosse viceversa esperibile (15) CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1953, p. 252 (16) In tali termini si esprime il Consiglio di Stato nella sentenza in commento. La preoccupazione per una eccessiva ingerenza dei pubblici poteri  sentita anche dalla pi recente dottrina, secondo cui lĠuso delle misure coercitive Òdeve essere pur sempre cauto e limitato, appunto per non ledere in modo non tollerabile le sfere di libertˆ individualeÓ (TRAPUZZANO, op. cit., p. 95). lĠesecuzione diretta (17). Tale convinzione ha goduto di una duratura influenza, sino a costituire una delle ragioni che hanno indotto il Consiglio di Stato a pronunciare, in Adunanza Plenaria, la sentenza in commento. Misure coercitive indirette di carattere pecuniario sono state introdotte, prima della novella del 2009 al codice di procedura civile, solo con riguardo ad ipotesi previste da leggi speciali ed insuscettibili di applicazione analogica. Tra le principali applicazioni dellĠistituto  da menzionare lĠart. 18, ult. comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300, cosiddetto Statuto dei lavoratori, in virt del quale, nei casi di licenziamento illegittimo di dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza che dispone la reintegra  tenuto, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari alla retribuzione dovuta al lavoratore (18). Ulteriori sanzioni pecuniarie sono previste dagli artt. 124, comma 2, e 131, comma 2 del codice della proprietˆ industriale, nonchŽ dallĠart. 156 della legge sul diritto dĠautore, che dispongono lĠirrogazione della misura nei casi in cui lĠautore della violazione non ottemperi alla pronuncia inibitoria. Tali norme perseguono una funzione preventiva, in quanto mirano a dissuadere il soccombente dal reiterare lĠillecito. Occorre tuttavia segnalare che, nei casi da ultimo citati, autorevole dottrina ha espresso riserve sullĠautonomia delle misure in parola dalla riparazione, sia pure indiretta, del pregiudizio insito nella prosecuzione di una condotta attuata in violazione dellĠaltrui diritto dĠautore o di privativa industriale (19). Per quanto concerne, inoltre, la materia dei ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, nei casi in cui sia accertata lĠiniquitˆ dellĠaccordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardo, il giudice pu˜ disporre, anche su richiesta dellĠassociazione esponenziale procedente, il pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nellĠadempimento da parte del soccombente (art. 8, comma 3, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231). Tra le misure coercitive previste da leggi speciali, particolare rilevanza va annessa al cosiddetto astreinte consumeristico, previsto dallĠart. 140, comma sette, del codice del consumo. In virt di tale disposizione il giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio, fissa un termine per lĠadempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte attrice, dispone il pagamento di una somma di denaro per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravitˆ del fatto (20). Occorre evidenziare che in materia di protezione dei consumatori, cos“ (17) La dottrina civilistica maggioritaria rileva infatti che con lo strumento dellĠastreinte Òsi vuole conferire una tutela effettiva per gli obblighi non suscettibili della tutela surrogatoria offerta dellĠesecuzione forzataÓ (CRIVELLI, op. cit., p. 464). (18) é rilevante evidenziare che secondo lo Statuto dei lavoratori, dunque, destinatario del- lĠastreinte non  il lavoratore leso, in armonia con la natura di sanzione civile indiretta dellĠistituto. come dei lavoratori illegittimamente licenziati, lĠimporto dovuto dal soccombente inadempiente non  destinato alla parte vittoriosa in giudizio, bens“ ad un fondo pubblico, in armonia con la natura retributiva e non riparatoria del- lĠastreinte. Dispone, infatti, lĠart. 140, comma 7, ult. periodo, codice del consumo, che le somme determinate dal giudice devono essere versate ÒallĠentrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dellĠeconomia e delle finanze al fondo da istituire nellĠambito di apposita unitˆ previsionale di base dello stato di previsione del Ministro delle attivitˆ prodottive [attualmente, Ministro dello sviluppo economico, n.d.r.], per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatoriÓ. UnĠulteriore ipotesi di astreinte, inserita nel codice di rito dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, si rinviene nellĠart. 709 ter, secondo comma, n. 4), c.p.c., giusta il quale nellĠambito di controversie insorte tra genitori in ordine allĠesercizio della potestˆ genitoriale o delle modalitˆ di affidamento, il giudice pu˜ condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. é giˆ possibile, dunque, trarre qualche conclusione dalla disamina delle fattispecie di astreintes previste nellĠordinamento italiano prima del 2009. Il legislatore, in tutti gli interventi presi in considerazione, ha circoscritto lĠapplicabilitˆ delle misure coercitive indirette ai soli casi in cui lĠesecuzione forzata, attesa lĠinfungibilitˆ dellĠobbligo rimasto inadempiuto, non  utilmente (19) Parte della dottrina ha, conseguentemente, configurato le misure in esame come preordinate al Òrisarcimento di danni futuriÓ, poichŽ, nel caso in cui vengano violate disposizioni inibitorie in materia di marchi, brevetti e diritti dĠautore, Òla riduzione in pristino  estremamente difficoltosa e in certi casi sostanzialmente impossibile, e rispetto alla violazione la tutela risarcitoria si mostra davvero carenteÓ (CRIVELLI, op. cit., p. 466). Autorevole dottrina ha osservato, invece, che pu˜ configurarsi un risarcimento solo qualora il danno si sia giˆ effettivamente verificato ovvero concorrano tutte le condizioni per il suo prodursi in futuro, non potendosi sostenere che, in materia di obblighi di non fare, il semplice ritardo determini ipso facto lĠinsorgere di un pregiudizio che lĠattore non deve allegare nŽ provare (FRIGNANI, Le penalitˆ di mora e le astreintes nei diritto che si ispirano al modello francese, in Riv. Dir. Civ. 1981, p. 524). La giurisprudenza di merito ha valorizzato la natura sanzionatoria delle misure coercitive in oggetto, statuendo la qualificazione in termini risarcitori Ònon pare corretta dato che, prescindendo dallĠanomalia di una condanna relativa a fatti futuri ed eventuali e di una liquidazione anticipata del danno che pare corrispondere pi alla logica dellĠautonomia privata che alla ratio ed ai limiti dellĠintervento del legislatore, sembra invero pi esatto ritenere che la penale in questione debba essere intesa quale forma di esecuzione e di rafforzamento del provvedimento di inibitoria e sia quindi del tutto svincolata dalla pronuncia di condanna al risarcimento del dannoÓ (Trib. Milano 18 maggio 1978, in Giurisprudenza annotata di diritto industriale, 1978, p. 1052, tratta da CRIVELLI, op. cit., p. 467. é opportuno rilevare che, pi recentemente, anche la giurisprudenza di legittimitˆ  pervenuta alle stesse conclusioni dei giudici di merito; si veda, in proposito, la Cass. n. 613/2003). (20) Per quanto concerne, inoltre, lĠinadempimento degli obblighi previsti dal verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto e depositato per lĠomologazione nella cancelleria del Tribunale del luogo nel quale si  svolto il procedimento di conciliazione, le parti possono adire il Tribunale medesimo in camera di consiglio affinchŽ, accertato lĠinadempimento, disponga lĠastreinte (art. 140, comma 7, secondo periodo, codice del consumo). esperibile, in armonia con la tradizionale dicotomia tra mezzi di surrogazione e mezzi di coazione (21). La limitazione dellĠastreinte ai soli obblighi infungibili ha indotto la giurisprudenza di legittimitˆ a precisare i requisiti il cui concorso identifica una res fungibile, qualificandosi come tali solo le cose Òindividualizzate e diversificate, nella valutazione sociale, dai loro elementi strutturali e dalla loro funzione, s“ da essere esclusa ogni sostituibilitˆ e surrogabilitˆ Ó (22). Inoltre, in conformitˆ alla natura sanzionatoria dellĠastreinte, il legislatore non ha sovente ritenuto che il mero inadempimento dellĠobbligato, disgiunto da qualsiasi dimostrazione di un danno sofferto dallĠavente diritto, possa costituire titolo per un arricchimento della parte vittoriosa in giudizio, destinando di conseguenza gli importi ad un organismo pubblico. Tale situazione  stata parzialmente innovata dallĠintroduzione nel codice di procedura civile, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, di una figura generale di astreinte preordinata ad assicurare lĠattuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare (23). Ai sensi dellĠart. 614 bis, dunque, il giudice pu˜, con il provvedimento di condanna, determinare su richiesta di parte la somma di denaro dovuta dallĠobbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellĠesecuzione del provvedimento. Requisito negativo della fattispecie  costituito dalla Òmanifesta iniquitˆÓ dellĠirrogazione dellĠastreinte, il cui ammontare  determinato Òtenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utileÓ (24). La caratteristica saliente dellĠistituto si rinviene nel potere attribuito al giudice di comminare lĠastreinte giˆ nel giudizio di cognizione, con il prov (21) CHIOVENDA, ibidem. (22) Cass. 24 novembre 1977, n. 5113, in GC, 1978, I, p. 471, citata da TRAPUZZANO, op. cit., p. 149 s. La Suprema Corte ha delineato, altres“, la nozione di res infungibile per volontˆ delle parti, statuendo che le parti contraenti Òpossono considerare e valutare come infungibile una cosa fungibile per sua natura, attribuendo rilevanza e preminenza a determinate sue caratteristiche individualizzanti che, nella valutazione sociale, non costituiscono elementi strutturali essenziali, mentre non possono trasformare in fungibile una cosa infungibile, come i beni immobili, rispetto ai quali la localizzazione e la confinazione costituiscono elementi strutturali essenziali, con caratteri individualizzanti e diversificantiÓ. (23) é rilevante notare che la rubrica dellĠart. 614 bis c.p.c., introdotto con la novella del 2009, fa riferimento agli obblighi di fare infungibile e di non fare, senza specificare se anche con riferimento alle condotte di disfare sia necessario il requisito di infungibilitˆ dellĠobbligo ai fini dellĠapplicazione della nuova disciplina (CAPPONI, op. cit., p. 5). Un indirizzo minoritario in dottrina ha argomentato, proprio a partire dalla ellittica formulazione della rubrica, lĠapplicabilitˆ dellĠastreinte civilistico a tutti gli obblighi di fare e disfare, a prescindere dal- lĠinfungibilitˆ, stante il noto brocardo secondo cui Òrubrica non est lexÓ (SALETTI, Commentario alla riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), Torino, 2009, p. 192 s.). (24) A ci˜ aggiungasi che la nuova e generale fattispecie di astreinte non si applica Òalle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui allĠart. 409Ó, ai sensi dellĠart. 614 bis, comma 1, ult. periodo, c.p.c. vedimento che definisce il merito, anteriormente, quindi, alla verificazione dellĠinadempimento da parte del soccombente alla sentenza di condanna (25). LĠastreinte ex art. 614 bis c.p.c. si configura, quindi, come Òsanzione ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale dellĠinadempimento del precetto giudiziario nel termine allĠuopo contestualmente fissatoÓ (26). é inoltre il caso di rilevare che, per espressa disposizione del codice di rito, il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. 3. Le misure coercitive indirette in diritto amministrativo. LĠart. 114 c.p.a. a confronto con lĠastreinte civilistico. Abbiamo giˆ avuto modo di osservare come in Francia, ordinamento dĠorigine delle misure coercitive indirette, le astreintes siano irrogabili, come strumento di ÒpressioneÓ sullĠAmministrazione inadempiente, con la sentenza che definisce il merito sia dai Tribunali amministrativi che dalle Corti amministrative dĠappello (27). Inoltre, nei casi in cui lĠesecuzione della sentenza postuli lĠadozione di un provvedimento avente contenuto vincolato, lĠAutoritˆ giudiziaria amministrativa dĠOltralpe ha il potere di ordinare allĠAmministrazione soccombente lĠadozione di tale atto nonchŽ di fissare un termine entro il quale adempiere (28). Il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto anche nel processo amministrativo italiano lĠistituto dellĠastreinte, sia pure con talune rilevanti differenze rispetto al modello francese. LĠart. 114, comma 4, lett. e), attribuisce al giudice amministrativo il potere di fissare, su richiesta di parte, Òla somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellĠesecuzione del giudicatoÓ. A differenza dellĠordinamento francese, in Italia lĠastreinte pu˜ essere irrogato solo in sede di ottemperanza e non anche di me (25) La giurisprudenza maggioritaria ritiene che le misure coercitive indirette siano applicabili anche ai provvedimenti cautelari, atteso il riferimento dellĠart. 614 bis ad ogni decisione avente contenuto condannatorio (Trib. Verona, 9 marzo 2010, in G. mer. 10, 7-8, p. 1857; nonchŽ Trib. Bari 10 maggio 2011, in DeJure, riportati in CARPI - TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2013, p. 2853). (26) In tali termini si esprime, in sede ricognitiva delle disposizioni civilistiche in materia di astreinte, la sentenza qui annotata. (27) Il decreto 30 luglio 1963 in origine riservava al solo Conseil dĠEtat il potere di comminare misure coercitive patrimoniali a carico della Pubblica Amministrazione inadempiente. (28) LĠazione di esatto adempimento, in esito alla quale il giudice ha il potere di ordinare allĠAmministrazione di adottare il provvedimento satisfattorio,  prevista nel nostro ordinamento dallĠart. 31, comma 3, c.p.a. in materia di silenzio; dallĠart. 124 c.p.a. in materia di contratti pubblici; nonchŽ dallĠart. 4, d.lgs. 198/2009, nellĠambito dellĠazione collettiva di classe (cfr. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014, p. 19 s.). rito, da ci˜ discendendo che nel processo amministrativo italiano la misura coercitiva non si configura come sanzione ad esecuzione differita, destinata a divenire attuale se ed in quanto lĠAmministrazione non esegua lĠordine contenuto nella sentenza di merito, ma presuppone che lĠinadempimento del debitore sia giˆ stato accertato dal giudice dellĠottemperanza (29). LĠastreinte amministrativistico contempla, inoltre, due requisiti negativi, cio che il provvedimento di condanna alla misura coercitiva non sia Òmanifestamente iniquoÓ e che non ricorrano Òragioni ostativeÓ, questĠultimo requisito non previsto dalla corrispondente fattispecie civilistica. LĠart. 114 c.p.a. tace, a differenza dellĠart. 614 bis c.p.c., sia sui parametri in base ai quali calcolare il quantum della sanzione sia sui genera di condotte che possono essere assisti dallo strumento in esame. Dottrina e giurisprudenza hanno avuto, dunque, il compito di chiarire il perimetro applicativo dellĠart. 114 c.p.a., profilandosi due opzioni ermeneutiche che tra loro si distinguono in base alla ricostruzione della ratio nonchŽ in base allĠautonomia che viene annessa allĠistituto di diritto amministrativo rispetto alla generale previsione di astreinte prevista nel codice di procedura civile. Secondo un pi risalente orientamento, Òtutte le volte in cui un obbligo sia eseguibile in una delle forme tipiche di esecuzione non  ammissibile la tutela indirettaÓ (30), in virt della considerazione secondo cui comminare una misura coercitiva nelle ipotesi in cui siano utilmente esperibili rimedi surrogatori vulnererebbe la ratio stessa dellĠistituto, preordinato ad assicurare uno strumento di ÒpressioneÓ nei casi in cui, attesa lĠinfungibilitˆ della condotta, la soddisfazione del creditore non pu˜ prescindere dalla collaborazione dellĠobbligato soccombente (31). Tale orientamento dottrinario, di conseguenza, recisamente nega la possibilitˆ di ricorrere allĠastreinte per assicurare lĠesecuzione di una condotta fungibile, ed in particolare di dare pecuniario. Inoltre, a prescindere da ogni discorso sulla struttura ontologica dellĠistituto, la cumulabilitˆ della somma ricevuta a titolo di astreinte con gli interessi legali sarebbe suscettibile di condurre ad una Òduplicazione ingiustificata delle misure volte a ridurre lĠentitˆ (29) Si veda in proposito CLARIZIA, Resoconto del seminario sui Libri IV e V (ottemperanza, riti speciali e norme finali) del progetto di Codice del processo amministrativo, svoltosi il 7 maggio 2010 presso lĠIstituto per le ricerche e attivitˆ educative - Napoli; in giustamm.it. La giurisprudenza ha altres“ ritenuto che possa farsi luogo allĠastreinte solo qualora la sentenza le cui prescrizioni si assumono violate sia passata in giudicato (Tar Basilicata, 21 luglio 2011, n. 416, citato in FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma, 2012, p. 587). (30) CRIVELLI, op. cit., p. 466; in termini sostanzialmente analoghi MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, p. 177 ss. Sorprendentemente, dopo aver rilevato che Òla norma di cui allĠart. 114 in commento ha aspetti affini allĠistituto del processo civileÓ, non si esprime sul punto VITOCOLONNA, in GAROFOLI - FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma, 2010, p. 1571 s. (31) CHIOVENDA, ibidem, costruisce in modo rigidamente dicotomico le misure di surrogazione e quelle compulsorie, esperibili qualora lĠinfungibilitˆ dellĠobbligo non renda possibile lĠesecuzione diretta. del pregiudizioÓ (32), finanche con la conseguenza paradossale che tale cumulo possa raggiungere un ammontare maggiore della sorte per cui  stata proposta lĠazione, determinando un ingiustificato arricchimento per il creditore. Un altro indirizzo dottrinario, accolto dalla giurisprudenza maggioritaria (33), sostiene invece che, in termini di ratio, nulla osta allĠapplicazione delle misure coercitive anche al di fuori del tradizionale perimetro degli obblighi infungibili. In particolare, finalitˆ dellĠastreinte sarebbe quella di sanzionare la mancata conformazione del soccombente allĠordine del giudice, non rilevando in chiave strutturale il genus della condotta rimasta inadempiuta, analogamente a quanto, del resto,  previsto nellĠordinamento francese (34). Deporrebbe, inoltre, a favore dellĠinterpretazione estensiva lĠargomento a contrario, atteso che il legislatore quando ha inteso circoscrivere lĠastreinte alle sole condotte infungibili lo ha statuito espressamente (art. 614 bis c.p.c. nonchŽ ipotesi previste dalle leggi speciali), mentre lĠart. 114 c.p.a. nulla dispone al riguardo. 4. Il perimetro applicativo dellĠastreinte secondo il Consiglio di Stato. LĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha accolto lĠopzione ermeneutica estensiva, enunciando il seguente principio di diritto: ÒNellĠambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria della penalitˆ di mora di cui allĠart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo,  ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniariaÓ. LĠAdunanza Plenaria  giunta a tale conclusione valorizzando il dato letterale dellĠart. 114 c.p.a., che non contiene - a differenza dellĠart. 614 bis c.p.c. -alcuna espressa limitazione del perimetro applicativo dellĠastreinte ai soli obblighi infungibili di facere e non facere. Stante il noto brocardo Òubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuitÓ,  preferibile lĠinterpretazione secondo cui il legislatore, in considerazione delle peculiaritˆ del processo amministrativo, non abbia voluto circoscrivere il raggio dĠazione delle misure coercitive a determinate condotte. Non pu˜ neanche sostenersi, secondo il Consiglio di Stato, che lĠastreinte debba essere limitato ai soli obblighi fungibili in virt di un limite intrinseco alla sua natura, dato che proprio in Francia, ÒmadrepatriaÓ delle misure coercitive indirette, tale istituto  configurato come sanzione per punire ogni disobbedienza allĠordine del giudice, a prescindere dal suo contenuto. Il Consiglio di Stato prende altres“ in considerazione lĠargomento, for (32) Cons. Sato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819, in collegiumiuris.it. (33) Ex multis, tra le pi recenti, Cons. Stat., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, in gazzattaamministrativa. it.; nonchŽ Cons. Stat., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781, in giustamm.it. (34) Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688, in giustamm.it. Per lĠastreinte nellĠordinamento francese si veda, anche per i riferimenti bibliografici, supra il paragrafo 2. mulato dalla Difesa erariale, secondo cui lĠestensione dellĠastreinte nel giudizio di ottemperanza anche agli obblighi infungibili ed, in particolare, a quelli di Òdare pecuniarioÓ produrrebbe uno squilibrio rispetto al processo civile, ove invece le misure coercitive sono irrogabili solo per assistere un obbligo infungibile. Ne conseguirebbe una disparitˆ di trattamento per la Pubblica Amministrazione debitrice inadempiente, a differenza dei soggetti privati contro cui pu˜ agirsi esclusivamente ex art. 614 bis c.p.c. Il Consiglio di Stato ha ritenuto tale obiezione superabile, in virt della considerazione secondo cui lĠart. 114 c.p.a. Òsi inserisce armonicamente in una struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente considerata, proprio per la specialitˆ del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente intenso, come testimoniato dallĠassenza del limite dellĠinfungibilitˆ della prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dallĠadozione di un modello surrogatorio di tutela esclusivaÓ. La sentenza in commento ha, inoltre, evidenziato che lĠart. 114 c.p.a. contempla un limite aggiuntivo a quello della Òmanifesta iniquitˆÓ previsto dallĠart. 614 bis c.p.c., in quanto subordina lĠirrogazione dellĠastreinte al requisito negativo della sussistenza di Òaltre ragioni ostativeÓ. Da ci˜ discende che, proprio in ragione delle Òdifficoltˆ nellĠadempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubbliciÓ, spetterˆ volta per volta al giudice dellĠottemperanza, Òdotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione del- lĠammontare della sanzioneÓ, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o mitigare lĠimporto. LĠirrogazione dellĠastreinte, dunque, non potrˆ configurarsi come conseguenza automatica dellĠinadempimento ad una sentenza da parte della Pubblica Amministrazione, dovendosi in sede di ottemperanza ponderare lĠinteresse del creditore alla pronta esecuzione con gli interessi pubblici specificamente rilevanti, primi fra tutti quelli attinenti allo stato della finanza pubblica. 5. Rilievi conclusivi. LĠAdunanza Plenaria, mediante la sentenza 25 giugno 2014, n. 15, ha statuito il principio secondo cui le misure coercitive indirette sono irrogabili in sede di ottemperanza a prescindere dalla fungibilitˆ dellĠobbligo rimasto inadempiuto, a differenza di quanto previsto dallĠart. 614 bis c.p.c. che invece circoscrive lĠastreinte ai soli obblighi di non fare e fare infungibile. Il portato pi rilevante della decisione qui in commento si rinviene nella formalizzazione di uno iato tra gli strumenti di esecuzione indiretta disponibili nel processo civile e lĠastreinte di cui allĠart. 114 c.p.a. Con la conseguenza che, a fronte della medesima sentenza di condanna, il carattere pubblicistico del debitore inadempiente  idoneo a far conseguire al creditore vittorioso una tutela di cui non potrebbe giovarsi se il soccombente fosse un soggetto privato. Il Consiglio di Stato sembra avvedersi del rischio immanente a tale distonia, nella misura in cui statuisce che lĠastreinte deve essere irrogato solo a seguito di specifica ponderazione dellĠinteresse pubblico contrario, il quale tuttavia non pu˜ che risolversi nella considerazione dello Òstato della finanza pubblicaÓ. Con la conseguenza di reintrodurre, sia pure sub specie di requisito negativo della fattispecie, quellĠinterpretazione restrittiva che configura lĠastreinte come rimedio esperibile solo nei casi in cui il soddisfacimento del creditore non possa prescindere dallĠirrogazione della misura coercitiva, alla stregua di una valutazione di indispensabilitˆ tale da far apparire recessivo lĠinteresse pubblico alla salvaguardia dei vincoli di bilancio, che devono essere tenuti in considerazione dal giudice in sede di ottemperanza. Con lĠulteriore conseguenza che, stante il carattere diffuso del sindacato sulla prevalenza dellĠinteresse creditorio o di quello erariale, affidato a ciascun giudice dellĠottemperanza,  facile prevedere lo sviluppo di filoni giurisprudenziali difformi sul territorio nazionale, residuando in capo al Consiglio di Stato lĠonere di operare la Òreductio ad unumÓ. SicchŽ non  affatto escluso che lĠinterpretazione restrittiva, dopo essere stata prima facie esclusa dalla sentenza qui in commento, sia destinata, per cos“ dire, a Ôrientrare dalla finestraĠ. Si avverte, inoltre, il pericolo che, stante la cumulabilitˆ dellĠastreinte con gli interessi legali e lĠeventuale risarcimento del danno, il creditore possa conseguire, in esito al giudizio, una somma di denaro anche notevolmente superiore alla sorte iniziale, con conseguente vulnus al principio generale secondo cui in giudizio non pu˜ ottenersi pi di quanto spetti secondo i rapporti di diritto sostanziale che vengono azionati. Il pericolo, quindi, di un abuso dellĠastreinte specialmente si pone con riguardo ai giudizi in materia di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, in quanto i ricorrenti, stante lĠammontare ordinariamente modesto del risarcimento, troveranno difficilmente resistibile la possibilitˆ di domandare lĠirrogazione di una misura suscettibile di aumentare, anche esponenzialmente, la sorte originaria della riparazione. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 25 giugno 2014, n. 15 -Pres. Giovannini, Est. Caringella - Ministero della Giustizia (avv. Stato) c. M.A.F. ed altri (avv.ti Porpora, Ussani DĠEscobar. FATTO 1. Con gli appelli in epigrafe il Ministero della Giustizia impugna le sentenze in epigrafe anche, o solo, nella parte in cui  stata disposta la condanna dell'Amministrazione al pagamento di somme di denaro a titolo di penalitˆ di mora ex art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo ammnistrativo, in ragione della mancata esecuzione dei decreti della Corte di Appello di Roma di condanna alla corresponsione di un indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla L. 24 marzo 2001 n. 89 (cd. Legge Pinto). I gravami in esame sono affidati alla deduzione della violazione dell'art. 114, comma 4, cod. proc. amm., dell'art. 6 par. i) della CEDU, dell'art. 117 della Costituzione, degli artt. 2 e 3, comma 7, della legge n. 89 del 2001. I motivi di ricorso possono cos“ essere compendiati. 1.1. Con un primo motivo la difesa erariale ha ricordato come un primo orientamento giurisprudenziale abbia ritenuto doversi escludere l'ammissibilitˆ dell'astreinte nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro, in quanto la penalitˆ di mora costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, utile in modo particolare quando si  in presenza di obblighi di facere infungibili: di qui lĠiniquitˆ della condanna del- l'Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l'obbligo di cui si chiede l'adempimento consiste, esso stesso, nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria. Il Tribunale di prime cure, con le decisioni impugnate, avrebbe invece seguito lĠorientamento per cui la naturale "coercibilitˆ" degli obblighi di fare dell'Amministrazione nel giudizio amministrativo di ottemperanza e la collocazione della misura sanzionatoria nell'ambito di tale giudizio non consentono, in linea di principio, di escluderne la riferibilitˆ anche alle sentenze di condanna pecuniarie secondo il modello originario dell'astreinte, e non secondo quello di cui all'art. 614 bis c.p.c. In coerenza, per il Ministero appellante: -deve escludersi la possibilitˆ di far ricorso all'astreinte quando l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma d“ denaro, che, come tale,  giˆ assistito, a termine del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall'obbligo accessorio degli interessi legali; -- la somma dovuta a titolo di penalitˆ andrebbe indebitamente ad aggiungersi agli altri accessori determinando un ingiustificato arricchimento del soggetto giˆ creditore della prestazione principale e di quella accessoria; -- l'interpretazione seguita dal primo Giudice contraddirebbe la ratio della norma in questione rinvenibile nella Relazione Governativa di accompagnamento al Codice ove si sottolinea il sostanziale parallelismo con la nuova previsione dell'art. 614 bis c.p.c. (introdotta dall'art. 49 comma 1, 1. 18 giugno 2009 n. 69) che fa riferimento a Òobblighi di fare infungibile o di non fareÓ; -- la formulazione dell'art. 114, comma 4 lettera e) del cod. proc. amm.  identica a quella del nuovo art. 614-bis c.p.c., come introdotto dall'art. 49, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 69, con lĠunica differenziazione relativa all'inciso "se non sussistono altre ragioni ostative"; -- si finirebbe per offrire uno strumento ulteriore di coercizione indiretta all'effettivitˆ della tutela (art. 1 cod. proc. amm), la quale non  certo volta a garantire al ricorrente pi di quanto gli spetti secondo diritto; -- l'istituto de quo si attaglia propriamente a quelle situazioni nelle quali si tratta di porre in essere un' attivitˆ amministrativa da svolgersi, per quanto possibile, nel rispetto dell'ordine fisiologico delle competenze (si pensi all'adozione di una deliberazione in materia urbanistica), in quanto contribuisce a prevenire l'intervento del commissario ad acta: esigenza, questa, estranea alla logica che ispira la disciplina degli adempimenti di prestazioni a carattere pecuniario, sia sul piano fisiologico sia sul piano della patologia derivante dal ritardo, il cui paradigma di riferimento si rinviene essenzialmente nella disciplina civilistica degli interessi e del risarcimento del danno. 1.2. Con un secondo ordine di motivi si rileva, poi, che sarebbe del tutto illegittima la liqui dazione automatica della predetta misura dato che, l'art. 114, comma 4, lett e) cod. proc. amm., consente il riconoscimento della misura ivi prevista previa la verifica dei presupposti cui il legislatore ha inteso subordinare la condanna anche al pagamento di una somma di denaro ed in particolare: dell'effettiva inerzia dell'Amministrazione nell'esecuzione della sentenza di equa riparazione, della ragionevolezza dei tempi alla luce della giurisprudenza che si  pronunciata in materia (da ultimo, Cass. n. 5924/2012; Cass., sez. unite n. 6312/2014) e delle esigenze di bilancio. Non si sarebbe potuto prescindere dal vagliare puntualmente la condotta amministrativa ai fini dell'eventuale riscontro di responsabilitˆ. 2. Si sono costituite in giudizio le controparti in epigrafe specificate. 3. Con lĠOrdinanza 18 aprile 2014, n. 14, la sezione quarta di questo Consiglio ha riunito gli appelli di cui in epigrafe, in ragione della ricorrenza di profili di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva. Con la stessa Ordinanza si  disposta la rimessione dei ricorsi allĠesame dellĠAdunanza Plenaria in ragione dei contrasti giurisprudenziali giˆ registratisi in merito alle questioni relative: a) alla natura ed all'ammissibilitˆ in generale dell'astreinte di cui all'art. 114, comma 4, lett. e) cod. proc. amm. nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro; b) alla sua applicabilitˆ, in particolare, allĠequa riparazione di cui alla c.d. legge Pinto, per lĠindebita ÒautomaticitˆÓ della condanna dellĠAmministrazione fatta in assenza della previa verifica dei presupposti indicati dal c.p.a. DIRITTO 1. é sottoposta al vaglio dellĠAdunanza Plenaria la quaestio iuris relativa allĠammissibilitˆ della comminatoria delle penalitˆ di mora, di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, nel caso in cui il ricorso per ottemperanza venga proposto in ragione della non esecuzione di una sentenza che abbia imposto alla pubblica amministrazione il pagamento di una somma di denaro. Ai fini della soluzione del problema  necessaria unĠindagine sulla genesi e sulla fisionomia dellĠistituto in esame. 2. L'art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a. prevede che il giudice dellĠottemperanza, in caso di accoglimento del ricorso in executivis, Òsalvo che ci˜ sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellĠesecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivoÓ. La norma, che costituisce una novitˆ nel processo amministrativo italiano, delinea una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, inquadrabile nellĠambito delle pene private o delle sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere allĠobbligazione sancita a suo carico dallĠordine del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688). La norma dˆ la stura, in definitiva, ad un meccanismo automatico di irrogazione di penalitˆ pecuniarie in vista dellĠassicurazione dei valori dellĠeffettivitˆ e della pienezza della tutela giurisdizionale a fronte della mancata o non esatta o non tempestiva esecuzione delle sentenze emesse nei confronti della pubblica amministrazione e, pi in generale, della parte risultata soccombente allĠesito del giudizio di cognizione. Il modello della penalitˆ di mora trova un antecedente, nellĠambito del processo civile, nellĠart. 614-bis (inserito nel c.p.c. dallĠart. 49, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69), rubricato Òattuazione degli obblighi di fare infungibile o non fareÓ. La norma in analisi dispone che ÒCon il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ci˜ sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dallĠobbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nellĠesecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. (É)Ó. Al comma II viene precisato che ÒIl giudice determina lĠammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utileÓ. 3. Sia lĠistituto previsto dal codice del processo amministrativo sia quello contemplato dal codice di procedura civile sono fortemente innovativi rispetto alla nostra tradizione processuale. Il legislatore nazionale si , infatti, mostrato in passato restio allĠabbandono dellĠispirazione liberal-individualistica di matrice ottocentesca, manifestando diffidenza per il recepimento dellĠistituto delle misure coercitive indirette, ritenute una forma di eccessiva ingerenza dello Stato delle libere scelte degli individui anche in merito allĠosservanza, in forma specifica o meno, di un comando giudiziale. Prima della riforma del 2009, dunque, la possibilitˆ che un provvedimento giurisdizionale di condanna fosse assistito da una penalitˆ di mora era prevista, in modo episodico, solo con riferimento a fattispecie tassativamente individuate da norme speciali, insuscettibili di applicazione analogica. Tra queste vanno ricordati lĠart. 18, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori, in base al quale il datore di lavoro, in caso di illegittimo licenziamento,  tenuto al pagamento di una somma commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento fino a quello dellĠeffettivo reintegro; gli artt. 124, co. 2, e 131, co. 2, del codice della proprietˆ industriale, che, in tema di brevetti, prevede lĠadozione di una sanzione pecuniaria in caso di violazione della misura inibitoria applicata nei confronti dellĠautore della violazione del diritto di proprietˆ industriale; lĠart. 156 della legge sul diritto dĠautore, relativo alla protezione del diritto dĠautore, che prevede parimenti una sanzione pecuniaria in caso di inosservanza della statuizione inibitoria; lĠart. 8, co. 3, d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che, in tema di ritardato pagamento nelle transazioni commerciali, contempla la possibilitˆ di irrogare unĠastreinte in caso di mancato rispetto degli obblighi imposti dalla sentenza che abbia accertato lĠiniquitˆ delle clausole contrattuali; lĠart. 140, co. VII, del codice del consumo, che ha previsto misure pecuniarie per il caso di inadempimento del professionista a fronte di pronunce rese dal giudice civile su ricorsi proposti dalle associazioni di tutela degli interessi collettivi in materia consumeristica; lĠart. 709-ter, co. 2, n. 4, cod. proc. civ., che, con riferimento alle controversie relative allĠesercizio della potestˆ genitoriale o alle modalitˆ dellĠaffidamento dei figli, prevede, a carico del genitore inadempiente alle obbligazioni di facere, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Con lĠart. 614-bis cod. proc. civ. e con lĠart. 114, comma 4, lettera e, cod. proc. amm., il nostro ordinamento, conferendo alla misura in esame un respiro generale, ha esibito, quindi, una nuova sensibilitˆ verso lĠistituto delle sanzioni civili indirette, dando seguito ai ripetuti moniti della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo, secondo cui Òil diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se lĠordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parteÓ (sent. Hornsby c. Grecia, 13/03/1997, e Ventorio c. Italia, 17/05/2011). NellĠadeguamento dellĠordinamento nazionale al panorama degli ordinamenti pi evoluti in subiecta materia il legislatore ha seguito il modello francese delle cc. dd. ÒastreintesÓ, costi tuenti misure coercitive indirette a carattere esclusivamente patrimoniale, che mirano ad incentivare lĠadeguamento del debitore ad ogni sentenza di condanna, attraverso la previsione di una sanzione pecuniaria che la parte inadempiente dovrˆ versare a favore del creditore vittorioso in giudizio. Il carattere essenzialmente sanzionatorio della misura, prevista dallĠordinamento francese con riferimento ad ogni tipo di sentenza di condanna,  dimostrato dal tenore della legge 5 luglio 1972, ove, allĠart. 6, si prevede specificamente che lĠastreinte  ÒindŽpendante des dommages- intŽretsÓ. La natura giuridica della misura coercitiva indiretta francese, dunque, non  ispirata alla logica riparatoria che permea la teoria generale della responsabilitˆ civile, dovendosi configurare la sua comminatoria alla stregua di una pena privata o, pi precisamente, di una sanzione civile indiretta. Trattasi, quindi, di una pena, e non di un risarcimento, che vuole sanzionare la disobbedienza allĠordine del giudice, a prescindere dalla sussistenza e dalla dimostrazione di un danno. é altres“ pacifica, nella stessa prospettiva, la cumulabilitˆ della penalitˆ con il danno cagionato dallĠinosservanza del precetto giudiziale, al pari della non defalcabilitˆ dellĠammontare della sanzione dallĠimporto dovuto a titolo di riparazione. Nel campo dei rapporti amministrativi la legge 8 febbraio 1995 ha poi attribuito anche ai Tribunaux Administratifs e alle Cours Administraves dĠAppel il potere, prima assegnato dal decreto 30 luglio 1963 al solo Conseil dĠEtat, di disporre lĠastreinte a carico dellĠamministrazione inadempiente, anticipando al momento della pronuncia della sentenza la possibilitˆ di disporre il mezzo di coercizione indiretta e introducendo un nuovo potere del giudice amministrativo, nei casi in cui lĠesecuzione del giudicato amministrativo comporti necessariamente lĠemanazione di un provvedimento dal contenuto determinato, di ordinare allĠamministrazione lĠadozione dellĠatto satisfattorio e, quando risulti opportuno, di fissare un termine per lĠesecuzione (si veda la disciplina oggi prevista dagli artt. L.911-4 e 911-5 del code de justice administrative). Norme simili, pur se con modulazioni diverse, sono presenti anche negli ordinamenti tedesco (c.d. Zwangsgeld) e inglese (c.d. Contempt of Court). Le Zwangsgeld, in particolare, possono assistere esclusivamente provvedimenti di condanna a obblighi di fare infungibili o di non fare (come negli ordinamenti rumeno, greco e sloveno) e consistono in una condanna al pagamento di una somma di denaro (Zwangsgeld/Ordnungsgeld) in favore dello Stato, con la possibilitˆ di conversione in arresto (Zwangsgeld/Ordnungshaft) nel caso in cui il debitore non disponga di un patrimonio capiente. Il Contempt of Court, invece, pu˜, come avviene per le astreintes francesi, essere pronunciato a fronte della violazione di ogni provvedimento dellĠautoritˆ giudiziaria, a prescindere dal suo contenuto, e consiste in una sanzione pecuniaria da versarsi allo Stato (in alternativa al sequestro di beni) o in una sanzione detentiva (arrest for the contempt of the court), con facoltˆ di scelta discrezionale per il giudice tra la misura patrimoniale e quella limitativa della libertˆ personale. 3.1. Tutte le misure descritte sono ispirate dalla medesima esigenza di offrire uno strumento di coazione allĠadempimento delle pronunce giurisdizionali. La breve ricognizione comparatistica effettuata, mettendo in luce lĠeterogeneitˆ delle opzioni abbracciate nei vari ordinamenti circa lĠambito di applicazione delle penalitˆ di mora, consente di mettere in chiaro che la scelta attuata dallĠart. 614-bis c.p.c., al pari di alcuni degli altri ordinamenti passati in rassegna, di limitare lĠastreinte al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile, non deriva da un limite concettuale insito nella ratio o nella struttura ontologica dellĠistituto ma  il frutto di unĠopzione discrezionale del legislatore. 4. Si deve, a questo punto, segnalare che la penalitˆ di mora disciplinata dallĠart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a. si distingue in modo significativo da quella prevista per il processo civile. I profili differenziali rispetto allĠomologo istituto di cui allĠart. 614 bis c.p.c. sono, infatti, molteplici e di rilevante importanza: a) mentre la sanzione di cui al 614-bis c.p.c.  adottata con la sentenza di cognizione che definisce il giudizio di merito, la penalitˆ  irrogata dal Giudice Amministrativo, in sede di ottemperanza, con la sentenza che accerta il giˆ intervenuto inadempimento dellĠobbligo di contegno imposto dal comando giudiziale; b) di conseguenza, nel processo civile la sanzione  ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina si atteggia a condanna condizionata (o in futuro) al fatto eventuale del- lĠinadempimento del precetto giudiziario nel termine allĠuopo contestualmente fissato; al contrario, nel processo amministrativo lĠastreinte, salva diversa valutazione del giudice, pu˜ essere di immediata esecuzione, in quanto  sancita da una sentenza che, nel giudizio dĠottemperanza di cui agli artt. 112 e seguenti c.p.a., ha giˆ accertato lĠinadempimento del debitore; c) le astreintes disciplinate dal codice del processo amministrativo presentano, almeno sul piano formale, una portata applicativa pi ampia rispetto a quelle previste nel processo civile, in quanto non si  riprodotto nellĠart. 114, co. 4, lett. e, c.p.a., il limite della riferibilitˆ del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile; d) la norma del codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione dellĠammontare della somma fissati dallĠart. 614 bis c.p.c.; e) il codice del processo amministrativo prevede, accanto al requisito positivo dellĠinesecuzione della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquitˆ, lĠulteriore presupposto negativo consistente nella ricorrenza di Òragioni ostativeÓ. 4.1 La questione dellĠapplicabilitˆ delle astreintes nel caso in cui sia chiesta, nellĠambito di un giudizio di ottemperanza, lĠesecuzione di un titolo giudiziario avente ad oggetto somme di danaro, trae origine dalla terza delle differenze delineate. Per il processo amministrativo, infatti, manca una previsione esplicita che limiti la riferibilitˆ delle penalitˆ di mora al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile. Nasce quindi il problema relativo alla possibilitˆ di richiedere lĠapplicazione delle penalitˆ anche nel caso dellĠottemperanza a sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario. 5. Mentre la dottrina  in gran parte favorevole ad una lettura estensiva della norma de qua, la giurisprudenza amministrativa ha manifestato significative divisioni sulla questione rimessa allĠAdunanza Plenaria. 5.1. LĠopinione prevalente ammette lĠapplicazione delle penalitˆ di mora anche per le sentenze di condanna pecuniaria (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462, Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781; Cons. Stato, sez. V, sent., 19 giugno 2013, n. ri 3339, 3340, 3341 e 3342; Cons. Stato, sez. III, 30 maggio 2013, n. 2933; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, n. 424; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3272; Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2012, n. 2744; Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2011 n. 6688; Cons. di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4216; C.g.a.r.s., 22 gennaio 2013, n. 26; Cons. Stato sez. VI, 6 agosto 2012, n. 4523, Cons. Stato sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4685). Deporrebbero a favore di tale opzione ermeneutica (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462) le seguenti argomentazioni: a) il tenore letterale della disposizione, che, a differenza dellĠart. 614-bis cod. proc. civ., non pone Òalcuna distinzione per tipologie di condanne rispetto al potere del giudice di disporre, su istanza di parte, la condanna dell'amministrazione inadempiente al pagamento della penalitˆ di moraÓ (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462), con una scelta che Òappare coerente con il rilievo che il rimedio dellĠottemperanza, grazie al potere sostitutivo esercitabile, nellĠalveo di una giurisdizione di merito, dal giudice in via diretta o mediante la nomina di un commissario ad acta, non conosce, in linea di principio, lĠostacolo della non surrogabilita degli atti necessari al fine di assicurare lĠesecuzione in re del precetto giudiziarioÓ (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688); b) la peculiare natura giuridica della penalitˆ di mora ex art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., che, in virt della sua diretta derivazione dal modello francese delle cc. dd. ÒastreintesÓ, Òassolve ad una finalita sanzionatoria e non risarcitoria in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato dallĠesecuzione della sentenza ma vuole sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore allĠadempimentoÓ (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688), integrando un strumento Òdi pressione nei confronti della p.a., inteso ad assicurare il pieno e completo rispetto degli obblighi conformativi discendenti dal decisum giudizialeÓ (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462); c) il rilievo secondo cui la matrice sanzionatoria della misura, idonea a confutare il rischio di duplicazione risarcitoria,  confermata dalla considerazione da parte dellĠart. 614-bis, comma 2, cod. proc. civ., sempre nellĠottica dellĠaderenza al modello francese, della misura del danno quantificato e prevedibile come Òsolo uno dei parametri di commisurazione in quanto prende in considerazione anche altri profili, estranei alla logica riparatoria, quali il valore della controversia, la natura della prestazione e ogni altra circostanza utile, tra cui si pu˜ annoverare il profitto tratto dal creditore per effetto del suo inadempimentoÓ (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6688). 5.2 LĠopposto orientamento dˆ risposta negativa alla questione (cfr. di recente Cons. Stato, Sez. IV, 13 giugno 2013 n. 3293; Cons. Stato, Sez. III, 06 dicembre 2013, n. 5819) sulla scorta delle seguenti argomentazioni: a) la considerazione per la quale la funzione della penalitˆ di mora nel giudizio di ottemperanza sarebbe quella di Òincentivare l'esecuzione di condanne di fare o non fare infungibile prima dell'intervento del commissario ad acta, il quale comporta normalmente maggiori oneri per l'Amministrazione, oltre che maggiore dispendio di tempo per il privatoÓ, di modo che Òove il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l'esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario, la tesi favorevole all'ammissibilitˆ dell'applicazione dell'astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca atteso che il creditore pecuniario della p.a. nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilitˆ rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile solo in base ad un'opzione puramente potestativaÓ (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); b) la valorizzazione dellĠiniquitˆ della condanna al pagamento di una somma di danaro laddove l'obbligo oggetto di domanda giudiziale sia esso stesso di natura pecuniaria, di talchŽ sarebbe giˆ assistito, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dallĠobbligo accessorio degli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi, con le conseguenze della Òduplicazione ingiustificata di misure volte a ridurre l'entitˆ del pregiudizio derivante all'interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato, nonchŽ dellĠingiustificato arricchimento del soggetto giˆ creditore della prestazione principale e di quella accessoriaÓ (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819); c) lĠimpossibilitˆ di cumulare un modello di esecuzione surrogatoria con uno di carattere com pulsorio, dal momento che il sistema nazionale di esecuzione amministrativa della decisione, connotato da caratteri di estrema incisivitˆ e pervasivitˆ, porrebbe giˆ a presidio delle ragioni debitorie dellĠamministrazione Òla doppia garanzia sul piano patrimoniale del riconoscimento degli accessori del credito e su quello coercitivo generale dellĠintervento del Commissario ad actaÓ (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, ord. 18 aprile 2014, n. 2004). 6. LĠAdunanza Plenaria ritiene di aderire allĠorientamento prevalente che ammette lĠoperativitˆ dellĠistituto per tutte le decisioni di condanna adottate dal Giudice Amministrativo ex art. 112 c.p.a., ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie. 6.1. A sostegno dellĠopzione estensiva si pone, innanzitutto, un argomento di diritto comparato. Si deve considerare, infatti, che il sistema francese, modello sul quale sono stati coniati gli istituti nazionali che prevedono lĠirrogazione della penalitˆ di mora,  connotato da unĠindiscussa funzione sanzionatoria, essendo teleologicamente orientato a costituire una pena per la disobbedienza alla statuizione giudiziaria, e non un risarcimento per il pregiudizio sofferto a causa di tale inottemperanza. Il modello transalpino, quindi, in aderenza al favor espresso dalla giurisprudenza della CEDU verso la massima estensione, anche in executivis, dellĠeffettivitˆ delle decisioni giurisdizionali, dimostra che il rimedio compulsorio in esame pu˜ operare anche per le condanne pecuniarie, in quanto non conosce limiti strutturali in ragione della natura della condotta imposta dallo iussum iudicis. Si conferma, in questo modo, che la delimitazione dellĠambito oggettivo di operativitˆ della misura  frutto di una scelta di politica legislativa e non un limite concettuale derivante dalla fisionomia dellĠistituto. 6.2. LĠargomento di diritto comparato si salda con lĠargomento letterale. LĠanalisi del dato testuale dellĠart. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., chiarisce, infatti, che, in sede di codificazione del processo amministrativo, il legislatore ha esercitato la sua discrezionalitˆ, in sede di adattamento della conformazione dellĠistituto alle peculiaritˆ del processo amministrativo, nel senso di estendere il raggio dĠazione delle penalitˆ di mora a tutte le decisioni di condanna. La norma in analisi non ha, infatti, riprodotto il limite, stabilito della legge di rito civile nel titolo dellĠart. 614-bis, della riferibilita del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile. Si deve aggiungere che la norma in esame non solo non contiene un rinvio esplicito allĠart. 614-bis, ma neanche richiama implicitamente il modello processual-civilistico. Decisiva risulta la constatazione che lĠart. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., modifica lĠimpianto normativo del rito civile prevedendo lĠulteriore limite negativo rappresentato dal- lĠinsussistenza di Òragioni ostativeÓ. Significativa appare, in questa direzione, anche la considerazione che nel giudizio civile lĠastreinte  comminata dalla sentenza di cognizione con riguardo al fatto ipotetico del futuro inadempimento, mentre nel processo amministrativo la penalitˆ di mora  applicata dal giudice dellĠesecuzione a fronte del giˆ inverato presupposto della trasgressione del dovere comportamentale imposto dalla sentenza che ha definito il giudizio. Non pu˜, dunque, essere attribuito un rilievo decisivo ai lavori preparatori, in quanto il riferimento, operato dalla Relazione governativa di accompagnamento, alla riproduzione dellĠart. 614-bis cod. proc. civ., va inteso come richiamo della fisionomia dellĠistituto e non come recepimento della sua disciplina puntuale. In definitiva, a fronte dellĠampia formulazione dellĠart. 114, co. IV, lett. e, cod. proc. amm., unĠoperazione interpretativa che intendesse colmare una lacuna che non cĠ attraverso il ri chiamo dei limiti previsti dalla diversa norma del processo civile, si tradurrebbe in unĠinammissibile analogia in malam partem volta ad assottigliare lo spettro delle tutele predisposte dal codice del processo amministrativo nel quadro di un potenziamento complessivo del giudizio di ottemperanza. 6.3. Occorre mettere lĠaccento, a questo punto, sullĠargomento sistematico. La diversitˆ delle scelte abbracciate dal legislatore per il processo civile e per quello amministrativo si giustifica in ragione della diversa architettura delle tecniche di esecuzione in cui si cala e va letto il rimedio in esame. Nel processo civile, stante la distinzione tra sentenze eseguibili in forma specifica e pronunce non attuabili in re, la previsione della penalitˆ di mora per le sole pronunce non eseguibili in modo forzato mira a introdurre una tecnica di coercizione indiretta che colmi lĠassenza di una forma di esecuzione diretta. Detto altrimenti, nel sistema processual-civilistico, con lĠinnesto della sanzione in parola il legislatore ha inteso porre rimedio allĠanomalia insita nellĠesistenza di sentenze di condanna senza esecuzione, dando la stura ad una tecnica compulsoria che supplisce alla mancanza di una tecnica surrogatoria. Nel processo amministrativo, per converso, la norma si cala in un archetipo processuale in cui, grazie alle peculiaritˆ del giudizio di ottemperanza, caratterizzato dalla nomina di un commissario ad acta con poteri sostitutivi, tutte le prestazioni sono surrogabili, senza che sia dato distinguere a seconda della natura delle condotte imposte. La penalitˆ di mora, in questo diverso humus processuale, assumendo una pi marcata matrice sanzionatoria che completa la veste di strumento di coazione indiretta, si atteggia a tecnica compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria che permea il giudizio dĠottemperanza. Detta fisionomia impedisce di distinguere a seconda della natura della condotta ordinata dal giudice, posto che anche per le condotte di facere o non facere, al pari di quelle aventi ad oggetto un dare (pecuniario o no), vige il requisito della surrogabilitˆ/fungibilitˆ della prestazione e, quindi, lĠesigenza di prevedere un rimedio compulsivo volto ad integrare quello surrogatorio. 6.4. Le considerazioni esposte sono suffragate anche dallĠargomento costituzionale. 6.4.1. Non pu˜ ravvisarsi, in primo luogo, la paventata disparitˆ collegata allĠopzione potestativa, esercitabile da parte del creditore, attraverso la scelta, in sostituzione del rimedio dellĠesecuzione forzata civile - priva dello strumento della penalitˆ di mora per le sentenze di condanna pecuniaria -, dellĠottemperanza amministrativa, rafforzata dalla comminatoria delle astreintes. Il riscontro di profili di disparitˆ devĠessere, infatti, effettuato tenendo conto dei soggetti di diritto e non delle tecniche di tutela dagli stessi praticabili. Ne deriva che la possibilitˆ, per un creditore pecuniario della pubblica amministrazione, di utilizzare, in coerenza con una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio, due diversi meccanismi di esecuzione, lungi dal porre in essere una disparitˆ di trattamento, per la quale difetterebbe il referente soggettivo discriminato, evidenzia un arricchimento del bagaglio delle tutele normativamente garantite in attuazione dellĠart. 24 Cost. in una con i canoni europei e comunitari richiamati dallĠart. 1 c.p.a. 6.4.2. Non pu˜ neanche ravvisarsi, sotto altra e complementare angolazione, una discriminazione ai danni del debitore pubblico, per essere lo stesso soggetto, diversamente dal debitore privato, a tecniche di esecuzione diversificate e pi incisive. Tale differenziazione  il precipitato logico e ragionevole della peculiare condizione in cui versa il soggetto pubblico destinatario di un comando giudiziale. La pregnanza dei canoni costituzionali di imparzialitˆ, buona amministrazione e legalitˆ che in formano lĠazione dei soggetti pubblici, qualificano in termini di maggior gravitˆ lĠinosservanza, da parte di tali soggetti, del precetto giudiziale, in guisa da giustificare la previsione di tecniche di esecuzione pi penetranti, tra le quali si iscrive il meccanismo delle penalitˆ di mora. In questo quadro va rimarcato che la previsione di cui allĠart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., si inserisce armonicamente in una struttura del giudizio di ottemperanza complessivamente caratterizzata, proprio per la specialitˆ del debitore, da un potere di intervento del giudice particolarmente intenso, come testimoniato dallĠassenza del limite dellĠinfungibilitˆ della prestazione, dalla previsione di una giurisdizione di merito e dallĠadozione di un modello surrogatorio di tutela esecutiva. 6.5. La tesi esposta non , infine, scalfita dallĠargomento equitativo su cui fanno leva i fautori della tesi restrittiva, richiamando il rischio di duplicazione di risarcimenti, con correlativa locupletazione del creditore e depauperamento del debitore. LĠargomento  inficiato dal rilievo che la penalitˆ di mora, come fin qui osservato, assolve ad una funzione coercitivo-sanzionatoria e non, o quanto meno non principalmente, ad una funzione riparatoria, come dimostrato, tra lĠaltro, dalle caratteristiche dei modelli di diritto comparato e dalla circostanza che nellĠarticolo 614 bis c.p.c. la misura del danno  solo uno di parametri di quantificazione dellĠimporto della sanzione. Trattandosi di una pena, e non di un risarcimento, non viene in rilievo unĠinammissibile doppia riparazione di un unico danno ma lĠaggiunta di una misura sanzionatoria ad una tutela risarcitoria. é, in definitiva, insito nella diversa funzione della misura, da un lato, che a tale sanzione, diversamente da quanto accade per i punitive damages, si possa accedere anche in mancanza del danno o della sua dimostrazione; e, dallĠaltro, che al danno da inesecuzione della decisione, da risarcire comunque in via integrale ai sensi dellĠart. 112, comma 3, c.p.a., si possa aggiungere una pena che il legislatore, pur se implicitamente, ha inteso destinare al creditore insoddisfatto. Si deve soggiungere che la locupletazione lamentata, frutto della decisione legislativa di disporre un trasferimento sanzionatorio di ricchezza, ulteriore rispetto al danno, dallĠautore della condotta inadempitiva alla vittima del comportamento antigiuridico, si verifica in modo identico anche per sentenze aventi un oggetto non pecuniario, per le quali parimenti il legislatore, pur se non attraverso meccanismi automatici propri degli accessori del credito pecuniario (rivalutazione e interessi), prevede lĠazionabilitˆ del diritto al risarcimento dellĠintero danno da inesecuzione del giudicato (art. 112, comma 3, cit), in aggiunta alla possibilitˆ di fare leva sul meccanismo delle penalitˆ di mora. Anche sotto questo punto di vista, quindi, le sentenze aventi ad oggetto un dare pecuniario non pongono problemi specifici e non presentano caratteristiche diverse rispetto alle altre pronunce di condanna. Va soggiunto che la funzione deterrente e general-preventiva delle penalitˆ di mora verrebbe frustrata dalla mancata erogazione della tutela in analisi ove vi sia giˆ stato o possa essere assicurato un integrale risarcimento. 6.5.1. Si deve, infine, osservare che la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dellĠesigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di unĠastratta inammissibilitˆ della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per lĠapplicazione della misura nonchŽ al momento dellĠesercizio del potere discrezionale di graduazione dellĠimporto. Non va sottaciuto che lĠart. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., proprio in considerazione della spe cialitˆ, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltˆ nellĠadempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquitˆ, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando lĠassenza di preclusioni astratte sul piano dellĠammissibilitˆ, spetterˆ allora al giudice dellĠottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dellĠammontare della sanzione, verificare se le circostanza addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne lĠimporto. 7. LĠAdunanza Plenaria afferma pertanto il seguente principio di diritto: ÒNellĠambito del giudizio di ottemperanza la comminatoria delle penalitˆ di mora di cui allĠart. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo,  ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniariaÓ. 8. Ci˜ affermato lĠAdunanza Plenaria, ai sensi dellĠart. 99, comma 4, c.p.a., restituisce gli atti alla Sezione quarta di questo Consiglio per le ulteriori pronunce di rito, sul merito della controversia e sulle spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) affermato il principio di diritto di cui in motivazione, restituisce gli atti alla Sezione quarta per ogni ulteriore statuizione di rito, nel merito della controversia e sulle spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Sulle procedure concorsuali nella p.A. PARERE 15/04/2014-169698, CS 39605/2008, SEZ. AG, AVV. STEFANO VARONE Si riscontra la richiesta di parere in oggetto in merito agli effetti prodotti dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso dellĠing ... inerente il bando del 7 dicembre 2007 per la copertura di complessivi 8 posti da dirigente di seconda fascia, di cui sei per dirigenti con formazione giuridica, uno per dirigente con formazione economica ed uno per dirigente con formazione tecnica. Codesta Autoritˆ ha allegato le seguenti circostanze fattuali: -che lĠIngegnere, il quale ha partecipato alla procedura ma non  risultato utilmente collocato in graduatoria, ha impugnato dinanzi al TAR Lazio il bando e la determinazione 15 luglio 2008 con la quale lĠAutoritˆ aveva approvato la graduatoria di merito. -che il TAR Lazio, in parziale accoglimento del ricorso, ha annullato la graduatoria finale del concorso e la conseguente determinazione del Presidente dellĠAutoritˆ del 15 luglio 2008, ordinando allĠAmministrazione di procedere, nei limiti dellĠinteresse del ricorrente, fermo restando il punteggio delle prove orali, dapprima ad un motivato apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente stesso e ai soli candidati utilmente collocati in graduatoria e, poi, alla redazione della graduatoria finale. -che in esecuzione della citata sentenza la Commissione di concorso procedeva ad un nuovo apprezzamento dei titoli riferibili al ricorrente e, successivamente, alla redazione di una nuova graduatoria finale, la quale  stata approvata dal Consiglio dellĠAutoritˆ con il provvedimento di cui al verbale n. 27 del 29-30 luglio 2009. Anche in detta graduatoria lĠIngegnere non si  collocato fra i vincitori. - che lĠapprovazione della graduatoria a seguito della rivalutazione, effettuata in data 29-30 luglio 2009, non sarebbe mai stata impugnata dall'Ingegnere (nemmeno nel successivo e diverso ricorso da lui proposto al TAR Lazio contro il provvedimento dellĠAutoritˆ adottato nellĠadunanza del 14 ottobre 2009, con cui era stato deliberato lo scorrimento della graduatoria a favore degli idonei). - che lĠIngegnere ha impugnato la sentenza del TAR Lazio dinanzi al Consiglio di Stato e che, questĠultimo ha accolto il motivo ritenuto assorbente, relativo alle modalitˆ di svolgimento del concorso, annullando il bando e gli atti conseguenziali. -che la Dott.ssa (...) e la Dott.ssa (...), in qualitˆ di controinteressate sopravvenute hanno proposto opposizione di terzo avverso la sentenza del Consiglio di Stato. Codesta Autoritˆ ha, quindi, evidenziato che lĠannullamento della procedura porrebbe rilevanti e delicati problemi, soprattutto alla luce del potenziale impatto sullĠorganizzazione (nonchŽ sul buon andamento dellĠazione amministrativa) in ragione del fatto che a partire dal 2008 sono stati immessi in ruolo i soggetti utilmente collocati sulla base della graduatoria, i quali svolgono da circa sei anni funzioni strategiche per lĠAmministrazione, la quale non sarebbe in grado di ovviare al deficit gestionale che si verrebbe a determinare in caso di caducazione dei relativi contratti. Ha, quindi, richiesto alla scrivente Avvocatura di rendere una parere in merito: a) al comportamento che lĠAutoritˆ  tenuta ad eseguire nelle more del giudizio di opposizione, anche chiarendo se vi siano soggetti diversi dalle parti in giudizio che possano pretenderne l'ottemperanza; b) al significato da attribuire al passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato ove si afferma che laddove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale, lĠAmministrazione dovrˆ far luogo alla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevati, chiarendo se il termine ÒrinnovazioneÓ implichi una rinnovazione ÒtotaleÓ mediante lĠobbligo di pubblicazione di un nuovo bando di concorso e se il nuovo bando debba essere aperto solo a coloro i quali erano in possesso del requisito di partecipazione al momento della pubblicazione del bando di concorso annullato oppure a tutti coloro che risultino in possesso dei requisiti prescritti dal bando al momento della sua pubblicazione. Al riguardo osserva la Scrivente che il Consiglio di Stato, con la sentenza citata, ha accolto lĠimpugnazione dellĠIngnere ritenendo fondato il primo motivo di doglianza con cui il ricorrente aveva dedotto la violazione dellĠart. 28 del d.lgs. 165 del 2001 e dellĠart. 5 del d.P.R. n. 272 del 2004. In particolare, era stato censurato il bando l“ dove ha previsto che le prove di esame in concreto assegnate ai candidati consistevano in una prova teorica ed una teorico- pratica da espletarsi a mezzo di un unico colloquio. Sosteneva infatti il ricorrente che, in base dellĠart. 8, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, la procedura concorsuale si sarebbe dovuta svolgere sulla base di due prove scritte e di una orale. Tale censura  stata condivisa dal Collegio per il quale, in assenza di di verse diposizioni regolamentari, la procedura concorsuale non corrispondeva alle modalitˆ di svolgimento delle prove prefissate dal legislatore statale per lĠaccesso alle qualifiche dirigenziali. La pronuncia ha, quindi, rilevato il carattere assorbente del motivo, chiarendo testualmente che Ògli effetti caducanti che derivano, merc il suo accoglimento, sullĠintera procedura concorsuale, comportano che non rileva lĠesame dei motivi ulteriori dedotti in primo grado, dovendo lĠAutoritˆ far luogo - ove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e ove sussistano tutte le altre condizioni - alla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevatiÓ e che ÒIn definitiva, lĠappello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va disposto lĠintegrale annullamento degli atti concorsuali in primo grado impugnatiÓ. Come noto la giurisprudenza  sostanzialmente concorde nellĠaffermare che il giudicato amministrativo di annullamento  autoesecutivo nel senso che non ha bisogno di essere seguito da ulteriori atti, comportamenti od attivitˆ dell'ente obbligato, producendo automaticamente un effetto demolitorio sui provvedimenti cui si riferisce, che comporta, altrettanto automaticamente, la loro cancellazione dal mondo giuridico sin dal momento della loro emanazione (Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2013, n. 130). Anche in presenza del giudizio di opposizione di terzo lĠefficacia esecutiva della pronuncia non pu˜ essere discussa, salva lĠadozione di atti di sospensione da parte del Consiglio di Stato, di cui occorrerebbe in ogni caso esaminare gli effetti dal punto di vista dellĠestensione soggettiva, sulla base dellĠeventuale provvedimento adottato dallĠorgano giurisdizionale. Come sopra illustrato, dĠaltronde, il Consiglio di Stato ha esplicitamente sostenuto un effetto caducante sullĠintera procedura concorsuale, tanto  vero che il Collegio ha affermato che lĠAutoritˆ deve dar luogo a rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando, precisando che ci˜ pu˜ avvenire alla condizione che permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e Òsussistano tutte le altre condizioniÓ. Ci˜ risulta conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale afferma lĠesistenza di un effetto caducante automatico, a prescindere da oneri impugnatori degli atti Òa valleÓ, nell'ipotesi in cui il provvedimento successivo abbia carattere meramente esecutivo degli atti presupposti, ovvero faccia parte di una sequenza procedimentale che lo pone in rapporto di immediata derivazione dagli atti precedenti (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 4 settembre 2013, n. 4441; Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2009 n. 1869). Va, tuttavia, considerato che lĠeffetto caducante ha ad oggetto la serie procedimentale inerente la procedura concorsuale e, alla luce della giurisprudenza maggioritaria, non comporta l'automatica caducazione del negozio giuridico a valle, producendo piuttosto unĠinvaliditˆ derivata (cos“ detto effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull'atto nego ziale (Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), vale a dire il giudice ordinario in base alla disciplina di cui allĠart. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Peraltro risulta che la questione  stata oggetto di remissione allĠadunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 14 ottobre 2013, n. 4999, in relazione alla tematica dei contratti ÒderivatiÓ degli enti locali. In assenza di norme specifiche (come quelle inerenti le procedure di affidamento degli appalti) alla luce dellĠattuale assetto , pertanto, da ritenere che una controversia che sia rivolta ad accertare le condizioni di validitˆ e di efficacia del contratto, spetta al giudice ordinario, posto che ha ad oggetto non giˆ i provvedimenti riguardanti procedura selettiva ma sostanzialmente il rapporto privatistico discendente dal negozio (Cass., Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8515; 5 aprile 2012, n. 5446, ordinanza). Tali considerazioni assumono carattere decisivo. Accedendo alla tesi che la caducazione automatica non si pu˜ concretiz zare in relazione agli atti negoziali a valle, la tematica  quella della verifica della relativa validitˆ dal punto di vista civilistico. A tal fine non pu˜ essere trascurata la giurisprudenza che ha analizzato in termini di patologia negoziale il vizio del contratto e che  stata resa principalmente in tema di procedure ad evidenza pubblica. La Cassazione in passato ha, infatti, sovente ritenuto che, pur sussistendo fra gli atti del procedimento amministrativo che precede la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica e il negozio stesso un nesso obbiettivo, determinato dall'essere i primi gli antecedenti in senso logico-giuridico del negozio di diritto privato, tuttavia, i vizi degli atti della sequenza procedimentale costitutiva o integrativa della volontˆ negoziale, anche se rilevati e oggetto di pronuncia costitutiva di annullamento da parte del g.a., non avrebbero determinato automaticamente l'invaliditˆ del contratto, incidendo piuttosto sul negozio se ed in quanto in- quadrabili tra le cause di invaliditˆ disciplinate dal codice civile. Nell'ambito delle possibili fattispecie di invaliditˆ ÇcivilisticaÈ si  spesso ricorsi alle categorie dell'inefficacia o dell'annullabilitˆ relativa, a seconda che i lamentati vizi attenessero all'approvazione o al visto, intesi quali requisiti di efficacia, ovvero alla deliberazione a contrarre e all'aggiudicazione, intesi come requisiti di validitˆ. La giustificazione sistematica di tale orientamento, ora contrastato da non pi sporadiche pronunce del giudice amministrativo,  stata prevalentemente sostenuta o inquadrando le fattispecie nell'ambito dei vizi del consenso ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c. (per tutte Cass., 8 maggio 1996, n. 4269), ovvero facendo ricorso alla discussa categoria della legittimazione negoziale, con conseguente possibilitˆ di configurare un vizio di incapacitˆ (relativa) delle parti contraenti da ricondurre al disposto di cui all'art. 1425 c.c. (Cass. 21 febbraio 1995 n. 1885; Cass. 7 aprile 1989 n. 1682). La trasposizione di tale impostazione nel caso di specie, che comporterebbe un residuo margine decisorio per la PA nella scelta se agire giudizial mente per lĠannullamento dei contratti, parrebbe, tuttavia, ostacolata dalla constatazione della regola del concorso pubblico, riconosciuta, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione, come forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, con la conseguenza che le assunzioni poste in essere sulla base della procedura annullata risulterebbero effettuate senza il necessario presupposto. L'indisponibilitˆ degli interessi pubblici inerenti alla determinazione dell'attivitˆ lavorativa dei dipendenti richiede, infatti, che la selezione del personale avvenga sulla base della regola generale del concorso. Tale lettura, che pare preferibile, comporta che lĠAmministrazione, annullata la procedura concorsuale, si trova di fronte ad una serie di contratti con cui si  provveduto allĠassunzione di dipendenti a tempo indeterminato sulla base di una procedura concorsuale annullata ex tunc e da considerare, pertanto, giuridicamente inesistente. Non pare dĠaltronde possa incidere su tale esito la circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato riguarda una graduatoria annullata e sostituita immediatamente all'esito del giudizio di primo grado. é, infatti, vero che allĠesito del giudizio di primo grado  stata redatta una graduatoria ulteriore dalla Commissione di concorso (Verbale del 28 luglio 2009) la quale  stata impugnata al TAR ed il relativo giudizio  attualmente pendente dinanzi al Tar Lazio. Tuttavia la circostanza che il Consiglio di Stato abbia annullato il bando per vizi radicali suoi propri implica che il TAR potrˆ semplicemente prendere atto dellĠintervenuta caducazione dellĠatto a monte e del conseguente travolgimento degli atti consequenziali che non possono vivere di vita propria una volta venuto meno lĠatto prodromico. In definitiva,  da ritenere che i contratti di lavoro posti in essere sulla base della procedura annullata siano civilisticamente viziati, ma la carenza di giurisdizione da parte del Giudice Amministrativo implica che ogni questione, tanto susseguente ad atti di risoluzione dei rapporti adottati da codesta Autoritˆ sulla base della pronuncia del GA, quanto ad eventuali azioni giudiziali di accertamento della sopravvenuta invaliditˆ dei negozi, sia di competenza del Giudice Ordinario. Per quanto concerne gli ulteriori aspetti dellĠesecuzione della pronuncia del Consiglio di Stato citata, lĠAutoritˆ dovrˆ tenere conto delle graduatorie tuttĠora vigenti. Come sopra illustrato, infatti, la predetta decisione dispone che lĠAutoritˆ deve provvedere Òalla rinnovazione della selezione a mezzo della predisposizione di un altro bando concorsuale che risulti immune dai vizi rilevatiÓ ma ci˜ solo Òove permangano le esigenze di provvista di nuovo personale e ove sussistano tutte le altre condizioniÓ. Con il richiamo alle Òaltre condizioniÓ  da ritenere che il Consiglio di Stato faccia riferimento tanto a profili di fatto condizionanti lĠindizione di una procedura concorsuale (es. disponibilitˆ finanziaria) quanto normativi. Al momento dell'ottemperanza alla decisione occorre indagare se il ripristino dello status quo ante sia compatibile con lo stato di fatto e di diritto prodottosi medio tempore. Ci˜ in quanto assumono rilevanza le sopravvenienze normative o di fatto al provvedimento impugnato, alle quali si attribuisce la capacitˆ di limitare o escludere gli effetti ulteriori del giudicato (Cons. Stato Sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6849). é stato, infatti, pi volte sostenuto che (Cons. Stato, Sez. VI 30 giugno 2010, n. 4175; in precedenza Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5816) l'esecuzione del giudicato amministrativo trova ostacolo nelle sopravvenienze della normativa verificatesi anteriormente alla notificazione della sentenza, mentre non rilevano quelle successive a tale data. Tale profilo pare assumere rilievo decisivo nel caso di specie in quanto ai sensi dellĠart. 4 D.L. 31 agosto 2013 n. 101, convertito in l. 30 ottobre 2013, n. 125 ÒPer le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni,  subordinata alla verifica: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessitˆ organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1Ħ gennaio 2007, relative alle professionalitˆ necessarie anche secondo un criterio di equivalenzaÓ. Solo in detti limiti  attualmente possibile, pertanto, lĠindizione di una procedura concorsuale di reclutamento, dovendo, quindi, lĠAmministrazione, valutate le attuali esigenze di organico e gli ulteriori presupposti normativi, verificare la sussistenza di graduatorie tuttĠora vigenti per le professionalitˆ richieste. La questione  stata esaminata dal Comitato Consultivo, che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 9 aprile 2014. Requisiti di nomina dei Presidenti e dei Commissari delle Autoritˆ portuali PARERE 24/05/2014-226901, CS 11837/2014, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI Con nota del 29 aprle 2014 prot. 16788, pervenuta il 6 maggio 2014, codesto Ministero, successivamente al parere reso dalla Scrivente con nota del 26 marzo u.s., prot. 137564 con cui, dopo avere chiarito alcuni aspetti in ordine alla procedura da seguire per la nomina del Presidente dellĠAutoritˆ portuale di Napoli, ci si riservava un pi ampio approfondimento sugli aspetti di massima, ha nuovamente richiesto lĠavviso di questo G.U. Con la nota da ultimo pervenuta, in particolare, codesto Ministero - premesso di dover procedere con ogni consentita urgenza alle nomine di taluni Presidenti e Commissari di Autoritˆ portuali - ritiene necessario acquisire il parere di questo G.U. in ordine al corretto iter procedurale da seguire in relazione alle menzionate nomine, Òanche tenendo conto degli indirizzi tracciati dalle pronunce del Consiglio di Stato relativamente ai requisiti di idoneitˆ dei candidati ed ai limiti attinenti le prerogative di selezione del predetto MinisteroÓ. I) Sui requisiti dei Presidenti delle Autoritˆ portuali. Come giˆ osservato in occasione della precedente consultazione, la giurisprudenza consolidata, in analogia con la posizione assunta in relazione alla nomina di organi di vertice delle Amministrazioni statali, ha costantemente affermato che il provvedimento di nomina del Presidente dellĠAutoritˆ portuale, ai sensi dellĠart. