ANNO LXVI - N. 1 GENNAIO - MARZO 2014 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo DĠAscia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Benedetta Barmann, Federico Basilica, Matteo Bertuccioli, Alessandra Bruni, Saverio Capolupo, Francesco Maria Ciaralli, Alfonso Contaldo, Roberta Costanzi, Pierluigi Di Palma, Michele Gerardo, Michele Gorga, Giulia Guccione, Gaetano Molica, Amalia Muollo, Matteo Maria Mutarelli, Valerio Perotti, Sergio Massimiliano Sambri, Agnese Soldani, Valeria Romano, Mariarita Romeo. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Saverio Capolupo, Gli appalti pubblici: tra opportunitˆ e minacce. Le esperienze operative della Guardia di Finanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Fiengo, I criteri selettivi e le regole procedurali dellĠattivitˆ dellĠorgano di autogoverno dellĠAvvocattura dello Stato (Cons. St., Sez. IV, sent. 17 marzo 2014 n. 1321) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Michele Gerardo, Corollari della societˆ in house: esclusione dal fallimento ed applicazione della normativa organizzatoria relativa al socio pubblico. In specie, ove lĠente ausiliato sia una P.A., patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato (Trib. Napoli, VII sez. civ., decr. 9 gennaio 2014, N.R.R.Fall. 1097/13) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Patrocinio del Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune di Roma (ora Roma Capitale). Nuove istruzioni. Circolare A.G.S. prot. 70963 del 17 febbraio 2014 n. 11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. Autorizzazione ad avvalersi del patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato. Circolare A.G.S. prot. 156853 del 7 aprile 2014 n. 23. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Modifiche al c.p.c. introdotte dallĠart. 54 del D.L. n. 83/2012 (convertito nella legge n. 134/2012). Sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite. Modifiche alla circolare n. 56/2012. Circolare A.G.S. prot. 187299 del 29 aprile 2014 n. 26. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Pierluigi di Palma, National case study: Italian law on strategic assets; Golden Power. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- Le decisioni della Corte di giustizia Ue Sergio Massimiliano Sambri, Amalia Muollo, La Corte di Giustizia Europea censura lĠAdunanza Plenaria. Note a margine della sentenza 4 luglio 2013 C-100/12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Federico Basilica, Valeria Romano, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di qualitˆ della regolazione (C. cost., sentt. 23 gennaio 2013 n. 8 e 16 aprile 2013 n. 70) . . . . . . . . . . . . . . . . . Benedetta Barmann, La rilevanza dellĠinteresse legittimo nellĠesercizio della protezione diplomatica (Cass. civ., Sez.Un., sent. 19 ottobre 2011 n. 21581) Francesco Maria Ciaralli, La dialettica dei distini: il diritto di recesso nellĠofferta fuori sede (Cass. civ., Sez. Un., sent. 3 giugno 2013 n. 13905) pag. 1 ŬŬ 17 ŬŬ 32 ŬŬ 46 ŬŬ 50 ŬŬ 51 ŬŬ 55 ŬŬ 63 ŬŬ 77 ŬŬ 96 ŬŬ 103 Marina Russo, Indennizzabilitˆ dei danni da emotrasfusione a seguito di prestazione eseguita allĠestero (Cass., Sez. lavoro, sent. 19 dicembre 2013 n. 28435). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125 Alessandra Bruni, Matteo Bertuccioli, La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici (Trib. Roma, Sez. 3 lav., ord. 20 febbraio 2014, R.G. 43146/2013) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 132 Giulia Guccione, Azione generale di arricchimento nei confronti della P.A. e problematiche sulla determinazione del quantum indennizzabile (Cons. St., Sez. V, sent. 7 giugno 2013 n. 3133) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 152 Mariarita Romeo, Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara dĠappalto e responsabilitˆ precontrattuale della pubblica amministrazione (Cons. St., Sez. V, sent. 15 luglio 2013 n. 3831). . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 166 Roberta Costanzi, Sul rapporto tra ricorso principale ed incidentale ÒescludenteÓ nel processo amministrativo: la parola ritorna al giudice comunitario (CGAR Siciliana, ord. 17 ottobre 2013 n. 848) . . . . . . . . . . ŬŬ 179 Gaetano Molica, Una SCIA-Demaniale:  possibile? (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, sent. 25 luglio 2013 n. 1543). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 195 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Francesco Meloncelli, Procedimento disciplinare: termini e segreto istruttorio in pedenza di procedimento penale per medesimi fatti illeciti . . . . ŬŬ 211 Agnese Soldani, Rimborso spese legali ex art. 18 d.l. 67/1997 in relazione Marina Russo, Permuta di unĠarea di proprietˆ statale con area di pro- Giuseppe Fiengo, Parere su ÒAccordo per la gestione degli atti di pignoramento in danno di Amministrazioni dello Stato notificati alla Banca a procedimento penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 217 prietˆ comunale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 222 dĠItalia - Tesoreria dello Stato, in veste di terzo pignoratoÓ . . . . . . . . . . ŬŬ 225 LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Valerio Perotti, LĠordinamento amministrativo della pubblica sicurezza, dalla singolaritˆ nazionale alla proiezione europea (II PARTE) . . . . . . . . ŬŬ 249 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Alfonso Contaldo, Michele Gorga, Le notifiche nel processo civile telematico alla luce dei pi recenti decreti ministeriali . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 347 Matteo Maria Mutarelli, Le nuove procedure di conciliazione dopo il Collegato lavoro e la riforma Fornero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 366 temi istituzionali TEMI ISTITUZIONALI Ritengo opportuno far conoscere a tutti i colleghi la relazione del Generale di Corpo dĠArmata Saverio Capolupo, Comandante Generale della Guardia di Finanza, tenuta il 13 maggio 2014 alla Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia sul tema, di grande interesse, ÒGli appalti pubblici: tra opportunitˆ e minacce. Le esperienze operative della Guardia di FinanzaÓ. Michele Dipace Avvocato Generale dello Stato PREMESSA Desidero, innanzitutto, porgere a tutti i presenti il mio pi cordiale saluto e ringraziare, in modo particolare, il Direttore della Scuola, Generale Amato. LĠinvito rivolto mi offre lĠoccasione di illustrare, in questa prestigiosa sede, lĠimpegno della Guardia di Finanza nel contrasto ai diversi - e purtroppo non marginali - contesti di illegalitˆ che minacciano il settore degli appalti pubblici, tema quanto mai di attualitˆ. In veritˆ, la materia  complessa e non si presta a facili schematizzazioni. In tale prospettiva ho preferito predisporre lĠintervento in chiave eminentemente operativa, prendendo le mosse da una sintetica analisi del contesto economico e legislativo di riferimento, volta a rendere palpabile lĠimpatto che la contrattualistica pubblica riverbera sul sistema Paese. Proseguir˜ illustrando le coordinate essenziali della strategia dĠintervento della Guardia di Finanza nel settore, delineando le patologie pi ricorrenti che i Reparti hanno riscontrato nella quotidiana pratica operativa per fornire, in conclusione, alcuni spunti di riflessione di carattere generale. IL CONTESTO ECONOMICO Entrando nel merito della tematica, ritengo utile richiamare qualche in formazione sul volume annuale degli affidamenti di lavori, servizi e forniture da parte della Pubblica Amministrazione. Si tratta di dati che possono offrire una chiara visione dellĠeffettiva dimensione della contrattualistica pubblica e sulla rilevanza delle grandezze economiche da essa movimentate. Nel 2012, stando ai dati pi recenti forniti dallĠAutoritˆ di Vigilanza sui Contratti Pubblici, sono state bandite oltre 125.000 gare, per importi a base dĠasta superiori a 40.000 euro. Il complessivo giro di affari derivante dalle esigenze di approvvigionamento delle Pubbliche Amministrazioni si attesta intorno ai 100 miliardi di euro allĠanno e rappresenta circa il 6% del Prodotto Interno Lordo nazionale. Nello scenario europeo, lĠincidenza macroeconomica degli appalti  parimenti rilevante. La Commissione ha stimato, sempre con riguardo al 2012, che la spesa delle Amministrazioni degli Stati membri per rifornirsi di beni e servizi  stata pari al 18% del P.I.L. dellĠintera Unione, ossia a circa 13.000 miliardi di euro. Certamente degni di nota sono anche i riflessi della contrattualistica pubblica sui livelli occupazionali. A tal riguardo, prendendo ancora a base le elaborazioni della predetta Authority, emerge che, per ogni miliardo di euro investito in appalti, si creano tra gli 11.700 e i 15.600 occupati, dei quali 7.800 direttamente riconducibili allĠesecuzione dei contratti ed i rimanenti creati nellĠindotto dei fornitori e dei prestatori di servizi. Un recentissimo studio, pubblicato il mese scorso dal Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per lĠEdilizia ed il Territorio, mostra, con riferimento al settore degli appalti, un trend in forte crescita per il primo trimestre 2014. In particolare, nei primi 3 mesi di questĠanno, sono stati pubblicati circa 3.800 bandi di gara, per un valore complessivo pari a 6,8 miliardi di euro. Rispetto allo stesso periodo del 2013, il numero degli incanti  cresciuto del 9,5% e lĠimporto del 82,7%, grazie anche allĠincremento degli investimenti delle Pubbliche Amministrazioni. BenchŽ si tratti di dati parziali, legati alla sola edilizia pubblica e privata, essi rappresentano segnali confortanti che possono preludere allĠavvio della tanto auspicata ripresa economica del Paese. IL CONTESTO LEGISLATIVO: LINEE EVOLUTIVE LĠenorme massa di denaro collegata al sistema degli appalti  gestita in base a un complesso di regole riconducibili, essenzialmente, al codice degli appalti del 2006 ed al relativo regolamento attuativo del 2010. Come accade, di frequente, nel nostro Paese, non siamo in presenza di un corpus normativo di agevole lettura e stabile nel tempo, essendo stato oggetto di ripetuti interventi di modifica e revisione, stratificatisi nel corso degli anni. A testimonianza di questo continuo processo evolutivo della normativa di settore, voglio fare cenno alle pi recenti novitˆ introdotte in materia, partendo da quelle di matrice europea. Il Parlamento europeo, di concerto con la Commissione, sta portando a compimento la revisione del quadro dispositivo del comparto, frutto della consultazione sviluppata, a partire dal 2011, nellĠambito del c.d. ÒLibro verde sulla modernizzazione della politica europea in materia di appaltiÓ. Non  un caso che nella strategia ÒEuropa 2020Ó (Europa venti-venti), che detterˆ le linee prioritarie di sviluppo dellĠUnione a 28 per il prossimo decennio, gli appalti pubblici sono destinati a rivestire un ruolo fondamentale per stimolare la crescita occupazionale, lĠinnovazione imprenditoriale e la competitivitˆ dellĠintero spazio economico europeo. In questa prospettiva, il citato processo di legiferazione ha portato alla recente emanazione di 3 direttive, pubblicate nella gazzetta ufficiale dellĠUnione Europea il 28 marzo scorso; la prima delle quali riferita agli appalti pubblici per il settore ordinario, la seconda relativa a quelli nei settori speciali (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e la terza dedicata alla regolamentazione dei contratti di concessione. La riforma introdotta dal legislatore europeo, che inciderˆ inevitabilmente sul sistema di norme del codice degli appalti, ha gli obiettivi di velocizzare la fase di aggiudicazione delle gare e di favorire un ampliamento dei casi di deroga per il ricorso alla trattativa privata. Un altro aspetto molto qualificante della nuova disciplina comunitaria sugli appalti attiene al sostanziale abbandono del criterio del costo pi basso per la scelta del contraente, in favore del parametro dellĠofferta economicamente pi vantaggiosa, che impone alla stazione appaltante di svolgere valutazioni basate su criteri essenzialmente qualitativi. Venendo, ora, al piano nazionale, non possono non essere citate, innanzitutto, le significative disposizioni introdotte con il recentissimo decreto legge n. 66 del 24 aprile scorso. Il provvedimento - che reca un ricco catalogo di misure di rilancio della competitivitˆ e della giustizia sociale - non ha trascurato il settore della contrattualistica pubblica, a testimonianza del suo ruolo fondamentale per lĠequilibrio economico del Paese. Ebbene, ricorrendo alla decretazione dĠurgenza, il Governo ha inteso perseguire, sin da subito, lĠambizioso obiettivo di ridurre il numero delle stazioni appaltanti, facendo confluire le competenze per lĠapprovvigionamento dei beni e dei servizi in capo a centrali di committenza a livello regionale, quali soggetti in grado di garantire maggiore economicitˆ ed efficacia nelle acquisizioni. Questa importante novitˆ si accompagna allĠattribuzione allĠAutoritˆ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, da un lato, del delicato compito di procedere allĠelaborazione di un sistema di prezzi di riferimento per le forniture della Pubblica Amministrazione; dallĠaltro, di pi pregnanti funzioni di controllo nel settore. Si tratta di innovazioni di non poco conto che, se realizzate appieno, potranno determinare la semplificazione del comparto e, conseguentemente, la riduzione delle chance di sviluppo per lĠillegalitˆ. Proseguendo a ritroso, merita un cenno lĠintroduzione, ad opera della legge n. 190/2012, attuativa della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, di specifici obblighi di trasparenza per la Pubblica Amministrazione. Per ci˜ che qui interessa, in base a tale disciplina normativa, le stazioni appaltanti sono tenute a pubblicare, sui propri siti web istituzionali, una serie di informazioni sugli asppalti indetti nonchŽ a trasmettere gli stessi dati allĠAutoritˆ Nazionale AntiCorruzione per il tramite dellĠAutoritˆ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.), pena lĠapplicazione di specifiche sanzioni amministrative ed il rischio di incorrere in responsabilitˆ per danni erariali. Il senso di queste misure - che si estendono ad ulteriori aspetti della complessiva gestione degli apparati statali -  quello di rendere le Pubbliche Amministrazioni vere e proprie Òcase di vetroÓ, anche nella prospettiva di stimolare la crescita di una forma di controllo ÒsocialeÓ dellĠazione amministrativa da parte di tutti i cittadini. Concludendo lĠesame dellĠevoluzione normativa in materia di appalti, appare utile accennare a 2 provvedimenti in tema di prevenzione dei fenomeni di infiltrazione della criminalitˆ organizzata e del riciclaggio. Faccio riferimento, da un lato, al decreto legislativo n. 159 del 2011 che ha significativamente riformato le disposizioni in materia di Òdocumentazione antimafiaÓ prevedendo, tra lĠaltro, la realizzazione di unĠapposita banca dati nazionale unica per la verifica, in tempo reale, dellĠeventuale sussistenza di cause di decadenza, sospensione, divieto ovvero di tentativi di infiltrazione criminale tra i partecipanti alle gare per lĠaggiudicazione di commesse pubbliche. In proposito, segnalo il recente, favorevole pronunciamento del Garante della privacy sulla bozza del regolamento che disciplinerˆ il funzionamento della banca dati in parola, che ritengo potrˆ determinarne lĠentrata a regime nel breve periodo. Collegate alla tematica dellĠantimafia - anche per il loro inserimento allĠinterno della legge delega n. 136 del 2010 che ha dato vita al nuovo codice in materia - sono le disposizioni in tema di tracciabilitˆ dei flussi finanziari sottesi al perfezionamento di procedure di appalto. Il legislatore ha previsto un generalizzato obbligo di ricorso, da parte degli appaltatori, a conti correnti bancari o postali ÒdedicatiÓ, per la canalizzazione dei pagamenti ricevuti dalle stazioni appaltanti. La stessa legge, peraltro,  intervenuta anche sul codice penale, innalzando le pene per il reato di Òturbata libertˆ degli incantiÓ ed introducendo, allĠart. 353-bis, la nuova fattispecie della Òturbata libertˆ del procedimento di scelta del contraenteÓ. IL SISTEMA DI VIGILANZA Per concludere questa sintetica panoramica sul contesto di riferimento, un ultimo richiamo va riservato al sistema di vigilanza apprestato nel settore degli appalti pubblici, prescindendo, per il momento, dalle funzioni preventive e repressive affidate alla Guardia di Finanza e alle altre Forze di Polizia. Al riguardo, occorre menzionare i compiti generali di controllo e monitoraggio che il Codice degli appalti demanda all'Autoritˆ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.), ai fini della garanzia del rispetto dei principi di trasparenza e correttezza dei pubblici incanti. La stessa Autoritˆ, tra lĠaltro,  deputata alla gestione della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, che raccoglie i dati trasmessi dalle stazioni appaltanti sulle procedure avviate per lavori, servizi o forniture di importo superiore a 40.000 euro. Ulteriori compiti di vigilanza sono affidati al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che li esercita per il tramite della Servizio per lĠAlta Sorveglianza delle Grandi Opere (S.A.S.G.O.) e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Anche lĠAutoritˆ Garante per la Concorrenza ed il Mercato (A.G.C.M.) e la giˆ citata Autoritˆ Nazionale AntiCorruzione (A.N.AC.) fanno parte del dispositivo di prevenzione in tema di appalti. La prima vigila sul rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni dannose per la concorrenza. La seconda, invece, verifica lĠattuazione delle misure di prevenzione della corruzione e dellĠillegalitˆ nella Pubblica Amministrazione contemplate dalla normativa in materia di integritˆ del settore pubblico. CONSIDERAZIONI FRUTTO DELLĠANALISI DI CONTESTO: OPPORTUNITË E MINACCE Il quadro sinora tracciato consente di formulare alcune considerazioni di carattere generale. Guardando alla dimensione dei flussi economici generati, non  difficile cogliere la rilevanza del ruolo che gli appalti pubblici possono assumere per lo sviluppo del nostro Paese. Si tratta, come si  detto, di un settore che, ogni anno, movimenta decine di miliardi di euro e dalla cui ottimale gestione possono scaturire effetti positivi, sia diretti che mediati. Da un lato, infatti, la corretta destinazione delle risorse pubbliche disponibili migliora la qualitˆ dei servizi erogati ai cittadini ed alle imprese divenendo, quindi, fattore di crescita e volano per migliorare la competitivitˆ del sistema-Paese. Per altro verso, lĠottimizzazione della spesa, attraverso la quale si provvede al soddisfacimento dei bisogni della collettivitˆ, genera opportunitˆ di investimento per gli imprenditori e, con queste, ritorni occupazionali, maggiori entrate fiscali e redistribuzione della ricchezza. Da ultimo, in un equilibrato sistema di gestione degli appalti, cresce il livello di leale concorrenza tra le aziende, dal momento che queste ultime, per intercettare la domanda di lavori, servizi e forniture di una Pubblica Amministrazione equa e trasparente, devono competere sul piano della qualitˆ ed economicitˆ della propria offerta, pi che sul fattore prezzo. La gestione di un sistema cos“ complesso di interessi, opportunitˆ e relazioni tra Istituzioni e privati richiede delle regole che, come ho giˆ segnalato, sono confluite in una produzione normativa probabilmente sovrabbondante. Questa eccedenza di precetti pu˜ essere interpretata come risposta allĠesigenza di una regolamentazione delle procedure di appalto sempre pi dettagliata e tecnica, ma anche come indice dellĠaffannosa ricerca di rimedi alle ÒfalleÓ che le procedure di scelta del contraente, di valutazione delle offerte e di esecuzione degli appalti hanno mostrato sul piano attuativo. Di certo, per qualunque delle due chiavi di lettura si propenda, la proliferazione normativa non facilita il compito dellĠinterprete e il lavoro di chi, a vario titolo,  chiamato ad applicare le norme, nŽ ha impedito lĠinsorgere di forme di illegalitˆ di varia natura. Le minacce al sistema degli appalti si sostanziano in un ampio campionario in cui troviamo, innanzitutto, gli illeciti che incidono negativamente sulla fase di aggiudicazione delle commesse e che possono interessare, separatamente, la parte privata e quella pubblica, oppure coinvolgere entrambe. Mi riferisco, in particolare, alle forme di sviamento delle gare attraverso la costituzione di Òcartelli preventivi tra impreseÓ, ma anche alle infedeltˆ di amministratori che si rendono protagonisti di condotte di corruzione, concussione o abuso. Altre categorie di violazioni attengono alla materiale esecuzione degli appalti, un ambito nel quale possono annidarsi frodi nelle pubbliche forniture, inadempienze contrattuali dannose per la regolare erogazione dei servizi pubblici, indebiti abbattimenti dei costi dellĠopera tramite il ricorso al lavoro ÒneroÓ nonchŽ ingiustificati rialzi dei valori dei contratti, volti unicamente a drenare denaro pubblico in misura superiore a quella originariamente stabilita. Occorre, infine, considerare i fenomeni dĠingerenza della criminalitˆ organizzata, che, nel campo degli appalti, sfociano in condotte violente o in comportamenti pi subdoli di condizionamento dei mercati, tendenti al riciclaggio ed al reimpiego di ingenti somme di denaro, profitto di reato. In definitiva, come osservato dalla Commissione Europea nel citato Libro Verde ÒÉ i rischi finanziari in gioco e la stretta interazione tra il settore pubblico e quello privato fanno degli appalti pubblici unĠarea in cui  particolarmente forte il rischio di prassi commerciali scorretteÉ, conflitti dĠinteresse, favoritismi e corruzioneÓ. POSIZIONAMENTO DELLA GUARDIA DI FINANZA Il quadro - appena delineato - delle minacce al sistema degli appalti non  certo rassicurante. Per la Guardia di Finanza, si tratta di un campo dĠazione estremamente vasto, che abbraccia tutti i segmenti della sua missione istituzionale: dal contrasto alle frodi e agli sprechi, alla lotta alla corruzione, dallĠaggressione ai patrimoni della criminalitˆ organizzata al contrasto allĠevasione fiscale ed al lavoro ÒneroÓ. Questi fenomeni - che, a fattor comune, inquinano il regolare svolgersi dellĠattivitˆ contrattuale della Pubblica Amministrazione - sono affrontati, sul piano operativo, mediante un approccio unitario, che mira a proteggere la spesa pubblica nazionale da qualunque tipologia di aggressione. In altri termini, gli sperperi, le diseconomie, le inefficienze o le vere e proprie condotte ÒpredatorieÓ che hanno ad oggetto le risorse connesse agli affidamenti pubblici costituiscono, in sostanza, espressioni diverse della stessa minaccia allĠintegritˆ dei bilanci dello Stato e degli Enti locali. Invero, si tratta di unĠimpostazione che rispecchia le ampie attribuzioni di polizia economico-finanziaria affidate alla Guardia di Finanza dal Decreto Legislativo n. 68 del 2001, che consentono al Corpo di affrontare i fenomeni di illegalitˆ in modo trasversale, vale a dire cogliendo (e colpendo), contestualmente, tutti i risvolti illeciti di una medesima condotta. Su questo concetto torner˜ pi avanti, dopo aver completato la ricognizione delle norme che attribuiscono alla Guardia di Finanza un ruolo centrale nel dispositivo di vigilanza a presidio degli appalti pubblici. Oltre al richiamato Decreto 68/2001, altre norme hanno posto le basi di virtuosi network di collaborazione tra i nostri Reparti e le Autoritˆ di vigilanza. é il caso del codice degli appalti con riferimento alla collaborazione con lĠAutoritˆ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.): lĠart. 6 prevede, infatti, la possibilitˆ per lĠAutoritˆ di avvalersi del Corpo che, in tali frangenti, pu˜ eseguire verifiche ed accertamenti con i poteri di indagine ad esso attribuiti ai fini fiscali. Il canale di sinergia in argomento  stato ulteriormente rafforzato, di recente, grazie al giˆ menzionato Decreto Legge 66 dellĠaprile scorso, in relazione alla necessitˆ di supportare lĠAutoritˆ nei nuovi compiti di controllo sulle attivitˆ di acquisizione di beni e servizi da parte dei soggetti pubblici. La Guardia di Finanza  ulteriormente chiamata in causa dal codice degli appalti allĠart. 163, questa volta per fornire ausilio al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in tema di vigilanza per le grandi opere. Il legislatore del Decreto 179 del 2012, poi, ha scelto il Corpo come partner operativo dellĠAutoritˆ Nazionale Anti-Corruzione, cui compete una pluralitˆ di campi di intervento che spaziano dalla normativa in materia di prevenzione dei fenomeni di illegalitˆ nel settore pubblico, alla trasparenza, alle cause di incompatibilitˆ ed inconferibilitˆ nellĠattribuzione di incarichi amministrativi di vertice. Da ultimo, la Guardia di Finanza  chiamata a fornire il proprio contributo specialistico nei servizi di prevenzione delle infiltrazioni della criminalitˆ organizzata negli appalti, attraverso la partecipazione dei GG.I.C.O ai ÒGruppi interforzeÓ istituiti presso le Prefetture e i Commissariati di Governo. Nello stesso ambito si inquadra anche la presenza di Ufficiali del Corpo nelle unitˆ specializzate interforze create per gestire specifici contesti quali, ad esempio, la ricostruzione delle aree terremotate dellĠAbruzzo e dellĠEmilia Romagna, lĠExpo 2015, la realizzazione della Tratta ad Alta Velocitˆ Torino-Lione. Inoltre, il Corpo garantisce un rilevantissimo supporto allĠAutoritˆ Giudiziaria, per tutte le tipologie di indagini che hanno a che fare con qualsivoglia criticitˆ nella gestione degli appalti. Analogamente, in ossequio al ruolo di principale referente operativo attribuito allĠIstituzione dal Decreto Legge 152 del 1991, la Guardia di Finanza collabora con la Corte dei Conti nellĠaccertamento di profili di responsabilitˆ contabile che derivano da episodi di cattiva gestione delle risorse erariali. LA STRATEGIA DĠINTERVENTO DEL CORPO Da un punto di vista organizzativo, i servizi operativi nel settore degli appalti coinvolgono sia i Reparti territoriali, sia quelli della componente speciale. Nel primo ambito giocano un ruolo fondamentale i Nuclei di polizia tributaria che costituiscono, in ragione delle loro competenze, professionalitˆ e struttura, il polo investigativo Òdi puntaÓ nel dispositivo di vigilanza istituzionale. Non meno significativo  il contributo fornito dai Reparti Speciali del Corpo, che assolvono, essenzialmente, a funzioni di analisi nei segmenti di rispettiva pertinenza. Per i servizi che interessano il comparto degli appalti, assumono particolare rilievo le attivitˆ del Nucleo Speciale Tutela Mercati, al quale sono ricondotte le funzioni di referente operativo nei rapporti di collaborazione con le Autoritˆ di vigilanza di settore. Nel medesimo contesto, significativo  anche il contributo del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie, che presidia tutto il segmento delle uscite. Naturalmente, la trasversalitˆ dei servizi induce, spesso, a coinvolgere nelle analisi altre Unitˆ dei Reparti speciali, tra cui, in particolare, il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalitˆ Organizzata. Sul versante operativo, va evidenziato che il vigente quadro normativo consente al Corpo di intervenire nel particolare settore da pi fronti, il primo dei quali attiene allo sviluppo dei servizi dĠiniziativa con i poteri di cui al citato Decreto n. 68 del 2001. Con questa tipologia di interventi i Reparti possono mettere a frutto spunti investigativi su ogni potenziale scenario di illegalitˆ che emerga dallĠintelligence, dallĠanalisi di rischio e dal controllo economico del territorio. Oltre alle attivitˆ che sono impostate - giˆ in origine - per la verifica di specifiche procedure contrattuali, lĠapprofondimento di singoli appalti avviene, assai frequentemente, nellĠambito di servizi operativi aventi finalitˆ diverse. A tal riguardo, va precisato che i Reparti, in sede di selezione delle posizioni a rischio da sottoporre a controllo nei comparti pi disparati, non tralasciano di valutare lĠeventuale esistenza di rapporti contrattuali tra il soggetto monitorato e la Pubblica Amministrazione. Ci˜, nel presupposto che la conoscenza della qualifica di Òappaltatore pubblicoÓ dellĠoperatore sotto osservazione pu˜ rivelarsi utile per interpretare correttamente le circostanze operative oggetto di analisi e quelle che, eventualmente, emergeranno allĠesito del controllo. Questo assunto vale tanto per i servizi di carattere fiscale, quanto per quelli in materia di riciclaggio o di spesa pubblica. Per fare un esempio concreto, si pensi alla scoperta, nel corso di una verifica fiscale, di una serie di fatture false emesse o utilizzate da un soggetto che ha avuto o ha rapporti contrattuali con un Ente pubblico. Oltre ai risvolti fiscali connessi al recupero dellĠindebito vantaggio dĠimposta, non deve essere trascurato il fatto che il documento fittizio potrebbe nascondere altre finalitˆ vietate dallĠordinamento, tra cui quella di creare la provvista per alimentare Òfondi neriÓ da utilizzare per il pagamento di tangenti. Tale circostanza pu˜, dunque, suggerire lĠapprofondimento della procedura contrattuale riconducibile allĠoperatore ispezionato, nella prospettiva di individuare eventuali irregolaritˆ. é proprio in tal senso che si declina, in concreto, il significato della ÒtrasversalitˆÓ della nostra azione di servizio: utilizzare i poteri a disposizione e le competenze maturate sullĠasse economico-finanziario per intercettare ogni possibile risvolto sottostante alla commissione di una condotta illecita. Una seconda modalitˆ dĠintervento nellĠarea dei contratti pubblici  quella connessa allĠattuazione delle linee di partenariato con le Autoritˆ di vigilanza di settore. Le forme di collaborazione in argomento, formalizzate in appositi protocolli dĠintesa, hanno, tra lĠaltro, il pregio di ampliare il novero dei possibili input da sviluppare autonomamente sul piano operativo. Ci˜ si realizza non solo attraverso lo sviluppo delle attivazioni e delle segnalazioni di irregolaritˆ inoltrate ai nostri Reparti, ma anche in virt della possibilitˆ di accesso alle banche dati in uso ai predetti Organi. Del resto, in qualunque attivitˆ di carattere investigativo il possesso di un quadro informativo completo e fruibile in chiave di analisi risulta fondamentale per la piena efficacia dellĠattivitˆ di law enforcement. Nel campo degli appalti, tale necessitˆ appare ancor pi evidente, considerati i ragguardevoli volumi dei flussi di spesa in gioco ed il numero delle procedure che vengono, ogni anno, perfezionate. Anche in questo ambito, il Corpo intende sfruttare il patrimonio informativo disponibile con riferimento alle commesse pubbliche grazie alla collaborazione inter-istituzionale. Infatti,  in via di perfezionamento unĠimportante iniziativa, finanziata con fondi messi a disposizione dellĠUnione Europea nellĠambito del ÒProgramma Operativo Nazionale - Sicurezza per lo sviluppoÓ. Si tratta, in dettaglio, della realizzazione dellĠapplicativo Mo.Co.P. (Monitoraggio Contratti Pubblici), che ha lĠobiettivo di agevolare i Reparti nello sviluppo di attivitˆ investigative concernenti procedure di appalto. Il nuovo strumento si basa sullĠintegrazione tra gli archivi dellĠAutoritˆ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (A.V.C.P.) e dellĠAlta Sorveglianza delle Grandi Opere (S.A.S.G.O.) e gli applicativi informatici in dotazione al Corpo. LĠidea non  solo quella di costituire una semplice banca dati da cui attingere utili elementi conoscitivi sugli affidamenti pubblici. La pi importante funzionalitˆ del Mo.Co.P., infatti, sarˆ quella di analisi, che il sistema svilupperˆ automaticamente, incrociando le informazioni sulle gare con altri dati di rilievo operativo, opportunamente calibrati in base ad un ricco set di indicatori di rischio. Il tutto per individuare le specifiche situazioni rispetto alle quali  auspicabile un approfondimento ispettivo, in unĠottica generale che vuole rendere sem pre pi performante lĠazione di vigilanza del Corpo sulla spesa pubblica. Proseguendo nella panoramica delle tipologie di intervento dei Reparti nel campo degli appalti, ritengo opportuno fare cenno ai profili di collaborazione con la Corte dei Conti che, peraltro, non attengono esclusivamente allĠesercizio della funzione giurisdizionale ma anche a quella assai complessa - del controllo. LĠinterazione con la Magistratura contabile  molto importante, perchŽ consente alle Unitˆ operative di controllare lĠoperato di Amministrazioni pubbliche cui  demandata la gestione di significativi flussi di denaro della collettivitˆ. Le casistiche di responsabilitˆ amministrativa individuate a seguito delle vertenze delegate al Corpo sono varie ed hanno riguardato, ad esempio, lĠaggiudicazione di opere di notevole valore senza lĠesperimento di gare ad evidenza pubblica. In altri casi  stato accertato lĠingiustificato ricorso a varianti dĠopera per progetti urbanistici in corso di realizzazione da cui sono derivati risparmi per gli appaltatori e maggiori costi per la Pubblica Amministrazione. Ulteriori ipotesi si sono sostanziate nel pagamento di ingenti somme di denaro da parte delle stazioni appaltanti per lavori mai eseguiti o eseguiti solo in parte. Insomma, unĠampia gamma di sperperi che, non di rado, sono collegati ad ulteriori profili di illegalitˆ, il cui approfondimento  riservato alla polizia giudiziaria. In effetti, le indagini penali che riguardano il settore dei contratti pubblici impegnano i Reparti quotidianamente. Molti dei contesti in argomento traggono origine da deleghe dellĠAutoritˆ Giudiziaria, altri costituiscono lo sviluppo degli interventi amministrativi di cui ho parlato in precedenza. Del resto, gli accertamenti in materia di appalti prevedono analisi documentali e contabili che richiedono - e, nel contempo, esaltano - il peculiare patrimonio professionale dei Finanzieri che, conseguentemente, rappresentano per gli organi inquirenti insostituibili punti di riferimento. Solo per fornire qualche dato concreto, mi preme segnalare che, nel 2013, lĠazione operativa del Corpo ha determinato la denuncia allĠAutoritˆ Giudiziaria di 657 soggetti, responsabili di reati specifici nel settore degli appalti. Nei primi 4 mesi di questĠanno, poi, i Reparti hanno giˆ denunciato per fattispecie legate alla contrattualistica pubblica 290 soggetti, di cui 26 tratti in arresto. In questo contesto, il dato significativo  che pi della metˆ dei circa 820 milioni di euro di gare di appalto controllate  risultata oggetto di irregolare assegnazione: parliamo di oltre 500 milioni di euro che, in qualche maniera, non sono stati correttamente impiegati. Nello stesso periodo, infine, con riferimento alle attivitˆ di collaborazione con la Corte dei Conti, sono stati accertati oltre 108 milioni di danni erariali e segnalati 220 soggetti. LE ÒPATOLOGIEÓ NEGLI APPALTI: ESPERIENZE OPERATIVE Entrando, ora, nel merito delle ÒpatologieÓ che - come  stato anticipato -incidono sulla regolaritˆ del sistema degli appalti pubblici, vorrei fornire un sintetico quadro di situazione, collegato ai diversi momenti di svolgimento dei contratti. Partendo dalla fase precedente allĠindizione della gara, un primo ambito su cui mi preme focalizzare lĠattenzione riguarda il fenomeno della presentazione di falsa documentazione alle Societˆ Organismo di Attestazione. Come noto, le S.O.A. sono enti di diritto privato con funzioni pubblicistiche, che hanno il compito di attestare il possesso - da parte delle imprese interessate a partecipare a gare di appalto per lavori di importo superiore a 150.000 euro - dei necessari requisiti tecnici, organizzativi ed economico-finanziari. Le verifiche delle S.O.A. hanno carattere essenzialmente documentale e riguardano la valutazione delle opere svolte dalle imprese nel quinquennio precedente. In tale ambito, non sono rari i casi in cui, per ottenere lĠattestazione in parola, le aziende presentino alle S.O.A. fatture false, che servono a dimostrare lĠavvenuta effettuazione di lavori che, in realtˆ, non sono mai stati eseguiti. In altre circostanze, i Reparti hanno individuato, nella contabilitˆ delle aziende che avevano richiesto la certificazione, documenti fiscali che, sebbene riconducibili ad opere effettivamente realizzate, manifestavano talune materiali alterazioni rispetto all'originale, per far rientrare i lavori nella tipologia o nel periodo utile per il riconoscimento dell'attestazione. LĠinsidiositˆ di tali condotte  di tutta evidenza: esse consentono a soggetti che non possiedono soliditˆ organizzativa ed economica, tale da garantire un adeguato assolvimento degli obblighi contrattuali, di inserirsi indebitamente nelle procedure ad evidenza pubblica, con intuibili ripercussioni sulla qualitˆ ed i costi delle prestazioni per la Pubblica Amministrazione. Venendo alla fase dellĠaggiudicazione, sono frequenti le indagini che svelano lĠesistenza di gruppi dĠimprese in grado di ÒpilotareÓ, sistematicamente, lĠaggiudicazione di commesse pubbliche verso soggetti giˆ individuati Òa monteÓ. Al riguardo, la pratica di servizio ha fatto emergere diverse tipologie di illegalitˆ. In primo luogo, vi sono i casi in cui lĠaccordo illecito  limitato al settore privato, nel senso che lĠindebito orientamento dellĠesito delle gare pre scinde dal coinvolgimento della parte pubblica che ha indetto o gestisce le medesime. In tali circostanze, si attua una sorta di spartizione territoriale delle commesse tra un gruppo definito di operatori economici che, a rotazione, ottengono lĠaffidamento degli appalti mediante la presentazione di offerte concordate. Ben pi insidiose sono le alterazioni delle procedure che si realizzano con la complicitˆ di pubblici ufficiali operanti allĠinterno dellĠEnte responsabile delle gare. Anche in questo ambito si possono fare alcune distinzioni tipologiche: in alcuni casi, il condizionamento della gara avviene attraverso la preventiva conoscenza, da parte degli imprenditori implicati, del valore delle offerte presentate dagli altri concorrenti. Il sistema, naturalmente, si regge sulla compiacenza di funzionari pubblici corrotti che si prestano, per corrispettivi in denaro o altre utilitˆ, a manipolare o a sostituire le buste contenenti le offerte, per favorire i propri sodali. A volte, per conoscere in anticipo il contenuto del carteggio, si ricorre a ÒtrucchiÓ scientifici. In unĠindagine svolta dal Nucleo di polizia tributaria di Brindisi, ad esempio,  stato accertato che le buste delle offerte riguardanti appalti nel settore sanitario venivano aperte e richiuse con Òprecisione chirurgicaÓ, utilizzando addirittura un bisturi da sala operatoria. UnĠulteriore forma di ÒinquinamentoÓ delle fasi di aggiudicazione delle commesse con il coinvolgimento della parte pubblica si attua attraverso la formazione di bandi di gara Òsu misuraÓ, volti a favorire determinate imprese. Sul piano investigativo, lĠaccertamento di queste forme sofisticate di illecito presuppone unĠapprofondita conoscenza dellĠapparato normativo di riferimento, dal momento che, in definitiva, il compito degli inquirenti  quello di dimostrare lĠuso distorto del potere amministrativo che ha garantito la scelta di un contraente in luogo di un altro. A titolo esemplificativo, in una recente operazione svolta dal Gruppo di Monza sono stati acclarati episodi corruttivi attraverso i quali funzionari di un ente, incaricati di redigere i capitolati dĠappalto, provvedevano ad inserire requisiti di partecipazione talmente restrittivi da far risultare vincitrice di commesse per oltre 260 milioni di euro sempre la stessa impresa. Un ÒfocusÓ a parte meritano i condizionamenti delle gare ad evidenza pubblica perpetrati dalla criminalitˆ organizzata. Le cosche criminali, infatti, sono particolarmente attente alle dinamiche politico-amministrative del territorio. La loro azione  costantemente orientata alla creazione di canali di collegamento con gli apparati pubblici locali, in modo da condizionarne i processi decisionali e, conseguentemente, ottenere lĠaggiudicazione di appalti e subappalti. Disporre di uomini di ÒfiduciaÓ allĠinterno della pubblica amministrazione significa accedere in maniera privilegiata ad informazioni di straordinaria importanza per lĠesercizio del potere sul territorio. é, questo, un fenomeno particolarmente presente nelle regioni del Sud, da sempre luogo di radicamento delle mafie e in condizioni di degrado sotto il profilo socio-economico. In molti casi di scioglimento di Comuni ed Enti Locali per infiltrazioni mafiose, sono emerse illecite ingerenze, soprattutto nei pubblici appalti, in virt di legami, diretti o indiretti, tra amministratori e organizzazioni delinquenziali operanti in loco. In una recentissima indagine del Comando Provinciale di Crotone, ad esempio,  stata acclarata la compromissione degli organi amministrativi e tecnici di un Comune nella gestione di gare dĠappalto per la coltivazione di terreni agricoli, con lĠobiettivo di favorire, attraverso la fissazione, Òa monteÓ, di prezzi base dĠasta irrisori, imprese contigue ad una locale cosca criminale. Occorre, tuttavia, puntualizzare che la tendenza dei sodalizi criminali ad espandersi oltre i confini delle proprie aree di origine ha reso vulnerabili anche le realtˆ amministrative del Settentrione che, dunque, non possono certo ritenersi al riparo dal rischio di infiltrazioni. é quanto accertato, ad esempio, dal Nucleo di polizia Tributaria di Milano che, nellĠambito di una recente operazione, ha ricostruito le attivitˆ criminose di una Ôndrina calabrese che, anche attraverso la collusione di alcuni amministratori locali, era in grado di manovrare appalti e concessioni e di intervenire per modificare il piano di governo del territorio per favorire gli interessi dell'associazione mafiosa. Proseguendo nellĠanalisi, altre patologie caratterizzano lo sviluppo del- lĠappalto successivamente alla sua aggiudicazione. In proposito, vengono in evidenza sia forme di indebita lievitazione dei costi delle commesse, sia vere e proprie truffe nelle modalitˆ di esecuzione dei contratti. Nella prima categoria rientra, ad esempio, lĠartificiosa prospettazione della necessitˆ di procedere a variazioni straordinarie in corso dĠopera, relativamente a circostanze dichiaratamente sopravvenute ma di cui, in realtˆ, era giˆ nota lĠesistenza. In unĠindagine del Nucleo di polizia tributaria di Bari relativa alla realizzazione di opere per lĠampliamento di un porto commerciale,  stato scoperto che la presenza di ordigni bellici sul fondale del bacino - da rimuovere per proseguire i lavori - era conosciuta, giˆ nella fase della progettazione, tanto dalla stazione appaltante, quanto dallĠappaltatore. NellĠaltra tipologia che ho citato pocĠanzi sono ricomprese tutte le situazioni in cui lĠappaltatore realizza unĠopera, esegue una prestazione o provvede ad una fornitura in maniera difforme rispetto alle pattuizioni. La casistica disponibile  ricca di esempi. Si va dalla predisposizione di manti stradali con spessore dĠasfalto inferiore a quello stabilito, alla copertura di scavi con materiale di risulta non vagliato; dallĠimpiego in opere marittime di materiali da costruzione adatti per le sole infrastrutture terrestri alla fornitura di macchinari con caratteristiche tecniche diverse da quelle contemplate dal capitolato. In questo genere di situazioni la responsabilitˆ delle stazioni appaltanti risiede nella carenza o nellĠomissione di controlli sullo sviluppo delle attivitˆ, talvolta colpevolmente garantita in cambio di dazioni di denaro o altre forme di corruttela. Da parte sua, lĠoperatore economico lucra sui costi di realizzazione ed amplia la forbice del proprio guadagno a scapito dei cittadini. Sempre con riferimento alla fase dellĠesecuzione contrattuale, ulteriori violazioni riguardano il sub-appalto di lotti di lavori. Tale pratica prevede, spesso, lĠaffidamento delle prestazioni a ditte individuali i cui titolari, in realtˆ, sono veri e propri dipendenti dellĠappaltatore, muniti - strumentalmente - di partita Iva per un indebito abbattimento dei costi di manodopera. Un ultimo genus di illeciti su cui voglio soffermarmi riguarda, infine, i casi in cui determinati lavori, servizi o forniture per la Pubblica Amministrazione vengono affidati senza effettuazione di alcuna gara, pur essendo necessaria. Si tratta di forme clientelari di contiguitˆ tra pubblico e privato che procurano unĠalterazione molto significativa del mercato degli appalti, poichŽ escludono a priori la stessa possibilitˆ di concorrenza tra imprese. Oltre a tali effetti, i contesti in argomento comportano, sovente, costi di acquisizione particolarmente onerosi ed assolutamente ingiustificati, come nel caso scoperto dal Nucleo di polizia tributaria di Foggia nel corso di unĠindagine sulla gestione delle forniture di unĠAzienda Sanitaria della regione. Il Reparto, in particolare, ha accertato che lĠEnte, ricorrendo ad un affidamento diretto - peraltro viziato da vari episodi di corruzione - era ÒriuscitoÓ ad approvvigionarsi di un comune disinfettante pagando la smisurata cifra di 1.920 euro a flacone, quando, in realtˆ, il valore di acquisto del prodotto allĠingrosso non arrivava a 60 euro. CONCLUSIONI Mi avvio alla conclusione, richiamando il titolo del mio intervento che, non a caso, fa riferimento alle tante opportunitˆ e alle non minori minacce che permeano il mondo della contrattualistica pubblica. Sono convinto - e la pratica operativa me ne dˆ quotidianamente dimo strazione - che non esiste la possibilitˆ di ÒimpermeabilizzareÓ gli appalti pubblici dallĠillegalitˆ solo per via normativa. Ogni misura del legislatore, infatti, per quanto auspicabile ed efficace, finirebbe per essere aggirata pi o meno agevolmente a causa delle ÒalchimieÓ di imprenditori senza scrupoli e delle infedeltˆ di taluni dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione. Da un punto di vista prettamente operativo, lĠazione di contrasto ai fenomeni illeciti nel settore degli appalti pu˜ e deve essere intensificata. Infatti, in un momento storico come quello attuale, caratterizzato dalla necessitˆ di razionalizzare e contenere la spesa pubblica,  assolutamente indispensabile garantire che il denaro disponibile venga gestito e distribuito correttamente, senza dispersioni, sprechi o frodi. Ci˜ a tutela dei cittadini, che concorrono al mantenimento della macchina statale pagando le imposte, ma anche degli operatori economici onesti, che fanno della legalitˆ il faro ispiratore del proprio agire quotidiano e vogliono poter concorrere sul mercato ad armi pari. In tale prospettiva, posso senzĠaltro assicurare che la Guardia di Finanza intende investire, come giˆ sta facendo, le migliori risorse e professionalitˆ, per correggere le deviazioni che si annidano nel settore degli appalti e della spesa pubblica in generale. Ma lĠintensificazione dellĠattivitˆ di controllo, per quanto incisiva, non sarˆ sufficiente se non sarˆ accompagnata da un radicale cambiamento della cultura e dei comportamenti, tanto da parte degli amministratori pubblici, quanto di imprese e professionisti. Ed ogni cittadino potrˆ dare il proprio prezioso contributo, mediante lĠesercizio di quella forma di controllo esterno sullĠoperato della Pubblica Amministrazione che i nuovi meccanismi di trasparenza e pubblicitˆ consentono, oggi, di effettuare. Vi ringrazio per lĠattenzione. I criteri selettivi e le regole procedurali dellĠattivitˆ dellĠorgano di autogoverno dellĠAvvocatura dello Stato é compito del Direttore della Rassegna pubblicare anche le sentenze del Consiglio di Stato nelle quali lĠAvvocatura dello Stato, come amministrazione, sia rimasta soccombente: la nomina di un avvocato distrettuale dello Stato  stata annullata per carenza nella motivazione sulla base di unĠapplicazione dei principi generali desumibili -  questa lĠopinione del Consiglio di Stato dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo. La tesi in astratto convince, ma viene il dubbio che il giudice amministrativo non abbia valutato quanto elaborato, sulla base delle regole introdotte dalla legge 3 aprile 1979 n. 103, da una esperienza ultraquarantennale del Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato. I criteri selettivi e le regole procedurali, da applicarsi al caso, enfaticamente indicate dal giudice amministrativo, ci sono, elaborati e scritti dallĠorganismo di ÒautogovernoÓ e normalmente applicati dallĠAvvocato Generale. CĠ solo una caratteristica, che sembra connotare le prassi dellĠAvvocatura dello Stato ed  una sorta di antica remora nellĠesprimere con inequivoca chiarezza motivati giudizi su persone, in un ambito nel quale il problema prioritario sembra restare quello di tutelare, evitando ÒclassificheÓ, il prestigio professionale dei membri togati del- lĠAvvocatura dello Stato. é quindi verosimile che tali criteri, richiamati al giudice amministrativo, potessero risultare puntualmente applicati anche nel caso di specie. N. 01321/2014 REG.PROV.COLL. N. 07808/2013 REG.RIC. N. 07910/2013 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7808 del 2013, proposto da: Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,  domiciliata per legge, contro A.M.B., rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Vignolo, Massimo Massa, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104; nei confronti di F.M.; sul ricorso numero di registro generale 7910 del 2013, proposto da: F.M., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pellegrino, con domicilio eletto presso Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11; contro A.M.B., rappresentata e difesa dagli avv. Massimo Massa, Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense 104; Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,  domiciliata per legge; Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato; per la riforma quanto ad entrambi i ricorsi nn. 7808 e 8312 del 2013: della sentenza del T.a.r. del Lazio - Sede di Roma - Sezione I n. 08312/2013, resa tra le parti, concernente nomina per la copertura dell'incarico di Avvocato Distrettuale di (...). Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.M.B. e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti lĠAvvocato Marcello Vignolo, lĠAvvocato dello Stato Palmieri e lĠAvvocato Giovanni Pellegrino; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - ha accolto il ricorso di primo grado integrato da motivi aggiunti, proposto da A. M.B., odierna parte appellata e volto ad ottenere lĠannullamento, (quanto al ricorso principale) del parere favorevole espresso il 24 aprile 2012 dal Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato sulla nomina dell'avv. F.M. ad avvocato distrettuale dello Stato di (...), nonchŽ di tutti gli atti presupposti e conseguenti, fra i quali: a) il verbale della riunione del 14 maggio 2012 del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, in quanto avrebbe approvato il verbale della riunione del 24 aprile, e b) della successiva proposta dell'Avvocato generale dello Stato e del decreto del Presidente del consiglio dei ministri. Con successivo ricorso per motivi aggiunti era stata altres“ gravata la proposta 30 aprile 2012, dellĠavvocato generale dello Stato, per la nomina di F.M. ad avvocato distrettuale ed il d.P.R. 5 giugno 2012, di nomina del predetto Avv. F.M. ad avvocato distrettuale. La odierna parte appellata A.M.B., avvocato dello Stato alla quarta classe di stipendio, in servizio presso l'Avvocatura distrettuale di (...), aveva fatto presente che, il 19 aprile 2012, essa aveva comunicato alla Segreteria dell'Avvocatura generale dello Stato la propria disponibilitˆ a ricoprire il posto di avvocato distrettuale a (...), da poco divenuto vacante. Il 24 aprile 2012, il Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato - C.A.P.S. (svolgente compiti di autogoverno della categoria) espresse tuttavia il proprio parere ex 18, II comma, della L. 3 aprile 1979, n. 103, in favore del collega F.M., che pure aveva partecipato la propria disponibilitˆ, come egualmente aveva fatto un terzo collega della stessa Avvocatura di (...). LĠavvocato generale dello Stato, con atto 30 aprile 2012, aveva proposto al Presidente del Consiglio la nomina del M., cui infine fu conferito lĠincarico con d.P.R. 5 giugno 2012. Essa era insorta, prospettando plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere, che il Tar ha accolto, previo analitico vaglio delle dette censure e delle contrarie argomentazioni delle parti resistenti. In particolare, il Tar ha compiutamente sintetizzato il parere espresso dal C.A.P.S. e ripercorso lĠandamento della procedura di nomina. Ha quindi escluso che fosse fondata lĠeccezione preliminare di tardivitˆ del mezzo, riferita al decreto presidenziale di nomina, in quanto la originaria ricorrente aveva impugnato gli atti lesivi nei sessanta giorni dalla loro piena conoscenza o conoscibilitˆ per effetto di rituale pubblicazione, nŽ lĠAmministrazione aveva provato il contrario. Il primo giudice ha quindi scrutinato gli ultimi quattro motivi di ricorso, escludendone la fondatezza, per poi passare allĠesame delle altre doglianze meritevoli - ad avviso del primo giudice - di un pi pregnante approfondimento. A tal proposito, ha fatto presente di volere premettere una valutazione preliminare sulla Òlettera dellĠavvocato distrettuale uscenteÓ presa in esame dal Caps, esprimendo il convincimento che si trattasse di un messaggio destinato a un lettore del tutto diverso dal suo destinatario apparente, lĠavv. M. Infatti, da avviso del Tar, la nota dattiloscritta di due pagine, siglata sulla prima e firmata sulla seconda, principiava (ÒnellĠimminenza del mio collocamento a riposoÓ) come una nota encomiastica privata indirizzata al M., Òper la preziosa collaborazione che, quale avvocato pi anziano del ruolo e, dunque, quale mio naturale vicario nella direzione dellĠUfficio, mi hai offerto in ormai oltre diciotto anniÓ. La missiva, per˜, non si limitava ad accennare soltanto ai presunti meriti del M. (come di norma avviene in simili circostanze), ma li esponeva analiticamente e compendiava anche alcuni avvenimenti, che pure dovevano essere perfettamente noti ad entrambi: ci˜ che poteva apparire pleonastico (come, ad esempio, ricordare al M. che  stato il primo del suo concorso; o la fervida amicizia che gli  stata dimostrata da alcuni pubblici funzionari da lui difesi, lĠentitˆ dei compensi per onorari da lui raccolti, lĠorganizzazione dei turni di udienza che svolge da due anni); ad avviso del Tar ci˜ acquistava senso e ragione una volta riconosciuto che la nota era stata scritta per lĠAutoritˆ che avrebbe dovuto scegliere il nuovo avvocato distrettuale. Nonostante la forma apparentemente confidenziale, la detta lettera rivelava il proprio contenuto di giudizio attitudinale, espresso dal dirigente dellĠufficio dove il M. prestava servizio, e che per tale  stato positivamente recepito, prima dallĠAvvocato generale quale presidente del C.A.P.S., poi dal C.A.P.S. stesso e poi, nuovamente, dallĠAvvocato generale, che ha proposto la nomina del M. in senso conforme allĠavviso del Consiglio stesso. Ne conseguiva che un giudizio attitudinale del Distrettuale uscente aveva assunto, secondo le parole dellĠAvvocato generale, un rilievo determinante per stabilire chi fosse il soggetto pi adatto a ricoprire lĠincarico di Avvocato distrettuale. SenonchŽ, cos“ valutata la detta missiva, sarebbe stato legittimo pretendere che la sua produzione non fosse stata lasciata allĠiniziativa personale degli aspiranti, tanto pi considerato che la prassi era prevalentemente orientata a valorizzare lĠanzianitˆ di ruolo. La sintesi delle censure proposte dalla originaria ricorrente era quindi fondata: o un simile giudizio si richiedeva a tutti gli interessati - in generale, o nel singolo procedimento - oppure si sarebbe dovuto prescindere da esso, ad evitare che il provvedimento emesso sulla base dello stesso fosse viziato da eccesso di potere per disparitˆ di trattamento e difetto di istruttoria. In contrario senso non assumevano rilievo pregnante gli argomenti dellĠAmministrazione e del contro interessato, secondo i quali, stante il tenore dellĠart. 18, II comma, della l. 103/79, non si era svolto alcun procedimento concorsuale e la Òlettera dellĠavvocato distrettuale uscenteÓ avrebbe confermato una sorta di merito assoluto del M., e non sarebbe invece elemento di prevalenza comparativa. Secondo le odierne parti appellanti, infatti, in base allĠart. 18, comma 2, della l. 103/1979, doveva certamente escludersi la natura concorsuale della Òprocedura di conferimento dellĠincarico di avvocato distrettualeÓ; e, in base a quanto ribadito dallĠAvvocato generale, nel corso della seduta del C.A.P.S. del 24 aprile, Òil conferimento di un incarico direttivo poteva riguardare ogni Avvocato dello Stato in possesso dei requisiti prescritti, a prescindere dalla presentazione di eventuali dichiarazioni di disponibilitˆÓ. Il Tar ha in proposito rilevato che lo scrutinio di detto argomento difensivo integrava il proprium del giudizio richiesto al Tribunale. SenonchŽ, richiamate le competenze dellĠAvvocato generale dello Stato, fissate, in via generale, dallĠart. 15 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, quale sostituito dallĠart. 15 della l. 3 aprile 1979, n. 103, non era desumibile che il conferimento dellĠincarico di Avvocato distrettuale dello Stato fosse attribuito fiduciariamente dallĠAvvocato generale, nŽ che lĠAvvocato distrettuale dello Stato si trovasse in rapporto di diretta collaborazione con lĠAvvocato generale. Tanto ci˜ era vero, che il soggetto nominato Avvocato distrettuale dello Stato non doveva essere confermato ogni volta che veniva nominato un nuovo Avvocato generale. Tale deduzione trovava ulteriore fondamento nellĠart. 18, I comma, della l. 103/79, che, definendo le competenze dellĠAvvocato distrettuale, gli assicurava piena autonomia di direzione nellĠambito dellĠAvvocatura di appartenenza, limitandosi a prevedere che egli riferisca, successivamente, all'Avvocato generale dello Stato sull'attivitˆ svolta dall'Avvocatura distrettuale, Òsegnalando le controversie pi importanti nonchŽ le eventuali carenze legislative ed i problemi interpretativi che emergono nel corso dell'attivitˆ di istitutoÓ. Da ci˜ il Tar ha fatto discendere il convincimento che nellĠorganizzazione dellĠAvvocatura dello Stato non esistesse un rapporto di stretta dipendenza fiduciaria tra lĠAvvocato generale e gli Avvocati distrettuali, per cui al primo non poteva essere riconosciuta una peculiare autonomia nellĠindividuazione del soggetto da proporre per la nomina, anche rispetto al parere obbligatorio del C.A.P.S. A tale parere, lĠAvvocato generale avrebbe potuto non conformarsi: ci˜, per˜, fornendo una puntuale motivazione, (come in generale per tutti i provvedimenti amministrativi che si difformino dai pareri obbligatori che vi ineriscono). Detta motivazione, poi, appariva tanto pi doverosa, essendo tale organo composto sia da una rappresentanza eletta tra tutti gli avvocati ed i procuratori, sia dagli Avvocati con funzioni direttive pi anziani, e presuntivamente pi esperti, dellĠIstituto. LĠart. 18, II comma doveva essere comunque interpretato in conformitˆ ai principi generali in materia di provvedimenti amministrativi, di cui alla successiva l. 241/90: la norma della legge professionale, sebbene non contemplasse una procedura concorsuale, in realtˆ - ad avviso del Tar - neppure la escludeva espressamente o implicitamente, limitandosi a fissare alcuni passaggi della procedura di nomina, di cui individuava sia gli organi competenti, sia i soggetti muniti del requisito proprio per aspirarvi, e cio la qualitˆ di Avvocati dello Stato in servizio, alla terza classe di stipendio, con cinque anni di anzianitˆ di servizio nella stessa. Il Tar ha poi irrobustito il proprio convincimento accoglitivo, facendo presente che solo attraverso un palese salto logico si poteva affermare che la previsione di tale requisito fondasse un Òpotere di chiamataÓ. In sŽ considerata, infatti, la norma attribuiva (soltanto) una legittima aspettativa a tutti gli Avvocati con la predetta qualifica ed anzianitˆ di essere scrutinati per lĠincarico in questione, mentre non escludeva affatto che, per poter essere nominato, il soggetto dovesse anche presentare una domanda, comunque qualificata. Argomentare diversamente avrebbe comportato lĠaffermazione per cui - posto che tutti costoro erano nominabili a prescindere dallĠavere dato la disponibilitˆ - il C.A.P.S. avrebbe ogni volta dovuto considerare le posizioni di tutti i colleghi con tale requisito, o almeno dei pi anziani tra essi, fino ad individuare il designabile, per poi richiederne il consenso (ci˜ in spregio ad elementari principi di economicitˆ e di efficacia). Al contrario, la scelta si doveva svolgere solo tra i soggetti che avevano dichiarato la loro disponibilitˆ allĠincarico; e ci˜ a propria volta - oltre al criterio di pubblicitˆ - ex art. 1 della legge n. 241/1990 - avrebbe imposto che fosse stata preventivamente divulgata la vacanza, con modalitˆ idonee ad informare tutti gli interessati, e con un ragionevole spatium deliberandi per la presentazione della dichiarazione di disponibilitˆ. DĠaltro canto, la procedura cos“ delineata avrebbe dovuto altres“ rispettare i criteri dĠimparzialitˆ e di trasparenza; e ci˜ poteva avvenire prefissando regole procedimentali comuni per la presentazione e lĠesame delle domande su cui il C.A.P.S. avrebbe dovuto esprimere il parere. Inoltre, nel rispetto di detti criteri e dellĠobbligo di motivazione (artt. 2 e 3), tutte le domande ammissibili avrebbero dovuto essere comparativamente valutate dal C.A.P.S., pervenendo alla motivata scelta dellĠaspirante pi idoneo da proporre. Il Tar ha espresso il convincimento che dette regole, discendenti dalla disciplina positiva e dai principi ordinamentali, erano state disattese nel caso di specie. LĠodierno appellante M. non risultava essere stato prescelto a conclusione di una valutazione comparativa tra i tre aspiranti, o, almeno, ci˜ era quanto poteva desumersi dall' esposizione delle ragioni della proposta, che non sembravano contenere alcun elemento di raffronto. Ad avviso del Tribunale amministrativo, quindi. nŽ la valutazione espressa dall'Avvocato distrettuale uscente, nŽ il giudizio consequenziale formato dal C.A.P.S. erano sufficienti, isolatamente considerati, a giustificare ed a rendere legittima la scelta compiuta. Conclusivamente, tanto il parere dellĠorgano, quanto gli atti susseguenti, erano viziati per violazione della paritˆ di trattamento e dei principi sul procedimento, nonchŽ per violazione del- lĠart. 18, II comma, della l. 103/79 (il che rendeva sostanzialmente irrilevante lĠesame delle censure riferite agli errori nella valutazione del M., dove venivano segnalate come straordinarie svariate attivitˆ rientranti, al pi, nelle ordinarie funzioni vicarie dal medesimo esercitate). Se pure si fosse voluto individuare nel parere C.A.P.S. - anche riferendosi al pur generico richiamo alle capacitˆ di tutti gli aspiranti che esso conteneva - lĠesito di un confronto, il detto parere sarebbe stato comunque viziato, in quanto ivi si era dato un rilievo preponderante ad una valutazione tecnica che non era richiesta agli altri aspiranti, alterando cos“ irreparabilmente la par condicio tra di essi. Sotto altro profilo, inoltre, nessun elemento, sia pur sintetico, era contenuto nel parere per giustificare la circostanza che - in difformitˆ da una prassi certo non univoca, ma comunque prevalente - la maggiore anzianitˆ della originaria ricorrente B. non era stata presa in alcuna considerazione al momento in cui era stato individuato lĠaspirante da proporre per lĠincarico in questione. Il Tar ha proseguito il proprio iter motivo, precisando che non si poteva ovviamente affermare che la B. fosse dei concorrenti il pi adatto; ma che il vizio che si riscontrava nellĠazione amministrativa riposava nella circostanza che non era stato accertato, o, quantomeno, che non si era chiarito, perchŽ ella non lo fosse, pur dopo averle fornito le indicazioni su come dovesse dimostrarlo. Questo in ultimo elencato, ad avviso del primo giudice, era lĠeffetto della mancanza di un sistema di regole prestabilite, pur elementari, che stabilisse come scegliere nella platea dei potenziali aspiranti - tutti gli avvocati con determinata anzianitˆ e qualifica - il candidato pi idoneo per meriti ed attitudini a dirigere un determinato Ufficio distrettuale nelle condizioni date, il che aveva condotto ad una scelta che appariva pi arbitraria che discrezionale: alla stregua delle esposte considerazioni il Tar ha annullato il parere C.A.P.S. 24 aprile 2012, la proposta 30 aprile 2012, dellĠAvvocato generale dello Stato, il d.P.R. 5 giugno 2012, di nomina di F.M. ad Avvocato distrettuale di (...). Avverso tale sentenza sono stati proposti due ricorsi, lĠuno dallĠAmministrazione e lĠaltro dallĠavv. M. Ricorso n. 7808/2013; La difesa erariale ha proposto un articolato appello, censurando integralmente lĠapprodo cui era giunta la gravata decisione. In particolare ivi  stato sostenuto, in via principale, il malgoverno, da parte del Tar, dellĠart. 18, II comma, della l. 103/79, sostenendosi la assoluta fiduciarietˆ (ex artt. 1,18, 23 della legge medesima) dellĠincarico di Avvocato distrettuale da parte dellĠAvvocato generale dello Stato: trattavasi, infatti, dellĠattribuzione di un mero incarico, e non di una ÒqualificaÓ. Ed era del tutto irrilevante che la predetta legge non contenesse una previsione di c.d. Òspoil systemÓ: la previsione nel sistema di simili disposizioni costituiva indizio certo della natura fiduciaria di un incarico; non era vero, per˜, il contrario, come arbitrariamente desunto dal Tar. Il Tar inesattamente aveva poi affermato lĠinesistenza di un rapporto di stretta fiduciarietˆ tra lĠAvvocato generale dello Stato (anzitutto dimostrato dalla circostanza che nel procedimento di nomina questĠultimo rivestiva un ruolo assolutamente centrale, mentre al Caps era attribuito un ruolo esclusivamente consultivo) e lĠAvvocato distrettuale. LĠAvvocato distrettuale, ex art. 18 citato, doveva assicurare il coordinamento e lĠunitˆ di indirizzo: non era pensabile che ci˜ non dovesse avvenire in collaborazione sincronica con lĠAvvocato Generale (che aveva il compito di vigilare sulle sedi periferiche, coordinarne lĠattivitˆ e di ci˜ essere direttamente responsabile). Il Tar aveva esattamente richiamato lĠart. 15 del RD 30.10.1933, siccome sostituito dallĠart. 15 della l. 103/79, e lĠart. 18 della l. 103/79, ma ne aveva clamorosamente travisato il senso. é stato poi censurato il passaggio motivazionale che faceva riferimento alla natura concorsuale e comparativa della procedura di scelta dellĠAvvocato distrettuale. La legge individuava lĠatto di impulso nella proposta dellĠAvvocato generale; non certo nella domanda dellĠinteressato. Ne conseguiva che la scelta ineriva agli Avvocati che possedevano i requisiti, avessero essi - o meno - manifestato la disponibilitˆ. LĠordine del giorno, relativo alla vacanza del posto di Avvocato distrettuale nel distretto di (...), era stato diramato a tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato, e tanto valeva ad assicurare la ÒpubblicitˆÓ pretesa dal Tar, in quanto tutti erano stati messi in condizione di manifestare la propria disponibilitˆ. Ma questĠultima non era affatto equipollente ad una domanda: ben la scelta avrebbe potuto ricadere su un soggetto che tale disponibilitˆ non aveva manifestato. Il Tar era stato fuorviato dal tentativo di assimilare la detta disciplina a quella prevista per il conferimento degli incarichi direttivi in Magistratura. Nella procedura per cui  causa, invece, non vĠera obbligo di fornire motivazione comparativa rispetto agli altri ÒaspirantiÓ: la giurisprudenza amministrativa era giunta ad analogo divisa mento con riguardo alle alte cariche diplomatiche, dirigenziali, e non vĠera motivo di disco- starsi dai detti approdi. La sentenza gravata (II censura) era addirittura affetta da straripamento, laddove, obliando che erano stati rispettati gli obblighi di trasparenza, imparzialitˆ e motivazione, ipotizzava che avesse avuto rilievo alcuno, ai fini del conferimento, la missiva che lĠAvvocato distrettuale uscente aveva indirizzato al M. Il Tar, che giˆ aveva errato facendo riferimento al concetto di ÒcomparazioneÓ, aveva vieppi insistito laddove non si era avveduto che la predetta lettera non aggiungeva alcun elemento a quanto giˆ avrebbe potuto ricavarsi dal curriculum del M. Non era chiaro da quale elemento potesse trarsi il convincimento che detta missiva avesse rivestito Òportata determinanteÓ: quanto alla ÒprassiÓ relativa alla nomina dei dipendenti maggiormente ÒanzianiÓ (e lĠAvv. B. certamente lo era rispetto al prescelto), lo stesso Tar riconosceva che alla stessa non era stato attribuito, in passato, rilievo decisivo. Nel merito, il primo giudice aveva disconosciuto che si era pervenuti alla scelta pi ragionevole, avuto riguardo ai meriti del prescelto, alla funzione vicariale dallo stesso esercitata per quasi 18 anni, dalla circostanza che questi si era classificato al primo posto nel proprio concorso per Avvocato (a differenza della appellata controinteressata B., classificatasi ultima nella graduatoria degli idonei del concorso per Procuratore dello Stato e poi assunta a seguito di scorrimento della graduatoria ed ultima dei vincitori al concorso per Avvocato dello Stato). LĠappellata ha depositato unĠarticolata memoria (proponendo riserva di appello con riguardo ai motivi proposti in primo grado e disattesi dal Tar) chiedendo la reiezione del gravame perchŽ infondato. Il Tar non aveva mai affermato la natura ÒconcorsualeÓ della procedura de qua: il Tar aveva affermato, invece, che - una volta che la scelta avvenga soltanto tra coloro i quali avevano manifestato la propria disponibilitˆ (ed il dato non era nŽ contestabile, nŽ contestato) - doveva essere rispettato lĠobbligo di imparzialitˆ e trasparenza, destinato ad essere trasfuso in motivazione. Ci˜ in quanto era innegabile che alla scelta si pervenisse a seguito di comparazione tra coloro che avevano manifestato la propria disponibilitˆ. Ed allora, affermare che non veniva attribuita una nuova ÒqualificaÓ appariva (oltre che discutibile, in quanto gli Avvocati distrettuali, ex art. 21 della l. 103/79 erano componenti di diritto del Caps) del tutto neutro, perchŽ ci˜ che rilevava era il modo in cui il detto ÒincaricoÓ veniva conferito. Era ben vero che allĠAvvocato generale era attribuito un ruolo centrale nella procedura di scelta: ma ci˜ non ostava a che questĠultima rispettasse i canoni di imparzialitˆ e trasparenza. NŽ allĠAvvocato generale subentrante era attribuito un generalizzato potere di revoca degli Avvocati distrettuali nominati dal predecessore, a testimonianza del fatto che lĠelemento della ÒfiduciarietˆÓ non rivestiva portata nŽ esclusiva, nŽ decisiva. Quanto al secondo motivo di gravame, esso era infondato in quanto era palese che la scelta si era svolta allĠinterno di una terna; che ci˜ costituiva autolimitazione concreta rispetto al c.d. Òpotere di chiamataÓ; nŽ il richiamo ad arresti relativi al conferimento di incarichi in altre Amministrazioni era condivisibile, posto che ivi, sempre, la giurisprudenza amministrativa aveva chiarito lĠobbligo di motivare in ordine alle ragioni della scelta (il che presupponeva una ÒcomparativitˆÓ della procedura). Nel merito, ogni sforzo di svalutare la portata rivestita dalla lettera dellĠAvvocato distrettuale uscente era risultato vano: come vano era risultato il tentativo di sminuire lĠassoluto spessore del curriculum dellĠappellata B. Ricorso n. 7910/2013. Il controinteressato M., giˆ resistente rimasto soccombente in primo grado, ha proposto un articolato appello, censurando integralmente lĠapprodo cui era giunta la gravata decisione, proponendo censure sostanzialmente identiche e sovrapponibili a quelle proposte dalla difesa erariale nellĠambito del ricorso n. 7808/2013 ed in precedenza illustrate. LĠappellata ha depositato memoria chiedendo la reiezione del gravami, perchŽ infondato. Alla adunanza camerale del 19 novembre del 2013 fissata per la delibazione delle domande di sospensione della esecutivitˆ della gravata decisione, le due controversie sono state rinviate al merito. Tutte le parti processuali hanno depositato ulteriori scritti difensivi volti a ribadire e puntualizzare le rispettive prospettazioni. Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 le due cause sono state posta in decisione dal Collegio. DIRITTO 1. I suindicati appelli devono essere riuniti, in quanto diretti a gravare la medesima sentenza. Essi sono infondati e vanno pertanto respinti, con conseguente improcedibilitˆ delle censure, assorbite o disattese dal primo giudice, riproposte da parte appellata. 2. Ritiene utile il Collegio, in via assolutamente preliminare, richiamare il dato normativo essenziale ai fini della risoluzione delle problematiche devolute allĠesame del Collegio. 2.1. Stabilisce lĠart. 18 della legge 3 aprile 1979, n. 3 che: ÒL'avvocato distrettuale dello Stato: vigila e soprintende, nell'ambito dell'avvocatura distrettuale, all'espletamento delle funzioni di istituto ed alla organizzazione e funzionamento degli uffici e dei servizi; assegna agli avvocati e procuratori in servizio presso l'avvocatura distrettuale gli affari contenziosi consultivi, in base ai criteri stabiliti dal comitato consultivo; assicura il coordinamento e l'unitˆ di indirizzo dell'attivitˆ contenziosa e consultiva dell'avvocatura distrettuale, promuovendo l'esame e la decisione collegiale delle questioni giuridiche di maggiore rilievo, nonchŽ l'informazione e collaborazione reciproca tra gli avvocati e procuratori; determina le direttive inerenti alla trattazione degli affari contenziosi; riferisce all'avvocato generale dello Stato sull'attivitˆ svolta dall'avvocatura distrettuale, segnalando le controversie pi importanti nonchŽ le eventuali carenze legislative ed i problemi interpretativi che emergono nel corso dell'attivitˆ di istituto; riferisce al presidente della giunta regionale per gli affari trattati nell'interesse della regione, anche presentando apposite relazioni e segnalando le controversie pi importanti nonchŽ le eventuali carenze legislative. L'incarico di avvocato distrettuale dello Stato  conferito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dell'avvocato generale dello Stato, sentito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, ad avvocati dello Stato che abbiano almeno conseguito la terza classe di stipendio e maturati in essa cinque anni di servizio. Con le stesse modalitˆ  disposta la cessazione dall'incarico. L'avvocato distrettuale che cessa dall'incarico pu˜ chiedere di essere associato all'Avvocatura generale dello StatoÓ. LĠart. 15 del R.D. 30-10-1933 n. 1611, recante ÒApprovazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento del- l'Avvocatura dello StatoÓ, nel testo sostituito dall'art. 15, L. 3 aprile 1979, n. 103, a propria volta, cos“ dispone: ÒL'avvocato generale dello Stato: determina le direttive inerenti alla trattazione degli affari contenziosi e consultivi; presiede e convoca il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato ed il comitato consultivo; vigila su tutti gli uffici, i servizi e il personale dell'Avvocatura dello Stato e soprintende alla loro organizzazione, dando le opportune disposizioni ed istruzioni generali; risolve, sentito il comitato consultivo, le divergenze di parere sia tra gli uffici distrettuali del- l'Avvocatura dello Stato, sia tra questi e le singole amministrazioni; assegna agli avvocati e procuratori in servizio presso l'Avvocatura generale dello Stato gli affari contenziosi e consultivi, in base ai criteri stabiliti dal comitato consultivo; riferisce periodicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attivitˆ svolta dall'Avvocatura dello Stato, presentando apposite relazioni, e segnala anche prontamente le eventuali carenze legislative ed i problemi interpretativi che emergono nel corso dell'attivitˆ di istituto; fa le proposte e adotta i provvedimenti espressamente attribuiti alla sua competenza, nonchŽ ogni altro provvedimento riguardante gli uffici ed il personale dell'Avvocatura dello Stato che non sia attribuito ad altra autoritˆ. In caso di impedimento o di assenza l'avvocato generale  sostituito dal vice avvocato generale con maggiore anzianitˆ nell'incaricoÓ. Sebbene soltanto menzionata (ma non utilizzata dal primo giudice per il vaglio sulle questioni devolutegli), appare altres“ rilevante al Collegio menzionare il disposto di cui allĠart. 21 della sopracitata legge 3 aprile 1979, n. 3, che cos“ prevede: Òé istituito il consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, che  composto: a) dall'avvocato generale dello Stato, che lo presiede; b) da due avvocati dello Stato, con incarico di vice avvocato generale, pi anziani nell'incarico; c) da due avvocati dello Stato, con incarico di avvocato distrettuale, pi anziani nell'incarico; d) da quattro componenti, di cui almeno un procuratore dello Stato, eletti da tutti gli avvocati e procuratori dello Stato riuniti in un unico collegio, secondo le norme dell'articolo 22 della presente legge. In caso di impedimento o di assenza o quando il consiglio debba esprimere parere sui provvedimenti che li concernono, i componenti di cui alle lettere b) e c) sono sostituiti dagli avvocati che li seguono in ordine di anzianitˆ nell'incarico, i componenti di cui alla lettera d) dai supplenti eletti contestualmente secondo l'ordine di elezione. Il segretario generale dell'Avvocatura dello Stato interviene alle sedute del consiglio senza diritto di voto. I componenti eletti durano in carica tre anni, non sono immediatamente rieleggibili nŽ possono essere loro conferiti, finchŽ sono in carica, incarichi direttivi. Le funzioni di segretario del consiglio sono espletate dal pi giovane dei componenti. Le funzioni di relatore per ciascun affare in trattazione presso il consiglio sono esercitate da uno dei suoi componenti designato di volta in volta dall'avvocato generale. Il consiglio non pu˜ validamente deliberare se non sono presenti sei dei nove membri che lo compongono; le deliberazioni del consiglio sono adottate col voto favorevole della maggioranza dei suoi componenti salvo i casi previsti nelle lettere c), d), e), g) e h), dell'articolo 23, per i quali  richiesto il voto favorevole di almeno sei componenti il consiglio. Sono abrogati gli articoli 25 e 26 del testo unico approvato con regio decreto 10 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioniÓ. Detto Organismo,  in sostanza lĠOrgano di autogoverno dellĠAvvocatura dello Stato, i cui compiti e funzioni sono scolpiti nel successivo art. 23 della citata legge. Tale disposizione completa il quadro dei precetti ad avviso del Collegio rilevanti per la fattispecie per cui  causa, unitamente allĠart. 19 della sopracitata legge, che pure di seguito si riporta: ÒGli avvocati e procuratori dello Stato: trattano gli affari contenziosi e consultivi loro assegnati; in caso di divergenza di opinioni nella trattazione di detti affari con l'avvocato generale, con i vice avvocati generali o con l'avvocato distrettuale, possono chiedere, presentando relazione scritta, la pronuncia del comitato consultivo e, se questa  contraria al loro avviso, di essere sostituiti nella trattazione dell'affare per cui  sorta la divergenza di opinioni; possono essere sostituiti nella trattazione degli affari loro affidati in caso di assenza, impedimento o giustificata ragione; quando ricorrano gravi motivi possono essere sostituiti, con provvedimento motivato, dall'avvocato generale o dall'avvocato distrettuale dello Stato. Avverso tale provvedimento pu˜ essere proposto ricorso entro trenta giorni al consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato. I procuratori dello Stato provvedono anche al servizio di procura per la cause trattate dagli avvocati e dagli altri procuratori dello Stato, secondo le disposizioni dei dirigenti degli uffici, cui sono addettiÓ. 2.2. Cos“ ricostruito lĠordito normativo sotteso alla controversia, ritiene il Collegio di dovere immediatamente ribadire la propria convinta adesione al consolidato approdo della giurisprudenza amministrativa, secondo il quale (Consiglio di Stato Ad. Plen. 15/09/1999 n. 14) Òil principio del giusto procedimento amministrativo - pur non essendo di rilievo costituzionale -costituisce comunque un criterio di orientamento sia per il legislatore sia per l'interpreteÓ. (Arg ex Corte Costituzionale 19/03/1993 n. 103). é noto, poi, che il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in proposito ha conosciuto una ulteriore evoluzione, tanto da indurre a pi riprese allĠaffermazione per cui Òl'applicazione dei principi desumibili dalla l. n. 241/1990 quale espressione del diritto al giusto procedimento, dovrebbe rientrare tra i livelli essenziali dei diritti civili da garantire a tutti i cittadini, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), o, qualificando le norme della l. n. 241 come "norme interposte", che integrano il sistema costituzionale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Carta fondamentaleÓ (ex aliis si veda in tal senso Consiglio di Stato sez. V 28/02/2011 n. 1271; T.A.R. Molise 09/03/2006 n. 194). Non essendo nŽ utile, nŽ rilevante ai fini della risoluzione della fattispecie per cui  causa, non ritiene il Collegio di immorare su tale ultimo tema di natura qualificatoria:  sufficiente, per˜, rilevare che i principi partecipativi, di trasparenza, di efficacia ed efficienza che permeano la nozione di giusto procedimento costituiscono adeguato canone interpretativo utilizzabile nella fattispecie per cui  causa. Ci˜ nel forte convincimento per cui, tra due interpretazioni di un medesimo precetto, una delle quali collida con i detti principi generali, di cui alla legge n. 241/1990, ed unĠaltra appaia con gli stessi armonica, lĠinterprete debba certamente privilegiare la seconda (analogamente allĠinsegnamento reso a pi riprese dalla Corte Costituzionale, secondo il quale - ex aliis sentenza n. 46/2013 sentenza n. 21 del 2013, ordinanze n. 255 del 2012, n. 287 del 2011 e n.110 del 2010 - Òdi una disposizione legislativa non si pronuncia l'illegittimitˆ costituzionale quando se ne potrebbe dare un'interpretazione in violazione della Costituzione, ma quando non se ne pu˜ dare un'interpretazione conforme a CostituzioneÓ). 2.3. Alla stregua di tale canone ermeneutico, il Collegio esaminerˆ la fattispecie per cui  causa, in ordine alla quale si pu˜ in prima battuta svolgere una considerazione (anchĠessa assai agevole e quasi necessitata alla stregua della piana lettura delle disposizioni primarie summenzionate): pu˜ senzĠaltro concordarsi con due affermazioni contenute nella decisione impugnata. La prima di esse riposa nella considerazione per cui pu˜ riscontrarsi Òla mancanza di un sistema di regole prestabilite, pur elementari, che stabilisca come scegliere nella platea dei potenziali aspiranti - tutti gli avvocati con determinata anzianitˆ e qualifica - il candidato pi idoneo per meriti ed attitudini a dirigere un determinato Ufficio distrettuale nelle condizioni dateÓ. La seconda, complementare a quella appena esposta,  quella secondo la quale ÒlĠart. 18, II comma succitato sebbene non contempli una procedura concorsuale, in realtˆ neppure la esclude, espressamente o implicitamente, limitandosi a fissare alcuni passaggi della procedura di nomina, di cui individua sia gli organi competenti, sia i soggetti muniti del requisito proprio per aspirarvi, e cio la qualitˆ di avvocati dello Stato in servizio, alla terza classe di stipendio, con cinque anni di anzianitˆ di servizio nella stessaÓ. Tali dati sono incontrovertibili e neppure sono stati seriamente contestati dalle parti appellanti, che, al contrario, agli stessi si rifanno esplicitamente, per sostenere: che debba escludersi la natura concorsuale della procedura di conferimento dellĠincarico di avvocato distrettuale; che si tratterebbe di una chiamata ÒfiduciariaÓ da parte dellĠAvvocato Generale; che il sostrato di tale nomina riposerebbe in una valutazione di Òmerito assolutoÓ resa dal- lĠAvvocato generale medesimo. Sullo sfondo di tali argomentazioni aleggiano le considerazioni - di natura sostanziale - secondo cui gli atti ÒvalutatiÓ dal Caps (tra i quali la nota dellĠAvvocato distrettuale uscente, encomiastica nei confronti del prescelto Avv. M., odierno appellante) ed il percorso di carriera degli aspiranti non farebbero che confermare come una serena valutazione del Òmerito assolutoÓ non avrebbe premiato altri che il soggetto effettivamente prescelto. 2.4. Premette in proposito il Collegio che esula certamente dai propri compiti quello di ÒcriticareÓ disposizioni di legge vigenti, e men che meno ÒsuggerireÓ eventuali iniziative legislative di riforma/ridefinizione della disciplina normativa in oggetto. E ritiene, altres“, opportuno far presente che non si ritiene neppure di indugiare in ordine a valutazioni degli argomenti relativi alla prevalenza di uno od altro aspirante. Ci˜ in quanto, da un lato, la pur scarna disciplina normativa succitata, ove interpretata armonicamente al principio di paritˆ delle parti e di trasparenza, pare condurre a considerazioni contrarie a quelle esposte nei riuniti appelli; secondariamente, perchŽ ritiene che, proprio alla stregua dei segnalati canoni ermeneutici (paritˆ delle parti e trasparenza), il procedimento oggetto di scrutinio da quei canoni si sia discostato e pertanto meriti condivisione lĠapprodo de- molitorio raggiunto dal primo giudice. 2.5. Quanto sopra, alla stregua delle seguenti considerazioni: a) pu˜ concordarsi con la tesi secondo la quale la nomina dellĠAvvocato distrettuale pertenga alla esclusiva responsabilitˆ dellĠAvvocato generale; b) inteso in questo - limitato - senso, pu˜ ben parlarsi di ÒfiduciarietˆÓ; ma  ben ovvio che il criterio debba essere quello dellĠadeguatezza a svolgere il detto incarico e che tale valutazione debba discendere da dati relativi al percorso professionale del prescelto e non certo da elementi di conoscenza personale dellĠAvvocato generale o da dati e circostanze non ostese, nŽ desumibili; c) ci˜ appare dato incontrovertibile e si ricava (oltre che dalla logica), a tacer dĠaltro, dalla circostanza che debba essere Òsentito il consiglio degli avvocati e procuratori dello StatoÓ, il quale predispone un parere (parere che non avrebbe senso alcuno laddove fondato su dati parziali incompleti e quindi distonici rispetto al materiale cognitivo poi ÒutilizzatoÓ dallĠAvvocato Generale per rendere la propria scelta); d) posto che lĠAvvocato generale effettua tale scelta con propria esclusiva responsabilitˆ, pure in questo limitato senso pu˜ parlarsi di fiduciarietˆ: il che certo non significa assoluto arbitrio; e) ostano, in nuce, alla possibilitˆ di una considerazione del termine ÒfiduciarietˆÓ maggiormente estesa di quella sinora tratteggiata, due dirimenti circostanze: e1) non  assolutamente previsto che il neonominato Avvocato generale possa ad nutum revocare le nomine giˆ disposte dal predecessore (come dovrebbe avvenire laddove la nomina fosse legata non a parametri oggettivi, legati allo sviluppo di carriera dal prescelto, ma ad un rapporto ÒfiduciarioÓ in senso stretto) e men che meno  previsto che, ogniqualvolta cessi dalla carica il soggetto ÒnominanteÓ, la nomina del soggetto da questi prescelto decada e/o debba essere riconfermata; e2)  previsto che, tra i membri di diritto del Caps (art. 21 lett. c della legge succitata) i Òdue avvocati dello Stato, con incarico di avvocato distrettualeÓ, siano i Òpi anziani nell'incaricoÓ; il che confligge con unĠimpostazione fondata su una scelta assolutamente libera (resa Ò a prescindereÓ dallo sviluppo di carriera degli aspiranti allĠincarico legittimati), in quanto, se cos“ fosse, ne dovrebbe discendere che pure la composizione dellĠOrgano consultivo dovrebbe essere determinata secondo criteri ÒfiduciariÓ, disconnessi da parametri obiettivi previamente vagliati; e ci˜ renderebbe perlomeno dubbia lĠattitudine del predetto Organo a rendere i pareri richiesti ex lege in piena indipendenza dallĠOrgano (lĠAvvocato Generale, appunto) deputato a ricevere i detti pareri. 2.5. Unitamente a tali - giˆ dirimenti - considerazioni congiurano a far ritenere ben ristretto il concetto di Ònomina fiduciariaÓ, predicabile in simili ipotesi, le modalitˆ con le quali si  proceduto alla nomina dellĠAvvocato distrettuale in passato e nellĠambito della stessa presente procedura. 2.5.1. Come acutamente osservatosi nella decisione di primo grado, infatti, la norma di cui allĠart. 18 comma 2 prima citata attribuisce una legittima aspettativa a tutti gli avvocati con la predetta qualifica ed anzianitˆ di essere scrutinati per lĠincarico in questione. Il primo giudice ha sostenuto anche che la norma stessa Ònon esclude affatto che, per poter essere nominato, il soggetto debba anche presentare una domanda, comunque qualificataÓ. 2.5.2. Il Collegio non concorda con detta ultima affermazione. Si pu˜ invece concordare con le parti appellanti nel ritenere che, in via di principio, lĠavvenuta presentazione di una Òdichiarazione di disponibilitˆÓ ad assumere lĠincarico non sia condizionante della possibilitˆ di essere nominato, e che - sempre in via di principio - anche un soggetto che tale dichiarazione di disponibilitˆ non ha mai presentato possa essere attributario del predetto incarico. 2.5.3. SenonchŽ, tale constatazione in nulla sposta i termini della controversia, avuto riguardo al concreto meccanismo seguito dallĠAmministrazione per pervenire alla nomina (nel caso di specie) ed al ÒmeccanismoÓ (se non si vuole utilizzare il termine ÒproceduraÓ, evocativo di una fase procedimentalizzata eterogovernata da una fonte normativa ÒsuperiorÓ) tenuto presente in passato, per quel che qui risulta incontestato. 2.5.4. In ossequio alle esigenze di trasparenza (queste s“ pienamente rispettate nella fase embrionale del procedimento) viene di regola data notizia della vacanza del posto e la platea degli aventi diritto presenta la dichiarazione di disponibilitˆ (ci˜  avvenuto in passato, e ci˜  avvenuto nel caso di specie). A questo punto, il giudizio sotteso alla nomina, postula una disamina delle posizioni (non giˆ dellĠintera ampia platea dei soggetti aventi diritto, ma soltanto) di quei soggetti che, in possesso dei requisiti di anzianitˆ, hanno presentato la dichiarazione di disponibilitˆ. 2.5.5. Non volendo ritenere (perchŽ neppure parte appellante si spinge ad affermare tanto) che il C.A.P.S. abbia (in passato e/o anche soltanto nel caso di specie) considerato le posizioni di tutti i Colleghi che possedevano i requisiti per la nomina (o anche, a tutto concedere, almeno dei pi anziani tra essi) fino ad individuare il designabile, e non si sia limitato a vagliare le posizioni soltanto dei soggetti che avevano presentato dichiarazione di disponibilitˆ, ne discende una conseguenza. O tutte le procedure di nomina ad Avvocato distrettuale in passato adottate (ed anche quella oggetto di esame) sarebbero viziate da difetto di istruttoria, in quanto sarebbe stata omessa la disamina di tutti i soggetti potenzialmente nominabili, ovvero lĠeventualitˆ di nominare taluno che non avesse presentato la dichiarazione di disponibilitˆ resta, in concreto, una evenienza teorica, alla quale potrebbe accedersi laddove nessuno dei latori della dichiarazione di disponibilitˆ fosse stato nominabile e/o avesse posseduto i requisiti richiesti, e che, di converso, al di fuori di detta teorica evenienza, la avvenuta presentazione della dichiarazione di disponibilitˆ, se non costituisce tecnicamente (e non pu˜ esserlo per legge) Òrequisito per la nominaÓ, ha lĠeffetto di restringere - quantomeno in prima battuta, lo si ripete, e salva la teorica evenienza prima descritta - il novero dei soggetti valutabili. E pu˜ essere sintomatico rilevare, a tale proposito, che nei remoti e sporadici precedenti giurisprudenziali resi su fattispecie assimilabile a quella per cui oggi  causa, la giurisprudenza (pur escludendo che si dia corso ad un vero e proprio procedimento comparativo) ha proprio riconosciuto un tale ÒeffettoÓ di delimitazione del novero delle posizioni esaminabili alla avvenuta presentazione di dichiarazioni di disponibilitˆ da parte di soggetti aspiranti legittimati (T.A.R. Sicilia Sez. I, 18-03-1991, n. 173: Ònel sistema delineato dalla l. n. 103/1979, che ha modificato l'ordinamento dell'avvocatura dello stato, per la copertura dei maggiori uffici - avvocato generale e avvocato distrettuale -  esclusa qualsiasi previsione di procedura concorsuale o di predeterminazione di criteri selettivi; T.A.R. Puglia, 07-03-1987, n. 139: Ònel sistema delineato dagli art. 16, 17 e 18 l. 3 aprile 1979 n. 103, il conferimento degli incarichi nell'ambito dell'avvocatura dello stato - ed in particolare quello di avvocato distrettuale - non richiede una tipica procedura concorsuale, bens“ una scelta da operare fra soggetti che abbiano manifestato di aspirare all'incarico, in forza di una lata discrezionalitˆ al cui esercizio  estraneo il modulo procedimentale della valutazione analitica dei requisiti e delle qualitˆ di ciascuno dei sottoposti a vaglio, proprio degli scrutiniÓ). 2.5.6. E - se  consentita una considerazione di merito - non solo la sistematica selettiva sinora adottata appare logica, ma il Collegio neppure ha remore nellĠaffermare che la stessa sia positivamente apprezzabile ed idonea a garantire celeritˆ ed efficienza della procedura di nomina: sarebbe un inutile spreco di tempo ed energia valutare la posizione di centinaia di soggetti in astratto nominabili (in quanto in possesso dei detti requisiti) e procedere successivamente a richiederne il consenso/disponibilitˆ alla nomina (manifestazione privata, questĠultima, che potrebbe anche mancare, con il rischio di dover ripetere la valutazione un numero incalcolabile di volte), piuttosto che, quantomeno in prima battuta, vagliare unicamente le posizioni di chi tale dichiarazione di disponibilitˆ aveva prodotto (salva la possibilitˆ di nominare eventualmente, nei casi prima soltanto esemplificativamente indicati, un soggetto che tale disponibilitˆ non aveva esternato); 2.6. Se quindi, in via generale, la dichiarazione di disponibilitˆ, pur non inibendo lĠaltra possibilitˆ prima rappresentata, ha lĠeffetto di restringere, quantomeno in un primo approccio, il novero delle posizioni valutabili, da tale considerazione devono discendere alcune rilevanti conseguenze: a) seppur non si possa parlare di ÒcomparazioneÓ, nel senso canonico del termine (parte ap pellante si richiama, per assimilazione, al concetto di Òmerito assolutoÓ), la valutazione delle posizioni, almeno in prima battuta, lo si ripete, si svolge nellĠambito di una platea ristretta (e solo di quella); id est: unicamente con riguardo a coloro che hanno presentato la dichiarazione di disponibilitˆ; b) se cos“ , a costoro, in quanto potenziali destinatari del provvedimento di nomina, devono essere garantite le minimali garanzie procedimentali: trasparenza e par condicio; c) tali garanzie si strutturano, in primis, nella identitˆ del materiale cognitivo esaminabile dal Caps con riferimento ad ognuno degli aspiranti; e, secondariamente, nella esternazione, anche embrionale, degli elementi Òdi preferenzaÓ che hanno guidato la scelta verso lĠuno ovvero verso lĠaltro. 3. Muovendo dai detti presupposti, pu˜ concordarsi con la tesi del primo giudice, secondo cui del rispetto di tali minimali presupposti non vi sia prova, con riguardo al procedimento di nomina sottoposto a scrutinio. 3.1. A guardare al materiale cognitivo, il Caps ha preso in esame, in chiave di comprova della sussistenza delle caratteristiche tese a comprovare il Òmerito assolutoÓ in capo al nominato, una nota teoricamente destinata ad altri fini e diretta a questĠultimo. Pu˜ concordarsi con la circostanza sottolineata da parte appellante, secondo cui detta nota nulla di ÒulterioreÓ rispetto al patrimonio cognitivo valutabile abbia in realtˆ aggiunto. Pur tuttavia, a tacer dĠaltro, non risulta dagli atti del procedimento che fosse stata chiarita agli altri latori della dichiarazione di disponibilitˆ (tra cui lĠappellata) la possibilitˆ che simili atti venissero fatti oggetto di valutazione: a tacer dĠaltro, non  dato conoscere se simili ÒnoteÓ fossero state indirizzate ad altri aspiranti che avevano presentato la dichiarazione di disponibilitˆ, quali espressioni contenessero, quali elementi professionali avessero esaltato, etc. In teoria nulla vieta che ve ne fossero di altre, maggiormente apprezzabili, e lĠincertezza in ordine alla producibilitˆ e valutabilitˆ delle medesime non ha giovato alla par condicio, quanto alla perimetrazione del materiale cognitivo valutabile. 3.2. Quanto al profilo relativo alla trasparenza, non si rinviene nessuna sia pur embrionale ÒmotivazioneÓ che chiarisca - se non la ÒprevalenzaÓ del prescelto - quantomeno, seppur espressi in termini assoluti e non comparativi, i dati che si riteneva coincidessero con il criterio del Òmerito assolutoÓ, sicchŽ, anche per sottrazione, quantomeno gli altri aspiranti (ma si ricorda che le esigenze di trasparenza soltanto immediatamente possono ricondursi alla posizione degli altri aspiranti, mentre mediatamente ed in via pi generale rispondono ad esigenze di pi generale verifica della rispondenza ad interesse pubblico dellĠattivitˆ pubblicistica posta in essere) fossero in grado di rendersi conto di quali fossero stati gli elementi del curriculum professionale del prescelto tali da farlo giudicare pi idoneo e meritevole in assoluto. 4. Tali riscontrate lacune inducono il Collegio alla reiezione dei riuniti appelli, non prima, per˜ di avere esternato unĠultima, assorbente, considerazione. NellĠappello della difesa erariale si assimila la procedura per cui  causa ad altre - in passato oggetto di scrutinio da parte del Consiglio di Stato - caratterizzate dal criterio del merito assoluto, quale, ad esempio, quella per lĠattribuzione delle pi alte cariche diplomatiche. Non ritiene il Collegio di doversi attardare in ordine alla correttezza - o meno - di tale processo di accostamento ed assimilazione (contestato da parte appellata) della procedura per cui  causa con quella suindicata (per il vero caratterizzata da decisi indici normativi che, ben pi che nellĠipotesi oggetto dellĠodierno scrutinio, fanno propendere per la qualificazione della medesima come procedura di ÒdesignazioneÓ, sottratta ad ogni riferimento di natura comparativistica). Ci˜ che giova precisare, per˜,  che anche nelle ipotesi segnalate dalla difesa erariale la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex aliis si veda la decisione n. 5050/2001) ha avuto modo di svolgere un condivisibile ragionamento (questo s“, plasticamente traslabile alla fattispecie per cui  causa) che vale la pena riportare di seguito. Escluso che ci si trovi al cospetto di insindacabili Òatti politiciÓ e dovendosi qualificare lĠatto di nomina, in quelle vicende, come atto di alta amministrazione, esso resta sindacabile ÒdebolmenteÓ dallĠAutoritˆ giudiziaria, in ossequio al canone costituzionale di cui allĠart. 24 della Carta Fondamentale: ci˜, sia pure nei limitati casi di abnormitˆ ed irragionevolezza o per vizi relativi allĠistruttoria: ma un sia pur ristretto sindacato, perchŽ possa essere esplicato, necessita a monte che della scelta compiuta (anche di Òmerito assolutoÓ) sia stata data contezza, con motivazione, sia pur sintetica ed unitaria, non parcellizzata e non comparativa, e che la procedura valutativa sia stata svolta rispettando il canone della par condicio. Se cos“, , essendo mancata nella fattispecie per cui  causa quantomeno la sintetica esternazione di tali elementi, tanto che alcuno dei soggetti che diedero la disponibilitˆ, nŽ questo Collegio,  in grado di percepire le ragioni del Òmerito assolutoÓ riscontrato in capo al nominato, di necessitˆ deve discendere la reiezione dei riuniti appelli e la conferma, nei termini di cui alla motivazione che precede, della gravata decisione, salvi gli ulteriori provvedimenti dellĠAmministrazione (con conseguente assorbimento nella detta statuizione delle ulteriori censure riproposte da parte appellata). 5. La complessitˆ e parziale novitˆ delle questioni esaminate, oltrechŽ la peculiare natura della controversia, legittima lĠintegrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese processuali compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati: Paolo Numerico, Presidente Sandro Aureli, Consigliere Raffaele Greco, Consigliere Fabio Taormina, Consigliere, Estensore Andrea Migliozzi, Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETRIA IL 17/03/2014 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) Corollari della societˆ in house: esclusione dal fallimento ed applicazione della normativa organizzatoria relativa al socio pubblico. In specie, ove lĠente ausiliato sia una P.A., patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato TRIBUNALE DI NAPOLI, VII SEZ. CIV., DECRETO 9 GENNAIO 2014, N.R.R.FALL. 1097/13 Michele Gerardo* SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Esclusione dal fallimento delle societˆ in house. - 3. Ulteriori corollari della qualificazione della societˆ in house, quale mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. - 4. (segue) In specie: rappresentanza e difesa in giudizio delle societˆ in house aventi quale azionista un Amministrazione Statale. 1. Introduzione. Il decreto motivato che si annota ha ad oggetto il problema dellĠassoggettabilitˆ al fallimento della societˆ in house, nellĠambito del pi ampio discorso del fallimento delle societˆ pubbliche. LĠart. 1 comma 1 della Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) sancisce che ÒSono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attivitˆ commerciale, esclusi gli enti pubbliciÓ. Fin dallĠentrata in vigore del codice civile - introducente alcune disposizioni relative alle societˆ commerciali partecipate dalla P.A. (artt. 2458-2460: ÒDelle societˆ con partecipazione dello Stato e degli enti pubbliciÓ; art. 2461: ÒDelle societˆ di interesse nazionaleÓ) -  stato posto il problema della rilevanza dellĠinteresse pubblico di cui  portatore lĠente azionista, anche ad altri fini, ed in particolare se esso, venendo a contrastare con lĠinteresse sociale, debba oppure no prevalere nei confronti di questo, con riferimento soprattutto allĠipotesi in cui lĠente pubblico sia socio di maggioranza, ci˜ con inevitabili ricadute sulla disciplina e finanche sulla qualificazione della societˆ (1). La societˆ in house  una societˆ commerciale - e quindi imprenditore commerciale per definizione - oppure  una articolazione nellĠambito di un ente pubblico (azionista di essa societˆ) o  un ente pubblico distinto dallĠazionista pubblico? (*) Avvocato dello Stato. (1) Per una sintesi: A. GRAZIANI-G. MINERVINI -U. BELVISO, Manuale di diritto commerciale, Morano editore, 1990, 208; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 1. Diritto dellĠimpresa, UTET, V edizione, 2006, 75; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffr ed., XII edizione, 2010, 100; L. TORCHIA (a cura di), Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino, 2009, 202; P. SANTORO, Manuale di contabilitˆ e finanza pubblica, Maggioli editore, V ed., 2012, 414; F. FIMMANñ, Il fallimento delle Òsocietˆ pubblicheÓ, in Gazzetta Forense, 2013, novembre-dicembre 2013, 13. Allo stato vi  un vivace dibattito dottrinale - con orientamenti giurisprudenziali, specie di merito, contrastanti - sulla possibilitˆ che le societˆ di diritto privato aventi un azionista pubblico possano essere sottoposte a fallimento. Vuol farsi riferimento alle societˆ di diritto privato ÒpureÓ - tra le quali le societˆ in house - e non a quelle aventi una disciplina in deroga al diritto comune delle societˆ. A grandi tratti, un primo orientamento ritiene che la scelta della P.A. di acquisire partecipazioni in societˆ private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta; sicchŽ la scelta di gestire un servizio pubblico essenziale, utilizzando il modello della societˆ di capitali, anzichŽ lĠazienda speciale o la concessione a terzi, comporta lĠapplicazione dello statuto dellĠimprenditore commerciale in pieno, qualsiasi sia lĠattivitˆ economica svolta ed a prescindere dalla relativa collocazione in un mercato concorrenziale, e non solo i vantaggi derivanti dalla segregazione patrimoniale; lĠapplicazione dello statuto dellĠimprenditore commerciale comporta, tra lĠaltro, per le societˆ commerciali la sottoposizione al fallimento. Altro orientamento, diversamente, esaltando gli aspetti sostanziali ed altres“ lĠattivitˆ di tali societˆ ha escluso la sottoposizione delle societˆ pubbliche al fallimento, riqualificando esse societˆ come ente pubblico o qualificandole come mere articolazioni interne allĠente azionista, ossia mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. Data la rilevanza dei corollari  necessario, a colpi di sciabola, perimetrare i caratteri della societˆ in house. Questa  una species del genus delle societˆ ÒpubblicheÓ, ossia aventi come azionista una P.A. é in house la societˆ che produce beni, servizi o lavori in favore del socio pubblico. Ricorre il fenomeno denominato in house providing con il quale la P.A. acquisisce un bene o un servizio attingendoli allĠinterno della propria compagine organizzativa, senza ricorrere a terzi tramite gara e dunque al mercato. La prima definizione giurisprudenziale della figura  fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunitˆ europee del 18 novembre 1999, causa C-107/98 -Teckal, che ha esaminato il problema dellĠapplicabilitˆ delle regole della gara in materia di appalti nella evenienza che la committente sia una P.A. e che aggiudicatario sia una societˆ partecipata dalla prima. AllĠuopo la Corte ha affermato che non  necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nellĠipotesi in cui lĠamministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi ed il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attivitˆ in favore dellĠente pubblico di appartenenza. In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente del- lĠattivitˆ", lĠente in house non pu˜ ritenersi "terzo" rispetto allĠamministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dellĠamministrazione stessa: non , pertanto, necessario che lĠamministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per lĠaffidamento di appalti di lavori, servizi e forniture. Ci˜ in quanto nel caso di specie ricorre un rapporto organico (o di delegazione interorganica), venendo a mancare la qualitˆ di terzo in capo al soggetto affidatario. La delega interorganica e il conseguente rapporto di strumentalitˆ dellĠente affidatario rispetto allĠamministrazione aggiudicatrice rendono allora lo svolgimento della prestazione una vicenda tutta interna alla pubblica amministrazione. Il "controllo analogo", per la giurisprudenza comunitaria e nazionale, si caratterizza per i seguenti requisiti: -il consiglio di amministrazione della societˆ in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e lĠente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale. Le decisioni pi importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dellĠente affidante, atteso che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si pu˜ ritenere sussistere un "controllo analogo" (2). LĠente pubblico partecipante deve avere, statutariamente, il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della societˆ in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica; -lĠimpresa non deve aver "acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo" da parte dellĠente pubblico (3); -il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilitˆ delle quote a privati (4), sicchŽ  necessario che lo statuto dell'ente inibisca in modo assoluto la possibilitˆ di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari; -il controllo analogo non  escluso dalla circostanza che il pacchetto azionario della societˆ sia posseduto (anche in misura esigua per ciascuno) da una pluralitˆ di enti pubblici (5). In tal caso, la verifica sul "controllo analogo" si sposta necessariamente nel rinvenimento di clausole o prerogative che conferiscono agli enti locali partecipanti a quote societarie anche se esigue, effettive possibilitˆ di controllo nellĠambito in cui si esplica la attivitˆ decisionale dellĠorganismo societario attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione) da intendersi tale controllo esercitabile in chiave non soltanto propulsiva o propositiva di argomenti da portare allĠordine del giorno del consesso (2) Consiglio di Stato, 8 gennaio 2007, n. 5. (3) Tale vocazione risulterebbe, tra lĠaltro: dallĠampliamento dellĠoggetto sociale; dallĠapertura obbligatoria della societˆ, a breve termine, ad altri capitali; dallĠespansione territriale dellĠattivitˆ della societˆ a tutta lĠItalia e allĠestero: sentenze della Corte di giustizia delle Comunitˆ europee 13 ottobre 2005, causa C-458/03 -Parking Brixen GmbH e 10 novembre 2005, causa C-29/04 -Mšdling o Commissione c/ Austria. (4) Consiglio di Stato, 30 agosto 2006, n. 5072. (5) Corte di giustizia, sent. 10 settembre 2009, n. 573/07 e 13 novembre 2008, n. 324/07. assembleare bens“, e principalmente, di poteri inibitivi di iniziative o decisioni che si pongano in contrasto con gli interessi dellĠente locale nel cui ambito territoriale si esplica il servizio (6). In senso particolarmente restrittivo  stato inteso anche il requisito dellĠattivitˆ svolta prevalentemente a favore dellĠente affidante. Tale condizione  soddisfatta quando lĠaffidatario diretto non fornisca i suoi servigi a soggetti diversi dallĠente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali, ed in ogni caso non fuori della competenza territoriale dellĠente controllante (7). I connotati ora decritti della societˆ in house sono stati recepiti anche dal legislatore. AllĠuopo una definizione  rinvenibile nellĠart. 19, comma 5 del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, conv. L. 3 agosto 2009, n. 102, secondo cui: ÒLe amministrazioni dello Stato, cui sono attribuiti per legge fondi o interventi pubblici, possono affidarne direttamente la gestione, nel rispetto dei principi comunitari e nazionali conferenti, a societˆ a capitale interamente pubblico su cui le predette amministrazioni esercitano un controllo analogo a quello esercitato su propri servizi e che svolgono la propria attivitˆ quasi esclusivamente nei confronti dell'amministrazione dello Stato. Gli oneri di gestione e le spese di funzionamento degli interventi relativi ai fondi sono a carico delle risorse finanziarie dei fondi stessiÓ. Sui requisiti della societˆ in house, sulla necessitˆ che essi requisiti sussistano tutti contemporaneamente e che trovino tutti il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale, di recente si sono pronunciate le SS.UU. della Cassazione con la sentenza 25 novembre 2013 n. 26283, ampiamente citata nel provvedimento che si annota. 2. Esclusione dal fallimento delle societˆ in house. Il decreto che si annota esamina uno dei principali corollari della qualificazione della natura pubblica o privata della societˆ in house, ossia quello della assoggettabilitˆ al fallimento. Il Tribunale di Napoli, anche sulla scorta di un recente arresto del giudice di legittimitˆ, esclude il fallimento della societˆ in esame con un interessante percorso motivazionale, imperniato, in sintesi, non sulla qualificazione di autonomo ente pubblico della societˆ in house, bens“ sulla immedesimazione, sulla non alteritˆ della societˆ rispetto allĠente per il quale svolge funzioni ancillari. Il giudice partenopeo, sulla scorta delle citate SS.UU. della Cassazione, rileva che: -la societˆ in house, non  un'entitˆ posta al di fuori dell'ente pubblico, atteso che questĠultimo ne dispone come di una propria articolazione interna; (6) Cos“ T.a.r. Lazio, sentenza 16 ottobre 2007 n. 9988. (7) C.G.A. per la Regione Sicilia, sentenza 4 settembre 2007 n. 719. -la societˆ non  altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che lĠaffidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo; -l'ente in house non pu˜ ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa; -l'uso del vocabolo societˆ qui serve solo allora a significare che, ove manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; tuttavia di una societˆ di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non  pi possibile parlare; -non risultando possibile configurare un rapporto di alteritˆ tra l'ente pubblico partecipante e la societˆ in house che ad esso fa capo, la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societˆ si pu˜ porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolaritˆ. Il giudicante evidenzia che viene meno anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societˆ, argomento su cui, invece, si fondava la pregressa giurisprudenza, anche di legittimitˆ, che ne riteneva la fallibilitˆ, proprio in quanto soggetto giuridico distinto dal socio pubblico (da ultimo Cass. civ., n. 22209/2013; n. 21991/2012). Il giudice conclude che - sul rilievo che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento - la societˆ in house integralmente partecipata da un ente pubblico, non pu˜ essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto la stessa concreta mero patrimonio separato dell'ente pubblico (e non un distinto soggetto giuridico, un centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione); inoltre - statuisce il giudicante - lĠente pubblico esercita sulla societˆ un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni. AllĠevidenza, le conclusioni affermate nel provvedimento in esame circa la qualificazione della societˆ in house, quale mero patrimonio separato del- l'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico, sono persuasive e da condividere, basate su un giusto approccio sostanziale dei rapporti giuridici. Difatti, il dato insopprimibile nelle societˆ in house  che queste curano interessi pubblici a mezzo di risorse della collettivitˆ. La forma societaria costituisce principalmente un mezzo per agire in modo snello, mezzo che deve essere, tuttavia, coerente con i dati sostanziali. La personalitˆ giuridica della societˆ in house rileva ai fini della separazione patrimoniale, ai fini della reciproca insensibilitˆ delle vicende patrimoniali interessanti la societˆ ed il socio. SicchŽ nellĠipotesi del ricorso alla societˆ per azioni Òper le obbligazioni sociali risponde soltanto la societˆ con il suo patrimonioÓ (art. 2325, comma 1 c.c.); analoga regola vale per la societˆ a responsabilitˆ limitata (art. 2462 comma 1 c.c.). Delle obbligazioni della societˆ in house non risponde la pubblica amministrazione, socio di riferimento, bens“ soltanto la societˆ con il suo patrimonio. Ci˜ in coerenza con il proprium dellĠacquisto della personalitˆ giuridica ed in coerenza, altres“, con la tendenza del sistema normativo contemporaneo il quale, per favorire lĠiniziativa economica, mette a disposizione degli operatori variegati strumenti per limitare la responsabilitˆ patrimoniale. Valga per tutti lĠesempio del patrimonio destinato ad uno specifico affare (artt. 2447 bis e ss. c.c.). In tale evenienza i creditori della societˆ per azioni - a date condizioni, anche pubblicitarie - non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato (art. 2447 quinquies, comma 1, c.c.); inoltre per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la societˆ risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato (art. 2447 quinquies, comma 3, c.c.). 3. Ulteriori corollari della qualificazione della societˆ in house, quale mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico. La qualificazione della societˆ in house quale mero patrimonio separato dell'ente pubblico ha importanti ricadute sulla disciplina della stessa. Nella evenienza che la societˆ in house abbia come azionista una Amministrazione Statale saranno applicabili alla stessa - in coerenza con il presupposto - le norme caratterizzanti lĠorganizzazione dello Stato, a meno che non vi sia una espressa deroga legislativa; ci˜ in aggiunta alla disciplina codicistica del tipo di societˆ prescelta, sul rilievo - operato nel provvedimento in esame -Òche, ove manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societarioÓ. Vuol dirsi che il principio generale in materia  quello che, in via immediata e diretta, si applica alla societˆ la normativa relativa alla organizzazione amministrativa dello Stato senza necessitˆ di alcuna norma di richiamo; ove vi fosse una norma di richiamo o fosse presente una disposizione che dichiara applicabili alla societˆ determinati istituti organizzativi dello Stato, saremmo in presenza di una norma ricognitiva, senza alcuna capacitˆ di innovare lĠordinamento giuridico, introdotta solo al fine di specificazione, di chiarezza e di evitare equivoci. Viceversa per escludere lĠapplicazione alla societˆ di un istituto o di una disposizione relativa alla detta organizzazione statale  necessaria una norma primaria di deroga. In conseguenza di quanto detto, nella evenienza che la societˆ in house abbia come azionista una Amministrazione Statale saranno applicabili le norme caratterizzanti lĠorganizzazione dello Stato. Tra queste, si richiama: a) la normativa sulla contabilitˆ di Stato. Il bilancio avrˆ ad oggetto lĠattivitˆ delle Amm.ni Statali, ivi comprese le societˆ in house. In tal senso, ad esempio, lĠart. 4 comma 14 D.L. 13 agosto 2011 n. 138, conv. L. 14 settembre 2011, n. 148 e succ. mod. - per il quale ÒLe societˆ cosiddette Çin houseÈ affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilitˆ interno secondo le modalitˆ definite, con il concerto del Ministro per gli Affari Regionali, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilitˆ internoÓ - costituisce precetto confermativo e specificativo del principio generale sopracitato. Analogo rilievo vale per lĠart. 4 comma 15 D.L. n. 138 cit. secondo cui ÒLe societˆ cosiddette Çin houseÈ e le societˆ a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioniÓ e per lĠart. 3 comma 15 L. 24 dicembre n. 244 statuente che le societˆ non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dellĠarticolo 2359, primo comma, numero 1, del c.c. adottano, per la fornitura di beni e servizi, parametri di qualitˆ e di prezzo rapportati a quelli messi a disposizione delle PP.AA. dalla Consip Spa.; b) la normativa sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio (R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611). Anche per le societˆ in house varrˆ quindi la regola fissata dallĠart. 1 R.D. cit. relativa alla difesa in giudizio - in via organica ed esclusiva - dellĠAvvocatura dello Stato; c) la disciplina legislativa sul controllo e responsabilitˆ attribuiti alla cognizione della Corte dei Conti (art. 103 Cost., comma 2; R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13; L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4). AllĠuopo la normativa (8) che ha introdotto per gli amministratori di date societˆ quotate una eccezione alla giurisdizione contabile costituisce deroga al principio generale della sottoposizione di questi al giudizio di responsabilitˆ amministrativa dinanzi al giudice contabile. I rilievi ora fatti valgono, mutatis mutandis, anche nel caso che socio sia una pubblica amministrazione diversa dallo Stato. Molto rilevante  il settore delle societˆ partecipate dalle regioni e dagli altri enti locali, a mezzo delle quali viene operata la gestione dei pubblici servizi locali. La fattispecie che ha occasionato il provvedimento in commento riguarda proprio una societˆ che gestisce il pubblico servizio di trasporto locale, integralmente partecipata (8) Art. 16 bis D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, conv. L. 28 febbraio 2008, n. 31, secondo cui: ÒPer le societˆ con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonchŽ per le loro controllate, la responsabilitˆ degli amministratori e dei dipendenti  regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinarioÓ. dalla Regione Campania, detentrice del 100% del capitale sociale. Quanto ricostruito trova conferma nella evoluzione della normativa disciplinatrice delle societˆ in esame. Al fine di evitare equivoci o dubbi interpretativi - sul presupposto che le societˆ in house gestiscono interessi pubblici con risorse della collettivitˆ sono state introdotte varie disposizioni dirette ad estendere regole valevoli per la P.A. alle societˆ da questa partecipate. Oltre alle norme sopracitate alla lettera a) in tema di bilancio, particolarmente significativo  lĠart. 18 D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. L. 6 agosto 2008, n. 133, e succ. mod., secondo cui: Ò1 [É], le societˆ che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalitˆ per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [É] 2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l'amministrazione controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle societˆ a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale nŽ commerciale, ovvero che svolgano attivitˆ nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Si applicano, altres“, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria. [É]. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, comma 7, del presente decreto, le societˆ che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall'applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo. Per queste societˆ, l'ente locale controllante, nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalitˆ e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno adottate con propri provvedimenti. [É]. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle societˆ quotate su mercati regolamentatiÓ. La ragione dei precetti  intuitiva. Circa il limite delle assunzioni, ad esem pio, questo potrebbe essere eluso dalla P.A. a mezzo di una societˆ partecipata. Ulteriore precetto emblematico del trend diretto a considerare le societˆ in esame quali mere articolazioni dellĠente azionista  lĠart. 76 comma 7 D.L n. 112 cit. il quale - ai fini del calcolo della spesa del personale degli enti locali, determinante la possibilitˆ di effettuare assunzioni di personale - prescrive che si calcolano le spese sostenute anche, tra lĠaltro, dalle societˆ a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, n commerciale, ovvero che svolgono attivitˆ nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, escluse le societˆ quotate su mercati regolamentari. 4. (segue) In specie: rappresentanza e difesa in giudizio delle societˆ in house aventi quale azionista un Amministrazione Statale. Corollario di quanto detto  che per tutte le societˆ in house aventi quale azionista una Amministrazione Statale vale la regola, a prescindere da una puntuale previsione normativa, della rappresentanza e difesa in giudizio - in via organica ed esclusiva - dellĠAvvocatura dello Stato. Difatti, costituendo le societˆ in house mere articolazioni interne dellĠAmministrazione Statale azionista, mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico vale il precetto posto dallĠart. 1 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 per il quale ÒLa rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello StatoÓ. é noto che negli ultimi anni rilevante  stato in numero delle societˆ ancillari riconducibili allĠAmm.ne statale e in specie al Ministero dellĠEconomia e delle Finanze (M.E.F.). Tra queste possiamo citare: -la SOGIN s.p.a. - Societˆ Gestione Impianti Nucleari, partecipata al 100 % dal M.E.F., responsabile della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attivitˆ industriali, di ricerca e di medicina nucleare; -la CONSIP - Concessionaria Servizi Informativi pubblici, societˆ per azioni del M.E.F., che ne  l'azionista unico, la quale opera secondo gli indirizzi strategici di questi, lavorando al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione e svolge attivitˆ di consulenza, assistenza e supporto in favore delle amministrazioni pubbliche nellĠambito degli acquisti di beni e servizi; -la SICOT - Sistemi di consulenza per il Tesoro s.r.l., quale struttura di supporto qualificata per fornire assistenza al Dipartimento del Tesoro nelle attivitˆ istituzionali relative alla gestione e valorizzazione delle partecipazioni azionarie detenute dalla Pubblica Amministrazione e per l'attuazione dei pro cessi di privatizzazione. L'attivitˆ della Societˆ  svolta in via esclusiva per il Ministero dell'economia e delle finanze, unico socio, sulla base di una Convenzione quinquennale che ne fissa ambiti e criteri di intervento; -la SOGEI - Societˆ Generale d'Informatica S.p.A., partecipata al 100% dal M.E.F. preposta al settore Information Technology del Ministero medesimo; ha progettato e realizzato il Sistema informativo della fiscalitˆ del quale segue costantemente la conduzione e l'evoluzione, operando sulla base del modello organizzativo dell'Òin house providing". Dagli esempi fatti appare evidente che le societˆ in house gestiscono materie di interesse e competenza statali che solo per ragioni organizzatorie hanno assunto la forma giuridica di societˆ commerciale e non quella di struttura interna (Dipartimento, Direzione, ecc.) di un dato Ministero. La qualitˆ degli interessi gestiti, allĠevidenza conferma lĠapplicazione della normativa sulla organizzazione statale. I dirigenti di tali societˆ, gestendo risorse pubbliche, devono sottostare al giudizio di responsabilitˆ della Corte dei Conti. Le controversie coinvolgenti tale societˆ debbono essere patrocinate dallĠAvvocatura dello Stato, anche per la visione unitaria del contenzioso e del raccordo con le altre funzioni amministrative statali assicurate da questa, in disparte alle economie di spese conseguibili con la difesa erariale in luogo del ricorso alla difesa privata, specie in tempi di spending review. Quanto detto per le societˆ partecipate da Amm.ni statali, vale anche per quelle partecipate da enti ammessi al patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato ex art. 43 R.D. 30 ottobre 1933 n.1611 (9). SicchŽ, ad esempio ove lĠANAS s.p.a. (ammessa al patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato ex art. 7 comma 11 D.L. 8 luglio 2002 n.138, conv. L. 8 agosto 2002 n. 178) o lĠISTAT (ammessa al detto patrocinio ex art. 15 comma 5 D. L.vo 6 settembre 1989 n. 322) siano azionisti di una societˆ commerciale anche per questĠultima varrˆ il patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato. (9) Il quale nei primi tre commi cos“ dispone: ÒL'Avvocatura dello Stato pu˜ assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autoritˆ giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto. Le disposizioni e i provvedimenti anzidetti debbono essere promossi di concerto coi Ministri per la grazia e giustizia e per le finanze. Qualora sia intervenuta l'autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioniÓ. Tribunale di Napoli, VII sez. civ., decreto 9 gennaio 2014 -N.R.R.Fall. 1097/13 -Pres. Di Nosse, Rel. Grimaldi. (...) Letto il ricorso presentato da N.E.S. S.r.l., tendente ad ottenere la dichiarazione di fallimento di E.A.V. S.r.l.; udita la relazione del giudice delegato all'istruttoria; letta la comparsa di costituzione della societˆ resistente, nonchŽ l'atto di intervento della Regione Campania e del Commissario ad acta; OSSERVA Preliminare  l'indagine sulla ricorrenza del presupposto di cui all'art. 1 L. Fall. per poter far luogo alla dichiarazione di fallimento, ossia che la societˆ resistente sia un imprenditore commerciale privato. Invero, l'art. 1 cit. esclude dall'area dalla fallibilitˆ gli enti pubblici. Nel caso che ci occupa, dubbi sull'assoggettabilitˆ dell' E.A.V. alle disposizioni sul fallimento nascono dalla considerazione della circostanza che trattasi di societˆ che gestisce il pubblico servizio di trasporto locale, integralmente partecipata dalla Regione Campania, che detiene il 100% del capitale sociale. Ebbene - pur nella consapevolezza dell'orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla Corte d'Appello napoletana ed avallato di recente dalla Suprema Corte, che ritiene decisivo, ai fini dell'individuazione dei soggetti fallibili, il rilievo del tipo sociale attraverso cui  esercitata l'attivitˆ, e dunque sicuramente fallibile una societˆ, pur integralmente partecipata da ente pubblico e costituita per la prestazione esclusiva di un servizio pubblico, c.d. in house providing, che per˜ rivesta le forme delle societˆ regolate dal codice civile - questo Collegio ritiene di poter porre in discussione tale tesi prendendo le mosse dal recentissimo intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si  occupata del tema, pur se a diversi fini. Sono ormai ben delineati nell'ordinamento, come ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza e, del resto, autorevolmente dalle stesse SS.UU. (cfr. sent. n. 26283 del 25 novembre 2013), i connotati qualificanti della societˆ in house, costituita per finalitˆ di gestione di pubblici servizi, che si individuano nei seguenti requisiti: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l'esercizio del- l'attivitˆ esclusivamente o quanto meno in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici, presupposti che, per poter parlare di societˆ in house,  necessario sussistano tutti contemporaneamente e che trovino tutti il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale. In ordine al primo requisito, la Suprema Corte ha avuto modo di ricordare come giˆ la giurisprudenza europea abbia ammesso la possibilitˆ che il capitale sociale faccia capo ad una pluralitˆ di soci, purchŽ si tratti pur sempre di enti pubblici (cfr. Corte di giustizia, sent. 10 settembre 2009, n. 573/07; 13 novembre 2008, n. 324/07), come del resto ritenuto anche dal Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 7092/10; n. 8970/09), e che  necessario che lo statuto dell'ente inibisca in modo assoluto la possibilitˆ di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari. Il requisito della prevalente destinazione dell'attivitˆ in favore dell'ente o degli enti partecipanti alla societˆ postula che l'impresa sia preposta in via principale alla prestazione di un servizio d'interesse economico generale e che l'attivitˆ accessoria eventualmente esercitata non sia tale da implicare una significativa presenza della societˆ quale concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi. Infine, il requisito del c.d. controllo analogo, sussiste qualora lĠente pubblico partecipante abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della societˆ in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica, e dunque la societˆ sia soggetta ad un regime di gestione del tutto corrispondente a quello che l'ente partecipante esercita sulle proprie articolazioni interne. é chiaro, dunque, che non si allude all'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria o totalitaria e di regola in grado di esercitare sull'assemblea della societˆ, e, di riflesso, sulle scelte degli organi sociali, sulla scorta dell'esercizio degli ordinari diritti e facoltˆ di socio, in base alle norme del codice civile, ma di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente, fino al punto che all'organo amministrativo della societˆ non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale. Partendo, dunque, da tale premesse, del tutto condivisibilmente le SS.UU. evidenziano la difficile conciliabilitˆ del fenomeno delle societˆ in house providing con la configurazione della societˆ di capitali, intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, per lo svolgimento di attivitˆ imprenditoriali a fine di lucro, attesa la completa assenza da parte di tali societˆ di un potere decisionale loro proprio, in conseguenza del totale assoggettamento degli organi sociali al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare delle partecipazioni sociali. Pertanto, il Supremo Collegio ha concluso nel senso che "La societˆ in house, come in qualche modo giˆ la sua stessa denominazione denuncia, non pare in grado di collocarsi come un'entitˆ posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna. é stato osservato, infatti, che essa non  altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che lĠaffidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 46/13, cit.); di talchŽ <> (cosi Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/08, cit.). II velo che normalmente nasconde il socio dietro la societˆ e dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e societˆ (in house) non si realizza pi in termini di alteritˆ soggettiva. L'uso del vocabolo societˆ qui serve solo allora a significare che, ove manchino specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di una societˆ di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non  pi possibile parlare" (cfr. SS.UU. cit., in motivazione). La conseguenza di tale impostazione e che se non risulta possibile configurare un rapporto di alteritˆ tra l'ente pubblico partecipante e la societˆ in house che ad esso fa capo,  giocoforza concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societˆ si pu˜ porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolaritˆ. Ebbene, anche se le SS.UU. hanno effettuato tale ricostruzione del fenomeno dellĠin house providing ai fini del riparto di giurisdizione in merito allĠazione di responsabilitˆ degli organi di gestione e controllo, ritiene questo Collegio che analoghe conclusioni siano da prendere anche relativamente alla questione dell'assoggettabilitˆ della societˆ in house alla disciplina del fallimento. Infatti, se  vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento, anche la societˆ in house integralmente partecipata dagli stessi, non potrˆ essere soggetta alla liquidazione fallimentare, in quanto concreta mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuri dico, centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione, che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni. Ebbene,  questa la conclusione cui si giunge nel caso di specie. Invero, ai sensi dell'art. 6 dello Statuto della E.A.V. acquisito in atti, ricorre il primo requisito per la individuazione di una societˆ in house, ossia l'integrale partecipazione pubblica al capitale, essendo statutariamente previsto che le quote della societˆ possono essere trasferite solo a soggetti pubblici, su delibera della Giunta Regionale previo parere della commissione consiliare permanente, dunque con l'esclusione della possibilitˆ di partecipazione di soci privati. Ricorre, inoltre, il c.d. controllo analogo da parte della Regione Campania, espressamente menzionato nell'art. 8 bis, il quale specificamente contempla l'esercizio da parte della regione di un controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, riservando espressamente - tra gli altri - allĠassemblea dei soci l'approvazione, entro il 15 dicembre dell'anno precedente, di un Piano di Programma annuale, cui l'Organo amministrativo dovrˆ attenersi e dare esecuzione, che definisce le attivitˆ, gli obiettivi annuali, le eventuali modifiche dell'assetto organizzativo della societˆ, i costi e ricavi dellĠesercizio. Pertanto, lo statuto pone l'organo amministrativo in una situazione di dipendenza assoluta dal- l'assemblea e, dunque, dal socio pubblico che la compone, il quale ne determina annualmente l'attivitˆ, gli obiettivi, i costi e ricavi della gestione, diretta all'esercizio del servizio pubblico. Infine, quanto all'attivitˆ esercitata,  incontroverso che la E.A.V. gestisce il pubblico servizio di trasporto locale, dunque chiaramente l'attivitˆ della stessa  prevalentemente destinata in favore dell'ente partecipante, titolare del pubblico servizio. Pertanto, alla luce dei suesposti principi, la E.A.V. si configura come una societˆ in house della Regione Campania, costituita per la gestione del pubblico servizio di trasporto locale, del tutto dipendente dall'ente regionale, titolare del 100% del capitale e che ne determina statutariamente gli obiettivi e l'attivitˆ. Del resto, la stessa normativa di settore conferma l'identificazione della societˆ resistente come un mero organismo regionale per la gestione del servizio pubblico. Infatti, con il D.L. n. 83 del 22.6.2012, convertito il L. n. 134/2012,  stata prevista una particolare procedura per il rientro dal disavanzo delle societˆ partecipate dalla regione Campania che gestiscono il trasporto regionale, con la nomina di un Commissario ad acta, cui  demandata una ricognizione dei debiti e dei crediti e l'elaborazione di un piano di rientro dal disavanzo accertato ed un piano dei pagamenti, alimentato da risorse regionali disponibili in bilancio e da altre entrate, da sottoporre all'approvazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero dell'Economia e delle Finanze (art. 16, co. 5), a completamento di tale procedura e per assicurare lo svolgimento della stessa, nonchŽ lĠefficienza e continuitˆ del servizio di trasporto, lo stesso decreto ha previsto il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive, anche concorsuali, nei confronti delle societˆ a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale, per un periodo di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto citato (co. 7), prorogato dapprima al 31.12.2013 dalla L. n. 228 del 24.32.2012, e poi al 31.12.2014, dal D.L. 30 dicembre 2013, n. 151. Ebbene, tale normativa speciale conferma l'equiparazione della societˆ in house all'ente pubblico partecipante, ai fini dell'esenzione dal fallimento, ai sensi dellĠart. 