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994,  riconducibile nel- lĠalveo proprio della c.d. alta amministrazione in quanto: -non necessita di una valutazione comparativa tra gli altri aspiranti, rendendosi necessario che sia comprovato il possesso dei requisiti prescritti; - informato a criteri eminentemente fiduciari, essendo comunque espressione della complessa potestˆ di indirizzo e di governo delle autoritˆ preposte alle amministrazioni stesse; -presuppone solo la previa definizione dei soggetti individuati in ragione del possesso dei titoli previsti dalla norma; - pur sempre assistito dalle garanzie generali e dai limiti propri degli atti amministrativi, essendo sempre volto alla cura degli interessi pubblici. Il provvedimento in questione, quale atto di alta amministrazione, ha dunque, una funzione di raccordo tra il momento politico e quello amministrativo. Diversamente dagli atti politici tuttavia, non  altrettanto libero nei fini ed , pertanto, assoggettato ad un sindacato sia pure c.d. ÒdeboleÓ, ovvero limitato al profilo della ragionevolezza e logicitˆ della scelta effettuata (Cons. di Stato, VI, n. 1783 del 2007; Consiglio di Stato, 13 maggio 2013, n. 2596). Le considerazioni che precedono rispondono ai principi generali giˆ costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alle nomine dei pi alti vertici delle amministrazioni statali. Ex multis: Cons. di St. n. 2706 del 2005 : ÒLe nomine degli organi di vertice delle amministrazioni sia centrali che locali, si configurano certamente come provvedimenti da adottare in base a criteri eminentemente fiduciari, riconducibili nell'ambito degli atti di Òalta amministrazioneÓ, in quanto espressione della potestˆ di indirizzo e di governo delle autoritˆ preposte alle amministrazioni stesse; tuttavia il singolo provvedimento di nomina, comportando una scelta nell'ambito di una categoria di determinati soggetti in possesso dei titoli specifici, deve esporre le ragioni che hanno condotto alla nomina di uno di essi, anche se la motivazione della scelta - effettuata intuitu personae - da formularsi all'esito di un apprezzamento complessivo del candidato e senza alcuna valutazione comparativa rispetto agli altri aspiranti, comporta soltanto la necessitˆ di comprovare la avvenuta valutazione del possesso dei prescritti requisiti del prescelto, in modo che possa dimostrarsi la ragionevolezza della scelta effettuata (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 1999, n. 120; 1Ħ settembre 1998, n. 1139)Ó. Nel medesimo senso, con riferimento ai pi diversi settori delle Amministrazioni statali, Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 810; Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5050, TAR del Lazio, sez. II, 15 dicembre 1997, n. 13361, TAR del Lazio, Sez. I, 5 marzo 2012, n. 2223. Proprio per l'ampia discrezionalitˆ che innegabilmente connota la nomina, la stessa si configura come una scelta tra tutti i soggetti che potenzialmente siano dotati dei requisiti prescritti dalla legge, scelta che deve basarsi su presupposti congrui ed essere adeguatamente motivata come richiesto, in linea generale, dalla legge sul procedimento e dalla giurisprudenza ormai consoli- data, con riferimento anche agli atti connotati da elevata discrezionalitˆ (In tal senso, da ultimo, anche Cons. di St., n. 1321 del 2014). Tali generali premesse sono state sostanzialmente riaffermate dalla recente sentenza n. 4768 del 2013 con cui il Giudice di appello, tornando ad occuparsi delle nomine dei Presidenti delle Autoritˆ portuali ha, tuttavia, affermato principi parzialmente difformi rispetto alla giurisprudenza finora invalsa in subiecta materia. La decisione, in particolare, nel pronunciarsi sulla legittimitˆ della nomina del Presidente dell'Autoritˆ portuale di Cagliari, non si  limitata a valutare la scelta effettuata dal Ministro (di intesa con la Regione), sul mero piano della logicitˆ e della ragionevolezza, ma ha indagato i contenuti dei requisiti richiesti, spingendosi ad affermare che, pur in assenza di una espressa previsione normativa, ҏ di norma necessario il possesso di una laurea connessa, affine, collegata o collegabile con la materia portualeÓ per poter definire il nominato quale esperto del settore, oltre che una Òspecifica qualificazione culturale teorica e pratica nelle materie indicate dalla leggeÓ. Nel caso sottoposto alla attenzione del Consiglio di Stato, pertanto, tanto il titolo di studio posseduto dal designato (laurea in medicina), quanto le esperienze svolte quale parlamentare allĠinterno delle competenti Commissioni, secondo i Giudici di appello, non sono state ritenute sufficienti al fine di integrare quel massimo grado inderogabilmente richiesto dallĠart. 8 comma 1, giungendo ad una declaratoria (di illegittimitˆ) del provvedimento di nomina opposta a quella cui il medesimo Giudice era pervenuto in un caso del tutto analogo, solo pochi anni prima (Cons. di St. 1783/2007). Il Consiglio di Stato, oltre a ricollegare in modo espresso la elevata qualificazione professionale ad uno specifico titolo di studio, si  inoltre spinto fino ad esaminare, in modo pi pregnante, i contenuti e la rilevanza della esperienza professionale del candidato. Essendosi ravvisato nella decisione in esame un travalicamento dei limiti propri di quel sindacato ÒdeboleÓ solitamente ammissibile per casi analoghi, la decisione sopra richiamata, come  noto,  stata impugnata in sede di legittimitˆ da questo G.U. (oltre che dalla Provincia di Cagliari) per difetto assoluto di giurisdizione. La discussione del ricorso risulta fissata per il 19 giugno p.v. Tenuto conto dei principi cos“ affermati, in linea generale, si osserva che, indubbiamente, lĠart. 8, comma 1, della l. n. 84 del 1994, nel disciplinare la nomina del Presidente dell'Autoritˆ portuale, fa riferimento ad una terna di ÒespertiÓ tra i quali deve essere operata la scelta, i quali devono essere in possesso della Òmassima e comprovata qualificazione professionale nei settoridellĠeconomia dei trasporti e portualeÓ . La nomina, dunque, giˆ alla stregua del dato letterale della norma, impone che i designati siano in possesso di una specifica qualificazione che deve essere massima e comprovata. Come giˆ osservato nel parere giˆ reso il 26 marzo u.s., pertanto,  possibile ribadire che, indubbiamente, la scelta discrezionale del Ministro, benchŽ caratterizzata da una elevato tasso di discrezionalitˆ, deve svolgersi necessariamente nel confine segnato dall'art. 8, ovvero nei confronti di candidati in possesso dei richiamati requisiti. Ci˜, tuttavia, a parere della Scrivente, non consente di concludere, necessariamente, che tali requisiti comunque presuppongano un titolo di studio Òconnesso, affine collegato o collegabile con la materia portualeÓ, trattandosi di presupposto non contemplato dalla normativa, come del resto affermato in tempi non troppo lontani dal medesimo Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 1783 del 2007 ove si legge che Òai fini del riconoscimento ai soggetti qualificati della qualifica di esperto di massima e comprovata qualificazione professionale, la richiamata norma non richiede che il candidato sia munito di specifico titolo di studio nŽ che abbia svolto un particolare percorso professionale, imponendo soltanto che l'esperienza sia maturata nei settori, anche essi genericamente indicati, dell'economia dei trasporti e portualiÓ . DĠaltra parte, come la stessa decisione n. 4768/2013 evidenzia, le competenze affidate all'Autoritˆ portuale e al suo Presidente sono molteplici e tali da coinvolgere profili che richiedono non solo una determinata preparazione culturale ma anche competenze tecniche ed esperienze gestionali, oltre che la conoscenza dei settori di riferimento e delle problematiche, tecniche, giuridiche e economiche che ad essi solitamente si ricollegano. Rientra, pertanto, nella discrezionalitˆ riconosciuta allĠAmministrazione valutare la sussistenza di tali aspetti in capo al possibile candidato in modo, comunque, da poter pervenire ad un giudizio complessivo di massima e comprovata qualificazione. Se , dunque, vero - come affermato dalla pi recente decisione - che, di norma, lĠesperienza nel settore si ricollega al possesso di una laurea connessa, affine o collegata con la materia portuale,  vero anche che la scelta possa concentrarsi anche su soggetti che, seppur privi di un titolo di tal fatta, siano dotati di una innegabile e particolare esperienza nello specifico settore, tale da far ritenere, secondo una valutazione ampiamente discrezionale, che lĠinteressato possieda la necessaria idoneitˆ a svolgere le funzioni richieste. In ogni caso, l'esperienza e la qualificazione necessaria, dovranno essere riconducibili ai settori dell'economia dei trasporti e portuale, come chiaramente indicato dal Legislatore nella legge istituiva delle Autoritˆ, il dato normativo impedendo la possibilitˆ di valorizzare esperienze gestionali e manageriali - sia pure fornite di caratteristiche di eccellenza - ma svolte in settori diversi da quelli indicati. Va, inoltre, considerato che, pur essendo precluso al Giudice amministrativo un penetrante sindacato delle scelte effettuate, le stesse ben potranno essere valutate sul piano della logicitˆ e della ragionevolezza e che il possesso di un titolo di studio totalmente estraneo al tipo di funzioni che il designato  chiamato a svolgere, pu˜ essere considerata di per sŽ - e in assenza di un bagaglio culturale comunque fornito da una significativa esperienza professionale nel settore - possibile sintomo di illogicitˆ ed irrazionalitˆ della scelta, oltre che costituire violazione diretta dell'art. 8 della l. n. 84 del 1994. Pertanto  bene sottolineare che, nel caso in cui si voglia prescindere da un percorso culturale ad hoc o meglio, quanto pi ci si allontani dallo stesso, l'esperienza maturata dovrˆ essere di livello tale da far presumere che, pur in assenza di laurea o altro titolo connesso o affine, il soggetto prescelto sia pienamente idoneo ad adempiere ai rilevanti compiti che lo attendono e di ci˜ dovrˆ essere dato atto con congrua motivazione, nel provvedimento di nomina, anche attraverso gli opportuni richiami ai contenuti del curriculum presentato. Non possono ignorarsi, al riguardo, i delicati compiti rimessi dall'art. 8, comma terzo, della L. n. 84/1994 al Presidente, tenuto conto che detto organo, non solo ha la rappresentanza dell'ente, ma, solo per indicare alcune delle funzioni principali, presiede il Comitato portuale, sottopone al Comitato portuale il piano operativo triennale, il piano regolatore portuale e le pi rilevanti de- libere riguardanti la vita dell'Ente, oltre a provvedere al coordinamento delle attivitˆ svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonchŽ al coordinamento e al controllo delle attivitˆ soggette ad autorizzazione e concessione. Richiamando le parole della Corte costituzionale  possibile affermare che il Presidente , in effetti, posto Òal vertice di una complessa organizza zione, che vede coinvolti e soggetti al suo coordinamento anche organi schiettamente statali (presiede, tra l'altro, il Comitato Portuale, del quale fanno parte il Comandante del Porto e, in rappresentanza dei Ministeri delle Finanze e dei Lavori Pubblici, un dirigente dei servizi doganali ed uno dell'ufficio speciale del genio civile) e gli  assegnato un ruolo fondamentale, anche di carattere propulsivo, perchŽ il porto assolva alla sua funzione (di rilevanza internazionale o nazionale, secondo la classe di appartenenza) comunque interessante l'economia nazionaleÓ (in tal senso Corte Cost. n. 378 del 2005; v. anche Cons. di St. 13 maggio 2013, n. 2596). Si ritiene, pertanto, che la nomina debba comunque garantire la elevata professionalitˆ richiesta, in modo da far presumere che il nominato sia in grado di assolvere le delicate funzioni attribuite dalla legge oltre che gli eventuali obiettivi di volta in volta indicati. Si osserva, infine, che, nellĠattesa di un possibile consolidarsi della posizione espressa dal Consiglio di Stato con la pi recente decisione, occorre prendere atto che la giurisprudenza sembra avviarsi verso una pi rigorosa interpretazione dei requisiti indicati dalla legge oltre che verso un pi penetrante controllo dellĠazione amministrativa per cui - allo stato - si sottolinea lĠopportunitˆ di un atteggiamento prudenziale, giˆ suggerito in occasione della precedente consultazione, che, pur non ritenendoli vincolanti, tenga conto dei titoli culturali oltre che professionali del candidato. II) Con la nota che si riscontra, codesta Amministrazione ha chiesto anche di conoscere lĠavviso di questo G.U. in ordine alle nomine dei Commissari delle Autoritˆ portuali, sempre in relazione ai requisiti richiesti dalla normativa ed agli ambiti di discrezionalitˆ riservati al Ministro. LĠart. 7, comma terzo, della legge n. 84/1994, si limita a prevedere la possibilitˆ, per il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di disporre, nei determinati casi ivi previsti, la revoca del mandato del Presidente e lo scioglimento del Comitato portuale nonchŽ di nominare, con il medesimo decreto, un commissario che eserciti, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso. Al di lˆ delle espresse previsioni di cui alla norma da ultimo richiamata, la sussistenza di un potere di vigilanza individuato dallĠart. 12 della menzionata legge in capo al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, consente di affermare che detto potere di vigilanza pu˜ essere esercitato anche attraverso la rimozione degli organi direttivi dell'Autoritˆ portuale e la successiva nomina di organi straordinari, ancorchŽ al di fuori delle due ipotesi espressamente indicate all'art. 7 della legge n. 84/1994, costituendo tale potere esplicazione dei cosiddetti "poteri impliciti" che l'ordinamento attribuisce alla Pubblica Amministrazione, pur in difetto di una esplicita previsione di legge (TAR Lazio, Sez. III 23 giugno 2011, n. 5623, Cons di St. IV, 13 maggio 2013, n. 2569). Autorevole fondamento alla teoria dei Òpoteri implicitiÓ  stato rinvenuto nella sentenza di Corte Cost., 20 gennaio 2004 n. 27, laddove si afferma che Òil potere di nomina del Commissario straordinario costituisce attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al sopperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancantiÓ. Tale potere - afferma la Corte Costituzionale -  volto ad assicurare Òil soddisfacimento delle esigenze di continuitˆ della azione amministrativa ed impedire stasi connesse alla decadenza degli organismi ordinariÓ (Corte Cost. 27 luglio 2005, n. 339) e Ònon  esercitabile liberamenteÓ (Corte Cost. 20 gennaio 2004, n. 27). In assenza di riferimenti normativi nonchŽ di una specifica autoregolamentazione da parte di codesto Ministero volta ad individuare i criteri di nomina di tali organi, sulla base dei principi generali , dunque, possibile affermare che la nomina di un Commissario straordinario, in sostituzione del massimo organo di vertice di un ente pubblico, riveste la natura di atto di alta amministrazione, al pari della nomina del Presidente e che, pertanto, ne condivide la natura di provvedimento ampiamente discrezionale, connotato da tratti di fiduciarietˆ e, di conseguenza,  sottoposto al sindacato del giudice amministrativo sotto lĠesclusivo profilo della logicitˆ e della ragionevolezza della scelta effettuata (in ordine al profilo della fiduciarietˆ della nomina dei Commissari delle Autoritˆ portuali: TAR del Lazio, Sez. III ter, 9 febbraio 2011, n. 1260). Individuata la natura giuridica del provvedimento di nomina e venendo allo specifico profilo qui in discussione occorre chiarire, analogamente alla problematica trattata sub I), quali siano i requisiti richiesti ai fini della nomina a Commissario straordinario nominato ai sensi del richiamato art. 7, comma terzo, L. n. 84/1994, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui occorra assicurare la continuitˆ dellĠazione amministrativa nellĠesercizio del potere ministeriale di vigilanza. Avuto riguardo a tale specifico profilo, va preliminarmente rilevato che la legge istitutiva delle Autoritˆ non prevede, per il caso della nomina di un Commissario, specifici requisiti culturali o professionali nŽ, allo scopo, il Legislatore ha ritenuto di dover richiamare i medesimi requisiti richiesti dallĠart. 8 ai fini della nomina del presidente dellĠAutoritˆ portuale. Tale mancato richiamo, a parere di questo G.U., potrebbe far ritenere che, nella scelta del Commissario, il Ministro non sia direttamente vincolato dagli stringenti requisiti di Òmassima e comprovata qualificazioneÓ richiesti con riferimento espresso alle nomine del solo organo di vertice ordinario dellĠEnte. Il procedimento di nomina di un Commissario straordinario ai sensi della legge n. 84/1994, in effetti, costituisce una procedura diversa ed autonoma rispetto al procedimento di nomina del Presidente, questĠultima interamente ed espres samente disciplinata dallĠart. 8 della medesima legge (in tal senso la giˆ menzionata sentenza del TAR del Lazio, sez. III ter n. 1260 del 2011). Tuttavia, non vi  dubbio che il Commissario straordinario - in particolare nei casi in cui la nomina consegua ad una cattiva gestione o ad un malfunzionamento dellĠente -  investito di tutta la attivitˆ di gestione, quanto meno per il tempo necessario al completamento delle fasi di rinnovo degli organi ordinari, oltre che dei poteri straordinari al medesimo attribuiti, e che, pertanto, tale scelta presuppone una attenta valutazione del curriculum del candidato, con particolare riferimento alle competenze professionali ed alle esperienze maturate, in coerenza con i principi sopra indicati per la nomina a Presidente. Pertanto, la relativa istruttoria andrˆ necessariamente svolta secondo criteri di professionalitˆ e di competenza - elementi, questi, che andranno opportunamente richiamati a sostegno della motivazione del provvedimento tenendo conto dei compiti che il Commissario  chiamato a svolgere e ci˜, sia in relazione alla situazione fattuale che ha determinato lĠesigenza della nomina, sia in relazione ai compiti che la legge demanda al Commissario, sia, infine, agli obiettivi di volta in volta attribuiti dal Ministro in relazione al caso concreto, in modo da far concludere - secondo lĠindicato parametro di logicitˆ e di ragionevolezza - che il designato sia un soggetto pienamente idoneo allo svolgimento dei compiti per i quali  stato nominato. **** Trattandosi di questione di massima il presente parere  stato sottoposto allĠesame del Comitato consultivo, ai sensi dellĠart. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 22 maggio 2014. Natura giuridica dellĠIstituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) di proprietˆ dello Stato Vaticano PARERE 24/05/2014-226911, CT 35469/2012, SEZ. VII, AVV. PAOLA PALMIERI Con la richiesta di parere in oggetto codesta Amministrazione ha chiesto alla Scrivente di pronunciarsi in ordine alla natura pubblica o privata dellĠIstituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico IRCCS ÒCasa Sollievo della Sofferenza - gestione della omonima Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza - Opera di San Pio da PetrelcinaÓ, di proprietˆ dello Stato vaticano e da esso vigilata - e proponente, per il tramite del proprio Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico - IRCSS, di diversi progetti nellĠambito dellĠInvito relativo al P.O.N. ÒRicerca e competitivitˆÓ. Tale quesito veniva sollevato in relazione alla nota con cui, la omonima Fondazione, riferiva di essere stata considerata dagli istituti di credito incaricati delle verifiche finanziarie, talvolta quale persona giuridica privata e talvolta quale struttura assimilabile ad una struttura pubblica. Pertanto, la stessa chiedeva di confermare ad entrambi gli istituti bancari l'assimilabilitˆ dell'IRCCS Casa sollievo ad un ente pubblico, quanto meno con riferimento alla necessitˆ di stipulare una fideiussione a garanzia del finanziamento erogato nell'ambito del bando PON. A sostegno, veniva inoltre richiamata la garanzia accordata dal Ministero della Salute in occasione di uno Òstarting grantÓ da parte del Consiglio europeo della ricerca (ERC), detto Ministero avendo considerato lĠIstituto in parola quale ente riconducibile allo Stato Cittˆ del Vaticano. Con nota interlocutoria del 26 novembre 2012 prot. 467357 questo G.U. chiedeva di trasmettere il bando PON 2007-2013 e di indicare le fonti che disciplinano la garanzia del finanziamento erogato nellĠambito del bando PON I nonchŽ il VII programma quadro e il bando relativo al progetto CBCD260888 cui si riferiva la garanzia prestata dal Ministero della salute. Tale nota non risultava pervenuta presso codesto Ministero che, in seguito alla rinnovata richiesta, il 28 gennaio u.s. inoltrava per le vie brevi il decreto direttoriale con cui era approvato lo schema di garanzia a prima richiesta, utilizzabile per le iniziative di cui al D.Lgs. 297 del 1999 rappresentando, al contempo, di non poter fornire il bando cui si riferiva la garanzia prestata dal Ministero della salute. Successivamente, veniva trasmessa ulteriore documentazione (istanza di partecipazione allĠAvviso indetto da codesto ministero, decreti di riconoscimento adottati in favore dellĠente, Statuto dellĠente datato 2010). Dagli elementi cos“ raccolti  possibile rilevare che, soggetto proponente nellĠambito della procedura di cui allĠAvviso in oggetto, unitamente ad altri partners,  lĠIRCSS Casa sollievo della sofferenza che, come testualmente si evince dalla domanda di presentazione del progetto, possiede la forma giuri dica di ente privato con personalitˆ giuridica - ÒFondazione esclusa la Fondazione bancariaÓ. Si osserva inoltre, che a tale Fondazione - ente morale di diritto ecclesiastico -  stata riconosciuta la personalitˆ giuridica con DPR 14 gennaio 1971, ai sensi dellĠart. 29 lett. d) del concordato e dellĠart. 4 della legge n. 848 del 1929, che ne riconosce la personalitˆ giuridica e ne approva lo Statuto. Si osserva, al riguardo, che il riconoscimento  avvenuto prima della modificazione del Concordato attuata con Accordo del 18 febbraio 1984 ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121 e della nuova legge 20 maggio 1985, n. 222 sugli enti ecclesiastici. Anche nel vigore della precedente disciplina era, tuttavia, da escludere che il riconoscimento degli enti ecclesiastici, fra cui le fondazioni di culto e di religione, comportasse il conferimento di una personalitˆ giuridica pubblica nell'ordinamento dello Stato. Come ben chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 2656 del 1990, Òci˜ risultava chiaramente dagli accordi fra Stato e Chiesa e dalle relative leggi d'attuazione, in cui pi volte veniva precisato che il riconoscimento era effettuato "agli effetti civili" (art. 31 del Concordato 11 febbraio 1929 e art. 4 della legge 27 maggio 1929, n. 848) e che tali effetti si riassumevano nella capacitˆ di acquistare e possedere, salve le disposizioni concernenti gli acquisti dei corpi morali (e cioŽ le autorizzazioni previste dal codice civile per gli acquisti immobiliari delle persone giuridiche private) (art. 30 del Concordato e artt. 4, 9 e 10 della legge n. 848 del 1929). ÒMa la natura pubblica degli enti ecclesiasticiÓ - prosegue la decisione in esame - ҏ da escludere anche in base ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, sia perchŽ fra i fini propri della Repubblica non possono ricomprendersi quelli della religione cattolica (art. 7 e 8 Cost.) sia perchŽ detti enti, a differenza degli Enti pubblici, sono sottratti a qualsiasi controllo dello Stato sui beni e sugli organi, controllo che appartiene esclusivamente alle competenti autoritˆ della Chiesa (art. 30 del Concordato 11 febbraio 1929) (vedi in questo senso Cass. 13 dicembre 1983 n. 7357; Cass. 10 luglio 1980 n. 4430; Cass. 28 novembre 1978 n. 5580)Ó. ÒTale situazione non sarebbe, inoltre, mutata a seguito delle modifiche al Concordato adottate il 18 febbraio 1984 e a seguito della legge 20 maggio 1985, n. 222; con tali provvedimenti si  ribadito che gli enti ecclesiastici vengono riconosciuti "come persone giuridiche agli effetti civili" e si  stabilito l'obbligo a carico, anche degli Enti ecclesiastici preesistenti, dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche private, prevista dall'art. 33 c.c. (artt. 1, 4, 5 e 6 della legge n. 222 del 1985). In particolare, col nuovo accordo  stato precisato che l'equiparazione effettuata dal Concordato del 1929 del fine di culto e di religione ai fini di beneficenza e di istruzione agli effetti tributari (art. 29, lett. h) vale solo per le attivitˆ dirette a quei fini (art. 7, n. 3) e cioŽ all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all'educazione cristiana (art. 16, lett. a, della legge n. 222 del 1985), mentre le altre attivitˆ svolte dagli enti ecclesiastici, e cioŽ quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura nonchŽ quelle commerciali o a scopo di lucro (art. 16, lett. b, della legge n. 222 del 1985 suddetta) sono soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attivitˆ e al regime tributario previsto per le medesime (art. 7, n. 3, modifica del Concordato)Ó. PoichŽ la Fondazione persegue finalitˆ sociali di assistenza, pure essendo priva di fini di lucro, la stessa dovrebbe pacificamente rientrare tra gli enti di diritto privato sulla base dei principi suesposti. Va, tuttavia, considerata la possibilitˆ di riconoscere natura pubblica al- lĠente in oggetto sulla base di altro iter argomentativo in relazione alla qualificazione della Fondazione quale IRCCS - Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico privato, ad essa pervenuta con decreto del 16 aprile 2007, con cui il Ministero della Salute, accertata la sussistenza dei requisiti di cui allĠart. 13, comma 3 lett. da a) ad h) del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288, ha conferito a detto ente il riconoscimento del carattere scientifico della ÒCasa Sollievo della Sofferenza, Istituto con personalitˆ giuridica di diritto privatoÓ. Nella specifica veste di Istituto scientifico di ricovero e cura ex lege n. 288/2003, lĠOspedale Casa sollievo della sofferenza, svolge attivitˆ ospedaliera,  inserito nel Servizio Sanitario nazionale ed  sottoposto alla vigilanza del Ministero della Salute (art. 1 della L. 288/2003: Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono enti a rilevanza nazionale dotati di autonomia e personalitˆ giuridica che, secondo standards di eccellenza, perseguono finalitˆ di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico e in quello dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari ed effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialitˆ o svolgono altre attivitˆ aventi i caratteri di eccellenza di cui all'articolo 13, comma 3, lettera d). La normativa, inoltre, a partire dalla L. n. 132 del 1968, ha equiparato gli ospedali ÒclassificatiÓ ai sensi della medesima legge (quale  lĠOspedale Casa sollievo della sofferenza), gestiti dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, alle strutture ospedaliere pubbliche (nel senso della paritˆ di trattamento ai fini dellĠosservanza dei tetti di spesa). Tali indici, con particolare riferimento alle finalitˆ pubblicistiche perseguite e alla vigilanza statale, potrebbero far concludere per una connotazione pubblicistica dellĠente in esame anche al di lˆ delle generali considerazioni relative ai meri enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Nonostante la suddetta equiparazione ex lege si , tuttavia, affermato in giurisprudenza che ci˜ non determina un mutamento della natura giuridica di detti enti che, pertanto, per il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (che si  pronunciata pi volte in relazione alla natura dei rapporti di la voro instaurati con gli IRCCS) sono da ricondurre agli enti di diritto privato. In tal senso e con espresso riferimento allĠente in oggetto: ÒCass. civ., 15 marzo 1985, n. 2019 - Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercenti attivitˆ ospedaliera (nella specie: casa sollievo della sofferenza), anche quando ottengano la classificazione del proprio ospedale a norma dellĠart. 1 ultimo comma, L. 12 febbraio 1968, n. 132, non assumono la qualitˆ di enti pubblici, poichŽ tale classificazione, se comporta lĠinserimento di detta affinitˆ nellĠambito della programmazione della rete ospedaliera pubblica, ponendola sotto la vigilanza dei ministro della sanitˆ e della competente usi (art. 18 citata L. n. 132 del 1968 e 41, L. 23 dicembre 1978, n. 833), non interferisce sulla natura degli enti cui lĠattivitˆ medesima fa capo, i quali mantengono piena autonomia organizzativa e finanziaria; ne consegue che le controversie inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti degli ospedali dei suddetti enti ecclesiastici esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego, e spettano alla cognizione dei giudice ordinarioÓ. Nel medesimo senso: Cass. civ., 10 ottobre 1983 n. 5865: ÒGli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano attivitˆ ospedaliera, quale la casa sollievo della sofferenza, non sono inquadrabili fra gli enti ospedalieri in senso stretto, cio fra gli enti pubblici non economici, secondo la disciplina della L. 12 Febbraio 1968, n. 132, non modificata in proposito dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833 istitutiva dei servizio sanitario nazionale (il cui art. 41 si limita ad aggiungere alla vigilanza del ministero della sanitˆ quella dellĠusi), nemmeno quando essi abbiano ottenuto la classificazione del loro ospedale a norma dellĠart. 1 6Ħ comma della citata legge del 1968, la quale spiega rilievo solo al fine di inserire tali ospedali nella programmazione propria della rete ospedaliera pubblica; anche in detto caso, pertanto, le controversie inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti degli indicati enti ecclesiastici esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e spettano alla cognizione del giudice ordinarioÓ. Alla luce di tali elementi pare innegabile la natura privatistica dellĠente, peraltro affermata dallo stesso Istituto, che ha partecipato allĠavviso indetto da codesta Amministrazione in qualitˆ di ente privato, come dichiarato dallo stesso soggetto interessato in sede di domanda. Nella scheda di presentazione relativa al progetto Virtualab, in particolare, si afferma testualmente che Òla natura giuridica dell'Ospedale  quella di un ente privato, di proprietˆ della Santa Sede, che eroga pertanto un servizio pubblicoÓ. Se allĠinterno del nostro ordinamento lĠente in esame opera quale ente di diritto privato assoggettato alle leggi dello Stato, ne discende che, ai fini del- lĠammissione ai benefici agevolativi sul fondo FAR lo stesso soggiace alle regole poste dallĠAvviso e dalla normativa primaria e regolamentare di riferimento che, con riferimento agli enti e societˆ di natura privata, impone la verifica della stabilitˆ economico finanziaria affinchŽ sia garantita la corretta assegnazione di risorse pubbliche e subordina lĠerogazione delle anticipazioni sul contributo in favore di enti privati alla prestazione di una idonea garanzia. Ci˜ non toglie che, a determinati fini, il medesimo ente possa rilevare quale ente con personalitˆ giuridica pubblica di diritto straniero, nella specie dello Stato Cittˆ del Vaticano, alla stregua del diritto canonico. Ci˜ sembrerebbe giustificare - a quanto  possibile affermare sulla base della limitata documentazione inviata - il rilascio di una garanzia da parte del Ministero della Salute alla Fondazione di cui trattasi, ente appartenente ad uno Stato (Cittˆ del Vaticano), non firmatario del VII PQ. Codesto Ministero non ha potuto inviare, come richiesto, la copia del progetto a cui si riferisce il Ministero della salute. Sembra, tuttavia, che in quello specifico caso la garanzia sia stata accordata all'ente nella sua qualitˆ di public body riconducibile ad uno diverso Stato. La problematica, pertanto, sembra attenere al diverso ambito dei rapporti tra Stati, ed alle garanzie che uno Stato aderente pu˜ prestare in favore di altri Stati non firmatari, ovvero in favore di enti ed a questi ultimi riconducibili. Tale profilo, tuttavia, a parere di questo G.U. non viene in rilievo nel caso di specie, in cui l'esenzione dalla verifica economica sembra riferirsi ai soli enti configurabili quali enti di diritto pubblico secondo l'ordinamento interno tra i quali, anche per ragioni prudenziali e in assenza di pronunce giurisprudenziali che affermino il contrario, non pu˜ essere annoverato l'ente in oggetto alla luce delle considerazioni e delle pronunce sopra esposte. Si resta a disposizione per ulteriori chiarimenti. ***** Trattandosi di questione di massima il presente parere  stato sottoposto allĠesame del Comitato consultivo, ai sensi dellĠart. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 22 maggio 2014. Canone dovuto dalle imprese di trasporto alla Rete Ferroviaria Italiana PARERE 26/05/2014-228508, CS 16868/2014, SEZ. AG, AVV. SERGIO FIORENTINO 1. Premessa Con la nota in riferimento, si chiede di conoscere lĠavviso della scrivente in ordine allĠeventuale coinvolgimento di codesta Autoritˆ nelle attivitˆ di esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato del 22 febbraio 2013, n. 1110, anche alla luce dellĠinterpretazione contenuta nella successiva sentenza 19 marzo 2014, n. 1345, resa in sede di ottemperanza, con la quale il Consiglio di Stato: -ha disposto che ÇRete Ferroviaria Italiana s.p.a., il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e lĠUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari diano integrale esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 1110 del 22 febbraio 2013, adottando gli atti necessari nel termine di giorni sessanta dalla notifica della presente sentenzaÈ; -ha disposto altres“ che Çin caso di ulteriore inadempimento, scaduto il termine di sessanta giorni predetto e su richiesta delle parti ricorrenti, alle necessarie incombenze provveda il commissario ad acta, qui nominato nella persona del segretario generale dellĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti, con facoltˆ di subdelega a dirigente del proprio ufficio, con espressa facoltˆ di procedere anche allĠeventuale annullamento in autotutela dei provvedimenti emessi dopo la ricezione della richiesta di provvedereÈ. *** 2. La vicenda processuale. La controversia che ha dato luogo alle citate sentenze  stata incardinata da alcune imprese ferroviarie che esercitano il trasporto merci in Italia ... (dĠora in poi, collettivamente, gli Çoperatori ferroviariÈ) attraverso lĠimpugnazione del decreto ministeriale 11 luglio 2007, n. 92T, adottato dal Ministero dei trasporti (in prosieguo il ÇMinisteroÈ), nella parte in cui esso stabiliva che lĠapplicabilitˆ del criterio del canone dĠaccesso denominato K2 (c.d. Çsconto K2È) sul canone di utilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria, disciplinato dal precedente D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, fosse condizionata allĠeffettiva corresponsione dei contributi statali al gestore dellĠinfrastruttura. La rete ferroviaria nazionale  gestita da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (in prosieguo, ÇR.F.I.È), societˆ interamente controllata dalla holding pubblica Ferrovie dello Stato S.p.A., la quale controlla anche Trenitalia S.p.A., principale operatore ferroviario nazionale. R.F.I.  tenuta a concedere lĠaccesso allĠinfrastruttura ferroviaria alle imprese ferroviarie nazionali ed europee che lo richiedano per il trasporto merci, sulla base di criteri non discriminatori, dietro il pagamento di un canone di accesso. Il rapporto tra R.F.I. e le singole imprese ferroviarie  regolato da contratti di servizio individualmente negoziati, disciplinati dal diritto privato. Con il giˆ citato D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, si  stabilito che il canone dovuto dalle imprese ferroviarie avrebbe dovuto tenere conto del criterio di computo denominato K2, ossia di uno ÒscontoÓ giustificato dal fatto che lĠarretratezza tecnologica e le insufficienze tecniche che caratterizzavano il regime di utilizzo della rete, rendendo impossibile il ricorso a convogli con un solo macchinista (c.d. Òad agente unicoÓ), determinavano iniqui costi supplementari per le imprese ferroviarie. Sul presupposto che lo sconto K2 dovesse gravare economicamente sullo Stato - quale onere di servizio pubblico - e non sul gestore dellĠinfrastruttura, sono state previste idonee compensazioni economiche in favore di R.F.I. nel Contratto di programma 2001/2005, ossia nello strumento che ha regolato i rapporti di finanziamento tra lo Stato e il gestore dellĠinfrastruttura ferroviaria per tale periodo. NellĠanno 2005, in vista dellĠesaurimento di tale provvista finanziaria, R.F.I. ha contestato di dover continuare ad accordare lo sconto, ritenendo che lĠobbligo verso le imprese fosse giuridicamente condizionato dallĠesistenza di un idoneo finanziamento statale. Ne  insorto un primo contenzioso tra R.F.I. e gli operatori ferroviari: questi ultimi hanno proposto ricorso amministrativo, ai sensi dellĠart. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, allĠUfficio per la regolamentazione dei servizi ferroviari (ÇURSFÈ) che, con provvedimento del 20 gennaio 2006, ha imposto a R.F.I. di continuare ad applicare lo sconto K2, nei termini giˆ definiti, fino al realizzarsi delle condizioni oggettive per lĠadozione del modulo di condotta Òad agente unicoÓ ovvero fino a unĠeventuale modifica della disciplina relativa allĠerogazione dello sconto medesimo. Nel contempo, lĠURSF ha intimato agli operatori ferroviari di dotare i propri locomotori dei cc.dd. Òsottosistemi di bordoÓ, necessari per lĠattivazione del modulo di condotta Òad agente unicoÓ, secondo quanto previsto dal ÒSistema di controllo della marcia del trenoÓ (imperniato, per lĠappunto, sullĠinterazione tra sottosistemi di bordo e di terra). R.F.I. ha impugnato il provvedimento dellĠURSF dinnanzi al T.A.R. del Lazio e il giudizio  tuttora pendente con il numero 2792/2006 di R.G. Mette conto evidenziare che, in seno a tale ricorso, R.F.I. aveva proposto istanza cautelare, che il Tribunale ha rigettato in quanto, tra lĠaltro, il ricorso Çincentrandosi sulla corrispettivitˆ tra lĠapplicazione dello sconto K2 e la corresponsione del contributo stataleÈ si risolveva Çin una pretesa di finanziamento di cui si lamenta lĠesaurimentoÈ. LĠerroneitˆ dellĠinterpretazione di R.F.I., sulla base del quadro normativo e regolamentare allĠepoca esistente,  stata ribadita dallĠURSF in un successivo provvedimento del 30 marzo 2007, nel quale si dava atto che ÇlĠinterpretazione data dal Gestore ... [] da ritenersi errata e non pu˜ pertanto incidere sui rapporti contrattuali presenti e futuriÈ, dovendosi escludere che vi fosse Çconnessione tra la materia dello sconto ed i finanziamenti erogati dallo Stato al Gestore, posto che tale connessione pu˜ essere prevista solo con modifiche al D.M. 44T del 2000 o provenienti da fonti di livello superioreÈ. Anche tale provvedimento  stato impugnato da R.F.I. dinnanzi al T.A.R. del Lazio: il conseguente procedimento  tuttora pendente con il numero 4775/2007 di R.G. In questo contesto  stato adottato il decreto ministeriale n. 92T dellĠ11 luglio 2007, oggetto della sentenza ora posta in esecuzione. Il decreto, allĠarticolo 1, stabiliva che Ç(l)Ġapplicabilitˆ dello sconto sul canone di utilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria previsto dal decreto ministeriale 44/T del 22 marzo 2000 resta in ogni caso condizionata alla effettiva corresponsione di appositi contributi da parte dello Stato al Gestore dellĠinfrastruttura in assenza dei quali non sussiste alcun obbligo da parte del Gestore medesimo di applicare il predetto sconto nŽ il diritto da parte delle Imprese ferroviarie a rivendicarne lĠapplicazioneÈ e che, conseguentemente, Çil presupposto di applicazione dello sconto K2  da ritenersi venuto meno a partire dal 1Ħ gennaio 2006È, ossia dallĠepoca della prima scadenza del Contratto di programma 2001/2005, atteso che nel IV Addendum a tale contratto non era stato previsto, per lĠanno 2006 e per gli anni successivi, alcun contributo statale riferito allo sconto K2 medesimo. Si vede, quindi, come il decreto - oltre a sospendere la concessione dello sconto K2 per il futuro - si proponeva di incidere anche sulla spettanza dello sconto medesimo per i periodi pregressi, utilizzando, in buona sostanza, la tecnica dellĠinterpretazione autentica del precedente D.M. del 2000 (1). In data 15 ottobre 2007, lĠURSF ha adottato un provvedimento del tutto consequenziale, nel quale prendeva atto dellĠassetto determinato dal nuovo decreto ministeriale. Con separati ricorsi, poi riuniti, gli operatori ferroviari hanno impugnato il decreto ministeriale del 2007 e il consequenziale provvedimento dellĠURSF. Con sentenza n. 1110 del 2013, Il Consiglio di Stato confermando la decisione del T.A.R. del Lazio, ha annullato i due suddetti provvedimenti, ritenendo, tra lĠaltro: -che Çil Ministero ha in realtˆ introdotto una disciplina che non rimuove precedenti ambiguitˆ nel contesto dellĠ ÒinterpretatoÓ D.M. 22 marzo 2000 n. 44/T, ma che ha inammissibilmente integrato lĠordinamento mediante disposizioni innovative con effetto retroattivoÈ; - che, in ogni caso - e, dunque, anche volendo avere riguardo ai soli effetti futuri del decreto - era stata Çomessa ... lĠacquisizione, pur dovuta ex lege, di un nuovo parere del C.I.P.E., nonchŽ dellĠintesa con la Conferenza permanente (1) LĠultima delle premesse al decreto recita, infatti, Ç(r)itenuto che, in presenza di dubbi interpretativi circa la portata delle disposizioni contenute nel richiamato decreto ministeriale 44/T del 22 marzo 2000, sia opportuno procedere alla precisazione delle corrette modalitˆ applicative del decreto medesimoÈ. per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza: e ci˜ proprio nella riscontrata natura non interpretativa, ma innovativa del provvedimentoÈ. La sentenza concludeva con lĠaffermazione - in parte, come si vedrˆ, contraddetta dal successivo intervento reso dal medesimo Giudice in sede di ottemperanza - secondo la quale non doveva Çessere esercitata nella specie unĠulteriore azione amministrativa: la caducazione dei provvedimenti impugnati , per cos“ dire, ÒautomaticaÓ, e da essa discende che, essendo giˆ stata resa al riguardo una pronuncia da parte dellĠU.R.S.F. impugnata da R.F.I. innanzi al giudice di primo grado sub R.G. 4775 del 2007, ogni conflitto tra le parti nella materia qui trattata dovrˆ essere ivi deciso dal giudice medesimo, ovviamente a prescindere dal contenuto dei provvedimenti qui annullati e solo con riferimento al periodo in cui non era applicabile per la maggior parte delle linee il sistema di guida Òad agente unicoÓÈ. Non essendo stata data esecuzione alla sentenza, gli operatori ferroviari hanno nuovamente adito, in sede di ottemperanza, il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 1345 del 2014, nellĠaccogliere il ricorso, nei termini giˆ riportati in ÒPremessaÓ, ha affermato che: -sebbene la sentenza posta in esecuzione avesse Çposto lĠaccento sul- lĠimmediata caducazione dei provvedimenti de qua, come unico esito necessario del proprio giudizio (...)  il contenuto stesso dellĠazione amministrativa che rimane in tal modo monco, venendo a mancare la definitiva considerazione del canone dovuto dalle imprese ferroviarie ricorrenti. Ci˜ impone la riedizione dellĠazione amministrativa, proprio come conseguenza dellĠintervento annullatorio del giudiceÈ; -Çi soggetti passivi della ... decisione, a norma dellĠart. 111 c.p.c., sono quelli sopra indicati, come desumibili dalla sentenza ottemperanda e dalla domanda delle parti ricorrenti, con lĠovvia precisazione che lĠeventuale soppressione di uffici (in particolare dellĠUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari a seguito dellĠentrate in funzione dellĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti) dovrˆ essere valutata secondo gli ordinari criteri della successione nel munusÈ. *** 3. Il quadro normativo. Il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante ÇAttuazione della direttiva 2001/12/CE, della direttiva 2001/13/Ce e della direttiva 2001/14/CEÈ, allĠart. 17, rubricato, ÇCanoni per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura ferroviariaÈ, dispone: Ç1. Ai fini dellĠaccesso e dellĠutilizzo equo e non discriminatorio dellĠinfrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dellĠinfrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza,  approvata la proposta del gestore per lĠindividuazione del canone dovuto per lĠaccesso allĠinfrastruttura ferroviaria nazionale. Il decreto  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale delle Comunitˆ europee. 2. Il gestore dellĠinfrastruttura ferroviaria, sulla base di quanto disposto al comma 1, calcola il canone dovuto dalle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e dalle imprese ferroviarie per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura e procede alla riscossione dello stessoÈ 3. 9 É (Omissis) É 10. Nelle more dellĠemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellĠinfrastruttura e del recepimento delle modalitˆ e termini di calcolo del prospetto informativo della rete, i canoni di utilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria continuano ad essere calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive modifiche e integrazioni. 11. Con uno o pi decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono definiti il quadro per lĠaccesso allĠinfrastruttura, i principi e le procedure per lĠassegnazione della capacitˆ di cui allĠarticolo 27 del presente decreto, per il calcolo del canone ai fini dellĠutilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria e dei corrispettivi dei servizi di cui allĠarticolo 20 del presente decreto, non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso allĠinfrastruttura, nonchŽ le regole in materia di servizi di cui al medesimo articolo 20. 11-bis 11-quinquies É (Omissis) ÉÈ. Il successivo art. 37, rubricato ÇOrganismo di regolazioneÈ, del medesimo decreto legislativo, dispone: Ç1. LĠorganismo di regolazione indicato allĠarticolo 30 della direttiva 2001/14/CE  il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o sue articolazioni. Esso vigila sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari e agisce in piena indipendenza sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dallĠorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allĠinfrastruttura, dallĠorganismo preposto allĠassegnazione della capacitˆ e dai richiedenti, conformandosi ai princ“pi di cui al presente articolo. é inoltre funzionalmente indipendente da qualsiasi autoritˆ competente preposta allĠaggiudicazione di un contratto di servizio pubblico. 1-bis. Ai fini di cui al comma 1, lĠufficio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che svolge le funzioni di organismo di regolazione  dotato di auto nomia organizzativa e contabile nei limiti delle risorse economico-finanziarie assegnate. LĠUfficio riferisce annualmente al Parlamento sullĠattivitˆ svolta. 1-ter. AllĠufficio di cui al comma 1-bis  preposto un soggetto scelto tra persone dotate di indiscusse moralitˆ e indipendenza, alta e riconosciuta professionalitˆ e competenza nel settore dei servizi ferroviari, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dellĠarticolo 19, commi 4, 5-bis, e 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. La proposta  previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro 20 giorni dalla richiesta. Le medesime Commissioni possono procedere allĠaudizione della persona designata. Il responsabile dellĠUfficio di cui al comma 1-bis dura in carica tre anni e pu˜ essere confermato una sola volta. La carica di responsabile dellĠufficio di cui al comma 1-bis  incompatibile con incarichi politici elettivi, nŽ pu˜ essere nominato colui che abbia interessi di qualunque natura in conflitto con le funzioni dellĠufficio. A pena di decadenza il responsabile dellĠufficio di cui al comma 1-bis non pu˜ esercitare direttamente o indirettamente, alcuna attivitˆ professionale o di consulenza, essere amministratore o dipendente di soggetti pubblici o privati nŽ ricoprire altri uffici pubblici, nŽ avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore. LĠattuale Direttore dellĠUfficio resta in carica fino alla scadenza dellĠincarico. 2. LĠorganismo di regolazione collabora con gli organismi degli altri Paesi membri della Comunitˆ europea, scambiando informazioni sulle proprie attivitˆ, nonchŽ sui princ“pi e le prassi decisionali adottati, al fine di coordinare i rispettivi princ“pi decisionali in ˆmbito comunitario. 3. Salvo quanto previsto dallĠarticolo 29 in tema di vertenze relative al- lĠassegnazione della capacitˆ di infrastruttura, ogni richiedente ha il diritto di adire lĠorganismo di regolazione se ritiene di essere stato vittima di un trattamento ingiusto, di discriminazioni o di qualsiasi altro pregiudizio, in particolare avverso decisioni prese dal gestore dellĠinfrastruttura o eventualmente dallĠimpresa ferroviaria in relazione a quanto segue: a) prospetto informativo della rete; b) procedura di assegnazione della capacitˆ di infrastruttura e relativo esito; c) sistema di imposizione dei canoni di accesso allĠinfrastruttura ferro- viaria e dei corrispettivi per i servizi di cui allĠarticolo 20; d) livello o struttura dei canoni per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura e dei cor rispettivi per i servizi di cui allĠarticolo 20; e) accordi per lĠaccesso di cui allĠarticolo 6 del presente decreto; f) [soppresso]. 4. LĠorganismo di regolazione, nellĠˆmbito dei propri compiti istituzionali, ha facoltˆ di chiedere al gestore dellĠinfrastruttura, ai richiedenti e a qualsiasi altra parte interessata, tutte le informazioni che ritiene utili, in par ticolare al fine di poter garantire che i canoni per lĠaccesso allĠinfrastruttura ed i corrispettivi per la fornitura dei servizi di cui allĠarticolo 20, applicati dal gestore dellĠinfrastruttura, siano conformi a quanto previsto dal presente decreto e non siano discriminatori. Le informazioni devono essere fornite senza indebiti ritardi. 5. Con riferimento alle attivitˆ di cui al comma 3, lĠorganismo di regolazione decide sulla base di un ricorso o eventualmente dĠufficio e adotta le misure necessarie volte a porre rimedio entro due mesi dal ricevimento di tutte le informazioni necessarie. Fatto salvo il comma 7, la decisione dellĠorganismo di regolazione  vincolante per tutte le parti cui  destinata. 6. In caso di ricorso contro un rifiuto di concessione di capacitˆ di infrastruttura o contro le condizioni di una proposta di assegnazione di capacitˆ, lĠorganismo di regolazione pu˜ concludere che non  necessario modificare la decisione del gestore dellĠinfrastruttura o che, invece, essa deve essere modificata secondo gli orientamenti precisati dallĠorganismo stesso. 6-bis. LĠorganismo di regolazione, osservando, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689, provvede: a) d) É (Omissis) É 7. 8 É (Omissis) ÉÈ. Si vede, quindi, come nel sistema delineato dal D.lgs n. 188 del 2003, con il quale sono state recepite le direttive del c.d. Òprimo pacchetto ferroviarioÓ, le competenze proprie dellĠorganismo di regolazione venivano svolte da un ufficio del Ministero, il cui funzionamento era circondato da particolari garanzie normative che ne assicuravano lĠautonomia e lĠimparzialitˆ (lĠURSF), il quale aveva, tra lĠaltro, il compito di dirimere in via amministrativa le controversie tra imprese ferroviarie e gestore dellĠinfrastruttura ferroviaria, vertenti sulla misura dei canoni di accesso allĠinfrastruttura medesima (ivi compresa, quindi, la questione dellĠapplicabilitˆ dello sconto K2). LĠimporto di tali canoni era determinato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nel rispetto del procedimento previsto dallĠart. 17, comma 1 e dei criteri eventualmente definiti da un diverso decreto del Ministro, previsto dal comma 11 del medesimo art. 17. Occorre, ora, verificare la tenuta di tale quadro regolatorio (risultante da disposizioni non espressamente novellate), alla stregua: (i) della sua compatibilitˆ con il diritto dellĠUnione europea, principalmente alla luce della sentenza della Corte di giustizia dellĠUnione europea del 3 ottobre 2013, resa nella causa C-369/11, Commissione europea/Repubblica italiana, vertente su una procedura di infrazione contro lĠItalia, appunto per scorretto recepimento delle direttive del Òprimo pacchetto ferroviarioÓ; (ii) delle sopravvenute novitˆ legislative e, in particolare, di quelle che hanno messo capo alla costituzione della nuova Autoritˆ di regolazione dei trasporti (art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). Sotto il primo profilo, viene in considerazione lĠart. 17, commi 1 e 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, nella parte in cui affida ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la determinazione dei canoni di accesso allĠinfrastruttura ferroviaria, riservando al gestore della medesima compiti di mera liquidazione degli importi dovuti. Ora, la Corte di giustizia, nella richiamata sentenza del 3 ottobre 2013, ha chiarito che Çai sensi dellĠarticolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/14, Ò[i]l gestore dellĠinfrastruttura determina i diritti dovuti per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura e procede alla loro riscossioneÓÈ mentre Çdalla formulazione del decreto legislativo n. 188/2003, in particolare del suo articolo 17, emerge chiaramente che la determinazione del diritto deve avvenire di concerto con il Ministro, e che la decisione di questĠultimo pu˜ vincolare il gestoreÈ (punto 45) e che Ç() pur vero che, come sostenuto dalla Repubblica italiana, il Ministro esercita un mero controllo di legittimitˆ in materia. Tuttavia, in base al sistema istituito dalla direttiva 2001/14, un simile controllo di legittimitˆ dovrebbe spettare allĠorganismo di regolamentazione, nel caso di specie lĠURSF, e non al Ministro. Di conseguenza, dato che la decisione del Ministro riguardante la fissazione dei diritti di accesso allĠinfrastruttura vincola il gestore dellĠinfrastruttura, se ne deve concludere che la normativa italiana non consente di garantire lĠindipendenza di questĠultimo. Pertanto, tale normativa non soddisfa, sotto tale profilo, i requisiti di cui allĠarticolo 4, paragrafo 1, della suddetta direttivaÈ (punto 46). Per tali ragioni, la Corte ha accolto il pertinente motivo di ricorso proposto dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana, vertente sul mancato riconoscimento della necessaria indipendenza del gestore dellĠinfrastruttura nella determinazione dei canoni di utilizzo della medesima. Dunque, ricordato che le sentenze della Corte di giustizia si collocano tra le fonti del diritto dellĠUnione europea, ne emerge un regime nel quale: -i canoni per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura sono determinati autonomamente dal gestore; -allĠorganismo di regolamentazione (allĠepoca lĠURSF, oggi, come si vedrˆ, lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti) sono riservate funzioni di vigilanza. é pur vero che la Corte di giustizia si  pronunciata avendo come riferimento una precedente versione dellĠart. 17, comma 1, del D.Lgs n. 188 del 2003 (2); tuttavia appare quanto meno dubbio che la nuova formulazione - pur (2) Tale comma, anteriormente alle modifiche introdotte dallĠart. 24 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recitava: ÇAi fini dellĠaccesso e dellĠutilizzo equo e non discriminatorio dellĠinfrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, con decreto del Ministro delle infrastrut riservando al gestore dellĠinfrastruttura espressamente poteri di proposta (Ǐ approvata la proposta del gestore per lĠindividuazione del canone dovutoÈ) sia idonea a superare i rilievi della Corte di giustizia. Resta da dire che la successiva evoluzione del diritto dellĠUnione europea ha confermato, sul punto qui rilevante, lĠassetto dichiarato dalla Corte di giustizia. Si confronti la direttiva 21 novembre 2012, n. 2012/34/UE, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico (c.d. direttiva recast), art. 29, par. 1, comma 3: ÇIl gestore dellĠinfrastruttura determina i canoni dovuti per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura e procede alla loro riscossione in conformitˆ del quadro stabilito per lĠimposizione dei canoni e le relative normeÈ. E tale scelta sembrerebbe essere destinata a essere confermata nei futuri recast della direttiva (si confronti la proposta di modifica della direttiva 2012/34/UE presentata dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013, n. COM(2013) 29 final). Sotto il secondo profilo, viene in rilievo lĠart. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale, come giˆ anticipato,  stata istituita lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti e ne sono state disciplinate le funzioni, destinate a essere esercitate dallĠAutoritˆ medesima a decorrere dalla sua piena operativitˆ (condizione poi realizzatasi il 15 gennaio 2014). Con tale articolo, rubricato ÇLiberalizzazione del settore dei trasportiÈ, nel testo modificato dallĠart. 36, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con mod., dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si  stabilito quanto segue: Ç1. NellĠambito delle attivitˆ di regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481,  istituita lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti, di seguito denominata ÒAutoritˆÓ, la quale opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. É (Omissis) É LĠAutoritˆ  competente nel settore dei trasporti e dellĠaccesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformitˆ con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietˆ e delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte seconda della Costituzione. LĠAutoritˆ esercita le proprie competenze a decorrere dalla data di adozione dei regolamenti di cui allĠarticolo 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995, n. 481. AllĠAutoritˆ si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni orga nizzative e di funzionamento di cui alla medesima legge. 1-bis. 1-ter É (Omissis) É ture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dellĠinfrastruttura ferroviaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e dĠintesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza,  stabilito il canone dovuto per lĠaccesso allĠinfrastruttura ferroviaria nazionale. Il decreto  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale delle Comunitˆ europeeÈ. 2. LĠAutoritˆ  competente nel settore dei trasporti e dellĠaccesso alle relative infrastrutture ed in particolare provvede: a) a garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, lĠefficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, fatte salve le competenze dellĠAgenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui allĠarticolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonchŽ in relazione alla mobilitˆ dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti; b) a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei trasporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dellĠesigenza di assicurare lĠequilibrio economico delle imprese regolate, lĠefficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori; c) a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b); d) a stabilire le condizioni minime di qualitˆ dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta; e) h) É (Omissis) É i) con particolare riferimento allĠaccesso allĠinfrastruttura ferroviaria, a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui allĠarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, e, in particolare, a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dellĠinfrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacitˆ e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dellĠinfrastruttura; l) lĠAutoritˆ, in caso di inosservanza di propri provvedimenti o di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio alle richieste di informazioni o a quelle connesse allĠeffettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti non siano veritieri, pu˜ irrogare sanzioni amministrative pecuniarie determinate in fase di prima applicazione secondo le modalitˆ e nei limiti di cui allĠarticolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481. LĠammontare riveniente dal pagamento delle predette sanzioni  destinato ad un fondo per il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori dei settori dei trasporti, approvati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dellĠAutoritˆ. Tali progetti possono beneficiare del sostegno di altre istituzioni pubbliche nazionali e europee; m) É (Omissis) É n) É (Omissis) É 3. NellĠesercizio delle competenze disciplinate dal comma 2 del presente articolo, lĠAutoritˆ: a) pu˜ sollecitare e coadiuvare le amministrazioni pubbliche competenti allĠindividuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi pi efficienti per finanziarli, mediante lĠadozione di pareri che pu˜ rendere pubblici; b) determina i criteri per la redazione della contabilitˆ delle imprese regolate e pu˜ imporre, se necessario per garantire la concorrenza, la separazione contabile e societaria delle imprese integrate; c) propone allĠamministrazione competente la sospensione, la decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque denominato, qualora sussistano le condizioni previste dallĠordinamento; d) richiede a chi ne  in possesso le informazioni e lĠesibizione dei documenti necessari per lĠesercizio delle sue funzioni, nonchŽ raccoglie da qualunque soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente; e) se sospetta possibili violazioni della regolazione negli ambiti di sua competenza, svolge ispezioni presso i soggetti sottoposti alla regolazione mediante accesso a impianti, a mezzi di trasporto e uffici; durante lĠispezione, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, pu˜ controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento aziendale, ottenerne copia, chiedere chiarimenti e altre informazioni, apporre sigilli; delle operazioni ispettive e delle dichiarazioni rese deve essere redatto apposito verbale; f) ordina la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione adottati e con gli impegni assunti dai soggetti sottoposti a regolazione, disponendo le misure opportune di ripristino; nei casi in cui intenda adottare una decisione volta a fare cessare unĠinfrazione e le imprese propongano impegni idonei a rimuovere le contestazioni da essa avanzate, pu˜ rendere obbligatori tali impegni per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare lĠinfrazione; pu˜ riaprire il procedimento se mutano le circostanze di fatto su cui sono stati assunti gli impegni o se le informazioni trasmesse dalle parti si rivelano incomplete, inesatte o fuorvianti; in circostanze straordinarie, ove ritenga che sussistano motivi di necessitˆ e di urgenza, al fine di salvaguardare la concorrenza e di tutelare gli interessi degli utenti rispetto al rischio di un danno grave e irreparabile, pu˜ adottare provvedimenti temporanei di natura cautelare; g) valuta i reclami, le istanze e le segnalazioni presentati dagli utenti e dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio sottoposto a regolazione, ai fini dellĠesercizio delle sue competenze; h) favorisce lĠistituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle controversie tra esercenti e utenti; i) ferme restando le sanzioni previste dalla legge, da atti amministrativi e da clausole convenzionali, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato dellĠimpresa interessata nei casi di inosservanza dei criteri per la formazione e lĠaggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo, comunque denominati, di inosservanza dei criteri per la separazione contabile e per la disaggregazione dei costi e dei ricavi pertinenti alle attivitˆ di servizio pubblico e di violazione della disciplina relativa allĠaccesso alle reti e alle infrastrutture o delle condizioni imposte dalla stessa Autoritˆ, nonchŽ di inottemperanza agli ordini e alle misure disposti; l) applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino allĠ1 per cento del fatturato dellĠimpresa interessata qualora: 1) i destinatari di una richiesta della stessa Autoritˆ forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero non forniscano le informazioni nel termine stabilito; 2) i destinatari di unĠispezione rifiutino di fornire ovvero presentino in modo incompleto i documenti aziendali, nonchŽ rifiutino di fornire o forniscano in modo inesatto, fuorviante o incompleto i chiarimenti richiesti; m) nel caso di inottemperanza agli impegni di cui alla lettera f) applica una sanzione fino al 10 per cento del fatturato dellĠimpresa interessata. 4. Restano ferme tutte le altre competenze diverse da quelle disciplinate nel presente articolo delle amministrazioni pubbliche, statali e regionali, nei settori indicati; in particolare, restano ferme le competenze in materia di vigilanza, controllo e sanzione nellĠambito dei rapporti con le imprese di trasporto e con i gestori delle infrastrutture, in materia di sicurezza e standard tecnici, di definizione degli ambiti del servizio pubblico, di tutela sociale e di promozione degli investimenti. Tutte le amministrazioni pubbliche, statali e regionali, nonchŽ gli enti strumentali che hanno competenze in materia di sicurezza e standard tecnici delle infrastrutture e dei trasporti trasmettono al- lĠAutoritˆ le delibere che possono avere un impatto sulla concorrenza tra operatori del settore, sulle tariffe, sullĠaccesso alle infrastrutture, con facoltˆ da parte dellĠAutoritˆ di fornire segnalazioni e pareri circa la congruenza con la regolazione economica. Restano altres“ ferme e possono essere contestualmente esercitate le competenze dellĠAutoritˆ garante della concorrenza disciplinate dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e dai decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e 2 agosto 2007, n. 146, e le competenze dellĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e le competenze dellĠAgenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui allĠarticolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. 5. É (Omissis) É 6. É (Omissis) É 6-bis. Nelle more dellĠentrata in operativitˆ dellĠAutoritˆ, determinata con propria delibera, le funzioni e le competenze attribuite alla stessa ai sensi del presente articolo continuano ad essere svolte dalle amministrazioni e dagli enti pubblici competenti nei diversi settori interessati. A decorrere dalla stessa data lĠUfficio per la regolazione dei servizi ferroviari (URSF) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui allĠarticolo 4, comma 1, lettera c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2008, n. 211, istituito ai sensi dellĠarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188,  soppresso. Conseguentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede alla riduzione della dotazione organica del personale dirigenziale di prima e di seconda fascia in misura corrispondente agli uffici dirigenziali di livello generale e non generale soppressi. Sono, altres“, soppressi gli stanziamenti di bilancio destinati alle relative spese di funzionamento. 6-ter. Restano ferme le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dellĠeconomia e delle finanze nonchŽ del CIPE in materia di approvazione di contratti di programma nonchŽ di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di finanza pubblicaÈ. Da tale complessa disposizione, si evince - con riferimento al trasporto ferroviario e, in particolare, a quanto di interesse per la presente vicenda - che lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti  subentrata in tutte le funzioni precedentemente attribuite, dallĠart. 37 del D.lgs n. 188 del 2003, al soppresso URSF. AllĠAutoritˆ spettano, pertanto, funzioni di vigilanza sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari - dovendo, in tale contesto, essa agire Çin piena indipendenzaÈ, tra lĠaltro, ÇdallĠorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allĠinfrastrutturaÈ (art. 37, comma 1, D.lgs 188/03) nonchŽ poteri di controllo sul sistema di imposizione dei canoni di accesso allĠinfrastruttura ferroviaria e sul livello o la struttura dei canoni (art. 37, commi 5 e 6, D.lgs 188/03). Tali funzioni derivano allĠAutoritˆ sia dalla competenza generale a essa attribuita nellĠintero settore dei trasporti - si confronti lĠart. 37, comma 2, del d.l. n. 201/11 secondo il quale lĠAutoritˆ provvede a garantire Çcondizioni accesso eque e non discriminatorie alle infrastruttureÈ di trasporto (lett. a), a definire Çi criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti É dei canoni È (lett. b) e a verificare Çla corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera bÈ (lett. c) - sia dalla speciale previsione, specifica per il trasporto ferroviario, contenuta nella successiva lettera i) del medesimo comma 2, secondo la quale lĠAutoritˆ  competente Çcon particolare riferimento allĠaccesso allĠinfrastruttura ferroviaria, a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui allĠarticolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188È. Si deve aggiungere che il subentro in tali funzioni, con decorrenza dalla piena operativitˆ dellĠAutoritˆ, non pu˜ ritenersi determinare un fenomeno successorio dellĠAutoritˆ medesima al Ministero delle infrastrutture e dei tra sporti, sia pure in relazione ai rapporti giˆ facenti capo allĠURSF. Come rileva codesta Autoritˆ nella richiesta di parere, infatti, ai fini della successione nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo allĠURSF sarebbe stata necessaria una disposizione espressa o, quanto meno, sicuri indici normativi (quali, ad es., il trasferimento dei relativi uffici, del personale, degli affari pendenti, etc.), viceversa non rinvenibili nellĠart. 37 del d.l. n. 201/2011. Ne consegue che deve escludersi anche la successione automatica nei rapporti processuali, ai sensi dellĠart. 110 cod. proc. civ. Le fonti normative sopra richiamate consentono di affermare che lĠAutoritˆ  subentrata anche nelle funzioni regolatorie in precedenza attribuite al Ministero dellĠinfrastrutture e dei trasporti dallĠart. 17, comma 11, del D.lgs n. 188 del 2003, ossia nella competenza a definire Çil quadro per lĠaccesso allĠinfrastruttura, i principi e le procedure per lĠassegnazione della capacitˆ di É [e] per il calcolo del canone ai fini dellĠutilizzo dellĠinfrastruttura ferro- viariaÈ. In tal senso depone nuovamente, in particolare, lĠart. 37, comma 2, lett. i) del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce che lĠAutoritˆ  competente Ça definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dellĠinfrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacitˆ e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore del- lĠinfrastrutturaÈ. Definitiva conferma si ricava, a contrario, dallĠart. 37, comma 4, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, secondo il quale, nellĠambito dei rapporti con i gestori delle infrastrutture, restano ferme le precedenti competenze delle amministrazioni pubbliche nelle sole materie della Çsicurezza e standard tecnici, di definizione degli ambiti di servizio pubblico, di tutela sociale e di promozione degli investimentiÈ. é senzĠaltro da escludere, per contro, il subentro dellĠAutoritˆ nella competenza alla individuazione dei canoni dovuti per lĠutilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria, di cui allĠart. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. In tal senso militano numerosi argomenti, fra i quali ci si pu˜ limitare a evidenziare: -il ricordato principio del diritto dellĠUnione europea, secondo il quale spetta al gestore dellĠinfrastruttura definire, in piena indipendenza, lĠimporto dei canoni, mentre spetta allĠorganismo di regolamentazione (e dunque, ora, allĠAutoritˆ) la funzione di vigilanza; - lĠart. 37, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003, secondo il quale lĠorganismo di regolamentazione (ora lĠAutoritˆ) agisce Çin piena indipendenza (...) dallĠorganismo preposto alla determinazione dei canoni di accesso allĠinfrastruttura È, dal che si evince che le due competenze non possono essere riunite in capo al medesimo soggetto. Al riguardo, si deve ritenere che la funzione di ÒdeterminazioneÓ dei canoni coincida con quella di ÒindividuazioneÓ dei medesimi - che lĠart. 37, comma 1, continua ad affidare al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - e non con quella di ÒcalcoloÓ dei canoni stessi, che il successivo comma 2 del medesimo articolo giˆ attribuisce al gestore dellĠinfrastruttura (3); -pi in generale, la sicura incompatibilitˆ fra le funzioni di regolazione (Òa monteÓ) e di vigilanza (Òa valleÓ) affidate allĠAutoritˆ e funzioni di amministrazione attiva, quali quelle implicate dalla determinazione dei canoni. Funzioni, queste ultime, sicuramente non attribuite allĠAutoritˆ, come chiarito - sia pure nel raffronto con le attribuzioni spettanti alle Regioni, ma con argomentazioni estendibili al nostro caso - anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2013, nella quale la Corte ha affermato che Çle funzioni conferite allĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato lĠistituzione, non assorbono le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: Òle attribuzioni dellĠAutoritˆ non sostituiscono nŽ surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale  configurata lĠindipendenza dellĠorganoÓ (sentenza n. 482 del 1995). Compito dellĠAutoritˆ dei trasporti , infatti, dettare una cornice di regolazione economica, allĠinterno della quale Governo, Regioni e enti locali sviluppano le politiche pubbliche in materia di trasporti, ciascuno nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposizione censurata prevede, al comma 1 dellĠart. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti sia tenuta al rispetto delle competenze delle Regioni e degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Infatti, in relazione alle disposizioni sottoposte allĠesame della Corte, per quanto riguarda le tariffe, i canoni e i pedaggi, le disposizioni impugnate (lettera b del comma 2 dellĠart. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011) attribuiscono al- lĠAutoritˆ il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta impregiudicata in capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi per i servizi erogatiÈ. Da ultimo, nessuna competenza pu˜ ritenersi spettare allĠAutoritˆ con riferimento alla regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e il gestore del- lĠinfrastruttura e, in particolare, alla questione della ricomprensione dellĠeventuale rimborso dello sconto K2 nellĠambito delle compensazioni per oneri di servizio pubblico, che lo Stato concede al gestore. Come giˆ ricordato, infatti, ai sensi dellĠart. 37, comma 4, del d.l. 201 del 2011 restano ferme le precedenti competenze delle amministrazioni pubbliche nella Çdefinizione degli ambiti del servizio pubblicoÈ e, dunque, anche quelle che presiedono, (3) Ci˜, sebbene un argomento in senso contrario possa ricavarsi dal tenore dellĠart. 37, comma 10, del D.lgs n. 188 del 2003, il quale ascrive la funzione di Òdeterminazione dei canoniÓ allĠambito delle attivitˆ demandate al gestore dellĠinfrastruttura dal precedente comma 2. nellĠan e nel quantum, alla fissazione delle relative compensazioni. Inoltre, ai sensi del successivo comma 6-ter del medesimo articolo, restano ferme anche le previgenti competenze Çin materia di approvazione di contratti di programma nonchŽ di atti convenzionali, con particolare riferimento ai profili di finanza pubblicaÈ. Ed  appunto il contratto di programma lo strumento nel quale sono - o avrebbero eventualmente dovuto essere - previste le compensazioni in esame. *** 4. LĠesecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato. Sulla base del quadro fattuale e normativo sopra descritto  possibile individuare, ad avviso della scrivente Avvocatura, i soggetti chiamati a dare esecuzione alle sentenze in esame. Si  visto che la sentenza resa nel giudizio di cognizione ha ritenuto che la misura dei canoni dovuti dagli operatori ferroviari, ivi compreso lĠimporto dello sconto K2, dovesse essere determinata sulla base del D.M. n. 44T del 22 febbraio 2000, in quanto lĠannullamento del successivo D.M. n. 92T dellĠ11 luglio 2007 impediva che questo producesse effetti sia nella direzione di interpretazione autentica del precedente decreto, sia nella direzione in cui si proponeva di innovarne il contenuto precettivo. La sentenza resa in sede di ottemperanza ha, tuttavia, inequivocabilmente affermato che lĠintervento annullatorio del Giudice della cognizione impone la Çriedizione dellĠattivitˆ amministrativaÈ. Ci˜, sebbene lĠart. 17, comma 10, del D.lgs n. 188 del 2003 - e, lo si noti, in una versione modificata dallĠart. 62 della legge 23 luglio 2009, cio in epoca successiva a quella in cui, come si vedrˆ, erano certamente venute meno le condizioni per la concessione dello sconto K2 - disponga che Ç(n)elle more dellĠemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellĠinfrastruttura e del recepimento delle modalitˆ e termini di calcolo del prospetto informativo della rete, i canoni di utilizzo dellĠinfrastruttura ferroviaria continuano ad essere calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 2000 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 94 del 21 aprile 2000, e successive modifiche e integrazioniÈ. Tanto premesso, si pu˜ astrattamente ipotizzare che lĠulteriore attivitˆ amministrativa, alla quale allude il Giudice dellĠottemperanza, si debba estrinsecare: (i) in una mera attivitˆ di ÒcalcoloÓ dello sconto (ossia dei canoni al netto di tale sconto), demandata al gestore dellĠinfrastruttura, ai sensi dellĠart. 17, comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, ovvero (ii) nellĠattivitˆ di ÒindividuazioneÓ del canone dovuto, che lĠart. 17, comma 1, del medesimo D.Lgs n. 188 del 2003 affida a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (salvo che si ritenga imposta la disapplica zione della disposizione, in attuazione della sentenza del 3 ottobre 2013 della Corte di giustizia dellĠUnione europea). LĠipotesi sub (i) sembra, tuttavia, doversi escludere in quanto, dal tenore letterale dellĠart. 17, comma 2, del D.Lgs n. 188 del 2003, si evince che lĠattivitˆ di ÒcalcoloÓ dei canoni da parte del gestore dellĠinfrastruttura deve necessariamente costituire attuazione del decreto di cui al precedente comma 1, con la conseguenza che essa non si pu˜ realizzare a prescindere da tale decreto. In tal senso depone anche il comma 10 del medesimo articolo, attraverso lĠinciso Çnelle more dellĠemanazione del decreto di cui al comma 1, della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dellĠinfrastrutturaÈ. In altre parole, la disciplina normativa non sembra prevedere unĠattivitˆ di ÒcalcoloÓ, da parte del gestore dellĠinfrastruttura, attuativa dei D.M. del marzo 2000 che, in forza del regime transitorio dellĠart. 37, comma 10, del D.Lgs n. 188 del 2003, regola attualmente la materia. Fuori da tali argomenti letterali, emerge dal contesto fattuale e dalla vicenda processuale prima descritti, che lĠulteriore attivitˆ amministrativa al quale si riferisce il Giudice dellĠottemperanza implica scelte discrezionali che trascendono lĠattivitˆ di mero ÒcalcoloÓ dei canoni. Occorrerˆ, infatti, innanzi tutto accertare lĠepoca in cui sono venute meno le condizioni per lĠerogazione dello sconto K2: fatto, questo, che appare pacifico tra tutte le parti e che dovrebbe collocarsi intorno allĠinizio del 2008, ma che non  stato ancora recepito in una fonte idonea a riverberarsi sui rapporti tra il gestore e gli operatori ferroviari. Un simile accertamento certamente non contrasterebbe con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 1110/13 del Consiglio di Stato, che pure ha affermato che gli importi spettanti agli operatori ferroviari dovevano essere regolati dal D.M. n. 44T del 22 marzo 2000. Infatti, questo stesso decreto qualificava, allĠart. 1, come ÒtemporaneoÓ lo sconto, enunciando, allĠart. 2, comma 2, che Ç(l)o sconto viene meno al realizzarsi delle condizioni previste dal comma 1È, ossia al momento in cui le condizioni della rete ferroviaria avrebbero consentito la guida di convogli ad agente unico. E la medesima sentenza resa nel giudizio di cognizione afferma, in motivazione, che la disciplina dello sconto K2  Çcertamente ex se transitoria proprio in quanto deputata a sovvenire al disagio proprio del non ancora attivato regime generale della conduzione dei convogli ad Òagente unicoÓÈ. Si deve, quindi, concludere che lĠulteriore attivitˆ amministrativa cui si riferisce il Giudice dellĠottemperanza debba tradursi in Çmodifiche o integrazioni È al D.M. n. 44T del 22 marzo 2000, attuate, Òora per alloraÓ, nellĠesercizio della competenza di cui allĠart. 17, comma 1, del D.lgs n. 188 del 2003. La riedizione dellĠattivitˆ amministrativa implicherebbe, pertanto, lĠadozione di un decreto ministeriale, con il procedimento previsto dal citato art. 17, comma 1. SennonchŽ, come pi volte ricordato nel presente parere, , quanto meno, seriamente da dubitarsi della compatibilitˆ di tale norma con il diritto dellĠUnione europea e, in particolare, con il principio affermato nella sentenza del 13 ottobre 2013 della Corte di giustizia dellĠUnione europea, secondo il quale la determinazione dei canoni spetta allĠautonoma responsabilitˆ del gestore. Stante tale situazione, sembrerebbe opportuno che una delle parti interessate allĠesecuzione della sentenza (Ministero e R.F.I.) promuova incidente di esecuzione, ai sensi dellĠart. 112 del codice del processo amministrativo. Esula, invece, dallĠattivitˆ di ottemperanza della sentenza - la quale si  limitata a escludere, sulla base delle fonti esistenti, lĠesistenza di un nesso tra rapporto di provvista, intercorrente tra lo Stato e il gestore dellĠinfrastruttura, e rapporto di valuta, intercorrente tra il secondo e gli operatori ferroviari - la questione della spettanza, a R.F.I., di compensazioni ulteriori, che implicherebbero nella sostanza un intervento, nuovamente Òora per alloraÓ, sul contratto di programma vigente pro tempore. Tale questione dovrˆ essere oggetto di distinte determinazioni da parte dei Ministeri competenti, ivi compreso il Ministero dellĠeconomia e delle finanze. Dalla trattazione che precede emerge, a giudizio della scrivente, lĠestraneitˆ dellĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti alla fase di diretta esecuzione della sentenza, atteso che questa non implica lĠesercizio di alcuna delle funzioni nelle quali lĠAutoritˆ medesima  subentrata (risolvendosi, come detto, queste ultime in attivitˆ di regolazione e di vigilanza, e non di amministrazione attiva). NŽ pare opportuno il coinvolgimento dellĠAutoritˆ - invece ipotizzato nelle comunicazioni del gestore dellĠinfrastruttura inviate alla scrivente - in sedi di concertazione collegiale tra le parti pubbliche delle misure di attuazione in questione. Ci˜ in quanto lĠAutoritˆ medesima potrebbe essere nuovamente chiamata a pronunciarsi sul risultato della nuova attivitˆ amministrativa, nellĠesercizio del generale potere previsto dallĠart. 37, comma 2, lett. c) del d.l. n. 201 del 2011 e di quelli specifici previsti dallĠart. 37, commi 3 e 6, del D.lgs. n. 188 del 2003. Ci˜, in particolare, in relazione a eventuali profili rimasti impregiudicati dalla sentenza di merito del Consiglio di Stato e, dunque, a spazi di intervento ÒrestituitiÓ alla discrezionalitˆ o allĠautonomia dei soggetti interessati. La predetta conclusione non appare inficiata dalla scelta del Giudice dellĠottemperanza di individuare nel Segretario Generale dellĠAutoritˆ il commissario ad acta, per il caso di ulteriore inottemperanza alla sentenza da parte dei soggetti obbligati, posto che tale nomina si riferisce alla persona fisica preposta allĠOrgano e non impegna la responsabilitˆ dellĠAutoritˆ medesima. Sulla questione  stato sentito il Comitato Consultivo che si  espresso in conformitˆ nella seduta del 22 maggio 2014. Rimborso spese legali a dipendente pubblico nel caso di archiviazione per prescrizione da parte del G.I.P. PARERE 04/06/2014-240745, CS 47105/2013, SEZ. V, AVV. ENRICO DE GIOVANNI In ordine al quesito posto da codesta Avvocatura, concernente la possibilitˆ di concedere il rimborso delle spese legali richiesto da dipendente a fronte di un provvedimento di archiviazione per prescrizione emesso nella fase preliminare di un procedimento penale, si osserva quanto segue. Come  noto, la fattispecie di rimborso in esame  disciplinata dallĠart. 18 (rubricato Òrimborso delle fattispecie di patrocinio legaleÓ) del D.L. 25 marzo 1997 n. 67, convertito in L. 135/1997, che cos“ recita: ÒLe spese legali relative a giudizi per responsabilitˆ civile, penale ed amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con lĠespletamento del servizio o con lĠassolvimento di obblighi istituzionali conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilitˆ, sono rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dallĠAvvocatura di Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura di Stato, possono concedere anticipazione del rimborso salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilitˆ". La ratio della norma, disciplinante il rimborso ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni delle spese legali affrontate per procedimenti giudiziari strettamente connessi all'espletamento dei loro compiti istituzionali,  quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, ed anche nell'interesse, dell'Amministrazione di appartenenza, sollevando i funzionari pubblici dallĠonere economico derivante da eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento delle loro attivitˆ istituzionali (si vedano a tal proposito Cons. Stato sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Cons. Stato sez. IV, 7 marzo 2005 n. 913; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23 marzo 2010 n. 1572; TAR Liguria, sez. I, 22 agosto n. 882). Il rimborso da parte dell'amministrazione delle spese legali sostenute dal dipendente si ˆncora a due presupposti fondamentali: da un lato vi  la stretta connessione fra i fatti che hanno dato origine al provvedimento e l'espletamento del servizio e/o l'assolvimento degli obblighi istituzionali, che va ritenuta sussistente quando sia possibile ricondurre l'attivitˆ del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza (la Suprema Corte parla al riguardo di "comunanza di interessi" perseguiti attraverso il reato ipotizzato con quello dell'ente pubblico di appartenenza, che si verifica laddove il fine ultimo perseguito da quest'ultimo avrebbe potuto essere realizzato solo con quella condotta). Il secondo elemento necessario  costituito da una pronuncia che escluda la responsabilitˆ; sotto tale profilo il quesito posto da codesta Avvocatura richiede idoneo approfondimento. Nel caso di specie il dipendente pubblico, a fronte di un procedimento penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari con ordinanza di archiviazione per prescrizione dei presunti reati ascrittigli, ordinanza pronunciata dal G.I.P. in data 10 gennaio 2013, chiede di poter beneficiare del ristoro delle spese sostenute durante il procedimento. L'Avvocatura distrettuale pone in evidenza la circostanza che il provvedimento di archiviazione  intervenuto ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e che il dipendente pubblico non aveva la possibilitˆ giuridica di insistere per ottenere una pronuncia pienamente assolutoria nel merito, non essendo prevista nella fase delle indagini preliminare la facoltˆ di rinunciare ad avvalersi della prescrizione per ottenere la piena assoluzione e non essendo applicabile, comunque, il comma 2 dell'art. 129 citato. Come  noto lĠart. 129 c.p.p. cosi recita: "Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilitˆ. 1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non  previsto dalla legge come reato ovvero che il reato  estinto o che manca una condizione di procedibilitˆ, lo dichiara di ufficio con sentenza. 2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non  previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta". Codesta Avvocatura osserva esattamente (citando Cass. pen. S.U., 12283/05) che secondo la giurisprudenza l'art. 129 c.p.p. non  applicabile nella fase delle indagini preliminari. Si rileva che effettivamente la giurisprudenza di legittimitˆ  orientata in senso univoco per siffatta interpretazione; si veda, ex multis, oltre la decisione giˆ citata, C. Cass. Sez. I, sent. n. 5755 del 27 maggio 1991: "Il momento applicativo dell'obbligo dell'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilitˆ  collocato dall'art. 129 cod. proc. pen. in "ogni stato e grado del processo" e non giˆ del "procedimento"; il disposto di tale norma riguarda, quindi, il vero e proprio processo, come esercizio della giurisdizione e, pertanto, durante le indagini preliminari, che appartengono alla fase anteriore, esso non pu˜ trovare applicazione, trovando, invece, applicazione il diverso istituto dell'archiviazione il quale presuppone la necessaria richiesta del P.M.". Da ci˜ discende, secondo codesta Avvocatura, l'opportunitˆ di tenere comunque indenne il dipendente dalle spese processuali ove ricorra il primo requisito richiesto dall'art. 18 sopra ricordato, riconoscendo il diritto al rimborso a fronte di un procedimento penale conclusosi nella fase delle indagini preliminari con archiviazione per prescrizione. Siffatte pur apprezzabili considerazioni non consentono, tuttavia, a giudizio di questo G.U., di superare il puntuale disposto dell'art. 18 citato, con riferimento alla necessitˆ che il giudizio si sia concluso "con sentenza o provvedimento che escluda la ... responsabilitˆ". La norma di cui al citato art. 18, per consolidato indirizzo della giurisprudenza,  norma di stretta interpretazione, e deve essere applicata nel senso di rigettare ogni richiesta risarcitoria che non sia suffragata da un provvedimento che escluda qualsiasi profilo di responsabilitˆ del dipendente, risultando applicabile ai soli casi espressamente disciplinati ex lege (si veda ex plurimis Cass. 3 gennaio 2008 n. 2). In questo senso si devono leggere le pronunce anche recenti in subiecta materia della magistratura contabile ed amministrativa (si vedano ad esempio Cons. St. sez. II 21 giugno 2013 n. 2908, in Giustizia Civile, 10, 2256; Cons. St. sez. VI 29 aprile 2005, n. 2041; C. Conti 30 novembre 2010 n. 205; C. Conti 23 aprile 2007 n. 201). La rigorosa interpretazione della citata disposizione deve confermarsi anche nel caso (come quello di cui ci si occupa) in cui la prescrizione del reato venga dichiarata nella fase delle indagini preliminari, giacchŽ una decisone di siffatto tenore non esclude la responsabilitˆ: infatti, poichŽ la disposizione di cui al citato art. 18 attribuisce un vantaggio a carico del dipendente e corrispettivamente un onere economico a carico dell'amministrazione, la sua applicazione deve essere limitata ai soli casi espressamente previsti dalla legge, con esclusione di applicazioni analogiche o estensive. Dunque, giacchŽ nel caso di specie non si rinviene nessuna pronuncia assolutoria nel merito, non potendosi equiparare, sotto il profilo del diritto al rimborso, l'archiviazione nella fase delle indagini preliminari ad una sentenza di assoluzione piena nel merito, l'Amministrazione investita della richiesta dovrˆ respingerla, negando il rimborso. Sul presente parere si  espresso in conformitˆ il Comitato Consultivo in data 22 maggio 2014. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Federalismo fiscale e nuova finanza locale Antonio Tallarida* SOMMARIO: 1. La Finanza locale derivata - 2. Il sistema costituzionale del 1948 - 3. Le tappe dellĠautonomia finanziaria - 4. Il federalismo municipale e provinciale - 5. Le entrate tributarie - 6. Le entrate extratributarie e demaniali - 7. Le entrate da trasferimenti nazionali -8. Le entrate da trasferimenti comunitari - 9. Le risorse da indebitamento - 10. La giurisprudenza costituzionale e i tributi propri - 11. Conclusioni. 1. La Finanza locale derivata. Il federalismo fiscale  la nuova frontiera dellĠautonomia finanziaria degli Enti locali, dopo decenni di finanza derivata, spesso inutilmente dispendiosa ed  finalizzato a raggiungere unĠeffettiva responsabilizzazione dei diversi livelli di governo attraverso il dimensionamento delle entrate alle reali esigenze di spesa, sotto il diretto controllo delle collettivitˆ di riferimento. Per questo, in materia di finanza locale, occorre respingere la facile tentazione di pensare soprattutto al sistema delle imposte, tasse, compartecipazioni, diritti e altri analoghi balzelli. In realtˆ, il punto di partenza deve essere quello della spesa pubblica da cui discende la necessitˆ di trovare i mezzi materiali per il suo sostentamento da parte dellĠente locale. é stato efficacemente scritto che Òla spesa  il convitato di pietra di tutti i ragionamentiÓ in materia (1). In questa consapevolezza giˆ si muoveva il R.D. n. 1175 del 1931 (T.U. per la finanza locale) che - ai primi articoli (art. 4-9) - poneva proprio la classificazione delle spese dei Comuni e delle Province, distinguendole in obbligatorie e facoltative. (*) Vice Avvocato Generale. (1) F. BASSO, in Corriere della Sera, 2014, n. 129, pag. 2. A tale proposito, poich la parte predominante delle risorse destinate a coprire le suddette spese era costituita da trasferimenti erariali, si parla correttamente di finanza derivata. Tuttavia, ai Comuni era nominalmente attribuito il potere di istituire ed applicare un gran numero di imposte, tasse, contributi e diritti. Si andava cos“ dalle imposte di consumo su generi alimentari (bevande, carni, pesce, dolciumi, formaggi) e diversi (profumi, gas ed energia elettrica, materiali di costruzione, mobili e pellicce), allĠimposta sul valore locativo delle abitazioni, dallĠimposta di famiglia allĠimposta sul bestiame e sui cani, da quelle sulle vetture e i domestici a quelle sui pianoforti e biliardi, dallĠimposta sullĠindustria, commercio, professioni, arti e mestieri allĠimposta di soggiorno e cura e allĠimposta di licenza, fino alle tasse di occupazione di spazi e aree pubbliche, di circolazione, di smaltimento dei residui solidi urbani, ai contributi di miglioria generica e specifica e di fognatura, alla sovrimposta fondiaria, ai diritti su pesi e misure, oltre alle varie tariffe per i servizi municipalizzati. Ma il raggiungimento di una vera autonomia finanziaria era ancora un obiettivo lontano. 2. Il sistema costituzionale del 1948. Nemmeno la Costituzione ha originariamente previsto in modo espresso lĠautonomia finanziaria degli Enti locali, limitandosi a riconoscerla solo alle Regioni ordinarie e a prevedere che Òle leggi della Repubblica coordinano la finanza regionale con quella dello Stato, delle Province e dei ComuniÓ (art. 119, testo originario, Cost.). Peraltro, i successivi articoli 128-130 Cost., relativi a detti Enti, qualificavano Comuni e Province come enti autonomi e di decentramento amministrativo, nellĠambito delle leggi della Repubblica che ne stabiliscono le funzioni. Era il segnale di un cambio rispetto al recente passato, un significativo ritorno alle tradizionali autonomie municipali, iniziato giˆ con la modifica del T.U. com. e prov. del 1934 e il recupero di parte di quello del 1915. Un forte spirito autonomistico giˆ permeava invece gli statuti delle Regioni a ordinamento speciale, approvati con le coeve leggi cost. n. 2, 3, 4 e 5 del 1948. In particolare quello della Regione Siciliana allĠart. 36 attribu“ alla regione unĠampia autonomia finanziaria, stabilendo che Òal fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione a mezzo di tributi deliberati dalla medesimaÓ; quello della Regione Sardegna assegn˜ alla regione Òuna propria finanzaÓ (art. 7) e Òaltri tributi propri che la regione ha facoltˆ di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello StatoÓ (art. 8, lett. h); quello della Regione Valle dĠAosta stabil“ che ÒLa Valle pu˜ istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principi dellĠordinamento tributario vigenteÓ (art. 12). Una spiccata autonomia finanziaria  riconosciuta anche alla Regione Trentino-Alto Adige e alla Regione Friuli-Venezia Giulia. 3. Le tappe dellĠautonomia finanziaria. LĠistituzione delle Regioni, avvenuta a seguito dellĠapprovazione della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per lĠattuazione delle regioni ordinarie) e il conseguente dibattito federalista, sviluppatosi specie negli anni Ġ80-Ġ90, portarono ad una prima riforma dellĠordinamento degli E.L., con lĠapprovazione della L. 4 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali) che, per la prima volta, riconosceva a Comuni e Province, oltre allĠautonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, anche quella impositiva e finanziaria, nellĠambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica (art. 2). Il successivo art. 54 stabiliva che la finanza dei comuni e delle province era costituita da imposte proprie, addizionali a imposte erariali o regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, trasferimenti erariali e regionali, entrate patrimoniali, risorse per investimenti, speciali contributi statali per situazioni eccezionali. Queste entrate dovevano essere destinate a finanziare i servizi pubblici necessari e indispensabili, mentre per la realizzazione di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico era previsto un fondo nazionale ordinario accanto ad un fondo nazionale speciale perequativo per opere pubbliche definite dalla legge statale. Con la successiva legge 23 ottobre 1992, n. 421 fu data delega per la revisione, tra lĠaltro, della finanza territoriale (art. 4). Ad essa seguirono alcuni provvedimenti attuativi, costituiti dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (riordino della finanza locale), istitutivo dellĠICI, e attributivo ai Comuni della tassa sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani (TARSU), dellĠimposta provinciale per lĠiscrizione dei veicoli al PRA e di tre fondi di trasferimenti erariali (ordinario, consolidato e perequativo) variamente alimentati (addizionale energia elettrica, contributi statali, ecc.) e dal d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 507, istitutivo della tassa per lĠoccupazione di aree pubbliche (TOSAP) e dellĠimposta sulla pubblicitˆ. UnĠulteriore spinta in senso autonomista fu impressa dalla legge finanziaria per il 1997 (L. 23 dicembre 1996, n. 662), con delega per il riordino dei tributi locali (art. 3, commi 143-152), attuata con il d.lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dellĠIRAP, dellĠILOR e dellĠIPT e attributivo ai Comuni e alle Province del potere di regolamentare le proprie entrate (ad eccezione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e delle aliquote massime) indispensabile per la disciplina dei propri tributi (art. 52) e con il d.lgs. n. 244 del 1997, di riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali (fondo ordinario per le province e i comuni, fondo per le comunitˆ montane, fondo consolidato, fondo per la perequazione e gli incentivi, fondi nazionale ordinario e speciale per gli investimenti, fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali). Nonostante i progressi compiuti sulla via dellĠautonomia finanziaria, si restava sostanzialmente nellĠambito della finanza derivata, per la forte prevalenza dei trasferimenti statali rispetto alle entrate proprie. Si pensi che il solo fondo ordinario per i Comuni e le Province ammontava a lire 16.646 miliardi e 900 milioni (art. 1, c. 1, lett. b), cui dovevano aggiungersi le varie migliaia o centinaia di miliardi degli altri fondi. Come curiositˆ, pu˜ ricordarsi che nel fondo consolidato erano giˆ previsti contributi per le nuove province e per il Comune di Roma quale concorso dello Stato agli oneri di Capitale della Repubblica (art. 1, c. 4, lett. f, d.lgs. n. 244 del 1997). Su tale processo, hanno esercitato una significativa influenza la riforma Bassanini (L.n. 59/1997) e i successivi decreti attuativi (specie il d.lgs. n. 112 del 1998), che hanno mutato il volto dello Stato, attraverso un forte decentramento amministrativo (unico attuabile a Costituzione invariata) operato con conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato a Regioni, Province, Comuni e Cittˆ metropolitane. La legge ha avuto anche lĠaccortezza di prevedere che tale conferimento doveva essere accompagnato (ed avere decorrenza) dal trasferimento effettivo delle risorse necessarie per il loro esercizio (art. 7), determinate secondo il criterio della spesa storica. La riforma del TUEL, approvata con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ha ancora una volta revisionato le funzioni di Comuni e Province e riconosciuto loro ÒnellĠambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferiteÓ (art. 149, comma 2). Queste dovevano essere costituite da: imposte proprie, addizionali e compartecipazioni a imposte erariali e regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, trasferimenti erariali e regionali, altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale, risorse per investimenti. Erano contemplati inoltre contributi statali per fronteggiare situazioni eccezionali e due fondi nazionali (ordinario per contribuire ad oo.pp., e perequativo), nonchŽ finanziamenti regionali specifici. Il testo unico detta anche norme in materia di ordinamento finanziario e contabile, fissando i principi di programmazione, gestione, rendicontazione, e di revisione del bilancio (art. 150 e ss.). Tuttavia, il sistema cos“ costruito faticava a funzionare perchŽ il parziale ampliamento dellĠautonomia impositiva (in parte compensato in negativo dalla riduzione dei trasferimenti erariali) non riusciva a supportare adeguatamente la rilevante crescita delle funzioni conferite agli Enti locali e la ÒfameÓ endemica di questi. Era necessaria una svolta decisiva. 4. Il federalismo municipale e provinciale. Questa svolta si  avuta con la modifica costituzionale del Titolo V, ap provata con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha dato dignitˆ costituzionale alla riforma Bassanini e posto le basi costituzionali del federalismo fiscale, riscrivendo lĠart. 119 Cost. Il nuovo testo, come integrato dalla L. cost. n. 1 del 2012, contiene le seguenti disposizioni fondamentali: -I Comuni, le Province, le Cittˆ Metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dellĠequilibrio dei relativi bilanci e concorrono allĠosservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dallĠordinamento dellĠU.E. -Essi hanno risorse autonome, costituite da tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al loro territorio. -Un fondo perequativo erariale, senza vincolo di destinazione,  riservato per i territori con minore capacitˆ fiscale. -Per finalitˆ specifiche (sviluppo, coesione e solidarietˆ sociale, riequilibrio economico-sociale, diritti alla persona o scopi diversi) lo Stato pu˜ destinare risorse aggiuntive e interventi speciali in determinati territori. -I Comuni e le Province hanno un proprio patrimonio e possono ricorrere allĠindebitamento ma solo per finanziare spese di investimento, senza garanzia statale. Le funzioni da finanziare con dette risorse sono quelle attribuite a tali enti e menzionate nei precedenti articoli 117, 2Ħ comma, lett. p) e 118 Cost. (funzioni proprie, fondamentali e conferite). Inoltre il nuovo art. 81 Cost., come sostituito dalla l. cost. n. 1 del 20 aprile 2012 ha prescritto che ÒLo Stato assicura lĠequilibrio tra le entrate e le spese del bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economicoÓ, principi questi espressamente estesi anche ai bilanci degli Enti Locali, con L. 24 dicembre 2012, n. 243. La legge La Loggia 5 giugno 2003, n. 131 (adeguamento dellĠordinamento della Repubblica alla legge cost. n. 3/2001), mentre conteneva la delega per la individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e cittˆ metropolitane (art. 2), nonchŽ la disciplina della potestˆ normativa degli enti locali (art. 3) e le modalitˆ di conferimento a detti enti delle funzioni amministrative (art. 7), non ha potuto dare attuazione ai principi di autonomia finanziaria. Un punto a favore del federalismo municipale  stato per˜ segnato dallĠart. 1, commi 145-149, della Legge Finanziaria 2007 (l. n. 296/2006) che ha autorizzato i Comuni a istituire con proprio regolamento ÒunĠimposta di scopo destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche individuate dai comuni nello stesso regolamentoÓ. LĠimposizione di scopo ha infatti il duplice vantaggio di rendere evidente al contribuente il collegamento tra imposta e spesa, consentendo cos“ un maggior controllo sullĠoperato dellĠente, e di obbligare questo a destinare effettivamente il relativo gettito allo scopo prefisso (2). é stato per˜ necessario attendere lĠapprovazione della L. 5 maggio 2009, n. 142 (delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione del- lĠart. 119 Cost.) prima di poter dare concreta attuazione al dettato costituzionale. Tale legge Òreca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributarioÓ (art. 1) e fissa una serie di principi e criteri direttivi, generali (art. 2) e specifici (dallĠart. 5 al 29), per lĠadozione dei decreti legislativi, volti a dare attuazione a quello che  stato definito un federalismo cooperativo e solidale, attraverso la determinazione delle modalitˆ di finanziamento delle spese relative alle funzioni attribuite a Comuni e Province e lĠarmonizzazione dei rispettivi sistemi contabili (3). Il federalismo fiscale municipale e provinciale cos“ disciplinato  fondato sulla classificazione delle spese, sul superamento del sistema della finanza derivata e sullĠincremento dellĠautonomia di spesa e di entrata degli E.L., nel rispetto dei principi di solidarietˆ, riequilibrio territoriale, pareggio di bilancio, coesione sociale e si ispira alle seguenti finalitˆ: -finanziamento delle spese riconducibili allĠesercizio delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali con tributi propri, compartecipazioni e addizionali; delle spese riconducibili alle altre funzioni anche con il fondo perequativo basato sulla capacitˆ fiscale per abitante e delle ulteriori spese con i contributi speciali e i finanziamenti europei -superamento del criterio della spesa storica e determinazione dei fabbisogni e costi standard -soppressione dei trasferimenti erariali, salvo quelli previsti dalla Costituzione, di perequazione e per interventi speciali -equilibrio della gestione finanziaria. Ai Comuni  riconosciuta una partecipazione allĠattivitˆ di accertamento tributario e attribuita una quota del maggior gettito derivato e delle sanzioni catastali irrogate e viene previsto lĠinterscambio dei dati informatici (art. 2, c. 10 e 11). Esso inoltre si accompagna alla previsione di meccanismi di premialitˆ e sanzionatori, di un patto di convergenza, dei costi e fabbisogni standard (art. 18), di misure di armonizzazione dei sistemi contabili e di bilancio e di disposizioni in materia di attribuzione e valorizzazione di beni demaniali e patrimoniali (4). Un altro passaggio chiave  stato infine segnato dalla individuazione delle funzioni fondamentali da finanziare, effettuata direttamente dallĠart. 14, (2) A. URICCHIO, Imposizione di scopo e federalismo municipale, Maggioli, 2013. (3) M. NICOLAI, (a cura di), Finanza pubblica e Federalismo, Maggioli, 2012. (4) G. IELO, Il federalismo fiscale municipale, IPSOA, Milano, 2011. comma 27, D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010, non essendo stata attuata la delega prevista dalla legge La Loggia. A questo punto il quadro degli elementi indispensabili per passare alla concreta attuazione del federalismo fiscale  completo. AllĠattualitˆ sono stati emanati 8 decreti legislativi: n. 85/2010 (patrimonio degli E.L.), n. 216/2010 (costi e fabbisogni standard), n. 23/2011 (federalismo municipale), n. 68/2011 (costi e fabbisogni standard nel settore sanitario; tributi regionali), n. 88/2011 (risorse aggiuntive e interventi speciali), n. 91/2011 (armonizzazione dei sistemi contrabili), n. 118/2011 (bilanci), n. 149/2011 (meccanismi sanzionatori e premiali), oltre a quelli su Roma Capitale, n. 156/2010 e n. 61/2012. Si pu˜ quindi affermare, sulla base della normativa come si  venuta assestando, (ancora non del tutto) attraverso la lunga evoluzione dianzi descritta, che la nuova finanza degli Enti Locali  oggi costituita da: -entrate tributarie (tributi propri, tasse, addizionali, compartecipazioni) -entrate extratributarie e demaniali -trasferimenti da Stato, Regioni e altri Enti Pubblici -trasferimenti dallĠUnione Europea -ricorso allĠindebitamento. 5. Le entrate tributarie. I decreti legislativi n. 23 e n. 68 del 2011 disciplinano il federalismo fiscale municipale e provinciale, pur avendo subito giˆ notevoli modificazioni. Il quadro sintetico delle entrate tributarie dei Comuni, alla luce del d.lgs. n. 23 del 2011 e delle sue successive modifiche,  dato allĠattualitˆ (2014) da: a) Imposta municipale propria, sulle abitazioni non principali dovute dal proprietario o dal titolare di diritto reale; aliquota ordinaria 0,76%; stessa base imponibile ICI. La legge di stabilitˆ 2014, l. 27 dicembre 2013, n. 147, ha per˜ profondamente modificato questa imposta, trasformandola in imposta unica comunale (IUC), basata su due presupposti (possesso di immobili e fruizione dei servizi comunali) e articolata in tre tributi (IMU, di natura patrimoniale; TASI, per i servizi indivisibili; TARI per il servizio di raccolta dei rifiuti) la cui aliquota massima complessiva non pu˜ superare i limiti prefissati per la sola IMU (10,6 per mille) (art. 1, commi 639 e ss.). Ma ulteriori modifiche sono state apportate dal d.l. n. 16 del 2014, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, consentendo tra lĠaltro il superamento di detti limiti, per il 2014, in misura non superiore allo 0,8 per mille (art. 1). b) Imposta municipale secondaria, sulla occupazione di aree e spazi pubblici, anche a fini pubblicitari (sostituisce le analoghe precedenti imposte comunali). c) Devoluzione della fiscalitˆ immobiliare, ossia del gettito delle imposte erariali relative ai trasferimenti (registro, ipocatastali, tributi speciali) e alle locazioni (registro, cedolare secca) degli immobili siti nel territorio del Comune e dellĠIrpef fondiaria (anticipata a decorrere dal 2011). d) Imposta di soggiorno (art. 4), nelle cittˆ capoluogo di provincia, unioni di Comuni, cittˆ turistiche e dĠarte - max Û 5. e) Imposta di sbarco (art. 4, c. 3 bis), nelle isole minori (esclusi i residenti ed equiparati, i lavoratori e studenti pendolari) - Û 1,50. f) Imposta di scopo, (art. 6), istituita dalla l. n. 296/2006, per finanziare (sino al 30%) opere pubbliche (trasporto pubblico, strade, arredo urbano, parchi e giardini, beni artistici, spazi culturali, edilizia scolastica straordinaria); aliquota 0,5%, per massimo 10 anni. g) Tassa sui rifiuti: ex TARSU, TIA 1 (con decorrenza 1999), TIA 2 (dal 2010), TARES (2013), TARI componente ora della IUC (l. n. 147/2013). h) Tassa per partecipazione a concorsi comunali (L. n. 240/2000, art. 23) -max Û 10,33. i) Addizionale comunale allĠIRPEF, sui redditi dei soggetti con domicilio fiscale nel comune al 1 gennaio dellĠanno di imposta; aliquota 0,8%. l) Addizionale comunale sui diritti di imbarco su aeromobili (d.l. n. 80/2004); Û 5,50. La compartecipazione allĠIVA,  stata sospesa per il 2013 e 2014 ex l. n. 228/2012 e abrogata dallĠart. 1, comma 729, lett. h, l. n. 147/2013. LĠaddizionale allĠaccisa sullĠenergia elettrica  stata soppressa dal 2012 (ex art. 2 d.lgs. n. 23/2011). Le entrate fiscali delle Province, come previste dal d.lgs. n. 68/2011 (5), sono allĠattualitˆ: -imposta sulla RCA -imposta ambientale (stessa base imponibile e soggetti passivi della tassa rifiuti) -imposta provinciale di trascrizione (IPT) sulle formalitˆ al PRA -tassa per lĠoccupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) -tributo speciale per deposito in discarica (l. n. 549/1995, art. 3) -addizionale provinciale allĠIRPEF -compartecipazione IRPEF (art. 18 d.lgs. n. 68/2011); aliquota 0,60% (6). La nuova legge sulle Province (n. 56/2014) ha per˜ ridefinito le funzioni delle Province (art. 1, commi 85-91) e dato delega al Governo per lĠadozione di decreti legislativi Òin materia di adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi entiÓ (art. 1, comma 97). (5) S. VILLANI, Il sistema delle entrate delle Province dopo il decreto sul federalismo fiscale, in Il Fisco, 2011, 31, 5030. (6) F. STRADINI, Profili attuali delle compartecipazioni delle regioni e degli enti locali ai tributi statali, in Rass. tributaria, 2012, 1, 183. é infatti evidente che al mutamento delle funzioni dovrˆ corrispondere una consistente modifica della finanza provinciale. 6. Le entrate extratributarie e demaniali. Le entrate extratributarie dei Comuni e delle Province non trovano disciplina unitaria nei decreti legislativi sopra richiamati, ma sono catalogate in 5 categorie ai fini contabili (D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194): 1) proventi dei servizi pubblici 2) proventi dei beni dellĠente 3) interessi su anticipazioni e crediti 4) utili netti delle aziende speciali e partecipate, dividendi di societˆ 5) proventi diversi. La prima categoria di proventi  tradizionalmente distinta in proventi derivanti da servizi pubblici a rilevanza economica e gestiti in regime concorrenziale (es. servizio idrico integrato, gas, energia elettrica, fognature e depurazione, centrali del latte, ecc.) e consistono nelle relative tariffe, variamente determinate, e servizi privi di rilevanza economica, prestati per fini di utilitˆ sociale e, normalmente, a domanda (es., asili nido, case di riposo, diurni, ecc.), il cui costo, nel caso di Enti deficitari, deve essere coperto dai proventi tariffari, in misura non inferiore al 36% del loro costo (art. 243 TUEL). La seconda  costituita dai proventi derivanti dallĠutilizzo dei beni demaniali e indisponibili e dei beni patrimoniali (es. canoni di concessione, canoni di locazione, diritti ecc.). La terza comprende i proventi finanziari, costituiti dagli interessi, premi e altri introiti derivanti da obbligazioni e titoli posseduti dallĠente. La quarta  costituita dagli utili derivanti dalla partecipazione ad aziende pubbliche e dai dividendi societari. La quinta comprende ogni altro provento non classificabile tra i precedenti. Si tratta nel complesso di entrate non particolarmente consistenti, che per˜ potrebbero essere incrementate attraverso lĠutilizzo delle facoltˆ (alienazioni, valorizzazione dei beni) messe a disposizione dal federalismo demaniale (d.lgs. n. 85/2010 e provvedimenti attuativi) (7). 7. Le entrate da trasferimenti erariali, regionali e di altri E.P. Tali entrate sono state molto penalizzate dalla riforma federalista, tendendo questa ad assicurare lĠautosufficienza degli enti locali attraverso lĠaumento della loro capacitˆ impositiva. Infatti, il d.lgs. n. 23 del 2011 ha previsto la riduzione dei trasferimenti erariali ai Comuni in misura corrispondente ai tributi devoluti (art. 2, comma (7) A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale Dir. Amm., 2010, 12, 1233. 8) e il d.lgs. n. 68 del 2011 ha disposto la soppressione dei trasferimenti statali alle Province (art. 18). Il medesimo d.lgs. n. 68 ha previsto la soppressione dei trasferimenti regionali ai Comuni di parte corrente e in conto capitale (ove non finanziati con il ricorso allĠindebitamento) (art. 12) e di quelli analoghi alle Province (art. 19). Contestualmente, in applicazione dellĠart. 119 Cost.,  stata prevista lĠistituzione di un Fondo perequativo per comuni e province nel bilancio dello Stato, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte (art. 13 d.lgs. n. 23/2011), pi volte in seguito ridotto (v. art. 16, comma 6, d.l. n. 95/2012). Nelle more della istituzione del suddetto fondo  stato istituito un fondo sperimentale di riequilibrio statale (art. 2, c. 3, d.lgs. n. 23/2011) e un fondo sperimentale di riequilibrio regionale (art. 12, comma 4, d.lgs. n. 68/2011) della durata di 3 anni. A decorrere dal 2013, il Fondo statale sperimentale per i Comuni  stato soppresso e sostituito da un Fondo di solidarietˆ comunale, alimentato in parte da una quota dellĠimposta municipale propria (l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 380 e ss.). La dotazione del fondo, a decorrere dal 2015,  pari a Û 6.547.114.923,12 (l. n. 147 del 2013, art. 1, c. 730). Le quote non fiscalizzate dei trasferimenti erariali continuano ad essere corrisposte in base alle disposizioni dellĠart. 2, comma 45, d.l. n. 225 del 2010 (art. 4, comma 6, d.l. n. 16 del 2012). 8. Le entrate da trasferimenti comunitari. Le entrate rivenienti dalle assegnazioni della U.E. sono particolarmente aumentate con il progressivo espandersi della politica comunitaria di coesione economica e sociale. Si tratta dei fondi strutturali per interventi a favore delle regioni a sviluppo ritardato o delle aree in declino industriale, o del sistema agrario o dellĠoccupazione, e cio del FESR, FSE e di altri strumenti finanziari (FEASR, FEP, FC, FEI), che per˜ gli E.L. spesso non riescono ad impegnare tempestivamente. 9. Le risorse da indebitamento. Si tratta delle entrate derivanti dallĠeventuale ricorso allĠindebitamento, per acquisti di beni immobili, di attrezzature o per opere pubbliche. Sulla base del giˆ citato D.P.R. n. 194 del 1996, esse si distinguono in -anticipazioni di cassa -mutui e prestiti -finanziamenti a breve termine -prestiti obbligazionari. Il loro utilizzo  sottoposto a stringenti condizioni e limitazioni. Al riguardo, lĠart. 119 Cost., come modificato dalla l. cost. n. 1/2012, pre scrive che Comuni, Province e Cittˆ metropolitane Òpossono ricorrere allĠindebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso deglienti di ciascuna Regione sia rispettato lĠequilibrio di bilancio. é esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contrattiÓ. Tradizionalmente, anche se non pi obbligatoriamente (dopo il d.l. n. 310/1999), gli E.L. si rivolgono per lĠassunzione di mutui alla Cassa Depositi e Prestiti, oggi societˆ per azioni, ma possono chiederli anche allĠINPS, allĠIstituto per il credito sportivo, a banche o alla BEI. I prestiti obbligazionari consistono nella emissioni di titoli, anche per il finanziamento di una specifica opera pubblica, di durata superiore a 5 anni e interesse non superiore al rendimento lordo degli analoghi titoli di Stato. Il recente d.l. n. 16/2014 ha consentito agli E.L. di derogare ai limiti previsti dal TUEL, per gli anni 2014 e 2015 (art. 5). Fortissime limitazioni infine riguardano il ricorso ai prodotti derivati (su cui v. anche C. Cost., sent. n. 70 del 2012). 10. La giurisprudenza costituzionale e i tributi propri. La Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi a pi riprese, a seguito della modifica dellĠart. 119 Cost., del potere impositivo degli Enti Territoriali sottolineando la novitˆ e complessitˆ del sistema di autonomia finanziaria di tali Enti e precisando che esso va coordinato con altre disposizioni della Costituzione. Si tratta in particolare dellĠart. 117, secondo comma, lett. e) (che attribuisce allo Stato potestˆ legislativa esclusiva in materia di Òsistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarieÓ ), terzo comma (che attribuisce alla potestˆ concorrente dello Stato e delle Regioni il Òcoordinamento della finanza pubblica e del sistema tributarioÓ) e quarto comma (che attribuisce alla potestˆ residuale delle Regioni Òogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello StatoÓ), nonchŽ dellĠart. 81 (nuovo testo) (sullĠobbligo di Òequilibrio tra le entrate e le speseÓ e di copertura finanziaria di ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri) e dellĠart. 53 (secondo cui Òil sistema tributario  informato a criteri di progressivitˆÓ). Infatti, secondo il lungimirante orientamento della Corte, sia lĠobbligo di equilibrio del bilancio, espresso dallĠart. 81, primo comma, che quello di copertura delle leggi di spesa si applicano anche alle leggi regionali (sent. n. 26 del 2013 e n. 176 del 2012). Analogamente, la Corte ha affermato che Òai sensi dellĠart. 3, secondo comma, Cost., la progressivitˆ  principio che deve informare lĠintero sistema tributarioÓ cui devono ispirarsi anche le Regioni nellĠesercizio del loro autonomo potere impositivo (sent. n. 2 del 2006). Ci˜ posto, proprio la consapevolezza della novitˆ del sistema ha indotto la Corte a subordinare la sua attuazione alla previa adozione di una legislazione nazionale che consenta Òil passaggio dallĠattuale sistema - caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale ancora in non piccola parte derivata cio dipendente dal bilancio statale e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilitˆ delle Regioni e degli Enti locali di effettuare scelte autonome, ad un nuovo sistemaÓ (sent. n. 423/2004) e conseguentemente a postulare la necessitˆ di un intervento legislativo statale per coordinare lĠinsieme della Finanza Pubblica. A tal fine la legge Òdovrˆ non solo fissare i principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma dovrˆ anche determinare le grandi linee dellĠintero sistema tributario e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrˆ esplicarsi la potestˆ impositiva, rispettivamente di Stato, Regioni ed Enti localiÓ (sent. n. 37 e n. 261 del 2004). Da tali assiomi, la Corte (con sent. 26 marzo 2010, n. 123) ha tratto le seguenti conseguenze: Òa) in forza del combinato disposto del secondo comma, lettera e), del terzo comma e del quarto comma dellĠart. 117 Cost., nonchŽ dellĠart. 119 Cost., non  ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestˆ regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale (sentenze n. 102 del 2008 e n. 37 del 2004); b) di conseguenza, fino a quando lĠindicata legge statale non sarˆ emanata, rimane precluso alle Regioni il potere di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato e di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 102 del 2008; n. 75 e n. 2 del 2006; n. 397 e n. 335 del 2005; n. 37 del 2004); c) va considerato statale e non giˆ ÒproprioÓ della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119 Cost., il tributo istituito e regolato da una legge statale, ancorch il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa (sentenze n. 298 e n. 216 del 2009); d) la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi statali  riservata alla legge statale e lĠintervento del legislatore regionale  precluso anche solo ad integrazione della disciplina, se non nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa (sentenze n. 298 e n. 216 del 2009; n. 2 del 2006; n. 397 del 2005)Ó. In questa fase, unico limite per il Legislatore statale nellĠintervenire sul- lĠassetto tributario vigente,  costituito Òdal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dallĠart. 119, sopprimendo senza una loro sostituzione gli spazi di autonomia giˆ riconosciuti dalle leggi statali vigenti alle Regioni ed Enti locali, ovvero di configurare un sistema complessivo che si ponga in contraddizione con i principi del medesimo art. 119Ó (sent. n. 37 del 2004; n. 241 del 2012). La prova che la riduzione o soppressione del tributo statale determini una contrazione del gettito regionale tale da compromettere lo svolgimento delle funzioni fondamentali compete alla regione ricorrente (v. sent. n. 121/2013), onere questo che grava anche sulle Regioni a Statuto Speciale (sent. n. 36 del 2014), non essendo loro garantita la invarianza del gettito (sent. n. 241 del 2012). In applicazione di tali indirizzi, sono state considerate statali, e non tributi propri, in quanto istituite e disciplinate dalle leggi dello Stato, tutta una serie di imposte il cui gettito  devoluto alle Regioni o agli Enti locali, anche se definite dalle leggi stesse come ÒregionaliÓ, ÒcomunaliÓ o ÒprovincialiÓ. Si tratta, tra le altre: -dellĠIRAP (sent. n. 153 del 2013; n. 99 e 50 del 2012; n. 241 del 2004; n. 296 del 2003) -dellĠICI (sent. n. 298 del 2009; n. 75 del 2006; n. 397 del 2005; n. 37 del 2004) -della tassa automobilistica regionale (sent. n. 451 del 2007; n. 455 e 462 del 2005; n. 311 del 2003) -di alcuni tributi regionali derivati (sent. n. 30, 32, 33 del 2012) -della tassa di deposito in discarica (sent. n. 24 del 2008; n. 412 del 2006; n. 335 del 2005) -dellĠaddizionale comunale e provinciale allĠIRPEF (sent. n. 37 del 2004). Per la Corte, quindi, Òallo stato attuale della normativa regionale, non risultano sussistere tributi regionali propri (nel senso di tributi istituiti e disciplinati dalla Regione Campania) che possano essere considerati ai fini dellĠagevolazione in questioneÉ compresi i tributi regionali cosiddetti ÒderivatiÓ, e cio i tributi istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia attribuito alle RegioniÓ (sent. n. 123 del 2010; n. 32 del 2012). Il discorso - riferito a specifiche Regioni (Campania, Abruzzo) - in realtˆ pu˜ estendersi a tutto il previgente ordinamento della finanza regionale e locale, salvo per quanto attiene alle Regioni ad autonomia differenziata, per i pi ampi poteri che queste ultime dispongono in materia. Cos“, nella fondamentale pronunzia n. 102 del 2008, relativa alla Regione Sardegna, che aveva istituito tre nuove imposte regionali (sulle plusvalenze dei fabbricati, sulle seconde case e sugli aeromobili e le unitˆ di diporto), la Corte ha premesso che nella fattispecie si trattava di Òtributi propri della Regione - in quanto istituiti con L.R. ai sensi dellĠart. 8, lett. h) dello StatutoÓ, e ha delineato il seguente quadro: ÒIl nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione prevede che; a) lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di Çsistema tributario [...] dello StatoÈ (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.); b) le Regioni hanno potestˆ legislativa esclusiva nella materia tributaria non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, con riguardo, beninteso, ai presupposti d'imposta collegati al territorio di ciascuna Regione e sempre che l'esercizio di tale facoltˆ non si traduca in un dazio o in un ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (art. 117, quarto comma, e 120, primo comma, Cost); c) le Regioni e gli enti locali Çstabiliscono e applicano tributi e entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento [...] del sistema tributarioÈ (art. 119, secondo comma, Cost.); d) lo Stato e le Regioni hanno competenza legislativa concorrente nella materia del Çcoordinamento [...] del sistema tributarioÈ, nella quale  riservata alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei principi fondamentali. Tale riserva di competenza legislativa nella materia del coordinamento del sistema tributario non pu˜ comportare, tuttavia, alcuna riduzione del potere impositivo giˆ spettante alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, perchŽ, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la nuova disciplina costituzionale si applica ad esse (fino all'adeguamento dei rispettivi statuti) solo per la parte in cui prevede Çforme di autonomia pi ampie rispetto a quelle giˆ attribuiteÈ e, pertanto, non pu˜ mai avere l'effetto di restringere l'ˆmbito di autonomia garantito dagli statuti speciali anteriormente alla riforma del Titolo V della Parte II Cost. (ex multis, sentenza n. 103 del 2003). Il quadro normativo risultante dalla riforma costituzionale  stato interpretato da questa Corte nel senso, da una parte, che lo spazio riservato a detta potestˆ dipende prevalentemente dalle scelte di fondo operate dallo Stato in sede di fissazione dei principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario e, dall'altra, che l'esercizio del potere esclusivo delle Regioni di autodeterminazione del prelievo  ristretto a quelle limitate ipotesi di tributi, per la maggior parte "di scopo" o "corrispettivi", aventi presupposti diversi da quelli degli esistenti tributi statali.Ó La Corte nella medesima pronuncia ha inoltre affermato che non cĠ alcun principio che vieti lĠistituzione di nuove imposte comunali. Nel caso, invece della Regione Siciliana, che con L.R. n. 2 del 2002 aveva istituito unĠimposta propria ambientale sulle condutture di trasporto del gas metano installate nel territorio regionale, la Corte di Giustizia CE ne ha dichiarato lĠillegittimitˆ comunitaria con sentenza 21 giugno 2007 in causa C173/ 05, in quanto tassa ad effetto equivalente a dazio doganale (8). La Corte Costituzionale inoltre si  occupata anche dei nuovi decreti legislativi (n. 118 e 149 del 2011) per dichiararne la parziale incostituzionalitˆ ed escluderne la immediata e diretta applicazione alle autonomie differenziate (sent. n. 219 del 2013 e n. 178 del 2012) o (con riguardo al d.lgs. n. 68 del 2011) per ritenerne invece la legittimitˆ (sent. n. 8 del 2014). La Corte ha anche riconosciuto che Òil coordinamento della finanza pubblica perseguito attraverso lĠistituzione dellĠunioneÓ  Òtitolo legittimanteÓ per lĠaffidamento allĠunione della titolaritˆ della potestˆ impositiva dei comuni associati sui tributi propri, in quanto tale atttribuzione appare coerente e questa Òper˜ ha bisogno di risorse per perseguire le sue finalitˆÓ (sent. n. 44 del 2014). (8) S. PERAZZELLI, Il caso della Òtassa sul tuboÓ, in Istituzioni del Federalismo, 2007, 6, 823. Moltissimo impegno infine  stato dedicato dalla Corte alla compatibilitˆ delle varie manovre statali, che impongono riduzioni o razionalizzazioni della spesa di Regioni ed Enti locali, con le regole dellĠautonomia finanziaria, riconosciuta dallĠart. 119 Cost. (v., fra le tante, sent. n. 61 del 2014, n. 236 del 2013 e n. 148 del 2012). 11. Conclusioni. Il quadro della nuova Finanza locale cos“ delineato non  per˜ ancora stabilizzato, come insegnano le tante modifiche anche recentissime (e le ÒconvulsioniÓ sullĠIMU e la TASI) nŽ sembra ancora in grado di assicurare agli Enti locali una vera autosufficienza, anche se  aumentato in maniera apprezzabile il livello generale di autonomia finanziaria. La piena e completa attuazione dellĠautonomia finanziaria degli Enti locali necessita in ogni caso della entrata a regime anche di tutti gli altri provvedimenti che accompagnano il federalismo fiscale (armonizzazione dei bilanci, federalismo demaniale, costi standard, meccanismi premiali) dianzi citati e approvati. Va peraltro segnalato che lĠattuazione della delega ha giˆ subito modifiche anche consistenti per via ordinaria (e cio non con decreti correttivi) per effetto di ripensamenti dovuti a fattori esterni (crisi economica, mutamenti politici), tra cui clamoroso  il caso dellĠIMU, sopra ricordato, ma rilevanti sono anche i casi del radicale riordino delle Province (l. n. 56 del 2014), delle modificazioni apportate al decreto sulle misure premiali (d.l. n. 174 del 2012, conv. in l. n. 213 del 2012, art. 1 bis ) e di quelle riguardanti il regime di Roma Capitale (d.l. n. 225 del 2010, n. 138 del 2011 e n. 16 del 2014). Ulteriori modifiche sono da attendersi al momento dellĠattuazione della delega di cui alla L. 11 marzo 2014, n. 23, per un sistema fiscale pi equo, trasparente e orientato alla crescita. Resta la constatazione che proprio la tormentata e complessa vicenda della finanza locale dimostra che i problemi della autonomia finanziaria degli enti territoriali non si risolvono solo con la istituzione di nuove imposte proprie e di nuove addizionali o compartecipazioni ma - come si diceva allĠinizio con la qualificazione, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica e con il sostegno della crescita e lo sviluppo dellĠeconomia (9), in armonia con i principi costituzionali dellĠequilibrio di bilancio, di progressivitˆ, di capacitˆ fiscale territoriale e di solidarietˆ e coesione sociale. (9) Corte dei Conti -Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2014. Stazione unica appaltante e centrale di committenza: lo sviluppo degli istituti nella prospettiva di riorganizzazione dei livelli di Governo Vincenzo Cardellicchio* Fabrizio Gallo** é maturata nei lunghi anni ed in tanti tra quelli di noi che hanno reso Servizio per le massime Autoritˆ dello Stato ed in ruoli di estrema responsabilitˆ pubblica, la convinzione che il sistema di difesa dalle infiltrazioni mafiose debba tessere una pi fitta rete che aiuti a selezionare ci˜ che cĠ di buono da ci˜ che , invece, cattivo e pericoloso. Per far questo occorre ineludibilmente stringere un sempre pi sistematico collegamento tra le diverse ÒretiÓ, oggi giˆ abbondantemente presenti anche sul nostro territorio, tale da rilevare con ogni possibile anticipo, i prodromi e le avvisaglie di tentativi di infiltrazione e di condizionamenti nella macchina pubblica e correggere con crescente anticipo malfunzionamenti e distorsioni. E ci˜  stato ben evidenziato dal Capo di Gabinetto del Ministero del- lĠInterno Prefetto Giuseppe Procaccini nellĠintroduzione dellĠAnno Accademico della SSAI 2011 quando giˆ allora fece espresso riferimento al tema della Òrete nelle retiÓ da stringere nelle salde mani del Ministero e dei Prefetti, giˆ custodi delle leve pi delicate della tenuta democratica del Paese (elezioni, sicurezza, cura degli organi enti locali ed ordine pubblico) ed ancor pi illuminante fu lĠespressione usata, nello stesso anno, dallĠallora Procuratore Nazionale Antimafia Dottor Pietro Grasso che, in occasione della sottoscrizione del Patto per la sicurezza di Roma, descrisse lĠattivitˆ dei Prefetti in questa materia come Òsentinelle dellĠanti-mafiaÓ ed entrambe queste posizioni trovano poi sintesi nella definizione che uno dei pi autorevoli Prefetti della Repubblica Carlo Mosca, oggi Consigliere di Stato, dava della funzione esercitata dai Prefetti quale valvola di scarico attraverso la quale hanno trovato Òsfogo democraticoÓ le tensioni del sistema amministrativo destinate altrimenti a produrre pericolose fratture. A complementare corredo dellĠobiettivo anzidetto e dei soggetti cui (*) Prefetto. Ha diretto la prefettura di Crotone e, presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, la Direzione Centrale delle Risorse Umane e la Segreteria del Dipartimento. Presso il Gabinetto del Ministro dell'Interno ha assolto le funzioni di Vice Capo Gabinetto Vicario e poi quelle di prefetto di Perugia ed attualmente  comandato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. (**) Viceprefetto. Dirigente della prefettura di Crotone, poi in servizio presso l'Ufficio Ordine e Sicurezza Pubblica del Gabinetto del Ministro dell'Interno; presiede ora la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone. ascriverne la responsabilitˆ viene valida una ulteriore intima convinzione riferita alla gestione delle Amministrazioni sciolte per mafia nelle diverse realtˆ del Paese. In questa materia tantissimi, tra coloro che in anni recenti si sono misurati con essa, - ed io sono stato - professionale custode di tante riflessioni da parte di colleghi e probi amministratori - ritengono che lĠassenza di adeguati anticorpi presenti nelle strutture burocratiche di quelle Amministrazioni siail pi insidioso vulnus del sistema. é evidente, infatti, anche al pi distratto Osservatore, che il solo allontanamento del Sindaco o dellĠAmministratore collegato in qualche modo alla criminalitˆ, non pu˜ da solo restituire legalitˆ e correttezza dĠazione se permane un contesto compromesso, un tessuto logoro e lacerato, una comunitˆ vittima e inconsapevole complice della mala amministrazione. Sistematicamente, infatti, mafia, camorra, Ôndrangheta e sacra corona unita si sono insinuati allĠinterno degli apparati pubblici nei livelli pi diversificati della burocrazia anche locale. Ed ancora, affidare ad un Commissario od al massimo ad una terna di Commissari la responsabilitˆ di invertire quel deleterio senso di marcia e lasciare questi funzionari in tanta solitudine tra mura, a volte assolutamente ostili, a lottare contro una schiacciante pressione criminale,  di per sŽ una strategia troppo debole e decisamente perdente e rischia di apparire una voluta trascuratezza. LĠantimafia e lĠanticorruzione (che ne pu˜ essere spesso lĠantidoto) necessitano di migliori e pi organizzate energie, che nel nostro Paese ci sono e che sono presenti anche nei disgraziati territori da cui questi fenomeni hanno origine e che ormai sono diffusi senza alcun limite di territorio e materia. Ma ora pi che mai occorre stringere un sistema pi coeso, pi articolato e ordinariamente allertato, abbandonando qualsiasi scorciatoia offerta dalla straordinarietˆ e dellĠeccezionalitˆ. Orbene, presso le Prefetture  operativo giˆ dallĠentrata in vigore del Dec. Leg.vo n. 300 del 1999 una Conferenza provinciale permanente composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato. Ed  tra di loro che pu˜ trovarsi, in primis, la sinergia per collegare tutte le diverse banche dati. Non si pu˜ pi assistere alla istituzione di una Commissione speciale per la gestione ed il controllo di ogni appalto appena pi che ordinario e continuare a veder rilasciare deroghe al Codice degli appalti per recuperare ritardi strumentali e velocizzare tempistiche per modalitˆ artificiosamente involute. é indispensabile dare avvio e rapido corpo a quella struttura di difesa dalla corruzione che trova nelle Prefetture e nel Ministero dellĠInterno la sua naturale collocazione. A tal proposito  giˆ pronto uno straordinario lavoro meticolosamente soppesato e scrupolosamente validato allĠinterno di uno specifico Gruppo di lavoro costituito presso il Gabinetto del Ministro dellĠInterno per assemblare una piattaforma informatica denominata ÒSciamanoÓ dalla quale si possono desumere spunti di immediata operativitˆ. E nella medesima ottica deve inserirsi la circolare del 5 ottobre del 2011 con cui il Ministro Maroni, che proprio attraverso la rete dei Prefetti, promosse la diffusione della esperienza della Stazione Unica Appaltante in campo nazionale, ed in queste pagine il paziente lettore troverˆ spunti di analisi e riflessione. E vieppi, pur nel contesto di una riorganizzazione delle Prefetture di cui se ne intravedono allĠorizzonte i contorni con lĠistituzione di un Ufficio Unico di Garanzia, si ritiene utile proporre una ulteriore e pi puntuale riflessione. Infatti, prendendo spunto da quanto si  sin qui detto, gioverebbe molto ai Commissari nominati per la gestione dei comuni sciolti per mafia potersi avvalere nella sede della Prefettura di riferimento di una Sezione di vigilanza, promanazione della stessa Conferenza permanente, obbligatoriamente incaricata, con provvedimento del Prefetto, di esprimere pareri vincolanti circa atti e determine riferiti ad opere pubbliche di rilevante valore economico o ad atti regolamentari o di gestione del territorio, tanto da esercitare un vero controllo responsabile e collaborativo sullĠattivitˆ degli apparati comunali a garanzia dellĠazione dellĠamministrazione straordinaria, argine allĠazione malamente diretta di organi infedeli dellĠapparato territoriale a tutela del- lĠattivitˆ della pubblica amministrazione nel suo complesso. Esclusivamente pel tramite della posta elettronica della Prefettura e nel tempo massimo di 10 giorni questo organo potrebbe esprimere il proprio giudizio di validazione, congruitˆ giuridico funzionale e di compatibilitˆ economico- finanziaria (superando i tradizionali parametri di merito e legittimitˆ) dal quale motivatamente potersi discostare ma non poter colpevolmente ignorare. Tempi e forme rigidamente fissate per non cadere nelle trappole burocratiche del passato, evitando questa volta di buttare via Òil bambino con lĠacqua sporcaÓ cosi come, invece, sĠ fatto con il controllo sugli atti di comuni, province e regioni. Infatti la spesa pubblica che ha devastato il bilancio nazionale ha origine e causa anche, se non soprattutto, da riforme effettuate in queste materie sotto la spinta del populismo e le semplificazioni delle piazze. E lĠattualitˆ di queste necessitˆ trovano oggi rilancio nelle tesi del giudice Lombardo (cft intervista al settimanale LEFT del maggio 2014 allegato al quotidiano LĠUnitˆ) che nellĠaffrontare un delicatissimo caso giudiziario si interroga sui benefici (troppo pochi) e sui danni (troppi) prodotti dalla costruzione dottrinario-giudiziaria del concorso esterno in associazione mafiosa, allorquando si ascrive un ruolo di direzione strategica al Òcolletto biancoÓ c.d. esterno alla consorteria malavitosa. SOMMARIO: 1. Le origini dellĠistituto - 2. I dati del Ministero dellĠInterno sul funzionamento della stazione appaltante - 2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante - 2.2 Modalitˆ di funzionamento - 2.3 Procedure gestite - 2.4 Dati quantitativi e contenzioso - 3. Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di committenza e stazione unica appaltante - 3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario - 3.2 La centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi - 3.3 Procedure attratte alla competenza della centrale unica di committenza - 3.4 Aspetti organizzativi - 4. Conclusioni: la situazione attuale e possibili sviluppi. 1. Le origini dellĠistituto. Nel corso della prima decade di questo secolo, si sono manifestate, sia a livello di normazione primaria sia nellĠesperienza pratica, i primi corposi segnali di unĠinnovativa tendenza nel campo dei modelli organizzativi di gestione degli appalti pubblici. In particolare, dopo decenni di proliferazione delle stazioni appaltanti pubbliche, connessa anche a processi di lungo periodo di decentramento amministrativo e di sviluppo delle autonomie locali, si andavano delineando esigenze di carattere diverso che confluivano nellĠarticolazione di nuovi modelli di gestione. La prima di tali esigenze era rappresentata dalla necessitˆ di semplificare i meccanismi procedurali e di stimolare risparmi di spesa (1). La seconda faceva riferimento alla ricerca di strumenti sempre pi affinati di prevenzione e contrasto della criminalitˆ organizzata. Sotto questĠultimo profilo (2), in quegli anni si era sviluppato un approfondito dibattito nellĠambito dei lavori delle commissioni parlamentari dĠinchiesta sul fenomeno delle mafie (3) che, partendo anche dalla constatazione del primo esperimento di accorpamento di stazioni appaltanti realizzatasi in Sicilia proprio in quel periodo (4), evidenziava la notevole importanza che si annetteva a quella misura organizzativa al fine di rendere trasparenza al delicato settore e, per quella via, rendere pi semplici i controlli e pi difficoltosi i tentativi di infiltrazione criminosa nel settore. LĠesigenza di carattere finanziario, invece, si affermava preliminarmente a livello di normazione europea. Infatti, prendendo spunto da diverse esperienze pratiche che si erano concretizzate in alcuni paesi, peraltro virtuose ai fini dello stimolo alla concorrenza (5), la Direttiva 18/2004/CE delineava per (1) NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la gestione obbligatoriamente associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it, n. 3/2012. (2) Si veda al riguardo, CARDELLICCHIO-GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. (3) Ibidem, p. 29. (4) Si tratta degli Uffici regionali per lĠesecuzione di gare dĠappalto, istituiti con legge regionale n. 10 del 12 gennaio 1993, che furono poi effettivamente costituiti in attuazione di unĠaltra legge regionale, la n. 7 del 20 agosto 2002. (5) Si veda, in proposito, ALESSANDRO GIARDETTI, Principali interventi normativi in materia di centrali di committenza, in Diritto.it e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. la prima volta la centrale di committenza, prevedendo, tuttavia, per gli Stati membri, la facoltˆ di consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di far ricorso a tali strutture (6). Tale previsione  stata poi ripresa dal Codice degli appalti (7), allĠart. 3, comma 34. La spinta delle due esigenze di fondo sopra delineate giunse ad un punto di caduta concreto nel 2007, con la costituzione di un nuovo modello di gestione associata degli appalti, dapprima limitato ai soli lavori pubblici, poi esteso lĠanno successivo anche a forniture e servizi, costituito dalla Stazione unica appaltante provinciale di Crotone (8). I risultati positivi conseguiti in tempi rapidi dalla nuova struttura, realizzata nellĠambito del ÒProgramma CalabriaÓ (un piano dĠazione ideato ed attuato in quegli anni dalla Conferenza regionale delle autoritˆ provinciali di pubblica sicurezza calabresi), indussero alla gemmazione di molteplici esperienze simili, dapprima in Calabria e poi su tutto il territorio nazionale, tanto che lĠistituto  stato poi previsto allĠart. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro la mafia), con le modalitˆ di attuazione delineate dal D.P.C.M. 30 giugno 2011 (9). A distanza di sette anni dalla nascita dellĠistituto,  ora opportuno approfondire una riflessione sullo stesso e ci˜ sia perchŽ sono disponibili dati statistici ufficiali del Ministero dellĠInterno (10), sia perchŽ le nuove norme stratificatesi negli ultimi anni in materia di spending review fanno riferimento anche allĠobbligo per alcuni enti di costituire centrali di committenza, sia perchŽ pare ormai irreversibile il processo di revisione dei livelli di governo con importanti ricadute sui sistemi organizzativi pubblici del territorio. 2. I dati del Ministero dellĠInterno sul funzionamento della stazione unica appaltante. 2.1 Le diverse tipologie di Stazione unica appaltante. La riflessione sullĠargomento si pu˜ fondare oggi su una base solida che  costituita da un monitoraggio avviato dal Ministero dellĠInterno a maggio 2012 e confluito in una sintesi finale di cui ha dato notizia, come sopra riferito, il quotidiano ÒItalia OggiÓ del 22 novembre 2012. La predetta rilevazione era finalizzata anche allĠattuazione dellĠart. 1, comma 4 del D.P.C.M. 30 giugno 2011, che ha dettato norme in materia di stazione unica (6) Art. 11 della Direttiva. (7) D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163. (8) Per una ricostruzione delle vicende che portarono alla costituzione della S.U.A. di Crotone, si veda CARDELLICCHIO-GALLO, op. cit. (9) SullĠinquadramento della Stazione unica appaltante nellĠambito delle nuove misure antimafia in materia di pubblici appalti, si veda ROSANNA DE NICTOLIS, La nuova disciplina antimafia in materia di pubblici appalti, in Urbanistica e Appalti, 2010, 10, 1129. (10) Divulgati su Italia Oggi del 22 novembre 2012, p. 32. appaltante, in attuzione dellĠart. 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136, secondo il quale ÒIl Governo, le regioni e le province autonome, in sede di Conferenza unificata, si scambiano annualmente, ai sensi dellĠarticolo 9, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dati ed informazioni relativi allĠattuazione del presente decreto, con riguardo ai rispettivi ambiti di competenzaÓ. I dati del Ministero dellĠInterno sono organizzati secondo quattro aree tematiche: numero delle stazioni uniche appaltanti costituite e principali elementi organizzativi, funzioni espletate, elementi quantitativi sulle attivitˆ svolte, contenzioso. In primo luogo, il lavoro di monitoraggio ha messo in luce che, alla data della sua stesura, erano state costituite 13 stazioni uniche appaltanti, che accorpavano 477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. Giˆ il rapporto del Ministero dellĠInterno dava atto che erano in corso di costituzione altre strutture simili (come quelle del Comune di Genova e della Regione Liguria) ed invero il numero di tali uffici  in costante crescita, come si riferirˆ con maggiore dettaglio al paragrafo 3. Le strutture costituite non fanno riferimento ad un unico impianto ma a quattro modelli fondamentali, evidentemente articolati in relazione alle diverse esigenze di contesto territoriale. LĠapproccio diversificato alle modalitˆ organizzative  peraltro lĠopzione prescelta nel DPCM 30 giugno 2011 che, nel- lĠattribuire alla SUA natura giuridica di centrale di committenza, prevede la possibilitˆ che la stessa operi in ambito regionale, provinciale ed interprovinciale, comunale ed intercomunale. Il primo modello, risalente allĠesperienza inziale della provincia di Crotone, si impernia sullĠincardinamento della struttura nellĠorganizzazione del- lĠamministrazione provinciale. In questo caso, la Stazione unica appaltante  costituita attraverso una convenzione ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 200, n. 267, e tende ad assorbire tutte le amministrazioni aggiudicatrici del territorio. In questo ambito,  particolare lĠesempio di Trento, per il particolare rilievo costituzionale di quellĠAmministrazione provinciale (11). Il secondo assetto organizzativo fa riferimento invece alla Regione (Stazione unica appaltante regionale). Operativa, alla data del segnalato rapporto del Ministero dellĠInterno, in due regioni,  istituita con legge regionale e si occupa tendenzialmente delle procedure di gara dei diversi uffici regionali e degli enti subregionali ed  finalizzata anche a realizzare economie di scala attraverso la centralizzazione degli acquisti. Il terzo esempio rilevato dal monitoraggio  quello che si fonda sullĠattivitˆ del Provveditorato alle opere pubbliche ed  regolato da un provvedimento (11) La struttura, prima denominata Agenzia dei servizi ora Agenzia provinciale per gli appalti ed i contratti,  stata costituita con Legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3. di tale ufficio. Nato per intervenire su casi specifici (12), si va delineando come una struttura a valenza generalizzata, sullĠesempio della S.U.A. incardinata nelle amministrazioni provinciali. Il quarto tipo, infine, si  sviluppato nellĠambito delle Unioni dei Comuni e delle Comunitˆ Montane ed  espressione dellĠesercizio associato di funzioni da parte degli enti locali. Un caso a parte, infine,  costituito dagli Uffici regionali per la gestione della gare dĠappalto (U.R.E.G.A.), istituiti in Sicilia, nella loro attuale configurazione, con Legge regionale n. n. 7 del 2 agosto 2002 ed oggi disciplinati dallĠart. 9 della legge regionale n. 12 del 12 luglio 2011. Di tale struttura, antesignana della Stazione unica appaltante, hanno lĠobbligo di avvalersi gli enti territoriali per appalti di lavori da affidare con procedure di asta pubblica, per importi superiori ad Euro 1.250.000. 2.2 Modalitˆ di funzionamento. Particolare interesse suscitano le modalitˆ di funzionamento concretamente realizzate. Quasi tutte le Stazioni uniche appaltanti utilizzano personale degli enti convenzionati. Solo in un caso si fa ricorso a forme pi flessibili di reclutamento delle risorse umane. Gli oneri di funzionamento, nei modelli a base provinciali, sono sostenuti attarverso la previsione di una percentuale del quadro economico dellĠintervento, destinata alla Stazione unica appaltante. Le strutture di livello regionale, invece, attingono direttamente al bilancio dellĠEnte di riferimento. Il nucleo fondamentale delle funzioni della S.U.A. si conferma essere lĠespletamento della procedura di gara, in linea con lĠart. 3 del D.P.C.M. 30 giugno 2011, partendo dalla predisposizione del bando di gara per giungere allĠaggiudicazione provvisoria. Peraltro, quasi tutte le stazioni uniche appaltanti svolgono funzioni ulteriori e, in particolare, procedono allĠacquisizione delle informazioni antimafia, in tal modo ribadendosi la finalizzazione del- lĠistituto anche alla prevenzione antimafia, alcune si occupano della valutazione del progetto, della predisposizione del contratto e di altre incombenze in fase esecutiva. Parte delle Stazioni uniche appaltanti svolgono, inoltre, funzioni di centralizzazione degli acquisti, richiamandosi, in tal modo la confluenza tra i due modelli della S.U.A. e della centrale di committenza. 2.3 Procedure gestite. Tutte le Stazioni uniche appaltanti, poi, si occupano di lavori, servizi e forniture (13), ad eccezione degli U.R.E.G.A. che si interessano solo della prima tipologia di contratti pubblici. (12) Il riferimento principale  costituito dallĠesperienza della Stazione unica appaltante di Napoli (si veda CARDELLICCHIO-GALLO, Stazione Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in Rass. Avv. Stato, Anno LXII - n. 3 luglio-settembre 2010). Di notevole interesse sono, ancora, i dati relativi al tipo di procedure gestite. Tutte le strutture rilevate dal Ministero dellĠInterno si occupano di procedure aperte ed un numero sempre crescente si occupa anche di procedure ristrette e negoziate, cottimi fiduciari, procedure dinamiche di acquisto, project financing e procedure in economia. Rilevante, in proposito,  il parere reso dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei Conti, in esito ad una richiesta formulata dal Sindaco del Comune di Savoia di Lucania (14). Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Sindaco esponeva che lĠEnte di appartenenza aveva aderito ad una Stazione unica appaltante costituita in forma associata. Al riguardo, il predetto chiedeva di conoscere se la procedura negoziata senza bando, di cui allĠart. 122, comma 7, D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, doveva ritenersi assegnata alla competenza della centrale di committenza o se lĠassenza del bando o di invito a presentare offerta doveva far ritenere che lĠincombenza fosse di pertinenza esclusiva del responsabile unico del procedimento. La richiamata Sezione di controllo della Corte dei Conti, previa analisi e differenziazione tra gli istituti della centrale di committenza e della stazione unica appaltante, ha dapprima rilevato che la questione proposta non attiene allĠambito di applicazione dellĠart. 33, comma 3 bis del D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, concernente lĠobbligatoria affidamento degli appalti a centrali di committenza per i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, su cui torneremo nel paragrafo successivo, ma  diretta a conoscere se in capo al- lĠente che abbia aderito ad una Stazione unica appaltante residui la possibilitˆ, in caso di contratti sotto soglia, di svolgere attivitˆ per lĠaffidamento del contratto senza rivolgersi alla S.U.A. In proposito, la Corte dei Conti ha evidenziato che le finalitˆ sottese alla norma istitutiva della S.U.A. (art. 13, L. 13 agosto 2010, n. 136) devono essere rinvenute, da un lato, nellĠesigenza di assicurare trasparenza, regolaritˆ ed economicitˆ della gestione dei contratti pubblici, dallĠaltro in quella di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali. In ragione di ci˜, malgrado alcune delle funzioni esplicitate nella disciplina regolamentare della S.U.A. facciano riferimento a procedure di gara, unĠinterpretazione sistematica ed orientata dalla ratio dellĠintervento legislativo portava a concludere che anche le procedure negoziate senza pubblicazione del bando devono essere ritenute attratte alla competenza dellĠUfficio unico. In relazione alla natura pattizia degli atti costitutivi della Stazione unica appaltante, rientranti nella tipologia oggetto di esame da parte del Giudice (13) Nelle diverse esperienze sono fissate soglie diversificate di valore per lĠattivazione della Stazione unica appaltante. (14) C. Conti Basilicata, Sez. contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. contabile, ovviamente, va fatta salva la possibilitˆ che le relative convenzioni possano regolare diversamente la questione. Le conseguenze di una tale interpretazione sono rilevanti non solo sotto il profilo organizzativo e gestionale ma anche per lĠaspetto pi specificamente giuridico. La giurisprudenza (15), infatti, ha stabilito che non si pu˜ dubitare dellĠattualitˆ e della cogenza dellĠobbligo, gravante sulle amministrazioni aggiudicatrici aderenti, di ricorre alla S.U.A. per la concreta gestione delle gare derivando, in caso contrario, lĠannullamento dellĠatto di aggiudicazione. 2.4 Dati quantitativi e contenzioso. Tornando ai dati sullĠattivitˆ della stazione unica appaltante, la rilevazione del Ministero dellĠInterno evidenzia che il totale delle gare espletate dal sistema, fino al 2011, erano 3.133, per un importo complessivo di 3.247 mld di euro. LĠanalisi per anno degli importi risultava in crescita tendenziale fino al 2011, anno nel quale, invece, si registrava una flessione. Il dato  comparabile al decremento complessivo degli importi dei lavori pubblici che, per quel- lĠanno, veniva quantificato nel 13,9% dallĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici (16). La comparazione tra aggiudicazioni provvisorie e gare introitate, tra il 2007 (81,6%) ed il 2011 (87%) segnala un andamento crescente dellĠefficacia dellĠazione della stazione unica appaltante. Specifico interesse  costituito anche dallĠandamento del contenzioso che si compendia nel censimento di 136 ricorsi avverso procedure gestite dal sistema delle stazioni uniche appaltanti. Il dato complessivo  pari al 5,6% delle gare trattate, superiore alla media nazionale del 4,3% (17). Tale elemento informativo necessita peraltro di due specificazioni. In primo luogo, nel novero dei ricorsi sono indicati anche i gravami aventi ad oggetto le informazioni antimafia ostative acquisite spesso, come abbiamo visto, proprio dalle stazioni uniche appaltanti ma che non possono essere ricondotte alla gestione della procedura di gara. Inoltre, il dato del contenzioso relativo alle S.U.A. costituite in ambito provinciale, il segmento pi innovativo e significativo,  pari al 2,8% del totale dei procedimenti trattati. Pertanto la mole del contenzioso, cos“ analizzata nel dettaglio, assume dimensioni inferiori alla metˆ del dato complessivo nazionale. (15) T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sez. I, 2 luglio 2010, n. 682. (16) A.V.C.P., Relazione al Parlamento per lĠanno 2011, in http://www.avcp.it/portal/public/classic/Comunicazione/Pubblicazioni/RelazioneParlamento/_relazioni?id=5158a0c 0a7780a500216b2fa52e504a. (17) Relativa a contratti di lavori conclusi nel periodo 2000-2009, in: LĠattuazione della legge obiettivo, 6Ħ Rapporto per lĠVIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, in collaborazione con lĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici, Camera dei Deputati, 5 settembre 2011, pp. 17 ss. 3 Obbligo di affidamento degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale di committenza e stazione unica appaltante. 