1 se  vero - come chiarito dalle SS.UU. - che non risulta possibile configurare un rapporto di alteritˆ tra lĠente pubblico partecipante e la societˆ in house che ad esso fa capo, per cui viene meno anche la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della societˆ, argomento su cui, invece, si fon dava la pregressa giurisprudenza, anche di legittimitˆ, che, invece, ne riteneva la fallibilitˆ, proprio in quanto soggetto giuridico distinto dal socio pubblico (cfr. da ultimo Cass. civ., n. 22209/2013; n. 21991/2012). Ci˜  confermato, nel caso che ci occupa, in particolar modo dalla previsione della destinazione di risorse regionali o comunque da determinare da parte dei Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell'Economia, al ripianamento del deficit accertato, dunque dell'obbligo, sancito da legge, del socio pubblico di provvedere al pagamento delle obbligazioni contratte dall'organismo per il tramite del quale ha gestito il servizio di interesse generale. é questa, del resto, l'unica interpretazione possibile della normativa speciale richiamata, per la quale altrimenti si porrebbero chiari dubbi di legittimitˆ costituzionale, specie nella parte in cui e stato disposto il perdurare della sottrazione dell'ente alle esecuzioni, anche concorsuali, che se pu˜ giustificarsi nell'ottica dell'urgenza e, dunque, per tempi limitati, si porrebbe in contrasto con gli interessi dei privati che hanno contratto con l'ente medesimo, parimenti meritevoli di tutela, anche costituzionalmente riconosciuta (cfr. Corte Cost. n. 186 del 12.7.2013). Pertanto, deve concludersi che la E.A.V., quale societˆ in house della regione Campania, costituita per la gestione del pubblico servizio di trasporto locale e, dunque, quale mero organismo dell'ente pubblico, che ne determina attivitˆ ed obiettivi, escludendo la possibilitˆ di partecipazione di soci privati, non  soggetta alle disposizioni sul fallimento, ai sensi dellĠart. 1 L.Fall. P. Q. M. Rigetta il ricorso. Cosi deciso in Napoli, li 9.1.2014 Avvocatura Generale dello Stato CIRCOLARE N. 11/2014 Oggetto: Patrocinio del Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune di Roma (oraRoma Capitale). Nuove istruzioni. Con parere, reso dal Comitato Consultivo nel corso della seduta del 5 dicembre 2011, con nota n. 394854 del 7 dicembre 2011, era stato fornito riscontro al quesito formulato dalla Struttura commissariale in oggetto chiarendo che, "pur con le doverose perplessitˆ che l'assenza di una puntuale ed espressa disciplina sul tema fa sorgere, ... l'eccezionalitˆ, del tutto particolare, della disciplina della Gestione prevista dall'art. 78 D.L. 112/2008 non autorizza detta gestione ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato e sembra imporre, invece, la prosecuzione del patrocinio della Avvocatura Comunale" (*). (*) Testo integrale del Parere 07/12/2011-394854: <> CIRCOLARE N. 23/2014 Oggetto: Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. Autorizzazionead avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Si segnala che, con D.P.C.M. del 28 febbraio 2014, che si unisce in copia, l'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali  stata autorizzata ad avvalersi della rappresentanza e difesa dell'Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti le autoritˆ giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AVVOCATO GENERALE Michele Dipace Il Presidente del Consiglio dei Ministri VISTI l'articolo 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, l'articolo 1 della legge 16 novembre 1939, n. 1889, e l'articolo 11 della legge 3 aprile 1979, n. 103; VISTA la legge 12 gennaio 1991, n.13; VISTA la richiesta di ammissione al patrocinio dell'Avvocatura dello Stato avanzata dal- l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; CONSIDERATA l'opportunitˆ di autorizzare l'Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; ACQUISITO il parere favorevole dell'Avvocatura generale dello Stato; DI CONCERTO con i Ministri della giustizia e dell'economia e delle finanze DECRETA 1. L'Avvocatura dello Stato  autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del- l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali nei giudizi attivi e passivi avanti le autoritˆ giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. Il presente decreto sarˆ sottoposto alle procedure di controllo previste dalla normativa vigente e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 28 FEB. 2014 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI SEGRETARIATO GENERALE UFFICIO DEL BILANCIO E PER IL RISCONTRO DI REGOLARITË AMMINISTRATIVO-CONTABILE VISTO E ANNOTATO AL N. 522/2014 Roma, 5.3.2014 Reg.to ALLA CORTE DEI CONTI Add“ 19 MAR. 2014 n. 788 CIRCOLARE N. 26/2014 Oggetto: Modifiche al c.p.c. introdotte dall'art. 54 del D.L. n. 83/2012 (convertito nella legge n. 134/2012). Sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite. Modifiche alla circolare n. 56/2012. Con la sentenza 7 aprile 2014 n. 8053, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, si  pronunciata in ordine alla interpretazione delle modifiche introdotte al c.p.c. dall'art. 54 del D.L. n. 83/2012 (convertito nella legge n. 134/2012), con particolare riferimento: a) ai limiti di applicabilitˆ della nuova normativa al processo tributario; b) agli effetti delle nuove disposizioni in ordine alla possibilitˆ di censurare mediante ricorso per cassazione la motivazione della sentenza. 1) L'applicabilitˆ della nuova normativa anche al processo tributario. La Suprema Corte, pur prendendo atto che il citato art. 54 al comma 3 bis dispone che "Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546",  pervenuta alla conclusione secondo cui al giudizio tributario risultano applicabili sia l'art. 360 comma 1 n. 5 nella nuova formulazione, sia le regole della c.d. "doppia conforme" prevista dal nuovo art. 348 ter commi 4 e 5 c.p.c. In particolare la Corte ha affermato il seguente principio di diritto: ÇLe disposizioni di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie regionali e ci˜ sia per quanto riguarda la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), secondo la quale la sentenza d'appello  impugnabile "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che  stato oggetto di discussione tra le parti", sia per quanto riguarda l'ultimo comma dell'aggiunto art. 348 ter c.p.c., secondo il quale la proponibilitˆ del ricorso per cassazione  ammessa esclusivamente per i motivi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l'impugnazione sia proposta avverso una sentenza d'appello che confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellataÈ. Conseguentemente devono ritenersi superate le istruzioni contenute al riguardo nella precedente Circolare n. 56/2012, in cui si prospettava l'opposta tesi. Per completezza si precisa (come peraltro giˆ evidenziato nella citata Circolare n. 56/2012): a) che l'art. 360 n. 5 nella nuova formulazione  applicabile a tutti i ricorsi per cassazione proposti avverso decisioni depositate dall'11 settembre 2012 (ormai, nella sostanza, a tutti i giudizi); b) che la regola della "doppia conforme"  invece applicabile alle sole cause in cui l'atto di appello sia stato proposto dalla suddetta data; c) che la regola della "doppia conforme" (che limita la proponibilitˆ di un ricorso per cassazione ai soli motivi da 1) a 4) dell'art. 360 c.p.c.),  limitata ai soli casi in cui "l'impugnazione sia proposta avverso una sentenza d'appello che confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata". Ci˜ significa che per aversi una ipotesi di "doppia conforme" non  sufficiente la mera identitˆ del dispositivo tra le due sentenze, dovendosi invece avere riguardo alla motivazione "inerente alle questioni difatto ". Ne consegue che la disposizione non risulterˆ applicabile in tutti i casi in cui la sentenza di appello, pur confermativa quella di primo grado, si fondi su ragioni "inerenti alle questioni di fatlo" che siano diverse. 2) Il vizio di motivazione come "violazione di legge". La Corte ha precisato i casi in cui il vizio di motivazione della sentenza "si converte in violazione di legge", richiamando la giurisprudenza delle stesse SS.UU. formatesi sul vizio di motivazione ex art. 111 Cost. (prima delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 40/2006, che ha esteso a tali ricorsi l'applicazione dell'intero comma 1 dell'art. 360 c.p.c.). In particolare la Corte ha affermato al riguardo il seguente principio di diritto. ÇLa riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui  deducibile esclusivamente lĠ "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che  stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimitˆ, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimitˆ  solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in s, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"È. La Corte non ha precisato se le suddette ipotesi configurino un "error in procedendo" (ex art. 360 n. 4 c.p.c.) ovvero un "error in iudicando" (ex art. 360 n. 3) limitandosi a qualificarle come casi di "violazione di legge". Al riguardo sembra preferibile la prima opzione (error in procedendo), trattandosi di censura con cui si lamenta la violazione di una regola processuale (in tal senso Cass. 27 settembre 2013 n. 22171). In ogni caso una eventuale diversa qualificazione (come art. 360 n. 3 c.p.c.) non dovrebbe rendere il motivo inammissibile, alla luce dei principi di cui a Cass. SSUU. n. 17931/2013. 3) Il nuovo art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. La Corte ha poi chiarito l'esatta portata del nuovo art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., in forza del quale la sentenza pu˜ essere impugnata per cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che  stato oggetto di discussione tra le parti ", affermando il seguente principio di diritto: ÇIl nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)È. Precisa ancora la Corte che ÇLa parte ricorrente dovrˆ indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p. c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato ", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisivitˆ" del fatto stessoÈ. Da ultimo la Corte precisa ancora che ÇL'omesso esame di elementi istruttori non integra di per s vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, bench la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorieÈ (anche se in concreto, pu˜ apparire non agevole distinguere tra "fatto storico decisivo" ed "elemento istruttorio"). 4) Il problema della censurabilitˆ delle presunzioni. Al punto 14.8 della sentenza, la Corte si dˆ carico del problema (evidenziato nelle difese dell'Avvocatura) della censurabilitˆ in sede di legittimitˆ delle presunzioni, che in particolare nel processo tributario "hanno una loro specifica e particolare rilevanza", pervenendo alla conclusione che la riforma del 2012 Çnon ha sottratto al controllo di legittimitˆ le questioni relative al "valore" e alla "operativitˆ" delle stesse presunzioniÈ. In particolare la Corte ha ritenuto possibile dedurre la violazione dell'art. 2729 comma 1 c.c. (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.): Çnon solo nell'ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravitˆ, precisione e concordanza, sussumendo, cio, sotto la previsione del- l'art. 2729 c. c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della 'fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta"È. 5) Gestione dei ricorsi gi‡ proposti. In relazione ai ricorsi giˆ proposti nei quali siano stati formulati motivi in difformitˆ dei principi enunciati dalla Corte, si potrˆ cercare di evitare pronunce di inammissibilitˆ richiamando sia le citate SS.UU. n. 17931/2013 in tema di esatta rubricazione dei motivi, sia la giurisprudenza in tema di mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale (c.d. overruling) (Cass. SS.UU. n. 15144/2011) nonchŽ l'esigenza di tutela del- l'affidamento, derivante dall'incertezza in ordine alla portata della disposizione contenuta nel- l'art. 54 comma 3 bis del citato D.L. n. 85/2012. L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO Michele Dipace contenzioso comunitario CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE National case study: Italian law on strategic assets; Golden Power Pierluigi Di Palma* Come noto, con il termine Golden Share viene indicato lĠistituto giuridico di origine anglosassone in forza del quale uno Stato sovrano, nellĠambito del processo di privatizzazione, anche parziale, di unĠimpresa pubblica di carattere strategico, si riserva poteri speciali che possono essere esercitati dai rappresentanti del Governo in ambito societario, seppure sulla base di una residuale partecipazione di minoranza. Tra i poteri, da segnalare: la riserva di una certa quota azionaria a favore dello Stato; lĠopposizione a partecipazioni rilevanti; la sospensione del diritto di voto per le quote azionarie superiori ad una certa soglia; la riserva di nomina di uno o pi membri del consiglio di amministrazione; esercizio di poteri di governance strategica. In estrema sintesi, tale istituto giuridico mira a tutelare lĠinteresse pubblico in quelle societˆ, giˆ di proprietˆ statuale, che operano in settori produttivi ed economici di rilevante importanza come difesa, trasporti, telecomunicazioni, fonti di energia ed in generale nel comparto delle pubblic utilities. La Corte di Giustizia delle Comunitˆ europee ha, pi volte, affermato che lĠutilizzo della Golden Share nelle legislazioni dei Paesi membri pu˜, in determinate circostanze, violare i precetti contenuti nel Trattato CE, perchŽ lĠesercizio di tale potere tende a consentire ad uno Stato, in contrasto con le regole del libero mercato, ad esercitare una capacitˆ di controllo sproporzionato (*) Avvocato dello Stato, Presidente del Centro Studi Demetra -Development of European Mediterranean Transportation. Il presente scritto  lĠintervento dellĠAutore al Forum ÒRecenti sviluppi della normativa sul controllo allĠesportazione Space TechnologyÓ, tenutosi presso la sede ESA -European Space Agency, Salle A, Parigi, 14 marzo 2014. rispetto alla propria partecipazione nel capitale sociale della societˆ in questione. Nei vari pronunciamenti il giudice europeo ha sottolineato come la Golden Share elaborata dalle varie legislazioni nazionali opera in violazione della libertˆ di stabilimento e dei principi di libera circolazione dei capitali, fondanti il trattato di Schengen. Sulla base di tali premesse, la Commissione Europea ha avviato una serie di procedure di infrazione in materia di Golden Share nei confronti del- lĠItalia, del Portogallo, del Regno Unito, della Francia, del Belgio, della Spagna e della Germania. In sostanza, secondo la Commissione Europea, la disciplina sulla Golden Share, introdotta in diversi ordinamenti giuridici europei, appare comprimere eccessivamente i principi della concorrenza e della contendibilitˆ delle imprese in ragione del conferimento al Governo nazionale di un potere discrezionale di carattere generale che pu˜ impedire operazioni di acquisto di partecipazioni azionarie e di altre operazioni incidenti sulla governance di carattere strategico. La definizione dei criteri di compatibilitˆ comunitaria della disciplina della Golden Share  stata operata dalla stessa Commissione europea con una specifica comunicazione del 1997 dove  affermato che detti poteri speciali devono esercitarsi senza discriminazione, sulla base di Òcriteri obiettivi, stabili e resi pubbliciÓ e solo se giustificati da Òmotivi imperiosi di interesse generaleÓ correlati a motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanitˆ pubblica. In ogni caso, le predette restrizioni devono rispettare il principio di proporzionalitˆ, rappresentando un provvedimento necessario per garantire la protezione e la tutela di interessi generali incomprimibili e, comunque, non devono esistere altri provvedimenti utili a raggiungere lo scopo, meno restrittivi delle libertˆ economiche su cui si fonda il Trattato CE. Insomma, la Golden Share: a) deve applicarsi in modo non discriminatorio; b) essere giustificata da motivi imperiosi di interesse pubblico; c) essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; d) non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento dellĠobiettivo. In tale contesto, nonostante le modifiche apportate alla normativa vigente (decreto legge n. 332/94, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 474/94) allĠesito della decisione della Corte di Giustizia del 26 marzo 2009, la Commissione europea, ritenendo tuttora, sulla base di un parere motivato, la normativa italiana incompatibile con la libertˆ di stabilimento e la libera circolazione dei beni, ha, da tempo, avviato una procedura di infrazione. Il legislatore italiano, con lĠobiettivo di rendere compatibile con il diritto dellĠUnione la disciplina nazionale dei poteri speciali, ha quindi emanato il decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 dellĠ11 maggio 2012. Con lĠentrata in vigore di tale legge, la Commissione ha sospeso la decisione di deferire lĠItalia dinanzi la Corte di Giustizia, rinviando lĠanalisi della compatibilitˆ con il diritto dellĠUnione della nuova legge italiana ad un momento successivo, cio alla sua piena applicazione con lĠadozione dei provvedimenti attuativi. In ogni caso, la disciplina previgente (decreto legge n. 332/94) non cessa immediatamente di produrre effetti, in quanto la norma transitoria della nuova legge ne prevede lĠabrogazione o la modifica, solo a decorrere dalla data di entrata in vigore di tutti i provvedimenti attuativi. La nuova legge consta di pochi articoli (6), di cui solo i primi due di carattere sostanziale in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1) e poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dellĠenergia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2). Per quanto concerne lĠesercizio dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1), la legge affida a provvedimenti del Presidente del Consiglio, da adottarsi su proposta dei Ministri competenti e da comunicarsi al Parlamento, lĠindividuazione delle attivitˆ di rilevanza strategica. Una volta individuate le attivitˆ, in caso di modifica di assetti societari, il Presidente del Consiglio, su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri, da trasmettere al Parlamento pu˜, in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale, esercitare i seguenti poteri speciali: imposizioni di specifiche condizioni; veto allĠadozione di delibere societarie o degli organi di amministrazione; opposizione allĠacquisto di partecipazioni societarie rilevanti. La disciplina non si applica per le operazioni di carattere societario che si svolgono allĠinterno di un medesimo gruppo e subordina lĠesercizio dei poteri speciali alla sussistenza di una minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Una volta reso opponibile ai terzi, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, lĠelenco delle attivitˆ di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, tutte le imprese interessate, a pena di nullitˆ, al fine di consentire il tempestivo esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, hanno un onere di notifica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di una informativa che descriva la delibera o lĠatto da adottare ovvero il progetto di acquisizione anche di carattere azionario, se rilevante. Il potere speciale, veto ovvero opposizione allĠacquisto, deve essere esercitato da parte del Governo entro quindici giorni dalla notifica. Qualora si renda necessario richiedere informazioni allĠoperatore economico che ha provveduto alla notifica il termine di quindici giorni entro cui il Governo pu˜ esercitare i poteri speciali  sospeso, per una sola volta, fino al ricevimento delle informazioni richieste, che sono rese entro il termine di dieci giorni. Eventuali richieste di informazioni successive alla prima non sospendono i termini, decorsi i quali lĠoperazione pu˜ essere effettuata. Secondo la normativa, il potere speciale  esercitato nella forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ci˜ sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. In caso di inadempimento o violazione delle condizioni imposte, per tutto il periodo in cui perdura lĠinadempimento o la violazione, i diritti, connessi alle azioni o alle quote partecipative, di contenuto diverso da quello patrimoniale sono sospesi e le delibere adottate con il voto di tali azioni o quote sono nulli. Inoltre, lĠoperatore economico che non osservi le condizioni imposte  soggetto ad una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore dellĠattivitˆ posta in essere in contrasto con le prescrizioni governative e comunque non inferiore allĠ1% del fatturato realizzato nellĠultimo esercizio per il quale sia stato approvato il bilancio. I decreti di individuazione delle attivitˆ di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale sono aggiornati almeno ogni tre anni. Sino allĠadozione di uno specifico regolamento con il quale sono emanate le disposizioni di attuazione dei poteri speciali, le competenze inerenti alle proposte per lĠesercizio dei poteri speciali sono attribuite al Ministero del- lĠeconomia e delle finanze per le societˆ da esso partecipate ovvero, per le altre societˆ, al Ministero della difesa o al Ministero dellĠinterno, secondo i rispettivi ambiti di competenza. LĠart. 2 della legge disciplina i poteri speciali nei comparti dellĠenergia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Tale norma detta disposizioni analoghe a quelle previste dallĠart. 1 riguardanti il comparto difesa e sicurezza e affida ad uno o pi regolamenti lĠindividuazione degli asset strategici di rilevanza strategica che possono essere tutelati con lĠesercizio dei poteri speciali. Nel settore energia, trasporti e comunicazioni  possibile da parte del Governo esprimere il veto alle delibere, atti e operazioni delle societˆ di settore che diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuitˆ degli approvvigionamenti. Nelle more dellĠemanazione del regolamento di attuazione delle disposizioni di cui allĠart. 1 in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 novembre 2012, n. 253, si  provveduto, secondo le previsioni della norma transitoria (art. 1, comma 8) ad individuare le attivitˆ di carattere strategico sottoposte ad eventuale esercizio dei poteri speciali. Quanto al merito dellĠelenco esso appare orientato a salvaguardare lĠintegritˆ e la proprietˆ nazionale dei sistemi tecnologici essenziali alla difesa e alla sicurezza nazionale sotto il profilo militare, sulla base di esigenze direttamente correlate alle competenze del Ministero della difesa, ricomprendendo lo studio, la ricerca, la progettazione, lo sviluppo, la produzione, lĠintegrazione e il sostegno al ciclo vita, ivi compresa la catena logistica, dei sistemi di interesse. Le tipologie individuate risultano raggruppate per classi che consentono, in conformitˆ alla normativa comunitaria, di ben delimitare i settori e ricomprendere la totalitˆ dei sistemi e dei materiali tecnologici essenziali per la difesa. Da sottolineare la tutela che viene data ai sistemi satellitari militari ad elevate prestazioni e protezione, sia nella componente terrestre sia in quella spaziale (inclusa lĠattivitˆ gestionale dei relativi servizi), per lĠosservazione terrestre (ottica e radar) e per le comunicazioni. Per far fronte allĠipotesi di vendita di Telecom Italia, in mancanza dei provvedimenti attuativi dellĠart. 2 che avrebbero permesso al Governo italiano di esercitare i poteri speciali nello specifico settore delle comunicazioni, il DPCM n. 253/2012, unico strumento posto in essere per la tutela degli asset strategici,  stato modificato dal DPCM 2 ottobre 2013, n. 129, il quale ha aggiornato il novero delle attivitˆ di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, aggiungendo, nel corpus normativo del primo, il comma 2 bis, che include negli attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dellĠaccesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga. Su tale DPCM, il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, nellĠadunanza del 26 settembre 2013, ha espresso parere favorevole ritenendo corretto estendere la tutela nel settore delle comunicazioni, per reti ed impianti, la cui rilevanza per la difesa e sicurezza nazionale  inevitabilmente destinata ad accrescersi costantemente. Il 25 novembre 2013, la Commissione europea ha trasmesso allĠItalia una nota in cui chiede chiarimenti sul DPCM n. 129/2013, ritenuto potenzialmente lesivo della libertˆ di circolazione dei capitali, in quanto Òcontiene una definizione molto ampia degli attivi strategici che copre potenzialmente la gestione e il funzionamento di quasi tutti gli impianti di comunicazioneÓ. La Commissione sĠinterroga sulle ragioni per cui le attivitˆ aggiunte dal DPCM n. 129 Òsono considerate strategiche per la difesa e la sicurezza nazionale e richiedono la previsione di poteri speciali dello Stato quali quelli applicabili nel settore della difesaÓ. Inoltre, in considerazione del fatto che i decreti attuativi di cui allĠart. 2, d.l. n. 21 (che disciplina anche il comparto comunicazioni) non sono stati ancora emanati, la Commissione si chiede quale sia Òil collegamento tra le attivitˆ nel settore delle comunicazioni incluse nel nuovo decreto e gli interessi essenziali di sicurezza che potrebbero essere seriamente pregiudicatiÓ. Il 4 dicembre 2013, il Governo italiano ha risposto alla Commissione, rappresentando che  stato predisposto il nuovo regolamento recante Òindividuazione delle attivitˆ di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionaleÓ. Tale provvedimento abroga espressamente il DPCM n. 253 del 2012, ed  finalizzato a riunire in un unico regolamento, per esigenze di semplificazione, le norme che individuano le attivitˆ di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale di competenza del Ministero dell'interno e di quelle di competenza del Ministero della difesa. Pertanto, il DPCM n. 129 del 2013, oggetto di censura (peraltro mai applicato), deve ritenersi definitivamente superato dal nuovo testo anche se  stato funzionale allo scopo di introdurre una tutela giuridica per la vendita di Telecom Italia in attesa della predisposizione dello specifico regolamento per lĠesercizio dei poteri speciali in materia di energia, trasporti e comunicazioni. Lo schema dei regolamenti per lĠindividuazione delle procedure per lĠattivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e quello per lĠindividuazione degli attivi strategici nel settore dellĠenergia, trasporti e comunicazioni sono stati approvati, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri del 9 ottobre 2013 ed inviati al Consiglio di Stato che, nel mese di novembre, ha espresso parere sostanzialmente favorevole, salvo marginali modifiche di carattere puramente formale. In seguito, sono stati trasmessi al Parlamento per il prescritto parere ed approvati, in via definitiva, dal Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2014, per la successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale una volta sottoscritti dal Presidente della Repubblica. Completa il quadro dei provvedimenti sub-primari necessari a dare compiuta attuazione alla legge sulla Golden Power il regolamento per lĠindividuazione delle procedure per lĠattivazione dei poteri speciali nei settori dellĠenergia, dei trasporti e delle comunicazioni, adottato, sempre nel corso del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2014, in attuazione dellĠart. 2, c. 9, del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21. AllĠesito di questa complessa attivitˆ burocratica che permette di superare il vecchio e contestato assetto normativo della Golden Share, il Governo italiano viene a disporre di una lista ricomprendente le attivitˆ strategiche nei settori della difesa e sicurezza nonchŽ dei trasporti, energia e comunicazioni, per effetto della quale lo Stato pu˜ esercitare penetranti poteri speciali, tenendo conto comunque che tali poteri costituiscono una restrizione alla libera circolazione dei capitali e devono pertanto essere giustificati sulla base di una delle deroghe previste nel Trattato sul funzionamento dellĠUnione europea. Elemento fondamentale da sottolineare  che il passaggio da un potere regolamentare -Golden Share - ad una potestˆ regolatoria -Golden Power determina un importante passaggio di competenze dal Ministero dellĠeconomia e finanze alla Presidenza del Consiglio. Infatti, i regolamenti di cui si discute prevedono che il coordinamento delle attivitˆ propedeutiche allĠesercizio dei poteri speciali sia attribuito al Pre sidente del Consiglio dei Ministri secondo modalitˆ da stabilirsi con apposito provvedimento, che dovrˆ: individuare lĠufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri responsabile del coordinamento; istituire un gruppo di lavoro composto dal responsabile del coordinamento della Presidenza del Consiglio e dai responsabili di settore dei Ministeri interessati, integrati, ove occorra potenziare le capacitˆ di analisi, da rappresentanti di altre strutture; stabilire le procedure telematiche ed elettroniche per consentire tempestivamente e in sicurezza la trasmissione delle informazioni su operazioni di rilevanza strategica e lĠeventuale esercizio dei poteri speciali; fissare i tempi e le modalitˆ di raccordo tra i Ministeri coinvolti, nonchŽ i termini per la presentazione, da parte degli stessi, in relazione alle competenze, del parere motivato per lĠesercizio o meno dei poteri speciali. Vi  da dire che la regolamentazione della Golden Power trae spunto dallĠesperienza maturata dallĠamministrazione italiana nella gestione di un importante caso concreto relativo allĠacquisto, per oltre 3 miliardi di euro, del settore dei sistemi di propulsione aerospaziali e navali del Gruppo AVIO da parte della societˆ General Electric. In questo caso la General Electric, sulla base della regolamentazione provvisoria determinata dallĠadozione del provvedimento (DPCM 30 novembre 2012, n. 253) ha accettato lĠimposizione di specifiche prescrizioni che secondo i rappresentanti del Governo italiano sono risultate sufficienti ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Detti impegni, contenuti in uno specifico provvedimento del Presidente del Consiglio del 6 giugno 2013, adottato previa delibera del Consiglio dei Ministri su congiunta proposta dei Ministri della difesa e dellĠeconomia e delle finanze, tende a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali nel nostro Paese e la tutela del Know-how aziendale. Per tali finalitˆ, oltre ad essere garantiti presidi fiduciari del Governo italiano allĠinterno dellĠazienda, il nuovo proprietario si  impegnato a fornire al Ministero della difesa un rapporto annuale di compliance sul rispetto delle condizioni allĠacquisto. Per garantire la verifica delle condizioni ed eventuali proposte di modifica  stato costituito tra le parti un comitato paritetico presieduto da un rappresentante del Ministero della difesa che ha titolo ad informare dellĠandamento del- lĠaccordo il Presidente del Consiglio dei Ministri per le conseguenti decisioni. Tale soluzione ha portato la GE ad esprimere formale soddisfazione rispetto ad una capacitˆ della burocrazia italiana che, nel caso di specie, ha saputo svolgere, con disponibilitˆ e competenza, tutte le procedure senza ostacoli, tanto da raggiungere un risultato di grande importanza per il sistema industriale del Paese. Pertanto, con assoluta serenitˆ il Governo italiano attende le valutazioni della Commissione europea sul nuovo assetto normativo della Golden Power, nella consapevolezza di aver superato i limiti della vecchia disciplina della Golden Share per la quale la Commissione ha sospeso la sua decisione di deferire lĠItalia dinanzi la Corte di Giustizia. corte di giustizia ue LE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di Giustizia Europea censura lĠAdunanza Plenaria Note a margine della Sentenza 4 luglio 2013 C-100/12 Sergio Massimiliano Sambri e Amalia Muollo* Lo scorso 4 luglio 2013 la Corte di Giustizia Europea, nella causa C100/ 12, ha completamente capovolto lĠorientamento della giurisprudenza amministrativa nazionale circa la ÒpregiudizialitˆÓ (e conseguente effetto preclusivo ad essa collegato) del ricorso incidentale nei contenziosi in materia di appalti pubblici. Con una pronuncia sintetica ma chiara nella sua semplicitˆ la Corte di Giustizia ha censurato il modo in cui il Consiglio di Stato, con la decisione resa in Adunanza Plenaria il 7 Aprile 2011 (1), ha inteso applicare il diritto comunitario sostanziale e processuale degli appalti pubblici. Sebbene ad una prima lettura la sentenza possa apparire scarsamente motivata (2), invero la pronuncia si presenta essenziale nel suo contenuto cos“ come lo  la normativa comunitaria. Muovendo dallĠart. 1 della Direttiva 89/665 cos“ come modificata dalla Direttiva 2007/66, ovvero dalla situazione giuridica soggettiva lesa e dalla relativa condizione dellĠazione (c.d. legittimazione a ricorrere), la Corte di Giustizia ha osservato che in presenza di reciproche contestazioni sulla legittimitˆ dellĠofferta Òciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta degli altri, che pu˜ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolareÓ. Senza voler qui ripercorrere i passaggi svolti dalla Corte, ormai ampiamente noti, appare evidente che la questione sostanziale che viene in rilievo, soprattutto in termini di applicabilitˆ nellĠordinamento italiano, sia proprio il concetto di situazione giuridica soggettiva lesa e le garanzie che devono essere (*) Avvocati del libero Foro. V., contra, ad annotazione della stessa sentenza Rass. 2013, II, 37 ss., STEFANO VARONE, ... Note minime sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale ÒescludenteÓ. Per comoditˆ del Lettore si ripropone, come dĠuso, il testo integrale della sentenza in calce allĠarticolo. (1) Cons. St. Ad. Plen., 7 Aprile 2011, n. 4. (2) Cos“ A. CACCIARI, Ricorso principale e ricorso incidentale: una questione davvero risolta dalla Corte di Giustizia?, su www.giustizia-amministrativa.it, n. 7-2013. riconosciute in capo al soggetto ricorrente e al proprio diritto ad avere giustizia. La conclusione a cui giunge il giudice comunitario appare perfettamente corrispondente alla motivazione contenuta nel paragrafo 17 del preambolo della direttiva che consente di ricostruire anche la voluntas legislatoris: ÒUna procedura di ricorso dovrebbe essere accessibile almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazioneÓ. Non si tratta solo di paritˆ di trattamento tra le imprese concorrenti (che  giˆ garantita dallĠart. 47 della Carta dei Diritti dellĠUnione Europea e dallĠart. 111 della Costituzione sul giusto processo) bens“ di effettivitˆ (perchŽ  cos“ che va intesa la parola ÒaccessibilitˆÓ della rubrica dellĠart. 1 Dir. 89/665) a qualsiasi operatore abbia o perfino abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. E il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, cos“ incisivo e puntuale nel ribadire proprio lĠeffettivitˆ della tutela e del giusto processo, sembra voler ricordare ai giudici nazionali che proprio perchŽ la procedura di attribuzione del contratto  strumentale allĠattribuzione del contratto stesso, il rapporto tra le parti, ivi compresa lĠamministrazione aggiudicatrice, deve essere garantito in modo paritario, al di lˆ dei formalismi inerenti al tipo di impugnazione. Anche per evitare che, utilizzando strumentalmente i famosi ÒcavilliÓ processuali, il contratto venga aggiudicato ad un soggetto che non ne avrebbe titolo, cos“ violando il principio ordinatore dellĠintero sistema delle gare ad evidenza pubblica basato su concorrenza, paritˆ di trattamento e merito. Nulla di pi vero, se non fosse che applicando la Direttiva 89/665 con gli schemi nazionali dellĠinteresse legittimo e dellĠinteresse a ricorrere si finisce inevitabilmente col disapplicare la Direttiva stessa nella sua ÒeffettivitˆÓ, cos“ come  stato - a parere della Corte - per il Consiglio di Stato nel 2011 che ha negato il fatto essenziale che lĠoggetto del processo amministrativo - in particolare in materia di giurisdizione esclusiva - deve essere lĠaccertamento del rapporto giuridico controverso. Del resto lĠart. 1, par. 3, della Dir. 89/665 (non recepito con il D.Lgs. 53/2010 e pertanto direttamente applicabile) non sembra operare questa classificazione tra posizioni soggettive ma anzi assicura a chiunque abbia o abbia avuto interesse alla aggiudicazione di una gara pubblica un Òdiritto soggettivoÓ alla libera partecipazione agli appalti pubblici (3) con la conseguenza che la (3) In questo senso, in particolare, S. DĠANCONA, Riflessioni sul rapporto tra ricorso principale e incidentale alla luce della Direttiva ricorsi, in Riv. It.Dir.Pubbl.Comun., 1/2013, pp. 33-59, dove lĠautore osservava che ÒlĠart. 1 osta a ogni tipo di classificazione e gerarchizzazione da parte del Giudice degli interessi avanzati in giudizio (interesse a mantenere lĠaggiudicazione illegittima, interesse allĠannullamento della procedura illegittima) e riconduce in capo ad ogni concorrente una posizione giuridica soggettiva rilevanteÓ. situazione giuridica soggettiva di diritto comunitario dei soggetti, persone fisiche o giuridiche che operano nel settore degli appalti pubblici, non essendo di interesse legittimo, non pone limiti alla ricorribilitˆ in giudizio a prescindere dallĠutilitˆ a cui si aspira. Certo, potrebbe obiettarsi, anche in forza di giurisprudenza assolutamente conforme della CGE (4), che non spetta agli organi dellĠUnione Europea qualificare la situazione giuridica stessa nel diritto nazionale; ma ci˜ a condizione che la tutela sia efficace, effettiva, completa e non esistano ostacoli che rendono pi difficile ovvero onerosa la tutela della medesima situazione; tanto  vero che gli Stati membri sono obbligati ad armonizzare proprio a tale scopo le norme sostanziali e processuali nazionali. E difatti, giˆ con lĠemanazione del Codice del Processo Amministrativo ed in particolare dellĠart. 7 che in tema di giurisdizione ammette la tutela dei diritti soggettivi anche separatamente da quella degli interessi legittimi, cos“ di fatto non richiedendo pi ÒlĠintreccio di situazioni qualificabili come interessi legittimi e diritti soggettiviÓ, pare potersi affermare che la configurazione dellĠinteresse legittimo pretensivo non pu˜ avere minore estensione del corrispettivo diritto soggettivo, e quindi ben pu˜ (e deve) il giudice amministrativo giudicare nel merito della lesione di diritti soggettivi, ancorchŽ essa sia stata compiuta da una pubblica amministrazione (5). In linea con le garanzie riconosciute dalla Direttiva 89/665, infatti, le componenti di tale situazione sono quindi rispettivamente dal punto di vista sostanziale e processuale: la dimostrazione dellĠinteresse a ottenere lĠaggiudicazione e la dimostrazione non solo della lesione effettivamente subita ma anche del mero rischio di lesione. Non sono richieste altre condizioni affinchŽ sia tutelato il diritto soggettivo alla libera partecipazione ad appalti pubblici, che  una delle principali applicazioni del diritto alla libera prestazione dei servizi. Quanto poi allĠinteresse a ricorrere, esso consiste nel semplice ÒrischioÓ di lesione (e non nellĠinteresse specifico, attuale e concreto richiesto dalla giurisprudenza amministrativa nazionale), ovvero nella attualitˆ o perfino trascorsa lesione. Ed  quindi in tale ambito che dovrebbe essere rettamente inquadrato il rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale senza che sia reso possibile in alcun modo al secondo di: -paralizzare lĠazione a tutela del diritto comunitario degli appalti attraverso la eccezione della mancata dichiarazione del possesso dei requisiti; -evitare, in subordine, le conseguenze del proprio illegittimo operato (cio la mancanza di proprie valide dichiarazioni inerenti al possesso dei requisiti stessi) e cio lĠannullamento della gara e la sua ripetizione ai sensi del- lĠarticolo 121 e 122 del Codice del Processo Amministrativo. (4) Vedi per tutti CGE, Sentenza Dorsch Consult, 17 settembre 1997, su causa 54/1996. (5) Cfr. Corte Cost., Sent. 27 aprile 2007, n. 140, 19 ottobre 2009 n. 259 e 5 febbraio 2010, n. 35. Del resto per lĠUnione Europea la procedura degli appalti pubblici deve servire a garantire il gioco del mercato non il trionfo di formalismi a scapito della qualitˆ stessa del prodotto, servizio o opera pubblica che viene fornita al- lĠamministrazione. Di conseguenza il limite comunitario delle censure eventualmente contenute sia nel ricorso principale che in quello incidentale e che riguardano la reciproca contestazione del possesso dei requisiti di partecipazione ad un determinato appalto pubblico  costituito dalla dimostrazione che il possesso non cĠera effettivamente, al di lˆ delle dichiarazioni formali incomplete o irregolari, e ci˜  possibile solo attraverso la loro disamina ed accertamento. Invero, come si accennava, con lĠemanazione del Codice del Processo Amministrativo pare si fosse giˆ fatto un passo avanti in tal senso: anche a mente del combinato disposto degli articoli 7, 119, 120 e 133 la giurisdizione sugli appalti pubblici configura una giurisdizione amministrativa esclusiva comprensiva della tutela sia degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi, esaminati congiuntamente o anche separatamente. E tale tutela deve in ogni caso comprendere la verifica dellĠintero esercizio del potere della pubblica amministrazione o del soggetto ad essa equiparato senza che sia possibile con artifizi di carattere rituale e procedurale limitare la pienezza di tale tutela, pena la violazione del principio di effettivitˆ e del giusto processo. Solo quando lĠoggetto del processo amministrativo in materia di appalti sia limitato alla censura del difetto (reciproco) del possesso dei requisiti per la partecipazione alle gare pubbliche si pone il problema della eventuale inammissibilitˆ di entrambi i ricorsi principale e incidentale. Ebbene in tali casi la censura contenuta nel c.d. ricorso incidentale e relativa al preteso difetto del possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara pubblica in capo al ricorrente principale non si configura come ÒdomandaÓ il cui interesse sorge in dipendenza della domanda posta in via principale, ma come semplice eccezione - non rilevabile dĠufficio - tesa a paralizzare in rito lĠesame della domanda principale (ma nei soli limiti in cui la medesima non abbia altri oggetti oltre lĠaccertamento della mancanza del possesso dei requisiti per partecipare alle gare pubbliche in capo al soggetto contro interessato). Essendo unĠeccezione che non riguarda e non pu˜ obiettivamente riguardare lĠintero ricorso, essa potrˆ dunque paralizzare lĠesame dei soli motivi di ricorso che riguardano la legittima gestione della procedura di gara in senso stretto a partire cio dalla fase (successiva alla domanda di partecipazione) di verifica del possesso dei requisiti, ma non i motivi che attengono alla regolaritˆ della formazione delle leggi di gara o ad eventi che hanno inciso sulla legittimitˆ e liceitˆ della gara stessa; con la conseguenza che si dovrˆ pur sempre valutarne la fondatezza. Viceversa, la gravitˆ della soluzione che esclude la legittimazione al ricorso qualunque sia il vizio denunciato per il solo fatto della mancata dichia razione delle potenziali cause di esclusione (si badi bene non lĠaccertamento del difetto di possesso dei requisiti richiesti dalla direttiva e dalle norme nazionali di trasposizione per poter validamente ed efficacemente partecipare alle gare pubbliche)  facilmente dimostrabile: garantisce lĠimpunitˆ al soggetto aggiudicatario anche quando sia incontestabile che egli non ha il possesso dei requisiti prescritti dalla legge e dal diritto comunitario. In sostanza, si vuol dire che nel nostro processo amministrativo ci sono, e da tempo, i presupposti per una corretta applicazione del diritto comunitario e in particolare dellĠassoluta equiordinazione delle domande proposte dai ricorrenti nel pieno rispetto della paritˆ delle parti (6). In tal quadro, appare di tutta evidenza che le conclusioni a cui  giunta la Corte di Giustizia potrebbero esporre concretamente lo Stato italiano alla azione di inadempimento agli obblighi derivanti dalla appartenenza allĠUnione Europea proprio a causa del comportamento della istituzione che per prima  chiamata a garantire lĠeffettivitˆ dellĠordinamento comunitario stesso, cio il giudice ed in particolare il giudice cui spetta costituzionalmente sindacare la legittimitˆ del potere in concreto esercitato dalla amministrazione aggiudicatrice. Infatti, non diversamente dai casi di omessa disapplicazione o omesso rinvio pregiudiziale, attraverso lĠoperato del giudice amministrativo che dichiara inammissibile il ricorso principale in accoglimento di quello incidentale addirittura motivato in rito (ad es. mancanza della legittimazione a ricorrere per mancata dichiarazione del possesso dei requisiti non per dimostrata mancanza del possesso dei requisiti effettivi) si compiono due violazioni chiare e manifeste del diritto comunitario e dello stesso diritto nazionale che ne costituisce puntuale trasposizione e recezione: - in primo luogo, si impedisce la effettivitˆ della tutela giurisdizionale della impresa ricorrente per quanto attiene non giˆ la completezza e pienezza della tutela, ma lo stesso minimo denominatore comune cio la possibilitˆ di esame nel merito del ricorso ai fini dellĠaccertamento della sua fondatezza o infondatezza; -in secondo luogo, si aggira lo spirito e la lettera del diritto comunitario sostanziale (direttive 17 e 18/2004 e codice dei contratti) per il quale la concorrenza aperta ed effettiva vuole lĠaccertamento del possesso o meno dei requisiti non la regolaritˆ formale delle dichiarazioni. In tal quadro se da un lato, come giˆ alcune voci in dottrina hanno anticipato (7), occorrerˆ effettuare unĠattenta riflessione sullĠincidenza che lĠinterpretazione applicativa della statuizione della Corte di Giustizia avrˆ rispetto (6) In questi termini, G. PELLEGRINO, Ricorso incidentale: i nodi tornano al pettine, in www.giustizia- amministrativa.it., Aprile 2012. (7) Cfr. P. QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa lĠAdunanza Plenaria, in www.lexitalia.it, n. 78/ 2013. a quelle decisioni del Giudice Amministrativo che hanno dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dai partecipanti ad una gara dĠappalto, dallĠaltro lato paiono sussistere tutte le condizioni per iniziare un giudizio di inadempimento contro lo Stato italiano da parte di quegli operatori che si sono visti negare, in sede di appello, sia la richiesta di disapplicazione della normativa sostanziale e processuale italiana incompatibile con il diritto comunitario degli appalti, sia soprattutto la richiesta di interpretazione pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267 del TFUE. Ci˜ in quanto, lasciando in disparte la questione dell'obbligo o meno della c.d. disapplicazione degli atti nazionali per incompatibilitˆ comunitaria, comunque il Consiglio di Stato - in quanto organo giurisdizionale di ultima istanza - era obbligato e non facoltizzato a sospendere i relativi giudizi e a inviare gli atti alla Corte di Giustizia della Unione Europea perchŽ si pronunciasse sulla questione pregiudiziale (8). E ci˜ per lĠevidente influenza di diritto comunitario nel processo amministrativo attraverso lĠaffermazione di Òprincipi sostanziali e processuali, configurati come principi generali comuniÓ che autorevole dottrina definisce in termini di Òco-giurisdizioneÓ (9). Di diverso avviso la giurisprudenza nazionale che, evidentemente dubbiosa circa la prevalenza del ruolo nomofilattico della Corte di Giustizia ha recentemente posto due questioni pregiudiziali alla Corte stessa riguardanti, da un lato, il perimetro di applicabilitˆ dei principi dichiarati dalla stessa Corte con la sentenza in commento e dallĠaltro proprio la vincolativitˆ delle regulae juris comunitarie sullĠattivitˆ delle sezioni del Consiglio di Stato le quali, ai sensi dellĠart. 99, comma 3 del C.p.A., sono vincolate ai principi di diritto enunciati dallĠAdunanza Plenaria (10). La pronuncia del Consiglio di Giustizia amministrativa della regione Sicilia sembra avvitarsi su se stessa, poichŽ con ogni probabilitˆ lĠinvocato intervento della Corte di Giustizia potrˆ giungere a dirimere i dubbi interpretativi solo dopo che lĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato si sarˆ nuovamente pronunciata, sulla base delle ordinanze di rimessione emesse dalla V e VI della sezione del Consiglio di Stato (peraltro antecedenti allĠintervento della Corte di Giustizia europea (11)), sulla prioritˆ dellĠesame del ricorso principale o di quello incidentale. (8) In giurisprudenza  sufficiente ricordare i casi Kobler/2003 e Traghetti del Mediterraneo s.p.a./2006 nei quali la Corte di Giustizia ha ribadito che ben pu˜ essere azionata la responsabilitˆ civile per inadempimento di uno Stato membro a causa di un mancato rinvio pregiudiziale da parte di un organo giurisdizionale di ultima istanza che abbia creato un danno al ricorrente. (9) E. PICOZZA, Processo amministrativo e diritto comunitario, Padova, 2004; F. SORRENTINO, La giustizia amministrativa, Torino 2002, 37. (10) Ci si riferisce allĠOrdinanza 17 ottobre 2013, n. 848 resa dalla CGA sezione Giurisdizionale in relazione allĠappello proposto avverso la Sentenza del TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, n. 351/2013. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 Ove lĠAdunanza Plenaria dovesse confermare il suo precedente orientamento enunciato nella sentenza n. 4/11, anche in relazione al caso di due sole imprese ammesse alla procedura, potrebbero determinarsi insanabili contrasti tra gli orientamenti interpretativi dei due plessi giurisdizionali, lĠuno del Giudice nazionale e lĠaltro espresso dalla Corte di Giustizia, eventualmente superabili, questa volta, solo attraverso una nuova rimessione della questione interpretativa alla Corte di Giustizia europea. Non resta che augurarsi dunque che lĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato riesamini la questione in termini (solleciti e) tali da non provocare lĠennesima censura della Corte di Giustizia Europea. Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, Decima Sezione, sentenza 4 luglio 2013 nella causa C-100/12 -Pres. A. Rosas, Rel. D. .v‡by, Avv. Gen. J. Kokott - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte - Fastweb SpA contro Azienda Sanitaria Locale di Alessandria. ÇAppalti pubblici Direttiva 89/665/CEE Ricorso in materia di appalti pubblici Ricorso proposto contro la decisione di aggiudicazione di un appalto da un offerente escluso Ricorso fondato sulla motivazione che lĠofferta prescelta non sarebbe conforme alle specifiche tecniche dellĠappalto Ricorso incidentale dellĠaggiudicatario fondato sullĠinosservanza di alcune specifiche tecniche dellĠappalto nellĠofferta presentata dallĠofferente che ha proposto il ricorso principale Offerte entrambe non conformi alle specifiche tecniche dellĠappalto Giurisprudenza nazionale che impone di esaminare in via preliminare il ricorso incidentale e, in caso di fondatezza di questĠultimo, di dichiarare inammissibile il ricorso principale senza esaminarlo nel merito Compatibilitˆ con il diritto dellĠUnioneÈ 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullĠinterpretazione della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la Çdirettiva 89/665È). 2 Tale domanda  stata presentata nellĠambito di una controversia tra Fastweb SpA (in prosieguo: ÇFastwebÈ), da una parte, e lĠAzienda Sanitaria Locale di Alessandria, nonchŽ Telecom Italia SpA (in prosieguo: ÇTelecom ItaliaÈ) ed una controllata di questĠultima, Path-Net SpA (in prosieguo: ÇPath-NetÈ), dallĠaltra, a proposito dellĠaggiudicazione di un appalto pubblico a tale controllata. Contesto normativo 3 Il secondo ed il terzo considerando della direttiva 89/665 sono formulati come segue: Ç[C]onsiderando che i meccanismi attualmente esistenti, sia sul piano nazionale sia sul piano comunitario, per garantire [lĠ]applicazione [effettiva delle direttive in materia di (11) Consiglio di Stato, Sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 2059; Consiglio di Stato, Sezione VI, ordinanza 30 luglio 2013 n. 4023; Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681; Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 15 aprile 2013, n. 5104. appalti pubblici] non sempre permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie, in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette; considerando che lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione e che occorre, affinchŽ essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale dirittoÈ. 4 Il considerando 3 della direttiva 2007/66 cos“ recita: Ç[É] le garanzie di trasparenza e di non discriminazione che costituiscono lĠobiettivo [in particolare della direttiva 89/665] dovrebbero essere rafforzate per garantire che la Comunitˆ nel suo complesso benefici pienamente degli effetti positivi dovuti alla modernizzazione e alla semplificazione delle norme sullĠaggiudicazione degli appalti pubblici, operate [in particolare dalla direttiva 2004/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)] (...)È. 5 Ai sensi dellĠarticolo 1 della direttiva 89/665, rubricato ÇAmbito di applicazione e accessibilitˆ delle procedure di ricorsoÈ: Ç1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva [2004/18], a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. (...) 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalitˆ dettagliate che gli Stati membri possono determinare, [per lo meno] a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. (...)È. 6 LĠarticolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue: ÇGli Stati membri provvedono affinchŽ i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui allĠarticolo 1 prevedano i poteri che consentono di: (...) b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (É); (...)È. 7 Il considerando 2 della direttiva 2004/18  formulato come segue: ÇLĠaggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico  subordinata al rispetto dei principi del trattato [FUE] ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertˆ di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonchŽ ai principi che ne derivano, quali i principi di paritˆ di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalitˆ e di trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 con valore superiore ad una certa soglia  opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare lĠapertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero essere interpretate conformemente alle norme ed ai principi citati, nonchŽ alle altre disposizioni del trattatoÈ. 8 Ai sensi dellĠarticolo 2 della direttiva: ÇLe amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di paritˆ, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenzaÈ. 9 LĠarticolo 32 della direttiva in questione cos“ dispone: Ç(...) 2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici seguono le regole di procedura previste dalla presente direttiva in tutte le fasi fino allĠaggiudicazione degli appalti basati su tale accordo quadro. (...) Gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste ai paragrafi 3 e 4. (...) (...) 4. (...) Gli apalti basati su accordi quadro conclusi con pi operatori economici possono essere aggiudicati: (...) qualora lĠaccordo quadro non fissi tutte le condizioni, dopo aver rilanciato il confronto competitivo fra le parti in base alle medesime condizioni, se necessario precisandole, e, se del caso, ad altre condizioni indicate nel capitolato dĠoneri dellĠaccordo quadro, secondo la seguente procedura: a) per ogni appalto da aggiudicare le amministrazioni aggiudicatrici consultano per iscritto gli operatori economici che sono in grado di realizzare lĠoggetto dellĠappalto; (...) d) le amministrazioni aggiudicatrici aggiudicano ogni appalto allĠofferente che ha presentato lĠofferta migliore sulla base dei criteri di aggiudicazione fissati nel capitolato dĠoneri dellĠaccordo quadroÈ. Procedimento principale e questione pregiudiziale 10 Conformemente al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ÇCodice dellĠamministrazione digitaleÈ (supplemento ordinario alla GURI n. 112 del 16 maggio 2005), il Centro Nazionale per lĠInformatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA)  abilitato a concludere contratti quadro con operatori economici da esso individuati. Le amministrazioni non statali hanno facoltˆ di attribuire appalti fondati su tali contratti quadro, sulla base delle proprie esigenze di servizio. 11 Il CNIPA ha concluso un contratto quadro di questo tipo, in particolare, con Fastweb e Telecom Italia. Il 18 giugno 2010, lĠAzienda Sanitaria Locale di Alessandria ha indirizzato a tali societˆ una richiesta di progetto riguardante Çlinee dati/foniaÈ sulla base di un Çpiano di fabbisogniÈ. Con delibera del 15 settembre 2010, essa ha scelto il progetto presentato da Telecom Italia, concludendo un contratto con una controllata di questĠultima, Path-Net, il 27 dello stesso mese. 12 Fastweb ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione dellĠappalto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte. Telecom Italia e Path-Net sono intervenute nel procedimento, proponendo ricorso incidentale. La legittimitˆ dellĠofferta di ciascuno degli operatori viene contestata dal suo unico concorrente a causa del mancato rispetto di alcune specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 13 In esito alla verificazione dellĠidoneitˆ delle offerte presentate dalle due societˆ rispetto al piano di fabbisogni, disposta dal giudice del rinvio,  stato constatato che nessuna delle due offerte risultava conforme allĠinsieme delle specifiche tecniche imposte dal piano. Secondo tale giudice, una simile constatazione dovrebbe logicamente condurre allĠaccoglimento dei due ricorsi e, di conseguenza, ad annullare la procedura di aggiudicazione dellĠappalto pubblico in questione, dal momento che nessun offerente ha presentato unĠofferta idonea a dar luogo ad aggiudicazione. Tale soluzione soddisferebbe lĠinteresse del ricorrente principale, in quanto la rinnovazione della procedura di aggiudicazione gli procurerebbe una nuova chance di ottenere lĠappalto. 14 Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, con decisione del 7 aprile 2011, resa in adunanza plenaria, il Consiglio di Stato, a proposito dei ricorsi in materia di appalti pubblici, ha enunciato un principio di diritto secondo il quale lĠesame di un ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, in quanto illegittimamente ammesso a partecipare alla procedura di aggiudicazione controversa, deve precedere lĠesame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura di aggiudicazione e indipendentemente sia dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, sia dal tipo di censura prospettata con il ricorso incidentale, sia infine dalle richieste dellĠamministrazione interessata. 15 Il Consiglio di Stato ritiene infatti che la legittimazione a ricorrere contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico spetti soltanto al soggetto che abbia legittimamente partecipato alla procedura di aggiudicazione. Secondo tale giudice, lĠaccertamento dellĠillegittimitˆ dellĠammissione del ricorrente principale alla procedura avrebbe una portata retroattiva e lĠesclusione definitiva di questĠultimo dalla suddetta procedura comporterebbe che esso si trovi in una situazione che non gli permette di contestare lĠesito della procedura stessa. 16 Secondo questa giurisprudenza del Consiglio di Stato, lĠinteresse pratico alla rinnovazione della procedura di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico non attribuisce a questĠultima una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso. Tale interesse non si distinguerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore che aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. Pertanto, il ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale dovrebbe essere sempre esaminato per primo, anche quando gli offerenti siano solo due, ossia il ricorrente principale, cio lĠofferente escluso e il ricorrente incidentale, cio lĠaggiudicatario. 17 Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla compatibilitˆ di tale giurisprudenza, in particolare nella misura in cui essa afferma incondizionatamente la prevalenza del ricorso incidentale su quello principale, con i principi di paritˆ di trattamento, non discriminazione, libera concorrenza e tutela giurisdizionale effettiva, quali recepiti negli articoli 1, paragrafo 1, e 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665. Secondo tale giudice, infatti, lĠesame in via preliminare ed eventualmente assorbente del ricorso incidentale attribuisce allĠaggiudicatario un vantaggio ingiustificato rispetto a tutti gli altri operatori economici che hanno partecipato alla procedura di aggiudicazione, qualora risulti che lĠappalto gli  stato aggiudicato illegittimamente. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 18 Alla luce di quanto sopra, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: ÇSe i principi di paritˆ delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti, di cui alla Direttiva [89/665], ostino al diritto vivente quale statuito nella decisione dellĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il quale lĠesame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso lĠimpugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale rispetto allĠesame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento allĠipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano con il ricorrente principale e con lĠaggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere lĠaltro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneitˆ dellĠoffertaÈ. Sulla ricevibilitˆ della domanda di pronuncia pregiudiziale 19 Telecom Italia, Path-Net e il governo italiano contestano la ricevibilitˆ della domanda di pronuncia pregiudiziale per diversi motivi. Tuttavia, le quattro eccezioni di irricevibilitˆ sollevate al riguardo non possono essere accolte. 20 In primo luogo, infatti, il presente rinvio pregiudiziale  avvenuto in un caso che rientra perfettamente nella previsione dellĠarticolo 267 TFUE. Ai sensi del primo e del secondo comma di tale articolo, un giudice di uno Stato membro pu˜ domandare alla Corte di pronunciarsi su qualsiasi questione relativa allĠinterpretazione dei trattati e degli atti di diritto derivato, qualora reputi una decisione su questo punto necessaria per emanare la sua sentenza nella controversia di cui  investito. Orbene, nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte esprime dei dubbi in merito alle implicazioni della direttiva 89/665 nel contesto fattuale e processuale della controversia di cui al procedimento principale, prospettando due possibili risposte dalle quali discenderebbero soluzioni diverse di tale controversia. 21 In secondo luogo, la decisione del giudice del rinvio contiene una descrizione sufficientemente chiara del contesto giuridico nazionale, in quanto essa descrive e chiarisce la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale  fondata sullĠinterpretazione, fornita da questĠultimo, dellĠinsieme delle norme e dei principi processuali di diritto nazionale rilevanti in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nonchŽ delle conseguenze che ne derivano, secondo tale giudice, in merito allĠammissibilitˆ del ricorso principale dellĠofferente escluso. 22 In terzo luogo, nonostante il giudice del rinvio non indichi la specifica disposizione di diritto dellĠUnione della quale aspira ad ottenere lĠinterpretazione, esso si riferisce esplicitamente, giˆ nella stessa questione pregiudiziale, alla direttiva 89/665, e la decisione di rinvio contiene un insieme di informazioni sufficientemente completo per permettere alla Corte di individuare gli elementi di tale diritto che richiedono unĠinterpretazione, tenuto conto dellĠoggetto del procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 2006, Chateignier, C.346/05, Racc. pag. I.10951, punto 19 e giurisprudenza citata). 23 Infine, in quarto luogo, non risulta che tale controversia riguardi un appalto pubblico rientrante in una delle eccezioni di cui allĠarticolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665. Pertanto, nella misura in cui lĠimporto di tale appalto raggiunga la soglia per lĠapplica zione della direttiva 2004/18 fissata allĠarticolo 7 di questĠultima, cosa che spetta al giudice del rinvio accertare, ma di cui nulla al momento induce a dubitare, le due citate direttive sono applicabili ad un appalto come quello di cui al procedimento principale. Va ricordato, in proposito, che il fatto che una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico riguardi soltanto imprese nazionali  irrilevante ai fini dellĠapplicazione della direttiva 2004/18 (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki, C.213/07, Racc. pag. I.9999, punto 29 e giurisprudenza citata). Sulla questione pregiudiziale 24 Con la sua questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se le disposizioni della direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2, debbano essere interpretate nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, il suddetto articolo 1, paragrafo 3, osta al fatto che tale ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ, quando il ricorrente contesta a sua volta la legittimitˆ del- lĠofferta dellĠaggiudicatario con identica motivazione e soltanto questi due operatori economici hanno presentato unĠofferta. 25 Va rilevato che dallĠarticolo 1 della direttiva 89/665 deriva che questĠultima mira a consentire la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle autoritˆ aggiudicatrici contrarie al diritto dellĠUnione. Secondo il paragrafo 3 del suddetto articolo, gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo le modalitˆ che gli Stati membri possono determinare, almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 26 A questo proposito, una decisione con cui lĠautoritˆ aggiudicatrice esclude unĠofferta prima ancora di procedere alla selezione costituisce una decisione contro la quale devĠessere possibile ricorrere, ai sensi dellĠarticolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665, essendo tale disposizione applicabile a tutte le decisioni adottate dalle autoritˆ aggiudicatrici soggette alle norme di diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici e non prevedendo essa alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto di dette decisioni (v., in particolare, sentenza del 19 giugno 2003, HackermŸller, C.249/01, Racc. pag. I.6319, punto 24, e giurisprudenza citata). 27 In tal senso, al punto 26 della citata sentenza HackermŸller, la Corte ha affermato che il fatto che lĠautoritˆ dinanzi alla quale si svolge il procedimento di ricorso neghi la partecipazione a tale procedimento, per mancanza della legittimazione a ricorrere, ad un offerente escluso prima ancora di procedere a una selezione, avrebbe lĠeffetto di privare tale offerente non solo del suo diritto a ricorrere contro la decisione di cui egli afferma lĠillegittimitˆ, ma altres“ del diritto di contestare la fondatezza del motivo di esclusione allegato da detta autoritˆ per negargli la qualitˆ di persona che sia stata o rischi di essere lesa dallĠasserita illegittimitˆ. 28 Certamente, quando, al fine di ovviare a tale situazione, viene riconosciuto allĠofferente il diritto di contestare la fondatezza di detto motivo di esclusione nellĠambito del procedimento instaurato a seguito di un ricorso avviato da questĠultimo per contestare la legittimitˆ della decisione con cui lĠautoritˆ aggiudicatrice non ha ritenuto la sua offerta CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 come la migliore, non si pu˜ escludere che, al termine di tale procedimento, lĠautoritˆ adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere esclusa in via preliminare e che il ricorso dellĠofferente debba essere respinto in quanto, tenuto conto di tale circostanza, egli non  stato o non rischia di essere leso dalla violazione da lui denunciata (v. sentenza HackermŸller, cit., punto 27). 29 In una situazione del genere, allĠofferente che ha proposto ricorso contro la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico deve essere riconosciuto il diritto di contestare dinanzi a tale autoritˆ, nellĠambito di tale procedimento, la fondatezza delle ragioni in base alle quali la sua offerta avrebbe dovuto essere esclusa (v., in tal senso, sentenza HackermŸller, cit., punti 28 e 29). 30 Tale insegnamento  applicabile, in linea di principio, anche qualora lĠeccezione di inammissibilitˆ non sia sollevata dĠufficio dallĠautoritˆ investita del ricorso, ma in un ricorso incidentale proposto da una parte nel procedimento di ricorso, come lĠaggiudicatario regolarmente intervenuto nello stesso. 31 Nel procedimento principale, il giudice del rinvio, allĠesito della verifica dellĠidoneitˆ delle offerte presentate dalle due societˆ in questione, ha constatato che lĠofferta presentata da Fastweb non era conforme allĠinsieme delle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. Esso  giunto peraltro alla stessa conclusione in relazione allĠofferta presentata dallĠaltro offerente, Telecom Italia. 32 Una situazione del genere si distingue da quella oggetto della citata sentenza HackermŸller, in particolare per essere risultato che, erroneamente, lĠofferta prescelta non  stata esclusa al momento della verifica delle offerte, nonostante essa non rispettasse le specifiche tecniche del piano di fabbisogni. 33 Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dellĠaggiudicatario non pu˜ comportare il rigetto del ricorso di un offerente nellĠipotesi in cui la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellĠambito del medesimo procedimento e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta degli altri, che pu˜ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolare. 34 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che lĠarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto e proposto ricorso incidentale solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza del- lĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla compatibilitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dellĠofferta dellĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto, sia di quella dellĠofferente che ha proposto il ricorso principale. Sulle spese 35 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (decima sezione) dichiara: LĠarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto e proposto ricorso incidentale solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla conformitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dellĠofferta dellĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto, sia di quella dellĠofferente che ha proposto il ricorso principale. contenzioso nazionale CONTENZIOSO NAZIONALE I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di qualitˆ della regolazione CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZE 23 GENNAIO 2013 N. 8 E 16 APRILE 2013 N. 70 Federico Basilica* Valeria Romano** SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La qualitˆ della regolazione come autonomo parametro di costituzionalitˆ: il caso campano - 3. Il contributo della Corte costituzionale alla qualitˆ della regolazione: una ricognizione in chiave storica - 4. LĠelevato standard qualitativo della legislazione come leva per lo sviluppo economico nella giurisprudenza costituzionale pi recente. 1. Introduzione. Con le sentenze 23 gennaio 2013, n. 8 e 16 aprile 2013, n. 70 la Corte Costituzionale  intervenuta sul tema della qualitˆ della regolazione. Le citate pronunzie destano interesse perchŽ affrontano due rilevanti profili connessi al tema della semplificazione normativa. Nella sentenza del 23 gennaio 2013, in particolare, il Giudice delle Leggi delinea il rapporto di derivazione diretta tra qualitˆ della regolazione e crescita economica in forza del quale una coerente ed intellegibile produzione delle regole si configura come un efficace fattore di sviluppo economico ed imprenditoriale. La sentenza 16 aprile 2013, n. 70, dĠaltro canto, offre un prezioso spunto di riflessione per interrogarsi sulla giustiziabilitˆ, in sede di giudizio di legittimitˆ costituzionale, della cattiva qualitˆ della legislazione. La giurisprudenza costituzionale dellĠultimo anno sembra, dunque, aver riconosciuto un duplice ruolo alla qualitˆ della regolazione intesa sia come (*) Avvocato dello Stato. (**) Dottoranda di ricerca in Òdiritto e impresaÓ - LUISS Guido Carli, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. fattore incidente sullo sviluppo economico che come autonomo parametro di legittimitˆ costituzionale (1). 2. La qualitˆ della regolazione come autonomo parametro di costituzionalitˆ: il caso campano. La sentenza 16 aprile 2013, n. 70 affronta la questione della sindacabilitˆ in sede costituzionale della qualitˆ dei testi normativi indagando, in particolare, i margini di censurabilitˆ costituzionale dei provvedimenti legislativi lacunosi, contraddittori o eccessivamente complessi. La vicenda dalla quale trae origine la sentenza n. 70 del 2013 muove dalla caotica produzione legislativa della Regione Campania sul tema della definizione della distanza massima tra gli aerogeneratori deputati alla produzione dellĠenergia eolica (2). Prima di analizzare le conclusioni cui giunge la Corte costituzionale, appare essenziale, onde poter pi agevolmente comprendere i termini del problema, ripercorrere le fasi che hanno segnato la vicenda venuta al vaglio del Legislatore negativo. Con lĠart. 1 co. 2 della legge regionale dellĠ1 luglio 2011, n. 11 (3), il legislatore regionale disponeva che Òla costruzione di nuovi aerogeneratori  autorizzata esclusivamente nel rispetto di una distanza pari o superiore a 800 metri dallĠaerogeneratore pi vicino preesistente o giˆ autorizzatoÓ. A fronte dellĠemanazione di tale normativa regionale, il Governo si determinava allĠimpugnazione della riportata norma di fronte alla Corte costituzionale per contrasto con gli artt. 117, commi 1, 2 e 3 e 97 Cost. Nelle more del giudizio di legittimitˆ costituzionale, tuttavia, la Regione Campania, con un secondo intervento normativo (legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1) (4), prevedeva lĠabrogazione della disposizione impugnata dal Governo a decorrere dal 29 febbraio 2012. LĠEnte territoriale chiedeva, dunque, la dichiara (1) Sul tema della valenza costituzionale della qualitˆ della regolazione, R. PINARDI, S. SCAGLIARINI, Sindacato sulle leggi e tecnica legislativa: un giudizio senza parametro?, in AA.VV., Scritti in onore di Michele Scudiero, III, Napoli, 2008, 1771; A. VEDASCHI, Le tecniche legislative e la giurisprudenza della Corte costituzionale, in Iter legis, 1999, 415 ss.; V. PAMIO, Corte costituzionale e tecniche legislative. Il triennio 2002-2004, in Dir. soc., 2005, 75 ss.; E. LONGO, Il contributo della Corte costituzionale alla qualitˆ della normazione, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2007. La qualitˆ della regolazione, Torino, 2009, 51 ss.; G.M. SALERNO, La tecnica legislativa e la chiarezza normativa nella giurisprudenza costituzionale pi recente, in Rass. parl., 1997, 1041; V.P. COSTANZO, Il fondamento costituzionale della qualitˆ della normazione (con riferimenti comparati e allĠUE), in AA.VV., Studi in memoria di Giuseppe G. Floridia, Napoli, 2009, 183. (2) Gli interventi del legislatore campano oggetto del vaglio della Corte Costituzionale vengono di seguito, per chiarezza espositiva, riportati in ordine cronologico: a) Legge regionale 1 luglio 2011, n. 11; b) Legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1; c) Legge regionale 21 maggio 2012, n. 13; d) Legge regionale 9 agosto 2012, n. 2613. (3) Legge Regione Campania 1 luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti eolici). (4) Legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012). zione della cessazione della materia del contendere di fronte al Giudice delle Leggi. Ottenuta lĠestinzione del processo (5), il Consiglio Regionale della Campania approva un terzo intervento legislativo (legge 21 maggio 2012, n. 13) (6) nel cui eterogeneo corpus veniva disposto il differimento della prevista abrogazione dal 29 febbraio al 30 giugno 2012. Dal quadro normativo tracciato poteva, non senza qualche difficoltˆ, desumersi che il divieto di installazione di nuovi impianti a una distanza inferiore a 800 metri da quelli preesistenti era operante dal 1Ħ luglio 2011 al 28 febbraio 2012, veniva meno dal 29 febbraio al 28 maggio 2012, operava nuovamente con efficacia retroattiva dal 29 maggio fino 29 giugno ed, infine, cadeva definitivamente dal 30 giugno (7). A fronte dal varo della legge regionale del 21 maggio 2012, n. 13, il Consiglio dei Ministri ne deliberava lĠimpugnazione limitatamente alla disposizione che differiva lĠabrogazione ripristinando di fatto il divieto di cui alla legge n. 11/2001. Stante la nuova impugnativa promossa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Campania abrogava la norma impugnata con lĠart. 42, comma 4, della legge regionale 9 agosto 2012, n. 2613 verosimilmente con lo scopo di ottenere nuovamente lĠestinzione del giudizio di fronte alla Consulta. Il Giudice delle Leggi, tuttavia, ben lungi dal ritenere cessata la materia del contendere si  pronunciato, con la sentenza in commento, nel merito della vicenda dichiarando lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 5, comma 2, della legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13 per violazione dellĠart. 97 Cost. cos“ riconoscendo nel cattivo uso della potestˆ legislativa e nella scarsa intellegibilitˆ degli interventi regolatori della Regione Campania un diretto vulnus ai canoni di imparzialitˆ e buon andamento dellĠamministrazione. La declaratoria di illegittimitˆ costituzionale della norma impugnata dal Governo per violazione del principio della buona amministrazione appare esemplificativa di un evidente cambio di passo della giurisprudenza della Corte costituzionale con riguardo alla questione della giustiziabilitˆ della cattiva qualitˆ della legislazione. La posizione assunta dai Giudici costituzionali rispetto al tema della qualitˆ della regolazione , infatti, stata tradizionalmente connotata da un certo self-restraint nel dichiarare lĠillegittimitˆ costituzionale delle norme per il mancato raggiungimento di un adeguato standard qualitativo dei testi legislativi. (5) La Corte costituzionale ha dichiarato estinto il processo con ordinanza n. 89/2012 depositata il 12 aprile 2012, pubblicata in GU. 18 aprile 2012. (6) Legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante ÇInterventi per il sostegno e la promozione della castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012È. (7) Per una completa ricostruzione della vicenda in esame, D. PARIS Il controllo del giudice costituzionale sulla qualitˆ della legislazione nel giudizio in via principale in www.forumcostituzionale.it. La sentenza presenta, pertanto, profili di accentuata innovativitˆ rispetto al pregresso panorama giurisprudenziale perchŽ, per la prima volta, la Corte costituzionale afferma che lĠassoluta oscuritˆ della legge, ponendosi in contrasto con il canone costituzionale di cui allĠart. 97,  causa di illegittimitˆ costituzionale della disposizione che, in ragione della sua complessitˆ, deve essere espunta dallĠordinamento. La sentenza in esame si presta, quindi, ad essere letta come una chiara presa di posizione della Corte costituzionale nel segno di una rinnovata centralitˆ del principio della Çcertezza del dirittoÈ e della Çchiarezza normativaÈ. La Corte, in definitiva, sembra avallare la posizione dellĠautorevole dottrina (8) che giˆ da tempo aveva riconosciuto la valenza costituzionale del principio della qualitˆ della regolazione e della semplificazione normativa per aggredire grovigli normativi ed interventi legislativi caotici e disorganici. LĠinnovativitˆ della pronunzia in esame si apprezza a pieno solo si indaga, in chiave storica, lĠevoluzione della giurisprudenza costituzionale sul tema della sindacabilitˆ del tasso di qualitˆ della regolazione. 3. Il contributo della Corte costituzionale alla qualitˆ della regolazione: una ricognizione in chiave storica. Il tema della sindacabilitˆ costituzionale delle norme mal formulate dal Legislatore  stato differentemente affrontato dalla Corte Costituzionale a seconda della natura penale ovvero extra-penale della disposizione sottoposta al vaglio di legittimitˆ. Nel primo caso, infatti, la sindacabilitˆ della tecnica redazionale degli atti normativi in sede costituzionale non  mai stata posta in discussione trovando un saldo addentellato normativo allĠart. 25 Cost. e nel principio, dalla norma ricavabile, di tassativitˆ delle fattispecie penali. é ben noto come in forza del menzionato principio il Legislatore che qualifica un certo fatto come reato deve indicare con sufficiente determinazione la condotta incriminata e le sanzioni penali ricondotte alla sua commissione al fine di consentire ai consociati di orientare consapevolmente le proprie condotte e di calcolarne in anticipo le conseguenze sulla base di un quadro normativo certo e ben definito. Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, dunque, il principio di tassativitˆ , prima di tutto, rivolto al Legislatore in capo al quale deve essere riconosciuto lĠonere Òdi formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dellĠintellegibilitˆ dei termini impiegatiÓ evitando il ricorso a vocaboli polisensi, clausole generali e concetti elastici il cui impiego Òsovvertirebbe i pi ovvi princ“pi che sovraintendono razionalmente ad ogni sistema legislativo nonchŽ le pi elementari nozioni ed insegnamenti (8) M. AINIS, La legge oscura. Come e perchŽ non funziona, Bari, 2010, 117 ss. intorno alla creazione e alla formazione delle norme giuridicheÓ (9). Una proiezione sovranazionale delle affermazioni della Corte costituzionale in ordine alle tecniche di formulazione delle fattispecie penali  rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. LĠelaborazione giurisprudenziale della Corte Edu ha, infatti, conferito rilievo alla dimensione ÒqualitativaÓ del principio di legalitˆ sancito allĠart. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dellĠUomo e delle Libertˆ Fondamentali. La norma impone, secondo lĠinterpretazione fornita dai Giudici di Strasburgo, non solo la preesistenza della norma incriminatrice al fatto, ma anche la sua accessibilitˆ e comprensibilitˆ (10). Sulla scorta delle considerazioni che precedono appare evidente la censurabilitˆ costituzionale ex art. 25 Cost. delle norme penali imprecise e contraddittorie nonchŽ la sindacabilitˆ ex art. 117 Cost. e 7 Cedu del grado di determinatezza e precisione delle norme c.d. Òintrinsecamente penaliÓ ovvero delle disposizioni che, sebbene non qualificate come penali dal Legislatore nazionale, abbiano una natura afflittiva e sanzionatoria di stampo penalistico. Ci˜ posto, residua la centrale questione, affrontata dalla sentenza 16 aprile 2013, n. 70, relativa alla sindacabilitˆ di tutte le altre norme extra-penali formulate da Legislatore in modo oscuro, ambiguo o vago. La questione sopra delineata  apparsa, sin dalle pi risalenti pronunzie della Corte costituzionale, particolarmente problematica per due essenziali ragioni. In primo luogo la Costituzione italiana non contiene disposizioni che si occupano esplicitamente della qualitˆ della regolamentazione nel settore extrapenale. In aggiunta alla carenza di un espresso parametro di censurabilitˆ del cattivo esercizio del potere legislativo, lĠammissibilitˆ del sindacato sulla qualitˆ della normazione  apparsa ostica stante il fondamentale principio per cui il controllo di legittimitˆ costituzionale Òesclude ogni valutazione sullĠuso del potere discrezionale del ParlamentoÓ (11). I margini di sindacabilitˆ della qualitˆ delle leggi sono, pertanto, apparsi da subito angusti stante soprattutto lĠassenza di un espresso parametro cui ancorare il giudizio. In questo senso lĠassenza di un preciso parametro cui saldare il sindacato di costituzionalitˆ  stata dalla dottrina qualificata come un ÒparadossoÓ ed un concreto ostacolo alla censurabilitˆ in sede costituzionale di una legge ÒoscuraÓ (12). (9) Cos“ Corte Cost. sentenza 8 giugno 1981, n. 96. Sul tema della tassativitˆ delle norme penali appaiono in particolar modo rilevanti le note pronunzie del 30 luglio 2008 n. 327 in G.U. 6 agosto 2008 e n. 5 del 2004 sulla legittimitˆ costituzionale dellĠart. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (10) Corte 26 aprile 1979, The Sunday Times v. United Kingdom (Series A No 30). (11) Cfr., art. 28 della Legge L. 11 marzo 1953, n. 87 recante ÒNorme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionaleÓ, pubblicata in G.U. 14 marzo 1953, n. 62. (12) M. AINIS, La legge oscura. Come e perchŽ non funziona, Laterza, Bari, 1997, p. 113 e ss. La Corte costituzionale si , pertanto, per lungo tempo limitata ad indirizzare al Legislatore inviti e moniti al miglioramento degli standards qualitativi dei testi legislativi astenendosi dalla realizzazione di dirette censure anche a fronte di casi di spiccata imprecisione, contraddittorietˆ, irrazionalitˆ e lacunositˆ dei testi legislativi sottoposti al suo vaglio. A fronte di tale quadro la dottrina ha pervicacemente teso ad isolare, in via ermeneutica, dal testo costituzionale un generale principio di qualitˆ della regolazione e semplificazione normativa per aggredire i grovigli normativi e gli interventi legislativi caotici e disorganici. LĠelaborazione dottrinale consta di numerosi contributi indirizzati a superare il problema dellĠapparente carenza di un paramento di sindacabilitˆ della qualitˆ delle regole da parte del Giudice delle Leggi. In tale ottica, la dottrina ha individuato un ampio ordito normativo composto da una pluralitˆ di norme costituzionali alle quali collegare il sindacato sul rispetto dei livelli qualitativi minimi nella regolazione extra-penale. Si  fatto riferimento, in particolare, allĠart. 72 Cost. (sistema di votazione della legge), allĠart. 71 Cost. (redazione di progetti di legge in articoli, in caso di iniziativa legislativa popolare), nonchŽ allĠart. 54 Cost. (dovere di osservare la legge, che presuppone la sua conoscibilitˆ ed intellegibilitˆ) ed allĠart. 97 Cost. (buon andamento e imparzialitˆ dellĠamministrazione), oltre che allĠart. 3 Cost. (canone di ragionevolezza). Si  dunque opinato nel senso di ritenere che dalla combinazione delle norme citate sia dato desumere la sussistenza, nel nostro ordinamento, di un generale principio di qualitˆ della regolazione alla stregua del quale sindacare testi legislativi non comprensibili e disorganici (13). Altra parte della dottrina si , invece, mostrata propensa ad ancorare il sindacato sulla qualitˆ della regolazione al principio di leale collaborazione interpretando la cattiva qualitˆ della legislazione come il risultato di uno scarso coordinamento tra i soggetti (Parlamento, Governo, Regioni) coinvolti nel processo legislativo. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha gradualmente mutuato le elaborazioni dottrinali di cui si  dato succintamente conto giungendo a ritenere sindacabile la scarsa qualitˆ della regolazione sulla base, di volta in volta, di parametri diversi. Un primo tentativo  stato esperito evocando unĠapplicazione sul terreno della qualitˆ della regolazione del principio di ragionevolezza inteso come criterio di razionalitˆ e coerenza delle scelte operate dal Legislatore nellĠambito del libero esercizio della potestˆ normativa. Sul punto merita richiamare la (13) V. CAIANIELLO, Il drafting delle leggi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. trim. Scienza Amm., 1999, n. 1, 15 s.; M. CARLI, Come garantire il rispetto delle regole sulla ÒbuonaÓ qualitˆ delle leggi dello stato, in Osservatorio sulle fonti 2007, Giappichelli, Torino, 2009, p. 3 e ss. sentenza n. 52/1996 con la quale  stato dichiarato Çillegittimo per contrasto con i principi di ragionevolezza, e di razionalitˆ della legislazione, desumibili dall'art. 3 della CostituzioneÈ l'articolo 15, comma 17, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica). In altre pronunzie il controllo giurisdizionale della qualitˆ della legislazione  stato condotto valorizzando il generale principio di certezza del diritto. In talune sentenza, tra le quali merita menzione la n. 376/2002, traspare lĠidea per cui la chiarezza e lĠintelligibilitˆ della regolazione scongiura il rischio di incertezza del diritto che alligna nellĠeccesso di norme, soprattutto se confuse e contraddittorie, la quale pu˜ condurre alla negazione del diritto stesso e a porre le premesse per comportamenti illegali. Alla luce della breve analisi sin ora tracciata con riguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di giustiziabilitˆ della cattiva regolazione dovrebbe apprezzarsi pienamente il carattere innovativo della sentenza 16 aprile 2013, n. 70. La sentenza, come detto, ha collegato il sindacato sulla qualitˆ delle norme allĠart. 97 Cost. ed ha individuato nellĠoscuritˆ della disposizione un elemento decisivo ai fini della relativa dichiarazione di incostituzionalitˆ ponendo lĠaccento sullĠonere, in capo tanto al Legislatore regionale quanto del Legislatore nazionale, di formulare i testi legislativi in maniera chiara e comprensibile. La pronunzia si apprezza anche perchŽ la Corte costituzionale  sembrata animata dalla preoccupazione di farsi carico delle conseguenze del grave disordine normativo ingenerato dal cattivo uso della potestˆ legislativa regionale sugli attori economici operanti nel mercato campano dellĠenergia eolica, nonchŽ sui cittadini e sui fruitori dei servizi. La dottrina ha, infatti, evidenziato come la pronunzia si ponga come una presa di posizione di fondamentale rilievo soprattutto in ordine allĠattenzione mostrata dai Giudici costituzionali rispetto al tema dei costi economici della cattiva qualitˆ della legislazione (14). Tali ultime considerazioni consentono di rintracciare il trait d'union tra la pronunzia sin ora esaminata e la sentenza 23 gennaio 2013 n. 8 sulla quale appare opportuno spendere alcune considerazioni. 4. LĠelevato standard qualitativo della legislazione come leva per lo sviluppo economico nella giurisprudenza costituzionale pi recente. Nella sentenza 23 gennaio 2013, n. 8 la Corte Costituzionale  stata chiara nellĠaffermare che una legislazione composta da norme sovrapposte, stratificate e poco chiare in uno a procedimenti amministrativi lenti e farraginosi ingenera negli operatori economici difficoltˆ sia di accesso sia di permanenza (14) P. MAZZINA, Qualitˆ della legislazione e competitivitˆ: alcune riflessioni intorno ad una recente esperienza campana, in www.rivistaaic.it, Osservatorio costituzionale, ottobre 2013, 4 s. sul mercato rappresentando un Òcollo di bottigliaÓ rispetto allĠobiettivo della crescita economica. Nel vagliare la legittimitˆ costituzionale degli articoli 1, comma 4, e 35, comma 7, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivitˆ), la Corte ha invocato, infatti, politiche Òvolte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e sproporzionati e che perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dellĠeconomia nazionaleÓ. Sul punto i Giudici costituzionali hanno rilevato come non sia difficile cogliere lĠintimo legame Òfra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie delle stesseÓ. La Corte ha ben sintetizzato, nella pronunzia in esame, il circolo virtuoso innescabile con la messa in campo di politiche di riduzione della pressione regolatoria. NellĠottica adottata dal Legislatore negativo, infatti, un contesto normativo agevole ed intellegibile realizza una maggiore libertˆ di accesso al mercato ed incentiva lĠintrapresa economica privata. LĠingresso di nuovi operatori sul mercato incrementa, a sua volta, lĠefficienza e la competitivitˆ del sistema produttivo che, per lĠeffetto,  in grado di generare crescita economica favorendo lĠaumento del gettito tributario che concorre alla riduzione del disavanzo della finanza pubblica funzionale al rispetto degli indici del Patto europeo di stabilitˆ. La necessitˆ, cos“ espressa dalla Corte costituzionale, di puntare ad una stagione di politiche di semplificazione normativa come leva per il rilancio del Paese appare largamente condivisa dagli analisti internazionali e nazionali. LĠassunto trova conforto, in particolare, nellĠedizione del 2014 del Rapporto Doing Business predisposto dalla Banca Mondiale sulla Òfacilitˆ di fare impresaÓ. Il rapporto ha comparato i sistemi di business regulation di 189 Paesi misurando le ripercussioni degli oneri normativi, in ciascun contesto nazionale, sullo svolgimento di attivitˆ come avviare unĠimpresa, ottenere un licenza, registrare una proprietˆ, impiegare lavoratori, importare ed esportare beni. Lo studio si  tradotto in una graduatoria che vede lĠItalia collocata al 65Ħ posto, dopo Rwanda e Ghana, per qualitˆ della regolazione e celeritˆ dei procedimenti amministrativi (15). Il negativo effetto della pressione regolatoria ed amministrativa sulle attivitˆ produttive  stato denunciato anche dalla Commissione Europea che, da ultimo nella comunicazione del 7 marzo 2013, COM(2013) 122 Smart Regulation: Responding to the needs of small and medium-sized enterprises, ha riaffermato la necessitˆ di far leva sul miglioramento della regolazione come (15) I dati raccolti dalla Banca Mondiale nel rapporto 2014 sono reperibili al seguente indirizzo web: http://www.doingbusiness.org/~/media/GIAWB/Doing%20Business/Documents/AnnualReports/ English/DB14-Full-Report.pdf. strumento di competitivitˆ e di sviluppo economico. Sulla stessa linea anche Businesseurope, la Confindustria europea, che ha chiarito: Òthe current crisis has brought smart regulation as a tool for encouraging growth and competitiveness to the top of the EU political agendaÓ. Come dimostrato dalla posizione assunta dagli organismi internazionali, delle Istituzioni europee e della recente giurisprudenza costituzionale di cui si  dato conto, il collegamento tra la qualitˆ della regolazione e la crescita economica  ormai dato inconfutabile. La cattiva qualitˆ della regolazione rappresenta, dunque, un diretto vulnus rispetto ai principi costituzionali di imparzialitˆ, ragionevolezza e certezza del diritto che, come  stato efficacemente messo a fuoco dalla Corte costituzionale nellĠultimo anno con le sentenze 23 gennaio 2013, n. 8 e 16 aprile 2013, n. 70, si riverbera immediatamente sul piano economico essendo a tutti chiaro che Òse non cĠ la certezza del diritto non  assicurata nŽ la crescita nŽ la competitivitˆÓ (16). Di qui, allora, bisogna ripartire: ricostruire una governance di sistema che, presa piena consapevolezza del rapporto di derivazione diretta tra la qualitˆ della legislazione e la promozione della crescita, intraprenda iniziative di riduzione dello stock normativo e favorisca il passaggio ad una amministrazione performance-oriented la cui azione si inserisca in un quadro di complessiva stabilitˆ legislativa ed istituzionale. Concludendo, in un periodo di crisi la scarsitˆ di mezzi finanziari deve tradursi in stimolo verso ad maggiore efficienza nel loro impiego. AllĠinterno di una agenda di organiche e sistematiche politiche di regulatory reform sarˆ, quindi, prioritario contemperare modifiche normative e di procedura dirette a promuovere la competitivitˆ del sistema-Paese in vista di un ritorno alla fiducia nel breve periodo ed alla crescita nel lungo periodo. Corte costituzionale, sentenza 23 gennaio 2013 n. 8 -Pres. Quaranta, Red. Cartabia - avv.ti M. Bertolissi e L. Manzi per la Regione Veneto, M. Cecchetti per la Regione Toscana e avv. Stato P. Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. (...) Considerato in diritto 1.Ñ Con i due ricorsi indicati in epigrafe, la Regione Toscana (reg. ric. n. 82 del 2012) e la Regione Veneto (reg. ric. n. 83 del 2012) hanno proposto in via principale varie questioni di legittimitˆ costituzionale relative al decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivitˆ), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, tra cui alcune aventi ad oggetto lĠarticolo 1, comma 4, e, per quanto riguarda la sola Regione Toscana, lĠart. 35, comma 7, del decreto- legge indicato cos“ come convertito. (16) R. GIOVAGNOLI, Liberalizzazioni, semplificazioni ed effettivitˆ della tutela, www.giustamm.it, n. 6/2012. In particolare, in ordine allĠart. 1, comma 4, la Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione; mentre la Regione Veneto ritiene che siano stati violati gli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 118, 119 della Costituzione, nonchŽ lĠart. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il principio di leale collaborazione e i principi di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dellĠarticolo 119 della Costituzione). Per quanto riguarda lĠart. 35, comma 7, poi, la sola Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 77, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, nonchŽ del principio di leale collaborazione. 2.Ñ Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unĠunica pronuncia, la quale avrˆ ad oggetto esclusivamente le questioni di legittimitˆ costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate - art. 1, comma 4, e art. 35, comma 7 - essendo riservata ad altre decisioni la valutazione delle restanti questioni, promosse con i medesimi ricorsi dalle Regioni Toscana e Veneto. 3.Ñ Riguardo allĠart. 1, comma 4, del decreto-legge impugnato, devono preliminarmente dichiararsi inammissibili le censure prospettate dalla Regione Veneto con riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114 e 119 Cost., nonchŽ quelle che lamentano la violazione dellĠart. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge n. 42 del 2009. 3.1.Ñ Le censure relative agli artt. 3 e 97 Cost. sono inammissibili, in quanto non sufficientemente motivate. La Regione ricorrente si limita a lamentare la genericitˆ e lĠindeterminatezza della disposizione impugnata, omettendo di mostrare le ragioni per cui tali caratteristiche della normativa in esame determinino una lesione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, invocati a parametro di giudizio, e trascurando del tutto di indicare come lĠasserita violazione di tali principi ridondi sul riparto di competenze sancito dal Titolo V della Parte seconda della Costituzione. 3.2.Ñ Ugualmente inammissibili sono le questioni prospettate in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost., e al principio di cui allĠart. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001. Su tali punti il ricorso risulta carente di motivazione e financo inconferente. Dette censure sono esclusivamente v˜lte a rivendicare la posizione equiordinata di cui godrebbero le Regioni rispetto allo Stato, che renderebbe illegittima lĠintroduzione di qualsiasi strumento di controllo statale sulle Regioni, senza che siano addotte specifiche argomentazioni in ordine alla asserita illegittimitˆ costituzionale della disposizione impugnata. La motivazione, oltre che insufficiente, appare anche inconferente, in quanto la norma censurata non ripristina alcun controllo sugli atti legislativi o amministrativi delle Regioni, in contrasto con la legge costituzionale n. 3 del 2001, invocata a parametro del presente giudizio. 3.3.Ñ Infine,  inammissibile, per carenza assoluta di motivazione, il ricorso della Regione Veneto nella parte in cui ritiene violati lĠart. 119 Cost. e gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), del legge n. 42 del 2009. Sul punto, il ricorso  privo di qualunque svolgimento argomentativo, limitandosi a richiamare le suddette norme, senza mostrare in quale senso esse risultino incise dalle disposizioni impugnate e senza neppure offrire ragioni a sostegno della possibilitˆ di far valere lĠevocata legge n. 42 del 2009 come parametro nei giudizi davanti a questa Corte. 4.Ñ Nel merito, le rimanenti questioni aventi ad oggetto lĠart. 1, comma 4, non sono fondate. 4.1.Ñ Occorre, anzitutto, chiarire il significato della disposizione impugnata, alla luce del contesto normativo in cui sĠinscrive. Il contenuto del censurato art. 1, comma 4, infatti, pu˜ essere compreso solo in relazione ai commi che lo precedono, dal momento che esso prevede che le Regioni e gli altri enti territoriali si adeguino ai principi desumibili dai primi tre commi del medesimo art. 1 e, al fine di incentivare gli enti territoriali ad operare nel senso indicato dal legislatore statale, il comma 4 afferma che Çil predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuositˆÈ, alla quale si connettono conseguenze di ordine finanziario, secondo quanto previsto dallĠart. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111. I principi contenuti nei commi 1, 2 e 3 dellĠart. 1 - la cui attuazione da parte di tutti gli enti territoriali il legislatore intende incentivare con il dispositivo contenuto nel comma 4, oggetto del presente giudizio - riguardano la liberalizzazione delle attivitˆ economiche e si pongono in linea di continuitˆ, anche attraverso richiami testuali espliciti, con lĠart. 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, su cui questa Corte si  pronunciata con sentenza n. 200 del 2012. In vista di una progressiva e ordinata liberalizzazione delle attivitˆ economiche, lĠart. 1 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede un procedimento di ri-regolazione delle attivitˆ economiche a livello statale, da realizzarsi attraverso strumenti di delegificazione, che mira al- lĠabrogazione delle norme che, a vario titolo e in diverso modo, prevedono limitazioni o pongono condizioni o divieti che ostacolano lĠiniziativa economica o frenano lĠingresso nei mercati di nuovi operatori, fatte salve le regolamentazioni giustificate da Çun interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con lĠordinamento comunitarioÈ (art. 1, comma 1, lettera a), e che siano adeguate e proporzionate alle finalitˆ pubbliche perseguite (art. 1, comma 1, lettera b). Allo stesso scopo, lĠart. 1, comma 2, prevede che Ç[l]e disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni allĠaccesso ed allĠesercizio delle attivitˆ economiche È siano Çinterpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalitˆ di interesse pubblico generaleÈ e indica una serie dĠinteressi pubblici, anche di rango costituzionale, che possono giustificare limiti e controlli, v˜lti, ad esempio, Çad evitare possibili danni alla salute, allĠambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertˆ, alla dignitˆ umana e possibili contrasti con lĠutilitˆ sociale, con lĠordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della RepubblicaÈ. Segue, allĠart. 1, comma 3, la previsione che il Governo individui con regolamenti di delegificazione, ai sensi dellĠart. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dellĠattivitˆ di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le attivitˆ per le quali permangono limiti, regolamentazioni e controlli e identifichi, altres“, le disposizioni legislative e regolamentari che, invece, risultano abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi. Vista nel suo insieme, la disciplina contenuta nellĠart. 1 del decreto-legge n. 1 del 2012 si colloca nel solco di unĠevoluzione normativa diretta ad attuare Çil principio generale della liberalizzazione delle attivitˆ economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionaleÈ (sentenza n. 200 del 2012). Tale intervento normativo, conformemente ai prin cipi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, Çprelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dellĠattivitˆ economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dallĠaltro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con lĠutilitˆ socialeÈ e con gli altri principi costituzionali (sentenza n. 200 del 2012). 4.2.Ñ In questo quadro, lĠart. 1, comma 4, estende allĠintero sistema delle autonomie il compito di attuare i principi di liberalizzazione, come sopra delineati. Del resto, affinchŽ lĠobiettivo perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati, in termini di snellimento degli oneri gravanti sullĠesercizio dellĠiniziativa economica, occorre che lĠazione di tutte le pubbliche amministrazioni - centrali, regionali e locali - sia improntata ai medesimi principi, per evitare che le riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nei fatti, vanificate dal diverso orientamento dellĠuno o dellĠaltro degli ulteriori enti che compongono lĠarticolato sistema delle autonomie. QuestĠultimo, infatti, risponde ad una logica che esige il concorso di tutti gli enti territoriali allĠattuazione dei principi di simili riforme. A titolo esemplificativo, si pu˜ rammentare che persino gli statuti di autonomia speciale prevedono che le norme fondamentali delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli ai rispettivi legislatori regionali e provinciali, che sono tenuti ad osservarle nellĠesercizio di ogni tipo di competenza ad essi attribuita. Per queste ragioni, il principio di liberalizzazione delle attivitˆ economiche - adeguatamente temperato dalle esigenze di tutela di altri beni di valore costituzionale - si rivolge tanto al governo centrale (art. 1, commi 1, 2 e 3), quanto a Comuni, Province, Cittˆ Metropolitane e Regioni (art. 1, comma 4), perchŽ solo con la convergenza dellĠazione di tutti i soggetti pubblici esso pu˜ conseguire risultati apprezzabili. 4.3.Ñ LĠampiezza dei principi di razionalizzazione della regolazione delle attivitˆ economiche non comporta, nel caso in esame, lĠassorbimento delle competenze legislative regionali in quella spettante allo Stato nellĠambito della tutela della concorrenza, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che pure costituisce il titolo competenziale sulla base del quale lĠatto normativo statale impugnato  stato adottato. Al contrario: grazie alla tecnica normativa prescelta, i principi di liberalizzazione presuppongono che le Regioni seguitino ad esercitare le proprie competenze in materia di regolazione delle attivitˆ economiche, essendo anzi richiesto che tutti gli enti territoriali diano attuazione ai principi dettati dal legislatore statale. Le Regioni, dunque, non risultano menomate nelle, nŽ tanto meno private delle, competenze legislative e amministrative loro spettanti, ma sono orientate ad esercitarle in base ai principi indicati dal legislatore statale, che ha agito nellĠesercizio della sua competenza esclusiva in materia di concorrenza. 4.4.Ñ Ci˜ determina lĠinfondatezza delle censure relative allĠart. 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118 Cost., dato che con la disposizione impugnata il Çlegislatore nazionale non ha occupato gli spazi riservati a quello regionale, ma ha agito presupponendo invece che le singole Regioni continuino ad esercitare le loro competenze, conformandosi tuttavia ai principi stabiliti a livello stataleÈ (sentenza n. 200 del 2012). 4.5.Ñ Neppure sono fondate le censure, prospettate dalla Regione Veneto, in riferimento allĠart. 117, primo e quinto comma, Cost., considerato che non emerge alcun profilo di contrasto con il diritto dellĠUnione europea, mentre, sotto il profilo del riparto di competenze, la disposizione impugnata si qualifica in termini di Çtutela della concorrenzaÈ (ex plurimis, sentenze n. 299 e n. 200 del 2012), rientrando dunque pienamente allĠinterno delle competenze di pertinenza esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma, Cost., senza nulla togliere alle Regioni in materia di attuazione del diritto europeo. 4.6.Ñ Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, lamentata dalla Regione Veneto, la relativa questione  parimenti infondata. A prescindere da ogni considerazione sulla formulazione, in vero poco perspicua, della censura, occorre ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, lĠinvocato principio non trova applicazione in riferimento al procedimento legislativo ed, inoltre, Çesso non opera allorchŽ lo Stato eserciti la propria competenza legislativa esclusiva in materia di Òtutela della concorrenzaÓÈ (cos“ la sentenza n. 299 del 2012 e similmente le sentenze n. 234 del 2012, n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005). 5.Ñ Il principale elemento di novitˆ della disposizione impugnata, rispetto allĠevoluzione normativa sopra richiamata (punto 4.1.),  costituito dal raccordo tra attuazione dei principi di razionalizzazione delle attivitˆ economiche e implicazioni di natura finanziaria a carico delle autonomie territoriali. Proprio in ordine a tale correlazione  stato formulato il pi nutrito gruppo di censure, per violazione dellĠart. 117, terzo comma, e 119 Cost., rispettivamente in materia di coordinamento della finanza pubblica e autonomia finanziaria regionale. 5.1.Ñ Le questioni non sono fondate. LĠart. 1, comma 4, censurato, prevede che la Presidenza del Consiglio comunichi al Ministero dellĠeconomia Çgli enti che hanno proceduto allĠapplicazione delle procedure previste dal presente articoloÈ, volte allĠattuazione del principio di liberalizzazione. Tale adeguamento viene considerato tra i parametri di ÒvirtuositˆÓ, sulla base dei quali, ai sensi dellĠart. 20, comma 2, del decreto-legge n. 98 del 2011, gli enti territoriali vengono suddivisi in due classi, ai fini del rispetto del patto di stabilitˆ interno. Gli enti stimati complessivamente virtuosi sono chiamati a rispettare vincoli di finanza pubblica meno stringenti rispetto agli enti meno virtuosi, come ad esempio quelli relativi al contenimento delle spese correnti, ai sensi dellĠart. 77-ter, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivitˆ, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. Al contrario, gli enti collocati nella classe meno virtuosa subiscono una riduzione dei trasferimenti e concorrono alla realizzazione di obiettivi di finanza pubblica maggiormente onerosi, ai sensi dellĠart. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivitˆ economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 giugno 2010, n. 122. La valutazione della ÒvirtuositˆÓ degli enti si basa su un complesso di parametri assai articolato (ex art. 20, comma 2, lettere da a a l, e comma 2-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011), tra i quali la disposizione impugnata introduce anche lĠadeguamento ai principi della razionalizzazione della regolazione economica, quale elemento aggiuntivo rispetto agli altri fattori giˆ previsti dal legislatore. 5.2.Ñ Non  difficile cogliere la ratio del legame tracciato dal legislatore fra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie delle stesse. Secondo lĠimpostazione di fondo della normativa - ispirata a quelle evidenze economiche empiriche che individuano una significativa relazione fra liberalizzazioni e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi delle istituzioni europee - ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo del- lĠeconomia nazionale. Questa relazione tra liberalizzazione e crescita economica appare ulteriormente rilevante in quanto, da un lato, la crescita economica  uno dei fattori che pu˜ contribuire allĠaumento del gettito tributario, che, a sua volta, concorre alla riduzione del disa vanzo della finanza pubblica; dallĠaltro, non si pu˜ trascurare il fatto che il Patto europeo di stabilitˆ e crescita - che  alla base del Patto di stabilitˆ interno - esige il rispetto di alcuni indici che mettono in relazione il prodotto interno lordo, solitamente preso a riferimento quale misura della crescita economica di un Paese, con il debito delle amministrazioni pubbliche e con il deficit pubblico. Il rispetto di tali indici pu˜ essere raggiunto, sia attraverso la crescita del prodotto interno lordo, sia attraverso il contenimento e la riduzione del debito delle amministrazioni pubbliche e del deficit pubblico. In questa prospettiva,  ragionevole che la norma impugnata consenta di valutare lĠadeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della regolazione, anche al fine di stabilire le modalitˆ con cui questo debba partecipare al risanamento della finanza pubblica. LĠattuazione di politiche economiche locali e regionali volte alla liberalizzazione ordinata e ragionevole e allo sviluppo dei mercati, infatti, produce dei riflessi sul piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie, sia, infine, quanto al rispetto delle condizioni dettate dal Patto europeo di stabilitˆ e crescita. 5.3.Ñ Complessivamente, dunque, non  irragionevole che il legislatore abbia previsto un trattamento differenziato fra enti che decidono di perseguire un maggiore sviluppo economico attraverso politiche di ri-regolazione dei mercati ed enti che, al contrario, non lo fanno, purchŽ, naturalmente, lo Stato operi tale valutazione attraverso strumenti dotati di un certo grado di oggettivitˆ e comparabilitˆ, che precisino ex ante i criteri per apprezzare il grado di adeguamento raggiunto da ciascun ente nellĠambito del processo complessivo di razionalizzazione della regolazione, allĠinterno dei diversi mercati singolarmente individuati. Introdurre un regime finanziario pi favorevole per le Regioni che sviluppano adeguate politiche di crescita economica costituisce, dunque, una misura premiale non incoerente rispetto alle politiche economiche che si intendono, in tal modo, incentivare. Non sussiste pertanto alcuna violazione sotto lĠinvocato profilo dellĠart. 119 Cost., nŽ dellĠart. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica. 6.Ñ La Regione Toscana ha promosso questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 35, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012 -che ha soppresso lĠintesa introdotta con lĠart. 10, comma 1, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonchŽ di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), nellĠambito del procedimento volto allĠadozione dellĠatto di indirizzo di cui allĠart. 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dellĠorganizzazione del Governo, a norma dellĠarticolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), adottato dal Ministero dellĠeconomia e delle finanze - per violazione degli artt. 77, secondo comma, 117, terzo comma (in materia di coordinamento del sistema tributario), 118, primo comma, e 119, secondo comma, Cost., nonchŽ del principio di leale collaborazione. 6.1.Ñ In riferimento alle censure mosse nei confronti dellĠart. 35, comma 7,  necessario, in primo luogo, indagare il significato sia del cosiddetto Òatto di indirizzoÓ del Ministro dellĠeconomia e delle finanze, che costituisce il presupposto per il rinnovo della Convenzione tra il Ministero e lĠAgenzia delle entrate, prevista dallĠart. 59 del d.lgs. n. 300 del 1999, sia di tale Convenzione. QuestĠultima, in particolare, disciplina i rapporti tra Ministero dellĠeconomia e delle finanze e Agenzia delle entrate, in relazione alle funzioni amministrative di riscossione alla stessa rimesse. In merito alla suddetta Convenzione, la Corte costituzionale ha giˆ avuto modo di precisare che: Çla citata Convenzione [É] non  idonea a produrre lesione della sfera di competenza costituzionale della ricorrente [Regione Siciliana], in quanto essa disciplina i rap porti tra il Ministero e lĠAgenzia, senza alcun riferimento alle competenze regionali, nŽ contiene alcun profilo che in qualche modo possa dar luogo ad una compressione dei poteri regionali in materia di riscossione dei tributiÈ (sentenza n. 288 del 2004). Di conseguenza, come pure precisato nella predetta sentenza, la possibilitˆ di pervenire a una intesa tra Regione e Agenzia delle entrate per la riscossione dei tributi di spettanza regionale non risulta in alcun modo pregiudicata dalla Convenzione stipulata a livello centrale, per ambiti diversi ed estranei alle competenze regionali, tra Ministero e Agenzia. Il d.lgs. n. 68 del 2011 segue proprio questa impostazione, prevedendo specifiche Convenzioni tra Regioni e Agenzia delle entrate, distinte da quella tra Ministero e Agenzia. Infatti, ai sensi dellĠart. 10, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2011 Çle Regioni possono definire con specifico atto convenzionale, sottoscritto con il Ministero dellĠeconomia e delle finanze e con lĠAgenzia delle entrate, le modalitˆ gestionali e operative dei tributi regionali, nonchŽ di ripartizione degli introiti derivanti dallĠattivitˆ di recupero dellĠevasioneÈ, nel rispetto della autonomia organizzativa delle stesse e nella scelta delle forme di organizzazione delle attivitˆ di gestione e di riscossione. La disposizione prosegue, specificando che Ç[l]Ġatto convenzionale, sottoscritto a livello nazionale, riguarda altres“ la compartecipazione al gettito dei tributi erariali È. E ancora, lĠart. 10, comma 4, del medesimo decreto legislativo specifica che le modalitˆ di gestione dellĠIRAP e dellĠaddizionale regionale allĠIRPEF, nonchŽ il relativo rimborso spese, sono disciplinate sulla base di convenzioni da definire tra lĠAgenzia delle entrate e le Regioni. 6.2.Ñ Stante lĠestraneitˆ della disposizione impugnata agli ambiti di competenza regionale, la questione sollevata relativamente alla violazione dellĠart. 77, secondo comma, Cost.,  inammissibile. Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto, infatti, ammissibili le questioni di legittimitˆ costituzionale proposte da una Regione, nellĠambito di un giudizio in via principale, in riferimento a parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione, solo quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite violazioni sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese indirettamente dalla violazione di parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V, nonchŽ le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2012, n. 128 del 2011, n. 326 del 2010, n. 116 del 2006, n. 280 del 2004). In particolare, con riferimento allĠart. 77 Cost., questa Corte ha ribadito in parte qua la giurisprudenza sopra ricordata, riconoscendo che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art. 77, ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali (ex plurimis, sentenza n. 6 del 2004). Tale circostanza non ricorre nel caso di specie, in quanto, come eccepito dallĠAvvocatura generale dello Stato, non si vede come lĠasserita mancanza di ragioni di straordinaria necessitˆ e urgenza, richieste dallĠart. 77 Cost., si ripercuota sul riparto delle competenze legislative. 6.3.Ñ Nel merito, alla luce del quadro normativo poco sopra illustrato, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, 119, secondo comma, Cost. e al principio di leale collaborazione non sono fondate. é, infatti, in sede di Convenzione tra Regioni e Agenzia delle entrate, e non nellĠambito della formazione del cosiddetto atto di indirizzo ministeriale, che possono trovare spazio le indicazioni regionali - spazio di cui la ricorrente ritiene essere stata privata con lĠeliminazione dellĠintesa ad opera della disposizione impugnata - ed , di nuovo, in tale sede che deve e pu˜ trovare possibilitˆ di esprimersi la leale collaborazione tra Stato e Regioni, come previsto, del resto, dai commi 5, 6, e 7 dellĠart. 10 del d.lgs. n. 68 del 2011, secondo cui ÇAl fine di as sicurare a livello territoriale il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui al comma 1, la convenzione di cui al comma 2 pu˜ prevedere la possibilitˆ per le regioni di definire, di concerto con la Direzione dellĠAgenzia delle entrate, le direttive generali sui criteri della gestione e sullĠimpiego delle risorse disponibili. Previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-Regioni, con decreto del Ministro dellĠeconomia e delle finanze sono definite le modalitˆ attuative delle disposizioni di cui al comma 5. Per la gestione dei tributi il cui gettito sia ripartito tra gli enti di diverso livello di governo la convenzione di cui al comma 2 prevede lĠistituzione presso ciascuna sede regionale dellĠAgenzia delle Entrate di un Comitato regionale di indirizzo, di cui stabilisce la composizione con rappresentanti designati dal direttore dellĠAgenzia delle entrate, dalla regione e dagli enti locali. La citata gestione dei tributi  svolta sulla base di linee guida concordate nellĠambito della Conferenza Stato-Regioni, con lĠAgenzia delle entrateÈ. Alla luce di detto contesto normativo, la soppressione dellĠintesa - che non era prevista nellĠoriginaria formulazione dellĠart. 59 del d.lgs. n. 300 del 1999, ma  stata introdotta con lĠart. 10, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, e subito eliminata con lĠart. 35, comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012, in questa sede impugnato - non determina alcuna lesione delle competenze regionali in tema di coordinamento del sistema tributario di cui allĠart. 117, terzo comma, Cost., nŽ viola in alcun modo il principio di leale collaborazione. Per le medesime ragioni non sono neppure fondate le censure basate sulla violazione dellĠart. 118, primo comma, Cost., e dellĠart. 119, secondo comma, Cost. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimitˆ costituzionale riguardanti le altre disposizioni contenute nel decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivitˆ), convertito con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012, promosse dalla Regione Veneto con riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114 e 119 della Costituzione; 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dellĠarticolo 119 della Costituzione), con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 35, comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, promossa, in riferimento allĠarticolo 77, secondo comma, della Costituzione dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara non fondate le questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012, promosse dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto, con riferimento agli articoli 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 118, 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe; 4) dichiara non fondate le questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 35, comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 118, primo comma, 119, secondo comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe. Cos“ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2013. Corte costituzionale, sentenza 16 aprile 2013 n. 70 -Pres. Mazzella, Rel. Lattanzi -avv. Stato A. Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri e avv. A. Bove per la Regione Campania. (...) Considerato in diritto 1.. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallĠAvvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 5, comma 2, della legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante ÇInterventi per il sostegno e la promozione della castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012)È, in riferimento agli articoli 117 e 118, nonchŽ 117, secondo comma, lettera l), e 97 della Costituzione. La questione si collega a un ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri avverso la legge della Regione Campania 1Ħ luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti eolici), che  stato deciso da questa Corte con lĠordinanza n. 89 del 2012, di estinzione del processo a seguito di rinuncia. La rinuncia  avvenuta dopo lĠabrogazione, a far data dal 29 febbraio 2012, della norma allora impugnata, con la quale si prevedeva che la costruzione di nuovi aereogeneratori fosse autorizzabile solo nel rispetto di una distanza pari o superiore a 800 metri dallĠaereogeneratore pi vicino. La disposizione oggi censurata interviene sul testo della norma abrogatrice, ovvero sul- lĠart. 