3.1 La centrale di committenza nel diritto comunitario. Il concetto di centrale di committenza  originato, come detto in precedenza, nel sistema normativo europeo ed ha preso le mosse dalla constatazione di tecniche di centralizzazione della committenza sviluppatesi nei paesi membri (18). La Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 aveva cristallizzato lĠistituto tenendo conto delle esperienze suddette che consistevano nellĠindividuazione di un unico soggetto da incaricare, ad opera delle amministrazioni aggiudicatrici, allo scopo di procedere agli acquisti, di aggiudicare appalti o di stipulare accordi quadro. Nella definizione normativa, fissata dalla fonte europea e ripresa dal Codice dei contratti, dunque, per Òcentrale di committenzaÓ si intende unĠamministrazione aggiudicatrice che, per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici: 1. acquista forniture e/o servizi; 2. aggiudica appalti pubblici; 3. conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o ad altri enti aggiudicatori (19). Si tratta, in realtˆ, di un istituto a recepimento facoltativo da parte degli Stati membri e tale logica di non vincolativitˆ ha un duplice profilo: quello esterno, legato alla possibilitˆ di scelta da parte dello Stato membro circa lĠinclusione dellĠistituto nella legislazione nazionale, e quello interno, per il quale le amministrazioni aggiudicatrici devono essere destinatarie di una facoltˆ a far ricorso alla centrale di committenza (20). Il diritto interno, come detto, ha ripreso la definizione comunitaria nel Codice degli appalti, allĠart. 3, comma 34. LĠapplicazione pratica dellĠistituto in questione si  avuta, da una parte, con lĠesperienza della CONSIP (21) e tuttavia, sotto il profilo dellĠaccorpa (18) Per una ricostruzione della nozione, si veda C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. (19) ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit. (20) V. al riguardo NICOLA PIGNATELLI, La centrale di committenza unica dei piccoli comuni: la gestione obbligatoriamente associata delle gare ad evidenza pubblica, in Lexitalia.it. (21) C.O.N.S.I.P., la cui ragione sociale originariamente era C.O.N.S.I.P. 'Concessionaria Servizi Informativi Pubblici', nasce nel 1997 come strumento di cambiamento della gestione delle tecnologie dell'informazione nell'allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica. Con il Decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 414 sono state affidate alla C.O.N.S.I.P. le attivitˆ informatiche dell'Amministrazione Statale in materia finanziaria e contabile. Nel 2000, viene affidata a C.O.N.S.I.P. anche l'attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A. Infatti, attuando la Legge finanziaria per il 2000, con il Decreto ministeriale del 24 febbraio 2000 il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha individuato nella C.O.N.S.I.P. la struttura di servizio per gli acquisti di beni e servizi per le P.A. (www.consip.it). mento delle amministrazioni aggiudicatrici sul territorio, la pi rilevante espressione concreta  stata la Stazione unica appaltante. 3.2 La centrale di committenza ed i piccoli comuni. Profili soggettivi. Nello sforzo di porre rimedio alle gravissime difficoltˆ della finanza pubblica, anche attraverso un processo di revisione e qualificazione della spesa pubblica, negli ultimi anni il concetto di centrale unica di committenza ha preso un nuovo vigore, a partire dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (22) . Tale norma prevede che i comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti non possano pi bandire gare e debbano necessariamente avvalersi di una centrale di committenza unica per lĠacquisizione di lavori, servizi e forniture. Dal punto di vista soggettivo, la norma fa riferimento ai comuni della classe dimensionale sopraindicati (23) che si trovano nella medesima provincia. Sotto il profilo oggettivo, lĠattribuzione obbligatoria alla centrale di committenza riguarda lavori, servizi e forniture ed il soggetto destinatario della competenza pu˜ essere: 1. unĠUnione dei comuni giˆ esistente; 2. un apposito Consorzio tra comuni. A proposito di tale ultima possibilitˆ, connessa alla stipula di un accordo consortile, la dottrina ha rilevato il contrasto sistematico con la precedente scelta legislativa di soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, imposta agli stessi dallĠart. 2, comma 186, lett. a), L. 23 dicembre 2009, n. 191 (24). In tal senso, preferendo unĠinterpretazione maggiormente aderente alla ratio della norma, tesa a garantire risparmi di spesa e non ad istituire nuovi enti, e valorizzando il termine ÒaccordiÓ nellĠespressione Òaccordi consortiliÓ, la predetta dottrina si  orientata nel senso di ritenere praticabile, in ossequio alla disciplina in esame, la stipula di convenzioni ex art. 30, D. L.vo 18 agosto 2000, n. 267 per lĠistituzione della centrale unica di committenza. 3.3 Procedure attratte alla competenza della centrale unica di committenza. UnĠultima questione si pone con riguardo alla delimitazione delle procedure di selezione del contraente che debbono ritenersi ricomprese nellĠambito di operativitˆ della centrale di committenza. (22) Convertito con L. 22 dicembre 2011, n. 214 (V. ALESSANDRO GIARDETTI, op. cit.). Per unĠanalisi della norma, si veda anche MARCO LIBANORA, Le nuove centrali di committenza dei comuni, in Azienditalia, 2012, 5, 373. (23) Per le problematiche specifiche dei ÒpiccolissimiÓ comuni, con popolazione sino a 10.000 abitanti, si veda la disamina in NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (24) V. NICOLA PIGNATELLI, op. cit., e PASQUALE MONEA, Stazione unica appaltante in Unione o convenzione, in http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-03-11/stazione-unica-appalti-unione064455. shtml?uuid=AbhaMqcH Secondo un primo orientamento (25), per risolvere la questione occorre valorizzare due elementi. Il primo  costituito dallĠelemento testuale del richiamo alle Ògare bandite successivamente al 31 marzo 2012Ó, previsto dal- lĠart. 23, comma 5, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, come termine per lĠoperativitˆ del nuovo sistema. Il riferimento alle gare bandite, secondo tale opzione, consente di poter ritenere incluse tutte le procedure di gara il cui importo sia superiore od inferiore alla soglia comunitaria. In questo senso, militerebbe anche la relazione tecnica al provvedimento legislativo che si commenta, secondo il quale la finalitˆ della disciplina  quella di superare il sistema di frammentazione degli appalti pubblici e ridurre i costi di gestione delle procedure ad evidenza pubblica. Un maggiore approfondimento viene dedicato alle acquisizioni in economia di beni, servizi e lavori. In proposito, viene rammentata la tradizionale ripartizione tra amministrazione diretta, in cui le acquisizioni sono effettuate con materiale e mezzi propri e con personale proprio dellĠamministrazione, ed il cottimo fiduciario, una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, paritˆ di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (26). Secondo lĠopzione interpretativa in esame (27), la ratio della normativa induce a ritenere che il cottimo fiduciario debba essere ricompreso nellĠambito della gestione associata obbligatoria (28). Gli elementi interpretativi suddetti, invece, indurrebbero ad escludere lĠinclusione di affidamenti diretti e delle acquisizioni in amministrazione diretta. Argomenti per una diversa soluzione della questione si possono individuare nel citato parere reso dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei Conti (29) al Comune di Savoia. In quellĠatto, la Corte dei Conti ha espresso lĠavviso, come detto, che le finalitˆ di trasparenza, regolaritˆ ed economicitˆ, di prevenzione delle infiltrazioni criminose sottese allĠistituto della stazione unica appaltante siano tali da superare il riferimento testuale alle Òprocedure di garaÓ contenuto nella relativa disciplina regolamentare (30). (25) Si veda, NICOLA PIGNATELLI, op. cit., C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, Delib. 4 luglio 2012, n. 271, C. Conti Sez. Contr. Lombardia, Delib. 24 aprile 2013, n. 165. (26) Sul punto, v. C. Conti, Sez. Contr. Piemonte, cit. (27) Ibidem e NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (28) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (29) C. Conti Basilicata, Sez. Contr., Delib. 1 luglio 2013, n. 68. (30) D.P.C.M. 30 giugno 2011. Nel senso dellĠallargamento dellĠambito di operativitˆ delle centrali di committenza, si veda STEFANO USAI, LĠobbligo per i piccoli comuni di espletare la propria attivitˆ contrattuale attraverso la stazione unica appaltante secondo la Corte dei Conti, in http://www.oggipa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=143:l-obbligo-per-i-piccoli-comuni-diespletare- la-propria-attivita-contrattuale-attraverso-la-stazione-unica-appaltante-secondo-la-corte-deiconti& catid=112&Itemid=574. 3.4 Aspetti organizzativi. Si pu˜ ora passare allĠaspetto organizzativo collegato allĠattuazione delle norme in questione che, come si  visto, originariamente dovevano essere applicate alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012. Il termine  stato poi prorogato di dodici mesi dal D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con L. 24 febbraio 2012, n. 14, art. 29 e poi al 31 dicembre 2013, con D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito con L. 24 giugno 2013, n. 71. Il D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (c.d. ÒMilleproroghe"), nel testo di conversione appena approvato definitivamente in Parlamento, prevede un ulteriore slittamento al 30 giugno 2014. é indubbio che le attivitˆ di tipo regolamentare e pratico che dovranno essere messe in campo per lĠattivazione della norma non potranno non considerare che lĠunico esempio diffuso sul territorio di concentrazione della committenza per lavori, servizi e forniture  la Stazione unica appaltante (31). La disciplina dellĠistituto, lĠart. 13 della L. 13 agosto 2010, n. 136, il regolamento attuativo ed ancora di pi la prassi applicativa su cui sono stati dati ampi cenni nei paragrafi precedenti, costituiscono un Òparadigma funzionaleÓ (32) molto rilevante per lĠoperazione in questione. Tale parametro, anzitutto,  significativo per la delimitazione delle attivitˆ tra amministrazione aggiudicatrice e centrale di committenza. In proposito, lĠart. 4 del D.P.C.M. 30 giugno 2011 prevede che la S.U.A. si occupi delle seguenti attivitˆ: a) collabora con lĠente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati; b) concorda con lĠente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente; c) collabora nella redazione dei capitolati di cui allĠarticolo 5, comma 7, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; d) collabora nella redazione del capitolato speciale; e) definisce, in collaborazione con lĠente aderente, il criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi; f) definisce, in caso di criterio dellĠofferta economicamente pi vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni; g) redige gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di gara e la lettera di invito; h) cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicitˆ e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del pos (31) NICOLA PIGNATELLI, op. cit. (32) Ibidem. sesso dei requisiti di ordine generale e di capacitˆ economico-finanziaria e tecnico-organizzativa; i) nomina la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione con il criterio dellĠofferta economicamente pi vantaggiosa; l) cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio; m) collabora con lĠente aderente ai fini della stipulazione del contratto. Inoltre, proprio la prassi applicativa delle stazioni uniche appaltanti giˆ operative consente di individuare oculate soluzioni al problema del reperimento e del sostenimento dei costi di funzionamento della centrale di committenza. Se quindi la Stazione unica appaltante  un fondamentale paradigma per le centrali di committenza da costituire, a maggior ragione deve ritenersi che quelle giˆ esistenti soddisfino i requisiti di legge. In proposito, tenuto conto che un numero rilevante di stazioni uniche appaltanti  stato costituito con convenzioni ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, deve ritenersi da privilegiare lĠopinione ermeneutica per la quale il termine Òaccordi consortiliÓ riportato dallĠart. 33, comma 3 bis del Codice degli appalti, quale strumento per lĠattribuzione obbligatoria alle centrali uniche di committenza, debba intendersi riferito proprio alla predetta tipologia di patti tra enti locali. Qualora dovesse prevalere una diversa opzione interpretativa, sarebbe necessaria una modifica della norma suddetta per inserire la convenzione ex art. 30 del Testo unico degli enti locali tra i mezzi utilizzabili per lĠattuazione dellĠobbligo di accorpamento della funzione. 4 Conclusioni. La situazione attuale e i possibili sviluppi. Giˆ i dati rilevati dal Ministero dellĠInterno e riportati dalla stampa specializzata consentono di affermare che il sistema delle stazioni uniche appaltanti  saldamente inserito nel panorama amministrativo italiano, configurandosi come la pi importante novitˆ, insieme allĠistituzione della C.O.N.S.I.P., rispetto ai modelli organizzativi per la gestione degli appalti nel nostro Paese. Gli elementi quantitativi censiti, relativi alla situazione antecedente al 2012, riferiscono di 13 stazioni uniche appaltanti funzionanti, che hanno consentito di accorpare 477 amministrazioni aggiudicatrici, tra cui 205 comuni. Le sottolineature critiche sullĠistituto, sia dal punto di vista teorico che pratico (33), appaiono, dopo due anni dalla predetta rilevazione, non confortate dalla incessante evoluzione del sistema in cui, evidentemente, i caratteri di fondo ed i positivi risultati hanno avuto un ruolo cruciale. (33) In proposito, si veda ANDREA MASCOLINI, Gare, flop stazioni uniche, in Italia Oggi del 22 novembre 2012, e GABRIELLA MARGHERITA RACCA, Ius publicum - Report on italian public contracts (first part), in Urbanistica e Appalti, 2012, 8. UnĠanalisi speditiva compiuta attraverso fonti internet in raffronto ai dati rilevati dal Ministero dellĠInterno (34), permette di individuare giˆ oggi almeno undici ulteriori stazioni uniche appaltanti di diverso genere. La situazione  destinata ad evolvere ulteriormente in tempi rapidi, nel senso di una notevole estensione del modello anche in relazione allĠattuazione dellĠobbligo di attribuzione degli appalti dei piccoli comuni ad una centrale unica di committenza che, come notato in precedenza, scatterˆ con riferimento alle gare bandite a decorrere dal 30 giugno prossimo. Al riguardo, si deve notare che tale riforma riguarderˆ ben 5.868 comuni, per un territorio pari al 50% di quello nazionale ed una popolazione corrispondente al 40% del totale (35). A tale ultimo proposito, ferma restando la libera determinazione dei comuni interessati nel fissare le modalitˆ per lĠattuazione dellĠobbligo menzionato, i commentatori sono unanimi nellĠindividuare la S.U.A. come paradigma imprescindibile, anche in considerazione della circostanza che la Stazione unica appaltante  lĠunica espressione diffusa di concentrazione degli appalti a livello territoriale (36). Quanto alla questione pi generale relativa allĠopportunitˆ di prevedere che tutte le amministrazioni aggiudicatrici sul territorio debbano aderire ad una stazione unica appaltante, si ritiene che tale opzione non sia la pi efficace. In primo luogo, sembrano militare per lĠopzione negativa considerazioni di legittimitˆ costituzionale in quanto una generale obbligatorietˆ di adesione ad una Stazione unica appaltante potrebbe essere giudicata in contrasto con lĠautonomia, in particolare per gli enti locali, stabilita in Costituzione. Inoltre, la disamina di altre modalitˆ di accorpamento delle funzioni in materia di lavori pubblici (37) ha dimostrato come sia necessaria la condivisione degli enti aderenti per raggiungere lĠobiettivo dellĠeffettiva funzionalitˆ della struttura. Una pi ampia e decisiva diffusione del modello della Stazione unica appaltante potrˆ quindi determinarsi a seguito dellĠattuazione dellĠobbligo di accorpamento delle funzioni di appalto previsto per i piccoli comuni. In relazione a ci˜, come pure notato in precedenza,  indispensabile sciogliere il nodo degli strumenti utilizzabili per il conferimento delle funzioni allo scopo di evitare che stazioni uniche appaltanti costituite con lo strumento convenzionale e giˆ (34) Si cita, a titolo di esempio, la Stazione unica appaltante di Foggia, istituita nel 2013 e lĠelenco di centrali di committenza regionali censite sul sito www.acquistinretepa.it. (35) Dati dellĠAssociazione Nazionale Piccoli Comuni dĠItalia in http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissi one/files/000/000/752/ANPCI.pdf. (36) NICOLA PIGNATELLI, op. cit.; FABIO CACCO, La stazione unica appaltante, in I contratti dello Stato e degli Enti pubblici, Anno XX, n. 2, p. 32; PASQUALE MONEA, op. cit. (37) Si veda, in proposito, per unĠanalisi dellĠesperienza degli U.R.E.G.A., CARDELLICCHIOGALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. funzionanti da anni, siano ritenute non utili per lĠadempimento dellĠobbligo in questione, in spregio alla ratio dellĠintervento legislativo teso alla razionalizzazione della spesa e del sistema amministrativo. In proposito potrebbe soccorrere unĠinterpretazione convergente dellĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici e delle Amministrazioni centrali competenti in materia, eventualmente supportate da parere del Consiglio di Stato. Qualora tale ipotesi dovesse ritenersi non percorribile, sarebbe necessario un intervento ortopedico sulla norma sopraindicata allo scopo di aggiungere la convenzione ex art. 30, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 tra gli strumenti utilizzabili per la costituzione della centrale di committenza. Sarebbe opportuno prevedere, sempre in chiave di evoluzione del sistema, lĠobbligo di adesione alla S.U.A., e non la facoltˆ, come oggi previsto dallĠart. 101 del D.L.vo 6 settembre 2011 n. 159, per gli enti locali i cui organi siano stati sciolti ai sensi dellĠart. 143 del Testo unico degli enti locali (vale a dire per infiltrazioni o condizionamenti della criminalitˆ organizzata) e per le amministrazioni subentrate alle commissioni straordinarie insediate ai sensi della norma predetta. Ancora, sarebbe utile prevedere che la Stazione unica appaltante costituisca uno strumento indispensabile, in abbinamento alle sezioni specializzate del Comitato di coordinamento per lĠalta sorveglianza sulle grandi opere ed ai correlati gruppi interforze, per prevenire infiltrazioni criminali negli interventi legati a grandi opere ed a tipologie assimilabili (ad esempio ricostruzioni post-sisma) nel caso in cui siano competenti diverse amministrazioni aggiudicatrici. In proposito,  utile rilevare lĠesempio dellĠExpo 2015, un evento come noto di importanza mondiale, per il quale sono stanziati cospicui finanziamenti pubblici ed in ordine al quale vi  la massima attenzione diretta ad evitare infiltrazioni criminose (38). Parimenti, con D.P.C.M. 22 ottobre 2008,  stata istituita la Societˆ di gestione ÒExpo 2015 S.p.A.Ó cui sono state affidate, tra lĠaltro, tutte le attivitˆ da eseguire per lo svolgimento dellĠevento tra cui opere di programmazione e costruzione del sito, opere infrastrutturali di connessione al sito stesso, opere riguardanti la ricettivitˆ, opere di natura tecnologica nonchŽ attivitˆ di organizzazione e gestione dellĠevento. In altri termini, lavori, forniture e servizi, ordinariamente di competenza di diverse amministrazioni aggiudicatrici, sono stati affidati ad una struttura del tutto assimilabile, in questo, ad una stazione unica appaltante (39). Da ultimo si pone il problema della collocazione della Stazione unica appaltante, in specie di quel particolare genere che ha finora fatto riferimento (38) Per unĠanalisi degli strumenti di prevenzione attivati, si veda CARDELLICCHIO -GALLO, Stazione Unica Appaltante: tenuta di un impianto e nuovi contesti, in Rass. Avv. Stato, anno LXII, n. 3, luglio- settembre 2010. (39) Si veda, in ordine al dibattito precedente allĠadozione della scelta organizzativa in questione, una dichiarazione dellĠallora Ministro della Giustizia sullĠargomento in http://napoli.repubblica.it/dettaglio-news/laquila-09:09/3681740. alle amministrazioni provinciali, in un quadro ordinamentale in grande movimento proprio per ci˜ che riguarda lĠarticolazione dei livelli di governo. Il disegno di legge costituzionale n. 1543, attualmente pendente presso la Camera dei Deputati, prevede, come noto, la soppressione delle province. Ci˜ pone, tra lĠaltro, il problema dellĠassegnazione delle relative funzioni tra cui rileva, in particolare, il coordinamento dellĠarea vasta. Si tratta di temi di grande rilevanza per i quali il disegno di legge costituzionale rinvia ad una legge dello Stato ed ad unĠattivitˆ successiva di Stato e Regioni. Tale questione, nel sistema attuale, potrebbe trovare una soluzione individuando la Conferenza provinciale permanente, istituita presso le Prefetture e disciplinata dal D. L.vo 21 gennaio 2004, n. 29 e dal D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180, come luogo ordinario di coordinamento dellĠarea vasta. Il predetto organismo, infatti,  costituito dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato che svolgono la loro attivitˆ nella provincia nonchŽ da rappresentanti degli enti locali ed disegnata dalla legislazione vigente come luogo imparziale di coordinamento e di leale collaborazione tra diversi livelli di governo. Proprio quella struttura, nellĠambito della quale, peraltro, sono state definite le negoziazioni per lĠistituzione delle prime stazioni uniche appaltanti, potrebbe essere individuata allo scopo di coordinare le attivitˆ necessarie per la costituzione delle nuove centrali di committenza. In quellĠambito, quindi, dovrebbero essere definiti gli accordi convenzionali per la costituzione di uffici unici (40) che dovrebbero fare riferimento funzionale ad uno specifico ÒNucleo operativo per i contratti pubblici, da costituire con composizione mista nel seno della stessa Conferenza. A titolo di esempio, possono essere richiamate le esperienze pregresse registrate in alcune province italiane in cui  stata attivata la Stazione unica appaltante (41). Un tale disegno della Stazione unica appaltante, che dovrebbe quindi essere costituita attraverso una convenzione ex art. 30 del Testo unico degli enti locali, negoziato in Conferenza provinciale permanente, costituita in Ufficio unico in raccordo funzionale con il predetto ÒNucleoÓ, servirebbe anche a soddisfare una diffusa esigenza di collocazione della struttura in posizione di autonomia rispetto a tutte le amministrazioni aggiudicatrici aderenti. é stato scritto, infatti (42), che poichŽ la S.U.A. nasce nellĠambito della legislazione antimafia, primariamente con la finalitˆ di rafforzare lĠeconomia legale e di (40) Possibilitˆ questĠultima espressamente prevista dallĠart. 30, comma 4. (41) Si veda, in proposito, lĠattivitˆ posta in essere presso la Prefettura di Crotone, in CARDELLICCHIO -GALLO, La stazione unica appaltante provinciale di Crotone: genesi e prospettive evolutive, in Rass. Avv. Stato, anno LIX, n. 1, gennaio-marzo 2007. Per lĠanaloga strutturazione presso la Prefettura di Caserta, si veda la segnalazione in Stazione unica: nuove adesioni, in Lexautonomie del 17 ottobre 2009. (42) FABIO CACCO, op. cit. innalzare il livello di prevenzione delle infiltrazioni criminali, essa dovrebbe avere una netta autonomia rispetto agli enti per conto dei quali deve operare. Al predetto ÒNucleoÓ, in una logica complessiva di sistema, dovrebbero quindi essere affidate le seguenti competenze: 1. Monitoraggio delle gare e del rispetto di vincoli derivanti dallĠadesione alla S.U.A.; 2. Recepimento di tutte le determinazioni e le delibere in materia di contratti pubblici (dalla fase della programmazione fino allĠaggiudicazione definitiva e con riguardo anche allĠapprovazione di varianti) da parte delle amministrazioni aggiudicatrici che dovrebbero essere destinatarie di un obbligo in tal senso; 3. Possibilitˆ di inoltrare raccomandazioni agli enti locali, anche con il previo raccordo con lĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici, al fine di garantire la trasparenza e la legittimitˆ delle procedure gestite in ambito contrattuale; 4. Possibilitˆ di segnalare al Prefetto ed alla Procura regionale della Corte dei Conti eventuali elementi informativi ritenuti rilevanti ai fini dellĠesercizio delle rispettive attribuzioni. Un tale sistema di gestione e controllo, ovviamente qui solo abbozzato e da meglio tarare con i soggetti pubblici competenti in materia, potrebbe dare un assetto stabile e razionale alle centrali di committenza, riconducendo ad unitˆ lĠesercizio sul territorio delle funzioni in materia di contratti pubblici. Il trasporto aereo tra Stato e Regioni Pierluigi Di Palma* Il riparto di competenze tra Stato e Regioni , da anni, al centro di un acceso dibattito e di forti contrasti che hanno portato a numerosi conflitti di competenze innanzi la Corte Costituzionale successivamente alla modifica del Titolo V della Costituzione ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Come noto, la richiamata legge costituzionale ha profondamente modificato il Titolo V della parte seconda della Costituzione (Regioni, Province e Comuni) e, con specifico riferimento alla potestˆ legislativa, la novella ha introdotto un nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni, riconoscendo allo Stato, non pi una generale potestˆ normativa, ma un potere legislativo esercitabile in materie tassativamente elencate. In tutte le altre materie, la riforma del Titolo V ha aperto lo spazio dĠintervento al legislatore regionale, in concorrenza con il legislatore nazionale o in via esclusiva. Per quanto attiene, in particolare, la materia porti e aeroporti, essa  stata collocata, nellĠambito dellĠart. 117, tra le materie di legislazione concorrente, concretamente delineando una necessaria cooperazione tra Stato e Regioni, rectius Òleale collaborazioneÓ, come enunciato dalla Corte Costituzionale. é indubbio che tale elemento di novitˆ, nella fase di avvio, ha dato qualche buon risultato fungendo da ÒpungoloÓ per la conservatrice burocrazia ministeriale di cultura centralista e avversa al principio del libero mercato di derivazione comunitaria, per poi tornare ad ÒarenarsiÓ, nel corso degli ultimi anni, in questo come in altri settori, al punto che il tema della ÒcontroriformaÓ del Titolo V  oggi pi che mai di attualitˆ, per interrompere una copiosa legislazione regionale che, abbandonata la iniziale fase riformatrice, ha rotto gli argini assumendo le caratteristiche di uno strumento di spesa senza controllo alcuno. Insomma, dopo oltre dodici anni dallĠadozione della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3  dunque il momento di tirare le somme e valutare se il nuovo impianto normativo abbia contribuito ad un miglior governo del settore del trasporto aereo. Non pu˜ non tenersi conto, poi, con specifico riferimento a detto settore, che con i decreti legislativi nn. 96/2005 e 151/2006 anche il codice della navigazione  stato oggetto di una importante opera di revisione che ha condotto, fra lĠaltro, alla integrale modifica dellĠart. 698. Detta norma, oggi, prevede una distinzione tra gli aeroporti e i sistemi aeroportuali di interesse nazionale, quali nodi essenziali per l'esercizio delle com (*) Avvocato dello Stato, Presidente del Centro Studi Demetra -Development of European Mediterranean Transportation. petenze esclusive dello Stato, e quelli di interesse regionale, da individuarsi (i primi) con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e sentita l'Agenzia del demanio. La richiamata distinzione, tra aeroporti di interesse nazionale e interesse regionale, peraltro, ha trovato, negli stessi anni, riconoscimento anche a livello comunitario, dapprima nella Comunicazione (2005/c 312/01) e, poi, nella Direttiva 2009/12/CE che individua gli aeroporti con un traffico di passeggeri superiore ai cinque milioni di passeggeri quale elemento dirimente per la diversa qualificazione giuridica. Tale distinzione, come vedremo, ha dunque una rilevanza importante, forse troppo spesso sottovalutata dal Legislatore nazionale che continua a utilizzare strumenti per recepire la normativa comunitaria per ÒfrenareÓ le novitˆ che sono introdotte a livello continentale piuttosto che per accelerarle. Fatta questa breve premessa, al fine di trarre qualche utile spunto di riflessione sullĠattuale riparto di competenze fra Stato e Regioni nel settore del trasporto aereo, appare utile prendere le mosse dallĠesame di alcuni casi concreti. Nel 2003 si  avviato un acceso confronto tra Regione Puglia e Governo, sul riparto di competenze in materia di affidamento delle gestioni aeroportuali, teso a scardinare il sistema burocratico-interdittivo che, sino ad allora, aveva determinato forti ritardi nel processo di privatizzazione e liberalizzazione del sistema aeroportuale, da correlarsi alle resistenze nellĠattuare i principi del libero mercato in un settore da decenni ancorato a logiche monopoliste ed assistenziali a tutela degli interessi esclusivi del vettore di bandiera. Ed invero, non avendo, allĠepoca, lĠAutoritˆ statale nel suo complesso ancora provveduto, ai sensi del decreto ministeriale n. 521/1997 disciplinante l'affidamento delle concessioni delle gestioni totali aeroportuali a societˆ di capitale appositamente costituite, al rilascio delle suddette concessioni in riscontro alle istanze presentate, sin dal 1999, da diverse societˆ aeroportuali titolari di gestione parziale o precaria, la Regione Puglia ha deciso di agire esercitando la propria competenza legislativa. NellĠinerzia dellĠAutoritˆ statale, invocando la competenza legislativa concorrente nella materia Òporti ed aeroportiÓ riconosciuta alle Regioni dal novellato art. 117 della Costituzione, la Regione Puglia, dunque, ha adottato il Disegno di Legge n. 1 del 22 gennaio 2003 per lĠaffidamento alla propria societˆ, la S.E.A.P. S.p.A., la gestione totale del sistema aeroportuale pugliese. Si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge: Òla riformulazione dellĠarticolo 117 della Costituzione reca, tra le materie in regime di legislazione concorrente, anche Òporti e aeroportiÓ civili; materia che, pertanto, deve ritenersi certamente rientrante nellĠambito delle discipline attribuite alla competenza legislativa regionale, la quale deve essere, come sopra ricor dato, esercitata nel rispetto dei principi definiti dal legislatore statale. Nella richiamata prospettiva, la regione Puglia ben pu˜ avviare una iniziativa diretta ad affidare, attraverso uno specifico atto normativo, in coerenza con i principi fondamentali stabiliti dallo Stato, la gestione totale degli aeroporti che insistono sul proprio territorio, ferme restando le attribuzioni dellĠENAC quale soggetto regolatore del sistema per quanto attiene a tutti gli aspetti tecnici. [É]  ormai pacificamente riconosciuta da un consolidato e risalente indirizzo interpretativo del Giudice delle leggi la possibilitˆ di tutte le Regioni di legiferare, traendo esse stesse, in via deduttiva e per successive astrazioni dal complesso delle leggi vigenti, i principi fondamentali che incidono su ciascuna materia di legislazione concorrente (da ultimo, Corte Costituzionale 26 giugno 2002, n. 282)Ó. Ebbene, il suddetto disegno di legge regionale della Puglia non  stato poi perfezionato, ma la forte funzione sollecitatoria, derivante dalla pubblicazione dellĠiniziativa legislativa regionale,  fuor di dubbio, che abbia indotto il Ministero dei trasporti ad adottare, pur di mantenere a sŽ intestata una surrettizia competenza, piuttosto che lasciare spazio alla legislazione regionale concorrente, il decreto ministeriale del 6 marzo 2003 con cui  stato approvato lĠaffidamento della gestione totale quarantennale del Sistema aeroportuale pugliese alla S.E.A.P. S.p.A., probabilmente per scongiurare un conflitto costituzionale che avrebbe potuto rivelarsi uno ÒscomodoÓ precedente per il Governo. LĠiniziativa regionale, dunque, determina un positivo confronto istituzionale e rappresenta una prima occasione, come propugnato dal Ministro dei trasporti Pierluigi Bersani, per riflettere sullĠimportanza di trasferire in favore di societˆ partecipate per lo pi da enti locali e territoriali, senza drenare risorse per le finanze pubbliche statali, un rilevante patrimonio, essenziale allo sviluppo economico sociale dei bacini di traffico circostanti gli scali aeroportuali. A tale vicenda  dedicato un libro, dal titolo ÒIl trasporto aereo nellĠEuropa delle Regioni: valorizzazione del sistema aeroportuale italiano. La Puglia: un esempio che fa discutereÓ, primo volume della Collana ÒI quaderni dellĠAviazione CivileÓ, curata dal Centro Studi Demetra, in cui si documenta il complesso percorso burocratico amministrativo che ha portato il Governo a dover riconoscere alla SEAP, solo alla vigilia dellĠapprovazione della citata legge regionale, la concessione quarantennale degli scali di Bari Palese, Brindisi Papola Casale, Taranto Grottaglie, Foggia Gino Lisa. La necessitˆ di superare la vecchia cultura colbertista, basata su un pervasivo intervento da parte dello Stato nellĠeconomia, in favore delle nuove societˆ di capitali, affidatarie della gestione aeroportuale totale, che garantiscono uno stretto collegamento con le diverse realtˆ territoriali,  ben rappresentata nella quarta di copertina del libro sul caso Puglia, dal Presidente dellĠENAC Vito Riggio che scrive: ÒLe autonomie territoriali rappresentano da sempre il naturale punto di forza dello sviluppo economico ed industriale di ogni nazione progredita, che non pu˜ prescindere da una seria programmazione per quel che concerne il rapporto tra infrastrutture e territorio. In questo contesto, assume una valenza strategica il trasporto aereo che pu˜ assumere un ruolo fondamentale nello sviluppo, in particolare, di regioni geograficamente ed economicamente svantaggiate; la valorizzazione del sistema aeroportuale nazionale, collocato nellĠambito di un quadro pi generale costituito dalla crescente domanda di servizi aerei per lĠeffettuazione di collegamenti tra scali europei di dimensione regionale, deve necessariamente essere perseguito, non solo al fine di garantire un ordinato sviluppo delle infrastrutture, ma anche come modello stabile di riferimento per esperienze analoghe. Per raggiungere questo obiettivo non si pu˜ prescindere da una valida riforma del settore che si fondi e promuova una efficace politica della concorrenza. Naturalmente, realizzare un vero sistema concorrenziale in un settore di tipo colbertista, cio nel quale la presenza della pubblica autoritˆ  stata lĠunica condizione per potersi dotare di un apparato efficiente nel trasporto aereo, comporta tuttora una serie di responsabilitˆ aggiuntive che vanno dalla riqualificazione degli apparati amministrativi ad un potenziamento dellĠefficienza della dimensione dei vettori. Solo a queste condizioni sarˆ possibile intervenire efficacemente per il rilancio strutturale di regioni che da tempo, non solo nel nostro Paese, ma anche nellĠambito comunitario, giustamente pretendono di ottenere anchĠesse un percorso coerente di sviluppo socio-economico. Abbiamo bisogno non di altri aeroporti, ma di aeroporti nuovi nella concezione e nella gestione che costituiscano una vera garanzia per lo sviluppo e per la tutela del diritto alla mobilitˆÓ. Ed ancora, Raffaele Fitto, allĠepoca Governatore della Puglia, nella prefazione del libro sottolinea la necessitˆ di riflettere sulla distanza che separa le decisioni politiche dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli, evidenziando lĠopportunitˆ di superare le inefficienze della pubblica amministrazione, a cominciare dalla semplificazione delle procedure eccessivamente ÒbizantineÓ. Scrive il Governatore della Puglia: ÒLĠEuropa costituisce una formidabile opportunitˆ di sviluppo per quelle Regioni che abbiano vocazione e stimoli alla crescita, che sappiano svecchiarsi per innovare, progettare e consumare in un attento confronto con le regole del mercato. AllĠinterno del processo di integrazione europea, la riforma della Pubblica Amministrazione  senzĠaltro uno dei cambiamenti maggiormente attesi dai cittadini, proprio per le importanti ricadute positive che, cos“, si verrebbero a determinare sul sistema produttivo. Le aspettative - che sottendono esigenze reali e sempre meno eludibili - si polarizzano verso uno snellimento dei processi decisionali, tali da garantirne lĠattuazione in tempi compatibili con le attese dei cittadini e degli operatori interessati. Il nostro Paese ha conosciuto, salvo eccezioni, una burocrazia spesso vissuta dai cittadini come una presenza ingombrante, avviluppata in procedure inutilmente complesse e bizantine. Cittadini e operatori hanno vissuto sulla propria pelle con infastidita rassegnazione gli oneri e le inefficienze nelle quali spesso si  tradotta ÒlĠazione amministrativaÓ: ostacolo insormontabile per molti, insolitamente docile con altri. Porre questi problemi, (É) vuol dire interrogarsi sulle ragioni del declino del nostro Paese e, con pazienza da enigmisti, rintracciare - se non lecause - almeno alcune prudenti piste di riflessione. é evidente che uno dei motivi delle difficoltˆ che lĠItalia conosce sia riconducibile alla complessitˆ delle procedure applicative della legislazione nazionale o comunitaria. La leva della Pubblica Amministrazione si trova cos“ sprovvista di un fulcro, in grado di integrare in un quadro coerente decisioni politiche e politica di sviluppo economicoÓ. (É) ÒLo scopo dellĠautore - senzĠaltro ambizioso -  di porsi al servizio dellĠopinione pubblica segnalando le difficoltˆ che incontra un settore strategico per lĠeconomia nazionale come quello del trasporto aereo. Si tratta di iniziare a misurare la distanza che separa le decisioni politiche dalla loro concreta e completa applicazione in tempi ragionevoli. Tempi utili a permettere ai soggetti interessati di regolare le loro condotte sulle decisioni prese e di formulare le necessarie previsioni, con la sicurezza di un progetto politico che venga effettivamente attuato e portato a termineÓ. Dopo il caso della Puglia che, come visto, non approda innanzi alla Corte Costituzionale per una ben precisa scelta dellĠAutoritˆ statale che preferisce, come si legge nelle premesse del d.m. 6 marzo 2003, Òinnovare i precedenti indirizzi ministeriali in materia, in ragione del mutato quadro di riferimento di fatto e di dirittoÓ piuttosto che abdicare ad una parte delle proprie competenze, la medesima Corte, negli anni successivi,  chiamata ad intervenire per dirimere altri conflitti di competenza tra Stato e Regioni, che si risolvono con alcune decisioni pretorie che svolgono unĠimportante funzione interpretativa, anche rispetto alle novellate previsioni della parte aeronautica del codice della navigazione, nonchŽ fungono da stimolo per il legislatore, inducendolo a dare attuazione al processo di liberalizzazione e privatizzazione del trasporto aereo e ad aprire, senza indugi, il mercato alle regole della concorrenza. Da segnalare, innanzitutto, la sentenza n. 51/2008, con cui la Corte costituzionale, accogliendo parzialmente i ricorsi proposti da alcune Regioni avverso la c.d. Legge sui ÒRequisiti di SistemaÓ (decreto legge n. 203/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248/2005), ha ricollocato nellĠambito del principio di leale collaborazione le diverse competenze in materia aeroportuale devolute dalla novella del titolo V alla legislazione concorrente. La Corte, nellĠambito di tale sentenza, ha chiarito come la regolazione tariffaria in ambito aeroportuale sia una disciplina complessa che si colloca alla confluenza di un insieme di materie che riguardano, oltre agli aeroporti, l'ordinamento civile e la tutela della concorrenza (materie rientranti nella potestˆ esclusiva dello Stato), di talchŽ assurge a principio fondamentale quello della leale collaborazione tra Stato e Regioni. Detto principio, come chiarito nella sentenza, Òsi deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale (sentenze n. 240 del 2007 e n. 213 del 2006). [É] Questa Corte ha giˆ rilevato che Çil principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale  costituito dal sistema delle Conferenze. Esso [É] realizza una forma di cooperazione di tipo organizzativo e costituisce una delle sedi pi qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazioneÓ. Riaffermato, dunque, il principio di leale collaborazione anche nella materia aeroportuale, la Corte ha dichiarato lĠincostituzionalitˆ dellĠart. 11 nonies del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui non prevedeva che, prima dellĠadozione della delibera CIPE, fosse acquisito il parere della Conferenza unificata, nonchŽ dellĠart. 11 undecies, comma 2, del d.l. n. 203/2005, nella parte in cui, con riferimento ai piani di intervento infrastrutturale, non prevedeva che fosse acquisito il parere della Regione interessata. In seguito, la Corte Costituzionale, adita in via diretta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri,  tornata ad occuparsi della materia aeroportuale con la sentenza n. 18/2009, dichiarando lĠillegittimitˆ costituzionale della legge regionale della Lombardia n. 29/07, in materia di Òtrasporto aereo, coordinamento aeroportuale e concessioni di gestione aeroportualeÓ, con la quale la Regione Lombardia ha legiferato su materie non riconducibili esclusivamente alla materia ÒaeroportiÓ, trattando di clearance aeroportuale (artt. 2-8) e di concessioni di gestione aeroportuale (artt. 9-11), con riferimento agli Òaeroporti situati nel territorio regionaleÓ (art. 1), che afferiscono a materie ulteriori. In particolare, secondo la Corte, ÒDall'esame della normativa comunitaria e di quella interna di attuazione emerge che la disciplina dell'assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati risponde, da un lato, ad esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dall'altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma secondo, lettere e) ed h), Cost). La legge regionale impugnata nel presente giudizio, pur riguardando sotto un profilo limitato ed in modo indiretto gli aeroporti, non pu˜ essere ricondotta alla materia Çporti e aeroporti civiliÈ, di competenza regionale concorrente. Tale materia - come questa Corte ha giˆ affermato (sentenza n. 51 del 2008) - riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale, mentre la normativa impugnata attiene all'organizzazione ed all'uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra pi sistemi aeroportuali. La distribuzione delle bande orarie richiede, infatti, almeno una corrispondenza tra i due aeroporti del volo, quello di partenza e quello di arrivo, oltre che il coordinamento dei voli nello spazio aereo considerato. Le norme in esame, pertanto, incidono direttamente ed immediatamente sulla disciplina di settori (l'assegnazione delle bande orarie, il rilascio delle concessioni aeroportuali) che sono stati oggetto dei richiamati interventi del legislatore comunitario, e poi del legislatore statale, riconducibili alle materie sopra indicate, attribuite alla competenza esclusiva dello StatoÓ. Anche in tale occasione la Consulta, pur dichiarando lĠillegittimitˆ della legge regionale contestata, richiama la necessaria collaborazione tra Stato ed Enti territoriali per il governo del sistema aeroportuale. In particolare, la Corte Costituzionale concentra il proprio ragionamento sui regolamenti comunitari per lĠassegnazione di bande orarie (Reg. 95/93/CEE come modificato dal Reg. 793/2004/CE), desumendo Òche la disciplina da essi recata  essenzialmente volta al fine di garantire lĠaccesso al mercato di tutti i vettori secondo regole trasparenti e non discriminatorieÓ. DallĠesame della normativa comunitaria e di quella interna di attuazione (art. 807 cod.nav.) la Corte ritiene Òche la disciplina di assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati risponde da un lato, ad esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dallĠaltro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello StatoÓ. In conclusione, la Consulta precisa, come giˆ affermato con la decisione n. 51/08, che la competenza regionale concorrente nella materia controversa riguarda Òle infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionaleÓ. Al contrario, sono da ritenersi attribuite alla competenza esclusiva dello Stato lĠassegnazione delle bande orarie ed il rilascio delle concessioni, materie che vanno oltre Òla dimensione regionaleÓ e che si riferiscono Òalla sicurezza del traffico aereo ed alla tutela della concorrenza (É) allĠorganizzazione ed allĠuso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra pi sistemi aeroportualiÓ. In seguito, proprio prendendo le mosse da tali pronunce, nello sforzo di rispettare i ÒpalettiÓ segnati dalla Consulta nel corso degli anni, si muovono due pi recenti proposte di legge della Regione Lazio elaborate con il supporto del centro studi Demetra, la n. 89/2010 (proposta dal Cons. Francesco Scalia) e la n. 317/2012 (proposta dal Cons. Ernesto Irmici), aventi ad oggetto rispettivamente ÒNorme in materia di aeroporti di interesse regionaleÓ e Òaeroporti di interesse regionaleÓ, volte a permettere alla Regione Lazio, nellĠambito dellĠesercizio della propria competenza concorrente, di localizzare i siti ove possano sorgere nuove infrastrutture aeroportuali di rilevanza regionale, nonchŽ di riservare alla Regione stessa il potere di rilasciare la concessione della gestione totale dei medesimi scali aeroportuali. La questione se il rilascio della concessione della gestione degli aeroporti di rilevanza regionale possa essere ricollocata nellĠambito delle competenza concorrente delle Regioni, o vada invece riservata alla competenza esclusiva dello Stato, non solo non trova risposta negativa nelle richiamate pronunce della Corte Costituzionale, ma  ricavabile, in senso positivo, da altri pronunciamenti della Consulta e, in generale, dai principi generali dellĠordinamento. A tale proposito, si ricorda che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 89 del 2006, si  giˆ cimentata sulla Ò[É] delimitazione dellĠambito delle competenze, statali e regionali, in riferimento alle procedure amministrative per il rilascio delle concessioni demaniali marittime [É]Ó. La Corte, infatti, nellĠambito di una procedura per conflitto di attribuzioni, aveva dichiarato che non spettava alle autoritˆ marittime statali la competenza amministrativa relativa al rilascio di concessioni demaniali per i porti Òdi rilevanza economica regionale e interregionaleÓ. Il vero nodo della questione, dunque, riguardo la legittimitˆ di un intervento normativo della Regione, su di una materia di competenza concorrente, in assenza della previa adozione, da parte dellĠAutoritˆ statale, dei provvedimenti necessari per definire la cornice dei principi entro i quali  chiamata a muoversi la Regione, pu˜ ritenersi risolto nei termini anzidetti. Vero , tuttavia, che le proposte di legge della Regione Lazio sono rimaste tali e, ad oggi, nessuna concreta iniziativa  stata posta in essere, a livello territoriale, per esercitare nuove possibili competenze in materia aeroportuale. Tali proposte normative della Regione Lazio, peraltro, si inseriscono nel- lĠambito di una pi grande querelle istituzionale concernente lĠindividuazione del terzo scalo del Sistema aeroportuale del Lazio, di rilevanza nazionale, verso il quale delocalizzare il traffico ricadente sullĠaeroporto di Ciampino, destinato ad un forte ridimensionamento per problemi di inquinamento acustico. Trattasi, come tanti nel nostro Paese, di un progetto non realizzato, nonostante la stipula nel 2008 di un atto di intesa programmatica tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Presidente della Regione Lazio volto a promuovere, per motivi di compatibilitˆ ambientale, la delocalizzazione del traffico aereo gravante su Ciampino, con la realizzazione dellĠaeroporto di Viterbo, quale terzo scalo del Lazio di rilevanza nazionale, e rimettendo al- lĠente territoriale la responsabilitˆ di individuare uno scalo di interesse regionale nel sud del Lazio. Nonostante lĠimpiego di rilevanti risorse pubbliche in studi di fattibilitˆ, come detto, il progetto non ha trovato attuazione, avendo il Ministro dei trasporti e delle infrastrutture pro tempore, con un nuovo atto di indirizzo, stabilito di concentrare tutto il traffico aereo della Capitale sullĠaeroporto di Fiumicino !! Ci˜ dimostra che tutti gli sforzi compiuti, anche attraverso le indicazioni provenienti dalle pronunce della Corte costituzionale, per procedimentalizzare lĠiter per lĠindividuazione degli aeroporti di rilevanza nazionale e quelli di rilevanza regionale, attraverso la leale collaborazione tra Stato e Regioni, nonostante i buoni auspici della fase di avvio, non hanno centrato lĠobiettivo, anche per la persistente e coriacea resistenza di assetti burocratici interdittivi propensi a salvaguardare gli interessi degli interessi piuttosto che porre, come dovuto, attenzione alla tutela dellĠinteresse pubblico. Di talchŽ, lĠesperienza sembra indicare che il percorso sino ad oggi seguito va rimeditato: meglio sarebbe stato, probabilmente, attenersi alle chiare indicazioni del legislatore comunitario che, come visto, fissa nella soglia dei cinque milioni di passeggeri annui il discrimen per lĠindividuazione degli aeroporti regionali e nazionali, ancorando tale distinzione ad un dato oggettivo, sottratto a dannosi conflitti di competenze. Peraltro, proprio di recente, la neo istituita Autoritˆ di Regolazione dei trasporti, nellĠelaborare i nuovi modelli di regolazione tariffaria in ambito aeroportuale, ha previsto tre diversi modelli tariffari riguardanti, rispettivamente, gli aeroporti con volumi di traffico superiore ai cinque milioni di passeggeri per anno, gli aeroporti con volumi di traffico compresi tra i tre ed i cinque milioni di passeggeri per anno e gli aeroporti con volumi di traffico annuo inferiore a i tre milioni di passeggeri per anno, modificando lĠintensitˆ della regolazione al ridursi dei volumi di traffico. Da segnalare, infine, che lĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti ha giˆ trovato unĠimportante legittimazione da parte della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 41 del 15 marzo 2013 ha respinto il ricorso proposto dalla Regione Veneto per la declaratoria di illegittimitˆ, per violazione degli artt. 117, 118, 119 della Costituzione, nonchŽ del principio di leale collaborazione, della norma che ne ha previsto lĠistituzione (art. 36, comma 1, lettera a), del d.l. n. 1/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. 27/2012). La Consulta, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che Òle funzioni conferite allĠAutoritˆ di regolazione dei trasporti, se intese correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato lĠistituzione, non assorbono le competenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Corte in una fattispecie analoga: Çle attribuzioni dellĠAutoritˆ non sostituiscono nŽ surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale  configurata lĠindipendenza dellĠorgano. [É] non vi  ragione di ritenere che le Autoritˆ di tale natura [É] possano produrre alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito lĠesercizio delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti localiÓ. In conclusione, a 12 anni dalla novella del Titolo V della Costituzione e dopo quasi 10 anni dalla riforma della parte aeronautica del codice della navigazione, si pu˜ affermare che il rinnovato riparto di competenze tra Stato e Regioni, come concretamente affermatosi, non funziona, neppure dopo gli apprezzabili sforzi ÒinterpretativiÓ della Consulta, tesi a massimizzare il coinvolgimento degli enti territoriali, attraverso il richiamo al principio di leale collaborazione. Nel senso di un rafforzamento delle competenze centrali, sembra oggi militare il Piano Nazionale degli aeroporti, da approvarsi con un decreto della Presidenza della Repubblica, assurgendo, cos“, non giˆ ad un mero atto di indirizzo, ma ad un atto normativo che individua, nel panorama nazionale, 11 aeroporti strategici e 26 aeroporti di interesse nazionale. Non resta che vedere, a questo punto, se e come gli assetti istituzionali di riferimento, decideranno di valorizzare o meno Ògli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale cos“ come definiti dallĠarticolo 698 del Codice della navigazioneÓ che, ai sensi dellĠart. 5, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, saranno trasferiti a detti Enti. Ma invocare un ritorno al passato, seppure appaga chi di fronte al fallimento di una esperienza avverte la responsabilitˆ di una scelta politico istituzionale forte, non  detto che sia una soluzione efficace. Forse oggi, di fronte ad un meccanismo che tende a riprodursi e alla necessitˆ di un cambiamento  necessario cercare la via maestra di collegarsi direttamente allĠEuropa che, effettivamente, ha la responsabilitˆ di governare il settore affermando, sempre pi, i principi del libero mercato attraverso una legislazione chiara ed efficace. é indubbio che per governare il settore del trasporto aereo servono norme semplici e procedure ragionevoli. La nostra sovrabbondante disciplina nazionale  sicuramente strutturalmente contraddittoria rispetto alla valenza e alla funzione delle norme comunitarie in materia. La linearitˆ delle norme comunitarie che hanno introdotto un sano principio di concorrenzialitˆ in un libero mercato, salvaguardando i diritti dei passeggeri e la loro sicurezza, non sono sempre compatibili con una legislazione nazionale che tende ad adattare, a tutela di interessi specifici, il diritto comunitario. In Europa, come ricordato dal collega Giuseppe Fiengo per quanto concerne il settore dei lavori pubblici, le procedure sono oggettive ed efficaci, in casa le regole risultano, a volte, fatte Òsu misuraÓ. Ma nellĠapplicare le regole comunitarie, occorre un nuovo modo di amministrare legato alla capacitˆ per chi decide di assumere la piena responsabilitˆ di quello che fa, cosa non facile per una classe dirigente che, per lo pi, non ha autonomia nei confronti di una classe Politica che, fino ad oggi, non ha dimostrato capacitˆ di elaborazione di linee di indirizzo strategico per garantire nel settore aerospaziale lo sviluppo economico ed occupazionale che il nostro Paese merita. La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunitˆ e criticitˆ dello strumento alla luce del caso Colosseo Sara Peluso* La "sponsorizzazione" sui beni culturali paga, nella prassi amministrativa italiana, tutte le difficoltˆ di utilizzazione di un modello di contratto mercantile preso in prestito da un'area estranea al mondo culturale: lo sponsor normalmente si fa pubblicitˆ con un soggetto o un bene di stretta pertinenza individuale, lega il suo nome ad un viso o ad un qualcosa di noto, che diviene in tal modo anche la sua immagine esclusiva. Secondo la definizione di Wilkipedia "Sponsorizzare qualcosa o qualcuno (dal latino sponsor 'garante, manlevatore', ovvero dal verbo spondere 'promettere solennemente') significa sostenere un evento, un'attivitˆ, una persona o un'organizzazione, finanziariamente oppure attraverso la fornitura di prodotti o servizi. Per sponsor s'intende l'individuo o l'azienda che fornisce tale sostegno. La sponsorizzazione pu˜ pertanto consistere in un accordo che preveda pubblicitˆ in cambio dell'impegno a finanziare un ente o un evento popolare. Di qui la prima regola, che sembra emergere,  che un operatore pubblico (nella specie il Ministero per i beni e le attivitˆ culturali) per scegliersi il suo sponsor deve aprire una sorta di gara e non pu˜ fare alcuna discriminazione tra le varie aziende europee, che potenzialmente potrebbero essere interessate all'operazione, che mantiene una forte valenza economica e commerciale. La seconda regola deriva dalla difficoltˆ di adattamento del meccanismo descritto, di identificazione tra l'attivitˆ commerciale dello sponsor e l'attivitˆ che riguarda il bene sovvenzionato: i beni culturali appartengono naturaliter ad una collettivitˆ, prevalentemente territoriale, che quel bene usa e che in quel bene si rappresenta; questa collettivitˆ diffusa non accetta istintivamente di riconoscersi con il mondo ed i prodotti che lo sponsor intende pubblicizzare o vendere. Di qui l'altra regola che l'intervento dello sponsor debba assumere, nel settore dei beni e delle attivitˆ culturali, una forma prevalentemente "istituzionale", se non neutra, facendo venir meno in gran parte la funzione economico sociale (i giuristi la chiamano "causa") del contratto civilistico di sponsorizzazione. In questo contesto, venute meno, anche per ragioni di insufficiente protezione fiscale, le forme di mecenatismo tradizionali, le sponsorizzazioni sui beni e sulle attivitˆ culturali hanno avuto vita difficile: molte fondazioni ban (*) Docente a contratto di Diritto dellĠEconomia - Universitˆ di Modena e Reggio Emilia. LĠarticolo  giˆ edito in Gazzetta Ambiente, 2013, n. 5, e se ne ripropone la pubblicazione per consentirne la libera consultazione ai Lettori interessati. carie che volevano attribuire ai loro interventi una forte valenza territoriale, chiamando a lavorare soprattutto maestranze locali (sorreggendo in tal modo le attivitˆ artigianali e le piccole imprese territoriali) hanno preferito, viste le difficoltˆ operative con i beni culturali di proprietˆ dello Stato, Province e Comuni, rivolgere le loro risorse ai beni ecclesiastici, nei cui confronti esistono oggettivamente vincoli meno stringenti. Eppure la formula dell'articolo 111 del Codice dei beni culturali e del paesaggio concernente la "valorizzazione" dovrebbe essere foriera di utili applicazioni: "1) Le attivitˆ di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalitˆ indicate all'articolo 6. A tali attivitˆ possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati. 2) La valorizzazione  ad iniziativa pubblica o privata. 3) La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertˆ di partecipazione, pluralitˆ dei soggetti, continuitˆ di esercizio, paritˆ di trattamento, economicitˆ e trasparenza della gestione. 4) La valorizzazione ad iniziativa privata  attivitˆ socialmente utile e ne  riconosciuta la finalitˆ di solidarietˆ sociale". Ed  proprio su questi aspetti che si muove lo studio di Sara Peluso, che, in modo sistematico attraverso l'analisi dell'evoluzione normativa, della dottrina e della giurisprudenza amministrativa, tende a fornire il quadro evolutivo del sistema delle sponsorizzazioni sui beni culturali, mettendo in evidenza tutte le opportunitˆ e le criticitˆ dello strumento. G.F. SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni - 3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di sponsorizzazione nel Codice dei Beni Culturali - 4. Il caso Colosseo - 5. Conclusioni. 1. Introduzione. Il d.lgs. 62/2008 ha modificato e innovato il Codice dei Beni Culturali determinando importanti cambiamenti nella disciplina relativa al contratto di sponsorizzazione, soprattutto in riferimento alla portata dellĠambito applicativo. La lettura di queste modifiche in relazione al contratto di sponsorizzazione recentemente sottoscritto dalla TodĠs S.p.A. per la ristrutturazione del Colosseo si presta indubbiamente a fornire un valido spunto per esaminare le caratteristiche salienti dellĠistituto e tratteggiare il fenomeno della sponsorizzazione nel settore dei beni culturali, attraverso lĠidentificazione dei possibili effetti positivi generabili sia in termini pi generali di sussidiarietˆ tra pubblico (proprietario) e privato (sponsor), in attuazione del principio allĠart. 118, c. 4, della Costituzione, sia in termini di risultati ottenibili nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, cos“ come auspicato dallĠart. 9 della Costituzione. ComĠ noto infatti, secondo tale disposizione, che stabilisce peraltro il principio del collegamento tra tutela del patrimonio storico-artistico e promozione dello sviluppo della cultura, la tutela dei beni culturali  compito riservato alla Repubblica, laddove Repubblica sta in generale ad indicare i pubblici poteri, ovvero lo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono ex art. 114 della Costituzione. Si tratta dunque di un compito non delegabile ai privati, il cui esercizio implica da un lato la riserva di tale funzione al soggetto pubblico, dallĠaltro un dovere imprescindibile associato ad essa. Diverso  il discorso da farsi sul compito di valorizzazione dei beni culturali, affidato dalla Costituzione alla legislazione concorrente Stato/Regioni all'art. 117, c. 3, per il quale lĠintervento dei privati  ammesso e perfino incentivato dal Codice. 2. I privati e i beni culturali tra mecenatismo e sponsorizzazioni. Il settore dei beni culturali  da considerarsi senza ombra di dubbio di straordinaria rilevanza per l'Italia, dotata di un patrimonio senza pari, e non solo perchŽ impatta notevolmente su altri settori ad esso collegati, come quello del turismo, ma anche e soprattutto perchŽ custodisce la memoria nazionale e collettiva del popolo italiano. Tuttavia, negli ultimi anni, lĠintero sistema dei beni culturali ha patito i tagli alla spesa pubblica vedendo progressivamente erodersi le risorse a disposizione, destinate piuttosto a vantaggio di altri settori dell'economia pi adatti a compiacere lĠelettorato. Per questo e per molti altri motivi, come le crescenti difficoltˆ organizzative e manageriali della pubblica amministrazione sul terreno dell'organizzazione e della gestione del bene culturale (1), l'intervento pubblico si  dimostrato insufficiente rendendosi, dunque, necessario individuare forme di partecipazione nel settore, anche al fine di attrarre capitali e competenze specifiche. Col delinearsi di un simile contesto non stupisce quindi che ad un certo punto si sia tentato di coinvolgere i privati e le relative risorse per finanziare gli interventi pubblici di tutela e valorizzazione dei beni culturali. A questo proposito  per˜ utile ricordare che prima dellĠentrata in vigore del d.lgs. 42/2004, non vi era mai stato da parte del legislatore un intervento organico per disciplinare la materia, col risultato che questi interventi prendevano le mosse senza una precisa cornice normativa di riferimento, basandosi sostanzialmente su soluzioni giuridiche ibride riconducibili a istituti di volta in volta differenti, e in particolare attraverso due sistemi alternativi: (1) Almeno attenendosi ai dati sul fatturato del settore riportati da M. CAMMELLI, 2011, dai quali risulta come l'Italia sia palesemente indietro pur possedendo un patrimonio culturale di gran lunga pi ricco di altri Paesi in posizioni migliori in classifica. a) da un lato quello delle erogazioni liberali, legate al fenomeno del c.d. mecenatismo culturale. Si tratta principalmente di donazioni al settore, elargite da soggetti privati in un sistema di esenzioni ed agevolazioni fiscali designato ad hoc, costruito proprio per incentivare i privati a partecipare agli interventi di valorizzazione sui beni culturali. Il fenomeno si fonda dunque su un meccanismo di leva basato su strumenti di detraibilitˆ e deducibilitˆ fiscale delle somme elargite al settore dai soggetti donanti. Il sistema delle erogazioni liberali non  stato per˜ in grado di produrre risultati economici sostanziali, probabilmente a causa della, tutto sommato, trascurabile convenienza fiscale ottenibile, della scarsa visibilitˆ legata alle donazioni al settore culturale per il soggetto donante, rispetto a donazioni destinate ad altri scopi (ad esempio, quelle per la ricerca medica, la povertˆ, ecc.) pi inclini a produrre consensi e dunque ad attrarre capitali, e dunque del mancato ritorno effettivo dellĠinvestimento, legato oltretutto non di rado a tortuosi iter burocratici, in barba al principio generale della semplificazione dei procedimenti amministrativi. b) dallĠaltro lato, le sponsorizzazioni, ovvero contratti a prestazioni corrispettive attraverso i quali il privato, a fronte di una certa somma da versare, acquisisce il diritto, in varie forme, di sfruttare a proprio vantaggio l'immagine o il nome del bene culturale interessato dal contratto, incorporandolo ad esempio in iniziative legate a un certo prodotto o a una certa operazione imprenditoriale. A voler fare un confronto con le erogazioni liberali salta dunque subito agli occhi come queste forme di contribuzione offrano l'indubbio pregio di consentire un ritorno dellĠinvestimento per lo sponsor in termini di immagine e visibilitˆ traducibile in un cospicuo vantaggio commerciale sui diretti con- correnti legato alla pubblicitˆ che ne deriva. Il funzionamento di entrambi gli strumenti appena tratteggiati, seppure a grandi linee, prevede comunque che i ruoli del soggetto pubblico e del soggetto privato siano divisi e ben definiti, per cui il soggetto pubblico riceve un finanziamento dal soggetto privato, che si limita ad elargirlo, conservando la governance sul bene culturale in relazione ai vari aspetti di tutela, valorizzazione e gestione. Pare infatti opportuno sottolineare, senza per˜ addentrarsi troppo nel merito della questione, come forme diverse e pi estese di partecipazione dei soggetti privati alla funzione di gestione del bene culturale abbiano da sempre incontrato una certa resistenza allĠinterno del nostro ordinamento, vista la prevalente attenzione alla tutela, alla conservazione e alla fruizione del bene culturale in stretta conformitˆ all'interesse pubblico, da considerarsi pertanto bene pubblico indissolubilmente legato al soggetto pubblico e insuscettibile di essere trasferito ad un privato che possa esercitarvi una qualunque attivitˆ, malgrado lĠapplicabilitˆ del principio di sussidiarietˆ, giˆ prima richiamato. Questo tradizionale modello di divisione dei ruoli tra soggetto pubblico e soggetto privato pare, per˜, oggi in discussione proprio alla luce delle evidenti difficoltˆ incontrate dalle pubbliche amministrazioni nellĠeffettivo eser cizio di tutela e conservazione del patrimonio culturale nazionale, sempre pi trascurato, quando non degradato e, certo, non valorizzato, anche a causa degli stringenti vincoli di bilancio. A tal proposito pare infatti opportuno porre in evidenza come in altri ambiti dellĠordinamento, e si pensi in particolare al settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, si siano di fatto sviluppate nuove soluzioni contrattuali in relazione alle possibilitˆ offerte dal partenariato pubblico privato, modelli che varrebbe di certo la pena prendere in considerazione anche per intervenire opportunamente nel settore dei beni culturali, chiaramente operando le necessarie modifiche in considerazione della peculiare natura di questi beni. Ad ogni modo, al momento, anche per effetto del processo di legittimazione che il contratto di sponsorizzazione ha sperimentato sia in dottrina e che in giurisprudenza, tra i contratti atipici onerosi a prestazioni corrispettive, e nondimeno per gli intervenuti atti legislativi che ne hanno disciplinato forme e contenuti, e a livello generale (artt. 43 della l. 449/1997, 119 del d.lgs. 267/2000 e 26 del d.lgs. 163/2006), e a livello speciale (art. 120 del Codice dei beni culturali), la sponsorizzazione pare oggi uno degli strumenti senzĠaltro pi efficaci e appropriati perchŽ pubbliche amministrazioni e privati possano collaborare produttivamente come partner per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico. 3. Dal contratto di sponsorizzazione come contratto pubblico al contratto di sponsorizzazione nel Codice dei Beni Culturali. Da un punto di vista strettamente privatistico, il contratto di sponsorizzazione istituisce un rapporto contrattuale atipico e consensuale, a titolo oneroso e sinallagmatico, per cui un soggetto, anche detto sponsee, acconsente a prestare la propria immagine e/o il proprio nome, per promuovere il marchio, il nome, lĠimmagine, lĠattivitˆ o i prodotti di un altro soggetto, anche detto sponsor. Tali caratteristiche differenziano la sponsorizzazione da altri tipi di soluzioni economiche a favore di terzi: in primo luogo dal mecenatismo, che si basa su dazioni di denaro a titolo gratuito, senza dunque la previsione di obblighi a carico del beneficiario; ma anche dal contratto pubblicitario, poichŽ la sponsorizzazione genera una forma di pubblicitˆ solo indiretta in favore dello sponsor, ovvero il ritorno pubblicitario di per sŽ non costituisce il contenuto del contratto ma si configura piuttosto come un effetto dello stretto legame che viene ad instaurarsi, col contratto stesso, tra l'immagine o comunque i segni distintivi dello sponsor e lĠoggetto cui lo sponsor ha scelto di destinare le proprie risorse, confidando nella capacitˆ dellĠoggetto di promuovere la propria immagine presso un certo pubblico. Prima di andare ad indagare il peso specifico dellĠart. 120 del Codice dei beni culturali in termini di effettivi benefici apportabili alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico nazionale, pare opportuno, quan tomeno a grandi linee, puntualizzare le norme fissate dal legislatore per la partecipazione della Pubblica Amministrazione a un contratto di sponsorizzazione. In passato la legittimitˆ stessa della partecipazione della P.A. a un simile rapporto contrattuale era stata pi volte messa in discussione, dunque solo a partire dalla fine degli anni Novanta il legislatore ha deciso di intervenire per eliminare ogni dubbio a riguardo, cominciando gradualmente a riconoscere questa possibilitˆ al soggetto pubblico: in un primo momento ai soli enti statali e a patto che si trattasse di sponsorizzazioni passive c.d. ÒpureÓ, in cui la controprestazione dello sponsor  rappresentata da dazioni in denaro ex art. 43 l. 449/1997, e solo in seguito anche agli enti locali, ex art. 119 d.lgs. 267/2000. Queste disposizioni, per˜, nulla di fatto dicevano circa le procedure applicabili in caso di contraente pubblico, una lacuna colmata solo successivamente dallĠart. 26 del d.lgs.163/2006, che ha previsto, accanto alle sponsorizzazioni passive pure, lĠintroduzione di sponsorizzazioni passive c.d. ÒtecnicheÓ, da realizzarsi attraverso lavori, prestazioni di servizi o forniture di beni da parte degli sponsor alle PA. Per cui oggi, semplificando, le prestazioni dello sponsor possono consistere non solo nella dazione di somme di denaro ma anche in prestazioni di dare e fare. La disposizione ha inoltre esteso la possibilitˆ di concludere contratti di sponsorizzazione in qualitˆ di sponsee, oltre che alle c.d. amministrazioni aggiudicatrici ex art. 3, c. 25, del Codice dei contratti, anche a qualsiasi altro ente aggiudicatore ai sensi dellĠart. 3, c. 29. Quanto allo sponsor, invece, lĠarticolo, limitandosi a indicare che si debba trattare di soggetti che Ònon siano unĠamministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatoreÓ, ha di fatto potenzialmente legittimato anche enti privati senza scopo di lucro a rivestire tale ruolo, ad esclusione chiaramente di eventuali Òorganismi di diritto pubblicoÓ. Infine dalla disposizione che chiude la norma  possibile anche evincere quali siano i compiti effettivi che le parti contrattuali possono assumere nellĠesecuzione del contratto. In particolare, lĠart. 26, c. 2, riprendendo quanto dettato dallĠart. 2, c. 2, del d.lgs. 30/2004, per le sponsorizzazioni aventi ad oggetto il restauro di beni culturali, ha previsto che in tutti i casi di sponsorizzazioni tecniche in cui sia coinvolta la P.A, lo sponsor possa sia realizzare la progettazione dellĠopera sia dirigerne lĠesecuzione, pur restando in capo alla pubblica amministrazione, in qualitˆ di sponsee, il potere di controllo sullĠoperato del privato. Tale norma ha quindi gettato le basi per una disciplina generale e completa delle sponsorizzazioni, fino ad allora regolate solo da disposizioni frammentarie, individuando con sufficiente puntualitˆ sia le procedure a cui i contratti di sponsorizzazione e i contratti ad essi assimilabili sono assoggettati, sia i possibili contenuti di queste fattispecie. Inoltre, val la pena porre in evidenza come inserire lĠart. 26 proprio nel Titolo II, Parte I, del Codice dei contratti, avente ad oggetto Òi contratti esclusi in tutto o in parte dallĠambito di applicazione del CodiceÓ abbia significato in sostanza anche slegare la spon sorizzazione dai rigidi iter ad evidenza pubblica tradizionalmente previsti per i contratti stipulati dalla P.A., benchŽ, a ben vedere, si sia trattato di unĠesclusione solo parziale, dovendosi comunque applicare a questi contratti i criteri comunitari dellĠeconomicitˆ, dellĠefficacia, dellĠimparzialitˆ e della paritˆ di trattamento per la scelta dello sponsor, come precisato dal seguente art. 27. E proprio con lĠintento di perseguire i succitati principi, il legislatore nazionale ha scelto di disporre una procedura semplificata ad evidenza pubblica, in un certo senso ÒdepotenziataÓ, secondo la quale la P.A. deve necessariamente far precedere lĠaffidamento da un invito ad almeno cinque concorrenti, compatibilmente con lĠoggetto del contratto, a prescindere dal valore monetario del contratto concluso. Se dunque i contratti di sponsorizzazione tecnica sono stati compiutamente disciplinati dallĠart. 26 del Codice degli appalti, le sponsorizzazioni pure restavano, in teoria, ancora regolate dalla precedente normativa (2), per quanto farraginosa, se non incompleta, il che avrebbe reso difficile comprendere se per la scelta del contraente dovessero essere applicate le norme previste dallĠart. 3, R.D. n. 2440/ 1923, oppure quelle del Codice dei contratti, che in realtˆ si riferiscono alla sola disciplina dei contratti di sponsorizzazione passiva tecnica. La questione  rimasta peraltro a lungo aperta, sebbene fosse di certo pi sensato ritenere possibile lĠapplicazione degli artt. 26 e 27 del Codice anche alle sponsorizzazioni pure, se non altro perchŽ diversamente le sponsorizzazioni pure sarebbero risultate ingiustificatamente pi gravose delle sponsorizzazioni tecniche. Il quadro legislativo generale di riferimento non appena tratteggiato consente una pi consapevole analisi della normativa speciale di dettaglio contemplata dal d.lgs. 42/2004 per i soli contratti di sponsorizzazione nellĠambito dei beni culturali. La decisione di regolare tale fattispecie con il d.lgs. 42/2004 si radica nella progressiva presa di coscienza da parte del legislatore delle opportunitˆ derivanti da un coinvolgimento dei privati a sostegno delle amministrazioni pubbliche per perseguire la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e artistico del paese. Il fatto che il settore dei beni culturali, incrociando una pluralitˆ di interessi, necessiti della collaborazione di una molteplicitˆ di soggetti per essere efficientemente gestito ed esperito, pare oggi del tutto assodato, anche in relazione al principio di sussidiarietˆ orizzontale e ai giˆ menzionati ostacoli organizzativi e finanziari che gli enti pubblici, proprietari e gestori del patrimonio culturale, si trovano oggi a fronteggiare. UnĠanalisi dellĠistituto della sponsorizzazione, di cui al Titolo II, capo II, del Codice dedicato ai ÒPrincipi della valorizzazione dei beni culturaliÓ, dunque, non pu˜ prescindere dal prendere preliminarmente atto di queste constatazioni. (2) Considerando che con lĠentrata in vigore del Codice degli appalti non sono stati abrogati nŽ lĠart. 43 del d.lgs. 449/1997, nŽ lĠart. 119 del d.lgs. 267/2000. Non diversamente da quanto giˆ previsto dalla normativa generale del Codice dei contratti, lĠart. 120, come modificato dal d.lgs. 62/2008, pone immediatamente in evidenza la natura sinallagmatica della sponsorizzazione definendola, al comma 1, come Òogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o lĠattuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, lĠimmagine, lĠattivitˆ o il prodotto dellĠattivitˆ del soggetto eroganteÓ. In particolare il successivo comma precisa poi che il corrispettivo a favore dello sponsor debba tradursi nel diritto a legare il proprio nome, marchio, immagine, attivitˆ o prodotti al relativo progetto di valorizzazione o tutela del patrimonio culturale sponsorizzato, posto chiaramente che la cosa sia pienamente compatibile Òcon il carattere artistico o storico, lĠaspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzareÓ. E proprio al fine di garantire che lĠesecuzione del contratto avvenga correttamente, lo stesso articolo dispone specifiche forme di controllo: stabilendo che il Ministero debba farsi garante delle operazioni di controllo nella fase antecedente alla stipula del contratto verificando Òla compatibilitˆ di dette iniziative con le esigenze della tutelaÓ; specificando che nel contratto debbano essere accuratamente regolate le modalitˆ di erogazione del contributo dello sponsor; introducendo lĠobbligo di disporre anche accessorie Òforme di controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dellĠiniziativa cui il contributo si riferisceÓ. La disposizione poi conferma, al pari del Codice dei contratti pubblici, la legittimitˆ delle sponsorizzazioni tecniche anche in ambito culturale, e parimenti identifica il possibile contributo dello sponsor in prestazioni di fare e di dare in relazione alla tutela o alla valorizzazione del patrimonio culturale, ritenendo quindi le sponsorizzazioni pure non espressamente disciplinate dal d.lgs. 163/2006. LĠoperativitˆ della norma, dapprima circoscritta alle sole iniziative del Ministero,  stata poi estesa anche a quelle Òdelle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonchŽ di altri soggetti pubblici o di persone giuridiche private senza fine di lucroÓ e alle Òiniziative di soggetti privati su beni culturali di loro proprietˆÓ. Differentemente da quanto avviene nel Codice dei Contratti, nel Codice dei beni culturali e del paesaggio viene espressamente prevista la possibilitˆ di rivestire il ruolo di sponsor anche per i soggetti pubblici. LĠart. 120, dunque, rappresenterebbe una sorta di eccezione ad un principio generale se si ritiene che lĠomissione di ogni riferimento a questa facoltˆ per gli enti pubblici dal- lĠart. 43, l. 449/1997, dallĠart. 119 d.lgs. 267/2000 e dallĠart. 26 del Codice dei contratti si traduca implicitamente in un divieto alla conclusione di contratti di sponsorizzazione attiva per gli enti pubblici. A ben vedere - anche in base a quanto disposto dallĠart. 6, c. 9, del d.l. 78/2010, che, vietando alle P.A. di stipulare contratti di sponsorizzazione attiva, con lĠintento di porre dei limiti alla spesa pubblica, in realtˆ ammette, seppure in modo implicito, che questa possibilitˆ esista - giungere a una tale conclusione sembrerebbe se non altro semplicistico. Non poche difficoltˆ interpretative emergono anche in riferimento alle procedure previste per la stipulazione dei contratti di sponsorizzazione ai sensi dellĠart. 120 del Codice dei beni culturali. Prima della sua abrogazione, lĠart. 2 del d.lgs. 30/2004 escludeva ÒlĠapplicazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutoriÓ per i contratti di sponsorizzazione stipulati nellĠambito dei beni culturali. Successivamente, con lĠentrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, alle sponsorizzazioni operate ai sensi dellĠart. 120 del Codice dei beni culturali si sono poi applicate le giˆ richiamate disposizioni degli artt. 26 e 27, che, si tiene a ribadirlo, dispongono una procedura semplificata ma comunque rispondente ai principi comunitari di cui sopra. Tuttavia, in seguito ai tristi eventi di deterioramento e danneggiamento che hanno interessato Pompei mostrando al mondo lo stato di indicibile declino dellĠinestimabile sito archeologico, il legislatore ha recentemente introdotto unĠeccezionale deroga alla regola generale, con lĠemanazione dellĠart. 2, c. 7, del d.l. 34/2011, convertito poi nella l. 75/2011, semplificando oltremodo la procedura per la scelta del contraente, proprio con lĠintento di incentivare ulteriormente gli sponsor privati a partecipare. La nuova procedura prevede che gli obblighi comunitari di economicitˆ, trasparenza, pubblicitˆ e proporzionalitˆ possano essere assolti attraverso la sola pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale - ed eventualmente anche in quella dellĠUnione Europea, e in almeno due quotidiani a tiratura nazionale, per un minimo di trenta giorni - che contenga lĠelenco degli interventi con relativa indicazione dellĠimporto massimo stimato previsto per ciascuno. Nel caso in cui siano presenti pi proposte di sponsorizzazione, alla Soprintendenza  affidato il compito di assegnare a ciascun candidato uno specifico intervento, definendo le modalitˆ di promozione dello sponsor ai sensi dellĠart. 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Mentre, nel caso in cui il numero di candidature si riveli insufficiente, al Soprintendente viene riconosciuta la possibilitˆ di coinvolgere altri sponsor anche in trattativa privata, pur di garantire la conclusione della sponsorizzazione. Chiariti i profili giuridici e procedurali delle sponsorizzazioni,  dunque giˆ possibile cominciare a domandarsi quali siano di fatto i benefici che questi strumenti possono offrire, in particolare al contraente privato. Se infatti le ragioni pubbliche a favore della stipulazione di simili contratti paiono di facile individuazione, costituendo le sponsorizzazioni, da un punto di vista se non altro operativo, strumenti efficaci per incanalare risorse nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale, meno evidenti paiono i motivi che guidano invece i privati in tal senso. La strategia dĠattrazione delle risorse private verso il settore dei beni culturali dellĠordinamento italiano ha sempre principalmente fatto perno su agevolazioni fiscali a beneficio del privato che le elar gisce, prevedendo in particolare per la stipula di un contratto di sponsorizzazione sgravi Òsia per lo sponsor, sia per lo sponsee [É] con riferimento sia alle imposte sul reddito, sia allĠimposta sul valore aggiuntoÓ. In realtˆ per˜, tenendo conto del limitato numero di interventi finora realizzati per mezzo di questi strumenti, pare piuttosto evidente che nŽ le agevolazioni fiscali connesse alla conclusione del contratto nŽ le varie forme di promozione a favore dello sponsor siano state in grado di svolgere adeguatamente il ruolo di incentivi per attirare significativi capitali nel settore. La bassa percentuale di successo finora registrata dalle sponsorizzazioni sembrerebbe suggerire che sia forse giunto il momento, anche in ragione della carenza ormai cronica di fondi pubblici da destinare al settore, perchŽ il legislatore intervenga per individuare e normare nuove forme di agevolazioni e incentivi, introducendo, per esempio, vantaggi legati alla possibilitˆ di entrate dirette, e, per lo meno in certi casi, di gestione del bene sponsorizzato, chiaramente prefissando nel contratto le relative modalitˆ nel dettaglio. LĠeventuale introduzione di simili misure presenterebbe inoltre lĠindubbio vantaggio di coinvolgere in questo tipo di iniziative anche tutti i soggetti medio-piccoli che di fatto oggi risultano estranei alle opportunitˆ delle vigenti disposizioni, pur caratterizzando per numerositˆ il panorama imprenditoriale del paese. 4. Il caso Colosseo. Le considerazioni svolte finora ben possono essere lette alla luce del tanto discusso caso Colosseo. Il restauro del celebre Anfiteatro, infatti, si pu˜ dire che abbia fatto scuola in tema di sponsorizzazioni, nel bene e nel male, soprattutto se si pensa che il progetto di finanziamento dei lavori da parte della TodĠs S.p.A. abbia addirittura spinto il Ministero dei beni culturali a emanare nuove norme per meglio dettagliare il rapporto tra sponsor e sponsee, dalle modalitˆ di finanziamento alla possibilitˆ di sfruttamento del logo fino allĠutilizzo dei ponteggi a scopo pubblicitario. Il decreto ministeriale approntato da una commissione del Mibac e approvato il 19 dicembre 2012  proprio intervenuto a integrare la materia delle sponsorizzazioni dei beni culturali con norme tecniche e linee guida applicative per inquadrare pi puntualmente indirizzi e indicazioni operative e per risolvere i punti problematici della normativa cui si  fatto cenno, tratteggiando le disposizioni di riferimento di cui sopra. Il quadro normativo risulta pertanto oggi pi chiaro, anche per effetto della conseguente introduzione dellĠart. 199 bis, disciplina delle procedure per la selezione di sponsor, nel Codice dei Contratti Pubblici, con lĠentrata in vigore del d.l. 5/2012, noto anche come decreto semplifica-Italia, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo. Il provvedimento ha in sostanza dato il via libera alle P.A. sia per le sponsorizzazioni pure che per quelle tecniche, ribadendo la differenza tra i due istituti: nel primo caso lo sponsor si limita ad erogare il finanziamento mentre le prestazioni restano in capo alla sovrintendenza responsabile, come per il Colosseo, mentre nel secondo caso le prestazioni vengono operate direttamente dallo sponsor e il finanziamento viene erogato ad una ditta incaricata sulla base dei progetti approvati dalla sovrintendenza responsabile. Il regolamento ha poi introdotto la formulazione di convenzioni quadro tese ad indicare con esattezza i termini delle modalitˆ di promozione dello sponsor, senza chiaramente escludere la possibilitˆ di dazioni liberali, e approntando inoltre diversi allegati per fornire esempi pratici e schemi base operativi, dai quali partire per poi operare opportuni adattamenti a seconda delle specifiche esigenze di ciascun caso concreto, mirando ad agevolare i compiti delle parti del contratto. Detto ci˜, val la pena ricostruire le complesse vicende relative al contratto di sponsorizzazione del Colosseo a partire dal principio. Nel maggio 2010 il Ministero per i Beni e le Attivitˆ Culturali e il Comune di Roma scelgono di ricorrere alla sponsorizzazione per rendere possibile la realizzazione di un ÒPiano degli interventiÓ relativo al progetto di restauro del celebre anfiteatro, in attesa di lavori da ben 74 anni. Il Piano degli Interventi, dal valore complessivo stimato di 25 milioni di euro, prevede in particolare: Ò1. la sostituzione dell'attuale sistema di chiusura delle arcate perimetrali (fornici) con cancellate; 2. il restauro dei prospetti settentrionale e meridionale; 3. il restauro degli ambulacri; 4. il restauro dei sotterranei (ipogei); 5. la messa a norma e l'implementazione degli impianti; 6. la realizzazione di un centro servizi che consenta di portare in esterno le attivitˆ di supporto alla visita che sono attualmente nel monumento (accoglienza, biglietteria, bookshop, servizi igienici)Ó. Il 4 agosto 2010 si dˆ dunque avvio alla procedura di sponsorizzazione con la pubblicazione di un bando, a termine 30 ottobre 2010 per la presentazione delle proposte, per la ricerca di un soggetto che faccia da sponsor per il finanziamento e la realizzazione dei lavori previsti dal piano di interventi. Si tratta per la veritˆ di un avviso dal contenuto piuttosto innovativo poichŽ non solo distribuisce il piano di lavori in distinti ambiti di intervento cos“ da proporre una pi ampia gamma di scelta ai potenziali soggetti interessati, prevedendo quindi la possibilitˆ di una pluralitˆ di sponsor, ma richiede anche che sia lo stesso sponsor a occuparsi dei lavori nellĠottica di sveltire le operazioni di cantiere, riconoscendo inoltre al soggetto finanziatore un ritorno, per cos“ dire, ÒpubblicitarioÓ sulla base di un piano di comunicazione composito, con possibilitˆ di affissione pubblicitaria limitata alle recinzioni del cantiere. Il bando suscita non poco interesse considerando che ben 19 soggetti fanno richiesta per accedere ai documenti ma al termine nessuna delle offerte presentate risulta conforme ai requisiti richiesti. A questo punto, la Pubblica Amministrazione ha almeno quattro opzioni a disposizione: 1) sospendere la procedura nellĠottica di riproporla in una fase di ripresa del mercato; 2) pro rogare il termine per la presentazione delle offerte; 3) modificare le condizioni dellĠavviso pubblico; 4) avviare una trattativa privata, essendo stato giˆ assolto lĠonere pre-concorrenziale e di trasparenza. La P.A. decide di optare per lĠultima soluzione e procedendo a una fase di trattativa privata, conclusasi con la convenzione stipulata a Roma il 21 gennaio 2011 tra la TodĠs S.p.A. di Diego Della Valle, in qualitˆ di sponsor, lo Stato, in persona di Roberto Checchi, Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica, in qualitˆ di sponsee, e la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, la cui presenza tra le parti contrattuali si giustifica in relazione ai compiti di controllo previsti ai sensi dallĠart. 120 del Codice dei beni culturali. Dalle premesse del contratto  immediatamente possibile individuare il ricorso alla procedura ÒsemplificataÓ per la scelta del contraente di cui agli artt. 26 e 27 dal Codice dei contratti, mediante la pubblicazione di un avviso pubblico, secondo le modalitˆ normativamente previste. LĠart. 1 specifica poi lĠoggetto della sponsorizzazione, ovvero il progetto di restauro del Colosseo, inquadrando il contratto tra le sponsorizzazioni passive pure, laddove precisa che la prestazione dello sponsor consti esclusivamente di un contributo in denaro. Concetto ribadito anche nel successivo art. 2 della convenzione ove, tra gli impegni a carico dello sponsor, si esplicita che lĠobbligazione assunta dal soggetto privato ha ad oggetto la sola messa a disposizione di un importo omnicomprensivo pari a 25 milioni di euro per la realizzazione del piano degli interventi, Òda erogarsi alle imprese appaltatrici dei lavori sulla base degli stati di avanzamento lavori preventivamente approvati dallo sponsee, secondo la tempistica definita nel capitolato speciale di ciascun interventoÓ. Nel caso di specie viene inoltre riconosciuto allo sponsor il diritto ad ottenere Òinformazioni sullo svolgimento delle varie fasi di restauro incluse le fasi di collaudoÓ e ad Òaccedere al cantiere secondo modalitˆ da concordare con la Direzione dei LavoriÓ, direttamente o attraverso incaricati esterni. I successivi artt. 4, 5 e 6 confermano la natura sinallagmatica del contratto, precisando viceversa lĠoggetto della controprestazione a carico del soggetto promotore e della Soprintendenza, individuabile nella clausola di esclusiva volta a garantire alla TodĠs S.p.A. che nessun altro soggetto potrˆ rivestire il ruolo di sponsor, per lĠintera durata del contratto. In particolare lo sponsee si impegna a non stipulare ulteriori contratti di sponsorizzazione con soggetti terzi per gli interventi di restauro del Colosseo e a non concedere ad altri ÒlĠuso, a qualsiasi titolo, di marchi, nomi, immagini o altri segni distintivi relativi al Colosseo con riferimento ai lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli InterventiÓ n Òil diritto di associare a fini promo-pubblicitari la propria immagine e/o i propri segni distintivi al Colosseo e/o ai lavori di restauro del Colosseo di cui al Piano degli interventiÓ, tantomeno Òdiritti in grado di ledere gli interessi dello sponsor perseguiti con il presente accordoÓ. In sostanza dunque si di spone da un lato lĠesclusivitˆ del progetto sponsorizzato con correlati diritti in tal senso e dallĠaltro si puntualizzano lĠoggetto e lĠentitˆ della controprestazione, legati alla realizzazione, in via diretta o indiretta, del piano di comunicazione, anche attraverso la costituzione di unĠassociazione ad hoc. E difatti il contratto attribuisce specifici diritti in esclusiva sia alla TodĠs S.p.A. che alla costituenda associazione senza fini di lucro ÒAmici del ColosseoÓ, istituita proprio in relazione al progetto. La registrazione del contratto viene prevista per il 20 giugno 2011, data dalla quale il rapporto contrattuale sarebbe dovuto dunque risultare pienamente operativo. Cos“ non  stato e di fatti il progetto di restauro dellĠAnfiteatro Flavio  entrato nella fase esecutiva solo nellĠottobre 2013. Nel mezzo numerosi ricorsi e sentenze, trattative e polemiche tra Comune, Tar Lazio, Codacons, Della Valle, e chi pi ne ha pi ne metta. Cosa  in effetti accaduto? Il primo intoppo pu˜ essere fatto risalire giˆ al 18 marzo 2011, quando lĠUIL Beni Culturali inoltra un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma e alla Procura della Corte dei Conti contro le modalitˆ dell'aggiudicazione dei lavori di restauro del Colosseo, ritirandolo circa un anno dopo a causa dellĠaggressione mediatica subita per averlo proposto. Successivamente, il 3 novembre 2011, il Codacons presenta al TAR Lazio un ricorso per lĠannullamento, previa sospensione, del contratto. Posto che lĠiniziale avviso pubblico prevedeva la sponsorizzazione per il solo periodo del restauro, precisando in particolare allĠart. 7 che Òla disponibilitˆ dei diritti dĠuso  stabilita per la durata dei lavori prevista dal ÔPiano degli InterventiĠ, decorrente dalla data di effettiva consegna dei cantieri, e non pu˜ essere protratta oltre, anche in presenza di eventuali proroghe dei termini di esecuzione degli interventi motivatamente concesse dalla Soprintendenza vigilanteÓ, col sostanziale corollario per cui il vincitore poteva beneficiare del monumento in esclusiva per sponsorizzare il proprio marchio solo per la durata dei lavori pi ulteriori due anni successivi, nella convenzione firmata il 21 gennaio la durata della possibilitˆ di sfruttamento del marchio viene invece prolungata di 15 anni oltre il termine dei lavori. Dunque il Codacons si chiede: Òcome fece il termine perentorio sui diritti dĠuso a passare dai due anni oltre il termine dei lavori ai due anni oltre la fine dei lavori pi ulteriori 15 attuali? Chi  intervenuto tra il 30 dicembre 2010 e il 21 gennaio 2011 ad inserire nel contratto di sponsorizzazione lĠassociazione Amici del Colosseo facendo lievitare gli anni di uso esclusivo dei diritti sul monumento ed enormemente il valore del contratto? Non solo, con le note n. 268 e 269 del 10.01.2011 la P.A. ribadiva ai concorrenti RYANAIR e FIMIT i limiti fissati dallĠart. 7 del bando. Come mai a Ryanair e Fimit non fu detto che la durata dellĠesclusiva poteva essere di oltre 15 anni dopo il termine dei lavori? LĠestensione temporale dei diritti, infatti, molto probabilmente avrebbe spinto le societˆ a una lotta serrata per accaparrarsi i lavori di restauro del Colos seo Ó (3). In sostanza oggetto principale della contestazione  il cambiamento delle condizioni contrattuali dal bando pubblico allĠassegnazione, che, operato in trattativa privata, avrebbe favorito il gruppo TodĠs, aggiungendo al contratto un surplus che, se presente nei termini iniziali della procedura pubblica, avrebbe senzĠaltro attirato molte altre aziende concorrenti, il che ha fatto sospettare che dietro queste modifiche si nascondessero altri illeciti. Mentre il TAR Lazio  chiamato a pronunciarsi nel merito, il 20 dicembre 2011 anche lĠAGCM interviene con una nota sul caso, formulando una serie di osservazioni critiche sulla procedura adottata per la stipula del contratto, e contestualmente inoltrando, il 27 dicembre 2011, allĠAutoritˆ di vigilanza sui contratti pubblici una nota, per eventuali profili di competenza sulla delibera del 14 dicembre 2011 inerente la procedura di affidamento, unitamente alla segnalazione inviata dal Codacons. A questo punto il patron del gruppo TodĠs Diego Della Valle, chiaramente preoccupato per la piega tortuosa che sta prendendo la vicenda, manifesta lĠintenzione di voler recedere dal contratto. LĠallora Ministro per i Beni e le Attivitˆ Culturali, Prof. Lorenzo Ornaghi, si affretta dunque ad incontrarlo per accertarsi che la sponsorizzazione si realizzi, rendendo poi noto in un comunicato stampa del 12 gennaio 2012 di aver rivolto nellĠoccasione allo sponsor Òun convinto invito ad attendere prima dimaturare una decisione definitiva. é infatti convinzione del Ministro che il buon esito della trattativa, la quale vede per la prima volta affiancati pubblico e privato in una cos“ importante operazione di tutela e valorizzazione di un bene culturale straordinario quale  il Colosseo, sia significativo e paradigmatico in una fase in cui il Paese intende rilanciare fattori e motivazioni del proprio sviluppoÓ. Con la delibera n. 9 dellĠ8 febbraio 2012, lĠAutoritˆ per la vigilanza sui contratti pubblici si esprime col primo via libera a favore dellĠintervento puntualizzando che Òi contratti di sponsorizzazione di puro finanziamento, in quanto contratti attivi, sono sottratti alla disciplina del D. Lgs. n. 163/2006 e sottoposti alle norme di contabilitˆ di Stato, le quali richiedono lĠesperimento di procedure trasparentiÓ, ma soprattutto che Òla mutata volontˆ della stazione appaltante di concludere un contratto di sponsorizzazione di puro finanziamento in luogo del contratto di sponsorizzazione tecnica ex art. 26 del Codice, nei termini indicati, giustifica il ricorso ad una procedura negoziata con gli operatori interessati alla precedente procedura ad evidenza pubblica e non appare in contrasto con i principi di legalitˆ, buon andamento e trasparenza dellĠazione amministrativaÓ. Il 24 febbraio 2012 lĠAGCM dichiara dunque di ritenere superata ogni riserva sul caso precedentemente espresse. Il 3 luglio 2012 giunge anche la pronuncia favorevole del TAR Lazio che re (3) Codacons, note n. 268 e n. 269 del 10.01.2011. spinge il ricorso del Codacons ritenendolo inammissibile in relazione al fatto che il Codacons non risulta legittimato a contestare il contratto poichŽ Òla legittimazione sussiste solo ove i provvedimenti che si impugnano abbiano effettivamente leso un interesse collettivo dei consumatori e degli utenti, la cui tutela viene assunta dalla relativa associazioneÓ. Il Codacons non ci sta e subito dopo presenta appello davanti al Consiglio di Stato. Esattamente un anno dopo, con la sentenza n. 4034 del 31 luglio 2013, la VI sezione del Consiglio di Stato conferma lĠinammissibilitˆ del ricorso, ribadendo che Òla qualitˆ di associazione di protezione ambientale non legittimava il Codacons al ricorso propostoÓ e sblocca di fatto lĠavvio dei lavori. Dunque dopo quasi trentaquattro mesi, lo scorso ottobre si  dato il via alla fase del montaggio delle impalcature per coprire la superficie del monumento pi visitato d'Italia fino in cima alle arcate interessate dai lavori: restauratori e tecnici hanno avuto il via libera per salire sui ponteggi e mettersi allĠopera per le verifiche necessarie prima di procedere con l'attivitˆ di pulitura necessaria per rimuovere depositi di smog e polveri dalla facciata. Al di sotto del cartello di cantiere coi relativi dati sulla "sponsorizzazione per il finanziamento del piano di interventi da realizzarsi nell'Anfiteatro FlavioÓ,  possibile scorgere, in uguale proporzione, i loghi del Ministero dei Beni Culturali e di Tod's. Il piano di restauro  scaglionato in tre fasi. La prima fase, per cui la gara dĠappalto  stata giˆ aggiudicata in fase provvisoria, interesserˆ i prospetti settentrionale e meridionale, gli ambulacri e i cancelli sulle arcate perimetrali e dovrebbe partire a dicembre 2013 e concludersi nel 2015. La seconda fase, per cui la gara dĠappalto non  stata ancora indetta, riguarda la progettazione e la realizzazione di un centro servizi con biglietteria e bookshop annessi e dovrebbe durare 18 mesi. La terza fase, la cui durata  stimata tra i 18 e i 24 mesi, riguarda invece lĠammodernamento degli interni e degli impianti. Le tre fasi dovrebbero complessivamente concludersi entro il 2 marzo 2016, nellĠarco di circa 915 giorni, e durante lĠintero periodo il Colosseo resterˆ comunque sempre aperto. Purtroppo,  molto probabile che i lavori incontrino nuovi ostacoli e rallentamenti sia in relazione alla volontˆ del Codacons di presentare un ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione, sia in relazione al ricorso promosso dalla ditta Lucci, seconda classificata dietro la societˆ Gherardi nella gara dĠappalto giˆ aggiudicata. Col che, di fatto, i probabili esiti conclusivi delle vicende riguardo questa iniziativa di sponsorizzazione restano ahim ancora imprevedibili. Se dunque oggi le norme non mancano, giacch il quadro normativo pare ormai ben definito, lĠostacolo principale a questo genere di iniziative risiede piuttosto nel come si sceglie di applicarle e interpretarle perchŽ  chiaro che ogni cosa al microscopio pu˜ mostrare lacune e imperfezioni, ma questo non pu˜ far s“ che imperfezioni e lacune blocchino del tutto il funzionamento di un certo sistema, soprattutto laddove si rischia di perdere preziose risorse, pi che mai indispensabili, per vischiositˆ burocratica e pressione mediatica. In un settore troppo a lungo trascurato come quello dei beni culturali, peraltro indubbio punto di forza del nostro paese, pare oggi quanto mai giusto e nel- lĠinteresse generale agire piuttosto che procrastinare, per evitare le drammatiche conseguenze della stasi, e Pompei costituisce un esempio eclatante del problema, pur nellĠassoluto rispetto dello spirito delle norme. 5. Conclusioni. Il percorso argomentativo proposto ha voluto porre in evidenza come lo sforzo del legislatore per inquadrare e normare con certezza il contratto di sponsorizzazione, in particolare nelle ipotesi di coinvolgimento di una P.A., pur avendo eliminato le ambiguitˆ dellĠincompleta e frammentaria disciplina del passato, non sembra aver comunque prodotto gli effetti sperati, poichŽ lĠutilizzo dei contratti di sponsorizzazione nellĠambito dei beni culturali resta un fenomeno isolato e i pochi casi di applicazione, peraltro di grande rilievo, come la sottoscrizione della convenzione per la ristrutturazione del Colosseo o del Ponte di Rialto, incontrano notevoli difficoltˆ a procedere arenandosi tra i cavilli del mare magnum del contenzioso amministrativo. Gli ostacoli procedurali sommandosi ai limitati ritorni economici diretti e indiretti derivabili dal prendere parte a queste iniziative per i privati tutti, e in particolare per le imprese medio-piccole che rappresentano la quasi totalitˆ delle imprese italiane, certo non contribuiscono alla popolaritˆ e allĠappetibilitˆ dello strumento. Soprattutto alla luce di un altro fattore chiave legato al modello ÒelitarioÓ tradizionalmente associato alla fruizione dei beni culturali. Per quanto paradossale,  difatti evidente come in Italia manchi non solo la convinzione che le dovute cure al settore possano oggi essere realizzate solo stimolando la collaborazione tra soggetti pubblici e privati sulla base del principio di sussidiarietˆ orizzontale, ma anche la consapevolezza che la diffusione e la produzione di cultura, a tutti i livelli, siano la condizione igienica minima per qualsiasi forma di sviluppo a venire, sia di tipo sociale che economico. Manca in sostanza una visione del patrimonio culturale che assegni alla valorizzazione un ruolo preminente per generare ricadute positive in termini di marketing culturale attraverso interventi precisi e mirati. Coinvolgere i privati in questo senso deve ritenersi obiettivo programmatico essenziale per lo sviluppo del settore, a maggior ragione in assenza di risorse pubbliche da destinare allo scopo. LĠistituto della sponsorizzazione pu˜ in effetti rivestire un ruolo di indubbio rilievo strategico in questa nuova visione dĠinsieme, data la capacitˆ insita di operare sinergicamente a cavallo tra interessi pubblici e privati quale efficace strumento per far fronte alla domanda di investimenti in cultura, soppiantando dunque i tradizionali meccanismi operativi legati al finanziamento di attivitˆ intraprese direttamente dal soggetto pubblico. A differenza delle erogazioni li berali, che sono rimaste sempre contenute a causa di fattori quali l'insufficiente convenienza fiscale, il mancato ritorno di immagine per il donatore, la farraginosa burocrazia delle procedure e la concorrenza con donazioni in iniziative dal pi alto valore etico percepito, le sponsorizzazioni sembrano possedere caratteristiche di partenza pi appetibili consentendo agli sponsor di associare convenientemente la propria immagine a progetti con buona visibilitˆ e un utile ritorno commerciale, soprattutto laddove la P.A. implementi best pratices per indirizzare gli iter procedurali e forme di agevolazione fiscale per avvantaggiare lo sponsor. La sponsorizzazione infatti, se ben implementata, pu˜ apportare moltissime risorse, che una volta instillate in un settore tanto strategico per il nostro paese potrebbero addirittura fare da volano per la creazione di altre risorse ancora. In questĠottica le P.A. devono cercare un giusto equilibrio flessibile tra lĠopera di costruzione e aggiornamento continuo degli istituti normativi e la ricerca di modalitˆ e tecniche atte a dare forte impulso al fenomeno, tenendo conto del fatto che se le agevolazioni sono poche, i cavilli burocratici remano proprio in senso contrario. Chiaramente bisogna al contempo far s“ che sussistano adeguati strumenti di trasparenza per garantire che si tratti di sponsorizzazioni vere e non di strumentalizzazioni affaristiche. Tuttavia per˜, al di lˆ delle possibili implementazioni migliorative, pare doveroso sottolineare come, rispetto alla effettiva possibilitˆ di attrarre capitali privati, la natura stessa delle sponsorizzazioni presenti limiti non secondari, e in particolare: il fatto che lĠeffettivo ritorno commerciale per lo sponsor, peraltro di per sŽ conseguibile anche diversamente, possa avvenire solo indirettamente, a seconda dellĠimpatto del progetto; le spese destinate a promozione e pubblicitˆ tendono a essere fisse nel breve-medio periodo, quindi sono soggette a bruschi tagli in tempi di crisi. Se dunque le future prospettive in tema di valorizzazione e gestione dei beni culturali non possono che indirizzarsi verso un sistema di collaborazione e confronto tra tutti i soggetti sulla scacchiera e lĠunico dato certo pare essere legato al fatto che lĠapporto economico del settore privato ai beni culturali presenta indiscutibili potenzialitˆ di leva per rimettere in moto il sistema cultura dellĠItalia, proprio a partire dal necessario processo di recupero e valorizzazione del patrimonio storico e artistico nazionale, occorrerebbe forse valutare operazioni che consentano ai privati di trarre benefici diretti dall'operazione, al fine di coinvolgerli fino in fondo nel settore a fronte degli investimenti sostenuti. La possibilitˆ di inserire allĠinterno dello strumentario delle operazioni possibili nellĠambito dei beni culturali soluzioni di partenariato pubblico privato, formulando nuovi modelli e nuovi compiti per i partner coinvolti in relazione alla peculiare natura del bene, meriterebbe quantomeno attente considerazioni. Certo, l'applicazione di simili soluzioni operative al settore porrebbe serie difficoltˆ in relazione alle previsioni costituzionalmente statuite per la tutela diretta da parte dello Stato, ma una soluzione potrebbe essere, ad esempio, quella di limitare la gestione privata alla sola attivitˆ di valorizzazione, chiaramente nellĠottica di dotare questi strumenti del giusto equilibrio tra efficienza economica ed equitˆ normativa. Bibliografia AINIS M., FIORILLO M., 2003, I beni culturali, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, t. II, 2ğ ed., Milano. 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LĠutilizzo della decretazione dĠurgenza per riformare le province e la sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale - 5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. Òabolizione delle provinceÓ - 6. Conclusioni. 1. Introduzione. Con la legge 7 aprile 2014, n. 56 di revisione delle province e delle autonomie locali, che va sotto il nome del Sottosegretario Graziano Delrio,  stata portata a compimento la prima fase di un pi ampio, e ambizioso, progetto che intende rivedere e attuare la vocazione federalista della Repubblica. In attesa di una auspicata revisione costituzionale, con la legge n. 56/2014 si inizia a riscrivere l'equilibrio istituzionale del decentramento amministrativo depauperando le province di funzioni e mezzi ma, al contempo, favorendo sia l'utilizzo di corpi intermedi di raccordo come le cittˆ metropolitane sia l'estensione del bacino territoriale dei comuni attraverso lo strumento dell'unione e della fusione. La cittˆ metropolitana torna quindi in auge nel dibattito politico e istituzionale come un efficace strumento di coordinamento tra gli enti locali e le regioni a minori costi di funzionamento. La crisi economica internazionale e la crisi del debito sovrano hanno imposto lĠadozione di vincoli sovranazionali di contenimento della spesa pubblica (spending review), lĠintroduzione in Costituzione del principio del pareggio di bilancio, lĠaumento dei poteri della Corte dei conti in relazione al rispetto del patto di stabilitˆ interno, nonchŽ lĠodierna revisione del quadro istituzionale degli enti locali. Accanto a queste misure, lo Stato ha dovuto riconsiderare al proprio interno il costo del decentramento e delle autonomie prediligendo le Òeconomie di scalaÓ che lĠaccentramento statale e il coordinamento interistituzionale parrebbero offrire. Quanto a tecnica legislativa, la l. n. 56/2014 non fa eccezione rispetto alla normazione recente. LĠapprovazione al Senato, in seconda lettura, del relativo disegno di legge con lĠapposizione della questione di fiducia ha prodotto una legge che, mancando di rubriche, titoli, sezioni e capi, rischia di disorientare lĠinterprete. D'altro canto, il legislatore parrebbe aver accolto quantomeno il (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. monito della Corte costituzionale di non utilizzare gli strumenti di decretazione dĠurgenza per adottare riforme di siffatta ampia portata (sent. n. 220/2013, infra par. 4.5). Pertanto, al fine di valutare pi diffusamente le previsioni alla base della legge n. 56/2014, si  scelto di ripercorrere le fasi principali del percorso istituzionale dagli anni '90 ad oggi. In tale modo si potrˆ osservare come in alcuni tratti la presente legge riproduca tendenze giˆ in atto nellĠordinamento e come, per altri versi, si discosti con elementi di originalitˆ. 2. Le riforme degli anni Ġ90, il nuovo titolo V della Costituzione e la legge ÒLa LoggiaÓ. 2.1. AllĠinizio degli anni Ġ90 il disegno del decentramento amministrativo, come previsto dallĠart. 5 (1) e nel titolo V della Costituzione, era ancora piuttosto inattuato (2). Se da un lato, infatti, la Repubblica era ripartita in regioni, province e comuni (art. 114 Cost.), dallĠaltro, le province e i comuni esercitavano la propria autonomia solamente Ònell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioniÓ (art. 128 Cost.). Il favore per lĠaccentramento statale era espresso dallĠart. 118 della Costituzione che ammetteva in via meramente eventuale, e nel solo caso di un Òinteresse esclusivamente localeÓ, lĠattribuzione di funzioni amministrative regionali Òalle Provincie, ai Comuni o ad altri enti localiÓ. La strada per un pi effettivo decentramento  stata intrapresa con la l. 8 giugno 1990, n. 142 (3) ( ÒOrdinamento delle autonomie localiÓ) che detta Òi principi dellĠordinamento dei comuni e delle province e ne determina le funzioniÓ (art. 1, comma 1), escludendo al contempo le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano (comma 2). In particolare, la provincia, intesa come Òente locale intermedio fra comune e regione, [che] cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunitˆ provincialeÓ (art. 2), si qualifica come un ente autonomo, titolare di funzioni sia proprie sia attribuite o delegate da leggi (1) Il favore dellĠordinamento europeo per la sussidiarietˆ  noto. QuestĠindirizzo trova conferma anche nell'ultima versione dellĠart. 1, par. 2, TUE, in base al quale ÒIl presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre pi stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo pi trasparente possibile e il pi vicino possibile ai cittadiniÓ. (2) In merito, giˆ M.S. GIANNINI, La lentissima fondazione dello Stato Repubblicano, in Reg. e gov. locale, 6, 1981, pp. 17 e ss.; F. PIZZETTI, All'inizio della XIV legislatura: riforme da attuare, riforme da completare e riforme da fare. Il difficile cammino dell'innovazione ordinamentale e costituzionale in Italia, in Le Regioni, 3, 2001, p. 437-452; M. SAVINO, Le riforme amministrative in Italia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, pp. 435-459; S. MANGIAMELI, La Provincia: dall'Assemblea costituente alla riforma del Titolo V, in www.astid-online.it, 2009; S. SPINACI, Intorno alla tentata riforma delle Province, in Diritto Pubblico, 3, 2012, pp. 945-964. (3) Per un commento su questa legge si veda F.G. SCOCA, LĠart. 3 della legge n. 142 del 1990 e la tipologia delle funzioni provinciali e comunali, in AA.VV., Le funzioni da trasferire agli enti locali nellĠarea metropolitana dopo la legge 142/1990, Milano, 1993. statali o regionali nei modi previsti dallĠart. 3 della stessa legge. Sulla base di questĠultima disposizione, infatti, le regioni Òorganizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le provinceÓ, a meno che non vi siano esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori (comma 1). Al contempo, lĠart. 14 dellĠOrdinamento attribuisce a ciascuna provincia, nellĠambito del proprio territorio, le funzioni amministrative di interesse provinciale a tutela e promozione dellĠambiente e della salute, dei trasporti, del- lĠistruzione e del lavoro. Inoltre alle province vengono altres“ demandati compiti di programmazione economica, territoriale, ambientale e di sviluppo della regione (art. 15), anche se Òferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionaliÓ (comma 2). Tuttavia, per un pi rilevante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali  necessario attendere il successivo d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che dˆ attuazione alle deleghe della l. n. 59/1997 (c.d. Òlegge BassaniniÓ) (4). Infatti, la legge Bassanini, in linea con la precedente previsione dellĠart. 3 l. n. 142/1990, stabilisce che ÒNelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, le regioni, in conformitˆ ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionaleÓ (art. 4, comma 1). Inoltre, il conferimento degli altri compiti e funzioni concernenti Òtutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunitˆ, nonchŽ tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubbliciÓ (art. 1, comma 2) dovrebbe avvenire con un decreto legislativo (art. 4, comma 2). Per ciascuna di queste attribuzioni, lĠart. 4, comma 3, l. n. 59/1997 precisa che devono essere perseguiti in sede di adozione delle disposizioni di dettaglio alcuni principi fondamentali, quali: sussidiarietˆ, completezza, efficienza ed economicitˆ, cooperazione, responsabilitˆ e unicitˆ dellĠamministrazione, adeguatezza, differenziazione, copertura finanziaria e patrimoniale e, infine, autonomia organizzativa e regolamentare. In seguito, le funzioni attribuite alla provincia dallĠart. 14 l. n. 142/1990 trovano altres“ conferma (e sostanziale riproduzione) anche negli artt. 19-21 del successivo Testo unico delle leggi sullĠordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che abroga interamente lĠOrdinamento delle autonomie locali (art. 274, comma 1, lett. q)). (4) A lato del federalismo amministrativo, nello stesso anno la l. 15 maggio 1997, n. 127 (ÒBassanini bisÓ) e lĠanno successivo la l. 16 giugno 1998, n. 191 (ÒBassanini terÓ) dispongono numerose previsioni in favore della semplificazione amministrativa. In particolare, lĠarticolo 3 TUEL, in linea con le precedenti previsioni, definisce la provincia quale Òente locale intermedio tra comune e regione, [che] rappresenta la propria comunitˆ, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppoÓ (comma 3). A tal fine, alle province (e ai comuni) viene attribuita Òautonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa nonchŽ autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblicaÓ (comma 4). Tuttavia, il successivo comma 5, pur non mettendone in dubbio le Òfunzioni proprieÓ,  assai generico nellĠammettere il conferimento di funzioni Òcon legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietˆÓ. 2.2. Con la riforma del titolo V della Costituzione (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) (5), e in seguito con la legge di attuazione della riforma costituzionale (l. 5 giugno 2003, n. 131, c.d. Òlegge La LoggiaÓ)(6), lĠordinamento ha orientato il riparto costituzionale delle funzioni amministrative tra diversi livelli di governo secondo una progressiva attuazione dei principi di sussidiarietˆ, differenziazione e adeguatezza (art. 118, comma 1). Se da un lato si conferma che le province sono enti autonomi Òcon propri statuti, poteri e funzioni secondo i princ“pi fissati dalla CostituzioneÓ (art. 114), dallĠaltro lato si precisa che le province sono titolari di Òfunzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenzeÓ (art. 118, comma 2). Tra le materie di legislazione esclusiva statale rientrano, peraltro, Òlegislazione elettorale, organi di governo e funzioni (5) Tra le prime pubblicazioni si segnalano: AA.VV., Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, a cura di G. BERTI -G.C. DE MARTIN, Milano, 2001; G. FALCON, Il nuovo titolo V della parte seconda della Cost., in Le Regioni, 1, 2001, p. 5 ss.; L. TORCHIA, Regioni e "federalismo amministrativo", in Le Regioni, 2, 2001, pp. 257-266; A. PAJNO, L'attuazione del federalismo amministrativo, in Le Regioni, 4, 2001, pp. 667-681.; F. PIZZETTI, Le nuove esigenze di "governance" in un sistema policentrico "esploso", in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1153-1196; Z. CIUFFOLETTI, Il nodo del federalismo, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1197-1202; G. FALCON, Modello e "transizione" nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1247-1272; B. CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione Europea, Torino, 2002; A. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiarietˆ verticale e sussidiarietˆ orizzontali, Milano, 2002; AA.VV., La funzione normativa di Comuni, Province e cittˆ nel nuovo sistema costituzionale, a cura di A. PIRANO, Palermo, 2002; G. ROLLA, L'autonomia dei comuni e delle province, in AA.VV., in La Repubblica delle autonomie: regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di G. ROLLA, M. OLIVETTI, Torino, 2003, p. 23 e ss. Si segnalano, inoltre, anche gli atti del 50Ħ Convegno di studi amministrativi dedicato a "LĠattuazione del titolo V della Costituzione" (Varenna, 16-18 settembre 2004). (6) A. RUGGERI, Note minime, Ça prima letturaÈ, a margine del disegno di legge La Loggia, in Giur. It., 2002, 2; G. VISPERINI, La legge di attuazione del nuovo titolo V della costituzione, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, p. 1109 e ss.; da ultimo, M. GLORIA, Il sistema di governo regionale integrato, Milano, 2014, p. 38 e ss. Con riferimento alle sentenze nn. 236, 238, 239, 280 del 2004 con cui la Corte costituzionale ha preso in esame la costituzionalitˆ della l. n. 131/2003 (infra par. 2.2), si veda M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge "La Loggia" (nota a Corte Cost. 236/2004, 238/2004, 239/2004 e 280/2004), in www.forumcostituzionale.it, 2004. fondamentali di Comuni, Province e Cittˆ metropolitaneÓ (art. 117, comma 2, lett. p)) (7). Inoltre, in linea con il riparto delle competenze legislative, lĠart. 117, comma 6, prevede che le province Òhanno potestˆ regolamentare in ordine alla disciplina dellĠorganizzazione e dello svolgimento delle funzioni a loro attribuiteÓ. A riguardo, la Corte costituzionale ha precisato che la legge (statale o regionale) determina il riparto tra: funzioni proprie e conferite con legge statale e regionale (118, comma 2), funzioni fondamentali (117, comma 2, lett. p)) e funzioni attribuite (art. 118, comma 1) (8). La legge ÒLa LoggiaÓ (n. 131/2003) delega quindi il Governo a dare attuazione alla previsione dellĠart. 117, comma 2, lett. p), Cost. sulle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 2), nonchŽ al nuovo art. 118 Cost. in materia di esercizio delle funzioni amministrative (art. 7). In particolare, tra i principi e criteri direttivi, lĠart. 2 prevede che vengano individuate le funzioni fondamentali delle province e degli altri enti locali al fine di prevedere Òla titolaritˆ di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunitˆ di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente svolteÓ (lett. b)); inoltre, lo stesso articolo dispone di Òvalorizzare i principi di sussidiarietˆ, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l'esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l'ottimale gestione [É]Ó (lett. c)). Quanto allĠesercizio delle funzioni amministrative lĠart. 7 prevede che ÒLo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarietˆ, (7) Una recente sentenza della Corte costituzionale ha descritto lĠart. 117, comma 2, lett. p) come la disposizione che Òindica le componenti essenziali dellĠintelaiatura dellĠordinamento degli enti localiÓ (sent. n. 220/2014, infra par. 4.5). (8) ÒQuale che debba ritenersi il rapporto fra le "funzioni fondamentali" degli enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p, e le "funzioni proprie" di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto che sarˆ sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformitˆ alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di "esercizio unitario", a livello sovracomunale, delle funzioni medesimeÓ (Corte Cost. sent. n. 43/2004). Per una disamina sul punto, si vedano P. CARETTI, L'assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1223-1232; G. TARLI BARBIERI, Appunti sul potere regolamentare delle regioni nel processo di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, in Diritto Pubblico, 2, 2002, pp. 417-490; L. DE LUCIA, Le funzioni di province e comuni nella costituzione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, p. 23 e ss. Per quanto riguarda, invece, le funzioni provinciali nelle leggi di settore, v. F. MANGANARO, M. VIOTTI, La provincia negli attuali assetti istituzionali, cit., pp. 23-36. differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Cittˆ metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietˆ di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneitˆ territoriale, nel rispetto, anche ai fini del- l'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, [É]Ó (comma 1). In ogni caso, per˜, "Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionaleÓ (comma 6). Questa delega, tuttavia, non  stata esercitata da parte del Governo, che, invece, ha preferito proseguire per la via del federalismo fiscale in assenza di una ben definita allocazione delle funzioni amministrative alle province e agli altri enti locali per effetto della riforma del titolo V. 3. La riforma delle province nellĠambito del federalismo fiscale. 3.1. Una nuova stagione di riforme si apre con la legge 5 maggio 2009, n. 42 che delega il Governo a dare attuazione allĠart. 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale (art. 2). NellĠindividuare i principi e criteri direttivi per il finanziamento delle funzioni delle province e degli altri enti locali, lĠart. 11, comma 1, lett. a), si limita a suddividere le funzioni in due tipologie: da un lato, le Òfunzioni fondamentaliÓ in cui rientrano le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p); dallĠaltro lato, le funzioni residuali o Òaltre funzioniÓ. Per la prima tipologia lĠart. 12, comma 1, prevede inoltre che queste dovranno essere Òprioritariamente finanziateÓ dalla compartecipazione o dallĠintero gettito derivante da alcune specifiche voci di tributi. Ai soli fini della delega sul federalismo fiscale, le funzioni (e i servizi fondamentali) dei comuni e delle province vengono ulteriormente precisate. LĠart. 21, comma 4, qualifica come ÒfondamentaliÓ, e quindi oggetto di finanziamento integrale, le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo fino allĠammontare complessivo del 70% della spesa, nonchŽ quelle di istruzione pubblica, nel campo dei trasporti, per la gestione del territorio, per la tutela ambientale e, infine, per lo sviluppo economico e per il mercato del lavoro. Inoltre, lĠart. 21, comma 1, lett. a) prevede che, nelle more dellĠattuazione della delega sulle funzioni degli enti locali ex art. 118 Cost., lo Stato e le regioni provvedono alla copertura del finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza statale o regionale e degli ulteriori oneri per la ridefinizione delle funzioni che si rendessero necessari in seguito allĠentrata in vigore dei due decreti legislativi previsti dal richiamato art. 2. Pertanto, in assenza di una precisa definizione normativa dellĠinsieme delle funzioni delle province e degli altri enti locali, la legge delega sul federalismo fiscale (n. 42/2009) ha adottato un nuovo criterio di riorganizzazione delle funzioni il cui scopo non  certo sistematico bens“ volto a individuare un meccanismo efficace di finanziamento in assenza di precisi riferimenti (9). 3.2. Successivamente alla legge delega sul federalismo fiscale, il Parlamento ha tentato di superare lĠimpasse politica in cui versava la devoluzione di funzioni, autonomia e poteri agli enti locali. In primo luogo, il 13 gennaio 2010 viene quindi presentato alla Camera un disegno di legge per il riordino degli enti locali e delle funzioni amministrative (10). Si tratta di un d.d.l. (A.S. 1464) che all'art. 13 delega il Governo ad adottare una ÒCarta delle autonomie localiÓ, che, raccogliendo sistematicamente tutta la normativa del settore, consenta di superare il d.lgs. n. 267/2000 (TUEL). Inoltre, lo stesso si propone altres“ di individuare e disciplinare le funzioni fondamentali degli enti locali in attuazione dellĠart. 117, comma 2, lett. p) Cost. (artt. 2-8), nonchŽ di individuare e trasferire le funzioni amministrative agli enti locali in virt dellĠart. 118 (art. 9). Infine, una volta specificate le funzioni, queste sono finanziate secondo i princ“pi e i criteri della l. 42/2009 sul federalismo fiscale. In secondo luogo, in attuazione della delega disposta dalla l. n. 42/2009, si ripropone con il d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 una definizione delle funzioni degli enti locali al solo fine della disciplina per la determinazione del fabbisogno standard e del superamento del criterio del costo storico (11). (9) Del resto, se giˆ in prossimitˆ della riforma del titolo V della Costituzione la dottrina dubitava della chiarezza in materia di individuazione e attribuzione delle funzioni, con la delega in materia di federalismo fiscale questa tematica diviene ancora pi evidente. Cfr. L. DE LUCIA, Le funzioni di province e comuni nella costituzione, cit., p. 48-49 per il quale il termine funzione deve essere inteso in senso ÒdescrittivoÓ; A. CELOTTO, A. SALANDREA, Le funzioni amministrative, in La Repubblica delle autonomie, cit., p. 186; G. FALCON, Funzioni amministrative ed enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della Costituzione, in Le Regioni, 2002, p. 388 e ss. (10) Disegno di legge ÒIndividuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonchŽ delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentratiÓ (A.C. 3118), approvato in Assemblea il 30 giugno 2010 e, quindi, inviato per lĠesame del Senato in data 2 luglio 2010, dove giace dal 28 luglio 2010 davanti alla Commissione Affari Costituzionali (A.S. 2259). Nei richiami al testo del ddl si fa riferimento allĠultima versione disponibile sul sito del Senato. Per una disamina, si veda G. MELONI, Funzioni amministrative e autonomia costituzionalmente garantita ai comuni, province e cittˆ metropolitane nel d.d.l. delega per la Carta delle Autonomie, in A. PIRAINO (a cura di), Verso la Carta delle autonomie: novitˆ, limiti, proposte, Roma, 2007, p. 111 e ss. (11) In particolare, il decreto-legislativo, recante ÒDisposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Cittˆ metropolitane e ProvinceÓ attua gli articoli 2, comma 2, lettera f), 11, comma 1, lettera b), 13, comma 1, lettere c) e d), 21, commi 1, lettere c) ed e), 2, 3 e 4, nonchŽ 22, comma 2, relativi al finanziamento delle funzioni di Comuni, Cittˆ metropolitane e Province. In particolare, lĠart. 3, comma 1, d.lgs. 216/2010 conferma lĠimpianto precedente della legge delega, fugando ogni dubbio sullĠeventuale esaustivitˆ di tali criteri anche per finalitˆ che non siano fiscali o di spesa (12). Inoltre, seppur in via provvisoria, per quanto concerne le funzioni ÒfondamentaliÓ delle province persistono le stesse funzioni giˆ individuate in sede di disamina dellĠart. 21 della legge delega n. 42/2009 (supra par. 3.1). 4. LĠutilizzo della decretazione dĠurgenza per riformare le province e la sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale. La tendenza legislativa che si manifesta per effetto della congiuntura della crisi economica internazionale e della crisi dei debiti sovrani si riverbera anche nel dibattito sulla riforma degli enti locali (13). Nell'ordinamento si assiste, infatti, a un progressivo ritorno allĠaccentramento dei poteri sia nell'ottica del contenimento della spesa per favorire lĠequilibrio economico finanziario sia per il rispetto degli obblighi finanziari internazionali a cui lĠItalia ha aderito (14). Conseguentemente, per ottenere la quadratura del cerchio viene progressivamente ampliato anche il sistema dei controlli sulle amministrazioni locali e implementato il sistema sanzionatorio che ne deriva (15). (12) LĠart. 3, comma 1, prevede infatti che ÒAi fini del presente decreto, fino alla data di entrata in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Cittˆ metropolitane e Province, le funzioni fondamentali ed i relativi servizi presi in considerazione in via provvisoria, ai sensi dell'articolo 21 della 5 maggio 2009, n. 42Ó sono quelle previste nellĠarticolo. In particolare, si precisa che gli ulteriori articoli che non sono stati menzionati in corpo di testo riguardano aspetti di riforma degli assetti di governo degli enti locali. (13) In tale senso si vedano le considerazioni del Presidente della Corte dei conti in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, p. 88 e ss. (14) Da ultimo, G. PITRUZZELLA, Crisi economica e decisioni di governo, in Quaderni costituzionali, 1, 2014, pp. 29-50. Si consideri, in estrema sintesi, lĠintroduzione nellĠordinamento con legge costituzionale (l. cost. 20 aprile 2012, n. 1) del principio del Òpareggio di bilancioÓ come conseguenza dellĠadesione al Trattato sul Fiscal Compact in data 2 marzo 2012; cfr. L. BINI SMAGHI, Morire di austeritˆ. Democrazie europee con le spalle al muro, Il Mulino, 2013. Sulla base della richiamata legge costituzionale sono stati novellati gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione non solo nel senso di introdurre il principio dellĠequilibrio tra entrate e spese del bilancio ma affiancando anche un vincolo di sostenibilitˆ del debito da parte delle pubbliche amministrazioni cosicchŽ anche queste ultime operino nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dallĠordinamento europeo. Ad esempio al novellato art. 119 Cost., dopo lĠaffermazione dellĠautonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti locali,  stato aggiunto che questa autonomia si esercita Ònel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e [gli enti locali] concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europeaÓ. Un interessante intervento sullĠart. 119 Cost., ancorchŽ datato, si rinviene in P. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nell'articolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 6, 2001, pp. 1425-1484. (15) M. CLARICH, I controlli sulle amministrazioni locali e il sistema sanzionatorio, relazione presentata al 59Ħ Convegno di studi amministrativi dedicato a "Politica e amministrazione della spesa pubblica: controlli, trasparenza e lotta alla corruzione" (Varenna, 19-21 settembre 2013), in corso di pubblicazione; F. GUELLA, Il patto di stabilitˆ interno, tra funzione di coordinamento finanziario ed equilibrio di bilancio, in Quaderni costituzionali, 3, 2013, pp. 585-616. Tale fenomeno appare in evidente controtendenza con i pregressi orientamenti che informavano la politica legislativa statale al principio di sussidiarietˆ. In questo contesto si annoverano alcune proposte di legge che intendono riscrivere le disposizioni che regolano gli enti locali. In particolar modo, le province vengono additate nel dibattito politico come enti sostanzialmente inutili, causa di sprechi di risorse per l'indeterminatezza delle funzioni svolte e per la duplicazione dei costi della politica. Per queste ragioni si avanzano proposte atte a diminuirne progressivamente il numero e diversificarne le funzioni in attesa della loro definitiva abolizione per effetto di una revisione costituzionale. 4.1. Un primo tentativo di abolire le province  rappresentato dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (c.d. ÒManovra bisÓ), recante Òmisure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppoÓ. In particolare, lĠart. 15, comma 1, mostra lĠintenzione del legislatore di intervenire quanto prima in parallelo con legge costituzionale in modo da rivedere la Òdisciplina costituzionale del livello di governo provincialeÓ. Nelle more dellĠattuazione di questa riforma costituzionale, lo stesso comma 1 prevede che, una volta conclusosi il mandato amministrativo provinciale, ciascuna provincia con una popolazione inferiore a 300.000 abitanti o con superficie inferiore a 3.000 chilometri quadrati venga soppressa; inoltre le funzioni delle province devono venire attribuite alle Regioni (che hanno facoltˆ di riattribuirle successivamente ai comuni) o alle province limitrofe (comma 3). In ogni caso, viene fatto divieto espresso di istituire province in Regioni con meno di 500.000 abitanti (comma 4). Tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge lĠintero art. 15  stato soppresso, ad eccezione del comma 5, in base al quale ÒA decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto  ridotto della metˆ, con arrotondamento all'unitˆ superioreÓ. Sostanzialmente, quindi,  rimasto in vigore solo il dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali. Il revirement del Parlamento in sede di conversione del decreto-legge suggerisce che le esigenze di Òfare cassaÓ non sono sufficienti per superare il diffuso malcontento su una riforma - forse affrettata - che, anzichŽ portare a termine il percorso di attribuzione delle funzioni alle province e agli enti locali in unĠottica costituzionalmente orientata di sussidiarietˆ, differenziazione e adeguatezza, ha proposto, al contrario, una riorganizzazione delle province fondata pressochŽ solo sullĠaspetto territoriale e sulla loro supposta inutilitˆ. 4.2. Un secondo tentativo  costituito dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. ÒSalva-ItaliaÓ), convertito in legge con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 2014, recante ÒDisposizioni urgenti per la crescita, lĠequitˆ e il consolidamento dei conti pubbliciÓ (16). La riforma del sistema italiano delle province si incardina nei commi 1422 dell'art. 23, d.lgs. n. 201/2012 che disciplina sia in materia di funzioni sia in materia di governo. Il comma 14 prevede che Òspettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attivitˆ dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenzeÓ. Inoltre, i commi 18 e 19 impongono che, a seconda delle funzioni, lo Stato e le regioni - e perfino lo Stato in via sostitutiva delle regioni dispongano con legge il trasferimento ai comuni delle funzioni attribuite alle province e delle risorse umane, finanziarie e strumentali per lĠesercizio delle medesime funzioni, salvo non persistano esigenze di unitarietˆ o di sussidiarietˆ, differenziazione e adeguatezza che ne giustificano il trasferimento alle regioni (17). Ai commi 15-17 e 22 dellĠart. 23 si disciplina il governo delle province, lĠorganizzazione e le retribuzioni. In particolare, si precisa che tra gli organi di governo della provincia vi sono unicamente il Consiglio provinciale e il Presidente della provincia, il primo composto da massimo dieci membri Òeletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della ProvinciaÓ, mentre il secondo  scelto tra questi ultimi. Per entrambi la durata della carica  di cinque anni e sono eletti secondo le disposizioni stabilite con legge statale. Il comma 20 dello stesso articolo introduce inoltre una disciplina transitoria in base alla quale Òagli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012Ó si applica fino al 31 marzo 2013 lĠart. 141 TUEL in materia di scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali, mentre gli organi provinciali, Òche devono essere rinnovati successivamente (16) G. VESPERINI, Le nuove province, commento allĠarticolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, in Giorn. dir. amm., 3, 2012, p. 272 e ss. (17) Con lĠart. 1, comma 115, d.l. 24 dicembre 2012, (legge di stabilitˆ 2013) lĠapplicazione del- lĠart. 23, commi 18-19, d.l. n. 201/2011  sospesa per un anno ÒAl fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale e al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previstiÓ dal d.l. n. 95/2012 e dal processo di riorganizzazione periferica dello Stato. Da questa disposizione la Corte Costituzionale ha tratto lĠulteriore argomento in base al quale Òlo stesso legislatore ha implicitamente confermato la contraddizioneÓ per cui Òla trasformazione per decreto-legge dellĠintera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione,  incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dellĠintero sistema, su cui da tempo  aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessitˆ, da un Çcaso straordinario di necessitˆ e dĠurgenzaÈÓ (Corte Cost. sent. n. 220/2013, cfr. pi diffusamente par. 4.5). Secondo VESPERINI, ult. cit., dallĠart. 23, comma 8, Ò[...] consegue lĠabrogazione tacita di tutte le norme che attribuiscono funzioni (diverse da quelle indicate espressamente nella nuova disciplina) alle province: sia di quelle generali, sopra richiamate, del d.lgs. n. 267/2000 e del d.lgs. n. 216/2010, che di quelle settoriali regolate da numerose leggi statali e regionaliÓ. al 31 dicembre 2012Ó, possono restare in carica Òfino a scadenza naturaleÓ. Quindi, una volta decorso questo periodo, sarebbe stato possibile procedere allĠelezione dei nuovi organi sulla base delle richiamate nuove disposizioni sul governo della provincia (18). Infine, il comma 20-bis dellĠart. 23 precisa che queste disposizioni non si applicano alle province autonome di Trento e Bolzano, ma trovano applicazione per le regioni a statuto speciale, alle quali  fatto obbligo di adeguarvisi. Tuttavia, qualche anno pi tardi, queste ultime disposizioni (art. 23, commi 14-20 e 20-bis) del d.l. n. 201/2011 sono state interamente caducate per effetto della pronuncia di illegittimitˆ costituzionale disposta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 (infra par. 4.5). 4.3. Con un terzo tentativo di riforma, il Governo ha adottato il d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. ÒSpending reviewÓ), convertito con modificazioni in legge dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. Con gli artt. 17 e 18 del decreto il legislatore ha riordinato le province e le cittˆ metropolitane nell'ottica di razionalizzare e ridurre la spesa statale complessiva per gli enti territoriali (19). Si tenga presente, peraltro, che la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 220/2013 (infra par. 4.5) ha dichiarato costituzionalmente illegittimi anche gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95/2012, ma che, al momento della emanazione di questĠultimo decreto-legge, lĠart. 23 d.l. n. 201/2011 era ancora in vigore. Non a caso, sotto la vigenza dell'art. 23, l'art. 17, comma 12, precisa che non intende operare alcuna modifica al sistema di governo delle province. Ad ogni modo, per quanto concerne il territorio, lĠart. 17 rimanda a un successivo D.P.C.M. la determinazione dei requisiti minimi per il riordino delle province, ad eccezione delle province Òin cui si trova il comune capoluogo di regioneÓ (comma 2). In adempimento alle prescrizioni di questo comma, il Consiglio dei Ministri ha deliberato in data 20 luglio 2012 che i requisiti minimi sono: Òa) dimensione territoriale non inferiore a [2.500] chilometri quadrati; b) popolazione residente non inferiore a [350.000] abitantiÓ (art. 1, comma 1) e che le Ònuove province risultanti dalla procedura di riordino devono possedere entrambi i [predetti] requisitiÓ, salve le deroghe previste dai commi 3 e 4 dellĠart. 17 (20). LĠart. 17, commi 3 e 4, disciplina infatti il procedimento per proporre (18) Nel frattempo lĠart. 1, comma 115 della legge di stabilitˆ 2013 (l. 24 dicembre 2012, n. 228) aveva sospeso lĠapplicazione dellĠart. 23 d.l. n. 201/2011 fino al 31 dicembre 2012 e posticipato il termine per lĠapplicazione del commissariamento delle amministrazioni provinciali. Tale comma 115, dopo successive modifiche (da ultimo art. 1, comma 325, l. n. 147/2013)  stato abrogato dallĠart. 1, comma 143, l. n. 56/2014. (Su questĠultima legge, si v. infra par. 4). (19) Ancora una volta, le esigenze di bilancio sono evidenti nellĠincipit della riforma. LĠart. 17, comma 1, prevede infatti che siffatte disposizioni sono emanate ÒAl fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancioÓ. unĠipotesi di riordino delle province da parte del Consiglio delle autonomie locali di ciascuna regione, in base al quale (o in assenza del quale), decorsi i termini indicati, il Governo pu˜ adottare lĠatto di riordino delle province. Per quanto concerne le funzioni, lĠart. 17, comma 5, prevede che alle province vengono attribuite: le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attivitˆ dei comuni giˆ disposte dallĠart. 23, comma 14, d.l. n. 201/2011, le funzioni ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost. provvisoriamente assegnate alle province ai sensi dellĠart. 17, comma 10, quali: a) la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, la tutela e valorizzazione dellĠambiente; b) la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo del trasporto privato, costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) la programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dellĠedilizia scolastica per le scuole secondarie di secondo grado. Oltre a queste ipotesi, il richiamato comma 5 dell'art. 17 impone che sia Òtrasferita ai comuniÓ ogni altra funzione amministrativa, cos“ come individuata da un D.P.C.M. (mai emanato, nonostante i termini indicati dal comma 7) (21). Mentre per le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni nelle materie ex artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost. l'art. 17, comma 11, non apporta alcuna variazione. Infine, per armonizzare su tutto il territorio nazionale i principi espressi in queste disposizioni, alle regioni a statuto speciale  fatto obbligo, entro sei mesi, di adeguare Òi propri ordinamenti ai principi [dellĠart. 17], che costituiscono principi dellĠordinamento giuridico della Repubblica nonchŽ principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblicaÓ (comma 5). Al tempo stesso quest'ultimo comma esclude lĠapplicabilitˆ dellĠart. 17 alle province autonome di Trento e Bolzano. 4.4. Un quarto tentativo di riforma  rappresentato dal d.l. 5 novembre 2012, n. 188 recante ÒDisposizioni urgenti in materia di Province e Cittˆ metropolitaneÓ, che tuttavia non  stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni dallĠemanazione del relativo d.P.R. (20) LĠart. 1, comma 4, D.P.C.M. 20 luglio 2012 dispone inoltre che ÒIl riordino di cui all'articolo 17, comma 1, del citato decreto-legge n. 95 del 2012 non pu˜ comportare l'accorpamento di una o pi province esistenti alla data di adozione della presente delibera con le province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, del medesimo decreto-legge e con le modalitˆ e i tempi ivi indicati, sono soppresse con contestuale istituzione delle relative Cittˆ metropolitaneÓ. (21) LĠart. 17 richiede altres“ che con uno o pi D.P.C.M., da adottarsi entro 180 giorni, venga fatta Òpuntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali e organizzative connessi allĠesercizio delle funzioni stesse e al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessatiÓ (comma 8). Tale D.P.C.M., tuttavia, non  mai stato emanato, cos“ da precludere lĠesercizio delle funzioni trasferite ai sensi del comma 6, dal momento che il successivo comma 9 prevede che la decorrenza dellĠesercizio di queste ultime funzioni  Òinderogabilmente subordinata ed  contestuale allĠeffettivo trasferimento delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie allĠesercizio delle medesimeÓ. Con tale decreto, il Governo intende dare una prima attuazione agli artt. 17 e 18 d.l. n. 95/2012 (ÒSpending reviewÓ) e modificarne alcune previsioni. In particolare, lĠart. 2 elenca le province nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal 1Ħ gennaio 2014 e lĠart. 6 prevede che ciascuna di queste ultime province Òsuccede a quelle ad essa preesistenti in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processualeÓ. Inoltre, lĠart. 4, comma 1, lett. b), inserisce il comma 10-bis allĠart. 17 d.l. n. 95/2012 secondo il quale le regioni sono tenute a trasferire con legge le funzioni trasferite alle province nellĠambito delle materie ex art. 117, commi 3 e 4, Cost. Òsalvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, tali funzioni siano acquisite dalle Regioni medesime. In caso di trasferimento delle funzioni ai sensi del primo periodo, sono altres“ trasferite le risorse umane, finanziarie e strumentaliÓ. 4.5. Con la sentenza n. 220/2013 (19 luglio 2013, Est. Silvestri) la Corte Costituzionale ha deciso pi ricorsi in via principale, riuniti per identitˆ di oggetto, che riguardano, tra lĠaltro, la legittimitˆ costituzionale di alcuni commi dellĠart. 23 d.l. n. 201/2011 (supra par. 4.2) e degli articoli 17 e 18, d.l. n. 95/2012 (supra par. 4.3). La Corte fonda la propria motivazione sul contrasto di queste disposizioni con l'art. 77 Cost., in quanto adottate con lo strumento del decreto-legge, in relazione agli artt. 117, comma 2, lett. p) e 133 Cost. Òche prescrivono modalitˆ e procedure per incidere, in senso modificativo, sia sullĠordinamento delle autonomie locali, sia sulla conformazione territoriale dei singoli enti, considerati dallĠart. 114, primo e secondo comma, Cost., insieme allo Stato e alle Regioni, elementi costitutivi della Repubblica, Çcon propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla CostituzioneÈÓ. In particolare, la Corte osserva che queste ultime disposizioni costituzionali riguardano le componenti essenziali dellĠordinamento degli enti locali, che Òper loro natura [sono] disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princ“pi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionaliÓ e che, in quanto tali, sono Ònorme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dellĠart. 77 Cost.Ó. Quindi, sebbene Òpo[ssa] essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunitˆ politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del ParlamentoÓ, ciononostante Òla trasformazione per decreto-legge dellĠintera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione,  incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una tra sformazione radicale dellĠintero sistema, su cui da tempo  aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessitˆ, da un Çcaso straordinario di necessitˆ e dĠurgenzaÈÓ. Per questo ordine di motivi la Corte ha accolto le censure addotte dalle ricorrenti dichiarando lĠillegittimitˆ costituzionale dei commi 14-20 dellĠart. 23, d.l. n. 201/2011 e, in via consequenziale, del comma 20-bis dello stesso articolo, nonchŽ parimenti degli artt. 17 e 18, d.l. n. 95/2012. Tuttavia, questa pronuncia, nonostante caduchi un cos“ complesso articolato normativo sulla base della preclusione costituzionale all'esecutivo di utilizzare la decretazione d'urgenza in queste circostanze, non consente allĠinterprete e allo stesso legislatore di risolvere in anticipo alcuni (e ulteriori) dubbi di merito (22) circa la legittimitˆ costituzionale delle previsioni adottate con il d.l. 201/2011 e 95/2012 e, conseguentemente, della costituzionalitˆ della successiva l. n. 56/2014 (infra par. 5) (23). 5. La legge 7 aprile 2014, n. 56 sulla c.d. Òabolizione delle provinceÓ. Con la l. 7 aprile 2014, n. 56 (Òlegge DelrioÓ) il Parlamento ha approvato lĠarticolo unico di riforma delle province, recante ÒDisposizioni sulle cittˆ metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuniÓ (c.d. ÒAbolizione provinceÓ) (24). (22) Peraltro, la Corte ha ben precisato che ÒLe considerazioni che precedono non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sullĠordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dallĠart. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale - ma, pi limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzativeÓ e ancora che ÒA prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito di tale argomentazione con riferimento alla legge ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento del decreto-legge quando si intende procedere ad un riordino circoscrizionale globale, giacchŽ allĠincompatibilitˆ dellĠatto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle ProvinceÓ (Corte Cost. sent. 220/2013). (23) G. SAPUTELLI, Quando non  solo una "questione di principio". I dubbi di legittimitˆ non risolti della "riforma delle Province" (nota a sentenza (3 luglio 2013) 19 luglio 2013, n. 220), in Giur. Cost., 2013, 4, p. 3242 e ss. SullĠimpatto della sentenza n. 220/2013 sulle iniziative di governo si veda F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalitˆ e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, in astrid-online.it, 11 novembre 2013. Sul successivo d.d.l. Deliro si segnalano anche i ÒPareri in merito ai dubbi di costituzionalita del DDL n. 1542Ó resi per la Presidenza del Consiglio dei Ministri da numerosi autorevoli studiosi della materia in seguito all'appello dal titolo ÒPer una riforma razionale del sistema delle autonomie localiÓ datato 13 ottobre 2013 e firmato dal prof. Gian Candido De Martin e altri, pubblicati sul sito affariregionali.gov.it. (24) G.M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle province in corrispondenza allĠistituzione delle Cittˆ metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalitˆ, in federalismi.it, 8 gennaio 2014; B. CARAVITA, F. FABRIZZI, Riforma delle province. Spunti di proposte a breve e lungo termine, in federalismi.it, 25 gennaio 2012. Il testo di partenza era stato presentato con il d.d.l. A.C. 1542 ed  stato approvato definitivamente dalla Camera in seconda lettura (A.C. 1542-B) sulla quale  stata posta anche una questione di fiducia (25). Nel delineare le caratteristiche delle cittˆ metropolitane e delle province, la l. n. 56/2014 le individua per ciascuna in materia di territorio, governo e funzioni. Inoltre la legge disciplina altres“ lĠunione di comuni (26) riscrivendo lĠart. 32, comma 3, TUEL e abrogando le precedenti disposizioni sulle c.d. ÒUnioni specialiÓ (27). Tuttavia, il fatto che la l. n. 56/2014 sia stata denominata Òabolizione delle provinceÓ non significa affatto che le province siano state integralmente abolite. Alle stesse, anzi,  stata data sostanzialmente una nuova forma e precise funzioni, talvolta pi estese delle precedenti, Òin attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazioneÓ (comma 51). Del resto, il 20 agosto 2013, assieme al d.d.l. A.C. 1542, il governo ha presentato anche il d.d.l. costituzionale A.C. 1543 (28), recante ÒAbolizione delle provinceÓ, che, prendendo atto di quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 (supra par. 4.5), propone la soppressione in Costituzione delle province e affida a una legge dello Stato di determinare i criteri con cui lo Stato e le Regioni, nellĠambito delle rispettive competenze, individuano Òle forme e le modalita di esercizio delle relative funzioniÓ (art. 3). La cittˆ metropolitana, seppur costituzionalmente prevista nel nuovo titolo V (art. 114), non aveva mai trovato una effettiva attuazione (29). In questa circostanza, invece, la duttilitˆ della cittˆ metropolitana ha consentito al legislatore di proporre, a costituzione invariata, un modello di riforma degli enti locali che favorisce lĠaccorpamento delle funzioni e i mezzi (in termini di patrimonio umano, materiale e finanziario) degli enti. Gli organi delle cittˆ metropolitane, alla pari di quelli delle province, ri (25) Il d.d.l. A.C. 1542 presentato il 20 agosto 2013, approvato il 21 dicembre 2013, e trasmesso al Senato il 27 dicembre 2013 (A.S. 1212). Dopo lĠapprovazione con modificazioni del 26 marzo 2014, la Camera lo approva definitivamente il 3 aprile 2014 (A.C 1542-B). Per alcune osservazioni critiche sull'A.S. 1212, si segnala l'Audizione in data 16 gennaio 214 del Presidente della Sezione autonomie della Corte dei conti, dott. Falcucci, presso la Commissione Affari costituzionali del Senato. (26) Le unioni di comuni sono enti locali e sono funzionali allĠesercizio associato di funzioni e servizi. In parte, la disciplina era giˆ stata introdotta dallĠart. 11 l. n. 142/2011 in materia di modifiche territoriali, fusione e istituzione di comuni. (27) Si tratta, in particolare, dellĠabrogazione dellĠart. 19, commi 4-6, d.l. n. 95/2012 e dellĠart. 16, commi 1-13, d.l. n. 138/2011. (28) Come riporta anche la relazione che accompagna il d.d.l. cost., ÒIn particolare, con il presente disegno di legge costituzionale si dispone l'abolizione delle province, con la soppressione della dizione di ÇProvinceÈ nei diversi articoli della Costituzione che attualmente disciplinano questo ente territoriale: le province, pertanto, non sarebbero pi un ente territoriale costituzionalmente necessario [...] affidando [art. 3] alla legge statale la funzione di definire un insieme di criteri e di requisiti generali in base ai quali lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, devono individuare le forme e le modalitˆ di esercizio delle funzioni che oggi spettano alle provinceÓ. Successivamente queste previsioni sono state inserite anche negli artt. 24, 27 e 28 del pi ampio d.d.l. cost. (A.C. 1429) dellĠ8 aprile 2014. cevono una investitura di secondo grado (30), in quanto sono nominati o eletti tra coloro che giˆ esercitano un mandato nell'ente locale, e dovranno svolgere lĠimportante ruolo di raccordo tra comuni e regioni. Del resto, lĠavvicendamento tra le dieci cittˆ metropolitane e le province afferenti al loro territorio  evidentemente senza soluzione di continuitˆ, come si apprende dalla stessa legge. Infatti, al comma 16 si prevede che ÒIl 1ĵ gennaio 2015 le cittˆ metropolitane subentrano alle province omonime e succedono ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioniÓ (31); e, ad ulteriore evidenza, ÒOve alla predetta data non sia approvato lo statuto della cittˆ metropolitana, si applica lo statuto della provinciaÓ (32). Ci˜ almeno fino al 30 giugno 2015 quando, in caso di mancata approvazione dello statuto, lo Stato pu˜ procedere con i propri poteri sostitutivi in attuazione del- lĠart. 120 Cost. (l. n. 131/2003) (33). (29) Il modello della cittˆ metropolitana viene definito con la l. n. 142/1990 (supra par. 2.1). In particolare, gli artt. 17-21 intendevano suddividere progressivamente lĠamministrazione locale nellĠarea metropolitana in comuni e cittˆ metropolitane (art. 18) e ridefinire la distribuzione delle funzioni dalle province alle cittˆ metropolitane, attribuendo a queste ultime non solo le Òfunzioni di competenza provincialeÓ ma anche le Òfunzioni normalmente affidate ai comuniÓ che possono essere oggetto di un esercizio coordinato (art. 19). Con lĠadozione del TUEL, agli artt. 22-26 pongono in via meramente eventuale lĠadozione delle cittˆ metropolitane, in evidente contrasto con la linea intrapresa dallĠart. 20, comma 1, l. n. 142/1990. La revisione costituzionale del 2001, pur aderendo allĠorganizzazione del governo locale tra comuni, province, cittˆ metropolitane, non risolve la difficile applicazione concreta della cittˆ metropolitana. In seguito, nonostante altri tentativi di riforma delle cittˆ metropolitane (A.C. nn. 1464, 2105), si rinviene principalmente lĠart. 18 d.l. 95/2012 (supra par. 4.3). Tuttavia, la mancata conversione in legge del d.l. 188/2012 (supra par. 4.4), che introduceva tramite lĠart. 5 alcune modifiche allĠart. 18 d.l. 95/2012, e la sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale (supra par. 4.5) ha determinato un ulteriore arresto della riforma delle cittˆ metropolitane. S. MANGIAMELI, La questione locale. Le nuove autonomie nellĠordinamento Repubblicano, Roma, 2009, pp. 161-180; C. DEODATO, Le cittˆ metropolitane: storia, ordinamento, prospettive, in giustizia-amministrativa.it; F. PIZZETTI, La complessa architettura della l. n. 56 e i problemi relativi alla sua prima attuazione: differenze e somiglianze tra cittˆ metropolitane e province, in astrid-online.it, giugno 2014; A. PATRONI GRIFFI, Cittˆ metropolitana: per un nuovo governo del territorio, in confronticostituzionali.eu, 23 giugno 2014. (30) In merito alla conformitˆ costituzionale delle elezioni di secondo grado con riferimento al principio di uguaglianza, si v. Corte cost. sent. nn. 96/1968 e 198/2012. Inoltre, con riferimento all'art. 114 Cost. le sentt. nn. 274/2003 e 144/2009 hanno stabilito la non necessaria totale equiparazione tra i diversi livelli di governo territoriale. Cfr. anche E. GROSSO, Possono gli organi di governo delle province essere designati mediante elezioni Òdi secondo gradoÓ, a Costituzione vigente?, in astrid-online.it, 27 ottobre 2013; F. BASSANINI, Sulla riforma delle istituzioni locali e sulla legittimita costituzionale della elezione in secondo grado degli organi delle nuove province, in astrid-online.it, 29 ottobre 2013. (31) Giˆ lĠart. 