52, comma 15, della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del Bilancio Annuale 2012 e Pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012), per stabilire che il termine del 29 febbraio 2012  differito al 30 giugno 2012. Il ricorrente afferma che il legislatore regionale avrebbe indotto lo Stato a rinunciare al ricorso, definito con lĠordinanza n. 89 del 2012, per poi reintrodurre la norma che ne era oggetto, cos“ violando il principio di leale collaborazione. In secondo luogo, gli effetti retroattivi della norma impugnata, in deroga agli artt. 11 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale, sarebbero preclusi dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Infine, la tecnica legislativa seguita nel caso di specie avrebbe ingenerato forti difficoltˆ applicative, in contrasto con lĠart. 97 Cost. 2.. In via preliminare, la Corte prende atto che la norma impugnata  stata abrogata dallĠart. 42, comma 4, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina dellĠattivitˆ venatoria in Campania), Çdalla data di entrata in vigore della presente leggeÈ, ovvero dal 14 agosto 2012; tuttavia, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa regionale in punto di Çinammissibilitˆ del ricorsoÈ, con ci˜ non si  determinata la cessazione della materia del contendere, perchŽ non si pu˜ escludere che la norma abbia trovato medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 243 del 2012 e n. 158 del 2012). Per smentire questa ipotesi, la Regione Campania ha prodotto in giudizio una nota del lĠamministrazione regionale, con la quale si certifica che nel periodo compreso tra il 29 maggio 2012 ed il 30 giugno 2012 Çalcun procedimento ha avuto esito negativo in ragione della riviviscenza È della legge reg. Campania n. 11 del 2011. Ma la data iniziale cos“ individuata, con riferimento allĠentrata in vigore della legge regionale oggi impugnata, non garantisce che il divieto da essa reintrodotto non abbia avuto concreta applicazione dal 29 febbraio fino al 28 maggio seguente. Ci˜ sarebbe in linea astratta possibile, posto che, differendo il termine abrogativo recato dallĠart. 52, comma 15, della legge reg. Campania n. 1 del 2012, lĠordinamento regionale ha inteso escludere che lĠabrogazione potesse avere efficacia da quando era stata inizialmente disposta, e dunque dal 29 febbraio, fino al 30 giugno. In ogni caso, con riguardo allĠintero arco temporale compreso tra il 29 febbraio e il 30 giugno, in presenza di una norma di divieto, neppure vi  la certezza che essa non sia stata presa in considerazione nel corso della fase istruttoria di procedimenti amministrativi, che avrebbero avuto esito favorevole proprio perchŽ la parte istante si era uniformata a tale divieto. 3.. LĠeccezione di inammissibilitˆ del ricorso, avanzata dalla Regione Campania per il fatto che il ricorrente non ha riproposto le censure che lo avevano indotto ad impugnare la precedente legge regionale n. 11 del 2011, non  fondata. Si tratta di una decisione dipendente dalla libera scelta della parte del giudizio in via principale, che non ha alcun nesso, neppure sul piano logico, con lĠiniziativa di contestare per altri profili lĠesercizio della potestˆ legislativa regionale su vicende analoghe. 4.. La questione di legittimitˆ costituzionale della norma impugnata  fondata con riferimento allĠart. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione. Questa Corte ha giˆ affermato che non  conforme a tale disposizione costituzionale lĠadozione, per regolare lĠazione amministrativa, di una disciplina normativa Çforiera di incertezza È, posto che essa Çpu˜ tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazioneÈ (sentenza n. 364 del 2010). Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate, quandĠanche si manifesti nellĠambito delle Çipotesi tipiche e molto limitateÈ che lĠordinamento costituzionale tollera, rientra in linea generale in questa fattispecie, perchŽ pu˜ generare Çconseguenze imprevedibiliÈ (sentenza n. 13 del 2012), valutabili anche con riguardo allĠobbligo del legislatore di assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione. Nel caso di specie, il legislatore regionale, dopo avere dettato una regola di azione per lĠamministrazione regionale, lĠha prima abrogata; poi lĠha fatta rivivere, ma solo per un periodo di tempo limitato e attraverso la tecnica, di per sŽ dagli esiti incerti, del differimento di un termine abrogativo giˆ interamente maturato; infine lĠha nuovamente abrogata. Questa Corte  chiamata a giudicare della legittimitˆ costituzionale proprio della fase pi critica di tale manifestamente irrazionale esercizio della discrezionalitˆ legislativa, segnata dalla presunta riviviscenza del divieto recato dalla legge reg. Campania n. 11 del 2011. I procedimenti amministrativi che si sono svolti in questo periodo di tempo sono stati assoggettati ad una normativa difficilmente ricostruibile da parte dellĠamministrazione, continuamente mutevole, e, soprattutto, non sorretta da alcun interesse di rilievo regionale degno di giustificare una legislazione cos“ ondivaga. Se, infatti, il legislatore campano avesse ritenuto prioritario imporre il divieto in questione, non si vede perchŽ avrebbe deciso di farlo rivivere solo fino al 30 giugno 2012, nŽ si capisce che cosa ne avrebbe determinato la successiva, nuova abrogazione da parte della legge regionale n. 26 del 2012, peraltro posteriore allĠesaurimento dellĠefficacia di tale divieto. La frammentarietˆ del quadro normativo in tal modo originato non  perci˜ giustificabile alla luce di alcun interesse, desumibile dalla legislazione regionale, ad orientare in modo non univoco lĠesercizio della discrezionalitˆ legislativa, cos“ da accordarla a necessitˆ imposte dallo scorrere del tempo. Ne consegue lĠillegittimitˆ costituzionale della disposizione censurata per violazione dellĠart. 97 Cost. 5.. Sono assorbite le questioni relative agli artt. 117 e 118, nonchŽ 117, secondo comma, lettera l), Cost. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠarticolo 5, comma 2, della legge della Regione Campania 21 maggio 2012, n. 13, recante ÇInterventi per il sostegno e la promozione della castanicoltura e modifiche alla legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2012)È. Cos“ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2013. La rilevanza dell'interesse legittimo nell'esercizio della protezione diplomatica CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 19 OTTOBRE 2011 N. 21581 Benedetta Barmann* Con la sentenza n. 21581/2011 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso proposto da una societˆ privata, che svolgeva attivitˆ di collegamento marittimo tra Italia e Marocco, riconoscendo la sussistenza in capo alla stessa di un interesse legittimo a contestare la condotta adottata dal Governo italiano a seguito del diniego di autorizzazione da parte del Marocco all'esercizio dell'attivitˆ di collegamento. Come  stato osservato (1), tale pronuncia costituisce "uno sviluppo di un certo rilievo in tema di protezione diplomatica, con particolare riferimento alla possibilitˆ dell'individuo di contestare l'eventuale inerzia dello stato nazionale a tutelare le situazioni giuridiche individuali lese all'estero". Per meglio inquadrare la decisione delle Sezioni Unite ed analizzarne il contenuto innovativo,  bene, tuttavia, ricostruire brevemente la vicenda processuale che ha portato alla cassazione della sentenza del Consiglio di Stato impugnata dalla societˆ ricorrente. Quest'ultima, difatti, si  rivolta alla Suprema Corte dopo essersi vista rigettare, sia in primo che in secondo grado, la richiesta di risarcimento del danno, attribuito ad una condotta omissiva del Governo italiano (in particolare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Nello specifico, i giudici del TAR per il Lazio, con la sentenza n. 7278/2007, hanno negato la sussistenza del nesso di causalitˆ tra il danno lamentato (ovvero, l'interruzione del collegamento marittimo) e l'illegittimitˆ imputata allo Stato italiano (consistente nell'aver omesso di intervenire in protezione diplomatica nei confronti dello Stato marocchino). Tale pronuncia  stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, richiedendone la riforma nel senso del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. Ha osservato l'Alto Consesso come la ricorrente, pur riconoscendo che la mancata autorizzazione all'esercizio del- l'attivitˆ di collegamento marittimo sia imputabile allo Stato marocchino, sostenga la concorrente responsabilitˆ dello Stato italiano per non aver posto in essere le azioni sufficienti per dare effettiva attuazione alla L. n. 433/1985 (2) (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) P. PUSTORINO, Protezione diplomatica e interesse legittimo dellĠindividuo, in Rivista di diritto internazionale, volume XCV 1/2012, pp. 156-159. (2) Ratifica ed esecuzione dell'accordo in materia di marina mercantile tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco. e per non aver adottato le misure previste dalla L.n. 69/1987 (3), la quale prevede che in caso di manifesta attivitˆ di boicottaggio da parte di uno Stato straniero, lo Stato italiano debba intervenire con apposite misure anti-discriminatorie (4). Sulla base di tali allegazioni, il Consiglio di Stato ha correttamente inquadrato la questione nell'ambito dell'istituto della protezione diplomatica e, basandosi sull'orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in proposito, ha affermato che il Governo non  obbligato, nei confronti del cittadino che la invoca, ad esercitare la protezione diplomatica contro lo Stato straniero; pi specificatamente, si legge nel dispositivo che: "gli atti compiuti da uno Stato nel regolamento delle relazioni internazionali sono infatti atti politici e, come tali, sottratti al sindacato giurisdizionale, sia ordinario che amministrativo. Deve quindi escludersi che il cittadino possa pretendere il risarcimento del danno per il mancato esercizio della c.d. protezione diplomatica" (Consiglio di Stato, Sezione VI, sent. n. 8719/2009). Dunque, il Consiglio nega la fondatezza del ricorso ritenendo, in via pregiudiziale, che gli atti del Governo, espressione dell'esercizio della protezione diplomatica, essendo atti politici stricto sensu, siano sottratti al sindacato del- l'autoritˆ giudiziaria e che, conseguentemente, attesa la non obbligatorietˆ del loro esercizio, la mancata attivazione del Governo attraverso tali provvedimenti non possa costituire fonte di danno. A questo proposito,  necessario evidenziare che l'orientamento seguito dal Consiglio di Stato risulta essere perfettamente in linea con quella che  stata l'impostazione seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza fino ad oggi (rectius, fino alla pronuncia della Cassazione). Secondo la concezione tradizionale, difatti, la protezione diplomatica costituisce un istituto del diritto internazionale volto alla protezione di un interesse diretto o di un diritto dello Stato che sia stato leso da un altro Stato attraverso un comportamento illecito tenuto nei confronti di un suo cittadino (5). Tale assunto  diretta conseguenza della concezione classica che nega rilevanza sul piano internazionale all'individuo ed ai suoi diritti; come  stato osservato (6), "lo Stato che agisce in protezione di (3) Disposizioni per la difesa della Marina mercantile italiana. (4) A titolo esemplificativo, l'art. 1 stabilisce che lo Stato italiano ha facoltˆ di Òlimitare o vietare la partecipazione al trasporto marittimo originato dal sistema economico nazionale in entrata ed uscita dai porti italiani alle compagnie di navigazione di quei Paesi che limitano la libertˆ di concorrenza nei traffici marittimi internazionali con misure quali riserve di traffico, concorrenza non commerciale, regolamentazioni portuali e fiscali preferenziali, regimi di controllo o doganali ed altre misure comunque idonee ad influire sulla scelta della bandiera e a determinare, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, una ripartizione o un controllo unilaterale dei trasporti marittimi. Analoghi provvedimenti possono essere adottati nei confronti delle compagnie di navigazione che, pur non appartenendo ai predetti Paesi, effettuano tuttavia il trasporto in virt delle misure da questi adottateÓ. (5) cos“ A. BASSU, La rilevanza dell'interesse individuale nell'esercizio della protezione diplomatica, Giuffr, 2008. (6) B. CONFORTI, Diritto internazionale, volume VIII, Editoriale scientifica. plomatica esercita un diritto di cui esso e non il suo suddito, , dal punto di vista dell'ordinamento internazionale, titolare. Lo Stato non agisce come rappresentante o mandatario dell'individuo". Da ci˜ discende la conseguenza per cui l'esercizio della protezione diplomatica da parte di uno Stato  assolutamente discrezionale; dunque, non esisterebbe un dovere internazionale di protezione da parte degli Stati nŽ la legittimazione ad agire degli stessi pu˜ essere in alcun modo influenzata. Questa prevalenza dell'interesse statale su quello individuale priva i cittadini di avere giustizia anche sul piano interno, lasciando ai governi la piena libertˆ nel condurre le trattative sul piano internazionale. Questa  stata anche l'impostazione seguita dalla giurisprudenza interna; a titolo esemplificativo, si menziona la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 2452 del 12 luglio 1969, in cui si legge che: "la preminenza assoluta degli interessi della collettivitˆ organizzata a Stato, che con tali atti vengono tutelati, vieta che nel compimento degli atti medesimi sia imposto il minimo limite alla discrezionalitˆ degli organi che li pongono in essere ... l'interesse del singolo rimane pienamente sacrificato di fronte all'interesse dello Stato inteso come collettivitˆ" (7). Non sono mancate, tuttavia, giˆ in passato, opinioni isolate secondo le quali agli individui spetterebbe il diritto di ottenere l'esercizio della protezione diplomatica da parte dello Stato; giˆ autorevole dottrina (Conforti) si  posta il problema se, dal punto di vista del diritto interno, il Governo non sia obbligato nei confronti dei suoi cittadini ad esercitare la protezione diplomatica. Se in passato le risposte a tali interrogativi sono state sempre negative, con la sentenza delle Sezioni Unite presa in esame si  verificata una vera e propria inversione di tendenza. Queste ultime, infatti, accogliendo il ricorso proposto dalla societˆ privata, annullano la decisione del Consiglio di Stato e rinviano nuovamente gli atti al Giudice Amministrativo per un nuovo giudizio. Dopo aver osservato che Òl'esclusione della giurisdizione in ordine all'adozione o meno degli atti prospettati quale fonte di danno sia ricondotta in via consequenziale all'interpretazione dell'istituto della c.d. protezione diplomatica in termini di atto politico, come tale sottratto tout court a qualsivoglia sindacato giurisdizionale" conclude la Corte che "il rigetto della domanda risarcitoria motivato dal difetto di giurisdizione per la pretesa natura politica dell'attivitˆ lesiva - al cospetto di una espressa previsione costituzionale (art. 113) che non consente tale declinatoria tout court - si risolve, nella sostanza, nel diniego, in astratto, di qualsivoglia posizione giuridica azionabile dal privato, id est nel sostanziale rifiuto da parte del GA di esercitare, secondo il dettato costituzionale, la propria giurisdizione. (...) Il diniego assoluto di giurisdizione in subiecta materia si risolve nellĠillegittimo diniego della sussistenza tout (7) Si pu˜ vedere anche la sentenza della Corte internazionale di Giustizia sul caso Barcelona Traction. court di qualsivoglia posizione soggettiva giuridicamente tutelata rispetto al mancato esercizio dei poteri attribuiti alle Amministrazioni dello Stato (...). In ordine all'illegittimo esercizio sussistono, pertanto, inalienabili posizioni soggettive di interesse legittimo (assimilabili alle legitimate expectations previste e tutelate in Common law in ordine all'esercizio di poteri derivanti, come nella specie, dal diritto internazionale consuetudinario), rispetto alle quali si pone al di fuori dei limiti della potestas iudicandi dell'organo di giustizia amministrativa il diniego assoluto di tutela giurisdizionale che, viceversa, attesa la giˆ rilevata consistenza giuridica delle predette posizioni, deve ritenersi devoluta a quell'autoritˆ giudiziaria". Il riconoscimento da parte della Corte di una posizione giuridica soggettiva rispetto all'esercizio della protezione diplomatica costituisce, come ricordato, una novitˆ particolarmente rilevante nel nostro ordinamento; allo stesso tempo, tuttavia, si presentano all'interprete una serie di interrogativi. Difatti, non entrando le S.U. nel merito della risarcibilitˆ di detto interesse nel caso concreto (8), ma rimandando gli atti al Giudice amministrativo, viene spontaneo chiedersi quali siano i limiti entro i quali l'autoritˆ giudiziaria possa accordare il risarcimento del danno per la lesione dell'interesse dell'individuo rispetto all'esercizio della protezione diplomatica da parte dello Stato: o ancora meglio, quand' che detto interesse possa dirsi leso? Solo in caso di mancato esercizio della protezione diplomatica o anche nell'ipotesi in cui le misure adottate dal Governo vengano giudicate inadeguate al caso di specie? Una risposta affermativa a quest'ultimo interrogativo introdurrebbe la possibilitˆ di entrare nel merito dell'attivitˆ di Governo sul piano internazionale. Bisogna riconoscere, tuttavia, come  stato autorevolmente osservato (9), che con questa pronuncia la Cassazione mostra di conoscere bene gli sviluppi della giurisprudenza internazionale sul tema; in particolare, nell'ambito di alcuni sistemi giuridici nazionali si  registrata una nuova tendenza che sembrerebbe orientarsi verso il riconoscimento di un diritto individuale di promuovere un ricorso interno, mirante al controllo giurisdizionale della decisione da parte di uno stato di agire o meno in protezione diplomatica (10). Difatti, l'analisi comparativa della giurisprudenza degli Stati europei pi recente (11) conduce ad alcuni importanti sviluppi in tema di protezione diplomatica, nella misura in cui alcune Corti interne rilevano l'operativitˆ di alcuni (8) Senza contare che la sentenza non ha affrontato neanche la questione, pure importante, del previo esaurimento dei ricorsi interni prevista dal diritto internazionale come presupposto necessario affinchŽ uno Stato possa agire in protezione diplomatica. (9) P. PUSTORINO, Protezione diplomatica e interesse legittimo dell'individuo, in Rivista di diritto internazionale, volume XCV 1/2012, pp. 156-159. (10) cos“, L. PANELLA, La protezione diplomatica, sviluppi e prospettive, Giappichelli. (11) Ad es. Corte Costituzionale tedesca, caso Hess del 16 dicembre 1980 in cui si afferma che Ògli organi della Repubblica Federale hanno il dovere (compito) costituzionale di fornire protezione ai cittadini tedeschi e ai loro interessi negli stati stranieriÓ. limiti al potere discrezionale dello Stato, che si manifestano in primo luogo nel diritto dell'individuo di attivare un ricorso interno mirante al controllo giurisdizionale della decisione statale; il fondamento di tale controllo viene spesso rinvenuto nell'esistenza di norme costituzionali o legislative che consentono un esame giurisdizionale delle decisioni assunte a livello governativo. In secondo luogo, sono stati enucleati alcuni indici, quali l'adeguatezza e la proporzionalitˆ rispetto al caso di specie (o, ancora, la ragionevolezza e la non arbitrarietˆ che devono essere rispettati dagli organi governativi sia in riferimento alla decisione di intervenire sia in relazione all'entitˆ dell'intervento (12)), sulla base dei quali  possibile valutare il contenuto dell'azione statale in protezione diplomatica, con riferimento all'importanza degli interessi individuali violati; tale giurisprudenza ha tuttavia specificato che tali interessi possono subire un contemperamento in virt di superiori esigenze di politica estera ed  dato, comunque, rilevare il perdurare di un atteggiamento di deferenza degli organi giurisdizionali nei confronti dell'esecutivo; anche quelle corti che hanno dedotto l'esistenza di un obbligo costituzionale di protezione dei cittadini all'estero, hanno tuttavia ammesso che non si pu˜ imporre al Governo l'adozione di misure specifiche nella condotta delle relazioni internazionali, se non al rischio di ledere il principio della separazione dei poteri (13). Inoltre,  necessario sottolineare che, nei casi citati, il riconoscimento di un diritto dell'individuo affinch lo Stato agisca in protezione diplomatica avviene, per lo pi, quando si tratti di violazioni compiute dallo Stato straniero incidenti sui diritti umani; ci si domanda, dunque, se l'intervento del Governo in protezione diplomatica sia necessario e possa essere sottoposto ad un sindacato giurisdizionale anche nel caso in cui il privato, anzichŽ un diritto umano, faccia valere un interesse di tipo economico, come nel caso portato all'attenzione della Suprema Corte. In definitiva, dal momento che parametri di riferimento per l'indagine sul contenuto dell'azione statale non sono stati individuati dalla Suprema Corte, si resta in attesa di conoscere l'esito del giudizio riassunto dinanzi al Consiglio di Stato. (12) Per citarne alcuni: Corte d'appello dell'Aja sentenza 22 novembre 1984; Court of Appeal britannica nel caso Abbasi. (13) L. PANELLA, op. cit.. Cassazione civile, Sez. Un., sentenza 19 ottobre 2011 n. 21581 -Primo Pres. f.f. Vittoria, Rel. Travaglino, P.M. Iannelli (difforme) - ÒIl tuo viaggioÓ S.r.l. (avv.ti Aloisio e Gallo) c. Presidenza Consiglio dei Ministri, Ministero infrastrutture e trasporti, Ministero affari esteri (avv. gen. Stato). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La s.r.l. "Il Tuo Viaggio" contesta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero degli affari esteri la mancata attivazione dell'istituto della protezione diplomatica volta a sostenere le richieste dell'istante, che svolgeva attivitˆ di collegamento marittimo tra l'Italia e il Marocco, all'esito del rigetto dell'autorizzazione all'esercizio (o al suo mantenimento) della linea gestita ai sensi della L. n. 433 del 1985. 1.1. L'odierna ricorrente espone che, adito il Tar Lazio per ottenere la convocazione della commissione italo-marocchina e il risarcimento dei danni per l'inerzia dello Stato italiano nel non attivare i principi di reciprocitˆ e difesa della marina mercantile nazionale, si vide rigettare il ricorso per mancanza di nesso eziologico tra la condotta omissiva italiana e il danno lamentato, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato che, nel dicembre 2009, ritenne, in via pregiudiziale, che il mancato esercizio della protezione diplomatica non potesse costituire, ipso facto, fonte di danno, attesa la non obbligatorietˆ ex lege del suo esercizio (attingendo il suo pi intimo contenuto ai rapporti tra Stati in guisa di incensurabile atto politico), confermando poi, nel merito, la giˆ riconosciuta (in prime cure) impredicabilitˆ di un nesso di causalitˆ giuridicamente rilevante tra condotta omissiva ed evento di danno. 2. La sentenza del Consiglio di Stato  stata impugnata dalla societˆ di navigazione con ricorso per cassazione sorretto da un unico, complesso motivo di gravame illustrato da memoria. 2.1. Resistono con controricorso la PdCdM, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quello degli affari esteri. 3. Lamenta la ricorrente la violazione, per falsa e mancata applicazione, degli artt. 24, 111, 113 Cost.; della L. 25 luglio 1985, n. 433; della L. 3 marzo 1987, n. 69, recante disposizioni per la difesa della marina mercantile italiana, in relazione al Decreto 3.9.1999 dell'allora ministero dei trasporti e della navigazione, ora ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 3.1. Il motivo  fondato. 3.1.1. La fondatezza della censura emerge dal sinergico esame del motivo di ricorso e delle ragioni addotte dalla difesa erariale per contrastarlo. 3.2. In limine, va osservato come, sia dalla motivazione della decisione oggi impugnata sia dalle obiezioni mosse a ricorso dall'Avvocatura oggi resistente, emerga che l'esclusione della giurisdizione in ordine all'adozione o meno degli atti prospettati quale fonte di danno sia ricondotta in via consequenziale alla interpretazione dell'istituto della c.d. "protezione diplomatica" in termini di atto politico, come tale sottratto tout court a qualsivoglia sindacato giurisdizionale, sia ordinario che amministrativo - salvo poi l'adozione, da parte del giudice amministrativo, di un decisum (anche) di merito sotto il profilo della causalitˆ (ritenuta nella specie insussistente) tra condotta ed evento di danno. 4. L'accertamento compiuto in via pregiudiziale da parte del C.d.S.  avvenuto, peraltro, non in via incidentale ma principale, non avendo gli atti oggetto del presente giudizio valenza autoritativa stricto sensu (onde, di essi, non sarebbe risultato legittimo l'annullamento, se richiesto), mentre il rigetto della domanda risarcitoria motivato dal difetto di giurisdizione per la pretesa natura politica dell'attivitˆ lesiva - a cospetto di una espressa previsione costituzionale (art. 113 Cost.) che non consente tale declinatoria tout court - si risolve, nella sostanza, nel di niego, in astratto, di qualsivoglia posizione giuridica azionabile dal privato, id est nel sostanziale rifiuto da parte del GA di esercitare, secondo dettato costituzionale, la propria giurisdizione. 4.1. Correttamente e condivisibilmente evidenzia, pertanto, il ricorrente come il diniego assoluto di giurisdizione in subiecta materia si risolva nell'illegittimo diniego della sussistenza tout court di qualsivoglia posizione soggettiva giuridicamente tutelata rispetto al mancato esercizio dei poteri attribuiti alle Amministrazioni dello Stato dalla L. n. 433 del 1985 e dalla L. n. 69 del 1987: onde la irredimibile violazione degli artt. 24 e 113 della Carta fondamentale. 4.2 Censurabile risulta dunque la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di qualificare la posizione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente con riferimento all'istituto della protezione diplomatica - che, secondo la definizione contenuta nell'art. 1 del relativo progetto adottato dalla Commissione del diritto internazionale (e fatta propria dalla Corte Internazionale di Giustizia con la sentenza 24.5.2007, Sadio Diallo), consiste nella contestazione da parte di uno Stato (attraverso un'attivitˆ diplomatica o altri mezzi di risoluzione delle controversie) della responsabilitˆ di altro Stato per un danno causato da un fatto illecito (sul piano internazionale) ad una persona fisica o giuridica che abbia la nazionalitˆ del primo Stato al fine di attivare consequenzialmente tale responsabilitˆ - opinando che l'esercizio dei poteri di cui alla L. n. 69 del 1987, art. 1 potesse ascriversi ad una incensurabile attivitˆ di politica estera sottratta integralmente al vaglio della giurisdizione: cos“ omettendo del tutto di considerare che i poteri in discorso (dapprima attribuiti al Ministero della marina mercantile, poi trasferiti a quello delle infrastrutture e dei trasporti) sono esercitati, su proposta (non di un organo politico, bens“) di una commissione tecnica al fine di difendere la marina mercantile nazionale e di disciplinare i traffici commerciali marittimi per la tutela dell'interesse nazionale, poteri il cui contenuto esula del tutto dal novero degli atti politici stricto sensu, trattandosi viceversa di atti di (alta) amministrazione rientranti nell'esercizio di una pi specifica politica marittimo-mercantile nazionale. 5. In ordine all'illegittimo esercizio - ovvero, come nella specie, al mancato esercizio di tali poteri - sussistono, pertanto, inalienabili posizioni soggettive di interesse legittimo (assimilabili alle legittimate expectations previste e tutelate in Common law in ordine all'esercizio di poteri derivanti, come nella specie, dal diritto internazionale consuetudinario), rispetto alle quali si pone al di fuori dei limiti (negativi) della potestas iudicandi dell'organo di giustizia amministrativa il diniego assoluto di tutela giurisdizionale che, viceversa, attesa la giˆ rilevata consistenza giuridica delle predette posizioni, deve ritenersi devoluta a quell'autoritˆ giudiziaria. 6. Gli ulteriori argomenti spesi in sentenza (in ordine alla causalitˆ e al danno) non possono costituirne, nel caso di specie, idonea e autosufficiente ratio decidendi, degradando piuttosto, ipso facto, a rango di meri obiter dicta, attesa la pregiudiziale declinatoria assoluta di potestas iudicandi da parte del giudice adito. Il ricorso  pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza oggi impugnata. Va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. La causa deve, pertanto, essere rinviata dinanzi al Consiglio di Stato. Alla disciplina delle spese del giudizio di cassazione provvederˆ il giudice dinanzi al quale il processo  rinviato. P.Q.M. La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Consiglio di Stato. La dialettica dei distinti: il diritto di recesso nellĠofferta fuori sede CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 3 GIUGNO 2013 N. 13905 Francesco Maria Ciaralli* SOMMARIO: 1. Il caso concreto. - 2. Lo jus poenitendi nellĠofferta fuori sede: genesi e successivi sviluppi. - 3. Dal contrasto giurisprudenziale alla pronuncia delle Sezioni Unite. 4. La ermeneutica rilevanza della littera legis. - 5. Tutela del risparmiatore ÒsorpresoÓ quale ratio della disciplina. - 6. Il principio di eguaglianza e il diritto di recesso secondo le Sezioni Unite. - 7. La recente novella: adesione o limite alla giurisprudenza di legittimitˆ? - 8. Rilievi conclusivi. Nelle pagine che seguono si affronta il tema dellĠestensione del perimetro applicativo dello jus poenitendi nelle ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari, che ha di recente formato oggetto di una rilevante decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (1). La rilevanza della decisione  altres“ acuita dal fatto che il Governo della Repubblica, pochi giorni dopo il deposito della sentenza,  intervenuto in via dĠurgenza a disciplinare la medesima materia in senso solo parzialmente conforme a quanto statuito dalle Sezioni Unite (2). La sentenza in commento costituisce il punto di emersione degli orientamenti della Suprema Corte in tema di interpretazione teleologica e costituzionalmente orientata, rivestendo dunque una portata generale al di lˆ della specifica materia incisa dalla pronuncia (3). 1. Il caso concreto. La controversia, da cui scaturisce la pronuncia delle Sezioni Unite, ha per oggetto la sottoscrizione di obbligazioni da parte di un risparmiatore, avvenuta a seguito dellĠattivitˆ sollecitatoria svolta fuori sede da un promotore finanziario della Banca Mediolanum s.p.a. Rivelatesi inesigibili le obbligazioni a causa del sopravvenuto fallimento dellĠemittente, il cliente al dettaglio ha convenuto la Banca dinanzi al Tribunale di Palermo domandando la restituzione delle somme investite. LĠattore (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) Cass. civ. SS.UU. 3 giugno 2013, n. 13905, in Il Caso.it, I, 9083. (2) LĠart. 56 quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto decreto Òdel fareÓ, convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98, disciplina lo jus poenitendi nellĠofferta fuori sede. Per la trattazione del rapporto tra la novella legislativa e la sentenza delle Sezioni Unite si rinvia al paragrafo 7 di questa nota. (3) Nella sentenza de qua le Sezioni Unite fanno diretta applicazione, nei rapporti interprivati, dellĠart. 3 Cost. La relazione intercorrente tra il diritto al ripensamento ed il principio di eguaglianza  oggetto di trattazione nel par. 6 del presente scritto, cui si rimanda. ha dedotto la nullitˆ dellĠacquisto per diverse ragioni, inter alia per lĠomessa previsione nel contratto del diritto di recesso che lĠart. 30, sesto comma, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nel prosieguo Tuf, attribuisce allĠinvestitore in strumenti finanziari collocati fuori sede dallĠintermediario. La domanda dellĠattore  stata accolta in primo grado (Trib. Palermo, 18 luglio 2007, in www.ilcaso.it) con sentenza confermata in appello (C. App. Palermo, 6 luglio 2010, in www.ilcaso.it), in virt della considerazione secondo cui il lemma ÒcollocamentoÓ non ha, per quanto concerne il diritto di recesso, unĠaccezione tecnica tale da determinarne la sicura identificazione con il servizio di collocamento in senso proprio, come individuato dallĠart.1, quinto comma, lett. c), Tuf. A seguito del ricorso del soccombente, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, rilevata la sussistenza in dottrina e giurisprudenza di opinioni diverse circa il perimetro applicativo delle disposizioni suindicate, ha sollecitato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, le quali hanno respinto il ricorso pronunciando la sentenza qui in commento (4). 2. Lo jus poenitendi nellĠofferta fuori sede: genesi e successivi sviluppi. La vigente disciplina concernente il diritto di recesso costituisce lĠesito di un processo di stratificazione normativa, la cui ricognizione si rende necessaria al fine di determinare lĠambito applicativo dello jus poenitendi nellĠofferta fuori sede. LĠart. 30, comma sesto, Tuf,  infatti il risultato di due autonome disposizioni che per esigenze strutturali sono confluite nella medesima norma. La prima disposizione si rinviene nellĠart. 18 ter, comma 2, l. 7 giugno 1974, n. 216, in virt del quale lĠefficacia dei contratti stipulati mediante vendita a domicilio ed aventi per oggetto valori mobiliari era sospesa per la durata di cinque giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione. Entro il termine suindicato lĠacquirente aveva facoltˆ di comunicare al venditore o al suo agente il proprio recesso senza corrispettivo(5); inoltre, tale facoltˆ doveva essere riprodotta nei contratti stessi i quali, se stipulati in violazione di quanto stabilito nellĠart. 18 ter, erano nulli (6). La ratio della norma era pianamente e diffusamente rinvenuta nellĠesigenza di differenziare il regime protettivo dellĠinvestitore che motu proprio si fosse (4) Per ulteriore approfondimento del caso, si rinvia a CIVALE, Diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche allĠeterogenesi dei fini, in dirittobancario.it, 2013 e NIGRO, Le Sezioni Unite e la vis expansiva della disciplina dello jus poenitendi, in corso di pubblicazione in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, fasc. n. 12. (5) Autorevole dottrina riteneva che il diritto di ripensamento inserisse a tutti i contratti conclusi porta a porta, prescindendo da ogni indagine concernete il servizio di investimento eventualmente prestato. Si veda, ex multis, ALPA, Lo Çjus poenitendiÈ, in BESSONE-BUSNELLI (a cura di), La vendita Òporta a portaÓ, Milano, 1992, p. 143 ss. recato presso la sede della controparte, al fine di stipulare il contratto, da quello dellĠinvestitore che, fatto oggetto di attivitˆ sollecitatoria, fosse stato indotto a contrarre in conseguenza di unĠiniziativa proveniente dal venditore stesso. In tale ultima ipotesi, infatti, lĠinvestitore era esposto al rischio di essere Òcolto di sorpresaÓ dalla proposta della controparte, sicchŽ nella valutazione del legislatore si rendeva necessario accordare un ulteriore spatium deliberandi onde consentire allĠinvestitore di ponderare la propria decisione. LĠattribuzione del diritto di recesso si configurava quindi come misura idonea a riequilibrare le posizioni contrattuali delle parti contraenti, al fine di neutralizzare lo squilibrio cagionato dalla peculiare intrusivitˆ che connotava la vendita a domicilio. In seguito, si  proceduto allĠintroduzione, senza alcun coordinamento con la disposizione suindicata, dellĠart. 8, comma 1, lett. c), l. 2 gennaio 1991, n. 1, che ha sancito il diritto di recesso per il cliente in relazione al contratto di gestione di patrimoni concluso sia in sede sia fuori sede. Tale disposizione  poi confluita nellĠart. 20, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, il quale, con riferimento ai contratti di gestione di portafogli, ha accordato al cliente il diritto di ripensamento per sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione in caso di offerta fuori sede. I due filoni citati sono stati poi riuniti nel d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, il cui art. 30 unitariamente disciplina sia lĠofferta fuori sede che il diritto di recesso. La confusio delle due disposizioni nellĠart. 30 Tuf implica la necessitˆ di ricostruire gli elementi costitutivi della fattispecie di offerta fuori sede e del diritto di recesso, al fine di appurare se tra le due previsioni normative vi sia identitˆ di perimetro applicativo ovvero un rapporto di genus ad speciem. Secondo lĠopzione ricostruttiva unanimemente accolta in dottrina (7), lĠofferta fuori sede di strumenti finanziari costituisce fattispecie complessa al cui perfezionamento concorrono, alla stregua dellĠart. 30, comma primo, Tuf, gli (6) La sospensione dellĠefficacia dei contratti stipulati a seguito di vendita a domicilio  a sua volta il portato di un complesso processo evolutivo. Esso trae origine dalla prassi, posta in essere dalle reti di vendita a partire dalla metˆ degli anni Ġ70 del secolo scorso, di offrire prodotti finanziari alternativi ai titoli azionari ed obbligazionari, quali quote di fondi comuni immobiliari e certificati di partecipazione. Tale prassi si connotava dunque per una duplice atipicitˆ, relativa sia al canale distributivo (diverso dallo sportello bancario) sia al titolo distribuito, sicchŽ emerse nellĠordinamento mobiliare la lacuna consistente nella circostanza che lĠofferta al pubblico dei titoli atipici esulava dalle competenze della Consob nonchŽ, per quanto riguarda il canale distributivo, dalle attribuzioni di controllo delle Autoritˆ creditizie. Il legislatore intervenne sulla materia attraverso la l. 23 marzo 1983, n. 77, modificativa della l. 7 giugno 1974, n. 216, con cui, da un lato, venivano estese le competenze di controllo delle Autoritˆ di settore e, dallĠaltro, si disciplinava il collocamento porta a porta dei valori mobiliari, con conseguente previsione del diritto di recesso onde riequilibrare le posizioni contrattuali di acquirente e venditore. Per unĠanalitica disamina di tale processo normativo si veda CARBONETTI, Lo jus poenitendi nellĠofferta fuori sede di prodotti finanziari, in Banca bor. tit. cr., 2001, p. 770 ss. (7) Ex multis, PARRELLA, Offerta fuori sede, in FRATINI, GASPARRI (a cura di), Il testo unico della finanza, I, p. 489 ss. e CARBONETTI, op. cit., p. 775. elementi costitutivi di seguito individuati. In primo luogo si richiede che venga posta in essere, presso il pubblico, unĠattivitˆ di promozione e collocamento, avente per oggetto strumenti finanziari ovvero servizi e attivitˆ di investimento. Tale attivitˆ deve essere svolta, al fine dellĠintegrazione della fattispecie, in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze del proponente lĠinvestimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento. Inoltre, onde distinguere lĠofferta fuori sede dalla diversa ipotesi di promozione e collocamento a distanza di servizi e attivitˆ dĠinvestimento e strumenti finanziari,  altres“ necessario che lĠofferta sia svolta mediante tecniche di contatto che implicano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente o di un suo incaricato, secondo il combinato disposto dellĠart. 30, primo comma, e dellĠart. 32, primo comma, Tuf (8). Costituisce elemento negativo della fattispecie la qualifica dellĠinvestitore come cliente professionale, difettando in tal caso lĠesigenza di garanzia che presiede alla disciplina sullĠofferta fuori sede (9). Non  qui dĠuopo esaminare partitamente gli elementi costitutivi menzionati, basti solo porre in evidenza che la locuzione Òpromozione e collocamentoÓ, come impiegata nel comma primo dellĠart. 30 Tuf per definire lĠofferta fuori sede, non costituisce unĠendiadi, con la conseguenza che anche la sola promozione, qualora concorra con gli ulteriori elementi qualificativi indicati, integra unĠipotesi di offerta fuori sede (10). Tale circostanza  rilevante ai fini della distinzione tra la fattispecie generale di offerta fuori sede, definita nel primo comma, e la previsione avente per oggetto specifico il diritto di recesso accordato al risparmiatore dal sesto comma del medesimo art. 30 Tuf. Il legislatore, infatti, nel conferire lo jus poenitendi, non menziona disgiuntivamente la promozione e il collocamento di strumenti finanziari, bens“ fa esclusivo riferimento ai contratti conclusi fuori sede, a differenza di quanto rilevato supra circa la nozione generale di offerta fuori sede. Inoltre il sesto comma dellĠart. 30, anzichŽ riferirsi come il primo comma a servizi e attivitˆ di investimento tout court promossi o collocati in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dellĠintermediario, individua due fattispecie cui accede lo jus poenitendi: il collocamento di strumenti finanziari nonchŽ la gestione di portafogli individuali. (8) LĠart. 32 Tuf si limita a commettere alla Consob lĠonere, sentita la Banca dĠItalia, di disciplinare con regolamento la promozione e il collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di servizi e attivitˆ di investimento e di prodotti finanziari. (9) PARRELLA, op. cit., p. 492 s. (10) In tal senso, PARRELLA, op. cit., p. 489 s. nonchŽ CARBONETTI, loc.ult.cit. Per quanto concerne la distinzione tra promozione e pubblicitˆ, si rinvia a RABITTI BEDOGNI, Le offerte fuori sede e a distanza di strumenti finanziari dopo il d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, in Il diritto del mercato mobiliare, a cura di RABITTI BEDOGNI, Milano, 1997, p. 210, ivi si qualifica come promozione lĠattivitˆ prodromica alla stipula del contratto, la quale implica che siano individuati i contenuti del negozio e le modalitˆ della sua conclusione. SicchŽ parte della giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria hanno ravvisato una discrasia tra lĠambito applicativo del diritto di recesso e quello pi ampio della disciplina concernente lĠofferta fuori sede (11). La distonia tra primo e sesto comma dellĠart. 30 Tuf si fonda, secondo autorevole dottrina, proprio sul processo di stratificazione normativa in esito al quale sono state congiunte in un medesimo articolo due disposizioni diverse per genesi ed effetti (12). La formulazione della norma di risulta ha dato adito ad un contrasto giurisprudenziale circa la delimitazione del perimetro applicativo dello jus poenitendi, oggetto del paragrafo che segue. 3. Dal contrasto giurisprudenziale alla pronuncia delle Sezioni Unite. LĠorientamento prevalente accolto dalla giurisprudenza di merito valorizza lĠesigenza di tutelare il risparmiatore dallĠÒeffetto sorpresaÓ potenzialmente scaturente dallĠofferta fuori sede di strumenti finanziari. Tale esigenza non emerge (11) Ex multis, SANTOSUOSSO, Jus poenitendi e servizi di investimento: la tutela dell`investitore dallĠÒeffetto sorpresaÓ, in Banca bor. tit. cr., 2008, II, p. 776 s.; CHIEPPA MAGGI, sub art. 30, in CAMPOBASSO (diretto da), Testo unico della finanza, Commentario, Torino, 2002, p. 271; CENDON (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Torino, 2004, p. 60. Contra, GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, Padova, 1990, p. 166 ss., ancorchŽ con riferimento alla disciplina di cui allĠart. 18 ter, comma 2, l. 7 giugno 1974, n. 216. Per quanto concerne la giurisprudenza di merito, lĠinterpretazione restrittiva del diritto di recesso rispetto alla fattispecie di offerta fuori sede  fatta propria da Trib. Parma 14 maggio 2007 e App. Brescia 27 settembre 2007, entrambe in www.ilcaso.it. Contra, lĠorientamento estensivo  stato seguito nelle seguenti pronunce: Trib. Parma 20 dicembre 2011, in www.dirittobancario.it; Trib. Bologna 15 aprile 2009, in www.ilcaso.it; Trib. Modena 6 marzo 2009, ivi; Trib. Forl“ 13 gennaio 2009, in Contratti, 2009, 401; Trib. Milano 17 aprile 2007, in Giur. it., 2007, 2815; Trib. Bologna 17 aprile 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Benevento 26 ottobre 2005, in Banca borsa e tit. cred., 2008, 753; Trib. Rimini 28 aprile 2007, in www.ilcaso.it; Trib. Roma 20 luglio 2006 e 14 settembre 2006, ivi; Trib. Pescara 9 maggio 2006, in Giur. Mer., 2007, 1276; Trib. Parma 17 gennaio 2006, in www.giuemilia.it; Trib. Mantova 10 dicembre 2004, in Contratti, 2005, 604; App. Palermo 2 luglio 2010, in Giur. it., 2010, 868. (12) CIVALE, Diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche allĠeterogenesi dei fini, in dirittobancario.it, 2013, p. 5 s. UnĠaltra opinione contesta che la diversitˆ genetica delle disposizioni sia tale da impedire unĠestensione del diritto di recesso oltre i contratti espressamente menzionati dal legislatore, in virt della considerazione secondo cui il sostantivo ÒcollocamentoÓ  impiegato nella norma come sinonimo di Òdecisione dĠinvestimentoÓ, sicchŽ nulla osta alla sua applicazione anche con riferimento ai servizi dĠinvestimento diversi da quelli indicati. La ragione di tale opinione sta in ci˜: che il servizio di collocamento, inteso in senso proprio, postula un contratto tra emittente ed intermediario e non tra intermediario ed investitore, come invece richiesto dal sesto comma dellĠart. 30 Tuf, per cui il lemma collocamento, agli effetti della disciplina sullĠofferta fuori sede, deve necessariamente interpretarsi in senso atecnico, come mera decisione di investimento (LA ROCCA, LĠÒofferta fuori sede di strumenti finanziariÓ in cassazione e lĠart. 56 quater del d.l. Òdel fareÓ, in Il Caso.it, 2013). Tale indirizzo non  accolto da chi ritiene che la norma sul diritto di recesso scaturisca autonomamente dalla tutela approntata sin dal 1991 per i contratti di gestione di portafogli, e che il riferimento al collocamento di strumenti finanziari si motivi in forza della standardizzazione delle condizioni contrattuali che connota le operazioni di collocamento (CIVALE, op. cit., p. 7 ss.). solo con riferimento alle fattispecie di collocamento e gestione di portafogli individuali, bens“ ogniqualvolta un investitore non professionale venga indotto a contrarre fuori dei locali deputati allo svolgimento dellĠattivitˆ negoziale. Riveste valore paradigmatico di tale indirizzo giurisprudenziale la sentenza pronunciata dal Tribunale di Bologna il 17 aprile 2007, avente per oggetto un contratto di negoziazione di strumenti finanziari tramite promotori finanziari (13). Secondo tale decisione il ÒcollocamentoÓ, ai sensi dellĠart. 30 Tuf,  divisato come offerta ad un destinatario collettivo pi o meno ampio, configurandosi di conseguenza come mero prodromo del negozio specifico di acquisto integrato dal contratto di negoziazione. Corollario di tale ricostruzione  che i moduli relativi al contratto di negoziazione devono recare menzione del diritto di recesso riservato al risparmiatore, sotto comminatoria di nullitˆ ex art. 30, comma settimo, Tuf. Il Tribunale di Genova, invece, con sentenza pronunciata il 16 gennaio 2007, nonostante rilevi che Òla formulazione del testo non  ottimaleÓ, ha escluso lĠapplicabilitˆ dello jus poenitendi oltre le fattispecie espressamente individuate dal legislatore, in virt del principio di tassativitˆ che connota le ipotesi di nullitˆ cui la mancata indicazione del diritto di recesso nel contratto concluso fuori sede dˆ origine. Si evidenzia inoltre come vi sia una Òincompatibilitˆ oggettivaÓ tra la sospensione di efficacia del negozio e le esigenze connesse allĠimmediata esecuzione degli ordini di acquisto e vendita di strumenti finanziari (14). A conferma dellĠorientamento da ultimo menzionato, la giurisprudenza di legittimitˆ ha ripetutamente statuito la non coincidenza tra il perimetro applicativo della fattispecie generale di offerta fuori sede e quello specificamente relativo al diritto di recesso (15). In particolare, la Corte di Cassazione ha rilevato che lo jus poenitendi Ǐ stato stabilito per i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al comma 1, lett.a), nonchŽ limitatamente a quella parte dei servizi di investimento che riguarda la gestione di portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini pi contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie dellĠofferta fuori sede delineata nel primo comma dellĠart. 30È (16). (13) Trib. Bologna 17 aprile 2007, in Banca bor. tit. cr., 2008, II, p. 776 ss. con nota di SANTOSUOSSO. (14) Trib. Genova 16 gennaio 2007, in Banca bor. tit. cr., loc. ult. cit. (15) Si fa riferimento alle seguenti sentenze: Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, in Societˆ, 2012, p. 779 ss., con nota di GUFFANTI, Il diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede; nonchŽ Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilprocessocivile.com. (16) Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit.; contra Cass. civ. SS.UU., 3 giugno 2013, n. 13905, cit., ove si solleva Çil dubbio che nellĠintero art. 30 lĠespressione ÒcollocamentoÓ sia stata adoperata dal legislatore con un significato pi ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi dĠinvestimentoÈ. Le Sezioni Unite hanno recentemente modificato lĠindirizzo in precedenza seguito dalla giurisprudenza di legittimitˆ (17); i motivi addotti per argomentare lĠestensione del diritto di recesso oltre le ipotesi espressamente prese in considerazione dal legislatore si sostanziano in due considerazioni convergenti. Da un lato, si ritiene che il sostantivo ÒcollocamentoÓ ed il verbo ÒcollocareÓ siano impiegati in modo promiscuo nellĠart. 30 Tuf, s“ da non inibire unĠinterpretazione che estenda il diritto di recesso ad ogni ipotesi di compravendita e sottoscrizione fuori sede. DallĠaltro lato, la ratio della disposizione  rinvenuta dalla Corte nella posizione di vulnerabilitˆ in cui si trova il cliente al dettaglio qualora lĠoperazione dĠinvestimento si sia perfezionata al di fuori della sede dellĠintermediario, indipendentemente dal servizio di collocamento prestato. Le menzionate rationes decidendi concernenti la delimitazione del diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede sollevano rilevanti perplessitˆ, partita- mente oggetto dei paragrafi che seguono. 4. La rilevanza ermeneutica della littera legis. Il processo ermeneutico in esito al quale le Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione che lĠart. 30 Tuf contiene unĠunica nozione, peraltro atecnica, di collocamento, non coincidente con il servizio di collocamento propriamente inteso,  articolabile in due fasi. Anzitutto il primo comma dellĠarticolo 30 menziona, onde definire la nozione di offerta fuori sede rilevante agli effetti della norma, inter alia la promozione ed il collocamento presso il pubblico di servizi e attivitˆ dĠinvestimento, beninteso in luogo diverso dalla sede o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o lĠattivitˆ. La Corte osserva che il servizio di collocamento in senso proprio Çsembra concepibile solo se avente ad oggetto dei prodotti finanziari da altri emessi o offerti in vendita, non invece se ad esser collocati siano a loro volta altri servizi dĠinvestimento di vario genere È. Di conseguenza si inferisce che il lemma collocamento sia stato impiegato dal legislatore in unĠaccezione atecnica, al fine di ricomprendere ogni forma di sollecitazione che lĠintermediario rivolga ai propri clienti affinchŽ questi si avvalgano del servizio dĠinvestimento loro proposto. Il secondo, e decisivo, passaggio consiste nellĠidentificare tout court, stante la medesima esigenza di protezione sottesa ad entrambe le disposizioni, il perimetro applicativo del primo con quello del sesto (e settimo) comma dellĠart. 30 Tuf. Esito di tale processo  lĠestensione del diritto di recesso, nonchŽ della comminatoria di nullitˆ nellĠipotesi in cui tale diritto non sia previsto, a tutti i contratti concernenti servizi dĠinvestimento promossi o conclusi fuori sede. Ma proprio qui emergono talune criticitˆ della ricostruzione proposta. (17) Cass. civ. SS.UU., 3 giugno 2013, n. 13905, cit. In primo luogo, il sesto comma dellĠart. 30 fa riferimento ai soli contratti conclusi fuori sede, con ci˜ espressamente restringendo il campo applicativo di tale disposizione rispetto al primo comma (18). Inoltre, come osserva la Cassazione 22 marzo 2012, n. 4564, la menzione dei contratti di gestione di portafogli individuali, accanto a quelli di collocamento, rende palese che il legislatore non abbia voluto utilizzare unĠespressione residuale e generica, bens“ abbia analiticamente determinato il novero delle ipotesi cui  connesso il diritto di recesso (19). Strumento ermeneutico per interpretare la disposizione in parola  dunque lĠargomento a contrario, in virt del quale il sesto comma enumera solo alcuni dei servizi dĠinvestimento cui invece fa riferimento il primo comma proprio al fine di escludere gli altri. Tuttavia, anche a prescindere dai rilievi supra formulati, lĠinterpretazione di una proposizione normativa non pu˜ prescindere dallĠapplicazione dellĠart. 12 prel., il cui primo comma preclude lĠattribuzione ad una disposizione di Òaltro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esseÓ. Non  dunque agevole inferire che il legislatore - attraverso la locuzione Òcontratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sedeÓ - abbia inteso far riferimento a tutte le decisioni di investimento sollecitate da un intermediario che agisce fuori sede. Non si spiegherebbe, in tal caso, la ragione per la quale il legislatore avrebbe associato alla menzione di uno specifico servizio dĠinvestimento, quale la gestione di portafogli individuali, unĠespressione cos“ lata da ricomprendere tutti i servizi dĠinvestimento, ivi incluso quello espressamente nominato. LĠindicazione della gestione di portafogli dovrebbe dunque essere considerata come il mero portato di un processo di stratificazione normativa, ormai riassorbito nella residuale nozione di collocamento inteso come sinonimo di Òatto negoziale mediante il quale uno strumento finanziario viene fatto acquisire dal clienteÓ (20). Acquista a tal proposito rilievo lĠobiezione di chi, favorevole allĠestensione del diritto di recesso, invita ad essere consequenziali nellĠinterpretazione (18) Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, con nota di GUFFANTI, cit. (19) Alle medesime conclusioni pervengono SANTOSUOSSO, op. cit., p. 776 e CARBONETTI, op. cit., p. 779; contra LA ROCCA, op. cit., p. 5 ss. (20) Occorre rilevare che autorevole dottrina (LA ROCCA, loc. ult. cit.) sostiene la portata espansiva del diritto di recesso proprio in considerazione del dato storico. Secondo tale indirizzo, infatti, la locuzione Òpromozione e collocamentoÓ  promiscuamente utilizzata dal legislatore per intendere qualsiasi decisione di investimento sollecitata fuori sede, ci˜ dovendosi alla prassi di denominare proprio Òpromozione e collocamentoÓ lĠattivitˆ fuori sede svolta dalla banca. Contra CIVALE, loc. ult. cit., ove si mette in luce che lĠinterpretazione estensiva non tiene conto del processo di stratificazione normativa di cui lĠart. 30 Tuf  il risultato, al quale hanno contribuito come affluenti sia il filone normativo disciplinante la vendita a domicilio sia quello disciplinate la gestione di patrimoni, cui era in origine riconnesso il diritto di recesso indifferentemente nellĠipotesi in cui il relativo contratto fosse concluso in sede o fuori. della littera legis, sicchŽ il lemma ÒcollocamentoÓ non potrebbe farsi coincidere con il servizio di collocamento, in quanto nellĠart. 30 il legislatore si riferisce al contratto concluso tra intermediario e risparmiatore anzichŽ a quello intercorrente tra emittente ed intermediario, connotante il collocamento inteso quale servizio dĠinvestimento (21). Tale opinione non priva comunque di valore la considerazione secondo cui - attraverso la locuzione Òcontratti di collocamento di strumenti finanziariÓ - il legislatore ha inteso far riferimento a quei contratti conclusi tra intermediario e risparmiatore, a condizioni standardizzate, in conseguenza del servizio di collocamento che lega lĠintermediario e lĠemittente gli strumenti finanziari collocati (22). LĠosservazione da ultimo indicata sarˆ meglio chiarita alla luce della ratio legis, di cui la successivo paragrafo. 5. Tutela del risparmiatore ÒsorpresoÓ quale ratio della disciplina. Qualora non si ritenesse lĠinterpretazione letterale idonea a fugare i dubbi, sollevati da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, sulla portata applicativa dellĠart. 30, comma 6, Tuf, un argomento ancora pi pregnante pu˜ trarsi dallĠinterpretazione teleologica della disposizione in commento (23). Punto di partenza pu˜ essere la considerazione, svolta dalle Sezioni Unite, secondo cui Çneanche la normale fissitˆ del prezzo di collocamento di stru (21) LA ROCCA, op. cit., p. 6. (22) é interessante notare come la citata dottrina, dopo aver considerato equivoco e promiscuo il dato letterale emergente dallĠart. 30 Tuf, proponga, quale replica allĠindirizzo attento alla littera legis, unĠinterpretazione letterale - sia consentita lĠespressione -pi realista del re, in virt della quale il fenomeno collocamento  come dimidiato, considerandosi solo lĠaspetto che lega lĠintermediario allĠemittente e non quello che lega il medesimo intermediario al risparmiatore. é palese, stante lĠintera impostazione dellĠart. 30 ed a fortiori quella del sesto comma, che il legislatore intenda riferirsi a quei rapporti negoziali che coinvolgono il cliente al dettaglio, nella norma in oggetto conseguenti ad una operazione di collocamento di strumenti finanziari. Tale ultima conclusione  stata da tempo fatta propria dalla migliore dottrina, ex multis, PARRELLA, op. cit., p. 494 ss. nonchŽ SANTOSUOSSO, loc. ult. cit.. é altres“ degna di nota lĠosservazione secondo cui la disposizione che accorda il diritto di recesso non pu˜ considerarsi come avente effetti eccezionali, in quanto i contratti coinvolgenti il consumatore trovano la loro regola generale nel codice del consumo anzichŽ nel codice civile. Conseguenza di tale opinione  che il diritto di recesso stabilito a tutela del consumatore  suscettibile di applicazione analogica, ai sensi dellĠart. 12 prel., secondo comma (LA ROCCA, op. cit., p. 11 s.). A prescindere dalla condivisione di tale posizione, resta impregiudicato il fatto che le Sezioni Unite non hanno applicato analogicamente lo jus poenitendi, bens“ hanno senzĠaltro sostenuto che la locuzione Òcontratti di collocamento di strumenti finanziariÓ comprende qualsiasi atto negoziale mediante il quale uno strumento finanziario viene fatto acquisire dal cliente. Accede ad una diversa ricostruzione la Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit., la quale valorizza ÇlĠesigenza di privilegiare una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali della disposizioneÈ. (23) LĠanalisi della ratio legis  considerata prevalente nella pronuncia delle Sezioni Unite rispetto allĠinterpretazione letterale, stante la conclusione per cui il sostantivo ÒcollocamentoÓ  impiegato in senso atecnico e promiscuo nellĠart. 30 Tuf. Contra Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065, cit. e Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564, cit. le quali fanno prevalente affidamento sulla littera legis al fine di ricostruire la norma in commento. menti finanziari in pendenza dellĠofferta al pubblico basta del tutto ad escludere la possibilitˆ che nel medesimo lasso di tempo (É) si determinino oscillazioni di valore in grado dĠinfluenzare la decisione dellĠinvestitore di recedere dallĠacquistoÈ. Di conseguenza, si conclude che - potendo ricorrere oscillazioni di valore anche con riferimento alle condizioni standardizzate proprie del servizio di collocamento - viene a cadere lĠinterpretazione che vorrebbe il diritto di recesso limitato a tale servizio proprio in ragione della normale fissitˆ del prezzo di collocamento. Tale ricostruzione si rivela invero ellittica, poichŽ non priva di valore lĠopinione secondo cui il diritto di recesso  riconosciuto per i soli contratti di collocamento - oltrechŽ di gestione di portafogli individuali - specificamente in virt della Ònormale fissitˆÓ delle condizioni contrattuali, tale da minimizzare il rischio di comportamenti opportunistici nelle more del termine riservato al ripensamento (24). Il rischio suddetto  preso in considerazione dalle Sezioni Unite, le quali ritengono che esso possa comunque Çessere neutralizzato invocando il principio generale di buona fede, che deve presidiare qualsiasi rapporto contrattuale, ma non vale certo a negare il fondamento stesso sul quale il riconoscimento di quel diritto riposaÈ. Tuttavia, come rilevato da autorevole dottrina (25), il principio di buona fede oggettiva non vale a paralizzare, nel caso di specie, la fruizione del diritto di recesso sulla base di un giudizio di convenienza economica. Dovendosi, infatti, declinare la buona fede oggettiva anzitutto come osservanza di un comportamento ragionevole, non infrange detto principio generale chi esercita lo jus poenitendi in ipotesi di riduzione del margine di convenienza economica della propria operazione di investimento (26). Del pari  chiaro che, in tale fattispecie, il diritto di recesso non garantisce il ripensamento del risparmiatore Òcolto di sorpresaÓ, bens“ consente una seconda valutazione, successiva alla conclusione del contratto, circa la profittabilitˆ dellĠinvestimento, peraltro riservata dalla legge ad una sola delle parti contraenti. Le Sezioni Unite affrontano, sia pure incidentalmente, lĠargomento suindicato, allorchŽ presentano come conseguenza inevitabile dellĠaccresciuta tutela del cliente al dettaglio un sacrificio per lĠintermediario, comunque compensato dai vantaggi che questi si ripromette di ottenere attraverso un sistema di com (24) Per quanto concerne la Ògestione di portafogli individuali conclusi fuori sedeÓ, lĠattribuzione del diritto di recesso  frutto di un separato filone normativo, ÒconfusoÓ con le norme sullĠofferta fuori sede a cagione di esigenze sistematiche. Per la ricostruzione storica del diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede si veda CIVALE, op. cit., p. 2. (25) DOLMETTA, MINNECI, MALVAGNA, Il Çius poenitendiÈ tra sorpresa e buona fede: a proposito di Cass. SS.UU. N. 13905/2013, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 16, p. 5. (26) Eloquentemente MAFFEIS, Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facoltˆ di recesso, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 15, 2013, p. 3, si riferisce alla buone fede oggettiva come ad un Ògrande principio, dunque, ma che, forse, desinit in piscemÓ. mercializzazione capillare Òpi aggressivoÓ qual  lĠofferta fuori sede. Tuttavia la variabilitˆ cui sono esposti i prezzi degli strumenti finanziari, unitamente alle difficoltˆ dĠutilizzare il principio di buona fede come argine ad un uso opportunistico del diritto di recesso, fa emergere il bilanciamento al di lˆ del mero dato letterale, comunque assai eloquente - in virt del quale il legislatore ha circoscritto il diritto di recesso alle sole fattispecie analiticamente enumerate (27). Inoltre, nelle ipotesi di collocamento in senso proprio nonchŽ di gestione di portafogli individuali, il risparmiatore compie lĠinvestimento contestualmente alla sottoscrizione del contratto, risultando di conseguenza esposto allĠ Òeffetto sorpresaÓ nel caso in cui il negozio sia concluso fuori sede. Al contrario, i contratti di negoziazione e trasmissione di ordini, ancorchŽ stipulati fuori sede, implicano, posteriormente alla loro conclusione, autonome manifestazioni di volontˆ del risparmiatore il quale  dunque sottratto al rischio di non poter maturare adeguatamente la decisione di investimento (28). La valutazione costi-benefici del diritto di ripensamento induce, altres“, a stigmatizzarne lĠestensione a tutti i servizi dĠinvestimento. La sospensione di efficacia del contratto per un periodo di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione postula, infatti, un ritardo nellĠesecuzione dellĠinvestimento programmato difficilmente compensato dal vantaggio in termini di maggiore tutela del risparmiatore. Autorevole dottrina arguisce che il regime di responsabilitˆ gravante sugli intermediari per lĠattivitˆ posta in essere dai promotori finanziari, di cui allĠart. 31, comma terzo, Tuf, unitamente alle regole di vigilanza cui sono soggetti gli stessi promotori, costituisce strumento idoneo a proteggere il risparmiatore dallĠaggressivitˆ della vendita Òporta a portaÓ, senza incorrere nei ritardi cagionati dai sette giorni del periodo di moratoria (29). 6. Il principio di eguaglianza e il diritto di recesso secondo le Sezioni Unite. Gli argomenti svolti dalle Sezioni Unite nella pronuncia sullo jus poenitendi non si limitano a contestare lĠunivocitˆ del dato letterale nŽ la ricostruzione teleologica in precedenza elaborata dalla stessa Corte, ma si spingono ad affermare lĠestensione del diritto di recesso a tutte le decisioni dĠinvestimento, beninteso sollecitate fuori sede, sulla base del dettato costituzionale. (27) Autorevole dottrina evidenzia come lĠestensione del diritto di recesso oltre il perimetro espressamente delineato dal legislatore sia suscettibile di provocare una vera e propria eterogenesi dei fini della norma sullo jus poenitendi (CIVALE, op. cit., p. 7 ss.). (28) SANTOSUOSSO, op. cit., p. 776 s., ove si nota altres“ che, qualora lĠinterpretazione estensiva venisse accolta, il periodo di moratoria potrebbe essere abbreviato solo da unĠesplicita manifestazione di volontˆ del risparmiatore nel cui interesse  stabilito. Tale manifestazione di volontˆ si renderebbe necessaria onde evitare i ritardi connessi alla sospensione di efficacia del contratto, con ci˜ comportando un aggravio degli oneri per lĠinvestitore. (29) CARBONETTI, op. cit., p. 785 s. Affermata lĠequivocitˆ della proposizione normativa formulata nel sesto comma, il Giudice di legittimitˆ sostiene che il medesimo Òeffetto sorpresaÓ presente nel caso di collocamento fuori sede si ripresenta anche per tutti gli altri servizi dĠinvestimento, sicchŽ agli investitori esposti allo stesso rischio deve essere garantita la stessa tutela. Nello specifico, Çmilita in tal senso la difficoltˆ di giustificare, anche sul piano costituzionale, una disparitˆ di trattamento tra lĠipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata sulla diversa tipologia di servizio dĠinvestimento reso dallĠintermediario, quando (É) del tutto analoga  la situazione di maggiore vulnerabilitˆ in cui viene comunque a trovarsi il cliente per il fatto stesso che lĠofferta lo raggiunge fuori dalla sede dellĠintermediario o degli altri soggetti indicati dal primo comma del citato art. 30È(30). Tale ancoraggio costituzionale suscita invero numerosi e gravi dubbi. é lecito anzitutto obiettare che sovente si  fatto uso in giurisprudenza del principio di eguaglianza come argomento retorico, volto a ÒcorroborareÓ lĠopera ricostruttiva. DĠaltro canto, vi  chi ritiene che la decisione in commento costituisca applicazione necessaria dellĠart. 3 Cost., allorchŽ attribuisce il medesimo trattamento giuridico a decisioni di investimento aventi le medesime caratteristiche indipendentemente dal servizio di investimento in esito al quale sono assunte (31). Invero, la modalitˆ con cui la Corte di Cassazione ha fatto riferimento, in conclusione delle motivazioni, al piano costituzionale, quale parametro che Òmilita a favoreÓ dellĠipotesi ricostruttiva accolta, induce a ritenere che il principio di eguaglianza sia impiegato come argomento ad adiuvandum, al fine di confermare la posizione assunta. Inoltre, ancorchŽ si considerasse lĠart. 3 della Costituzione quale parametro decisivo del giudizio, permarrebbero comunque rilievi di carattere sostanziale. In primo luogo pu˜ affermarsi che - proprio in virt della normale fissitˆ delle condizioni di offerta nellĠipotesi di collocamento - vi sia una cesura di carattere qualitativo tra il servizio di collocamento e gli altri servizi di investimento, posto che per il primo pu˜ essere attribuito il diritto di recesso in favore della controparte non professionale e pi debole proprio perchŽ ricorre un contenuto rischio di comportamenti opportunistici, tali altrimenti da snaturare la finalitˆ per cui lo jus poenitendi  stato accordato. La valorizzazione dellĠart. 3 Cost. apre altres“ un profilo pi generale di compatibilitˆ tra lĠinterpretazione costituzionalmente orientata della legge, co (30) La Corte di Cassazione fa riferimento al principio di eguaglianza in senso formale, cio alla paritˆ di trattamento a fronte di posizioni analoghe. Per lĠesame della valenza di tale principio, si rinvia a BALDASSARRE, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997, Cap. I, ove viene messa in luce la preminenza che, nella gerarchia dei valori elaborata dalla Corte costituzionale,  stata costantemente annessa agli interessi sottesi allĠart. 3 Cost., considerato quale norma di chiusura dellĠordinamento costituzionale. (31) LA ROCCA, op. cit., p. 7. gente negli Stati aventi costituzione rigida, ed il rispetto delle scelte operate dal legislatore. Nel caso di specie, benchŽ il sesto comma dellĠart. 30 Tuf espressamente circoscriva il diritto di recesso solo ad alcuni servizi dĠinvestimento, le Sezioni Unite - privando di valore il dato letterale per privilegiare unĠautonoma ricostruzione della ratio conforme a Costituzione - hanno esteso lo jus poenitendi a tutti i servizi dĠinvestimento, ci˜ che equivale alla creazione in via pretoria di una norma nuova. La decisione in commento induce a domandarsi quale sia il confine tra lĠattivitˆ ermeneutica, ancorchŽ espansiva, e la spendita di poteri additivi, nel nostro ordinamento riservati alla Corte Costituzionale. 7. La recente novella: adesione o limite alla giurisprudenza di legittimitˆ? La decisione delle Sezioni Unite non ha lasciato inerte il Governo che, pochi giorni dopo il deposito della sentenza, ha varato il decreto legge cosiddetto Òdel fareÓ attraverso il quale  stata modificata la disciplina del recesso nellĠofferta fuori sede. In particolare, lĠart. 56 quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98, ha disposto quanto segue: ÒAll'articolo 30, comma 6, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dopo il secondo periodo  aggiunto il seguente: ÇFerma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1Ħ settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)ÈÓ. In questa sede si tralasciano le considerazioni concernenti lĠimpiego della decretazione dĠurgenza oltre i limiti sanciti dal Costituente (art. 77 Cost.) (32), volendosi invece evidenziare le implicazioni della reazione legislativa scaturita dallĠintervento nomofilattico. Il legislatore, accordando il diritto di recesso anche nellĠipotesi di negoziazione per conto proprio, ha prima facie accolto le motivazioni in base alle quali la Corte di Cassazione ha da ultimo superato il tenore letterale dellĠart. 30, sesto comma, Tuf. Tuttavia, ad un pi attento esame, emerge che il Giudice di legittimitˆ ha enucleato nella sentenza de qua un ben pi vasto principio di diritto, in virt del quale le decisioni di investimento conseguenti a sollecitazione svolta fuori sede sono assistite dal diritto di recesso a prescindere dal servizio dĠinvestimento in esito al quale sono assunte. Posta in tali termini la questione, si fa palese come il legislatore abbia inteso circoscrivere gli effetti della pronuncia delle Sezioni Unite solo allĠimmediato oggetto di essa, con la conseguenza che  inibita in via normativa la potenziale estensione del dictum giurisprudenziale a tutti i servizi dĠinvestimento (33). (32) Su tali aspetti si veda, ancorchŽ incidentalmente, LA ROCCA, op. cit., p. 9 s.. (33) é agevole fare uso dellĠargomento a contrario, in virt del quale lĠanalitica enumerazione di taluni servizi dĠinvestimento esclude gli altri. In tale contesto non  fuori luogo sostenere che il legislatore sia Òcorso ai ripariÓ, ponendo tuttavia in essere un intervento che solleva notevoli problemi di coordinamento. Infatti, la statuizione per cui la novella si applica solo ai contratti sottoscritti a decorrere dal 1Ħ settembre 2013 rende arduo attribuire natura interpretativa alla norma in esame, stante la retroattivitˆ che ordinariamente connota le disposizioni a contenuto interpretativo. Di conseguenza, si configurano due regimi giuridici distinti aventi per oggetto il diritto di recesso nellĠofferta fuori sede, il cui spartiacque  costituito dalla data 1Ħ settembre 2013. I contratti sottoscritti anteriormente a tale data soggiacciono alla disciplina enucleata dalle Sezioni Unite, sicchŽ in tali ipotesi il diritto di recesso assiste ogni atto negoziale mediante il quale uno strumento finanziario viene fatto acquisire dal cliente. I contratti conclusi posteriormente alla data spartiacque sono invece soggetti alla nuova disciplina legislativa, per cui il diritto di recesso si applica esclusivamente a taluni servizi dĠinvestimento, nella specie: i) negoziazione per conto proprio; ii) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dellĠemittente; iii) collocamento senza assunzione a fermo nŽ assunzione di garanzia nei confronti dellĠemittente; iv) gestione di portafogli. é lecito il dubbio che la novella, per le modalitˆ di formulazione, anzichŽ contribuire alla certezza del diritto abbia incrementato, almeno per il periodo di sopravvivenza della previgente disciplina, le difficoltˆ applicative. Risulta infatti eloquente lĠopinione di chi giˆ propone, in alternativa alla questione di legittimitˆ costituzionale, lĠinterpretazione analogica della novella medesima proprio sulla base del principio di eguaglianza onde conseguire comunque, anche per il periodo successivo al 1Ħ settembre 2013, gli effetti estensivi assicurati dalla pronuncia delle Sezioni Unite (34). 8. Rilievi conclusivi. La sentenza in commento pu˜ essere a ragione considerata il punto di emersione della scelta legislativa di far convivere nella medesima disposizione due norme distinte per genesi ed effetti. Tale  il caso della disciplina sullĠofferta fuori sede e di quella sullo jus poenitendi, riunite per esigenze sistematiche nellĠart. 30 Tuf ancorchŽ siano scaturite da due vicende storiche diverse (35). La conseguenza di tale riunione  il contrasto dottrinale e giurisprudenziale che ha indotto la pronuncia delle Sezioni Unite, comunque rivelatasi non risolutiva al punto da determinare il Governo ad intervenire con decreto legge pochi giorni dopo il deposito della sentenza. Il recente intervento normativo conferma lĠinterpretazione tendente a re (34) Cos“ LA ROCCA, op. cit., p. 15. (35) Per la ricostruzione storica del diritto di recesso nellĠofferta fuori sede si veda CARBONETTI, op. cit., p. 770 ss. nonchŽ CIVALE, op. cit., p. 2 s. stringere il diritto di recesso alle sole ipotesi tassativamente enunciate: il legislatore, infatti, statuendo che Òresta fermaÓ lĠapplicazione del diritto di ripensamento al servizio di collocamento ed a quello di gestione di portafogli, rende palese che proprio a tali servizi dĠinvestimento si riferisce lĠart. 30 Tuf con lĠespressione Òcontratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestioni di portafogli individualiÓ. SicchŽ per estendere lĠapplicazione di tale disposizione anche al servizio di negoziazione per conto proprio  necessario un apposito intervento legislativo, in quanto tale servizio non  evidentemente giˆ compreso nella locuzione sopra riportata. A conferma di tale conclusione il legislatore stabilisce che lĠapplicazione dello jus poenitendi al servizio di negoziazione per conto proprio non  retroattiva, bens“ ha come dies a quo il 1Ħ settembre 2013; corollario di tale disposizione  che lĠintervento normativo in commento - anche a prescindere dal dibattito sulla natura innovativa ovvero interpretativa della novella - esclude che in precedenza tale servizio dĠinvestimento fosse incluso nellĠart. 30, sesto comma, Tuf. LĠart. 56 quater, d.l. Òdel fareÓ, quindi, se da un lato recepisce il dispositivo delle Sezioni Unite con riferimento al suo oggetto specifico (la negoziazione per conto proprio), dallĠaltro lato priva di valore il principio di diritto enunciato nelle motivazioni, con la conseguenza di restringere il diritto di recesso alle sole fattispecie analiticamente enumerate. Si spera, di conseguenza, che il recente intervento sia idoneo a sopire, almeno per il futuro, il contrasto di opinioni che ha diviso dottrina e giurisprudenza sul diritto di ripensamento nellĠofferta fuori sede. Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 3 giugno 2013 n. 13905 -Primo Pres. ff. Luccioli, Est. Rordorf, P.M. Apice (difforme) - Banca Mediolanum S.p.a. (avv.ti Siggia e Danisi) c. B.S. (avv. Todaro). Il diritto di recesso accordato allĠinvestitore dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, comma 6, e la previsione di nullitˆ dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo comma 7, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dellĠintermediario sia intervenuta nellĠambito di un servizio di collocamento prestato dallĠintermediario medesimo in favore dellĠemittente o dellĠofferente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio dĠinvestimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela. [Massima ufficiale] SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 26 maggio 2005 il sig. B.S. cit˜ in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo la Banca Mediolanum s.p.a. (in prosieguo indicata come Mediolanum) riferendo di aver sottoscritto, a seguito delle sollecitazioni di un promotore di detta banca, obbligazioni emesse dalla societˆ G.S.F. per il prezzo complessivo di Euro 49.560,00. Ci˜ premesso, e premesso altres“ che le obbligazioni erano poi risultate di fatto inesigibili a causa del sopravvenuto fallimento dell'emittente, l'attore dedusse la nullitˆ dell'acquisto per diverse ragioni, tra cui la mancata previsione nel contratto del diritto di recesso che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, comma 6, (conosciuto come testo unico della finanza ed in prosieguo indicato con la sigla tuf) attribuisce all'investitore in strumenti finanziari collocati dall'intermediario al di fuori della propria sede. Chiese, pertanto, che la banca convenuta fosse condannata a restituirgli le somme investite. La domanda fu accolta in primo grado e la pronuncia del tribunale venne poi confermata in secondo grado dalla Corte d'appello di Palermo con sentenza resa pubblica il 6 luglio 2010. La corte palermitana, infatti, ritenne che lo jus poenitendi previsto dalla citata disposizione dell'art. 30, comma 6, del tuf e la nullitˆ dei contratti che non contemplino la clausola di recesso, sancita dal successivo settimo comma dello stesso articolo, trovino applicazione non solo nel caso di offerta pubblica di strumenti finanziari dei quali l'intermediario abbia curato il collocamento per esserne stato incaricato dall'emittente o dall'offerente, ma anche in ogni altro caso di negoziazione di tali strumenti al di fuori dalla sede dell'intermediario: ragione per la quale il contratto di cui si discute in causa, per essere valido, avrebbe dovuto prevedere la facoltˆ di recesso dell'acquirente nei sette giorni successivi alla stipulazione. Avverso tale sentenza la Mediolanum ha proposto ricorso per cassazione dolendosi, sotto diversi profili, della ritenuta applicabilitˆ al caso di specie delle citate disposizioni dell'art. 30 del tuf che, a suo giudizio, nel menzionare i "contratti di collocamento" (oltre alla gestione di portafogli), farebbe riferimento alle sole operazioni ricollegabili all'espletamento del servizio di collocamento, quale definito dal precedente art. 1, comma 5, lett. c), ossia all'offerta al pubblico di strumenti finanziari effettuata dall'intermediario in esecuzione di un contratto da esso stipulato con l'emittente o con l'offerente, su incarico e per conto di quest'ultimo ed alle condizioni da lui indicate. L'intimato si  difeso con controricorso. La prima sezione civile, con ordinanza n. 10376 del 2012, avendo rilevato l'esistenza in dottrina ed in giurisprudenza di opinioni diverse sulla portata delle disposizioni normative sopra menzionate ed avendo stimato comunque che la questione sia di massima di particolare importanza, ne ha sollecitato la rimessione alle sezioni unite. Il ricorso  stato perci˜ assegnato alle sezioni unite e discusso all'odierna udienza. Entrambe le parti hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La questione sulla quale le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi investe, come giˆ accennato, l'interpretazione da dare all'art. 30 del tuf, il cui sesto comma prevede che l'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi al di fuori della sede dell'intermediario autorizzato sia sospesa per la durata di sette giorni, decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore, e che entro il medesimo termine l'investitore possa comunicare il proprio recesso, senza spese n corrispettivo, al promotore finanziario o all'intermediario. Occorre inoltre che tale facoltˆ di recesso sia espressamente indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore e nelle proposte contrattuali effettuate fuori sede, ed il successivo settimo comma commina la sanzione della nullitˆ, deducibile solo da parte del cliente, per i contratti che questa indicazione non rechino. L'interrogativo che la presente causa pone  se la nozione di "contratti di collocamento", cui la citata disposizione si riferisce ed ai quali quindi si applica la prescrizione concernente l'inserimento a pena di nullitˆ della clausola di recesso in favore del cliente, sia da intendere come circoscritta ai contratti strettamente connessi e conseguenti alla prestazione del "servizio di collocamento", menzionato dall'art. 1, comma 5, lett. c) (ed ora anche lett. c bis), del tuf, o se invece comprenda qualsiasi operazione in virt della quale l'intermediario offra in vendita a clienti non professionali strumenti finanziari al di fuori della propria sede, anche nell'espletamento di servizi d'investimento diversi, quali ad esempio quelli di negoziazione o di esecuzione di ordini enunciati all'art. 1, stesso comma 5, lett. a) e b). In argomento la giurisprudenza di merito si  in passato divisa, ma in due precedenti occasioni, nelle quali si discuteva della validitˆ dell'acquisto di strumenti finanziari operato a seguito di ordini impartiti da clienti nel quadro di contratti d'intermediazione finanziaria in precedenza stipulati con l'intermediario, questa corte ha affermato che il diritto di recesso previsto a favore dell'investitore per i contratti conclusi fuori sede e la connessa sanzione della nullitˆ in caso di mancata comunicazione all'investitore del suindicato diritto di recesso sono circoscritti ai soli contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali, trattandosi di una disciplina peculiare che, come tale, non potrebbe essere applicata alla diversa ipotesi di contratti concernenti la prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari oppure di raccolta e trasmissione di ordini (Cass. n. 2065 del 2012 e n. 4564 del 2012). Rispetto a tale orientamento pu˜ sembrare per certi versi distonica un'ulteriore decisione, assunta nello stesso torno di tempo in una particolare fattispecie (Cass. n. 1584 del 2012), che, tuttavia, non ha affrontato in modo esplicito la questione ora in esame. Tali pronunce non hanno sopito il dibattito in dottrina, ed anche questo ha indotto ad investire le sezioni unite della questione. 2. Per dare una risposta corretta al quesito  indispensabile una breve premessa ed una sintetica ricognizione delle norme che rilevano ai fini della risoluzione del problema. 2.1. I servizi d'investimento finanziario, com' noto, sono alquanto minuziosamente elencati nell'art. 1, comma 5, del tuf, dalla lett. a) sino alla g). Al tempo dei fatti di causa, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 164 del 2007, l'elenco si arrestava alla lett. c), e non comprendeva la lett. c bis), ma tali innovazioni normative non sono particolarmente interessanti ai fini della risoluzione della presente vertenza. Di maggiore interesse  osservare come, tra detti servizi, quello di collocamento figuri indicato distintamente (lett. c, ed ora anche lett. c bis), sia rispetto alla negoziazione per conto proprio ed all'esecuzione di ordini per conto dei clienti (prima denominata negoziazione per conto terzi: lett. a e b) sia rispetto alla ricezione e trasmissione di ordini (lett. e). Mentre, nel caso della negoziazione per conto proprio, l'intermediario si pone come controparte diretta del cliente nell'acquisto o nella vendita di strumenti finanziari, normalmente destinata ad aver luogo sul mercato secondario, nel caso dell'esecuzione di ordini d'acquisto o vendita impartitigli dal cliente egli opera sul medesimo mercato in veste di mandatario, oppure, nel caso della ricezione e trasmissione di ordini, quale mero tramite delle disposizioni del cliente in rapporti di compravendita destinati ad intercorrere tra quest'ultimo e soggetti terzi. Tutte queste situazioni, peraltro, implicano l'instaurazione di rapporti individuali tra intermediario e cliente, nell'interesse del quale l'intermediario stesso  tenuto ad operare. Il servizio di collocamento si caratterizza invece per essere prestato dall'intermediario in favore del soggetto che emette gli strumenti finanziari, o che comunque li offre in vendita al pubblico, di regola sul mercato primario, onde  con quest'ultimo soggetto che l'intermediario medesimo anzitutto instaura un rapporto contrattuale e nell'interesse del quale presta il servizio (che assuma o meno egli stesso un impegno diretto di acquisto o una qualche forma di garanzia), addossandosi il compito di promuovere l'acquisto da parte dei terzi investitori degli strumenti finanziari offerti in vendita o in sottoscrizione. Naturalmente, perch il collocamento abbia poi effettivamente luogo, occorrerˆ pur sempre che esso metta capo alla stipulazione di ulteriori atti negoziali, mediante i quali gli strumenti finanziari da collocare sono acquistati o sottoscritti dagli investitori; ma in questo caso la vendita avviene all'esito di un'offerta al pubblico e, quindi, in base a condizioni predeterminate, senza di regola alcuno spazio di negoziazione individuale tra il collocatore e colui che aderisce all'offerta. 2.2. L'art. 30 del tuf (anch'esso oggetto di successive modifiche ad opera del citato D.Lgs. n. 164 del 2007, che qui non sono tuttavia rilevanti) disciplina la "offerta fuori sede", che storicamente deriva dalla figura della sollecitazione al pubblico risparmio c.d. a domicilio (o "porta a porta"), considerata dalla L. n. 1 del 1991, art. 1, lett. f), come un'autonoma attivitˆ d'intermediazione mobiliare (accanto alla negoziazione ed al collocamento di valori mobiliari, alla raccolta d'ordini, alla gestione di patrimoni ed alla consulenza), ed in seguito disciplinata, invece, giˆ dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 22, alla stregua di una particolare modalitˆ di svolgimento di servizi d'investimento diversi. Il citato art. 30, comma 1, definisce "offerta fuori sede" la promozione ed il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi ed attivitˆ di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio. 2.3. L'esame del citato art. 30 evidenzia subito come il sostantivo "collocamento" ed il verbo "collocare" sembrano adoperati nel primo comma in un'accezione non perfettamente coincidente con quella suggerita dalla nozione di "servizio di collocamento", cui sopra s' fatto cenno. Se, infatti, pu˜ essere coerente con quella definizione il parlare, nell'ipotesi considerata sub a), di collocamento di strumenti finanziari presso il pubblico, intendendosi con tale espressione l'attivitˆ di distribuzione al pubblico degli strumenti finanziari in base all'impegno in questo senso assunto dall'intermediario collocatore nei confronti dell'emittente o dell'offerente per il quale egli presta l'anzidetto servizio, meno agevole  ricondurre nel medesimo alveo il collocamento di servizi ed attivitˆ d'investimento di cui fa menzione la lett. b). Il servizio di collocamento in senso proprio, svolto dal collocatore in favore di un emittente o di un offerente, sembra concepibile solo se avente ad oggetto dei prodotti finanziari da altri emessi o offerti in vendita, non se invece ad esser "collocati" siano a loro volta altri servizi d'investimento di vario genere. Con riferimento a questi ultimi il collocamento fuori sede di cui parla il citato art. 30, comma 1, lett. b), sta quindi presumibilmente ad indicare ogni forma di sollecitazione che l'intermediario rivolga a propri clienti affinch questi si avvalgano del servizio d'investimento loro proposto, senza che tra l'offerente ed il collocatore del servizio vi sia un pregresso rapporto riconducibile alla figura giuridica del "servizio di collocamento" definito dalla precedenti giˆ citate disposizioni dell'art. 1, comma 5. Nasce da ci˜ il dubbio che nell'intero art. 30 l'espressione "collocamento" sia stata adoperata dal legislatore con un significato pi ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d'investimento. L'accennata ambiguitˆ terminologica  accresciuta dalle disposizioni dettate dal sesto e settimo comma del medesimo art. 30, che contemplano il giˆ ricordato jus poenitendi in favore del- l'investitore e la nullitˆ dei contratti di collocamento fuori sede che non prevedano il recesso. Anche a tal riguardo non pu˜ non rilevarsi come la menzione dei "contratti di collocamento" sia, se non imprecisa, quanto meno non del tutto univoca. Il servizio di collocamento, come si  appena ricordato,  infatti scomponibile in due fasi diverse, che entrambe danno vita a rapporti contrattuali: il primo che s'instaura tra l'emittente o l'offerente degli strumenti finan ziari da collocare, da un lato, e l'intermediario collocatore dall'altro; il secondo che si realizza in un momento successivo ed intercorre tra l'intermediario collocatore ed i singoli investitori disposti ad aderire all'offerta. In dottrina v' perci˜ chi ha distinto tra il "contratto per il servizio di collocamento", stipulato dall'emittente o offerente dei medesimi prodotti finanziari con l'intermediario che s'incarica della loro distribuzione sul mercato, ed il "contratto di collocamento", che  invece quello volto a disciplinare il rapporto tra l'intermediario distributore dei prodotti finanziari ed il cliente che li sottoscrive. é certo da escludere che lo jus poenitendi menzionato dal sesto comma del citato art. 30 riguardi la prima delle due figure contrattuali sopra accennate; appare viceversa evidente che esso si riferisce ai rapporti contrattuali intrecciati dall'intermediario collocatore, al di fuori della propria sede o dalle dipendenze dell'emittente o dell'offerente, con i destinatari dell'offerta, come dimostra il fatto che il diritto di recesso  espressamente previsto in favore dello "investitore", sicch anche il "cliente" legittimato a far valere la nullitˆ del contratto che non rechi la clausola di recesso altri non pu˜ essere se non il sottoscrittore o l'acquirente degli strumenti finanziari collocati (cio pubblicamente offerti in sottoscrizione o in vendita) fuori sede dall'intermediario. Resta per˜ da chiedersi se la portata delle disposizioni in tema di recesso e di eventuale nullitˆ sia circoscritta ai soli contratti stipulati fuori sede a mezzo di promotori da intermediari impegnati nella prestazione di veri e propri servizi di collocamento, quali sopra definiti (oltre che nel servizio di gestione di portafogli), oppure se anche qui, come giˆ s' visto a proposito della definizione dell'offerta fuori sede contenuta nel primo comma, la parola "collocamento" sia da intendere in un'accezione pi ampia ed in qualche misura atecnica, cio come sinonimo di qualsiasi operazione implicante la vendita all'investitore di strumenti finanziari, anche nel- l'espletamento di servizi d'investimento diversi (negoziazione, esecuzione, ricezione o trasmissione di ordini), se effettuata dall'intermediario al di fuori della propria sede. 3. Una risposta soddisfacente non sembra ricavabile dal mero dato letterale. Se  vero, infatti, che l'espressione "contratti di collocamento", figurante nel sesto comma del citato art. 30, pu˜ indurre intuitivamente a ritenere che il legislatore abbia inteso riferirsi a contratti la cui stipulazione sia legata alla prestazione del servizio di collocamento (e non ad altri, salvo la gestione di portafogli),  altres“ vero che, come si  giˆ dianzi osservato, nel medesimo articolo - o quanto meno nel suo primo comma - la parola "collocamento" ha anche sicuramente un'accezione che va al di lˆ della prestazione di quello specifico servizio. Il solo criterio d'interpretazione letterale non si rivela perci˜ decisivo. Neppure sembra dirimente il dato storico - che potrebbe far propendere per un'interpretazione restrittiva, derivando l'attuale normativa da esigenze di tutela manifestatesi originariamente nel campo della sollecitazione al pubblico risparmio, di cui il collocamento  un momento attuativo -, perch la disciplina ha conosciuto nel tempo un'evidente evoluzione, ed il primo comma dell'articolo in esame, bench rechi traccia di quell'origine (in particolare laddove fa menzione di "collocamento presso il pubblico") palesemente ne ha travalicato i limiti, com' agevole dedurre dal fatto che l'offerta fuori sede pu˜ oggi avere ad oggetto non solo prodotti finanziari, ma qualsiasi servizio d'investimento (art. cit. comma 1, lett. b). Difficile  anche trarre argomento dalla direttiva Europea n. 85/577, in tema di tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il cui art. 3 prevede s“ il diritto di recesso del consumatore, ma lo esclude per quelli aventi ad oggetto valori mobiliari (comma 2, lett. e). Tale direttiva cesserˆ comunque di essere in vigore a partire dal 13 giugno 2014, in forza di quanto disposto dall'art. 31 della successiva direttiva n. 2011/83, che all'art. 16, lett. b), espressamente esclude il diritto di recesso del consumatore per i contratti stipulati fuori dai locali commerciali aventi ad oggetto la fornitura di beni o servizi il cui prezzo sia legato a fluttuazioni nel mercato finanziario, quando siffatte fluttuazioni non siano controllabili da parte del professionista e possano verificarsi durante il periodo di recesso (analoga disposizione  contenuta nell'art. 6 della direttiva n. 65/2002, in tema di commercializzazione a distanza dei servizi finanziari, che ha trovato attuazione nell'art. 67 duodecies del codice del consumo). 4. é allora soprattutto alla ratio legis che conviene guardare, per intendere meglio il senso della norma e poterne definire, di conseguenza, la portata applicativa. Sulla ragion d'essere dello jus poenitendi di cui si discute le opinioni degli interpreti e degli studiosi sono sufficientemente univoche:  la circostanza che l'operazione d'investimento si sia perfezionata al di fuori dalle sede dell'intermediario a rendere necessaria una speciale tutela per l'investitore al dettaglio (la normativa non si applica agli investitori professionali, come chiarisce il secondo comma del citato art. 30), perch ci˜ significa che, di regola, l'iniziativa non proviene da lui. é logico cio presumere che, in simili casi, l'investimento non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia recato presso la sede dell'intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione, proveniente da promotori della cui opera l'intermediario si avvale; sollecitazione che, perci˜ stesso, potrebbe aver colto l'investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata. Il differimento dell'efficacia del contratto, con la possibilitˆ di recedere nel frattempo senza oneri per il cliente, vale appunto a ripristinare, a posteriori, quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato. Se questa, come pare difficilmente contestabile,  l'esigenza di tutela in vista della quale il legislatore ha introdotto la disciplina del recesso nei contratti di collocamento di strumenti finanziari stipulati fuori sede dall'intermediario,  arduo negare che la medesima esigenza si ponga non soltanto per le operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio, nell'accezione giˆ prima richiamata, ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso. La differenza tra le due descritte situazioni, in questa ottica, appare davvero poco significativa, specie ove si consideri che nel servizio di collocamento "con assunzione a fermo" l'intermediario piazza sul mercato prodotti finanziari rispetto ai quali la sua posizione ed il suo interesse alla vendita sono del tutto analoghi a quelli di una vendita in proprio. Il che avvalora l'opinione secondo cui la parola "collocamento", nel testo dell'articolo in esame,  da intendere in senso ampio, come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario vien fatto acquisire al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio (o, come nel linguaggio del mercato finanziario si usa dire, nel suo portafoglio), a prescindere dalla tipologia del servizio d'investimento che abbia dato luogo a tale operazione. 5. Nessuna delle obiezioni che potrebbero essere mosse - e che sono state mosse - a questa conclusione sembra davvero dirimente. Non lo  quella che fa leva sul fatto che nel vero e proprio collocamento l'offerta in vendita degli strumenti finanziari agli investitori ha luogo a condizioni uniformi e predeterminate, dovendo l'intermediario attenersi in proposito alle condizioni dettate dall'offerente, onde non v' di regola alcuno spazio per forme di negoziazione individuale che potrebbero invece essere presenti quando l'acquisto dei medesimi strumenti finanziari avvenga nell'ambito della prestazione di un servizio d'investimento diverso; n lo  la circostanza che, in questa seconda evenienza, l'acquisto normalmente si realizza in base alle previsioni di un c.d. contratto-quadro, in precedenza stipulato tra l'intermediario e l'investitore. Il fatto che il prezzo e le altre condizioni di vendita siano pi o meno predefiniti non toglie che si  comunque in presenza, di volta in volta, di una decisione d'investimento, di modo che solo quando l'investitore abbia assunto egli stesso l'iniziativa di recarsi presso la sede del- l'intermediario, o in un luogo di pertinenza del proponente,  lecito presumere che la sua scelta sia stata preceduta da una matura riflessione; e quando invece cos“ non sia, sussiste in ogni caso - indipendentemente dalla fissitˆ delle condizioni di vendita - il rischio che il medesimo investitore si sia trovato ad essere destinatario di una proposta che potrebbe averlo colto di sorpresa. S'intende, poi, che la disciplina del recesso di cui si sta parlando non pu˜ che riguardare i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l'investitore si trovi a sottoscrivere uno strumento finanziario offertogli dall'intermediario fuori sede, e non la stipulazione del c.d. contratto-quadro, che di per s non implica l'acquisto di strumenti finanziari ed  perci˜ sicuramente estranea alla nozione di "collocamento", sia pur latamente intesa. Nemmeno la circostanza che l'ordine di acquisto possa essere riconducibile ad un siffatto con- tratto-quadro, cio ad un pregresso impianto contrattuale volto a disciplinare in via generale le modalitˆ della prestazione del servizio, fa venir meno il rischio che il cliente venga colto di sorpresa, quando il singolo ordine sia frutto di una sollecitazione posta in essere dall'intermediario fuori dalla propria sede; ed  quel rischio che giustifica la giˆ ricordata esigenza della tutela supplementare apprestata dal citato art. 30, commi 6 e 7, del tuf. D'altronde, non va trascurato che parte della dottrina e la stessa autoritˆ di vigilanza (si veda la comunicazione della Consob n. DIN/12030993 del 19 aprile 2012, che pure si pronuncia in favore di un'interpretazione restrittiva della citata disposizione dell'art. 30) sono propense ad ammettere la possibilitˆ che anche nell'espletamento del servizio di collocamento si realizzi talvolta un rapporto di durata tra il prestatore del servizio ed il cliente, nel cui ambito le singole operazioni siano perci˜ disciplinate da un contratto-quadro; il che difficilmente per˜ basterebbe, stante il testo della norma, ad escludere in siffatti casi l'applicazione dello ius poenitendi agli specifici atti negoziali mediante i quali il collocamento fuori sede in concreto sia realizzato. Neppure il rilievo per cui durante il periodo di sospensione degli effetti del contratto le condizioni di mercato potrebbero mutare, prestandosi cos“ a comportamenti opportunistici da parte dell'investitore, sembra rivestire carattere decisivo ai fini della questione di cui si sta qui discutendo. Si consideri che neanche la normale fissitˆ del prezzo di collocamento di strumenti finanziari in pendenza dell'offerta al pubblico basta del tutto ad escludere la possibilitˆ che nel medesimo lasso di tempo (vuoi per fatti influenti in generale sull'andamento del mercato, vuoi per eventi riferibili alla situazione particolare dell'emittente) si determinino oscillazioni di valore in grado d'influenzare la decisione dell'investitore di recedere dall'acquisto. Ma, anche a prescindere da tale rilievo, va osservato che il rischio di un utilizzo non corretto del diritto di recesso potrˆ eventualmente, ove si dia il caso, essere neutralizzato invocando il principio generale di buona fede, che deve presidiare qualsiasi rapporto contrattuale, ma non vale certo a negare il fondamento stesso sul quale il riconoscimento di quel diritto riposa. D'altronde,  inevitabile che il riconoscimento di una maggior tutela in favore dell'investitore che acquista si traduca in una posizione meno vantaggiosa per l'intermediario che vende, ma questa  la naturale contropartita dei vantaggi che, su pi larga scala, lo stesso intermediario si ripromette di conseguire utilizzando per la vendita dei prodotti finanziari un sistema di commercializzazione capillare esterna, per certi versi pi aggressivo ("porta a porta"), anzich attendere che i clienti vengano ad acquistare quei medesimi prodotti in sede. 6. A favore di un'interpretazione estensiva della citata disposizione dell'art. 30 del tuf, che sia in grado di meglio assicurare la tutela del consumatore, militano d'altro canto i principi generali desumibili dallo stesso testo unico, sicuramente ispirati all'esigenza di effettivitˆ dell'indicata tutela, cui da ulteriore rinforzo la previsione dell'art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che, nel garantire "un livello elevato di protezione dei consumatori", per ci˜ stesso impone d'interpretare le norme ambigue nel senso pi favorevole a questi ultimi. Ma, soprattutto, milita in tal senso la difficoltˆ di giustificare, anche sul piano costituzionale, una disparitˆ di trattamento tra l'ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata sulla diversa tipologia di servizio d'investimento reso dall'intermediario, quando, per le ragioni giˆ sopra indicate, del tutto analoga  la situazione di maggiore vulnerabilitˆ in cui viene comunque a trovarsi il cliente per il fatto stesso che l'offerta lo raggiunge fuori dalla sede dell'intermediario o degli altri soggetti indicati dal primo comma del citato art. 30. 7. L'orientamento in precedenza espresso da questa corte sulla questione in esame non pu˜ essere dunque ulteriormente seguito ed occorre invece enunciare il principio secondo cui il diritto di recesso accordato all'investitore dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, comma 6, e la previsione di nullitˆ dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo comma 7, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell'intermediario sia intervenuta nell'ambito di un servizio di collocamento prestato dall'intermediario medesimo in favore dell'emittente o dell'offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d'investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela. 8. Alla stregua di tale principio il ricorso non appare meritevole di accoglimento. 9. Essendo stato il ricorso deciso sulla base di un orientamento diverso da quello in precedenza assunto da questa corte, appare equo compensare le spese del presente giudizio di legittimitˆ. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio. Cos“ deciso in Roma, il 14 maggio 2013. Indennizzabilitˆ dei danni da emotrasfusione a seguito di prestazione eseguita allĠestero CASSAZIONE, SEZ. LAVORO, SENTENZA 19 DICEMBRE 2013 N. 28435 La Corte di cassazione affronta per la prima volta ex professo la questione della indennizzabilitˆ, ai sensi della l. 210/92, dei danni da emotrasfusione eseguita all'estero in base ad autorizzazione della competente ASL ex art. 3, comma 5 l. 595/1985. Ad avviso della Corte, tali danni - ancorchŽ cagionati dall'operato di strutture sanitarie estere, per definizione sottratte al controllo delle autoritˆ italiane - sono comunque suscettibili di indennizzo; ci˜ in considerazione della natura solidaristica del beneficio, da accordarsi a prescindere dalla susssitenza, o meno, di responsabilitˆ delle strutture sanitarie nazionali. Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 19 dicembre 2013 n. 28435 -Pres. Lamorgese, Rel. Arienzo, P.M. Celentano (difforme) - Ministero Salute (avv. Stato Marina Russo) c. M.S. (avv. Brizzi). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 10.11.2009, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto dal Ministero della Salute avverso la decisione di prime cure con la quale, in accoglimento del ricorso proposto da M.C., era stata disposta la condanna del Ministero al pagamento, in favore del ricorrente, dell'indennizzo L. n. 210 del 1992, ex art. 2 in conseguenza di malattia contratta a seguito di trasfusioni e somministrazione di emoderivati effettuati nell'ambito di struttura sanitaria estera nel corso di ricoveri per interventi cardiochirurgici. La Corte del merito osservava che, sebbene il riferimento esplicito all'autoritˆ sanitaria riguardasse il solo caso delle vaccinazioni obbligatorie, l'interpretazione sistematica della norma consentiva di ritenerlo esteso anche alle ipotesi di contagio da HIV o di epatiti HCV contratte a seguito di trasfusioni o somministrazioni di emoderivati praticate all'estero. Secondo il giudice del gravame, deponevano in senso contrario all'estensione della tutela il riconoscimento dell'indennizzo anche agli operatori sanitari che avessero riportato danni per trasfusioni in occasione e durante il servizio nonch la previsione dell'obbligo per i medici di compilare una scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione praticata, certamente incompatibile, ai fini dell'accertamento del rapporto di causalitˆ, con i ricoveri presso strutture sanitarie di stati esteri, accertamento affidato ad organi sanitari italiani (Cass. 753/2005) e non erano ravvisabili profili di incostituzionalitˆ, in quanto la collettivitˆ assumeva su di s le conseguenze dannose unicamente di trasfusioni e somministrazione di emoderivati praticate nelle strutture sanitarie dello Stato, posto che l'evento dannoso era comunque indipendente da decisioni assunte dalla collettivitˆ nel proprio interesse come nelle vaccinazioni obbligatorie e che, pertanto, dovesse valere una limitazione di carattere territoriale. Osservava che, tuttavia, il principio non poteva trovare applicazione nel caso di specie, in cui si verteva in materia di assistenza sanitaria indiretta, autorizzata dal S.S.N., ed in cui la prestazione sanitaria all'estero era equivalente a quella eseguita in Italia, stante l'espressa previsione legislativa di tale opzione. La L. n. 833 del 1978, art. 3 imponeva alla USL di attuare le misure idonee a garantire che le prestazioni urgenti fossero erogate con prioritˆ nell'ambito delle loro strutture, introducendo il principio della libera scelta del ricovero presso ospedali pubblici e convenzionati ad alta specializzazione delegando alla legge regionale il compito di individuare i casi in cui erano ammesse forme straordinarie di assistenza indiretta. La Corte territoriale richiamava varie norme (L. n. 595 del 1985, art. 3, comma 5, e successivi DD. MM. di attuazione) che sancivano che le prestazioni sanitarie all'estero gravavano sul sistema sanitario nazionale se autorizzate o, in casi di eccezionale urgenza, specificamente individuati, anche in difetto di autorizzazione e quindi che esse erano del tutto equivalenti alle prestazioni sanitarie in Italia ed in quanto tali garantite. Ritenendosi diversamente, il diritto alla salute costituzionalmente garantito non avrebbe avuto piena tutela nel caso di cittadino italiano che ricorresse a cure all'estero per carenze strutturali del SSN. Quanto al nesso causale tra patologia e trasfusioni praticate, aderiva alle conclusioni del C.t.u. officiato, che ne aveva accertato la sussistenza, in base a criteri probabilistici, avallati dalla giurisprudenza in materia, la quale aveva indicato la possibilitˆ del ricorso a presunzioni idonee a fondare un giudizio di elevata probabilitˆ. Per la cassazione di tale decisione ricorre il Ministero con unico motivo, illustrato con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Resiste, con controricorso, il M.. MOTIVI DELLA DECISIONE Il Ministero si duole della violazione di legge, in relazione al combinato disposto dalla L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 1 e 3 ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, richiamando, per la somiglianza del caso esaminato, sentenza della Corte di Cassazione n. 753/2005 per inferirne che non possa essere oggetto di copertura assistenziale, ai sensi della L. n. 210 del 1992, il danno da emotrasfusione derivante da intervento chirurgico praticato all'estero, al pari di quello conseguente ad un trapianto effettuato all'estero preso in considerazione nel menzionato precedente giurisprudenziale, in quanto, seppure la Corte di Appello ne aveva tratto argomenti in senso contrario, ritenendo che la pronunzia di legittimitˆ fosse essenzialmente fondata sul rilievo della mancanza di prova dell'esistenza di convenzioni in materia di cooperazione sanitaria tra la Regione di provenienza ed il luogo posto al di fuori del territorio nazionale ove era stato praticato l'intervento, l'argomento utilizzato portava ad una violazione del combinato disposto della L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 1 e art. 3 che ha previsto una limitazione di carattere territoriale, come ritenuto dalla stessa Corte del merito. Quest'ultima - secondo il ricorrente - aveva valorizzato in senso favorevole alla tesi sostenuta dall'assistito elementi che deponevano, invece, in senso contrario, come la compilazione della scheda da parte del medico che somministri gli emoderivati, nonch la estensione dei benefici agli operatori sanitari, norme palesemente rivolte a chi abbia contratto l'infezione lavorando nelle strutture sanitarie nazionali. Se l'intenzione del legislatore era quella di circoscrivere la tutela ai soli trattamenti eseguiti nel territorio nazionale, la circostanza che lo stesso fosse stato eseguito all'estero, sebbene previa autorizzazione, non mutava tale voluntas legis. N l'organo sanitario italiano poteva avere titolo per sindacare, valutando il nesso causale tra trattamento sanitario e contagio, l'operato di organi sanitari esteri, non potendo neanche ritenersi operante l'obbligo della compilazione di scheda informativa in capo a sanitari di stati esteri. Argomenta ulteriormente in ricorso rilevando che la circostanza che non esistessero convenzioni tra la Regione e lo stato estero ove era stato praticato l'intervento non aveva costituito un profilo meritevole di rilevanza nel contesto della decisione della Corte di legittimitˆ richiamata. Il ricorso  infondato. Con sentenza della Corte Costituzionale del 18.4.1996 n. 118  stata evidenziata la necessarietˆ del collegamento, come condizione di legittimitˆ costituzionale, tra la previsione legislativa dell'obbligo di sottoporsi a vaccinazione e l'indennizzabilitˆ del pregiudizio da essa derivante, che rende palese la differenza tra l'ipotesi considerata e tutte le altre evenienze in cui, in nome della solidarietˆ, la collettivitˆ assuma su di s, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi dannosi fortuiti e comunque indipendenti da decisioni che la societˆ stessa abbia preso nel proprio interesse. é stato chiarito che nella prima ipotesi la solidarietˆ non implica soltanto, come invece nella seconda, un dovere al quale il legislatore possa dare seguito secondo quei criteri di discrezionalitˆ e quella necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale che valgono per i diritti previsti da norme costituzionali a efficacia condizionata all'intervento del legislatore, ma comporta un vero e proprio obbligo, cui corrisponde una pretesa protetta direttamente dalla Costituzione. La specialitˆ dell'obbligo deriva dal fatto che per la collettivitˆ  in questione l'obbligo di ripagare il sacrificio che taluno si trova a subire per un beneficio atteso dall'intera collettivitˆ, sicch sarebbe contrario al principio di giustizia, come risultante dall'art. 32 Cost., alla luce del dovere di solidarietˆ stabilito dall'art. 2, che il soggetto colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o che il danno in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza, ovvero ancora si subordinasse la soddisfazione delle pretese risarcitorie del danneggiato all'esistenza di un comportamento negligente altrui, comportamento che potrebbe mancare (cfr. C. Cost. 118/96 cit). In termini riassuntivi nella suddetta decisione del Giudice delle leggi sono evidenziate tre distinte conseguenze della menomazione della salute derivante da trattamenti sanitari: a) il diritto al risarcimento pieno del danno, riconosciuto dall'art. 2043 c.c., in caso di comportamenti colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo, discendente dall'art. 32 Cost. in collegamento con l'art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato subito in conseguenza del- l'adempimento di un obbligo legale; c) il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 Cost., a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali, in tutti gli altri casi (cfr., in motivazione, C. Cost. 118/96 cit., nonch C. Cost. 22.6.2000 n. 226). Nel caso oggetto della presente controversia ricorre proprio la terza delle ipotesi considerate, essendo invocato un intervento indennitario di tipo esclusivamente assistenziale per il quale si pone il problema della possibilitˆ della sua estensione anche a casi di trattamenti sanitari eseguiti in strutture sanitarie di stato estero allorch il ricovero risulti autorizzato dal Servizio Sanitario Nazionale. A tal proposito  stato evidenziato come la L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 6, - che in parallelo con quanto stabilito dal comma precedente per il caso di vaccinazione obbligatoria, impone al medico che effettua trasfusioni o somministra emoderivati di compilare una scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione o alla somministrazione - imponga adempimenti non compatibili con l'applicazione della norma a casi diversi da quelli di infezioni contratte a seguito di trasfusioni o somministrazione di emoderivati effettuate nell'ambito delle strutture sanitarie italiane. In particolare,  stata considerata l'incompatibilitˆ concreta fra gli obblighi di valutazione del nesso causale stabiliti dall'art. 4 della legge a carico della Commissione ivi richiamata (organo sanitario italiano) e la effettuazione di trasfusioni o la somministrazione di emoderivati all'estero ed, infine, sono state richiamate le previsioni dell'art. 1, comma 2, riguardanti l'estensione dei benefici agli operatori sanitari per i danni da essi riportati in occasione e durante il servizio, per inferirne che le stesse sono palesemente rivolte a chi abbia contratto l'infezione lavorando nelle strutture sanitarie nazionali. é, poi, stato aggiunto che neppure pu˜ indurre ad una diversa conclusione il criterio della interpretazione costituzionalmente orientata e che pertanto l'indennizzo non sia riconoscibile ove richiesto per patologie contratte a seguito di trasfusioni o somministrazioni di emoderivati effettuate all'estero, in quanto, secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, l'indennizzo in parola si configura, a norma degli artt. 38 e 2 Cost., quale misura di sostegno assistenziale disposta dal legislatore nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali. A tale qualificazione doveva conseguire che la determinazione dei casi nei quali la misura fosse accordata non potesse prescindere anche dalla considerazione delle risorse finanziarie disponibili, spettando "al legislatore nell'equilibrato esercizio della sua discrezionalitˆ e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica bilanciare tutti i fattori giuridicamente rilevanti, tra cui gli andamenti della finanza pubblica" (cfr. in tali termini, Cass., 17/01/2005, n. 753, che richiama Corte Cost. maggio 1995, n. 99). Nel caso considerato nella pronunzia,  stata esclusa, altres“, la decisivitˆ della circostanza che la somministrazione di sangue infetto fosse avvenuta in occasione di un trapianto praticato nel Land del Tirolo, in forza di apposite convenzioni con le province di Trento e Bolzano, fondate sugli accordi di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Austria, perch gli stessi erano successivi all'esecuzione dell'intervento chirurgico praticato. In tal modo riassunti i termini in cui questa Corte ha nella menzionata decisione affrontato lo specifico tema, deve rilevarsi che la questione dell'assimilabilitˆ dei due trattamenti (danno da vaccinazione obbligatoria e danno post trasfusionale)  stata presa in esame dal Giudice delle Leggi sotto vari aspetti, tra i quali quello della decorrenza dell'indennizzo, a carico dello Stato in conseguenza di un danno irrimediabile alla salute, ritenendosi che non possa essere confrontata la disciplina apprestata in caso di danno da vaccinazione obbligatoria con quella del danno da trasfusione, ancorch quest'ultimo trattamento, pur non essendo imposto per legge, sia comunque necessitato, pena il rischio della vita, instaurandosi, a tal fine, il rapporto tra "cogenza" dell'obbligo legale e "necessitˆ" della misura terapeutica. La ragione determinante del diritto all'indennizzo  stata individuata nell'interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario ed  stato osservato che lo stesso interesse - una volta che sia assunto a ragione dell'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio o di una politica incentivante -  fondamento dell'obbligo generale di solidarietˆ nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengono a soffrire di un pregiudizio alla salute. La Corte Costituzionale ha anche sottolineato come il diritto a misure di sostegno quali l'equo indennizzo a carico dello Stato per i danni irreversibili da epatiti posttrasfusionali - per il periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo giˆ stabilito dalla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, - non  indipendente dal necessario intervento del legislatore nell'esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualitˆ, della misura e delle modalitˆ di erogazione delle provvidenze da adottarsi, nonch della loro gradualitˆ, in relazione a tutti gli elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, la cui ponderazione rientra nell'ambito della sua discrezionalitˆ. Con analoghe argomentazioni, la Corte costituzionale (sentenza n. 423 del 2000) ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalitˆ relativa alla mancata previsione da parte della L. n. 210 del 1992, a favore dei soggetti danneggiati irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, del diritto all'assegno "una tantum", previsto, invece, per quanti abbiano subito una menomazione permanente alla salute da vaccinazione obbligatoria: anche tale pronuncia ha dunque presupposto l'interpretazione della normativa di riferimento nel senso che l'assegno "una tantum" non  concedibile ai poli-trasfusi. In conseguenza di tale declaratoria, con successiva ordinanza n. 522/2000, la Corte costituzionale ha, poi, dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimitˆ nella quale il giudice rimettente aveva richiesto una pronuncia che esten desse il diritto all'assegno previsto per il caso di menomazione permanente della salute da vaccinazione obbligatoria (o promossa e incentivata nell'ambito di una politica sanitaria pubblica) alla diversa ipotesi di chi abbia subito un danno irreversibile da infezione HIV o da epatite post-trasfusionale (cfr. Cass. 11.8.2014 n. 15614). I profili da ultimo evidenziati, quali la decorrenza del beneficio ovvero il diritto all'assegno una tantum prescindono, tuttavia, dalla problematica, affrontata nella presente controversia, della possibilitˆ di conseguire il beneficio di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3 nel- l'ipotesi di pregiudizio conseguito a prestazioni sanitarie erogate all'estero ed autorizzate dal Servizio Sanitario Nazionale. Occorre considerare, per una corretta valutazione dei profili giuridici rilevanti ai fini della decisione, che, nel caso di epatite post-trasfusionale, il beneficio economico previsto dalla L. n. 210 del 1992 prescinde dai presupposti della responsabilitˆ civile ed ha, invece, natura assistenziale, collegata alla situazione obiettiva di menomazione dello stato di salute in cui si trova il beneficiario e che, pertanto, la limitazione del beneficio in funzione del luogo di intervento creerebbe una violazione nella sfera di protezione della salute del cittadino. In tale direzione si  posta la giurisprudenza di merito e quella amministrativa che ha ritenuto illegittimo il provvedimento ministeriale di rigetto dell'istanza di indennizzo proposta da un ricorrente ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, dopo aver contratto un'epatite a seguito di due trasfusioni postoperatorie, pur se effettuate fuori dal territorio italiano, osservando che i benefici della citata legge possono applicarsi legittimamente nei confronti dei cittadini italiani che abbiano riportato danni a seguito di trasfusioni effettuate in Stati esteri, ove il ricorso alla struttura estera sia stato necessitato per sopperire a deficienze del Servizio Sanitario Nazionale e da questo riconosciute nel momento in cui, verificata la sussistenza dei presupposti di legge, ha autorizzato preventivamente - come nel caso esaminato - il ricorso alle prestazioni estere. Da un'opposta interpretazione deriverebbe, invero, un vulnus agli artt. 32 e 3 Cost., ossia una violazione dei diritti fondamentali alla tutela della salute e dell'uguaglianza dei cittadini, (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. 1, 29/03/2002, n. 1724, nonch Trib. Ravenna 24.3.2004). La L. n. 210 del 1992, art. 1 nel prevedere il diritto a un indennizzo da parte dello Stato in favore di soggetti che risultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, non richiede in alcun modo che il contagio debba avvenire per effetto di interventi effettuati all'interno di strutture sanitarie italiane, pubbliche o private. Escluso, dunque, che la legge contenga limitazioni nel riconoscimento del beneficio in relazione al fatto che la trasfusione sia stata effettuata o meno in uno stato estero ed escluso che le stesse limitazioni possano trarsi dalla disciplina dettata per le vaccinazioni - trattamenti effettuati entro periodi di tempo predeterminati che consentono perci˜ la normale programmazione della somministrazione della terapia all'interno delle strutture mediche italiane - occorre rilevare, in base ad una corretta applicazione dei criteri interpretativi della legge, che la norma guarda letteralmente alla condizione obiettiva del cittadino e non detta alcuna limitazione con riferimento al luogo dove sia eseguita la prestazione. Oltre al dato letterale, anche l'interpretazione logica, sistematica e costituzionale inducono a conclusioni diverse da quelle prospettate del Ministero ricorrente. Sotto il profilo logico  pacifico che l'indennizzo in questione abbia natura assistenziale, configurandosi come misura economica di sostegno collegata ad una situazione di menomazione obiettiva della salute derivante da una prestazione ospedaliera. Non si tratta, perci˜, come giˆ sopra evidenziato, di un emolumento collegato ad una qualche ipotesi di responsabilitˆ (oggettiva e soggettiva) di strutture sanitarie. Il dato della territorialitˆ e la sua valorizzazione , invece, a ben vedere, funzionale all'accertamento di responsabilitˆ in capo al soggetto che ha praticato la trasfusione ed all'ascrivibilitˆ allo stesso di condotte tendenzialmente omissive connesse all'osservanza dei dovuti controlli per l'accertamento del livello di sicurezza del sangue. Su un piano diverso si pone, per quanto giˆ considerato, l'indennizzo in oggetto, collegato dalla L. n. 210 del 1992, al verificarsi di un danno di tipo irreversibile a causa di trasfusioni praticate in relazione al quale rileva unicamente il nesso eziologico tra somministrazione di sangue ed emoderivato ed il pregiudizio alla salute, prescindendosi dall'imputazione di responsabilitˆ a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti allo stesso trattamento, che assume rilievo su un piano diverso da quello del profilo strettamente indennitario che caratterizza il beneficio economico in questione (cfr. Cass. 28.2.2012, n. 3039). La limitazione del beneficio agli eventi derivanti da cure effettuate nell'ambito di strutture italiane, per quanto detto, presupporrebbe un approccio teso a valutare aspetti di natura risarcitoria, che, invece, non rilevano nella presente sede, pure essendo consentito al beneficiario dell'indennizzo di far valere le proprie pretese risarcitorie nei confronti di eventuali responsabili civili. Ci˜ che rileva ai fini considerati , dunque, unicamente, la situazione patologica del beneficiario, rispetto alla quale la circostanza che il contagio sia avvenuto per trasfusione effettuata nel corso di intervento chirurgico effettuato in struttura sanitaria estera non assume significato scriminante rispetto al riconoscimento del beneficio, quando l'intervento sanitario all'estero  considerato dalla legge come necessario per tutelare al meglio il diritto alla salute del cittadino italiano, ovvero nei casi in cui le stesse prestazioni effettuate all'estero sono ricondotte dalla legge all'interno del sistema di assistenza pubblica sanitaria garantita ai cittadini, essendo indifferente il luogo di effettuazione della prestazione. In tali casi - in cui la legge italiana autorizza i cittadini a curarsi all'estero (anche in relazione all'interesse collettivo che  sempre correlato alla pi efficace tutela della salute dei singoli) -le limitazioni alla concessione del beneficio in funzione del luogo dell'intervento configurerebbero un vulnus nella sfera di protezione della salute del cittadino, provocando la menomazione di un diritto costituzionalmente protetto anche nell'interesse della collettivitˆ e la diminuzione delle tutele che la legge appresta, limitandosi in tal modo la protezione legale della salute all'estero alla copertura dei costi della prestazione, senza ricomprendervi tutte le altre conseguenze derivanti dagli stessi interventi quando vengano praticati all'interno dello Stato. L'interpretazione indicata dal Ministero anche sotto altro profilo confliggerebbe con i principi costituzionali perch, oltre a ledere l'effettivitˆ della protezione del bene salute tutelato dall'art. 32 Cost., determinerebbe l'introduzione di una irragionevole disparitˆ di trattamento tra cittadini, non giustificata alla luce della natura assistenziale del beneficio. N la considerazione che la misura di sostegno assistenziale sia, nell'ipotesi diversa da quella delle vaccinazioni obbligatorie, disposta dal legislatore nell'ambito dell'esercizio - costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali, pu˜ indurre a conclusioni diverse da quelle finora illustrate, non potendo, sotto altro versante, le ragioni interpretative connesse alla impraticabilitˆ da parte della commissione medica del controllo delle norme tecniche in uso in ambito intracomunitario rilevare ai fini prospettati. Ed invero, tutte le risoluzioni sulla sicurezza e l'autosufficienza del sangue, per finire alla direttiva 12202/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, stabiliscono norme di qualitˆ e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione e conservazione e distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e la compilazione della scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione o alla somministrazione da parte del medico che effettui le stesse (L. 210 del 1992, art. 3, comma 6)  funzionale all'accertamento del nesso causale tra infermitˆ o lesioni e la trasfusione o somministrazione di emoderivati, attraverso un parere espresso dalla Commissione medica, avverso il quale  previsto il ricorso in sede amministrativa, secondo un iter procedi- mentale che deve precedere il ricorso in sede giudiziaria. Ci˜, tuttavia, non  ostativo all'estensibilitˆ del beneficio in relazione a conseguenze dannose verificatesi per effetto di trasfusioni e somministrazione di sangue ed emoderivati praticate in strutture sanitarie estere quando l'intervento sia legalmente autorizzato, non potendo ritenersi che l'omissione od impraticabilitˆ degli accertamenti in sede amministrativa possa, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, essere di impedimento alla azionabilitˆ della pretesa in sede giudiziaria. Nella specie, peraltro, il parere espresso dal CTU officiato in ordine al nesso causale tra intervento e danno post trasfusionale non  stato oggetto di contestazione e di contraddittorio tra le parti, costituendo dato pacifico tra le stesse, al pari di quello relativo alla esistenza di preventiva autorizzazione a ricorrere alla prestazione sanitaria in stato estero. Conclusivamente, l'intervento terapeutico all'estero necessitato dall'esigenza di sopperire a deficienze del Servizio Sanitario Nazionale e da questo preventivamente autorizzato nella verificata sussistenza dei presupposti di legge deve essere fondatamente ricondotto nell'ambito della protezione predisposta dalla legge per la tutela della salute del cittadino italiano, sicch appare del tutto ingiustificata l'introduzione di limiti territoriali nell'erogazione dell'indennizzo per cui  causa. Il ricorso va, pertanto, respinto. Quanto alle spese di lite, la complessitˆ e le difficoltˆ interpretative che caratterizzano la questione esaminata giustificano la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Cos“ deciso in Roma, il 23 ottobre 2013. La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici TRIBUNALE DI ROMA, SEZ. 3 LAV., ORDINANZA 20 FEBBRAIO 2014, R.G. 43146/13 Alessandra Bruni* Matteo Bertuccioli** SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La natura giuridica degli enti lirico-sinfonici di interesse nazionale e della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma: enti pubblici economici di interesse nazionale. - 3. La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici. 4 - La non applicabilitˆ della riforma Fornero al rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti lirico-sinfonici. 