18, comma 5, l. n. 142/1990 disponeva che ÒLa cittˆ metropolitana, comunque denominata, acquisisce le funzioni della provinciaÓ. (32) Peraltro, il comma 16, l. n. 56/2014 prevede ulteriormente che ÒLe disposizioni dello statuto della provincia relative al presidente della provincia e alla giunta provinciale si applicano al sindaco metropolitano; le disposizioni relative al consiglio provinciale si applicano al consiglio metropolitanoÓ. (33) LĠart. 8, comma 1, l. n. 131/2003, che ha dato attuazione dellĠart. 120, comma 2, Cost., stabilisce il procedimento per lĠesercizio del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, tale potere deve essere proporzionato alle finalitˆ perseguite e qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Cittˆ metropolitane, Òla nomina del commissario deve tenere conto dei principi di sussidiarietˆ e di leale collaborazioneÓ (comma 3). 5.1. Secondo la riforma ÒDelrioÓ, le cittˆ metropolitane sono Òenti territoriali di area vastaÓ (comma 2) e sono quelle di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (comma 5) (34). Ciascuna  regolata in transitoria dai commi 5-50 dellĠart. 1, Òin attesa della riforma del titolo VÓ e delle relative disposizioni attuative (35). Per quanto concerne il territorio, in base al comma 6 quello Òdella cittˆ metropolitana coincide con quello della provincia omonimaÓ, fermo restando il potere di iniziativa dei comuni ai sensi dellĠart. 133 Cost. Inoltre, ai soli fini elettorali, il comma 33 ripartisce i comuni delle cittˆ metropolitane in nove scaglioni sulla base della popolazione per numero di abitanti. Il governo delle cittˆ metropolitane  ripartito tra il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana (commi 7-43), mentre la disciplina elettorale  regolata ai commi 25-39. Il sindaco metropolitano corrisponde di diritto al sindaco del comune capoluogo (comma 19), mentre il consiglio metropolitano  eletto Òdai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della cittˆ metropolitanaÓ (comma 25) tramite il Òvoto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti in un unico collegio elettorale corrispondente al territorio della cittˆ metropolitanaÓ (comma 30). Tra l'altro, il voto pu˜ essere espresso anche con la preferenza per uno specifico candidato (comma 35). Ciascun consiglio metropolitano dura in carica cinque anni ed  composto dal sindaco metropolitano e da un numero variabile di membri, corrispondenti a: 24 consiglieri nelle cittˆ metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri per la fascia tra 800.000 e 3 milioni di abitanti e, infine, 14 consiglieri nelle altre cittˆ metropolitane (commi 19-21). La conferenza metropolitana  composta dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei comuni appartenenti alla cittˆ metropolitana (comma 42) ed  un organo che, eccettuato il potere di approvare lo statuto (36), ha limitati poteri consultivi e propositivi. Ciascuno di questi organi si configura, quindi, come ente di secondo grado in quanto non direttamente eletto dalla popolazione. Tuttavia, in deroga a questa previsione, il comma 22 ammette che statutariamente possa essere prevista lĠelezione diretta a suffragio universale sia per la carica di sindaco sia (34) Sostanzialmente, se si eccettua la previsione ad hoc per Roma e lĠinclusione di Reggo Calabria, si tratta delle stesse cittˆ metropolitane giˆ previste dallĠart. 17, comma 1, l. n. 142/1990 e, in seguito, anche dallĠart. 22 TUEL. Sul dibattito attorno allo statuto di specialitˆ della cittˆ metropolitana di Roma Capitale, come previsto ai commi 101-103 della riforma ÒDelrioÓ, si veda P. BARBERA, Considerazioni sullĠordinamento della Cittˆ metropolitana di Roma Capitale, in astrid-online.it, 6 novembre 2013. (35) Il riferimento  di nuovo al d.d.l. costituzionale A.C. 1543 sullĠabolizione delle province (supra par. 5.1). Tra l'altro, lo stesso comma 5 fa un ulteriore riferimento ad una prossima riforma nella parte in cui afferma che ÒI principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di cittˆ e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformitˆ ai rispettivi statutiÓ. per quelle del consiglio metropolitano con il Òsistema elettorale che sarˆ determinato con legge stataleÓ (37). Inoltre, in forza del comma 24 ciascuna delle cariche nella cittˆ metropolitana  svolta a titolo gratuito. Infine, per quanto concerne le funzioni, i commi 44-46 prevedono che alla cittˆ metropolitana siano attribuite: le funzioni fondamentali delle province; le funzioni attribuite alla cittˆ metropolitana secondo i commi 85-97; alcune funzioni fondamentali ai sensi dellĠart. 117, comma 2, lett. p) Cost. (38). Peraltro, pur rimanendo immutate le funzioni statali e regionali nelle materie dellĠart. 117 e 118 Cost., si ribadisce che Òlo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle cittˆ metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietˆ, differenziazione e adeguatezzaÓ, come previsto dallĠart. 118 Cost. (39) (comma 45). In particolare, secondo il comma 44, le c.d. Òfinalitˆ istituzionaliÓ ai sensi dellĠart. 117, comma 2, lett. p), Cost. sono, in sintesi: a) Òadozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitanoÓ; b) Òpianificazione territoriale generaleÓ; c) Òstrutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitanoÓ; d) Òmobilitˆ e viabilitˆ, anche assicurando la compatibilitˆ e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitanoÓ; e) Òpromozione e coordinamento dello sviluppo economico e socialeÓ; f) Òpromozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitanoÓ. 5.2. Ai sensi della legge n. 56/2014 le province sono Òenti territoriali di (36) Sulla competenza dalla conferenza metropolitana per lĠapprovazione dello Statuto parrebbe valere il comma 9 nella parte in cui dispone che Òla conferenza metropolitana adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano [É]Ó. Tuttavia il comma 15 prevede che ÒEntro il 31 dicembre 2014 il consiglio metropolitano adotta lo statutoÓ. A questo fine l'art. 23, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha modificato il comma 15, in tema di approvazione dello statuto della cittˆ metropolitana, attribuendo alla conferenza metropolitana anzichŽ al consiglio metropolitano la competenza ad approvare lo statuto. (37) Si tratta di una disposizione che pare riecheggiare la l. 25 marzo 1993, n. 81 sullĠelezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale e successivamente confluita negli artt. 71-76 TUEL. In questo senso si veda, in una prospettiva pi ÒstoricaÓ sulle proposte di sistema elettorale, il d.d.l. A.S. 1464 per lĠattuazione dellĠart. 117, comma 2, lett. p), Cost. (38) Secondo il recente d.d.l. cost. (A.C. 1429) dell'8 aprile 2014 il nuovo art. 117, comma 2, lett. p), Cost. sarebbe Òordinamento, organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comprese le loro forme associative, e delle Citta metropolitane; ordinamento degli enti di area vastaÓ. (39) Le funzioni attribuite alle Cittˆ metropolitane, che erano precedentemente delle province, sono tuttavia ancora attribuite alle province fino a data da destinarsi con D.P.C.M. In merito il comma 89 prevede che ÒLe funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data  determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 per le funzioni di competenza statale ovvero  stabilita dalla regione ai sensi del comma 95 per le funzioni di competenza regionaleÓ. area vastaÓ (comma 3) (40) e sono disciplinate transitoriamente ai commi 51100, che ne regolano lĠorganizzazione di governo e le funzioni (41). Gli organi delle province sono il presidente della provincia, il consiglio provinciale e lĠassemblea dei sindaci ed esercitano poteri analoghi a quelli indicati per i corrispettivi tre organi delle cittˆ metropolitane. Inoltre, parallelamente alle cittˆ metropolitane, ciascun organo della provincia si configura come organo di secondo grado e le cariche sono svolte a titolo gratuito (comma 84). LĠassemblea provinciale  composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia ed esercita prevalentemente poteri consultivi, propositivi e di approvazione dello statuto (comma 56). Il presidente della provincia  eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Esso dura in carica cinque anni e il suo mandato  direttamente collegato alla propria carica di sindaco della provincia in base al principio del simul stabunt, simul cadent (commi 59 e 65). Il consiglio provinciale,  lĠorgano di indirizzo e di controllo, dura in carica due anni ed  composto dal presidente della provincia e da un numero variabile tra 16 e 10 componenti, a seconda della popolazione presente sul territorio (commi 67-69). Inoltre, ai commi 70-84 sono indicate le modalitˆ di elezione del consiglio (42). Peraltro, per il presidente della provincia e il consiglio provinciale  previsto che ciascun voto sia ponderato sulla base delle fasce di ripartizione dei comuni disposte per le cittˆ metropolitane ai commi 33 e 34. La ripartizione delle funzioni delle province  regolata ai commi 52 e 8598 e costituisce uno dei principali nodi della riforma ÒDelrioÓ. Le disposizioni si sviluppano su tre livelli: le funzioni fondamentali (commi 85-87), le funzioni esercitate dĠintesa con i comuni (comma 88) e funzioni attribuite dallo Stato e dalle regioni (commi 89-91). Inoltre, secondo il comma 52 Òrestano comunque ferme le funzioni delle regioni nelle materie di cui allĠarticolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione e le funzioni esercitate ai sensi dellĠarticolo 118 della CostituzioneÓ. Tra le funzioni fondamentali figurano: Òa) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonchŽ tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coe (40) Quella del comma 3  unĠulteriore definizione di ÒprovinciaÓ oltre quella giˆ prevista allĠart. 3, comma 3, TUEL, secondo la quale ÒLa provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunitˆ, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppoÓ. (41) Si consideri che i commi 51-100 non si applicano, per espressa previsione del comma 53, alle province autonome di Trento e di Bolzano, nonchŽ alla regione Valle dĠAosta. (42) L'art. 23, comma 1, lett. d), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, non ancora convertito in legge, ha modificato il comma 79 in tema di elezione del consiglio provinciale estendendolo anche al presidente della provincia. renza con la programmazione regionale, nonchŽ costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico- amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunitˆ sul territorio provincialeÓ (comma 85). Tali funzioni, peraltro, sono sottoposte, ai sensi del comma 87, al limite stringente della competenza per materia prevista per lo Stato e per le regioni dallĠart. 117, commi 2, 3 e 4, Cost. Per alcune materie si delineano, inoltre, alcune specifiche previsioni. Ad esempio, in materia di appalti pubblici  consentito alle province di esercitare dĠintesa con i comuni alcune funzioni, quali la Òpredisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettiveÓ (comma 88) (43). Inoltre, lo Stato e le regioni possono attribuire alle province, secondo le rispettive funzioni, alcune funzioni proprie Òal fine di conseguire le seguenti finalitˆ: individuazione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioniÓ (comma 89). In particolare, in base ai commi 91 e 95 lo Stato e le regioni hanno tre mesi per individuare in modo puntuale queste funzioni e le relative competenze, tenendo conto anche delle indicazioni contenute nel comma 96, lett. a), b) e c). A completamento dei precedenti commi sulle funzioni delle province, i commi 92 e 93 prevedono che sia adottato un D.P.C.M. per stabilire i criteri generali per Òl'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzativeÓ connesse all'esercizio delle funzioni assegnate agli enti subentranti alle province e, qualora non sia stata raggiunta unĠintesa in sede di Conferenza unificata, anche funzioni amministrative delle province in materie di competenza statale. Infine, il comma 97 delega il Governo ad adottare entro un anno dallĠemanazione di questĠultimo D.P.C.M. uno o pi decreti legislativi Òin materia di adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi entiÓ, secondo i principi e i criteri direttivi sul rapporto tra funzioni e (43) In quest'ottica muove l'art. 9, comma 4, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni in legge dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che modifica l'art. 33 d.lgs. n. 163/2006 in materia di centrali di committenza. prestazioni essenziali (lettera a)) e sul trasferimento agli enti che subentrano alle province delle risorse finanziarie che non sono necessarie per le funzioni non fondamentali (lettera b)). 6. Conclusioni. La riforma degli enti locali disposta con la l. n. 56/2014 ha inteso rimodulare l'organizzazione delle strutture di governo all'interno di ciascuna regione favorendo il coordinamento tra i rappresentanti dei comuni, di diretta espressione popolare e quindi portatori degli interessi collettivi del proprio territorio di afferenza. Uno dei principali obiettivi, infatti,  quello di creare una forma di rappresentanza che, ispirandosi ai modelli delle economie di scala, favorisca un efficientamento della spesa pubblica attraverso il dialogo interistituzionale. In quest'ottica, la rappresentanza negli organi delle cittˆ metropolitane, delle province e delle unioni e fusioni di comuni  di secondo grado, nel senso che gli organi sono composti sostanzialmente dai rappresentanti dei comuni senza che sia necessaria un'ulteriore votazione a suffragio universale. In tal modo, le forme di rappresentanza assumono una struttura concentrica, nella quale gli organi di governo variano in termini di estensione della rappresentanza a seconda delle funzioni da svolgere, delle esigenze di coordinamento e degli interessi territoriali in questione (44). Non  un caso, e forse nemmeno pu˜ essere considerato un mero slogan politico (45), che le cariche svolte negli organi di governo delle cittˆ metropolitane, nelle province e nelle unioni e fusioni di comuni siano gratuite (commi 24, 84, 108). Ci˜, infatti, dimostra come tale forma di rappresentanza sia intesa non tanto come un nuovo incarico quanto invero come la naturale prosecuzione della carica svolta nel proprio comune. (44) Si tratterebbe, infatti, di un indirizzo in linea con quanto affermato nella Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali del 12 aprile 2013: ÒDevono essere altresi rafforzati gli strumenti di cooperazione e coordinamento istituzionale tra Enti Locali, tra diverse Regioni, tra Stato e RegioniÓ, p. 17. Nel senso che ante riforma ÒDelrioÓ vi era su uno stesso territorio un eccesso di rappresentanza diretta di troppe classe politiche, F. PIZZETTI, La riforma Delrio tra superabili problemi di costituzionalitˆ e concreti obbiettivi di modernizzazione e flessibilizzazione del sistema degli enti territoriali, cit. (45) Tuttavia anche le esigenze di Òfare cassaÓ sono evidenti. Da ultimo, infatti, il d.l. 24 aprile 2014, n. 66, rubricato ÒRiduzione dei costi nei comuni, nelle province e nelle cittˆ metropolitaneÓ, ha inserito il comma 150-bis alla l. n. 56/2014 imponendo che il D.P.C.M. ex comma 92 l. n. 56/2014 preveda anche che Òle Province e le Cittˆ metropolitane assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 100 milioni di euro per l'anno 2014, a 60 milioni di euro per l'anno 2015 e a 69 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016Ó (art. 19). Inoltre, l'art. 47 dello stesso d.l. dispone che, nelle more dell'emanazione di suddetto D.P.C.M., gli stessi enti Òassicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017Ó (comma 1) oltre agli ulteriori contributi previsti nei commi successivi. Tuttavia, il fatto che la stessa legge acconsenta che i meccanismi della rappresentanza di secondo grado delle cittˆ metropolitane possano venire meno attraverso la modifica dello statuto (da approvarsi entro il 31 dicembre 2014) determina, non solo una maggiore flessibilitˆ dello strumento in funzione di una migliore aderenza alle necessitˆ del territorio, ma anche il rischio che si snaturi lo spirito della riforma. Al contrario, la soppressione in sede di discussione al Senato dell'art. 2, comma 2, dell'A.S 1212, che ammetteva la formazione di nuove cittˆ metropolitane tramite la fusione ex art. 133, comma 1, Cost., ha costituito un indice della volontˆ di preservare il disegno unitario della riforma. La volontˆ politica di sopprimere costituzionalmente le province (A.C. nn. 1453 e 1429) non significa che le stesse non possano continuare a esistere se una legge statale ne definisce il territorio, le funzioni, le modalitˆ di finanziamento e l'ordinamento. Del resto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013 ha sottolineato come alla esclusione della garanzia costituzionale di un ente non debba necessariamente conseguire l'abolizione dello stesso (46). Le province, quindi, anche se verranno in futuro espunte dalla Costituzione, potranno - salva diversa previsione - comunque mantenere in base alla l. 56/2014 il ruolo di enti di coordinamento (c.d. pivot) tra comuni, cittˆ metropolitane e regioni. Ad oggi, permangono sicuramente in capo alle province alcune funzioni di area vasta nientĠaffatto marginali, come ad esempio: la pianificazione dei territori e la tutela della valorizzazione dell'ambiente, ma anche in materia di trasporti e di programmazione della rete scolastica e dell'edilizia scolastica e salva, comunque, la possibilitˆ di delega da parte dello Stato e delle regioni di funzioni proprie. In conclusione, nella riforma ÒDelrioÓ traspare un percorso di Òinnovazione nella tradizioneÓ che parte dalla legge n. 142/1990 e attraversa i d.l. nn. 201/2011, 95/2012 e 188/2012, per confluire, attraverso l'implementazione del dialogo multilivello nella gestione del territorio, in una maggiore attuazione dei principi di sussidiarieta , differenziazione, adeguatezza, come enunciati - prima ancora del novellato art. 118 Cost. - nellĠart. 1 della prima legge Bassanini n. 59/1997. (46) In particolare la Corte costituzionale ha escluso nella sent. n. 220/2013 che ÒsullĠordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale - indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dallĠart. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionaleÓ. Pi diffusamente supra par. 4.5. CONTRIBUTI DI DOTTRINA LĠinsostenibile pesantezza economica dei diritti. Nuovo rito speciale sugli appalti pubblici: verso un processo senza giudizio? Adolfo Mutarelli* 1. Le novitˆ del rito ÒspecialissimoÓ sugli appalti (pubblici) introdotte con il decreto legge 90/2014 (pubblicato su G.U. 24 giugno 2014) recante Òmisure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per lĠefficienza degli uffici giudiziariÓ si inscrivono senza alcuna soluzione di continuitˆ nel solco degli interventi normativi sul processo (in particolare quello civile) che, nella mens legis, dovrebbero conseguire lĠeffetto di evitare lĠabuso del processo e di conformare un processo dalla ragionevole durata. Nella riferita prospettiva  chiaro pertanto che il legislatore, sotto il primo profilo,  tenuto a dipanare la propria azione individuando misure idonee a salvaguardare la durata ragionevole del processo e, sotto il secondo profilo, ad elaborare strumenti deflattivi del contenzioso. Va da sŽ che una tale fatica normativa imporrebbe la consapevolezza e la chiarezza dei confini invalicabili tra gli obiettivi perseguiti e i principi insopprimibili del giusto processo. Non guasterebbe peraltro una adeguata tecnica di normazione del tutto latitante in questi tempi di crisi. Basti, a tal ultimo riguardo, e a moĠ di simbolico esempio, il riferimento agli ÒinguacchiÓ della legge Fornero la cui tecnica normativa non ha consentito (nŽ alla dottrina nŽ alla stessa Aran) di dirimere la quaestio (tuttĠaltro che trascurabile) se lo speciale rito stabilito per lĠimpugnazione dei licenziamenti si applichi o meno al pubblico impiego. Di fatto gli operatori del diritto stanno assistendo in questi ultimi anni ad (*) Avvocato dello Stato. Pubblicazione anticipata sul sito giuridico Judicium - Il processo civile in Italia e in Europa - www.judicium. it. una proliferazione di riti (sia nel processo civile che in quello amministrativo) variamente ÒacceleratiÓ talora in ragione dei diritti coinvolti e talaltra in ragione di sottesi interessi economici. In taluni casi lĠaccelerazione impressa non tiene (volutamente o adeguatamente) conto dei principi cardine del giusto processo sacrificati alla perseguita ragionevole durata dello stesso dimenticando che il criterio di ragionevolezza  proprio delle leggi prima che misura di durata del processo. SicchŽ per Òprocesso giustoÓ di cui allĠart. 111 Cost. deve intendersi un processo disciplinato da leggi ordinarie non irragionevoli e cio rispettose dei principi di effettivitˆ di tutela alla cui garanzie deve essere informato il processo. NellĠindicata prospettiva particolare attenzione deve essere riservata dal legislatore allĠintroduzione di misure deflattive ed al loro confine con inammissibili misure di deterrenza verso la tutela giudiziaria. Deve viceversa osservarsi che il legislatore del processo di questi ultimi mentre sembra aver chiari gli obiettivi ÒeconomiciÓ cui il processo deve rispondere, si disinteressa poi di realizzare riforme (pur indubitabilmente necessarie) rispettose dei principi propri dello stesso. La legislazione tende in tal modo verso un processo senza giudizio o, meglio, ad un giudizio qualunque purchŽ temporalmente delimitato e, se possibile, meglio ancora che il cittadino si rivolga a strumenti alternativi. é evidente che il processo viene in tal modo caricato di una funzione ulteriore e diversa rispetto alla sua primaria funzione, ossia il ÒgiustoÓ accertamento del diritto tra le parti in causa; funzione, evidentemente, ritenuta Òper ragione di StatoÓ recessiva rispetto allĠinteresse della collettivitˆ alla velocizzazione del processo. Un processo cos“ connotato  evidente espressione della crisi economica del Paese e disegna un percorso verso un modello sempre pi standardizzato e procedimentalizzato inidoneo a garantire il rispetto dei diritti oggetto di tutela, diritti sacrificati sullĠaltare di un inedito principio di Òragionevolezza economicaÓ. Sembra quasi che il sistema economico incalzi il sistema del processo (e lo stesso fondamentale assunto per cui non esiste diritto senza lĠapprontamento di effettivi strumenti per la sua tutela) proponendo mere misure congiunturali dimenticando che, a differenza dellĠeconomia, la tutela giudiziaria che deve essere garantita al cittadino (come allĠimpresa) non postula un andamento ciclico ma la continuitˆ dei suoi principi. 2. In tale contesto deve pertanto inquadrarsi anche la recentissima riforma sul rito degli appalti pubblici che offre dellĠaccelerazione del processo la sua versione pi esasperata come a dire: tra i riti accelerati vi  un rito accelerato pi uguale degli altri. In questo caso il legislatore, consapevole della fragile complessitˆ delle procedure di affidamento degli appalti pubblici e della eterogeneitˆ degli enti (talora di modestissimo rilievo organizzativo) chiamati ad applicarle, ha ope DOTTRINA 321 rato sullĠopposto versante del processo prevedendone un ulteriore appesantimento economico (in particolare) per la parte ricorrente e imponendo una disinvolta accelerazione nel rispetto della quale un giudizio di primo grado dovrebbe chiudersi pi o meno negli stessi tempi accordati dalla l. 241/1990 alla pubblica amministrazione in tema di procedimento amministrativo. ÒIl giudizio - cos“ recita il nuovo testo del 6Ħ comma dellĠart. 120 c.p.a. ferma la possibilitˆ della sua definizione immediata nellĠudienza camerale ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata dĠufficio e da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza  dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando  necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto dei termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata con lĠordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o lĠintegrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per lĠesigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorniÓ . In presenza del termine perentorio stabilito dal nuovo 9Ħ comma dellĠart. 120 c.p.a. per il deposito della sentenza, la previsione dellĠadozione in via obbligatoria della sentenza in forma semplificata costituisce un inutile esproprio della discrezionalitˆ del Tribunale che, in ragione dellĠart. 74 c.p.a., giˆ poteva adottare la forma semplificata nei casi di Òmanifesta fondatezza, ovvero manifesta irricevibilitˆ, inammissibilitˆ, improcedibilitˆ o infondatezza del ricorsoÓ. é peraltro una prescrizione formale che non tiene conto di come proprio in materia di appalti il consolidarsi di una motivata giurisprudenza costituisce ex se deterrente alla luce dei costi elevati di iscrizione a ruolo del ricorso rispetto alla promozione di ricorsi analoghi. A ci˜ si aggiunga che la semplificazione della sentenza dovrebbe trovare giustificato contraltare nella chiarezza e semplicitˆ delle procedure di affidamento il che, evidentemente, non . Rischio non calcolato  pertanto il possibile aumento del ricorso al giudice di appello, con lĠeffetto perverso che invece di un solo giudizio di primo grado se ne avranno due accelerati e semplificati. Non sembra un gran risultato. Forse in sede di conversione potrebbe prevedersi lĠobbligatorietˆ della forma semplificata per il solo giudice di appello cui le parti ricorreranno esclusivamente se la motivazione ritenuta Òliberamente congruaÓ dal giudice di primo grado non sia soddisfacente. Non sembra infatti idoneo a soddisfare esigenze di tutela della certezza in materia di affidamenti cautelarizzare entrambi i gradi di giudizio, che rimane pur sempre un giudizio di merito. Peraltro la proposta innovazione sembra andare nel senso di una crescente deprofessionalitˆ della giustizia amministrativa cui, proprio su di una materia tra le pi qualificanti della sua giurisdizione, viene chiamata ad un intervento decisionale ÒsemplificatoÓ che certo non arricchisce il contributo di chiarifi cazione che ordinariamente viene offerto dalla giurisprudenza in tema di appalti il quale allorchŽ si consolida, contribuisce a realizzare un effetto deflattivo del contenzioso di tutto rilievo. Cos“ inaspettatamente leggeremo articolate motivazioni delle sentenza su materie dal rilievo economico-normativo del tutto marginale e sentenze semplificate nella materia complessa ed economicamente onerosa degli affidamenti degli appalti pubblici. Sotto altro convergente profilo la decisione semplificata rischia di stimolare i ricorsi pi avventurosi che, come certo avverrˆ, fonderanno il loro ÒpropriumÓ pi sulla presumibile incapacitˆ di unĠefficace e tempestiva risposta defensionale dellĠAmministrazione che sul buon diritto della parte ricorrente. Si considerino al riguardo i termini ÒscannatoriÓ che le nuove norme concedono alla parte resistente che deve costituirsi entro trenta giorni dalla avvenuta notificazione del ricorso e curare i termini per il deposito di documenti, memorie e repliche nel rispetto dei termini Òa gamberoÓ di venti, quindici e dieci giorni dallĠudienza. Non sembra invero che tempi cos“ serrati consentano adeguata reazione processuale della parte pubblica resistente in cui, per chi ha contezza di tale tipo di contenziosi, uno stesso ufficio competente per gli affidamenti potrebbe essere chiamato a pi risposte processuali su tutti gli appalti in aggiudicazione. Se  indubitabile che il costo della lentezza giudiziaria finisce per scaricarsi sulle tasche dei cittadini, costituisce maggior costo economico e sociale per gli stessi che il legislatore non metta in grado lĠamministrazione di difendersi adeguatamente sul fronte dei pubblici affidamenti. La difesa della parte pubblica infatti costituisce un diga di contenimento della spesa pubblica cos“ come la trasparenza ed efficaci controlli sarebbero stata idonei ad evitare lo scandalo del ÒMoseÓ di Venezia, viceversa esondato. La preoccupazione che il provvedimento in esame non colga lĠobiettivo di contenere la spesa pubblica in materia di affidamenti trova, per dir cos“, ulteriore ÒconfortoÓ nella delineata deprofessionalizzazione della magistratura amministrativa ma anche nella burocratizzazione del ruolo dellĠAvvocatura dello Stato, rispetto alla sottrazione dei compensi professionali (art. 9 d.l. 90/2014) ai suoi avvocati viene giustificata con una irragionevole perequazione con i dirigenti pubblici. SicchŽ tale misura sembra costituire solo un tassello di un intuibile piano di parificazione tra dirigenti e avvocati dello stato che, quale ulteriore tassello, comporterˆ con il tempo (neanche troppo) il risucchio di tale professionalitˆ allĠinterno dei Ministeri con buona pace del- lĠautonomia e alteritˆ di un Istituto che ha guidato le Casse Erariali dalla fine del 1800 passando tra ben due guerre mondiali. Anche questa deprofessionalizzazione degli avvocati dello stato non sembra certo idonea a potenziare, se questo si intendeva perseguire, la risposta processuale in tema di appalti da parte delle molteplici amministrazioni ammesse a patrocinio (istituzionale, obbligatorio o facoltativo) dellĠAvvocatura dello Stato. La demagogia, come la fretta, non  certo buona consigliera. DOTTRINA 323 Si consideri inoltre che la nuova disciplina dettata in materia di ricorsi in tema di appalti pubblici non  sagomata in relazione al Òvalore dellĠappaltoÓ per cui per quelli di minor importo, avuto riguardo agli oneri economici di iscrizione a ruolo del ricorso e di quelli ipotizzabili alla luce dellĠart. 26 c.p.c. come riformato dal decreto legge in esame, il ricorrente dovrˆ attentamente valutare lĠopportunitˆ del ricorso con il criterio Òdella soglia di convenienza economica di rischioÓ. Ci˜ comporterˆ un effetto di deterrenza per cui i provvedimenti di aggiudicazione, pur se illegittimi, tenderanno a consolidarsi per mancata impugnazione e ci˜ produrrˆ aggiudicazioni meno vantaggiose per la pubblica amministrazione e, cosa ancor pi grave, con buona pace dellĠimparzialitˆ e del buon andamento della cosa pubblica. Inutile chiedersi cosa avviene se, dopo lĠimpugnazione introduttiva, venga emesso un nuovo provvedimento suscettibile di impugnazione attraverso i c.d. motivi aggiunti impropri. Su questo punto va registrato il silenzio assordante dellĠart. 40 d.l. 90/2014 che tace sia rispetto alla modulazione della disciplina del nuovo processo a regime ma anche con riferimento al regime transitorio. A tal ultimo riguardo non  intellegibile se motivi aggiunti impropri depositati dopo lĠentrata in vigore del decreto legge in esame assorbano o siano, viceversa, assorbiti dal regime processuale del ricorso introduttivo depositato prima dellĠentrata in vigore del d.l. 90/2014. 3. Giˆ da un primo e superficiale esame Òa caldoÓ degli illustrati limitati aspetti del nuovo processo dettato per lĠaccelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici pu˜ agevolmente desumersi la conferma di un trend ordinamentale che alla ragionevole durata giuridica del processo va sostituendo una ragionevolezza economica della durata processo che, disinteressandosi del giudizio sui diritti azionati in causa, postula la mera sopportabilitˆ del peso economico processuale per la collettivitˆ. Se, infatti, per la collettivitˆ il processo si riduce solo ad una res inter alios acta e non  pi strumento di disciplina e pacificazione dei rapporti sociali e di certezza del diritto, il tempo riservato al giudizio dovrˆ essere solo economicamente sostenibile. E anche questo non sembra un passo avanti. Non sembra in definitiva che il decreto legge in esame abbia in materia trovato un corretto punto di equilibrio tra processo e giudizio finendo con spingere lĠaccelerazione del primo oltre una legittima compressione del secondo. Procedendo per tal via, raggiunta la stabilitˆ economica, andrˆ verificata e ricostruita la corretta distanza tra processo e giudizio. E questo obiettivo  tuttĠaltro che agevole non essendo traducibile in parametri economici. Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari Angela Fragomeni* SOMMARIO: 1. Breve sintesi della problematica secondo la giurisprudenza del giudice civile e del giudice amministrativo di primo e secondo grado - 2. Segue. Le nuove Adunanze Plenarie del 2014 nel solco dellĠAdunanza 4/2011 - 3. Il punto di vista comunitario: principi e giurisprudenza della Corte di giustizia sul tema dellĠeffettivitˆ della tutela giurisdizionale e del giusto processo: uno sguardo particolare alle nuove direttive appalti e concessioni pubblicate nella G.U.C.E. del 28 marzo 2014 - 4. Le divergenze intorno al concetto di oggetto del processo amministrativo e di domande giudiziali - 5. Brevi conclusioni: opportunitˆ di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della problematica in oggetto - 6. Segue. Il rischio di azioni di risarcimento danni contro il Governo italiano sia in sede comunitaria che interna. 1. Breve sintesi della problematica secondo la giurisprudenza del giudice civile e del giudice amministrativo di primo e secondo grado. Nel processo amministrativo la domanda giudiziale assume la forma del ricorso, attraverso il quale viene introdotto il giudizio. LĠintroduzione del giudizio con ricorso  rimasta ferma anche quando  stata attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva, in cui si ammettono azioni di accertamento. Non  venuta meno neanche quando il processo si  svolto in assenza dellĠimpugnazione di un provvedimento, ovvero nei casi di questioni risarcitorie nonchŽ di richieste di accertamento della nullitˆ degli atti amministrativi, ai sensi dellĠart. 21-septies della l. 241/1990, ed oggi dellĠart. 31 c.p.a. Posto quindi che il modello del ricorso, quale mera forma dellĠatto introduttivo,  rimasto invariato nel rito ordinario e negli altri riti processuali,  rimasta preclusa lĠutilizzabilitˆ nel processo amministrativo dellĠatto di citazione. Del resto si consideri che col termine <> nel processo amministrativo non si fa riferimento ad un atto introduttivo che viene presentato allĠorgano giurisdizionale prima dellĠinstaurazione del contraddittorio con le parti interessate, poichŽ di norma il ricorso viene prima notificato alle altre parti ed in seguito depositato ai sensi dellĠart. 45 c.p.a. é notorio peraltro come la dottrina, impegnata nella ricostruzione delle principali caratteristiche strutturali del processo amministrativo, abbia molto dibattuto in ordine alla riconduzione di questĠultimo ai processi di citazione o da ricorso (1). Il tema, un tempo, veniva sviluppato nel contesto della configurazione del processo come processo di parti, coniugando il rilievo del contraddittorio (*) Avvocato del libero Foro. (1) TROPEA G., Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, ESI, Napoli, 2007, p. 61 e ss. DOTTRINA 325 con i principi Òne eat iudex ultra petita partium et iudicare iuxta alligataÓ (2). Si riteneva quindi che il processo amministrativo - pur se tra parti - fosse da considerare <>, perchŽ in gioco sarebbe stata lĠaffermazione del- lĠinvaliditˆ di un atto amministrativo, e non un rapporto giuridico. Seguendo tale schema, quindi, lĠatto determinativo del processo amministrativo veniva qualificato come vocatio iudicis e non come vocatio in ius, come invece negli ordinari processi di cognizione. Il ricorso era teleologicamente orientato quindi ad individuare il giudice della controversia. Il processo da ricorso si caratterizzava quindi per il fatto di essere diretto ad assicurare una decisione su controversie che non fossero paritarie. Questa impostazione, a lungo avallata dalla dottrina, nonchŽ dalla stessa giurisprudenza, tuttavia non  stata immune da critiche: secondo un differente orientamento, infatti, le norme che dispongono che il ricorso debba essere notificato entro i termini stabiliti a pena di decadenza identificano in tale momento lĠinizio del rapporto processuale; lĠonere del deposito costituirebbe un mero adempimento che condiziona lo svolgimento del processo e la cui inosservanza determina lĠestinzione del processo giˆ sorto (3). Recentemente, invece, evidenziandosi la circostanza che lĠadempimento imposto al ricorrente ai fini del rispetto del termine  costituito non dal deposito del ricorso, ma dalla notifica del medesimo allĠamministrazione e al controinteressato, si  ritenuto che tuttĠal pi si possa parlare di una forma mista, di un compromesso risultante dalla sommatoria delle due modalitˆ, in cui il deposito avrebbe valore di un adempimento che condiziona la costituzione di un processo giˆ istituito (4). LĠevoluzione normativa di alcuni istituti del processo, nonchŽ le norme che nei giudizi dĠimpugnazione o incidentali qualificano come proposta la domanda con la sua notificazione, si pongono in contrasto col rigido formalismo. Anche il richiamo al modello originario del ricorso in cassazione non sembra attendibile dal momento che la limitazione della cognizione del fatto non sembra pi sostenibile come base di tale accostamento. Lo stesso legislatore del (2) La tesi esposta nel testo  di BENVENUTI F., voce ÒContraddittorioÓ, in Enc. Dir., IX, Milano 1961; voce ÒProcesso amministrativoÓ (struttura), in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987. (3) PIRAS A., Interesse legittimo e giudizio amministrartivo, in Noviss. Dig. It., XIII, Torino, 1966, p. 1080. (4) CORLETTO D., La tutela dei terzi nel processo amministrativo, Cedam, Padova, 1992, p. 169 e ss. Secondo lĠAutore, la rilevanza dellĠonere di deposito sarebbe semplicemente quella di un adempimento che condiziona la costituzione di un processo giˆ istituito: secondo questa tesi, in un vero e proprio processo da ricorso dovrebbe essere possibile la domanda a prescindere dalla notifica ai controinteressati. Ed ancora, CORLETTO D., in La tutela dei terzi, p. 177: ÒLĠaver imposto al ricorrente il compito di garantire la posizione dei contro interessati secondo il modello processualcivilistico della preventiva citazione ha creato un punto di contraddizione ovverosia una strettoia pratica e concettuale dalla quale sono derivate una serie di conseguenze negative, a partire dalle difficoltˆ che si incontrano nella costruzione di una teoria delle parti del processo amministrativo, alle lacune nella garanzia dei controinteressati fino alla differenziazione, che pare indifendibile, fra contro interessati, che sono parti necessarie e altri che pure a paritˆ di posizione sostanziale tra i primi, non lo sonoÓ (La tutela dei terzi, p. 177). processo civile ha dimostrato che lĠimpiego del processo Ò da ricorsoÓ non rileva tanto al fine teorico di distinguere la posizione dedotta o il tipo di rapporto tra le parti, ma a quello di rendere pi spedito lĠiter processuale. SicchŽ si ritiene che la distinzione tra processo da citazione e da ricorso non abbia alcuna conseguenza sullo svolgimento del giudizio e neppure in relazione alla configurazione dei rapporti tra le parti nonchŽ fra le parti ed il giudice. Il legislatore del c.p.a. menzionando negli artt. 34, 35, 40 la parola <> conferma lĠidea tradizionale secondo cui il processo amministrativo si manifesta come processo da ricorso, portando ad identificare nellĠatto introduttivo la funzione di editio actionis e non quella di vocatio in ius, individuandosi la litispendenza nel deposito del ricorso. Inoltre lĠart. 49 c.p.a. lˆ dove prevede che lĠintegrazione del contraddittorio non  ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestatamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato, pare ammettere la pronuncia della domanda del ricorrente senza che tutte le controparti vengano intimate, conclusione che si pone in profondo dissidio col giudizio su citazione (5). Con particolare riferimento al dato sistematico, e volgendo lo sguardo dellĠosservatore al giudizio sul rapporto, le questioni coinvolte sono di non poco momento: basti pensare allĠistanza costituzionale dellĠeffettivitˆ della tutela, e di conseguenza, alla considerazione dei limiti e dellĠoggetto dellĠaccertamento del g.a., sia sui comportamenti dellĠamministrazione, sia nella definizione di ci˜ che spetta al privato, col relativo vincolo a carico dellĠautoritˆ nellĠambito del riesercizio del potere (6). In tal senso, la problematica  inerente al contraddittorio processuale e pu˜ essere inquadrata sul piano statico, ritenendo che lĠindividuazione delle parti non avviene nel momento in cui la p.a. cristallizza la situazione reale mediante estrinsecazione del potere nel provvedimento, bens“ al momento della valutazione degli interessi in gioco. Tale aspetto viene valutato alla luce del meccanismo ex art. 102 c.p.c., sebbene quel che appare in realtˆ pi interessante  il profilo dinamico (7). Appare chiara, almeno in apparenza, la conferma del processo amministrativo come processo di diritto soggettivo e di parti, connotato dal principio della domanda e dal dovere di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Oltre a trovare immediata tutela nella Carta Costituzionale, con particolare riferimento al cittadino nei confronti della p.a., lo tratta altres“ il c.p.a., laddove lĠiniziativa processuale si sostanzia nella notifica e nel deposito dellĠatto introduttivo. Inoltre le sole parti delimitano lĠoggetto del giudizio ed  escluso un concorrente potere del giudice. DĠaltra parte, nonostante il codice del processo abbia avuto lĠoccasione dĠindicare il principio della domanda tra (5) GALLO C.E., Manuale di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2012, p. 125. (6) CORSO G., Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2010, p. 232. (7) VERDE G., Norme processuali ordinarie e processo amministrativo, in Foro It., 1985, fasc. V, p. 157 e ss. DOTTRINA 327 quelli generali, il vincolo del giudice ai limiti della domanda  stabilito allĠart. 34, comma 1, che fa riferimento alla necessitˆ che il giudice, nellĠaccogliere il ricorso, si pronunci Òentro i limiti della domandaÓ. Laddove il giudizio preveda la presenza, accanto alle parti necessarie anche del c.d. controinteressato, questĠultimo (mentre per il resto  del tutto parificato allĠamministrazione resistente, nel senso che pu˜ avvalersi degli strumenti dialettici, e documentali difensivi)  talvolta legittimato ad avvalersi di un ulteriore specifico mezzo di difesa che incide profondamente sullĠeconomia processuale, ovverosia il ricorso incidentale. Il controinteressato pu˜ spingersi al di lˆ di una pura e semplice contestazione delle censure dedotte dal ricorrente contro il provvedimento di cui  beneficiario. Il ricorso incidentale consente di proporre formale impugnazione contro lo stesso provvedimento oggetto dellĠimpugnazione principale, o ad altro strettamente connesso, per far valere contro questĠultimo un vizio differente rispetto a quelli dedotti dal ricorrente, nonchŽ tale da condurre, nellĠipotesi di accoglimento, allĠannullamento dellĠatto a favore del ricorrente incidentale, nonchŽ alla sopravvenuta carenza dĠinteresse in capo al ricorrente principale. LĠinteresse nascente in capo al ricorrente principale  determinato da un vantaggio possibile dal provvedimento impugnato. La sua posizione invece  qualificata dalla conservazione di tale vantaggio. A tal fine, infatti,  proteso lĠinserimento nel giudizio di un thema decidendum accessorio, non caratterizzato quindi dal carattere dellĠautonomia. Presupposto di ammissibilitˆ dellĠampliamento del thema decidendum derivante dalla proposizione del gravame incidentale  la circostanza che lĠinteresse allĠimpugnazione dello stesso o di un atto diverso nasca in occasione e per effetto dellĠimpugnazione in via principale ed in funzione solo di questa, giacchŽ diversamente verrebbe ad essere elusa la perentorietˆ dei termini fissati dalla legge per la verifica di legittimitˆ dei provvedimenti amministrativi. Il ricorso incidentale, pertanto, dovrebbe avere natura accessoria rispetto a quello principale. Stando al significato letterale del termine ÒaccessorioÓ, accessorium sequitur principale, il ricorso principale potrebbe pertanto esser dichiarato inammissibile o infondato senza che sia necessario approfondire le ragioni del ricorrente incidentale. Soltanto in caso di favorevole sito del ricorso principale il Giudice sarebbe tenuto a prendere in esame il ricorso incidentale. Non sempre, tuttavia, la dinamica processuale  cos“ lineare, dal momento che il ricorso incidentale potrebbe contenere cesure o meglio eccezioni che hanno un carattere assorbente o paralizzante del ricorso principale. LĠorientamento tradizionale della giurisprudenza, sia in materia civile che amministrativa,  stato nel senso che il ricorso incidentale andrˆ esaminato dopo quello principale e, solo nel caso di riconosciuta ed astratta fondatezza di questĠultimo, andrˆ preso in considerazione, poichŽ in genere esso opera come eccezione processuale in senso tecnico e subisce una deroga laddove sia proposto un ri corso incidentale tendente a paralizzare lĠazione principale per ragioni di ordine processuale. LĠorgano giudicante sarˆ evidentemente tenuto a dare la precedenza alle questioni sollevate dal controinteressato, ovverosia dal ricorrente incidentale che abbiano prioritˆ logica su quelle sollevate dal ricorrente principale. In sostanza il ricorso incidentale  una vera e propria eccezione che tende a paralizzare il ricorso principale, perchŽ il controinteressato, chiedendo unĠutilitˆ maggiore rispetto a quella attribuitagli dallĠamministrazione con il provvedimento contestato, oppure di attribuire uno svantaggio ulteriore nei confronti del ricorrente sfuggito alla valutazione dellĠamministrazione aspira alla declaratoria dĠinammissibilitˆ del ricorso principale stesso per carenza dĠinteresse. Ecco spiegata la ragione per cui, spesso, la giurisprudenza  portata ad esaminare in via preliminare il ricorso incidentale per verificare se, innanzitutto, sia fondata la motivazione posta a suffragare il ricorso incidentale, con la quale si contesta al ricorrente principale il possesso di un requisito di partecipazione al concorso, oppure si censura lĠoperato dellĠamministrazione. La giurisprudenza si  a lungo interrogata, quindi, sulle prioritˆ da dare, ovverosia dare la precedenza al ricorso proposto cronologicamente per primo dal ricorrente principale ovvero dare la prioritˆ a quello avanzato dal controinteressato ricorrente incidentale? (8). Non  stato semplice nŽ lineare rispondere al suddetto quesito. TuttĠaltro. In un primo momento, infatti, ci si  orientati nel senso di effettuare una valutazione caso per caso, verificando di volta in volta se convenga esaminare prima il ricorso principale o quello incidentale. Successivamente, invece, si  sostenuto che bisogna sottoporre allĠesame del giudice il ricorso incidentale (9) nel momento in cui sia diretto a contestare il possesso del requisito di partecipazione alla procedura concorsuale del ricorrente principale (10). La giurisprudenza comunitaria si  pronunciata di recente in materia di ricorsi con riferimento allĠaggiudicazione di appalti pubblici. Si  data la prioritˆ al valore concorrenziale della normativa processuale sovranazionale: pertanto dato che lĠinteresse maggiore  costituito dallĠaggiudicazione disposta in favore della migliore offerta che possa essere conseguita, se il secondo in graduatoria propone un ricorso, ancorchŽ non abbia i requisiti per conseguire lĠaggiudicazione, che non siano posseduti neppure dallĠaggiudicatario (nelle vesti del ricorrente incidentale), il primo vanta un interesse (8) LEONE G., Elementi di diritto processuale amministrativo, III edizione, Cedam, Roma, 2014, p. 194. (9) In tal caso si parla del c.d. ricorso escludente, in particolare se proposto in vicende contenziose riguardanti pubbliche gare dĠappalto: quello in cui il ricorrente incidentale assume che tutte le ricorrenti principali avrebbero dovuto essere escluse dalla procedura selettiva, con la conseguente sopravvenuta carenza di legittimazione a contrastare i risultati di una gara rispetto alla quale lĠinteresse azionato avrebbe assunto il carattere di mero fatto. (10) Nel caso in oggetto si contestava lĠammissione alla gara del ricorrente principale per carenza dei requisiti di partecipazione: qualora venisse accolta la censura, il ricorrente sarebbe titolare di un mero interesse o interesse semplice, non anche di un interesse legittimo (Adunanza Plenaria n. 4/2011). DOTTRINA 329 strumentale alla reintegrazione della gara degno di esser preso in considerazione (11). A ben guardare, giˆ a partire dagli anni Ġ90, una consistente giurisprudenza osservava che, nel caso in cui sia proposto un ricorso incidentale tendente a paralizzare lĠazione principale per ragioni di ordine processuale, il giudice sarˆ tenuto a dare la precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente incidentale che abbiano prioritˆ logica su quelle sollevate dal ricorrente principale. Tali sono le questioni che si riverberano sullĠesistenza della legittimazione e interesse a ricorrere del ricorrente principale, perchŽ, pur profilandosi come questioni di merito, producono effetti sullĠesistenza di una condizione dellĠazione e quindi su una questione di rito. é questo il caso del ricorso proposto in ordine ad un aspetto del procedimento in contestazione che incide sulla stessa legittimitˆ della partecipazione del ricorrente. Si pensi allĠipotesi del ricorso principale proposto dal concorrente non vincitore di una gara o di un concorso contro la graduatoria di selezione. In tale ipotesi, quando il ricorso incidentale si rivolge contro lĠammissione del ricorrente principale, si prospetta una questione riguardante la stessa legittimazione ad agire, che ha prioritˆ rispetto alle altre. In concreto, tale giurisprudenza riteneva che in materia di gare dĠappalto lĠesame del ricorso incidentale deve precedere lĠesame del ricorso principale qualora lĠimpresa vincitrice deduca che lĠimpresa pretermessa doveva essere in radice esclusa dalla gara. La giurisprudenza aveva ribadito che fosse necessario passare attraverso la proposizione del ricorso incidentale per poter contestare la legittimazione del ricorrente principale. LĠorientamento della giurisprudenza immediatamente successivo invece, con specifico riferimento allĠordine dĠesame di ricorso principale ed incidentale in caso di gara dĠappalto con due soli concorrenti utilmente classificati (ovverosia ricorrente principale e ricorrente incidentale)  stato differente. Fermo restando lĠesame prioritario del ricorso incidentale tendente a paralizzare (12) lĠazione del ricorrente principale, si  affermato che anche laddove vi fosse (11) Principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, se siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti lĠintervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel giudizio amministrativo, di guisa che la res controversa risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese. (12) Il supremo consesso amministrativo che si  espresso in materia di aggiudicazione di contratti pubblici ha stabilito che il giudice amministrativo, una volta accolto il ricorso incidentale a carattere paralizzante, ovverosia volto allĠesclusione dalla gara del ricorrente principale e accertato, quindi che avrebbe dovuto essere escluso, deve di regola dichiarare lĠinammissibilitˆ del ricorso principale per carenza di legittimazione del ricorrente. Tale regola viene ritenuta compatibile coi principi espressi dalla direttiva c.d. ricorsi n. 2007/66/Ce, della non discriminazione tra le imprese al fine di deduzione di un pregiudizio nellĠambito della procedura di aggiudicazione dellĠappalto e abbia subito o rischi di subire una lesione della sua posizione (Cons. di Stato, sez. VI, sentenza 15 giugno 2011, n. 3655). stato lĠaccoglimento del ricorso incidentale, quello principale comunque non sarebbe stato improcedibile. Nella fattispecie di gare con due soli concorrenti utilmente classificati, il ricorrente principale vanterebbe un interesse allĠesame nel merito della sua impugnazione anche qualora lĠaccoglimento del ricorso incidentale, ex adverso proposto, abbia in qualche modo pregiudicato la possibilitˆ di conseguire in via immediata lĠappalto. Tale interesse secondario sopravviverebbe allĠeffetto di paralisi che lĠaccoglimento del ricorso incidentale determina sullĠinteresse primario allĠaggiudicazione, perseguito dal ricorrente principale. In tale ipotesi, difatti, in caso dĠinfondatezza di entrambi i ricorsi, potrebbe apparire pi congrua una decisione che disponendo lĠannullamento degli atti contestati, determini il rinnovo delle operazioni concorsuali. Rimane pur sempre pacifico il fatto che, laddove ricorra la fondatezza del ricorso incidentale, il ricorrente principale potrebbe vantare un interesse strumentale al rinnovo della gara. Il ricorrente incidentale, invece, attraverso lĠaccoglimento della propria domanda otterrebbe un risultato utile che consiste nella possibilitˆ di partecipare al provvedimento. QuestĠorientamento, tuttavia, non  stato privo di critiche in quanto vi erano decisioni che ribadivano lĠimpostazione tradizionale in ordine alla quale il criterio generale di rito non pu˜ trovare deroga nellĠipotesi in cui i ricorsi siano stati proposti dagli unici due rappresentanti alla gara dĠappalto. é vero, infatti, che lĠaccoglimento del ricorso incidentale inerente ad una causa di esclusione dalla gara del ricorrente principale inciderebbe sullĠimprocedibilitˆ del ricorso principale, basandosi sul mero riscontro della perdita di legittimazione e, quindi, sul venir meno di una condizione dellĠazione, la quale dovrˆ invece permanere in capo allĠistante fino alla decisione. Anche considerando lĠeventualitˆ appena esposta, lĠaccoglimento del ricorso incidentale metterˆ in discussione lo stesso titolo di legittimazione dellĠimpresa originaria ricorrente a proporre il gravame principale. Per effetto di tale accoglimento, in- vero, lĠimpresa medesima risulta esclusa dalla gara dĠappalto in materia, il che vuol dire che viene meno la legittimazione stessa della ricorrente originaria al- lĠimpugnazione: la legittima partecipazione alla gara risulta quale necessario presupposto ai fini della legittimazione, che radica (nellĠimpresa concorrente) lĠinteresse ad impugnare lĠaggiudicazione e, di contro, lĠestromissione dalla procedura concorsuale. La legittimazione sarˆ fonte della perdita del titolo a dedurre vizi inerenti alle ulteriori fasi della procedura medesima, atteso che, nel vigente ordinamento processuale, chi non ha la legittimazione allĠimpugnazione non pu˜ far valere vizi a carico del controinteressato. A ben guardare, permangono e possono essere definite ancora come emblematiche alcune questioni di fondo: esistono alcuni riti speciali, come quello in materia di appalti pubblici, servizi e forniture, ex artt. 120 e ss. c.p.a., rispetto ai quali si dibatte circa lĠeventuale attuazione del principio dispositivo della domanda. In generale, si registrano alcuni orientamenti pro DOTTRINA 331 cessuali che, a garanzia di rilevanti istanze, anche comunitarie, di effettivitˆ della tutela portano a conclusioni non in linea col carattere soggettivo e di parte della tutela (13). A tal punto sembra opportuno fare una breve panoramica sullĠorientamento dal giudice amministrativo. Secondo una posizione ÒtradizionaleÓ  esclusa la titolaritˆ di una posizione giuridica soggettiva quando il ricorrente principale avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per mancanza dei requisiti. Secondo un differente orientamento, invece, nel momento in cui il ricorrente principale vanta la tutela di un interesse solamente ÒstrumentaleÓ, vale a dire alla mera riproposizione della gara, si parla dĠinammissibilitˆ del ricorso. Un ulteriore orientamento minoritario, invece, ha sostenuto che dapprima deve essere esaminato il ricorso principale e, solo nel caso di fondatezza, sorge lĠinteresse dellĠaggiudicataria allĠesame del suo ricorso incidentale, avente quindi carattere accessorio. Per quel che concerne il concetto dĠinteresse strumentale, questo sarebbe privo di attualitˆ e concretezza, dal momento che la stazione appaltante non  tenuta a pubblicare un nuovo bando, essendo tale scelta puramente discrezionale e dipendente dal verificarsi di alcuni presupposti, quali la permanenza delle condizioni per lĠesecuzione dellĠopera, nonchŽ la disponibilitˆ finanziaria. La relativa pretesa, inoltre, non sarebbe azionabile in sede dĠottemperanza del giudicato: ci˜ che  proprio di ogni situazione soggettiva avente la consistenza dĠinteresse legittimo. Dunque quel che occorre rimeditare  la configurazione dellĠinteresse al rinnovo della gara come interesse legittimo. Si noti che, il principio sancito dallĠAdunanza Plenaria del 2008, in un giudizio limitato a soli due classificati, vanificherebbe lĠinteresse strumentale, dal momento che lĠaccoglimento simultaneo dei ricorsi principale e incidentale, nonchŽ la reciproca esclusione dei due contendenti avvantaggerebbe il terzo classificato, rimasto estraneo al giudizio. Per poter giustificare lĠinteresse strumentale allĠannullamento della gara, il ricorrente principale dovrebbe proporre ricorso anche nei confronti di tutti gli altri in graduatoria e chiederne lĠesclusione. Solo laddove tutti fossero esclusi lĠaccoglimento dei ricorsi comporterebbe lĠannullamento dellĠintera procedura. Tale appare la conclusione cui si  giunti qualche anno dopo con la pronuncia del supremo consesso amministrativo (14), in cui il ricorrente principale a fronte del ricorso incidentale dellĠaggiudicatario, per fondare il proprio interesse strumentale allĠannullamento della gara, aveva proposto censure anche contro lĠammissione in gara della terza classificata, scatenando le impugnazioni incrociate di tutti i concorrenti. La soluzione data dalla pronuncia in parola sembra avere un risvolto pratico: evitare la proliferazione del (13) CONTESSA C., Tendenze evolutive del processo amministrativo tra disponibilitˆ delle parti e controllo di legalitˆ, in www.giustizia-amministrativa.it. (14) Adunanza Plenaria Cons. St. n. 4 del 2011. contenzioso, concetto diametralmente opposto a quello di giustizia (15). 2. Segue. Le nuove Adunanze Plenarie del 2014 nel solco dellĠAdunanza 4/2011. Ribaltando le conclusioni accolte nel 2008, con la Plenaria n. 4 del 2011 si  affermato il principio di diritto per cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere riesaminato anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi lĠinteresse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura. LĠesame prioritario del ricorso principale sarebbe ammesso, invece, per ragioni di economia processuale, solo qualora fosse evidente la sua infondatezza, inammissibilitˆ, irricevibilitˆ o improcedibilitˆ. Nella decisione in esame, si afferma che lĠinteresse strumentale, lungi dal configurarsi come interesse legittimo (qualificato e differenziato) altro non  che un interesse al rispetto della legalitˆ, avvolto da riferimenti soggettivi. Pertanto, surrogare la posizione legittimante con lĠinteresse strumentale avrebbe lĠeffetto di configurare la giurisdizione amministrativa, in subiecta materia, come oggettiva verifica del rispetto della legalitˆ, conferendole una funzione non prevista dallĠordinamento. Il principio di diritto enunciato dalla Plenaria sĠinquadra in un contesto di regole processuali (16) nel cui solco interpretativo successivo  opportuno fare menzione in particolare dellĠintervento dei giudici di Palazzo Spada (17), nel quale, disattendendo la questione di compatibilitˆ comunitaria e costituzionale sollevata dalle parti, si  affermato che i principi della Plenaria n. 4/2011 non si pongono in contrasto con quelli comunitari di non discriminazione tra le imprese e paritaria accessibilitˆ al ricorso da parte di chiunque abbia interesse allĠaggiudicazione allĠappalto. Quel che appare particolarmente interessante ai fini di questa trattazione  tuttavia ripercorrere proprio lĠarticolata argomentazione disattesa. Si  sostenuta, (15) FIDONE G., Accoglimento del ricorso incidentale escludente ed inammissibilitˆ del ricorso principale, in Giornale di diritto amministrativo n. 12 del 2011, commento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3655 del 2011. (16) Nello specifico: a) lĠesame delle questioni preliminari deve sempre precedere la valutazione di merito della domanda formulata dal ricorrente; b) il vaglio delle condizioni e dei presupposti del- lĠazione, comprensivo dellĠaccertamento della legittimazione ad agire, nonchŽ dellĠinteresse al ricorso va saldamente inquadrato nellĠambito delle questioni pregiudiziali; c) il ricorso incidentale costituisce uno strumento perfettamente idoneo ad introdurre, nel giudizio, una questione di carattere pregiudiziale rispetto al merito della domanda; d) la nozione dĠinteresse strumentale non identifica unĠautonoma posizione giuridica soggettiva, ma indica il rapporto di utilitˆ tra lĠaccertata legittimazione al ricorso e la domanda formulata dal ricorrente; e) salve puntuali eccezioni, individuate in coerenza col diritto comunitario, la legittimazione al ricorso, in materia di affidamento di contratti pubblici, spetta solo al soggetto che abbia legittimamente partecipato alla procedura selettiva; f) il controllo sulla stessa assume sempre carattere pregiudiziale rispetto allĠesame del merito della domanda, in coerenza con la natura processuale delle condizioni dellĠazione e col principio dispositivo e dellĠimpulso di parte. (17) Si fa riferimento alla sentenza del Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3655. DOTTRINA 333 infatti, la violazione del diritto ad un ricorso effettivo ed efficace (che  principio fondamentale del diritto comunitario e interno) a fronte di vizi genetici dellĠintera procedura di gara, comportanti il suo integrale annullamento, come sono stati quelli dedotti con il ricorso principale in primo grado per la stretta connessione tra atti e comportamenti presupposti; inoltre, si  configurata la titolaritˆ di una situazione giuridica soggettiva di diritto comunitario che, nel settore degli appalti, non  di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo in caso di interesse ad aggiudicazione e lesione subita ad effetto dellĠillegittimitˆ degli atti introduttivi e di svolgimento della gara (18). E ancora, che il ricorso incidentale non pu˜ paralizzare lĠazione a tutela del diritto comunitario degli appalti, attraverso lĠeccezione della mancata dichiarazione del possesso dei requisiti, nŽ evitare lĠannullamento della gara se tali dichiarazioni manchino anche per il ricorrente incidentale; come, altres“, la necessitˆ di esaminare congiuntamente il ricorso principale e quello incidentale che si fonda sulla normativa del Codice del processo amministrativo. Stando infatti ai principi di cui agli articoli 1 e 2 c.p.a., si istituisce per gli appalti pubblici una giurisdizione esclusiva volta a sindacare lĠintero esercizio del potere amministrativo, che non pu˜ essere limitata se la domanda principale non riguarda soltanto il possesso dei requisiti ma concerne la regolaritˆ delle leggi di gara, o eventi che abbiano inciso sulla sua liceitˆ, pena, altrimenti, una duplice violazione del diritto comunitario (quanto alla effettivitˆ della tutela e alla garanzia della libera concorrenza). Ci˜ rilevato, nel caso di mancata adesione, si  chiesto il rinvio pregiudiziale (19) alla Corte di Giustizia, ai sensi dellĠart. 267 del TFUE, affinch ne accertasse lĠinterpretazione; ovvero la questione di legittimitˆ costituzionale, in relazione ai principi di effettivitˆ e pienezza della tutela giurisdizionale, del giusto processo, dei vincoli posti dallĠordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, altres“ violati se con lĠart. 99 del Codice del processo amministrativo si ritenga attribuita allĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato la possibilitˆ di adottare interpretazioni contrastanti con i detti principi; in conclusione altres“ la disapplicazione dellĠart. 42 del Codice del processo amministrativo in tema di effetti paralizzanti, laddove ogni interpretazione prescelta fosse risultata incompatibile con i principi comunitari e costituzionali richiamati. La decisione dellĠAdunanza Plenaria n. 4 del 2011  stata inoltre messa in dubbio dal Tar per il Piemonte e dal Tar del Lazio che hanno sollevato dubbi sulla correttezza del principio annunciato dal Supremo Consesso, secondo cui il ricorso incidentale interdittivo andrebbe sempre esaminato in via principale (18) I paragrafi 2 e 3 dellĠart. 1 della direttiva 2007/66/CE, che escludono la limitazione della ricorribilitˆ per chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione, non sono stati recepiti con il d.lgs. n. 53 del 2010. (19) Si rimanda al paragrafo 5 di questo elaborato per la relativa disamina. e la sua fondatezza comporterebbe il venir meno della legittimazione ad agire del ricorrente principale. In particolare il Tar per il Piemonte ha sollevato il dubbio che lĠapplicazione di tale principio di diritto processuale elaborato dallĠAdunanza Plenaria, potrebbe determinare nella sostanza anche il principio di non discriminazione e di libera concorrenza, tutelati dallĠordinamento comunitario. Anche il Tar per il Lazio (20) ha affermato come il principio espresso dal Supremo Consesso nel 2011 non sia completamente condivisibile, ovvero non possa trovare applicazione in ogni caso, dovendo piuttosto trovare un contemperamento nella valutazione della singola vicenda controversa, cos“ da evitare di giungere a soluzioni illogiche ed irragionevoli dei casi concreti sottoposti allĠesame del giudice amministrativo (21). Il Tar Piemonte, dopo aver compiuto una verifica istruttoria, sulla base della quale conclude che entrambi i ricorsi sarebbero fondati, sicchŽ lĠesito dovrebbe essere lĠannullamento dellĠintera gara, osserva che, se dovesse applicare il principio enunciato dalla Plenaria n. 4/2011, dovrebbe accogliere il ricorso incidentale dichiarando inammissibile quello principale. Ad avviso del Tar, tale risultato non sarebbe tuttavia conforme ai principi di effettivitˆ della tutela. Pertanto il Tar ritiene rilevante e sottopone la questione alla Corte di giustizia CE: a tal proposito sono stati sollevati dubbi in dottrina sulla correttezza formale e sostanziale dellĠordinanza (22) stessa. La Corte di Giustizia (20) Si tratta della sentenza n. 197 del 10 gennaio 2012. (21) PELLEGRINO G., I rapporti tra ricorso principale e incidentale ancora sotto i riflettori nazionali e comunitari, in Il nuovo Diritto amministrativo, Roma, n. 1/2012, p. 159 e ss. (22) La pronuncia  stata altres“ criticata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte: si  ritenuto infatti che nellĠaffermare in materia di procedure di gara il principio secondo cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara deve essere sempre esaminato in via prioritaria, finisce per ÒpunireÓ una sola impresa, favorendo inevitabilmente lĠaltra col mantenimento di unĠaggiudicazione illegittima (Cass. SS.UU., sentenza 21 giugno 2012, n. 10294). Sembra opportuno rammentare che la non impugnabilitˆ davanti alla Corte di Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato (eccetto che per i motivi attinenti alla giurisdizione) sussiste in base ad una preclusione stabilita a livello costituzionale ex art. 111, comma 8. A proposito, lĠampliamento dei motivi di giurisdizione presuppone che si affronti la giustizia amministrativa nellĠottica di un sistema o meglio di un ordinamento giuridico in evoluzione. Sistema inciso sia da interventi legislativi, nonchŽ alla luce del principio di effettivitˆ comunitaria, intesa come pienezza della tutela. In tal senso, FERRONI M.V. in Il ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, in Studi di diritto processuale amministrativo, Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B., Cedam, Padova, 2005, p. 280; si noti inoltre che il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia Ž stato configurato in pi occasioni come mero limite interno di giurisdizione, con la conseguenza che la violazione della norma corrispondente non pu˜ essere fatta valere dinnanzi alla Corte di Cassazione. In tal modo si  persa lĠoccasione di riconoscere lĠoperativitˆ di un rimedio di diritto interno allĠinerzia dellĠorgano giurisdizionale di ultima istanza. La funzione nomofilattica del Consiglio di Stato ha ad oggetto le norme nazionali che sia chiamato ad interpretare ed applicare ai fini della definizione del ricorso, non anche le norme del diritto europeo, sulle quali invece esiste una giurisdizione esclusiva della Corte di Giustizia. OGGIANU S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, in Studi di diritto processuale amministrativo (Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B.), Cedam, Padova, 2011, p. 283. DOTTRINA 335 dellĠUnione Europea, con la c.d. sentenza Fastweb (23), ha censurato in parte lĠorientamento dellĠAdunanza Plenaria in parola, statuendo che, quando le imprese ammesse alle procedure di gara siano soltanto due, il ricorso incidentale dellĠaggiudicatario non pu˜ comportare il rigetto del ricorso principale nel- lĠipotesi in cui la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellĠambito dello stesso procedimento, nonchŽ di motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta degli altri, che potrˆ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a contestare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolare. Le recenti Adunanze Plenarie (24), ed in particolare con la sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014, si  provveduto ad attenuare la portata dei principi espressi dalla Corte di Giustizia. A ben guardare tuttavia, il Supremo Consesso amministrativo si era giˆ espresso, sebbene a sezioni semplici, non molto tempo fa (25): in particolare,  stata rimessa alla Plenaria la questione della sussistenza o meno della legittimazione del soggetto escluso dalla gara per atto dellĠamministrazione ad impugnare lĠaggiudicazione disposta a favore del suo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che questo doveva essere escluso dalla gara, soddisfacendo in tal modo lĠinteresse strumentale alla eventuale ripetizione della procedura. Occorre quindi riportare sinteticamente i principi di diritto enunciati dallĠAdunanza Plenaria 2014 con specifico riferimento allĠordine dĠesame dei ricorsi e delle relative questioni affrontate. Si osserva che il giudice ha il dovere di decidere la controversia (26) secondo lĠordine logico seguito che, di regola, pone la prioritˆ della definizione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito, e, fra le prime, la prioritˆ dellĠaccertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dellĠazione. Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale, il ricorso incidentale escludente che sollevi unĠeccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario (27); tuttavia si afferma che lĠesame prioritario del ricorso principale  ammesso per ragioni di economia processuale, mentre il ricorso incidentale non andrˆ esaminato prima del ricorso principale allorquando presenti carat (23) Pronuncia resa nella causa C-100/12 del 4 luglio 2013. (24) In particolare si fa riferimento alle Plenarie n. 7 e 9 del 2014 che hanno affrontato lĠordine dĠesame dei ricorsi principale e incidentale. (25) Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681. (26) Ai sensi del combinato disposto degli artt.76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. (27) In tal senso cos“ si legge nella pronuncia n. 9/2014: ÒNel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per atto dellĠAmministrazione, ovvero nel corso del giudizio, a seguito dellĠaccoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare lĠaggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase proceduraleÓ. tere escludente. Tale evenienza si verifica nel momento in cui il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dallĠamministrazione nel presupposto della regolare partecipazione della procedura da parte del ricorrente principale. Quanto pi propriamente al rapporto tra ricorso principale e incidentale, la Plenaria premette che il problema del rapporto fra ricorso principale (proposto dallo sconfitto), e ricorso incidentale (proposto dal vincitore), anche se storicamente affermatosi nelle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, si atteggia, nella sostanza, in modo analogo per tutti i giudizi concernenti procedure selettive, anche per quelli in relazione ai quali  certamente non applicabile il codice dei contratti pubblici ovvero il diritto del- lĠUnione europea. La Plenaria, quindi, dopo aver richiamato i principi espressi dalla nota Plenaria n. 4/2011, passa allĠapprofondimento del punto specifico concernente lĠasserita necessitˆ che il ricorso incidentale sia sempre esaminato prima del ricorso principale ed opera una delimitazione dei principi espressi dalla Plenaria n. 4/2011, da intendersi riferiti al caso in cui con il ricorso incidentale si contesta la mancata esclusione dalla gara del ricorrente principale, e non anche al caso in cui con il ricorso principale si deducano vizi della valutazione delle offerte, ossia attivitˆ a valle della fase di ammissione del concorrente e dellĠofferta. A proposito, la Plenaria in parola osserva come dalla piana lettura della pi volte menzionata sentenza n. 4/2011 emerge in modo univoco che il discrimine  rintracciato nella introduzione, da parte del ricorso incidentale, di censure che colpiscono la mancata esclusione, da parte della stazione appaltante, del ricorrente principale, a causa della illegittima partecipazione di questĠultimo alla gara o dellĠillegittimitˆ dellĠofferta; tale situazione di invaliditˆ della posizione del ricorrente principale, in base ad una lettura estensiva, deve scaturire dalla violazione di doveri o obblighi sanzionati a pena di inammissibilitˆ, di decadenza, di esclusione. La Plenaria verifica la compatibilitˆ della tesi esposta con la decisione c.d. Fastweb (28) della CGUE: viene circoscritta la portata di tale decisione in considerazione del fatto che il diritto UE non contiene una vera e propria disciplina generale del processo. In apparenza, potrebbe ritenersi che la sentenza Fastweb abbia introdotto una giurisdizione di tipo oggettivo basata sul vizio dedotto e non sullĠinteresse (28) In buona sostanza la sentenza Fastweb, una volta investita da parte del giudice a quo (sebbene in violazione della vincolante regola processuale che impone un rigido ordine di esame delle questioni -retro ¤ 8.1. -), di una fattispecie allĠinterno della quale era stata accertata in concreto lĠillegittimitˆ di entrambe le offerte, non ha potuto fare a meno di somministrare la concreta regula iuris costruendola come una evidente eccezione al compendio delle norme e dei principi di sistema. Tanto  vero questo che ha limitato la possibilitˆ dellĠesame congiunto del ricorso incidentale e principale alle stringenti condizioni che: I) si versi allĠinterno del medesimo procedimento; II) gli operatori rimasti in gara siano solo due; III) il vizio che affligge le offerte sia identico per entrambe. DOTTRINA 337 a dedurlo. Al contrario, la ratio della decisione Fastweb si fonda sul principio di Òparitˆ delle armiÓ: questo fa si che, nel caso in cui il ricorrente incidentale deduca il medesimo motivo escludente dedotto dal ricorrente principale, venga meno lĠasimmetria di origine procedimentale tra la legittimazione a resistere dellĠaggiudicatario, certa perchŽ fondata sul provvedimento impugnato, e la legittimazione a ricorrere del concorrente pretermesso dallĠaggiudicazione, incerta perchŽ fondata su una posizione legittimante che il ricorso incidentale pu˜ far venire meno. L'identitˆ del vizio, nella sua consistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, comporta che il suo accertamento e la relativa decisione di accoglimento siano automaticamente e logicamente predicabili indifferentemente per l'una o per l'altra parte del processo. In altri termini, l'unicitˆ del vizio e l'unicitˆ della verifica della sua sussistenza (29), non consentono di trarre conseguenze opposte sia pure soltanto sul piano processuale. Sul punto la Plenaria n. 9/2014 ritiene che si debba utilizzare un criterio che, nel rispetto delle vincolanti indicazioni provenienti dalla Corte del Lussemburgo, contemperi la regula iuris forgiata dalla sentenza Fastweb con le esigenze di uguaglianza ed equitˆ sostanziali di cui sono portatrici le imprese in gara, le ragioni di certezza del diritto e di pronta soluzione dellĠaccertamento demandato al giudice, le caratteristiche dello sviluppo del procedimento amministrativo posto in essere dalla stazione appaltante e gli interessi sostanziali presidiati dalle varie cause di esclusione (30). Non soddisfano il requisito di simmetria escludente i vizi sussumibili in diverse categorie, visto che non si pongono in una relazione di corrispondenza biunivoca e, dunque, impediscono lĠesame congiunto del ricorso principale ed incidentale. In conclusione, si evidenzia che nei casi come quello sottoposto alla Adunanza Plenaria, non  configurabile neppure lĠinteresse ad agire sancito dal- lĠart. 100 c.p.c., da sempre considerato applicabile al processo amministrativo, oggi anche in virt del rinvio esterno operato dallĠart. 39, comma 1, c.p.a. LĠinteresse ad agire  scolpito nella sua tradizionale definizione di Òbisogno di tutela giurisdizionaleÓ, nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo;  dunque espressione di economia processuale, manifestando lĠesigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualitˆ del danno, ancorch probabili, alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia (29) Coniugati al principio immanente della paritˆ delle parti ex art. 111 Cost., norma di riferimento del principio del giusto processo. (30) In tal senso DE NICTOLIS R., La riforma del codice appalti, Urbanistica e appalti, n. 6/ 2014, p. 623. strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perchŽ meramente ipotetiche (31). Per completezza, si rammenta che anche lĠordinanza di rimessione del 2013 (32) aveva rimesso alla Plenaria la questione dĠordine dĠesame dei ricorsi, principale e incidentale. La relativa Plenaria (33) n. 7/2014 fornisce unĠesegesi della precedente Plenaria n. 4/2011, osservando che il ricorso incidentale, nel giudizio avente ad oggetto procedure di gara, va esaminato con prioritˆ rispetto a quello principale solo se sollevi unĠeccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario. Tale evenienza non si verifica allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dallĠamministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale. Quanto allĠhousing sociale, esso viene qualificato dalla Plenaria come concessione di servizi, considerando lĠhousing sociale come un servizio pubblico locale di rilievo economico e domanda individuale, da realizzarsi mediante partenariato pubblico- privato (34). (31) DE NICTOLIS R., in La riforma del codice appalti, Urbanistica e appalti, p. 626. In tal senso lĠAutrice sostiene il ricorrente principale, privo della possibilitˆ giuridica, di risultare aggiudicatario della specifica gara cui ha in concreto partecipato (anche in caso di rinnovo pedissequo della medesima in quanto permarrebbe il medesimo sbarramento) dovrebbe auspicare lĠindizione di una nuova gara da parte dellĠAmministrazione, mutandone termini e condizioni, in modo tale da consentirgli di partecipare. Di norma, tuttavia, la stazione appaltante non ha un obbligo di tal fatta anche in presenza dellĠannullamento di tutti gli atti della procedura, sicchŽ tale pretesa si rivela per quello che , ovvero, una mera speranza al riesercizio futuro ed eventuale del potere amministrativo, inidonea a configurare lĠinteresse ad agire. (32) Ordinanza, sez. V, del 15 aprile 2013, n. 2059. (33) Adunanza Plenaria n. 7 del 31 gennaio 2014. (34) Ci˜ posto, secondo la Plenaria, lĠart. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici, che impone ai concorrenti riuniti, giˆ in sede di predisposizione dellĠofferta, lĠindicazione della corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14 agosto 2012 e per i soli contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15 agosto 2012) - pur prevedendo un requisito di ammissione dellĠofferta a pena di esclusione, necessario pur se non richiesto dal bando - non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dellĠUnione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto, sicchŽ ai sensi dellĠart. 30, comma 3, del medesimo codice, non pu˜ trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio locale di rilievo economico e a domanda individuale (come va considerata una iniziativa di partenariato pubblico-privato per la realizzazione di un programma di housing sociale). Nella specie, lĠAdunanza Plenaria ha ravvisato lĠindizione di una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio locale di rilievo economico e a domanda individuale, sulla base di un articolato esame della normativa europea e nazionale e della giurisprudenza rilevante in materia (da ultimo Corte Giust., 15 ottobre2009, C-196/08; 13 settembre 2007, C-260/04; Corte cost., 7 giugno 2013, n. 134; 12 aprile 2013, n. 67; 20 luglio 2012, n. 199; 17 novembre 2010, n. 325; Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2009, n. 13892; 22 agosto 2007, n.17829; Cons. Stato, Ad. Plen., 7 maggio 2013, n. 13; 3 marzo 2008). DOTTRINA 339 3. Il punto di vista comunitario: principi e giurisprudenza della Corte di giustizia sul tema dellĠeffettivitˆ (35) della tutela giurisdizionale e del giusto processo: uno sguardo particolare alle nuove direttive appalti e concessioni pubblicate nella G.U.C.E. del 28 marzo 2014. A livello internazionale, il diritto a un Çequo processoÈ e ad un Çricorso effettivoÈ sono codificati dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (c.d. CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dalla Repubblica Italiana con l. 4 agosto 1955 n. 848 (36). In particolare, avuto riguardo a tutti i tipi di processo, lĠart. 6 cit. afferma che Çogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (37). La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma lĠaccesso alla sala dĠudienza pu˜ essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nellĠinteresse della morale, dellĠordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societˆ democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicitˆ possa portare pregiudizio agli interessi della giustiziaÈ. Il successivo art. 13, poi, completando idealmente il disegno dellĠart. 6 cit., dispone che Çogni persona i cui diritti e le cui libertˆ riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a unĠistanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nellĠesercizio delle loro funzioni ufficialiÈ. La principale questione sollevata dagli artt. 6 e 13 cit.  quella del loro valore giuridico nellĠordinamento statuale italiano, un problema su cui la Corte costituzione si  espressa in tempi recenti nel senso che le disposizioni della (35) ÒLĠeffettivitˆ della tutela rimane lĠunica sede in cui assicurare lĠeventuale ripristino della legalitˆ sostanziale eventualmente violataÓ, FERRONI M.V., in Il ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, in Studi di diritto processuale amministrativo, Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B., Cedam, Padova, 2005, p. 243. (36) Con specifico riferimento alle accuse penali, lĠart. 6, commi 2 e 3, CEDU prevede che Ç2. Ogni persona accusata di un reato  presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel pi breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi del- lĠaccusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere lĠassistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato dĠufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e lĠesame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienzaÈ. (37) SullĠart. 6 CEDU e sulla sua influenza nellĠambito del diritto amministrativo: ALLENA M., ART. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Esi, Napoli, 2012. CEDU, essendo pattizie, non rientrano nellĠambito di operativitˆ dellĠart. 10, comma 1, Cost. che riferisce il meccanismo di adattamento automatico alle sole norme internazionali consuetudinarie (38). Anche lĠart. 117, comma 1, Cost., nel testo introdotto dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, che pone i limiti per lĠesercizio delle funzioni legislative statali e regionali, distingue i vincoli derivanti dallĠÇordinamento comunitarioÈ da quelli riconducibili agli Çobblighi internazionali È, tra i quali ultimi quelli assunti con la ratifica alla CEDU. Infatti, con lĠadesione alle Comunitˆ europee, lĠItalia  entrata a far parte di un ordinamento pi ampio, sopranazionale, cui ha ceduto, ratione materiae, parte della propria sovranitˆ, con il solo limite dellĠintangibilitˆ dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione (39). Diversamente dallĠUnione europea, la CEDU non ha creato un ordinamento sopranazionale e non ha prodotto norme direttamente applicabili negli Stati contraenti (40). Peraltro, la Convenzione ha comunque istituito un organo giurisdizionale, la Corte di Strasburgo, cui  af (38) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, in Giur. cost., 2007, 3475. La sentenza in discorso ha affermato importanti principi in tema di rilevanza della CEDU nellĠordinamento interno, che possono essere riassunti nei termini che seguono. La Corte ha chiarito che la diretta applicabilitˆ che assiste le norme comunitarie e che si fonda sullĠart. 11 Cost. non trova applicazione per le norme della CEDU, che hanno Çnatura di norme internazionali pattizie che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nellĠordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrastoÈ. NŽ a un differente esito pu˜ giungersi valorizzando lĠart. 117, comma 1, Cost., il quale distingue i vincoli derivanti dallĠÇordinamento comunitarioÈ da quelli riconducibili agli Çobblighi internazionali È, tra cui quelli posti dalla CEDU, che non ha creato un ordinamento sopranazionale quale  quello dellĠUnione europea. Inoltre, la Corte ha precisato che le norme CEDU, in quanto pattizie, neppure rientrano nel perimetro applicativo dellĠart. 10, comma 1, Cost., che, ai fini dellĠadattamento automatico, si rivolge alle sole Çnorme del diritto internazionale generalmente riconosciuteÈ, cio a quelle consuetudinarie. Dal che consegue che le norme pattizie, incluse quelle poste dalla CEDU, Çnon possono essere assunte quali parametri del giudizio di legittimitˆ costituzionale, di per sŽ sole, ovvero come norme interposte ex art. 10 della CostituzioneÈ. In un tale contesto, tuttavia, lĠart. 117, comma 1, Cost, che condiziona lĠesercizio della potestˆ legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali quelli derivanti dalla CEDU, conferisce a questĠultima una maggior forza di resistenza delle rispetto a leggi ordinarie successive, attraendone le relative norme nella sfera di competenza della Corte costituzionale, poichŽ gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimitˆ costituzionale, per eventuale violazione dellĠart. 117, primo comma, Cost. Peraltro, la disposizione costituzionale da ultimo citata pu˜ ritenersi operativa solo se vengano concretamente determinati gli Çobblighi internazionaliÈ che vincolano la potestˆ legislativa dello Stato e delle Regioni, che assumono quindi la funzione di fonte interposta di grado intermedio tra la Costituzione, cui sono subordinati, e la legge ordinaria. In merito a tali obblighi, la CEDU, rispetto agli altri trattati internazionali, ha la caratteristica di prevedere la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dellĠuomo, cui  affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Il che comporta che, fra gli obblighi internazionali assunti dallĠItalia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione, vi sia anche quello di accoglierne le norme nel significato attribuitogli da detta Corte; norme che, in ogni modo, non sono immuni dal controllo di legittimitˆ costituzionale della Corte costituzionale, perchŽ restano pure ad un livello inferiore alla Costituzione. (39) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. (40) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. DOTTRINA 341 fidata la funzione di interpretare le proprie norme, con la conseguenza che, tra gli obblighi assunti dallĠItalia, rientra quello di adeguare la propria legislazione alle norme CEDU nel significato attribuitole dallĠanzidetta Corte. Da quanto sopra deriva che il giudice debba interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione convenzionale nel significato chiarito dalla Corte di Strasburgo, nei limiti in cui ci˜ sia possibile. In difetto, ovvero in ipotesi di dubbio sulla compatibilitˆ della norma interna con essa, egli non pu˜ disapplicarla ma deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimitˆ rispetto al parametro dellĠart. 117, comma 1, Cost., avendo la CEDU natura di fonte interposta tra la costituzione e le leggi che il legislatore ordinario ha lĠobbligo di rispettare (41). Fatta questa premessa generale sul valore giuridico della Convenzione di Roma, e quindi anche degli artt. 6 e 13,  stato osservato che la CEDU, pur enunciando il principio del giusto processo, non annovera tra le garanzie riguardanti la funzione giurisdizionale lĠÇazioneÈ, intesa come diritto di agire in giudizio, cio di adire il giudice per la tutela delle proprie posizioni di vantaggio riconosciute sul piano sostanziale (42). Ci˜ a differenza della Costituzione italiana e di quella tedesca che, invece, tra i diritti fondamentali e inviolabili dellĠindividuo, cio non ritrattabili da parte del legislatore ordinario, contemplano proprio il diritto di agire in giudizio in connessione allĠaffermata titolaritˆ di una posizione giuridica sostanziale (43). La ragione di questĠapparente dimenticanza  che lĠart. 6 CEDU, come giˆ detto, pur senza imporre un particolare modello di processo, riproduce i principi del fair trial anglosassone, in cui esistono soltanto i ÇrimediÈ (remedies), cio le singole possibilitˆ di attivare la giurisdizione in presenza di dati presupposti specifici, ma non si annette rilevanza alla posizione soggettiva preesistente riconosciuta dal diritto sostanziale e, quindi, al diritto di azione (44). (41) Cfr. Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348, cit. (42) TROCKER N., Dal giusto processo allĠeffettivitˆ dei rimedi: lĠÒazioneÓ nellĠelaborazione della Corte europea dei diritti dellĠuomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1, p. 35 ss.; AA.VV., La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte europea dei diritti dellĠuomo di Strasburgo, Milano, 1989; P. BILANCIA, Le nuove frontiere della tutela multilivello dei diritti, in www.giuripol.unimi.it, pubblicato il 23 ottobre 2004. (43) SullĠaccoglimento del principio de quo nei principali testi costituzionali del dopoguerra: COMOGLIO L.P., La garanzia costituzionale dellĠazione ed il processo civile, Cedam, Padova, 1970, 97 ss., p. 116 ss.; TROCKER N., Processo civile e Costituzione, Giuffr, Milano, 1974, p. 161 ss. Pi in generale vedi CLEMENTE DI SANLUCA G. (a cura di), La tutela delle situazioni soggettive nel diritto italiano, europeo e comparato, Esi, Napoli, I, 2011. (44) La cultura giuridica anglosassone disconosce lĠimpostazione europea continentale del diritto soggettivo come situazione preesistente al rimedio giudiziario, ritenendosi che la vera garanzia dellĠindividuo risieda non nel potere di agire in giudizio ma nelle concrete modalitˆ di tutela ottenibili dal giudice, non esistendo alcun diritto diverso dal rimedio stesso (remedies precede rights). In tale contesto, sono ben radicati i valori della giustizia procedurale e dellĠequitˆ processuale, espressivi del diritto al dovuto processo legale (due process of law) giˆ enunciato dalla Magna Charta del 1215. In argomento, v. anche: DENTI V., Azione (diritto processuale civile), in Enc. giur., II, Roma, 1988, 2; V. VARANO, Remedies, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1997, XVI, p. 572. Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, il Çdiritto al tribunale È  il primo aspetto di quello ad accedervi e, in questo senso, non si limita allĠottenimento di una decisione giudiziaria su una data situazione giuridica ma implica lo svolgimento di quanto necessario affinchŽ la tutela giurisdizionale si attui (45). In tal senso, il diritto di accedere al giudice  stato riconosciuto come parte integrante del principio del dovuto processo legale: escluderne la sussistenza comporterebbe di vanificare le garanzie enunciate dalla disposizione stessa (46). Questo diritto, tuttavia, non  assoluto, ma  compatibile con limiti o condizioni, quali il preventivo esperimento o esaurimento di ricorsi amministrativi o la fissazione di termini prescrizionali per la proposizione della domanda, purchŽ essi perseguano uno scopo legittimo e siano proporzionati (47). Inoltre, il diritto di adire un giudice deve essere effettivo, dovendosi garantire concretamente anche ai singoli in posizione pi svantaggiata la possibilitˆ di tutelare avanti ad un organo giudiziario i propri diritti. In questĠottica, atteso che la Convenzione di Roma si prefigge di tutelare diritti Çnon teorici e illusori ma concreti ed effettiviÈ, gli impedimenti Çdi fattoÈ, cio di carattere economico-sociale, possono comportare una violazione della CEDU al pari di quelli Çdi dirittoÈ (48). La giurisprudenza di Strasburgo  ripetutamente intervenuta per circoscrivere e chiarire il perimetro applicativo ed il significato del diritto a un giusto processo sancito dallĠart. 6 cit. La giurisprudenza ha pure affermato che la precostituzione del giudice per legge ha lo scopo di evitare che lĠorganizzazione del sistema giudiziario sia lasciata alla discrezionalitˆ del Governo e che, in una societˆ democratica, il diritto di essere sentito da un tribunale imparziale, sempre costituito per legge, occupa un posto cos“ eminente che una sua interpretazione restrittiva non corrisponderebbe allo scopo e allĠoggetto di tale disposizione (49). La Corte CEDU ha pure analizzato i modi di esercizio della giurisdizione per individuarne potenziali profili di attrito con la tutela dei diritti affermati dalla Convenzione, sancendo lĠinsindacabilitˆ di eventuali errori giudiziari di (45) TROCKER N., Dal giusto processo allĠeffettivitˆ dei rimedi, cit.; CEDU 21 febbraio 1975 (Golder c. Regno Unito). (46) Corte CEDU 23 marzo 1995 (Loizidou c. Turchia), in Riv. internaz. dir. uomo, 1995, 483 ss., ha affermato che la Convenzione  un Çatto costituzionale dellĠordine pubblico europeoÈ. (47) TROCKER N., op. ult. cit.; CEDU 28 maggio 1985 (Ashingdane c. Regno Unito), 30 gennaio 2003 (Cordova c. Italia), in Dir. e giust., 2003, 8, 69 ss. con il commento di G. BUONOMO, LĠimmunitˆ parlamentare pu˜ violare la convenzione dei diritti dellĠuomo. (47) TROCKER N., op. ult. cit. (48) V. CEDU 9 ottobre 1979 (Airey c. Irlanda), in Foro it., 1980, IV, c. 1 ss., per la quale, fra gli obblighi che gravano sugli Stati, vi  quello di rimuovere o, quantomeno, di neutralizzare gli ostacoli di ordine economico o sociale che, di fatto, compromettono la possibilitˆ di chiedere e di ottenere la tutela giurisdizionale. (49) CEDU 13 dicembre 2005 (Marcello Viola c. Italia), in Dir. uomo e lib. fondam., 2007, 3, 1142; 22 giugno 2000 (Co‘me e altro c. Belgio) in Dir. uomo e lib. fondam., 2007, 3, p. 219. DOTTRINA 343 fatto o di diritto, salvo che abbiano pregiudicato i diritti e le libertˆ salvaguardati dalla Convenzione (50). La Corte, infatti, si limita ad accertare se la procedura giudiziaria interna, considerata nel suo insieme, incluse le modalitˆ di presentazione dei mezzi di prova, abbia carattere equo e se i diritti della difesa siano rispettati (51). Il mutamento dĠindirizzo giurisprudenziale non  ritenuto di per sŽ ostativo a un equo processo, non potendosi vantare una sorta di diritto allĠaderenza del giudice alle soluzioni giˆ affermatesi (52). Tuttavia, la presenza di una giurisprudenza ormai consolidata obbliga lĠorgano che voglia discostarsene a fornire una motivazione estesa e particolareggiata delle ragioni che supportano il cambio di orientamento, in ottemperanza al principio della certezza del diritto affermato dalla Convenzione (53). Il Capo VI della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea del 7 dicembre 2000 (c.d. Carta di Nizza) enuncia un complesso di garanzie giurisdizionali a tutela dei cittadini degli Stati membri, Çi cui diritti e le cui libertˆ garantite dal diritto dellĠUnione siano stati violatiÈ, indirizzate sia alle istituzioni ed agli organi comunitari, sia agli Stati stessi. La Carta di Nizza, accanto ai tradizionali diritti civili e politici di Çprima generazioneÈ, cui si riferisce la CEDU, contempla anche quelli, economici e sociali, di Çseconda generazioneÈ, nonchŽ quelli di Çterza generazioneÈ, frutto ÇdellĠevoluzione della societˆ e [É] degli sviluppi scientifici e tecnologiciÈ, come la tutela ambientale o la protezione dei consumatori (54). Originariamente non dotata di unĠesplicita forza precettiva, la Carta era stata approvata dal Consiglio europeo come dichiarazione solenne di principi avente funzione di Çatto di ricognizione storicaÈ, cio di documento Çche attribuisce forma scritta e solenne a ci˜ che  ritenuto giˆ patrimonio della Comunitˆ e che  vigente nellĠordinamento dellĠUnione e dei suoi Stati membriÈ (55). Pertanto, le garanzie in essa consacrate riproducono diritto giˆ operante allĠinterno (50) CEDU 13 dicembre 2005 (Marcello Viola c. Italia), cit. (51) CEDU 13 dicembre 2005, cit. (52) CEDU 14 gennaio 2010 (Atanasovski c. ex Rep. Jugoslava di Macedonia), in Cass. pen., 2010, 6, p. 2450. (53) CEDU 14 gennaio 2010 (Atanasovskic. ex Rep. Jugoslava di Macedonia), cit. (54) RAIMONDI G., La Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 nel quadro della protezione dei diritti fondamentali in Europa, in Cass. pen., 2002, 5, p. 1885 ss.; F. POCAR, Commento alla Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, in ID., Commentario breve al Trattato CE, Cedam, Padova, 2001, 1178 ss.; R. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), LĠeuropa dei diritti (Commento alla Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea), Bologna, il Mulino, 2001. (55) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea ed il processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 4, 1171 ss.; L. FERRARI BRAVO, La tutela dei diritti in Europa, in Eur. e dir. priv., 2001, p. 37 ss.; G. CONETTI, La Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, in Studiumiuris, 2001, p. 1163 ss.; A. PACE, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 2001, p. 193 ss.; M. FIORAVANTI M., La Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea nella prospettiva del costituzionalismo moderno, relazione allĠincontro di studio ÒPrincipi, diritti e regole nella Carta EuropeaÓ, Firenze, 26-27 aprile 2001. dellĠUnione, ancorchŽ formatosi in via pretoria o mediante rinvio a fonti esterne come le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri o la CEDU (56). A seguito quindi delle premesse sul valore della Carta di Nizza, ai sensi del suo art. 47, Çogni persona i cui diritti e le cui libertˆ garantiti dal diritto dellĠUnione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articoloÈ ed ha, altres“, diritto Ça che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per leggeÈ, oltre che Çdi farsi consigliare, difendere e rappresentareÈ. Inoltre, Ça coloro che non dispongono di mezzi sufficienti  concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ci˜ sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustiziaÈ. La previsione  conforme a quanto suggellato dal codice del processo amministrativo, composto in una tensione evolutiva verso i principi della pienezza ed effettivitˆ (57) della tutela. Nonostante tale previsione, tuttavia, il recepimento di tale principio non appare poi cos“ scontato. Vi sono ancora infatti delle reticenze e resistenze che tendono a privilegiare gli aspetti formali e quelli sostanziali della tutela (58), come emerge sin dalla configurazione delle possibili azioni esperibili da parte del ricorrente. Tra le azioni esperibili dal codice, lĠazione di condanna, ai sensi dellĠart. 30 c.p.a., pu˜ essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei casi di giurisdizione esclusiva e nei casi previsti dalla stessa disposizione, anche in via autonoma. é previsto inoltre il risarcimento del danno ingiusto derivante dallĠillegittimo esercizio dellĠattivitˆ amministrativa, ovvero del mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva potrˆ essere altres“ chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dallĠart. 2058 c.c., potrˆ essere richiesto il risarcimento del danno in forma specifica. Ogni domanda di condanna al risarcimento dei danni per lesione dĠinteressi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi  giurisdizione del giudice amministrativo. Quanto invece allĠazione di adempimento, non  prevista dal c.p.a. una disciplina generale dellĠazione di adempimento come prevista dal modello tedesco, che pure era stata suggerita dal Consiglio di Stato e che costituirebbe un elemento decisivo per la trasformazione del giudizio amministrativo in giudizio esteso al c.d. rapporto e che consentirebbe al cittadino di conseguire col suo ricorso un risultato pi interessante e pi stabile (59). Ritornando al tema di diritto a un giusto processo (60), stricti sensu inteso (61), lĠart. 47, comma 2, della Carta di Nizza riprende lĠart. 6, par. 1, CEDU che  giˆ direttamente applicabile negli ordinamenti interni degli Stati, visto (56) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali, cit. (57) Si ricordi che lĠarticolo 1 del Codice del processo  rubricato: ÒEffettivitˆÓ. (58) CHIEPPA R., Il Codice del processo amministrativo, Giuffr, Milano, 2010; FIDONE G., LĠazione per lĠefficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sullĠatto a quello sullĠattivitˆ, in Studi diretto da FRANCO GAETANO SCOCA, Giappichelli, Torino, 2012, p. 57. DOTTRINA 345 che la pretesa al giusto processo ivi contenuta vale sia nei confronti delle autoritˆ comunitarie sia riguardo a quelle nazionali (62). Questa esegesi  supportata dallĠart. 52, comma 3, della Carta, a mente del quale, in caso di corrispondenza tra i diritti da essa riconosciuti e quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata dei primi Çsono uguali a quelli conferiti dalla suddetta ConvenzioneÈ e dallĠart. 53, che prevede il divieto di interpretare le disposizioni della Carta dei diritti dellĠUnione europea come limitative o lesive dei diritti dellĠuomo quali riconosciuti dalla CEDU (63). Con la disposizione citata si attua, quindi, una vera e propria comunitarizzazione della giustizia tramite la riconduzione allĠordinamento europeo di principi destinati a influire sul modo di essere della tutela giurisdizionale approntata da ciascun ordinamento nazionale per le posizioni giuridiche soggettive attribuite dal diritto dellĠUnione (64). Particolarmente importante  il riferimento al principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale, trattandosi, in sede comunitaria, dellĠepilogo di un cammino iniziato con le sentenze von Colson e Bozzetti, ove la Corte di giustizia stabil“ che, pur spettando ÇallĠordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere controversie vertenti sui diritti scaturenti dallĠordinamento giuridico comunitario [É] gli Stati membri sono tenuti a garantire, in ogni caso, la tutela effettiva di tali dirittiÈ (65). Con la pronuncia Johnston, poi, la Corte statu“ che la Çtutela giurisdizionale effettivaÈ non  una formula di stile o un espediente di carattere retorico, bens“ Çespressione di un principio giuridico generale che trova in (59) TRAVI A., Lezioni di giustizia, Giappichelli, Torino, 2012, p. 211. LĠazione si sofferma sulla circostanza che lĠazione di adempimento fosse compresa nella proposta di codice elaborata dal CdS e che poi  stata indebitamente espunta dal definitivo testo del codice. Secondo lo stesso autore, con lĠazione di adempimento il cittadino che contesti un provvedimento negativo dellĠamministrazione pu˜ chiedere una pronuncia giurisdizionale che non si limiti ad annullare il provvedimento illegittimo, ma che accerti ci˜ che sarebbe spettato al ricorrente se lĠamministrazione avesse agito legittimamente: il giudice che accolga la domanda pu˜ imporre allĠamministrazione di provvedere in quel certo modo. (60) TROCKER N., La Carta dei diritti fondamentali, cit. (61) Sul principio della pienezza della tutela POLICE A., La piena giurisdizione del giudice amministrativo, in PICOZZA E. (a cura di ), Processo amministrativo e diritto comunitario, Cedam, Padova, 2003, p. 133, il quale ha messo in luce la difficoltˆ di presa di coscienza nel nostro ordinamento della previsione e della legittimitˆ costituzionale del principio. Infatti lĠAutore constata che il nostro sistema processuale  stato caratterizzato a partire dalle leggi del 1865 e del 1889 da due differenti sistemi di tutela, caratterizzati dalla disomogeneitˆ della tutela riservata alle differenti situazioni giuridiche soggettive. (62) ALLENA M., La rilevanza dellĠart. 6, par. 1, CEDU, cit. (63) LĠart. 53 della Carta di Nizza prevede che ÇNessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dellĠUnione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali lĠUnione, la Comunitˆ o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, e dalle Costituzioni degli Stati membriÈ. (64) TROCKER N., op. cit. (65) Cfr. Corte CE 10 aprile 1984, C-14/83, in Racc., 1984, 1891 ss., 9 luglio 1985, C-179/84, in Racc., 1985, p. 2301. gresso e assume rilievo nellĠordinamento comunitarioÈ, in quanto Çprincipio su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membriÈ e perchŽ Çdiritto sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertˆ fondamentali del 1950È (66). A questĠultimo riguardo, il fatto che la giurisprudenza della Corte, nellĠaffermare i predetti principi, si sia ispirata allĠelaborazione della CEDU, ha indotto a ritenere che questĠultima fosse stata ÇcomunitarizzataÈ in via pretoria, anticipando la soluzione poi accolta con lĠart. 47 della Carta di Nizza (67). Mentre la CEDU costruisce il diritto alla tutela giurisdizionale prevalentemente come diritto a far valere in giudizio le proprie ragioni tramite un equo processo, che sia anche in grado di garantire unĠadeguata forma di protezione della situazione azionata, la giurisprudenza comunitaria si  concentrata su questĠultimo profilo (68). Oltre alle pronunce della Corte di Giustizia, anche le altre istituzioni comunitarie sono intervenute con disposizioni in materia processuale, imponendo agli Stati non solo di garantire lĠaccesso a un giudice per le relative controversie, ma anche il tipo di tutela di cui devono munirle e i rimedi che devono offrire ai singoli a loro protezione. Il caso pi significativo  quello delle c.d. Çdirettive ricorsiÈ in materia di appalti pubblici, le quali, sulla base dellĠinesistenza, nellĠordinamento comunitario o in quelli domestici, di strumenti adeguati per garantire lĠeffettiva osservanza della normativa europea in materia, approntano un organico sistema di tutela (69). Un sistema informato allĠesigenza di garantire ricorsi rapidi ed efficaci, tali da assicurare una tutela sia preventiva, mediante Çprovvedimenti provvisori presi con la massima sollecitudine e con procedure dĠurgenzaÈ, sia successiva e in grado di assicurare, Çeventualmente accanto o a seguito dellĠannullamento dellĠatto illegittimo, lĠobbligo di risarcire i danni subiti da qualsiasi soggetto leso da una violazione del diritto comunitario o dalle norme nazionali che lĠhanno recepitoÈ (70). (66) V. Corte CE 15 maggio 1986, C-222/84, in Racc., 1986, p. 1663 ss. (67) CHITI M.P., LĠeffettivitˆ della tutela giurisdizionale tra riforme nazionali e influenza del diritto comunitario, in Dir. proc. amm., 1998, p.508, e soprattutto P. PIVA, Il principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale nel diritto dellĠUnione Europea, Napoli, 2012. (68) CHIVARIO M., in BARTOLE S., CONFORTI B., RAIMONDI G., Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dellĠuomo e delle liberta fondamentali, Padova, 2001, 153 ss.; R. SAPIENZA, Il diritto ad un ricorso effettivo nella Convenzione europea dei diritti dellĠuomo, in Riv. dir. int., 2001, p. 277 ss. (69) Si tratta della direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989 e della direttiva 92/13/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992. Sul punto, v. M. ACONE, Diritto e processo nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici: dalla direttiva CEE 89/665 alla legge ÒcomunitariaÓ per il 1991, in Foro it., 1992, V, p. 321 ss. e MORBIDELLI G., Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, p. 831 ss. (70) Il legislatore comunitario ha cos“ costretto ad evolversi il sistema italiano di giustizia amministrativa, allĠepoca ostile al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi; cfr. F. PATRONI GRIFFI, LĠinteresse legittimo alla luce del diritto comunitario e dei paesi membri: quali prospettive?, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 367 ss. DOTTRINA 347 Le soluzioni percorse in tema di appalti pubblici sollevano il problema della distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, che  sconosciuta allĠordinamento dellĠUnione europea, in cui lĠespressione ÇdirittiÈ va intesa come comprensiva di tutte le posizioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto comunitario (71). La Corte di Giustizia, infatti, non  mai entrata nel merito delle tecniche di tutela utilizzate nei singoli Stati, affermando che le norme comunitarie direttamente applicabili Çobbligano le autoritˆ e in particolare i giudici competenti degli Stati membri a proteggere gli interessi dei singoli contro eventuali violazioni di dette disposizioni, garantendo loro la tutela diretta ed immediata dei loro interessi, e ci˜ indipendentemente dal rapporto intercorrente, secondo il diritto nazionale, fra detti interessi e lĠinteresse pubblico a cui si riferisce la questione. Spetta allĠordinamento giuridico nazionale stabilire quale sia il giudice competente a garantire detta tutela e, a tal effetto, decidere come debba qualificarsi la posizione individuale in tal modo tutelataÈ (72). In definitiva, ci˜ che realmente rileva dal punto di vista del diritto comunitario  che sia in ogni caso garantita una tutela giurisdizionale adeguata ed effettiva a tutte le posizioni soggettive da esso tutelate, a prescindere dalla loro qualificazione secondo lĠordinamento domestico (73). La Corte di Giustizia ha anche ripetutamente precisato le garanzie procedurali cui hanno diritto le parti, secondo il principio del giusto processo (74). Dal punto di vista comunitario sembra opportuno fare una considerazione: lĠaccesso alla giustizia non deve essere impossibile, in qualche modo precluso, ovvero eccessivamente difficile, anche in relazione ai termini decadenziali o di scadenza, nŽ in egual misura oneroso. Sembra chiaro quindi lĠobbligo di interpretare le norme sostanziali e processuali in maniera conforme al diritto europeo e se ci˜ non dovesse essere possibili auspicare una sana disapplicazione anche delle norme a carattere processuale, anche se per ora lĠorientamento prevalente del giudice amministrativo non sembra tuttavia orientato in tal senso. In via di prima approssimazione quindi, pu˜ definirsi ÒstrumentaleÓ lĠinteresse fatto valere dal ricorrente mediante lĠimpugnazione dellĠaggiudicazione ad ottenere lĠestromissione dellĠaggiudicatario e la rinnovazione della procedura di gara. Tale definizione quindi presenta chiari elementi di assonanza con (71) TROCKER N., op. ult. cit.; AMADEO S., Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni, Milano, 2002. (72) Cfr. Corte CE 19 dicembre 1968, C-13/68, in Racc., 1968, p. 615 e in Foro it., 1969, IV, c. 156; 9 luglio 1985, C-179/84, cit.; 14 sett. 1997, C-316-96, in Racc. 1997, I, 7231. Questa giurisprudenza avvicina in termini pratici la portata del principio di effettivitˆ della tutela giurisdizionale a quello di equivalenza, sul quale si rinvia allĠopera di TORCHIA L., Il governo delle differenze. Il principio di equivalenza nellĠordinamento europeo, Bologna, 2006. (73) TROCKER N., op. ult. cit. (74) BALDI S., Processo comunitario e processo equo ex articolo 6 della CEDU. Giurisprudenza comunitaria sul diritto ad un processo equo, in Dir. comm. int., 1998, p. 463 ss. la clausola generale recepita dalla Corte di giustizia del 2013, secondo cui  soggetto legittimato a ricorrere chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi seriamente di essere leso a causa di una presunta violazione. La qualificazione di tale posizione soggettiva  desumibile dalla normativa comunitaria pi recente in tema di appalti che elegge a bene della vita il rispetto delle regole concorrenziali, anche a tutela dĠimprese concorrenti ed indipendentemente da quello che sarˆ lĠeffetto finale del confronto concorrenziale. Il portato dellĠinteresse strumentale  scomponibile, in linea astratta, in un duplice contenuto: il bene sostanziale perseguito si compone infatti di unĠutilitˆ indiretta o mediata e di unĠutilitˆ diretta. LĠutilitˆ diretta dellĠinteresse strumentale, inteso pi propriamente in senso oppositivo  quella immediatamente realizzabile da parte con la sola caducazione dellĠaggiudicazione impugnata. Tramite lĠannullamento dellĠaffidamento illegittimo il ricorrente tutela la posizione di competitore sul mercato e preserva gli equilibri di forza coi soggetti concorrenti, evitando che gli stessi possano essere alterati da un illegittimo affidamento e dal conseguente incremento in loro favore di quote di mercato e titoli di qualificazione. La delimitazione della figura dellĠinteresse strumentale appare problematica sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Sul piano oggettivo,  incerta la consistenza probabilistica necessaria per trasformare in una posizione giuridica qualificata lĠipotetica chance di rinnovazione della gara e di successiva partecipazione alla stessa. Le possibilitˆ di riedizione della gara appaiono condizionate da differenti fattori che attengono al margine di discrezionalitˆ di cui gode lĠamministrazione nellĠindire una nuova gara, ovvero alla permanenza delle condizioni economiche e fattuali necessarie per avviare il nuovo bando. Per quel che concerne il profilo soggettivo invece, la gamma dei soggetti portatori in astratto di interesse alla caducazione dellĠaggiudicazione ed alla riedizione della gara  assai ampio. La teoria che include lĠinteresse strumentale  stata tuttavia dequotata dalla pronuncia dellĠAdunanza Plenaria 4/2011 (75). La c.d. strumentalitˆ si ridurrebbe ad un nesso di probabile consequenzialitˆ tra gli accadimenti. Superata la rigida prospettiva dellĠAdunanza Plenaria che permetteva lĠaccesso alla tutela giurisdizionale ai soli soggetti che avanzassero una pretesa diretta allĠaggiudicazione, si attribuisce al livello sovranazionale ai giudici degli Stati membri il ruolo di parificare, in sede processuale, il trattamento di quelle posizioni giuridiche soggettive che assumono rilevanza comunitaria, siano esse ricollegabili alla lesione ovvero ad un pericolo di pregiudizio. Secondo i pi recenti orientamenti comunitari in materia di appalti e concessioni, lĠoggetto del processo sembra essere pi verosimilmente il comportamento, nonchŽ lĠattivitˆ nel suo complesso, non soltanto i singoli atti. Sembra abbastanza chiaro il suggerimento (75) CAPONIGRO R., LĠinteresse legittimo strumentale nelle gare dĠappalto, in Giust. Amm., n. 9/2012, p. 203. DOTTRINA 349 volto a preservare gli equilibri di forza tra imprese concorrenti, quale ulteriore contenuto sostanziale del bene della vita perseguito dal ricorrente. LĠinteresse strumentale infatti alla realizzazione di tale utilitˆ ha la sua matrice nonchŽ qualificazione giuridica nelle medesime fonti primarie e comunitarie che enunciano i principi di trasparenza e concorrenzialitˆ (76) nel mercato unico: le tre nuove direttive europee (77) in materia di appalti pubblici e servizi in sostituzione delle precedenti direttive europee e la recentissima direttiva concessioni, pubblicate sulla Gazzetta ufficiale della comunitˆ europea modificano le norme attuali sugli appalti pubblici comunitari, stabilendo norme comuni UE. In conclusione, si rammenta che dal punto di vista strettamente processuale, lĠinteresse a ricorrere deve essere concreto, ma non necessariamente attuale: si prescrive infatti unĠazione in capo a tutti gli operatori di settore anche se non direttamente interessati ad impugnare quella procedura (78). 4. Le divergenze intorno al concetto di oggetto del processo amministrativo e di domande giudiziali. Alla luce delle innumerevoli considerazioni finora esposte, non sembrerebbe vero che il ricorrente principale sia privo della legitimatio ad causam, ovvero dellĠinteresse ad agire. Non sarebbe privo della prima perchŽ la situazione protetta includerebbe il rispetto del principio di concorrenza effettiva ed efficace tra operatori di settore nel campo dei pubblici appalti. La situazione giuridica soggettiva andrebbe tutelata comunque anche se il ricorrente difetta di uno dei requisiti ex art. 38 del codice degli appalti pubblici. Inoltre dal momento che  la tutela processuale a doversi dimensionare su quella sostanziale e non viceversa, non cĠ dubbio che il ricorrente principale, per poter richiamare lĠidentico trattamento processuale del ricorrente incidentale, dovrˆ dimostrare di aver subito una concreta lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelabile in base al grado di protezione accordato dal diritto comunitario ovvero dal diritto nazionale (79). LĠAdunanza Plenaria oggetto dĠesame continua a considerare la situazione giuridica soggettiva del parteci (76) CARANTA R., DRAGOS D.C., La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, In Urbanistica e appalti, n. 5/2014, p. 504. (77) Si tratta: della direttiva 2014/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE; della direttiva 2014/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure dĠappalto e degli enti erogatori nei settori dellĠacqua, dellĠenergia e dei trasporti e dei servizi personali (che abroga la direttiva 2004/17/CE); della direttiva 2014/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sullĠaggiudicazione dei contratti di concessione. (78) Nel dibattito e negli orientamenti delineatisi a monte del pronunciamento della Corte di Giustizia si registra in prevalenza una tendenza restrittiva volta a circoscrivere la portata applicativa dei principi affermati dal giudice comunitario alla specifico caso della contesa giudiziale animata dai ricorsi. (79) PICOZZA E., IL cumulo (condizionale) delle domande nel processo amministrativo. Relazione al XVIII Convegno, Ciclo Convegni ÒIl diritto amministrativo che cambiaÓ del 20 settembre 2013 presso il Castello di Udine. pante alla gara come interesse legittimo e non come diritto soggettivo, pur essendo il giudice amministrativo dotato di apposita giurisdizione esclusiva, ex artt. 7 e 133 c.p.a. LĠinteresse a ricorrere infatti sarˆ ammesso soltanto se attuale, in quanto da ci˜ dipenderˆ la tutela in via specifica, ma eventualmente quella risarcitoria quando il ricorrente che abbia dimostrato il possesso dei requisiti legittimanti. A ben guardare quindi, non avendo lĠarticolo 42 del c.p.a. definito i rapporti tra ricorso incidentale e domanda principale, ed anzi, avendo qualificato e disciplinato come ÒdomandaÓ il ricorso incidentale, rimane aperto il tema della paritˆ sostanziale delle parti e di effettivitˆ delle tutele giuridiche. Dovrebbe essere riconosciuto un titolo di legittimazione al ricorrente che impugna lĠaggiudicazione, ancorchŽ destinatario di una domanda escludente da parte del- lĠaggiudicatario, residuando in capo a quel ricorrente lĠinteresse strumentale allĠannullamento della gara, funzionale alla riedizione del procedimento, la cui delibera dĠindizione  rimasta ferma (80). Siffatto argomento scaturisce proprio dalla lacunosa disciplina codicistica dellĠart. 42, dalle modalitˆ di formulazione del ricorso incidentale e dalla correlata statuizione del giudice amministrativo. Sul punto non appare satisfattiva lĠaffermazione che il difetto di legittimazione processuale del concorrente ricorrente deriverebbe dalla portata pienamente retroattiva dellĠaccertamento dellĠillegittimitˆ della sua ammissione alla gara. Ed in veritˆ questo accertamento non comporta in termini fattuali e giuridici la definitiva esclusione del ricorrente principale alla gara. Ed invero, posto che la sentenza del g.a. pur a seguito dellĠaccoglimento del ricorso incidentale, non contiene una statuizione di annullamento del provvedimento di ammissione del ricorrente, la retroattivitˆ della illegittimitˆ dellĠammissione non elimina, per un verso lĠeffettivitˆ della partecipazione alla procedura e, per altro verso non incide sulla sua collocazione in graduatoria cos“ come approvata dallĠamministrazione e non ne determina lĠestromissione. Si vuol dire che sul piano squisitamente amministrativo, il concorrente-ricorrente che ha partecipato al procedimento concorsuale conserva la posizione acquisita comunque, in mancanza di una statuizione di annullamento del g.a. e dellĠeventuale esercizio del potere di autotutela da parte dellĠamministrazione. Con lĠulteriore conseguenza che, indipendentemente dalla vicenda giudiziaria che lo ha visto estromesso, in tutti i casi di scorrimento della graduatoria per vicende ultronee (art. 140 codice appalti) egli potrebbe aspirare addirittura allĠaggiudicazione dellĠappalto. Sembrerebbe quindi che lĠaccoglimento della domanda incidentale tesa a paralizzare lĠesercizio della domanda principale ne impedisca anche il cumulo (81), perchŽ una volta dichiarata inammissibile la domanda di privazione (80) GIOVAGNOLI R., Ricorso incidentale e paritˆ delle parti. Relazione al Convegno di Lecce sul Codice del processo amministrativo, 2012. DOTTRINA 351 dĠefficacia del contratto per difetto di legittimazione a ricorrere, diverrˆ inammissibile altres“ la domanda condizionata al risarcimento del danno (82). Tale posizione sembra essere lontana anni luce da quella del giudice comunitario, sebbene appaia giustificabile in termini di efficienza e rapiditˆ dellĠazione amministrativa. Non soltanto infatti appare criticabile la posizione del g.a. con riferimento alla domanda giudiziale, ex art. 40 c.p.a., ma anche con riferimento al cumulo delle domande ed ai motivi aggiunti (83), ex art. 43 c.p.a. Non sembrano infatti rispettate le fondamentali regole di giustizia ed equitˆ, cos“ tanto gettonate, ma spesso soltanto sulla carta. La posizione giuridica soggettiva non appare difendibile (84) richiamando forme di tutela per equivalente, ovvero i principi del pareggio di bilancio ovverosia di sostenibilitˆ del debito pubblico come previsti ex artt. 81 e 97 della Carta Costituzionale (85). (81) Cos“ la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 14 dicembre 2011 n. 6537 puntualmente richiamata quasi testualmente dalla pi recente sentenza del Consiglio di Stato 22 gennaio 2013 n. 359 Òa differenza che nel processo civile, in cui il cumulo delle domande pu˜ essere giustificato tanto da una connessione oggettiva, quanto da una connessione soggettiva, nel processo amministrativo di legittimitˆ assume rilevanza soltanto la prima forma di connessione. La connessione soggettiva, al contrario, non consente lĠimpugnazione con un unico ricorso di provvedimenti diversi, a meno che sussista anche un collegamento oggettivo tra di essi. In altri termini nel processo amministrativo, occorre che le domande siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista soggettivo e oggettivo,oppure semplicemente connesse dal punto di vista oggettivoÓ. (82) PICOZZA E., Op. ult. cit. (83) I motivi aggiunti c.d. propri o successivi costituiscono unĠintegrazione della causa petendi e sono stati ammessi dalla giurisprudenza nostrana sin dallĠinizio del secolo scorso. Consistono nella possibilitˆ per il ricorrente di formulare nuove censure nel caso in cui successivamente alla proposizione del ricorso e dopo la scienza del termine per ricorrere questi abbia avuto contezza di fatti o atti idonei a rilevare lĠesistenza di ulteriori vizi originari del provvedimento impugnato. Secondo lĠimpostazione tradizionale quindi la proposizione dei motivi aggiunti propri  limitata a doglianze riguardanti lĠatto giˆ impugnato, che si fondino su atti sconosciuti senza colpa da parte del ricorrente e prodotti in giudizio dalle controparti . Pi di recente la giurisprudenza con atteggiamento maggiormente elastico ha ammesso la proposizione dei motivi aggiunti dedotti in seguito alla cognizione extragiudiziale dellĠinvaliditˆ. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, UTET, Torino, 2003, p. 645. (83) SASSANI B., VILLATA R., Il codice del processo amministrativo, Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012. (84) Non si rinviene una norma di legge che obblighi lĠamministrazione aggiudicatrice allĠesercizio dellĠautotutela. La p.a. pu˜ produrre ricorso incidentale solo se con esso intende chiedere la declaratoria di illegittimitˆ di un atto presupposto emanato da altra amministrazione. Se, invece, il giudizio riguarderˆ soltanto la legittimitˆ dellĠatto emanato dallĠamministrazione intimata, ebbene, in questo caso la p.a., potendo esercitare sul provvedimento poteri autotutelativi, non  legittimata a produrre ricorso incidentale. (85) La legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio  stata approvata con la legge 24 dicembre 2012 n. 243, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2013, in conformitˆ al dettato costituzionale che ne prevedeva approvazione entro il 28 febbraio 2013. Con apposita novella invece allĠart. 97 Cost., lĠobbligo di assicurare lĠequilibrio dei bilanci e la sostenibilitˆ del debito pubblico viene esteso a tutte le pubbliche amministrazioni. 5. Brevi conclusioni: opportunitˆ di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della problematica in oggetto. Sebbene finora il Consiglio di Stato abbia affermato con atteggiamento risoluto che le norme processuali amministrative non possano essere direttamente disapplicate, se non in casi eccezionali, dallo stesso giudice amministrativo, ferma restando la possibilitˆ di ricorrere al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E., ex art. 267 (86) TFUE, ovvero al giudizio di legittimitˆ costituzionale, ex art. 117, comma 1, Cost., appare quantomeno auspicabile il rinvio della questione del rapporto tra esame del ricorso principale e incidentale alla Corte di Giustizia, ex art. 345 (87) TFUE. In tal sede porre eventualmente anche la questione della disapplicazione (88) dellĠart. 42 c.p.a.? Secondo il diritto europeo i principi comuni di non discriminazione, trasparenza e concorrenza si possono coniugare in diverso modo allĠinterno degli Stati membri. Le direttive consentono infatti unĠattuazione differenziata dal momento che vincolano al risultato, fermi gli scopi di tutela. Il legislatore sarˆ quindi investito di una responsabilitˆ mista a capacitˆ di scelta intelligente e lungimirante. La scelta delle direttive recenti discendono dalla consapevolezza che in molti casi il migliore bilanciamento tra il favor per la concorrenza e gli altri principi compreso il buon andamento vada ricercato sul piano concreto non su quello teorico-astratto (89). Pare a tal punto opportuno fare una riflessione e porsi un problema di carattere generale, ovverosia, pu˜ lĠoperatore direttamente chiamato a conferire efficacia concreta alle direttive direttamente applicabili, far convivere il sistema normativo nazionale che ancora non  stato oggetto di adattamento, prima che il proprio legislatore adempia a questo compito fondamentale (90)? Il problema potrˆ trovare soluzione positiva a condi (86) La problematica in esame  stata da ultimo nuovamente rimessa alla Corte di Giustizia dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, davanti alla quale  stata proposta lĠimpugnazione della sentenza del Tar Palermo n. 351/2013 (Consiglio di giustizia amministrativa Regione Sicilia, ordinanza 17 ottobre 2013, n. 848). (87) Questo articolo TFUE (da sempre presente nei Trattati)  stato oggetto di lunghi dibattiti in ambito accademico. I giudici di Lussemburgo affermano che lĠarticolo in questione  espressione del principio di neutralitˆ dei Trattati, salvo rimanendo il divieto di discriminazione, la libertˆ di stabilimento e la libera circolazione dei capitali allĠinterno del territorio U.E. (88) Sotto il profilo dogmatico, la dottrina interpreta il fenomeno della disapplicazione in tre modi: a)come effetto o risultato giuridico della supremazia dellĠordinamento comunitario su quelli nazionali, in virt del primato e della diretta applicazione del diritto comunitario medesimo; b)come effetto o risultato giuridico dellĠintegrazione comunitaria negli ordinamenti nazionali, lĠeffetto integrativo comporta che la norma comunitaria almeno occasionalmente e nel caso concreto tra le fonti del diritto nazionale sostituendosi alla norma nazionale, regionale o locale incompatibile; c)come risultato di un criterio di collegamento particolare tra gli ordinamenti nel solco dei principi enunciati dal diritto internazionale privato. In tal senso, PICOZZA E., RICCIUTO V., Op. ult. cit. (89) CARANTA R., DRAGOS D.C., Op. ult. cit. (90) Il problema si  posto in particolar modo proprio in materia di appalti pubblici, prima che le direttive appalti, direttamente applicabili, venissero recepite e trasposte con decreti legislativi appropriati. DOTTRINA 353 zione che lĠoperatore (91) dotato di sufficiente cultura giuridica comunitaria, sappia inserire la norma nazionale nel contesto del diritto comunitario che regola tale materia. In effetti, il potere di adattamento differisce da quello di applicazione (92) in senso stretto, perchŽ consente agli Stati di rispettare, nellĠoperazione di ricezione, lĠidentitˆ nazionale che scaturisce dal proprio sistema, a condizione che esso non si ponga, nel suo complesso, contro lo spirito del diritto comunitario (93). Quanto alla c.d. illegittimitˆ comunitaria che consente la disapplicazione dellĠatto nazionale incompatibile, sono state avanzate diverse teorie che derivano i loro presupposti dalla soluzione del problema generale dei rapporti tra ordinamenti. Si  avanzata, con varie motivazioni, la tesi della nullitˆ, dellĠinefficacia, dellĠillegittimitˆ amministrativa in senso stretto, ovvero di una particolare ed eccezionale figura dĠinvaliditˆ, ovverosia lĠillegittimitˆ comunitaria, soprattutto con riferimento alla disapplicazione degli atti amministrativi incompatibili. Tuttavia, al di lˆ delle variazioni, lĠeffetto non cambia: il giudice amministrativo deve annullare il provvedimento amministrativo incompatibile quando sia lĠoggetto specifico del ricorso e non limitarsi solamente a disapplicarlo. Quando invece  una legge statale o regionale, un regolamento o un atto amministrativo generale a porsi in modo incompatibile col diritto europeo, pu˜ essere sufficiente la disapplicazione (94) degli stessi ai fini dellĠoggetto del giudizio (95). 6. Segue. Il rischio di azioni di risarcimento danni contro il Governo italiano sia in sede comunitaria che interna. Occorre a tal punto fare una precisazione inerente al giudizio comuni (91) Non si pu˜ nemmeno rinvenire una responsabilitˆ sebbene a carattere residuo da parte del funzionario che abbia agito illegittimamente, nŽ si rinviene una disposizione normativa volta allĠobbligo dellĠautotutela da parte dellĠamministrazione, nonostante ci˜ emerga espressi verbis dallĠorientamento della Corte di giustizia. Per quanto si ritiene possibile che il singolo funzionario possa esercitare il potere di adattamento che gli effetti propri dellĠarmonizzazione e non dellĠunificazione delle disciplin. Il rispetto del principio della correttezza sembra dĠobbligo .In tal senso, PICOZZA E., Diritto amministrativo e diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 2004, p. 75. (92) Laddove si dovesse proporre una questione di legittimitˆ davanti alla Corte Costituzionale, la tutela si porrebbe come preventiva rispetto alla pronuncia che definisce il giudizio ed anzi condizionante il suo contenuto. Il giudice amministrativo non potrˆ, ove sia dichiarata lĠillegittimitˆ della norma nazionale e/o in presenza di una sentenza interpretativa, proseguire in una differente interpretazione. Condizione per lĠaccesso alla Corte Costituzionale  che il giudice a quo ritenga non manifestatamente infondata la questione e quindi abbia egli stesso lĠattitudine a porsi in modo critico rispetto alle proprie scelte. In tal senso, OGGIANU S., Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, in Studi di diritto processuale amministrativo (Collana diretta da PICOZZA E., SASSANI B.), Cedam, Milano, 2011, p. 294. (93) In tal senso, PICOZZA E., Diritto amministrativo e diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 2004, p. 74. (94) A volte la giurisprudenza amministrativa tende a restringere lĠobbligo di disapplicazione per le p.a., imponendolo magari al responsabile della procedura contrattuale pubblica e non alla Commissione aggiudicatrice. (95) PICOZZA E., RICCIUTO V., Diritto dellĠEconomia, Giappichelli, Torino, 2013, p. 465 e ss. tario di inadempimento ed al giudizio nazionale ed individuale che pu˜ essere proposto sia dal singolo cittadino che dallĠimpresa, laddove si accerti la lesione da parte di qualunque pubblico potere dello Stato di una norma o regola comunitaria da proporre in Italia, davanti al Tribunale civile di Roma (96) nei confronti del Governo. Questa responsabilitˆ di carattere comunitario  stata riscontrata nonchŽ articolata dalla CGCE in un primo momento nei confronti del potere legislativo (97); successivamente  stata estesa al potere amministrativo (98), nonchŽ a quello giurisdizionale. Nella nota sentenza resa nel caso Traghetti del Mediterraneo (99), infatti, si  affermato che il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale (come quella italiana della L. n. 117/1988) che limiti la sussistenza della responsabilitˆ dello Stato membro ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza di tale responsabilitˆ nel caso in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente. E non solo. Anche a seguito della pronuncia Traghetti del Mediterraneo, la Corte ha ribadito che costituisce principio fondamentale del diritto dell'Unione l'obbligo per gli Stati membri di risarcire il danno cagionato ai singoli per violazione del diritto dell'Unione. I presupposti di tale responsabilitˆ risarcitoria consistono: in primis nella violazione di una norma preordinata a conferire diritti ai singoli; nella sufficiente caratterizzazione di tale violazione (che la Corte ravvisa nel carattere "manifesto" della violazione) ed infine, nel nesso di causalitˆ diretto fra la violazione e il danno subito dai singoli. La Corte ha poi ulteriormente precisato che lo Stato  responsabile per ogni violazione cagionata da organi che formano il c.d. Stato apparato, senza che possa rilevare la sua organizzazione interna (ad esempio non rileva l'articolazione territoriale e l'autonomia riconosciuta agli enti sub-statali). Nel caso Kšbler (100), risalente rispetto a quello appena trattato, la Corte di Giustizia ha affermato che anche la violazione riferibile allo Stato-giudice pu˜ fondare la responsabilitˆ dello Stato nel suo complesso. La limitazione del risarcimento al danno cagionato esclusivamente con dolo o colpa grave del giudice, costituisce una restrizione della responsabilitˆ dello Stato che non pu˜ essere accettata in quanto non rispettosa del parametro della "violazione sufficientemente caratterizzata" (id est, manifesta) che pu˜ da sola determinare l'insorgere della responsabilitˆ dello Stato. La Corte sembra peraltro ammettere in linea di principio che la normativa interna possa andare esente da censure laddove, sia pur in via interpre (96) Competente per territorio. (97) Sentenza Brasserie du Pecheur del 5 marzo del 1996 (causa C 46/93). (98) Sentenza Hedley Lomas del 23 maggio 1996 (causa C 5/94). (99) Ovverosia 13 giugno 2006 (causa C-173/03). (100) Sentenza 30 settembre 2003 (causa C-224/01). DOTTRINA 355 tativa, gli organi giurisdizionali di ultima istanza ne garantiscano unĠuniforme interpretazione conforme al diritto dell'Unione. In difetto della dimostrazione di tale circostanza, che lo Stato non  stato in grado di provare, la Corte ritiene che, escludendo qualsiasi responsabilitˆ dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dellĠUnione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dallĠorgano giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilitˆ ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dellĠart. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana  venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilitˆ degli Stati membri per violazione del diritto dellĠUnione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. La giurisprudenza comunitaria qualifica da tempo lĠatteggiamento dello Stato inadempiente agli obblighi nascenti dal Trattato dellĠUnione come illecito sanzionabile con lĠobbligo risarcitorio. La fonte di tale responsabilitˆ  stata individuata dalla giurisprudenza comunitaria nella violazione dellĠart. 10 del Trattato che impone agli Stati membri di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare finalizzate agli scopi del Trattato e di astenersi da qualunque misura che rischi di compromettere la realizzazione di tali scopi. Diventa fondamentale, quindi, la dimostrazione del nesso di causalitˆ tra violazione e produzione del danno. Nella valutazione del quantum va considerato in applicazione di principi costituzionali comuni, quali il dovere di solidarietˆ e collaborazione, il comportamento processuale ed extraprocessuale del danneggiato posto in essere in concorso col pubblico potere dello Stato membro. Si tratta, cio, dellĠart. 1227 del nostro codice civile che  stato ritenuto componente essenziale del c.p.a. ai fini del risarcimento del danno di ogni tipo (101). Quanto alla qualificazione giuridica della domanda risarcito- ria, nonchŽ al termine di prescrizione della stessa, la Suprema Corte si  recentemente (102) pronunciata: da un lato, infatti, ha confermato lĠorientamento ormai prevalente nella giurisprudenza di merito e di legittimitˆ, favorevole cio al riconoscimento in capo allo Stato legislatore di un illecito comunitario; dallĠaltro lato, invece, si  discostata dalla tesi prevalente in merito alla natura giuridica della responsabilitˆ dello Stato facendone discendere importanti conseguenze soprattutto in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Il giudice di legittimitˆ affronta il problema relativo allĠesigenza di coordinamento della disciplina della responsabilitˆ civile nazionale con le regole comunitarie, aderendo alla tesi della natura contrattuale della responsabilitˆ e (101) PICOZZA E., RICCIUTO V., La tutela giurisdizionale in un ordinamento giuridico multilivello, in Diritto dellĠeconomia, Giappichelli, Torino, 2013, p. 463 e ss. (102) Sentenza a Sezioni Unite Corte di Cassazione n. 9147/2009. non extracontrattuale (103) della medesima, derivante dal principio generale secondo cui il debitore deve adempiere le proprie obbligazioni secondo buona fede (104). Al fine di salvaguardia dellĠordinamento comunitario, utilizzando gli strumenti dellĠordinamento interno, si riconosce quindi in capo al singolo danneggiato a causa dellĠinadempimento di unĠobbligazione ex lege la possibilitˆ di far valere nei confronti dello Stato una riparazione del pregiudizio sofferto. Tale pretesa andrˆ qualificata come pretesa indennitaria di attivitˆ non antigiuridica volta a compensare lĠavente diritto della perdita subita in conseguenza dellĠinadempimento o del ritardo oggettivamente apprezzabile in presenza del requisito della gravitˆ della violazione, ma senza che operino i criteri del dolo e della colpa. Il termine di prescrizione dellĠazione di responsabilitˆ non  pi quinquennale, ex art. 2947 c.c. in combinato disposto con lĠart. 2043 c.c. in materia di fatto illecito da responsabilitˆ extracontrattuale, ma  il normale termine di prescrizione decennale. La responsabilitˆ comunitaria appare quindi come una vera e propria responsabilitˆ civile che assorbe anche la c.d. responsabilitˆ politica cara alla dottrina costituzionalistica. Quindi sia il Parlamento che il Governo che le stesse Assemblee Legislative Regionali possono compiere degli inadempimenti sia di tipo commissivo che omissivo. Per il diritto europeo  assolutamente indifferente il potere pubblico che risponde dellĠinadempimento, in quanto lĠunico soggetto abilitato a rispondere verso il cittadino o lĠimpresa comunitaria  il Governo dello Stato inadempiente. Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, il diritto comunitario non si oppone a che lo Stato renda responsabile in via diretta o in regresso il potere pubblico concretamente inadempiente. Su questa base quindi la violazione del diritto comunitario pu˜ costituire motivo di responsabilitˆ amministrativa da lesione dellĠinteresse legittimo ovvero del diritto soggettivo di competenza esclusiva del giudice amministrativo; oppure danno erariale o, ancora, motivo di risarcimento del danno e/o di ottemperanza. Le fattispecie di responsabilitˆ dei poteri giurisdizionali di uno Stato membro sembrano emergere nella giurisprudenza della Corte di Giustizia soprattutto in due casi: per omessa disapplicazione da parte del giudice di uno Stato membro di una disposizione nazionale manifestatamente incompatibile con una comunitaria; (103) I requisiti dellĠillecito aquiliano addebitabile allo Stato discendono dal diritto pretorile della Corte di Lussemburgo, salvo poi rinviare alla disciplina degli Stati interni per la regolazione sistematica dello stesso. Considerato che nella sentenza Francovich la Corte ha fatto discendere il principio della responsabilitˆ dello Stato dagli artt. 10 e 189 del TCE, la base giuridica dellĠillecito comunitario risiede non tanto nella disciplina nazionale, quanto nellĠillecito comunitario. LĠobbligo risarcitorio rinviene nel diritto comunitario la propria fonte ed i giudizi nazionali, investiti della funzione giurisdizionale, partecipano ad una funzione multilivello, composta di elementi transnazionali. (104) Nella fattispecie, ha osservato la Corte Suprema lĠobbligazione si fonda sulla volontaria appartenenza dellĠItalia allĠUnione Europea e quindi  naturale conseguenza che essa debba adempiere agli obblighi che derivano da tale appartenenza, tra i quali dare attuazione agli atti di diritto derivato soprattutto quando non sono direttamente auto esecutivi, come nel caso di gran parte delle direttive europee. DOTTRINA 357 per omessa richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dellĠart. 267 TFUE da parte di unaĠautoritˆ giudiziaria definibile come di ultima istanza nellĠambito della propria giurisdizione (105). Proprio con riferimento alla questione pregiudiziale di cui allĠarticolo appena menzionato, pare opportuno fare una precisazione: lĠobbligo di disapplicazione di disposizioni nazionali di qualsiasi livello e natura incompatibili col diritto europeo trae fondamento dallĠobbligo di leale collaborazione e dai principi del primato del diritto europeo, dalla diretta applicazione degli atti di diritto privato, dallĠobbligo dĠinterpretazione conforme degli atti nazionali al diritto comunitario, nonchŽ dallĠeffetto utile. Pu˜ tuttavia succedere che qualsiasi potere pubblico dello Stato membro dellĠUnione Europea non si attenga ai criteri appena esposti, non disapplicando lĠatto nazionale incompatibile o non sospendendo il giudizio nazionale o non ponendo in essere la questione pregiudiziale ai sensi dellĠart. 267 TFUE che consente di risolvere la controversia. In tal caso, laddove quindi dovesse ravvisarsi una violazione del diritto comunitario, vi sarebbe inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dalla sua appartenenza allĠUnione Europea: si metterˆ in atto una vera e propria azione dĠinadempimento davanti alla CGE (ex art. 260 TFUE). La titolaritˆ di tale azione giudiziaria spetta sia alla Commissione che a ciascuno degli stati membri nellĠesecuzione di una politica di controllo reciproco sugli adempimenti del diritto comunitario. La legittimazione invece non  prevista per i singoli cittadini, nŽ per le imprese e per le associazioni di categoria o per i soggetti rappresentanti di interessi o diritti collettivi o diffusi. é pur vero, tuttavia, che tali soggetti sono titolari di una facoltˆ procedimentale ovverosia la c.d. denuncia dĠinadempimento (106). (105) PICOZZA E., RICCIUTO V., Op. ult. cit. (106) La denuncia pu˜ essere contemporanea o successiva alle azioni stragiudiziali o giudiziali nazionali, deve contenere una succinta indicazione dei fatti, la specifica violazione degli obblighi previsti da norme comunitarie che si imputa ad una determinata autoritˆ dello Stato membro, lĠindicazione della stessa, gli altri soggetti che possono svolgere un ruolo nella vicenda, le azioni stragiudiziali e giudiziali nel frattempo intraprese a livello nazionale, lĠelenco della documentazione, gli estremi del soggetto denunciante o del suo legale rappresentante, gli estremi di recapito. Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso David Romei* SOMMARIO: 1. Premessa: lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso nel sistema dei controlli - 2. LĠoriginaria disciplina sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso e lĠintervento della Corte costituzionale - 3. La disciplina di cui allĠart. 143 T.U.E.L. e le modifiche apportate dal c.d. Pacchetto sicurezza - 4. La natura del decreto di scioglimento - 5. Il vigente sistema dello scioglimento dei consigli comunali. Il quadro indiziario posto a base delle valutazioni dellĠautoritˆ prefettizia ex art. 143 T.U.E.L. Natura ampiamente discrezionale dellĠaccertamento prefettizio - 6. Gli elementi sintomatici della ricorrenza dei presupposti richiesti dallĠart. 143 T.U.E.L. per lo scioglimento del Consiglio comunale - 7. Gli effetti dello scioglimento nei confronti degli amministratori degli enti locali -8. Considerazioni conclusive. 1. Premessa: lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso nel sistema dei controlli. La misura dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso di cui allĠart. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (decreto legislativo recante il ÒTesto unico sullĠordinamento degli enti localiÓ, c.d. T.U.E.L.) (1) rientra nel pi ampio genus dei controlli sugli organi istituzionali degli enti locali (2). A tale forma di controllo, giˆ tradizionalmente prevista nellĠordinamento precostituzionale,  stata riconosciuta natura ordinamentale, costituendo strumento attraverso cui lo Stato si assicura che gli enti locali, nello svolgimento della loro attivitˆ istituzionale, agiscano in conformitˆ ai principi generali dellĠordinamento (3); tali controlli, dunque, a differenza dei controlli sugli atti, hanno ad oggetto non la legittimitˆ di singoli provvedimenti amministrativi, bens“ lĠintera attivitˆ dellĠorgano rappresentativo, essendo precipuamente rivolti alla valutazione del suo operato complessivamente inteso, nonchŽ, soprattutto, dei meccanismi di formazione della sua volontˆ, al di lˆ delle singole modalitˆ concrete di esercizio del potere (4). (*) Avvocato, giˆ ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) In Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227. (2) Sulla riconducibilitˆ della misura di cui allĠart. 143 T.U.E.L. ai controlli amministrativi si v. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3 giugno 2014, n. 5856, in www.ilquotidianogiuridico.it, con nota di CASSANO, secondo cui la norma rappresenta Òuna particolare misura di controllo sugli organi posta dal- lĠordinamento a difesa dellĠordine e della sicurezza pubblica, a garanzia della sussistenza di quelle condizioni minimali che consentano liberamente e legalmente lo svolgimento del dibattito e la partecipazione politica dei cittadini e di tutte le forze espresse dallĠattuale societˆ pluralisticaÓ. (3) Si veda, sul punto, MELE, Manuale di diritto degli enti locali, Milano, 2007, 296-297. DOTTRINA 359 Il sistema dei controlli sugli organi degli enti locali  stato profondamente inciso dalla riforma del Titolo V della Costituzione operato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (5), la quale, introducendo allĠart. 114 Cost. il principio di equiordinazione fra gli enti costituenti la Repubblica (Comuni, Provincie, Cittˆ metropolitane, Regioni e Stato), ha suscitato forti dubbi circa la perdurante legittimitˆ costituzionale delle disposizioni contenute negli artt. 141 e ss. T.U.E.L. sul potere di scioglimento dei consigli comunali e provinciali. A porre fine al dibattito , da ultimo, intervenuto lo stesso legislatore con l. 5 giugno 2003, n. 131 (recante ÒDisposizioni per lĠadeguamento dellĠordinamento della repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3Ó, c.d. legge La Loggia) (6), il cui art. 2, comma 4, lett. m), precisa che il Governo, per lĠindividuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (Comuni, Province e Cittˆ metropolitane) ai sensi dellĠart. 117, comma 2, lett. p), Cost., e per il perseguimento del maggior soddisfacimento dei bisogni primari delle relative comunitˆ di riferimento, deve attenersi, tra gli altri, ai principi contenuti nelle disposizioni in vigore relative al controllo sugli organi degli enti locali. La compatibilitˆ delle disposizione dettate dal T.U.E.L. in materia di controllo sugli enti locali con il novellato Titolo V della Costituzione  stata, del resto, affermata anche dal Consiglio di Stato (7), il quale ha precisato che Òla pi accentuata garanzia, sancita dallĠart. 114 Cost., dellĠautonomia degli enti locali, in un sistema complessivo di equiordinazione con lo Stato e le Regioni, costituisce una prescrizione di portata generale che non vale ad escludere la sussistenza di un interesse nazionale idoneo a giustificare lĠesplicazione di tecniche di intervento statale sanzionatorioÓ al ricorrere di predeterminati presupposti (8). Al contrario, continuano i Giudici di Palazzo Spada, una copertura costituzionale per i controlli sugli organi degli enti locali devĠessere individuata proprio nel disposto del nuovo art. 117, comma 2, lett. p), Cost., che attribuisce alla legislazione esclusiva statale la materia della (4) In tal senso CELLA, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso, in Foro amm. TAR, 2004, 1209. (5) In Gazz. Uff. 24 ottobre 2001, n. 248. (6) In Gazz. Uff. 10 giugno 2003, n. 132. (7) Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2007, n. 1264, in Foro amm. CdS, 2007, 3, 990. (8) Cfr., nello stesso senso, anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 marzo 2010, n. 4275, in www.giustizia- amministrativa.it, secondo cui Òle disposizioni degli artt. 141 e 142 T.U.E.L., che consentono al Governo di intervenire sugli organi degli enti locali in base al presupposto della sussistenza di gravi e persistenti violazioni di legge sono compatibili con il sistema complessivo di equiordinazione degli enti locali con lo Stato e le regioni e con la pi accentuata autonomia degli stessi ex art. 114 Cost., recati dal nuovo Titolo V della Costituzione. Ci˜ in quanto, si  osservato, il vigente ordinamento costituzionale contempla due forme di ingerenza statale nellĠautonomia delle amministrazioni locali: quella di natura sostitutiva di cui allĠart. 120 Cost., che fa fronte ad esigenze oggettive da perseguire con un intervento surrogatorio, e quella, riferibile sotto il profilo sistematico agli artt. 126 e 117, comma 2, lett. p), Cost., che  espressione di un potere di controllo sugli organi e presuppone la sussistenza di violazioni da sanzionare, in vista del soddisfacimento di un rilevante interesse nazionaleÓ. legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Cittˆ metropolitane. Nella materia Òorgani di governoÓ rientra, infatti, tanto la disciplina della costituzione e del funzionamento di questi organi, quanto quella degli interventi, anche di carattere sanzionatorio e/o repressivo, sui medesimi imposti da problemi connessi al loro non corretto funzionamento (9). Anche la Corte costituzionale, seppur incidentalmente, ha avuto modo di affermare come la disciplina sullo scioglimento degli enti locali sia strettamente correlata ad unĠevidente omogeneitˆ degli interessi pubblici tutelati, sottostanti alla perseguita finalitˆ di ripristino del normale e corretto funzionamento degli enti locali (10). Nel panorama dottrinale non , peraltro, mancata lĠopinione di chi, specie con riferimento alla normativa di cui allĠart. 143 T.U.E.L., ha sostenuto la legittimitˆ costituzionale della disciplina dei controlli sulla base del richiamo allĠart. 117, comma 2, lett. h), Cost., riconnettendola, pertanto, alla materia Òordine pubblico e sicurezzaÓ rientrante nella potestˆ legislativa esclusiva statale (11). 2. LĠoriginaria disciplina sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso e lĠintervento della Corte costituzionale. Giˆ allĠinizio degli anni Ġ90 la recrudescenza di fenomeni di collusione della criminalitˆ organizzata di tipo mafioso con gli apparati amministrativi degli enti locali, specie di piccole dimensioni, aveva indotto il legislatore ad intervenire al fine di prevenire lĠinfiltrazione di soggetti legati alle consorterie malavitose nei gangli vitali dellĠapparato amministrativo di tali enti e, in particolare, in seno ai loro organi elettivi (12). Il primo intervento in questa direzione  rappresentato dallĠart. 15, l. 19 marzo 1990, n. 55 (13), il quale, nella sua originaria formulazione, prevedeva la sospensione degli amministratori locali sottoposti a procedimento penale per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso di cui allĠart. 416bis c.p. (ovvero per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso), nonchŽ degli amministratori nei cui confronti fosse stata applicata, ancorchŽ con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una di tali associazioni. Ratio della norma (9) In tal senso autorevole dottrina: cfr. STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 2011, 296297; ROLLA, Diritto regionale e degli enti locali, Milano, 2009, 220 e ss. (10) Cfr. Corte cost. 9 novembre 2007, n. 373, in Foro it., 2008, 2, I, 385. (11) Cfr. PIGNONE, Brevi note in tema di scioglimento degli organi degli enti locali, in www.justowin.it. (12) Per unĠapprofondita analisi sullĠorigine del d.l. 31 maggio 1991, n. 164 e delle successive modificazioni CANTADORI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, in Per Aspera ad veritatem - Rivista di intelligence e di cultura professionale. Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, n. 24, 2002. (13) In Gazz. Uff. 23 marzo 1990, n. 69. DOTTRINA 361 era quella di evitare la totale compromissione delle funzioni degli enti locali, garantendo la sopravvivenza degli organi elettivi malgrado la possibile collusione di alcuni loro componenti - pur se non ancora accertata con sentenza definitiva - con la criminalitˆ organizzata (14). Questa finalitˆ venne, per˜, ben presto disattesa dallo stesso legislatore, che, dopo soli due anni dallĠentrata in vigore dellĠart. 15, l. cit., con l. 18 gennaio 1992, n. 16 (15), ne riscrisse totalmente il contenuto, dettando una pi incisiva serie di restrizioni al diritto di elettorato passivo ed alla capacitˆ di assumere cariche nelle amministrazioni regionali e locali per i soggetti attinti da procedimenti penali o misure di prevenzione per appartenenza ad associazioni per delinquere di tipo mafioso (disciplina successivamente trasfusa, dapprima, nellĠart. 59 T.U.E.L. e, da ultimo, nel d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, recante il ÒTesto unico delle disposizioni in materia di incandidabilitˆ e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dellĠarticolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190Ó, c.d. legge Severino) (16). Il secondo intervento, attuato nellĠottica della realizzazione di una sempre pi incisiva lotta alla criminalitˆ mafiosa al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialitˆ della pubblica amministrazione,  rappresentato dallĠintroduzione, ad opera del d.l. 31 maggio 1991, n. 164 (17) dellĠart. 15-bis, l. n. 55/1990 (poi trasfuso nellĠart. 143 T.U.E.L.). In particolare, la norma, segnando un evidente passo avanti rispetto alla disciplina di cui al precedente art. 15, contemplava la possibilitˆ di addivenire allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per un periodo da dodici a diciotto mesi (prorogabili, in casi eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro mesi) qualora, anche a seguito degli accertamenti effettuati dal prefetto tramite accesso presso gli enti interessati a norma dellĠart. 15, comma 5, fossero emersi elementi - differenti rispetto a quelli contemplati dallĠart. 39, l. 8 giugno 1990, n. 142 (legge recante lĠÒOrdinamento delle autonomie localiÓ) (18) - su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalitˆ organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, in grado di compromettere la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati, ovvero tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per (14) Sul punto si veda ANGELOSANTO, Attivitˆ di indagine nello scioglimento dei consigli comunali, in Vincere la 'ndrangheta, a cura di C. LA CAMERA, Roma, 2011, 219 e ss. (15) In Gazz. Uff. 22 gennaio 1992, n. 17. (16) In Gazz. Uff. 4 gennaio 2013, n. 3. (17) D.l. convertito, con modificazioni, in l. 22 luglio 1991, n. 221, successivamente modificato dal d.l. 20 dicembre 1993, n. 529, convertito dalla l. 11 febbraio 1994, n. 108, e ulteriormente modificato dallĠart. 