1. Premessa. LĠordinanza del Tribunale di Roma, sezione lavoro, del 20 febbraio 2014, che ha deciso per la non applicabilitˆ alle Pubbliche Amministrazioni del rito accelerato introdotto dalla riforma Fornero (l. 92/2012), ha fornito lo spunto per svolgere alcune riflessioni in merito allĠattualissima problematica dellĠapplicabilitˆ o meno della riforma Fornero alle Pubbliche Amministrazione ed agli enti lirico-sinfonici, riflessione inevitabilmente collegata al tema della natura giuridica e della specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso questi soggetti. Temi che ancora vedono incertezze giurisprudenziali nonostante i numerosi recenti interventi chiarificatori del Legislatore. Per ragioni di ordine logico e sistematico si procederˆ partendo dalla questione, necessariamente preliminare, relativa alla natura giuridica degli enti lirico- sinfonici e nello specifico della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma, inserendola nel pi ampio contesto delle privatizzazioni e giungendo alle conclusioni accolte dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 153 del 2011. Poste le basi, si analizzerˆ quindi la speciale disciplina del rapporto di lavoro che da sempre ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, questi soggetti per affrontare infine, nel contesto dellĠultimo quadro normativo costituito dalla legge Bray (d.l. n. 91/2013, convertito con modifiche in legge n. 112/2013), la recentissima questione, tuttĠaltro che pacifica in dottrina ed in giurisprudenza, relativa allĠapplicabilitˆ o meno della riforma Fornero (legge n. 92/2012). (*) Avvocato dello Stato. (**) Dottore in giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. 2. La natura giuridica degli enti lirico-sinfonici di interesse nazionale e della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma: enti pubblici economici di interesse nazionale. In primo luogo  necessario affrontare e chiarire la questione relativa alla natura giuridica degli enti lirico-sinfonici, nello specifico della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma, problematica sorta in seguito alla trasformazione dellĠEnte autonomo Teatro dellĠOpera di Roma, soggetto di diritto pubblico, in Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma. La questione non costituisce un mero esercizio teorico -dottrinario, ma presenta importanti risvolti pratico applicativi, anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro. La trasformazione dellĠente pubblico in fondazione  avvenuta per la prima volta con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367, che obbligava gli enti lirici di rilievo nazionale previsti dalla legge n. 800/67 a trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Di fronte allĠinerzia degli enti, due anni pi tardi interveniva nuovamente il d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134, imponendo la trasformazione ex lege. Decreto che  stato dichiarato illegittimo per eccesso di delega dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 503 del 2000, ma il cui contenuto  stato sostanzialmente reiterato con il d.l. 24 novembre 2000, n. 345, convertito in legge 26 gennaio 2001, n. 6 (1), che costituisce lĠattuale disciplina della trasformazione. Il fenomeno va necessariamente inquadrato nellĠambito del processo delle privatizzazioni iniziato nei primi anni Novanta con cui, in nome di una dichiarata maggiore efficienza del privato, nel contesto della prima grande crisi della finanza pubblica e del debito, si sono utilizzati modelli organizzativi privatistici per lo svolgimento di funzioni ed attivitˆ precedentemente esercitate secondo modelli e formule organizzative di diritto pubblico. é accaduto cos“ che nellĠorganizzazione pubblica siano entrate figure organizzative formalmente di diritto comune: ci˜ ha riguardato i modelli della societˆ per azioni e delle fondazioni e associazioni (2). Nel nostro ordinamento sono cos“ presenti nel- lĠambito dellĠorganizzazione pubblica persone giuridiche formalmente private che tuttavia Òdata la loro sostanza, sono sottoposte a vincoli di diritto pubblico imposti dallĠesigenza del rispetto dei principi costituzionali di cui allo stesso (1) Una ricostruzione puntuale del processo di trasformazione, partendo dalla disciplina della cd. legge Corona (l. n. 800/67) per arrivare agli ultimi interventi del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito in legge 31 marzo 2005, n. 43  presente in MANGANARO F., Pubblico e privato nella disciplina giuridica delle fondazioni liriche e teatrali, in Nuove autonomie 2005 n. 4-5, 523 e ss. (2) Sul tema si  soffermata ampiamente la dottrina, che ha individuato sostanzialmente tre differenti processi evolutivi che hanno portato alla presenza di tre specie di organizzazioni formalmente private nellĠorganizzazione pubblica: le imprese pubbliche in forma di societˆ per azioni, le fondazioni e le associazioni, e le societˆ per azioni non deputate allĠesercizio di attivitˆ dĠimpresa costituite per il perseguimento di interessi pubblici. Riguardo alle fondazioni si  parlato di utilizzo del modello Òin modo descrittivo e non tecnicoÓ dal momento che  Òdifficile rintracciare in tutte queste figure il carattere proprio delle fondazioni private intese in senso tecnico come patrimoni destinati ad uno scopoÓ. Il tema  affrontato da CERULLI IRELLI V., Diritto privato dellĠAmministrazione pubblica, Torino, 2008. art. 97Ó (3), con la sola eccezione delle organizzazioni che svolgono attivitˆ dĠimpresa, tra le quali non rientrano le fondazioni lirico-sinfoniche. Le fondazioni risultanti da questo processo, tra le quali rientra il Teatro dellĠOpera di Roma, che svolgono attivitˆ culturali liriche e teatrali di primario interesse nazionale, costituiscono entitˆ profondamente differenziate rispetto alle fondazioni delineate dal modello del Codice civile, con una disciplina giuridica difforme che ha portato ad utilizzare lĠespressione ÒFondazioni di diritto amministrativoÓ (4). Il modello fondazione, la formula organizzativa, viene utilizzata in maniera neutra, indifferente rispetto alle regole specifiche poste per le attivitˆ istituzionali affidate allĠente, con lĠimposizione di vincoli pubblicistici al fine di garantire la tutela di interessi pubblici ritenuti rilevanti dalla legge. La differenza principale rispetto al modello privatistico disciplinato dal Codice civile negli artt. 14 e ss., che comporta una rilevante modifica del regime giuridico e della natura dellĠente,  da rinvenirsi nella sua costituzione ex lege. Le fondazioni lirico-sinfoniche non sono costituite nŽ per un atto di autonomia privata, nŽ per un negozio di fondazione. Lo Statuto della Fondazione Teatro dellĠOpera individua i soci fondatori negli enti pubblici territoriali: lo Stato, il Comune di Roma e la Regione Lazio (il che richiama in maniera non celata la caratteristica principale degli enti pubblici non economici, ovvero il loro legame con gli enti territoriali di riferimento), e detta una specifica disciplina in caso di estinzione dellĠente (che richiama il connotato essenziale degli enti pubblici non territoriali, ovvero lĠindisponibilitˆ della propria esistenza). La legge stabilisce poi il contenuto dello Statuto, il numero degli organi e dei loro componenti e i loro compiti (5). Tutte prerogative che (3) CERULLI IRELLI V., Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 32 e ss. Queste considerazioni sono avvalorate nella prosecuzione dello studio in cui si dimostra come non sia pi possibile ragionare in termini di rigida e netta separazione tra pubblico e privato. LĠattivitˆ giuridica delle organizzazioni pubbliche oggi si esercita normalmente anche secondo moduli di diritto privato e le stesse funzioni di amministrazione in senso sostanziale possono essere conferite a soggetti formalmente privati. Tuttavia Òlo spazio del diritto privato nellĠamministrazione pubblica resta uno spazio stretto (É) per i suoi limiti interni (ci˜ che, una volta privatizzato, pu˜ svolgersi immune da condizionamenti pubblicistici, dal subire lĠingresso di istituti pubblicistici)Ó. Vi sono pertanto tre specie di organizzazione formalmente private presenti nellĠambito dellĠorganizzazione pubblica che traggono origine da tre differenti processi evolutivi: trasformazione di enti pubblici economici in societˆ per azioni. Trasformazione di enti pubblici non economici in persone giuridiche di diritto privato disciplinate dal libro I del Codice civile. Trasformazione di enti pubblici non economici in societˆ per azioni. (4) ROMANO TASSONE, Le Fondazioni di diritto amministrativo: un nuovo modello, Relazione al Convegno di Palermo ÒFondazioni e attivitˆ amministrativaÓ, 13 maggio 2005; MANGANARO F., Pubblico e privato nella disciplina giuridica delle fondazioni liriche e teatrali, in Nuove autonomie 2005 n. 4-5, 523 e ss., che analizza dettagliatamente le difformitˆ dal modello del Codice civile. In generale la Dottrina si  ampiamente occupata del fenomeno delle Fondazioni come soggetti giuridici creati ex lege per cui lĠeccessiva difformitˆ normativa rispetto al modello del Codice civile porta a ritenere necessario parlare di Fondazioni di diritto pubblico, BARDUSCO, Fondazione di diritto pubblico, in Dig. Disc. Pubb., IV, Torino, 1991, 390 e ss. (5) Si pu˜ consultare lo Statuto della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma sulla pagina web http://www.operaroma.it/ita/fondazione-statuto.php. sono sottratte allĠautonomia privata ed elementi che vedono una disciplina di chiaro stampo pubblicistico, svuotandosi di fatto in questo modo di contenuto sostanziale il richiamo al modello civilistico ed alla personalitˆ giuridica di diritto privato. La ratio di questĠassetto peculiare  senza dubbio giustificato dallĠinteresse pubblico perseguito dallĠattivitˆ di questi enti. Va tenuta presente unĠaltra peculiaritˆ propria degli enti lirico-sinfonici: la forte funzionalizzazione dellĠattivitˆ svolta ai compiti istituzionali di interesse pubblico ad essi affidati. Se in generale  vero che la questione della natura giuridica non sia il fattore determinante per comprendere la disciplina specifica di unĠattivitˆ (6), tuttavia una maggiore funzionalizzazione delle attivitˆ svolte da soggetti formalmente privati costituisce un indizio rilevante e decisivo nei casi di incertezza delle soluzioni, e rende pi forte il vincolo pubblicistico ed il limite che incontrano lĠinterprete ed il legislatore. Insomma, ci troviamo di fronte ad un caso, comune nel nostro ordinamento e nella storia della trasformazione degli enti pubblici, di trasformazione al livello di privatizzazione meramente formale del modello organizzativo, e non invece di privatizzazione sostanziale. In questo senso, nonostante la veste formalmente privatistica, la Corte Costituzionale ha riconosciuto con la sentenza n. 153 del 2011 [A. BRUNI, N. GUASCONI, Sulla natura giuridica degli enti lirico sinfonici in Rass. Avv. Stato 2011, IV, 85 ss.- ndr] in maniera inequivoca la natura sostanzialmente pubblica delle fondazioni lirico-sinfoniche di interesse nazionale, e quindi della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma. La pronuncia della Consulta, chiamata ad esprimersi su un ricorso in via principale con cui venivano impugnate alcune disposizioni del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivitˆ culturali), ha ricondotto la normativa avente ad oggetto gli enti lirici nel solco della competenza statale di cui allĠart. 117, comma 2, lett. g) della Costituzione, Çordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionaliÈ, risolvendo in maniera chiara ed organica la questione della natura giuridica degli enti lirico-sinfonici. In tale sede la Consulta, dopo aver ripercorso il complesso iter normativo di privatizzazione formale (7), ha avuto modo di specificare che Òsulla qua (6) Si  parlato di dottrina di discrasia tra soggettivitˆ ed attivitˆ, in quanto un soggetto pu˜ essere sottoposto a differenti discipline in relazione alle diverse attivitˆ (FALZEA). (7) Scrive la Consulta: ÒUna breve premessa sulla storia della disciplina degli enti autonomi lirici (e istituzioni concertistiche assimilate)  indispensabile. Tali enti hanno ricevuto una prima regolazione dalla legge 14 agosto 1967, n. 800 (Nuovo ordinamento degli enti lirici e delle attivitˆ musicali), che ha attribuito agli stessi, nominativamente individuati sub art. 6, la personalitˆ giuridica di diritto pubblico e li ha sottoposti alla vigilanza dellĠautoritˆ di Governo competente (allĠepoca, il Ministro del turismo e dello spettacolo). Ha dichiarato, inoltre, Çdi rilevante interesse generaleÈ lĠattivitˆ lirica e concertistica, Çin quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettivitˆ nazionaleÈ (art. 1). Il conferimento della personalitˆ giuridica di diritto pubblico e la sottoposizione alla vigilanza ministeriale sono stati ritenuti dalla legge istitutiva i lificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorchŽ privatizzati, si registra anche una sostanziale convergenza delle parti, nel solco peraltro di una giurisprudenza prevalente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 2637 del 2006; T.A.R. Liguria, sez. II, sentenza n. 230 del 2009; T.A.R. Sardegna, sez. II, sentenza n. 1051 del 2008). Si ritiene, infatti, concordemente che, nonostante lĠacquisizione della veste giuridica formale di Çfondazioni di diritto privatoÈ, tali soggetti conservino, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicisticaÓ (8). Tale affermazione trova peraltro ampio riscontro nei molteplici ed univoci indici della connotazione pubblica che la stessa Corte costituzionale identifica Ònei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei contiÓ (9); e ancora Ònel patrocinio dellĠAvvocatura dello StatoÓ (10), nellĠinclusione nel novero degli organismi necessari presupposti, non solo per la realizzazione di spettacoli di alto livello, ma anche per la diffusione dellĠarte musicale, per la cura della formazione professionale degli artisti e per lo sviluppo del- lĠeducazione musicale della collettivitˆ (art. 5).(É) Il decreto legislativo n. 367 del 1996 ha previsto la trasformazione dei medesimi enti, qualificati Çdi prioritario interesse nazionale [É] nel settore musicaleÈ (art. 2), in fondazioni di diritto privato. E ci˜ al fine dichiarato di eliminare rigiditˆ organizzative e di attrarre conseguentemente finanziamenti privati. Nel testo risultante dalle numerose novelle via via intervenute, il d.lgs. n. 367 del 1996: a) individua le finalitˆ delle fondazioni nel perseguimento senza scopo di lucro della diffusione dellĠarte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dellĠeducazione musicale della collettivitˆ (art. 3); b) stabilisce che le fondazioni hanno personalitˆ giuridica di diritto privato e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dallo stesso d.lgs., dal codice civile e dalle relative norme di attuazione (art. 4); c) detta norme generali sul contenuto indispensabile degli statuti, prevedendo in una percentuale minoritaria lĠapporto complessivo dei privati al patrimonio e subordinando la possibilitˆ di nomina dei consiglieri di amministrazione, da parte dei privati, allĠerogazione di un apporto annuo non inferiore allĠ8% del totale dei finanziamenti statali (art. 10); d) disciplina gli organi di gestione e le loro funzioni: il presidente-sindaco, il consiglio di amministrazione, il sovrintendente ed il collegio dei revisori, dettando la composizione numerica degli organi collegiali ed imponendo la presenza di membri in rappresentanza dellĠautoritˆ di Governo e della Regione interessata, i primi in maggioranza nel collegio dei revisori (artt. 11-14); e) mantiene la sottoposizione delle fondazioni lirico-sinfoniche al controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria ed alla vigilanza dellĠautoritˆ di Governo competente in materia di spettacolo; f) demanda i criteri di riparto della quota del Fondo unico per lo spettacolo da destinare alle medesime fondazioni ad un decreto del Ministro per i beni e le attivitˆ culturali in relazione alla quantitˆ e qualitˆ della produzione offerta ed agli interventi posti in essere per la riduzione della spesa (art. 24). Il procedimento di trasformazione, che era stato soltanto delineato dagli artt. 5 ss. del d.lgs. n. 367 del 1996,  stato realizzato successivamente con il d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134 (Trasformazione in fondazione degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate, a norma dellĠart. 11, comma 1, lettera b, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Con esso il Governo ha abrogato, sul punto, il precedente provvedimento legislativo e ha disposto direttamente per legge la trasformazione in oggetto, ritenendo che la veste giuridica privata consentisse ai suddetti enti di svolgere pi proficuamente la propria attivitˆ. La Corte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato lĠillegittimitˆ del d.lgs. da ultimo citato per eccesso di delega (sentenza n. 503 del 2008). In seguito, per˜, lĠart. 1 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 345 (Disposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche), convertito in legge, con modificazioni, dallĠart. 1 della legge 26 gennaio 2001, n. 6, ha nuovamente disposto la trasformazione in fondazioni di diritto privato degli enti lirici, con decorrenza dal 23 maggio 1998. E ci˜ al fine di salvaguardare con effetto ex tunc lĠuniformitˆ e la continuitˆ degli assetti istituzionali giˆ riformati dal d.lgs. n. 134 del 1998Ó. di diritto pubblico sottoposti alla disciplina del Codice degli appalti (11). Riassumendo pu˜ dirsi che gli elementi qualificativi della natura giuridica pubblica della Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma, e degli enti lirico-sinfonici, oltre alle finalitˆ culturali di rilevo pubblico ed istituzionale e di interesse nazionale perseguite con la sua attivitˆ, sono la sussistenza del prevalente finanziamento pubblico, la soggezione al controllo della Corte dei Conti, il potere di vigilanza del Ministero dei beni e delle attivitˆ culturali, la composizione e le procedure di nomina degli organi costitutivi, la struttura della fondazione, la sottoposizione alla disciplina dellĠevidenza pubblica negli appalti di servizi e forniture ed il patrocinio dellĠAvvocatura Generale dello Stato, nellĠassenza di autonomia contabile e finanziaria, tale da inserirla nel comparto della finanza pubblica con lĠeffetto di perpetuare in capo ad essa la copertura vincolistica preposta al contenimento della spesa dello Stato. Alla luce di quanto rappresentato dalla Consulta, che conclude rilevando la Ònatura pubblica di tali enti - non controversaÓ, la casella nella quale va ricompreso un soggetto come la Fondazione Teatro dell'Opera  quella del- l'ente pubblico non economico di prioritario interesse nazionale (12), con personalitˆ di diritto privato. (8) Corte Costituzionale, sentenza n. 153/2011, punto 5.2 in diritto, che prosegue ÒAnche questa Corte, in un altro caso in cui, analogamente, le attivitˆ dellĠente eccedevano la dimensione regionale o locale, ha rilevato - sia pure sotto la vigenza del precedente art. 117 Cost. - che la ÒSocietˆ di cultura La Biennale di VeneziaÓ, dopo la privatizzazione, aveva mantenuto Çla funzione di promuovere attivitˆ permanenti e di organizzare manifestazioni internazionali inerenti la documentazione nel campo delle artiÈ e continuava ad assolvere, pur nella nuova forma privata assunta, compiti di interesse nazionale (sentenza n. 59 del 2000)Ó. (9) Ai sensi dellĠart. 15, comma 5, del d.lgs. n. 367 del 1996. (10) Ai sensi dellĠart. 1, comma 3, del decreto-legge n. 345 del 2000. (11) ÒIn particolare, il tenore della citata disciplina sugli appalti pubblici, di derivazione comunitaria, appare molto eloquente, perchŽ riconosce a livello legislativo la compatibilitˆ della nozione di organismo di diritto pubblico con la forma giuridica privata dellĠente (Çanche in forma societariaÈ), purchŽ lĠente stesso risulti, come nella specie, istituito per soddisfare esigenze dĠinteresse generale, dotato di personalitˆ giuridica e finanziato in modo maggioritario dallo Stato o da altri enti pubblici (art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006)Ó. La direttiva appalti 18/2004/CE del 31 marzo 2004 nellĠallegato III, in cui ai sensi dellĠart. 1, comma 9, sono elencati in via esemplificativa gli organismi di diritto pubblico, indica Ògli enti pubblici preposti ad attivitˆ di spettacoloÓ e gli Òenti culturali di promozione artisticaÓ. (12) é evidente la dimensione nazionale di questi enti lirici per Òla rilevanza generale delle finalitˆ perseguite e lĠampiezza delle attivitˆ svolteÓ e conseguentemente Òinterventi di riassetto ordinamentale ed organizzativo (É) incidendo profondamente in un settore dominato da soggetti che realizzano finalitˆ dello Stato - devono essere ascritti alla materia Çordinamento e organizzazione amministrativa [É] degli enti pubblici nazionaliÈ, di competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.Ó. Trattandosi di un giudizio in via principale la Consulta si sofferma abbondantemente sulla rilevanza nazionale di questi enti rilevando come ÒAlla natura pubblica di tali enti - non controversa - la Corte ritiene che si accompagni il carattere nazionale dei medesimi. E ci˜ non tanto perchŽ suggerito dallĠindicazione del loro rilievo nazionale, costantemente presente in tutta la normativa di riferimento come attributo qualificante di essi, ma soprattutto perchŽ le finalitˆ delle anzidette fondazioni, ossia la diffusione dellĠarte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e lĠeducazione musicale Il Teatro, infatti,  un ente culturale che non esercita attivitˆ produttiva di ricchezza, attivitˆ di impresa, ma svolge funzioni inequivocabilmente di interesse pubblico: custodisce lo storico patrimonio italiano nel settore di riferimento, svolge primarie finalitˆ culturali di conservazione, educazione, diffusione, anche con lo scopo, individuato dalla legge, di trasmettere i valori civili fondamentali tradizionalmente coltivati dalle pi nobili istituzioni teatrali e culturali della Nazione, per la realizzazione delle quali i costi superano sempre i guadagni. Ci˜ costituisce Òesplicazione dei princ“pi fondamentali dello sviluppo della cultura e della tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, di cui allĠart. 9, primo e secondo comma, Cost.Ó (13). é pertanto seguendo il percorso logico tracciato dalla Consulta, data per assodata la natura pubblica di questi soggetti, che bisogna muoversi per risolvere le successive questioni. 3. La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico sinfonici. La natura sostanziale di enti pubblici non economici delle fondazioni lirico- sinfoniche, e quindi del Teatro dellĠOpera, produce delle conseguenze rilevanti in materia di disciplina del rapporto di lavoro. LĠart. 22 del D.lgs. n. 367/1996 ha previsto che Òi rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmenteÓ. Si  passati cos“ ad un regime di privatizzazione, con una norma generale di tenore e contenuto simile a quella contenuta nellĠart. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Tuttavia pur non applicandosi al personale delle fondazioni lirico-sinfoniche il Decreto sul pubblico impiego (14), non si pu˜ giungere alla conclusione che la disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici sia de plano quella del lavoro privato per una serie di considerazioni e di dati normativi, anche costituzionali, su cui si cercherˆ di fare chiarezza. della collettivitˆ (É), travalicano largamente i confini regionali e si proiettano in una dimensione estesa a tutto il territorio nazionale. Sono significativi, dĠaltronde, del fatto che non si tratta di attivitˆ di spettacolo di interesse locale gli ingenti flussi di denaro con cui lo Stato ha sovvenzionato e continua a sovvenzionare tali soggetti. Anche il confronto con i teatri di tradizione e le altre istituzioni concertistico-orchestrali, protagonisti - essi s“ - della programmazione di attivitˆ musicali in ˆmbito ben circoscritto (art. 28 della legge n. 800 del 1967), evidenzia chiaramente la vocazione, per contro, spiccatamente nazionale di quel gruppo di enti lirici di eccellenza (che, non a caso, si  ritenuto di ampliare con legge dello Stato, includendovi la ÇFondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di BariÈ costituita ex art. 1 della legge n. 310 del 2003), la rilevanza generale delle finalitˆ perseguite e lĠampiezza delle attivitˆ svolte.(É)Ó. (13) Punto 5.3 del considerando in diritto. (14) PoichŽ, come si  illustrato nel primo paragrafo, le fondazioni lirico-sinfoniche non rientrano nella nozione di pubblica amministrazione in senso stretto rinvenibile nellĠart. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, che rappresenta anche la disposizione che individua i soggetti a cui si deve applicare la disciplina del Decreto sul pubblico impiego. Le fondazioni lirico-sinfoniche svolgono attivitˆ ibride, non sono titolari di poteri autoritativi e agiscono principalmente con strumenti di diritto privato. Le loro caratteristiche per˜, come individuate dalla Corte Costituzionale, fanno si che siano sottoposte ad un diritto del tutto speciale (15), con ampi settori in cui si applica una disciplina che deve essere definita perci˜ quanto meno speciale, se non ci si vuole spingere a chiamarla di diritto pubblico. Alla luce del- lĠimpostazione ormai largamente dominante della giurisprudenza e della dottrina che ha rilevato come nel nostro ordinamento non vi sia una definizione statica di pubblica amministrazione quanto piuttosto una nozione di pubblica amministrazione a geometria variabile, si deve ritenere che le organizzazioni sostanzialmente pubbliche in forma privatistica, come gli enti lirico-sinfonici, rientrino in una nozione di pubblica amministrazione in senso lato, nozione ricostruibile alla luce di una serie di disposizioni di diritto positivo quali, oltre allĠart. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, lĠart. 7, comma 2, del codice del processo amministrativo, lĠart. 3, comma 26, del d.lgs. 163/2006, lĠart. 1, comma 1 ter, della l. 241/90 e lĠart. 29, comma 1, della l. 241/90. Occupandoci della disciplina del rapporto di lavoro la questione cardine, che si differenzia dal regime nel settore privato e che presenta profili pubblicistici di rilievo costituzionale, riguarda il regime delle assunzioni (16) con tutto ci˜ che ne consegue (il riferimento  al tema della conversione dei contratti a tempo determinato). Il profilo dellĠaccesso al rapporto di lavoro negli enti pubblici in seguito alle privatizzazioni formali, proprio per la natura sostanzialmente pubblica degli enti, continua necessariamente ad essere disciplinato da norme pubblicistiche, sia relativamente alla capacitˆ di assumere nuovo personale, che incontra un limite nelle dotazioni organiche e quindi nel profilo della macro-organizzazione, sia relativamente alle modalitˆ di assunzione, che deve avvenire per pubblico concorso (17), sia relativamente alle speciali disposizioni di legge che prevedono oggi esplicitamente il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Il generale regime di diritto privato che regola il rapporto di lavoro e la sua gestione non  sufficiente a far venire meno la natura sostanzialmente pubblica dellĠente e non pu˜ costituire una via di fuga dalla norma costituzionale che rappresenta il principio cardine dellĠattivitˆ di questi soggetti, ov (15) Giova richiamare ancora una volta i poteri ministeriali di vigilanza, il regime dei controlli, la responsabilitˆ degli amministratori, la particolare struttura istituzionale, i fini da perseguire individuati dalla legge, il prevalente finanziamento pubblico ed il controllo pubblico, lĠobbligo di rispettare la disciplina dellĠevidenza pubblica negli appalti. (16) CERULLI IRELLI V., Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 59 e ss. (17) Il principio generale del pubblico concorso pu˜ trovare delle eccezioni solo laddove la legge prevede esplicitamente delle deroghe. La giurisprudenza della Corte Costituzione  particolarmente rigida e consente deroghe solo in relazione al principio del buon andamento dellĠente (Corte cost. n. 225/2010; Cass. SS.UU. 15 ottobre 2003, n. 15403, Consiglio di Stato n. 7107/2007). vero lĠart. 97 della Costituzione ed il principio fondamentale delle assunzioni per concorso (18). Tutte le societˆ a partecipazione pubblica di controllo e tutti i soggetti riconducibili al libro I del Codice civile sono obbligati a selezionare il personale secondo la regola del pubblico concorso. La regola, come si vedrˆ a breve,  stata recepita in maniera espressa dal legislatore a fronte di esitazioni giurisprudenziali, ma costituisce comunque, a prescindere dalla traduzione in esplicite disposizioni, un principio immanente del processo di privatizzazione formale. Nel momento in cui si privatizzano enti pubblici si opta per un modello di organizzazione e gestione dellĠattivitˆ (anche del rapporto di lavoro) ma non si cancella la natura dellĠente ed i vincoli che essa comporta. Due punti, cos“, rimangono insuperabili: la gestione del denaro pubblico non  mai libera (19) ed il regime delle assunzioni deve avvenire tramite concorso (20). Tenuti fermi questi paletti si possono scegliere modelli pi elastici (21) e privatizzare, senza tuttavia che ci˜ sia da solo sufficiente a far venire meno la natura sostanziale pubblica e la specialitˆ della disciplina, imposta dalla costituzione e dal diritto dellĠUnione europea (22), per gli aspetti che si sono individuati. La disciplina del rapporto di lavoro applicabile agli enti lirico-sinfonici  pertanto una disciplina speciale rispetto a quella generale del lavoro privato e presenta peculiaritˆ sue proprie. Tenendo ben fermi i principi che si sono illustrati, si procederˆ ad analizzare il dato normativo per dimostrare come via sia una sostanziale linea di continuitˆ mai venuta meno, neppure a seguito della privatizzazione formale, oltre che dal punto di vista della natura giuridica sostanzialmente pubblica, anche dal punto di vista della disciplina del rapporto di lavoro quantomeno per gli aspetti connessi alla natura pubblica dellĠente (23). (18) Le uniche organizzazioni formalmente private ma sostanzialmente pubbliche che sono esonerate dallĠapplicazione della generale regola concorsuale sono le societˆ per azioni che svolgano attivitˆ dĠimpresa. (19) Secondo il principio del divieto di sperpero del denaro pubblico (GIANNINI). Da qui le speciali disposizioni sulla vigilanza, il controllo e la responsabilitˆ degli enti lirico sinfonici. (20) Tutti i cittadini, in virt del principio di uguaglianza, hanno diritto di accedervi in condizioni di paritˆ, secondo la lettura prevalente della ratio del principio concorsuale collegato ai principi di imparzialitˆ e buon andamento. (21) Basti considerare come con la privatizzazione venga meno il vincolo di bilancio preventivo. (22) Per il diritto europeo non rilevano le distinzioni formali pubblico / privato secondo le discipline di diritto comune dei singoli Stati. Testimonianza  la creazione dellĠistituto dellĠorganismo di diritto pubblico: un soggetto non esercente attivitˆ dĠimpresa con controllo pubblico che operi secondo fini di interesse generale. Questi soggetti, tra cui rientrano le fondazioni lirico -sinfoniche, sono pienamente equiparati dal diritto europeo alle pubbliche amministrazioni intese in senso tradizionale. (23) Anche se la norma dellĠart. 22 del d.lgs. 367/1996 contenendo una formula analoga a quella dellĠart. 2, comma 2, del d.lgs. 165/2001 non ne riproduce la seconda parte Òfatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativoÓ, si deve ritenere che le numerose disposizioni speciali di legge costituiscano un corpus tale da far parlare di disciplina speciale. Era evidente, sin dallĠorigine nella vigenza dellĠordinamento pubblicistico introdotto dalla legge n. 800/1967, la specialitˆ della disciplina propria, pubblicistica, degli enti lirici rispetto a quella della legge n. 230/1962 relativa al lavoro a tempo determinato. Si delineava fin dĠallora un doppio livello di regolamentazione: da un lato, quello generale, dettato dalla legge n. 230/1962, che in certe condizioni ammetteva che lĠabusivo ricorso alla contrattazione a termine potesse portare alla stabilizzazione dei rapporti, dallĠaltro, quello settoriale proprio degli enti lirici, connotato da una forte ingerenza pubblicistica, funzionale ad uno scopo di contenimento della spesa pubblica in un settore soggetto a flussi occupazionali di carattere stagionale (24). Prima dei recenti interventi chiarificatori del legislatore nel 2013, parte della giurisprudenza aveva ritenuto che con la privatizzazione formale fosse venuta meno la tradizionale specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro negli enti lirico-sinfonici, optando per una piena e facile, ma erronea, parificazione al lavoro privato (25). La privatizzazione formale veniva interpretata in termini di ontologica incompatibilitˆ con la sopravvivenza del disposto di (24) Eloquente relativamente alla volontˆ del legislatore di creare un corpus, soggetto a regole sue proprie, separato dalla disciplina generale sui contratti a termine, era la normativa successivamente varata (legge 14 novembre 1979 n. 589; art. 2, penultimo comma, della legge 6 marzo 1980 n. 54; art. 1 comma 2, della legge 10 aprile 1981 n. 146; art. 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1982 n. 43 e art. 3, comma 3, legge 10 maggio 1983 n. 182) che reiterava le finalitˆ di contenimento degli organici degli enti lirici, ribadendo lĠoperativitˆ del divieto di conversione. (25) Gli interventi normativi di cui si dirˆ infra pongono fine alla diatriba insorta negli ultimi anni, oggi non pi attuale alla luce degli interventi del 2013, ma di cui se ne dˆ conto, condizionata in parte da una errata lettura del pronunciamento in materia ad opera della Suprema Corte (ultima in ordine di tempo la sentenza n. 11573/2011). La controversia sottoposta alla disamina della Corte di Cassazione riguardava i contratti stipulati nella vigenza della precedente disciplina sui contratti a termine (ovvero la l. n. 230/62), ove nessuna previsione speciale era riservata alle fondazioni liriche, soprattutto con riguardo alla disciplina delle proroghe e della successione dei contratti. In questo contesto, il termine ÒrinnoviÓ, poteva ingannare lĠinterprete, suggerendo una qualificazione in senso tecnico dello stesso, e conducendo alla erronea conclusione secondo la quale il divieto di conversione doveva ritenersi limitato alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe o sulla successione dei contratti. Tuttavia, con la vigente disciplina ci˜ non accade, proprio perchŽ tale effetto  oggi prodotto dallĠart. 11 del d.lgs. n. 368/01, che esclude lĠapplicabilitˆ agli enti lirici delle disposizioni di cui ai precedenti artt. 4 e 5 in materia di proroghe e successione di contratti a termine. In senso contrario cfr. sentenza n. 2124/2010 della Corte dĠAppello di Palermo. Il termine ÒrinnoviÓ infatti, poteva ingannare lĠinterprete, suggerendo una qualificazione in senso tecnico dello stesso, e conducendo alla erronea conclusione secondo la quale il divieto di conversione doveva ritenersi limitato alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe o sulla successione dei contratti. Tuttavia, con la vigente disciplina ci˜ non accade, proprio perchŽ tale effetto  oggi prodotto dallĠart. 11 del d.lgs. n. 368/01, che esclude lĠapplicabilitˆ agli enti lirici delle disposizioni di cui ai precedenti artt. 4 e 5 in materia di proroghe e successione di contratti a termine. Pertanto non pu˜ che rafforzarsi la tesi secondo cui il termine rinnovi vada inteso in senso ÒatecnicoÓ (cfr. Corte di Appello di Palermo n. 2124/2010) e dunque escludere la conversione anche del ÒnuovoÓ contratto a termine anche se geneticamente viziato. In caso contrario si avrebbe unĠinutile duplicazione della medesima disciplina, posto che, aderendo alle tesi della controparte, lĠart. 3 della l. 426/77, fatto rivivere dal decreto legge n. 64 del 2010, e lĠart. 11 del d.lgs. 368/2001 avrebbero in sostanza la stessa funzione. Ma ci˜ non , proprio per lĠintrinseca natura pubblicistica degli enti lirici che il decreto Bondi, ha inteso ribadire attraverso il permanere del divieto di conversione. cui allĠart. 3 della legge n. 426/1977 (26), fulcro della specialitˆ, che disponeva il divieto di conversione dei contratti, disciplinava ipotesi di divieto di assunzione e dettava una disciplina specifica per il rapporto di lavoro. Altro indirizzo giurisprudenziale, tuttavia, muoveva dalla conservazione in capo agli enti lirici di forti connotati pubblicistici. Ci˜ in coerenza con la ratio della disposizione di cui allĠart. 22, comma 2, del D.lgs. n. 367/96 che, nellĠescludere espressamente lĠapplicazione dellĠart. 2 della legge n. 230/62, dettava una disciplina speciale del lavoro a tempo determinato senza smantellare lĠantecedente sistema imperniato sulla operativitˆ del generale divieto di assunzione di personale a fronte di qualsivoglia ipotesi di nullitˆ del rapporto anche di natura genetica o funzionale. In tale solco ermeneutico si collocava la prevalente giurisprudenza risalente, orientata a riconoscere alla legge n. 426/77 lĠeffetto di derogare alla previsione di cui allĠart. 2, comma 2, della legge n. 230/62, con lĠobiettivo, confermato dalle leggi successive, di evitare lĠincremento del contingente numerico del personale degli enti musicali e di escludere che la rinnovazione dei contratti di lavoro a termine potesse implicare la stabilizzazione dei rapporti (27). Con la trasformazione non vi  stata una soluzione di continuitˆ rispetto alla specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro, sia per le riflessioni svolte sulla natura pubblica dellĠente, che rimaneva sostanzialmente pubblica, sia per la ratio dellĠoperazione di privatizzazione, sia per dati normativi. Il quadro non  stato poi modificato dallĠentrata in vigore del testo di riforma dei contratti a termine (d.lgs. n. 368/2001) il quale, nellĠart. 11, dopo avere disposto lĠabrogazione della legge n. 230/62, al comma 4 ripropone il dettato di cui allĠart. 22 del d.lgs. n. 367/96, prevedendo che al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal d.lgs. 29 giugno 1996 n. 367, non si applichino le norme di cui agli art. 4 e 5, concernenti il meccanismo della conversione in caso di proroghe e di successioni di contratti a termine (28). A fronte di una perdurante incertezza giurisprudenziale il legislatore  in (26) ÒSono, altres“, vietati i rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato (comma 4Ħ)Ó. Le assunzioni attuate in violazione del divieto di cui al precedente comma sono nulle di diritto, ferma la responsabilitˆ personale di chi le ha disposte (5Ħ comma)Ó. Dette disposizioni erano inoltre precedute dal comma secondo che disponeva il divieto di assunzioni di personale amministrativo, artistico e tecnico, anche in adempimento di obblighi d“ legge, che avessero comportato aumenti del contingente numerico del personale a qualunque titolo in servizio presso i predetti enti ed istituzioni alla data del 31 ottobre 1973. (27) Consiglio di Stato, 29 maggio 1987 n. 331; Consiglio di Stato n. 352 del 23 marzo 1998; Consiglio di Stato n. 571 del 28 aprile 1998. (28) Disposizioni speciali sono dettate anche nellĠart. 10, comma 7, lett. b) e d), per cui ai contratti stagionali o relativi a specifici spettacoli non si applicano i limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a tempo determinato. tervenuto con lĠart. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010 (29), convertito in legge n. 100/2010, al fine di fare chiarezza con una norma interpretativa sulla sopravvivenza, anche per il periodo successivo alla trasformazione in senso formalmente privatistico degli enti lirici, della specialitˆ della disciplina e del divieto di conversione. Il decreto si colloca in una situazione di emergenza economico-finanziaria delle fondazioni lirico-sinfoniche (30). Si coglie nella disposizione una continuitˆ ideale tra la sopravvenuta disposizione ed il sistema precedente (31): si conferma, con una disposizione interpretativa di portata retroattiva, la perdurante applicazione del divieto di conversione sin dalla trasformazione. Lettura questa che oggi si presenta come lĠunica possibile ai sensi della norma di interpretazione contenuta nel d.l. n. 69/2013 recante ÒDisposizioni urgenti per il rilancio dellĠeconomiaÓ, convertito in legge n. 98/2013, che nellĠart. 40, comma 1 bis, ha stabilito che ÒL'articolo 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle nome in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contrattiÓ. Non vi sono dubbi che la specialitˆ della disciplina dichiaratamente (29) LĠart. 3, comma 6, del decreto citato: ÒAlle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua a applicarsi lĠarticolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 febbraio 1977 n. 426 e successive modificazioni, (testo riportato sopra) anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368. Sono altres“ inefficaci i contratti di scrittura artistica non concretamente riferiti a specifiche attivitˆ artistiche espressamente programmate. Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dellĠart. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 (omissis)Ó. Il D.L. 64/2010, al pari della legislazione precedente, si innesta a pieno titolo nel solco del sistema di controllo della finanza pubblica, prevedendo un invalicabile limite alle assunzioni a tempo indeterminato ed alle assunzioni a tempo determinato, che dal 2013 non potranno eccedere precisi contingenti numerici (cfr. comma 5Ħ della disposizione in commento). Per un analisi delle diverse interpretazioni presenti in giurisprudenza si confronti la sentenza del Tribunale di Firenze, 11 marzo 2011, in D e L, Rivista critica di diritto del lavoro privato e pubblico, 2011, 337 e ss. (30) Per unĠanalisi completa del D.lgs. n. 64/2010 ed il suo intervento nellĠambito degli enti lirici si confronti LEON A.F., Enti lirici tra fini pubblici, irresponsabilitˆ dĠimpresa e autonomia territoriale, in Economia della cultura, 2010, 75 e ss., in cui si analizza come la riduzione del Fondo unico allo spettacolo, le deboli politiche di promozione della cultura lirica, un sostanziale fallimento della trasformazione abbiano contribuito a peggiorare progressivamente la situazione. (31) Il tenore letterale della norma (Òcontinua ad applicarsi lĠart. 3 commi quarto e quinto della legge 22 luglio 1977 n. 426Ó) suggerisce lĠopzione esegetica favorevole alla sopravvivenza del divieto di conversione anche per il periodo susseguente alla trasformazione degli enti lirici. Con i periodi successivi poi si introducono disposizioni tese ad impedire (Òin ogni casoÓ) il funzionamento dellĠistituto della conversione estendendone lĠefficacia anche ai rapporti in essere. retroattiva equivalga ad una sostanziale continuitˆ con il regime precedente. A breve distanza temporale poi lĠart. 11, comma 19, del d.l. n. 91/2013 recante ÒDisposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivitˆ culturali e del turismoÓ, come convertito con modifiche dalla legge n. 112/2013 ha ancora espressamente previsto che Òil contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche  instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubblicheÓ (32). LĠintervento si colloca allĠinterno della legge Bray, che prevede una disciplina di risanamento per gli enti lirico-sinfonici in stato di dissesto economico -finanziario attraverso un restringimento di tutti gli ambiti e le possibilitˆ di assunzione. Oltre al divieto assoluto di conversione con portata retroattiva ed oltre al principio dellĠaccesso esclusivamente tramite concorso  previsto in via generale nei piani di risanamento un restringimento della pianta organica del personale (33). La ratio di tutto lĠintervento del le (32) ÒPer la certificazione, le conseguenti verifiche e le relative riduzioni del trattamento economico delle assenze per malattia o per infortunio non sul lavoro, si applicano le disposizioni vigenti per il pubblico impiego. (É) La Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti competente certifica l'attendibilitˆ dei costi quantificati e la loro compatibilitˆ con gli strumenti di programmazione e bilancio, deliberando entro trenta giorni dalla ricezione, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L'esito della certificazione  comunicato alla fondazione, al Ministero dei beni e delle attivitˆ culturali e del turismo e al Ministero dell'economia e delle finanze. Se la certificazione  positiva, la fondazione  autorizzata a sottoscrivere definitivamente l'accordo. (É) Le fondazioni, con apposita delibera dell'organo di indirizzo, procedono a rideterminare l'organico necessario all'attivitˆ effettivamente realizzata, previa verifica dell'organo di controllo. La delibera deve garantire l'equilibrio economico- finanziario e la copertura degli oneri della dotazione organica con risorse aventi carattere di certezza e stabilitˆÓ. (33) Art. 11, comma 1, lettera c) Òla riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo fino al cinquanta per cento di quella in essere al 31 dicembre 2012 e una razionalizzazione del personale artisticoÓ, che verrˆ perseguito tramite un sistema di pensionamenti e accordi sindacali. Con la legge Bray (D.l. n. 91/2013, convertito in legge n. 112/2013)  stata prevista dallĠart. 11 recante ÒDisposizioni urgenti per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenzaÓ una corposa e complessa disciplina di risanamento degli enti lirico/sinfonici. Ai sensi del comma 1 del citato articolo la Fondazione Teatro dellĠOpera di Roma rientra nellĠambito di applicazione della disciplina. Ai sensi del comma 1 del citato articolo la Fondazione, atteso lo stato di dissesto economico -finanziario (perdite per circa 10 milioni di euro nel 2013 che si aggiungono ad un ingente debito pregresso),  rientrata obbligatoriamente nellĠambito di applicazione della disciplina e del piano di risanamento previsto dalla legge, con una conseguente riduzione della pianta organica. Accedere al programma di risanamento previsto dalla legge non costituisce infatti una scelta gestionale della Fondazione ma una conseguenza prevista dalla legge a causa dello stato di dissesto economico -finanziario. La legge Bray, cd. Provvedimento salva fondazioni liriche, ha previsto che tutti gli enti lirico -sinfonici in stato di sofferenza economico -finanziaria, debbano presentare un piano di ristrutturazione che vede, tra i punti qualificanti, il ripensamento delle piante organiche, con una diminuzione dellĠorganico fino al 50% ed il decadimento del contratto integrativo esistente. A suddetti piani di riduzione e riorganizzazione della pianta organica sono subordinati i fondi messi a disposizione dalla legge per ripianare il deficit e consentire la sopravvivenza dellĠente. Ai sensi dellĠultima parte dellĠart. 11, comma 19, ÒLe fondazioni, con apposita delibera dell'organo di indirizzo, da adottare entro il 30 settembre 2014, procedono a rideterminare l'organico necessario all'attivitˆ gislatore  chiara, si inserisce nel contesto costituzionale, e specifica ancora una volta ci˜ che giˆ era implicito nel sistema alla luce delle considerazioni svolte, ovvero che lĠinstaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso gli enti lirici pu˜ avvenire esclusivamente e necessariamente tramite concorso pubblico. Quanto si  verificato con il decreto Bondi ed il decreto Bray nel settore speciale del lavoro presso gli enti lirico-sinfonici si pone in perfetto parallelismo con quanto  accaduto nel pubblico impiego a seguito della riforma cd. Brunetta (d.lgs. n. 150/2009): un aumento del tasso di specialitˆ della disciplina che si allontana sempre di pi dal modello del lavoro privato (34). In questa congiuntura storico-economica anche la disciplina del lavoro negli enti lirici segue le linee di tendenza del pubblico impiego e presenta caratteristiche sue proprie peculiari. Proprio perchŽ la natura pubblica degli enti e le peculiaritˆ che da ci˜ derivano nella disciplina del rapporto di lavoro sono dati di fondo del sistema, non alterabili e che riemergono, indipendentemente dalla scelta sul modello:  impossibile considerare il rapporto di lavoro di diritto comune pieno. Non importa pi di tanto a questo punto rilevare ancora come gli enti lirico- sinfonici non rientrino nella nozione di pubblica amministrazione in senso stretto delineata dallĠart. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/201 e siano pertanto fuori dal suo ambito di applicazione. Gli enti lirico-sinfonici, enti pubblici ricompresi senza dubbio in una nozione di pubblica amministrazione in senso lato, hanno una propria disciplina speciale e peculiare del rapporto di lavoro che va ricostruita alla luce dei principi costituzionali e delle specifiche disposizioni di legge che si sono analizzate, rinviando alla disciplina del codice ci- da realizzare nel triennio successivo. La delibera deve garantire l'equilibrio economico-finanziario e la copertura degli oneri della dotazione organica con risorse aventi carattere di certezza e stabilitˆ'Ó. LĠart. 11, comma 13, prevede che ÒPer il personale eventualmente risultante in eccedenza all'esito della rideterminazione delle dotazioni organiche di cui al comma 1, le fondazioni di cui al medesimo comma, fermo restando per la durata del soprannumero il divieto di assunzioni di personale, applicano l'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. In caso di ulteriori eccedenze, con uno o pi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attivitˆ culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa informativa alle organizzazioni sindacali, sono disposti apposita procedura selettiva di idoneitˆ e il successivo trasferimento del personale amministrativo e tecnico dipendente a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore del presente decreto nella societˆ Ales S.p.A., nell'ambito delle vacanze di organico e nei limiti delle facoltˆ assunzionali di tale societˆ e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblicaÓ. é evidente come siano stati oggettivamente ristretti tutti gli ambiti di una possibile assunzione. I finanziamenti, destinati principalmente al rientro del debito, vengono inoltre agganciati e subordinati ai piani di risanamento e ad una gestione in termini di economicitˆ ed efficienza degli enti (art. 11, comma 7 e art. 11, comma 9 lett. a)). (34) DĠALESSIO G., La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 1 e ss. vile e delle leggi sul lavoro nelle imprese private solamente in quei settori ove sia costituzionalmente consentito oppure ove non sia diversamente stabilito da norme di legge speciali. Ci˜ detto e tenuto ben presente, si pu˜ passare ad analizzare lĠultima problematica relativa allĠapplicabilitˆ della riforma Fornero. 4. La non applicabilitˆ della riforma Fornero al rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti lirico-sinfonici. Abbiamo visto come gli enti lirico sinfonici siano enti pubblici non economici sottoposti ad una disciplina speciale relativamente ai rapporti di lavoro. Si pone a questo punto la necessitˆ di analizzare il problema relativo allĠapplicabilitˆ della riforma Fornero (legge n. 92/2012) alle pubbliche amministrazioni ed agli enti lirico-sinfonici, con particolare attenzione per il nuovo rito accelerato in materia di licenziamento introdotto dallĠart. 1, commi da 47 a 68. Per risolvere la questione  necessario partire dal dato normativo. Analizzando le disposizioni della legge troviamo nellĠart. 1, comma 7, che ÒLe disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (É)Ó. Il successivo comma 8 prevede che Òai fini dellĠapplicazione del comma 7 il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione (É) individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalitˆ ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle Pubbliche AmministrazioniÓ. Non vi  dubbio che il legislatore si sarebbe potuto esprimere in modo meno criptico, risparmiando agli interpreti numerose fatiche. Le norme non prevedono unĠapplicazione automatica delle disposizioni della legge n. 92/2012 (e quindi anche del rito accelerato in materia di licenziamento) ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni. Al contrario la legge, in maniera chiara, prevede che le disposizioni in essa contenute costituiscano solamente principi e criteri (il che  ben differente da una diretta applicabilitˆ) e che in ogni caso vi debba essere un intervento o una iniziativa del Ministro della funzione pubblica per una definizione degli ambiti, modalitˆ e tempi di applicazione ai dipendenti pubblici della riforma, al fine di unĠarmonizzazione con le peculiaritˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, o presso altri enti pubblici. Se dal comma 7 potrebbe ricavarsi, con una forzatura, unĠapertura ad una possibile estensione, il successivo comma 8 dichiara in modo inequivoco il valore meramente programmatico della riforma per le Pubbliche Amministrazioni (tanto che si  parlato di barriera imprescindibile ed invalicabile (35)) e rinvia ad altra futura ed eventuale sede lĠestensione della riforma al settore del lavoro ÒprivatizzatoÓ presso soggetti pubblici (36). La legge, quindi, subordina lĠapplicabilitˆ delle sue previsioni al settore pubblico ad un futuro intervento di armonizzazione delle discipline. In claris non fit interpretatio, la diretta applicabilitˆ  apertamente esclusa. La soluzione da prediligere deve essere per forza nel senso della non estensione della riforma Fornero e del rito speciale alle Pubbliche Amministrazioni, con la conseguente sopravvivenza del vecchio testo dellĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori e con la necessitˆ di ricorrere al rito ordinario. LĠinterprete  obbligato a ricavare lĠunica interpretazione possibile dal dato letterale. Si deve escludere anche la possibilitˆ di accedere ad interpretazioni che forzino la distinzione tra aspetti processuali ed aspetti sostanziali (37). Il dato normativo e la ratio della riforma, che si rivolge al mondo del lavoro privato, non possono consentire interpretazioni contra legem, nonostante una parte della giurisprudenza abbia seguito questa impostazione (38). (35) ROMEO C., La legge ÒForneroÓ e il rapporto di impiego pubblico, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 718. Il comma 8 si oppone a qualsiasi tentativo che possa portare ad interpretazioni estensive della disciplina al fine di unĠomogeneitˆ maggiore della regolazione del lavoro pubblico e privato. Nello stesso senso CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13 e ss. UnĠampia analisi la svolge anche n CAVALLARO L., LĠart. 18 St. lav. e il pubblico impiego: breve (per ora) storia di un equivoco, in Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, n. 6. (36) CARINCI F., Commentario alla legge Fornero, in Diritto e pratica del lavoro, IPSOA, 2012, 3, secondo il quale Òil co. 8 fa capire che quel che si ha in mente non  unĠestensione della riforma ma una sua riformulazione ad hoc, secondo lĠormai prevalente tendenza a dividereÓ quanto si era cercato di unire con la privatizzazione del pubblico impiego culminata nel T.U. del 2001. (37) Nulla si prevede in tal senso, anzi, la legge depone proprio in senso contrario: il silenzio del Legislatore  stato a volte erroneamente interpretato dalla giurisprudenza (ordinanza 7 marzo 2014 del Tribunale di Roma, ma anche Tribunale di Roma, 23 gennaio 2013 secondo cui ÒAi rapporti di impiego pubblico privatizzato si applica il rito speciale per lĠimpugnazione dei licenziamenti previsto dalla l. n. 92 del 2012 (c.d. Çriforma ForneroÈ), ma non anche il nuovo testo dellĠart. 18 st. lav. introdotto dalla medesima leggeÓ, Tribunale di Catanzaro, 28 febbario /2013 e Tribunale di Trento, 13 marzo 2013, secondo cui vi sarebbe uno spazio per lĠarmonizzazione delle norme sostanziali ma non per le norme processuali che quindi sarebbero le uniche direttamente applicabili alle Pubbliche Amministrazioni) come una tacita differenziazione tra aspetti processuali e sostanziali. Una simile soluzione avrebbe per˜ necessitato di espressi appigli normativi o indizi a favore. Nel totale silenzio sul punto, tra le due interpretazioni, si deve ritenere che nulla abbia inteso differenziare il Legislatore, il quale ha invece optato per unĠuniformitˆ tra aspetti processuali e sostanziali. Sulla inscindibilitˆ dellĠaspetto sostanziale da quello processuale ROMEO C., La legge ÒForneroÓ e il rapporto di impiego pubblico, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 715. (38) Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che il Òrinvio mobileÓ operato dallĠart. 51 T.U. n. 165/2001 allo Statuto dei lavoratori faccia s“ che non possa negarsi lĠapplicazione ai rapporti di lavoro pubblico della riforma Fornero. Per negare tale conseguenza, bisognerebbe, secondo questo orientamento, supporre che lĠart. 51 comma 2 T.U. n. 165/2001 sia stato abrogato nella parte in cui rende immediatamente applicabili al pubblico impiego le modifiche concernenti lĠart. 18 St. lav., ma una simile abrogazione non avrebbe appigli testuali, ed i commi 7 e 8 vengono a volte ignorati ed altre considerate norme di fatto superabili. Cos“ Trib. Perugia, ord. 9 novembre 2012 e 15 gennaio 2013, Trib. Ancona, ord. 31 gennaio 2013 e Trib. S. Maria Capua Vetere, ord. 2 aprile 2013. LĠimpostazione non regge per una serie di considerazioni: una parte della dottrina ha ritenuto che il rinvio allo Statuto dei lavoratori Òe sue successive modificazioniÓ contenuto nella norma del T.U. fosse limitato alle modifiche intervenute fino alla data di entrata in vigore del T.U. e non si riferisse alle modifiche successive a tale data. In ogni caso non si pu˜ ritenere che tale rinvio possa riguardare le recenti e radicali modi Si rifletta, nello specifico, sul nuovo rito speciale accelerato in tema di licenziamento introdotto dallĠart. 1, commi da 47 a 68. Giˆ il solo fatto che si caratterizzi come rito speciale, utilizzando pi volte il legislatore la definizione Òrito specificoÓ, dovrebbe portare a ritenere che la sua applicabilitˆ debba essere intesa in senso restrittivo, non si possa estendere al di lˆ dei casi espressamente previsti dalla legge. Per quanto riguarda le controversie in materia di licenziamento con le Pubbliche Amministrazioni bisognerˆ continuare ad utilizzare il rito ordinario del lavoro senza poter ricorrere al nuovo rito speciale accelerato. A prescindere dallĠimprecisione ed approssimazione della lettera della legge, un ulteriore dato andrebbe considerato: lĠart. 1, comma 42 (39), recita ÒAllĠarticolo 18 della legge (É) sono apportate le seguenti modificazioni (...)Ó. Non si parla di sostituzione del vecchio testo dellĠarticolo con il nuovo, ma solo di modificazioni. Modificazioni appunto nellĠambito di operativitˆ della riforma, con il precedente impianto che non viene toccato e rimane applicabile al lavoro pubblico: se modificata la disposizione non  pienamente abrogata e sostituita, ma diversificata nella sua sfera di applicazione (40): si riprende autorevole dottrina secondo cui la Òterminologia nuova, centrata sullĠapplicazione di una norma, che, a prescindere dallĠimprecisione ed ap fiche introdotte dalla riforma Fornero, per lĠimpossibilitˆ della valenza ex post di una norma in vigore nel lontano 2001 che disporrebbe un rinvio ultrattivo in grado di prevalere rispetto a successive disposizioni contrarie di legge che prevedano lĠinapplicabilitˆ e rinviino espressamente ad una successiva opera di armonizzazione. Il quadro non  pi quello del 2001, momento culmine del tentativo di avvicinamento tra lavoro pubblico e privato. Il quadro  quello dei successivi interventi del 2003, del 2009 e del 2012 che hanno scavato un solco profondo tra lavoro privato e pubblico impiego. Risponde a questa tesi in maniera convincente CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13 e ss., secondo cui Ònon sembra affatto da escludere che una volta interpretata lĠarruffata lettera dellĠart. 1, commi 7 e 8 l. n. 92/2012 nel senso di escluderne lĠapplicabilitˆ alle pubbliche amministrazioni, la disposizione dellĠart. 51 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 vada intesa come riferita al vecchio testo dellĠart. 18 St. Lav. a tuttĠoggi vigente, ma con un ambito applicativo ridotto, cio confinato allĠimpiego pubblico. Mentre, a sua volta, il nuovo testo dello stesso articolo sostituisce s“ il vecchio, ma anchĠesso con un ambito applicativo ristretto, cio limitato al lavoro privatoÓ. Con unĠaltra obiezione mossa a questa impostazione si rileva come muovendo dai commi 7-8 non si pu˜ che escludere lĠestensione proprio per scelta del Legislatore. Non vi  infatti silenzio sul punto ma una chiara presa di posizione. Se infatti  vero che tali prescrizioni rivelano lĠintenzione di varare un corpus normativo speciale per il pubblico impiego c.d. privatizzato non  possibile che nelle more della sua elaborazione la riforma Fornero si applichi ai lavoratori pubblici: la modifica del regime normativo vigente per il pubblico impiego non  ricompresa tra gli obiettivi della riforma Fornero in sintonia con il precedente costituito dal d.lgs. n. 276/2003 (che non si applica per espressa previsione al pubblico impiego) con cui vi  una forte linea di continuitˆ. Ulteriore obiezione si ha considerando come il regime dei licenziamenti per il pubblico impiego da sempre  stato differente rispetto a quello nel privato, dal momento che lo Statuto si applica a prescindere dal numero dei dipendenti: non si vede come non possa cogliersi nella riforma Fornero unĠulteriore, consueta, esplicita differenziazione tra i due regimi. (39) Cio il comma che riscrive non solo la rubrica dellĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori, ma integralmente il suo contenuto nei commi da 1 a 6. prossimazione della lettera della legge, se modificata non  novellata, e se cancellata non  abrogata, ma diversificata nella sua sfera di applicazioneÓ (41). Cio disapplicata solo per alcuni o che sopravvive solo per altri, con una conversione della terminologia da abrogazione a disapplicazione. Fermo il dato letterale, anche considerazioni di tipo sistematico ci mostrano come negli ultimi interventi in materia di lavoro pubblico (d.lgs. n. 150/2009) si sia preso atto del fallimento del modello del pubblico impiego ÒprivatizzatoÓ e si sia segnata una forte divaricazione con il settore del lavoro privato, che ha portato numerosi commentatori a parlare di nuova pubblicizzazione del pubblico impiego. La soluzione della non applicabilitˆ della legge Fornero alle Pubbliche Amministrazioni deve essere preferita anche per tali motivi e per il progressivo e ormai costante allontanamento tra le due discipline, distacco che trova una testimonianza aggiuntiva nella riforma del d.lgs. n. 276/2003 che esplicitamente prevede la sua non applicabilitˆ al pubblico impiego (42). Vi  una linea di continuitˆ. La riforma Fornero si inserisce a pieno titolo in questo percorso inverso, che dura ormai da una decina dĠanni, rispetto allĠavvicinamento tra pubblico e privato iniziato con la privatizzazione del 1993 e proseguito con le riforme del 1998. La sua ratio e le sue finalitˆ di intervento trovano ragion dĠessere solo nel settore privato (43),  questa la volontˆ del legislatore, e costituiscono una ulteriore prova della divaricazione in atto tra le due discipline. AllĠinterno di questo quadro si collocano anche gli enti lirico sinfonici. LĠanalisi compiuta nei paragrafi precedenti ci ha mostrato come la loro natura di enti pubblici non economici li inserisca a pieno titolo nella nozione di pubblica amministrazione in senso lato e di come la loro disciplina del rapporto di lavoro sia del tutto speciale e si muova anchĠessa verso un accentuazione, o un recupero, del tasso di specialitˆ e di come vi sia una centralitˆ delle politiche di risanamento e di riduzione delle piante organiche (decreto Bray) in perfetto parallelismo con quanto  avvenuto nel settore pubblico con la riforma Brunetta e con le recenti misure introdotte dal d.l. n. 95/2012, convertito in legge n. 135/2012 (cd. Decreto spending review) in materia di riduzione delle dotazioni organiche e gestione delle eccedenze del personale. (40) Non sarebbe peraltro la prima volta che il nostro ordinamento ci presenterebbe soluzioni differenti tra impiego pubblico e lavoro privato. Proprio in relazione allĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori  sufficiente richiamare lĠart. 51, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. La soluzione pertanto rispetta il canone di ragionevolezza. (41) CARINCI F., Art. 18 St. lav. per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 13. (42) Art. 1, comma 2, del d.lgs. 276/2003. In base alla riforma del 2003 coesistevano, relativamente al trasferimento dĠazienda ed al tempo parziale, due testi differenti: uno per il settore privato, e lĠaltro, il vecchio, per il pubblico. (43) Per un ampio commento in questo senso si rinvia a CARINCI F., Commentario alla legge Fornero, in Diritto e pratica del lavoro, IPSOA, 2012. Di fronte ad un consistente divaricamento, o allontanamento (44), dalla regolamentazione privatistica sia per il pubblico impiego che per la disciplina speciale degli enti pubblici lirico-sinfonici, si deve concludere rilevando lĠinapplicabilitˆ agli enti pubblici che non svolgano attivitˆ dĠimpresa della legge Fornero, pensata per il settore privato e ad esso esclusivamente applicabile per ragioni sistematiche e per espresse disposizioni di legge, non superabili con salti interpretativi. Tribunale di Roma, Sez. Terza lav., ordinanza 20 febbraio 2014, R.G. 43146/13 -Giud. D. Conte. La presente causa non appare trattabile col rito col quale si  chiesto di introdurla (art.1, commi 48 e segg. legge n. 92/2012), perchŽ dal combinato disposto dei commi 7 e 8 dell'art. 1 della legge cit. che in sostanza dicono che le disposizioni della legge non costituiscono che Òprincipi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoroÓ dei dipendenti pubblici, rimandando ad Òiniziative normativeÓ del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione lĠindividuazione e def“nizione de Ògli ambiti, le modalitˆ ed i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubblicheÓ appare emergere con sufficiente chiarezza la volontˆ del Legislatore di non dare diretta ed immediata applicazione alle novelle disposizioni nel settore del pubblico impiego, in quanto ivi chiamate a costituire un mero quadro di principi per una normazione a venire. Appare pertanto preferibile, siccome coerente con la volontˆ del legislatore, l'orientamento (pure emerso, come si apprende dalla produzione attorea, nel foro barese) per cui la legge 92/2012 non si applica direttamente ai rapporti di pubblico impiego, tanto pi che nulla appare ostare alla possibilitˆ che il legislatore, per detti rapporti, abbia inteso conservare la disciplina previgente: mentre gli agitati profili di irragionevolezza dell'impossibilitˆ, per i pubblici dipendenti, di accedere al rito sommario, se possono forse porre questioni di legittimitˆ costituzionale, non possono apparire idonei ad indurre ad una applicazione diretta della "legge ForneroÓ evidentemente non voluta. Ai meri fini della gestione del processo il giudicante ritiene, allo stato, che dalla inapplicabilitˆ dellĠart. 1, commi 48 e segg., della legge n. 92/2012 non debba derivare l'inammissibilitˆ del ricorso, ma la conversione del rito, perchŽ la prima opzione appare contraria al cd. principio di conservazione degli atti (art. 159, co. 3, c.p.c.) il quale vuole che se una ragione di nullitˆ impedisce un determinato effetto, l'atto pu˜ produrre gli altri effetti per la produzione dei quali Ž idoneo, se ne presenta i requisiti di forma e sostanza. In particolare, in applicazione di detto principio, si segnala condivisibilmente, ad esempio, che un atto proposto come reclamo dinanzi al giudice competente pu˜ va1ere dinanzi allo stesso giudice come appello (Cass. 17939/2009); l'appello in materia di separazione proposto con citazione anzichŽ con ricorso si conserva se non sono intervenute decadenze (Cass. 17645/2007); e nessuno dubita che in tali casi, sebbene non esistano (non esistessero) disposizioni sulla conversione del rito, il giudice adito debba poi procedere secondo il rito inderogabilmente prescritto per materia in relazione alla fattispecie, semplicemente perchŽ il giudice deve inderogabilmente applicare il (44) Di Ògap incolmabileÓ parla ROMEO C., La legge ÒForneroÓ e il rapporto di impiego pubblico, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, 725. rito prescritto dalla legge, se questo non  optativo; potendo venire in considerazione solo lĠidoneitˆ dellĠatto ad introdurre il rito richiesto dalla legge. E tale questione pu˜ essere decisa validatnente solo una volta che il processo sia stato gestito secondo il rito richiesto dalla legge. PoichŽ il passatagio dal rito Fornero al rito lavoristico ordinario comporta lĠinnesto di un regime di preclusioni altrimenti inesistente, debbono trovare applicazione, se del caso in via analogica, le disposizioni di cui agli artt. 426 c.p.c. e 4, co. 3, del D.lgs. n.150/2011. P.Q.M. a) dispone che la presente causa sia trattata col rito lavoristico ordinario di cui agli artt. 409 e segg. c.p.c.; b) rinvia la causa allĠudienza del 17 aprile 2014 alle ore 10, autorizzando parte ricorrente ad integrare lĠatto introduttivo mediante nota da depositare entro il 12 marzo 2014: e parte convenuta a fare altrettanto, entro il 4 aprile 2014. Azione generale di arricchimento nei confronti della P.A. e problematiche sulla determinazione del quantum indennizzabile CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA 7 GIUGNO 2013 N. 3133 Giulia Guccione* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Inquadramento generale dell'istituto - 3. LĠaccertamento della misura dellĠarricchimento dovuto. 1. Premessa. Con recente pronuncia la quinta sezione del Consiglio di Stato ha mostrato di aderire all'orientamento secondo il quale l'indennitˆ prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virt del contratto (nel caso di specie di appalto pubblico) invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; per cui, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non potrebbe farsi ricorso alla revisione prezzi poichŽ tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del contratto, e inidonea, pertanto, a costituire anche solo un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto. Al fine di meglio comprendere l'opportunitˆ di tale orientamento giurisprudenziale, giˆ consolidatosi nella giurisprudenza ordinaria, s' scelto di operare una ricostruzione storica e dogmatica dell'istituto, con particolare riferimento all'evoluzione delle elaborazioni teoriche concernenti la determinazione della misura dell'indennitˆ e le problematiche sottese in ordine alle differenti possibili soluzioni. 2. Inquadramento generale dell'istituto. L'arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., trova antecedente in quel- l'istituto del diritto romano classico, ricondotto alla categoria dei Òquasi contrattiÓ, che prendeva il nome di actio de in rem verso (1), ed appartiene all'ampia ed eterogenea categoria dei rimedi restitutori essendo, per l'appunto, volto a consentire il recupero di quanto da un soggetto lucrato senza causa a spese di un altro (2). (*) Avvocato del libero Foro, giˆ praticante presso lĠAvvocatura dello Stato. (1) In tema v. GALLO, Commentario al Codice civile diretto da BUSNELLI, artt. 2041-2042, Milano, 2003, 9. (2) ALBANESE, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, 381 e ss. Oggi, a ben guardare, potrebbe risultare fuorviante l'inquadramento operato dalla dottrina romanistica posto che, com' noto, elemento caratterizzante il quasi contratto  la presenza di un comportamento volontario del soggetto che, con esso, fa sorgere l'obbligazione. Nell'arricchimento senza causa  invece assente ogni componente volontaristica poich l'obbligazione sorge direttamente dalla legge quando si verifichino i presupposti fondamentali, individuati secondo l'interpretazione tradizionale, in quattro elementi fondamentali: la contemporanea sussistenza di un arricchimento da un lato, e di un impoverimento, dall'altro; l'esistenza del nesso causale fra quest'ultimi e la mancanza di un titolo giustificativo del negozio (3). L'azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione (4) presenta caratteri di specialitˆ rispetto al rimedio generale. Caratteri, quest'ultimi, configurati in via pretoria, e comportanti talvolta anche vistosi allontanamenti dalla struttura-base prima brevemente richiamata. Primo dato differenziale  l'aggiunta di un ulteriore requisito: il riconoscimento dell'utilitˆ da parte dell'Amministrazione (5) (o, per usare una locuzione ripresa da risalente giurisprudenza, Òprevio gradimento dell'amministrazione stessaÓ). Requisito, questo, formulato giˆ nella vigenza del codice del 1865 dapprima in materia di gestione d'affari altrui e successivamente esteso anche all'azione di arricchimento e confermato da una pronuncia delle Sezioni Unite del 2008 (6), leading case nella materia de qua, cui successivamente si  con- formata la giurisprudenza sia civile che amministrativa (7). Un presupposto che, prima facie, potrebbe apparire iniquo dato che cos“ ragionando si subordina il diritto del depauperato al compimento di un atto da parte di un soggetto che, in linea teorica e astratta, non ha alcun interesse a compimento ma che diviene condivisibile ove si tenga conto della ratio sottesa, da ravvisarsi nel fatto che l'autoritˆ giudiziaria - per i limiti di cui all'art. 4, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E - non potrebbe scendere ad un esame discrezionale e tecnico circa l'utilitˆ conseguita dalla P.A, il cui giudizio  rimesso interamente e unicamente all'amministrazione. (3) CARINGELLA, Manuale di diritto civile. Le obbligazioni, Milano, 2008, 1221 e ss. (4) PRUSSIANI, L'azione di arricchimento senza causa nei rapporti tra la pubblica amministrazione ed il professionista: riconoscimento dell'utilitas e criteri di quantificazione dell'indennizzo, in Corriere Giur., 2012, 10, 1216. (5) Ex plurimis: v. Trib. Milano Sez. I, 15 febbraio 2012 ai sensi del quale ÒL'azione di arricchimento senza giusta causa, disciplinata dall'art. 2041 c.c.,  esperibile nei confronti della P.A. allorquando la stessa abbia tratto un vantaggio economico dall'attivitˆ posta in essere in suo favore da un terzo. Ai fini del valido esperimento dell'azione, in ragione degli interessi pubblici perseguiti dall'amministrazione,  richiesta la sussistenza di ulteriori condizioni rispetto alla previsione codicistica quali, oltre al fatto materiale dell'esecuzione di una prestazione economicamente vantaggiosa per l'ente pubblico, il riconoscimento dell'utilitˆ stessa da parte dell'enteÓ. (6) Cass. civ. Sez. Unite, 11 settembre 2008, n. 23385. (7) Cons. St., Sez. III, 24 aprile 2013, n. 2312. A questa, si affianca l'ulteriore esigenza di tutelare l'interesse pubblico che deve permeare l'agire della P.A. - contro l'iniziativa di privati che agiscano all'insaputa delle autoritˆ competenti per trarne comunque un vantaggio economico; esigenza tanto pi sussistente se si pensa alla circostanza che un orientamento ha, in passato, ammesso il computo del lucro cessante all'interno del quantum da restituire (8). Altra obiezione che potrebbe essere mossa attiene ad un'asserita disparitˆ che in tal modo si creerebbe quando, a paritˆ di prestazione e soggetto passivo dell'obbligazione, l'azione si modellerebbe in modo differente a seconda che destinatario della prestazione sia un altro soggetto privato o l'Amministrazione. Profilo che non si pu˜ certo ritenere discriminatorio se sol si pensa alla diversa rilevanza degli interessi giuridicamente rilevanti di cui questi sono portatori, pertanto idonea a giustificare, sul piano della ragionevolezza, una diversitˆ di disciplina. Superati tali preliminari dubbi, ci si  chiesti, quanto alle modalitˆ con cui deve avvenire il riconoscimento, se questo sia ammissibile anche in forma implicita o debba, piuttosto, avere carattere esplicito e avvenire con atto formale. In particolare, i fautori di quest'ultima tesi si dividono tra quanti richiedono non solo un atto espresso, ma anche che questo sia costituito da un provvedimento adottato a conclusione di un procedimento correttamente instaurato ed abbia, insomma, tutti i crismi di validitˆ ed efficacia, e tra quanti ammettono che il requisito sia soddisfatto anche da un atto carente delle varie formalitˆ, purch da questo risulti chiaramente che l'Amministrazione riconosce d'aver conseguito un vantaggio. Viceversa, altro orientamento ha ritenuto che il riconoscimento potesse avvenire anche implicitamente (9), soprattutto quando l'ente era addivenuto all' ÒutilizzazioneÓ, posto che, empiricamente, si riscontrava l'esperibilitˆ di quest'azione in presenza di prestazioni di privati avvenute in dipendenza di contratti irregolari, nulli o inesistenti da parte, generalmente, di imprenditori o professionisti. Cos“, negli ultimi tempi la giurisprudenza ha optato per un'attenuazione della rilevanza di questo requisito, essendosi infine consolidata la regola in virt della quale ai fini del riconoscimento  sufficiente un uso o un impiego dei beni o dei servizi per le finalitˆ dell'ente; sicch pu˜ oggi ammettersi che questo risulti implicitamente per facta concludentia o attraverso l'utilizzazione della prestazione. Questa evoluzione giurisprudenziale trova giustificazione nel tentativo, (8) V. Cass. 7136/1996; Cass. 12 aprile 1995 n. 4192; Cass. sez. un. 5833/1984 e Cass. 6570/2005 che apportano un temperamento alla tesi ivi sostenuta e secondo cui il mancato guadagno indennizzabile deve considerarsi soltanto quello che il professionista avrebbe ricavato dal normale svolgimento della sua attivitˆ professionale nel periodo di tempo dedicato invece all'esecuzione dell'opera utilizzata dal- l'ente pubblico. (9) Cfr. Cons. St., Sez. V, 4 giugno 2009 n. 3460. da parte dei giudici, di temperare la posizione di vantaggio in cui si trova la P.A. in dette situazioni sostanziali, ed evitarne un eccessivo arbitrio. Altro profilo che attiene le forme del riconoscimento riguarda gli organi all'uopo abilitati. Se da un lato, infatti, la giurisprudenza ha mostrato un'apertura verso le esigenze del privato ammettendo la forma implicita del riconoscimento, dal- l'altro ha circoscritto l'ambito dei soggetti deputati al riconoscimento (esplicito o implicito) dell'utilitˆ della prestazione. Questo, infatti, pur non dovendo rispondere a particolari requisiti di forma,  desumibile solo da atti e comportamenti di organi qualificati, cui sia rimessa la formazione della volontˆ dell'ente, e non da qualsiasi soggetto facente parte della struttura dell'ente (10). 2. L'accertamento della misura dell'arricchimento dovuto. La querelle che tuttavia ha maggiormente interessato la giurisprudenza attiene al profilo dell'accertamento della misura dell'arricchimento dovuto e, con tutta probabilitˆ, nasce dal fatto che lĠazione di arricchimento  - nonostante la sua natura sussidiaria - un rimedio suscettibile di essere esperito in moltissime fattispecie. Tra i casi in cui vi si  fatto pi frequente ricorso spiccano lĠarricchimento causato da fatto altrui e lĠarricchimento dovuto allĠesecuzione di una prestazione professionale sulla base di un negozio irregolare, invalido o inesistente (11); ed  forse per ovviare alle iniquitˆ che si sarebbero prodotte in questi casi che recentemente la giurisprudenza ha cominciato a scostarsi dalla previsione testuale dell'art. 2041 il quale, a onor del vero, dice che l'obbligo restitutorio non pu˜ superare il limite dell'arricchimento. Tre sono i filoni giurisprudenziali succedutisi a riguardo negli anni: il primo, volto a escludere dal computo dellĠindennizzo il mancato guadagno ex artt. 1223 e ss. c.c., pone lĠaccento sulla differenza tra il danno aquiliano e il pregiudizio cui si riferisce la disciplina dell'arricchimento; un secondo sostiene (10) Vedi in tal senso: Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2013, n. 9486 secondo cui Òil riconoscimento dell'utilitˆ dell'opera e la configurabilitˆ stessa di un arricchimento restano affidati a una valutazione discrezionale della sola P.A. beneficiaria, unica legittimata - mediante i suoi organi amministrativi o tramite quelli cui  istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontˆ - ad esprimere il relativo giudizio, che presuppone il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta, dell'opera al pubblico interesse, senza che possa operare in via sostitutiva la valutazione di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, nŽ di un qualsiasi altro soggetto dell'amministrazione beneficiaria. Tale riconoscimento pu˜ essere esplicito o implicito, occorrendo, in quest'ultimo caso, che l'utilizzazione dell'opera sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell'ente, in quanto la differenza tra le due forme di riconoscimento sta solo nel fatto che la prima  contenuta in una dichiarazione espressa, mentre la seconda si ricava da un comportamento di fatto, tale da far concludere che il suo autore abbia inteso conseguire uno specifico risultatoÓ. (11) Si veda, sull'argomento: PRUSSIANI, L'azione di arricchimento senza causa nei rapporti tra la pubblica amministrazione ed il professionista: riconoscimento dell'utilitas e criteri di quantificazione dell'indennizzo in Corriere Giur., 2012, 10, 1216. che deve essere indennizzato il valore corrispondente al Çgiusto prezzoÈ o Çgiusto corrispettivoÈ della prestazione eseguita dallĠimpoverito; un ultimo, maggioritario, invece ritiene che allĠimpoverito debba essere indennizzato sia il danno emergente che il lucro cessante. La prima impostazione fra quelle citate ha, in particolare, fatto leva sul concetto di Òdiminuzione patrimonialeÓ e sulla differenza intercorrente fra i concetti di ÒperditaÓ e ÒdannoÓ (12) i quali differirebbero, per la circostanza che il secondo, a differenza del primo,  ricollegato a profili di responsabilitˆ. Alla sussistenza di una responsabilitˆ del soggetto, infatti, corrisponderebbe un maggior disvalore del fatto e, pertanto, la necessitˆ di un differente trattamento in sede di computo del quantum: ne deriverebbe la necessaria esclusione del mancato guadagno, il quale atterrebbe, pi opportunamente, alla sola nozione di danno. Di conseguenza, una equa liquidazione del quantum dovrebbe ammontare limitatamente alla somma di quanto un soggetto abbia fatto proprio in virt della diminuzione patrimoniale dellĠaltro soggetto coinvolto. I fautori della seconda ricostruzione - secondo cui invece il danno ex art. 2041 c.c. deve essere equivalente al valore del bene o della prestazione o del- lĠattivitˆ altrui che ha prodotto lĠarricchimento - ravvisano l'elemento differenziale con la responsabilitˆ da illecito nel fatto che, in quest'ultimo caso, il danno  pari non al valore della cosa o della prestazione, bens“ allĠinteresse leso, valutato in concreto e corrispondente al danno emergente e al lucro cessante. L'art. 2041, porrebbe una tutela omogenea ad altre ipotesi (artt. 935, 936 e 939 c.c.) tutte espressive, in realtˆ, di principi aventi portata generale. Quindi, se da un lato non pu˜ ristorarsi il lucro cessante, ci˜ non vuol dire che lĠimpoverito debba subire un ingiusto pregiudizio, quale sarebbe se l'indennizzo non corrispondesse al Ògiusto valoreÓ. Una tesi siffatta  stata seguita dalla giurisprudenza soprattutto nei casi di prestazione d'opera di un professionista o di un imprenditore, avvenuta in virt di un titolo inesistente o invalido. Con una soluzione equitativa e dando rilievo al Çgiusto corrispettivoÈ per la prestazione eseguita, si  cos“ riconosciuto al professionista ci˜ che avrebbe ricavato dal normale svolgimento della propria attivitˆ professionale, pur negando - formalmente - la possibilitˆ che la restituzione potesse consistere nella controprestazione indicata nel contratto stesso poich l'actio de in rem verso non pu˜ surrettiziamente instaurare vincoli contrattuali. Ben presto, e specificamente con riguardo alle azioni di arricchimento esperite nei confronti della pubblica amministrazione per prestazioni profes (12) Mentre, infatti, quest'ultimo mira ad ottenere la restitutio in integrum in virt del principio in base al quale si vuole evitare che l'agire contra legem di un soggetto possa produrre conseguenze negative nella sfera patrimoniale e personale di un altro soggetto; il Òriparare alla perditaÓ ha come fine quello di rimediare, semplicemente, allo squilibrio formatosi senza adeguata giustificazione, sicch avrebbe quella base prettamente equitativa, riscontrabile in altre fattispecie codicistiche (es.: 2045 e 2047 c.c.) ove sono previste indennitˆ al difettare dei presupposti per il risarcimento ex art. 2043. sionali eseguite in virt di contratti invalidi, si  sviluppato il terzo orientamento menzionato, il quale propendeva per unĠinterpretazione estensiva della locuzione di cui all'art. 2042 c.c.: Çpregiudizio subitoÈ . Ponendo, infatti, al centro dellĠanalisi la lesione dellĠinteresse e il danno dellĠimpoverito, la Cassazione ha riconosciuto indennizzi individuati in base ai tariffari professionali, o a norma dellĠart. 1226 c.c., cos“ realizzando un ristoro per la lesione della situazione giuridica soggettiva dell'impoverito del tutto analogo a quello che potrebbe realizzarsi con lĠazione risarcitoria. Pur ammettendo che lĠinterpretazione letterale conduceva alla non indennizzabilitˆ del mancato guadagno, s'affermava - tuttavia - che diminuzione patrimoniale rilevante ex lĠart. 2041 c.c. dovesse essere ogni perdita economica del soggetto a svantaggio del quale lĠaccipiens si fosse arricchito, compreso il mancato guadagno. Ci˜ perchŽ a fondamento della norma vi sarebbe una ratio volta ad evitare che un soggetto ottenga senza causa un incremento patrimoniale a danno di un altro soggetto: il considerare l'intero pregiudizio sub“to sarebbe, insomma, diretta conseguenza dell'interpretazione teleologica dell'istituto e approdo necessitato dalla rilevanza dell'elemento causale all'interno del nostro ordinamento, sicch non sarebbe possibile tollerare spostamenti patrimoniali disgiunti da una causa giustificatrice, neppure quando beneficiario ne sia un ente pubblico (13). Una siffatta soluzione, condivisibile per la coerenza coi principi fondamentali che governano gli spostamenti patrimoniali, ha tuttavia avuto - quale effetto distorsivo - quello di trasformare l'actio de in rem verso in un rimedio equitativo privo di parametri certi di riferimento, idoneo a far conseguire ai soggetti privi di valido titolo il compenso tendenzialmente integrale cui avrebbero avuto diritto ove l'affare fosse stato validamente concluso. Con la particolaritˆ che, di volta in volta, l'azione di indebito arricchimento prendeva in prestito (mascherandoli da meri indici parametrici o da elementi di prova presuntiva richiesti per una corretta valutazione equitativa) i criteri di liquidazione pi favorevoli all'impoverito, applicandoli senza dover sottostare ai presupposti e alle condizioni cui il legislatore subordinava l'individuazione della controprestazione di lavori e servizi per la P.A. Con la pericolosa conseguenza di indebiti vantaggi per il privato contraente con la P.A., il quale avrebbe potuto ottenere la rideterminazione in base a parcella da lui stesso predisposta, ancorata alle tariffe professionali, anzich il minor compenso giˆ prestabilito dal- l'ente nella convenzione invalida o nel capitolato (14). Ad aggravare il quadro generale stava la circostanza che questi effetti positivi si producevano anche a favore di chi sapeva non esistere affatto un contratto o, peggio, ne conosceva l'invaliditˆ, poichŽ - non riguardando profili di responsabilitˆ - l'azione de qua (13) Cfr. Cass., S.U., n. 1025/1996; Cass. 7694/1992. (14) V. Cass. civ. Sez. III, 25 settembre 1998, n. 9584. prescinde da qualsiasi indagine sull'elemento psicologico; e ci˜ anche nelle ipotesi del c.d. arricchimento imposto o mediato, ove gli impoverimenti sono dovuti ad iniziative e comportamenti stessi dell'impoverito. Il risultato aberrante di questa giurisprudenza  stato quello di rendere l'azione de qua una alternativa rispetto al rapporto contrattuale vero e proprio, ideale ÒscappatoiaÓ per eludere l'applicazione delle norme imperative dell'evidenza pubblica (15). A partire dagli anni Novanta  subentrata in giurisprudenza una cautela sempre maggiore nella concessione dell'azione de qua. Cautela che s' tradotta, anzitutto, nella pretesa di un doppio requisito del riconoscimento, che poc'anzi abbiamo anticipato e qui giova ripetere e meglio puntualizzare, che dev'essere sia consapevolmente attuato dagli organi rappresentativi dell'ente, e concretizzarsi nell'effettiva utilizzazione della prestazione medesima; sia proveniente non pi da qualsiasi soggetto o ufficio che faccia parte della struttura dell'ente, bens“ solo da quelli cui  rimessa la formazione della volontˆ dello stesso o che per legge ne hanno la rappresentanza esterna, o in altre parole, da quegli stessi organi che sarebbero stati competenti a manifestare la volontˆ dell'amministrazione di contrarre nonchŽ a stipulare. In questo clima si innesta una importante pronuncia delle SS.UU. (16) che, con l'occasione, hanno riesaminato in radice funzione e finalitˆ dell'azione ex art. 2041 c.c. allorchŽ rivolta contro la pubblica amministrazione e, disattendendo la giurisprudenza divenuta ormai maggioritaria, si sono espresse a favore dellĠinterpretazione che esclude dal computo dellĠindennizzo il lucro cessante. Pi sono gli argomenti a sostegno svolti in motivazione. In primis, l'argomento testuale: la lettera della norma  chiara sul punto e si (15) Mosso proprio da questa preoccupazione,  intervenuto il legislatore che ha tentato, senza peraltro riuscirvi, di ridimensionare l'istituto con l'art. 23, 4Ħ co., D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in L. 24 aprile 1989, n. 144, stabilendo che in materia di enti locali in caso di lavori urgenti, non regolarizzati,  solo possibile agire ex contractu nei confronti del funzionario che ha agito illegittimamente. Nelle intenzioni del legislatore la configurazione di una responsabilitˆ contrattuale diretta in capo al funzionario avrebbe dovuto costituire un deterrente contro le violazioni di legge da parte dei pubblici dipendenti i quali perseguivano fini di profitto colludendo con soggetti privati contraenti. Ma sarebbe stato deterrente per i privati stessi, onerati ad addivenire a una contrattazione munita di tutti i crismi, data la probabile e frequente insolvibilitˆ del funzionario stesso. In seguito la giurisprudenza si  per lo pi attenuta a questa normativa escludendo la possibilitˆ per il privato di agire direttamente in arricchimento contro la P.A.: infatti, posto il carattere esplicitamente sussidiario dell'azione ex art. 2042 c.c., la possibilitˆ di agire ex contractu nei confronti del funzionario escluderebbe la possibilitˆ di agire in arricchimento nei confronti della P.A., salva la possibilitˆ per il privato di esperirla in via surrogatoria. Successivamente il legislatore  nuovamente intervenuto con il D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342 riconoscendo alla P.A. la facoltˆ di riconoscere i debiti fuori bilancio Çnel limite dell'indebito arricchimentoÈ, in tal modo generando notevole confusione perch da un lato ripristinava il principio per cui compete all'ente stesso il riconoscimento dell'utilitˆ, dall'altro pretendeva un riconoscimento formale, in palese contrasto con l'evoluzione giurisprudenziale prima citata che giˆ in precedenza aveva ammesso che questo avvenisse anche implicitamente. (16) Cass. Civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385. pone in linea di continuitˆ col principio romanistico Çiure naturae aequum est neminem cum alterius detrimento et iniuria fieri locupletioremÈ il quale consentiva di riparare, attraverso la nascita di obbligazioni restitutorie in capo allĠarrichito, il detrimentum sofferto da un impoverito a seguito dellĠesecuzione di una prestazione senza una giustificazione, sia essa mancante ab origine o venuta meno successivamente. Tale istituto presupponeva la nascita di un'obbligazione avente marcatamente carattere restitutorio, non di riparazione o risarcimento. Se, dunque, la natura dellĠobbligazione  restitutoria, oggi come in passato, deve concludersi che lĠesclusiva funzione dell'actio de qua sia semplicemente quella di porre in equilibrio una situazione di fatto alterata. A conferma le Sezioni Unite riportano che giˆ sotto il codice del 1865 la giurisprudenza ammetteva lĠactio de in rem verso del tutto simile a quella romanistica. Conclusione avallata, oltre che dalle applicazioni storiche dell'istituto anche dalla collocazione sistematica che questo riceve all'interno del codice: subito dopo le ipotesi di obbligazioni restitutorie. Potrebbe concludersi, da ci˜, che tali ipotesi e lĠazione di arricchimento hanno un comune principio ispiratore volto a ripristinare una situazione di equilibrio tramite la Çrestituzione È, rimanendo comunque differenziati circa la portata: le prime sono rimedi applicabili a fattispecie tipiche, riferite a specifiche perdite, lĠazione ex art. 2041 ha invece portata generale potendo applicarsi a tutte le ipotesi di perdite ingiuste non previste dal legislatore a chiusura dei rimedi esperibili e avente dunque carattere sussidiario (previsto esplicitamente allĠart. 2042 c.c.). Inoltre, siffatta conclusione  l'unica coerente con l'esigenza di evitare ogni possibile commistione con le azioni contrattuali, le sole aventi la funzione di assicurare al privato il giusto corrispettivo dell'incarico o dei lavori eseguiti. Ma v' di pi. In tal modo, risulta ripristinata la funzione originaria di norma generale di chiusura destinata a disciplinare tutti i casi cui debba conseguire la restituzione che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere singolarmente. Con la rilevante conseguenza che, vertendosi in tema di restituzioni e non di risarcimento, deve concludersi necessariamente che la norma non mira alla ricomposizione del patrimonio dell'impoverito, sicchŽ difetta in radice un titolo idoneo a compensare il suo mancato incremento attraverso profitti non realizzati. Da queste argomentazioni, non pu˜ non trarsi una stigmatizzazione del percorso logico seguito dalla giurisprudenza prima esaminata, in base al quale la stima dell'indennizzo non solo veniva conformata al modello contrattuale senza tener poi conto delle specifiche condizioni e limitazioni costituite dalle regole dell'evidenza pubblica, ritenute eppure assolutamente inderogabili, eludendole e neutralizzandone in nome di imprecisate esigenze equitative; ma, altres“, utilizzava istituti ed elementi parametrici peculiari di dette azioni col risultato di assicurare all'autore di una prestazione eseguita - malgrado l'invaliditˆ del contratto - il medesimo profitto che avrebbe ricavato nello stesso periodo di tempo da altre attivitˆ remunerate. In tal modo l'azione de qua non presenta pi i caratteri di strumento legibus solutus idoneo, da un lato, a ricomprendere tutti i benefici derivanti da un contratto valido e, dall'altro, a trascenderlo per aggiungervi anche quelli non consentiti dalle condizioni e dai limiti posti dall'ordinamento all'attivitˆ negoziale degli enti pubblici. In conclusione, pu˜ oggi dirsi che con la sentenza delle SS.UU.  stato inaugurato un consolidato orientamento nella giurisprudenza di legittimitˆ (17), teso a privilegiare l'interpretazione dell'art. 2041 c.c. che esclude dal calcolo dell'indennitˆ (richiesta per la "diminuzione patrimoniale" subita dall'esecutore di una prestazione in virt di un contratto invalido) quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Orientamento che, come dimostra la pronuncia in epigrafe, pare essere stato ormai recepito anche nella giurisprudenza amministrativa. Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 7 giugno 2013 n. 3133 -Pres. Trovato, Est. Lotti - Monteco Srl (avv.ti Lazzari e Positano) c. Comune di Casarano (avv. Mormandi). DIRITTO Ritiene il Collegio di dover precisare, sotto il profilo fattuale, che la vicenda oggetto dellĠappello riguarda un contratto (rep. n. 1144 del 22 marzo 1994), con cui lĠappellato Comune di Casarano aveva affidato allĠA.T.I. G.I.ECO srl - SO.GEA.A. srl (poi Monteco srl, attuale appellante) il servizio di igiene urbana e servizi complementari per la durata di otto anni. Alla scadenza del suddetto rapporto contrattuale (28 febbraio 2002) il medesimo servizio veniva riaffidato alla societˆ concessionaria, inizialmente in virt della deliberazione di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e della determinazione n. 284 del 22 febbraio 2002; poi, in virt di delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, fino al 17 luglio 2003. Successivamente, sia la cit. delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 che la cit. determina n. 284 del 22 febbraio 2002, venivano annullate da questo Consiglio con sentenza 2079-03; invece, la cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e la cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002 risultavano adottate in violazione dellĠordinanza cautelare di questo Consiglio 28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio dĠappello (RG n. 6947/02). Per fronteggiare la situazione di emergenza, il Comune appellato aveva imposto lĠesecuzione dellĠattivitˆ precedentemente appaltata mediante lĠadozione di ordinanze sindacali ai sensi dellĠart. 13 del d.lgs. n. 22-1997 e dellĠart. 30 del d.lgs. n. 267-2000 (ordinanza n. 113 del 10 luglio 2003, ordinanza n. 209 del 30 dicembre 2003, ordinanza n. 124 del 29 giugno 2004, ordinanza n. 219 del 30 dicembre 2004, ordinanza n. 98 del 30 giugno 2005, ordinanza n. 212 del 30 dicembre 2005, tutte di durata infrasemestrale). Nel 2007, quando il Comune aveva affidato il medesimo servizio ad altro concessionario, individuato con apposita gara, la ditta Monteco ha presentato ricorso al TAR Puglia, sezione di Lecce, chiedendo: (17) V. anche Cass. SS.UU. n. 1875/2009 e Cass. n. 22313/2011; n. 20648/2011; n. 3905/2010. Pi di recente v. Cass. civ. Sez. I, Sent., 17 gennaio 2013, n. 1167. -il compenso revisionale (comprensivo degli importi corrispondenti allĠalea del 10%) per il periodo dal 1Ħ gennaio 1998 al 17 luglio 2003; -il recupero dellĠimporto corrispondente allĠalea per il periodo 1Ħ marzo 1995 - 31 dicembre 1995 e per il periodo 1Ħ gennaio 1996 - 31 dicembre 1997; - il riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dallĠaffidamento coattivo del servizio. Il TAR, con la sentenza giˆ riassunta in punto di fatto, riconosceva il diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi per il periodo di durata dellĠoriginario rapporto contrattuale (ovvero sino al 28 febbraio 2002) e disconosceva il preteso diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi per il periodo successivo (fino al 17 luglio 2003), rigettando la richiesta di rimborso dei maggiori oneri derivanti dallĠaffidamento coattivo. LĠappellante impugnava detta sentenza limitatamente ai capi 2.2.B e 2.3.C, chiedendone la parziale riforma. Secondo il Collegio, lĠappello non pu˜ essere accolto. Infatti, in primo luogo, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poichŽ i provvedimenti con cui  stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 2079-03, il relativo contratto  da ritenersi invalido  affetto da nullitˆ (rectius: sia stato caducato), come giˆ chiarito in via generale da questo Consiglio con la fondamentale sentenza della sez. V 13 novembre 2002, n. 6281, che ha utilizzato la categoria della nullitˆ virtuale o extratestuale per violazione di norme imperative, ma anche, conseguentemente, di tipo strutturale, per difetto di titolo al contratto in capo all'affidatario. Secondo la cit. sentenza del 2002 la nullitˆ per violazione di norma imperativa (proibitiva della stipula del contratto con l'affidatario), si traduceva, dunque, anche in una conseguente nullitˆ strutturale per carenza di titolo a contrarre. Nella consapevolezza delle difficoltˆ ricostruttive di questa figura, sembra che questa ricostruzione possa ritenersi sostituita dalla tesi della caducazione automatica, che vi si  sovrapposta, secondo la quale la fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia del contratto, il cui venire meno, per effetto dellĠannullamento dellĠaggiudicazione, determina il travolgimento automatico del contratto, in forza del principio generale del simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523). Tale opzione fa discendere, come conseguenza dellĠannullamento dellĠatto amministrativo, lĠautomatica e retroattiva improduttivitˆ degli effetti del contratto, e tale descrizione della trasmissione del vizio di illegittimitˆ del provvedimento sulla validitˆ del contratto stipulato a valle non  circoscrivibile alle sole ipotesi di aggiudicazione di un contratto dĠappalto, ma si estende a tutte le ipotesi in cui lĠatto amministrativo e lĠatto negoziale siano legati da un indissolubile nesso di presupposizione necessaria, nel senso che la stipulazione del contratto consegua al provvedimento di affidamento. Ovviamente, posteriormente al recepimento della cd. Direttiva ricorsi (Dir n. 66 del 2007, recepita con il d. lgs. n. 53 del 2010), saranno applicabili le regole attualmente contenute negli artt. 121 e ss. c.p.a., non applicabili, tuttavia, al caso di specie, che  antecedente allĠintroduzione di tali novitˆ normative. Peraltro, per detto periodo antecedente (cos“ come per i settori della contrattualistica pubblica attualmente non oggetto della Direttiva) potrebbe porsi un problema di giurisdizione riguardo alla cognizione della validitˆ del contratto e della sorte del rapporto contrattuale, poichŽ, come  noto, in tema di attivitˆ negoziale della P.A., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto, cio non solo quelle che attengono al suo adempimento e quindi concernenti l'interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle volte ad accertare le condizioni di validitˆ, efficacia, nullitˆ o annullabilitˆ del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolaritˆ o illegittimitˆ della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti (cfr. Cass. civile, Sez. Un., 5 aprile 2012, n. 5446 e 28 dicembre 2007, n. 27169). Tuttavia, le condizioni di validitˆ, efficacia, nullitˆ o annullabilitˆ del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolaritˆ o illegittimitˆ della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti possono essere accertate incidentalmente dal giudice amministrativo, quando la loro determinazione, come in questo caso, sia funzionale allĠaccertamento rimesso alla cognizione del giudice amministrativo medesimo, poichŽ ai sensi dell'art. 8, comma 1, c.p.a., il G.A. ha il potere di decidere, senza efficacia di giudicato, tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6400). Nel caso di specie, dunque, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poichŽ i provvedimenti con cui  stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 2079-03, il relativo contratto  da ritenersi, con accertamento incidentale, inefficace e caducato retroattivamente, con la conseguenza che manca il presupposto essenziale richiesto dall'art. 6, comma 4, l. n. 537/93 per poter configurare il diritto alla revisione del prezzo. Per il successivo periodo connesso allĠemanazione della cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e della cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, si deve rilevare che esse risultano adottate effettivamente in violazione dellĠordinanza cautelare di questo Consiglio 28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio dĠappello, con conseguente nullitˆ del relativo rapporto contrattuale. In proposito deve osservarsi che l'art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 dispone la nullitˆ dell'atto violativo od elusivo del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitivitˆ. Il dato letterale della norma ha condotto parte della giurisprudenza di primo grado ad escludere la nullitˆ dell'atto adottato in violazione od elusione delle statuizioni contenute in un'ordinanza cautelare ancorchŽ non pi soggetta a gravame, in base allĠintrinseca provvisorietˆ che caratterizza le misure cautelari e nella inidoneitˆ a regolare il rapporto in modo definitivo; oltre a poter essere oggetto di un provvedimento di revoca o di modifica (art. 58 c.p.a.), infatti, esse possono essere travolte da una decisione sul merito della causa di segno differente. Tuttavia, ragioni di effettivitˆ della tutela giurisdizionale, impongono di assicurare l'osservanza del provvedimento cautelare da parte della pubblica amministrazione. Infatti, alcune recenti pronunce di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3606; Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2950; Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2007), sulla base di una supposta equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare, hanno riconosciuto la nullitˆ dei provvedimenti amministrativi dell'ordinanza cautelare divenuta inoppugnabile; nullitˆ rilevabile anche dĠufficio dal giudice adito, giusto il disposto di cui allĠart. 31, comma 4, c.p.a. Si  adottata, in questi casi, una nozione di giudicato pi ampia, comprensiva di tutte le pronunce immediatamente esecutive, in quanto caratterizzate da una certa stabilitˆ. La questione, peraltro, ha trovato esplicita soluzione nell'art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), prevede che in caso di accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l'inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti; confermandosi, quindi, la tesi della nullitˆ derivante dalla violazione di un ÒgiudicatoÓ cautelare, come nella specie. Peraltro, con riguardo alla richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c., si deve rilevare che sussisterebbe il difetto di giurisdizione del giudice adito poichŽ, a seguito della sentenza della Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204 non appartiene pi alla giurisdizione del G.A., neppure nella materia dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del G.O., la controversia avente ad oggetto lĠazione di indebito arricchimento (cfr. Cass. civ, Sez. Un., n. 28042-08); tale capo della sentenza non  stato impugnato dalla P.A. che ne eccepisce il difetto, come necessario ai sensi dellĠart. 9 c.p.a. Peraltro, come risulta dalla pacifica giurisprudenza civile, l'indennitˆ prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virt del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non pu˜ farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del contratto, la quale, non pu˜ costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Cassazione civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385). Pertanto, alla luce di tali argomentazioni, il primo motivo dĠappello deve essere respinto. Con riferimento al secondo motivo dĠappello, relativo alla richiesta di riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dallĠaffidamento coattivo del servizio, dal luglio 2003 al 30 marzo 2006 in forza delle giˆ citate ordinanze contingibili ed urgenti, questo Collegio condivide la posizione del TAR. Infatti, la Societˆ ricorrente ha svolto il servizio per tale periodo in virt di 6 ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, successive e autonome, nelle quali di volta in volta era stato sempre indicato in maniera esatta il corrispettivo a cui lĠente si obbligava; corrispettivo che la societˆ ha sempre accettato senza mai contestare alcunchŽ e il cui eventuale ammontare inferiore a quello previsto dalla legge non inciderebbe comunque sulla legittimitˆ dellĠatto amministrativo. Pertanto, non  possibile in questa sede proporre domanda di risarcimento danni, trattandosi di atti del tutto legittimi, per i quali  assente ogni profilo di violazione dellĠaffidamento da parte della P.A. e in cui, anzi, emerge una contraddittorietˆ nel comportamento dellĠappellante che si  sempre uniformato al provvedimento e non ha mai contestato lĠammontare di quanto pattuito, integrando cos“ il principio del venire contra factum proprium idoneo a paralizzare la relativa azione giudiziaria (cfr., ex multis, Cassazione civ., sez. I, 4 settembre 2004, n. 17888). Tali argomentazioni sarebbero, dunque, giˆ tranchant e condurrebbero inevitabilmente alla reiezione dellĠappello. Il Collegio ritiene di precisare ulteriormente, al riguardo, che la richiesta tendente al riconoscimento del diritto a percepire le somme che le sarebbero spettate se fosse stato adottato il criterio della Òrevisione dei prezziÓ, pu˜ anche essere qualificabile come richiesta risarcitoria trattandosi di una diritto derivante da un provvedimento che si assume come implicitamente illegittimo. Pertanto, in virt di tale qualificazione giuridica, devono applicarsi i principi giurisprudenziali indicati nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500-1999 che ha affermato chiaramente che l'imputazione della responsabilitˆ alla P.A., riferibile agli elementi costituitivi della responsabilitˆ ex art. 2043 c.c., non pu˜ avvenire sulla base del mero dato obiettivo dellĠillegittimitˆ dell'azione amministrativa, poichŽ il giudice deve svolgere una pi penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimitˆ del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bens“ estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato che sarˆ configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione del- l'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialitˆ, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi (punto 11 della motivazione). Al riguardo,  pur vero che, in materia di appalti pubblici, la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314-09) ha affermato che la normativa dellĠUE osta alle norme nazionali che subordinano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno compiuto da una Pubblica Amministrazione al carattere colpevole della violazione commessa dalla PA medesima. Ma tale indirizzo interpretativo  strettamente connesso alle violazioni, commesse dalla PA, in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, procedure che, in relazione alla controversia in oggetto, non vengono direttamente in rilievo, trattandosi di lite relativa ad aspetti di esecuzione del contratto dĠappalto, Òa valleÓ dellĠaggiudicazione, ove tale principio non  operante (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 829). é centrale, quindi, l'idea che l'elemento soggettivo della fattispecie aquiliana in esame debba configurarsi come colpa dell'apparato, non predicabili di riflesso in quanto discendenti dai rimproveri eventualmente addebitabili a carico del singolo agente, ma dedotta dalla considerazione dell'intero contegno dell'Amministrazione, ossia dal fatto che questa abbia effettivamente adottato l'atto illegittimo e dannoso mediante un esercizio scorretto della funzione, sindacabile come tale secondo il criterio usuale dell'id quod plerumque accidit. Anche per la giurisprudenza di questo Consiglio, coerentemente con lĠindirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, ai fini dell'ammissibilitˆ della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica amministrazione non  sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma  altres“ necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23). Si deve quindi verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialitˆ, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo pu˜ affermare la responsabilitˆ dell'Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia del- l'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l'indagine presupposta conduca al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessitˆ della situazione di fatto. Nel caso in esame, il Comune di Casarano, nellĠemanare le ordinanze citate si  sempre uniformato ai Decreti del Commissario Straordinario per lĠEmergenza Ambientale in materia di rifiuti, con ci˜ palesando la conformitˆ ai principi di buon andamento ed imparzialitˆ del- lĠazione amministrativa e lĠassenza di ogni imputazione di responsabilitˆ per colpa. Conclusivamente, anche alla luce di tale argomentazione, il secondo motivo dĠappello deve essere respinto, in quanto infondato. Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sullĠappello come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento, in favore dellĠappellato, delle spese di lite del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 4000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara dĠappalto e responsabilitˆ precontrattuale della P.A. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V, SENTENZA 15 LUGLIO 2013 N. 3831 Mariarita Romeo* Gli atti del procedimento dellĠevidenza pubblica, in quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al tempo stesso configurabili anche quali atti di trattativa e di formazione progressiva del contratto stesso, e come tali rilevanti anche ai sensi dellĠart. 1337 cod. civ. La legittimitˆ della revoca della procedura di gara, quindi, non esclude la configurabilitˆ della responsabilitˆ precontrattuale dellĠAmministrazione, la quale  tenuta a rispettare non solo le regole dettate nellĠinteresse pubblico, ma anche le norme di correttezza prescritte dal diritto comune. La circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del contraente avviata sia stata revocata prima ancora dellĠaggiudicazione non vale, di per sŽ sola, ad escludere la responsabilitˆ precontrattuale dellĠamministrazione revocante, occorrendo verificare in concreto la condotta da questa tenuta alla luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative. Il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca  invece sicuramente rilevante per individuare lo spessore dellĠaffidamento ingenerato nei partecipanti alla gara, ai fini dello scrutinio della fondatezza della domanda risarcitoria. ****** La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3831 del 15 luglio 2013, torna su un tema particolarmente ricorrente, oggetto di numerose pronunce, quale quello della responsabilitˆ precontrattuale della pubblica amministrazione in caso di revoca della gara dĠappalto. Gli interventi giurisprudenziali degli ultimi tempi si sono concentrati principalmente su alcuni aspetti specifici, quali la relazione esistente tra lĠaccertata legittimitˆ della revoca disposta dallĠamministrazione e la configurabilitˆ della sua responsabilitˆ precontrattuale; la differenza dei presupposti su cui basare le domande di risarcimento del danno da attivitˆ provvedimentale illegittima e del danno da responsabilitˆ precontrattuale, ovvero di indennizzo ex art. 21 quinquies L.n. 241/1990; lĠincidenza dello stato di avanzamento della procedura di gara sullĠaffidamento del privato quale elemento della fattispecie della responsabilitˆ precontrattuale. * Avvocato - Esperto amministrativo presso il Consiglio Regionale della Calabria. SOMMARIO: 1. La revoca della gara dĠappalto. - 2. Legittimitˆ della revoca e responsabilitˆ dellĠamministrazione. - 3. Elementi distintivi della responsabilitˆ precontrattuale della pubblica amministrazione. - 4. Considerazioni conclusive. 1. La revoca della gara dĠappalto. ComĠ noto, la nozione di revoca che  stata positivizzata tramite la riforma del 2005 e lĠintroduzione nella legge sul procedimento amministrativo dellĠart. 21 quinquies  una nozione molto ampia, in virt della quale il ricorso alla revoca  giustificato non solo quando, dopo lĠadozione dellĠatto amministrativo interessato, siano intervenuti fatti e/o elementi nuovi tali da mutare il precedente assetto di interessi, ma anche quando lĠamministrazione operi un ripensamento della situazione preesistente in virt di una diversa e pi attenta valutazione dellĠinteresse pubblico originario (si parla, in proposito, di Òjus poenitendiÓ della p.a.) (1). La revoca del provvedimento precedentemente adottato deve avvenire con altro provvedimento adeguatamente motivato, che tenga conto dellĠesistenza di eventuali posizioni di privati ormai consolidate e del conseguente affidamento ingenerato in questi ultimi. Il sindacato di legittimitˆ svolto dal giudice passa attraverso la valutazione del comportamento concretamente tenuto dallĠAmministrazione e la verifica dei margini decisionali effettivamente a sua disposizione. Nella materia specifica delle procedure ad evidenza pubblica, secondo un orientamento costante, fino a quando non sia intervenuta lĠaggiudicazione definitiva la revoca del bando di gara e degli atti successivi, in presenza di motivi che rendano inopportuna o solo sconsigliabile la sua prosecuzione, rientra nellĠampia potestˆ discrezionale della p.a. Si  cos“ affermato che lĠamministrazione conserva il potere di annullare in via di autotutela o di revocare il bando e le singole operazioni di gara, quando i criteri di selezione siano suscettibili di produrre effetti indesiderati o comunque illogici; ovvero la stessa aggiudicazione della gara, quando venga in rilievo un ben individuato e superiore interesse pubblico, quale la mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dellĠopera (2). In tutte le ipotesi di revoca, appare comunque determinante la circostanza che il relativo provvedimento dia ragionevolmente conto delle motivazioni che hanno indotto lĠamministrazione a mutare la propria precedente manifestazione di volontˆ. (1) In tal senso, v. Cons. St, sez. III, 15 novembre 2011, n. 6039 e 13 aprile 2011, n. 2291; cfr. anche, tra le pi recenti, Cons. St., sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400 e 21 aprile 2010, n. 2244; sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662, in www.giustizia-amministrativa.it. (2) Sul punto, v. Cons. St., sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116; sez. V, 8 settembre 2011, n. 5050 e 9 aprile 2010, n. 1997; sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3989 in www.giustizia-amministrativa.it. 2. Legittimitˆ della revoca e responsabilitˆ dellĠamministrazione. LĠaccertata legittimitˆ del provvedimento di revoca disposto dallĠamministrazione, tuttavia, non esclude ogni profilo di responsabilitˆ di questĠultima. Al contrario, la domanda di indennizzo ex art. 21 quinquies presuppone proprio la legittimitˆ dellĠatto di revoca, venendo riconosciuto in tutti i casi in cui questĠultimo, seppur legittimo, arrechi pregiudizio in danno dei privati direttamente interessati (3). In proposito, si parla - sia pure in senso improprio - di responsabilitˆ della p.a. per attivitˆ legittima (4). Il fondamento dellĠindennizzo, infatti, non va rinvenuto in un comportamento colposo dellĠamministrazione, ma piuttosto in ragioni equitative. Attraverso di esso, si realizza il bilanciamento tra il soddisfacimento dellĠinteresse pubblico attuato tramite la revoca e la sfera patrimoniale del privato destinatario della stessa, che diversamente verrebbe a subire da solo il correlativo sacrificio. In tal modo,  facile comprendere la differenza di presupposti rispetto alle domande di risarcimento del danno da attivitˆ provvedimentale illegittima ovvero da responsabilitˆ precontrattuale della p.a., che implicano una condotta quantomeno colposa dellĠamministrazione e necessitano del relativo accertamento (5). In particolare, la responsabilitˆ precontrattuale della p.a. opera su un piano del tutto differente, in quanto pu˜ prescindere dalle caratteristiche dellĠatto e concentrarsi sul comportamento ed il contegno complessivamente tenuti dal soggetto pubblico nel corso del procedimento. A partire dalla decisione dellĠAdunanza Plenaria n. 6/2005 (6), integra un convincimento pi che consolidato in giurisprudenza (ulteriormente confermato nella pronuncia in commento) quello secondo cui, ai fini del riconoscimento della responsabilitˆ precontrattuale, non va attribuito alcun rilievo preclusivo allĠaccertata legittimitˆ del provvedimento di revoca, legittimitˆ che anzi ne costituisce una condizione (7). Si osserva che lĠamministrazione, nello svolgimento della sua attivitˆ di ricerca del contraente,  tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nel- lĠinteresse pubblico, ma anche le norme di correttezza di cui allĠart. 1337 c.c. (3) Cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, n. 662/2012 giˆ citata; sez. V, 6 ottobre 2010 n. 7334 e 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266 in www.giustizia-amministrativa.it. (4) Di responsabilitˆ per atti legittimi si parla in Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2010, n. 671 e 6 ottobre 2010 n. 7334 in www.giustizia-amministrativa.it. (5) V. Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5124; sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144 in www.giustizia- amministrativa.it. (6) Si allude alla fondamentale Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6. (7) Secondo Cons. St., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 5002: Ò... lĠavvenuto riconoscimento della legittimitˆ della revoca non contraddice lĠeventualitˆ di un risarcimento per responsabilitˆ precontrattuale, ma ne fonda anzi la condizione imprescindibile (giacch, in caso di illegittimitˆ della revoca e quindi del suo annullamento, si imporrebbe la ripresa della gara, ovvero il risarcimento per equivalente anche in relazione al mancato utile relativo alla specifica gara revocata: Cons. Stato, IV, 7 luglio 2008, n. 3380 ÉÓ. prescritte dal diritto comune (8). Si intendono cos“ tutelare gli affidamenti eventualmente suscitati nellĠimpresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi, potendo aver confidato questĠultima sulla possibilitˆ di risultare aggiudicataria o, ancor pi in caso di aggiudicazione intervenuta e poi revocata, sulla disponibilitˆ di un titolo utile alla stipula del contratto. Secondo quanto chiarito, il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede cui  tenuta lĠamministrazione anche nello svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica, impone in primis lĠobbligo Òdi rendere al partecipante alla gara in modo tempestivo le informazioni necessarie a salvaguardare la sua posizione, su eventi, o sulla rinnovata valutazione dellĠinteresse pubblico alla gara che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in modo da impedire che si consolidi un pericoloso affidamento sulla, invece incerta, conclusione del procedimento; affidamento che deve ritenersi tanto pi formato quanto pi  avanzato il procedimento di garaÓ (9). Ne consegue che se la p.a. viola il suddetto dovere, ponendo in essere comportamenti o incorrendo in omissioni che non salvaguardano lĠaffidamento della controparte nella correttezza dellĠazione amministrativa, ci˜ comporta per la stessa la responsabilitˆ precontrattuale nei confronti del privato danneggiato. 3. Elementi distintivi della responsabilitˆ precontrattuale della pubblica amministrazione. LĠarco temporale da considerare per valutare la condotta della p.a., e dunque il verificarsi di ipotesi di responsabilitˆ precontrattuale, va ricompreso almeno tra la pubblicazione del bando di gara (momento di avvio del procedimento) e la stipulazione del contratto oggetto di appalto. Se sotto la lente di ingrandimento finisce il procedimento nella sua interezza, ai fini della configurabilitˆ della responsabilitˆ precontrattuale  per˜ necessario che, allĠatto dellĠadozione della revoca, si sia giˆ realizzata una situazione di vantaggio a favore di uno dei concorrenti. Si  correttamente rilevato che ÒIl vero e proprio rapporto precontrattuale fra amministrazione e privato concorrente si instaura, dunque, solo con lĠammissione dellĠaspirante alla gara. é questo, infatti, il momento in cui mediante il provvedimento di ammissione É si costituisce in capo allĠinteressato un primo effetto vantaggiosoÉ ed  da questo momento che egli diventa una controparte specificamente individuata avente titolo a pretendere che lĠamministrazione si comporti nei suoi confronti con correttezza e buona fedeÓ (10). Nonostante la validitˆ di queste considerazioni, spesso la giurisprudenza, (8) In questi termini, v. Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245 in www.giustizia-amministrativa.it. (9) V. Cons. St., sez. VI, n. 5002/2011 giˆ citata. (10) Cos“ E.M. BARBIERI, Appalti pubblici e responsabilitˆ precontrattuale della Pubblica Amministrazione, in Rivista trimestrale degli appalti, Maggioli, n. 2/2013, pp. 311-321. anche in tempi recenti, si  orientata in senso diverso. Come ricostruito nella pronuncia in commento, a parere di un indirizzo autorevole, solo una volta intervenuta lĠaggiudicazione potrebbe insorgere unĠipotesi di responsabilitˆ precontrattuale in capo allĠamministrazione. Ci˜ in quanto, fino a quando non sia stata effettuata la scelta del contraente, i vari concorrenti rivestirebbero unicamente il ruolo di partecipanti alla gara e come tali sarebbero titolari di un mero interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri pubblici: in altri termini, solo lĠaggiudicazione sarebbe in grado di creare una relazione specifica tra p.a. e privato assimilabile alle trattative contrattuali, imponendo alla prima il rispetto degli obblighi di protezione (11). La sentenza de qua, invece, si discosta da questa concezione prima facie riduttiva della culpa in contrahendo. I giudici della Quinta Sezione mettono in risalto che ÒÉla gara non  ÒaltroÓ rispetto alla formazione del contratto della P.A.; e che i privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, hanno tutti la qualitˆ di possibili futuri contraenti con lĠAmministrazioneÓ. Nel caso di stipulazione di contratti pubblici, si  in presenza di una formazione progressiva del contratto, nellĠambito della quale non  possibile scindere le singole fasi, che vanno dunque considerate complessivamente, ivi compresa la fase strettamente procedimentale. Questa impossibilitˆ di tenere nettamente distinti procedimento amministrativo e procedimento negoziale impedisce di limitare lĠapplicazione delle regole di responsabilitˆ precontrattuale alla fase in cui il contatto sociale viene individualizzato con lĠatto di aggiudicazione. Ne consegue che Òla valutazione giudiziale pu˜ avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la scelta del contraente, con la puntualizzazione che la valutazione del momento procedimentale in cui si  realizzata la violazione pu˜ rilevare sul piano del- lĠaccertamento dellĠentitˆ del pregiudizio patrimonialeÓ (12). Dunque, quanto pi la revoca sia stata adottata in una fase avanzata della procedura, tanto pi radicato sarˆ lĠaffidamento nella conclusione della gara ingenerato nella ditta concorrente, tanto maggiore potrˆ essere il danno subito da questĠultima. La questione, comunque, pu˜ definirsi tuttĠaltro che pacifica, posto che ancora la Sezione Terza del Consiglio di Stato, in una recentissima pronuncia (13), ha sottolineato che, ai fini della sussistenza della responsabilitˆ precon (11) Il percorso per il riconoscimento della responsabilitˆ precontrattuale della p.a. viene riassunto con completezza in Cons. St, sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194. La stessa sezione V aveva in precedenza aderito allĠorientamento in questione con le sentenze n. 3393 del 28 maggio 2010 e n. 6489 dellĠ8 settembre 2010. (12) V. Cons. St., sez. VI, 7 novembre 2012, n. 5638; negli stessi termini, anche la n. 4236 del 25 luglio 2012 della medesima sezione. (13) Si tratta di Cons. St., sez. III, 24 maggio 2013, n. 2838. trattuale della p.a. nellĠambito di una procedura concorsuale, occorre che i rapporti tra le parti siano giunti ad uno stadio tale da giustificare lĠaffidamento nella conclusione del contratto e che le aspettative della ditta concorrente siano state colpevolmente eluse dallĠamministrazione tramite una condotta in violazione dellĠart. 1337 c.c. 4. Considerazioni conclusive. La ricostruzione appena effettuata consente di sostenere senza dubbio la configurabilitˆ della responsabilitˆ precontrattuale dellĠamministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica. La revoca della gara di appalto indetta dallĠAmministrazione  infatti suscettibile, malgrado la sua legittimitˆ, di arrecare pregiudizio ai concorrenti che abbiano incolpevolmente confidato nella sua favorevole conclusione e siano stati indotti, per tale motivo, a sostenere spese per la partecipazione ed a trascurare valide occasioni alternative (14). Altro dato acquisito  quello per cui il sindacato del giudice non riguarderˆ lĠesercizio del potere cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma il comportamento complessivamente tenuto dalla p.a. nel corso del procedimento fino allĠadozione della revoca (15). Secondo quanto emerge dalle pronunce intervenute, la condotta contraria ai doveri di correttezza e buona fede di cui allĠart. 1337 c.c., pu˜ materializzarsi sotto molteplici forme, spesso connesse con la violazione di obblighi di informazione: mancata tempestiva comunicazione alle ditte interessate di determinazioni o fatti impeditivi della conclusione della gara; protratta ed ingiustificata inerzia della p.a.; notevole decorso del tempo tra lĠeventuale aggiudicazione e la revoca della procedura; violazione dellĠobbligo di acquisire le informazioni necessarie per valutare la possibile sopravvenienza di una giusta causa di recesso dalle ÒtrattativeÓ. Si tratta, in ogni caso, di aspetti per cui lĠorientamento della giurisprudenza appare ormai sufficientemente uniforme. Ci˜ che invece si dimostra ancora oggetto di discussione riguarda il ÒmomentoÓ in cui la revoca interviene ad interrompere la procedura ad evidenza pubblica e le sue ricadute sulla definizione della responsabilitˆ precontrattuale della p.a. Effettivamente, la tesi che ritiene sostenibile la culpa in contrahendo dellĠAmministrazione soltanto una volta che sia stata individuata lĠimpresa aggiudicataria, coglie nel segno quando sottolinea che solo con lĠaggiudica (14) In tal senso, cfr. Cons. St., sez. IV, n. 662/2012 giˆ citata; sez. V, 30 novembre 2007 n. 6137, 8 ottobre 2008 n. 4947 e 11 maggio 2009 n. 2882; sez. VI, 17 dicembre 2008 n.6264 in www.giustiziaamministrativa. it. (15) Per tutte, v. Cons. St., sez. V, n. 5245/2009 giˆ citata. zione si instaura tra p.a. e ditta concorrente una relazione in grado di ingenerare in questĠultima un serio affidamento nella conclusione del contratto, tale da essere ritenuta meritevole di tutela. Tuttavia,  innegabile che condizionare la responsabilitˆ precontrattuale della P.A. allĠavvenuta aggiudicazione della gara significherebbe sottrarla al rispetto delle regole di diritto comune per tutto il corso della procedura ad evidenza pubblica. E, dĠaltro canto, allargando troppo il campo di rilevanza, si potrebbe cadere nellĠopposto rischio di costringere lĠattivitˆ amministrativa entro maglie sempre pi strette, che le precludano ogni margine di manovra per non incorrere sotto la scure del giudice. Se per˜ dalle tesi dottrinali si passa al diritto vivente, pur nella convinzione di voler ammettere la responsabilitˆ precontrattuale dellĠAmministrazione a prescindere dalla fase della procedura in cui  intervenuta lĠeventuale revoca, ci si avvede che i casi in cui il g.a. ha riconosciuto la culpa in contrahendo con riferimento a condotte maturate anteriormente allĠaggiudicazione della gara sono complessivamente meno numerose. é questa una conseguenza del tutto fisiologica della circostanza che obiettivamente quando la revoca interviene in una fase ancora non avanzata della procedura (ad es. prima dellĠapertura delle offerte), lĠaffidamento dei concorrenti appare meno scontato ed incerto e, di conseguenza, risulta anche pi complicato e difficile raggiungere la prova di eventuali danni subiti. Si  esattamente osservato (16) che per ogni gara pubblica, ciascuna ditta che decide di parteciparvi deve mettere in conto la possibilitˆ, oltre di non vedersela aggiudicata, che la stessa non vada a conclusione, potendo il suo svolgimento essere influenzato - a differenza di una semplice trattativa privata - da molteplici fattori, non solo strettamente economici, ma anche politici e sociali. Superata la soglia di questo rischio congenito a tutte le procedure ad evidenza pubblica, la responsabilitˆ precontrattuale dellĠamministrazione  stata riconosciuta per lo pi con riguardo a fattispecie in cui la stazione appaltante ha violato in modo grossolano le regole di correttezza, magari inanellando nel corso del procedimento una serie di inefficienze, ritardi e colpevoli omissioni tali da non poter negare di aver ingiustificatamente alimentato la fiducia dei concorrenti nella definizione della gara (17). Di ci˜ troviamo ex adverso conferma nella sentenza in commento, relativa ad una revoca intervenuta quando ancora non si era giunti allĠespletamento della prima seduta di gara. La responsabilitˆ precontrattuale della P.A.  stata (16) E.M. BARBIERI, Appalti pubblici e responsabilitˆ precontrattuale della Pubblica Amministrazione, giˆ citato. (17) Si vuole, cio, sottolineare che nelle ipotesi in cui - allĠatto della revoca - non si sia ancora addivenuti allĠaggiudicazione, ai fini del riconoscimento della pretesa risarcitoria la violazione del dovere di buona fede da parte della p.a. deve risultare particolarmente evidente. negata sul rilievo che Ò... la decisione di revoca della gara  stata presa con tempistica di per sŽ immune da possibili censure, e sollecitamente  stata resa conoscibile con i mezzi a disposizioneÓ. Quindi, appare evidente che, intervenuta oppure no lĠaggiudicazione della gara allĠatto della revoca, fulcro della valutazione del giudice  sempre la condotta complessivamente tenuta dalla stazione appaltante, che deve perseguire e tendere a realizzare lĠinteresse pubblico, ma deve altres“ compatibilmente tutelare gli affidamenti suscitati nei concorrenti, imponendo loro - allĠoccorrenza - il minor sacrificio possibile, nei limiti dei margini decisionali effettivamente a sua disposizione. Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 15 luglio 2013 n. 3831 -Pres. f.f. Caringella, Est. Gaviano - Comune di Afragola (avv. Messina) c. Societˆ Consortile a r.l. Generali Appalti Pubblici - Gap Scarl (avv. Linguiti). FATTO e DIRITTO La societˆ consortile a r.l. Generali Appalti Pubblici - Gap S.C.A.R.L., giˆ partecipante alla gara indetta dal Comune di Afragola con bando pubblicato il 15.11.2010 per lĠaffidamento dei lavori di riqualificazione del sistema infrastrutturale nellĠarea urbana compresa tra via Ferrarese e via Maggese, per un importo complessivo posto a base di gara di euro 8.100.030,69, con ricorso al T.A.R. per la Campania esponeva: -che subito dopo la pubblicazione del bando erano pervenute al Comune numerose richieste di chiarimenti in ordine a molteplici e delicati profili della disciplina di gara ritenuti, dalle imprese, oscuri e contraddittori; -che in un primo momento il Comune aveva pubblicato delle note di chiarimento e delle precisazioni, per rettificare il contrasto ravvisato tra bando e disciplinare sui criteri di valutazione dellĠofferta; -che alla data del 29.12.2010, prevista per lĠespletamento della prima seduta di gara, questa non aveva per˜ avuto luogo, per essere stata disposta la revoca della procedura; -che essa ricorrente non aveva peraltro avuto neppure in seguito alcuna comunicazione di tale revoca, nonostante la richiesta inoltrata con nota del 13.01.2011, avendo appreso solo nel mese di febbraio del 2011 che il Comune aveva adottato la determina di revoca n. 1824 del 24.12.2010, e ci˜ in ragione della notevole confusione ingeneratasi nella giusta interpretazione del bando di gara, tale da poter indurre in errore i concorrenti. Tanto premesso, la ricorrente instava in giudizio in via principale per la condanna del Comune di Afragola al risarcimento di tutti i danni da essa patiti e patendi, quantificabili in complessivi euro 162.444,31 (di cui euro 81.444,00 per spese ed euro 81.000,31 per lucro cessante), oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di responsabilitˆ extracontrattuale da atto amministrativo illegittimo. In via subordinata, per il caso, cio, di accertata legittimitˆ dellĠatto di revoca, la ricorrente chiedeva, ad ogni modo, la condanna dellĠAmministrazione al risarcimento dei danni quantificati nella misura di euro 151.444,00 (di cui euro 81.444,00 per spese ed euro 70.000 per danno da perdita di chance), oltre interessi e rivalutazione, a titolo di responsabilitˆ precontrattuale per violazione dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.. In via ulteriormente gradata, infine, domandava lĠaccertamento del proprio diritto ad un equo indennizzo ai sensi dellĠart. 21 quinquies della legge n. 241/1990 per la somma di euro 81.444,00, ovvero nella somma ritenuta di giustizia da liquidarsi anche in via equitativa. Si costituiva il Comune di Afragola in resistenza al ricorso, del quale chiedeva il rigetto. AllĠesito del giudizio il Tribunale ad“to, con la sentenza n. 1646/2012 in epigrafe, pur ritenendo legittimo il provvedimento di revoca, reputava nondimeno che lĠoperato del Comune fosse stato incompatibile con i doveri di correttezza e buona fede, e a tale titolo condannava lĠEnte al risarcimento del danno precontrattuale patito dalla ricorrente, stabilendo i criteri in base ai quali il debitore avrebbe dovuto proporre allĠavente diritto il pagamento di una somma a titolo di risarcimento entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione della decisione (Ò É lĠamministrazione comunale di Afragola, avuto riguardo alle fatture esibite in giudizio, avrˆ cura di riscontrare le prestazioni di cui ha usufruito la ricorrente per la presentazione della offerta con la documentazione prodotta agli atti di gara, nonchŽ di verificare la rispondenza degli importi oggetto di esborso da parte della ricorrente a tale titolo con le scritture contabili in possesso della medesima che la stessa avrˆ cura di allegareÓ). Seguiva lĠappello avverso la detta pronuncia del Comune, nella parte in cui il Tribunale ne aveva affermato la responsabilitˆ precontrattuale, pronunciando la sua conseguente condanna risarcitoria. Resisteva allĠappello lĠoriginaria ricorrente. La Sezione con ordinanza in data 15-16 gennaio 2013 accoglieva la domanda cautelare proposta dal Comune appellante, fissando la data della trattazione della controversia in sede di merito. Alla pubblica udienza del 4 giugno 2013 lĠappello  stato trattenuto in decisione. 1- La Sezione deve dare preliminarmente atto che la sentenza di primo grado appellata  diventata definitiva, per difetto di gravame, oltre che sul punto dellĠappartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa, su quello della legittimitˆ della misura di revoca della gara in questione disposta dal Comune ora appellante, ed infine su quello della non spettanza allĠattuale appellata dellĠindennizzo da essa richiesto in precedenza a carico del Comune ai sensi dellĠart. 21 quinquies della legge n. 241/1990. Forma invero oggetto del presente, parziale appello il solo capo della sentenza di prime cure che ha reputato responsabile il Comune di Afragola a titolo di culpa in contrahendo, per lĠeffetto condannandolo al risarcimento del danno precontrattuale cagionato allĠoriginaria ricorrente. LĠappello  fondato, sia pure solo in relazione al suo secondo motivo. 2a- Il Comune con il primo mezzo dĠappello assume che in materia di contratti pubblici una responsabilitˆ precontrattuale della P.A. per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede potrebbe essere configurata solo in quella particolare fase della procedura che va dal- lĠaggiudicazione alla stipula del contratto. Prima dellĠaggiudicazione, gli interessati sarebbero solo dei partecipanti al procedimento amministrativo volto alla selezione della migliore offerta, e come tali potrebbero soltanto far valere una pretesa alla legittimitˆ degli atti compiuti dallĠAmministrazione. PoichŽ, quindi, nella specie la revoca di cui si tratta  stata disposta ancor prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, e perci˜ in assenza di qualsivoglia aggiudicazione, non sarebbe configurabile alcuna forma di culpa in contrahendo. Diversamente argomentando, viene aggiunto, si giungerebbe al ÒparadossoÓ che la tutela risarcitoria potrebbe essere invocata da tutti i partecipanti ad una procedura di gara pur legittimamente revocata. 2b- Il motivo  infondato. Il Collegio non potrebbe disconoscere il fatto che lĠinterpretazione su cui poggia il motivo abbia trovato importanti riscontri presso autorevole giurisprudenza (cfr. Cass. civ., SS.UU., 26 maggio 1997, n. 4673; Sez. I, n. 13164 del 18 giugno 2005). Anche questa Sezione si  del resto espressa, in un passato anche recente, nel senso della non configurabilitˆ della responsabilitˆ precontrattuale della P.A. Òanteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cio, in cui gli interessati non hanno ancora la qualitˆ di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattativeÓ (C.d.S., V, n. 3393 del 28 maggio del 2010 e n. 6489 dellĠ8 settembre 2010: a fondamento di tale indirizzo, peraltro,  stata richiamata, a partire dalla sentenza della Sez. IV n. 5633 dellĠ11 novembre 2008, la decisione dellĠAdunanza Plenaria n. 6 del 5 settembre 2005, che oggettivamente tuttavia non risulta inscrivibile in tale orientamento). Il fatto  che la ricaduta immediata di una simile impostazione  quella di finire, in pratica, con lĠesonerare lĠAmministrazione dal rispetto del dovere di diligenza e correttezza per tutto lĠarco della sua azione sul terreno delle procedure dellĠevidenza pubblica, che pure costituiscono la regola del suo agire nella dimensione contrattuale, finchŽ lĠAmministrazione stessa non sia pervenuta allĠesito dellĠaggiudicazione. E questo a dispetto della soggezione di principio, pur normalmente enunciata, della stessa P.A. allĠistituto della culpa in contrahendo, che porta ad affermare che la sua responsabilitˆ precontrattuale sarebbe Òconfigurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch'esso  tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod. civ.Ó (Cass. civ., III, n. 12313 del 10 giugno 2005, richiamata da Sez. II, n. 477 del 10 gennaio 2013). Onde lĠinterpretazione sostenuta dallĠappellante si traduce in unĠaprioristica esenzione dal diritto comune dellĠAmministrazione (proprio quando la medesima opera sul piano contrattuale) che appare di difficile giustificazione. Occorre poi considerare che la gara non  ÒaltroÓ rispetto alla formazione del contratto della P.A.; e che i privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, hanno tutti la qualitˆ di possibili futuri contraenti con lĠAmministrazione. Come ha esattamente osservato in sostanza il primo Giudice, invero, gli atti del procedimento dellĠevidenza pubblica, in quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al tempo stesso configurabili anche quali atti di trattativa e di formazione progressiva del contratto stesso, e come tali rilevanti anche ai sensi dellĠart. 1337 cod.civ.. Questo Consiglio ha recentemente osservato (Sez. VI, n. 5638 del 7 novembre 2012, e n. 4236 del 25 luglio 2012), infatti, che "La fase di formazione dei contratti pubblici, come  noto,  caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale. Il procedimento amministrativo  disciplinato da regole di diritto pubblico finalizzate ad assicurare il perseguimento, anche quando la p.a. agisce mediante moduli convenzionali, dell'interesse pubblico. Il procedimento negoziale  disciplinato da regole di diritto privato, finalizzate alla formazione della volontˆ contrattuale, che contemplano normalmente un invito ad offrire della p.a. cui segue la proposta della controparte e l'accettazione finale della stessa p.a. La presenza di un modello formativo della predetta volontˆ contrattuale predeterminato nei suoi profili procedimentali mediante la scansione degli atti sopra indicati, che vede normalmente la presenza di pi soggetti potenzialmente interessati al contratto, non rappresenta un ostacolo all'applicazione delle regole della responsabilitˆ precontrattuale. Si , infatti, in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, non derogabile dalle parti, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico. Non , dunque, possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole di responsabilitˆ precontrattuale alla fase in cui il "contatto sociale" viene individualizzato con l'atto di aggiudicazione. Del resto, anche nel diritto civile il modello formativo dell'offerta al pubblico presuppone normalmente il "contatto" con una pluralitˆ di "partecipanti" al procedimento negoziale. Diversamente argomentando l'interprete sarebbe costretto a scindere un comportamento che si presenta unitario e che conseguentemente non pu˜ che essere valutato nella sua complessitˆÓ. Giˆ in precedenza, peraltro, la revoca di una procedura contrattuale non ancora sfociata in aggiudicazione era stata considerata come possibile fonte di responsabilitˆ precontrattuale da numerose decisioni di questo Consiglio, quali Sez. V, n. 2882 dellĠ11 maggio 2009 e n. 4947 dellĠ8 ottobre 2008; Sez. VI, n. 5002 del 5 settembre 2011 e n. 4921 del 2 settembre 2011. E la decisione dellĠAdunanza Plenaria n. 6 del 2005 aveva avvertito come Ònello svolgimento della sua attivitˆ di ricerca del contraente lĠamministrazione  tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nellĠinteresse pubblico (la cui violazione implica lĠannullamento o la revoca dellĠattivitˆ autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui allĠart. 1337 c.c. prescritte dal diritto comuneÓ. Il Collegio, per quanto precede,  dellĠavviso che la circostanza che la procedura pubblicistica di scelta del contraente avviata non fosse ancora sfociata nellĠaggiudicazione non valga, di per sŽ sola, ad escludere la configurabilitˆ di una responsabilitˆ precontrattuale in capo al- lĠAmministrazione revocante, occorrendo invece allĠuopo verificare in concreto la condotta da questa tenuta alla luce del parametro di diritto comune della correttezza nelle trattative (fermo restando, comunque, che il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dellĠaffidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilitˆ precontrattuale). Ne consegue lĠinfondatezza di questo primo mezzo di appello. 3- Il motivo che residua  per contro suscettibile di accoglimento. 3a- Il Comune con il suo secondo mezzo oppone che la propria condotta sarebbe stata del tutto conforme ai canoni della correttezza e buona fede. LĠEnte adduce, difatti: di avere risposto in modo tempestivo e puntuale alle richieste di chiarimenti ricevute dopo la pubblicazione del bando di gara (G.U. 15 novembre 2010); di avere indi ragionevolmente deciso per la revoca della procedura, disposta con provvedimento del 24 dicembre 2010: misura adottata a poco pi di un mese dalla pubblicazione del bando, e prima del termine fissato per la presentazione delle offerte (il successivo giorno 28); di avere dato, infine, pronta quanto adeguata pubblicitˆ a tale revoca, mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale il seguente 27 dicembre ed affissione allĠalbo pretorio a partire dal giorno 28 (oltre che mediante le forme a suo tempo seguite per il bando). 3b- Queste considerazioni possono essere sostanzialmente condivise. 3c- Il Tribunale, con il ritenere che dalla revoca di una procedura di gara, pur intrinsecamente legittima, potesse ben scaturire una responsabilitˆ precontrattuale dellĠAmministrazione,  partito da un principio di diritto astrattamente ineccepibile. Esatta, infatti,  la sua osservazione che la legittimitˆ dellĠatto di revoca non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dellĠAmministrazione dal punto di vista del rispetto, nellĠambito del procedimento di evidenza pubblica, dei canoni di buona fede e correttezza. Secondo unĠacquisizione giurisprudenziale giˆ consacrata dallĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 6 del 5 settembre 2005), la revoca dellĠaggiudicazione e degli atti della relativa procedura, anche ove ritenuta legittima, lascia invero intatto Òil fatto incancellabile degli ÒaffidamentiÓ suscitati nellĠimpresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossiÓ, onde i relativi comportamenti dellĠAmministrazione, allorchŽ risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui allĠart. 1337 del cod.civ., si pongono quali fatti generatori di responsabilitˆ precontrattuale. E questa acquisizione si trova ribadita anche presso la giurisprudenza pi recente (cfr. C.d.S., VI: nn. 5638 del 7 novembre 2012 e 4236 del 25 luglio 2012, giˆ richiamate sotto diverso profilo nel precedente paragrafo 2b; n. 1440 del 15 marzo 2012). In altre parole, quindi, Òai fini della configurabilitˆ della responsabilitˆ precontrattuale della p.a. non si deve tener conto della legittimitˆ dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall'Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell'art. 1337 c.c.Ó (C.d.S., IV, 7 febbraio 2012, n. 662, che richiama a sua volta V, 7 settembre 2009 n. 5245). 3d- Tanto premesso, la Sezione deve tuttavia dissentire dal T.A.R. nella parte in cui questo ha ritenuto che la condotta tenuta in concreto dal Comune fosse stata in contrasto con i parametri deontologici della fase precontrattuale ispirati al valore della correttezza. Come ha giˆ ricordato il primo Giudice, il provvedimento di revoca  stato motivato dallĠAmministrazione comunale di Afragola con la Òconstatata equivocitˆ nella formulazione di clausole che avevano dato luogo a numerose richieste di chiarimenti, ingenerando una notevole confusione nella giusta interpretazione della lex specialis, tale da indurre in errore i concorrenti nella procedura di gara. LĠamministrazione, pertanto in vista di possibili contenziosi correlati alla constatata incertezza interpretativa, e dei connessi oneri futuri dovuti alla comune esperienza, ha inteso revocare la procedura di gara motivando la decisione con la necessitˆ di garantire i principi fondamentali di trasparenza, correttezza, imparzialitˆ e paritˆ di trattamento nellĠesperimento della gara medesimaÓ. Tali essendo le ragioni che hanno indotto il Comune a recedere dalla procedura contrattuale poco prima avviata, la loro serietˆ e plausibilitˆ appaiono subito manifeste. Partendo dallĠequivocitˆ della lex specialis, pur senzĠaltro ammessa dal Comune (tanto da porla a base del proprio atto di revoca), va osservato che tale connotato aveva carattere palese, essendo perci˜ manifesto anche per le ditte potenzialmente interessate. Come tale, pertanto, esso giˆ in partenza menomava lĠidoneitˆ del bando a suscitare particolari affidamenti, in particolare con riferimento alla possibilitˆ di una procedura dalla disciplina siffatta di andare a buon fine. DĠaltra parte, il solo fatto dellĠessersi una Stazione appaltante espressa, in occasione della redazione della disciplina di gara, con elementi equivoci, non pu˜ di per sŽ essere considerato alla stregua di un contegno lesivo del principio di correttezza nelle trattative: unĠinsufficiente chiarezza potrebbe essere stigmatizzata (al di lˆ del caso estremo in cui sia addirittura seguita da un approfittamento della stessa parte dal contegno dianzi equivoco) solo quando sia stata senza giustificazione protratta nel tempo nel corso delle trattative, con il dare appunto seguito alla procedura a dispetto dellĠambiguitˆ della sua lex specialis, tenendo in non cale le richieste di chiarimento avanzate dagli operatori. Ma una condizione del genere nella specie non ricorre. Quanto alla circostanza che il Comune prima si sia adoperato per tentare di chiarire il senso della disciplina di gara, e solo in un secondo tempo si sia risolto per la revoca della procedura, tale punto, lungi dal poter formare materia di addebito,  semmai indice della cautela e del senso di responsabilitˆ con cui lĠAmministrazione si  mossa, optando per il recesso dalle trattative solo quando  risultato con sufficiente nitidezza che non esistevano margini tali da permettere di recuperare il procedimento mediante interventi di chiarimento interpretativo. Va rilevato, infine, che la decisione di revoca della gara  stata presa con tempistica di per sŽ immune da possibili censure, e sollecitamente  stata resa conoscibile con i mezzi a disposizione (in generale, sulla necessitˆ di dare notizia immediata della revoca di una procedura di evidenza pubblica cfr. giˆ Ad.Pl. n. 6/2005 cit.). Occorre difatti osservare che quella di cui si tratta era una procedura aperta, onde la Stazione appaltante non conosceva a priori lĠidentitˆ delle imprese che avrebbero potuto parteciparvi, s“ da poterle tempestivamente notiziare (a mezzo di fax o comunicazione di posta elettronica) prima che presentassero la loro offerta. Non resta allora che rilevare che la revoca, decisa alla vigilia di Natale del 2010,  stata pubblicata sul sito istituzionale dellĠEnte il primo giorno feriale successivo, vale a dire il 27 dicembre, e dallĠindomani anche allĠalbo pretorio comunale, con tempistica dunque sufficientemente sollecita, e come tale non passibile di critica. Per quanto precede, al Comune non pu˜ essere mosso alcun addebito di violazione del canone di correttezza nelle trattative. 4- In conclusione, per le ragioni esposte nel paragrafo 3d lĠappello deve trovare accoglimento, e conseguentemente, non potendo ascriversi alcuna responsabilitˆ al Comune di Afragola, la pretesa risarcitoria introdotta a suo tempo dallĠattuale appellata deve essere respinta. Si ravvisano, nondimeno, ragioni equitative tali da giustificare la compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie, e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, respinge integralmente il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013. Sul rapporto tra ricorso principale ed incidentale ÒescludenteÓ nel processo amministrativo: la parola ritorna al giudice comunitario CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, ORDINANZA 17 OTTOBRE 2013 N. 848 Roberta Costanzi* SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. LĠarresto della Corte di Giustizia in C-100/12, Fastweb S.p.A. e le ÒnuoveÓ posizioni dellĠAdunanza Plenaria n. 8/2014. - 3. Una nuova puntata della vexata quaestio: la recente ordinanza di remissione del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana alla Corte di Giustizia (ord. n. 848/2013). 1. Premessa. Le recenti spinte comunitarie e lĠevoluzione giurisprudenziale dellĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sua funzione nomofilattica hanno dato un nuovo impulso al dibattito circa lĠordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale escludente nel processo amministrativo. LĠincerto panorama giurisprudenziale era stato caratterizzato sul piano interno, dallĠimportante arresto del Consiglio di Stato, che con decisione dellĠAdunanza Plenaria n. 4 del 7 aprile 2011, aveva statuito la pregiudizialitˆ dellĠesame del ricorso incidentale - diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso lĠimpugnazione della sua ammissione alla procedura di gara - rispetto allĠesame del ricorso principale, e Òci˜ anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellĠintera procedura selettiva e con particolare riferimento allĠipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto dueÓ (e coincidano con il ricorrente principale e con lĠaggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere lĠaltro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneitˆ dellĠofferta. LĠarresto della Plenaria ha, pertanto, consolidato un indirizzo giurisprudenziale secondo cui, laddove il controinteressato eccepisca, tramite la proposizione di un ricorso incidentale, lĠillegittimitˆ dellĠammissione alla gara dellĠofferta presentata dal ricorrente principale, il giudice deve prioritariamente esaminare tale doglianza che, se fondata, comporta lĠinammissibilitˆ dellĠimpugnativa principale per carenza di interesse e di legittimazione ad agire. In base a tale ricostruzione, lĠinteresse pratico alla rinnovazione della procedura di aggiudicazione invocato dalla parte che abbia proposto ricorso principale non attribuisce a questĠultima una posizione giuridica fondante la legittimazione al ricorso. Tale interesse - motiva lĠAdunanza - non si distin (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. guerebbe infatti da quello di qualsiasi altro operatore economico del settore che aspiri a partecipare ad una futura procedura di aggiudicazione. LĠesame prioritario del ricorso principale sarebbe ammesso, per ragioni di economia processuale, solamente laddove fosse evidente la sua infondatezza o irricevibilitˆ. Tale soluzione ha suscitato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, non privo di posizioni apertamente critiche, in particolare da parte della giurisprudenza dei TT.AA.RR. e dello stesso Consiglio di Stato, che con le ordinanze della V e della VI Sezione, aveva auspicato una ÒrimeditazioneÓ complessiva di quellĠarresto giurisprudenziale (1). Come noto, il TAR Piemonte, con ordinanza del 9 febbario 2012 n. 208, ha proposto pregiudizialmente la questione dinanzi alla Corte di Giustizia dellĠUnione Europea, sollevando i seguenti quesiti: Çse i principi di paritˆ delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appaltiÈ, di cui alla cd. Òdirettiva ricorsiÓ (dir. 1989/665/CEE, modificata con la dir. 2007/66/CE), Çostino al diritto vivente quale statuitoÈ nella sent. n. 4/2011, cit., Çcon particolare riferimento allĠipotesi in cui i concorrenti É in gara siano soltanto due É ciascuno mirante ad escludere lĠaltro per mancanza, nelle rispettive offerte, dei requisiti minimi di idoneitˆÈ. Anche in questo caso un TAR si  posto in diverso avviso rispetto al Consiglio di Stato, evidenziando che la Direttiva CE prescrive a tutti gli Stati membri di dotarsi di Çprocedure adeguate che permettano lĠannullamento delle decisioni illegittimeÈ, onde evitare effetti distorsivi della concorrenza, cagionati, allĠinterno di un singolo Stato, da unĠeventuale maggiore difficoltˆ di accesso alla tutela giurisdizionale da parte delle imprese. Sicch - motiva il TAR - sembra inconciliabile in unĠottica di effettivitˆ della tutela lĠaffermata incondizionata prevalenza dellĠeffetto pregiudiziale del ricorso incidentale su quello principale. LĠulteriore interesse alla rinnovazione della gara deve poter trovare ingresso nella disamina giurisdizionale, pena altrimenti lĠattribuzione di una ingiustificata forma di vantaggio (sia processuale sia sostanziale) allĠimpresa che , s“, aggiudicataria, ma che lo  diventata in modo non corretto o non legittimo. 2. LĠarresto della Corte di Giustizia in C-100/12, Fastweb S.p.A. e le ÒnuoveÓ posizioni dellĠAdunanza Plenaria n. 8/2014. La Corte di Giustizia nel riscontrare la menzionata ordinanza con sentenza del 4 luglio 2013, in C-100/12, si  espressa affermando la sussistenza di una difformitˆ tra la corretta interpretazione del diritto dellĠUnione ed il principio di diritto interno enunciato dallĠAdunanza Plenaria con la citata sentenza n. 4/2011. Applicando il suddetto principio - motiva la Corte - la perfetta identitˆ (1) Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza n. 2059, 15 aprile 2013, Pres. Volpe, est. Luttazzi; sez. VI, ordinanza n. 2681, 17 maggio 2013, Pres. Maruotti, est. Giovagnoli. sotto il profilo sostanziale tra le due posizioni del ricorrente principale e del- lĠaggiudicatario ricorrente incidentale si ÒalteraÓ in sede processuale, attribuendo preferenza alla posizione di questĠultimo, il quale, anche se beneficiario dello stesso errore compiuto dallĠamministrazione in sede di ammissione del ricorrente principale, riuscirebbe a conservare lĠaggiudicazione a discapito dellĠinteresse del ricorrente principale ad ottenere la rinnovazione della gara. Nel caso Fastweb la Corte ha statuito il principio di diritto secondo cui in virt della direttiva 89/665/CEE, articolo 1, paragrafo 3, in un ricorso in materia di appalti, in cui le parti, uniche partecipanti alla gara, abbiano proposto censure identiche e reciprocamente escludenti, ciascuna di esse pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta dellĠaltra, con la conseguenza di indurre lĠAmministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolare. Conclude la Corte quindi che al fine di definire lĠordine di trattazione del ricorso principale e di quello incidentale, e quali siano i conseguenti effetti processuali, sia decisivo il principio per il quale il giudice, per essere ÒimparzialeÓ, deve trattare le parti Òin condizioni di paritˆÓ. Dal tenore letterale della pronuncia  possibile ricavarne una interpretazione che comunque limita lĠapplicabilitˆ del principio allĠipotesi - cos“ come delineata e ÒsuggeritaÓ dal giudice a quo - di vizi ÒspeculariÓ ed ÒescludentiÓ nellĠambito di una gara con due sole partecipanti e ricorrenti. Ma ad avviso dello scrivente, il principio ricavibile pu˜ essere esteso anche a fattispecie non del tutto analoghe, in virt del principio di effettivitˆ della tutela cos“ come statuito in C-249/01, HackermŸller, laddove la Corte afferma che ÒdallĠarticolo 1 della direttiva 89/665 deriva che questĠultima mira a consentire la proposizione di ricorsi efficaci contro le decisioni delle autoritˆ aggiudicatrici contrarie al diritto dellĠUnione. Secondo il paragrafo 3 del suddetto articolo, gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo le modalitˆ che gli Stati membri possono determinare, almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione (É) Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dellĠaggiudicatario non pu˜ comportare il rigetto del ricorso di un offerente nellĠipotesi in cui la legittimitˆ dellĠofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellĠambito del medesimo procedimento e per motivi identici. In una situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione del- lĠofferta degli altri, che pu˜ indurre lĠamministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolareÓ. A ben vedere, in questo passaggio della motivazione non  dato scorgere alcun riferimento al numero di operatori rimasti in gara, ma solo la specularitˆ delle impugnazioni dei due ricorrenti, e ci˜ vale a maggior ragione se si considera la ratio ispiratrice della Direttiva 89/665. Ebbene, al di lˆ di letture pi o meno restrittive della portata del principio affermato dalla Corte, resta il fatto che la peculiaritˆ del caso in esame ha reso di perdurante vitalitˆ la questione sino alla recente pronuncia dellĠAdunanza Plenaria n. 9 del 2014 seguita alle ordinanze di remissione del 2013, e ne ha in qualche modo indirizzato la soluzione. In tale sentenza, risolutiva nellĠottica di una controversia con due soli ricorrenti/ ammessi alla gara pubblica, la Plenaria, senza sconfessare completamente le acquisizioni dogmatiche elaborate con la sentenza 4/2011, osserva per˜ che nel particolare caso in cui entrambe le offerte siano inficiate dal medesimo vizio che le rende inammissibili, Òapparirebbe prima facie contrario allĠuguaglianza concorrenziale escludere solo lĠofferta del ricorrente principale, dichiarandone inammissibile il ricorso, e confermare invece lĠofferta dellĠaggiudicatario ricorrente incidentale, benchŽ suscettibile di esclusione per la medesima ragioneÓ. La ragione di tale apparente Òsvolta interpretativaÓ si evince dal seguente passaggio argomentativo Òin realtˆ ci˜ avviene perchŽ, essendo il vizio fatto valere da entrambi i contendenti il medesimo, in concreto neppure si pone un problema di esame prioritario del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale: prioritario, in questo peculiare caso,  lĠesame del vizio; se questo sussiste, entrambi i ricorsi devono essere accolti, se non sussiste entrambi dovranno essere disattesi e lĠaggiudicazione sarˆ confermataÓ. é chiaro lĠintento di riportarsi nel solco di una interpretazione delle regole processuali di fonte legale che sia rispettosa dei principi di rango comunitario di ÒeffettivitˆÓ della tutela, Òparitˆ delle armiÓ e Ònon discriminazioneÓ cos“ come richiamati nella sentenza Fastweb della Corte di Giustizia (2). Suddetti principi - afferma la Plenaria - lungi dal comprimerla, confermano vieppi la concezione ÒsoggettivaÓ del giudizio amministrativo di legittimitˆ, basata sul vizio dedotto e non sullĠinteresse a dedurlo. Rileva la Plenaria che se si intende la giurisdizione amministrativa come giurisdizione di diritto soggettivo - e ci˜ costituisce un approdo interpretativo obbligato, in mancanza di una normativa esplicita in senso contrario - lĠinterpretazione delle condizioni dellĠazione deve avvenire alla luce di una valutazione di reale perseguimento del bene della vita conteso. Se lĠinteresse a ricorrere non assume questa particolare declinazione il giudice non pu˜ pronunciarsi sul ricorso principale se non in punto di rito, dichiarandone lĠinammissibilitˆ. é quindi lĠidentitˆ del vizio contestato nei due ricorsi, che nella sua con (2) Principi di paritˆ delle parti e di imparzialitˆ del giudice sanciti dallĠart. 111, secondo comma, Cost., e dallĠart. 6 della Convenzione Europea dei diritti dellĠuomo. sistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, fa s“ che sussista la legittimazione ad agire in capo al ricorrente principale e che, di conseguenza, venga meno lĠasimmetria di origine procedimentale tra legittimazione a resistere dellĠaggiudicatario e legittimazione a ricorrere del concorrente pretermesso. LĠAdunanza spiega, altres“, in quali casi lĠidenticitˆ dei motivi di ricorso comporti la pari dignitˆ dellĠesame: Òsono identici - e dunque consentono lĠesame incrociato e lĠeventuale accoglimento di entrambi i ricorsi - solo i vizi che afferiscono alla medesima categoria. Viceversa, non soddisfano il requisito di simmetria escludente (perchŽ non si pongono in una relazione di corrispondenza biunivoca), come richiesto dalla sentenza Fastweb, e dunque impediscono lĠesame congiunto del ricorso principale ed incidentale, i vizi sussumibili in diverse categorie: ad esempio, la dedotta (nel ricorso incidentale) intempestivitˆ della domanda dellĠimpresa non aggiudicataria, a fronte della dedotta (nel ricorso principale) carenza di un requisito economico dellĠimpresa aggiudicatariaÓ. é evidente dalla lettura della pronuncia che, pur applicando la regola juris introdotta dalla sentenza Fastweb, lĠAdunanza Plenaria tenga saldi quei principi processuali di diritto interno che regolano lĠordine di esame delle questioni di rito e di merito, arrivando a derogarvi solo alle stringenti condizioni che: i. si versi allĠinterno del medesimo procedimento, ii. gli operatori rimasti in gara siano soltanto due, iii. il vizio che affligge le offerte sia identico per entrambe. Diversamente, si ritorna nellĠalveo di applicazione della regola processuale di fonte legale che impone al giudice di decidere gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili dĠufficio e quindi il merito della causa (3). 3. Una nuova puntata della vexata quaestio: la recente ordinanza di remissione del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana alla Corte di Giustizia (ord. n. 848/2013). LĠultima tappa della querelle  giunta al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana e da questi, nuovamente alla Corte di Giustizia, per una fattispecie in cui i concorrenti ammessi a partecipare alla gara dĠappalto oggetto della controversia sono pi di due, e dove lĠimpresa seconda classificata e la prima, rispettivamente con ricorso principale ed incidentale escludente, hanno contestato la mancata esclusione alla procedura di gara dellĠaltra parte ricorrente. (3) Regola processuale disciplinata dallĠart. 76, IV co. del c.p.a., che rinvia al II comma dellĠart. 276 c.p.c.. LĠadunanza Plenaria, in sentenza 9/2014 afferma, in tal senso, che: Òsiffatta regola, al contrario, garantisce ed attua il principio di paritˆ delle armi perchŽ predetermina, in astratto ed in via generale, per tutti i litiganti, le modalitˆ di esercizio del potere giurisdizionaleÓ. In adempimento alla sentenza di primo grado, che aveva accolto entrambe le impugnative, lĠamministrazione escludeva le prime due imprese classificate ed una volta fatta scorrere la graduatoria, tutte le altre imprese ammesse per inidoneitˆ delle rispettive offerte, senza che nei termini le stesse impugnassero detta esclusione; la controversia, pertanto, giungeva al giudizio del Consiglio su gravame delle due imprese ricorrenti in primo grado e, di fatto, alle stesse circoscritta. In tale ipotesi  evidente che con ancora tutti i concorrenti ammessi, lĠaccoglimento di ambo le contrapposte impugnazioni, non avrebbe realizzato lĠinteresse strumentale del ricorrente principale allĠannullamento della gara ma esclusivamente lĠobbligo dello scorrimento della graduatoria, previa esclusione delle prime due classificate. Di qui lĠinterruzione del giudizio di gravame e la sottoposizione della questione pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia europea (con ordinanza n. 848 del 2013) in merito, tra gli altri, al seguente quesito: ÒSe i principi dichiarati dalla CGUE con sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale É siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti lĠintervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio, risulta di fatto circoscritta soltanto a due impreseÓ. In attesa della pronuncia della Corte, alcune notazioni critiche si impongono. Con il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia, si  ribadito che le considerazioni che hanno ispirato la pronuncia n. 4/2011 della Plenaria, confliggono con una esigenza di effettivitˆ della tutela processuale, che si so- stanzia in una effettiva paritˆ delle parti nel giudizio. Ne consegue come corollario che nel caso di partecipanti alla gara che abbiano proposto censure identiche e reciprocamente escludenti, ciascuna di esse pu˜ far valere un analogo interesse legittimo allĠesclusione dellĠofferta dellĠaltra, senza che si imponga la regola processuale dellĠesame prioritario del ricorso incidentale escludente, con la conseguenza di indurre lĠAmministrazione aggiudicatrice a constatare lĠimpossibilitˆ di procedere alla scelta di unĠofferta regolare. Per tali motivi, spetterˆ al giudice stabilire se sia utile e conforme al principio di economia dellĠattivitˆ giudiziale la trattazione congiunta e contestuale delle domande proposte, rispettivamente, dal ricorrente principale ed incidentale; e, a tale scopo,  considerato sufficiente a giustificare un simultaneus processus che le questioni sollevate dalle parti, siano speculari ed egualmente escludenti. Nel caso in esame, come leggiamo nella stessa ordinanza di remissione, la fattispecie ivi descritta risulta essere, per quanto consta la fase del gravame, del tutto analoga dal punto di vista processuale e sostanziale a quella oggetto della precedente pronuncia della Corte. Si legge, infatti, nellĠordinanza di rimessione anche il presente contenzioso vede contrapposte, come segnalato, soltanto Òdue imprese: ed invero, soltanto dette imprese hanno proposto ricorsi (principali e incidentali) nel primo e nel secondo grado del giudizio e, per quanto consta a questo Consiglio, nessuna delle altre imprese, successivamente escluse dalla gara, hanno contestato in sede amministrativa o giurisdizionale siffatta esclusioneÓ. Se  vero dunque che nella fattispecie, le posizioni del ricorrente principale e del ricorrente incidentale sono simmetriche ed equivalenti, sarebbe contrario al principio di paritˆ delle parti e di imparzialitˆ del giudice - sanciti dallĠart. 111, secondo comma, Cost., e dallĠart. 6 della Convenzione Europea dei diritti dellĠuomo - far discendere lĠesito del giudizio dal mero ordine logico seguito per la decisione delle impugnazioni proposte. Le scelte del giudice, difatti, non possono avere rilievo decisivo sullĠesito della lite quando, riguardando lĠordine di trattazione dei ricorsi, emerge lĠidenticitˆ dei motivi oggetto delle reciproche contestazioni. Tali considerazioni si devono ora declinare in rapporto alla evoluzione giurisprudenziale dellĠAdunanza Plenaria dalla sentenza n. 4/2011 sino alla pronuncia n. 8/2014, questĠultima, intervenuta nelle more del rinvio pregiudiziale in esame, avrebbe certamente reso pi semplice il ruolo interpretativo del giudice di seconda istanza della regione siciliana, in particolare, relativamente ai dubbi legati a quale regola juris applicare nella fattispecie in esame. A ben vedere, il quesito cos“ come posto, se poteva avere un senso alla luce della difformitˆ di orientamento in essere tra lĠAdunanza Plenaria - dopo la sentenza 4/2011 - e la Corte di Giustizia, risulta ora svuotato di ogni ragion dĠessere se si considera che lĠintervenuta Adunanza Plenaria n. 8/2014 ha di fatto ratificato lĠorientamento del giudice comunitario superando la rigida regola processuale legata allĠesame prioritario delle questioni incidentali di rito volte a sindacare la legittimazione ad agire. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza 17 ottobre 2013 n. 848 -Pres. ff. de Francisco, Est. Carlotti. (...) A) Esposizione succinta dellĠoggetto della controversia. (...) A7. - Ai fini del rinvio pregiudiziale  sufficiente segnalare quanto segue: - la PFE ad“ il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, onde ottenere lĠannullamento dei provvedimenti sopra indicati; - lĠATI GSA/Zenith replic˜ alle censure avversarie e propose un ricorso incidentale, cd. ÒescludenteÓ o ÒparalizzanteÓ, mirante cio a contestare lĠomessa esclusione dalla gara della PFE e, quindi, diretto a far valere il conseguente difetto di interesse della suddetta PFE alla coltiva zione dellĠimpugnativa; ci˜ in considerazione del fatto che, nellĠordinamento italiano, il giudizio amministrativo assume tipicamente le caratteristiche di un puro processo di parti, e non giˆ di diritto oggettivo, di guisa che lĠinteresse a ricorrere - al quale deve sempre corrispondere una correlativa utilitˆ pratica unicamente realizzabile per via giurisdizionale - costituisce unĠindefettibile requisito per la proposizione e la prosecuzione di qualunque azione; - con la sentenza impugnata il T.a.r. accolse entrambe le impugnative, principale e incidentale, cos“ espressamente disattendendo i principi enunciati al riguardo dallĠAdunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 7 aprile 2011 (in seguito anche: sentenza n. 4/2011), in tema di prioritˆ dellĠesame del ricorso incidentale escludente rispetto a quello principale; - con lĠappello principale la PFE  insorta contro la sunnominata sentenza del T.a.r. nelle parti recanti statuizioni in ordine a) al rigetto dellĠeccezione preliminare di inammissibilitˆ o di improcedibilitˆ del ricorso incidentale della GSA, b) allĠaccoglimento dei due motivi del medesimo ricorso incidentale e c) al rigetto della domanda risarcitoria, sia in forma specifica sia per equivalente, nonchŽ delle ulteriori e consequenziali domande formulate in prime cure; - con lĠappello incidentale la GSA ha impugnato la medesima sentenza gravata dalla PFE, ma nella parte in cui il Primo Giudice ha definito lĠordine di esame dei ricorsi, principale e incidentale, in violazione dei principi enunciati dalla suddetta pronuncia dellĠAdunanza plenaria del Consiglio di Stato e, in via subordinata, nella parte in cui il T.a.r. ha accolto il primo dei motivi del ricorso proposto in primo grado dalla PFE; - in particolare, con il primo motivo dellĠappello incidentale, la GSA ha dedotto la sussistenza di un error in iudicando per aver il T.a.r. ritenuto comunque necessaria, nonostante la proposizione di un ricorso incidentale di natura escludente, la disamina anche dei motivi del ricorso principale, giacchŽ - qualora fossero stati rispettati i principi affermati dalla sentenza n. 4/2011 - il Tribunale, una volta accolto il ricorso incidentale della GSA, avrebbe dovuto conseguentemente dichiarare inammissibile quello proposto in via principale dalla PFE, consentendo cos“ alla GSA di vincere la causa e di conservare in tal modo lĠutilitˆ rinveniente dallĠaggiudicazione della gara; -con le ultime memorie depositate in appello le parti hanno ribadito le rispettive posizioni e, in dettaglio, la GSA ha affrontato il tema dell'applicabilitˆ, o no, al caso di specie dei principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12; inoltre, riguardo alla sorte della gara in contestazione, entrambe le imprese in lite hanno allegato che, successivamente alla pubblicazione della sentenza del T.a.r. oggetto di gravame, la stazione appaltante dapprima escluse dalla procedura sia la PFE sia lĠATI GSA e poi, una volta fatta scorrere la graduatoria, lĠAirgest escluse altres“ tutte le altre imprese ammesse per inidoneitˆ delle rispettive offerte, poichŽ tutte carenti del requisito rappresentato dalla specifica indicazione dei costi per la sicurezza; - in effetti, con lettera di invito, inviata dallĠAirgest a norma dellĠart. 125, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, risulta esser stata indetta una procedura negoziata mediante cottimo fiduciario per lĠaffidamento del servizio di pulizia dellĠaeroporto civile ÒV. FlorioÓ di Trapani-Birgi e di manutenzione delle aree verdi, della durata di tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi; nel preambolo di siffatta lettera di invito si dˆ conto dellĠintervenuta esclusione di tutte le offerte presentate nellĠambito della procedura aperta al centro del contendere e anche si subordina risolutivamente lĠefficacia della gara e dei relativi esiti allĠeventuale riforma, da parte di questo Consiglio, dellĠimpugnata sentenza del T.a.r.; -come giˆ riferito, con la sentenza non definitiva, n. 847/2013, questo Consiglio ha respinto in parte lĠappello principale proposto da PFE; inoltre si  comunicata alle parti la decisione di disporre, con separato provvedimento, un rinvio pregiudiziale alla CGUE onde ottenere unĠinterpretazione del diritto eurounitario. B) Contenuto delle pertinenti disposizioni eurounitarie e nazionali, nonchŽ della pertinente giurisprudenza della CGUE e del Consiglio di Stato. B1. - Le disposizioni eurounitarie rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C), sono le seguenti: - art. 1, parr. 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007: Ç1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2-septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. [É] 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalitˆ che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere lĠaggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazioneÈ; - art. 267 del TFUE, nella versione in vigore dal 1Ħ dicembre 2009: ÇLa Corte di giustizia dell'Unione europea  competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validitˆ e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione del genere  sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale pu˜, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere  sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale  tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere  sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il pi rapidamente possibileÈ; - art. 47, parr. 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea (2000/C 364/01), rubricato ÒDiritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparzialeÓ: ÇOgni individuo i cui diritti e le cui libertˆ garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltˆ di farsi consigliare, difendere e rappresentareÈ; - art. 6, par. 1, comma 1, TUE, nella versione in vigore dal 1Ħ dicembre 2009: Ç1. L'Unione riconosce i diritti, le libertˆ e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattatiÈ; - art. 19, par. 1, TUE, nella versione in vigore dal 1Ħ dicembre 2009: Ç1. La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati. Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'UnioneÈ. B2. - Le disposizioni interne, della Repubblica italiana, rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C), sono le seguenti: - art. 111, ultimo comma, della Costituzione della Repubblica italiana: ÇContro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso per cassazione  ammesso per i soli motivi inerenti la giurisdizioneÈ; -art. 99, commi 3 e 4, c.p.a., rubricato ÒDeferimento allĠadunanza plenariaÓ: Ç3. Se la sezione cui  assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dallĠadunanza plenaria, rimette a questĠultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 4. LĠadunanza plenaria decide lĠintera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittenteÈ; -art. 1, comma 2, del D.Lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato). Ç2. Il Consiglio di giustizia amministrativa ha sede in Palermo ed  composto da due Sezioni, con funzioni, rispettivamente, consultive e giurisdizionali, che costituiscono sezioni staccate del Consiglio di StatoÈ. B3. - La sentenza della CGUE, rilevante ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C),  la seguente: CGUE, decima sezione, 4 luglio 2013, in causa C-100/12. B4. - La sentenza del Consiglio di Stato, rilevante ai fini del presente rinvio pregiudiziale, per le ragioni che saranno illustrate nella successiva sezione C),  la seguente: Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, del 7 aprile 2011, n. 4 C) Motivi del rinvio pregiudiziale: oggetto e rilevanza. C1. - Con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte dal T.a.r. per il Piemonte con decisione del 25 gennaio 2012, la CGUE ha conclusivamente dichiarato che: ÇLĠarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allĠapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dellĠ11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, lĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto e proposto ricorso incidentale solleva unĠeccezione di inammissibilitˆ fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellĠofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lĠofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallĠautoritˆ aggiudicatrice per non conformitˆ alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellĠesame preliminare di tale eccezione di inammissibilitˆ senza pronunciarsi sulla conformitˆ con le suddette specifiche tecniche sia dellĠofferta dellĠaggiudicatario che ha ottenuto lĠappalto, sia di quella dellĠofferente che ha proposto il ricorso principaleÈ. C2. - Con la sunnominata sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 ha, in particolare, verificato la compatibilitˆ con il diritto dellĠUnione europea della regola stabilita dalla ridetta sentenza n. 4/2011 (il cui contenuto non si riassume poichŽ giˆ conosciuto ed esaminato dalla CGUE) con la quale si , in sostanza, imposto - per le ragioni che saranno di seguito spiegate -alle Sezioni e ai Collegi del Consiglio di Stato, chiamati a pronunciarsi sugli appelli avverso sentenze pronunciate dai T.a.r., di attenersi al principio di diritto secondo cui, nei processi di primo grado in cui siano stati proposti sia un ricorso principale sia uno incidentale escludente, lĠordine di esame delle impugnative da parte dei T.a.r. debba essere nel senso di riservare prioritario esame al ricorso incidentale escludente e, in caso di accertata fondatezza di questĠultimo, di dichiarare improcedibile il ricorso principale (per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione, appunto in conseguenza dellĠaccoglimento di detto ricorso incidentale), senza valutarne il merito. C3. - Dalla lettura del tenore della questione pregiudiziale rimessa dal T.a.r. per il Piemonte e dei punti 31, 32 e 33 della motivazione della sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, si evince che la fattispecie concreta, in relazione alla quale  stata resa la dichiarazione riportata nel precedente ¤. C1, riguardava un caso in cui i concorrenti rimasti in gara erano soltanto due e coincidevano dal punto di vista soggettivo, rispettivamente, con il ricorrente principale e con lĠaggiudicatario-ricorrente incidentale, aventi ciascuno di mira, in maniera speculare, il risultato di ottenere in via giurisdizionale lĠesclusione dellĠaltro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneitˆ dellĠofferta. In tale ipotesi  evidente che, in caso di accoglimento di ambo le contrapposte impugnazioni, la sentenza realizza lĠazzeramento della gara che - ove ribandita - consente ad entrambe le parti, come ad ogni altro operatore del settore, di avere lĠulteriore chance di poter ripresentare domanda per la partecipazione alla nuova gara. C4. - Nel caso che occupa questo Consiglio la fattispecie concreta  almeno in parte differente da quella testŽ descritta, poichŽ le imprese ammesse a partecipare alla procedura della cui legittimitˆ si controverte furono pi di due; nondimeno, dal punto di vista processuale e sostanziale - in disparte i distinti profili che sorreggono le reciproche censure di pretesa illegittimitˆ delle rispettive ammissioni alla gara delle due imprese in lite (non essendo stata contestata, nel caso che occupa il Collegio, la conformitˆ delle offerte alle specifiche tecniche, ma unicamente la validitˆ delle dichiarazioni relative al possesso di taluni requisiti generale previsti dalla legge italiana per la partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici) anche il presente contenzioso vede contrapposte, come segnalato, soltanto due imprese, la PFE e la GSA: ed invero, soltanto dette imprese hanno proposto ricorsi (principali e incidentali) nel primo e nel secondo grado del giudizio e, per quanto consta a questo Consiglio, nessuna delle altre imprese, successivamente escluse dalla gara, hanno contestato in sede amministrativa o giurisdizionale siffatta esclusione. Inoltre, come riferito nella superiore narrativa del fatto, la stazione appaltante, intervenuta la pubblicazione della gravata sentenza del T.a.r. per la Sicilia, ha escluso tutte le imprese che presero parte alla gara. In forza delle riferite circostanze, il presente giudizio ha ad oggetto, a ben vedere, soltanto le reciproche contesta zioni di due imprese, la PFE e la GSA, le quali - uniche tra tutte quelle originariamente ammesse alla procedura di affidamento - conservano un interesse, processualmente tutelabile, alla decisione in ordine alla legittimitˆ della gara. C5. - Alla stregua di tutto quanto fin qui osservato, questo Consiglio, avanti al quale  stato evocato il principio di diritto dellĠUnione europea sancito dalla CGUE nella sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, si interroga, e ritiene di essere obbligato a rivolgere lĠinterrogativo alla CGUE, se il suddetto principio di diritto dichiarato dalla CGUE possa o debba ritenersi applicabile - in disparte il non rilevante profilo dei motivi di diritto per i quali la PFE e la GSA ritengono, specularmente, che la rispettiva controparte dovesse essere esclusa dalla gara - anche al caso sopra descritto sub A, ossia se la situazione che si  venuta a determinare nella vicenda oggetto della presente controversia sia sostanzialmente assimilabile, in ragione del concreto isomorfismo che si ravvisa nei termini sopra spiegati, a quella in relazione alla quale  stata pronunciata la sentenza della CGUE del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 (il quesito  meglio precisato, infra, sub D1). Infatti, nel caso odiernamente in esame, parrebbe ipotizzabile - proprio in quanto tutte le altre imprese partecipanti alla gara ne sono state escluse con provvedimenti rimasti inoppugnati e ormai inoppugnabili - che lĠinteresse processuale delle due parti ora in causa si atteggi nel medesimo modo che se tali due parti fossero state le uniche a partecipare alla gara (comĠera nel caso che fu deciso dalla citata sentenza di codesta C.G.U.E.): sicchŽ entrambe le parti potrebbero avere interesse allĠaccoglimento (e, prima ancora, allo scrutinio) delle proprie doglianze, anche in caso di accoglimento di quelle di controparte, quantomeno per realizzare il proprio interesse (c.d. ÒstrumentaleÓ) allĠazzeramento della gara, onde poter concorrere alla sua riedizione per rigiocarsi ex novo la chance di vincerla. C6. - Non a caso questo Consiglio ha prudenzialmente asserito, nel precedente ¤. C5, di ritenere di dover sottoporre alla CGUE la sopra indicata questione pregiudiziale, posto che tale doverositˆ del rinvio (nelle ipotesi in cui, ovviamente, ricorrano le condizioni richiamate anche nel punto 12 delle Raccomandazioni), in virt delle regole che attualmente governano il processo amministrativo di appello, non  prevista e, anzi, potrebbe apparire vietata, quanto meno nei sensi della possibilitˆ di instaurare una diretta relazione tra il giudice amministrativo di ultima istanza (Sezione del Consiglio di Stato tabellarmente competente per la trattazione della causa) e la CGUE. C7. - Onde chiarire il senso di quanto testŽ affermato, occorre muovere dalla considerazione che, secondo il diritto giurisprudenziale amministrativo italiano, pure al caso concreto oggetto del presente giudizio, al pari di quello giˆ deciso dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, dovrebbero applicarsi i principi di diritto enunciati dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4/2011. SennonchŽ, mentre per la fattispecie sottoposta al vaglio del T.a.r. per il Piemonte,  per lĠappunto intervenuta la decisione della CGUE, nella vicenda al centro del contenzioso instaurato avanti a questo Consiglio difetta una pronuncia analoga nŽ pu˜ con certezza reputarsi, stante quanto sopra considerato dubitativamente sub C4 e C5., che, nonostante la presenza di forti somiglianze tra le due cause, i principi stabiliti dalla CGUE nel precedente citato siano automaticamente trapiantabili anche nel presente contenzioso; al contempo  evidente come la soluzione della questione dellĠapplicabilitˆ, o no, di detti principi nel caso in esame sia fondamentale per le sorti del giudizio, incidendo sensibilmente sullĠesito della controversia. C8. - Tanto premesso, va tuttavia osservato che la situazione appena descritta, risultando ad essa residualmente applicabile (a cagione della diversitˆ della fattispecie concreta) la regula iuris dettata dalla sentenza n. 4/2011, imporrebbe a questo Consiglio - in forza della vincolativitˆ del precetto recato dallĠart. 99, comma 3, c.p.a., che obbliga a conformarsi al principio di diritto enunciato dallĠAdunanza plenaria ovvero, come unica alternativa, a rimettere a questĠultima la decisione della causa - di astenersi dal rinviare direttamente la questione sopra esposta alla CGUE e ci˜ nonostante questo Consiglio sia a tutti gli effetti un giudice di ultima istanza delle controversie amministrative. C9. - LĠultima affermazione merita un precisazione. Il punto 12 delle Raccomandazioni ricorda, tra lĠaltro, ai giudici nazionali che, a norma dellĠart. 267 TFUE, le Corti di ultima istanza sono tenute a proporre alla CGUE una domanda di pronuncia pregiudiziale. Orbene, non vi  dubbio che, secondo il diritto della Repubblica italiana, il Consiglio di Stato sia giudice di ultima istanza delle controversie appartenenti alla giurisdizione amministrativa. Vero  che contro le decisioni del Consiglio di Stato lĠordinamento interno ammette la possibilitˆ di ricorrere alla Corte suprema di cassazione, ma tale mezzo di impugnazione - per espresso dettato costituzionale (art. 111, ultimo comma, Cost.) - non potrˆ mai riguardare la cognizione della res litigiosa, dovendo invece rimanere circoscritto ai soli profili di corretto riparto del contenzioso tra le varie giurisdizioni italiane (civile, penale, amministrativa, contabile, tributaria, delle acque, ecc.). In altre parole, la Corte suprema di cassazione pu˜ verificare ÒseÓ il Consiglio di Stato abbia potestˆ di decidere una determinata controversia, ma non anche di stabilire ÒcomeÓ il Consiglio di Stato debba decidere la causa, con il che il Consiglio di Stato  sicuramente giudice di ultima istanza del merito delle liti amministrative e in tal senso  anche la giurisprudenza della CGUE. C10. - Ora, se il Consiglio di Stato  giudice di ultima istanza, tale  anche questo Consiglio, poichŽ cos“ espressamente stabilisce lĠart. 1, comma 2, del D.Lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 che configura le due sezioni di cui si compone questo Consiglio alla stregua di altrettante sezioni, sebbene staccate, del Consiglio di Stato. C11. - Al pari di ogni altro giudice di ultima istanza, dunque, questo Consiglio dovrebbe poter domandare alla CGUE una pronuncia pregiudiziale sullĠinterpretazione del diritto dellĠUnione europea; sennonchŽ tale potestˆ in talune ipotesi, e tra queste quella che viene in rilievo nel presente giudizio, parrebbe non essere direttamente esercitabile; e ci˜ appunto in ragione della vigenza di una norma processuale, lĠart. 99, comma 3, c.p.a., che obbliga tutte le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato ad applicare, ai fini del decidere sul rito e sul merito delle controversie amministrative, i principi di diritto enunciati dallĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, fatta salva la facoltˆ di rimettere le questioni alla stessa Adunanza Plenaria (onde sollecitarne un revirement solo eventuale) quando la Sezione o il Collegio intendano da detti principi discostarsi. Va osservato che lĠart. 99, comma 3, c.p.a.  sorretto da una ratio legis in astratto meritoria, atteso che il Legislatore interno ha ritenuto di poter accrescere in tal modo, attraverso cio il rafforzamento del potere nomofilattico dellĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle materie appartenenti alla giurisdizione amministrativa, la certezza del diritto ÒgiurisprudenzialeÓ interno; tuttavia, ad avviso di questo Consiglio, siffatto vincolo procedurale, qualora riferito anche alle questioni di diritto eurounitario, finisce per entrare in conflitto con pi di un principio dellĠordinamento sovranazionale e, principalmente, con la riserva dellĠinterpretazione del diritto dellĠUnione europea al magistero della CGUE e con il correlato e sinergico obbligo di rinvio pregiudiziale gravante su tutti i giudici di ultima istanza degli Stati membri (solo per completezza argomentativa, va peraltro segnalato in via incidentale che lĠart. 99, comma 3, c.p.a. tende ad orientare lĠevoluzione del diritto processuale amministrativo italiano verso un modello di Òcommon lawÓ, incentrato sulla regola dello Òstare decisisÓ, che pure confligge con il primato del diritto scritto, su quello di creazione giurisprudenziale, stabilito chiaramente dallĠart. 100, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana, secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, fatta salva la primazia del diritto dellĠUnione, a garanzia della loro indipendenza e quale corollario della separazione dei poteri; lĠesame della questione costituzionale interna  per˜ necessariamente postergato alla prodromica soluzione di quella eurounitaria). C12. - Onde chiarire quanto appena osservato,  dĠuopo illustrare con un esempio come operi, nel caso di specie, il vincolo procedurale derivante dallĠart. 99, comma 3, c.p.a. Innanzitutto, non pu˜ revocarsi in dubbio che lĠoggetto del presente giudizio investa una materia, cio quella delle procedure di affidamento degli appalti pubblici, che promana direttamente dal- lĠordinamento dellĠUnione europea. Si  per˜ sopra chiarito che la fattispecie in esame ricade, ancora, nellĠalveo applicativo del principio dettato dallĠAdunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4/2011; pertanto, a questo Consiglio si pone la seguente alternativa: o questo Consiglio, ignorando la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12 e i connessi dubbi sopra esternati in ordine alla possibile applicabilitˆ nella fattispecie dei principi in quella sentenza affermati, opta per la decisione della controversia seguendo acriticamente la regola del prioritario scrutinio del ricorso incidentale (rischiando per˜ in tal modo di violare il diritto dellĠUnione europea) oppure questo Consiglio, ritenendo che pure nel caso di specie possano attagliarsi i principi enunciati nella ridetta sentenza della CGUE, applica lĠart. 99, comma 3, c.p.a. e, per lĠeffetto, rimette la questione dellĠapplicabilitˆ alla vicenda in esame dei principi dettati dalla sentenza n. 4/2011 allĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, segnalandone il parziale contrasto con quelli ricavabili dalla sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12. C13. - In ogni caso, ad avviso di questo Collegio, la situazione appena descritta collide sotto vari profili con il diritto dellĠUnione, giacchŽ: - nel primo caso, si indeboliscono i fondamentali canoni del primato e del massimo effetto utile del diritto dellĠUnione europea; -nel secondo caso si limita sensibilmente la potestˆ, riconosciuta dal diritto dellĠUnione europea a ogni giudice di ultima istanza degli ordinamenti degli Stati membri, di sottoporre in via diretta alla CGUE domande di pronunce pregiudiziali, atteso che tale potestˆ viene, nei fatti, ad esser concentrata nella sola Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, almeno ogniqualvolta essa abbia affermato principi di diritto, s“ vincolanti per le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato, ma non compatibili con quelli vigenti nellĠUnione europea e dichiarati dalla CGUE; - a quanto appena considerato, va altres“ aggiunto che siffatta obbligatoria intermediazione del rapporto tra giudici amministrativi di ultima istanza e CGUE, attraverso la previsione di un vincolo procedurale rappresentato dalla preventiva sollecitazione di una pronuncia del- lĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, per un verso, incrina la riserva della CGUE sul- lĠinterpretazione del diritto dellĠUnione (dal momento che il ÒfiltroÓ sui rinvii pregiudiziali esercitato dallĠAdunanza plenaria del Consiglio di Stato comunque esplica una funzione deflattiva e disincentivante delle relative domande e, in pi, potrebbe anche non condurre ad alcun rinvio pregiudiziale, potendo ritenere lĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel- lĠesercizio della sua autonoma discrezionalitˆ giurisdizionale, che talune questioni non meritino un vaglio incidentale della CGUE); per altro verso, infine, il Òpassaggio obbligatoÓ della rimessione a norma dellĠart. 99, comma 3, c.p.a. infirma anche il primato del diritto del- lĠUnione europea, almeno nella misura in cui il magistero nomofilattico dellĠAdunanza Plenaria, sicuramente utile nella prospettiva di una maggiore certezza e unitˆ dellĠesegesi del diritto amministrativo nazionale, interferisca e finisca per imporsi sul magistero della CGUE nelle materie disciplinate dal diritto dellĠUnione europea; infine, sotto un ultimo aspetto, il meccanismo disciplinato dallĠart. 99, comma 3, c.p.a. incide anche negativamente sulla durata ragionevole del processo, che costituisce un valore tutelato dal diritto dellĠUnione europea (v. gli artt. 6 TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea, nonchŽ lĠart. 1, par. 1, comma 3, della direttiva 89/665/CEE), atteso che - anche a voler prescindere da ogni altra considerazione - detto Òpassaggio obbligatoÓ allunga notevolmente i tempi di un giudizio, dovendosi aggiungersi a quelli indispensabili per la definizione del rinvio pregiudiziale anche quelli della rimessione allĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato affinchŽ essa proponga, eventualmente, la domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE. C14. - Per tutte le ragioni sopra spiegate questo Consiglio dubita della compatibilitˆ eurounitaria dellĠart. 99, comma 3, c.p.a., qualora detta disposizione debba applicarsi anche in controversie che siano disciplinate dal diritto dellĠUnione europea (o dal diritto interno che costituisca recepimento di quello sovranazionale) e nella misura in cui lĠapplicazione di detta disposizione si traduca, nei modi sopra illustrati, in un ostacolo al pieno esercizio della potestˆ di ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato, in quanto giudice di ultima istanza, di rinviare pregiudizialmente una questione alla CGUE; ovvero, e altres“, in un ostacolo al pieno esercizio della potestˆ di ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato, in quanto giudice di ultima istanza, di applicare direttamente, quale giudice comune del diritto dellĠUnione europea, i principi del diritto euro unitario, per come declinati dalla CGUE, in guisa da assicurarne il maggiore (e pi sollecito) Òeffetto utileÓ. I dubbi appena esposti sono condensati nellĠarticolato quesito di seguito declinato sub D2 e al quale ci si riporta. D) Formulazione dei quesiti. D1. - Se i principi dichiarati dalla CGUE con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti lĠintervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese; D2. - se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante lĠapplicazione del diritto dellĠUnione europea, osti con lĠinterpretazione di detto diritto e, segnatamente con lĠart. 267 TFUE, l'art. 99, comma 3, c.p.a., nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce la vincolativitˆ, per tutte le Sezione e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta Adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dell'Unione europea; e, in particolare, -se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove dubitino della conformitˆ o compatibilitˆ con il diritto dell'Unione europea di un principio di diritto giˆ enunciato dall'Adunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla CGUE per accertare la conformitˆ e compatibilitˆ europea del principio di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dell'Unione europea, una questione pregiudiziale alla CGUE per la corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea; -se - nellĠipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente alinea fosse nel senso di riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere di sollevare direttamente questioni pregiudiziali davanti alla CGUE ovvero, in ogni caso in cui la CGUE si sia comunque espressa, viepi se successivamente all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, affermando la sussistenza di una difformitˆ, o di una non completa conformitˆ, tra la corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea e il principio di diritto interno enunciato dall'Adunanza plenaria - ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici comuni di ultima istanza del diritto dell'Unione europea possano o debbano dare immediata applicazione alla corretta interpretazione del diritto dell'Unione europea per come interpretato dalla CGUE o se, invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso all'Adunanza plenaria, con l'effetto di demandare all'esclusiva valutazione di quest'ultima, e alla sua discrezionalitˆ giurisdizionale, l'applicazione del diritto del- l'Unione europea, giˆ vincolativamente dichiarato dalla CGUE; -se, infine, un'esegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana nel senso di rimandare allĠesclusiva valutazione dellĠAdunanza Plenaria lĠeventuale decisione in ordine al rinvio pregiudiziale alla CGUE - ovvero anche soltanto la definizione della causa, allorchŽ questa direttamente consegua allĠapplicazione di principi di diritto eurounitario giˆ declinati dalla CGUE -- non sia di ostacolo, oltre che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con l'esigenza che il diritto dell'Unione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome stabilita dalla CGUE, anche ai fini della massima estensione dei principi del cd. "effetto utile" e del primato del diritto dell'Unione europea sul diritto (non solo sostanziale, ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie: sullĠart. 99, comma 3, del c.p.a. della Repubblica italiana). E) Sospensione del giudizio e disposizioni per la Segreteria. E1. - In conclusione, si rimettono allĠesame della CGUE le sopra esposte questioni di corretta interpretazione del diritto eurounitario. (...) E3. Visto lĠart. 79 c.p.a. e il punto 29 delle Raccomandazioni, il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione del procedimento incidentale di rinvio, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese,  riservata alla pronuncia definitiva, una volta ricevuta la notificazione della decisione emessa dalla CGUE (v. il punto 34 delle Raccomandazioni). P.Q.M. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone: 1) a cura della segreteria, la trasmissione alla Corte di giustizia dellĠUnione europea della presente ordinanza e di copia degli atti sopra indicati, con le modalitˆ di cui in motivazione; 2) la sospensione del presente giudizio fino alla notificazione a questo Consiglio, da parte della cancelleria della Corte di giustizia dellĠUnione europea, della decisione emessa dalla suddetta Corte; 3) che rimanga riservata alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese del giudizio. Manda la Segreteria per gli altri adempimenti di legge. Cos“ deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2013. Una SCIA-Demaniale:  possibile? TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA, PALERMO, SEZIONE I, SENTENZA 25 LUGLIO 2013 N. 1543 Gaetano Molica* SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La fattispecie e le argomentazioni del giudice. - 3. Lo schema Ònorma-fatto-effettoÓ vs. Ònorma-potere-effettoÓ. - 4. Il demanio marittimo e le concessioni demaniali. - 5. Non sussumibilitˆ del modello concessorio demaniale nello schema Ònorma-fatto-effettoÓ. 1. Premessa. La sentenza in commento, benchŽ abbia ad oggetto lĠapplicazione di una norma regionale, presenta profili di interesse che travalicano gli angusti confini della portata territoriale della medesima, per investire, ad un pi ampio livello di analisi, la delicata questione della semplificazione dei moduli procedimentali e del rapporto tra P.A. e cittadino. Pi nel dettaglio, come si avrˆ modo di vedere, il decisum oggetto del presente intervento, sulla scorta di un dato normativo apparentemente inequivoco, sembra ammettere lĠapplicazione dello schema - noto in materia di s.c.i.a. Ò norma-fatto-effettoÓ per lĠipotesi di destagionalizzazione di attivitˆ balneari, privando la P.A. di ogni potere valutativo in merito allĠopportunitˆ di assentire tale operazione e, in ultima analisi, in merito alla valutazione della perdurante compatibilitˆ tra uso particolare e la tutela del c.d. interesse demaniale. Le considerazioni che con il presente scritto si intendono fare richiedono, tuttavia, una compiuta - sebbene contenuta - analisi della fattispecie e dellĠarticolato ragionamento logico-giuridico che hanno condotto alla sentenza in commento. 2. La fattispecie e le argomentazioni del giudice. AllĠatto del rinnovo di una concessione demaniale avente ad oggetto lo sfruttamento di una porzione del litorale sito nel Comune di Palermo per la realizzazione di uno stabilimento balneare, lĠautoritˆ demaniale marittima competente - in ragione dei precorsi rapporti con il concessionario - aveva ritenuto opportuno inserire apposita clausola nellĠambito del provvedimento di concessione, con la quale si obbligava il concessionario medesimo, a pena di decadenza, a smontare interamente la struttura balneare al termine della stagione estiva. Conclusa la stagione balneare, dinnanzi al rifiuto del concessionario di (*) Dottorando in Diritto Comparato - Universitˆ degli Studi di Palermo, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. adempiere allĠobbligo di smontaggio, la P.A. competente adottava il decreto di decadenza dalla concessione demaniale ai sensi dellĠart. 47, co. 1, lett. f), C.N. Contro tale provvedimento, allora, ricorreva la societˆ titolare della concessione de qua, chiedendone lĠannullamento. Con la sentenza oggetto del presente commento, il T.A.R. Palermo ha ritenuto di accogliere le doglianze del concessionario, annullando il provvedimento decadenziale impugnato. Le argomentazioni offerte dai decidenti sono diverse e variamente articolate. Tra queste, in considerazione del tema trattato, merita particolare attenzione lĠinterpretazione letterale e sistematica della norma oggetto di applicazione. Secondo il Collegio, infatti, la disciplina di cui allĠart. 2, L.r. n. 15/2005 sarebbe chiara nellĠevidenziare lĠestensione annuale del titolo concessorio, previa comunicazione dellĠintenzione del concessionario di voler destagionalizzare lĠattivitˆ. E ci˜ in quanto si tratterebbe di una disposizione che, nellĠevidente intento di favorire lo sviluppo delle attivitˆ turistiche anche oltre il consueto orizzonte temporale, avrebbe operato una estensione ex lege dei relativi titoli abilitativi, privando lĠautoritˆ demaniale del potere di subordinare tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente intesa, posto che i concessionari possono avvalersi della concessione demaniale, delle licenze e delle autorizzazioni di cui sono giˆ in possesso per le attivitˆ stagionali estive. Per corroborare questa interpretazione, il giudice fa uso dellĠargomento analogico, citando in particolare la giurisprudenza in materia di d.i.a. (oggi s.c.i.a.) e ritenendo, essenzialmente, possibile tracciare un parallelo tra la disciplina regionale in discorso e lo schema di funzionamento proprio della d.i.a., nel senso che Òla legittimazione del privato allĠesercizio dellĠattivitˆ non  pi fondata sullĠatto di consenso della P.A., secondo lo schema Ònorma-potere- effettoÓ, ma  una legittimazione ex lege, secondo lo schema Ònormafatto- effettoÓ, in forza del quale il soggetto  abilitato allo svolgimento dellĠattivitˆ direttamente dalla legge, la quale disciplina lĠesercizio del diritto eliminando lĠintermediazione del potere autorizzatorio della P.AÓ. Sulla base di questa premessa, il giudice ha ritenuto che il provvedimento decadenziale emesso dallĠautoritˆ demaniale fosse tamquam non esset, posto che detta autoritˆ non avrebbe potuto annullare o revocare la concessione demaniale per non aver il concessionario ottemperato a un provvedimento (il diniego di destagionalizzazione) non previsto dalla legge come tipologia provvedimentale, proprio perchŽ la legge stessa escluderebbe un potere condizionante lĠesercizio delle relative facoltˆ dei concessionari, sicchŽ nessun inadempimento agli obblighi derivanti dalla concessione potrebbe essere loro imputato. LĠunica via percorribile dalla P.A., secondo i giudici, avrebbe potuto essere quella di agire in autotutela ove circostanze e/o fatti nuovi avessero inciso sulla perdurante conformitˆ alla legge e allĠinteresse pubblico dellĠassetto dĠinteressi fissato nella concessione demaniale. La sentenza in commento, peraltro, riconosce che la ricostruzione cos“ operata dellĠassetto normativo applicabile indebolisce, in modo problematico, il controllo amministrativo sulle attivitˆ private esercitate sul demanio marittimo, riducendo drasticamente i poteri dellĠautoritˆ pubblica competente; tuttavia, nella medesima decisione si legge come tale circostanza Ònon costituirebbe valida ragione per praticare una interpretazione della disposizione in esame contraria al suo significato normativo e al suo chiaro tenore testualeÓ. Come si pu˜ agevolmente scorgere da una rapida lettura di quanto fin qui evidenziato, il Collegio giudicante, nellĠinterpretare la normativa applicabile, sembra aver impostato la propria analisi essenzialmente sul dato, nudo e crudo, di matrice giuridico-formale, senza apparentemente interrogarsi sulla praticabilitˆ sistematica di tale operazione ermeneutica. Ci˜ che, allora, si cercherˆ di comprendere, in altre parole, riguarda lĠeffettiva possibilitˆ di discutere dellĠapplicabilitˆ di uno schema marcatamente liberalizzatore - tale essendo il modulo Ònorma-fatto-effettoÓ, pensato in materia di d.i.a. - ad una classe di beni, quali quelli appartenenti al demanio marittimo, nonchŽ ad un genus provvedimentale - la concessione demaniale connotati da una spiccata singolaritˆ. Tale tentativo di ricostruzione sistematica, dunque, non pu˜ che passare attraverso la considerazione delle menzionate specificitˆ, in assenza di un dato normativo utilizzabile per offrire una rapida soluzione al problema che si intende in questa sede risolvere. 3. Lo schema Ònorma-fatto-effettoÓ vs. Ònorma-potere-effettoÓ. Secondo la ricostruzione operata dal Tar Palermo, la norma di cui allĠart. 2, L.r. n. 15/2005 rientrerebbe nellĠalveo di quelle disposizioni mediante le quali il Legislatore - regionale, nel nostro caso -, in presenza di presupposti normativamente stabiliti, consente lĠacquisizione da parte del privato istante di un titolo abilitativo allĠesercizio di unĠattivitˆ direttamente autorizzata dalla legge. In questo senso, dunque, prende forma e consistenza la dinamica Ònormafatto- effettoÓ, giacchŽ il privato concessionario, nellĠipotesi qui considerata, non avrebbe bisogno di alcuna intermediazione dellĠAmministrazione per esercitare una facoltˆ che direttamente la legge gli riconosce, quella di mantenere la struttura balneare ÒmontataÓ anche durante il periodo invernale per lĠesercizio delle attivitˆ collaterali alla balneazione. NellĠinterpretazione datane dai giudici parlermitani, infatti, sarebbe sufficiente la mera comunicazione di tale volontˆ, per poter legittimamente estendere lĠefficacia della concessione demaniale anche al periodo invernale. Adottando, dunque, la prospettiva dellĠAmministrazione al momento del rilascio e/o del rinnovo di una concessione demaniale, la posizione del Collegio giudicante  nel senso che questa non potrebbe comprimere un ÒdirittoÓ, che la legge riconosce espressamente al concessionario, imponendo clausole che obblighino questĠultimo a smontare le attrezzature nel periodo invernale, stabilendo la sanzione della decadenza dalla concessione a presidio dellĠadempimento di tale obbligo. Al contrario, una volta rilasciata la concessione, questa, anche se limitata temporalmente al periodo estivo,  suscettibile di essere estesa anche al periodo invernale sulla base della semplice comunicazione del concessionario, senza possibilitˆ per lĠAmministrazione di valutare la perdurante compatibilitˆ tra lĠinteresse particolare alla destagionalizzazione e lĠinteresse pubblico alla tutela del demanio marittimo. Da un punto di vista squisitamente letterale, del resto, la norma applicata sembra chiara nellĠabilitare i concessionari ad avvalersi della concessione demaniale in corso di validitˆ anche per lo svolgimento delle attivitˆ collaterali alla balneazione durante il periodo invernale, ritenendo sufficiente in tal senso la Òprevia comunicazione di prosecuzione dellĠattivitˆÓ. Questo stato di cose, di per s, non pone particolari interrogativi. La conformazione del rapporto tra cittadino e Amministrazione secondo logiche basate su modalitˆ relazionali che non prevedono un intervento espresso della seconda sono, allĠevidenza, entrate a far parte stabilmente del moderno diritto amministrativo ormai da molto tempo. Si tratta, infatti, di moduli procedimentali che - partendo dallĠidea per la quale una regolazione amministrativa invasiva delle attivitˆ economiche private  una strategia largamente perdente, poichŽ si pone contro lĠesigenza di celeritˆ - ha spinto il legislatore a preferire forme di regolazione dellĠiniziativa economica improntate tendenzialmente al principio della libertˆ di accesso e di svolgimento. In questo senso, le innumerevoli ipotesi di silenzio significativo e la s.c.i.a. costituiscono espressione di questo nuovo assetto delle relazioni tra amministrante e amministrato. In particolare, la disciplina della d.i.a. (oggi s.c.i.a.) - che la sentenza in commento pure richiama -, ponendosi in linea con la logica evidenziata, ha visto ridurre sempre pi lo spazio riconosciuto allĠAmministrazione, oggi ammesso solamente ex post e per un periodo di tempo limitato, decorso il quale lĠintervento amministrativo  ammesso in ipotesi assolutamente eccezionali e previo esaurimento di rimedi alternativi. Tuttavia, adottando un prospettiva di sistema, benchŽ oggi lĠistituto della s.c.i.a. goda di un ambito di applicazione molto vasto che interessa, anche trasversalmente, fattispecie tra loro molto diverse, sembra comunque possibile individuare alcuni Òconnotati indefettibiliÓ dellĠistituto in discorso, i quali, a parere di chi scrive, possono essere considerati espressione di regole generali che governano lĠormai silenzioso dialogo tra P.A. e privati. Un primo connotato riguarda la posizione del privato nei rapporti con lĠAmministrazione. é un dato largamente acquisito, infatti, che lo schema norma-fatto-effetto, comportando una prevalenza della sfera della libertˆ pri vata rispetto alla sfera autoritativa dellĠagire amministrativo,  ammissibile solo ove la situazione giuridica che il privato intenda esercitare - e per la quale segnala il suo esercizio - appartenga giˆ al di lui patrimonio (in senso giuridico, ovviamente). Nonostante, a seguito delle recenti modifiche dellĠart. 19, L. n. 241/90, il Legislatore abbia apertamente escluso il carattere propriamente autorizzatorio della s.c.i.a., non si pu˜ non considerare come tale istituto rimanga, nei fatti, un potente strumento abilitativo per il privato il quale, salva la responsabilitˆ penale per la mendacitˆ delle autodichiarazioni, a seguito della segnalazione,  messo nelle condizioni di poter esercitare, ad esempio, la libertˆ di iniziativa economica che giˆ la Costituzione gli riconosce. Non vi , dunque, lĠattribuzione di alcuna nova utilitas, bens“ il venir meno di ÒostacoliÓ allĠesercizio di una libertˆ di cui il privato  giˆ titolare. In secondo luogo - ed in diretta conseguenza di ci˜ che si  detto - lo stesso art. 19, co. 1, L. n. 241/90 espressamente esclude dallĠambito di applicazione della s.c.i.a. i casi in cui, per lĠesercizio di una determinata attivitˆ, sia necessario un atto per il cui rilascio non sia sufficiente il semplice accertamento dei presupposti richiesti dalla legge. Al di lˆ dellĠapplicabilitˆ diretta della s.c.i.a. alla fattispecie concreta considerata nel presente scritto - la quale certamente  da escludere - il riferito art. 19, co. 1, pu˜ essere considerato come espressione di un principio generale in tema di operativitˆ dello schema Ònorma-fattoeffettoÓ; ci˜ che si vuole sostenere, in altri termini,  che una tale logica ÒprocedimentaleÓ pu˜ presiedere al rapporto tra Amministrazione e privato solo qualora la prima sia chiamata a svolgere una funzione meramente ricognitiva dei presupposti richiesti dalla legge. Ove, al contrario, allĠAmministrazione si demandasse lĠesercizio di competenze ulteriori, si fuoriuscirebbe dalla dinamica Ònorma-fatto-effettoÓ per entrare nello schema Ònorma-potere-effettoÓ. Tale modello, al contrario del precedente,  intimamente connesso alla stessa nozione di discrezionalitˆ amministrativa: immanente ad esso , dunque, la ponderazione di interessi di diversa natura e ÒsegnoÓ con lĠinteresse pubblico primario. La funzione di controllo affidata allĠamministrazione , ovviamente, maggiormente vicina a tale schema. é, cio, la ponderazione tra opposti interessi che impone un intervento dellĠAmministrazione a composizione del riferito contrasto, avendo come scopo la cura dellĠinteresse pubblico secondo principi di proporzionalitˆ. Le superiori affermazioni vanno, dunque, applicate in riferimento al rapporto tra demanio marittimo e relativa concessione. 4. Il demanio marittimo e le concessioni demaniali. Con riferimento al demanio marittimo, pi che al semplice aspetto definitorio, in questa sede bisogna volgere lo sguardo alla funzione che esso assolve nel quadro della ricerca e della tutela dellĠinteresse pubblico alla sua fruizione. Nella ricostruzione di tale profilo, certamente non inedito, meritano di essere richiamate le pi recenti acquisizioni cui  pervenuta la giurisprudenza, giovandosi di rimarchevoli contributi dottrinali. Il riferimento , in particolare, alla notissima SS.UU. Cassazione Civile, n. 3665/2011, la quale ha posto le basi per la costruzione di un nuovo paradigma di ÒdemanioÓ. In tempi di attenzione ai rigori di bilancio e contabilizzazione dei valori ambientali e culturali, la Cassazione ha attinto a piene mani ad una concezione lato sensu giusnaturalistica del demanio, capace di svincolarsi dalla tradizionale e formalistica classificazione tassativa prevista dalla legge, per diventare strumento di realizzazione e soddisfazione dei bisogni della persona umana. In particolare, nella menzionata sentenza, si osserva come, dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., si ricavi il principio della Òtutela della umana personalitˆ e del suo corretto svolgimento nell'ambito dello Stato socialeÓ, anche nell'ambito del "paesaggio", con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della "proprietˆ" dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettivitˆ. LĠinterpretazione sistematica di cui si discute, per˜ - anche grazie allĠinflusso della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo - si  lasciata alle spalle lĠasettica nozione illuministica di ÒsoggettoÓ per porre al proprio centro la nozione di Òpersona umanaÓ, da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietˆ politica, economica e sociale"; emerge, cos“, l'esigenza interpretativa di guardare al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale- collettivistica. Tale mutamento paradigmatico, tuttavia, passa per una riqualificazione del soggetto che, formalmente,  il titolare del demaine, cio lo Stato. Invero, pi che allo Stato-apparato, quale persona giuridica pubblica individualmente intesa, deve farsi riferimento allo Stato-collettivitˆ, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della collettivitˆ e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi. In questo modo si approda ad una nuova ÒdemanialitˆÓ, intesa come Òduplice appartenenza alla collettivitˆ ed al suo ente esponenziale, dove la seconda [n.d.r. demanialitˆ] (titolaritˆ del bene in senso stretto) si presenta, per cos“ dire, come appartenenza di servizio che  necessaria, perch  questo ente che pu˜ e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizioneÓ. La prospettiva testŽ adottata, allora, permette di comprendere meglio la particolaritˆ della concessione demaniale (data dal peculiare scopo che la potestˆ amministrativa corrispondente assolve). BenchŽ lĠindagine attorno alla natura dello strumento concessorio sia stata al centro di un secolare dibattito dottrinale - sul quale, pi recentemente, ha influito notevolmente anche la prospettiva marcatamente economica del diritto europeo - pare potersi sostenere, alla luce della premessa fatta in merito alle caratteristiche del demanio marittimo, che la concessione demaniale marittima, rispetto alle altre tipologie di concessione (ad es. la concessione di servizi), conservi una connotazione fortemente dipendente dalle peculiaritˆ del bene pubblico che ne forma lĠoggetto. Pi nel dettaglio, alla concessione demaniale non pu˜ essere sic et simpliciter ricollegata la funzione di permettere lo sfruttamento economico di un bene ma, riprendendo la concezione tradizionale, si deve rivendicare la sua identitˆ di strumento attraverso il quale lĠAmministrazione attribuisce al concessionario utilitates che esulano dalla di lui sfera giuridica e che appartengono allĠAmministrazione medesima, nellĠesercizio, insomma, di un potere discrezionale. Orbene, essendo lĠAmministrazione la titolare del bene demaniale, al momento della distrazione di tale bene dalla sua naturale destinazione allĠuso generale, essa deve poter essere in grado di effettuare una valutazione ad ampio spettro della compatibilitˆ tra uso particolare e interesse demaniale, questĠultimo da intendersi nellĠaccezione sopra delineata. Ove si disconoscesse il potere/dovere dellĠAmministrazione, intesa quale ente esponenziale della collettivitˆ, di esercitare tale valutazione discrezionale, tanto al momento del rilascio della concessione, quanto durante il rapporto concessorio, si si porrebbe insanabilmente in contrasto con la ricostruzione delle SS.UU. ut supra descritta, che, al contrario, impone - rimarcando la doverositˆ della bona gestio - un perdurante controllo e la costante cura del bene demaniale, il quale, come detto, assume un ruolo fondamentale per la piena realizzazione della personalitˆ di ciascun consociato e non del solo concessionario. 5. Non sussumibilitˆ del modello concessorio demaniale nello schema Ònorma-fatto-effettoÓ. Enucleate le magmatiche regole di sistema che governano la materia de qua, pare potersi procedere alla soluzione del problema affrontato, cercando di giustapporre le diverse considerazioni fin qui condotte in merito, da un lato, al modello norma-fatto-effetto, e dallĠaltro, alle connotazioni della concessione demaniale. Tirando le fila del discorso pare, infatti, possibile escludere unĠapplicazione indiscriminata del modulo norma-fatto-effetto alle concessioni demaniali, tanto nella fase del loro rilascio, quanto nella fase della conformazione delle facoltˆ del concessionario, quanto ancora nella fase della gestione del rapporto di concessione. In primo luogo, osta lĠendemica incompatibilitˆ tra lĠessenza traslativa della concessione e la qualitˆ latamente autorizzatoria del modello liberalizzatorio. Con la prima, infatti, lĠAmministrazione trasferisce in capo al privato un diritto o una posizione di vantaggio al concessionario, senza per˜ privarsi del potere di riappropriarsene; con la seconda, al contrario, la legge rimuove una o pi barriere interposte tra il privato e lĠesercizio di un diritto o di unĠutilitˆ di cui egli  giˆ titolare. In secondo luogo, le caratteristiche del demanio impongono, per le ragioni sopra esposte, che lĠAmministrazione valuti la compatibilitˆ tra uso particolare e uso generale. Con riferimento espresso alla fattispecie da cui ha preso spunto questo commento, ammettere la compressione delle legittime attribuzioni dellĠAmministrazione, significherebbe impedire, nei fatti, lĠesercizio della discrezionalitˆ alla stessa demandata dalla legge e che alla stessa riconosce, in chiave funzionalistico/umanistica, la pi recente giurisprudenza. Pertanto, in sede di rilascio di una concessione, lĠAmministrazione, ove ritenga che la compatibilitˆ tra uso particolare e uso generale possa essere assicurata solo limitando lĠefficacia della concessione al periodo estivo, deve potere inserire unĠapposita clausola nel titolo concessorio che imponga al privato lo smontaggio della struttura al termine del periodo balneare e, in caso di contravvenzione allĠobbligo cos“ imposto, deve poter intervenire con un provvedimento inibitorio. Come, allora, conciliare lĠapparente tranciante portata della norma regionale - che parla di ÒcomunicazioneÓ del privato - con la permanenza di un potere discrezionale in capo allĠAmministrazione? a) una prima soluzione - e anche la pi semplice - potrebbe indurre a qualificare lĠutilizzo del termine ÒcomunicazioneÓ come una svista del legislatore. Un tale argomento - certo supportato dalla sempre pi scadente tecnica di redazione legislativa lamentata dalla dottrina - non ha per˜ autonoma capacitˆ probante; b) volendo, al contrario, ritenere intenzionale la scelta del legislatore, potrebbe sostenersi che questĠultimo minus dixit quam voluit. In altre parole, il legislatore, da un lato, ha ammesso una oggettiva semplificazione dei rapporti tra concedente e concessionario, abilitando questĠultimo alla destagionalizzazione, previa comunicazione di tale intenzione e, dallĠaltro, ha fatto salvo il potere, comunque irrinunciabile, della P.A. di intervenire se, a seguito delle proprie valutazioni, ritenga e adeguatamente motivi lĠinopportunitˆ di assentire la destagionalizzazione per contrasto tra il prospettato interesse particolare e lĠuso generale. Questa seconda soluzione sembra certamente preferibile. In primo luogo, come anticipato, si garantisce lĠutilitˆ del dato testuale, senza per˜ rinunciare alla possibilitˆ che, ove ritenuto opportuno, lĠAmministrazione intervenga a salvaguardia del litorale concesso. In secondo luogo, tale ricostruzione della normativa applicabile non impedisce che lĠAmministrazione, sempre secondo una valutazione di opportunitˆ alla stessa demandata, possa conformare il contenuto concreto di una concessione demaniale allĠesito della riferita ponderazione, con la conseguenza che, come successo nella fattispecie oggetto del commento, nulla osta a che lĠAmministrazione inserisca nel corpo della concessione una clausola che imponga al concessionario lo smontaggio dello stabilimento al termine della stagione balneare. In terzo luogo, alcune utili indicazioni provengono altres“ dalla giurisprudenza amministrativa siciliana e non solo. In ambito prettamente regionale, infatti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, allĠatto di applicare la norma di cui allĠart. 2, L.r. n. 15/2005, pur senza lanciarsi in obiter dicta in merito alla portata della medesima, ha tassativamente escluso che da essa discenda un limite e/o una compressione delle attribuzioni del- lĠAmministrazione. Pertanto, allĠevidenza, la considerazione finale che si ritiene di poter trarre, oltre alle conclusioni giˆ ampiamente argomentate, riguarda il delicatissimo ruolo del giudice: come osservato da attentissima dottrina, in un periodo, quale quello attuale, in cui il diritto amministrativo predilige, per salvaguardia di superiori e - purtroppo - irrinunciabili imperativi economici, moduli procedimentali in cui lĠintervento pubblico espresso assume carattere recessivo, il giudice deve poter assicurare quella sensibilitˆ che permetta di mediare le scelte di stimolo allĠeconomia con lĠinsacrificabile tutela dei fondamentali interessi pubblici collettivi. Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Palermo, Sezione I, sentenza 25 luglio 2013, n. 1543 -Pres. ff. Cabrini, Est. Tulumello - Playa Bonita s.a.s. & C. (avv. Spatafora) c. Presidenza della Regione Siciliana - Assessorato Regionale Territorio e Ambiente (avv.distr. Stato). ÒLĠart. 2, co. II, L.r. Sic. n. 15/05  disposizione che, nellĠevidente intento di favorire lo sviluppo delle attivitˆ turistiche anche oltre il consueto orizzonte temporale, ha operato una estensione ex lege dei relativi titoli abilitativi, privando lĠautoritˆ preposta al rilascio di tali concessioni del potere di subordinare tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente intesa; e ci˜ perchŽ i concessionari, sulla base del testo di tale norma, possono avvalersi Òdella concessione demaniale in corso di validitˆ, delle licenze e delle autorizzazioni di cui sono giˆ in possesso per le attivitˆ stagionali estiveÓ. 1. Con ricorso notificato il 14 giugno 2013, e depositato il successivo 4 luglio, la societˆ ricorrente ha impugnato il decreto del Dirigente Generale dell'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, recante il n. 316 del 30/04/2013, con cui alla societˆ stessa  stata "dichiarata de- caduta, ai sensi dell'art. 47, lettere c) ed f) del C.N. e dell'art. 26 del R.C.N.", la concessione demaniale marittima n. 193/2012 del 17/05/2012, rilasciata alla ricorrente per realizzare uno stabilimento balneare ad uso pubblicoÓ. Si  costitutita in giudizio, per resistere al ricorso, lĠamministrazione regionale intimata, senza peraltro svolgere difese scritte, nŽ produrre documentazione. Con decreto monocratico n. 467 del 9 luglio 2013,  stata accolta la domanda di sospensione cautelare degli effetti del provvedimento impugnato. AllĠudienza camerale del 24 luglio 2013, il ricorso  stato trattenuto in decisione sulla domanda cautelare. Il Collegio ritiene di potere adottare la tipologia di provvedimento decisorio di cui allĠart. 60 d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in ragione della ritualitˆ delle modalitˆ di instaurazione del contraddittorio e della completezza dello stesso, nonchŽ della superfluitˆ di ulteriore istruzione della causa e comunque dellĠassenza delle cause ostative previste dal citato art. 60. 2. Il provvedimento impugnato ha pronunciato la decadenza dalla concessione demaniale marittima sulla base del preteso inadempimento consistito nel non aver smontato le attrezzature balneari nel periodo invernale. Contro tale provvedimento la societˆ ricorrente deduce ÒEccesso di potere per contraddittorietˆ del comportamento dellĠazione amministrativa. Violazione di legge in riferimento alla Legge 26.02.2010 n. 25. Violazione di legge in materia di aziende turistico-balneari. Illegittimitˆ del- lĠazione amministrativa. Difetto di motivazione. Illegittimitˆ dellĠazione amministrativa anche per violazione della legge 241/90, cos“ come recepita dalla Regione Siciliana n. 10/1991Ó. In fatto, la ricorrente deduce di avere mantenuto le attrezzature balneari previa comunicazione di tale attivitˆ allĠamministrazione, ai sensi dellĠart. 2 della l.r. 15/2005. 3. Osserva il Collegio, in sede di ricostruzione della disciplina applicabile, propedeutica alla decisione del ricorso, che il citato articolo 2 era stato in un primo momento abrogato dallĠart. 11, comma 47, L.R. 9 maggio 2012, n. 26; successivamente detto comma 47  stato abrogato, a sua volta, dallĠart. 12, L.R. 10 agosto 2012, n. 47: che, in pari tempo, ha disposto, in conseguenza della suddetta abrogazione, la reviviscenza, con la medesima decorrenza, della disposizione originariamente abrogata (ÒIl comma 47 dell'articolo 11 della legge regionale 9 maggio 2012, n. 26  abrogato, e per gli effetti rivivono l'articolo 2 ed i commi 2 e 3 dell'articolo 3 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15Ó). La disciplina richiamata  chiara nellĠevidenziare lĠestensione annuale del titolo concessorio, previa comunicazione di prosecuzione dell'attivitˆ. La sentenza n. 2257/2011 di questa Sezione (confermata con sentenza del C.G.A. n. 782/2012), citata nella motivazione del provvedimento impugnato a sostegno dellĠinterpretazione ivi sostenuta, non ha affatto proposto una diversa ricostruzione in diritto, tale da legittimare lĠesistenza di un potere discrezionale circa il prolungamento ultra-stagionale delle attivitˆ oggetto della concessione: ma, in una fattispecie del tutto peculiare, caratterizzata dalla riscontrata mancanza di un provvedimento di altra amministrazione relativo alla compatibilitˆ con un interesse pubblico diverso da quello curato dallĠautoritˆ preposta alla gestione del demanio marittimo, ha rilevato che la parte ricorrente non si era ritualmente munita di tale provvedimento. La stessa sentenza, del resto, ricorda che con ordinanza cautelare n. 785/2010 era stata sospesa lĠefficacia del provvedimento impugnato; tale ordinanza  motivata con riferimento al rilievo che il Òricorso appare supportato da sufficiente fumus boni iuris, avuto riguardo al tenore della norma di cui allĠart. 2 della legge regionale 15/2005, per come giˆ interpretata da questo Tribunale, ed alla concreta scansione del procedimento amministrativo seguito alla comunicazione della ricorrente di prosecuzione dellĠattivitˆÓ. Il successivo rigetto, nel merito, del ricorso, consegue dunque ad una specifica e peculiare vicenda procedimentale, e non esprime pertanto un principio estensibile ad altre e diverse si tuazioni e, soprattutto, generalizzabile nel senso di una lettura della disposizione regionale in commento che si risolva in una interpretatio contra legem. 4. Quanto alle modalitˆ di produzione dellĠeffetto giuridico abilitativo (lĠestensione ultra-stagionale del titolo), la fattispecie in esame ricalca lo schema norma-fatto-effetto, laddove il provvedimento impugnato, al punto c) della motivazione, pretende di rivendicare un potere discrezionale in materia (schema: norma-potere-effetto; la distinzione, elaborata da autorevole dottrina,  richiamata da Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 febbraio 2009, n. 717, in materia di d.i.a.: Òla legittimazione del privato allĠesercizio dellĠattivitˆ non  pi fondata, infatti, sullĠatto di consenso della P.A., secondo lo schema Ònorma-potere-effettoÓ, ma  una legittimazione ex lege, secondo lo schema Ònorma-fatto-effettoÓ, in forza del quale il soggetto  abilitato allo svolgimento dellĠattivitˆ direttamente dalla legge, la quale disciplina lĠesercizio del diritto eliminando lĠintermediazione del potere autorizzatorio della P.A.Ó). Il Collegio non ignora che la citata decisione del CGA, n. 782/2012, contiene invece unĠaffermazione di segno diverso: Òla legge citata demanda pur sempre allĠAmministrazione una valutazione circa la compatibilitˆ del protrarsi dellĠoccupazione con gli interessi pubblici coinvoltiÓ. Lo stesso C.G.A. sembra avere per˜ successivamente operato un revirement giurisprudenziale: confermando, con lĠordinanza n. 312/2013, lĠordinanza di questa Sezione n. 223/2013, nella quale si  affermato, accogliendo la domanda cautelare proposta contro un provvedimento analogo a quello oggetto del presente giudizio, che ÒlĠart. 2 della l.r. n. 15/2005 (É.) presuppone una comunicazione e non una autorizzazioneÓ. Al di lˆ di tale dato, tuttavia,  lĠesegesi della disposizione in esame ad apparire inconciliabile con lĠaffermazione di una produzione di effetti giuridici collegata allĠesercizio del potere e non alla legge. 5. La disciplina legale della fattispecie  identica, sotto questo punto di vista, alla fattispecie prevista dallĠart. 20, primo comma, della legge regionale n. 4 del 2003, che ha stabilito che ÒIn deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggetti a concessioni e/o autorizzazioni nŽ sono considerati aumento di superficie utile o di volume nŽ modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla-osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincoloÓ. In relazione a tale disposizione, la sentenza n. 2989/2006 di questo T.A.R. che, utilizzando le medesime categorie successivamente valorizzate dalla citata decisione n. 717/2009 del Consiglio di Stato, aveva giˆ affermato che ÒNella definizione legale delle facoltˆ edificatorie del proprietario viene dunque esclusa lĠintermediazione di un potere amministrativo il cui esercizio produca un effetto costitutivo sulla posizione giuridica del titolare del diritto dominicale, secondo lo schema norma-fatto-effetto. Ne consegue che il provvedimento con il quale lĠamministrazione comunale qualifichi diversamente le opere in questione, rispetto alla comunicazione effettuata al proprietario, non ha effetto conformativo sul regime delle opere stesse, e sul contenuto del diritto immobiliare. Si tratta di un atto avente natura dichiarativa inidoneo, se non impugnato, ad alterare il contenuto della proprietˆ edilizia, siccome direttamente individuato dalla fonte legale: tanto che lo stesso provvedimento comunale di cui concretamente si discute nel caso di specie (nota prot. 13595 del 30 giugno 2004), ha il seguente contenuto testuale: ÒCon la presente si riferisce che la comunicazione in oggetto non produce nessuno effetto in quanto le opere che intende regolarizzare, per i motivi sopra esposti, non rientrano tra quelle previste dallĠart. 20 della L.R. 4/2003Ó. Si tratta di una dichiarazione con la quale lĠamministrazione mostra di non voler ritenere efficace la comunicazione ex art. 20, non condividendo la qualificazione delle opere che ne sono oggetto: un simile dichiarazione, non incidendo sul regime giuridico dellĠarea (come avviene nel caso di diniego di provvedimento abilitativo), non produce alcun effetto lesivo nella sfera giuridica dellĠinteressato, che non  dunque onerato della sua impugnazione, essendo direttamente la legge la fonte del diritto di edificare (nella misura in cui la fattispecie concreta sia ricompresa nellĠambito di quella astratta)Ó. In detta sentenza si  pure osservato, a proposito della disposizione oggetto di quel giudizio, che Òsi tratta di una norma marcatamente liberalizzatrice, espressione di una politica urbanistica che opera un forte depotenziamento del controllo comunale sulle attivitˆ edilizie (che sotto questo profilo pu˜ essere oggetto di valutazioni critiche e di preoccupazioni delle amministrazioni locali in punto di difesa del territorio da usi incompatibili), ma che nel suo tenore letterale, e nei suoi effetti applicativi,  oltremodo chiaraÓ. 6. Valutazioni di identico tenore, evidentemente anche problematico, vanno ripetute con riferimento allĠart. 2 della l.r. 15/2005. Si tratta di una disposizione che, nellĠevidente intento di favorire lo sviluppo delle attivitˆ turistiche anche oltre il consueto orizzonte temporale, ha operato una estensione ex lege dei relativi titoli abilitativi (non solo demaniali), privando lĠautoritˆ preposta al rilascio di tali concessioni del potere di subordinare tale estensione ad una valutazione discrezionale propriamente intesa: dal momento che i concessionari possono avvalersi Òdella concessione demaniale in corso di validitˆ, delle licenze e delle autorizzazioni di cui sono giˆ in possesso per le attivitˆ stagionali estiveÓ. Dal che si ricava che non solo il titolo demaniale, ma anche quelli relativi ad interessi pubblici concorrenti, ove rilasciati, mantengono la loro efficacia e validitˆ non solo per il periodo estivo, ma per tutto lĠanno; il che, per alcuni di essi, appare del resto ragionevole, posto che lĠesito positivo della valutazione di compatibilitˆ fra interessi pubblici e interesse privato cui  subordinato il rilascio di tali titoli non soggiace, salvo specifiche e peculiari situazioni, ad un orizzonte temporale stagionale: si pensi alla valutazione di compatibilitˆ estetico-culturale, che, ove operata positivamente, non si presta di regola a differenti declinazioni riferite a diversi periodi del medesimo anno). Naturalmente questo assetto normativo indebolisce, anche in modo problematico, il controllo amministrativo sulle attivitˆ private esercitate sul demanio marittimo, perchŽ riduce drasticamente, in esito ad una precisa scelta politica del legislatore regionale, i poteri dellĠautoritˆ pubblica competente alla gestione del demanio marittimo (peraltro, con riferimento al solo profilo dellĠestensione temporale): il che, tuttavia, e con tutte le riserve possibili, non costituisce una valida ragione per praticare una interpretazione della disposizione in esame contraria al suo significato normativo e al suo chiaro tenore testuale. 7. AllĠamministrazione rimane dunque un Òpotere di verifica circa la effettiva ascrivibilitˆ delle attivitˆ collaterali che il concessionario intende svolgere al novero ristretto delle ipotesi in cui lĠart. 1 della stessa legge n. 15/2005 consente lĠesercizio di attivitˆ sui beni demaniali marittimiÓ (C.G.A., 782/2012, cit.). In relazione a questo profilo, lĠart. 1 della L. R. 19 aprile 2007, n. 10, ha stabilito che ÒLe disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 2 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15, si applicano a tutte le fattispecie previste dall'articolo 1 della medesima leggeÓ (vale a dire a: gestione di stabilimenti balneari e di strutture relative ad attivitˆ sportive e ricreative; esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; costru zione, assemblaggio, riparazione, rimessaggio anche multipiano, stazionamento, noleggio di imbarcazioni e natanti in genere, nonchŽ l'esercizio di attivitˆ di porto a secco, cantieri nautici che possono svolgere le attivitˆ correlate alla nautica ed al diporto, comprese le attivitˆ di commercio di beni, servizi e pezzi di ricambio per imbarcazioni; esercizi diretti alla promozione e al commercio nel settore del turismo, dell'artigianato, dello sport e delle attrezzature nautiche e marittime; porti turistici, ormeggi, ripari, darsene in acqua o a secco, ovvero ricoveri per le imbarcazioni e natanti da diporto). Infine lĠart. 2, comma 1, della citata legge regionale n. 10/2007 ha stabilito che ÒI manufatti precari esistenti sul demanio marittimo, destinati all'esercizio delle attivitˆ di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 1 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15, realizzati alla data del 2 dicembre 2005, oggetto di concessione demaniale marittima e che siano stati riconosciuti conformi agli strumenti urbanistici alla stessa data vigenti, possono essere autorizzati anche in deroga ai parametri di altezza, sagoma, cubatura, superficie coperta e fronte mare, previsti dai Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime approvati con decreto del- l'Assessore regionale per il territorio e l'ambienteÓ. 8. Una esegesi di tali disposizioni  contenuta nella citata ordinanza n. 223/2013 di questa Sezione (confermata, come ricordato, dalla pure richiamata ordinanza n. 312/2013 del C.G.A.), che ha in proposito chiarito che lĠart. 2 della l.r. n. 15/2005 Òappare applicabile non solo agli stabilimenti balneari, ma anche alle spiagge libere attrezzate ed alle aree attrezzate, in considerazione della esigenza di favorire la prosecuzione della gestioneÓ. Ne consegue che lĠautoritˆ preposta alla gestione del demanio marittimo nellĠesercizio del potere di autotutela non pu˜ legittimamente annullare o revocare la concessione demaniale per non avere il concessionario ottemperato a un provvedimento (il diniego di de-stagionalizzazione delle attivitˆ suddette) che non  previsto dalla legge come tipologia provvedimentale, proprio perchŽ la legge stessa esclude un potere condizionante lĠesercizio delle relative facoltˆ dei concessionari. Si tratta, allĠevidenza, di due piani diversi e non sovrapponibili: lĠamministrazione pu˜ sempre, acquisendo fatti ed interessi tali da incidere sulla perdurante conformitˆ alla legge e allĠinteresse pubblico dellĠassetto dĠinteressi fissato dalla concessione demaniale, agire in autotutela rispetto a tale concessione; ma non pu˜ utilizzare, quale fatto legittimante la revoca o lĠannullamento, lĠasserito inadempimento consistente nella mancata ottemperanza al diniego di de-stagionalizzazione, giacchŽ in tale fattispecie  la legge stessa che conforma (in senso abilitante) le facoltˆ del concessionario, sicchŽ nessun inadempimento agli obblighi derivanti dalla concessione pu˜ essergli imputato. Porre alla base dellĠesercizio dellĠautotutela la mancata osservanza di un provvedimento che non avrebbe potuto essere emanato, significa vanificare gli effetti della norma di legge che direttamente abilita il concessionario alla de-stagionalizzazione, escludendo un concorrente potere abilitante dellĠamministrazione. 9. Nel caso di specie gli elementi allegati (compatibilitˆ ambientale, ed altro) sono stati dal- lĠamministrazione ritenuti ostativi al mantenimento della concessione non ex se, ma in quanto giˆ posti a fondamento del diniego di destagionalizzazione, cui il concessionario non si  adeguato ritenendo perfezionata la fattispecie abilitante con lĠinvio della comunicazione. Il citato art. 2 ha disciplinato, in ambito regionale, una intera tipologia provvedimentale, conformando ex lege lĠassetto dei relativi interessi, sicchŽ rispetto alla volontˆ del concessionario di prolungamento diacronico degli effetti del titolo lĠeventuale provvedimento di diniego, propedeutico al riscontro di un preteso inadempimento del concessionario,  - per quanto finora argomentato - tamquam non esset. 10. Nonostante il tema sia ampiamente sviluppato in ricorso, appare secondario nella presente fattispecie il profilo della proroga legale della concessione demaniale marittima. In ogni caso il Collegio non pu˜ che ribadire in proposito quanto giˆ chiarito nella motivazione dellĠordinanza n. 223/2013 (sopra richiamata), nel senso che Òle concessioni demaniali marittime presupposte sono state prorogate ex art. 1, comma 18, del d.l. 194/2009, nel testo vigente, come riconosciuto dalla Giunta regionale con la delibera n. 397/2012Ó. NŽ,  il caso di aggiungere, la Giunta regionale avrebbe potuto fare diversamente: posto che le regioni, anche ad autonomia speciale, non sono titolari di alcun titolo competenziale in una materia che, incidendo direttamente sulla tutela della concorrenza,  di competenza esclusiva statale. Nella specie, peraltro, la rilevanza teorica di un ipotetico spazio per lĠintervento normativo regionale  ulteriomente e definitivamente preclusa dalla circostanza che il citato decreto-legge n. 194/2009, convertito dalla legge 25/2010, presenta profili rilevanti in relazione allĠadattamento al diritto dellĠU.E., in quanto la fissazione di un termine certo per lĠapertura al mercato delle concessioni demaniali marittime, in esso contenuta, ha costituito oggetto di valutazione nellĠambito della procedura di infrazione n. 2008/4908, chiusa in data 27 febbraio 2012 per effetto dellĠemanazione dellĠarticolo 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010). Successivamente, lĠarticolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando lĠarticolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015. Infine, lĠarticolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilitˆ 2013) ha esteso le previsioni dellĠarticolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto il demanio marittimo, per concessioni con finalitˆ sportive; il demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalitˆ turistico-ricreative e sportive; i beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto. Ne consegue che la disciplina statale relativa alla proroga del termine di scadenza delle concessioni demaniali in essere non pu˜ che operare ope legis - in quanto, tra lĠaltro, necessaria ad assicurare un ragionevole e compatibile bilanciamento fra esigenze nazionali, non declinabili su scala regionale, e necessitˆ dellĠapertura del settore al mercato imposte dal diritto dellĠU.E. - anche in ambito regionale siciliano. 11. Un ulteriore profilo di censura concerne il rapporto fra la disposizione in esame, e le concessioni demaniali marittime rilasciate dopo la sua entrata in vigore che contengano lĠindicazione di una efficacia temporale limitata al periodo estivo. Il citato art. 2 subordina la prosecuzione della attivitˆ oltre il periodo estivo all'inoltro di apposita comunicazione all'autoritˆ concedente. Conseguentemente la circostanza che la concessione avesse una durata limitata alla stagione estiva e onerasse il titolare della dismissione degli impianti alla fine della stessa, non ha alcun rilievo contrario. Al concessionario  attribuita, dalla legge, la titolaritˆ di una facoltˆ di estensione temporale; egli pu˜ valutare sulla convenienza di una prosecuzione della gestione dello stabilimento oltre il limite temporale previsto dalla concessione, e pu˜, o meno, esercitare tale facoltˆ. Nel secondo caso la concessione segue la scadenza naturale indicata nel provvedimento stesso (la funzione di tale indicazione ha dunque certamente un senso per lĠipotesi di mancato invio della comunicazione ex art. 2 l.r. 15/2005). Nel primo caso, invece, il concessionario che decida di proseguire nelle attivitˆ oltre il termine della stagione estiva,  titolare di una facoltˆ riconosciuta direttamente dalla legge, cosicch inoltrata la comunicazione e perfezionata la fattispecie si ha una modifica successiva - per effetto della fattispecie complessa costituita dalla previsione legale, e dalla comunicazione del concessionario che manifesta la volontˆ di avvalersene - del titolo in punto di durata. In tale evenienza lĠamministrazione mantiene il potere-dovere di verificare, come giˆ chiarito, lĠascrivibilitˆ delle attivitˆ collaterali che il concessionario intende svolgere al novero delle ipotesi di cui allĠart. 1 della stessa legge n. 15/2005. LĠefficacia della disposizione che stabilisce la de-stagionalizzazione delle attivitˆ sul demanio marittimo non trova dunque un limite in simili clausole provvedimentali, che pertanto non devono essere oggetto di autonoma impugnazione da parte del concessionario che intenda destagionalizzare lĠattivitˆ: non fossĠaltro che per la funzione cui le stesse adempiono nel contesto della ricostruzione normativa - come sopra delineata - di fissazione di una durata naturale dellĠefficacia del titolo, prorogabile ad iniziativa del concessionario. Il senso dellĠindicazione del termine finale (stagionale), non  dunque in contrasto con la facoltˆ legale di proroga ultra-stagionale: del resto lo stesso art. 2 cit. non avrebbe senso se non si applicasse a provvedimenti concessori con indicazione della scadenza al termine della stagione estiva, e conseguente obbligo di smontaggio delle strutture. Se infatti la concessione non prevedesse un limite temporale, il problema che la disposizione intende disciplinare neppure si porrebbe. NŽ pu˜ pensarsi - senza incorrere in una interpretazione irragionevole ed illogica - di subordinare lĠapplicazione di una chiara norma liberalizzatrice, che intende azzerare la discrezionalitˆ della P.A. in punto di estensione temporale degli effetti del titolo, alla espressa previsione nel titolo stesso del limite temporale oggetto dellĠestensione disciplinata dalla norma in questione. Ci˜ , evidentemente, pacifico per le concessioni rilasciate successivamente allĠentrata in vigore dellĠart. 2 della l.r. n. 15/2005: tanto che, per quelle rilasciate precedentemente, lo stesso art. 2 ha previsto un regime attuativo e transitorio. 12. Infine, quanto alla circostanza relativa alla allegazione o meno, alla comunicazione ex art. 2 cit., della necessaria documentazione, il Collegio osserva che lĠamministrazione, costituita in giudizio, non ha contestato lĠaffermazione della parte ricorrente circa lĠeffettiva allegazione di tale documentazione alla comunicazione in questione. In ogni caso, appare in argomento dirimente la fondatezza della censura che deduce la violazione della disciplina statale e regionale in materia di procedimento amministrativo, non avendo lĠamministrazione invitato la parte ad integrare la documentazione eventualmente mancante [art. 6, comma 1, lett. b), l. 241/1990]. 13. Il ricorso  pertanto fondato, e come tale devĠessere accolto. Sussistono le condizioni di legge, alla luce della non univocitˆ del delineato panorama giurisprudenziale, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per lĠeffetto annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. Cos“ deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2013. pareri co co PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Procedimento disciplinare: termini e segreto istruttorio in pendenza di procedimento penale per medesimi fatti illetici PARERE 14/02/2014-68988, CS 36967/2012, SEZ. III, AVV. FRANCESCO MELONCELLI Viene richiesto parere in merito al rapporto intercorrente fra i procedimenti disciplinari nell'ambito del pubblico impiego, cos“ come previsti dagli artt. 55 ss. DLgs 30 marzo 2001, n. 165, ed i procedimenti penali aventi ad oggetto i medesimi fatti illeciti. In particolar modo viene richiesto se <>. Ci˜ soprattutto nellĠ<>. Con la trascritta richiesta di parere vengono, in realtˆ, sottoposte plurime questioni, lĠuna connessa allĠaltra. * * * In ordine logico, va chiarita, anzitutto, quella che riguarda lĠindividuazione del momento in cui lĠamministrazione abbia conoscenza del fatto che potrebbe dar luogo allĠapertura del procedimento disciplinare. In proposito, la soluzione al quesito va rinvenuta nel disposto dellĠart. 55 bis del DLgs 30 marzo 2001, n. 165, oltre che nei generali principi di rappresentanza organica e, quindi, dĠimputazione allĠamministrazione delle situazioni giuridiche oggettive di conoscibilitˆ in cui si trovino i titolari dei suoi organi. La disposizione normativa menzionata individua espressamente quale sia lĠorgano a cui  attribuita la titolaritˆ dellĠesercizio del potere disciplinare: il responsabile, purchŽ abbia qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, allorquando << prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per pi di dieci giorni>> ovvero, in tutte le altre ipotesi, <>. Dopo aver attribuito la titolaritˆ dellĠesercizio della potestˆ disciplinare in capo a specifici organi dellĠamministrazione, il legislatore si  premurato dĠindicare i termini perentori dĠinizio e di conclusione del procedimento disciplinare. La perentorietˆ si evince dallĠultimo periodo dei commi 2 e 4 del- lĠart. 55 bis citato: <> (questa  la formulazione del comma 2, quasi identica a quella del comma 4). I termini dĠinizio del procedimento sembrano decorrere in funzione della competenza amministrativa ad esercitare lĠazione disciplinare, ripartita secondo i criteri fissati nel comma 1 dellĠart. 55 bis citato. I termini decorreranno, allora, dal momento in cui il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui lavora il dipendente abbia avuto <> (comma 2 dellĠart. 55 bis citato), per le infrazioni di minore gravitˆ, per le quali  prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per pi di dieci giorni, ovvero, nelle altre ipotesi, dalla data di ricezione degli atti trasmessi allĠufficio competente per i procedimenti disciplinari ovvero dalla data nella quale l'ufficio stesso ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione (comma 4 dellĠart. 55 bis citato). Fermo restando che, per il comma 3 dellĠart. 55 bis menzionato, il responsabile della struttura che sia incompetente, con qualifica dirigenziale o no, deve trasmettere gli atti allĠufficio competente entro cinque giorni dal giorno in cui ha avuto conoscenza del fatto illecito, dandone comunicazione allĠinteressato (lĠart. 66, comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzia fiscali in vigore deve ritenersi abrogato nella parte in cui prevede che quel periodo sia di 10 giorni, per effetto degli artt. 67 e 69, comma 1, DLgs 27 ottobre 2009, n. 150, con cui  stato introdotto nel DLgs n. 165/2001 il citato art. 55 bis), si noti che, quando  competente lĠufficio appositamente istituito per i procedimenti disciplinari, rileva un duplice momento, alternativo: il momento della conoscibilitˆ dellĠinfrazione, decorrente dalla data di ricezione della notizia che  stata trasmessa da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora oppure il momento della conoscenza effettiva dellĠinfrazione da parte dellĠufficio stesso, comunque acquisita. Quando titolare dellĠesercizio dellĠazione disciplinare sia, invece, unicamente il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, il termine decorre soltanto dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza effettiva dei comportamenti punibili. La lieve discrasia temporale evincibile dal tenore letterale delle disposizioni normative pari a cinque giorni - sembra prevista dalla legge per garantire lĠeffettivo interscambio delle informazioni allĠinterno dellĠorganizzazione amministrativa e non appare perci˜ sacrificare irragionevolmente il diritto di difesa del lavoratore dipendente, perchŽ, per un verso, gli viene in ogni caso comunicata lĠavvenuta trasmissione della notizia allĠufficio competente e, per altro verso, non mutano per lui i termini conclusivi perentori del procedimento disciplinare, come si sta per constatare. Per quanto concerne il termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare, il regime normativo  il seguente: quando competente allĠesercizio dellĠazione disciplinare sia il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, il termine per concludere il procedimento disciplinare scade in via ordinaria, cio salva restando lĠeventuale proroga e/o sospensione e/o interruzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dellĠaddebito, che a sua volta deve avvenire senza indugio o, al massimo entro venti giorni dalla notizia che il responsabile medesimo della struttura abbia dei comportamenti punibili; in sostanza, quindi, il procedimento deve concludersi, nellĠipotesi estrema, nel termine di ottanta giorni dalla conoscenza effettiva da parte del responsabile della struttura, che abbia qualifica dirigenziale (ancora una volta  da ritenersi superato lĠart. 66, comma 7, del citato contratto collettivo nazionale di lavoro). Quando invece lĠazione disciplinare debba essere esercitata dallĠufficio competente per i procedimenti disciplinari, il termine di conclusione del procedimento decorre da quello anteriore tra i seguenti due momenti: - quello in cui lĠufficio stesso abbia avuto conoscenza effettiva dellĠinfrazione; -quello in cui il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora abbia avuto conoscenza effettiva dellĠinfrazione. Si noti che in entrambe le ultime due ipotesi  irrilevante la situazione di conoscibilitˆ in cui si sia venuto a trovare lĠufficio per effetto della trasmissione, ad esso, della notizia. PoichŽ nella normativa menzionata sono espressamente individuati gli organi che devono rispettare i termini del procedimento disciplinare e poichŽ in essa  parimenti esplicitato quali siano gli organi a cui debba imputarsi lo stato soggettivo di conoscenza, potenziale o effettiva, che di volta in volta assume rilevanza giuridica per la determinazione dei termini, se ne trae il convincimento che sia determinante, perchŽ possano decorrere i termini di legge, soltanto lo stato cognitivo dei titolari di quegli organi, cio del responsabile della struttura (in cui lavora il dipendente), con qualifica dirigenziale o no (in funzione del termine dĠinteresse), oppure del titolare dellĠufficio competente per i procedimenti disciplinari. Stando allĠipotesi prospettata nella richiesta di parere, ne consegue, in definitiva, che, se il titolare dellĠorgano ispettivo, cio il soggetto che ha avuto notizia del comportamento punibile, non rivesta contemporaneamente il ruolo di responsabile della struttura in cui lavora il dipendente ovvero il ruolo di titolare dellĠufficio competente per i procedimenti disciplinari, il suo stato di conoscenza non  imputabile agli organi dellĠamministrazione titolari del- lĠesercizio dellĠazione disciplinare, cosicchŽ non pu˜ decorrere dal suo stato soggettivo alcun termine di decadenza dallĠazione disciplinare. * * * Passando gradualmente ad affrontare gli altri problemi prospettati, viene ora in rilievo lĠipotesi in cui il soggetto appartenente allĠAgenzia partecipi ad attivitˆ dĠindagine, come agente o ufficiale di polizia giudiziaria. Ci˜ pu˜ accadere perchŽ ai funzionari doganali, nei limiti del servizio cui sono destinati,  attribuita la facoltˆ di accertare le violazioni di ogni legge la cui applicazione  demandata alle dogane, tra cui alcuni reati; nell'esercizio di tali attribuzioni i funzionari predetti rivestono la qualitˆ di ufficiali di polizia tributaria (art. 324 del DPR 23 gennaio 1973, n. 43; art. 31 L. 7 gennaio 1929, n. 4). In quanto ufficiali di polizia tributaria, ai predetti funzionari sono affidate le funzioni previste dallĠart. 55 cpp e, quindi, essi, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le rispettive attribuzioni, sono agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria, ai sensi del comma 3 dellĠart. 57 cpp. La loro attivitˆ dĠindagine pu˜ essere espletata anche su delega dellĠautoritˆ giudiziaria (art. 55, comma 2, cpp). Per i dipendenti pubblici sussiste lĠobbligo di denunciare, allĠorgano deputato ai procedimenti disciplinari, il fatto storico che potrebbe costituire fatto illecito punibile disciplinarmente (arg. ex artt. 13 e 20 DPR 10 gennaio 1957, n. 3, ed ex artt. 54 bis e 55 sexies, comma 3, DLgs n. 165/2001). Ci˜, del resto, costituisce corollario della doverositˆ dellĠesercizio del potere disciplinare da parte della pubblica amministrazione, nonostante che si tratti di rapporto di lavoro privatizzato, perchŽ lĠazione amministrativa nel suo complesso deve ispirarsi ai principi di efficienza, efficacia e buon andamento (art. 1 L. 7 agosto 1990, n. 241), sicchŽ lĠesercizio della potestˆ disciplinare, in tale ottica, assume carattere di doverositˆ non appena lĠamministrazione ne possa disporre e ne ricorrano i presupposti. Ne consegue, dunque, che il procedimento disciplinare devĠessere iniziato nonostante la contestuale esigenza di tutela del segreto dellĠindagine penale, come si desume dal testo dellĠart. 55 ter DLgs n. 165/2001 (rubricato proprio: ÒRapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penaleÓ ), il quale prevede, come regola generale: <>. In base a tale disposizione, interpretata anche secondo lĠintenzione del legislatore ex art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, lĠinizio del procedimento disciplinare non  in alcun modo ostacolato dalla pendenza, in qualunque tempo, di un procedimento penale; tanto ci˜  vero che neanche il contestuale svolgimento del procedimento penale pu˜, in linea di principio, costituire ragione di per sŽ sufficiente per sospendere il primo. Infatti, ai sensi del citato art. 55 ter, soltanto quando col procedimento disciplinare, il quale comunque devĠessere iniziato dallĠamministrazione, possano essere irrogate delle infrazioni considerate dalla legge di maggior gravitˆ, cio punite con sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per pi di dieci giorni, lĠufficio competente dellĠamministrazione pu˜ sospenderlo, se concorrono ulteriormente due condizioni: - di particolare complessitˆ lĠaccertamento del fatto addebitato al dipendente; - allĠesito dellĠistruttoria non si dispone di elementi sufficienti a motivare lĠirrogazione della sanzione. SĠinvita a porre particolare attenzione alla circostanza che lĠattivitˆ istruttoria devĠessere comunque svolta dallĠufficio competente prima dellĠeventuale sospensione, la cui decisione spetta s“ discrezionalmente allĠamministrazione, ma con adeguata motivazione sui descritti requisiti, i quali sono previsti dalle predette disposizioni normative proprio per potersi derogare al principio generale di autonomia del procedimento disciplinare da quello penale pendente. Se ne evince, dunque, che lĠart. 68 del contratto collettivo nazionale di lavoro citato deve intendersi abrogato e sostituito di diritto in virt dellĠart. 2, commi 2 e 3 bis, del DLgs 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui, il CCNL, disciplinando il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale, sia in contrasto con lĠinterpretazione che sĠ appena fornita. Come conseguenza del regime finora descritto, si pu˜ venire a creare una situazione in cui lĠagente o il funzionario di polizia giudiziaria, che sia gravato dallĠobbligo di comunicare il fatto storico costituente illecito allĠorgano competente dellĠAgenzia ovvero di dare avvio al procedimento disciplinare, si trovi al contempo a partecipare alle indagini penali sul fatto (eventualmente anche per apposita delega dell'autoritˆ giudiziaria), col conseguente obbligo, la cui violazione  sanzionata penalmente, di mantenere il segreto istruttorio ai sensi dellĠart. 329 cpp, per il quale, fatti salvi i casi previsti dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, <>. Occorre, tuttavia, distinguere chiaramente lĠipotesi nella quale lĠagente o lĠufficiale di polizia giudiziaria non sia componente dellĠorgano che deve esercitare il potere disciplinare dellĠAgenzia da quella opposta. Nel primo caso, da un lato, la condotta del funzionario doganale che, pur essendo agente/ufficiale di polizia giudiziaria, riveli il fatto storico punibile di cui ha effettuato la denuncia allĠautoritˆ giudiziaria (come ipotizzato nella richiesta di parere) - al fine di dare avvio al procedimento disciplinare, non integrerebbe reato, per lĠoperare della scriminante dellĠadempimento del dovere, tipizzata dallĠart. 51 cp, tanto pi che, per la giurisprudenza di legittimitˆ (Corte di cassazione, sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 20105), il delitto di rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale (art. 379-bis cp) ha ad oggetto quelle notizie che siano state apprese in occasione della partecipazione o dell'assistenza all'atto posto in essere nel procedimento e riguarda, pertanto, l'atto del procedimento in quanto tale, nonchŽ la sua documentazione, ma non il fatto storico oggetto dell'atto e dell'indagine di cui il soggetto abbia avuto precedentemente conoscenza. DallĠaltro lato, ove lĠagente/funzionario di polizia giudiziaria, che non sia titolare dellĠorgano deputato allĠesercizio del potere disciplinare, non riveli il fatto storico al titolare di quellĠorgano, lĠamministrazione non incorre in alcuna decadenza dallĠazione disciplinare, alla luce di quanto sĠ sostenuto sopra circa lĠimputazione allĠente dello stato di conoscenza rilevante per legge, sempre finchŽ lĠorgano deputato ad esercitare lĠazione disciplinare non venga a conoscere o a poter conoscere altrimenti lĠinfrazione del dipendente. Nel secondo caso, in cui il funzionario/agente di polizia giudiziaria denunciante e/o partecipante alle indagini sia componente dellĠorgano titolare dellĠesercizio del potere disciplinare, la sua conoscenza comporta che lĠAgenzia si trovi in quello stato soggettivo idoneo a far decorrere i termini del procedimento disciplinare. Fermo restando quanto detto circa la responsabilitˆ penale del funzionario, scriminata ex art. 51 cp, lĠAgenzia sarebbe allora tenuta a iniziare e a concludere il procedimento disciplinare, i cui termini decorrono secondo quanto giˆ descritto in questo parere. Sul presente parere  stato sentito lĠavviso del Comitato Consultivo di cui alla legge 103/79, che si  espresso in conformitˆ. Rimborso spese legali ex art. 18 d.l. 67/1997 in relazione a procedimento penale PARERE 22/02/2014-83052, CS 39454/2013, SEZ. IV, AVV. AGNESE SOLDANI (*) Con la nota in epigrafe, Codesta Avvocatura Distrettuale ha rimesso alle valutazioni di questo G.U., al fine di esprimere un parere di massima, la controversa questione circa il rimborso delle spese legali ex art. 18 d.l 67/1997, richiesto dallĠIspettore Capo della Polizia di Stato (...), imputato in un procedimento penale per i reati di cui agli artt. 326 e 61 n. 10 c.p., poichŽ avrebbe Òdelegato con É agevolando lĠassociazione mafiosa in questione, tenendola informata su tutte le indagini in corso e volte ad inquinare le investigazioni ...Ó. Il GIP presso il Tribunale di Bari, con sentenza successivamente confermata dalla Corte dĠAssise dĠAppello di Bari, ha assolto lĠIspettore Capo perchŽ Òil fatto non sussisteÓ. Codesta Avvocatura dubita della possibilitˆ di inquadrare la condotta tenuta dal pubblico ufficiale in questione - e dalla quale ha avuto origine il procedimento penale a suo carico - come inerente ad Òatti e fatti connessi con lĠespletamento del servizio o con lĠassolvimento di obblighi istituzionaliÓ, come richiesto dal citato art. 18, in considerazione del fatto che in un passaggio della motivazione della sentenza la Corte dĠAppello avrebbe espresso riserve sulla correttezza deontologica e disciplinare della condotta tenuta dallĠimputato. Viene pertanto sottoposto allĠesame di questo G.U. il seguente quesito di massima: Òse, in assenza di una condanna in sede penale e disciplinare, al pubblico dipendente che abbia tenuto un comportamento, che nella motivazione della sentenza penale, sia stato censurato sotto il profilo morale, professionale e/o deontologico, vada comunque riconosciuto il rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. 67/97 o, di contro, debba essere data rilevanza ai citati comportamenti, i quali per la loro finalitˆ, costituiscono una netta cesura tra i fatti e/o gli atti posti in essere dal dipendente e il perseguimento delle finalitˆ isti (*) Alla stesura del parere ha collaborato il dott. Gionata Fiore, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. tuzionali, ponendo dunque fine al necessario rapporto di immedesimazione organica, che deve sussistere ai fini del rimborso ex art. 18 D.L. 67/97Ó. A riguardo, sembra opportuno preliminarmente chiarire, in via generale, che se  vero che lĠAmministrazione deve sostenere gli oneri della difesa del suo dipendente solo nei casi in cui ÒlĠimputazione riguardi unĠattivitˆ svolta in diretta connessione con i fini dellĠente e sia in definitiva imputabile allĠente stessoÓ (Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2004 n. 7660),  pur vero che tale nesso di strumentalitˆ va accertato caso per caso a seconda della condotta concretamente tenuta e non pu˜ essere valutato esclusivamente sulla base del titolo di reato contestato. Pi in particolare, non  sufficiente che il dipendente sia imputato per un reato c.d. ÒproprioÓ, vale a dire commesso in qualitˆ di pubblico ufficiale, affinchŽ tale nesso possa ritenersi automaticamente sussistente. Invero, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in presenza di unĠimputazione per reato proprio, il rimborso deve essere negato ogni qualvolta la connessione della condotta con la qualifica di pubblico ufficiale sia meramente occasionale e non ascrivibile al novero delle incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della struttura dell'Amministrazione di appartenenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2013 sent. 1190)(1). Pertanto la mera considerazione che nel procedimento penale in oggetto fosse stato contestato allĠimputato il reato di rivelazione di segreti dĠufficio (art. 326 c.p.) non  di per sŽ decisiva al fine di accordare il richiesto rimborso (1) ÇAi fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, un maresciallo aiutante), affinchŽ sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l'attivitˆ di servizio del dipendente,  necessario che la suddetta attivitˆ sia tale da poterne imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, poichŽ il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalitˆ di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull'Amministrazione n  sufficiente che l'evento avvenga durante e in occasione della prestazione (tra tante, Consiglio Stato sez. III, 1 marzo 2010, n. 275). L'imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale muove da giudizi prognostici ed astratti che non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell'art. 18 D.L. n. 67 del 1997 modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte siano connesse con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, e dunque rientranti nell'alveo della riferibilitˆ al valore dell'Amministrazione, con esclusione di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un incarico - come per esempio, come nella specie, l'acquisto a titolo privato di beni quali telefoni cellulari, abusando della qualitˆ - e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non siano imputabili all'Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall'interessato nell'ambito della struttura dell'Amministrazione di appartenenza. La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non , quindi, sufficiente ai fini dell'ammissibilitˆ del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazioneÈ (Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2013 sent. 1190). delle spese legali, dovendosi, come accennato, valutare la condotta concretamente tenuta dal dipendente. Invero, vĠ connessione con il servizio svolto quando la predetta condotta sia riconducibile all'attivitˆ funzionale del dipendente e in rapporto di stretta dipendenza con l'adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attivitˆ che necessariamente si ricollegano all'esercizio diligente della pubblica funzione. La connessione , viceversa, certamente esclusa qualora la condotta non sia in alcun modo ricollegabile all'espletamento del servizio o all'assolvimento di obblighi istituzionali, in quanto non  posta in essere in ragione del compimento dei doveri di ufficio, ma risulta addirittura contraria ai medesimi. Tuttavia tra questi due estremi ÒparadigmaticiÓ,  sovente dato ravvisare una Òzona grigiaÓ, di non agevole definizione, che si configura ogniqualvolta la condotta del pubblico dipendente, pur traendo origine da un valido mandato dellĠAmministrazione, nella sua concreta esecuzione travalichi i limiti dei compiti che gli sono stati affidati. In linea di principio, nellĠipotesi in cui vi sia un tale travalicamento, il rimborso pu˜ essere negato, in quanto esso determina il venir meno del nesso di strumentalitˆ necessario ai fini dellĠapplicabilitˆ della norma in questione. Peraltro il predetto travalicamento generalmente coincide, ad avviso della Scrivente, con la condotta disciplinarmente rilevante o, comunque, deontologicamente scorretta. Come costante giurisprudenza ha chiarito, nei casi in cui la P.A. si sia costituita parte civile e/o abbia assunto una iniziativa disciplinare, deve considerarsi per ci˜ stesso sussistente un conflitto dĠinteressi tra il dipendente e lĠAmministrazione con conseguente esclusione dellĠapplicabilitˆ dellĠart. 18, a prescindere dall'esito del procedimento penale e dall'accertamento della responsabilitˆ disciplinare (ex plurimis Cons. Stato Sez. V, Sent. 7 ottobre 2009, n. 6113; Cass. Civ. 19 novembre 2007, n. 23904; Cass. Civ. 17 settembre 2002, n. 13624). Ci˜ tuttavia non significa che, a contrario, nellĠipotesi di mancata apertura di un procedimento disciplinare da parte dellĠAmministrazione competente, sarebbe in radice preclusa allĠAvvocatura dello Stato - al fine di rendere il parere ex art. 18 - qualsiasi autonoma valutazione della condotta e della sussistenza del predetto nesso di strumentalitˆ. Ci˜ in quanto il procedimento disciplinare potrebbe non essere stato avviato per ragioni diverse da una valutazione negativa dellĠAmministrazione circa la rilevanza disciplinare della condotta (ad esempio, scadenza dei relativi termini). Inoltre, lĠAvvocatura  comunque tenuta - a prescindere dalle determinazioni assunte dallĠamministrazione in sede disciplinare - allĠautonoma verifica della sussistenza o meno della connessione con il servizio, in quanto questĠultima costituisce uno degli elementi essenziali della fattispecie prevista dallĠart. 18, sulla quale lĠAvvocatura dello Stato  chiamata a rendere il proprio parere. Per converso deve parimenti affermarsi, come  stato fatto da alcune sen tenze, che lĠAmministrazione, altrettanto autonomamente pu˜ decidere di discostarsi dal parere espresso dallĠAvvocatura sullĠan della pretesa, salvo lĠobbligo di congrua motivazione (V. sentenza T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1572)(2). Tanto premesso in via generale, nel caso in questione lĠIspettore Capo  stato assolto dallĠimputazione di rivelazione di segreti dĠufficio (art. 326 c.p.) ai sensi del comma 1 dellĠart 530 c.p.p. perchŽ il fatto non sussiste. Tuttavia, nella motivazione della sentenza di secondo grado, che ha confermato quella assolutoria di primo grado, la Corte dĠAppello di Bari ha affermato: ÇSi devono per˜ confermare le perplessitˆ, giˆ manifestate dal giudice di primo grado, circa la scarsa linearitˆ sul piano deontologico del comportamento di quei carabinieri, tra gli imputati, che hanno avuto rapporti di frequentazione molto accentuati con ..., come risulta dalle inequivoche fotografie che li ritraggono insieme tra loro ed anche con varie donne, in ambienti marittimi. In proposito al pi ogni valutazione spetta agli organi disciplinari del- lĠArma dei Carabinieri (essendo allĠuopo necessari opportuni approfondimenti) È (pag. 131 della sentenza). Al riguardo, va anzitutto osservato che non  chiarissimo - non disponendo la Scrivente di ulteriori elementi istruttori quali ad esempio le ÒfotografieÓ citate dalla Corte - se la Corte intendesse riferirsi ad entrambi i due imputati che, nel processo, risultavano appartenere alle forze dellĠordine (come sembrerebbe suggerire lĠuso del plurale) o solo allĠimputato R., unico dei due che appartenga allĠArma dei Carabinieri. Ad ogni modo, anche qualora il giudizio di disvalore espresso dal giudice di merito fosse da intendersi riferito anche allĠIspettore, esso comunque non concerne i fatti oggetto dellĠimputazione di rivelazione di segreti dĠufficio elevata a carico del medesimo - imputazione dalla quale  stato assolto perchŽ il fatto non sussiste - ma concerne il contesto e la modalitˆ delle frequentazioni -accertate nel corso del giudizio - nellĠambito delle quali sarebbero intervenute le presunte rivelazioni (nello specifico conversazioni telefoniche e incontri in uno stabilimento balneare). (2) ÒIl Collegio non ravvisa dalla normativa in questione elementi per affermare la necessitˆ che la valutazione dell'Avvocatura dello Stato sia strettamente limitata all'aspetto relativo al quantum affermato da parte ricorrente, risultando ragionevole che la valutazione tecnica da parte della citata avvocatura possa riguardare l'intera vicenda inerente al rimborso. In ogni caso, la stretta attinenza alla valutazione di congruitˆ intesa come quantum del rimborso con- cedibile, potrebbe venire in rilievo ai fini del carattere vincolante del parere inerente a tale valutazione (trattasi difatti di parere obbligatorio e vincolante), ma non inficerebbe la possibilitˆ da parte dell'Avvocatura dello Stato, in quanto organo consultivo dell'Amministrazione, di far presente le sue valutazioni giuridiche sulla questione, essendo poi rimesso all'Amministrazione la decisione se aderire o meno alle valutazioni ricevute, in base al criterio della sussistenza o meno dei presupposti previsti nel pi volte citato art. 18Ó. In altri termini, lĠeventuale apertura di un procedimento disciplinare volto a verificare se le predette frequentazioni con esponenti della malavita fossero o meno corrette sul piano deontologico non avrebbe potuto influire, ad avviso della Scrivente, sullĠesito del presente parere, in quanto la valutazione della sussistenza del diritto al rimborso delle spese legali sostenute nel processo penale, ai sensi dellĠart. 18, va perimetrata avendo esclusivo riguardo alla condotta oggetto dellĠimputazione - come accertata in sentenza - che, nel caso di specie, riguardava la rivelazione di segreti dĠufficio. Pi in particolare, lĠaddebito del quale lĠIsp. Capo ha dovuto rispondere consiste nellĠavere, in qualitˆ di titolare delle indagini ... rivelato ... per il tramite del carabiniere R., informazioni sullo stato delle indagini coperte da segreto istruttorio. PoichŽ lĠimputato  stato assolto perchŽ il fatto non sussiste, quandĠanche sui medesimi fatti fosse stato aperto un procedimento disciplinare, il dipendente non sarebbe certo stato passibile di sanzione alcuna, atteso che ai sensi dellĠart. 653 c.p.p. Òla sentenza penale di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilitˆ disciplinare davanti alle pubbliche autoritˆ quanto allĠaccertamento che il fatto non sussisteÉÓ (art. 653 c.p.p.). Alla luce di tali considerazioni, poichŽ le spese di patrocinio sono state sostenute dal dipendente per difendersi da unĠaccusa di rivelazione di segreti dĠufficio e non da unĠaccusa di tipo diverso, e poichŽ la sentenza ha accertato che egli, in qualitˆ di incaricato delle indagini ... si  limitato a redigere unĠinformativa di reato il cui contenuto, diversamente da quanto ipotizzato dallĠaccusa, non ha rivelato ... per il tramite del carabiniere R., non sembra possa affermarsi che nel caso di specie, avuto riguardo alla condotta oggetto di vaglio penale, lĠIspettore abbia travalicato i limiti delle proprie funzioni istituzionali s“ da interrompere il nesso di strumentalitˆ, richiesto dallĠart. 18, tra condotta e servizio svolto. Si ritiene pertanto che, nel caso di specie, la richiesta di rimborso possa essere accolta, salve le valutazioni di competenza di codesta Distrettuale in ordine alla congruitˆ delle somme richieste. Sulla questione  stato sentito il comitato consultivo che nella seduta del 20 febbraio 2014 si  espresso in conformitˆ. Permuta di unĠarea di proprietˆ statale con area di proprietˆ comunale PARERE 04/03/2014-98221, CS 39253/2012, SEZ. VI, AVV. MARINA RUSSO Con la nota in riferimento, lĠAvvocatura Distrettuale in indirizzo riferisce di un lungo procedimento, mai portato a compimento, intercorso fra il Ministero dellĠEconomia e Finanze (cui , nelle more, subentrata lĠAgenzia del Demanio) ed il Comune di Rimini, volto a realizzare la permuta di unĠarea di proprietˆ statale con unĠarea di proprietˆ comunale, per la realizzazione su questĠultima delle caserme dei Carabinieri di Rimini e Viserba. Secondo quanto emerge dagli atti inviati dallĠAvvocatura in indirizzo, il procedimento - inizialmente avviato in base alla normativa di cui alla legge n. 16/1985 - si svolse poi secondo la scansione delineata dal R.D.L. 2000/1923, recante Norme per la permuta di immobili demaniali adibiti ad uso di pubblici uffici, indicata dal M.E.F. nellĠatto di autorizzazione quale normativa effettivamente applicabile al caso di specie, trattandosi di beni immobili con destinazione ad uso pubblico, appartenenti al patrimonio indisponibile. Le aree interessate furono consegnate dallo Stato al Comune, e viceversa, fin dal 1988. SullĠarea di proprietˆ statale, allĠepoca, era giˆ stata realizzata ad opera del Comune una scuola (come risulta dal verbale di consegna provvisoria). La porzione di area sulla quale era stata edificata la scuola, peraltro, secondo quanto riferito dallĠAvvocatura Distrettuale, non sarebbe ormai pi interessata dalla permuta in questione, in quanto giˆ inserita nella white list del federalismo demaniale. Come prescritto dal R.D.L. 2000/1923, il Comune nellĠanno 2003 ha provveduto - a seguito dellĠattualizzazione della stima - a versare allo Stato il conguaglio relativo alla differenza di valore delle aree interessate. Medio tempore, lĠAmministrazione statale aveva altres“ completato lĠedificazione delle due caserme che -ex art. 826 c.c. - ricadono ope legis nel patrimonio indisponibile dello Stato. Cionondimeno, il passaggio di proprietˆ per permuta delle aree in parola fra Agenzia del Demanio e Comune non veniva mai formalizzato. Per effetto dellĠentrata in vigore della l. 30 dicembre 2004 n. 311, il R.D.L. n. 2000/1923  stato abrogato. Con il quesito sottoposto allĠattenzione della Scrivente, lĠAvvocatura Distrettuale in indirizzo richiede di conoscerne lĠavviso circa le problematiche connesse alla soppressione, frattanto intervenuta, della normativa regolante la materia e, in particolare, circa la praticabilitˆ di un negozio transattivo a definizione della situazione rimasta in sospeso, oltre che in merito alla necessitˆ di regolarizzazione catastale degli immobili coinvolti. Sulla questione sopra delineata, si rende il seguente parere. Va premesso che la fattispecie presenta peculiaritˆ affatto singolari, ascrivibili allĠabnorme durata del procedimento, nelle cui more - da una parte - la normativa in forza della quale si era dato corso allĠiter finalizzato alla permuta  stata abrogata e sostituita da un rinnovato, articolato complesso normativo sulla dismissione degli immobili dello Stato; dallĠaltra, lĠiter procedimentale  comunque pervenuto alla sua fase conclusiva, essendosene realizzati tutti i codificati passaggi in epoca antecedente alle summenzionate modifiche normative, salva, sola, la mancata adozione di un atto formale, traslativo della proprietˆ. LĠanomalia della situazione creatasi sta, essenzialmente, nella discrasia fra lo stato di fatto (sostanzialmente corrispondente ad un giˆ realizzato trasferimento della proprietˆ dei beni, pur in assenza - ad oggi - di un formale atto traslativo) e lo stato di diritto delle aree interessate, oltre che nella sussistenza di profili problematici, suscettibili di originare contrastanti pretese fra le parti, in termini sia di reciproca rivendicazione dei beni, materialmente consegnati da oltre quindici anni dal Comune allĠAmministrazione statale e viceversa, sia di potenziali, rispettive pretese di carattere economico, connesse tanto allĠoccupazione delle aree, quanto allĠirreversibile trasformazione medio tempore compiuta - degli immobili interessati. Se la sopra descritta situazione comporta un innegabile margine dĠincertezza quanto allĠindividuazione della soluzione giuridica pi appropriata, sono tuttavia assolutamente evidenti - da una parte - il comune interesse delle Amministrazioni a comporre in via negoziale la vicenda, a definizione di ogni possibile reciproca contestazione ed a prevenzione di qualsivoglia turbativa rispetto ad una situazione ormai consolidata che sarebbe indubbiamente antieconomico alterare (si ricordi che sullĠarea consegnata dal Comune insistono oggi due caserme attualmente in uso); dallĠaltra, il consolidamento di una situazione fattuale sostanzialmente corrispondente ad un intervenuto passaggio di proprietˆ delle aree fin dal 1988, quando furono reciprocamente consegnate e poi utilizzate, con successivo versamento del conguaglio da parte del Comune nel 2003, previa attualizzazione della stima a quella data ad opera del- lĠAgenzia del Demanio. Ci˜ premesso, sembra che lo strumento che meglio si presta a superare la complessa impasse descritta possa essere individuato nella stipula, ad opera di un Ufficiale rogante, di un contratto a causa mista, che si ponga in linea con la necessitˆ di adeguare stato di fatto e di diritto, onde evitare qualsivoglia fu- tura reciproca pretesa rivendicativa, indennitaria e risarcitoria delle parti in mancanza, come detto, di formalizzazione del reciproco trasferimento. Con il suddetto contratto misto, le Amministrazioni interessate - previa ricognizione del mutuo consenso al trasferimento delle proprietˆ giˆ manifestato per fatti concludenti attraverso il compimento di tutti gli step procedi- mentali a tal fine necessari, a partire dalla consegna delle aree e dalla loro adibizione a fini di pubblico interesse, fino al pagamento del conguaglio nel 2003 - trasferiranno lĠuna allĠaltra la proprietˆ degli immobili in questione, precisando che ci˜ avviene anche a transazione e tacitazione di tutte le potenziali, reciproche pretese connesse alla vicenda alle quali, perci˜, reciprocamente, rinunciano. In particolare, in tale negozio - la cui bozza lĠAmministrazione avrˆ cura di sottoporre allĠAvvocatura Distrettuale in indirizzo - si dovrˆ: -dare atto analiticamente in premessa di tutta la lunga vicenda procedi- mentale sopra descritta, nonchŽ della necessitˆ di ultimare lĠadeguamento dello stato di diritto degli immobili in questione, effettivamente adibiti ad uso pubblico, allo stato di fatto consolidatosi nel corso del lunghissimo periodo di tempo lungo il quale si  articolato e, sostanzialmente, concluso il procedimento con il pagamento del conguaglio, formalizzando il reciproco assenso al trasferimento ed allĠacquisizione delle rispettive proprietˆ; -chiarire che il negozio vale anche a prevenzione di ogni possibile contenzioso fra le parti. A tal fine, si espliciterˆ che, con detto negozio, le parti intendono definire, come in effetti definiscono, tutte le questioni, di fatto e di diritto, in qualsiasi modo connesse, correlate o comunque conseguenti al procedimento traslativo avviato tramite lĠautorizzazione del Ministero dellĠEconomia e Finanze del 30 marzo 1987 e, pertanto, dichiarano di non avere pi nulla a pretendere lĠuna dallĠaltra per qualsiasi titolo e/o ragione. Del suddetto negozio sarˆ poi richiesta al competente Conservatore dei Registri immobiliari la trascrizione, anche ai fini della regolarizzazione catastale dei fabbricati. Sulla questione  stato sentito il Comitato Consultivo che, nella seduta del 20 febbraio 2014, si  espresso in conformitˆ. Parere su ÒAccordo per la gestione degli atti di pignoramento in danno di Amministrazioni dello Stato notificati alla Banca dĠItalia - Tesoreria dello Stato, in veste di terzo pignoratoÓ(*) PARERE 11/03/2014-111107/111139, CT 40397/2013, SEZ. III, AVV. GIUSEPPE FIENGO 1. Con la nota 3 ottobre 2013 la Ragioneria Generale dello Stato richiede il parere dellĠAvvocatura dello Stato, in ordine ad una bozza di accordo Òpredisposto dalla Banca dĠItalia, con alcune modifiche ed integrazioni effettuate da questo Dipartimento, che soddisfano pi adeguatamente le varie esigenze operative della Ragioneria Generale dello StatoÓ. LĠaccordo, frutto di una serie di incontri svolti presso le sedi della Banca dĠItalia (Napoli e Roma) prende le mosse da due consultazioni rese dallĠAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli con le quali: a) si risolveva un contrasto di opinioni tra amministrazioni periferiche in ordine ai presupposti che potessero legittimare il ricorso alla procedura di conto sospeso per i pagamenti dello Stato a soggetti privati a seguito Òdei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi aventi efficacia esecutivaÓ (CS 9378/12 GER); b) si segnalavano alla Banca dĠItalia (e allĠAvvocatura Generale dello Stato) alcune irregolaritˆ ed anomalie che caratterizzavano, soprattutto nei pignoramenti presso terzi innanzi al Tribunale di Napoli, le procedure esecutive di assegnazione e pagamento di somme dovute dallo Stato (CS 10923/12 CNZ). Avviato nellĠautunno 2012 un Òtavolo di lavoroÓ presso la Banca dĠItalia, con la presenza di funzionari del Ministero dellĠEconomia e Finanze e, in una fase immediatamente successiva, del Ministero della Giustizia, attraverso progressivi affinamenti, si definiva una bozza concordata di accordo, ai sensi dellĠart. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla quale la Ragioneria Generale dello Stato aveva modo di richiedere (ed ottenere) dalla Banca dĠItalia quelle Òmodifiche ed integrazioniÓ cui fa cenno nella richiesta di parere. 2. In linea preliminare la Scrivente concorda sullo schema procedimentale adottato secondo cui lĠaccordo quadro predisposto con gli uffici della Banca dĠItalia, possa essere regolato ai sensi dellĠarticolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, a norma del quale ÒÉ le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivitˆ di interesse comuneÓ . Come noto, la funzione di Tesoreria provinciale dello Stato Ž stata affidata alla Banca d'Italia, sin dal 1894 mentre con D.lgs. n. 430/97  stato affidato alla Banca d'Italia anche il servizio di Tesoreria centrale, prima svolto dalla Direzione generale del tesoro. Per disciplinare entrambi i servizi sono state approvate convenzioni con d.m. 17 gennaio 1992 per il servizio di Tesoreria (*) Il testo dellĠaccordo sottoscritto in calce al parere. provinciale e d.m 9 ottobre 1998, per quello di Tesoreria centrale che, prevedono, tra lĠaltro, che i compiti delle Sezioni di tesoreria della Banca dĠItalia siano regolati dalla Legge sulla Contabilitˆ Generale dello Stato e dal suo Regolamento, nonchŽ dalle Istruzioni Generali sui Servizi del Tesoro (IGST) e che ÒIl Servizio di Tesoreria  soggetto a vigilanza da parte della Direzione Generale del Tesoro, ai sensi delle vigenti disposizioniÓ (1). Anche se lĠorganizzazione delle strutture di tesoreria resta di esclusiva competenza della banca, che svolge il servizio senza vincolo gerarchico rispetto allĠamministrazione statale, dal quadro normativo sinteticamente richiamato consta che la Banca dĠItalia  ÒIstituto di diritto pubblicoÓ, ÒÉ assolve inoltre gli altri compiti ad essa attribuiti dalla leggeÓ e Ò... esercita il servizio di tesoreria dello Stato secondo speciali convenzioni. Pu˜ svolgere altri servizi per conto dello StatoÓ (artt. 1 e 37 dello Statuto, da ultimo approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 dicembre 2013). Le attivitˆ compiute dalla Tesoreria centrale e dalle sezioni di tesoreria implicano lĠemersione di una precisa figura soggettiva, le cui attivitˆ finiscono per imputarsi direttamente allĠamministrazione statale, nella specie il Ministero dellĠEconomia e delle Finanze. Con riferimento al Servizio di Tesoreria si , quindi, di fronte ad un organo dello Stato, del quale - tuttavia -  titolare la Banca dĠItalia, persona giuridica pubblica distinta dallo Stato, figura soggettiva della Òpersona giuridica titolare di ufficioÓ (GIANNINI M.S., Diritto Amministrativo, 1970, p. 253)(2). Le osservazioni finora svolte, se, per un verso, rendono congruo il ricorso allĠaccordo tra pubbliche amministrazioni, previsto dallĠart. 15 della legge n. 241/90, sotto altro profilo mettono in dubbio la natura giuridica di ÒterzoÓ della Banca dĠItalia, laddove esercita funzioni di Tesoreria dello Stato. Una conferma indiretta su questo punto si ricava dallĠart. 5 comma 1 del D.P.R. 30 (1) In relazione alle procedure esecutive, lĠart. 69 R.D. 2440/1923 e lĠart. 498 comma 3 R.D. 827/1924, richiamano lĠobbligo dellĠAmministrazione, destinataria di atti di pignoramento, di rendere la dichiarazione del terzo (art. 611 c.p.c. 1865 ora art. 543 c.p.c. 1940). Le norme di contabilitˆ si riferiscono alla posizione debitoria dellĠAmministrazione e non, in via immediata, a quella della Banca dĠItalia quale terzo pignorato nella qualitˆ di tesoriere dello Stato. Cionondimeno, lĠart. 165 IGST prevede tra le fattispecie di ÒimpedimentoÓ dei pagamenti dovuti dallo Stato la notifica, nelle forme di cui allĠart. 543 c.p.c. di un atto di pignoramento (richiamato indirettamente attraverso il rinvio allĠart. 498 R.D. 827/1924). A norma dellĠart. 4 lett. o) delle IGST, le Sezioni di Tesoreria provinciali hanno il compito di attendere al Òricevimento degli atti intesi a sospendere o ad impedire il pagamento di somme dovute dallo Stato e alla trasmissione di tali atti, a seconda dei casi, in originale o in copia, all'Avvocatura dello Stato o alle amministrazioni interessateÓ. Appare evidente che tali disposizioni si riferiscono essenzialmente ai casi nei quali lĠAmministrazione dello Stato abbia un debito nei confronti del soggetto privato pignorato e mirano ad individuare le procedure idonee per procedere al pagamento di somme dovute dallo Stato a soggetti diversi da quelli che ne avevano originario diritto. (2) La tesi sembra smentita da Corte Cost. n. 350/98, ma lĠaffermazione  stata fatta per finalitˆ diverse, afferenti alla rappresentanza e difesa nel giudizio sulla legittimitˆ costituzionale delle leggi, e finisce per assumere nel contesto della citata decisione la funzione logica di un obiter dictum (vedi oltre). dicembre 2003 n. 398, pure citato nelle premesse della bozza di accordo, a norma del quale ÒLa Banca d'Italia non pu˜ concedere anticipazioni di alcun tipo al MinisteroÓ. La prassi, talvolta utilizzata dalla Banca di far fronte ai pagamenti del terzo ricorrendo a fondi propri sembra operativamente volta a evitare il pignoramento mobiliare da parte dellĠUfficiale Giudiziario sui beni dellĠIstituto (3). Ove la stessa assumesse carattere continuativo e valori rilevanti potrebbe ritenersi, limitatamente al tempo necessario per il ripianamento delle somme da parte dellĠamministrazione interessata, non in linea con la normativa comunitaria, che - come detto - vieta anticipazioni allo Stato da parte delle Banche Centrali (cfr. in particolare gli Artt. 123, 258 e 271, lett. d) TFUE allĠart. 35.5 e 35.6 dello Statuto del SEBC e al considerando n. 9 del reg. (CE) del Consiglio n. 3603/93). In altri termini la Banca dĠItalia, in relazione alle somme di Tesoreria, non  tecnicamente un debitore dello Stato ed i pignoramenti, ai quali una prassi ultradecennale sembra averla assoggettata, sembrano non avere le caratteristiche del tipicoÒpignoramenti presso terziÓ, ma presentano, al pi, spiccate connotazioni di anomali Òpignoramenti direttiÓ. Alle stesse conclusioni conduce unĠanalisi funzionale delle norme del codice di procedura civile: a) ai sensi dellĠart. 543, comma 1, lĠespropriazione forzata presso terzi comprende sia il pignoramento di Òcrediti del debitore verso terziÓ sia il pignoramento di Òcose mobiliÓ, e, quindi, anche di somme di danaro di proprietˆ del debitore Òche siano in possesso di terziÓ; b) con riferimento alla prima ipotesi (a differenza di quanto accade nel caso di depositi bancari, accessivi a contratti di conto corrente di corrispondenza o di ordinarie convenzioni di tesoreria, nei quali si configura il cosiddetto deposito irregolare, in cui il depositario acquista la proprietˆ del bene diventando debitore del tandundem nei confronti del depositante) lo Stato conserva la piena proprietˆ delle somme depositate in Tesoreria e non diventa quindi creditore del tandundem nei confronti della Banca dĠItalia; c) con riferimento alla seconda ipotesi occorre distinguere il caso in cui il debitore escusso non abbia la immediata disponibilitˆ delle cose mobili (nel caso di specie, il danaro) in possesso del terzo (ipotesi nelle quali il pignoramento pu˜ avvenire nelle forme dellĠart. 543 c.p.c.), da quello in cui il debitore abbia lĠimmediata disponibilitˆ (3) Ci si riferisce a quei casi in cui, nonostante una dichiarazione di terzo negativa resa dalla Banca dĠItalia, il G.E. assegna somme a favore del creditore e questĠultimo promuove un pignoramento presso la Banca dĠItalia per riscuotere coattivamente la somma. In tale ipotesi la Banca mette a disposizione dellĠUfficiale giudiziario somme attinte dai propri conti e, di norma, si oppone allĠesecuzione per rientrare in possesso delle somme pignorate. NellĠeventualitˆ che lĠopposizione non venga accolta dal Tribunale, la Banca chiede al MEF di essere autorizzata a scritturare le somme pignorate al conto sospeso collettivi. Tale meccanismo potrebbe essere evitato se il MEF autorizzasse in via generale lĠIstituto a scritturare direttamente in tale evenienze le somme pignorate al conto sospeso collettivi, curando -ricorrendone i presupposti - direttamente il giudizio di opposizione. del danaro, ipotesi nella quale il pignoramento deve invece avvenire nelle forme di cui allĠart. 513 e segg. c.p.c.; d) ne deriva che lĠespropriazione forzata per la realizzazione di crediti pecuniari verso lo Stato deve avvenire nelle forme di cui allĠart. 513 e segg. del codice di procedura civile (pignoramento mobiliare diretto), sia perchŽ, relativamente alle somme giacenti in Tesoreria, non esiste un rapporto di credito/debito tra lo Stato e la Banca dĠItalia, incaricata del servizio di custodia e gestione, sia perchŽ lo Stato mantiene lĠimmediata disponibilitˆ delle liquiditˆ giacenti presso la Tesoreria, escludendosi per questa via che si possa trattare di Òcose del debitore che sono in possesso di terziÓ a sensi dellĠart. 543 c.p.c.. 3. Nasce, da quanto sopra riportato, la necessitˆ di un approfondimento sul tema del ricorso allĠesecuzione forzata per il pagamento di somme dovute da Amministrazioni dello Stato. Va premesso che nel recente passato, sul tema della possibilitˆ di espropriare danaro e crediti pecuniari dello Stato e degli enti pubblici, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimitˆ, le somme, ancorchŽ esistenti presso le banche con funzioni di tesoriere, si presumevano destinate al pubblico servizio e quindi insuscettibili di pignoramento (cfr. Cass. 3 gennaio 1976 n. 1). Tale orientamento rispondeva allĠesigenza comune di evitare quello che comunemente si individua come "assalto alla diligenza", che avrebbe determinato serie difficoltˆ operative per lo Stato, che rischiava - come poi Ž avvenuto - di vedere vincolate le risorse destinate al suo stesso funzionamento. Dal 1979 la giurisprudenza si  orientata nel senso contrario, ritenendo che il bilancio preventivo non consentisse di collegare le singole entrate a singole uscite e pertanto, in sŽ, lĠiscrizione in bilancio non poteva considerarsi fonte di vincolo di destinazione, tale da sottrarre le somme in esso affluite al- lĠazione espropriativa dei creditori dello Stato: secondo il nuovo orientamento lĠammissibilitˆ della condanna della P.A. al pagamento di somme di danaro comportava come conseguenza imprescindibile la ammissibilitˆ della esecuzione forzata. La Cassazione ritenne quindi che rimettere al debitore P.A. la determinazione circa il tempo ed il modo di adempiere unĠobbligazione, san- cita in una condanna giudiziale, avrebbe significato escludere lĠesistenza stessa dellĠobbligazione; che il pagamento fosse comunque atto dovuto privo di margini di discrezionalitˆ a fronte del quale il creditore vanta un diritto soggettivo come tale tutelabile innanzi al giudice ordinario nel procedimento di espropriazione forzata (cfr. Cass. SS.UU. del 13 luglio 1979 n. 4071 e del 9 marzo 1981 n. 1299). I principi enunciati in dette sentenze trovarono definitiva consacrazione nella sentenza n. 138 del 1 luglio 1981 della Corte Costituzionale, che, richiamando anche propri precedenti (n. 32/1970 e n. 161/1971), afferm˜ la ammissibilitˆ del ricorso alla esecuzione forzata in danno della P.A. secondo le norme del codice di rito (in particolare nelle forme della espropriazione presso terzi). Anche tale pronuncia, tuttavia, come di seguito si esporrˆ, va letta alla luce della evoluzione del giudizio amministrativo ed in particolare del giudizio di ottemperanza. Diversamente da quanto si legge anche in recenti pronunce della Cassazione (cfr. sentenza n. 7863 del 6 aprile 2011) ed in molti contributi di dottrina sullĠargomento, non si ritiene che lĠintroduzione dellĠart. 1 bis nella Legge n. 720/1984 abbia posto fine alla questione. Tale norma infatti prevede espressamente il richiamo alla disciplina dellĠesecuzione forzata presso la tesoreria solo per gli enti ed organismi pubblici di cui allĠallegato richiamato nel precedente articolo 1 fra i quali, chiaramente non si rinvengono le amministrazioni dello Stato. LĠassunto che si legge nella citata pronuncia della Cassazione secondo cui Òla normativa sulla tesoreria unica prevede quindi quale unica forma di pignoramento del danaro delle pubbliche amministrazioni ivi contemplate (tra cui, se non altro per quel che qui interessa, le amministrazioni centrali dello Stato) quelle del pignoramento presso terzi presso il tesoriereÓ, assunto alla quale la Corte perviene dopo una attenta ricostruzione del quadro normativo, pu˜ essere condiviso solo nellĠipotesi in cui: a) sia pignorato il credito di un terzo verso le amministrazioni dello Stato (e tanto non in forza dellĠart. 1 bis della L. 720/1984, ma in virt delle disposizioni del R.D. n. 827/1924 di cui agli artt. 498 e segg. e comunque nei limiti da tali norme previsti); b) nellĠipotesi di credito che un terzo vanti, non nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ma nei confronti di enti ed organismi pubblici (in forza, questa volta si, della legge n. 720/1984). Ci˜ alla luce di quanto segue: a) non si riviene alcuna norma che preveda, per le amministrazioni dello Stato, la possibilitˆ del ricorso allĠesecuzione forzata nella forma dellĠespropriazione presso terzi (Tesoreria) che veda lo Stato quale debitore esecutato, possibilitˆ che quindi, allĠattualitˆ, deve ritenersi ammessa solo per prassi, che non esclude la ragionevolezza di previsioni che -concretamente - svuotino tale ritenuta generale applicabilitˆ dellĠespropriazione forzata presso terzo; b) gli artt. 498 e segg. del R.D. n. 827/1924 hanno riguardo, solo a volere leggere la rubrica del Capo IV nel quale essi sono inseriti Òdegli atti aventi per scopo di impedire e di trattenere il pagamento di somme dovute dallo StatoÓ, alle ipotesi in cui sia lo Stato ad essere terzo; c) lĠunica fonte normativa secondaria che potrebbe prevedere (come sopra si  detto e in certa qual misura smentito)  il D.M. 29 maggio 2007, recante le Istruzioni sul servizio di Tesoreria dello Stato, che al capo III, intitolato ÒAtti impeditivi al pagamentoÓ allĠart. 165 comma 4 prevede: Òqualora lĠatto impeditivo sia rivolto contro uffici centrali o periferici dello Stato (É) la Tesoreria vincola le eventuali disponibilitˆ del debitore esecutato nella misura stabilita dalla legge e rende la conseguente dichiarazione di terzo (É)Ó. Ma anche qui  evidente che il riferimento non  allo Stato debitore. NellĠambito di una riflessione sulle conseguenze che la prassi del ricorso allĠesecuzione presso terzi per il soddisfacimento di crediti nei confronti dello Stato ha comportato, non possono sfuggire le considerazioni che seguono. Il vincolo apposto continuativamente sui capitoli di spesa delle amministrazioni dello Stato comporta non solo la indisponibilitˆ dei fondi, che spesso si protrae indefinitivamente, per le anomalie che connotano il sistema, ma anche la necessitˆ di proporre un numero molto elevato di opposizioni allĠesecuzione per far valere la impignorabilitˆ delle somme, impignorabilitˆ prevista da numerose disposizioni di legge. Infatti, per evitare la paralisi dellĠattivitˆ ordinaria della P.A., il legislatore  stato costretto ad introdurre sempre pi disposizioni che impongono vincoli di destinazione (sulla cui estensione  inevitabile insorgano questioni anche spesso giuridicamente complesse) con le conseguenze immaginabili in termini di durata e del costo dei giudizi. Su tali disposizioni particolari, sempre pi utilizzate dal Legislatore, per garantire la continuitˆ dellĠazione amministrativa nel campo dei cosiddetti servizi essenziali e ripresa pedissequamente - come sopra descritto - anche in relazione ai pagamenti previsti in esecuzione dei decreti di condanna per la Legge Pinto, si  - tra lĠaltro - pronunciata la Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 350 del 1998. Le conclusioni della Corte, se convincono in ordine alla ragionevolezza e legittimitˆ costituzionale della speciale norma impugnata, lasciano aperte e meritano approfondimento in ordine: a) allĠesistenza in queste procedure di una effettiva tutela del creditore procedente; b) allĠestensione che si  avuta (soprattutto nei periodi di crisi nei pagamenti dello Stato) a molteplici fattispecie della descritta impignorabilitˆ; c) alla natura del rapporto di tesoreria tra Ministero dellĠEconomia e Banca dĠItalia, che non pu˜ ragionevolmente, in assenza di gara o di procedure aperte, risolversi in un ordinaria concessione di servizio. Il recente ricorso massiccio al giudizio di ottemperanza (artt. 112 e segg. c.p.a.), segnalato dalle amministrazioni statali interessate e le forme anomale di pignoramento di azioni di societˆ a totale partecipazione pubblica in possesso del Ministero del Tesoro, le difficoltˆ, infine, di far fronte alla prassi diffusa dei creditori di proseguire comunque nel tentativo di dar corso a pignoramenti presso terzi, costituiscono chiari sintomi di una vera e propria Òcrisi di sistemaÓ. Per contro lĠevoluzione della giustizia amministrativa, segnata dallĠapprovazione del nuovo codice del processo amministrativo, apre inedite prospettive in ordine alla puntuale esecuzione da parte degli organi dello Stato di dar corso, in tempi ragionevoli e senza iniqui oneri aggiuntivi, al pagamento delle condanne a somme di danaro. LĠarticolo 112 del Codice del processo amministrativo laddove estende, al comma 2, il giudizio di ottemperanza agli Òaltri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativoÓ e Òdelle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il giudizio di ottemperanzaÓ sembra offrire una connotazione residuale e generale al nuovo giudizio di ottemperanza, affidandolo ad un giudice specializzato, non di sola legittimitˆ, in grado di condurre per mano, e con duttilitˆ nelle soluzioni in concreto adottate, lĠamministrazione alla immediata realizzazione dellĠinteresse del creditore insoddisfatto. In altri termini opinione della Scrivente  che, nei giudizi resi dalla Cassazione e confermati dalla Corte Costituzionale, ai quali sopra si  accennato, il punto essenziale che ha giustificato lĠestensione in via meramente interpretativa della possibilitˆ, genericamente prevista dallĠordinamento civile, di assoggettare a pignoramento (diretto o presso il terzo tesoriere) le somme assegnate dal bilancio statale alle singole amministrazioni, risiede nella circostanza che, nella prassi interpretativa dellĠepoca, un creditore munito di titolo nei confronti dello Stato per somme di danaro non potesse utilmente esperire lĠazione di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo, ancorch il giudizio di ottemperanza fosse nato proprio per garantire lĠesecuzione delle condanne rese dal giudice ordinario nei confronti della P.A.. Una volta pacificamente ammesso che oggetto del giudizio di ottemperanza possa essere lĠesecuzione di sentenze di condanna di somme di danaro emesse dal giudice ordinario, sarebbero venuti meno i presupposti legittimanti la ammissibilitˆ del ricorso allĠespropriazione forzata secondo il codice di rito, cos“ come  oggi. Nulla osta a che il Legislatore intervenga a disciplinare la impignorabilitˆ di ogni risorsa finanziaria dello Stato, considerata l'esistenza dello specifico mezzo che consente al creditore di soddisfare la propria pretesa attraverso il giudizio di ottemperanza: il principio secondo cui lĠAmministrazione statale, al pari di ogni altro debitore, risponde delle obbligazioni con l'intero patrimonio - principio che ha sorretto e giustificato l'orientamento della Corte di Cassazione - informa infatti parimenti l'istituto del giudizio di ottemperanza. In tale contesto  avviso della Scrivente che sia opportuno che il Legislatore intervenga per prevedere che lĠunica forma per la soddisfazione coattiva di crediti monetari consacrati da titolo giudiziale nei confronti dellĠAmministrazione statale sia il ricorso al giudizio di ottemperanza, norma che garantirebbe la eliminazione, in radice, di tutte le conseguenze negative che discendono dal ricorso allĠespropriazione presso terzi regolata dal codice di rito. Si ritiene che tale previsione normativa possa superare il vaglio di costituzionalitˆ tenuto conto della adeguatezza del rimedio per la effettiva soddisfazione (e quindi per lĠeffettiva tutela giurisdizionale) del creditore e della coeva tutela delle posizioni della amministrazione statale che trovano copertura costituzionale. In linea con le suddette conclusioni Ž la volontˆ del Legislatore che, nel progetto iniziale della commissione per la adozione del codice del processo amministrativo, intendeva sostituire al nome "giudizio di ottemperanza" quello di "giudizio di esecuzione". Rimasta immutata la disciplina che ora conosciamo, si Ž tornati al giudizio di ottemperanza: la celeritˆ del rito, il dimezzamento dei termini processuali, gli ampi poteri del giudice amministrativo, la sicura soddisfazione del creditore a mezzo degli atti che eventualmente il commissario ad acta Ž chiamato ad adottare, la previsione ed applicazione della sanzione pecuniaria per l'inadempimento (4), secondo i parametri dell'art. 614 bis c.p.c. anche per le statuizioni di condanna non tempestivamente eseguite, la proponibilitˆ del giudizio per la esecuzione di pronunce giurisdizionali la cui esecutivitˆ non sia sospesa (C.d.S. n. 6155/2011), sono tutti elementi che dovrebbero fare del giudizio di ottemperanza lo strumento di elezione per la soddisfazione delle pretese creditorie nei confronti dello Stato che siano consacrate in un titolo esecutivo. In tale sede potranno essere anche adottate congrue misure dirette ad evitare quelle anomalie e aggravi di spesa che, con dovizia di particolari ed una sostanziale ragionevolezza, vengono puntualmente segnalate dal Ministero della Giustizia. Evidentemente, ad esempio, occorrerˆ particolare attenzione nel far coincidere la nomina di commissari ad acta con funzionari della stessa amministrazione debitrice in grado di redigere efficacemente i mandati (elettronici) di pagamento, in modo da evitare che il compito affidato dal giudice si sovrapponga, come lavoro aggiuntivo, ai normali compiti dĠistituto svolti dai diversi dipendenti nominati commissari. LĠiniziativa legislativa potrebbe trovare la sua sede naturale nei provvedimenti che il Governo sta predisponendo proprio in relazione ai pagamenti delle pubbliche amministrazioni. 4. In questo contesto e sulla base delle considerazioni in diritto sopra svolte, la bozza di accordo che si va a sottoscrivere con la Banca dĠItalia assume una funzione strumentale di regolare al meglio una situazione di fatto, che presentava in relazione ai pignoramenti presso la Tesoreria, anche ulteriori anomalie e disfunzioni che le parti intendono comunque superare. NellĠesprimere, quindi, sostanziale condivisione sulle premesse, sullĠoggetto e sugli obiettivi della bozza di accordo proposta, una particolare attenzione va riposta allĠutilizzo degli speciali ordini di pagamento in conto sospeso. Su tale tema, in sede di tavolo di lavoro, lĠAvvocatura, sulla scorta dei pareri resi in varie circostanze (Nota AGS 9356 del 29 gennaio 2003 e, da ultimo, dallĠAvvocatura distrettuale dello Stato di Napoli) aveva condiviso la formula (in veritˆ generica) circa Òun maggiore utilizzo di tale strumento anche con riferimento a fattispecie assimilabili a quelle contemplate dalla let (4) Il ministero della Giustizia ha trasmesso in visione la nota CEDU del 13 dicembre 2012 con la quale la Corte segnala, in caso di componimento bonario, lĠobbligo di corrispondere per il ritardo nellĠadempimento (attestato dai ricorsi promossi presso lĠorganismo internazionale di giustizia) una somma forfettaria aggiuntiva di euro 200 a titolo di Òdanno moraleÓ. La questione, in relazione al giudizio amministrativo  oggi allĠesame della Corte Costituzionale presso la quale  stata rimessa dallĠAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato. tera della norma di legge (transazioni stipulate per atto pubblico, conciliazioni giudiziali etc.). Tale formulazione  stata espunta nelle modifiche richieste dalla Ragioneria Generale dello Stato. Su tale punto la Scrivente ritiene che il testo debba essere reintrodotto o, perlomeno, la questione affrontata. Il pagamento in conto sospeso  stato introdotto dallĠart. 14 del DL 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1997, n. 30 e concerne letteralmente Òprocedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaroÓ. Il comma 2 prevede che: ÒNell'ambito delle amministrazioni dello Stato, nei casi previsti dal comma 1, il dirigente responsabile della spesa, in assenza di disponibilitˆ finanziarie nel pertinente capitolo, dispone il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine di pagamento rivolto all'istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso. La reintegrazione dei capitoli avviene a carico del fondo previsto dall'articolo 7 della legge 5 agosto 1978, n. 468, in deroga alle prescrizioni dell'ultimo comma. Con decreto del Ministro del tesoro sono determinate le modalitˆ di emissione nonchŽ le caratteristiche dello speciale ordine di pagamento previsto dal presente commaÓ. La problematica relativa al pagamento da regolare in conto sospeso precede chiaramente le tematiche relative al pignoramento e riguarda le amministrazioni presso le cui sedi vengono ex lege notificati i titoli esecutivi, ai sensi e per gli effetti di cui allĠart. 14 del D.L. 669/96. LĠAvvocatura dello Stato, alla quale il titolo viene notificato per lĠulteriore finalitˆ della decorrenza del termine breve per lĠimpugnazione o comunicato dalla cancelleria dellĠautoritˆ emittente, di norma trasmette il titolo allĠamministrazione corredandolo del relativo parere sulla impugnabilitˆ o meno della statuizione, raccomandando comunque, ove non vi siano ragioni ostative, la pronta esecuzione, con riserva di ripetizione nel- lĠeventualitˆ di gravame. Si segnala che, come giˆ affermato dallĠAvvocatura Generale con nota n. 9356 del 29 gennaio 2003 e ribadito con recente parere (CS 9378/12 GER) dallĠAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, lĠamministrazione  tenuta al pagamento, anche in conto sospeso, a prescindere dalla notifica del titolo in forma esecutiva, costituendo la notifica del titolo esecutivo (ed il decorso dello spatium adimplendi) solo un onere in capo al creditore ed avendo giˆ prima il titolo efficacia esecutiva con la operativitˆ della statuizione di condanna del debitore, determinante, ad esempio, la maturazione di interessi in capo al creditore, eventualmente statuiti, o comunque legalmente prescritti. é avviso della Scrivente che la procedura di conto sospeso possa ragionevolmente estendersi, eventualmente attraverso un atto di interpretazione autentica del Legislatore, agli atti di transazione e alle clausole conciliative le quali ove autenticate (art. 474 c.p.c.) acquistano natura di titolo esecutivo per le obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. In altri termini sia la transazione e, ancor di pi lĠatto conciliativo in sede giudiziaria, nel quale pu˜ agevolmente confluire la stessa transazione, consentirebbero un notevole risparmio di spese e, spesso, in relazione a controversie relative ad apposizioni a decreti ingiuntivi, un abbattimento della stessa sorte richiesta dalla controparte. 5. In ordine allĠimpignorabilitˆ dei fondi lĠintesa raggiunta, seppur rappresenta un passo avanti rispetto alle attuali prassi, non consente di superare del tutto le notevoli difficoltˆ frapposte dal mondo forense e dagli stessi giudici dellĠesecuzione in relazione allĠapplicazione di disposizioni di legge, quali quelle che sanciscono la non pignorabilitˆ di determinate somme, avvertite dal mondo giudiziario come ingiuste norme di privilegio. Inoltre spesso alla declaratoria legale di impignorabilitˆ di determinate somme a disposizione dellĠamministrazione statale non segue lĠesplicita esenzione per la Tesoreria dallĠobbligo di accantonamento, sicchŽ il riacquisto della disponibilitˆ da parte dellĠamministrazione intimata avviene solo allĠesito (spesso incerto) di un giudizio di opposizione; si rammenta al riguardo lĠart. 168 del decreto ministeriale 29 maggio 2007 recante le Istruzioni sui servizi del Tesoro laddove genericamente prevede che Òin tutti i casi in cui lĠordinamento giuridico riconosca impignorabili e/o insequestrabili determinate disponibilitˆ, le Tesorerie sono tenute ad apporre ugualmente il vincolo ad eccezione dei soli casi in cui norme di legge espressamente le esonerino dallĠobbligo di accantonare ...Ó. é una chiara anomalia del sistema, dal momento che lĠimpignorabilitˆ  stabilita dal Legislatore proprio per evitare che la mancanza di disponibilitˆ di fondi paralizzi attivitˆ delle amministrazioni statali costituenti servizi pubblici essenziali (5). (5) A titolo riassuntivo, e probabilmente non esaustivo, si evidenziano le disposizioni che concernono le fattispecie di impignorabilitˆ. LĠart. 1 DL 313/94 primo comma individua alcuni limiti oggettivi di impignorabilitˆ per categorie di somme di denaro: i fondi di contabilitˆ speciale a disposizione delle prefetture delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza; le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato, del Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualitˆ e repressione frodi dei prodotti agroalimentari e dei comandi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o del Cassiere del Ministero dell'interno; i fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalitˆ giudiziaria o penitenziaria; tutti i fondi comunque destinati a servizi e finalitˆ di protezione civile, di difesa nazionale, di sicurezza pubblica di vigilanza, prevenzione e repressione delle frodi nel settore agricolo, alimentare e forestale; al rimborso delle spese anticipate dai comuni per l'organizzazione delle consultazioni elettorali; al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrato. Fuori dei casi di impignorabilitˆ, questi fondi sono tutti assoggettati esclusivamente alla procedura di espropriazione mediante pignoramento diretto di cui al comma 2 dellĠart. 1 DL 313/94. Il comma 3 (ÒNon sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello Stato a pena di nullitˆ rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime nŽ sospendono l'accreditamento di somme nelle contabilitˆ speciali intestate alle prefetture ed alle di rezioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari delegati di cui al comma 1Ó) va inteso nel senso che i pignoramenti vanno effettuati esclusivamente nelle forme dello speciale pignoramento diretto di cui al citato articolo 2. Di contro presso la tesoreria non sono ammessi pignoramenti aventi ad oggetto le somme sopra individuate: conseguentemente, per espressa disposizione di legge, non sorge alcun obbligo di accantonamento in capo al terzo eventualmente irritualmente pignorato. Il medesimo espresso divieto di accantonamento riguarda le altre seguenti somme, parimenti dichiarate impignorabili e non soggette ad obbligo di accantonamento: 1) Fondi destinati al pagamento di spese, principali e accessorie, per servizi e forniture aventi finalitˆ di difesa nazionale e sicurezza, nonchŽ agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della difesa, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della difesa (art. 4 D.L. 29-12-2011 n. 215). 2) Fondi intestati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonchŽ al Ministero della Salute, I fondi destinati, mediante aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della salute, a servizi e finalitˆ di sanitˆ pubblica nonchŽ al pagamento di emolumenti di qualsiasi tipo comunque dovuti al personale amministrato o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi, non sono soggetti ad esecuzione forzata (Art. 1 comma 294 L. 23-12-2005 n. 266 e Art. 37 L. 4-11-2010 n. 183). 3) Somme affluite nelle contabilitˆ speciali intestate a carico degli enti ed organismi pubblici di cui al primo comma dell'articolo 1 comma 1-bis L. 29/10/1984 n. 720. 4) Le somme ed i crediti derivanti dai canoni di locazione e dalla alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica di spettanza degli IACP, iscritti in capitoli di bilancio o in contabilitˆ speciale (Art. 2 comma 85 L. 23-12-1996 n. 662). 5) Emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia (ex art. 1-ter del d.l. n. 143/2008 conv. in l. 181/2008). Quanto alla problematica relativa alla estensione del vincolo di impignorabilitˆ di cui allĠart. 1-ter D.L. 143 del 16.9.2008 come modificato dalla Legge di conversione n. 181 del 13.11.08, concernente pignoramenti sulla contabilitˆ ordinaria del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia, come giˆ evidenziato dallĠAvvocatura Generale con Parere del 21 ottobre 2009 prot. 311665, ÒPer i pignoramenti presso terzi notificati successivamente al 16 novembre 2008Ó, data di entrata in vigore della legge di conversione citata, la Banca dĠItalia dovrebbe rendere dichiarazione negativa nella quale si evidenzi di non aver eseguito alcun accantonamento in quanto lĠatto di pignoramento, che avrebbe dovuto essere effettuato secondo le modalitˆ di cui al comma 2 dellĠart. 1 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313, convertito in Legge 22-7-1994 n. 460, , in forza di esplicita prescrizione, affetto da nullitˆ e non comporta obbligo di accantonamento da parte delle Tesorerie Provinciali dello Stato. In tale fattispecie, pertanto, sussistendo la dichiarazione negativa unitamente a mancato accantonamento, non vi sarebbe lĠesigenza di proporre opposizione allĠesecuzione. In quella sede si  chiarito altres“ la rubrica dellĠart. 1-ter sopra citato va letta con riferimento al disposto della medesima norma, la quale non stabilisce lĠimpignorabilitˆ di qualsiasi somma in giacenza sulla contabilitˆ ordinaria, ma solo le somme ivi presenti che siano Òdestinate al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalitˆ giudiziaria o penitenziaria, nonchŽ agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafiaÓ. Ci˜ fermo restando che la forma del pignoramento debba restare quella del pignoramento diretto con le conseguenze di cui subito appresso. LĠart. 1 DL 313/94, richiamato dallĠart. 1-ter DL 143/08, deviando dallo schema normativo di cui allĠart. 617 c.p.c. - integra una forma espressa di nullitˆ (di un atto processuale) insanabile, rilevabile dĠufficio e non assoggettata al termine di cui allĠart. 617 c.p.c. I pignoramenti debbono essere eseguiti esclusivamente, a pena di nullitˆ rilevabile d'ufficio, secondo le disposizioni del libro III - titolo II - capo II del codice di procedura civile (e cio nelle forme dellĠespropriazione mobiliare presso il debitore), con atto notificato al funzionario delegato nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, con l'effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate. Il funzionario, semprechŽ esistano sulla contabilitˆ speciale fondi pignorabili, provvederˆ a vincolare l'ammontare delle somme pignorate (si veda art. 1, comma 2 del decreto-legge 25 maggio 1994, n. 313 il quale espressamente afferma che detti pignoramenti si effettuano secondo le peculiari forme ivi indicate e cos“ Òsi eseguono esclusivamente, a pena di nullitˆ rilevabile d'ufficioÓ). é inoltre espressamente previsto dal successivo comma 3 dellĠart. 1 DL 313/94 che Ònon sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello Stato a pena di nullitˆ rilevabile anche d'ufficioÓ e che Ògli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesimeÓ. (NB la norma  pedissequamente riproposta allĠart. 5 quinquies della legge 89/01. Vedi oltre). Dal rapido excursus normativo sin qui effettuato, appare evidente che lĠatto di pignoramento, effettuato in difformitˆ dal peculiare modello disciplinato dal D.L. 313/94,  assoggettato al seguente regime: a) la forma del pignoramento diretto  lĠunica esclusivamente utilizzabile, diversamente opinando, la nuova forma del pignoramento diretto presso il debitore non potrebbe mai essere applicata perchŽ lĠazione esecutiva o  diretta ad aggredire fondi impignorabili (perchŽ destinati ai particolari scopi individuati dalle singole normative sopra richiamate) oppure altri fondi (fondi diversi) che sarebbero pignorabili nelle normali forme dellĠespropriazione presso terzi. Ma la previsione di due diverse forme di pignoramento non  contemplata dallĠart. 1 del D.L. 313/1994; b) lĠatto difforme dal suddetto paradigma normativo  qualificato espressamente come nullo e tale nullitˆ  espressamente qualificata come rilevabile dĠufficio; c) gli atti di pignoramento eventualmente effettuati presso le tesorerie (in difformitˆ del paradigma normativo) sono assolutamente inefficaci in quanto non comportano obbligo di accantonamento. Essi, in altri termini, sottraggono allĠoggetto dellĠespropriazione le somme depositate presso le Tesorerie, e ci˜ fanno privando gli atti di pignoramento erroneamente effettuati di ogni idoneitˆ allĠimposizione del vincolo conservativo, cos“ evidenziando la voluntas legis di sottrarre le suddette somme al soddisfacimento forzato del credito per cui si procede. Trattandosi di nullitˆ assoluta e rilevabile dĠufficio che  volta ad impedire la prosecuzione del processo esecutivo verso lĠesito finale, la stessa non pu˜ ritenersi assoggettata ai limiti temporali di rilevabilitˆ di cui allĠart. 617 comma 2 c.p.c., nŽ il giudice dellĠesecuzione  libero nel non rilevarla costituendo lo stesso un vero e proprio potere-dovere. LĠinefficacia assoluta dellĠatto di pignoramento - ove effettuato nelle forme di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. anzichŽ nelle forme di cui al DL 313/94 -  costruita in modo da impedire il sorgere dello stesso obbligo di accantonamento e custodia in capo al terzo e quindi in modo da impedire il sorgere di alcun vincolo di indisponibilitˆ del credito sussistente nei confronti del debitor debitoris. Ci˜ rinviene la sua ratio, evidentemente, nella volontˆ di sottrarre le somme depositate presso le Tesorerie allĠoggetto dellĠespropriazione, il che avviene privando gli atti di pignoramento erroneamente effettuati di ogni idoneitˆ allĠimposizione del vincolo conservativo: emerge cos“ la voluntas legis di sottrarre le suddette somme al soddisfacimento forzato del credito per cui si procede. Infatti, una volta escluso lĠobbligo del terzo debitor debitoris di effettuare lĠaccantonamento, viene a mancare lĠoggetto stesso dellĠespropriazione, giacchŽ quel credito  sottratto al processo ed  ineseguibile, in quanto al medesimo non attratto, per lĠassenza di produzione degli effetti preliminari di indisponibilitˆ. Se lo scopo della norma  quello di sottrarre le somme giacenti presso la Tesoreria al processo esecutivo, stabilendo per altra via le modalitˆ con cui vanno individuate le somme destinate al soddisfacimento del creditore procedente, allora ammettere che comunque il pignoramento erroneamente effettuato nelle forme di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. possa proseguire costituirebbe unĠinterpretazione abrogratrice del chiaro dettato normativo che identifica il pignoramento diretto secondo le forme imposte dallĠart. 1 DL 313/94 quale forma esclusiva a pena di nullitˆ assoluta delle altre forme di pignoramento senza che sia ipotizzabile alcuno spazio residuo per lĠespropriazione presso terzi. A mente della consolidata giurisprudenza di legittimitˆ Òle situazioni invalidanti, che si producano nella fase che  conclusa dalla ordinanza di autorizzazione della vendita, sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processoÓ (SS.UU. n. 11178 del 27/10/1995) allorchŽ impediscano che il processo consegua il risultato che ne costituisce lo scopo, e cio l'espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori. Detto principio  stato confermato e precisato da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 837 del 16/01/2007 con la quale si  statuito che le nullitˆ Òsono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo - me Se cos“ stanno le cose, allo stato degli atti la posizione assunta dalla Banca dĠItalia, laddove dichiara di attenersi ad una Òinterpretazione restrittiva della normativa che dispone le ipotesi di impignorabilitˆÓ e Òrende dichiarazione negativa solo se la legge contempla espressamente lĠesonero dallĠobbligo di accantonamentoÓ, diverge dallĠinterpretazione prospettata della ratio e funzionalitˆ della declaratoria di impignorabilitˆ disposta dalla legge e pone le premesse per il protrarsi di un contenzioso inutile e dannoso per lĠErario. Il semplice coordinamento dellĠattivitˆ della Banca dĠItalia con la difesa assunta dallĠAvvocatura dello Stato, ancorchŽ prassi utile (finora raramente seguita) non appare misura sufficiente ad una serena trattazione di siffatti ÒanomaliÓ processi esecutivi. Evidentemente un atto legislativo che, in relazione a tutti i casi in cui la legge prevede lĠimpignorabilitˆ di determinati fondi, faccia seguire lĠesenzione dallĠobbligo di accantonamento da parte del terzo, con riguardo al complesso delle disponibilitˆ dellĠamministrazione interessata, risolverebbe alla radice il problema. In tal modo il terzo (Banca dĠItalia) sarebbe esentato dal verificare la destinazione dei fondi ed il meccanismo, previsto dal legislatore, dispiegherebbe appieno i suoi effetti. 6. Quanto alle spese di registrazione dei titoli oggetto di esecuzione forzata lĠintesa operativa con la Banca dĠItalia appare utilmente perseguibile, soprattutto in relazione allĠeffetto di svincolo di somme che, date le circostanze, resterebbero accantonate e non disponibili da parte dellĠAmministrazione per tempo indefinito. é apprezzabile altres“ sia lĠinserimento di una formula di salvaguardia nella dichiarazione che va a compiere la Banca dĠItalia, sia lĠinterlocuzione che si prospetta con lĠAvvocatura dello Stato in ordine allĠeventuale opposizione al pignoramento. Per quanto concerne la soluzione pratica prospettata di ricorrere in talune ipotesi a Òconti sospesi collettiviÓ, la Scrivente non pu˜ che ribadire quanto giˆ esposto sul punto nel documento di lavoro a suo tempo inviato, che si riporta in nota (6). diante opposizione agli atti esecutivi anche oltre il termine dei cinque giorni previsti a pena di decadenza, o d'ufficio dal giudice dell'esecuzioneÓ). In definitiva, la sottrazione dei fondi delle suddette contabilitˆ alla possibilitˆ dellĠespropriazione presso terzi integra un vizio di nullitˆ assoluta che, dal lato degli obblighi della tesoreria, impone di non eseguire lĠaccantonamento e, sul versante dellĠazione esecutiva (per ci˜ che concerne lĠattivitˆ dellĠAvvocatura)  impediente lo svolgimento del processo (il quale sarebbe altrimenti mancante del suo oggetto); il relativo vizio  sottratto ai termini di cui allĠart. 617 c.p.c. (6) é noto al riguardo che le spese di registrazione per sentenze, provvedimenti e gli atti che occorrono nei procedimenti contenziosi nei quali sono interessate le amministrazioni dello Stato sono prenotati a debito, in quanto, in caso di soccombenza dellĠAmministrazione, le stesse costituiscono una partita di giro per lĠErario, che non subisce un vero e proprio esborso, rientrando nel c.d. Campione Civile (oggi, ai sensi dellĠart. 161 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia Òregistro delle spese prenotate a debitoÓ). La statuizione del G.E. sul punto sarebbe infatti illegittima per violazione del combinato disposto di cui agli artt. 59 del D.P.R. 131/1986 e 158 del D.P.R. 115/2002 secondo cui si registrano a debito, cio senza contemporaneo pagamento delle imposte dovute, le sentenze, i provvedimenti e gli atti che occorrono nei procedimenti contenziosi nei quali sono interessate le amministrazioni dello Stato e sono prenotati a debito, se a carico dell'amministrazione, tra gli altri, anche l'imposta di registro ai sensi di detto articolo 59. Ove sussista, dunque, un titolo esecutivo (giudiziale) nei confronti dellĠAmministrazione dello Stato e il G.E., in sede di procedura esecutiva a carico di questĠultimo, disponga nellĠordinanza di assegnazione il pagamento anche delle spese di registrazione, la Tesoreria dovrebbe assumere lĠimpegno di trasmettere immediatamente tale ordinanza allĠAvvocatura dello Stato onde consentire la tempestiva proposizione di opposizione agli atti esecutivi. La Tesoreria, ai sensi dellĠart. 170 del citato D.M. 29/5/2007, dovrˆ comunque eseguire tempestivamente, e comunque nel termine di legge, le ordinanze di assegnazione corrispondendo, in aggiunta a quelle indicate nel provvedimento, quelle di registrazione solo se il creditore ne comprova il pagamento, trasmettendo copia degli atti allĠAvvocatura dello Stato per consentire lĠazione di ripetizione allĠesito dellĠopposizione agli atti esecutivi. In difetto di prova del pagamento si ritiene che la tesoreria abbia lĠobbligo di svincolare le somme che residuano dopo lĠesecuzione dellĠordinanza in quanto il vincolo di indisponibilitˆ per lĠimporto pari alle spese di registrazione dellĠordinanza di assegnazione, che si risolve in grave danno per le amministrazioni debitrici, non sarebbe giustificato, non costituendo lĠordinanza di assegnazione con contestuale liquidazione delle spese dellĠesecuzione, titolo esecutivo. Essa non pu˜ contenere neanche una condanna in caso di incapienza del residuo credito insoddisfatto (cfr. Cass. Civ. ord. n. 30457 del 30 dicembre 2011). Con tale pronuncia la S.C. sembra aver superato il precedente orientamento (Cass. 19363/2007 e 3976/03) secondo cui lĠordinanza di assegnazione costituiva titolo esecutivo non solo per la somma assegnata, ma anche per le spese della procedura sia nei confronti del debitore sia nei confronti del terzo. Si legge in tale pronuncia:ÒlĠart. 95 c.p.c , in relazione alla espropriazione forzata - ipotesi ricorrente nel caso in esame, si limita ad enunciare il principio secondo cui le spese sono a carico di chi ha subito lĠesecuzione, il che giˆ consente di escludere che, in questo tipo di esecuzione, sia consentito al giudice dellĠesecuzione adottare una pronuncia di condanna, costituente titolo esecutivo, nei confronti del soggetto che ha subito lĠesecuzione.(É) Deve infatti ribadirsi che, nel procedimento di espropriazione forzata - come nella specie - lĠonere delle spese non segue il principio della soccombenza, come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore allĠesecuzione con il proprio patrimonio (artt. 2740 e 2910 c.c.), per cui il provvedimento di liquidazione delle spese, ancorchŽ autonomamente emesso dal giudice dellĠesecuzione, ha solo la funzione di verifica del relativo credito, del tutto analoga a quella che il giudice dellĠesecuzione compie per il credito di cui si procede (ed i relativi interessi) ai fini del progetto di distribuzione e dellĠassegnazione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati (Cass. 8/5/1998 n. 4653; Cass. ord. 11/10/1994 n. 789). Ne deriva la correttezza della sentenza in questa sede impugnata, la quale ha ritenuto che lĠordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. non costituisse titolo esecutivo nei confronti del debitore nŽ potesse contenere una condanna, nel caso - verificatosi nella specie - di incapienza del residuo credito soddisfattoÓ. Del resto, sulla inidoneitˆ dellĠordinanza di assegnazione ad acquisire il valore di giudicato si veda Cass. n. 11404/2009. Quindi la prassi seguita dalla Banca dĠItalia secondo cui, in assenza di prova del versamento dellĠimposta di registro, gli accantonamenti permangono fino al decorrere del termine ordinario di prescrizione ordinaria presuppone, con ci˜ incorrendo in errore, che lĠordinanza di assegnazione, quanto alle spese di registrazione, costituisca titolo esecutivo. Ovviamente, nel caso in cui il G.E. nulla disponga, correttamente, sulle spese di registrazione, giammai esse dovranno, seppur documentate, essere corrisposte al creditore procedente acquisendo il pagamento, in caso contrario, il carattere di indebito alla luce dei richiamati artt. 59 del D.P.R. 131/1986 e 158 del D.P.R. 115/2002. Del pari la Tesoreria dovrˆ astenersi dal dare corso al pagamento di somme intimate con precetto che abbiano esse riguardo a spese di registrazione, a spese della procedura esecutiva o al credito residuo per incapienza della somma assegnata. Sul punto peraltro soccorre anche lĠart. 165 comma 5 del D.M. 29/5/2007 di approvazione delle Istruzioni sul servizio di tesoreria dello Stato, a mente del quale Òle eventuali inibitorie o diffide notificate, anche a mezzo ufficiale giudiziario, alla Tesoreria non determinano la sospensione dei pagamenti. La Tesoreria dˆ informativa di tali atti allĠamministrazione emittente, senza darne comunicazione agli interessati circa lĠinefficacia degli atti stessiÓ. 7. In relazione allĠestensione temporale dellĠobbligo del terzo e alle cosiddette dichiarazioni integrative la soluzione prospettata nella bozza di accordo, soprattutto se letta alla luce della nota della Banca dĠItalia n. 269841 del 15 marzo 2013 allegata allĠaccordo stesso  - ad avviso della Scrivente pienamente satisfattiva. Nel documento di lavoro proposto dallĠAvvocatura dello Stato si esprimeva lĠavviso che la questione, derivante da una prassi largamente diffusa nel Foro campano, costituisse il punto pi delicato della trattazione in corso nel tavolo di lavoro. A fronte di un orientamento tuttora diffuso secondo il quale il pignoramento si estende a tutte le somme Òdovute e debendeÓ fino allĠeffettiva determinazione e soddisfazione del credito, o mediante dichiarazione o mediante sentenza che accerti lĠobbligo del terzo, sul punto non pu˜ che richiamarsi a quanto dedotto nel parere dellĠAvvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli (CS 10923/2012 CNZ), soggiungendo che lĠobbligo di accantonamento del terzo si arresta, a rigore, alle somme dovute alla data di notifica del pignoramento e al pi tardi al momento della formazione della dichiarazione, che sarˆ poi oggetto di comunicazione a mezzo raccomandata o pec sia allĠufficio giudiziario che al creditore procedente ed al debitore esecutato. Al riguardo va ricordato, che con riferimento alle procedure esecutive intraprese a far data dal 1Ħ gennaio 2013 la novella introdotta con la legge 228/2012 ha profondamente mutato la natura e la struttura del pignoramento presso terzi. é previsto, infatti, che la dichiarazione del terzo venga resa, oltre che a mezzo raccomandata, alternativamente anche a mezzo posta elettronica certificata. Su questo punto sembra doversi sottolineare lĠopportunitˆ di impiegare esclusivamente questo strumento, anche tenuto conto del fatto che lĠatto di pignoramento  compiuto dalla parte con il patrocinio di difensore, obbligato a indicare nellĠatto lĠindirizzo di PEC. In via legislativa sarebbe opportuno rendere obbligatorio, a pena di improcedibilitˆ dellĠesecuzione forzata rilevabile anche dĠufficio, lĠindicazione del codice IBAN del conto corrente del creditore procedente, al fine di snellire le procedure di pagamento (nel caso in cui non si ritenga di proporre opposizione) e di evitare la duplicazione continuativa di pignoramenti per le spese successive. Sempre riguardo alle spese di registrazione ove queste siano poste a carico del creditore procedente (allĠesito fruttuoso di un giudizio di opposizione), le stesse potranno essere recuperate attivando la riscossione mediante ruoli effettuata dallĠUfficio del Campione Civile esistente presso ogni Ufficio giudiziario giusta la previsione di cui allĠart. 158 del D.P.R. 115/2002 comma 3, a mente del quale Òle spese prenotate a debito e anticipate dall'erario sono recuperate dall'amministrazione, insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell'altra parte alla rifusione delle spese in proprio favoreÓ. La Tesoreria, in tale eventualitˆ, e nellĠipotesi in cui si sia corrisposto in esecuzione dellĠordinanza del G.E. il pagamento dellĠimporto pari alle spese di registrazione, dovrebbe quindi impegnarsi a trasmettere al suddetto Ufficio del campione Civile la documentazione attestante lĠavvenuta liquidazione. Se il creditore procedente dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, e comunque il terzo non compaia allĠudienza, il giudice fissa unĠulteriore udienza con ordinanza da notificarsi al terzo almeno 10 giorni prima della nuova udienza. Se il terzo non compare a tale ulteriore udienza la somma pignorata si considera non contestata e si forma il titolo di assegnazione. Appare evidente, come il meccanismo si presti a un utilizzo abusivo da parte del creditore procedente, il quale potrebbe omettere il deposito della dichiarazione (affermando di non averla ricevuta) onde attivare il meccanismo di non contestazione in caso di mancata comparizione in udienza. Si badi che, in vista della seconda udienza, non  prevista la possibilitˆ di emettere dichiarazione a mezzo raccomandata o PEC ma  consentita solo la partecipazione allĠudienza. DĠaltra parte, non  previsto che il debitore venga a conoscenza dellĠavvenuta emissione della dichiarazione del terzo onde  altamente probabile che non abbia modo di opporsi tempestivamente e fondatamente allĠassegnazione basata sul meccanismo di non contestazione. Inoltre, lĠunica ragione di opposizione agli atti riconosciuta al terzo  quella relativa allĠeccezione di non aver avuto conoscenza della citazione di cui allĠart. 543 c.p.c.. Possibili rimedi: anzitutto sarebbe opportuno che la dichiarazione del terzo venga trasmessa via PEC anche allĠAvvocatura dello Stato per il tempestivo deposito in vista dellĠudienza. In via legislativa: sarebbe auspicabile la promozione di una norma che consenta lĠinvio direttamente alla cancelleria del giudice, a mezzo PEC, della dichiarazione di quantitˆ, affinchŽ la stessa venga dĠufficio aggiunta al fascicolo dellĠesecuzione. In tale nuovo contesto tuttavia la prassi che intende adottare (ed ha in parte giˆ adottato) la Banca dĠItalia, a seguito della nota a firma Saccomanni n. 269841 del 15 marzo 2013, appare ragionevole e non lesiva delle possibilitˆ di effettiva difesa da parte dellĠamministrazione che subisce il pignoramento. 8. SullĠestinzione delle procedure esecutive da lungo tempo pendenti, ma tuttora non dichiarate formalmente estinte e sullo svincolo delle relative somme accantonate (art. 169 IST), la collaborazione promessa dalla Banca dĠItalia e dal Ministero della Giustizia appaiono idonee a dar luogo ad uno snellimento negli accertamenti necessari. Il dato decisivo appare la possibilitˆ di accesso da parte della Banca dĠItalia alle procedure telematiche presso le Cancellerie del GE, anche se la disponibilitˆ di elenchi aggiornati (e dei relativi accantonamenti) consentono comunque agli uffici amministrativi e, allĠoccorrenza, allĠAvvocatura dello Stato di pervenire in tempi ragionevoli ad utili risultati. 9. In conclusione la Scrivente  dellĠavviso che - sia pure nel quadro di incertezza normativa sopra delineato - lĠaccordo predisposto con la Banca dĠItalia possa essere utilmente sottoscritto, rimettendosi la Scrivente alle valutazioni di codeste amministrazioni in ordine: a) allĠeventuale ripristino della formula a suo tempo concordata relativamente allĠart. 3, circa una pi estesa utilizzazione della procedura di pagamento in conto sospeso; b) ad una riformulazione dellĠart. 4 che tenga conto dellĠeffettiva portata della impignorabilitˆ, comunque sancita da fonte legislativa. In realtˆ la materia dellĠesecuzione per somme di danaro nei confronti di organi dello Stato necessita ad avviso della Scrivente di una urgente riscrittura unitaria, muovendo, ove se ne ravvisi lĠopportunitˆ, proprio dallĠesecuzione dei decreti di condanna sulla legge Pinto e chiarendo fino in fondo la valenza e lĠestensione delle varie ÒimpignorabilitˆÓ, diffuse in disposizioni sparse e frammentate nella legislazione amministrativa vigente. Nei sensi di cui sopra  il richiesto parere, sul quale  stato acquisito lĠavviso del Comitato consultivo, che si  espresso in conformitˆ. *** ** *** ACCORDO PER LA GESTIONE DEGLI ATTI DI PIGNORAMENTO IN DANNO DI AMMINISTRAZIONI DELLO STATO NOTIFICATI ALLA BANCA DĠITALIA -TESORERIA DELLO STATO, IN VESTE Dl TERZO PIGNORATO VISTO l'art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, disciplinante gli accordi tra pubbliche amministrazioni; VISTI la legge 28 marzo 1991, n. 104, di proroga della gestione del servizio di tesoreria provinciale dello Stato, e la relativa convenzione tra il Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia stipulata il 17 gennaio 1992, nonchŽ l'art. 6 dei decreto legislativo 5 dicembre 1997, n. 430, che affida alla Banca d'Italia il servizio di tesoreria centrale dello Stato, e la relativa convenzione tra il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e la Banca d'Italia stipulata il 9 ottobre 1998; CONSIDERATO che in veste di terzo pignorato la Banca d'Italia, in qualitˆ di esercente il servizio di tesoreria dello Stato, riceve e gestisce un rilevante numero di "pignoramenti presso terzi in danno di Amministrazioni statali", attenendosi alle disposizioni del codice di procedura civile e alle leggi speciali che disciplinano la materia, nonchŽ alle Istruzioni sul Servizio di Tesoreria dello Stato approvate con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze 29 maggio 2007 (d'ora in poi IST); CONSIDERATO che, con nota n. 1031394 del 15 dicembre 2011, la Banca d'Italia ha proposto all'Avvocatura Generale dello Stato e al Ministero dell'Economia e delle Finanze la costituzione di un tavolo di lavoro per esaminare le problematiche derivanti dal significativo aumento degli atti di pignoramento presso terzi notificati negli ultimi anni alla Banca d'Italia in qualitˆ di tesoriere dello Stato e che, con nota n. 243842 dell'8 marzo 2013, la partecipazione ai lavori  stata estesa al Ministero della Giustizia, in considerazione delle peculiaritˆ dei pignoramenti che interessano quest'ultimo Dicastero; CONSIDERATO che la Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 5, comma 1, dei decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, non pu˜ concedere anticipazioni di alcun tipo al Tesoro; CONSIDERATO quanto emerso dagli approfondimenti condotti nel corso delle riunioni svoltesi in data 12 aprile 2012, 19 novembre 2012, 4 e 30 aprile 2013, 23 maggio 2013, 17 e 24 giugno 2013 e 19 dicembre 2013, anche alla luce del documento di lavoro prodotto dall'Avvocatura Generale dello Stato, che contiene tra l'altro una proposta norma tiva volta a promuovere il ricorso al giudizio di ottemperanza come unica forma per la soddisfazione coattiva di crediti nei confronti della P.A.; la Banca d'Italia, in qualitˆ d“ esercente il servizio di tesoreria dello Stato, il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (d'ora in avanti anche Dipartimento della Ragioneria Generate dello Stato), il Ministero della Giustizia e lĠAvvocatura Generale dello Stato (di seguito, quando considerati cumulativamente, indicati come sottoscrittori) sottoscrivono il presente Accordo. 1. Oggetto Il presente Accordo disciplina le attivitˆ che i sottoscrittori si impegnano a porre in essere con riferimento alla gestione dei pignoramenti in danno di Amministrazioni dello Stato notificati alla Banca d'Italia -Tesoreria dello Stato in qualitˆ di terzo pignorato. 2. Obiettivi Gli impegni assunti dai sottoscrittori con il presente Accordo perseguono i seguenti obiettivi: - accrescere l'efficienza nella gestione degli atti di pignoramento individuando e promuovendo attivitˆ che, senza pregiudizio dei diritti dei creditori, prevengano le azioni esecutive, razionalizzino gli adempimenti in capo ai sottoscrittori e riducano i costi, diretti e indiretti, sostenuti dalle Amministrazioni debitrici, dalla Banca d'Italia in qualitˆ di terzo pignorato e dal sistema giudiziario; - rafforzare la collaborazione interistituzionale tra i sottoscrittori e tra questi e gli uffici giudiziari, anche al fine di ridurre i margini d'incertezza nell'interpretazione della normativa di riferimento e di contenere i vincoli alla gestione delle ordinarie procedure di spesa derivanti dal blocco dei fondi conseguente al pignoramento; -promuovere soluzioni normative alle problematiche riguardanti la materia dei pignoramenti in danno delle Amministrazioni dello Stato. 3. Utilizzo degli speciali ordini di pagamento in conto sospeso al fine di prevenire le esecuzioni forzate Con l'art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30,  stato introdotto lo "speciale ordine di pagamento in conto sospeso", di seguito "SOP", con il quale le Amministrazioni dello Stato possono effettuare pagamenti per prevenire le esecuzioni forzate. Presupposti per l'emissione del SOP sono l'indicazione del debito in un provvedimento giurisdizionale o lodo arbitrale avente efficacia esecutiva e l'indisponibilitˆ di somme sul capitolo di bilancio di pertinenza dell'Amministrazione debitrice. I sottoscrittori riconoscono l'efficacia del SOP in chiave preventiva alle esecuz“oni forzate in danno dello Stato e convengono di intraprendere iniziative volte a favorire l'utilizzo di tale strumento. In relazione a ci˜: -l'Avvocatura Generate dello Stato si impegna a fornire indicazioni alle Avvocature Distrettuali affinchŽ, nel trasmettere il titolo esecutivo notificato alle stesse ope legis, rammentino alle Amministrazioni debitrici l'utilizzo del SOP come strumento di assolvimento dell'obbligazione pecuniaria in assenza di fondi sul pertinente capitolo di bilancio, sottolineando quanto previsto dall'art. 14, comma 2, D.L. 669/96; -Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato si impegna a predisporre una circolare indirizzata alle Amministrazioni dello Stato, che riordini e coordini le istruzioni emanate a suo tempo per l'utilizzo dei SOP e legittimi la Banca d'Italia a dar corso ai SOP previa verifica della loro regolaritˆ formale (compresa l'indicazione sul titolo del- l'Amministrazione emittente e del capitolo di bilancio interessato) e dell'avvenuto riscontro tramite apposizione del "visto" da parte degli Uffici Centrali di Bilancio o delle Ragionerie Territoriali. 4. Impignorabilitˆ dei fondi I sottoscrittori convengono che l'ampia produzione normativa, con la quale il legislatore ha inteso sottrarre all'esecuzione forzata risorse destinate ad assicurare funzioni pubbliche meritevoli di particolare tutela, forma oggetto di un'applicazione non omogenea da parte dei tribunali e di un'interpretazione sovente non uniforme da parte delle Amministrazioni interessate. In tale contesto, si prende atto che la Banca d'Italia, in qualitˆ di terzo pignorato, si attiene a un'applicazione restrittiva della normativa che dispone le ipotesi di impignorabilitˆ, atteso il suo carattere derogatorio ed eccezionale rispetto ai principi generali in materia di responsabilitˆ patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.). In relazione a ci˜: -la Banca d'Italia rende dichiarazione negativa solo se la legge contempla espressamente anche l'esonero dall'obbligo di accantonamento (1); -l'Avvocatura Generale dello Stato, con specifico riguardo alle ipotesi di interpretazione non uniforme della normativa in materia di impignorabilitˆ, si impegna ad inviare alla Banca entro i tempi previsti per la dichiarazione di terzo, una nota nella quale esplicita le proprie considerazioni in merito all'impignorabilitˆ dei fondi; -la Banca d'Italia si impegna ad accludere alle dichiarazioni di terzo positive o parzialmente positive le note pervenute dall'Avvocatura dello Stato entro i termini di presentazione delle dichiarazioni stesse e a indirizzare via PEC alla competente Avvocatura, nella stessa data d'invio al creditore, la dichiarazione di terzo resa unitamente all'atto di pignoramento. 5. Spese di registrazione di ordinanze di assegnazione Sovente nelle ordinanze sono assegnate alla parte creditrice le spese di registrazione delle ordinanze stesse ancorchŽ detti oneri rientrino tra quelli oggetto d“ prenotazione a debito (c.d. "campione civile"). I sottoscrittori prendono atto che in alcuni casi tuttavia il pagamento di tali spese non viene richiesto e documentato alla Tesoreria unitamente ai pagamento della sorte capitale e delle altre spese di giudizio; i relativi accantonamenti sono pertanto mantenuti dalle Tesorerie per periodi indefiniti nella prospettiva dell'eventuale richiesta di pagamento. In relazione a ci˜: -il Ministero della Giustizia si impegna a richiamare l'attenzione delle Cancellerie dei Tribunali, con apposita Circolare, sugli adempimenti concernenti la registrazione "a debito" delle ordinanze emesse in esito a pignoramenti in danno di Amministrazioni statali; (1) In particolare, con riguardo ai pignoramenti in danno del Ministero della Giustizia, lĠesonero dal- lĠobbligo di acconttonamento non pu˜ essere esteso ai cespisti (quali, ad sempio, quelli finalizzati al pagamento di imposte e tributi) che non rientrano nella previsione dellĠart. 1-ter della L. 181/08. -la Banca d'Italia si impegna a: inserire, nell'ambito delle dichiarazioni di terzo positive o parzialmente positive, la precisazione che "ai sensi degli artt. 59 del DPR 131/86 e 158 del DPR 115/02 le spese di registrazione dell'eventuale ordinanza di assegnazione emessa in esito della presente procedura esecutiva sono prenotate a debito"; trasmettere tempestivamente via PEC alla competente Avvocatura dello Stato l'ordinanza concernente le spese di registrazione; pagare le spese di registrazione solo se documentate e richieste contestualmente alla liquidazione dell'ordinanza di assegnazione e svincolare le somme residue; nell'ipotesi in cui il creditore assegnatario notifichi successivamente un precetto e promuova esecuzione diretta per il recupero delle spese di registrazione, subire il pignoramento diretto utilizzando fondi dell'Amministrazione esecutata o, in loro assenza, scritturando le somme sul conto sospeso "collettivi", ponendole a carico della stessa Amministrazione esecutata; trasmettere tempestivamente l'informativa sul pignoramento sub“to alla competente Avvocatura dello Stato, unitamente alla dichiarazione di terzo; svincolare le somme ancora accantonate per far fronte alle eventuali richieste di spese di registrazione non documentate; qualora dovesse successivamente essere documentato il pagamento di dette spese e richiesto il rimborso, si procederˆ secondo lĠiter sopra delineato, utilizzando fondi disponibili del debitore esecutato ovvero, in mancanza, scritturando le somme richieste al conto sospeso collettivi, dandone tempestiva informativa al Ministero dell'Economia affinchŽ provveda a interessare l'Amministrazione esecutata per il ripiano della partita scritturata a sospeso; -il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e la Banca d'Italia concordano la procedura per autorizzare la Banca stessa a scritturare sul conto sospeso "collettivi" le somme di cui al punto precedente, qualora non esistano disponibilitˆ, libere da vincoli, dell'Amministrazione esecutata. 6. Estensione temporale dell'obbligo del terzo Con riferimento all'estensione temporale dell'obbligo del terzo di accantonare e dichiarare i fondi sopravvenuti alla data di notifica dell'atto di pignoramento, i sottoscrittori condividono, per i pignoramenti notificati dal 1Ħ gennaio 2013, le linee di condotta individuate dalla Banca d'Italia e contenute nella nota n. 269841 del 15 marzo 2013, che si allega al presente Accordo. Per quanto concerne invece le procedure notificate anteriormente al 1Ħ gennaio 2013, nell'eventualitˆ in cui il Giudice dell'Esecuzione inviti il terzo pignorato a rendere una "dichiarazione integrativa": -la Banca d'Italia si impegna a comunicare tramite PEC al creditore procedente che la dichiarazione giˆ resa nel termine previsto dagli artt. 543 e 547 c.p.c, non pu˜ essere oggetto di integrazione; -l'Avvocatura Generale dello Stato si impegna affinchŽ la competente Avvocatura Distrettuale dello Stato si costituisca per conto dell'Amministrazione esecutata nell'eventuale giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo intrapreso nei confronti della Banca d'Italia, facendo valere l'inammissibilitˆ e/o l'infondatezza dell'azione di accertamento per difetto della dichiarazione integrativa; -il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato si impegna a tenere indenne la Banca per il pagamento delle somme accertate nel giudizio di accertamento nonchŽ per lĠeventuale condanna alle spese di lite conseguenti alla soccombenza nel relativo giudizio di cognizione, da porre a carico dell'Amministrazione esecutata. Gli adempimenti procedurali da porre in essere sono concordati tra la Ragioneria Generale dello Stato e la Banca. 7. Estinzione delle procedure pregresse I sottoscrittori prendono atto che presso le Tesorerie risultano giacenti accantonamenti per procedure esecutive relativamente alle quali non  in molti casi possibile acquisire l'attestazione, richiesta dall'art. 169 delle IST, che legittimi la Banca d'Italia allo svincolo delle somme. In relazione a ci˜: -la Banca d'Italia si impegna a comunicare via PEC all'Avvocatura dello Stato, al Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, al Ministero della Giustizia e alle Cancellerie dei Tribunali - con cadenza annuale -l'elenco delle procedure pendenti da oltre due anni a fronte delle quali sussistono accantonamenti. L'elenco conterrˆ gli elementi relativi alla procedura esecutiva in possesso della Banca (indicazione delle parti; numero del titolo esecutivo richiamato nell'atto di pignoramento; importo accantonato e, ove giˆ noto il numero del Ruolo Generale); -Il Ministero della Giustizia si impegna a favorire le opportune iniziative dei Presidenti di Tribunale e dei Dirigenti di Cancelleria affinchŽ sia agevolata, in relazione al punto che precede, la ricerca di informazioni sullo stato delle procedure pendenti da oltre due anni. Le informazioni acquisite sono messe a disposizione dell'Amministrazione debitrice, dell'Avvocatura e della Banca d'Italia. Il Ministero della Giustizia, inoltre, si attiverˆ affinchŽ la Banca d'Italia e gli altri grandi utenti - terzi pignorati possano avere accesso telematico alle Cancellerie. 8. Ulteriori impegni dei sottoscrittori I sottoscr“ttori si impegnano a incontrarsi con cadenza almeno semestrale al fine di verificare i risultati delle azioni intraprese e discutere eventuali adeguamenti in relazione all'evoluzione del contesto di riferimento, dando atto delle problematiche discusse in apposito verbale. Roma, 15 APR. 2014 Per la Banca d'Italia Il Direttore Generale Salvatore Rossi Per il Ministero dell'Economia e delle Finanze Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato Il Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco Per il Ministero della Giustizia Il Capo Dipartimento per gli affari di giustizia Simonetta Matone Per l'Avvocatura Generale dello Stato Vice Avvocato Generale Giuseppe Fiengo *** ** *** BANCA D'ITALIA EUROSISTEMA Prot. n. 0269841/13 del 15/03/2013 SERVIZIO RAPPORTI CON IL TESORO (832) DIVISIONE ANALISI NORMATIVA E PAGAMENTI PUBBLICI (025) AI CAPI DEI SERVIZI E DELLE FILIALI Classificazione VI 4 14 Oggetto Atti di pignoramento presso terzi. Modifiche al c.p.c. 1. Premessa. La legge di stabilitˆ 2013 (L. 24.12.2012, n. 228) ha modificato alcuni articoli del codice di procedura civile riguardanti i pignoramenti presso terzi. Le disposizioni introdotte dallĠart. 1, co. 20, della legge (1) - che si applicano ai procedimenti esecutivi iniziati successivamente al 1Ħ gennaio 2013 (2) - hanno una portata fortemente innovativa, con riflessi sugli adempimenti del terzo pignorato riguardanti la dichiarazione di quantitˆ, l'estensione temporale dell'obbligo e il comportamento processuale. In particolare, sono stati integrati gli artt. 543 (Forma del pignoramento) e 547 (Dichiarazione del terzo) e sostituiti gli artt. 548 (Mancata o contestata dichiarazione del terzo) e 549 (Accertamento dell'obbligo del terzo). Le novitˆ riguardano: la soppressione del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo e la riconduzione dei relativi accertamenti nel processo di esecuzione (artt. 548 e 549 c.p.c.); l'invio della dichiarazione di terzo con posta elettronica certificata; la fissazione di un'apposita udienza per la comparizione del terzo nel caso in cui il creditore sostenga di non aver ricevuto la dichiarazione epistolare. Si forniscono di seguito - d'intesa con il Servizio Sistema dei Pagamenti - istruzioni per la gestione delle procedure esecutive in cui l'Istituto  citato in veste di terzo pignorato; per uniformitˆ di linea di condotta, le istruzioni si applicano sia ai pignoramenti del ramo "Banca", sia a quelli del ramo "Tesoreria" ove non diversamente indicato. 2. Novitˆ concernenti l'accertamento dell'obbligo del terzo. L'art. 549 c.p.c. non contempla pi il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo ma demanda al G.E. - compiuti i "necessari accertamenti" - la definizione con ordinanza dei casi di contestazione della dichiarazione. La soppressione della possibilitˆ di instaurare un giudizio autonomo e incidentale di accertamento dell'obbligo (3) consente di superare la necessitˆ per il terzo di vincolare i fondi pervenuti in data successiva a quella della dichiarazione, con positivi riflessi sui carichi operativi delle unitˆ Gestione Servizi di Pagamento. Pertanto, la presenza di tali (1) Per comoditˆ di consultazione si riporta, in allegato, il testo vigente degli articoli del codice di procedura civile. (2) Ai sensi dell'art. 491 c.p.c., l'espropriazione forzata inizia con la notifica dell'atto di pignoramento. (3) Il precedente art. 548 c.p.c. stabiliva la possibilitˆ del giudizio di accertamento anche se il terzo non compariva all'udienza stabilita o, comparendo, rifiutava di fare la dichiarazione. Pertanto, l'udienza assumeva anche per il terzo un carattere di centralitˆ. fondi non andrˆ pi monitorata, nel rispetto delle specificitˆ di seguito indicate per i pignoramenti dei rami "Tesoreria" e "Banca". Avuto presente che il codice di procedura civile stabilisce che la dichiarazione va resa ÒentroÓ dieci giorni dalla notifica dell'atto di pignoramento (artt. 543 e 547 c.p.c.), le dichiarazioni negative o parzialmente positive, per ragioni di uniformitˆ di comportamento andranno predisposte, firmate e spedite sempre il decimo giorno, preferibilmente tra i primi adempimenti della giornata operativa (4). Le dichiarazioni positive possono invece essere via via spedite nell'arco temporale dei dieci giorni previsti dal codice. L'art. 549 c.p.c. non specifica gli strumenti e le modalitˆ secondo cui il G.E. condurrˆ i "necessari accertamenti" per definire le contestazioni. Dall'esame della norma si evince che le Filiali potrebbero essere destinatarie di notifiche di provvedimenti con cui il G.E. dispone la comparizione del terzo con finalitˆ istruttorie. In tali ipotesi, si avrˆ cura di interessare tempestivamente per le istruzioni il competente Servizio dell'A.C. e la Consulenza legale. Nel caso specifico di notifica di ordinanza emessa a norma dell'art. 549 c.pc. suscettibile di censure da parte del terzo andranno interessati il competente Servizio dell'A.C. nonchŽ la Consulenza Legale ai fini della valutazione dell'impugnativa ex art. 617 c.p.c., sotto- posta al termine di decadenza di giorni venti. 3. Invio della dichiarazione di terzo con posta elettronica certificata. é ora espressamente previsto che per l'invio della dichiarazione di terzo al creditore l'utilizzo della PEC ha effetti equivalenti a quello della raccomandata (artt. 543, co. 2, n. 4 e 547, co.1 c.p.c.). Pertanto, la dichiarazione dovrˆ essere resa al legale del creditore a mezzo PEC, apponendo la firma digitale. Per le dichiarazioni del ramo 'Tesoreria", la PEC potrˆ essere utilizzata anche per l'invio delle previste comunicazioni all'Amministrazione interessata e all'Avvocatura dello Stato. Resta inteso che nei casi in cui non sia possibile l'utilizzo della PEC, la dichiarazione sarˆ trasmessa a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno. 4. Onere di comparizione all'udienza ex art. 548 c.p.c.. Nelle fattispecie diverse dai pignoramenti riguardanti i crediti di cui all'art. 545, co. 3 e 4 (5), qualora il creditore dichiari di non aver ricevuto la dichiarazione di terzo, il G.E. con ordinanza fissa un'udienza successiva. L'ordinanza  notificata al terzo almeno 10 giorni prima della nuova udienza. In base a tale disposizione, il terzo ha l'onere di comparire all'udienza di rinvio ex art. 548, co. 2, c.p.c., in difetto il credito si ritiene non contestato e il G.E. potrˆ assegnarlo. (4) Si richiama l'attenzione sulla particolare cura che andrˆ posta, in caso di dichiarazione negativa o parzialmente positiva, nella verifica delle disponibilitˆ del debitore esecutato pervenute immediatamente prima della spedizione della dichiarazione. Per quanto ovvio, alle dichiarazioni negative o parzialmente positive continuerˆ ad accludersi l'elenco delle pregresse procedure in danno del medesimo debitore esecutato che non risultano ancora definite. Infine, si specifica che i debiti derivanti da contratti della Banca in essere alla data del decimo giorno successivo a quello di notifica dell'atto, come giˆ in precedenza, andranno inseriti nella dichiarazione di terzo e le eventuali somme giˆ esigibili e quelle ancora da maturare andranno vincolate fino alla concorrenza dell'importo precettato aumentato del 50% come dispone l'art. 546 c.p.c. (5) Si tratta delle somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennitˆ relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento. All'udienza il terzo comparirˆ al solo fine di attestare di avere giˆ reso la dichiarazione di quantitˆ, producendola in copia unitamente alla documentazione attestante la notifica via PEC, ovvero alla ricevuta di accettazione della raccomandata e al relativo avviso di ricevimento. Della presenza del terzo e del deposito della documentazione andrˆ chiesta la verbalizzazione all'udienza. A tal fine  necessario che le Filiali accertino l'avvenuto ricevimento della dichiarazione di quantitˆ da parte del legale del creditore procedente. Qualora nell'ordinanza di rinvio ad altra udienza il G.E., oltre alla comparizione, richieda di rendere la dichiarazione di terzo ovvero di integrarla con fondi sopravvenuti, le Filiali si limiteranno a confermare e comprovare la spedizione della dichiarazione senza alcuna integrazione. Nell'eventualitˆ che il G.E. emetta ordinanza di assegnazione di somme non dichiarate, andranno tempestivamente interessati il competente Servizio dell'A.C. nonchŽ la Consulenza Legale perchŽ possa tempestivamente proporsi l'eventuale opposizione agli atti esecutivi per la quale il codice fissa un termine decadenziale di giorni venti (art. 617 c.p.c.). La presente comunicazione  disponibile nell'archivio elettronico della normativa collegata alle Circolari 245/02 e I TP. (cap. II). Distinti saluti. IL DIRETTORE GENERALE FABRIZIO SACCOMANNI legislazione ed attualitˆ LEGISLAZIONE ED ATTUALITË LĠordinamento amministrativo della pubblica sicurezza, dalla singolaritˆ nazionale alla proiezione europea Valerio Perotti* Conclusa l'analisi dei principi giuridici che caratterizzano il modello europeo di ordinamento della pubblica sicurezza (con particolare attenzione, da ultimo, alla funzione di coordinamento, decisiva nell'attuazione dei criteri di sussidiarietˆ e leale cooperazione ex art. 4 TUE), lo studio prosegue con l'esame dei principali aspetti di quello italiano. Di quest'ultimo, in particolare, vengono evidenziate le maggiori criticitˆ strutturali, derivanti dalla sovrapposizione di diverse materie nel corpus della legge 121/81 e dalla mancata adozione di un criterio-guida di carattere funzionale che sancisca la definitiva separazione tra organi (ed attribuzioni) di indirizzo ed organi (ed attribuzioni) esecutivi o di gestione. Di tali anomalie si tenta altres“ di fornire una spiegazione sistematica attraverso la puntuale (e spesso inedita) ricostruzione degli antecedenti storici delle norme attualmente in vigore. Lo studio si conclude poi con una sintetica verifica delle soluzioni adottate negli ordinamenti di pubblica sicurezza di altri Paesi membri dell'UE, tra cui quelli del cd. ÒG6Ó europeo. SOMMARIO: PARTE II -2. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: A) Il principio di coordinamento tra ordinamento nazionale e comunitario, nel rapporto con la potestˆ ordinatoria dellĠAutoritˆ di governo. A.1) Il modello di coordinamento nel sistema amministrativo italiano. A.2) Il modello di coordinamento nelle fonti dellĠUnione Europea. Conclusioni - 3. Principi generali in materia di pubblica (*) Avvocato dello Stato. Del presente saggio si pubblica la seconda parte, con lĠinvito - per il Lettore interessato alla integrale fruizione - al precente numero di questa rivista, Rass. 2013, IV, 131 ss. sicurezza: B) LĠordinamento italiano alla luce della legge 121/81 e del TULPS: linee guida, profili storici e problematicitˆ di sistema. B.1) LĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza in Italia. B.2) Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza. B.3) Le Autoritˆ provinciali di Pubblica Sicurezza. B.4) Sicurezza urbana e poteri del Sindaco quale rappresentante del Governo. Il modello della cd. Òsicurezza partecipataÓ - 4. Elementi di diritto comparato nella prospettiva del Òmodello europeoÓ. La cd. gestione Òdi prossimitˆÓ. Sintesi e conclusioni. 2. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: A) il principio di coordinamento tra ordinamento nazionale e comunitario, nel rapporto con lapotestˆ ordinatoria dellĠAutoritˆ di governo. A.1) IL MODELLO DI COORDINAMENTO NEL SISTEMA AMMINISTRATIVO ITALIANO. LĠordinamento della pubblica sicurezza italiano, definito dalla legge 1Ħ aprile 1981 n. 121, fa perno sul principio di ÒcoordinamentoÓ delle Forze di polizia, esercitato dal Ministro dellĠInterno per il tramite dellĠAmministrazione di Pubblica Sicurezza. Le Forze di polizia vengono a loro volta individuate dallĠart. 16 della medesima legge, ovverosia i due Corpi storicamente deputati a tale incombenza - la Polizia di Stato e lĠArma dei Carabinieri, questĠultima quale Forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza - cui vengono ad affiancarsi la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria ed il Corpo Forestale dello Stato. A livello centrale la funzione di coordinamento viene svolta in seno al Comitato nazionale per lĠordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Ministro dellĠInterno e composto dal Direttore generale della P.S. (nonchŽ capo della Polizia di Stato), dal Comandante generale dellĠArma dei Carabinieri e dal Comandante generale della Guardia di Finanza, mentre a livello decentrato vi  deputato il Comitato provinciale per lĠordine e la sicurezza pubblica (uno per ogni provincia), presieduto dal Prefetto e composto dal Questore (che vi partecipa in qualitˆ di dirigente territoriale della Polizia di Stato), dal Comandante provinciale dellĠArma dei Carabinieri e dal Comandante provinciale della Guardia di Finanza. In linea operativa e di principio, dunque, tale modello presuppone lĠassoluta paritˆ delle Forze di polizia e la loro comune sottoposizione al potere direttivo (con correlata responsabilitˆ) dellĠAutoritˆ politica di governo. A sua volta, la legge 3 agosto 2007 n. 124, recante ÒSistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segretoÓ, recante la riforma dei servizi segreti italiani, ha istituito il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), lĠAgenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) e lĠAgenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI) in luogo dei preesistenti CESIS, SISMI (militare) e SISDE (civile). Il DIS  un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri deputato a vigilare sullĠattivitˆ di AISI ed AISE in merito alla corretta applicazione delle disposizioni emanate dal Presidente del Consiglio quale Autoritˆ nazionale per la sicurezza, ferme restando le competenze esclusive delle Agenzie per quanto riguarda lĠattivitˆ di ricerca informativa e la collaborazione con i servizi di sicurezza degli Stati esteri. Il Dipartimento assicura inoltre lo scambio informativo tra AISE, AISI e Forze di polizia. Come giˆ accennato, la legge 121/81, dopo aver confermato la storica compresenza delle due Forze di polizia a carattere generale (lĠArma dei Carabinieri e la Polizia di Stato, nella quale era nel frattempo confluito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza), attribu“, seppur in via concorrente e/o residuale, la qualifica di Forze di polizia (con attribuzioni di pubblica sicurezza) ad ulteriori tre Corpi con competenze settoriali, cos“ da assicurare comunque ai Prefetti la disponibilitˆ di forze sufficienti a fronteggiare eventuali emergenze di ordine pubblico (305). Per questa ragione, in presenza di una pluralitˆ di soggetti coinvolti sotto il profilo operativo, si pens˜ di ricorrere allĠistituto del coordinamento per assicurare unĠordinata gestione del Òsistema sicurezzaÓ, il che spiega la necessitˆ di procedere - prima di ogni altra considerazione - alla corretta definizione di questo principio giuridico-organizzativo (306). Generalmente ne vengono individuate due figure -ÒamministrativoÓ e ÒpoliticoÓ - frutto di una complessa evoluzione storica. In passato era comune lĠidea che il Òcoordinamento amministrativoÓ fosse un semplice predicato del vincolo di superioritˆ gerarchica, teso ad evitare, negli ordinamenti pi complessi, la contraddittorietˆ dellĠazione amministrativa (di per sŽ tesa, per quanto possibile, al raggiungimento di obiettivi unitari e predeterminati (307)): in questi termini si parlava (308) di coordinamento per descrivere una relazione interorganica meno intensa di quelle gerarchica (connotata dal potere di ordine) e direttiva (connotata dai poteri di propulsione, direzione e controllo), intercorrente tra uffici tutti variamente subordinati ad un comune superiore gerarchico che si avvaleva di un coordinatore (spesso, ma non necessariamente, sovraordinato agli (305) SullĠargomento si veda lĠinteressante studio di SAVINO, LĠassetto delle Forze di polizia in Italia: i problemi esistenti e le prospettive di riforma, IRPA Roma 2010. (306) Il principio del coordinamento, sviluppatosi contestualmente al progressivo intervento dello Stato moderno nei pi disparati settori della vita economica e sociale,  una caratteristica delle cd. Òdemocrazie avanzateÓ ed inclusive (per utilizzare la terminologia di DAHL, Poliarchia, Milano 1997), destinata ad assumere un ruolo crescente a fronte di uno sviluppo sempre pi articolato e complesso delle relazioni sociali, interne ed internazionali. é inoltre una tipica funzione degli ordinamenti decentrati e/o federali, atta a comporre i rapporti tra gli organi di vertice dello Stato e le istanze territoriali, generalmente alla luce del principio di sussidiarietˆ. (307) In argomento si veda CIRILLO, Il coordinamento amministrativo quale strumento procedi- mentale nellĠepoca del decentramento e della autonomia istituzionale, Roma 2004. (308) BACHELET, Coordinamento, in Enc. Dir. X, Milano,1962, pp. 630 ss. altri) per assicurare unĠunitarietˆ amministrativa pi capillare. La tesi della derivazione gerarchica era legata alla concezione ottocentesca del potere ordinatorio, secondo cui lĠattivitˆ amministrativa altro non sarebbe che unĠattivitˆ di polizia (309) volta a contenere (e quindi sindacare) le iniziative egoistiche dei sudditi, componendole alla luce dellĠinteresse generale: ci˜ giustificherebbe un margine di intervento amministrativo quanto pi ampio possibile, fatte soltanto salve le garanzie di legge a tutela dei diritti individuali. Da tale premessa discendeva lĠidea secondo cui tutte le disposizioni di legge possono essere superate - seppur in via temporanea - attraverso lĠesercizio dispositivo della potestˆ ordinatoria (310), ogniqualvolta sussistano dei rischi per lĠintegritˆ dellĠinteresse generale che, di fatto, richiedano un intervento autoritativo. La riserva di un ampio margine di intervento ordinatorio veniva altres“ giustificata (una volta distinta, con lo Statuto Albertino, la funzione legislativa da quella esecutiva) in unĠottica ÒcostituzionalistaÓ, quale strumento per garantire lĠequilibrio tra i Poteri esecutivo e legislativo, ad evitare che il secondo potesse stemperare la ratio politica ed ordinativa sottesa al principio di separazione dei Poteri (311). Le attribuzioni ordinatoria e di coordinamento sarebbero quindi, secondo questa linea di pensiero, manifestazioni - di intensitˆ diversa - della generale potestˆ amministrativa connaturata agli organi del Potere esecutivo. Il progressivo consolidarsi del principio di legalitˆ in seno allĠattivitˆ amministrativa port˜ peraltro, nel corso dei primi anni del Novecento, ad una significativa contrazione dei presupposti dellĠattivitˆ ordinatoria di governo. Con lĠavvento della dittatura, per˜, il modello dello ÒStato di poliziaÓ riprese nuovo slancio, proprio in reazione al suddetto consolidamento, per essere infine consacrato nel TULPS in unĠottica opposta a quella del precedente sistema liberale: ci˜ conseguiva al fatto che il mutamento di regime istituzionale (309) Nel senso etimologico del termine (dal greco P—lis, o cittˆ-Stato), quale complesso delle attivitˆ di amministrazione delle comunitˆ umane organizzate. LĠespressione appare invero pi congruente con la nozione ÒintegrataÓ di Polit’a elaborata nel Quarto Libro della Politica di Aristotele (IV, 4 1291-b 7-11, nonchŽ IV, 2 1289-a 36-37; cfr. IV, 7 1293-a 39-41). (310) Consistente nella possibilitˆ di adottare ordinanze contingibili ed urgenti (idonee a derogare pure a disposizioni di legge) e pertanto attribuita solo al Prefetto, in quanto espressione dellĠAutoritˆ di governo, nonchŽ al Sindaco (coerentemente, nei limiti in cui eserciti le funzioni di ufficiale del medesimo Governo). é invece tuttĠaltra cosa il potere di ordinanza del Questore (ex art. 37 D.P.R. 782/85), avente correttamente ad oggetto - di converso - solo la precisazione delle linee-guida del coordinamento operativo delle Forze di polizia di volta in volta messe a disposizione dai rispettivi Comandi, sulla base di quanto in precedenza concordato in sede di Comitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza Pubblica, in presenza di particolari situazioni di pericolo ambientale. La necessitˆ, in tale ipotesi, di ricorrere ad unĠordinanza  dovuta anche alla circostanza che - rispetto a tali Forze - il Questore ed i suoi delegati non esercitano alcuna forma di sovraordinazione gerarchica e dunque non possono emettere direttamente degli ordini. (311) Cfr. VIRGA, La potestˆ di polizia, Milano 1954. venutosi a creare, pur ad ordinamento costituzionale formalmente invariato (312), poneva il Governo non pi come diretta emanazione dellĠautoritˆ del Sovrano (ovvero di una contingente maggioranza parlamentare), bens“ come alter ego di questĠultimo ed espressione delle reali linee di indirizzo politico- amministrativo dello Stato. In un regime non liberale, per˜, una tale ricostruzione fatalmente finiva per contraddire i principi dello Stato di diritto. In questĠottica, lĠart. 2 attribuiva al Prefetto (rappresentante del Governo) Ònel caso di urgenza o per grave necessitˆ pubblica la facoltˆ di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dellĠordine pubblico e della sicurezza pubblicaÓ, formalizzando il principio per cui il potere esecutivo (recte, di indirizzo politico-amministrativo, essendo il Prefetto diretta emanazione dellĠAutoritˆ di governo) disponeva di un generale potere di ordinanza in materia di pubblica sicurezza, non tipizzabile a priori, al fine di assicurarne unitˆ e costanza di indirizzo, anche a fronte di eventi subitanei ed imprevedibili. BenchŽ formalmente circoscritte al Òsettore sicurezzaÓ, le nuove linee di indirizzo descrivevano un sistema pi ampio ed inclusivo, nel quale di fatto tutta lĠattivitˆ amministrativa veniva, in ultima analisi, ad essere ricondotta al genus dellĠintervento di polizia (quale strumento necessario per la tutela della sicurezza sociale), tantĠ vero che il successivo R.D. 3 marzo 1934 n. 383 (313) attribuiva sempre al Prefetto la potestˆ di adottare Òin caso di urgente necessitˆ i provvedimenti indispensabili nel pubblico interesse nei diversi rami del (suo) servizioÓ. Il sistema tracciato dal TULPS, come si avrˆ modo di approfondire, era incentrato sulla figura del rappresentante del Governo, dal quale non a caso dipendeva il Questore (appartenente anchĠegli alla carriera ÒcivileÓ dellĠInterno, a differenza degli organici di polizia, e per questa ragione definito Autoritˆ di P.S., pur con specifiche attribuzioni operative, a fronte delle competenze generali del proprio superiore), ma non anche i vertici delle altre Forze di polizia (segnatamente i Carabinieri, legati da giuramento al Capo dello Stato e non, come il primo, al capo del Governo). In tale assetto istituzionale sia la funzione ordinatoria, sia quella di coordinamento prefettizia garantivano, a livello territoriale, il necessario equilibrio tra il potere governativo (che aveva concretamente assunto anche le (312) Lo Statuto Albertino rimase infatti in vigore per circa un secolo, dal 4 marzo 1848 sino al 1Ħ gennaio 1948, allorchŽ fu sostituito dallĠattuale Costituzione repubblicana. Al pari della Costituzione di Weimar in Germania, la sua natura ÒflessibileÓ (ossia derogabile giˆ solo con legge ordinaria e priva di un effettivo apparato sanzionatorio, in caso di violazione) di fatto ne vanific˜ la funzione di riferimento e limite per lĠattivitˆ di governo. Tale concreta irrilevanza fu la vera ragione per cui non ci si pose mai il problema di una sua formale abrogazione, neppure a seguito di radicali mutamenti istituzionali. (313) Detto anche Testo Unico delle leggi comunale e provinciale (TULPC), abrogato dallĠart. 274 D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL). In argomento, cfr. anche TUFARELLI, Polizia amministrativa, in Nss. Dig. It. XIII, Torino 1966. funzioni legislative, esautorando di fatto il Parlamento) e la Corona. Con il mutato assetto costituzionale dello Stato, per˜, anche i presupposti giuridici del Òsistema sicurezzaÓ enucleato nel TULPS manifestano progressivi segni di cedimento: nel corso del tempo, in particolare, la tesi che la funzione di coordinamento sia un attributo del potere gerarchico  stata superata dalla giurisprudenza di legittimitˆ (ed implicitamente da quella costituzionale) a favore del principio che si tratti piuttosto di un vero e proprio rapporto organizzativo nel quale armonizzare lĠazione di centri di potestˆ pubbliche dotati, a vario titolo, di autonomia (in primis operativo/amministrativa). Questa chiave di lettura si  consolidata anche a livello sovranazionale (dove opera in raccordo con i principi di sussidiarietˆ e di proporzionalitˆ, ex art. 5 TUE) e vede nella funzione di coordinamento Òlo strumento pi idoneo a prevenire il rischio che lĠattuazione di doverose forme di decentramento amministrativo possa eventualmente generare, col tempo, una moltiplicazione di centri amministrativi autoreferenziali e di limitata efficacia, una volta riscontrata lĠinefficienza del precedente modello direttivo-gerarchicoÓ (314). Le ragioni di tale evoluzione sono innanzitutto logiche: invero, la tesi (seguita almeno sino a tutti gli anni sessanta) secondo cui per ÒcoordinamentoÓ non si intenderebbe unĠautonoma categoria giuridica, bens“ un mero attributo della gerarchia (sul presupposto implicito che tra le funzioni del superiore gerarchico vi sarebbe stata anche quella di coordinare lĠattivitˆ dei suoi sottoposti), in realtˆ contraddiceva il dato normativo, poichŽ il rapporto gerarchico (315) si caratterizza per il fatto di attribuire allĠorgano superiore un diretto potere di ordine (attributo del rapporto di supremazia), che  invece assente nella funzione di coordinamento. Tra i critici della teoria della derivazione gerarchica, un primo orientamento (316) ricondusse la funzione di coordinamento in quella di direzione, (314) Cos“, testualmente, CIRILLO, op. ult. cit. (315) Definibile quale rapporto esterno intercorrente tra organi individuali di grado diverso, allĠinterno (generalmente) di uno stesso ramo dellĠAmministrazione. UnĠeccezione a tal ultima regola viene ravvisata, da alcuni, nel vincolo gerarchico che lega il Prefetto anche ad altri Ministri diversi da quello dellĠInterno, rapporto che la dottrina generalmente riconduce alla nozione di dipendenza funzionale. (316) PIGA, Coordinamento (principio del), in Enc. Giur. IX, Roma 1988, pp. 1 ss. ne parla come di semplice attributo di altre forme ÒtipicheÓ di rapporto interorganico: in particolare, lĠattribuzione legislativa di un potere di emanare direttive a fini di coordinamento consentirebbe, secondo lĠAutore, di ricondurlo nellĠambito della direzione. Il ÒcoordinamentoÓ non sarebbe dunque unĠautonoma forma organizzatoria, bens“ una semplice potestˆ esercitabile nellĠambito di schemi ordinatori preesistenti. Altra dottrina ha pensato di fondare tale interpretazione sul disposto degli artt. 16, comma primo lett. e), e 17 comma primo lett. d) del D.lgs. 165/2001 che, in materia di pubblico impiego statale, definisce il coordinamento come attributo del potere di direzione dei Dirigenti generali. La tesi non appare per˜ fondata, in ragione sia della portata settoriale del D.lgs. 165/01 (che osta alla possibilitˆ di desumervi un principio di carattere generale), sia dellĠespressa riferibilitˆ di tali disposizioni ad un rapporto interorganico, laddove il coordinamento di cui si tratta ha invece ad oggetto lĠazione di soggetti appartenenti a diverse Amministrazioni, e comunque non legati tra loro da alcun vincolo di natura gerarchica (comĠ invece il caso dei Dirigenti generali e di quelli semplici, nellĠordinamento per Dicasteri cui si riferiscono le norme citate). modulo organizzativo nel quale un soggetto ha la potestˆ di emanare direttive nei confronti di terzi, la cui obbligatorietˆ non  per˜ assoluta come nel caso degli ordini, essendo possibile discostarsene previa adeguata motivazione. In questi termini, la figura del coordinamento non assumeva ancora un rilievo autonomo, continuando ad essere ricondotta ad un rapporto di sovraordinazione (sia pur tendenziale) che si esprime nellĠadozione di direttive, strumentali alla funzione di indirizzo. Anche questa ricostruzione non pu˜ per˜ dirsi corretta, poichŽ la funzione di coordinamento (consistente nellĠarmonizzare attivitˆ diverse, superando contrasti e divergenze di metodo)  cosa diversa da quella di indirizzo (che si traduce nel prefissare un obiettivo, senza per˜ individuare le concrete modalitˆ per raggiungerlo (317)): a tal proposito appare decisiva - anche in relazione al correlato potere ordinatorio dellĠAutoritˆ di P.S. - la progressiva presa di coscienza del collegamento dellĠattivitˆ amministrativa al potere di direzione politica del Governo (ex art. 95 Cost.) secondo criteri di imparzialitˆ (art. 97 Cost.) che assicurino il perseguimento degli obiettivi istituzionali senza distinzioni arbitrarie nei confronti degli amministrati, in attuazione del principio di cui allĠart. 3 Cost. Questi principi portano - con specifico riguardo alla funzione di coordinamento amministrativo - al consolidamento del presupposto della piena e sostanziale equiordinazione dei soggetti da coordinare, da cui consegue che nessuno di essi pu˜ disporre di un potere di sovraordinazione (e/o direzione) rispetto agli altri, essendo per contro tutti egualmente sottordinati agli organi di indirizzo politico (la cd. ÒCivil AuthorityÓ, nel diritto anglosassone). In merito invece al correlato potere ordinatorio (che del coordinamento talvolta rappresenta una modalitˆ operativa), gli stessi principi comportano il progressivo ridimensionamento dellĠautonomia valutativa dellĠAutoritˆ amministrativa, posto che lĠassoggettamento del suo operato al principio di legalitˆ (adesso costituzionalmente imposto) tendenzialmente esclude la disponibilitˆ sia della scelta del provvedimento da adottare, sia del relativo contenuto. Significativa dottrina (318) ha evidenziato come sin dalle origini la ÒsicurezzaÓ sia stata considerata dal legislatore un fatto di organizzazione ammini (317) La potestˆ di ÒindirizzoÓ, nel diritto amministrativo,  cosa diversa da quella di ordine, tipica della relazione gerarchica, poichŽ consiste nellĠemanare delle semplici direttive con le quali non vengono pi imposti dei puntuali comportamenti, ma sono fissati gli obiettivi concreti da perseguire, al pi con ordine di prioritˆ. Per lĠeffetto i destinatari della direttiva (tecnicamente sottordinati allĠorgano dirigente, ma non anche suoi subordinati) conservano un margine pi o meno ampio di autonomia, in relazione ai modi ed ai tempi dellĠazione (tantĠ che lĠorgano sottoposto a direzione pu˜ comunque disattendere la direttiva, purchŽ motivatamente, ove in contrasto con i propri fini istituzionali o per altri validi motivi). (318) GIUPPONI, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna 2008. Cfr. anche CHIAPPETTI, LĠattivitˆ di polizia. Aspetti storici e dogmatici, Padova 1973. strativa (319), tanto nellĠassetto accentrato dello Stato assolutista (nel quale lĠAutoritˆ di governo, unica interprete delle esigenze della collettivitˆ, ha sia la capacitˆ di dettare norme speciali ad hoc, sia di portarle ad esecuzione tramite lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza), quanto nei regimi parlamentari inclusivi, nei quali si assiste ad un ulteriore fenomeno, lĠiniziale tendenza a Òcircoscrivere le questioni concernenti la sicurezza nellĠambito dellĠamministrazione interna di polizia, riconoscendo autonomia, da un lato, sia allĠapparato militare di difesa esterna (costituito e organizzato secondo principi e norme del tutto peculiari, vero e proprio ordinamento speciale), sia, dallĠaltro, alla diversa funzione di repressione degli illeciti penali spettante allĠautoritˆ giudiziariaÓ. La distinzione tra le funzioni di sicurezza ÒinternaÓ ed ÒesternaÓ, peraltro, come si  visto in precedenza, secondo il Òmodello europeoÓ  destinata a stemperarsi notevolmente. Come efficacemente rilevato (320), lĠAutoritˆ amministrativa nel nuovo assetto costituzionale  chiamata ad assolvere le proprie funzioni esecutive attraverso lĠesercizio discrezionale (321) della potestˆ di cui  investita, in linea con lĠindirizzo generale del Governo. La discrezionalitˆ si traduce nellĠautonoma determinazione dei contenuti del provvedimento da adottare per lĠassolvimento della propria missione istituzionale, nel puntuale rispetto dei principi generali dellĠordinamento giuridico e nei limiti delle competenze attribuite per legge (ex artt. 97 e 98 Cost.). In questi termini, nellĠesercizio delle potestˆ ordinatoria e di coordinamento entrano in gioco nuovi principi, mutuati anche dallĠordinamento sovranazionale, in primis quello di trasparenza, principale corollario dellĠimparzialitˆ. Del resto, a seguito delle riforme del 1998 e 2001 sulla struttura generale dellĠAmministrazione dello Stato, il rapporto tra organi amministrativi non viene (pi) configurato in termini gerarchici, bens“ di competenza: orbene, un tale mutamento di prospettiva non pu˜ non coinvolgere anche lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza ed i rapporti tra questa e gli operatori che vi contribuiscono, in primis le Forze di polizia. Queste ultime, infatti, sono dotate di competenza generale nei rispettivi ordinamenti (322), incontrano gli stessi limiti e sono sottoposte ai medesimi vincoli (in primis il rispetto dei principi dello Stato di diritto, etc.). (319) In termini generali, si veda anche CORSO, Polizia di sicurezza, in Dig. Disc. Pubbl. XI, Torino 1996, pp. 319 ss.. (320) Sul punto LO TORTO, La potestˆ ordinatoria tra autoritativitˆ ed autorevolezza, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 8. (321) Laddove per discrezionalitˆ amministrativa si intende, secondo giurisprudenza consolidata, la possibilitˆ di individuare, tra pi soluzioni egualmente legittime (in quanto prefissate dal legislatore), quella che meglio si attaglia, anche in termini di opportunitˆ, al caso di specie, consentendo un ottimale contemperamento degli interessi coinvolti (id est, la minor lesione possibile di quelli soccombenti). In questa logica si iscrive lĠarticolata attribuzione di potestˆ ai soggetti che operano nel particolare sistema di cui trattasi: Òla conformazione al modello ordinamentale dello Stato di diritto esclude irreversibilmente ogni possibile giustificazione dellĠesercizio dispositivo dellĠattivitˆ esecutiva, ed impone che anche lĠattivitˆ ordinatoria, in quanto destinata ad incidere sugli interessi degli amministrati, debba trovare fondamento nella legge, che ne determina estensione e limitiÓ (323). Il potere di ordinanza Òextra ordinemÓ, in quanto idoneo a derogare (seppur temporaneamente) a norme dispositive di legge,  un attributo esclusivo dellĠAutoritˆ di governo, comĠ vero che viene riservato al Prefetto ed al Ministro dellĠInterno (artt. 2 e 216 del R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, nonchŽ per il primo - giˆ ex artt. 19 e 20 del R.D. 383 del 3 marzo 1934); coerentemente, ne sono invece privi i soggetti cui spettano compiti esecutivi (ovverosia le Forze di polizia), ivi compreso il Questore nelle sue attribuzioni - puramente tecniche e non di indirizzo - di Autoritˆ di P.S. (cfr. infra). Sulla base di queste premesse lĠAlta Corte (324) ha definito i limiti del potere di ordinanza prefettizia ex art. 2 TULPS, precisando che i provvedimenti contingibili ed urgenti non possono comunque contrastare con i principi fondamentali dellĠordinamento, nŽ incidere in materie coperte da riserva assoluta di legge; nei settori per i quali il Costituente ha previsto una prevalenza solo tendenziale della riserva di legge (riserva cd. relativa),  comunque necessario che la legge indichi dei Òcriteri appropriati a delimitare la discrezionalitˆ dellĠorgano investito del relativo potereÓ. Le ordinanze in questione non sono espressione della potestˆ normativa di governo, ma solamente di un potere amministrativo, non esercitabile al di fuori dei casi previsti dalla legge. Integrano dunque unĠeccezionale potestˆ in deroga, che per˜ non consente (pi) di superare il disposto della legge ordinaria per adattarlo alle esigenze del caso concreto, ma solo di intervenite in via autoritativa per far fronte a situazioni parimenti eccezionali che non possono essere gestite con i mezzi ordinari. Il che implica che i provvedimenti deroga- tori avranno necessariamente efficacia circoscritta nel tempo, limitata alla so (322) Ci˜ vale perlomeno per le due principali, a competenza generale: per lĠArma dei Carabinieri, cfr. i D.lgss. nn. 297 (ÒNorme in materia di riordino dell'Arma dei CarabinieriÓ) e 298 (ÒRiordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli Ufficiali dei CarabinieriÓ), entrambi del 5 ottobre 2000, nonchŽ la legge-delega n. 78 del 31 marzo 2000, testi poi recepiti e riordinati nel Codice dellĠOrdinamento Militare (D.lgs. n. 66/2010) e relativo Testo Unico Regolamentare (D.P.R. 90/2010); per la Polizia di Stato, la legge 1Ħ aprile 1981, n. 121 (gli artt. 24 ss.), nonchŽ il D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782 (ÒApprovazione del regolamento di servizio dellĠAmministrazione della Pubblica SicurezzaÓ). La Guardia di Finanza ha invece competenza generale esclusivamente Òin materia economica e finanziaria sulla base delle peculiari prerogative conferite dalla leggeÓ (cos“ lĠart. 1, comma primo, del D.lgs. 19 marzo 2001, n. 68). (323) LO TORTO, op. ult. cit., p. 9. (324) Ex multis, Corte Cost. n. 8 del 20 giugno 1956 e n. 26 del 23 maggio 1961. luzione dellĠemergenza contingente e senza possibilitˆ di incidere nel quadro normativo generale. Il potere ordinatorio prefettizio in materia di ordine e sicurezza pubblici  dunque legato ad una decisione di indirizzo del Governo, cui corrisponde una precisa responsabilitˆ politica. Pi di recente, sempre in materia di sicurezza, il principio  stato ribadito dallĠart. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione civile, nel prevedere che ÒAl verificarsi degli eventi di cui allĠarticolo 2, comma 1, lettera c), il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega ai sensi del- lĠarticolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territorialeÓ. A tal fine il Consiglio dei Ministri pu˜ provvedere Òanche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dellĠordinamento giuridicoÓ. Le ordinanze Òin derogaÓ vanno comunque motivate. Il legislatore ha stabilito inoltre che lĠesercizio delle potestˆ in deroga necessariamente presuppone un atto politico (con conseguente assunzione di responsabilitˆ), in quanto circoscritto agli interventi richiedenti lĠesercizio di poteri straordinari (ex art. 2, comma primo, lett. a e b della legge 225/92). Ne connsegue (conformemente, del resto, a quanto si verifica nella quasi totalitˆ degli ordinamenti improntati ai principi dello Stato di diritto individuati dallĠOSCE) che sia il potere ordinatorio che quello di coordinamento - relativamente al settore sicurezza - sono predicati della sola Autoritˆ di governo, e non anche degli organi esecutivi (anche solo per effetto di delega). Ci˜ premesso, la tesi pi accreditata e recente (325) supera le contraddizioni delle precedenti interpretazioni sul tema del coordinamento alla luce delle finalitˆ indicate dallĠart. 97 Cost., evidenziando come se ne possa parlare solo quando i soggetti coinvolti siano tra loro assolutamente equiordinati e non invece quando lĠuno si trovi, rispetto allĠaltro, in una posizione di (pur tendenziale) subordinazione, come ancora si verifica in un rapporto di direzione, avente mero carattere procedimentale. Questa ricostruzione trova conforto anche nel modello di coordinamento (325) In dottrina si vedano SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1989, pp. 237 ss. e CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2009, pp. 118 ss.. In questĠottica il coordinamento rappresenta una relazione organizzativa che intercorre tra organi posti tra loro in rapporto di assoluta equiordinazione e titolari di competenze che, pur essendo autonome e distinte, necessitano di essere ricondotte allĠinterno di un disegno unitario in vista della realizzazione di un interesse comune, per conferire coerenza e sistematicitˆ allĠattivitˆ della Pubblica amministrazione. In relazione alla funzione politica si veda invece MANGIAMELI, LĠindirizzo e coordinamento: una funzione legislativa costituzionalizzata dalla Corte, in Giur. Cost. 1997, pp. 1131 ss. e GABRIELE, Indirizzo e coordinamento (dir. cost.), in Dizionario di diritto pubblico (a cura di CASSESE), IV, Milano 2006, pp. 3082 ss. amministrativo descritto dalla normativa comunitaria (cfr. infra). In base a tale orientamento, ormai pacifico, per coordinamento si intende la specifica formula organizzatoria con cui vengono gestite, nel diritto amministrativo, le relazioni interorganiche (o intersoggettive) nelle quali  necessario salvaguardare lĠautonomia dei soggetti coordinati ed insieme la possibilitˆ di un loro indirizzo unitario a determinati fini comuni (326):  quindi inconciliabile con lĠesistenza di un rapporto gerarchico, nel quale lĠordine viene imposto e non - come nel coordinamento - cercato insieme con altri, la cui collaborazione  essenziale per il raggiungimento del risultato comune. Sia il coordinare che lĠordinare sono attivitˆ finalizzate al raggiungimento di un ordine, con la particolaritˆ che coordinando si raggiunge un ordine condiviso. Accettando di essere coordinati, i soggetti coinvolti rinunciano consapevolmente ad una parte della propria autonomia, poichŽ il fine che si intende raggiungere, e che tutti condividono, viene ritenuto pi importante degli obiettivi che ciascuno di essi potrebbe perseguire singolarmente, se non riconoscesse le limitazioni di cui si  detto (327). La funzione di coordinamento riguarda quindi ipotesi in cui i soggetti pubblici coinvolti sono tutti titolari di una potestˆ (328), alla quale per˜ non corrisponde - parallelamente e reciprocamente - una situazione di soggezione: il che accade nei casi in cui la cura di un determinato interesse pubblico non  esclusiva di un solo organo, ma viene attribuita ad una pluralitˆ di soggetti tra loro indipendenti ed equiordinati. Non pu˜ quindi parlarsi di coordinamento se non in presenza di soggetti collocati in posizione giuridica e funzionale assolutamente paritaria, principio questĠultimo che, come si  avuto modo di approfondire, rappresenta non solo un elemento caratteristico delle pi recenti politiche di polizia internazionale, ma direttamente il presupposto imprescindibile delle strategie di sicurezza dellĠUnione Europea, a partire dal Consiglio Europeo di Santa Maria da Feira (1999) in poi. (326) Cos“ BACHELET, op. cit., p. 635. Per quanto attiene il settore della pubblica sicurezza, si veda anche ROMANO, Il ruolo di coordinamento del Prefetto tra storia e prospettive future, in Instrumenta n. 24/2004, pp. 841 ss.. (327) Cos“ DE PAOLA, Il ruolo del Prefetto nel sistema della sicurezza pubblica. Le funzioni del Comitato provinciale per lĠordine e la sicurezza pubblica nel nuovo quadro ordinamentale delle autonomie locali, Roma 2006, p. 47. (328) Ad esempio, i rapporti intercorrenti tra le Direzioni generali di uno stesso Ministero, ovvero tra pi soggetti appartenenti ad Amministrazioni diverse ma tutti competenti alla cura del medesimo interesse pubblico. A.2) IL MODELLO DI COORDINAMENTO NELLE FONTI DELLĠUNIONE EUROPEA. CONCLUSIONI. Lo strumento del coordinamento  tipico del diritto dellĠUnione Europea, essendo impiegato nel cd. Òdiritto primarioÓ (o diritto ÒcostituzionaleÓ dei Trattati) nellĠidentificare determinate competenze dellĠUnione. In particolare, lĠart. 6 TFUE, introdotto dal Trattato di Lisbona nel quadro di una complessiva riorganizzazione sistematica delle attribuzioni, istituisce in capo allĠUnione delle Òcompetenze complementariÓ nei seguenti termini: ÒLĠUnione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri. I settori di tali azioni, nella loro finalitˆ europea, sono i seguenti: a) tutela e miglioramento della salute umana; b) industria; c) cultura; d) turismo; e) istruzione, formazione professionale, giovent e sport; f) protezione civile; g) cooperazione amministrativaÓ. Un ruolo speciale riveste poi il coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali, al quale  dedicato il precedente art. 5 TFUE, che cos“ dispone: Ò1. Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nellĠambito dell'Unione. A tal fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare gli indirizzi di massima per dette politiche. Agli Stati membri la cui moneta  l'euro si applicano disposizioni specifiche. 2. LĠUnione prende misure per assicurare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati membri, in particolare definendo gli orientamenti per dette politiche. 3. LĠUnione pu˜ prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membriÓ. Specifiche norme disciplinano inoltre i tre settori sovra considerati (in particolare, gli artt. 121, 148 e 153 TFUE). BenchŽ nelle materie rientranti nella competenza complementare del- lĠUnione possano adottarsi anche provvedimenti di carattere legislativo, eventualmente secondo la procedura ordinaria (ad es. nel caso dellĠart. 173 TFUE, in materia di politica industriale), di regola non  invece possibile porre in essere delle misure finalizzate ad armonizzare tra loro le specifiche normative di settore nazionali. Quanto sopra pare rispondere alla preoccupazione di stabilire precisi limiti alle competenze dellĠUnione in settori considerati sensibili dagli Stati membri. A ci˜ aggiungasi che in alcune materie, quali le politiche sociali ed occupazionali, giovent, istruzione e formazione, si  applicato, a partire dal 1998 (e rafforzato con lĠadozione della Òstrategia di LisbonaÓ nel 2000 (329)), il c.d. Òmetodo aperto di coordinamentoÓ (MAC), uno strumento non vincolante di co (329) LĠarchivio delle relative fonti giuridiche  su http://eur-lex.europa.eu/it/dossier/dossier_13.htm. ordinamento delle politiche pubbliche degli Stati membri consistente nello scambio di informazioni e best practices. LĠart. 148 TFUE (ex art. 128 TCE) rappresenta un esempio di tale meccanismo nellĠarea delle politiche per lĠoccupazione: Ò1. In base a una relazione annuale comune del Consiglio e della Commissione, il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione dell'occupazione nell'Unione e adotta le conclusioni del caso. 2. Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo, il Consiglio, su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle regioni e del comitato per l'occupazione di cui all'articolo 150, elabora annualmente degli orientamenti di cui devono tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione. Tali orientamenti sono coerenti con gli indirizzi di massima adottati a norma dell'articolo 121, paragrafo 2. 3. Ciascuno Stato membro trasmette al Consiglio e alla Commissione una relazione annuale sulle principali misure adottate per l'attuazione della propria politica in materia di occupazione, alla luce degli orientamenti in materia di occupazione di cui al paragrafo 2. 4. Il Consiglio, sulla base delle relazioni di cui al paragrafo 3 e dei pareri del comitato per l'occupazione, procede annualmente ad un esame dell'attuazione delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione alla luce degli orientamenti in materia di occupazione. Il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, pu˜, se lo considera opportuno sulla base di detto esame, rivolgere raccomandazioni agli Stati membri. 5. Sulla base dei risultati di detto esame, il Consiglio e la Commissione trasmettono al Consiglio europeo una relazione annuale comune in merito alla situazione dell'occupazione nell'Unione e all'attuazione degli orientamenti in materia di occupazioneÓ. Infine, il coordinamento tra le politiche economiche degli Stati membri rientra tra le materie disciplinate dal Trattato sulla stabilitˆ, il coordinamento e la governance (c.d. ÒFiscal CompactÓ) concluso nel marzo 2012: accanto alle pi note disposizioni in tema di disciplina fiscale e relativi meccanismi di controllo e sanzione, il Trattato contiene infatti un Titolo IV, intitolato ÒCoordinamento delle politiche economiche e convergenzaÓ, composto dai seguenti tre articoli: art. 9 ÒBasandosi sul coordinamento delle politiche economiche, quale definito dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, le parti contraenti si impegnano ad adoperarsi congiuntamente per una politica economica che favorisca il buon funzionamento dell'unione economica e monetaria e la crescita economica mediante una convergenza e una competitivitˆ rafforzate. A tal fine le parti contraenti intraprendono le azioni e adottano le misure necessarie in tutti i settori essenziali al buon funzionamento della zona euro, perseguendo gli obiettivi di stimolare la competitivitˆ, promuovere l'occupazione, contribuire ulteriormente alla sostenibilitˆ delle finanze pubbliche e rafforzare la stabilitˆ finanziariaÓ; art. 10 ÒConformemente alle disposizioni dei trattati su cui si fonda lĠUnione europea, le parti contraenti sono pronte ad avvalersi attivamente, se opportuno e necessario, di misure specifiche agli Stati membri la cui moneta  lĠeuro, come previsto allĠarticolo 136 del Trattato sul funzionamento dellĠUnione europea, e della cooperazione rafforzata, come previsto allĠarticolo 20 del Trattato sullĠUnione europea e agli articoli da 326 a 334 del Trattato sul funzionamento dellĠUnione europea, nelle materie essenziali al buon funzionamento della zona euro, senza recare pregiudizio al mercato internoÓ; art. 11 ÒAi fini di una valutazione comparativa delle migliori prassi e adoperandosi per una politica economica pi strettamente coordinata, le parti contraenti assicurano di discutere ex ante e, ove appropriato, coordinare tra loro tutte le grandi riforme di politica economica che intendono intraprendere. A tale coordinamento partecipano le istituzioni dellĠUnione europea in conformitˆ del diritto dell'Unione europeaÓ. In relazione alla citate norme del TFUE (per lĠapprofondimento tematico delle politiche di sicurezza dellĠUE si rimanda alla prima parte di questo lavoro) lĠattivitˆ di coordinamento  svolta dallĠUnione e talora, pi specificamente, da una sua Istituzione quale il Consiglio, laddove i soggetti coordinati sono gli Stati membri (o le loro Istituzioni di vertice), sicchŽ sarebbe del tutto fuorviante inquadrarla in rapporti di tipo ÒgerarchicoÓ: la funzione di coordinamento presuppone infatti, nel diritto dellĠUnione, un rapporto di assoluta pariordinazione tra i soggetti coordinati e la sua adozione come strumento della governance economica europea comprova lĠinadeguatezza di una configurazione di tipo gerarchico a cogliere i rapporti tra coordinatore e coordinati, ovvero lĠarticolazione delle rispettive competenze. Un esempio di ci˜  dato dal giˆ richiamato Òmetodo aperto di coordinamentoÓ (MAC), strumento col quale Commissione, Consiglio e Consiglio Europeo hanno cercato di promuovere il coordinamento delle politiche degli Stati membri in materia sociale, a partire dalla seconda metˆ degli anni novanta: si basa - mutuando il modello del coordinamento delle politiche per lĠoccupazione giˆ previsto dal Trattato di Amsterdam - su cicli iterativi con periodicitˆ variabile che prevedono, per ciascun settore di policy cui il metodo viene applicato, la fissazione a livello europeo di linee guida ed obiettivi, la presentazione da parte degli Stati membri di piani nazionali dĠazione volti allĠattuazione di tali obiettivi, la valutazione inter partes (cd. Òpeer reviewÓ) di tali piani da parte dellĠinsieme degli Stati membri ed infine degli esercizi di valutazione congiunta da parte di Commissione e Consiglio (330). (330) In questi termini, SACCHI, Il metodo aperto di coordinamento, URGE/Moncalieri 2006, p. 2. In argomento si veda anche RADAELLI, The Open Method of Coordination: A new governance architecture for the European Union?, SIEPS/Stockholm 2003. Un tal metodo di azione, esteso nel tempo ad un numero sempre crescente di materie (ad es. ricerca ed innovazione, politiche pensionistiche, assistenza sanitaria, lotta alla povertˆ, etc. (331)), rappresenta lĠarchetipo (332) del modello di coordinamento nel sistema giuridico comunitario, poichŽ ha lĠenorme vantaggio di neutralizzare eventuali forme di competizione autoreferenziale tra i soggetti da coordinare: procede infatti attraverso lo scambio delle cd. best practicies tra i soggetti coinvolti, in unĠottica di apprendimento reciproco che in nessun modo  in grado di intaccare la loro sovranitˆ ed lĠindipendenza delle parti coinvolte. Trattandosi di procedure fondate sullĠaccordo delle parti, i singoli Governi nazionali rimangono titolari di un potere di decisione per il quale assumono una specifica responsabilitˆ politica nei confronti dei propri cittadini, con ci˜ minimizzando per contro il rischio di unĠintrusione in tali ambiti di Commissione e Corte di Giustizia. Di converso, la normativa UE individua nellĠorganismo di indirizzo politico ÒterzoÓ (il Consiglio Europeo) lĠorganismo deputato al coordinamento ed alla guida del sistema, Òper garantire la coerenza globale e lĠefficace controllo dei progressi finalizzati al conseguimento del nuovo obiettivo strategicoÓ (cos“ al p.to 36 delle Conclusioni). Ulteriore esempio di come la normativa UE concepisca la ratio della funzione di coordinamento in chiave paritetica e ÒvolontaristicaÓ, in special modo nel settore sicurezza,  lĠart. 73 TFUE, a mente del quale ÒGli Stati membri hanno la facoltˆ di organizzare tra di loro e sotto la loro responsabilitˆ forme di cooperazione e di coordinamento nel modo che ritengono appropriato tra i dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni responsabili per la salvaguardia della sicurezza nazionale. Il Consiglio adotta misure al fine di assicurare la cooperazione amministrativa tra i servizi competenti degli Stati membri nei settori di cui al presente titolo e fra tali servizi e la Commissione. Esso delibera su proposta della Commissione, fatto salvo l'articolo 76, e previa consultazione del Parlamento eu (331) Il metodo di coordinamento in questione viene utilizzato anche in settori chiave del Òsistema sicurezzaÓ quali le politiche di immigrazione ed asilo, in ambito FSJ (cfr. retro). Va per˜ precisato che il mancato raggiungimento degli obiettivi del MAC non dˆ luogo a sanzioni - se non di carattere politico -non potendo lo Stato membro essere convenuto in giudizio, per tale evenienza, avanti alla Corte di Giustizia UE. (332) In particolare, il MAC viene codificato e riconosciuto, al p.to 7 delle Conclusioni della Presidenza, come strumento di governance dellĠUE dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000: ÒQuesta strategia potrˆ essere attuata migliorando i processi esistenti, introducendo un nuovo metodo di coordinamento aperto a tutti i livelli, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del Consiglio europeo ai fini di una direzione strategica pi coerente e di un efficace monitoraggio dei progressi compiuti. Una riunione del Consiglio europeo che si terrˆ ogni primavera definirˆ i pertinenti mandati e ne garantirˆ il follow-upÓ. Documentazione su http://www.consilium.europa. eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm. Per una sintesi introduttiva, cfr. http://europa.eu/legislation_summaries/glossary/open_method_coordination_it.htm ropeoÓ (333), norma questĠultima che si inquadra nel cd. sistema costituzionale ÒmultilivelloÓ dellĠUE (334). Quanto sopra trova conferma nel pi recente approccio di ÒgovernanceÓ europea (o Ògouvernance civileÓ, nellĠaccezione francese) - come codificato dal Consiglio UE nel relativo ÒLibro biancoÓ del 2001 [doc. COM(2001) 428 definitivo/2 (335)] - intesa quale Òinsieme di norme, processi e comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze vengono esercitateÓ, soprattutto per quanto riguarda lĠapertura, la partecipazione, la responsabilitˆ, lĠefficacia e la coerenza nel processo di elaborazione delle politiche del- lĠUnione, principi che rafforzano quelli di sussidiarietˆ e proporzionalitˆ, giˆ previsti nei Trattati istitutivi. Il sistema di ÒgovernanceÓ  strettamente legato alla funzione di coordinamento (336) e presuppone il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati nelle tre fasi dellĠinformazione (comunicazione e trasparenza), della consultazione (partecipazione) e dellĠimplementazione delle decisioni. Si  cos“ imposta una considerazione pi attenta ai diversi livelli territoriali di governo (Òmultilevel governanceÓ) senza per˜ interferire con gli ordinamenti interni degli Stati membri: da qui la previsione di forme di dialogo tra la Commissione e le associazioni europee e nazionali delle Amministrazioni regionali e locali. Una maggiore responsabilitˆ degli attori-Stati, ma anche di cittadini ed imprese,  parimenti implicita nellĠadozione del giˆ menzionato Òmetodo aperto di coordinamentoÓ, impostato nel Òlibro biancoÓ e sviluppato in seguito al Summit europeo di Lisbona del 2000. Tutto ci˜ premesso, resta da chiedersi con quali modalitˆ (337) possa in concreto realizzarsi il coordinamento amministrativo, con particolare accento sul Òsettore sicurezzaÓ. (333) Parte della dottrina (LADENBURGER, Police and Criminal Law in the Treaty of Lisbon. A New Dimension for the Community Method, in EuConst 4/2008, p. 36) ritiene che tale principio valga principalmente per i servizi di intelligence. (334) SullĠargomento, cfr. PERNICE, The Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, Berlin/Princetown 2001. Dello stesso Autore, Multilevel Constitutionalism in the European Union, Berlin, WHI Paper 2/2002. (335) Pubblicato su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2001/com2001_0428it02.pdf. (336) Con il concetto extragiuridico di governance, di ascendenza anglosassone, si intende il perseguimento di un obiettivo unitario a fronte di una realtˆ complessa, espressione di interessi pluriarticolati. Si tratta di un metodo operativo - sotto pi profili analogo alla funzione amministrativa di coordinamento - attraverso il quale le differenti posizioni di pi soggetti sociali sono tradotte in scelte politiche effettive (secondo la definizione di KOHLER-KOCH ed ESING, The Transformation of Governance in the European Union, London 1999, pp. 267 ss.) tramite forme di cooperazione ed interazione tra Stato e soggetti pubblici o privati (anche collettivi), al di fuori del modello gerarchico. (337) Con riferimento specifico al coordinamento delle Forze di polizia si rinvia, per approfondimenti, allo studio di MOSCA, Il coordinamento delle Forze di polizia, Padova 2005, nonchŽ allĠefficace sinossi di FAVARO, Il Coordinamento delle Forze di Polizia, Lido di Ostia 2003 (su http://www.gdf.gov.it/repository/contentmanagement/ information/n60981200/il_coordinamento_delle_forze_di_polizia.pdf). Due, in particolare, sono i modelli generalmente adottati: il primo (prevalente nella legislazione dellĠUE) consiste in un accordo tra gli stessi soggetti la cui attivitˆ va coordinata, generalmente raggiunto in seno ad organi collegiali o mediante atti di concerto; in alternativa si ricorre ad un soggetto terzo che svolga in maniera imparziale il ruolo di coordinatore. Il primo modello viene anche attuato in presenza di forme di decentramento amministrativo, soprattutto quando si tratti di riconoscere ai soggetti coinvolti un potere di indirizzo politico-generale, ovvero di alta amministrazione; il secondo viene invece preferito a fronte di attivitˆ esecutive di un indirizzo politico giˆ definito da organismi diversi, sovraordinati ai soggetti da coordinare. In ogni caso, la funzione di coordinamento ha esclusivamente lo scopo di favorire lĠazione complementare (non necessariamente la collaborazione) di diversi soggetti tra loro equiordinati, nel momento in cui possano esservi forme di contatto, eliminando potenziali contrasti o anche soltanto ostacoli di carattere procedimentale: ci˜ pu˜ avvenire o attribuendo ad un terzo - estraneo ad entrambe le parti - tale incombenza, ovvero costituendo una struttura collegiale formata proprio da questi ultimi, lasciando agli stessi lĠonere di individuare regole e modalitˆ tramite le quali disciplinare il reciproco intervento. LĠistituto del coordinamento, quindi, pi che una mera formula organizzatoria  a tutti gli effetti un rapporto organizzatorio tra distinte figure soggettive equiordinate, che si instaura nellĠambito di un procedimento pubblicistico per armonizzare le diverse istanze e professionalitˆ di cui sono portatori tali soggetti, onde evitare la frammentazione del- lĠazione amministrativa. Il rapporto, pur avendo unĠautonoma qualificazione giuridica, non necessariamente dˆ luogo ad una struttura organizzativa stabile, ben potendosi esaurire con la conclusione di un singolo procedimento, ma durante la sua vigenza assume comunque carattere vincolante (338) per i soggetti coinvolti. In ogni caso, la formula del ÒcoordinamentoÓ va intesa pi come ÒrisultatoÓ che come modulo organizzatorio (339). Nel sistema della pubblica sicurezza assume poi rilievo la distinta funzione del Òcoordinamento politicoÓ, che nellĠordinamento italiano, ai sensi dellĠart. 95 Cost., compete al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale (338) La natura vincolante del programma concordato tra le parti della cui attivitˆ operativa si tratta (talvolta denominato Òatto di disegno di coordinamentoÓ)  da ritenersi, per giurisprudenza costante (che talvolta parla di condicio sine qua non), un presupposto implicito, pena il venir meno di ogni effettivitˆ nellĠesercizio delle correlate potestˆ pubblicistiche: ci˜ anche laddove la legge nulla preveda al riguardo, neppure in merito al soggetto cui spetti formalmente adottarlo. Nel sistema francese, ove non sia intervenuto un atto atto di concerto direttamente tra i soggetti interessati, si ricorre ad apposite conferenze preliminari di servizi (cfr., in Italia, lĠart. 14 legge 241/90). (339) In argomento si veda PIGA, Premesse ad uno studio sul coordinamento amministrativo, in Foro ammin., 1981, pp. 716 ss. Òdirige la politica generale del Governo e ne  responsabile. Mantiene unitˆ di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando lĠattivitˆ dei MinistriÓ; nel modello costituzionale vigente, in effetti, ogni attribuzione decisionale sullĠindirizzo della pubblica sicurezza  attratta in capo al Governo, che delega operativamente le relative incombenze al Ministro dellĠInterno. QuestĠultimo, come  noto, le esercita avvalendosi delle strutture interne del proprio Dicastero, in particolare dellĠorganico tecnico-strumentale interforze del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Ci˜ spiega perchŽ sia il Ministro - e non il vertice del Dipartimento di P.S. - lĠorgano coordinatore del sistema sicurezza in Italia: il fatto poi che il Ministro dellĠInterno disponga di un potere di coordinamento, ma non anche di ordine nei confronti delle singole Forze di polizia (340),  coerente con il vigente assetto ordinamentale dello Stato, nel quale  venuto meno - da ultimo con D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - ogni vincolo gerarchico tra i Ministri ed i dirigenti dei singoli Dicasteri. LĠart. 3 del Decreto, in particolare, assegna agli Òorgani di governo É le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attivitˆ amministrativa e della gestione agli indirizzi impartitiÓ, laddove ai dirigenti pubblici compete ÒlĠadozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'Amministrazione verso lĠesterno, nonchŽ la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attivitˆ amministrativa, della gestione e dei relativi risultatiÓ. La norma  espressione non solo del principio di buona amministrazione (e responsabilizzazione) di cui allĠart. 97 Cost., ma pure dei principi che ispirano il pi complesso sistema amministrativo comunitario, nel quale viene nettamente separata lĠattivitˆ di indirizzo politico (cui  correlata lĠassunzione di responsabilitˆ per il conforme operato dellĠAmministrazione statale (341)) (340) Il potere di direzione, peraltro, non  riferito alle Forze di polizia presenti sul territorio di una provincia, bens“ ai soli Òservizi di ordine e sicurezza pubblicaÓ (come precisa lĠart. 1, comma primo, della legge121/81). (341) Ai sensi dellĠart. 4 D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ÒGli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attivitˆ amministrativa e della gestione agli indirizzi impartitiÓ; di converso ÒAi dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonchŽ la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attivitˆ amministrativa, della gestione e dei relativi risultatiÓ. A sua volta, lĠart. 14 precisa che ÒIl Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16: a) definisce obiettivi, prioritˆ, piani e programmi da attuare ed emana da quella esecutiva del medesimo, devoluta alla responsabilitˆ di apparati tecnici e professionali che risponderanno del perseguimento o meno degli obiettivi prefissati in sede di indirizzo. La funzione di coordinamento nel settore della pubblica sicurezza non tanto (e non solo)  dovuta alla presenza di pi Forze di polizia, quanto piuttosto allĠinterdisciplinaritˆ della materia, che coinvolge un numero pi o meno elevato di operatori dalle competenze molteplici, cos“ come unĠampia gamma di possibili tipologie di intervento: oltre alle funzioni specifiche delle Forze dellĠordine, infatti, a seconda dei casi troveranno impiego le risorse dei Vigili del fuoco piuttosto che dellĠEsercito o di altre Forze armate (ad es. la Guardia costiera) ovvero ancora le competenze della Protezione civile e di altri organismi pubblici a carattere specialistico. Di ci˜ dˆ piena espressione la vigente normativa dellĠUE in materia di pubblica sicurezza (interna ed esterna); questĠultima, inoltre, nel privilegiare il modello ÒintegratoÓ a pluralitˆ di competenze, secondo parte della dottrina contrasterebbe con un assetto della P.S. tendenzialmente ÒmonisticoÓ nel quale tali attribuzioni vengano attratte sotto la responsabilitˆ diretta di un unico Dicastero, sia perchŽ lĠapparato burocratico chiamato a gestirle - per quanto versatile - non potrebbe mai disporre di sufficienti competenze specialistiche e di idonei apparati di supporto, salvo renderlo elefantiaco (e dunque, alla lunga, inefficiente e costoso), sia per evidenti esigenze di garanzia istituzionale, per cui non sarebbe mai auspicabile unĠeccessiva concentrazione di poteri (tanto pi se idonei ad incidere sulla libertˆ personale dei cittadini) in capo ad un unico centro di direzione e/o interessi, ovvero ad un singolo apparato di sicurezza. Non a caso, del resto, come si avrˆ modo di sottolineare, nessun modello contemporaneo dello Stato di diritto prevede una simile eventualitˆ. In questi termini, la legge 121/81 individua correttamente nel Ministro dellĠInterno non il capo di tutte le Forze di polizia dello Stato (e men che mai -anche solo pro tempore - degli altri soggetti di volta in volta chiamati a prestare servizio), bens“ lĠorgano funzionalmente deputato a tradurre, in materia di pubblica sicurezza, lĠindirizzo politico maturato collegialmente in seno al Governo, tramite il coordinamento degli apparati istituzionalmente tenuti a darvi pratica esecuzione. Alla natura tecnico/ausiliaria attribuita al Dipartimento di P.S. - unitamente alla sua composizione interforze, giacchŽ diversi sono i soggetti istituzionali che costantemente attendono allĠesecuzione delle direttive governative - do- le conseguenti direttive generali per l'attivitˆ amministrativa e per la gestione É Per lĠesercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400 É Il Ministro non pu˜ revocare, riformare, riservare o avocare a sŽ o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti É Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimitˆÓ. vrebbe quindi corrispondere un assetto organizzativo funzionale allĠespletamento delle funzoni di supervisione e coordinamento operativo cui  deputato. La funzione di coordinamento amministrativo esercitata dal Ministro dellĠInterno presuppone per˜ il preventivo coordinamento politico svolto dal Presidente del Consiglio dei Ministri - ex art. 95 Cost. - nel risolvere gli eventuali conflitti di interessi tra questi ultimi, posto che lĠindividuazione di una politica unitaria di sicurezza spetta allĠorgano collegiale e non al singolo Dicastero (in tal senso lĠart. 1 comma terzo della legge 121/81 fa salve Òle competenze del Consiglio dei Ministri previste dalle leggi vigentiÓ). Anche sotto tale profilo costituzionale, dunque, non ha reale pregio giuridico la tesi di chi vorrebbe concentrare nelle mani di un unico Dicastero non solo la dipendenza funzionale ma pure quella ordinamentale e gerarchica di tutte le Forze dellĠordine nazionali. Non a caso la normativa speciale (in primis la legge 15 marzo 1997, n. 59 sulla riforma ÒfederalistaÓ della Pubblica Amministrazione, nonchŽ il D.lgs. attuativo 30 luglio 1999, n. 300), nel considerare la Presidenza del Consiglio ed i singoli Ministeri in una prospettiva unitaria, rafforza il ruolo - anche amministrativo - della prima, riconoscendole una vera e propria funzione di monitoraggio e coordinamento dellĠattuazione delle politiche di governo. Conclusivamente, alla luce di quanto documentato nei primi due Capitoli si possono cos“ sintetizzare i caratteri fondamentali del Òmodello sicurezzaÓ elaborato in ambito sovranazionale, sul presupposto che -sebbene le Istituzioni dellĠUnione Europea non abbiano alcun titolo a sindacare le scelte degli Stati membri per quanto concerne allocazione, ordinamento e competenze delle relative Forze dellĠordine - appare pur sempre coerente con il principio di leale cooperazione di cui allĠart. 4 TUE implementare un assetto interno della pubblica sicurezza in linea con tali parametri, in quanto idoneo a meglio rapportarsi con le istanze comunitarie: 1) necessaria distinzione tra organi di indirizzo politico (ivi inclusi gli organismi ausiliari di alta amministrazione) ed organi con competenze esecutivo/gestionali delle scelte operate dai primi (sia pur specificate dagli organismi ausiliari), con conseguente netta separazione delle relative strutture organizzative e di vertice. 2) Avendo gli organi di indirizzo politico la responsabilitˆ dellĠazione svolta dalle Forze dellĠordine (o, pi in generale, dagli organi esecutivi) in conformitˆ alle loro direttive in materia di sicurezza, agli stessi compete normalmente anche la funzione di coordinarne lĠattivitˆ; in alternativa, la funzione di coordinamento pu˜ essere esercitata sulla base di precedenti intese (di settore) intercorse tra gli stessi organi esecutivi. 3) Nei loro reciproci rapporti, cos“ come nelle relazioni che lĠAutoritˆ di indirizzo intrattiene con ciascuno di essi, questi ultimi sono tra loro assolutamente equiordinati, nellĠambito delle rispettive competenze generali e di settore. 4) Quale conseguenza dei due punti precedenti, non  prevista la possibilitˆ, per un organo esecutivo/gestionale, di svolgere funzioni di coordinamento e/o direzione di altri organi, ai quali sia stata attribuita dalla legge, congiuntamente ad esso, la cura di determinati interessi pubblici. 5) Necessitˆ di superare - tanto sotto il profilo teorico quanto sotto quello della gestione operativa - la tradizionale distinzione tra sicurezza interna ed esterna (e con essa la rigida ripartizione delle sfere di intervento dei relativi operatori), con conseguente sviluppo di un approccio integrato che coniughi le capacitˆ operative di entrambi i settori. 6) Irrilevanza, ai fini dellĠindividuazione dei soggetti deputati ad operare nel settore sicurezza, di questioni relative al loro ordinamento (civile, miltare o misto) ovvero alla loro organizzazione interna (accentrata, decentrata o altro), rilevando esclusivamente le funzioni concretamente svolte (in quanto attribuite dalla legge o dallĠordine legittimo dellĠAutoritˆ a ci˜ preposta nei singoli ordinamenti nazionali). 7) Preferenza - nel settore sicurezza complessivamente inteso (ÒinternoÓ ed ÒesternoÓ) per la creazione e lo sviluppo di organi esecutivo/gestionali aventi capacitˆ multidisciplinari, nel- lĠambito di una medesima linea di comando: in tale contesto viene attribuito un valore aggiunto alle Forze di polizia ad ordinamento integrato civile/militare (ovverosia, alle Forze di gendarmeria) in quanto pi di altre idonee ad implementare i principi di cui ai punti precedenti. Per contro, si assiste ad un tendenziale sfavore per le rigide segmentazioni di competenze operative - di per sŽ antieconomiche e poco efficienti - salve ovviamente le ipotesi di specialitˆ qualificate. Contrariamente a quanto spesso si crede, tali criteri non valgono solo per le politiche dellĠUnione relative agli interventi di stabilizzazione civile/militare allĠestero (missioni di peacekeeping, diplomatiche o altro), ma pi in generale per tutti gli aspetti delle << politiche di sicurezza (o di polizia), comprese quelle "interne" allo spazio comune europeo (nonchŽ dei singoli Stati: settori PESC e FSJ) >>. Ci˜ premesso, si tratta adesso di verificare se - ed in che termini - i vari ordinamenti nazionali (con riferimento, in primis, al cd. ÒG6 europeoÓ) ed in particolare quello italiano siano coerenti con i principi sopra riassunti. 3. Principi generali in materia di pubblica sicurezza: B) lĠordinamento italiano alla luce della legge 121/81 e del TULPS: linee guida, profili storici e problematicitˆ di sistema. B.1) LĠAMMINISTRAZIONE DELLA PUBBLICA SICUREZZA IN ITALIA. Premesso quanto sopra sulla corretta individuazione dei caratteri giuridico/ operativi della funzione di coordinamento e sui principi generali che informano il Òmodello comunitarioÓ della pubblica sicurezza, si pu˜ passare ad un esame degli istituti pi rilevanti previsti dalla normativa nazionale in materia: si esaminerˆ, in primo luogo, lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza, strumento operativo di cui si avvale il Ministro dellĠInterno quale massima Autoritˆ del settore (342) - nellĠassolvere le proprie funzioni (342) LĠart. 1 della legge 1Ħ aprile 1981 n. 121 qualifica il Ministro dellĠInterno Òresponsabile della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblicaÓ nonchŽ ÒAutoritˆ nazionale di pubblica sicurezza. Ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attivitˆ delle Forze di poliziaÓ. Il comma successivo precisa poi che ÒIl Ministro dellĠInterno adotta i provvedimenti per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblicaÓ. in materia di tutela dellĠordine e della sicurezza pubblici (cos“, espressamente, lĠart. 2 della legge 1Ħ aprile 1981 n. 121). La norma, per˜, non ne fornisce alcuna definizione, che va dunque desunta dal complessivo quadro normativo di settore. Si tratta, in buona sostanza, di unĠarticolazione burocratica del Ministero dellĠInterno, strutturata in sede centrale nellĠomonimo Dipartimento di P.S. ed a livello periferico in una serie di uffici, in particolare Prefetture e Questure. Inizialmente, quella che divenne poi la legge 121/81 avrebbe dovuto semplicemente ridefinire lĠassetto organizzativo dellĠallora Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza (predecessore dellĠodierna Polizia di Stato) che, a far seguito alla riforma operata con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383, aveva ordinamento militare ed era strutturato secondo i tradizionali ruoli degli ufficiali (ruolo ordinario e ruolo degli ufficiali medici (343)), dei sottufficiali e della truppa (344), ripristinandone lĠintegrale ordinamento civile. Le funzioni dirigenziali e direttive di pubblica sicurezza facevano per˜ capo a personale estraneo al Corpo, ovverosia i funzionari di P.S. (funzionari civili dellĠAmministrazione dellĠInterno, incardinati in un ruolo ed in una carriera diverse rispetto al suddetto personale militare, ovverosia Questori, Vice Questori e Commissari), analogamente a quanto ancor oggi capita, almeno in parte, per il Corpo della Polizia penitenziaria (laddove il personale di polizia  subordinato gerarchicamente e funzionalmente a dirigenti ÒciviliÓ). I funzionari di P.S., a loro volta, in ragione dellĠappartenenza ai ruoli civili (343) Il ruolo degli Ufficiali (dellĠallora Corpo degli Agenti di P.S.) era stato in realtˆ soppresso con R.D. 11 dicembre 1927, n. 2380, attribuendo il comando dei reparti direttamente al personale civile delle Questure (ossia i funzionari di P.S., le cui attribuzioni verranno precisate con il successivo Regolamento del Corpo del 1930). Il ruolo degli Ufficiali verrˆ ripristinato solamente con legge 26 gennaio 1942, n. 524. (344) La militarizzazione delle Guardie di P.S., lungi dallĠavere una qualche giustificazione ideologica, fu voluta, allĠindomani della fine della seconda Guerra mondiale, per aggirare le disposizioni del Trattato di pace con le Potenze vincitrici, che agli artt. 60, 61 e 65 imponeva una pesante limitazione al numero dei soldati che lĠItalia, quale Nazione sconfitta, poteva arruolare. In effetti, non essendo le Forze di polizia contemplate nelle clausole del diktat, il Governo si serv“ di tale Žscamotage per accrescere di fatto gli organici delle Forze armate, da schierare in caso di necessitˆ. Ci˜ avvenne riesumando, con D.lgs L.gt n. 365 del 2 novembre 1944, il vecchio Corpo delle Guardie di P.S. (del 1852), da quel momento inglobato nelle Forze armate, che successivamente venne ad assorbire il Corpo degli Agenti di P.S. (precedentemente giˆ inserito nelle FFAA con D.L. n. 687 del 31 luglio 1943) ed il Corpo di Polizia Repubblicana (operante dal 1943 al 1945 nella R.S.I.), oltre al Corpo di Polizia dellĠAfrica Italiana - P.A.I. (con D.lgs. L.gt. n. 43 del 13 febbraio 1945), tutti sgraditi agli Alleati poichŽ compromessi con il passato regime, di cui erano stati unĠemanazione per controbilanciare i Carabinieri Reali (il cui giuramento personale al Re li rendeva autonomi dalle strutture del PNF). Anche per contrastare tale deficit dĠimmagine, nel nuovo Corpo di polizia vennero successivamente inseriti elementi delle disciolte Brigate partigiane di liberazione. Parallelamente si provvide, con D.lgs. L.gt. 21 agosto 1945, n. 508, ad apportare alcune modifiche al Corpo degli Agenti di Custodia (dal 1990 Corpo della Polizia penitenziaria), inquadrando pur esso nelle Forze armate dello Stato, tra quelle in servizio di pubblica sicurezza (unitamente a Guardie di P.S., Carabinieri e Guardie di Finanza). dellĠInterno erano gerarchicamente subordinati ai Prefetti (345), dei quali erano, del resto, organi ausiliari. Nel corso dei lavori, per˜, si pens˜ di estendere il campo di intervento anche alla struttura organizzativa del Ministero dellĠInterno, anzichŽ prevedere per questĠultima una disciplina ad hoc, interessando in particolare lĠallora ÒDirezione Generale della Pubblica SicurezzaÓ, che venne sostituita dallĠodierno, omonimo Dipartimento. Questa scelta procedurale, unita ad una tecnica normativa non sempre felice, fu allĠorigine di gran parte delle criticitˆ della legge 121 che, lungi dal risolvere le incompatibilitˆ della normativa previgente con il sopravvenuto sistema costituzionale diede in realtˆ vita ad una sovrapposizione tra due diverse sfere di interesse, con frequente confusione dei confini tra lĠordinamento del Dipartimento di P.S. (cio una struttura di governo) e quello della Polizia di Stato (una delle Forze di polizia statali). LĠevoluzione storica della struttura amministrativa della Publica Sicurezza postunitaria  essenziale per comprendere le ragioni dellĠodierno assetto organizzativo e, nel contempo, per collocare in unĠobiettiva prospettiva giuridica le problematicitˆ che verranno di volta in volta evidenziate. Con R.D. 9 ottobre 1861, n. 255, fu istituita presso il Ministero dellĠInterno la Direzione generale di pubblica sicurezza, retta da un Direttore generale ed articolata per lo svolgimento dei servizi in due Divisioni: una per il personale civile ed una per la polizia amministrativa e giudiziaria. Con R.D. 4 gennaio 1863, n. 1194, la Direzione generale venne soppressa e le funzioni di pubblica sicurezza furono svolte dalle due Divisioni, poste alle dirette dipendenze di un neo-istituito Segretariato generale; peraltro giˆ lĠanno successivo, con R.D. 30 ottobre 1864, n. 1980 la Direzione generale venne ricostituita, per poi essere di l“ a poco denominata -con R.D. 17 luglio 1866, n. 3071 -Direzione superiore di pubblica sicurezza, retta da un Direttore superiore ed articolata in due Divisioni. Con R.D. 23 aprile 1868, n. 4551, la Direzione superiore di pubblica sicurezza fu nuovamente abolita e le sue funzioni passarono direttamente alla Divisione seconda / polizia giudiziaria e amministrativa, mentre le competenze relative al personale passarono alla Divisione prima. Nel 1870 la Divisione seconda assunse il nome di Divisione della pubblica sicurezza e nel 1877, con R.D. 25 giugno, n. 3925, vi confluirono anche le competenze relative al personale. Successivamente al R.D. 7 ottobre 1880, n. 5668, i servizi di pubblica sicurezza vennero a loro volta ripartiti in due Divisioni: la seconda per la polizia giudiziaria e la polizia amministrativa e la terza per il personale di pubblica sicurezza; ad esse si affianc˜ un ufficio per la trattazione degli affari politici che assunse poi la denominazione di Ufficio riservato. Dal 1880 al 1887 un Prefetto in missione diresse i servizi di pubblica sicurezza, non essendo previsto nellĠorganico il ruolo di direttore dei servizi di pubblica sicurezza. Con R.D. 3 luglio 1887, n. 4707 venne nuovamente (e questa volta definitivamente) istituita la Direzione generale di pubblica sicurezza, retta da un Direttore generale, di solito un Prefetto. Negli anni successivi venne istituita la polizia dellĠemigrazione ed un Ufficio (345) Secondo lĠallora previsione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), che confermava la dipendenza delle Questure dalle Prefetture, pur inserendole in uno speciale ruolo tecnico-operativo. esplosivi, mentre la polizia amministrativa - in seguito allĠampliamento delle sue competenze -assunse la denominazione di polizia amministrativa e sociale. Nel 1917 venne creato un ufficio centrale investigazioni, quindi un ufficio per la prevenzione e la repressione dellĠabigeato in Sicilia; vennero anche creati un ufficio valori, un ufficio di polizia ferroviaria ed un ufficio del bollettino delle ricerche. Con R.D.L. 9 ottobre 1919, n. 1846 i servizi della pubblica sicurezza furono ripartiti in cinque Divisioni: gabinetto e servizio ispettivo, affari generali e riservati (che subentrava allĠufficio riservato), polizia giudiziaria, polizia amministrativa e sociale, personale di pubblica sicurezza. Veniva istituito anche un Ufficio informazioni, poi Ufficio confidenziale. Dopo circa tre anni la Divisione polizia giudiziaria e la Divisione polizia amministrativa e sociale tornarono a confluire in unĠunica Divisione di polizia. Con il mutamento del regime politico nel 1922 viene per˜ meno la separazione istituzionale tra vertice della Direzione generale (organo ausiliario del Governo) e vertice delle Forze dellĠordine dipendenti dal Ministero dellĠInterno, che trovava la sua ragion dĠessere nel principio liberale della divisione dei poteri e nella regola per cui gli organi esecutivi non possono mai coincidere con quelli di controllo: con R.D. 11 novembre 1923, n. 2395 il Direttore generale della pubblica sicurezza assunse la denominazione di Intendente generale di polizia e di l“ a poco, con R.D. 20 dicembre 1923, n. 2908, anche quella di Capo della polizia, cumulando le cariche. La ragion dĠessere di tale commistione, come giˆ evidenziato in ordine alla potestˆ ordinatoria del Prefetto, risiedeva nel venir meno della distinzione tra i Poteri legislativo ed esecutivo, con prevalenza funzionale di questĠultimo. Dalla Divisione del personale si staccarono, nel 1926, i Servizi di gestione contratti e forniture, che vennero elevati a Divisione; quindi, in considerazione dei nuovi e pi ampi compiti preannunciati con circolare della Direzione generale n. 12982 del 25 settembre 1925, che sarebbero stati attribuiti alla polizia con lĠapprovazione del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS - del 1931) e della legge istitutiva del Tribunale speciale per la difesa dello Stato (legge 25 novembre 1926, n. 2008), a seguito del R.D.L. 9 gennaio 1927, n. 33 (ÒRiordinamento del personale dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza e dei servizi di poliziaÓ) si ebbe una nuova riorganizzazione dei Servizi della Direzione generale, che venne cos“ strutturata: Segreteria del Capo della polizia da cui dipendevano ispettori generali e regionali, ÒDivisione affari generali e riservatiÓ, ÒDivisione polizia politicaÓ, ÒDivisione poliziaÓ, ÒDivisione del personaleÓ, ÒDivisione polizia di terra e di mareÓ, poi detta Òdi frontiera e trasportiÓ, ÒDivisione Forze armate di poliziaÓ e ÒDivisione gestione contratti e fornitureÓ. Nello stesso anno passava alle dirette dipendenze del Capo del governo il Servizio stenografico, poi ÒServizio speciale riservatoÓ, costituito nel 1925 nellĠambito del Ministero dellĠInterno. Il R.D. 15 aprile 1940, n. 452, relativo alla ripartizione degli uffici dellĠAmministrazione centrale del Ministero - abrogato solo con lĠart. 24 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 conferm˜ infine che la Direzione generale della pubblica sicurezza fosse retta dal Capo della polizia. Con la fine del secondo conflitto mondiale si provvide alla soppressione di alcune strutture non ritenute pi adeguate ai tempi (quali lĠUfficio confino politico e la Divisione polizia politica) e vennero gradualmente ricondotti nellĠambito della pubblica sicurezza i servizi di polizia ferroviaria, stradale, portuale, postelegrafonica espletati precedentemente dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La 1egge 18 giugno 1955, n. 517 e il D.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 stabilirono inoltre le norme per la collaborazione tra lĠAutoritˆ giudiziaria e quella di polizia; con 1egge 7 dicembre 1959, n. 1083 vennero poi istituiti i servizi di polizia femminile e con D.M. 24 aprile 1961 fu approvato lĠOrdinamento interno dei servizi della pubblica sicurezza. Con successivo D.M. 6 ottobre 1965 la Direzione generale venne infine cosi organizzata: Segreteria; 14 Divisioni: affari riservati, affari generali, affari legislativi e documentazione, personale di pubblica sicurezza, Forze armate di polizia, Scuole di polizia, polizia amministrativa, polizia criminale, polizia di frontiera e dei trasporti, gestione contratti e forniture, accasermamento Forze di polizia, servizi tecnici e telecomunicazioni, motorizzazione, assistenza sociale; ispettorato di ragioneria, ispettorato del Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza; Istituti superiori di istruzione. Dipendevano direttamente dalla Direzione generale lĠIspettorato generale di pubblica sicurezza presso la Presidenza della Repubblica, quello presso la Cittˆ del Vaticano e lĠIspettorato generale di pubblica sicurezza presso il Ministero dellĠInterno. Con la legge 121/81 la Direzione generale di pubblica sicurezza venne infine sostituita dallĠomonimo Dipartimento. Storicamente, la legge 121/81 succede ad un lungo equilibrio istituzionale (risalente almeno al 1925) che vedeva lĠAutoritˆ di polizia condivisa tra un Corpo di Pubblica Sicurezza (variamente denominato nel corso del tempo, con spiccate connotazioni di ordine pubblico e presente nei maggiori centri urbani del Paese) e lĠArma dei Carabinieri (operante in particolar modo nel settore della polizia giudiziaria, dellĠattivitˆ informativa e della prevenzione dei reati), entrambi funzionalmente subordinati, in rapporto alle rispettive competenze, allĠAutoritˆ di governo (id est, lĠAutoritˆ ministeriale a livello centrale e quella prefettizia in provincia). é importante, sul punto, chiarire alcuni profili della questione. La creazione di un nuovo Corpo accanto ai Carabinieri Reali risale alla legge 11 luglio 1852, n. 1404, dettata dallĠoppportunitˆ - manifestatasi nel corso dei moti insurrezionali del 1821 e del 1848 - di assicurare ai Questori di Torino e Genova (funzionari civili di Prefettura coadiutori del Prefetto, deputati - per suo conto - alla cura delle questioni di pubblica sicurezza del capoluogo) la disponibilitˆ di una Forza armata cui gli stessi potessero direttamente ed immediatamente impartire degli ordini per lĠesercizio delle funzioni loro assegnate, senza dover cercare ogni volta un preventivo accordo con i Comandi militari territoriali, che sino a quel momento avevano avuto il monopolio delle armi e non dipendevano in alcun modo dagli Intendenti provinciali e dai Prefetti (346). (346) LĠordinamento di polizia sabaudo (poi esteso al resto dĠItalia, in seguito allĠunificazione della Penisola) era infatti nato con le Regie Patenti del 13 luglio 1814, che avevano istituito la Direzione del Buon Governo (affidata, con le Regie Patenti del 18 gennaio 1815, al Corpo dei Carabinieri - che in tal modo si trov˜ ad avere insieme funzioni direttive ed esecutive - e quindi sostituita, nel 1816, da un Ministero di Polizia) ed i Carabinieri Reali, unica Forza di polizia a competenza generale del Regno di Sardegna, sin dallĠorigine dipendente gerarchicamente dallĠEsercito e funzionalmente dallĠAutoritˆ civile. Nel 1821, a seguito dellĠinefficienza manifestata nel corso dei moti del 1821, il Ministero di Polizia venne a sua volta abolito e le competenze trasferite a quello dellĠInterno: lĠorganico allora adibito ad attivitˆ di polizia aveva ordinamento militare e la tutela della sicurezza e dellĠordine pubblico era affidata a Comandanti militari (nella specie, in sede periferica, ai Governatori militari ed in loro assenza ai Comandanti generali, alle cui dipendenze operava un funzionario civile denominato Commissario di po Il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza venne quindi istituito con lĠintento di dar vita ad una sorta di Òbraccio armatoÓ operativo della Prefettura/Questura, una Forza di polizia specifica per i centri urbani metropolitani con prevalenti attribuzioni di ordine pubblico (almeno sino al R.D. 14 agosto 1914, n. 1442, allorchŽ venne creato il Corpo degli Agenti di investigazione, peraltro a composizione mista), attese le peculiaritˆ ambientali (economiche e sociali, allora come oggi) di tali contesti rispetto al resto del Paese. La natura ÒmetropolitanaÓ del Corpo trov˜ ulteriore sanzione nella legge 21 dicembre 1890, n. 7321, che significativamente ne mut˜ il nome in ÒCorpo delle Guardie di CittˆÓ, mantenuto sino alla soppressione disposta con R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790, a seguito del mutato regime politico nazionale. Eco delle contingenze che lĠhanno preceduta  la precisazione, al primo comma dellĠart. 3, che ÒlĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza  civile ed ha un ordinamento specialeÓ, inciso che per˜, in termini eminentemente pratici, non  particolarmente significativo, ove si consideri che si sta parlando (non dellĠordinamento di una singola Forza di polizia, bens“) dellĠarticolazione amministrativa di un Ministero, che per sua natura altro non pu˜ essere che ÒcivileÓ. Per fare un esempio, lo stesso Ministero della Difesa e le sue strutture burocratiche hanno natura di organismo ÒcivileÓ e non militare: una cosa, infatti,  lo status giuridico e disciplinare del personale che vi opera, unĠaltra la collocazione istituzionale dellĠorgano nel sistema dei Poteri dello Stato individuati a livello costituzionale: non a caso, del resto, diversamente dalle singole Forze armate - che per˜ non partecipano della funzione di indirizzo politico, trattandosi di soggetti con competenze esecutive - neppure un organo costituzionale ed ausiliario quale il Consiglio Supremo di Difesa (347) pu˜ tecnicamente dirsi ÒmilitareÓ. La precisazione dellĠart. 3 era prettamente simbolica, a rimarcare il processo di ÒsmilitarizzazioneÓ del disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, sancito proprio con la legge 121, ma giˆ da questi passaggi emergono lizia). Ci˜ spinse Carlo Alberto, nel 1841, a trasferire la direzione della polizia al Ministero della Guerra e della Marina. Peraltro, a seguito dei problemi operativi riscontrati nel corso dei moti del 1848, che ebbero epicentro proprio nelle aree metropolitane del Paese, il Governo avvert“ lĠesigenza di dotare i propri rappresentanti territoriali in tali contesti (gli Intendenti provinciali, funzionari civili antesignani dei Prefetti) di poteri operativi e di ordine analoghi a quelli dei Comandanti militari, da esercitarsi attraverso una struttura a ci˜ dedicata (non potendo gli stessi, chiaramente, impartire degli ordini alle Forze armate, che appartenevano ad altra branca dellĠAmministrazione pubblica). Venne quindi varato il R.D. 30 settembre 1848, n. 798, che prevedeva la devoluzione, anche a livello centrale, della direzione di polizia ad un organismo (denominato ÒAmministrazione di sicurezza pubblicaÓ ) dipendente dal Ministero dellĠInterno e, di seguito, la legge 11 luglio 1852, n. 1404, che allĠart. 5 istituiva il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, i cui comandanti erano appunto dislocati uno a Torino e lĠaltro a Genova. Con R.D. 25 luglio 1854 venne poi approvato il regolamento organico del Corpo, mentre le sue finalitˆ istituzionali trovarono sanzione nel R.D. 21 settembre 1854. Con legge 13 novembre 1859, n. 3720, infine, lĠordinamento sabaudo fu progressivamente esteso ai vari Stati annessi al Regno dĠItalia. (347) La partecipazione di questĠultimo alla funzione di indirizzo, seppur per il tramite indiretto dellĠesercizio di unĠalta funzione consultiva, emerge dallĠart. 1 lett. b) della legge 18 febbraio 1997, n. 25 (cfr. adesso gli artt. 2-9 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66). le criticitˆ cui si faceva in precedenza cenno, dovute alla sovrapposizione, nello stesso corpo normativo, di materie tra loro assolutamente diverse. LĠaggettivo in questione sarebbe stato dunque pi consono a descrivere lĠordinamento della neo-istituita Polizia di Stato, tanto pi ove si consideri che lĠapporto operativo alle politiche di pubblica sicurezza (implementate, per legge, attraverso lĠomonimo Dipartimento)  per la maggior parte riconducibile a Forze ad ordinamento militare (Carabinieri e Guardie di Finanza (348)): lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza altro non , infatti, nel suo impianto amministrativo, che un apparato burocratico del Ministero dellĠInterno - dunque una struttura di governo - dato da un complesso di risorse umane ed uffici deputato allĠattuazione ed esame delle strategie di ordine e sicurezza pubblici, per far fronte ad eventuali situazioni ambientali ingeneranti allarme sociale. Una struttura che attualmente si articola - come giˆ detto - a livello centrale nel Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed a livello periferico in Prefetture e Questure (ribadendo sul punto quanto originariamente previsto nel TULPS), pi altri uffici minori (inizialmente individuati dallĠart. 31 della legge 121/81, poi sostituito dallĠart. 2 del D.P.R. 22 marzo 2001, n. 208). In particolare, lĠart. 3 comma secondo della legge 121/81 dispone che Òle sue funzioni sono esercitate: a) dal personale addetto agli uffici del Dipartimento della P.S. ed agli altri uffici, istituti e reparti in cui essa si articola; b) dalle autoritˆ provinciali, dal personale da esse dipendente nonchŽ dalle autoritˆ locali di pubblica sicurezza; c) dagli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza sotto la direzione delle autoritˆ centrali e provinciali di pubblica sicurezzaÓ. La norma sembra per˜ presupporre unĠinversione logica del fondamento funzionalistico (349) che ispira le politiche di sicurezza in ambito OSCE ed UE: (348) Approssimativamente il 73,5% del totale delle segnalazioni di reati, nel 2011 (il 69,9-72% essendo riconducibile allĠattivitˆ di presidio territoriale della sola Arma dei Carabinieri, alla quale  altres“ riferibile il 54% circa dellĠattivitˆ operativa svolta complessivamente sul territorio nazionale: dati pubblicati negli Allegati alla Relazione al Parlamento per il 2011 del Ministero dellĠInterno, sullĠÇAttivitˆ delle Forze di polizia, sullo stato dellĠordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalitˆ organizzata È). Un trend analogo viene riscontrato nei Paesi OSCE dotati di apparati ÒmistiÓ o ÒintegratiÓ (civili/militari) di pubblica sicurezza. (349) La connotazione in termini rigorosamente funzionali degli apparati tecnico-amministrativi dello Stato (quale indubbiamente  lĠAmministrazione di P.S.) discende dalla distinzione tra poteri di indirizzo politico (riservati al Governo ed ai suoi organi di diretta rappresentanza territoriale) e poteri di gestione (attuativi dei suddetti indirizzi) riservati invece agli organi dellĠapparato amministrativo dello Stato, proprio in ragione delle funzioni da questi concretamente svolte: tale regola, comunemente recepita a livello comunitario,  stata inizialmente formalizzata nellĠart. 3 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e quindi negli artt. 4, 14 e 16 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, quale espressione dei principi di efficienza, trasparenza e buona amministrazione di cui allĠart. 97 Cost. Sul tema della funzionalizzazione amministrativa nel diritto dellĠUnione Europea si richiamano i lavori di IPPOLITO, Fondamento, attuazione e controllo del principio di sussidiarietˆ nel diritto della Comunitˆ e dellĠUnione Europea, Milano 2007; ANZON, La delimitazione delle competenze dellĠUnione Europea, in Dir. Pubblico 2003, pp. 787 ss.; AZZENA, Il sistema delle competenze dellĠUnione Europea, in AA.VV., Istituzioni, diritti, economia. Dal Trattato di Roma alla Costituzione europea, Pisa 2004. in sede sovranazionale, infatti, si ammette a contribuivi solo chi svolga - in base alla legge o anche di fatto (comĠ il caso delle organizzazioni di volontariato) - una serie di specifiche attribuzioni considerate rilevanti dal legislatore, a prescindere dal suo assetto organizzativo o ordinamentale. Nel caso dellĠart. 3, invece, sembra riconoscersi a priori lĠesercizio di queste ultime ad una serie di soggetti, per il sol fatto di essere assegnati a determinati uffici. La legge, inoltre, non specifica quali siano, in concreto, le ÒfunzioniÓ dellĠAmministrazione di P.S. Per prassi potrebbe pensarsi allĠesercizio delle potestˆ che singole norme di legge attribuiscono a determinati funzionari, di volta in volta, ai fini della cura dellĠordine e della sicurezza pubblici; se cos“ fosse, per˜, lĠimpianto della legge 121 potrebbe dar adito ad unĠincoerenza strutturale. Il sistema  tripartito, dal momento che individua tre ÒinsiemiÓ di soggetti chiamati, a vario titolo, ad esercitare le funzioni dellĠAmministrazione di P.S. La prima ipotesi, invero, non  scevra da perplessitˆ: per regola generale (350) infatti, le potestˆ pubbliche non fanno capo ai singoli uffici, nŽ ai singoli funzionari in quanto tali, bens“ allĠorgano del quale gli stessi fanno parte, ovverosia la persona o il complesso di persone (nel caso di organi collegiali) preposte ad un determinato centro di imputazione di competenza amministrativa, che in tale ruolo (e limitatamente ad esso) esercitano una pubblica potestˆ. Organo in senso tecnico  solo quello che esercita una pubblica funzione (ad es. il Prefetto, il Ministro, etc.), ovverosia unĠattivitˆ che si connota per lĠesercizio di poteri autoritativi; non anche il funzionario che svolga una mera attivitˆ materiale o esecutiva. La misura dei poteri e delle funzioni che ciascun organo  chiamato a svolgere ne individua infine la competenza. La lettera a) dellĠart. 3 sembra per˜ ignorare tale criterio, nel momento in cui attribuisce - genericamente e senza ulteriori precisazioni di merito - a tutto il personale in servizio presso gli uffici che compongono il Dipartimento di P.S. lĠesercizio delle suddette funzioni. Significativamente, infatti, la norma non dice che le funzioni sono esercitate dagli uffici, quanto piuttosto - in generale - dal personale addetto a questi ultimi. La mera appartenenza allĠufficio - e non tanto il tipo di potestˆ (eventualmente) esercitata - sembra dunque essere il titolo per cui queste persone rientrano nel gruppo sub a). Dal novero della lettera a) devono per˜ essere esclusi gli appartenenti alla Polizia di Stato (che pacificamente rientrano nellĠautonoma ipotesi sub c, oltre a quanto previsto dallĠart. 39 e che, altrettanto pacificamente, nellĠesercizio della propria attivitˆ dĠistituto hanno titolo ad esercitare determinate potestˆ nellĠinteresse pubblico), con la conseguenza che tale disposizione risulta alla fine depotenziata. (350) Cos“ VIRGA, Diritto Amministrativo, I, Milano 2001. Per fare un esempio, il personale dellĠAmministrazione Civile dellĠInterno verrebbe a far parte dellĠAmministrazione della P.S. solo qualora presti servizio in uno di questi uffici, anche nel caso in cui svolga delle funzioni meramente amministrative (e dunque pur non partecipi alla concreta gestione dellĠordine o della sicurezza pubblici ed allĠesercizio delle correlate, tassative potestˆ). Laddove il medesimo personale venga successivamente assegnato ad analoghe funzioni, ma presso un diverso Dipartimento (ad es. presso il Corpo dei Vigili del Fuoco, stesso Ministero e stessa attinenza alla tutela della sicurezza interna, secondo le linee-guida 2003 e 2010 dellĠUnione Europea - cfr. retro), cesserˆ invece di farne parte. Pu˜ dunque dirsi - sulla base della norma in esame - che non  lĠesercizio di una particolare funzione a ricondurre o meno un soggetto allĠAmministrazione di P.S., bens“ il fatto che questi, in un certo momento, presti il proprio servizio in uno degli uffici o reparti sub lett. a), a prescindere poi dallĠattivitˆ in concreto espletata. Sarebbe stato forse pi corretto precisare, piuttosto, che le funzioni di pubblica sicurezza sono esercitate da soggetti appartenenti a determinati organismi (in primis, ovviamente, le Forze di polizia) in ragione - e nei limiti della specifica attivitˆ dagli stessi svolta, anzichŽ far riferimento ad un criterio generico quale lĠappartenenza ad un mero ufficio amministrativo. La lettera b) richiama invece le Òautoritˆ provincialiÓ ed il Òpersonale da esse dipendente nonchŽ dalle autoritˆ locali di pubblica sicurezzaÓ. Se la prima ipotesi non dˆ luogo a dubbi, in quanto riferita ad organi dello Stato (tali sono il Prefetto ed il Questore, in virt delle funzioni pubblicistiche loro attribuite dalla legge), la seconda pu˜ dar adito a qualche incertezza: in effetti, una volta esclusi - ad evitare una duplicazione con la lettera c) - i funzionari e gli agenti della Polizia di Stato, in quanto ÒdipendentiÓ dal Questore, non resta che il personale della Prefettura-UTG, genericamente inteso. In via interpretativa, alcuni Autori ritengono opportuno circoscrivere la portata della norma al solo personale che coadiuva il Prefetto nelle sue funzioni di Autoritˆ provinciale di P.S., ma  pur vero che la disposizione di legge  formulata in termini ampi. A beneficio dĠinventario, si ricorda che attualmente sono Autoritˆ provinciali di pubblica sicurezza, secondo un modello organizzativo risalente al 1907 (351), il Prefetto ed il Questore;  inoltre Autoritˆ locale di pubblica sicurezza il funzionario distaccato o, dove questi manca, il Sindaco quale ufficiale di Governo. (351) Allora, peraltro, il Questore non era un funzionario di polizia, bens“ un funzionario civile (inizialmente scelto dai ruoli della magistratura) ausiliario del Prefetto. In particolare il R.D. 30 settembre 1847, n. 798, gli attribuiva un ruolo meramente esecutivo e privo di discrezionalitˆ rispetto allĠorgano sovraordinato, limitandosi a prevedere che nelle cittˆ capoluogo di divisione amministrativa questi affiancasse lĠIntendente generale operando alle sue dirette dipendenze, al pari degli altri funzionari civili. Secondo parte della dottrina il personale dei Commissariati distaccati di P.S. rientrerebbe nellĠipotesi sub a), mentre i funzionari ÒdipendentiÓ dal Sindaco (recte, dallĠEnte locale) non potrebbero comunque svolgere funzioni attinenti lĠAmministrazione della P.S. (tranne gli appartenenti alla polizia locale, in determinate circostanze). Il terzo insieme, sub lettera c), comprende gli Òufficiali ed agenti di pubblica sicurezza sotto la direzione delle Autoritˆ centrali e provinciali di pubblica sicurezzaÓ. Per comprendere la portata della norma, occorre porre alcune premesse. La legge 121/81, pur presentando elementi di novitˆ rispetto alla normativa previgente, sul punto che ci occupa mutua lĠimpianto organizzativo del TULPS del 1932 (che infatti non ha subito abrogazioni nŽ modifiche, con lĠunica eccezione della sottrazione del Questore dalla dipendenza gerarchica nei confronti dei Prefetti, una volta ricondottolo a tutti gli effetti nel distinto ruolo dei funzionari di polizia). Ci˜ premesso, la lettera c) dˆ adito a perplessitˆ interpretative. La qualifica di Òufficiale o agente di P.S.Ó  data da speciali norme di legge, che la riservano ad alcuni soggetti (membri delle diverse Forze di polizia) non in ragione dellĠappartenenza ad unĠAmministrazione piuttosto che ad unĠaltra, ovvero allo status civile o militare, bens“ in virt delle funzioni e potestˆ concretamente esercitate. Ai sensi dellĠart. 17 del Regio Decreto 31 agosto 1907, n. 690, ÒSono agenti di pubblica sicurezza in servizio permanente i Carabinieri [reali] e le Guardie di cittˆ (352)Ó. Per il successivo art. 18 ÒSono pure agenti di pubblica sicurezza le Guardie di finanza forestali, le Guardie carcerarie, nonchŽ le Guardie campestri, daziarie, boschive, ed altre dei comuni, costituite in forza di regolamenti, deliberati ed approvati nelle forme di legge, e riconosciute dal PrefettoÓ. Attualmente, la legge attribuisce la qualitˆ di ufficiale di P.S. agli appartenenti al ruolo dei commissari e dei dirigenti della Polizia di Stato ed agli ufficiali dei Carabinieri. Sono altres“ sostituti ufficiali di P.S. i sostituti commissari e gli ispettori superiori della Polizia di Stato, i luogotenenti ed i marescialli aiutanti-SUPS dei Carabinieri. Sono invece considerati agenti di P.S. tutti gli altri appartenenti allĠArma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, al Corpo forestale dello Stato (nei limitati casi in cui venga chiamato a concorrere ai servizi di ordine pubblico) ed ai Vigli del fuoco, nonchŽ alla Polizia penitenziaria in quanto organo deputato al mantenimento dellĠordine pubblico negli Istituti di pena. Altre categorie residuali ed eventuali sono indicate allĠart. 5 del D.P.R. (352) Il R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790 soppresse il Corpo delle Guardie di cittˆ ed istitu“ in sua vece quello originalmente denominato Corpo delle Guardie per la pubblica sicurezza, da cui indirettamente deriva lĠodierna Polizia di Stato. 28 maggio 2001, n. 311, previo riconoscimento del Prefetto. Orbene, in base alla normativa vigente per rientrare nel gruppo sub c) dellĠart. 3 legge 121/81 occorre avere attribuzioni di P.S. ed essere contestualmente sottoposto alla direzione di unĠautoritˆ di P.S. (attualmente il Prefetto ed il Questore); il che si verifica (limitatamente al personale non appartenente alla Polizia di Stato che di volta in volta venga eccezionalmente messo a disposizione dellĠAutoritˆ di P.S.) a seguito dellĠadozione di unĠordinanza di servizio questorile ex art. 37 D.P.R. 782/85. Se manca anche uno solo dei due requisiti il soggetto non rientra nel gruppo in questione. Prendiamo in esame il caso di un Carabiniere che presti servizio al corpo di guardia del proprio Comando provinciale: in quanto Carabiniere, egli  agente di P.S., ma non essendo soggetto alla direzione nŽ del Prefetto, nŽ del Questore, nŽ del Sindaco non rientra nellĠinsieme sub c). Non solo. Lo stesso Carabiniere non rientra in alcuna delle categorie individuate dallĠart. 3 anche quando agisce istituzionalmente di pattuglia per il controllo del territorio (oppure opera in una squadra antiterrorismo, antidroga, etc.) e dunque, formalmente, anche in tali circostanze non svolge funzioni proprie dellĠAmministrazione della P.S.. Se per˜ un determinato giorno egli viene impiegato in un servizio allo stadio - purchŽ regolamentato con ordinanza del Questore (Òsotto la direzione delle autoritˆ centrali e provinciali di pubblica sicurezzaÓ, come precisa la norma in esame) - viene a soddisfare entrambi i requisiti e dunque rientra tra i soggetti che svolgono le predette funzioni. Analoga incertezza connota il ruolo del personale delle Forze armate diverse dallĠArma dei Carabinieri che - coerentemente alle linee-guida del- lĠUnione Europea in materia di sicurezza (cfr. retro) - viene impiegato a presidio di determinate aree (353) urbane ed extraurbane per dichiarate ragioni di ordine e sicurezza pubbliche, spesso in pattuglie miste con le Forze dellĠordine. Anche la lettera c) sembra quindi ricalcare, nella sostanza, il limite giˆ evidenziato sub lett. a), in quanto non attribuisce rilevanza decisiva alle funzioni esercitate, bens“ allĠinstaurarsi di un rapporto, per quanto provvisorio ed (353) Si pensi allĠoperazione ÒVespri SicilianiÓ - durata sei anni, dal 25 luglio 1992 allĠ8 luglio 1998, in appoggio alle Forze di polizia - indubitabilmente di ordine pubblico (e non di mero addestramento a pattugliamenti, come invece avvenuto per la coeva ÒForza ParisÓ del luglio 1992 in Sardegna), ovvero alle pattuglie miste istituite in alcune realtˆ metropolitane dallĠestate 2008 (cfr. gli artt. 7-bis del D.L. 92/2008; 2 del D.L. 151/2008; 24, comma 74, del D.L. 78/2009): a tal fine, ancor oggi circa 4.500 militari dellĠEsercito sono dispiegati nei maggiori centri urbani. Pi di recente, si consideri la presenza dellĠEsercito a presidio dei cantieri TAV della Val Susa ed il prossimo invio nella ÒTerra dei fuochiÓ in Calabria. Si veda altres“, in termini generali, lĠart. 18 della legge 26 marzo 2001, n. 128, nel combinato disposto con lĠart. 13 legge 121/81. Per una rassegna pi puntuale, cfr. (peraltro critico) LETIZIA, Tra richieste di riforma e pulsioni di controriforma, in AA.VV. (a cura di CARRER), La Polizia di Stato a trentĠanni dalla legge di riforma, Milano 2014, pp. 307 ss. occasionale, di para-dipendenza (ÒdirezioneÓ, cosa diversa dal coordinamento - cfr. retro) da determinati organi amministrativi. Deve quindi desumersi, da quanto sopra, che nel sistema individuato dal legislatore del 1981 la pi gran parte degli organici di polizia - nella quotidiana attivitˆ di repressione dei reati oggetto di denuncia - formalmente non svolgerebbero funzioni di pubblica sicurezza. La decisione di riformare lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza sul finire degli anni Ô70 prese le mosse da un lungo dibattito che si proponeva di assicurare una gestione efficiente del Òsistema sicurezzaÓ alla luce del mutato quadro istituzionale, riservando allĠAutoritˆ politica (Ministro e Prefetto) le scelte di indirizzo, oltre alla disponibilitˆ, al coordinamento ed al controllo delle Forze sul campo, ed attribuendo invece a queste ultime la concreta esecuzione delle direttive a carattere generale. Nel precedente sistema, ad avviso degli interessati, la dipendenza gerarchica dei dirigenti delle Questure dai Prefetti non avrebbe assicurato una piena espressione delle capacitˆ di settore, determinando per contro unĠimpropria sovrapposizione tra esercizio di funzioni politiche e concreta attuazione delle stesse (354). LĠobiettivo di una maggior razionalizzazione del sistema incorse per˜ in una duplice improprietˆ di metodo: da un lato, la scelta di far confluire nel medesimo testo di legge materie tra loro eterogenee (per di pi senza suddividerle in maniera rigorosa allĠinterno dellĠarticolato normativo); dallĠaltro, la mancata revisione dellĠintera disciplina di settore (pur rappresentata nei lavori preparatori della legge (355)) cos“ da superare il precedente modello organizzativo del TULPS (356). Mantenendo in larga parte invariata la normativa generale di P.S. (oggetto, tra lĠaltro, di strutturali censure dellĠAlta Corte), con lĠunica significativa eccezione di romperne lĠequilibrio interno facendo venir meno il monopolio quale Autoritˆ di P.S. - del rappresentante del Governo, la mancata ridistribuzione delle competenze tra i soggetti deputati allĠamministrazione della sicurezza sul territorio fa apparire incompiuto - se non incongruo - il sistema tracciato dalla legge 121/81. QuestĠultimo sconta un vizio di fondo, ovverosia lĠaver tentato di innestare una riforma (che nelle intenzioni originarie avrebbe dovuto fondarsi sui principi dellĠassoluta paritˆ delle Forze di polizia a competenza generale e del coordinamento delle stesse ad opera di un organo (354) In argomento, dellĠepoca, cfr. LANZARA, Autogoverno della polizia; precedenti storici del- lĠautonomia; capacitˆ di auto amministrazione della polizia, Riv. Polizia 1958, pp. 433 ss.; ID., Il Prefetto  autoritˆ di p.s. di nome e non di fatto, in Riv. Polizia 1958, pp. 310 ss.; BONELLI, Organizzazione delle Forze di polizia, in Riv. Polizia 1966, pp. 358-359. (355) Su http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=895. (356) Che manteneva una coerenza logica nella misura in cui accentrava in capo ad un organo monocratico e politico (il Prefetto, proiezione territoriale dellĠAutoritˆ di governo) il reale potere di governance dellĠintera materia, accentramento che sembra invece escluso dalla legge 121/81. ÒterzoÓ di indirizzo, il cd. ÒSegretariato generale della pubblica sicurezzaÓ, a composizione interforze e verosimilmente esterno al Ministero dellĠInterno) nel solco tracciato dal TULPS, che si fondava su premesse ideologiche del tutto opposte. Una delle contraddizioni pi rilevanti  data dalla figura del Questore, organo che alle ordinarie competenze operativo-logistiche di un dirigente apicale di polizia aggiunge delle inedite attribuzioni burocratico-politiche (357) ÒereditateÓ dalla sua precedente posizione di funzionario civile di Prefettura: tali attribuzioni, invero, avrebbero logicamente dovuto venir meno a seguito della radicale separazione (sancita dalla legge 121/81) di tale carica dal rapporto di dipendenza col Prefetto, ma nonostante ci˜ sono state mantenute poichŽ previste da una norma di legge non incisa dalla riforma, ossia il TULPS (pi altre disposizioni speciali, anche successive). Va peraltro evidenziato come - una volta ÒrestituiteÓ tali attribuzioni allĠAmministrazione civile dellĠInterno (i.e., alla Prefettura) - verrebbe automaticamente meno ogni obiettiva ragione di mantenere la qualifica (pur essa risalente al TULPS e priva di corrispondenti a livello internazionale) di Autoritˆ (tecnica) provinciale di P.S., seppur solo con funzioni di coordinamento (che, del resto, in base ai principi di diritto in precedenza enunciati a rigore dovrebbero competere solo ad un soggetto ÒterzoÓ rispetto agli organi esecutivi, quale appunto il Prefetto, unica vera ÒAutoritˆÓ decentrata di P.S.). A ci˜ aggiungasi che a tali attribuzioni (si noti, del solo Questore come organo e non anche del Corpo di polizia che questi dirige) sono in in gran parte dovuti gli anomali carichi burocratici di Commissariati e Questure, che sottraggono a tali strutture - soprattutto nelle sedi minori - una gran parte della forza operativa. A ci˜ aggiungasi una serie di incertezze formali, che portano a confondere lĠAmministrazione di P.S. (per il fatto che si articola in Prefetture, Questure, Commissariati, etc., mantenendo cio lĠarticolazione antecedente il TULPS) con la struttura di una delle Forze di polizia. Incertezze che il legislatore talvolta ha addirittura amplificato, con lĠutilizzo in modo promiscuo delle espressioni ÒAmministrazione della pubblica sicurezzaÓ ed Òordinamento della Polizia di StatoÓ, quasi coincidessero: valga a tal pro lĠesempio del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (ÒSanzioni disciplinari per il personale dellĠAmministrazione di Pubblica Sicurezza e regolamenta (357) Si pensi, a titolo dĠesempio, alle attribuzioni in materia di rilascio di permessi di soggiorno o di provvedimenti di respingimento, le convalide dei certificati comunali di espatrio dei minori, il rilascio delle licenze per il porto di determinati tipi di arma (gli altri essendo di competenza del Prefetto) ovvero per lĠacquisto, la collezione o la fabbricazione di armi, la ricezione della denunzia di cessioni immobiliari, i controlli amministrativi e disciplinari sugli Istituti privati di vigilanza, lĠautorizzazione al trasporto ed allĠuso di gas tossici, il rilascio dei passaporti, la ricezione dai datori di lavoro privati della segnalazione di infortuni sul lavoro, nonchŽ di inizio attivitˆ per agenzie pubbliche di affari, di recupero crediti, pubblici incanti, pubbliche relazioni e per intermediazioni matrimoniali, etc. (357 bis) QuestĠultimo, invero, non qualificava ÒAutoritˆ tecnico/operative di P.S.Ó i Comandanti territoriali delle Forze di polizia, proprio perchŽ gli stessi - a differenza del Questore - non facevano parte dellĠAmministrazione civile dellĠInterno, di talchŽ non potevano configuarsi, formalmente, quali organi della struttura (territoriale) di governo; erano per˜ funzionalmente subordinati ad essa, tantĠ che il Prefetto, pur non potendo dar loro direttamente degli ordini, poteva pur sempre disporne, allĠoccorrenza, con ordinanza di necessitˆ. zione dei relativi procedimentiÓ, i cui artt. 28 e 30 chiariscono come ci si stia in realtˆ rivolgendo alla Polizia di Stato) ed ancor pi il D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782 (ÒApprovazione del regolamento di servizio dellĠAmministrazione della Pubblica SicurezzaÓ ), che a dispetto del titolo si riferisce espressamente, in ciascun articolo, solo al personale della medesima Forza di polizia (358). I Dipartimenti (359) dei Ministeri sono articolazioni della struttura del Governo, i cui organi di vertice hanno soprattutto compiti di indirizzo generale: le strutture amministrative che vi dipendono (tra cui anche le Forze di polizia, facenti capo a distinti Dicasteri, essendo la comune dipendenza dal Viminale solo di tipo funzionale), sono invece entitˆ esecutive che, come tali, non partecipano delle funzioni di indirizzo politico, cui contribuisce il vertice del Dipartimento nellĠesercizio delle sue attribuzioni ausiliarie. Diversamente da quanto avviene negli altri Paesi europei (o, per meglio dire, negli ordinamenti improntati ai principi giuridici dellĠOSCE), la legge di riforma dellĠordinamento della pubblica sicurezza, operando sul punto un semplice rinvio allĠimpianto istituzionale del TULPS, considera lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza - piuttosto che una struttura connotata dalle funzioni concretamente esercitate - una semplice articolazione territoriale in parte del Ministero dellĠInterno ed in parte della Polizia di Stato, amministrativamente suddivisa in Prefetture e Commissariati di polizia. Il mutato assetto istituzionale dello Stato e delle Autonomie locali avrebbe peraltro potuto suggerire una soluzione ÒintegrataÓ (tale da permettere ampie forme di decentramento, sul modello delle Forze di prossimitˆ - cfr. infra), fondata su requisiti di carattere funzionale ed unificata, a livello centrale, da una superiore struttura tecnico-operativa interforze (sul modello, ad esempio, delle Agenzie di Sicurezza introdotte dalla legge 3 agosto 2007, n. 124), distinta ed indifferente allĠordinamento dei soggetti chiamati allĠattuazione delle politiche di sicurezza ivi definite. Va comunque evidenziato che il legislatore, nei successivi (360) interventi in materia, sembra aver impresso una svolta verso i modelli amministrativi di tipo integrato (o interforze), tentando di ricondurre allĠAutoritˆ di indirizzo politico (rappresentata dal Prefetto, a livello provinciale) le principali competenze di settore, oltre alla concreta disponibilitˆ delle Forze sul campo: in tal senso va letta la legge 30 dicembre 1991 n. 410 (istitutiva della DIA), per proseguire con il D.L. 23 ottobre 1996, n. 554 (il cui art. 2 introduce il comma 2bis nella legge 15 gennaio 1991, n. 16 (361)), oltre alle progressive aperture nellĠorganizzazione della stessa Direzione Centrale della Polizia Criminale (358) A tali esempi va poi aggiunto il dettato dellĠart. 31 legge 121/81, in seguito sostituito dallĠart. 2 del D.P.R. 208/2001. (359) Suddivisione organizzativa adesso imposta, in termini generali, dal D.lgs 300/1999. (360) A partire dal D.P.R. 11 giugno 1984 n. 423, recante il Regolamento della Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia (in particolare gli artt. 13 ss.). (ovverosia, la struttura portante del Dipartimento di P.S.) ed alla giˆ richiamata riforma dei Servizi di Sicurezza dello Stato. Sotto tale profilo lĠimpianto organizzativo di questi ultimi appare - anche a seguito della novella dellĠagosto 2012 (362) - pi coerente con i principi generali di diritto che informano lĠordinamento costituzionale, rispetto a quello, complessivo, della legge 121 e del TULPS: vi si distinguono infatti, con estrema precisione, tre livelli organizzativi e funzionali, ovverosia quello politico di indirizzo (nella specie, il Presidente del Consiglio dei Ministri, cui si affiancano il CISR ed il Sottosegretario di Stato delegato), quello di coordinamento tecnico/amministrativo (posto in essere dal Dipartimento interforze di riferimento, qui il DIS) ed infine quello operativo, dove opera concretamente il personale delle due Agenzie. Tra il Dipartimento e gli organi esecutivi (AISI ed AISE) non sussiste alcun rapporto gerarchico ma, correttamente, solo una dipendenza funzionale, laddove la gerarchia opera tra lĠAutoritˆ politica di indirizzo (il Ministro) e lĠorgano ausiliario (il Dipartimento). LĠimpostazione di fondo della riforma del 2007 appare inoltre pi rispondente (rispetto al precedente della legge 121/81, sebbene ancora ampiamente incentrato sulla figura ÒterzaÓ del Prefetto) ai presupposti della funzione di coordinamento come in precedenza individuati:  infatti evidente che solo un organo terzo ed imparziale rispetto alle Òparti in causaÓ pu˜ effettivamente co (361) Istitutiva della ÒDirezione Centrale per i Servizi AntidrogaÓ. Il D.L. 554/96 introduce il principio per cui Òalla Direzione Centrale  preposto, secondo un criterio di rotazione, con i rapporti di dipendenza operanti nellĠambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza in ragione della funzione esercitata, un dirigente generale della Polizia di Stato, un generale di divisione dellĠArma dei Carabinieri o un generale di divisione della Guardia di Finanza, che abbia maturato specifica esperienza nel settoreÓ. Il testo originario della legge 16/1991  pubblicato sulla GU n. 16 del 19 gennaio 1991. In argomento, cfr. anche il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Decreto Interministeriale (Interno/Tesoro) del 15 giugno 1991 e la legge 23 dicembre 1996 n. 653. Sotto tali profili, peraltro, la normativa vigente anteriormente al varo della legge 121/81 appariva forse ancor pi rispondente al moderno approccio ÒintegratoÓ, comĠ vero che lĠart. 7 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, che poneva direttamente alle dipendenze del Ministro - evidenziandone le funzioni di coordinamento e di indirizzo - lĠallora ÒUfficio di direzione e di coordinamento dellĠattivitˆ di polizia volta alla prevenzione e alla repressione del traffico illecito delle sostanze stupefacenti o psicotropeÓ, stabiliva come lo stesso fosse composto da Òfunzionari o ufficiali designati dalla Direzione generale della pubblica sicurezza, da ufficiali designati dal Comando generale della Guardia di Finanza, dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, nonchŽ da funzionari designati dal Ministro per la sanitˆ, dal Ministro per la grazia e giustizia e dal Ministro per gli affari esteriÓ. (362) Con lĠeccezione, probabilmente, dei poteri di gestione unitaria accentrata (in capo al DIS, Dipartimento che provvede al coordinamento delle Agenzie) degli approvvigionamenti e dei servizi logistici comuni, adesso previsti dalla nuova lett. n-bis) dellĠart. 4 comma terzo (Òferme restando le competenze operative dellĠAISE e dellĠAISIÓ ), ipotesi che, se pu˜ essere funzionale per i due organismi di cui si tratta, difficilmente per˜ potrebbe essere estesa anche a strutture complesse ed articolate come le Forze di polizia nazionali, dotate di specialitˆ diverse (tanto pi ove si consideri che una di esse - coerentemente con il Òmodello europeoÓ di sicurezza - svolge anche compiti militari di Forza armata). Il testo della riforma  contenuto nella legge 7 agosto 2012 n. 133. ordinarne lĠazione in modo trasparente e responsabile, secondo parametri di economicitˆ ed efficienza, fugando cos“ il rischio di perseguire interessi di parte. Ci˜ vale innanzitutto per gli organi decisionali di vertice (svolgenti potestˆ ausiliarie ed abilitati a formare e manifestare allĠesterno la volontˆ del- lĠEnte, venendo con ci˜ ad incidere sulle scelte governative di indirizzo politico), in posizione di terzietˆ rispetto ai soggetti chiamati - in esecuzione di tali indirizzi - ad operare sul campo, soggetti che operano in posizione reciproca di assoluta paritˆ, autonomia e dignitˆ istituzionale. In questi termini, taluni Autori hanno letto nella riforma ÒibridaÓ del Dipartimento di P.S. (in seno al Ministero dellĠInterno) unĠoccasione persa rispetto allĠiniziale progetto (363) di creare un Corpo civile di polizia in posizione paritetica allĠArma dei Carabinieri ed alla Guardia di Finanza, accanto allĠistituzione di un Segretario Generale delle Forze di polizia in veste di organo terzo di coordinamento (364). Complessivamente, pu˜ concordarsi con la dottrina che qualifica lĠAmministrazione della P.S. come una specie di ÒcontenitoreÓ le cui dimensioni non sono definibili a priori, con intuibili ricadute in materia di programmazione ed efficienza: ci˜ accade, in particolar modo, non tanto per i gruppi sub a) e b) dellĠart. 3 legge 121/81, ma soprattutto per lĠinsieme sub c): in alcuni momenti essa  composta da un numero notevolissimo di soggetti (ad esempio durante una giornata elettorale), per poi nuovamente decrescere. Ha dunque dimensioni variabili nel tempo, ed appare altres“ di complessa collocazione allĠinterno dellĠordinamento vigente. Alcuni soggetti si trovano al centro, presso il Dipartimento della P.S., altri stanno in periferia (come i Sindaci) altri ancora (la maggioranza degli organici di polizia) solo occasionalmente ne esercitano le funzioni, pur appartenendo, in larga parte, ad Istituzioni cui la legge attribuisce competenze generali di polizia ed eventualmente impone (come nel caso dei Carabinieri) lo svolgimento permanente delle funzioni di pubblica sicurezza (365). Esiste, allo stato attuale, una parte strutturata in uffici (Dipartimento ed altri uffici e reparti sub art. 3 lett. a)), una parte organizzata nel sistema delle Autoritˆ provinciali e locali di P.S. (Prefetture, Questure e Commissariati) ed (363) NellĠottica dei suoi proponenti, il Corpo civile di polizia sarebbe nato dalla riforma e dalla smilitarizzazione del Corpo delle Guardie di P.S., quale organismo civile dello Stato incardinato in unĠautonoma Direzione generale del Ministero dellĠInterno, diretto dal Capo della Polizia ed articolato sul territorio in Questure e Commissariati. In argomento, cfr. MOSCA, Profili strutturali del nuovo ordinamento della Polizia italiana, Latina 1981. (364) Figura che, nellĠintendimento di alcuni promotori, avrebbe rappresentato una sorta di corrispondente - relativamente al settore della sicurezza ÒinternaÓ - del Segretario Generale della difesa (attualmente disciplinato dagli artt. 41 e 42 del D.lgs. 66/2010). (365) Per i Carabinieri, ai sensi dellĠart. 155 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66; per le Guardie di Finanza (prive peraltro di competenze generali al di fuori della materia economica e finanziaria), in base allĠart. 6 del D.lgs. 19 marzo 2001, n. 68. una parte variabile che rende lĠAmministrazione della P.S. simile ad una nebulosa, dai tratti talvolta indistinti. B.2) IL DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA. Come giˆ anticipato, lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza viene talvolta confusa con lĠomonimo Dipartimento, se non addirittura con un vero e proprio Corpo di polizia. In realtˆ, in entrambi i casi si tratta di organismi diversi ma non estranei lĠuno allĠaltro, in quanto legati da un particolare rapporto organizzativo. LĠart. 4 della legge 121  dedicato al Dipartimento di Pubblica Sicurezza, il pi importante tra quelli in cui  articolato il Ministero dellĠInterno. La norma, in particolare, cos“ dispone: ÒNellĠambito dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza  istituito il Dipartimento della pubblica sicurezza che provvede, secondo le direttive e gli ordini del Ministro dellĠInterno: 1) allĠattuazione della politica dell'ordine e della sicurezza pubblica; 2) al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di polizia; 3) alla direzione e amministrazione della Polizia di Stato; 4) alla direzione e gestione dei supporti tecnici, anche per le esigenze generali del Ministero dellĠInternoÓ. A capo del Dipartimento  posto un Prefetto - generalmente uno dei 17 provenienti dal ruolo speciale dei Questori - che assume il contestuale incarico di Capo della Polizia di Stato (art. 5 comma secondo). LĠorganizzazione del Dipartimento  prevista al successivo art. 5: ÒIl Dipartimento della pubblica sicurezza si articola nei seguenti uffici e direzioni centrali: a) ufficio per il coordinamento e la pianificazione, di cui all'articolo 6; b) ufficio centrale ispettivo; c) direzione centrale della polizia criminale; d) direzione centrale per gli affari generali; e) direzione centrale della polizia di prevenzione; f) direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera e postale; g) direzione centrale del personale; h) direzione centrale per gli istituti di istruzione; i) direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale; l) direzione centrale per i servizi di ragioneria; l-bis) direzione generale di sanitˆ, cui  preposto, il dirigente generale medico del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di StatoÓ. A questi va recentemente aggiunta la DIA -Direzione Investigativa Antimafia, a composizione interforze, istituita con legge 30 dicembre 1991 n. 410. Dal combinato disposto delle due norme emerge nuovamente la sovrapposizione tra le articolazioni del Dipartimento in quanto organo ministeriale (una struttura che si basa sulla concreta gestione interforze della pubblica sicurezza, al di lˆ dei limiti casistici dellĠart. 3) e quelle che invece attengono allĠorganizzazione interna della sola Polizia di Stato: il che, oltre a generare confusione nellĠinterprete, appare poco razionale sia in termini di ottimizzazione delle risorse, sia ai fini del necessario coordinamento sul territorio degli operatori della sicurezza. Giˆ si  accennato, nella prima parte di questo lavoro, alle perplessitˆ di parte della dottrina circa la rispondenza del sistema vigente alle sollecitazioni contenute nella raccomandazione del Consiglio dĠEuropa n. 10/2001/REC (cd. ÒCodice Etico delle Forze di poliziaÓ), il cui art. 13 esorta ad attribuire la responsabilitˆ delle scelte di indirizzo in materia di sicurezza ai soli organi di indirizzo politico, quali Autoritˆ ÒciviliÓ dello Stato, sostanzialmente estromettendo da tale incombenza le Forze di polizia in ragione del loro specifico e distinto ruolo esecutivo e gestionale. Distinzione che - giˆ recepita nelle linee-guida dellĠOSCE (cfr. retro) - appartiene in larga parte alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri dellĠUE. Il principio di netta separazione della funzione di indirizzo politico da quella amministrativa ha trovato una prima sanzione formale, in Italia, nellĠart. 3 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80; contemporaneamente, attenta dottrina (366) ha evidenziato alcuni aspetti della legge 121 che di fatto porterebbero ad attribuire al vertice del Dipartimento della Pubblica Sicurezza un ruolo (chiaramente politico) di seconda Autoritˆ nazionale di P.S., a latere (se non prevalente, allĠatto pratico) del Ministro dellĠInterno. Una proiezione a parti invertite di quanto si verifica a livello provinciale, ivi dovuta alla professionalitˆ della carriera prefettizia, rispetto allĠonorarietˆ delle cariche governative. In primo luogo, la citata lett. c) dellĠart. 3 parla (al plurale) di ÒÉ direzione delle Autoritˆ centrali e provincialiÓ; analogamente, lĠart. 43, comma ventiquattresimo parla di ÒÉ uffici dipendenti dalle Autoritˆ nazionali e provinciali di P.S.Ó. A ci˜ aggiungasi il fatto che il suddetto organo  definito dalla legge ÒDirettore generale della pubblica sicurezzaÓ e non piuttosto Òdel Dipartimento della Pubblica SicurezzaÓ, per tale preposto alla direzione generale di tutte le attivitˆ concernenti la suddetta materia: in virt di ci˜ sarebbe logicamente destinato ad esercitare un potere di supremazia su tutte le Autoritˆ provinciali di P.S., compreso il Prefetto, nonostante questi sia diretta espressione fiduciaria di un Potere indubbiamente sovraordinato al suddetto Direttore, quale  quello politico del Governo. Non si dimentichi, sotto questo aspetto, che a rigore allo stesso Ministro dellĠInterno  inibita - in materia - qualsiasi concreta attribuzione di ordine o direzione, potendo agire solo attraverso lĠAmministrazione di cui si  detto. LĠart. 4 della legge 121/81 stabilisce che ÒnellĠambito dellĠAmministrazione di Pubblica Sicurezza  istituito il Dipartimento di Pubblica Sicurezza che provvede secondo le direttive e gli ordini del Ministro dellĠInternoÓ. La norma va letta in connessione allĠart. 1 comma secondo, in base al quale Òil Ministro dellĠInterno adotta i provvedimenti per la tutela dellĠordine e della sicurezza pubblicaÓ. (366) MOSCA, Profili strutturali del nuovo ordinamento della Polizia italiana, cit., p. 70. Il Ministro dellĠInterno, nellĠambito delle sue attribuzioni, pu˜ emanare direttive ed ordini; ai sensi dellĠart. 2, comunque, Òespleta i propri compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica avvalendosi dellĠAmministrazione di pubblica sicurezzaÓ. In quanto articolazione dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza, il Dipartimento non ha competenze (recte, potestˆ) proprie, ma provvede secondo le direttive del Ministro. Sempre lĠart. 4 elenca le competenze del Dipartimento: 1) ai sensi del numero 1, provvede allĠattuazione della politica dellĠordine e della sicurezza pubblica, ossia a mettere in pratica le decisioni, in materia, del- lĠAutoritˆ ministeriale. Se le linee generali della politica dellĠordine e della sicurezza pubblica sono date dal Consiglio dei Ministri, il Ministro dellĠInterno, quale Autoritˆ Nazionale di P.S. e responsabile della sicurezza pubblica, adotta i provvedimenti per indicare le specifiche e concrete scelte istituzionali in materia. Nel sistema previgente la legge 121/81, il Ministro dellĠInterno non era Autoritˆ nazionale di P.S., e come tale non aveva formalmente alcuna capacitˆ provvedimentale (riservata allĠallora Direzione Generale di P.S.). 2) Al numero 2 si parla invece di coordinamento tecnico-operativo delle Forze di polizia. Il coordinamento cui  deputato il Dipartimento  diverso da quello che giˆ compete al Ministro dellĠInterno, assumendo carattere tecnico operativo: il Dipartimento, dunque, non stabilisce la politica dellĠordine e della sicurezza pubblica, nŽ coordina i compiti o le attivitˆ delle Forze di polizia. Il coordinamento  unĠattribuzione nuova rispetto al sistema previgente, che non comporta compiti di direzione (il che spiega, secondo alcuni Autori, la decisione legislativa - ad evitare equivoci - di mutare la precedente denominazione di ÒDirezione GeneraleÓ in quella pi neutra di ÒDipartimentoÓ). I compiti della struttura sono indicati al successivo art. 6. 3) In aggiunta alle precedenti funzioni Òsuper partesÓ, il numero 3 gli attribuisce pure la direzione ed amministrazione della Polizia di Stato, mutuata dalla precedente Direzione Generale. 4) Infine, al numero 4, si indicano la direzione e gestione dei supporti tecnici, anche per le esigenze del Ministero dellĠInterno. Formalizzata per la prima volta (in precedenza era prevista solamente in via di fatto), non attiene al coordinamento, bens“ - come la precedente - al livello di direzione e gestione. La funzione di coordinamento tecnico-operativo di diverse Forze di polizia (che mantengono - su un piano di paritˆ istituzionale - i rispettivi ordinamenti e dipendenze)  una tipica funzione degli Enti cd. ÒregolatoriÓ (nel cui ambito rientrano Agenzie specializzate, Authorities pubbliche, etc.), necessariamente neutrali -e non semplicemente imparziali -rispetto ai soggetti coordinati (o funzionalmente diretti). Sebbene di ÒneutralitˆÓ non sia possibile parlare, a legislazione vigente, secondo alcuni Autori la legge 121 assicurerebbe comunque unĠadeguata separazione dei ruoli - pur con le sovrapposizioni di cui si  in precedenza detto - nel distinguere formalmente gli uffici del Dipartimento che si occupano dellĠamministrazione e direzione del personale e delle strutture della Polizia di Stato. B.3) LE AUTORITË PROVINCIALI DI PUBBLICA SICUREZZA. Il rapporto tra le Autoritˆ di pubblica sicurezza rappresenta uno dei punti nevralgici della legge 121/81, che essendo stata promulgata Òa TULPS invariatoÓ ha finito col dar vita, nel corso del tempo, ad un singolare Òsistema binario incrociatoÓ recante serie criticitˆ. Per chiarire la questione, di rado affrontata negli studi di settore, occorre porre alcune premesse di carattere strettamente giuridico. LĠart. 3 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 - norma che per la prima volta (367) ordinava la dirigenza dello Stato secondo qualifiche e funzioni proprie -attribuiva ai Ministri una serie di poteri tipici del rapporto gerarchico, quale quello di Òannullamento, revoca e riforma di ogni atto adottato da dirigenti entro il termine di quaranta giorni dallĠadozione; revoca o modifica, per sopravvenute ragioni di pubblico interesse, degli atti dirigenziali aventi ad oggetto concessioni di durata pluriennale o rinnovabili o prorogabili; decisione dei ricorsi gerarchici sugli atti dei dirigenti; riserva in taluni casiÓ. La regola aveva portata generale e come tale poteva essere derogata solo da disposizioni di legge a carattere speciale: tra queste vi era indubbiamente la normativa disciplinante lĠordinamento della carriera prefettizia, che ancor oggi prevede (368) la possibilitˆ per il Ministro dellĠInterno di esercitare una serie di ben pi penetranti poteri gerarchici nei confronti degli atti adottati dal Prefetto, cui si aggiunge un distinto rapporto di dipendenza funzionale con i Ministri di volta in volta competenti per materia di intervento. In occasione della riforma dellĠordinamento di P.S. - intervenuta nella vigenza del predetto D.P.R. 748/72 - il legislatore, a differenza di quanto previsto per i Prefetti, non attribu“ al Ministro dellĠInterno alcuno specifico potere di carattere gerarchico nei confronti dei Questori e dei funzionari di polizia, limitandosi a parlare di ÒresponsabilitˆÓ, Òalta direzioneÓ, ÒcoordinamentoÓ e ÒdirettiveÓ (artt. 2, 3 e 4): significativamente, del resto, lĠunica norma nella quale si parla (peraltro senza una precisa contestualizzazione) di ÒordiniÓ dellĠAutoritˆ ministeriale - lĠart. 4 comma primo - indica genericamente quale destinatario di essi il ÒDipartimento della P.S.Ó e non anche i singoli funzionari che ne fan parte, nŽ il suo vertice. Semplicemente lĠart. 65 venne a precisare - stante lĠallora vigenza, come giˆ detto, del D.P.R. 748/72 - che ÒGli appartenenti ai ruoli dellĠAmministra (367) Nella specie, il legislatore definiva i dirigenti Òorgani con funzioni limitateÓ. (368) Si pensi, a tacer dĠaltro, allĠart. 2 comma secondo del TULPS, tuttora in vigore, che attribuisce al Ministro dellĠInterno la potestˆ di decidere il ricorso gerarchico contro i provvedimenti adottati dal Prefetto Òper la tutela dellĠordine pubblico e della sicurezza pubblicaÓ. Il principio trova conferma nel successivo art. 6. zione della pubblica sicurezza hanno [generici - ndr] doveri di subordinazione gerarchica nei confronti: a) del Ministro dellĠInterno; b) dei Sottosegretari di Stato per lĠInterno, quando esercitano, per delega del Ministro, attribuzioni in materia di pubblica sicurezza; c) del Capo della polizia-Direttore generale della pubblica sicurezza. Restano salvi i doveri di subordinazione funzionali degli appartenenti allĠAmministrazione della pubblica sicurezza verso il Prefetto e, nei casi previsti dalla legge, verso le altre Autoritˆ dello StatoÓ. A rigore, dunque, la legge 121 formalmente sembrava estendere a tutto il personale dellĠAmministrazione di P.S. il vincolo gerarchico che il D.P.R. 748/72 prevedeva per i soli dirigenti, ma a differenza di questĠultimo non chiariva - e qui sta il punto - in quali forme il Ministro avrebbe potuto esercitarlo. Per tali ragioni il valore dellĠart. 65 era prettamente simbolico, a ribadire cio che il nuovo assetto dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza non aveva assunto caratteri autoreferenziali, nonostante il venir meno della subordinazione gerarchica ai Prefetti, poichŽ i suoi vertici dipendevano ancora fattivamente dallĠAutoritˆ di governo (la cd. ÒCivil AuthorityÓ). Questo stato di cose sub“ per˜ unĠalterazione nel momento in cui, anche sotto la spinta del diritto comunitario, il legislatore nazionale inizi˜ a distinguere sempre pi nettamente le funzioni di indirizzo politico da quelle dirigenziali di gestione, quale corollario del principio costituzionale di buona amministrazione ex art. 97 Cost. (369): lĠautonomia dirigenziale fu in un primo momento prevista per le sole Amministrazioni non statali (con legge 3 aprile 1990, n. 142), ma di l“ a poco divenne regola generale del diritto amministrativo con il D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (cd. Òprima privatizzazioneÓ del pubblico impiego) e soprattutto con il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (cui seguirˆ il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attualmente in vigore). Venuta meno la maggior parte delle disposizioni del D.P.R. 748/72 per incompatibilitˆ (370) - da ultimo - con quelle del D.lgs. 165/01 (ai sensi dellĠart. (369) La dottrina non ha mancato di evidenziare alcune contraddizioni insite nella stessa Carta Costituzionale riguardo al ruolo gerarchico o meno del Ministro, in primis tra gli artt. 95 e 97, laddove il primo afferma che Òi Ministri sono responsabili É individualmente degli atti dei propri dicasteriÓ, con ci˜ apparentemente optando per un ordinamento amministrativo statale accentrato e gerarchizzato, nel quale il Ministro tiene sotto controllo lĠazione burocratica del proprio dicastero. Per contro lĠart. 97, nel disporre che ÒnellĠordinamento dei pubblici uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilitˆ proprie dei funzionariÓ, sembrerebbe prevedere una distinzione tra il momento della scelta politica e quello della sua attuazione amministrativa, demandata a funzionari autonomi e responsabili del proprio agire. In questi termini, COLAPIETRO, Governo e amministrazione (I). La dirigenza pubblica tra imparzialitˆ e indirizzo politico, Torino 2004, pp. 50-51. In argomento si veda anche il contributo di DAMIANO, La dirigenza pubblica tra politica e amministrazione, Napoli 2008 (su http://www.fedoa.unina.it/3447/1/Damiano_Antonio.pdf). (370) Nel senso dellĠimmediata abrogazione implicita (ex art. 15 disp. prel. cc. - almeno fin dallĠentrata in vigore del D.lgs. 80/1998 - per lĠevidente incompatibilitˆ tra i due sistemi) sono la dottrina prevalente e la giurisprudenza. Sul punto, cfr. DĠORTA, Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilitˆ, in AA.VV. (a cura di CARINCI), Il lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, Milano 1995, p. 229. 72, comma 1 lett. ÒbÓ di questĠultimo), vennero correlativamente meno gli specifici poteri sino a quel momento riconosciuti al Ministro anche nei confronti dei vertici del Dipartimento di P.S.: in effetti lĠart. 3 del D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 fa s“ salve eventuali disposizioni speciali dettate per determinate categorie di pubblici funzionari, tra le quali Òle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera É prefettiziaÓ, ma tale eccezione attualmente permane, in concreto, solo per i Prefetti (in base alle norme speciali che li riguardano) e non anche per il restante personale dellĠAmministrazione di P.S., dal momento che - come giˆ evidenziato - lĠart. 65 della legge 121/81 in realtˆ non attribuisce, nei riguardi di questĠultimo, alcun potere specifico e concreto al Ministro. Una sintesi della materia aiuterˆ a comprendere la questione. NellĠordinamento vigente, lĠAutoritˆ di pubblica sicurezza , ai sensi dell'art. 1 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), unĠentitˆ deputata: Òal mantenimento dellĠordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumitˆ e alla tutela della proprietˆ; cura l'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, nonchŽ delle ordinanze delle autoritˆ; presta soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni; É per mezzo dei suoi ufficiali, e a richiesta delle parti, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privatiÓ. Ha dunque il compito di garantire le condizioni di pace sociale, prevenendo i fattori che potenzialmente la minacciano ed eliminando gli stati di turbativa giˆ in atto. LĠAutoritˆ di pubblica sicurezza  una funzione di governo, che si articola a livello nazionale, provinciale e locale. Le attribuzioni dellĠAutoritˆ nazionale di pubblica sicurezza sono attualmente esercitate dal Ministro dellĠInterno (371), al quale lĠart. 1 della legge 1ĵ aprile 1981, n. 121 ha attribuito la responsabilitˆ della tutela dellĠordine e della sicurezza pubblica. Non pu˜ per˜ esercitarle autonomamente ed a propria discrezione, ma deve farlo per il tramite del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, articolazione del proprio Ministero. A capo di tale Dipartimento vi  un organo individuale - il Direttore - che formalmente non  qualificato dalla legge come Autoritˆ (nazionale) di P.S., ma che di fatto, in ragione del vincolo sopra evidenziato, ha il reale monopolio della materia. Un monopolio accentuato dalla circostanza che per tale organo - unico nellĠordinamento nazionale e probabilmente europeo non vale il principio generale della separazione tra le funzioni di indirizzo e quelle esecutive. La stessa persona fisica viene infatti a ricoprire, contemporaneamente e con pienezza di poteri (372), sia le funzioni di capo di una singola Forza di polizia (avente cio attribuzioni esecutive, essendo chiamato con altri a dare attuazione alle linee di indirizzo formate in sede governativa), sia quelle di Capo del Dipartimento che tale indirizzo implementa e coordina (id est, un organo ausiliario del Ministro e come tale partecipe della predetta attivitˆ di indirizzo). Tale compenetrazione di funzioni finisce quindi per attribuirgli - contemporaneamente (e paradossalmente) - il ruolo sia di controllore che di controllato, nel medesimo contesto operativo. Compenetrazione sottolineata dallĠulteriore circostanza che, in caso di impedimento, il Direttore della P.S. viene sostituito non da uno qualsiasi dei suoi tre vice-capi (che possono (371) Laddove altri ordinamenti le attribuiscono invece al Capo del Governo, attesa la sua naturale funzione di organo di coordinamento politico-amministrativo. anche provenire dalla carriera civile prefettizia), ma da quello delegato a dirigere la Direzione centrale della polizia criminale, che per legge deve provenire dalla carriera della Polizia di Stato. Ai sensi del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per lĠesecuzione del TULPS) lĠAutoritˆ di P.S.  poi anche Òprovinciale e localeÓ: in particolare, le attribuzioni dellĠAutoritˆ provinciale di pubblica sicurezza sono esercitate dal Prefetto e dal Questore (questĠultimo solamente sotto il profilo operativo): il Prefetto dipende gerarchicamente dal Ministro dellĠInterno, in via diretta, mentre il Questore dipende funzionalmente dal Prefetto (quale autoritˆ di pubblica sicurezza, alla pari di tutte le altre Forze di polizia operanti sulla provincia) e gerarchicamente dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza. La situazione che ne risulta dˆ vita al singolare (ed in parte anomalo) schema di rapporti istituzionali che in precedenza  stato definito Òbinario/incrociatoÓ, per le ragioni che seguono: come anticipato, il Prefetto dipende gerarchicamente dal Ministro dellĠInterno, in via diretta, mentre il Questore (che non ha unĠanaloga dipendenza dal Ministro) dipende solo funzionalmente dal Prefetto (quale Autoritˆ ÒgeneraleÓ di pubblica sicurezza) e gerarchicamente dal Capo della Polizia. QuestĠultimo, per˜, contestualmente  anche, a sua volta, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza e, se da un lato la sua dipendenza gerarchica dal Ministro  ormai solo nominale (sia come Capo della Polizia di Stato che come Capo del Dipartimento), dallĠaltra - pur essendo un organo amministrativo, per quanto di grado apicale - finisce per essere funzionalmente (373 ) sovraordinato (in quanto, seppur non formalmente ÒAutoritˆÓ, pur sem (372) Entrambi i ruoli sono caratterizzati da piena effettivitˆ di poteri: da tale organo-persona fisica dipendono infatti, direttamente, la Direzione centrale dellĠimmigrazione e della polizia delle frontiere, la Direzione centrale per le risorse umane, la Direzione centrale di sanitˆ, la Direzione centrale per gli istituti di istruzione, la Direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale, la Direzione centrale per i servizi di ragioneria, lĠUfficio centrale Interforze per la sicurezza personale, la Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia e la Scuola superiore di polizia; indirettamente (per il tramite cio di un vicedirettore generale - Direttore centrale della polizia criminale), la Direzione centrale della polizia criminale, lĠUfficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia, lĠUfficio centrale ispettivo, la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, la Direzione centrale per i servizi antidroga, la Direzione investigativa antimafia, la Direzione centrale per gli affari generali della Polizia di Stato, la Direzione centrale della polizia di prevenzione e la Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazione e per i reparti speciali della Polizia di Stato. (373) Secondo DI RAIMONDO (Il sistema della pubblica sicurezza, Padova 1984, p. 234) non si potrebbe parlare di un rapporto di sovraordinazione (gerarchica) tra il Direttore generale della pubblica sicurezza (nonchŽ Capo della Polizia di Stato) e le Autoritˆ provinciali e locali di P.S., dal momento che lĠart. 5 della legge 121/81, pur ponendo il primo al vertice dellĠAmministrazione di P.S., significativamente non gli attribuisce formalmente la qualifica di Autoritˆ di pubblica sicurezza. Tale ricostruzione, motivata dallĠesigenza di sottrarre i Prefetti ad unĠanomala inversione dei ruoli (appunto quali subordinati - allĠatto pratico - dellĠorgano di vertice della Polizia), non appare del tutto convincente, poichŽ finisce per collegare lĠesistenza o meno di un rapporto gerarchico (seppur circoscritto a specifici ambiti delle competenze prefettizie) ad un semplice dato nominalistico anzichŽ - come si conviene - allĠeffettivitˆ dei poteri e delle funzioni svolte. Inoltre sembra dimenticare che il Questore - anchĠegli Autoritˆ provinciale di P.S. - indubbiamente dipende, gerarchicamente, dal proprio organo apicale, che attualmente coincide anche con il suddetto Direttore generale. Sostiene la tesi della mera relazione funzionale DE PAOLA (Il ruolo del Prefetto nel sistema della sicurezza pubblica, cit., p. 43), in forza della quale Òil Dipartimento si pone come la sede in cui vengono definiti, in conformitˆ allĠindirizzo politico, i diversi piani generali pre ÒDirettore della Pubblica SicurezzaÓ a livello nazionale) proprio al Prefetto (quale Autoritˆ ÒperifericaÓ di P.S.), nonostante questi sia un organo di diretta emanazione del potere politico - del Governo e del Ministro dellĠInterno - che in tale veste esercita istituzionalmente un potere di indirizzo (374). Il Prefetto, infatti,  s“ unĠAutoritˆ di P.S., ma solo a livello provinciale, dunque pur sempre riferita ad un ambito di competenze (politiche ed operative) ridotto rispetto a quello nazionale. A ci˜ aggiungasi che lo stesso Ministro dellĠInterno non ha un reale potere di direzione nei confronti del Capo del Dipartimento di P.S. (laddove lo ha invece nei confronti del Prefetto, il quale  per˜, in concreto, subordinato a questĠultimo) o di autotutela, nŽ  in grado di intervenire direttamente nellĠattuazione delle politiche di sicurezza da lui stesso definite, posto che a tal fine deve esclusivamente avvalersi, per legge, proprio del medesimo Dipartimento. In questi termini, il sistema italiano presenta unĠanomalia strutturale assente negli altri ordinamenti del cd. Ògruppo G6Ó dellĠUnione, che distinguono tra Autoritˆ di indirizzo (ricomprendendo in tale categoria, oltre al Ministro competente in materia ed eventuali Sottosegretari di Stato, anche lĠorgano di vertice operativo dellĠAmministrazione di P.S., in ragione delle sue funzioni ausiliarie e di alta amministrazione) ed apparati operativo/gestionali (nella specie, le singole Forze dellĠordine ed altre strutture di settore: ad es. Vigili del fuoco, Protezione civile, etc.). Volendo limitarci ad alcune indicazioni di massima, nellĠordinamento francese il vertice dellĠAmministrazione di P.S. risiede (art. 3 del DŽcret n. 851057 del 2 ottobre 1985 (375)) nel ÒSecrŽtaire gŽnŽralÓ del Ministero del- lĠInterno (un funzionario dellĠAmministrazione civile, generalmente un Prefetto), che esercita le funzioni di coordinamento dellĠinsieme dei servizi e delle strutture della sicurezza nazionale, oltre a rilevanti attribuzioni di indirizzo (cfr. commi 5 e 6: ÒIl est chargŽ des affaires politiques. - Il est chargŽ attinenti allĠ ordine e alla sicurezza pubblica, di cui allĠ art. 6 della legge n. 121/81 e le relative competenze del PrefettoÓ. Presupposto della ricostruzione proposta dallĠAutore  che il Prefetto non possa considerarsi un elemento organico allĠAmministrazione della P.S., pur integrandosi funzionalmente e necessariamente in essa: tale (mera) integrazione spiegherebbe il collegamento con il Dipartimento ed il suo vertice. Di conseguenza, in occasione ÒdellĠelaborazione dei Piani, il Capo della Polizia potrˆ influire sullĠazione dei Prefetti, che dovranno attenersi alle direttive da questi impartite per la loro corretta esecuzione in provincia. Tuttavia, questo potere del Capo della polizia non potrˆ menomare la competenza del Prefetto riguardo allĠattuazione dellĠindirizzo politico governativo a livello provincialeÓ. (374) Sempre DE PAOLA (op. ult. cit., p. 40) rileva che la ÒpoliticitˆÓ del Prefetto non si traduce in un autonomo potere di elaborazione dellĠindirizzo politico, che in materia di pubblica sicurezza spetta esclusivamente al Consiglio dei Ministri ed al Ministro dellĠInterno. Per ÒpoliticitˆÓ dovrebbe piuttosto intendersi una competenza generale di attuazione di tale indirizzo, che non si estrinsechi in una mera esecuzione delle direttive degli organi politici, quanto piuttosto nellĠinterpretazione dello stesso e nella traduzione in atti dĠindirizzo per le Forze di polizia, alla luce delle specificitˆ della realtˆ locale. (375) Su http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do;jsessionid=2903D196155A93581F50EF789D0D B5CF.tpdjo15v_1?cidTexte=LEGITEXT000006064688&dateTexte=20121231. de coordonner la politique du Ministre de lĠIntŽrieur en matire de titres sŽcurisŽs ÉÓ ), totalmente distinto dai vertici e dalle strutture delle Forze di polizia a carattere generalista (Police Nationale e Gendarmerie Nationale: artt. 5 e 5-bis), che da questi neppure dipendono. In Spagna, lĠorgano amministrativo di vertice  la Secretar’a de Estado de Seguridad, anchĠessa separata (ai sensi dellĠart. 1, comma sesto, lett. ÒaÓ del Real Decreto n. 400 del 7 febbraio 2012 (376)) dalle strutture e dai vertici (tra loro autonomi) delle due Forze di polizia generaliste, che fanno invece capo alle distinte (377) ed equiordinate ÒDirecci—n General de la Polic’aÓ e ÒDirecci—n General de la Guardia CivilÓ: cfr. gli artt. 3 e 4, nochŽ la ÒDisposici—n adicional cuartaÓ e Òquinta - lett. cÓ e la ÒDisposici—n transitoria terceraÓ ), analogamente agli ulteriori servizi del settore sicurezza (si veda lĠart. 11 per la ÒProtecci—n Civil y EmergenciasÓ e lĠart. 5 relativamente alla ÒSecretar’a General de Instituciones PenitenciariasÓ ). Il Secretario de Estado de Seguridad, ai sensi dellĠart. 2, anchĠesso (come giˆ in Francia (378)) un funzionario dellĠAmministrazione civile posto allĠimmediata dipendenza gerarchica del Ministro dellĠInterno, ha parimenti compiti di Òdirecci—n, coordinaci—n y supervisi—nÓ delle strutture ed organismi della pubblica sicurezza nazionale (379): attraverso tale Secretar’a il Ministro dellĠInterno svolge anche le proprie funzioni istituzionali di coordinamento (art. 2 comma quinto: ÒEst‡ adscrita al Ministerio del Interior, a travŽs de la Secretar’a de Estado de Seguridad, la Comisi—n Ejecutiva de Coordinaci—n, como —rgano estratŽgico de coordinaci—n ejecutiva de dicha Secretaria de EstadoÓ ). Anche nei sistemi tedesco (380) ed inglese, la cui organizzazione federale (376) Testo consolidato su http://www.boe.es/boe/dias/2012/02/18/pdfs/BOE-A-2012-2396.pdf. (377) Il tentativo di unificare i vertici delle due Direzioni generali (con Real Decreto n. 991/2006), nella dichiarata prospettiva di conseguire ipotetiche riduzioni di spesa, dopo circa sei anni venne abbandonato per ritornare al precedente regime, reintrodotto con il Real Decreto n. 400 del 7 febbraio 2012, causa le gravi inefficienze cui la novella aveva dato - in concreto - origine. (378) Anche ex art. 4 del DŽcret n. 2012-771 del 24 maggio 2012, relativo alle attribuzioni del Ministro dellĠInterno. (379) Precisamente, il comma 1 lett. b) dellĠart. 2 attribuisce al vertice dellĠAmministrazione di P.S. spagnola ÒLĠesercizio del comando delle Forze e dei Corpi di sicurezza dello Stato, il coordinamento e il monitoraggio dei servizi e delle missioni di loro competenzaiÓ (testualmente: ÒEl ejercicio del mando de las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado, la coordinaci—n y la supervisi—n de los servicios y misiones que les correspondenÓ). Occorre ricordare, al proposito, che la Spagna presenta un ordinamento con fortissime autonomie territoriali che giustificano - in unĠottica di equilibrio istituzionale - un cos“ marcato accentramento operativo delle funzioni nazionali di sicurezza: tra le attribuzioni della Secretar’a de Estado de Seguritad vi sono inoltre le classiche incombenze di indirizzo politico, individuate dal comma terzo, p.to 1, della medesima norma nei termini che seguono: ÒDesarrollar estrategias espec’ficas de lucha contra la criminalidad y elaborar planes conjuntos de actuaci—n en materia de seguridad ciudadana, coordinando la actuaci—n de las Fuerzas y Cuerpos de Seguridad del Estado en este ‡mbito, as’ como de Žstos con las Polic’as Auton—micas y Polic’as LocalesÓ. (380) Per unĠintroduzione, cfr. DUQUE QUICIOS, Modelo de seguridad aleman, in Cuadernos de la Guardia Civil XXXVII/2008, pp. 35 ss.. delle Forze dellĠordine  oltremodo complessa (cfr. la prima parte di questo lavoro, nota 53), vi  una netta distinzione tra le competenze dellĠAmministrazione di P.S. e le strutture operative che ne fanno parte o che comunque vi collaborano: in Germania le principali funzioni federali fanno capo alÒDipartimento-…SÓ (ÒAbteilung …ffentliche SicherheitÓ ) del Ministero del- lĠInterno (381), retto da un Segretario di Stato (382) e da cui dipendono anche la Bundeskriminalamt nonchŽ i servizi dellĠantiterrorismo. Svolge inoltre le funzioni di coordinamento tra le numerose Forze dellĠordine operanti nel territorio federale e tra queste e le Agenzie strumentali dellĠUE. A sua volta, il diverso ed autonomo ÒDipartmento-BÓ (ÒAbteilung BundespolizeiÓ ) - facente comunque capo al medesimo Segretario di Stato - supervisiona e gestisce le operazioni della Polizia federale (Bundespolizei) nonchŽ (con funzioni di coordinamento e controllo) le ÒUnitˆ miste di pronto interventoÓ (ÒBereitschaftspolizeiÓ). Anche nel modello tedesco (sia a livello federale che di singoli LŠnder) si dˆ atto della compartecipazione degli organismi di vertice dellĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza (383) alle funzioni di indirizzo politico (resa ancor pi esplicita dal fatto che a tali strutture sono direttamente preposti dei Segretari di Stato di nomina politica), derivandone come conseguenza la netta separazione rispetto alle strutture aventi carattere operativo (tra cui le Forze dellĠordine e gli apparati di sicurezza). In termini strettamente giuridici, la base normativa del sistema operativo della pubblica sicurezza federale tedesca  data da sette testi organici di legge: 1) la ÒGesetz Ÿber das Bundeskriminalamt und die Zusammenarbeit des Bundes und der LŠnder in kriminalpolizeilichen Angelegenheiten BKAGÓ [cd. ÒBundeskriminalamtsgesetzÓ (384)]; 2) la ÒGesetz Ÿber die Zusammenarbeit des Bundes und der LŠnder in Angelegenheiten des Verfassungsschutzes und Ÿber das Bundesamt fŸr Verfassungsschutz - BVerfSchGÓ [cd. ÒBundesverfassungsschutzgesetzÓ (385)]; 3) la ÒGesetz Ÿber die Bun (381) Cfr. http://www.bmi.bund.de/DE/Ministerium/Struktur-Abteilungen/struktur-abteilungen_node.html. (382) Proveniente dai ruoli dellĠAmministrazione civile dello Stato (ad es. un magistrato) o anche un politico di carriera. (383) ÒState secretaries are the highest-ranking civil servants in a federal Ministry. They are responsible for ensuring that the Ministry is able to carry out its tasks in line with the MinisterĠs directions and guidance; they also represent the minister as head of this supreme federal authority within the Ministry and beyond. Because this position requires a high level of agreement with the ministerĠs policy and subject-related objectives, State secretaries are ÒpoliticalÓ civil servants, that is, the Federal President may suspend their appointment at any time following the recommendation of the Federal Minister, who does not need to provide any reasons for this recommendationÓ (cos“ nellĠintroduzione del portale istituzionale del BMI -Bundesminiterium des Innern, novembre 2013). (384) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bkag_1997/index.html. Si tratta della legge su ordinamento e funzioni della polizia criminale federale e sulla cooperazione tra questa e le autonome polizie criminali dei singoli LŠnder. Cfr. AHLF-DAUB-LERSCH-ST…RZER, Bundeskriminalamtgesetz (BKAG), Kommentar, Stuttgart 2000. despolizei -BpolGÓ [cd. ÒBundespolizeigesetzÓ (386)]; 4) la ÒVereinsgesetz -VereinsGÓ (387); 5) la ÒWaffengesetz - WaffGÓ (388); 6) la ÒGesetz Ÿber explosionsgefŠhrliche Stoffe -SprengstoffgesetzÓ [cd. ÒSprengGÓ - (389)] e 7) la ÒZollfahndungsdienstgesetz -ZFdGÓ (390). A loro volta, i singoli LŠnder hanno competenze legislative esclusive in merito allĠordinamento della pubblica sicurezza ÒinternaÓ, distinta - seppur con essa coordinata - da quella federale (391). La struttura dellĠapparato operativo di polizia riflette quella federale dello Stato, nella quale la maggior parte delle competenze (comprese quelle di pubblica sicurezza) appartiene ai singoli LŠnder, residuando alla Federazione solamente la cura degli affari esteri, del Tesoro, delle Forze armate e della protezione delle frontiere, settori cui si sono recentemente aggiunti il controllo e la sicurezza degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie, la lotta alla delin (385) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bverfschg/BJNR029700990.html. Legge sullĠUfficio federale per la protezione dellĠordinamento costituzionale e sulla collaborazione tra i Governi federale e dei singoli LŠnder in materia. In argomento cfr. KROGER, Bundesverfassungsschutzgesetz, MŸnchen 1995. (386) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/bgsg_1994/BJNR297900994.html. Si tratta della legge che istituisce e regolamenta la Bundespolizei (o ÒPolizia federaleÓ, specializzata in antiterrorismo ed ordine pubblico, nata dallĠincorporazione della precedente Polizia di frontiera). In merito si vedano DREWES-MALMBERG-WALTER, Bundespolizeigesetz BPolG. Zwangsamwendung nach Bundesrecht VwVG/UZwG, Stuttgart 2010. (387) Su http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/vereinsg/gesamt.pdf. é la legge federale sulla libertˆ di associazione, emendata nel 2007. Cfr. anche http://www.gesetze-im-internet.de/vereinsg/index.html. Si veda ERBS-KOHLHAAS, Strafrechtliche Nebengesetze. Kommentar, MŸnchen 2012. (388) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/waffg_2002/index.html. Legge federale sulle armi. Si vedano BUSCHE, Kompendium Waffensachkunde, Kiel 2009 ed HELLER-SOSCHINKA, Waffenrecht. Handbuch fŸr die Praxis, MŸnchen 2008. Cfr. anche http://www.gesetze-im-internet.de/awaffv/index.html. (389) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/sprengg_1976. Legge federale sulle sostanze esplosive. In argomento STEINDORF-PAPSTHART, Waffenrecht: Waffengesetz, Sprengstoffgesetz, Gesetz uber die Kontrolle von Kriegswaffen und Durchfuhrungsvorschriften, MŸnchen 2012. (390) Testo consolidato su http://www.gesetze-im-internet.de/zfdg/index.html. Legge federale sui servizi di investigazione doganale. In argomento cfr. FEHN-LENZ, Zollfahndungsdienstgesetz (ZFdG): Handkommentar, Baden-Baden 2003. (391) Bayerischen Polizei (PAG); Bayerisches Landesstraf- und Verordnungsgesetz (LStVG); Berlin: Allgemeines Sicherheits- und Ordnungsgesetz (ASOG Bln); Brandenburg: Brandenburgisches Polizeigesetz (BbgPolG); Bremen: Bremisches Polizeigesetz; Hamburg: Hamburger Sicherheits- und Ordnungsgesetz (SOG); Hessen: Hessisches Gesetz Ÿber die šffentliche Sicherheit und Ordnung (HSOG); Mecklenburg-Vorpommern: Sicherheits- und Ordnungsgesetz Mecklenburg-Vorpommern (SOG M-V); Niedersachsen: NiedersŠchsisches Gesetz Ÿber die šffentliche Sicherheit und Ordnung (Nds. SOG); Nordrhein-Westfalen: Nordrhein-WestfŠlisches Polizeigesetz (PolG NRW); Ordnungsbehšrdengesetz (OBG NRW); Rheinland-Pfalz: Rheinland-PfŠlzisches Polizei- und Ordnungsbehšrdengesetz (POG); Saarland: SaarlŠndisches Polizeigesetz (SPolG); Sachsen: SŠchsisches Polizeigesetz (SŠchsPolG); Sachsen-Anhalt: Sachsen-Anhaltisches Sicherheits- und Ordnungsgesetz (SOG LSA); Schleswig-Holstein: Schleswig-Holsteinisches Landesverwaltungsgesetz (LVwG); ThŸringen: ThŸringer Polizei-aufgabengesetz (unitamente al par. 17 del ThŸringer Ordnungsbehšrdengesetz). Testi consolidati sui singoli portali istituzionali, raccolti nellĠarchivio http://www.justiz-und-recht.de/Gesetze/landesrecht.html. quenza organizzata, al traffico di stupefacenti ed al terrorismo (392). Due sono le caratteristiche del sistema di polizia tedesco, la separazione verticale dei poteri e lĠassoluta autonomia dei LŠnder nelle proprie decisioni di indirizzo (393): correlativamente, a fronte di una normativa processual-penalistica unitaria data a livello federale, che detta la disciplina da seguire nel contrasto alle attivitˆ criminali (in particolare, le regole dellĠattivitˆ investigativa di polizia), ogni Land approva unĠautonoma legge (amministrativa) organica di polizia (Polizeigesten) che disciplina missioni, competenze, funzioni ed organizzazione di ciascuna delle proprie Forze dellĠordine. Nel Regno Unito, a livello ÒcentraleÓ si colloca lĠHome Office (giˆ ÒHome DepartmentÓ, corrispondente al Ministero dellĠInterno (394)) e retto da un ÒHome SecretaryÓ (equivalente del Ministro) supportato da un ÒPermanent SecretaryÓ (funzionario di carriera dellĠAmministrazione civile) e da alcuni ÒMinistersÓ (Sottosegretari di Stato, di provenienza politica) preposti alle singole Direzioni generali ed Agenzie in cui si articola lĠAmministrazione di P.S. Anche questo sistema prevede una netta distinzione tra gli organismi di indirizzo e le singole strutture di polizia, ad essi sottordinate. A differenza della maggior parte degli altri modelli europei (strutturati su una pluralitˆ di Forze di polizia, tra loro autonome ed equiordinate nel rapporto di dipendenza funzionale dallĠAutoritˆ di governo), quello polacco viene invece generalmente ricondotto ad uno schema ÒmonisticoÓ, fondato cio su unĠunica Forza di polizia a competenza generale (o, per meglio dire, ÒintegraleÓ), ripartita al suo interno in una pluralitˆ di Reparti e Specialitˆ dotati di autonomia operativa pi o meno marcata. Tale presupposto non  per˜ corretto, poichŽ anche il Òsitema sicurezzaÓ polacco  articolato secondo una pluralitˆ di Forze dellĠordine, tra loro autonome: in particolare - oltre alla pi nota Policja civile - la Guardia di frontiera (Str‡. Graniczna/SG, il cui ordinamento venne inizialmente dato dalla legge 12 ottobre 1990 (395)) e lĠUfficio per la sicurezza del Governo (Biuro Ochrony (392) La Costituzione, peraltro, attribuisce alla Federazione ulteriori competenze, quali quelle di polizia giudiziaria, la difesa dellĠintegritˆ dello Stato, quella delle frontiere ed il contrasto alla delinquenza internazionale, laddove sia idonea a compromettere gli interessi comuni federali. (393) Unico elemento ÒunificatoreÓ, la formazione comune dei quadri superiori delle varie Forze dellĠordine (appena il 2% del totale degli organici) presso i medesimi centri di istruzione (in particolare, lĠAccademia di polizia di Hilltrup). (394) Si veda il portale istituzionale http://www.homeoffice.gov.uk/about-us/our-organisation. Per una sinottica rassegna in materia, cfr. FORD, ACPO UK Police Directory, Hove 2014. Elementi di interesse si possono trarre anche dal rapporto The Strategic Policing Requirement, HMIC/London 2014. (395) Pubblicata su Dz.U. 1990, n. 78 voce 462, quindi - con emendamenti - su Dz.U. 2005, n. 234, voce 1997 (lĠultima modifica risale al 2009: cfr. Dz.U. 2009, n. 168, voce 1323). Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/Download?id =WDU19900780462&type=3. Le attribuzioni di tale Corpo (autonomo e non una Specialitˆ della polizia civile, comĠ invece il caso della Polizia di frontiera italiana) sono analoghe, sotto diversi profili, a quelle originarie della Guardia di Finanza (prevenzione e repressione dei reati fiscali, etc.). Pur giuridicamente qualificabile come Forza di polizia a status civile, a dif Rz.du / BOR, regolamentato da ultimo con legge 16 marzo 2001 (396)), peraltro non inquadrabile come Forza di polizia, a differenza dellĠABV - Agencja Bezpiecze.stwa Wewn.trznego (397). Ad esse vanno poi aggiunte la Stra. Ochrony Kolei (polizia ferroviaria), a competenza specialistica e status paramilitare (398), la S.u.ba Celna (polizia doganale, dipendente dal Ministero delle Finanze (399)) e lĠInspekcja Transportu Drogowego (equivalente della polizia stradale (400)). Considerazione a parte merita infine la S.u.ba Wi.zienna (polizia penitenziaria), dipendente dal Ministero della Giustizia, la cui disciplina ordina- mentale riposa nella legge 9 aprile 2010 (401), che nellĠordinamento polacco -in deroga agli ordinari standard internazionali - viene espressamente qualificata come Corpo armato (di polizia, in ragione delle sue attribuzioni di pubblica sicurezza (402)). LĠautonomia istituzionale delle diverse Forze trova una prima sanzione nellĠart. 14, commi 4 e 5, del Testo Unico del 6 aprile 1990 (403) sulla polizia statale, laddove si precisa che (solo) in via eccezionale questĠultima pu˜ avvalersi, per la propria attivitˆ, anche dei riscontri informativi della SG e dei servizi interni di sicurezza, trattandosi di strutture preposte alla cura di propri obiettivi specifici. Riscontri informativi, val la pena precisare, che sono attualmente gestiti ferenza degli altri Corpi fa uso di gradi di tipo militare. Altre autonome Forze di polizia di frontiera europee sono, a titolo dĠesempio, la Derzhavna Prykordonna Sluzhba ucraina (a statuto militare), la Rajavartiolaitos finlandese (a statuto militare), la Hat‡r.rsŽg ungherese, la Politsei- ja Piirivalveamet estone, la Poli.ia de Frontier. rumena, la UK Border Agency (UKBA) britannica, etc. Tutte fanno riferimento, a livello di Unione Europea, al FRONTEX. (396) In precedenza questo organismo era disciplinato in via autonoma con legge 22 dicembre 1999, avente ad oggetto la temporanea subordinazione - a tal fine - di alcune unitˆ militari, separate dalle strutture della Policja civile. (397) Seppur dotata di personale in uniforme, si tratta in realtˆ di unĠAgenzia di sicurezza, istituita con l. 24/5/2002 (su Dz.U. 2010, n. 29 voce 154 -http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20100290154). (398) Cfr. sito istituzionale http://www.kgsok.pl/. é regolamentata dalla legge sul trasporto ferroviario, in Dz.U. 2003 n. 86, voce 789 (http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20030860789). (399) Polizia istituita con legge 24 luglio 1999 (su Dz.U. 1999, n. 72 voce 802 http:// isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU19990720802) (400) Istituita con legge 6 settembre 2001 sul trasporto su strada, dipende dal Ministero delle Infrastrutture (maggiori dettagli sul sito istituzionale http://www.gitd.gov.pl/). (401) La disciplina ordinamentale della S.u.ba Wi.zienna  pubblicata in Dz.U. 2010, n. 79 voce 523 (http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20100790523). (402) Testualmente, lĠart. 1 della legge 9 aprile 2010 cos“ recita: ÒS.u.ba Wi.zienna jest umundurowan. i uzbrojon. formacj. apolityczn. podleg.. Ministrowi Sprawiedliwo.ci, posiadaj.c. w.asn. struktur. organizacyjn.Ó (Òla Polizia penitenziaria  una formazione armata ed in uniforme alle dipendenze del Ministero della Giustizia, con propria struttura organizzativaÓ). A sua volta, lĠart. 2, comma 2 n. 6 attribuisce a tale Corpo - tra lĠaltro - il compito di mantenere, in ambito carcerario, lĠordine e la sicurezza pubblici (Òzapewnienie w zak.adach karnych i aresztach .ledczych porz.dku i bezpiecze.stwaÓ). (403) Pubblicato su Dz.U. 2002, n. 7 voce 58 (versione emendata): testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/Download ?id=WDU20020070058&type=3 da una struttura centrale interforze, il ÒKrajowe Centrum Informacji KryminalnejÓ (KCIK (404)), deputato a svolgere una fondamentale funzione di raccolta, elaborazione e comunicazione dei dati e delle informazioni di carattere penale, quale organismo terzo di coordinamento operativo. Tutte e tre le strutture (unitamente alle due Agenzie di sicurezza, interna ed esterna, poste alle dirette dipendenze del Primo Ministro anche sotto il profilo gerarchico) sono formalmente subordinate al Capo del Governo, che ne nomina i vertici. Intercorre invece una dipendenza funzionale con il Ministro dellĠInterno, per ragioni eminentemente operative, fermo restando che la competenza a definire obiettivi e linee-guida in materia di sicurezza interna ed esterna del Paese spetta solamente al Consiglio dei Ministri (art. 146, par 4, p.tti 7 e 8). In particolare, in base al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 248 del 18 novembre 2011 (405), lĠesercizio delle funzioni generali in materia di pubblica sicurezza, individuate dalla legge 21 giugno 1996, n. 421 (406), viene affidato (di fatto, una sorta di delega) al neo-istituito Ministero dellĠInterno (in precedenza ÒMinisterstwo Spraw Wewn.trznych i AdministracjiÓ ) che a tal pro si avvale, ai fini operativi e pianificatori, di un apposito Dipartimento amministrativo (ÒDzia.em Administracji Rz.dowej - Sprawy Wewn.trzneÓ) le cui attribuzioni sono previste allĠart. 29 della legge 4 settembre 1997 (407): tra queste, in particolare, la protezione della sicurezza e del- lĠordine pubblico (Òochrony bezpiecze.stwa i porz.dku publicznegoÓ), concretamente svolta con il concorso di una serie di strutture operative (tra cui il Comando in Capo della Polizia interna (408), quello della Polizia di frontiera (409) e dei Vigili del fuoco, nonchŽ la Direzione della Difesa Civile Nazionale), tra loro autonome ed equiordinate. Cos“ come in altri ordinamenti europei, anche nel sistema polacco, per assicurare un sostanziale equilibrio tra le Forze, queste vengono formalmente subordinate non ad uno specifico Ministro, bens“ direttamente al Capo del Governo. Per contro, non vi  un organismo centrale che coordini le attivitˆ di tutti i servizi: ad esempio, la Policja, la Guardia di frontiera e lĠUfficio per la sicu (404) Istituito ai sensi della legge 6 luglio 2001 (su Dz.U. 2001, n. 154, voce 1800). Per lĠaccessibilitˆ a questo servizio anche da parte della gendarmeria, lĠart. 40-a del relativo Testo Unico prevede che Òla Polizia militare pu˜, nella misura necessaria per svolgere le sue funzioni di legge, far uso delle informazioni raccolte dal Centro Nazionale Informazioni CriminaliÓ (Ò.andarmeria Wojskowa mo.e, w zakresie koniecznym do wykonywania jej zada. ustawowych, korzysta. z informacji kryminalnej zgromadzonej w Krajowym Centrum Informacji KryminalnychÓ). (405) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20112481491. (406) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU19961060491. (407) Testo consolidato su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20070650437. (408) La cui disciplina ordinamentale  data, da ultimo, dal Testo Unico 14 ottobre 2011 n. 1687 (su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20112871687). (409) La cui disciplina ordinamentale  data, da ultimo, dal T.U. 11 maggio 2011, n. 675 su http://isap.sejm.gov.pl/DetailsServlet?id=WDU20111160675. rezza del Governo fanno riferimento al Ministro dellĠInterno, mentre i due servizi di sicurezza (interna ed estera) nati dalla divisione dellĠex-Ufficio di protezione dello Stato (Urz.d Ochrony Pa.stwa - UOP), sino al 2002 (410) alle dipendenze del Ministero dellĠInterno, rispondono adesso direttamente al Primo Ministro e sono coordinati, nello svolgimento della loro attivitˆ, da un apposito Comitato costituito in seno al Consiglio dei Ministri (cui lĠart. 146 cit. della Costituzione attribuisce collegialmente la competenza a definire la politica di sicurezza dello Stato (411)). La Gendarmeria, infine, nelle ipotesi in cui concorre al mantenimento dellĠordine pubblico al di fuori della compagine militare, se da un lato viene a partecipare di tutte le potestˆ attribuite ex lege alla funzione di polizia civile, mantiene pur sempre la propria specificitˆ ordinamentale e di stato (412), anche quanto a dipendenza funzionale e gerarchica. LĠassenza di un organismo centrale di coordinamento verrebbe per˜ in qualche modo ÒattenuataÓ dallĠattivitˆ svolta dal Consiglio sulla Sicurezza nazionale, istituito presso il Consiglio dei Ministri ed esercitante funzioni (prevalentemente consultive) in materia di programmazione, supervisione e coordinamento delle attivitˆ dei due Servizi di sicurezza nazionali, dei servizi segreti militari (Wojskowe Sluzby Informacyjne - WSI), della polizia statale, della Guardia di frontiera e della gendarmeria (in breve, dei principali soggetti che esercitano funzioni di pubblica sicurezza (413)). (410) Con lĠintervento della legge di riforma del 24 maggio 2002 (pubblicata su Dz.U. 2002, n. 74 voce 676). (411) Su Dz.U. n. 78 voce 483. Testualmente, ÒW zakresie i na zasadach okre.lonych w Konstytucji i ustawach Rada Ministr—w w szczeg—lno.ci: É 7) zapewnia bezpiecze.stwo wewn.trzne pa.stwa oraz porz.dek publiczny; 8) zapewnia bezpiecze.stwo zewn.trzne pa.stwa; ÉÓ (trad. ÒNellĠambito e secondo i principi definiti dalla Costituzione e dalle leggi, il Consiglio dei Ministri in particolare É assicura la sicurezza interna dello Stato e lĠordine pubblico; 8. assicura la sicurezze esterna dello StatoÓ). (412) Da un lato, infatti, lĠart. 18/a del Testo Unico sulla Polizia statale del 6 aprile 1990 (cit.) prevede che la gendarmeria venga ad assumere le potestˆ tipiche della polizia civile su disposizione del Primo Ministro (previo concerto dei Ministri dellĠInterno e della Difesa); dallĠaltro, lĠart. 66 del Testo Unico sullĠordinamento della Gendarmeria nazionale (legge 24 agosto 2001, pubblicata in Dz.U. 2001, n. 123 voce 1353 - testo su http://isap.sejm.gov.pl/Download?id=WDU20011231353&type=3) stabilisce in termini generali che ÒLĠart. 76 della legge 4 settembre 1997 sullĠorganizzazione del Governo (Dz.U.z 1999, n. 82 voce 928)  sostituito dal seguente: ÇIl Presidente del Consiglio, su richiesta del Ministro degli Affari Interni, del Ministro della Difesa nazionale del Capo dellĠUfficio per la Sicurezza dello Stato [nel 2002 lĠAgenzia  stata divisa in due autonomi servizi (segreti) per la sicurezza interna ed esterna - ndr] dispone, con decreto, la ripartizione delle competenze tra la Polizia, lĠUfficio per la sicurezza del Governo, la Guardia costiera, la Polizia di frontiera, lĠAutoritˆ nazionale di protezione civile, la Gendarmeria nazionale, le Forze dellĠordine ed i servizi di sicurezza, unitamente alle modalitˆ della loro cooperazioneÈÓ. (413) Per quanto concerne, in particolare, il coordinamento della gendarmeria polacca con le altre Forze dellĠordine si richiama lĠart. 14 del Testo Unico sullĠordinamento della Gendarmeria nazionale, ai sensi del quale questĠultima, nello svolgimento delle sue funzioni (di cui al precedente art. 4) interagisce con lĠAgenzia per la sicurezza interna, la Polizia civile, le Guardie di frontiera, le Autoritˆ doganali, quelle di controllo, etc.. Modalitˆ e portata di tale interazione vengono definite con apposito regolamento del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 14 comma 2). In ragione delle sue attribuzioni (in particolare, nel rendere i richiesti pareri tecnico/consultivi sui disegni di legge inerenti la sicurezza dello Stato, con particolare accento sulle forme di cooperazione tra le Forze dellĠordine nazionali), il Consiglio partecipa della funzione di indirizzo politico e di alta amministrazione (questĠultima legata soprattutto alla nomina dei responsabili dei servizi di sicurezza). Il Consiglio  composto dal Primo Ministro, da un Segretario del Consiglio, dal Ministro degli Affari Interni e dellĠAmministrazione, dal Ministro degli Affari Esteri, dal Ministro della Difesa Nazionale, dal Ministro delle Finanze, dal Capo del Ufficio presidenziale per la sicurezza nazionale (BBN), dai vertici dei servizi segreti (ABW, AW e WSI), nonchŽ dal Presidente del Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza. Il Presidente della Repubblica pu˜ delegare un proprio rappresentante a partecipare alle riunioni del Consiglio. Sotto molti profili affine al sistema polacco, anche lĠordinamento lituano distingue in modo rigido le strutture operative dagli organi ausiliari del Governo (in primis il ÒDipartimento dellĠAmministrazione InternaÓ), cui spettano funzioni di coordinamento e controllo - seppur non cos“ marcate come altrove - e dunque di sovraordinazione (funzionale) agli organi di vertice delle prime. Tra gli organismi con competenze di pubblica sicurezza vanno indicati i Òservizi di sicurezzaÓ propriamente detti (VSD e SIT, questĠultimo deputato alla lotta alla corruzione nella Pubblica amministrazione), che nel sistema lituano non sono subordinati alle contingenti maggioranze di governo, dipendendo direttamente dal Presidente della Repubblica (nella sua qualitˆ di Capo dello Stato, carica tendenzialmente stabile e ÒterzaÓ rispetto allĠEsecutivo, non essendo la Lituania una Repubblica presidenziale (414)) e dal Parlamento; ad essi si affiancano le Forze di polizia tradizionalmente dette (cinque pi la gendarmeria, che ha per˜ limitate competenze di polizia civile), ovverosia la Lietuvos Policija (a competenza generale, articolata sui tre settori di polizia criminale, polizia stradale e polizia di sicurezza (415)), il VSAT (Valstyb.s sienos apsaugos tarnyba - Servizio di protezione delle frontiere, Corpo a status militare funzionalmente dipendente dal Ministero dellĠInterno (416)), il VPGT (in realtˆ un servizio di protezione civile a tutti gli effetti, non limitato alla (414) Il VSD  disciplinato dalla legge 20 gennaio 1994 e posto alle dirette dipendenze del Presidente della Repubblica. Il STT, costituito nel 1997, ha visto la sua autonomia riconosciuta con legge 2 maggio 2000, che lo assoggetta direttamente al Presidente della Repubblica ed al Parlamento. (415) Cfr. lĠart. 13 della legge sulla Polizia dellĠ11 dicembre 1990, n. I-851 (emendata lĠ11 maggio 2006). (416) Inizialmente posto alle dipendenze del Ministero della Difesa, al momento della sua costituzione con risoluzione 3 aprile 1990 dellĠallora Soviet Supremo della Lituania. Successivamente, con legge di riforma del 10 ottobre 2000 (e successiva risoluzione governativa del 22 febbraio 2001), venne posto alle dipendenze funzionali (di supervisione e controllo) del Ministero dellĠInterno, pur mantenendo lĠorganizzazione militare (in caso di guerra, la legge prevede che venga a fare integralmente parte delle Forze Armate: cfr. Cap. I Sez. I art. 2; Sez. 2 art. 5 e Sez. III art. 12 della legge sul Servizio della Guardia di Frontiera, 10 ottobre 2000 n. VIII-1996). prevenzione degli incendi come la sua denominazione darebbe ad intendere (417)), il VAD (Servizio di protezione delle personalitˆ) ed il FNTT (Servizio di investigazione sui crimini finanziari). Alle Forze di polizia propriamente dette va poi aggiunta la Polizia penitenziaria (dipendente dal Ministero della Giustizia) cui anche lĠordinamento lituano attribuisce funzioni di pubblica sicurezza. Come giˆ nel sistema polacco, la Forza di gendarmeria (Viesojo Saugumo Tarnyba - VST, che di conseguenza partecipa ad EUROGENDFOR nella veste di Partner) non ha attualmente competenze generali di polizia civile, operando principalmente quale polizia militare. La regola fondamentale della netta separazione tra strutture (governative) di indirizzo e strutture (operative) delle Forze dellĠordine trova poi accoglimento anche negli altri ordinamenti europei quali quello del Portogallo, del Belgio, dellĠOlanda, dellĠAustria, etc.. Il sistema italiano, invece, sotto questo profilo rappresenta un unicum che sembra trovare ormai giustificazione pi nella casualitˆ della successione normativa che in unĠeffettiva ratio di politica legislativa. Ci˜ ha spinto parte della dottrina (confortata dalla prassi legislativa che dagli anni Ô90 in poi mira a diversificare strutturalmente le funzioni operative e di gestione da quelle di indirizzo) a suggerire un intervento normativo che separi anche in Italia le due cariche attualmente cumulate dal Direttore Generale della P.S., devolvendo tale attribuzione ad un funzionario dellĠAmministrazione civile dello Stato e restituendo alla Polizia quellĠautonomia di ordinamento e gestione cui da decenni non partecipa, unica tra le Forze dellĠordine, con creazione di un suo specifico Dipartimento in seno al Ministero dellĠInterno (418). Tale era, del resto, lĠoriginaria ratio del sistema sicurezza italiano, sino allo stravolgimento del precedente sistema liberale negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, culminato - organizzativamente - con la moltiplicazione delle Questure quali duplicazioni/sovrapposizioni dei Comandi territoriali dei Carabinieri Reali e normativamente con lĠadozione del TULPS (pi la disciplina di attuazione e dettaglio). La necessaria separazione tra organi ausiliari di indirizzo ed organi esecutivo/ gestionali dovrebbe peraltro valere tanto a livello centrale quanto periferico (id est, provinciale), pena unĠevidente anomalia di sistema, con la conseguenza (di per sŽ coerente con la struttura organizzativa e le origini storiche del Corpo, presente in forze solo nei centri maggiori) di superare la predetta duplicazione territoriale, ripristinado la presenza delle Questure (e dei (417) La sigla VPGT sta per Valstybin. prie.gaisrin. gelb.jimo tarnyba (Servizio antiincendi e di soccorso). (418) Evidenzia la necessitˆ di separare le due distinte funzioni anche MANCINI PROIETTI, Libertˆ (fondamentali) e (poteri dellĠ) autoritˆ in una possibile riforma dellĠorganizzazione e dellĠordinamento della pubblica sicurezza, in AA.VV., La Polizia di Stato a trentĠanni dalla legge di riforma, cit., p. 103. relativi Commissariati di P.S.) nelle sole cittˆ metropolitane (419). Ci˜ consentirebbe anche di risolvere le perplessitˆ suscitate dal cd. Òsistema binario incrociatoÓ, poichŽ da un lato si verrebbe ad incardinare il vertice del Dipartimento - in quanto organo ausiliario del Ministro - alla diretta dipendenza (anche gerarchica) da questĠultimo, mentre dallĠaltro il rapporto di dipendenza dei Prefetti ÒterritorialiÓ verrebbe nuovamente ricondotto allĠinterno di una medesima Òlinea di comandoÓ, nellĠambito cio dellĠAmministrazione civile dellĠInterno. In alternativa, ovviamente, vi sarebbe anche la soluzione pi ÒradicaleÓ (adottata in alcuni Stati aderenti allĠOSCE) di sottrarre al Ministero dellĠInterno le scelte di indirizzo (420) in materia di pubblica sicurezza - con conseguente soppressione del relativo Dipartimento - devolvendole al Presidente del Consiglio dei Ministri (come giˆ accade per le Agenzie di sicurezza), tramite la creazione di un Dipartimento (politico/tecnico interforze) ad hoc. Le attribuzioni di indirizzo del Capo del Dipartimento della P.S. trovano ulteriore riscontro nella ÒDirettiva per lĠattuazione del coordinamento e della direzione unitaria delle Forze di poliziaÓ, adottata dal Ministro dellĠInterno a seguito della riforma di cui alla legge 31 marzo 2000 n. 78: ÒNella logica istituzionale delineata dalla legge n. 78/2000, il Dipartimento della pubblica sicurezza si colloca in una posizione di snodo tra lĠAutoritˆ politica e le Forze di polizia che svolgono compiti tecnico-operativi ed alle quali in ultima analisi spetta in concreto di assicurare la compiuta realizzazione della preminente finalitˆ pubblica della tutela dellĠordine e della sicurezza pubblica sullĠintero territorio nazionale É Altra peculiare funzione del Dipartimento della pubblica sicurezza  quindi quella di elaborare e arricchire dei necessari contenuti di progettualitˆ attuativa, le direttive impartite dal Ministro dellĠInterno in modo da individuare le linee programmatiche lungo le quali le Forze di polizia sono tenute a sviluppare, secondo parametri di efficienza ed economicitˆ, la loro attivitˆ squisitamente operativaÓ (421). Il sistema pu˜ quindi dirsi ÒbinarioÓ poichŽ coinvolge due distinti centri di Autoritˆ pubblica, ed ÒincrociatoÓ per descrivere il sovrapporsi delle rispettive funzioni - a livello nazionale e decentrato - con modalitˆ per˜ ben poco coerenti con il principio di diritto che vuole lĠAutoritˆ esecutiva posta (419) Di cui allĠart. 114 Cost. ed allĠart. 23 TUEL. Da ultimo, cfr. anche lĠart. unico della legge 7 aprile 2014, n. 56. Tale soluzione, giustificata dalle peculiaritˆ ambientali di tale contesto (si tratta, infatti, di conurbazioni che superano ciascuna il milione di abitanti) e dallĠopportunitˆ di disporre di specifiche strutture di polizia ad esse dedicate, sarebbe altres“ in linea con i rilievi espressi nella ÒRelazione GiardaÓ su talune irrazionalitˆ nellĠallocazione della spesa pubblica (cfr. retro). (420) Riservandogli invece quelle operative connesse (giˆ oggi) alla gestione della Polizia di Stato oltre che dei vari servizi di emergenza e soccorso (Vigili del fuoco, in parte la Protezione civile, ufficiali del Governo, etc.) e relative esigenze logistiche. (421) Testo integrale su http://ssai.interno.it/download/allegati1/instrumenta_13_18_direttiva.pdf. sotto la responsabilitˆ di quella di governo e non viceversa. Si consideri, in particolare, la posizione assunta dal Prefetto nella legge di riforma (la 121/81): il terzo comma dellĠart. 13, sviluppando quanto previsto nel precedente art. 3, secondo comma, lett. b) e riconoscendo a tale figura una funzione di indirizzo e supervisione per ogni questione attinente la sicurezza, dispone che lo stesso ÒAssicura unitˆ di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attivitˆ degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure occorrentiÓ. La norma  unĠevidente proiezione dellĠart. 1, secondo cui (come giˆ visto) il Ministro dellĠInterno dovrebbe coordinare a livello generale i compiti e le attivitˆ delle Forze di polizia in materia di ordine e sicurezza pubblica; il Prefetto, in effetti, a sua volta coordina in provincia le attivitˆ ed i compiti degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza (art. 13). Il legislatore assegna quindi al Prefetto un ruolo di ÒfiltroÓ fra la linea politica indicata dal Ministro (art. 1, secondo comma) e la gestione tecnico-operativa del Questore (a sua volta non adespota ma vincolata a quanto deciso in sede di Comitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza Pubblica) ed in tale veste gli attribuisce il compito di attuare le singole direttive ministeriali armonizzando la valutazione politica nazionale alle esigenze locali, coordinando i compiti e le attivitˆ degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza e promuovendo le misure occorrenti. A sua volta lĠart. 14, a mente del quale ÒIl Questore ha la direzione, la responsabilitˆ e il coordinamento, a livello tecnico-operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblicaÓ, va letto alla luce del precedente art. 13 comma 2, secondo cui il Prefetto Òsovraintende allĠattuazione delle direttive emanate in materiaÓ. Ne emerge una responsabilitˆ tecnica del Questore nei confronti del Ministro, mediata dalla supervisione/valutazione politica del Prefetto: in questi termini, i principi ispiratori della legge presuppongono che la gestione tecnico-operativa dellĠevento resti agganciata alla direttiva prefettizia da cui trae esistenza e dalla quale, in maniera significativa, devĠessere orientata. Esaminando pi nel dettaglio la disciplina di settore, sempre al Prefetto (art. 13) viene attribuita Òla responsabilitˆ generale dellĠordine e della sicurezza pubblica nella provincia e sovraintende allĠattuazione delle direttive emanate in materia. Assicura unitˆ di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attivitˆ degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure occorrenti. - A tali fini il Prefetto deve essere tempestivamente informato dal Questore e dai Comandanti provinciali dellĠArma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su quanto comunque abbia attinenza con lĠordine e la sicurezza pubblica nella provincia. - Il Prefetto dispone della Forza pubblica (422) e delle altre Forze (422) Per ÒForza pubblicaÓ, in assenza di unĠespressa definizione di legge (la prima menzione  contenuta nel Capo IX della legge 13 novembre 1859, n. 3720, sullĠordinamento dellĠAmministrazione eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e ne coordina le attivitˆ. - Il Prefetto trasmette al Ministro dellĠInterno relazioni sull'attivitˆ delle Forze di polizia in riferimento ai compiti di cui al presente articoloÓ. Nello svolgimento di queste funzioni  affiancato da un fondamentale organo ausiliario consultivo - vero e proprio strumento di decisione e coordinamento - il Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica. Con la riforma dellĠordinamento di P.S., come giˆ detto,  venuta meno lĠoriginaria unitarietˆ delle funzioni di pubblica sicurezza in capo al rappresentante del Governo, dal quale - sino allĠentrata in vigore della legge n. 121/1981 - dipendevano gerarchicamente il Questore e solo funzionalmente i vertici delle altre Forze dellĠordine, ai sensi dellĠart. 3 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635. LĠoriginaria dipendenza gerarchica del Questore dal Prefetto va collocata nel- lĠesatta prospettiva giuridica e storica, per comprendere le ragioni (e le criticitˆ) del- lĠodierno ordinamento della pubblica sicurezza che, come giˆ detto,  stato riformato Òa TULPS invariatoÓ. La legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato B, recependo lĠorganizzazione della pubblica sicurezza sperimentata precedentemente nel Regno di Sardegna, istitu“ degli uffici di Questura nelle sole cittˆ con popolazione superiore a sessantamila abitanti, attribuendo al capo dellĠufficio, il Questore (un funzionario dellĠAmministrazione civile - inizialmente proveniente dallĠOrdine giudiziario - e non un poliziotto) lĠesercizio dei poteri del Sottoprefetto nel circondario metropolitano in cui esercitava le proprie attribuzioni. In quanto Amministrazioni periferiche statali, anche le Questure erano direttamente subordinate alle Prefetture, con le quali esisteva un rapporto particolarmente stretto (rappresentando le prime la Òlonga manusÓ operativa delle seconde in materia di ordine pubblico). Con legge 21 dicembre 1890, n. 7321 venne istituito in ogni capoluogo di provincia, alle dipendenze del Prefetto, un Ufficio provinciale di pubblica sicurezza, ed in ogni capoluogo di circondario, alle dirette dipendenze del Sottoprefetto, un Ufficio circondariale di pubblica sicurezza; peraltro, solo nelle cittˆ capoluogo con pi di 100.000 abitanti allĠufficio provinciale poteva essere preposto un Questore. é fondamentale sottolineare, per comprendere lĠorigine dellĠodierno assetto della pubblica sicurezza in Italia, che lĠUfficio provinciale di pubblica sicurezza - fosse o meno sede di Questura - non era altro che una divisione della Prefettura, alla pari dei servizi amministrativi o di quello sanitario, ed il Questore, quale ufficiale di pubblica sicurezza, era semplicemente uno dei vari collaboratori interni del Prefetto (nella specie, era equiparato ad un Sottoprefetto): in quanto tale, coerentemente era posto alla dipendenza gerarchica di questĠultimo, al pari del restante personale civile. di P.S. del Regno di Sardegna), si intende convenzionalmente lĠinsieme dei Corpi armati (di cui allĠart. 16 legge 121/81) posti a disposizione dellĠAutoritˆ di governo (prefettizia), ossia le Forze di polizia dello Stato, nonchŽ le Forze armate allorchŽ esercitino funzioni di pubblica sicurezza. Anteriormente al riordino dellĠAmministrazione della P.S., per la dottrina le componenti erano essenzialmente due, lĠArma dei Carabinieri ed il Corpo delle Guardie di P.S; per correttezza, va per˜ ricordato che allĠepoca lĠunica precisazione normativa dei soggetti facentine parte (lĠart. 1 della legge 23 aprile 1959, n. 189) menzionava un terzo Corpo, pur sprovvisto di specifiche attribuzioni di pubblica sicurezza, ovverosia la Guardia di Finanza. La legge n. 7321 conflu“ successivamente nel Testo Unico sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza (R.D. 21 agosto 1901, n. 409) che defin“ lĠassetto organizzativo dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza a livello periferico: nelle pochissime province sedi di Questura, questa era contemporaneamente ufficio circondariale e provinciale di pubblica sicurezza, ed il Questore (come giˆ detto, un funzionario della carriera civile) era Autoritˆ di pubblica sicurezza per il primo circondario e capo di divisione della Prefettura per il resto; nelle altre province era invece il Prefetto che provvedeva direttamente agli affari di pubblica sicurezza, coadiuvato ai soli fini operativi dal capo dellĠUfficio provinciale di pubblica sicurezza (un Commissario, anchĠesso appartenente ai ruoli civili dellĠAmministrazione). Le attribuzioni di direzione e comando in materia di pubblica sicurezza erano riservate ai funzionari civili dellĠAmministrazione dellĠInterno, comĠ vero che lĠart. 4 (ripreso pi pari dal successivo R.D. 690/07) chiariva che ÒIl Questore, nel circondario di sua residenza, ha tutte le attribuzioni di pubblica sicurezza spettanti [ordinariamente - ndr] al Sottoprefetto, e pu˜ avere alla sua dipendenza uffici di sezioneÓ. Con R.D. 31 agosto 1907, n. 690 venne infine approvato un nuovo Testo Unico relativo agli ufficiali ed agli agenti di pubblica sicurezza, il cui art. 1 precisava che ÒIl servizio di pubblica sicurezza dipende dal Ministero dellĠInterno e, subordinatamente, dai Prefetti e dai Sottoprefetti, ed  eseguito, sotto la loro direzione, dagli ufficiali e dagli agenti di pubblica sicurezza, coadiuvati da un personale dĠordine e di servizioÓ; lĠart. 5 ribadiva invece che ÒGli uffici provinciali e circondariali di pubblica sicurezza fanno parte degli uffici di Prefettura e di Sottoprefettura. Le spese di affitto per i locali di ufficio provinciale e circondariali di pubblica sicurezza sono a carico della provinciaÓ. Il primato della ÒCivil AuthorityÓ trovava quindi sanzione nella regola per cui gli ufficiali di pubblica sicurezza dovevano dirigere il servizio di polizia sotto la dipendenza dellĠAutoritˆ pubblica (il Prefetto o il Sottoprefetto, che la legge qualificava rappresentanti territoriali dellĠAutoritˆ di governo). Con il mutamento di regime politico in Italia - analogamente a quanto occorso nel 1923 per la Direzione generale per la pubblica sicurezza (cfr. retro) - il sistema istituzionale subisce alcuni modifiche strutturali, mediante provvedimenti governativi: con R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1 vengono soppresse le Sottoprefetture e subito dopo, con R.D.L. 14 aprile 1927, n. 593 (recante la riforma delle Autoritˆ di pubblica sicurezza) il Questore e il suo ufficio acquisiscono il rango di Autoritˆ provinciale, a fianco (e sia pur alle dipendenze) del Prefetto. In questa fase i Questori erano ancora funzionari del ruolo civile dellĠInterno e non di quello Òdi poliziaÓ, di talchŽ lĠattribuzione della qualifica di ÒAutoritˆÓ di P.S. non alterava formalmente il principio di separazione tra gli organi di indirizzo e controllo e quelli esecutivo-gestionali. Nello stesso tempo, per˜, per contrastare lĠautoritˆ regia in materia (che si esprimeva attraverso la capillare diffusione del Corpo dei Carabinieri Reali, i cui ufficiali non dipendevano dai Prefetti (423), nŽ prestavano giuramento al Capo del Governo) ed assicurare una maggior pervasivitˆ del controllo operato dalle strutture dal regime, sempre con R.D.L. 593/27 viene istituito un ufficio di Questura in ogni capoluogo di provincia. Tali finalitˆ trovarono ulteriore sanzione nel TULPS del 1931 e soprattutto nel suo Regolamento di esecuzione (R.D. 635/1940), il cui art. 3, pur confermando la dipendenza del Questore dal Prefetto, dichiar˜ (423) LĠart. 17 del R.D. 690/1907 faceva infatti riferimento ai soli ÒCarabinieriÓ, cio la truppa ed i sottufficiali. che il primo dovesse assumere Òla direzione tecnica di tutti i servizi di polizia e di ordine pubblico nella provinciaÓ (424). Il fenomeno della moltiplicazione degli Uffici di Questura, le cui numerose attribuzioni burocratiche rappresentano in larga parte una condivisione/duplicazione di quelle originarie delle Prefetture, ha comportato nel tempo delle criticitˆ organizzative e finanziarie (soprattutto nelle realtˆ minori, dove lĠaliquota fissa di personale necessario per il loro disbrigo finisce spesso per coincidere con ampia parte dei funzionari in servizio, conseguentemente distratti dallo svolgimento di funzioni operative di P.S.). Tale anelasticitˆ verso economie di scala emerge anche dal recente ÒRapporto GiardaÓ del marzo 2013, avente ad oggetto ÒAnalisi di alcuni settori di spesa pubblicaÓ (425) che, pur con i dichiarati limiti euristici dellĠindagine condotta, pone in evidenza (p. 105) unĠipotesi di inefficienza gestionale (con correlato eccesso di spesa) dovuta allĠattuale articolazione su base provinciale, pari a 4.604 addetti per il 2011 (426), in un sistema ordinamentale (p. 115) nel quale il numero di questi ultimi - verosimilmente a causa della fissitˆ di cui si  detto -Ònon risponde comunque a variazioni nel numero degli addettiÓ delle altre Forze dellĠordine presenti sul territorio (per le quali, invece, tale rigiditˆ non opera), sia complessivamente che per aree di suddivisione amministrativa dello stesso. Il Questore, in base allĠart. 14 della legge 121/81 (che riprende sul punto lĠimpianto del TULPS),  anchĠesso ÒAutoritˆ provinciale di pubblica sicurezza. (424) Non ha per˜ la direzione di alcuni importanti servizi della Polizia di Stato quali la Polfer e la Polizia postale, nonchŽ la Polizia stradale (la cui linea di comando  strutturata secondo autonomi Compartimenti regionali): questĠultima, in particolare, generalmente dispone - anche nelle province con minor consistenza dĠorganico - di caserme e centrali operative distinte da quelle cui fanno capo - spesso nello stesso conteso urbano - i servizi automontati della Squadra mobile (che invece dipendono dal Questore). Al riguardo lĠart. 34 legge 121/81 (poi abrogato) prevedeva che ÒGli uffici di polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera provvedono, ai livelli di propria competenza territoriale, alla direzione e al coordinamento operativo dei rispettivi uffici in cui si articolano ... Ai fini dellĠattuazione del coordinamento di cui al capo primo, i dirigenti degli uffici suddetti devono riferire al Questore relativamente alle questioni concernenti l'ordine e la sicurezza pubblicaÓ. Cfr. adesso lĠart. 4 del D.P.R. 208/2001. (425)Suhttp://www.sitiarcheologici.palazzochigi.it/www.governo.it/aprile%202013/www.governo.it/rapportiparlamento/ documenti/rapporto_spending.pdf. (426) Testualmente: ÒLĠinefficienza istituzionale (originata dalla adozione dei confini provinciali come strumento di definizione delle unitˆ operative decentrate) ÒcostaÓ 4.604 addetti. LĠeccesso di spesa nelle tre regioni Friuli, Calabria e Sicilia vale 3.382 addetti in piÓ. Inoltre, pur trattandosi di grandezze non necessariamente sommabili tra loro, poichŽ originate da fenomeni diversi, ÒlĠeccesso di spesa associato a singole osservazioni (equivalente a 2.639 addetti) richiama lĠattenzione sulla ipotesi di inefficienza gestionale: singole strutture di produzione organizzate a livello provinciale che hanno spese superiori agli standard incorporati in altri territoriÓ. Ulteriori diseconomie sarebbero poi riscontrabili nei Reparti speciali, per unĠeccedenza complessiva stimata in ben 9.918 addetti (p. 99). La scelta politica (consolidata nel TULPS e ripresa dalla legge 121/81) di calibrare i servizi di sicurezza su base provinciale e regionale produrrebbe diseconomie di scala anche per lĠArma dei Carabinieri, che non deriverebbero per˜ da fattori di inefficienza gestionale (assorbibili dalla sua struttura reticolare), bens“ dai costi fissi delle strutture di comando, create ex lege in funzione dei confini politici territoriali, piuttosto che del bacino di popolazione da servire (cfr. p. 56). Per contro, secondo lo studio in questione (che non si prefigge di indicare soluzioni organizzative o gestionali), la diversa struttura organizzativa dellĠArma, se da un lato presenta una forte concentrazione di personale nelle regioni meridionali del Paese rispetto ad una media nazionale fondata sullĠallocazione minima della Lombardia, consentirebbe pur sempre la correzione di eventuali criticitˆ organizzative senza doversi strutturalmente incidere sulla sua complessiva dislocazione territoriale. Ha la direzione, la responsabilitˆ ed il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica e dellĠimpiego a tal fine della Forza pubblica e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione. A tale scopo viene tempestivamente informato dai comandanti locali dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su quanto comunque abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblicaÓ. Secondo unĠinterpretazione sistematica della norma (letta nel combinato disposto degli artt. 13 e 20 legge 121/81), lĠobbligo di informazione di cui trattasi non avrebbe carattere generale ed assoluto (come invece accade nei riguardi del Prefetto, verso il quale  significativamente obbligato anche il Questore), ma varrebbe nei limiti in cui questĠultimo abbia titolo ad adottare unĠordinanza ex art. 37 D.P.R. 782/85, ossia previa determinazione del Prefetto (ex art. 13 comma 4 cit.) su valutazione del Comitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza Pubblica, ex art. 20 ult. cit. LĠart. 14, infatti, precisa che lĠobbligo informativo vale solo Òa tale scopoÓ (ovverosia, nei limitati casi in cui il Questore ha Òla direzione, la responsabilitˆ e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica e dellĠimpiego a tal fine della forza pubblica e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizioneÓ) e non anche Òin qualsiasi casoÓ, come invece previsto dallĠart. 13, comma terzo legge 121/81 per le notizie da riferire al Prefetto; la differente disciplina appare peraltro giustificata, dal momento che nel secondo caso lĠobbligo di informazione - strumentale alla cura dellĠinteresse pubblico alla sicurezza sociale -  generale ed incondizionato proprio perchŽ finalizzato a consentire lĠesercizio di una Òresponsabilitˆ (parimenti) generale dellĠordine e della sicurezza pubblica nella provinciaÓ, attribuita dalla legge solo allĠorgano prefettizio. Il Questore  invece una figura a competenza tecnico-operativa che esercita una serie di attivitˆ proprie della polizia di sicurezza ed amministrativa, concretizzate in ordinanze, diffide, permessi, licenze ed autorizzazioni. Peraltro, in quanto anche dirigente della Polizia di Stato (in parallelo a quanto accade con il Direttore del Dipartimento di P.S.), dirige e coordina autonomamente lĠattivitˆ della Questura e delle sue eventuali articolazioni in ambito provinciale: in tale veste - non quindi quale Autoritˆ di P.S. - prende parte al Comitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza Pubblica, presieduto dal Prefetto. Come generalmente riconosciuto dalla dottrina, lĠattuale modello di amministrazione periferica della P.S.  frutto di un compromesso tra la volontˆ delle Questure di emanciparsi dalla tutela prefettizia (427) e la necessitˆ di riservare comunque allĠAutoritˆ politica (di cui il Prefetto  espressione, seppur (427) In argomento, cfr. LANZARA, Autogoverno della polizia, cit., pp. 433 ss.; ID., Il Prefetto  autoritˆ di p.s. di nome e non di fatto, cit., pp. 310 ss.; BONELLI, Organizzazione delle Forze di polizia, cit., pp. 358-359. tecnica, in quanto rappresentante locale del Governo) la decisione ultima sulle linee-guida cui improntare le scelte di ordine e sicurezza pubblica sul territorio nazionale. Non volendosi incidere anche sul TULPS (posto che giˆ la riforma dellĠallora Direzione Centrale di P.S. rappresentava un quid pluris rispetto allĠoriginario disegno di legge), si prefer“ mantenere lĠimpostazione della doppia Autoritˆ provinciale di P.S., giˆ prevista dal R.D. 6 maggio 1940, n. 635, il cui art. 1 cos“ recitava: ÒLĠAutoritˆ di pubblica sicurezza  provinciale e locale. Sono Autoritˆ provinciali il Prefetto ed il Questore. é Autoritˆ locale, in ciascun Comune, il funzionario preposto all'ufficio di pubblica sicurezza. Nei Comuni dove non esiste un ufficio di pubblica sicurezza,  Autoritˆ locale il Sindaco o chi ne fa le veciÓ. Il suddetto Regolamento, per˜, se da un lato formalmente attribuiva al Questore (art. 3) Òla direzione tecnica [ma non invece quella operativa, che permaneva alle singole Forze dellĠordine nellĠambito dei propri ordinamenti e funzioni - ndr] di tutti i servizi di polizia e d'ordine pubblico nella provinciaÓ, dallĠaltro precisava che ci˜ doveva comunque avvenire Òalla dipendenza del PrefettoÓ, e dunque riconduceva le ÒnuoveÓ attribuzioni - al di lˆ della condivisibilitˆ o meno, nel merito, di tale scelta - ad una coerente unitˆ di sistema. Col venir meno del rapporto di dipendenza gerarchica lĠart. 3, seppur non formalmente abrogato, cessa di fatto di avere efficacia ed il precedente modello unitario (o ÒmonisticoÓ, secondo alcuni) viene parzialmente eroso: solo parzialmente, per˜, dal momento che il Prefetto conserva una tendenziale centralitˆ nel sistema sicurezza ed addirittura vede accrescere alcune attribuzioni rispetto al precedente regime del TULPS. Per contro, la figura del Questore assume dei contorni piuttosto sfocati, poichŽ diventa s“ autonomo rispetto allĠAmministrazione civile dellĠInterno (della quale sino a quel momento faceva parte, nel solco della riforma del 1925), ma con poteri di fatto non esorbitanti quelli del responsabile di una Forza di polizia, al pari degli altri suoi omologhi (428). Generalmente la dottrina (429) non si sofferma sulla questione, ma pone (428) In effetti, se  vero che la legge 121/81 introduce, ex novo rispetto al TULPS, una doppia incombenza per i Comandanti provinciali di Carabinieri e Guardia di Finanza, che devono informare non solo pi il Prefetto, ma pure il Questore (trattandosi, nei fatti, di unĠulteriore Autoritˆ operante sul territorio, rispetto al passato) Òsu quanto comunque abbia attinenza con lĠordine e la sicurezza pubblicaÓ -seppur nei limiti sopra precisati -  anche vero che il Questore non ha alcun diretto ed autonomo potere di ordine o di direzione nei confronti delle altre Forze dellĠordine, in quanto dirigente territoriale della sola Polizia di Stato (la potestˆ di direzione e coordinamento, non a caso, testualmente non  riferita agli organici che compongono tali Forze, bens“ ai servizi di ordine e sicurezza pubblica ed allĠimpiego, a tal fine, della Forza pubblica: coordina e dirige cio le modalitˆ di impiego della Forza, ma non anche gli organici che la compongono). (429) ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, V, Milano 1959, p. 70. Il tema viene ripreso da LUZZI, Il nuovo ordinamento dellĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza, Firenze 1981, pp. 39-40: ÒCon la ricostituzione del Corpo delle Guardie di P.S., in base al citato R.D. 687/1943, con stato militare lĠaccento su alcuni aspetti della riforma ritenuti particolarmente positivi, in primis lĠapparente ripristino del sistema Òa doppio binarioÓ voluto proprio dal legislatore del 1925 (430). Tale chiave di lettura si presta per˜ ad alcuni rilievi, poichŽ non  contestualizzata alle profonde differenze ordinamentali nel frattempo intervenute: secondo i suddetti Autori, invero, con lĠentrata in vigore della legge 121/81 si sarebbe recuperata la tradizionale conformazione del nostro ordinamento giuridico, che vedrebbe coesistere - con evidenti vantaggi per il mantenimento degli equilibri democratici nazionali - una Forza di polizia ad assetto civile (sia pure a carattere speciale), quale la nuova Polizia di Stato, con una Forza di polizia ad ordinamento militare (lĠArma dei Carabinieri, destinata al servizio permanente di pubblica sicurezza oltre che ai compiti tipici di una Forza armata), la cui conformazione sarebbe meno sensibile - al pari di analoghi modelli esteri - a particolarismi e condizionamenti di natura politico/ideologica (come del resto testimoniato dallĠesperienza del XX secolo). Non si tiene per˜ conto del fatto che tale equilibrio, rispetto al precedente preso in considerazione, risulta inciso dalla riduzione dei poteri gerarchici del Prefetto (ovverosia, proprio dellĠAutoritˆ territoriale di governo), a fronte della quale il legislatore non sembra aver operato una qualche forma di bilanciamento, ad esempio disponendo una generale redistribuzione delle attribuzioni tecnico-operative tra tutte le Forze dellĠordine. In estrema sintesi, il legislatore ha ridotto i poteri della ÒCivil AuthorityÓ (il Prefetto, occorre ricordarlo, quale Autoritˆ di P.S. agisce come rappresentante del Governo, e non nella veste di funzionario amministrativo), seppure nellĠintento di separarne i compiti di indirizzo da quelli puramente gestionali, ma a tale riduzione non  corrisposto un riequilibrio delle competenze operative del settore sicurezza (essendo intervenuta a TULPS invariato). Per il resto, la figura prefettizia conserva pressochŽ intatta la sua posizione e soggezione alla giurisdizione penale militare, si ebbe É un notevole cambiamento in quella che era stata la posizione dei due Corpi di pubblica sicurezza (Arma dei Carabinieri e Corpo degli Agenti di P.S.), secondo le disposizioni anteriori É che garantivano una polizia come servizio civile e svincolato dallĠAutoritˆ militare, estranea, sotto ogni verso, al servizio stessoÓ. (430) Con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383 - rivelatosi fallimentare lĠaccorpamento (operato con R.D. 31 dicembre 1922, n. 1680) del Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (a sua volta nata dallo scioglimento delle Guardie di Cittˆ, disposto con R.D. 2 ottobre 1919, n. 1790) in seno allĠArma dei Carabinieri - venne ricostituito il vecchio Corpo degli Agenti di P.S., risalente al 1848, ma privo di dirigenti di provenienza ÒinternaÓ e posto alle dipendenze (quanto ad inquadramento e servizio di polizia) di Òufficiali di P.S.Ó, in realtˆ funzionari civili dellĠAmministrazione di Pubblica Sicurezza (come tali gerarchicamente dipendenti dal Prefetto). In precedenza il sistema della pubblica sicurezza in Italia era tendenzialmente monistico anche sotto il profilo operativo, riconoscendo la centralitˆ dei Carabinieri Reali (Corpo a competenza generale, a differenza della Gendarmerie francese, ed unico nato come militare per vocazione, anche a garantirne lĠindipendenza dalle Autoritˆ civili a beneficio delle quali svolgeva lĠattivitˆ, in quanto subordinato solo alla legge), cui si affiancavano alcuni Corpi minori con competenze di settore (ad es. il Corpo delle Guardie doganali del 1861, poi evolutosi nel Corpo della Regia Guardia di Finanza del 1881, militarizzato nel 1907-1914). Per unĠefficace analisi storica si veda TINTI, Dai Reali Carabinieri alla 121, Perugia 1999, pp. 13 ss. di primazia rispetto al Questore ed - ovviamente - ai vertici delle altre Forze dellĠordine. In effetti, rispetto al contenuto dellĠart. 1 del TULPS e dellĠart. 2 del R.D. 635/40, i compiti del Prefetto risultano non solo pi circostanziati, ma ampliati (art. 13, commi 3 e 4 legge 121/81) alla luce degli obblighi sanciti per i vertici di tutte le Forze di polizia di tenerlo tempestivamente informato Òsu quanto comunque abbia attinenza con lĠordine e la sicurezza pubblica nella provinciaÓ, nonchŽ per la disponibilitˆ (che a lui solo compete e non anche al Questore) della Forza pubblica, con le correlate attribuzioni di coordinamento. La primazia del Prefetto nei confronti degli uffici periferici dellĠAmministrazione statale (ivi comprese le Forze di polizia)  funzionale alla conservazione dellĠordine pubblico nel quadro della legalitˆ istituzionale (data in primis dallĠequilibrio dei poteri): invero, nellĠattuale assetto costituzionale la figura di un organo legato da un vincolo fiduciario con il Governo e da un rapporto gerarchico con il Ministro dellĠInterno (ÒAlta Autoritˆ Nazionale di P.S.Ó (431)) appare ineliminabile, atteso che a livello territoriale lĠamministrazione dellĠordine pubblico - pur dovendo necessariamente essere affidata ad un organo di indirizzo politico, in ragione del rango degli interessi coinvolti (432) - non appare efficacemente gestibile da organi elettivi locali, che naturalmente tenderebbero a rispondere pi ai propri elettori che al Governo ed al Ministro (titolari dellĠesclusiva responsabilitˆ in materia). Quella esercitata dal rappresentante del Governo  infatti una funzione di equilibrio che - al di lˆ delle forme amministrative in cui venga concretamente tradotta - non pu˜ mancare in un sistema statale compiuto. In questi termini, le molteplici competenze prefettizie devono essere inquadrate nella logica unificante della funzione di rappresentanza del Governo sul territorio, che altres“ giustifica il carattere generale delle relative attribuzioni. Ci˜ spiega lĠeccezionale rapporto di servizio che lega il Prefetto al Governo, simile per molti aspetti a quello degli Ambasciatori, vincolati allĠEsecutivo - prima ancora che da un rapporto di dipendenza gerarchica - da un legame fiduciario (433) che assicura loro una sfera di autonomia (anche di indirizzo politico), nel cui esercizio sono per˜ integralmente chiamati a rispondere delle decisioni assunte. Particolaritˆ che viene riconosciuta dalla normativa vigente laddove, nellĠarticolato assetto delle Autoritˆ (nazionali, provinciali e locali) preposte (431) Il rapporto  invece funzionale con gli altri Ministri, che per suo tramite emanano le direttive rivolte alle proprie Amministrazioni periferiche. (432) Si tratta, in effetti, di funzioni essenziali per la vita dello Stato, che necessariamente richiedono lĠindividuazione di unĠAutoritˆ responsabile unitaria. In questi termini, pi diffusamente, giˆ SANTORO, La riforma costituzionale dello Stato. Lo Stato delle autonomie e lĠistituto prefettizio, Roma 1978, pp. 17 ss.. (433) Cos“, testualmente, MEOLI, op. ult. cit., p. 393. allĠelaborazione ed allĠattuazione delle politiche di ordine e sicurezza pubblica (ex lege 121/81, che ribadisce sul punto le attribuzioni ex art. 19 TULCP), il Prefetto, quale rappresentante del Potere Esecutivo in provincia,  chiamato ad attuare lĠindirizzo politico trasmesso dal Ministro dellĠInterno - Autoritˆ nazionale di P.S. (434). Per contro, appare evidente lĠimproprietˆ di concentrare nelle mani di un solo apparato amministrativo (sia esso una Forza di polizia, un Corpo militare o quantĠaltro) un potere che  eminentemente politico. Per queste ragioni lĠimpostazione di fondo della legge 121 appare in parte incompleta, in parte incoerente con le sue stesse premesse: da un lato, infatti, correttamente lĠart. 13 attribuisce al Prefetto (in quanto Autoritˆ - anche politica -di indirizzo) non solo la Òresponsabilitˆ generale dellĠordine e della sicurezza pubblicaÓ in ambito provinciale, ma pure la sovrintendenza allĠattuazione delle direttive adottate in materia, il che comporta che tutte le Forze competenti sono tenute a tenerlo Òtempestivamente informato É su quanto comunque abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblica nella provinciaÓ, dando applicazione al principio generale del primato dellĠAutoritˆ politica di governo (la ÒCivil AuthorityÓ, secondo lĠaccezione anglosassone utilizzata anche dal Consiglio dĠEuropa - cfr. retro) su quella amministrativa (435). (434) LĠart. 13 della legge 121/81 gli conferisce infatti la responsabilitˆ generale dellĠordine e della sicurezza pubblica nella provincia, oltre alla potestˆ di sovrintendere allĠattuazione delle direttive emanate in materia. A ci˜ aggiungasi quanto previsto dallĠart. 12, comma sesto, della legge 12 luglio 1991 n. 203, a mente del quale lo stesso Òassicura lĠunitˆ di indirizzo ed il coordinamento dei compiti e delle attivitˆ degli ufficiali e degli agenti di P.S. promuovendo le misure occorrentiÓ, misure che possono Òin qualche modo sostanziare anche un diretto coinvolgimento del Prefetto nella determinazione delle modalitˆ di attuazione concreta dei servizi di poliziaÓ (cfr. MEOLI, op. ult. cit., p. 398). Per le stesse ragioni un emendamento governativo al progetto di riforma dellĠordinamento di P.S. del 2001 (il n. 17.15), poi ritirato, coerentemente prevedeva un riequilibrio delle competenze prefettizie rispetto a quelle del Questore, giustificato dalla preponderante posizione di organo di indirizzo politico del primo: ÒAcquisite le proposte e gli altri elementi forniti dai componenti del Comitato [di cui allĠart. 20 - ndr], il Prefetto individua, nellĠambito delle direttive emanate in materia, gli interventi da effettuarsi, anche da parte delle altre amministrazioni interessate, per incrementare la sicurezza nelle diverse aree del territorio provinciale e definisce gli obiettivi da conseguirsi da parte delle Forze di polizia operanti nella provincia e delle altre forze messe a sua disposizione, adottando gli atti di indirizzo o le intese occorrenti e verificando periodicamente i risultati conseguitiÓ. Il Prefetto predispone, in attuazione delle direttive ministeriali (dunque con ampio margine di discrezionalitˆ amministrativa), piani coordinati di controllo del territorio che i responsabili delle Forze di polizia devono attuare nel rispetto della propria autonomia. Nella formulazione di questi, come pi in generale nellĠattuazione dell'attivitˆ di coordinamento, il Prefetto si avvale del ÒComitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza PubblicaÓ, organo consultivo del quale fanno parte il Questore, il Comandante Provinciale dei Carabinieri ed il Comandante di Gruppo della Guardia di Finanza, la cui composizione, estensibile anche a soggetti esterni allĠAmministrazione della P.S., contribuisce a rendere trasparente e compiuta la natura della funzione di coordinamento. (435) Il ruolo primario del Prefetto emerge dalla complessitˆ delle sue competenze, che giustificano lĠattribuzione esclusiva - quale strumentale complemento - delle funzioni di ordine e sicurezza pubblica: secondo lĠart. 11 del D.lgs n. 300/1999 (principio ripreso dal D.P.R. 180/06), ferme restando le proprie incombenze (attribuite da specifiche norme di legge), Òassicura lĠesercizio coordinato dell'attivitˆ ammini Di converso, una volta appurato che per evidenti ragioni di opportunitˆ funzionale il legislatore ha inteso attribuire in via esclusiva agli organi operativi la concreta attuazione delle indicazioni prefettizie, non si spiega la parallela, mancata ri-organizzazione di siffatte attribuzioni tra le diverse Forze presenti sul campo, tanto pi ove si consideri che le politiche di decentramento attuate in Italia a partire dagli anni Settanta - un decennio prima del varo della riforma - a rigor di logica avrebbero presupposto unĠevoluzione del modello operativo di pubblica sicurezza verso forme di gestione capillare e decentrata, cui sarebbe risultata ben pi adeguata una struttura ÒreticolareÓ rispetto a quella (ÒpolicentricaÓ) accentrata del TULPS. LĠimproprietˆ della tecnica normativa si riflette infine nella parziale sovrapposizione che caratterizza il rapporto tra le due Autoritˆ provinciali di P.S. Si consideri, ad esempio, che lĠart. 14 attribuisce al Questore - parallelamente alle competenze Òpolitiche e di indirizzoÓ del Prefetto -Òla direzione, la responsabilitˆ ed il coordinamento a livello tecnico operativo dei servizi di ordine e sicurezza pubblicaÓ, il che pu˜ concretamente tradursi - nellĠipotesi non infrequente (soprattutto nei capoluoghi non metropolitani, dove lĠorganico della Polizia di Stato  sovente inferiore a quello delle altre Forze dellĠordine) di dover ricorrere allĠapporto di personale ÒesternoÓ per lo svolgimento di determinati servizi, laddove risulti insufficiente quello della locale Questura. Personale che tendenzialmente dovrebbe anchĠesso provenire dagli organici della Polizia di Stato (tale sembrerebbe essere la ratio dellĠart. 38 D.P.R. 782/85 Ò Regolamento di Servizio dellĠAmministrazione della Pubblica SicurezzaÓ ), ma che per ragioni di praticitˆ in concreto risulta spesso attinto dai contingenti locali delle altre Forze dellĠordine, a seguito di intese con i rispettivi Comandi intercorse in sede di Comitato Provinciale per lĠOrdine e la Sicurezza Pubblica. In tal caso la valutazione in ordine alla richiesta di tale ulteriore personale spetta al Prefetto, ai sensi dellĠart. 38 cit., che per˜ - una volta ottenutolo - non potrˆ poi concretamente dirigerne lĠattivitˆ, nŽ coordinarne operativamente strativa degli uffici periferici dello Stato e garantisce la leale collaborazione di tali uffici con gli enti localiÓ. NellĠesercizio di questĠattivitˆ di coordinamento, il Prefetto Òpu˜ richiedere ai responsabili delle strutture amministrative periferiche dello Stato l'adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio alla qualitˆ dei servizi resi alla cittadinanza anche ai fini del rispetto della leale collaborazione con le autonomie territoriali. Nel caso in cui non vengano assunte nel termine indicato le necessarie iniziative, il Prefetto, previo assenso del Ministro competente per materia, pu˜ provvedere direttamente, informandone preventivamente il Presidente del Consiglio dei MinistriÓ. In tale contesto,  coadiuvato da una Conferenza provinciale permanente, da lui presieduta e composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato che svolgono attivitˆ nella provincia, nonchŽ da rappresentanti degli enti locali. Il Prefetto titolare della Prefettura-UTG nel capoluogo della regione  altres“ coadiuvato da una Conferenza permanente composta dai rappresentanti delle strutture periferiche regionali dello Stato, alla quale possono essere invitati i rappresentanti della Regione. Per un comprensivo studio sul tema, cfr. LEGA, Prospettive di riordino dellĠamministrazione periferica dello Stato: il valore aggiunto dellĠUTG, Roma 2008 (in http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0254_valore_ aggiunto_UTG.pdf). lĠazione (ove provenga da diverse Forze di polizia), dovendolo invece mettere a disposizione del Questore (lĠaltra Autoritˆ provinciale di pubblica sicurezza) ai fini del coordinamento, con evidente duplicazione di passaggi (436). Ancora, tanto il Prefetto quanto il Questore, nel proprio ruolo di Autoritˆ di P.S., sono titolari del potere di emettere ordinanze: lĠart. 2 TULPS, in particolare, attribuisce al Prefetto la capacitˆ di emanare ordinanze contingibili ed urgenti per far fronte a situazioni di improvvisa necessitˆ che mettano in pericolo lĠordine e la sicurezza pubblica, laddove non sia possibile ricorrere agli ordinari mezzi di tutela predisposti dal legislatore. Caratteristica delle ordinanze prefettizie  la capacitˆ di innovare, seppur temporaneamente, lĠordinamento giuridico, potendo anche derogare, entro certi limiti, ad alcune disposizioni di legge. Per tale ragione, la possibilitˆ di adottarle viene riservata allĠAutoritˆ politica (recte, di governo), presupponendo un bilanciamento di interessi che esula dallĠattivitˆ prettamente amministrativa. Il potere di ordinanza del Questore - dovuto invece alla necessitˆ di coordinare, in eccezionali frangenti, anche il personale di altre Forze di polizia da lui non dipendenti -  pi limitato e riferibile al solo personale inserito, ratione temporis, nellĠAmministrazione di P.S. (e non anche alle altre Forze di polizia nel loro complesso (437)); un potere, in pratica, circoscritto alle tipiche ordinanze di servizio ex art. 37 D.P.R. 782/85, con cui il Questore stabilisce le modalitˆ di espletamento dei servizi in materia di ordine e sicurezza pubblica. Non pu˜ quindi trovare accoglimento lĠinterpretazione di quella dottrina che vorrebbe equiparare, quanto a natura giuridica ed efficacia, le ordinanze questorili a quelle prefettizie. La legge 1Ħ aprile 1981 n. 121 ha formalmente attribuito la responsabilitˆ (politica) della tutela dellĠordine e della sicurezza pubblica al Ministro del- lĠInterno, al quale  stata riconosciuta la qualifica di responsabile nazionale di pubblica sicurezza. In detta veste, per˜, questi non ha alcuna autonomia operativa, posto che nello svolgimento concreto delle proprie funzioni deve avvalersi di un complesso di uffici costituenti lĠAmministrazione della Pubblica Sicurezza, di cui fanno parte, a livello centrale, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ed a (436) Duplicazione del resto poco comprensibile anche in termini di trasparenza amministrativa, ove si consideri la terzietˆ del Prefetto rispetto alle Forze in campo, a differenza del Questore (che  a capo di una di esse). (437) La dottrina (GULLOTTI, Riflessioni sul coordinamento delle Forze di polizia in ambito provinciale, in Riv. Polizia 12/1996, p. 820) evidenzia come la legge n. 121/81 abbia circoscritto la direzione del Questore ai soli servizi di ordine e sicurezza pubblica e non pi a Òtutti i servizi di poliziaÓ nella provincia. Inoltre, il coinvolgimento delle altre Forze nei servizi di ordine e sicurezza pubblica viene deciso dal Prefetto: invero, se venisse invece deciso dal Questore si sarebbe in presenza di un ordine illegittimo, poichŽ dato in violazione dellĠart. 16 della legge n. 121/1981 che mantiene fermi gli ordinamenti e le dipendenze di ciascun Corpo o Forza di polizia. livello provinciale (ed eventualmente locale) le Autoritˆ di P.S. ed il personale che da queste dipende. In tale contesto, a livello provinciale il Prefetto svolge un duplice ruolo (438) quale preposto allĠattuazione delle direttive ministeriali ed al coordinamento (pur non operativo) delle Forze di polizia, nonchŽ quale responsabile provinciale dellĠordine e della sicurezza pubblica. Il Prefetto non appartiene alla struttura gerarchica che fa riferimento al Capo della Polizia (e di cui fa invece parte il Questore) ma  per contro vincolato gerarchicamente al Ministro (a differenza, de facto, degli ultimi due, per i quali attualmente non opera pi alcuna norma speciale che concretamente attribuisca specifici poteri gerarchici al Ministro, in deroga al regime generale del D.lgs. 165/01): questo singolare ÒincrocioÓ di dipendenze porta di fatto a marginalizzare le funzioni del Ministro rispetto a quelle esercitate dal proprio organo dipartimentale ausiliario, che infatti non solo non  legato al primo da un diretto vincolo di subordinazione gerarchica (potendo per contro prevalere sul Prefetto territoriale, perlomeno sul piano funzionale), ma pure ha lĠesclusivo potere di tradurre in pratica le indicazioni generali del Ministro, che operativamente (ex lege) non pu˜ farne a meno. B.4) SICUREZZA URBANA E POTERI DEL SINDACO QUALE RAPPRESENTANTE DEL GOVERNO. IL MODELLO DELLA CD. ÒSICUREZZA PARTECIPATAÓ. LĠart. 6 del D.L. 92/2008, modificando lĠart. 54 del D.lgs. 267/2000 (TUEL -Testo Unico delle leggi sullĠordinamento degli Enti locali), ha ampliato le attribuzioni del Sindaco nelle funzioni di competenza statale, che attualmente sovrintende anche alle seguenti incombenze: a) emanazione di atti in materia di ordine e sicurezza pubblica; b) svolgimento di funzioni in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria; c) vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e lĠordine pubblico, informandone il Prefetto. Svolge inoltre compiti in materia elettorale, di stato civile, leva militare e statistica. Laddove nel Comune non sia presente un Commissario distaccato di P.S.  anche Autoritˆ locale (sussidiaria) di P.S., peraltro piuttosto anomala posto che, pur essendo indiscutibilmente unĠAutoritˆ politica (439), in tale veste deve pur tuttavia informare il Questore di eventuali pubbliche riunioni non preavvisate, provvedendo, in caso di urgenza, ad impedire che queste abbiano luogo o a vigilarne lo svolgimento (art. 28 R.D. 635/40). (438) Pi in generale, le aree funzionali di competenza del Prefetto sono quattro, ossia lĠamministrazione generale, la pubblica sicurezza, lĠamministrazione civile e la protezione civile, che riassumono la molteplicitˆ delle funzioni tipiche dellĠAutoritˆ ÒcivileÓ di governo, rappresentata a livello territoriale da tale organo. In argomento si veda MEOLI, Prefetto, in Dig. Disc. Pubbl. XII, Torino 1997, pp. 392 ss. (439) NellĠesercizio delle funzioni di P.S. agisce, del resto, quale ufficiale del Governo. Nello schema della legge 121, in realtˆ, il Sindaco  inquadrato in una posizione di subordinazione funzionale nei riguardi del Prefetto e del Questore, dai quali pu˜ essere chiamato a collaborare (nei limiti delle competenze del- lĠEnte locale) per un miglior espletamento della funzione di P.S. LĠart. 54 TUEL, nel confermarne la precedente potestˆ di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti per prevenire o eliminare situazioni di grave pericolo che minaccino lĠincolumitˆ pubblica - potestˆ riconosciuta proprio in quanto Autoritˆ politica, nonchŽ ufficiale del Governo - estende tale potere ordinatorio ad una nuova materia, la Òsicurezza urbanaÓ, da esercitarsi Ònel rispetto dei principi generali dellĠordinamentoÓ. Le ordinanze indicate allĠart. 54, comma settimo TUEL possono essere rivolte ad una generalitˆ di destinatari, come pure a soggetti determinati; in questo secondo caso, per lĠipotesi di inottemperanza, il Sindaco pu˜ provvedere dĠufficio, a spese degli interessati. Nella versione ante-riforma della norma (che non contemplava la Òsicurezza urbanaÓ), la giurisprudenza amministrativa aveva tentato di definire gli ambiti ed i presupposti dellĠintervento ordinatorio sindacale: dallĠesistenza di un concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumitˆ alla circostanza che tale pericolo non fosse affrontabile con i normali strumenti di amministrazione attiva (Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2007, n. 2109); dallĠesigenza di unĠadeguata istruttoria (TAR Lazio, Roma, sez. II, 14 febbraio 2007, n. 1352) al rispetto dei principi generali dellĠordinamento (TAR Umbria, 16 aprile 2007, n. 314); dalla verifica dei presupposti di urgenza (TAR Veneto, sez. III, 6 marzo 2007, n. 637) alla necessitˆ di tenere ben distinti scopi e natura degli istituti giuridici, evitando che rimedi finalizzati, ad esempio, ad assicurare la sicurezza della circolazione, potessero essere utilizzati, allĠopposto, per intervenire in materia di ordine pubblico (Cassazione, sez. I civ., sent. 5 ottobre 2006, n. 21432, in relazione allĠesercizio della prostituzione). Con la novella del 2008, secondo la relazione al decreto legge (che riprende i contenuti del d.d.l. presentato nella precedente legislatura sub A.C. n. 3278), si mirava a potenziare Ògli strumenti a disposizione del Sindaco per il contrasto della criminalitˆ localeÓ, in un nuovo Òbilanciamento tra le prerogative statali in tema di sicurezza pubblica e lĠesigenza di valorizzare, anche in tale ambito materiale, il ruolo degli enti localiÓ. Centrale, in questo contesto (440),  quindi (440) In base al riparto delle funzioni contenuto nel Titolo V della Costituzione,  possibile individuare: A) una riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, nella materia Òordine pubblico e sicurezzaÓ (articolo 117, secondo comma, lett. h), materia che, chiarisce la Corte Costituzionale, riguarda la prevenzione dei reati ed il mantenimento dellĠordine pubblico e nella quale lĠattribuzione in via esclusiva consente allo Stato di dettare una disciplina anche di dettaglio (sent. n. 218 del 1988); B) una competenza concorrente in una serie di materie particolarmente rilevanti (residuando in tal ambito, al legislatore statale, la sola determinazione dei principi fondamentali), che vanno dal governo del territorio alla tutela della salute (art. 117, comma 3); C) in terzo luogo, si stabilisce che ogni materia non la nozione di Òsicurezza urbanaÓ contenuta nel successivo decreto del Ministro dellĠInterno 5 agosto 2008 (in attuazione della delega contenuta allĠart. 4-bis del D.L. 92/2008 (441)), a mente del quale ÒAi fini di cui all'art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, É per incolumitˆ pubblica si intende lĠintegritˆ fisica della popolazione e per sicurezza urbana un bene pubblico da tutelare attraverso attivitˆ poste a difesa, nell'ambito delle comunitˆ locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilitˆ nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione socialeÓ. A differenza di quanto previsto per lĠincolumitˆ pubblica, nel secondo caso il legislatore fa uso di una nozione piuttosto generica, che coniuga le condizioni di vivibilitˆ dei centri urbani con due ulteriori finalitˆ: richiamando testualmente la pi recente letteratura sul tema (442), Ònello schema del provvedimento allĠindicazione dellĠambito concettuale delle due nozioni dovrebbe far seguito lĠindicazione delle fattispecie applicative in relazione alle riservata allo Stato sia di competenza legislativa delle Regioni (art. 117, comma 4), tranne la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali, che  comunque riservata, in maniera uniforme sullĠintero territorio nazionale, allo Stato (art.117, secondo comma, lett. m). Tra le materie che dunque rientrano nella competenza propria delle Regioni vi  espressamente la polizia amministrativa locale nonchŽ - in virt del silenzio serbato dalla Carta Costituzionale - ambiti quali, ad esempio, i servizi sociali. A questĠordine di competenze fa riferimento il decreto 5 agosto 2008 del Ministro dellĠInterno, nel definire la nozione di sicurezza urbana, precisando che la tutela dellĠordine e della sicurezza pubblica  riservata esclusivamente allo Stato. In termini del tutto diversi si presenta, in Costituzione, il riparto delle funzioni amministrative. La riforma del 2001 ha infatti abbandonato lĠoriginario parallelismo tra la titolaritˆ di competenze legislative ed amministrative, per adottare due autonomi sistemi: 1) uno basato sul riparto per materie, per quanto attiene le funzioni legislative (art. 117); 2) lĠaltro sul principio di sussidiarietˆ, per quelle amministrative (art. 118). Per lĠeffetto, queste ultime spettano primariamente al Comune, salvi i casi in cui questo risulti inadeguato: ÒLe funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che, per assicurarne lĠesercizio unitario, siano conferite a province, cittˆ metropolitane, regioni e StatoÓ. Allo Stato viene comunque riservata la competenza a fissare e determinare le funzioni fondamentali dei Comuni (art.117, secondo comma, lett. p), funzioni che per˜ non sono state ancora definite. Sempre in materia di sicurezza si richiama infine il terzo comma dellĠart. 118 Cost. che prevede, in determinati settori (quali lĠimmigrazione e la tutela dei beni culturali), che la legge statale disciplini forme di coordinamento tra Stato e Regione: esigenza, questa, fortemente connessa alle cd. politiche integrate per la sicurezza, tipiche del modello UE, secondo una concezione che configura la pubblica sicurezza come un risultato complessivo coinvolgente pi settori dellĠAmministrazione (e non solo), al quale devono quindi concorrere competenze ed istituzioni politiche diverse. (441) Attenta dottrina (PAJNO, La Sicurezza Urbana, Santarcangelo di Romagna 2010, pp. 40 ss.) -nel ricordare che la sicurezza urbana  pur sempre una funzione statale (secondo la lettura fornita da Corte Cost. 1Ħ luglio 2009, n. 196) - evidenzia lĠatipicitˆ di tale rinvio, per effetto del quale la legge rischia di tradursi in una Ònorma in biancoÓ il cui ambito di applicazione verrebbe determinato da un atto di natura Òsub legislativaÓ, qual  un decreto ministeriale: eventualitˆ potenzialmente illegittima ai sensi del secondo comma dellĠart. 117 Cost., che riserva comunque una serie di competenze alla legislazione dello Stato, come pure del secondo comma dellĠart. 118 Cost., che parimenti fa riferimento a funzioni conferite con legge, mentre nel caso di specie si sarebbe erroneamente in presenza di un rinvio integrale ad una fonte non legislativa. (442) PAJNO, op. ult. cit., pp. 38 ss.. quali i Sindaci dovrebbero esser chiamati ad esercitare i propri poteri di ordinanza: in realtˆ fra le due disposizioni É esiste uno squilibrio significativo, sia perchŽ in esse diversa sembra essere lĠidea di sicurezza urbana che le ispira, sia perchŽ gli interventi indicati allĠart. 2 sembrano riferirsi esclusivamente alla sicurezza urbana e non anche alla pubblica incolumitˆÓ. La sicurezza urbana non viene considerata un semplice problema di ordine, ma piuttosto una prestazione pubblica cui corrisponde lĠinteresse del cittadino ad un ÒgodimentoÓ della cittˆ. Una concezione che in parte si discosta da quella individuata allĠart. 54 TUEL, sia dallĠimpianto di fondo del TULPS, in quanto caratterizzata non solo da interventi di tipo preventivo e repressivo, ma anche di carattere promozionale della qualitˆ della vita (443). Va comunque ricordato che la Òsicurezza urbanaÓ  materia di esclusiva competenza statale (444). I poteri del Sindaco, infatti, sono ad esso attribuiti solo in qualitˆ di ufficiale del Governo (art. 54 TUEL, che nella nuova formulazione riconduce le attribuzioni del sindaco allĠesercizio di funzioni statali e non pi, come nel vecchio testo, di servizi statali) e non invece quale Autoritˆ amministrativa e/o politica locale (ex art. 50 TUEL). PoichŽ rientrano nel pi vasto ambito della sicurezza pubblica, a seguito della riforma del 2008 tutte le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal Sindaco devono essere comunicate al Prefetto, anche (ma non solo) ai fini della loro attuazione. La novitˆ non  marginale. In precedenza, quando le ordinanze potevano essere emanate solo per minacce allĠincolumitˆ dei cittadini, non sussisteva alcun obbligo di comunicazione ed il Sindaco poteva darvi diretta esecuzione, richiedendo lĠassistenza della Forza pubblica solo in caso di effettiva necessitˆ. A seguito della novella, invece, la predisposizione degli strumenti per lĠattuazione di una qualsiasi ordinanza sindacale ex art. 54 TUEL  in ogni caso rimessa al Prefetto, che deve anche valutare se la stessa possa produrre conseguenze sui Comuni viciniori e, in caso affermativo, indire unĠapposita conferenza dei soggetti interessati. Se il Ministro dellĠInterno pu˜ adottare dei generali atti di indirizzo per lĠesercizio delle funzioni previste dallĠart. 54 TUEL da parte del Sindaco, per contro il Prefetto pu˜ direttamente esercitare - con proprio provvedimento un potere di avocazione, sostituzione ed annullamento anche nei casi di iner (443) In questi termini, giˆ SELMINI (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna 2004. (444) Depone in tal senso anche la circostanza che sin dalle premesse del provvedimento si richiama - a fondamento del potere esercitato - proprio lĠart. 117 comma 2 lett. h) Cost., che ribadisce appunto la competenza esclusiva statuale, come pure la successiva lettera m), dovendosene dedurre che il provvedimento del Sindaco trova giustificazione nel Òfine di assicurare uniformitˆ su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e socialiÓ, attributo questĠultimo della sola Amministrazione statale. zia: ci˜ poichŽ il Sindaco, nella sua qualitˆ di ufficiale del Governo, opera come organo dello Stato in rapporto di dipendenza gerarchica dal Prefetto (da ultimo, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 3076/08). Quanto sopra trova decisiva conferma nella sentenza n. 196 del 2009 della Corte Costituzionale, che ha inquadrato i ÒnuoviÓ poteri del Sindaco tra quelli finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati, con ci˜ riconducendoli alla materia Òsicurezza pubblicaÓ prevista dallĠart. 117, comma 2, lett. h) Cost. di competenza statale - escludendo per contro che si tratti di funzioni di polizia amministrativa, attribuite alla competenza normativa regionale; conclusione ribadita dallĠAlta Corte con le successive sentenze nn. 226 e 274 del 2010. In esse viene chiarito che la nozione di Òsicurezza urbanaÓ comprende anche le attivitˆ di prevenzione e repressione dei reati, come implicitamente desumibile dallĠart. 40 del D.L. 92/2008, a mente del quale ÒI Sindaci, previa intesa con il Prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio socialeÓ. Il successivo art. 42 attribuisce preferenza alle associazioni costituite da personale in congedo delle Forze dellĠordine, delle Forze armate o di altri Corpi dello Stato, precisando che le loro segnalazioni vanno indirizzate esclusivamente alle Forze di polizia. Trattandosi di materia estranea alle attribuzioni regionali, non trovano spiegazione i virtuosismi dialettici di alcune normative regionali che tentano di incidere su segmenti di potere statale argomentando su un Òsistema di sicurezza pubblica integrataÓ e/o di Òsicurezza pubblica negoziataÓ. In materia di sicurezza urbana, inoltre, la Corte Costituzionale (sentenza 4 aprile 2011, n. 115) ha stabilito che il Sindaco, in base allĠart. 54 TUEL, pu˜ emanare unicamente ordinanze contingibili ed urgenti, sempre che ne ricorrano i tassativi presupposti: il Giudice delle Leggi ha quindi dichiarato lĠillegittimitˆ di sistema dellĠart. 54 comma quarto del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (come novellato dal D.L. 92/2008) poichŽ lo stesso avrebbe conferito al Sindaco il potere di emettere ordinanze anche al di fuori dei presupposti di necessitˆ ed urgenza, con discrezionalitˆ sostanzialmente illimitata (445). Ci˜ violerebbe il principio secondo cui Òin ogni conferimento di poteri amministrativi deve essere osservato il principio di legalitˆ sostanzialeÓ, che non consente ÒlĠassoluta indeterminatezzaÓ del potere conferito e la conseguente totale libertˆ dĠazione dellĠAutoritˆ amministrativa; ad avviso della Corte, lĠillegittimitˆ va ravvisata nel contrasto con gli artt. 23 e 97 Cost., dai quali pu˜ dedursi che Òla legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre (445) Nella precedente sentenza n. 196 del 2009 la Corte aveva evidenziato come il tenore della norma si prestasse anche allĠadozione di provvedimenti di Òordinaria amministrazioneÓ a tutela dellĠincolumitˆ e della sicurezza urbana. una prestazione non lascia allĠarbitrio dellĠente impositore la determinazione della prestazioneÓ. La mancata previsione, nellĠart. 54 comma quarto TUEL, di limiti alla discrezionalitˆ amministrativa viola quindi lĠart. 23 Cost. (446). Ad ulteriore conferma che il D.L. 92/2008 si mantiene saldamente allĠinterno della logica statuale vi  poi la circostanza che il nuovo comma 4-bis dellĠart. 54 rinvia ad un Decreto del Ministro dellĠInterno (cio proprio al- lĠAutoritˆ nazionale di pubblica sicurezza), che determini lĠambito di applicazione del nuovo potere di ordinanza ed i concetti di Òincolumitˆ pubblicaÓ e di Òsicurezza urbanaÓ. A ci˜ aggiungasi la devoluzione, allo stesso Ministro, del potere di adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dall'art. 54. Va infine escluso che il Sindaco possa delegare ad un assessore o altra persona lĠesercizio del potere ex art. 54 TUEL, dal momento che solo chi sostituisce istituzionalmente il Sindaco pu˜ esercitarne le funzioni di competenza statale, laddove per contro il potere di ordinanza non rientra tra quelli che, ai sensi del comma 10 della norma, possono essere delegati. La nozione di Òsicurezza urbanaÓ  cosa del tutto distinta dalla Òpolizia urbanaÓ, che invece attiene alla polizia amministrativa locale. Il nuovo comma 2 dellĠart. 54 TUEL stabilisce inoltre che il Sindaco, nel- lĠesercizio delle funzioni di competenza statale, Òconcorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nel- lĠambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dellĠInterno -Autoritˆ nazionale di pubblica sicurezzaÓ: diversamente da quanto previsto allĠart. 3 della legge 65/1986 (ÒLegge quadro sullĠordinamento della polizia municipaleÓ ), la collaborazione di questĠultima - in prospettiva - non dovrebbe pi limitarsi ad ipotesi eccezionali, nellĠambito di operazioni specifiche, per divenire istituzionale ed ordinaria. In pratica, quando venga a cooperare nellĠambito delle direttive dellĠAutoritˆ nazionale di P.S., la polizia municipale verrebbe ad agire nellĠambito di competenze statali di pubblica sicurezza (come tale verrebbe posta a disposizione del dirigente del servizio, a seconda dei casi un funzionario di polizia o un ufficiale dellĠArma dei Carabinieri) e per lĠeffetto dipenderebbe (447) funzionalmente dal Prefetto, operativamente dal Questore e gerarchicamente dal proprio Comando. (446) Un ulteriore profilo di censura viene individuato sub art. 3 Cost., posto che Ògli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaciÓ. LĠimparzialitˆ della P.A. (ex art. 97 Cost.), inoltre, nel sistema dellĠart. 54 TUEL non verrebbe garantita per lĠassenza di una previsione normativa Òposta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanzaÓ. (447) Si tratta peraltro di unĠipotesi in fieri, attesa lĠestrema complessitˆ della formazione del personale da destinare ai servizi di ordine pubblico (cui sono, non a caso, dedicate apposite specialitˆ delle principali Forze di polizia nazionali) a fronte dellĠassenza di capacitˆ specifiche delle polizie locali, ordinariamente dedite a funzioni amministrative e per di pi frammentate sul territorio. Va evidenziato, sotto questo punto di vista, che a differenza dellĠart. 3, comma secondo, lett. c) legge 121/81, il nuovo art. 54 TUEL (norma speciale rispetto alla prima) non limita tale possibilitˆ ai soli funzionari in possesso della qualifica di agenti di pubblica sicurezza: ne discende per˜ non tanto unĠapertura del legislatore verso una maggiore collaborazione interforze (verosimile ratio della novella legislativa), ma piuttosto unĠulteriore incoerenza di sistema, dovuta al fatto che si  operato un isolato ÒinnestoÓ sulla normativa preesistente, senza coordinarlo con la disciplina da questa presupposta (ovverosia la legge 121/81 ed il TULPS). In effetti, proprio il carattere speciale della previsione di cui allĠart. 54 comma secondo TUEL, unitamente al fatto che si tratta di norma sopravvenuta a quella contenente i limiti di cui si  detto (lĠart. 3 cit.) consente, a rigore, di sostenere che ancora una volta il sistema della pubblica sicurezza, cos“ come descritto dalla legge 121, pare relegare in secondo piano i requisiti funzionali dei soggetti che vi partecipano, per privilegiarne altri di carattere pi propriamente amministrativo. Ci˜ premesso, la riforma dellĠart. 54 TUEL non ha mancato di sollevare altre questioni, legate in particolare alla logica di decentramento che la ispirerebbe. Parte della dottrina (448) ha infatti letto in tale operazione una concreta erosione, da parte dellĠAutoritˆ di governo, di attribuzioni amministrative che per loro natura avrebbero dovuto competere ai Consigli comunali: premesso che la legge non consente di attribuire a questi ultimi (organi dellĠEnte locale) alcun potere in materia di sicurezza pubblica, non sono infatti rari i casi in cui le ordinanze dellĠufficiale di Governo hanno concretamente operato a prescindere dalle competenze dellĠorgano consiliare, soprattutto in materia di polizia urbana, materia attribuita alla potestˆ regolamentare del Comune. In tal modo lo Stato, lungi dallĠattribuire (decentrare) nuove competenze (e potestˆ) al vertice politico dellĠEnte locale, in realtˆ avrebbe utilizzato la stessa persona fisica - stavolta in veste di ufficiale del Governo - per attrarre competenze che ai sensi dellĠart. 117 comma sesto Cost. avrebbero dovuto essere disciplinate in sede consiliare. Alla base di ci˜ vi sarebbe addirittura unĠerronea concezione di Òsicurezza localeÓ che - anzichŽ riferirsi alla prevenzione di fenomeni non criminali, ma pur sempre idonei a generare un diffuso senso di disagio ed insicurezza (si pensi allĠabusivismo commerciale, al degrado ambientale, etc.), al fine di assicurare il pacifico godimento del contesto urbano (449) - sarebbe stata ricondotta nellĠambito dellĠordine pubblico (con ci˜ rafforzando la figura del Sindaco quale organo periferico dello Stato anzichŽ del Comune). (448) PAJNO, op. ult. cit., pp. 33 ss.. (449) LĠespressione  utilizzata da BONFIGLIO, Sicurezza integrata e sicurezza partecipata, DSR/Roma 2011. Il D.M. 5 agosto 2008 sembrerebbe porre un correttivo a tale impostazione, attribuendo al Sindaco unĠarticolata serie di potestˆ che indubbiamente si riferiscono innanzitutto alle sue funzioni amministrative e che comunque hanno un contenuto preventivo, piuttosto che repressivo: emblematiche le lett. b) e c) dellĠart. 2, relative alla fruibilitˆ del patrimonio urbano, ovvero ad incuria, degrado ed occupazione abusiva degli immobili. Resta per˜ il fatto, innegabile, che i poteri di ordinanza di cui si tratta spettano allĠufficiale del Governo, e non al Primo cittadino del Comune. In tale contesto, come giˆ ricordato, con sentenza del 4 aprile 2011 n. 115 (450) la Corte Costituzionale ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui ogni attribuzione di poteri amministrativi deve essere conforme al principio di legalitˆ sostanziale, che ne presuppone la tipicitˆ e tassativitˆ, escludendone per contro lĠindeterminatezza. Come si  avuto modo di anticipare, il sistema dellĠAmministrazione di pubblica sicurezza tracciato nel TULPS poteva dirsi ÒpolicentricoÓ, in quanto costruito - in parte anche sotto il profilo operativo (451) - attorno alla figura dei Prefetti, uno per provincia, tra loro autonomi pur se accomunati dal vincolo di dipendenza dal Ministro dellĠInterno; policentrismo che nella visione iniziale del legislatore del 1931 non era per˜ espressione di ÒdecentramentoÓ (che di per sŽ implica, in nuce, lĠesercizio di scelte discrezionali di merito da parte delle collettivitˆ amministrate), quanto piuttosto della necessitˆ di rafforzare il potere centrale dello Stato anche sulle aree periferiche del Paese. In questi termini si spiega la sottoposizione dei Sindaci al potere gerarchico del Prefetto (nonchŽ ai controlli del suo ausiliario tecnico, il Questore), laddove eccezionalmente chiamati a svolgere funzioni in materia e, di converso, la tendenza a circoscrivere quanto pi possibile lĠautonomia operativa delle singole Forze dellĠordine, ad evitare che per tale via potessero consolidarsi delle realtˆ autonome di controllo sociale in grado di entrare in concorrenza con lĠAutoritˆ di governo (452). In questi termini,  significativo che nel TULPS (cos“ come nel suo Regolamento di esecuzione) non venga mai menzionata la funzione di ÒcoordinamentoÓ, che non solo presuppone - come si  visto -un rapporto paritetico tra i soggetti da coordinare, ma soprattutto implica la terzietˆ del coordinatore, escludendo per contro che lo stesso possa generalmente incidere sulla concreta esecuzione delle funzioni operative, con poteri di ordine o direzione. (450) Per una rappresentazione delle questioni affrontate dalla Consulta, si veda VACCARELLA, Il potere di ordinanza sindacale ex art. 54 del TUEL n. 267/2000 come modificato dalla legge 24 luglio del 2008 n. 125 dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 7 aprile 2011, in www.giustamm.it, pp. 107 ss.. (451) Stante lĠallora dipendenza gerarchica da questi ultimi del Questore (e dunque, nella sostanza, delle Forze precipuamente deputate al mantenimento dellĠordine pubblico). (452) Esigenza particolarmente pressante per il regime allora in essere, se solo si considera che le Forze armate (nel cui ambito ricadevano pure i Carabinieri) prestavano giuramento di fedeltˆ al Re, anzichŽ al Capo del Governo o ai suoi Ministri. UnĠevoluzione si avrˆ solo con la legge 121/81, che se da un lato correttamente devolve tale attribuzione al Prefetto (in quanto soggetto ÒterzoÓ rispetto alle Forze dellĠordine che operano in ambito provinciale, a seguito della sottrazione delle Questure alla sua sfera di potestˆ gerarchica), dallĠaltro ha lĠevidente limite di aver per il resto mantenuto intatto lĠimpianto di base del TULPS, finendo cos“ col generare una duplicazione dei centri di autoritˆ rispetto al passato, sia a livello nazionale che territoriale. 4. Elementi di diritto comparato nella prospettiva del Òmodello EuropeoÓ. La c.d. gestione Òdi prossimitˆÓ. Sintesi e conclusioni. Grande limite della riforma del 1981 - di cui implicitamente dˆ atto lo stesso legislatore, nel momento in cui interviene ad apportarvi dei significativi correttivi nelle successive ÒnovelleÓ di settore (453) -  la mancata distinzione tra funzioni di indirizzo (spettanti ad organi che siano diretta emanazione dellĠAutoritˆ di governo) e funzioni di gestione o esecutive (di competenza invece degli organi operativi e/o amministrativi: Forze dellĠordine, etc.), distinzione che ratione temporis era totalmente estranea allĠimpostazione del TULPS, nella cui prospettiva ordinamentale ben si pu˜ collocare, al netto di taluni aspetti esteriori, la stessa legge 121. La logica del TULPS dichiaratamente si contrapponeva al precedente sistema liberale, basato su una netta divisione dei poteri, per abbracciare piuttosto una visione nella quale la distinzione tra organi legislativi ed esecutivi tendeva a dissolversi, a favore di una prospettiva unitaria ed organica del potere statuale. In questi termini, parte della dottrina sostiene che il principale aspetto da riformare sia quello della pluralitˆ delle Forze di polizia (pluralitˆ del resto ÒcanonizzataÓ proprio dalla legge 121, e comunque caratteristica necessaria di tutti i moderni ordinamenti democratici, stante lĠevidente inopportunitˆ di forme di concentrazione - sia sul piano operativo che funzionale - in un settore tanto decisivo per le libertˆ civili); in subordine si parla anche di un loro pi stretto coordinamento, generalmente senza per˜ precisarne modalitˆ ed obiettivi. Tali prospettive ermeneutiche, per˜, non solo ignorano le incoerenze sistemiche di cui si  detto (omissione del tutto inspiegabile, se si pensa che tali criticitˆ sono generalmente assenti negli altri ordinamenti nazionali dellĠUE, caratterizzati dalla netta separazione tra le funzioni esecutive e quelle di indi (453) Da ultimo, seppur in prospettiva generale, si richiama lĠart. 6 della legge 4 marzo 2009, n. 15 disponente principi e criteri Òal fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e confronto spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza É regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente attuazione dellĠindirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativoÓ. rizzo), ma neppure sembrano porsi il problema giˆ solo di spiegare le ragioni storico-istituzionali di tale ÒpluralitˆÓ e delle connesse, possibili sovrapposizioni operative nellĠesercizio dellĠattivitˆ della poliza di sicurezza, dando cos“ forma ad una lettura incompleta e decontestualizzata della normativa vigente. I limiti metodologici di tale impostazione possono essere ricondotti, in buona sostanza, ad una serie di luoghi comuni, parte dei quali giˆ anticipati nella prima parte di questo lavoro. A prescindere dallĠuso improprio della nozione giuridica di ÒAutoritˆ civileÓ (454), per cui si rinvia a quanto in precedenza esposto,  soprattutto nel tormentato rapporto Prefetture /Questure che si svela lĠincoerenza costituzionale di tali ricostruzioni, che allĠatto pratico finiscono per riproporre - sotto il profilo operativo/sistemico - la ratio sottostante agli interventi normativi disposti dal regime negli anni venti e trenta del secolo scorso, in un certo qual senso addirittura peggiorandola. Non  quindi un caso che risultino, alla fine, in contrasto con i fondamenti dello Stato di diritto. Si pensi, in primo luogo, allĠincredibile volontˆ di estromettere definitivamente lĠAutoritˆ di governo (rappresentata a livello provinciale dal Prefetto, organo caratterizzato da specifica professionalitˆ in materia di pubblica sicurezza) dalla concreta gestione del settore, non per˜ a beneficio degli organi esecutivo/gestionali nel loro insieme (e dunque, a vantaggio della relativa funzione), bens“ di uno solo di essi. Questi, infatti, assumerebbe non solo la veste di dirigente di una delle Forze di polizia, ma pure quella - inedita a livello internazionale - di direttore o superiore funzionale di tutte le altre, delle quali verrebbe a disporre a sua discrezione. Un organo per di pi sottratto al controllo di legittimitˆ dei propri atti, comĠ vero che uno dei punti qualificanti di tale impostazione (455) consisterebbe nellĠeliminare perfino la possibilitˆ di impugnare in via amministrativa (ex lege 1199/71, secondo la procedura nota in dottrina col nome di Òricorso gerarchicoÓ) i relativi atti, al pi residuando il lungo ed oneroso ricorso giurisdizionale. Seguendo questa prospettiva, la figura del Questore finirebbe con l'assumere carattere autoreferenziale, in netto contrasto non solo con quanto espresso dal (pur non vincolante) art. 13 della Raccomandazione COE n. 10/2001, ma innanzitutto con i principi cogenti di cui agli artt. 95 e 97 Cost. Appare quindi assai discutibile giustificare quanto sopra con una presunta esigenza di superare un non meglio definito Òaccentramento amministrativo e totalitarioÓ, se solo si pensa che proprio il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 - che ha introdotto la distinzione tra funzioni ed organi di indirizzo politico e funzioni (ed organi) di gestione - espressamente sal (454) In questi termini, di recente, MANCINI PROIETTI, Libertˆ (fondamentali) e (poteri dellĠ) autoritˆ, cit., pp. 69 ss. (ivi, in particolare, p. 71, nellĠottica ermeneutica a suo tempo smentita dellĠart. 13 della Raccomandazione 10/2001/REC del COE). (455) Ad esempio, cfr. MANCINI PROEITTI, op. ult. cit., p. 128. Testualmente ivi si legge ÒÉ sarebbe allora auspicabile che non fosse pi possibile da parte del prefetto ingerirsi nella direzione tecnica di un servizio, quanto piuttosto collocarsi in un momento successivo di controllo del pieno rispetto degli indirizzi ricevuti. Controllo che nei casi pi gravi potrebbe anche sfociare in una corrispondente richiesta urgente di sostituzione dellĠorgano. Il prefetto dovrebbe quindi solo indirizzare lĠattivitˆ del questore É ne discenderebbe lĠimpossibilitˆ e lĠincompatibilitˆ con il sistema delineato dalla l. n. 121/81, la possibilitˆ di ricorrere (gerarchicamente) al prefetto contro gli atti del questore in materia di sicurezza pubblicaÓ. vaguarda, quale suo immanente corollario - allĠart. 9 comma terzo (456) - il potere di annullamento ministeriale (in termini generali) e, nello specifico, quello prefettizio per ragioni di legittimitˆ. Invero, la concreta attuazione del principio sovra esposto non solo renderebbe ancor pi inestricabile il sistema Òbinario incrociatoÓ di cui si  in precedenza detto, ma darebbe vita allĠinedita anomalia costituzionale di un organo esecutivo che verrebbe contemporaneamente a svolgere il ruolo di controllore e di controllato, privo di controlimiti operativi (essendo controllore- direttore di tutte le altre Forze in campo) e sostanzialmente incensurabile negli atti. A fronte di ci˜, fiduciosamente si suggerisce che, nei casi pi gravi di mala gestione, lĠAutoritˆ di governo potrebbe al pi chiederne la sostituzione, ma neppure in questo caso ad un organismo terzo, bens“ alla stessa Amministrazione dalla quale questi dipende (ad esempio, al Questore del capoluogo di regione) É Invero, secondo i fautori di questa impostazione, lĠAutoritˆ (civile) di governo dovrebbe rinunciare pure alla sovraordinazione funzionale nei confronti delle Forze dellĠordine, posto che Òil rapporto di dipendenza funzionale (non gerarchica) della forza pubblica rispetto allĠorgano prefetto É andrebbe infatti per coerenza istituzionale riservata alla sola Autoritˆ tecnica di poliza, da esercitarsi attraverso lĠattuale potere di ordinanzaÓ (457), seppur con la conclusiva chiosa per cui tale inedita funzione di direzione e coordinamento Òdovrebbe ovviamente essere svolta nellĠambito ed in ossequio di quelle che sono le linee di indirizzo e di direttiva di volta in volta promanate dallĠorgano prefettoÓ. é appena il caso di evidenziare come una tale costruzione teorica si ponga in contrasto con i fondamenti dello Stato di diritto in materia di pubblica sicurezza: non solo, infatti, pretende nei fatti di sovraordinare un organo amministrativo ed esecutivo allĠAutoritˆ di indirizzo politico (spogliando questĠultima, in concreto, di ogni mezzo reale di controllo e sanzione, in punto di legittimitˆ ed opportunitˆ degli atti), con buona pace della comune sottoposizione di tutte le Forze di polizia (e non certo solo di quelle ad ordinamento militare) alla responsabilitˆ della ÒCivil AuthorityÓ, ma nientemeno teorizza lĠassurdo di una Forza di polizia che dirige le altre, anzichŽ essere dalle stesse reciprocamente controllata, richiamando il modus operandi dei totalitarismi occidentali del Ventesimo secolo, nella sitematica e progressiva opera di duplicazione / sovrapposizione / sostituzione dei Corpi di polizia dello Stato (cfr. retro, Cap. I). Il tentativo di spostare il baricentro delle politiche di sicurezza dallĠorgano di indirizzo (456) Recita la norma: ÒÉ Il Ministro non pu˜ revocare, riformare, riservare o avocare a sŽ o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro pu˜ fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro puo' nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 3, lettera p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altres“ salvo quanto previsto dall'articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dallĠarticolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimitˆÓ. A mente dellĠart. 6 TULPS, infine, ÒSalvo che la legge disponga altrimenti, contro i provvedimenti dell'autoritˆ di pubblica sicurezza  ammesso il ricorso in via gerarchica nel termine di giorni dieci dalla notizia del provvedimentoÓ. (457) Cos“ MANCINI PROIETTI, op. ult. cit., p. 129. ad uno esecutivo trova ulteriore spunto nella sottolineatura che questĠultimo - pur essendo a tutti gli effetti un ufficiale di polizia - sarebbe pur tuttavia esonerato - in via del tutto eccezionale - dal rivestire anche la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, circostanza che denoterebbe lĠintento del legislatore di Òsottrarre la predetta autoritˆ da particolari vincoli nei confronti dellĠautoritˆ giudiziaria, stanti le sue funzioni eminentemente tecnico-amministrative ÉÓ; anche tale notazione non sembra per˜ convincente, non essendo tale esclusione, in realtˆ, specifica della figura del Questore ma valendo pure per i generali dei Carabinieri (ai sensi dellĠart. 178 D.lgs 15 marzo 2010, n. 66) e della Guardia di Finanza; del resto, neppure  chiara - se si tien conto delle funzioni realmente svolte dai soggetti coinvolti - lĠesatta ragione della preferenza accordata al vertice provinciale dellĠuna piuttosto che dellĠaltra Forza del- lĠordine, salvo voler riproporre la screditata esegesi dellĠart. 13 della Raccomandazione 10/2001/REC del COE, di cui si  detto nella prima parte di questo lavoro. Analoghi limiti si riscontrano in quegli Autori che pensano invece di individuare una prospettiva di maggior coordinamento nellĠunificazione non giˆ delle Forze di polizia, ma (perlomeno) delle loro Centrali operative. Ora, anche a prescindere dalla circostanza che nel medesimo ambito territoriale (provinciale) spesso si assiste a duplicazioni non tanto tra le diverse Forze dellĠordine (che oltre ad avere competenze autonome, si vedono comunque assegnate dai Piani coordinati di controllo del territorio delle pertinenze territoriali specifiche), quanto piuttosto allĠinterno di una stessa Forza (si pensi alla coesistenza - nella medesima cittˆ capoluogo - tra le Centrali operative della Questura/Squadra mobile e quelle della Polizia stradale), una tale prospettiva appare del tutto avulsa dalla realtˆ. Richiamando la definizione contenuta in un sito istituzionale, la Centrale operativa di una Forza di polizia  tuttĠaltro che un centralino telefonico (o un call-center) che riceve chiamate di soccorso e le ÒgiraÓ ai vari operatori sul territorio, competenti ad intervenire: se cos“ fosse, infatti, non vi sarebbero evidenti controindicazioni pratiche - ma al pi, addirittura, dei vantaggi in termini di spesa - a fonderle tutte in unĠunica struttura, magari a composizione interforze per par condicio. In realtˆ la Centrale operativa  il centro motore del comando, lo strumento fondamentale per lĠinnesco, lo sviluppo ed il completamento di tutta lĠattivitˆ istituzionale della Forza interessata, nonchŽ la sede appropriatamente organizzata, ove pervengono al comandante, in continuitˆ, le notizie di interesse e da cui egli esprime - personalmente e per il tramite del personale addetto - gli ordini per la risoluzione dei problemi contingenti. Tramite questa struttura viene assicurata lĠinteroperativitˆ continua (c.d. ÒH24Ó) tra il dirigente e/o ufficiale responsabile (o altro delegato) e gli organici disponibili alle sue dipendenze, nonchŽ il flusso di informazioni tra il centro di comando e la periferia, le banche-dati interforze ed i servizi di sicurezza (strumenti questi ultimi il cui accesso va limitato alle Forze dellĠordine, attesa la natura riservata e sensibile delle aree di riferimento). Inoltre, dal 1999 le Centrali operative delle due Forze di polizia a competenza generale sono tra loro interconnesse in videoconferenza, al fine di assicurare, sempre mediante procedure condivise, lĠintervento del personale in grado di agire pi tempestivamente, nonchŽ di quello delle altre organizzazioni/ istituzioni (sanitarie, Vigili del fuoco, protezione civile, etc.) la cui opera  ritenuta necessaria per un efficace soccorso. A ci˜ si aggiunga che una Centrale operativa, per poter funzionare correttamente, non pu˜ riferirsi ad un bacino territoriale troppo ampio, pena il venir meno della reale possibilitˆ di un effettivo controllo, circostanza che da sola porta ad escludere ipotetiche reductiones ad unum (giˆ solo su base provinciale). In estrema sintesi, tramite la Centrale operativa si decide (con ordine vincolante) chi, quando e come deve porre in essere una determinata attivitˆ operativa, e si ha il vero polso del controllo del territorio. Ne discende che un loro ipotetico ÒaccorpamentoÓ si tradurrebbe necessariamente nella sottrazione della linea di comando ad una o pi Forze, per cederla ad altre. NŽ potrebbe pensarsi - semplicisticamente - di creare Centrali operative con pluralitˆ di Comandanti o magari interforze Òa rotazioneÓ, dal momento che - oltre allĠinevitabile confusione - risulterebbe violato il principio generale (alla base dello Stato di diritto) per cui gli organi appartenenti ad una determinata Amministrazione non possono impartire ordini a strutture inserite in Amministrazioni diverse (tale , indubbiamente, il rapporto tra le diverse Forze di polizia e tra queste e le Forze armate), stante lĠinconfigurabilitˆ giuridica - nei loro reciproci rapporti - di un vincolo gerarchico. Alla luce delle considerazioni che precedono ben si spiega quindi la ragione per cui, contrariamente a quanto talvolta si sostiene, il legislatore non ha mai previsto nulla del genere, ma semmai il contrario: lĠart. 21 della legge 121/81 (rubricato ÒCollegamenti e sale operative comuni tra le Forze di poliziaÓ ) si limita infatti a dettare una disciplina eventuale ed eccezionale nei termini che seguono: ÒIl Ministro dellĠInterno, nellĠesercizio delle sue attribuzioni di coordinamento, impartisce direttive ed emana provvedimenti per stabilire collegamenti [e non unificazioni - ndr] tra le sale operative delle Forze di polizia e istituisce, in casi di particolare necessitˆ, con proprio decreto di concerto con i Ministri interessati, sale operative comuniÓ. La norma prevede quindi due distinte ipotesi, lĠuna avente carattere generico, lĠaltra eccezionale (il legislatore parla, significativamente, di una necessitˆ che devĠessere addirittura particolare, ovverosia di Òinevitabilitˆ altrimentiÓ nel noto significato giuridico del termine). Circa i prefigurati (e non meglio definiti) ÒcollegamentiÓ, si tratta delle forme di interconnessione tra gli operatori, giˆ esistenti da anni, laddove giˆ solo per assicurare la concreta attuazione della richiamata Direttiva 2002/22/CE, le Centrali operative del 112 dei Carabinieri svolgono attivitˆ strumentale anche per le altre Forze dellĠordine, secondo i cd. ÒPiani coordinati di controllo del territorioÓ. La seconda ipotesi ha invece, generalmente, carattere occasionale e temporaneo, comĠ stato il caso delle speciali Centrali operative comuni interforze in concomitanza di eventi di particolare rilevanza nazionale (manifestazioni sportive e meetings internazionali, ricorrenze pubbliche, etc.). Storicamente, la duplicazione delle funzioni di polizia rappresenta una tipica manifestazione del passaggio da un regime liberale a forme di governo autoritarie; in Italia, principale espressione di ci˜ fu - dopo la creazione di due nuovi Corpi di polizia (la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con R.D. 14 gennaio 1923, n. 31 ed il Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, ricostituito con R.D.L. 2 aprile 1925, n. 383, che andavano di fatto a contrapporsi ai Carabinieri Reali ed ai precedenti Corpi specializzati minori (458)) (458) Inequivocabili sono, sul punto, le stesse parole del capo del regime, nello scritto Il tempo del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942 - settembre 1943), supplemento al Corriere della Sera n. 190 del 9 agosto 1944, p. 40: ÒNell'Esercito vi era un'Arma che aveva soprattutto carattere esclusivamente dinastico: l'Arma dei Carabinieri. Era questa l'Arma del re. Anche qui il fascismo cerc˜ di organizzare una polizia che desse garanzie dal punto di vista politico e vi aggiunse una organizzazione la moltiplicazione delle Questure, una per ogni capoluogo di provincia, disposta con R.D.L. 14 aprile 1927, n. 593. Tali uffici, come giˆ accennato, erano stati creati nel Regno di Sardegna nel XIX secolo e poi estesi al resto dĠItalia, progressivamente al processo di unificazione, quali articolazioni ausiliarie delle Prefetture per le sole aree ÒmetropolitaneÓ (i capoluoghi con popolazione superiore ai 60.000 abitanti - ossia Torino e Genova), essendo finalizzate ad assicurare un pi coordinato presidio di pubblica sicurezza nelle maggiori conurbazioni del Paese, la cui rapida industrializzazione e lĠelevata concentrazione della popolazione comportavano -come comportano ancor oggi - degli specifici problemi di ordine pubblico, tali da giustificare lĠistituzione di strutture amministrative ad hoc. Tale eccezionalitˆ veniva confermata dallĠart. 4 del R.D. 31 agosto 1907, n. 690 (a sua volta riproduttivo dellĠart. 4 della legge 21 agosto 1901, n. 409), che alla luce del nuovo contesto nazionale ed a cinquantĠanni dallĠunitˆ, significativamente aveva elevato la predetta soglia minima a ben 100.000 abitanti, anzichŽ ridurla. Di l“ a pochi anni, per˜, a seguito del mutato regime istituzionale, le Questure vennero ad assumere un ruolo completamente diverso, quali centri del controllo ideologico e politico a livello territoriale (vieppi incentrato sugli apparati di sicurezza) su cui verrˆ a strutturarsi, di l“ a poco, lĠimpianto complessivo del TULPS (459); significativa di tale rinnovata funzione, in luogo di quella originaria e naturale di presidio di pubblica sicurezza metropolitano, la prevalenza accordata agli uffici del Òcontrollo politicoÓ e gli organici quasi sempre inferiori a quelli dei preesistenti Comandi territoriali dei Carabinieri (con conseguente inidoneitˆ a svolgere unĠanaloga attivitˆ di presidio territoriale, situazione che in larga parte perdura tuttĠoggi). Precisato quanto sopra, per tornare sul piano comparato, in aggiunta ai sintetici richiami giˆ effettuati agli ordinamenti degli Stati del ÒG6-UEÓ, si pu˜ prendere in considerazione - tra gli altri - il sistema portoghese di P.S. (460), che presenta una ripartizione delle competenze generali di polizia di si- segreta: l'OVRAÓ. Sulla centralitˆ - anche numerica - dei Carabinieri Reali rispetto alle altre Forze si vedano i dati riportati da BONINO, La polizia italiana nella seconda metˆ dellĠOttocento. Aspetti culturali e operativi, Roma 2005, pp. 30, 59 e 63. Inoltre TINTI, Dai Reali Carabinieri alla 121, cit. (459) Con le riforme di polizia degli anni Venti (che in qualche modo accentuavano alcune decisioni del precedente Ministero Crispi) venne creata una struttura fortemente centralizzata, incentrata sulla Direzione della Pubblica Sicurezza e quindi sulla figura del neo-istituito Capo della polizia, il quale operava in periferia mediante Ispettori regionali e generali di pubblica sicurezza. Questi ultimi erano preposti ad organismi alle sue dipendenze (come lĠOVRA) ovvero destinati ad incarichi speciali. Col R.D.L. n.1903 del 6 novembre 1926 venne anche istituito il servizio speciale di investigazione politica, avente per scopo la difesa dellĠordine costituito dello Stato. (460) Per unĠintroduzione sullĠimplementazione portoghese delle politiche europee di sicurezza, cfr. DE MELO PALMA, European by Force and by Will: Portugal and the European Security and Defence Policy, EU Diplomacy Papers 7/2009 (su http://aei.pitt.edu/11868/1/EDP_7_2009_Palma-3.pdf). Inoltre ROBINSON, Assessing the Europeanisation of Portuguese Foreign and Security Policy, Bruges 2010. curezza (quella giudiziaria essendo rimessa ad un distinto organismo) tra un Corpo civile ed uno ad ordinamento miliare (la Guarda Nacional Republicana -GNR, una Forza di gendarmeria). In merito a questĠultima, per inciso, il legislatore nazionale appare consapevole della natura ÒintegrataÓ secondo i giˆ richiamati standards internazionali, precisando (art. 1 della Lei 6 novembre 2007, n. 63 (461)) che si tratta di una Forza di polizia a statuto militare, destinata per tale ad assolvere le generali funzioni di pubblica sicurezza, di tutela dei diritti civili ed altres“ a contribuire alla difesa militare dello Stato: in tale veste opera funzionalmente (art. 2) alle dipendenze del Ministero concretamente responsabile della sicurezza interna dello Stato (462) e, nelle ipotesi previste dalla legge, alle dipendenze operative del Capo di Stato Maggiore delle Forze armate. Caratteristica che ancor pi trova sanzione allĠart. 2 del Decreto-Lei 14 ottobre 2009, n. 297 (Estatuto dos Militares da Guarda Nacional Republicana (463), laddove si precisa che il militare della Guarda - definito significativamente Òsoldado de la leiÓ - nellĠesercizio delle sue funzioni  agente di forza pubblica, nonchŽ autoritˆ ed organo di polizia a tutti gli effetti (464). Il sistema portoghese si ispira tendenzialmente al Òmodello europeoÓ dellĠAmministrazione di P.S.: da un lato, il carattere ÒinclusivoÓ ed ÒintegratoÓ  evidente nella composizione del ÒConselho Superior de Segurana InternaÓ, lĠorgano consultivo (interministeriale ed interforze) in materia di pubblica sicurezza, presieduto dal Primo Ministro e comprendente - dal lato governativo Òdi indirizzoÓ - i Ministri dellĠInterno, della Difesa, della Giustizia, delle Finanze, delle Opere pubbliche, dei Trasporti e delle comunicazioni, oltre ai rappresentanti del Parlamento e delle Autonomie locali, nonchŽ il summenzionato Secret‡rio-Geral do Sistema de Segurana Interna (nonchŽ quello competente per i Servizi segreti), mentre sul lato ÒoperativoÓ include i Comandanti delle tre Forze di polizia, il Direttore dei Servizi di informazione strategica, le Autoritˆ militari marittima ed aeronautica, il Direttore generale dei Servizi peni (461) Testualmente ÒA Guarda Nacional Republicana, adiante designada por Guarda, Ž uma fora de segurana de natureza militar, constitu’da por militares organizados num corpo especial de tropas e dotada de autonomia administrativa. 2 - A Guarda tem por miss‹o, no ‰mbito dos sistemas nacionais de segurana e protec‹o, assegurar a legalidade democr‡tica, garantir a segurana interna e os direitos dos cidad‹os, bem como colaborar na execu‹o da pol’tica de defesa nacional, nos termos da Constitui‹o e da leiÓ. Testo su http://www.gnr.pt/documentos/ Legislacao/LEI_ORGANICA.pdf. Le attribuzioni generali di polizia della GNR (tra cui quelle che in Italia fanno capo alla Guardia di Finanza - comma 2 lett. d - ed al Corpo Forestale dello Stato - comma 2 lett. a - analogamente a quanto si verifica in altri ordinamenti quali quello spagnolo e francese) sono previste allĠart. 3. (462) Non  infatti corretto sostenere che la GNR sia specificamente posta alle dipendenze del Ministero dellĠInterno piuttosto che ad un altro Dicastero, posto che lĠart. 2 comma primo della Lei 6 novembre 2007, n. 63, in ottica funzionalista, precisa che ÒA Guarda depende do membro do Governo respons‡vel pela ‡rea da administra‹o internaÓ. (463) Testo consolidato su http://www.gnr.pt/documentos/Legislacao/EMGNRNovo.pdf (464) Analogo principio trova espressione agli artt. 10 e 11 della Lei 63/2007. tenziari, il Responsabile nazionale dei servizi di protezione e soccorso, etc. (art. 12). In circostanze particolari pu˜ anche prendervi parte il Procuratore generale della Repubblica. La centralitˆ del Primo Ministro nel Òsistema sicurezzaÓ portoghese emerge anche dallĠart. 9 comma primo legge 53/2008, ai sensi del quale il Capo del Governo - politicamente responsabile per la direzione delle politiche di pubblica sicurezza - ha tra lĠaltro lĠincarico di proporre al Consiglio dei Ministri il piano di coordinamento, controllo e comando operativo delle Forze e dei Servizi di sicurezza nazionali. Ai sensi dellĠart. 13, il CSSI assiste il Primo Ministro nellĠesercizio delle sue competenze in materia di sicurezza interna (previste allĠart. 9): questi, in particolare - a differenza dei modelli italiano, tedesco e francese che attribuiscono tale competenza al Ministro dellĠInterno, che in tali contesti non ha un ruolo meramente esecutivo e politicamente subordinato -  lĠorgano politicamente responsabile per la direzione delle politiche di pubblica sicurezza, elaborate dal Governo nel suo complesso (ex art. 8: ÒA condu‹o da pol’tica de segurana interna Ž, nos termos da Constitui‹o, da competncia do GovernoÓ ). Ma  lĠinquadramento delle funzioni di direzione e coordinamento delle Forze di polizia (e pi in generale dei vari operatori del Òsistema sicurezzaÓ, in un moderno approccio olistico ed integrato) a segnare la differenza con i risalenti modelli del Òpolicentrismo autarchicoÓ, quale quello tracciato dal TULPS e dalla legge 121/81. Dopo aver definito, allĠart. 1, la nozione di Òsicurezza internaÓ in termini funzionali quale (465) Òattivitˆ dello Stato finalizzata a garantire la pace, lĠordine e la sicurezza pubblica, nonchŽ proteggere le persone ed i beni, prevenire e reprimere la criminalitˆ e contribuire a garantire il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche, il regolare esercizio dei diritti, delle libertˆ e delle garanzie fondamentali dei cittadini ed il rispetto per la legalitˆ democraticaÓ, lĠart. 6 enuncia - tra i principi fondamentali - la regola per cui ÒLe Forze ed i servizi di sicurezza svolgono la propria attivitˆ conformemente ai principi, agli obiettivi, alle prioritˆ, alle linee-guida ed alle misure individuate dalle politiche di sicurezza interna, nellĠambito delle rispettive attribuzioni. 2 Fermo quanto disposto al comma precedente, le Forze ed i servizi di sicurezza cooperano tra di loro, in particolare attraverso lo scambio di informazioni che non rilevino esclusivamente ai fini del perseguimento degli specifici obiettivi di ciascuna di esse, ma risultino indispensabili a consentire (465) Testualmente: ÒA segurana interna Ž a actividade desenvolvida pelo Estado para garantir a ordem, a segurana e a tranquilidade pœblicas, proteger pessoas e bens, prevenir e reprimir a criminalidade e contribuir para assegurar o normal funcionamento das institui›es democr‡ticas, o regular exerc’cio dos direitos, liberdades e garantias fundamentais dos cidad‹os e o respeito pela legalidade democr‡ticaÓ. anche il raggiungimento di quelli degli altri, nel rispetto delle norme sul segreto istruttorio e sul segreto di StatoÓ (466). In questo quadro teorico si iscrivono lĠattivitˆ e le funzioni del principale organo ausiliario dellĠAmministrazione di P.S. portoghese - di nomina politica e legato al Primo Ministro da un rapporto fiduciario - ossia il ÒSecret‡rio- Geral do Sistema de Segurana InternaÓ (artt. 14 ss.), posto alla diretta dipendenza (gerarchica) dal Primo Ministro e solo eventualmente dal Ministro dellĠInterno, che per˜ in tanto pu˜ esercitare una qualche potestˆ nei suoi confronti, in quanto sia stato espressamente delegato dal primo a farlo. Di converso, il legislatore riconosce che tale organo, in quanto ausiliario del Governo, obiettivamente partecipa allĠesercizio del potere di indirizzo seppur sotto un profilo pi prettamente tecnico - equiparandolo a tutti gli effetti legali ad un Sottosegretario di Stato (467); inoltre, in ragione della sua terzietˆ rispetto alle forze in campo gli viene attribuita la funzione di coordinamento, direzione e controllo operativi (art. 15: Òtem competncias de coordena‹o, direc‹o, controlo e comando operacionalÓ (468)). Una terzietˆ che non esclude - a differenza di quanto invece accade in altri ordinamenti nazionali (466) Testualmente: ÒAs foras e os servios de segurana exercem a sua actividade de acordo com os princ’pios, objectivos, prioridades, orienta›es e medidas da pol’tica de segurana interna e no ‰mbito do respectivo enquadramento org‰nico. 2 - Sem preju’zo do disposto no nœmero anterior, as foras e os servios de segurana cooperam entre si, designadamente atravŽs da comunica‹o de informa›es que, n‹o interessando apenas ˆ prossecu‹o dos objectivos espec’ficos de cada um deles, sejam necess‡rias ˆ realiza‹o das finalidades de outros, salvaguardando os regimes legais do segredo de justia e do segredo de EstadoÓ. (467) Art. 14, comma secondo: ÒO Secret‡rio-Geral do Sistema de Segurana Interna Ž equiparado, para todos os efeitos legais, excepto os relativos ˆ sua nomea‹o e exonera‹o, a secret‡rio de EstadoÓ. Inoltre il successivo comma terzo precisa che il Secret‡rio-Geral si avvale di un gabinetto tecnico di appoggio (di cui peraltro  prevista la soppressione), al quale  integralmente applicabile il regime giuridico dei gabinetti ministeriali (Òao qual Ž aplic‡vel o regime jur’dico dos gabinetes ministeriaisÓ). (468) Recita a sua volta lĠart. 17: ÒCompetncias de direc‹o: 1 - No ‰mbito das suas competncias de direc‹o, o Secret‡rio-Geral do Sistema de Segurana Interna tem poderes de organiza‹o e gest‹o administrativa, log’stica e operacional dos servios, sistemas, meios tecnol—gicos e outros recursos comuns das foras e dos servios de segurana. 2 - Compete ao Secret‡rio-Geral do Sistema de Segurana Interna, no ‰mbito das suas competncias de direc‹o: a) Facultar ˆs foras e aos servios de segurana o acesso e a utiliza‹o de servios comuns, designadamente no ‰mbito do Sistema Integrado de Redes de Emergncia e Segurana de Portugal e da Central de Emergncias 112; b) Garantir a interoperabilidade entre os sistemas de informa‹o das entidades que fazem parte do Sistema de Segurana Interna e o acesso por todas, de acordo com as suas necessidades e competncias, a esses sistemas e aos mecanismos de coopera‹o policial internacional atravŽs dos diferentes pontos de contacto nacionais; c) Coordenar a introdu‹o de sistemas de informa‹o georreferenciada sobre o dispositivo e os meios das foras e dos servios de segurana e de protec‹o e socorro e sobre a criminalidade; d) Proceder ao tratamento, consolida‹o, an‡lise e divulga‹o integrada das estat’sticas da criminalidade, participar na realiza‹o de inquŽritos de vitima‹o e insegurana e elaborar o relat—rio anual de segurana interna; e) Ser o ponto nacional de contacto permanente para situa›es de alerta e resposta r‡pidas ˆs ameaas ˆ segurana interna, no ‰mbito dos mecanismos da Uni‹o EuropeiÓ. la possibilitˆ, in concreto, di sceglierlo anche tra i membri (469