29, l. 3 agosto 1999, n. 265. (18) In Gazz. Uff. 12 giugno 1990, n. 135. lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comportava, in questi casi, anche la cessazione dalla carica di consigliere, sindaco, presidente della provincia e componente delle rispettive giunte, nonchŽ di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte. Come da pi parti osservato (19), la novella legislativa Òrappresenta la extrema ratio cui lĠordinamento ha ritenuto di dover ricorrere, quando la sospensione degli amministratori collusi non sarebbe sufficiente a salvaguardare lĠamministrazione pubblica, di fronte alla pressione e allĠinfluenza della criminalitˆ organizzataÓ (20). La ratio dellĠintervento legislativo pu˜ essere, infatti, individuata nellĠesigenza di approntare un sistema avanzato di difesa dello Stato a fronte di fenomeni di infiltrazione della criminalitˆ organizzata talmente pervasivi da essere in grado di compromettere il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, la libera determinazione dei loro organi assembleari nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi da essi erogati, oltre che nella tutela dellĠincolumitˆ e della sicurezza pubblica (21). Proprio la gravitˆ della misura introdotta dal legislatore, giˆ allĠindomani della sua entrata in vigore, ha spinto parte della dottrina (22) e della giurisprudenza amministrativa ad avanzare forti dubbi circa la sua legittimitˆ costituzionale, dubbi successivamente dissipati dalla Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalitˆ dal T.A.R. Lazio, sede di Roma (23), con sentenza del 19 marzo 1993, n. 103 (24). La Consulta, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 15-bis, l. n. 55/1999, sollevate in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 97, 113 e 128 Cost. (25), ha colto lĠoccasione per precisare la natura giuridica, il fondamento e i presupposti di esercizio del potere di scioglimento dei consigli comunali e provinciali. (19) LEOTTA, Breve rassegna di giurisprudenza in materia di provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, Intervento al Workshop ÒInfiltrazioni mafiose e P.A.Ó, Siracusa, 26 maggio 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; ANGELOSANTO, op. cit., 223. (20) Cosi LEOTTA, op. cit. Nello stesso senso anche la giurisprudenza dominante: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 1 luglio 2013, n. 6492, in Foro amm. TAR, 2013, 7-8, 2320, la quale afferma la natura dello scioglimento dei consigli comunali ex art. 143 T.U.E.L. quale rimedio di extrema ratio volto a salvaguardare beni primari dellĠintera collettivitˆ nazionale, messi in pericolo o compromessi dalla collusione tra amministratori locali e criminalitˆ organizzata o dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dellĠordinamento, teso al ripristino delle condizioni di legalitˆ dellĠente locale. (21) Sul punto si vedano CELLA, op. cit., 1209; ROLLA, op. cit., 221; LONGO, Lo scioglimento dei consigli comunali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso e questione di contesto, in Foro amm. CdS, 2008, 880 e ss. (22) Vedasi sul punto VIRGA, Infiltrazioni mafiose negli enti locali, in Corr. Giur., 1991, 821 e ss.; CIANCIO, Lo scioglimento dei consigli comunali per motivi di inquinamento da criminalitˆ organizzata nella giurisprudenza costituzionale, in Giur. it., 1996, IV, 17 e ss. (23) Ord. 8 luglio 1992, n. 681, in Gazz. Uff. 19 ottobre 1992, n. 45. (24) In Regioni, 1993, 1671 e ss. e in www.cortecostituzionale.it. DOTTRINA 363 Pi nello specifico, il Giudice delle leggi ha evidenziato che la norma impugnata  espressione di un potere di carattere straordinario, non assimilabile alle altre disposizioni dettate in tema di rimozione e sospensione degli amministratori locali coinvolti in reati legati alla criminalitˆ mafiosa (26). Essa , infatti, finalizzata a consentire il risanamento degli organi elettivi lesi nella loro capacitˆ di libera autodeterminazione a causa dei collegamenti con la criminalitˆ organizzata di alcuni loro membri. La disposizione impugnata, pertanto, lungi dal porsi in contrasto con i principi di uguaglianza, buon andamento ed imparzialitˆ della p.a., , invece, formulata in modo da assicurarne il rispetto, contenendo in sŽ tutti gli elementi idonei a garantire obiettivitˆ e coerenza nellĠesercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi elettivi conferito allĠautoritˆ amministrativa. Sulla scorta di ci˜, la Consulta ha, quindi, escluso qualsiasi violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost., relativamente alla asserita inidoneitˆ degli elementi probatori richiesti dallĠart. 15bis, l. cit., ai fini dellĠadozione del provvedimento di scioglimento (i quali, invece, ad avviso del Giudice remittente, presenterebbero un grado di significativitˆ inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si presterebbero ad un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo in sede giurisdizionale), in considerazione del peculiare onere motivazionale che grava sullĠautoritˆ amministrativa in sede di adozione del provvedimento di scioglimento, nel quale devono necessariamente confluire tutti gli accertamenti effettuati dallĠamministrazione procedente, tale da consentire al giudice amministrativo di verificare la logicitˆ dellĠiter logico-giuridico dalla stessa (25) La principale censura mossa dal Giudice remittente atteneva allĠasserita illegittimitˆ dellĠart. 15-bis, l. n. 55/1990, per violazione dellĠart. 3 Cost., posto che essa, a differenza di altre previsioni normative anchĠesse dirette a reprimere la criminalitˆ organizzata, le quali non solo richiedono un maggior grado di acquisizione probatoria ai fini dellĠadozione di provvedimenti di sospensione o rimozione di amministratori di organi elettivi locali, ma producono effetti pi ristretti, in quanto possono riguardare soltanto i soggetti colpiti da condanne o misure di prevenzione e devono essere ancorati a dati probatori certi e verificabili, consentendo di attribuire rilevanza ai Çcollegamenti indirettiÈ con la criminalitˆ organizzata ed estendendo lĠapplicabilitˆ della misura anche agli amministratori non direttamente interessati da quei collegamenti, determinerebbe una irragionevole lesione del principio di personalitˆ della responsabilitˆ penale. (26) In particolare, la Corte evidenzia che il carattere straordinario della misura deriva giˆ dalla lettura della circolare esplicativa n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991 del Ministero dellĠInterno, la quale testualmente afferma che dagli elementi oggetto di valutazione deve emergere Òchiaramente il determinarsi di uno stato di fatto nel quale il procedimento di formazione della volontˆ degli amministratori subisca alterazioni per effetto dellĠinterferenza di fattori, esterni al quadro degli interessi locali, riconducibili alla criminalitˆ organizzataÓ. Dalla lettura della predetta circolare, deriva, secondo la Corte, Òla piena consapevolezza, da parte dellĠautoritˆ che deve applicare la norma, che questa renda possibile lo straordinario potere di scioglimento solo in presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalitˆ organizzata, s“ da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunitˆ locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di esseÓ (cfr. pag. 10 della sentenza). seguito. Lo scioglimento devĠessere, poi, fondato sul riscontro di un oggettivo condizionamento degli amministratori idoneo a compromettere la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero sullĠaccertamento che il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Infine, sulla base dellĠassimilazione della disciplina di cui allĠart. 15-bis, l. cit., con quella prevista dallĠart. 39, comma 1, lett. a), l. n. 142/1990, che contempla lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per gravi motivi dĠordine pubblico, la Corte conclude nel senso che lĠirragionevolezza della norma impugnata non pu˜ neppure essere sostenuta sotto il profilo - pure prospettato nellĠordinanza di rinvio - di eccessivitˆ del mezzo rispetto al fine, ravvisabile nella prevista possibilitˆ di estensione della misura a tutti gli amministratori, pur in presenza del collegamento solo di alcuni di essi con la criminalitˆ organizzata. In proposito, la Corte sottolinea come la misura dello scioglimento ha come destinatari non tutti i consiglieri, ma lĠorgano collegiale complessivamente considerato, in ragione della sua inidoneitˆ a gestire la cosa pubblica. Un rilievo, questo, che fa perdere ogni consistenza sia al profilo dellĠeccessivitˆ della misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale della responsabilitˆ, che non pu˜ essere riferito ad un organo collegiale, in particolare nellĠipotesi, alternativa a quella della collusione, del condizionamento dellĠorgano da parte dei gruppi criminali; situazione questa che pu˜ profilarsi non necessariamente in conseguenza di comportamenti illegali di taluno degli amministratori. Le conclusioni raggiunte dalla Consulta sono state oggetto di aspre critiche di una parte della dottrina (27). Le principali perplessitˆ si sono, in primo luogo, appuntate sullĠeccessiva dilatazione del concetto di ordine pubblico operata dalla Consulta, cui sarebbero stati attribuiti Òcontorni a tal punto labili ed evanescenti da rendere la stessa figura, invece che strumento di tutela di valori primari, mezzo di compressione della sfera delle libertˆ individualiÓ (28). In questo senso, si  sottolineato che la sentenza rischierebbe di aprire un varco nel sistema di garanzia costituzionale dei diritti fondamentali, non arginabile fino allĠindividuazione degli esatti confini della nozione di ordine pubblico e della correlata possibilitˆ per i pubblici poteri di predisporre dei limiti allĠesercizio dei diritti fondamentali per la sua tutela. (27) Si vedano, in proposito, CIANCIO, op. cit., 18 e ss.; CORSO, Criminalitˆ organizzata e scioglimento dei consigli comunali e provinciali: osservazioni critiche alla giurisprudenza costituzionale, in Nuove Autonomie, 1993, I, 117 e ss. (28) CIANCIO, op. cit., 21. DOTTRINA 365 Tale obiezione pu˜, per˜, ormai dirsi superata a seguito della perimetrazione della nozione di ordine pubblico operata dal legislatore con l. 31 marzo 1998, n. 112 (sulla quale v. infra sub par. 3). In secondo luogo,  stato evidenziato come lĠintento del Giudice delle leggi di coinvolgere nella lotta alla criminalitˆ organizzata lĠintero ordinamento giuridico attraverso lĠimpegno di tutte le sue giurisdizioni (da quella penale a quella amministrativa) attraverso il riconoscimento della sindacabilitˆ dei provvedimenti di scioglimento da parte del giudice amministrativo, non sia stato accompagnato da sufficienti indicazioni circa i criteri sulla base dei quali accertare la congruitˆ dellĠoperato dellĠamministrazione (29). Anche questa seconda censura pu˜ considerarsi, allo stato, priva di fondamento, tanto in ragione del maggior rigore richiesto dallĠattuale disciplina nellĠindividuazione e nella valutazione degli elementi indizianti circa lĠesistenza di forme di condizionamento della criminalitˆ organizzata, quanto alla luce degli stringenti elementi sintomatici a tal fine elaborati dalla giurisprudenza (cfr. infra sub par. 3 e 6). 3. La disciplina di cui allĠart. 143 T.U.E.L. e le modifiche apportate dal c.d. Pacchetto sicurezza. La disposizione contenuta nellĠart. 15-bis, l. n. 55/1999 e s.m.i., , da ultimo, confluita nellĠart. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. T.U.E.L.), il quale - nella sua originaria formulazione anteriore alle significative modifiche introdotte nel 2009 - si limitava a riprodurne, pressochŽ pedissequamente, il testo. Ci˜ nonostante, la nuova collocazione della misura dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali  indicativa dalla volontˆ del legislatore di eliminarne, formalmente, il carattere di specialitˆ, inquadrandola organicamente nella parte dedicata al controllo sugli organi degli enti locali (30). La diversa sistemazione della norma non ne elide, tuttavia, la tradizionale ratio, da individuarsi pur sempre nella tutela della sicurezza e dellĠordine pubblico, cos“ come giˆ riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 103/1993 (31), nellĠampia accezione fornita dallo stesso legislatore nellĠart. 159, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (32), che, nel richiamare la sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni, lo definisce testualmente quale Òcom (29) CIANCIO, op. cit., 28 e ss.; CELLA, op. cit., 1212. (30) In tal senso DE ANGELIS EFFREM DI TORRERUGGIERO, La normativa di contrasto alle infiltrazioni mafiose con particolare riferimento alla gestione commissariale degli Enti locali, in www.sarannoprefetti. it; PIGNONE, op. cit. (31) La Consulta, in particolare, ponendosi in continuitˆ con lĠorientamento della precedente giurisprudenza costituzionale che assegnava allĠordine pubblico il rango di bene superiore, inerente al sistema costituzionale e in grado di costituire un limite invalicabile rispetto ai diritti costituzionalmente garantiti, lo aveva declinato in unĠaccezione lata, comprensiva della sicurezza, dellĠincolumitˆ, della tranquillitˆ e della difesa delle istituzioni; cfr., sul punto, CIANCIO, op. cit., 20 e ss. (32) In Gazz. Uff. 21 aprile 1998, n. 92. plesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari su cui si regge lĠordinata civile convivenza della comunitˆ nazionaleÓ (33). Nella sua nuova collocazione sistematica, la norma segue quella contenuta nellĠart. 141 T.U.E.L., la quale contempla una serie tassativa di ipotesi di carattere generale in cui i consigli comunali e provinciali possono essere sciolti dal Presidente della Repubblica, dietro proposta del Ministero dellĠInterno. Tali cause di scioglimento attengono essenzialmente a due aspetti: il primo, relativo al compimento, da parte degli amministratori locali, di atti contrari alla Costituzione, ovvero in ragione della commissione di gravi e persistenti violazioni di legge, nonchŽ per gravi motivi di ordine pubblico (art. 141, comma 1, lett. a), T.U.E.L.); il secondo, originato, invece, dallĠimpossibilitˆ di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi dellĠEnte comunale (impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia; dimissioni del sindaco o del presidente della provincia; cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purchŽ contemporaneamente presentati al protocollo dellĠente, della metˆ pi uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia; riduzione dellĠorgano assembleare per impossibilitˆ di surroga alla metˆ dei componenti del consiglio; mancata approvazione del bilancio nei termini prescritti; assenza o mancata adozione degli strumenti urbanistici generali; art. 141, comma 1, lett. b), c) e c-bis), T.U.E.L.) (34). Rispetto a quello qualificabile ÇordinarioÈ (35), lo scioglimento previsto dallĠart. 143 T.U.E.L. - giˆ nella sua originaria formulazione (36) - si pone Òin un rapporto di continuitˆ e di sostanziale specificazione, presentando la medesima ratio di tutela: la salvaguardia della Çtranquillitˆ e della sicurezza del vivere socialeÈ, componenti fondamentali della nozione di Çordine pubblico (33) GAGLIARDI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata, in Foro amm. CdS, fasc. 11, 2005, 3334, la quale suggerisce il collegamento tra ordine pubblico e sicurezza anche sulla base del dettato dellĠart. 126 Cost., che, nel disciplinare lo scioglimento dei consigli regionali, prevede, in luogo del tradizionale riferimento allĠordine pubblico, quello alle ragioni di sicurezza nazionale; DE ANGELIS EFFREM DI TORRERUGGIERO, op. cit.; PIGNONE, op. cit. (34) Per unĠanalisi dettagliata della norma si veda, tra gli altri, STADERINI, op. cit., 297 e ss. (35) STADERINI, op. cit., 297. (36) LĠart. 143, comma 1, T.U.E.L., nella sua originaria formulazione, testualmente stabiliva: Òfuori dei casi previsti dallĠart. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamento effettuati a norma dellĠart. 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalitˆ organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonchŽ di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperteÓ. DOTTRINA 367 materialeÈÓ (37). Il rapporto di specialitˆ sussistente tra le due ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali richiamate, comporta, di conseguenza, lĠapplicabilitˆ della disciplina di cui allĠart. 143 T.U.E.L. anche nei confronti degli organi per i quali si siano giˆ realizzati i presupposti previsti dallĠart. 141 T.U.E.L, anche qualora fosse giˆ intervenuto il relativo provvedimento di scioglimento e fino allĠindizione delle elezioni per il rinnovo degli organi elettivi (38). In disparte alle situazioni indicate dallĠart. 141, lĠart. 143, comma 1, T.U.E.L. (come sostituito dallĠart. 2, comma 30, l. 15 luglio 2009, n. 94) (39) prevede attualmente, quale ulteriore situazione legittimante lĠadozione di un provvedimento di scioglimento da parte del Capo dello Stato, lĠaccertamento di Òconcreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalitˆ organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui allĠarticolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare unĠalterazione del procedimento di formazione della volontˆ degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o lĠimparzialitˆ delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblicaÓ. Come emerge chiaramente dal raffronto tra la vecchia e la nuova formulazione dellĠart. 143 T.U.E.L., con la riforma del 2009 il legislatore ha inteso circoscrivere i presupposti necessari per addivenire allo scioglimento dellĠente locale, non essendo pi sufficiente, a tal fine, lĠemersione di Òelementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalitˆ organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessiÓ, risultando, di contro, necessaria lĠemersione di Òconcreti, univoci e rilevanti elementiÓ idonei a comprovare lĠesistenza di tali collegamenti. La specifica valenza probatoria degli elementi raccolti dallĠamministrazione fa s“ che la relativa valutazione non possa prescindere dalla sussistenza di Òcircostanze che assumano, al contempo, rilievo fattuale (e per converso non si traducano in mere congetture o sospetti), carattere concordante (restando estranei allo spirito della norma (37) Cos“ GAGLIARDI, op. cit. (38) Cfr., in tal senso, PONTE, Commento allĠart. 143, in La riforma degli enti locali. Commentario al d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, diretto da F. PITERË - R. VIGOTTI, I, Torino, 2002, 640 e ss.; con riferimento alla disciplina antecedente al T.U.E.L., FORLENZA, Infiltrazione mafiosa e scioglimento degli organi collegiali degli enti locali, in Riv. pen. econ., 1991, 317 e ss. Contra ALFANO-GULLOTTI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della criminalitˆ organizzata, in Nuova rassegna on line, 3, 2010, secondo cui devĠessere accordata prevalenza allo scioglimento per infiltrazioni mafiose ove non sia giˆ intervenuto il perfezionamento di concorrente procedura di scioglimento avviata ai sensi dellĠart. 141 T.U.E.L. Sulla prevalenza dello scioglimento ex art. 143 T.U.E.L. in giurisprudenza: cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 24 marzo 1999, n. 351, in T.A.R., 1999; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 13 gennaio 1999, n. 58, in Foro Amm., 1999, 1902. (39) In Gazz. Uff. 24 luglio 2009, n. 170. episodi sporadici od occasionali) ed ampia significativitˆ (desumibile da comportamenti complessivi e situazioni soggettive tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni, sia allĠinterno dellĠamministrazione locale sia allĠesterno sul piano dellĠordine e della sicurezza pubblica)Ó (40). Il maggior rigore richiesto dal legislatore del 2009 nella valutazione degli elementi indizianti il collegamento degli amministratori locali con la criminalitˆ organizzata emerge anche sotto il profilo dellĠonere motivazionale gravante sullĠamministrazione. La proposta di scioglimento, difatti, deve contenere unĠanalitica indicazione sia delle anomalie riscontrate nella gestione dellĠente, sia dei provvedimenti necessari al fine di rimuoverne tempestivamente gli effetti pregiudizievoli per lĠinteresse pubblico, oltre alla specifica menzione degli amministratori ritenuti responsabili delle condotte causative dello scioglimento. Con la novella del 2009, peraltro, la verifica degli elementi significativi ai sensi dellĠart. 143, comma 1, T.U.E.L., oltre a riguardare il Òceto politicoÓ dellĠente locale,  estesa anche a quello ÒburocraticoÓ, essendo essa diretta anche nei confronti del segretario comunale e provinciale, del direttore generale, dei dirigenti e dei dipendenti dellĠente. Come osservato dalla dottrina, Òtale riferimento espresso trova fondamento nellĠevoluzione normativa che ha interessato la p.a. negli ultimi decenni, nel senso di mantenere distinto il piano delle responsabilitˆ della sfera politica rispetto a quello della sfera amministrativa; tale assetto richiede che lĠinfiltrazione criminale possa verificarsi anche nel segmento gestionale dellĠattivitˆ dellĠenteÓ (41). Infine, una delle innovazioni di maggior rilievo apportate dalla l. n. 94/2009, attiene allĠintroduzione, nel comma 11 dellĠart. 143 T.U.E.L., della previsione dellĠincandidabilitˆ degli amministratori locali, le cui condotte hanno causato la dichiarazione di scioglimento, alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lĠente interessato dallo scioglimento limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso. (40) Cos“ ALFANO-GULLOTTI, op. cit. Cfr., in giurisprudenza, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 2012, n. 5606, in www.lexitalia.it. (41) Cos“ STADERINI, op. cit., 310. Cfr., in giurisprudenza, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047, secondo cui Òil principio di separazione tra le sfere politica e gestionale non esclude, anzi, avvalora, la responsabilitˆ complessiva degli amministratori elettivi, perchŽ attribuisce loro una piena autonomia di scelta delle modalitˆ e dei contenuti dellĠazione amministrativa dellĠente e, dunque, una correlativa piena responsabilitˆ finale quanto ai suoi risultati, che assorbe il controllo funzionale sugli uffici dellĠente, tramite la nomina dei responsabili, lĠadozione dei programmi e dei regolamenti, lĠistituzione di effettivi e selettivi meccanismi premiali e di controllo dellĠattivitˆ degli uffici e dei loro addetti e cos“ via. In altri termini, in forza del principio di separazione, lĠorgano politico  direttamente e pienamente responsabile del risultato finale dellĠamministrazione, perchŽ  sciolto da ogni controllo (esterno o interno) di legittimitˆ sugli atti o di merito sulle scelte di governoÓ. DOTTRINA 369 4. La natura del decreto di scioglimento. Sin dallĠentrata in vigore dellĠart. 15-bis, l. n. 55/1990, la dottrina e la giurisprudenza hanno ampiamente dibattuto in ordine alla natura giuridica del provvedimento di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per condizionamento della criminalitˆ organizzata. Secondo una prima tesi, assolutamente minoritaria, ai decreti di scioglimento dei consigli comunali dovrebbe essere riconosciuta natura di atti politici, come tali sottratti al sindacato giurisdizionale. Tale impostazione, sostenuta anche dallĠAvvocatura Generale nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di costituzionalitˆ dellĠart. 15-bis, l. n. 55/1990 (42), muove sostanzialmente dallĠequiparazione degli atti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali a quelli di scioglimento dei consigli regionali contemplati dallĠart. 126 Cost., cui parte della dottrina riconosce natura di atto politico (43). In particolare, questi ultimi, essendo riconducibili alla materia Çdirezione suprema dello StatoÈ, sarebbero espressione di fini e interessi superiori rientranti nel concetto di sicurezza dello Stato, i cui mezzi di tutela erano stati definiti dalla Consulta di natura squisitamente politica (44). In senso contrario si , per˜, espressa la dottrina maggioritaria (45), in linea di continuitˆ con quanto giˆ sostenuto dalla Corte costituzionale nella citata sen (42) In particolare, lĠAvvocatura Generale era pervenuta a tale conclusione attraverso una ampia disamina dei caratteri qualificanti delle misure, alla luce delle finalitˆ perseguite dal legislatore e del tipo di procedimento configurato per la loro adozione. I provvedimenti in questione - secondo lĠAvvocatura Generale - avrebbero carattere di specialitˆ rispetto alle ipotesi di scioglimento delle assemblee elettive degli enti locali giˆ contemplate nell'ordinamento dallĠart. 39, l. n. 142/1990. La finalitˆ che il legislatore avrebbe avuto di mira, dunque, sarebbe stata quella di superare la tradizionale delimitazione del concetto di ordine pubblico giˆ in precedenza legittimante provvedimenti di scioglimento di organi elettivi locali, concetto riferito alla sicurezza e alla quiete pubblica; lĠemergenza rappresentata dal crescente condizionamento di organizzazioni criminali sui pubblici poteri in ambito locale avrebbe, quindi, determinato la necessitˆ di un superamento di quei tradizionali e limitati istituti, in ragione del carattere realmente eversivo dellĠoperato della criminalitˆ organizzata di stampo mafioso. Le misure di rigore risponderebbero cos“ ad esigenze generali e unitarie di difesa dello Stato dallĠaggressione di contro poteri criminali. Siffatte connotazioni si rifletterebbero anche nel procedimento: lĠadozione della misura  affidata alla delibera del Consiglio dei Ministri - il cui intervento non  viceversa previsto nelle ipotesi ordinarie di scioglimento - che  trasmessa al Presidente della Repubblica per lĠemanazione e contestualmente alle Camere, prima ancora dellĠesecutivitˆ del provvedimento, per evidenti esigenze di controllo politico anticipato. Tali peculiaritˆ sostanziali e procedimentali - sempre ad avviso dellĠAvvocatura Generale - renderebbero le misure di scioglimento in argomento piuttosto assimilabili allo scioglimento dei consigli regionali per ragioni di sicurezza nazionale, a norma dellĠart.126, comma 3, Cost., misura cui si riconosce generalmente la natura di atto politico, non sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa, bens“ in sede di conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale in virt dellĠespresso disposto dellĠart. 134 Cost. (che in ogni caso non riguarda i comuni e le province). (43) GARRONE, Atto politico (disciplina di diritto amministrativo), in Dig. disc. pubbl., Torino, 1987, I, 544. (44) Si veda, sul punto, Corte cost., 24 maggio 1977, n. 86, in Giur. Cost., 1977, 696 e ss. (45) Cfr. CELLA, op. cit., 1211; CIANCIO, op. cit., 28; GAGLIARDI, op. cit. tenza n. 103/1993. La Consulta aveva, in particolare, precisato che la categoria degli atti politici, da individuare con criteri restrittivi stante il principio della indefettibilitˆ della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost., include gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unitˆ e nelle sue istituzioni fondamentali. Viceversa, i provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali Ònon presentano tali requisiti, giacchŽ, da un lato, la salvaguardia delle amministrazioni locali dalle ingerenze della criminalitˆ organizzata risponde ad un interesse specifico e delimitato dello Stato, per quanto pressante e necessaria sia lĠesigenza dellĠintervento, e, dĠaltro lato, una volta che la norma abbia previsto i presupposti ed i contenuti del provvedimento, le valutazioni di ordine politico devono intendersi esaurite nella sede legislativa, restando al potere esecutivo il compito, che  proprio della sfera di azione della potestˆ amministrativa, di rendere operante il dettato della fonte primariaÓ. Tale condivisibile orientamento  stato, successivamente, fatto proprio anche dalla giurisprudenza amministrativa (46). Parimenti dibattuta  la natura sanzionatoria o preventiva del decreto di scioglimento. La Consulta, nella pi volte richiamata sentenza n. 103/1993, ne aveva affermato la natura senzĠaltro sanzionatoria, avendo la stessa come diretti destinatari gli organi elettivi, pur se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunitˆ locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, allĠinfluenza della criminalitˆ organizzata (47). SenonchŽ, giˆ allĠindomani di tale pronuncia, la giurisprudenza amministrativa (48), supportata dalla dottrina predominante (49), si  pressochŽ unani (46) Cfr., in tal senso, Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in Redazione Giuffr, 2012; Cons. St., sez. IV, 22 febbraio 2007, n. 1004, in Foro amm. CdS, 2007, 3, 861; Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5878, in Foro amm. CdS, 2005, 10, 2957; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585, in Foro amm. CdS, 2000, 442. Con specifico riferimento al profilo della partecipazione delle Camere al- lĠadozione del provvedimento di scioglimento cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 22 dicembre 1992, n. 1277, in Foro amm., 1993, secondo cui Òil provvedimento di scioglimento del consiglio comunale deliberato dal Consiglio dei Ministri, sebbene emanato nelle forme del d.P.R. e contestualmente trasmesso alle camere, non costituisce atto insindacabile giacchŽ la trasmissione alle camere non implica partecipazione alla formazione del provvedimento e, comunque, lĠart. 15-bis, l. 19 marzo 1990, n. 55, non lo qualifica come insindacabile, quindi anche nel caso di specie deve trovare applicazione lĠart. 113 Cost., come nei confronti di qualsiasi altro atto della p.a.Ó. (47) Nel medesimo senso si vedano, in dottrina, SARTI, sub art. 143, in M. BERTOLISSI, LĠordinamento degli enti locali, Bologna, 2002, 571, il quale evidenzia la natura evidentemente sanzionatoria della misura, sebbene la stessa presenti anche forti connotazioni preventive; DE GIORGIO, La cultura del sospetto non basta per sciogliere i consigli comunali, ma una regione su quattro  a rischio infiltrazioni, in D&G - Dir. e Giust., fasc. 44, 2003, 42 e ss. (48) Si fa, in particolare, riferimento a Cons. St., 21 novembre 1994, n. 925, in Cons. St., 1994, I, 1496. In precedenza, nello stesso senso, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 6 maggio 1992, n. 433, in Foro Amm., 1993, 564. (49) Cfr. CIANCIO, op. cit., 23 e ss.; CICALA, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione e condizionamento mafioso, in Nuova Rass., 1999, 847; CELLA, op. cit., 1213; GAGLIARDI, op. cit.; LEOTTA, op. cit. DOTTRINA 371 mamente schierata a sostegno della natura preventiva della misura. Costituisce principio oramai acquisito allĠelaborazione giurisprudenziale quello secondo cui Òla natura del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose (ex artt. 143 e ss. d.lgs. n. 267 del 2000) non  di tipo sanzionatorio, ma preventivoÓ (50). é stato, infatti, osservato come Òla ratio che  sottesa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalitˆ organizzata  collegata con un istituto di natura preventiva e cautelare, inteso ad evitare che gli indizi raccolti in ordine allĠesistenza di una infiltrazione della criminalitˆ possano compromettere il regolare e legittimo andamento della gestione della cosa pubblica. Essa non risponde, quindi, alle regole ordinamentali tendenti a stroncare la commissione di illeciti, ma si inquadra piuttosto nel sistema preventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine a fatti che, per la loro consistenza ed effettivitˆ, si reputano idonei a determinare uno sviamento dellĠinteresse pubblico, che necessariamente deve essere perseguito dal- lĠente locale, titolare esponenziale degli interessi della propria collettivitˆÓ (51). Non sono, peraltro, mancate in dottrina voci che hanno sostenuto la tesi della natura mista, allo stesso tempo preventiva e sanzionatoria, della misura (52). 5. Il vigente sistema dello scioglimento dei consigli comunali. Il quadro indiziario posto a base delle valutazioni dellĠautoritˆ prefettizia ex art. 143 T.U.E.L. Natura ampiamente discrezionale dellĠaccertamento prefettizio. Al fine di accertare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa allĠinterno dellĠEnte locale, lĠart. 143 T.U.E.L. contempla un articolato procedimento, il quale prevede, anzitutto, la nomina, da parte dellĠUfficio prefettizio competente, di unĠapposita Commissione dĠindagine per mezzo della quale esercitare i poteri di accesso e di accertamento di cui  titolare per delega del Ministro dellĠInterno ai sensi dellĠart. 2, comma 2-quater, d.l. 29 ottobre 1991, n. 345. La Commissione, entro il termine (prorogabile) di tre mesi dalla data di accesso, redige una relazione conclusiva circa la sussistenza di elementi idonei a far propendere per lĠesistenza di tentavi di infiltrazione da parte della criminalitˆ organizzata. Entro il termine di 45 giorni dal deposito delle conclusioni della Commissione dĠindagine (ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condi (50) Cos“ Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in Redazione Giuffr, 2012; nello stesso senso, ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28 maggio 2013, n. 2895, in Foro amm. CdS, 2013, 5, 1207; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 18 giugno 2012, n. 5606, in Guida al diritto, 2012, 35, 102; conformemente, con riferimento allĠart. 15-bis, l. n. 55/1990: T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 16 giugno 1998, n. 1961, in Foro Amm., 1999, 195; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 20 maggio 1992, n. 208, in T.A.R., 1992. (51) Cos“ Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4467, in Foro amm. CdS, 2004, 1713. (52) BENEDETTI, Controlli e responsabilitˆ, in Diritto regionale e degli enti locali, a cura di S. GAMBINO, Milano, 2003, 466. zionamento degli organi amministrativi ed elettivi), il Prefetto, sentito il comitato provinciale per lĠordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dellĠInterno una relazione nella quale si dˆ conto della eventuale sussistenza degli elementi su possibili collegamenti degli Amministratori con la criminalitˆ organizzata, anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dellĠente locale. Nella relazione vengono, altres“, indicati anche gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalitˆ organizzata o, comunque, connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Infine, il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dellĠInterno e previa deliberazione favorevole del Consiglio dei Ministri, con proprio decreto, dispone lo scioglimento del Consiglio comunale o provinciale. Lo scioglimento del Consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. Il decreto di scioglimento - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale unitamente alla proposta del Ministro dellĠInterno ed alla relazione prefettizia (ove sugli stessi il Consiglio dei Ministri non disponga di mantenere la riservatezza) conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili, in casi eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro mesi. LĠeventuale provvedimento di proroga della durata dello scioglimento  adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso. La disposizione di cui allĠart. 143 T.U.E.L. si applica anche agli altri enti locali di cui allĠart. 2, comma 1, T.U.E.L. (cittˆ metropolitane, comunitˆ montane, comunitˆ isolane e unioni di comuni), nonchŽ ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti (art. 146 T.U.E.L.) (53). Il comma 11 dellĠart. 143 T.U.E.L. prevede, poi, che, fatta salva lĠapplicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del Consiglio comunale (o provinciale) Ònon possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lĠente interessato dallo scio (53) Cfr., con riferimento allĠapplicabilitˆ dellĠart. 143 T.U.E.L. alle Aziende sanitarie locali, SIMEOLI, La rimovibilitˆ dei vertici a.s.l. per condizionamento della criminalitˆ di stampo mafioso, in Giur. mer., fasc. 11, 2006, 2515 . DOTTRINA 373 glimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilitˆ sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione dĠincandidabilitˆ il Ministro dellĠinterno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessaÓ. Come evidenziato supra, lĠintento perseguito dal legislatore nella predisposizione dello strumento di cui allĠart. 143 T.U.E.L.  quello di arginare il pervicace fenomeno dellĠinfiltrazione della criminalitˆ di tipo mafioso allĠinterno dellĠapparato amministrativo degli Enti locali attraverso lĠintroduzione di un peculiare procedimento di verifica dellĠesistenza di possibili collegamenti tra i consigli comunali (o provinciali), ovvero tra i singoli amministratori o dipendenti dellĠAmministrazione, e le organizzazioni criminali, caratterizzato da una forte accelerazione temporale e da unĠampia discrezionalitˆ nella valutazione degli elementi indizianti. LĠindagine circa la sussistenza di condizionamenti o collegamenti degli amministratori comunali (o provinciali) con la criminalitˆ organizzata devĠessere condotta sulla base di circostanze che presentano un grado di significativitˆ e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano lĠesercizio dellĠazione penale o lĠadozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, essendo la natura del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose - come rilevato supra - non di tipo sanzionatorio (54), ma preventivo, tantĠ che il giudizio di rilevanza delle stesse pu˜ essere formulato anche sulla base della ricorrenza di un insieme di pi episodi sintomatici, i quali, isolatamente considerati potrebbero anche non essere particolarmente significativi o determinanti, ma che acquistano rilevanza in una considerazione di insieme. Al riguardo,  stato evidenziato come proprio ÒlĠuso, da parte del legislatore, di una terminologia nellĠart. 143, T.U. degli Enti locali ampia e indeterminata nellĠindividuazione dei presupposti per il ricorso alla misura straordinaria dello scioglimento del Consiglio Comunale  indicativo della volontˆ del legislatore di consentire unĠindagine sulla ricostruzione della sussistenza di un rapporto tra gli amministratori e la criminalitˆ organizzata sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significativitˆ e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano lĠazione penale o lĠadozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe. Ci˜ in quanto lĠintento del legislatore  quello di riferirsi anche a situazioni estranee allĠarea propria del- lĠintervento penalistico o preventivo, nellĠevidente consapevolezza della (54) Cos“ anche la dottrina maggioritaria: cfr. GAGLIARDI, op.cit.; LONGO, op. cit., 882 e ss. scarsa percepibilitˆ, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguitˆ e dunque di condizionamento fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessitˆ di evitare con immediatezza che lĠamministrazione dellĠEnte locale permanga permeabile allĠinfluenza della criminalitˆ organizzataÓ (55). Proprio dalla natura preventiva del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale discende che, per la sua adozione,  sufficiente la sola presenza di elementi su collegamenti o su forme di condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalitˆ organizzata, ma che non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontˆ degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalitˆ organizzata, nŽ in forme di responsabilitˆ personali, anche penali, degli amministratori (56), ma tali, comunque, da rendere plausibile, nella concreta realtˆ contingente e in base ai dati dellĠesperienza, lĠipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalitˆ organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinitˆ, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni (57). Da quanto precede discende come la valutazione affidata agli organi ministeriali in merito alla sussistenza di episodi denotanti un collegamento con la criminalitˆ organizzata, ovvero un condizionamento dellĠattivitˆ posta in essere dallĠEnte nellĠesercizio delle sue funzioni da parte delle consorterie criminali, sia connotata da unĠamplissima discrezionalitˆ (58). In tal senso il Consiglio di Stato ha avuto pi volte modo di precisare che ÒlĠart. 143, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, conferisce alle massime autoritˆ istituzionali competenti allĠadozione del provvedimento di scioglimento dei consigli comunali, giustificato dal pericolo di infiltrazioni mafiose, un potere, ampio e altamente discrezionale, che non necessita dellĠaccertamento di quei presupposti di fatto che per essere provati in modo certo e conclusivo della responsabilitˆ dei singoli amministratori richiedono lo svolgimento di procedimenti giuri (55) Cos“ T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 1 febbraio 2012, n. 1119, in Foro amm. TAR, 2012, 2, 442; nello stesso senso, ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547, in Foro amm. CdS, 2011, 3, 964; Cons. St., sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2615, in Foro amm. CdS, 2009, 4, 971; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 30 novembre 2010, n. 12788, in Foro amm. TAR, 2010, 11, 3639; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 maggio 2006, n. 454, in Foro amm. TAR, 2006, 5, 1876; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 4 novembre 2002, n. 3516, in Foro amm. TAR, 2002, 3795. Analoga la posizione della giurisprudenza con riferimento alla norma di cui allĠart. 15-bis, l. n. 55/1990: cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 17 novembre 1993, n. 1646, in T.A.R., 1993. (56) In terminis Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in www.giustizia-amministrativa.it. (57) Cfr., sulla rilevanza dei rapporti parentali, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547, in Foro amm. CdS, 2011, 3, 964; Cons. St., sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590, in www.giustizia-amministrativa.it; contra T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8 marzo 2013, n. 1382, in Foro amm. TAR, 2013, 3, 913, secondo cui Òi legami parentali non sono sufficienti a desumere la sussistenza di un inquinamento mafioso, in difetto di pi significative circostanze sintomatiche di tentativi di ingerenze della criminalitˆ organizzata sulla conduzione dellĠimpresa e sugli esponenti aziendaliÓ. (58) Cfr. PIGNONE, op. cit.; LEOTTA, op. cit.; LONGO, op. cit., 881. DOTTRINA 375 sdizionali o assimilati. I presupposti per lĠesercizio di detto potere devono essere valutati non con riguardo ai singoli episodi e vicende amministrative, che considerati singolarmente possono non essere indicativi del collegamento o condizionamento con organizzazioni della malavita organizzata, ma nel loro insieme e per la idoneitˆ ad esprimere un reale pericolo di infiltrazioni mafiosa nelle amministrazioni localiÓ (59). La qualificazione della concretezza, dellĠunivocitˆ e della rilevanza dei fatti accertati devĠessere, dunque, riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro complesso siano riferibili a fatti di cui non  in discussione lĠaccadimento storico (requisito di concretezza) e che in base al prudente apprezzamento dellĠamministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dellĠente che la norma ha inteso prevenire (requisito dellĠunivocitˆ) e siano, pertanto, sul piano causale rilevanti agli effetti predetti (60). Conseguenza naturale di siffatta discrezionalitˆ  quella secondo cui Òil sindacato del giudice di legittimitˆ non pu˜ estendersi al merito della scelta discrezionale operata dallĠamministrazione, ma pu˜ concernere la verifica della sussistenza delle circostanze di fatto riportate in motivazione, e la valutazione, sotto il profilo della logicitˆ, del significato a queste attribuito, e dellĠ"iter" seguitoÓ (61). LĠampiezza dei poteri di valutazione attribuiti dal legislatore agli organi ministeriali trova la propria giustificazione causale tanto nella finalitˆ di garanzia del rispetto dei canoni di legalitˆ da parte dellĠapparato dellĠEnte locale interessato, quanto nella tutela della effettiva partecipazione democratica della comunitˆ nellĠautogoverno dellĠente locale, sicchŽ, il provvedimento che determina lo scioglimento del Consiglio comunale (o provinciale), lungi dal possedere carattere sanzionatorio o repressivo nei confronti dei singoli (59) Cos“ Cons. St., sez. V, 4 maggio 2005, n. 2160, in Foro amm. CdS, 2005, 5, 1459; nello stesso senso, ex multis, Cons. St., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2583, in www.giustamm.it; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2000, n. 585, in Foro amm., 2000, 442; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 9 marzo 2009, n. 1356, in Foro amm. TAR, 2009, 3, 828; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 10 marzo 2008, n. 321, in Foro amm. TAR, 2008, 3, 855; id., 4 novembre 2002, n. 3516, in Foro amm. TAR, 2002, 3795. (60) Cfr., in questo senso, Cons. St., sez. II, 30 ottobre 2013, n. 2661, in Foro amm CdS, 2013, 10, 2867; Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2007, n. 1004, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 5 ottobre 2006 n. 5948, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573, in www.lexitalia. it; Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 562, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585, in Cons. St., 2000, I, 197. Nello stesso senso anche la dottrina: LONGO, op. cit., 881; DIDONNA, Nota a T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 ottobre 2006, n. 10754, in Corr. mer., 2006, 12, 1472. (61) Cos“ T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 gennaio 2002, n. 106, in Foro amm. TAR, 2002, 258; in senso analogo, Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2006, n. 4765, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 23 luglio 1999 n. 719, in Giorn, dir. amm., 2000, n. 3, 250; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 10 marzo 2006, n. 2873, in Foro amm. TAR, 2006, 3, 1054; id., 15 novembre 2004, n. 16778, in Foro amm. TAR, 2004, 3404. amministratori - nŽ, tantomeno, dei cittadini da essi rappresentati -, si atteggia, viceversa, quale misura di carattere straordinario e preventivo di salvaguardia della p.a. di fronte alle pressioni esercitate dalla criminalitˆ organizzata (62). Dalla straordinarietˆ della misura di scioglimento, la quale esige lĠimmediatezza dellĠintervento amministrativo, discende lĠattenuazione delle tipiche garanzie partecipative del relativo procedimento (63). Il provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per condizionamento dalla criminalitˆ organizzata, infatti, non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di attivitˆ di natura preventiva e cautelare, per la quale non vi  necessitˆ di partecipazione anche per il tipo di interessi coinvolti che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dellĠente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dellĠintera collettivitˆ comunale; rileva quindi il carattere straordinario della misura che, nellĠipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettivitˆ, quali quelli rappresentati dallĠordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento ex art. 143 T.U.E.L.  volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dellĠordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (64). (62) Cfr., sul punto, ex plurimis, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047, secondo cui Òlo scioglimento del consiglio comunale non ha natura sanzionatoria per i suoi componenti, o per la collettivitˆ locale che viene rappresentata, perchŽ esso  strumento (sia pure estremo) di tutela della effettiva partecipazione democratica della comunitˆ nellĠautogoverno dellĠente locale. In presenza dei presupposti di legge, infatti, lo scioglimento  disposto in quanto lĠautogoverno e, di conseguenza, lĠefficace ed efficiente amministrazione della cosa pubblica si apprezzano come minacciate da pressioni della criminalitˆ mafiosa, che, per la natura mutevole e fortemente mimetica di questĠultima, possono essere perpetrate, in maniera non tipizzabile ex ante, alle quali bisogna poter far fronte con strumenti duttili. Il giudizio che porta allo scioglimento  dunque duplice, essendo volto ad apprezzare, in positivo, la sussistenza di un interesse criminale alla gestione pubblica ed, in negativo, la sussistenza di elementi strutturali di debolezza nella gestione dellĠente che possono consentirne la permeabilitˆ rispetto a centri decisionali esterniÓ; nello stesso senso, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 maggio 2006, n. 454, in Foro amm. TAR, 2006, 5, 1876; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 15 novembre 2004, n. 16778, in Foro amm. TAR, 2004, 3404; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 gennaio 2002, n. 106, in Foro amm. TAR, 2002, 258. (63) GAGLIARDI, op. cit.; SARTI, op. cit., 572; SICARI, Il carattere straordinario della procedura di scioglimento del Consiglio comunale ex art. 143 T.U.E.L. e lĠaffievolimento delle garanzie partecipative, in www.ildirittoamministrativo.it; GROPPI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per collegamenti mafiosi, in Giorn. dir. amm., 2000, 255. (64) In tal senso, ex multis, Cons. St., sez. III, 14 febbraio 2014, n. 727, in Foro amm CdS, 2014, 2, 412; Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5878, in Foro amm. CdS, 2005, 10, 2957; Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4467, in Foro amm. CdS, 2004, 1713; Cons. St., sez. V, 22 marzo 1999, n. 319, in Giur. it., 1999, 2175; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 6 maggio 2013, n. 4440, in Foro amm. TAR, 2013, 5, 1550. Contra T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 7 dicembre 2010, n. 14261, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4052, secondo cui Òsussiste lĠobbligo di comunicazione di avvio del procedimento di scioglimento di un Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, in considerazione della mancanza di una espressa previsione di un caso di urgenza tipizzata, della natura discrezionale del provvedimento incidente su interessi costituzionalmente garantiti, della espressa previsione di un separato e differente procedimento cautelare da attivarsi in caso di urgenza apprezzata in concretoÓ. DOTTRINA 377 6. Gli elementi sintomatici della ricorrenza dei presupposti richiesti dallĠart. 143 T.U.E.L. per lo scioglimento del Consiglio comunale. Malgrado la novella del 2009 abbia senzĠaltro inteso circoscrivere lĠindividuazione dei presupposti richiesti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, la norma continua a tacere in merito ai casi concreti in cui debba ritenersi esistente il collegamento degli amministratori locali con la criminalitˆ organizzata. Nel corso degli anni , quindi, toccato alla giurisprudenza enucleare una serie di figure sintomatiche dellĠinfiltrazione, riconducibili tanto a condizioni di accertata o notoria diffusione della criminalitˆ organizzata nel territorio comunale o provinciale, quanto alle disfunzioni dellĠente locale che dalla stessa derivano (65). Anzitutto, dagli elementi raccolti dallĠamministrazione deve emergere il profondo radicamento della criminalitˆ organizzata nei gangli economici pi vitali ed essenziali della comunitˆ locale, il quale  in grado di giustificare, ex se, lĠapplicazione dellĠistituto di cui allĠart. 143 T.U.E.L. Infatti, come rilevato dal pi attento indirizzo giurisprudenziale, ÒlĠapplicazione dellĠistituto di cui allĠart. 143, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, ricorre nelle ipotesi in cui lĠandamento generale della vita amministrativa di un ente locale subisce influenze da un ipotizzato condizionamento mafioso, potendo di conseguenza lĠindagine riguardare, oltre che scelte strettamente di governo - soprattutto quelle in materia di programmazione e pianificazione - anche specifiche attivitˆ di gestione, le quali sostanzialmente finiscono per essere quelle di maggior interesse per le consorterie criminali, in considerazione della maggiore e pi repentina disponibilitˆ che viene offerta di risorse pubblicheÓ (66). Ai fini della razionalitˆ e sostenibilitˆ di una determinazione di scioglimento, non , dunque, strettamente necessario che gli elementi indiziari riguardino specificamente lĠattivitˆ di governo (67), fermo restando che a tali (65) STADERINI, op. cit., 309; LONGO, op. cit., 883. (66) Cos“ Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in www.giustizia-amministrativa.it; nello stesso senso T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 9 marzo 2009, n. 1356, in Foro amm. TAR, 2009, 3, 828. (67) Contra, BOTTINO, I controlli statali sugli organi degli Enti locali: natura giuridica e presupposti dello scioglimento degli organi elettivi per infiltrazioni e condizionamenti della criminalitˆ organizzata, in Foro amm. TAR, fasc. 3, 2005, 804 e ss., secondo cui, Òin ragione delle dinamiche proprie delle decisioni amministrative collegiali, lĠinfiltrazione ed il condizionamento da parte di ambienti della criminalitˆ organizzata - per risultare effettivo - deve attingere direttamente alla maggioranza dei soggetti che sono in grado di rendere la decisione dellĠorgano del tutto coincidente con la loro. In difetto si deve infatti presumere che la volontˆ dei consiglieri di minoranza, seppur ÇviziataÈ dai condizionamenti della malavita locale, resti nellĠambito degli interna corpora consiliari nel momento stesso in cui la decisione amministrativa collegiale assume la sostanza della volontˆ della maggioranza, essa viceversa scevra da influenze criminali. Sotto questo primo profilo,  dunque la regola di adozione delle decisioni proprie degli organi collegiali - nel privilegiare la volontˆ della maggioranza dei componenti dellĠorgano stesso - a far ritenere ininfluente la partecipazione alla deliberazione (rectius, al contenuto dispositivo della medesima) di componenti dellĠorgano che esprimono unĠopinione dissenziente, diversa da quella che forma oggetto della deliberazione stessaÓ. organi resta, comunque, affidato un compito di generale sorveglianza e verifica sullĠandamento generale delle attivitˆ di gestione, essendo, viceversa, sufficiente Òla presenza di sintomatiche disfunzioni nellĠagire dellĠamministrazione comunale, alle quali gli amministratori non hanno saputo porre argine o che non hanno avvertito adeguatamente, e dalle quali si pu˜ desumere che interessi economici privati di uomini e di imprese legati alla criminalitˆ hanno saputo giovarsene, in via sistematica o in episodi ricorrentiÓ (68). Peraltro, la stessa carente e distorta azione dellĠAmministrazione comunale rispetto ai piani urbanistici ed edilizi  da ritenersi intrinsecamente rappresentativa di una amministrazione locale timida, debole, oggettivamente (anche se forse non consapevolmente) gregaria e collusiva con il sistema mafioso di condizionamento dello sviluppo sociale ed economico del territorio (69). La soglia di tutela realizzata dal legislatore, ai fini dellĠapplicazione del- lĠistituto di cui allĠart. 143 T.U.E.L.,  cos“ avanzata da rendere del tutto irrilevante la circostanza per cui le disfunzioni dellĠapparato amministrativo siano pregresse rispetto allĠinsediamento del nuovo Consiglio comunale (o provinciale), ben potendosi gli episodi di collegamento e condizionamento con la criminalitˆ organizzata dedurre da un contegno omissivo degli amministratori, i quali nulla abbiano fatto per arginare la situazione di inefficienza ed illegalitˆ presente (70). Il condizionamento da parte della criminalitˆ organizzata pu˜ essere, pertanto, frutto non solo di coartazione violenta o di timore, ma anche di una spontanea adesione culturale al sistema mafioso, ovvero di una pura e semplice volontˆ degli amministratori di quieto convivere con le consorterie malavitose (71). Particolare attenzione  stata rivolta dalla giurisprudenza al settore degli appalti pubblici. Al riguardo il Consiglio di Stato (72) ha evidenziato come concreti indici di collusione e vicinanza alla criminalitˆ organizzata possano (68) Cos“ Cons. St., sez. V, 23 agosto 2006, n. 4946, in Foro amm. CdS, 2006, 7-8, 2203; in senso analogo, ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 10 marzo 2008, n. 321, in Foro amm. TAR, 2008, 3, 855; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 13 gennaio 2005, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.it. (69) In questo senso, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047. (70) Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1593, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4047, secondo cui Òai fini dellĠistituto di cui allĠart. 143 del d.lgs. n. 267/2000, non rileva il fatto che le disfunzioni dellĠapparato burocratico amministrativo siano pregresse, essendo sufficiente che lĠamministrazione in carica nulla abbia fatto in concreto per rimuovere lĠinefficienza, con la conseguenza che anche un comportamento meramente omissivo, o comunque di tolleranza o di tiepidezza, o di dissociazione meramente nominale o dichiarata, ma non effettivamente posta in essere, costituisce in effetti la perpetuazione della situazione di disfunzione e di illegalitˆ preesistente, che sul piano della tutela  oggetto di disvalore quanto la condotta commissiva che lĠha originata. Anzi, a fronte di una situazione pacificamente riconosciuta come di illegittimitˆ,  necessario che ne sia disposta in tempi ragionevoli lĠeffettiva e sostanziale eliminazioneÓ. (71) FILIPETTI, Comune sciolto: finanzi˜ la festa del boss. Istituzioni mute, cos“ prosperano i clan, in D&G - Dir. e Giust., fasc. 44, 2006, 98. (72) Cfr. Cons. St., sez. VI, 5 ottobre 2006, n. 5948, in www.giustizia-amministrativa.it. DOTTRINA 379 essere desunti sia dalla scelta mirata di una specifica procedura di selezione del contraente privato - che permetta alla stazione appaltante di invitare alla gara soltanto un ristretto numero di concorrenti tra tutti gli operatori economici che avrebbero potuto parteciparvi -, sia da quella di uno specifico criterio di aggiudicazione. Anche lĠeventuale aggiudicazione di appalti ad imprese attinte da informative prefettizie interdittive, le quali attestino inequivocabilmente la presenza di forme di inquinamento mafioso della compagine societaria,  stato ritenuto elemento idoneo a dimostrare lĠasservimento dellĠamministrazione dellĠente locale alla criminalitˆ organizzata (73). La necessitˆ di evitare lĠinfiltrazione della criminalitˆ mafiosa nel settore dei contratti pubblici , peraltro, considerata a tal punto rilevante che la giurisprudenza ritiene che anche la commissione straordinaria per la gestione degli enti locali, che si insedia a seguito dello scioglimento del Consiglio comunale (anche attraverso pressanti condizionamenti nel settore dei lavori pubblici), deve assumere tutte le iniziative istruttorie volte ad accertare fenomeni di condizionamento da parte della criminalitˆ in rapporto allĠaggiudicazione degli appalti, anche se diverse da quelle prescritte dalla normativa generale in materia di certificazioni e comunicazioni antimafia, e, conseguentemente, adottare le opportune misure volte a contrastare simili fenomeni, tra cui lĠesclusione dalle gare di appalto di quelle imprese che, anche indirettamente, risultino collegate con le organizzazioni criminali (74). Persino le iniziative antimafia messe in atto dallĠamministrazione dellĠente locale (quali la sottoscrizione dei cc.dd. protocolli di legalitˆ) possono essere idonee a dimostrare la sussistenza di forme di condizionamento degli organi elettivi o burocratici da parte della criminalitˆ organizzata, qualora le stesse siano scientemente disapplicate dallĠamministrazione comunale (o provinciale) (75). LĠanalisi degli indici sintomatici delle forme di condizionamento degli enti locali da parte della criminalitˆ organizzata elaborati dalla giurisprudenza consente di affermare che il potere di scioglimento dei consigli comunali (o provinciali) deve ritenersi correttamente esercitato qualora emergano Òele (73) FILIPETTI, Se il Comune  appaltato alla mafia - Quando scatta lo scioglimento per lĠinfiltrazione dei clan, in D&G - Dir. e Giust., fasc. 11, 2006, 86. Nello stesso senso anche la giurisprudenza: cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 1622, in www.giustizia-amministrativa.it. Si veda, in proposito, anche Cons. St., sez. V, 23 marzo 2004, n. 1566, in D&G - Dir. e Giust., 2004, 24, 79, con nota di DIACO-FERRARI, Quando la criminalitˆ si ÒinfiltraÓ norme a protezione dei consigli, secondo cui Ònon  rilevante, ai fini dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, la circostanza che la giunta abbia conferito numerosi appalti ad imprese tra i cui dipendenti si contino innumerevoli pregiudicati per fatti di mafia, in quanto nel caso di appalto di servizi il rapporto di dipendenza del lavoratore sussiste solo con lĠappaltatore, e non tocca lĠAmministrazione comunaleÓ. (74) In tal senso, ex plurimis, Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2002, n. 214, in Foro amm. CdS, 2002, 96; Cons. St., sez. V, 1 giugno 2001, n. 2969, in D&G - Dir. e Giust., 2001, fasc. 29, 78; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 maggio 2004, n. 1063, in Foro amm. TAR, 2004, 1564. (75) Cfr. Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, con nota di DE CARLO, Adozione di iniziative antimafia e presupposti per lo scioglimento dei consigli comunali, in www.ilquotidianogiuridico.it. menti su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalitˆ organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchŽ il regolare funzionamento dei servizi alle stesse ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica; pertanto, tale norma considera, per quanto concerne il "rapporto" fra gli amministratori e la criminalitˆ organizzata, circostanze che presentano un grado di significativitˆ e di concludenza inferiore di quelle che legittimano lĠavvio dell'azione penale o lĠadozione delle misure di sicurezza nei confronti degli "indiziati" di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analogheÓ (76). 7. Gli effetti dello scioglimento nei confronti degli amministratori degli enti locali. Come giˆ accennato, lĠinnovazione probabilmente di maggior impatto apportata dalla novella del 2009 alla disciplina dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali attiene allĠintroduzione, nel comma 11 dellĠart. 143 T.U.E.L., di una peculiare ipotesi di incandidabilitˆ per gli amministratori locali che, con le loro condotte, abbiano causato lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali dĠappartenenza. In particolare, la norma prevede che, fatta salva lĠapplicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lĠente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilitˆ sia dichiarata con provvedimento definitivo. La previsione di cui allĠart. 143, comma 11, T.U.E.L. costituisce una particolare ipotesi di responsabilitˆ dirigenziale, applicabile ad ampio spettro sia ai dirigenti che ai membri degli organi elettivi degli enti locali disciolti. Tuttavia, lungi dal trattarsi di una responsabilitˆ ÒautomaticaÓ, essa deve essere oggetto (76) Cos“ Cons. St., sez. V, 18 marzo 2004, n. 1425, in Foro amm. CdS, 2004, 833. Sul punto si veda BOTTINO, op. cit., 807, secondo cui, a seguito delle riforme succedutesi a partire dalla legge sul- lĠelezione diretta del Sindaco e del Presidente della provincia, sino alla definitiva formulazione del T.U.E.L. (ed attraverso le disposizioni sulle autonomie locali dettate dalla l. n. 127/1997 e dalla l. n. 265/1999)  profondamente mutato il ruolo attribuito allĠorgano consiliare, al punto da potersi ipotizzare un reale ÇsvuotamentoÈ delle attribuzioni dal medesimo conservate. LĠattribuzione dellĠazione di governo al Sindaco ed alla Giunta da esso nominata, unitamente al conferimento alla dirigenza amministrativa dei poteri di gestione e delle connesse responsabilitˆ di risultato, affiderebbero oggi allĠorgano consiliare il ruolo di soggetto titolare della mera funzione Çdi indirizzo e controllo politico-amministrativo È (art. 42, comma 1, T.U.E.L.), organo cui spettano competenze deliberative in ordine ad ambiti tassativamente enunciati (art. 42, comma 2, T.U.E.L.), sicchŽ la normativa in tema di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose avrebbe, oramai, perso attualitˆ. DOTTRINA 381 di accertamento in via definitiva da parte degli organi giurisdizionali a ci˜ preposti (77), in quanto esita nella sanzione della incandidabilitˆ - in ambito regionale - alle prime elezioni successive allo scioglimento dellĠente locale, impingendo quindi nella sfera soggettiva pi intima dei candidati, in quanto ha ad oggetto il diritto, costituzionalmente garantito, di elettorato passivo (78). La norma si affianca al pi ampio genus delle cause di incandidabilitˆ originariamente previste dallĠart. 15, l. n. 55/1990 (come modificato dalla l. 16 gennaio 1992, n. 16) (79), successivamente confluito nellĠart. 58 T.U.E.L. (da ultimo abrogato dallĠart. 17, comma 1, lett. a), d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, c.d. legge Severino), delle quali condivide alcuni caratteri fondamentali. In generale, lĠincandidabilitˆ costituisce una nuova incapacitˆ giuridica speciale, ontologicamente e teleologicamente diversa dalle altre situazioni che, del pari, impediscono lĠelezione o la permanenza in una carica pubblica, perchŽ limitano lĠesercizio del diritto di elettorato passivo (80). Infatti, le circostanze che importano lĠincandidabilitˆ, escludono il diritto di elettorato passivo (rispetto alle elezioni amministrative) e non soltanto lĠesercizio dello stesso, impedendo ai soggetti che ne sono colpiti, persino di adire la situazione giuridica prodromica rispetto allĠelezione, ovvero la candidatura. In questĠottica, diversamente da quanto avviene con riferimento ai seppur analoghi istituti dellĠineleggibilitˆ e dellĠincompatibilitˆ, lĠincandidabilitˆ si palesa come la conseguenza, non la causa, della perdita del diritto di elettorato passivo. LĠineleggibilitˆ e lĠincompatibilitˆ, infatti, pur limitando lĠesercizio del diritto di elettorato passivo, discendono, per˜, da situazioni che lĠinteressato pu˜ (e deve) rimuovere prima di essere candidato o al momento in cui viene eletto, e che vanno perci˜ ascritte alla categoria della incompatibilitˆ, che lĠordinamento pone in riguardo al possibile contrasto dĠinteressi tra lĠeleggendo e lĠente che esso dovrebbe rappresentare (81). Malgrado le indubbie similitudini, la misura di cui allĠart. 143, comma 11, T.U.E.L., va nettamente distinta dalla sanzione di incandidabilitˆ prevista dal- lĠabrogato art. 58 T.U.E.L., che prevedeva, quali cause ostative alla candidabilitˆ alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, come presidente e com (77) LĠaccertamento, come esplicitamente disposto dallo stesso comma 11 dellĠart. 143 T.U.E.L., ha ad oggetto la verifica della presenza di elementi su collegamenti o forme di condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalitˆ organizzata: cfr., in tal senso, Trib. Catania, sez. I, 21 marzo 2014, in Redazione Giuffr, 2014. (78) In tal senso T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 2005, in Foro amm. TAR, 2012, 10, 3362. (79) In Gazz. Uff. 22 gennaio 1992, n. 17. (80) In tal senso, in dottrina, CINNERA, La partecipazione dellĠ ÒincandidabileÓ alle elezioni per il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullitˆ dei voti o delle elezioni?, in www.giustamm.it. Analogamente anche la giurisprudenza: cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 marzo 2000, n. 113, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 27 maggio 1999, n. 1021, in www.giustizia-amministrativa.it. (81) CINNERA, op. cit. ponente di consigli e giunte, nonchŽ di aziende speciali ed istituzioni e di comunitˆ montane, lĠaver riportato una condanna definitiva per il delitto previsto dallĠart. 416-bis c.p. (ovvero per gli altri enumerati dallĠart. 58, lett. a), b), c) e d), T.U.E.L.), nonchŽ lĠessere stati destinatari, in forza di un provvedimento definitivo, di una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni di carattere mafioso (82). In tali casi, infatti, lĠincandidabilitˆ consegue come vera e propria obbligatoria sanzione accessoria ad una sentenza di condanna definitiva per i delitti ivi espressamente indicati. Al contrario, la misura prevista dallĠart. 143, comma 11, T.U.E.L., assume una precisa finalitˆ cautelativa e di prevenzione, s“ da attuare una modalitˆ di controllo sulle candidature, quanto meno in una fase circoscritta temporalmente e, comunque, successiva alla proposta di scioglimento del consiglio, che, evidentemente, non  conseguenza immediata della proposta, ma va disposta con successivo d.P.R. Peraltro, mentre la norma di cui allĠart. 58 T.U.E.L. opera senza limiti di tempo (fatta salva la concessione della riabilitazione ai sensi dellĠart. 178 T.U.E.L.), lĠincandidabilitˆ ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ha efficacia limitata al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio dellĠEnte locale; turno che, tuttavia, la stessa norma riferisce Òalle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lĠente interessato dallo scioglimentoÓ. Difatti, Òproprio lĠunivoco tenore letterale e grammaticale della norma, chiaramente evidenziato dallĠutilizzo tra il penultimo e lĠultimo termine della richiamata enumerazione, della congiunzione coordinante copulativa ÒeÓ, solitamente adoperata per esprimere lĠunione di due elementi, e non giˆ della congiunzione coordinante semplice disgiuntiva ÒoÓ, solitamente usata per esprimere unĠalternativa, consente, infatti, [...] di identificarne lĠambito applicativo in relazione a tutte le tornate elettorali di cui alla medesima enumerazione. Quanto, invece, allĠambito temporale di operativitˆ della dichiarazione di incandidabilitˆ assunta con provvedimento giurisdizionale definitivo, esso risulta dalla norma in commento testualmente circoscritto Çal primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglioÈ. LĠinequivoco significato letterale della citata disposizione - in forza del quale la dichiarazione (definitiva) di incandidabilitˆ  destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente con riferimento alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova lĠente interessato dallo scioglimento successivamente allo scioglimento stesso comporta [...] che la pronuncia definitiva di incandidabilitˆ, ove sopravvenga [É] dopo lo svolgimento del primo turno di una o pi elezioni tra quelle elencate,  destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente con riferimento alle altre elezioni (tra quelle elencate) non ancora svoltesi dopo lo scioglimento, non anche con riferimento alle successive tornate delle elezioni giˆ tenutesi (82) Sul punto si veda ALFANO-GULLOTTI, op. cit. DOTTRINA 383 nelle more del procedimento per la dichiarazione di improcedibilitˆÓ (83). LĠinterpretazione che precede, invero, oltre che coerente con il tenore letterale della disposizione (alla stregua del canone interpretativo di cui allĠart. 12 disp. prel. c.c.) , altres“, rispettosa del principio generale di libero accesso di tutti i cittadini in condizione di uguaglianza alle cariche elettive (art. 51 Cost.) e del costante orientamento della Corte costituzionale (84), secondo cui le limitazioni al diritto di elettorato passivo, per essere conformi al dettato dellĠart. 51 Cost., devono considerarsi di stretta interpretazione, atteso che circoscrive il sacrificio del suddetto diritto entro i limiti temporali (previsti dalla stessa norma) strettamente necessari per il soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse dalla medesima norma perseguite attraverso la misura di carattere preventivo dellĠincandidabilitˆ, esigenze individuabili, alla luce della ratio legis sottesa alla norma, nella necessitˆ di garantire un elettorato passivo scevro da contaminazioni e condizionamenti con ambienti della malavita organizzata (85). Ai fini della dichiarazione dĠincandidabilitˆ il Ministro dellĠInterno invia, senza ritardo, la proposta di scioglimento - corredata dalla relazione prefettizia di accompagnamento che ne costituisce parte integrante - al tribunale competente per territorio, il quale valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 dellĠart. 143 T.U.E.L. con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Al procedimento si applicano, in quanto compatibili, le norme sul rito camerale di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile (artt. 737 e ss.). La norma tace in merito alla forma del provvedimento conclusivo del giudizio. Malgrado il silenzio serbato sul punto, deve, comunque, ritenersi che lo stesso debba rivestire la forma della sentenza per due ordini di ragioni (86). In primis, lĠart. 143, comma 11, T.U.E.L., pur non prendendo posizione al riguardo, prevede che lĠincandidabilitˆ debba essere dichiarata con provvedimento definitivo. é evidente che il tipico provvedimento destinato ad avere carattere di definitivitˆ, e cio a passare in giudicato,  la sentenza. In secundis, la prevalenza accordata alla sostanza dei provvedimenti giudiziari rispetto alla forma dagli stessi rivestita, rapportata alla indubbia natura contenziosa del procedimento ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ed alla incidenza e stabilitˆ del provvedimento con cui lo stesso si conclude rispetto ai diritti soggettivi in discussione, fanno senzĠaltro propendere per la natura sostanziale (83) Cos“ App. Napoli, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2926 (inedita). (84) Cfr., ex plurimis, Corte cost., 30 ottobre 1996, n. 364, in Giust. civ., 1997, I, 345; Corte cost., 6 maggio 1996, n. 141, in Foro amm., 1997, 73; Corte cost., 13 luglio 1994, n. 295, in Riv. giur. polizia locale, 1996, 249; Corte cost., 17 giugno 1992, n. 280, in Giur. it., 1994, I, 524, con nota di POLICE. (85) Analoga anche la posizione della giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22 gennaio 2013, n. 18, in Foro amm. CdS, 2013, 1, 278. (86) App. Catanzaro, sez. I, 28 aprile 2014, n. 588 (inedita). di sentenza del provvedimento de quo, presentando la statuizione il requisito della decisorietˆ e della definitivitˆ, con efficacia assimilabile a quella del giudicato, sicchŽ anche il decreto eventualmente emesso avrebbe, comunque natura sostanziale di sentenza. Dalla natura sostanziale di sentenza del provvedimento conclusivo del giudizio discende che lĠincandidabilitˆ dichiarata con provvedimento definitivo, imposta dallĠart. 143, comma 11, T.U.E.L., alla data fissata per la presentazione delle candidature, nonchŽ a quella dello svolgimento delle elezioni, non  ravvisabile laddove sia stata dichiarata solo dalla Corte dĠappello, la cui decisione ha in sŽ tutte le caratteristiche necessarie per essere assoggettata al ricorso straordinario per Cassazione, non potendosi ricondurre in tal caso alla pronuncia dei giudici di secondo grado quella definitivitˆ strutturalmente e funzionalmente incompatibile con un ulteriore grado di giudizio. In pendenza del termine per il ricorso per Cassazione avverso la decisione di appello, dunque, gli amministratori locali devono essere ritenuti candidabili, con conseguente validitˆ delle elezioni che si siano svolte (87). 8. Considerazioni conclusive. La misura dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali, concepita dal legislatore allĠapice del periodo stragista di inizio anni Ô90, rappresenta il pi incisivo strumento normativo diretto ad arginare il grave fenomeno della collusione degli apparati politico-amministrativi degli enti locali (specie di piccole dimensioni) con la criminalitˆ organizzata di tipo mafioso, divenuto oramai endemico in alcune zone del territorio nazionale. La natura preventiva della misura, che consente allĠAmministrazione di valutare circostanze che presentano un grado di significativitˆ e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano lĠavvio dellĠazione penale o lĠadozione di misure di sicurezza nei confronti degli amministratori locali coinvolti, unitamente allĠelasticitˆ dei presupposti necessari per la sua adozione, ne fanno uno strumento assai duttile nelle mani della p.a. per agilmente fronteggiare la multiformitˆ delle forme di condizionamento della criminalitˆ organizzata sugli apparati elettivi ed amministrativi degli enti locali. A tal fine un ruolo fondamentale spetta allĠelaborazione giurisprudenziale, la quale  in grado di valutare la ricorrenza non soltanto di tutte le possibili forme di ÇasservimentoÈ degli amministratori locali alle organizzazioni malavitose, ma anche di quelle posizioni di connivenza morale o di mera tolleranza e convivenza tipiche delle realtˆ dei piccoli comuni, le quali sfuggono, per la loro intrinseca natura, a qualsiasi forma di tipizzazione normativa ex ante. (87) In questo senso, ex plurimis, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 2 aprile 2013, n. 395, in Guida al diritto, 2013, 20, 90, con nota di PONTE; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 2005, in Foro amm. TAR, 2012, 10, 3362. DOTTRINA 385 In questĠottica, le perplessitˆ avanzate circa lĠaffidamento della valutazione sulla ricorrenza dei presupposti di cui allĠart. 143 T.U.E.L. ad un organo amministrativo e lĠindipendenza di essa dagli esiti di un eventuale giudizio penale (88) possono essere facilmente superate sia in considerazione della giˆ evidenziata natura altamente preventiva della misura, sia in ragione della sottoponibilitˆ del provvedimento di scioglimento al sindacato giurisdizionale, seppur solo estrinseco, del giudice amministrativo, cui  rimesso il compito di neutralizzare un eventuale distorto utilizzo dellĠistituto de quo. Analogamente, privi di fondamento sono i dubbi mossi circa lĠasserita intollerabile lesione dellĠautonomia degli enti locali, oltre che, soprattutto, della volontˆ popolare espressa in sede elettorale che lĠutilizzo dello strumento di cui allĠart. 143 T.U.E.L. comporterebbe. Viceversa, proprio la possibilitˆ di disporre lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali asserviti o, comunque, contigui alle locali consorterie mafiose costituisce il pi efficace strumento posto in essere dal legislatore a tutela dellĠautonomia e della libera determinazione degli organi elettivi degli enti locali, che, liberati dal condizionamento della criminalitˆ organizzata, possono tornare a perseguire il solo interesse pubblico al cui conseguimento sono naturalmente preordinati. Fondamentale in questo senso,  la previsione contenuta nel nuovo comma 11 dellĠart. 143 T.U.E.L., la quale, assicurando la sostanziale estromissione dalla vita politico-istituzionale dellĠente degli amministratori le cui condotte hanno causato lo scioglimento, gioca un ruolo determinante nel consentire il riappropriamento degli organi istituzionali e della gestione della cosa pubblica da parte della porzione ÇsanaÈ della comunitˆ locale. (88) CELLA, op. cit., 1220. Finito di stampare nel mese di settembre 2014 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma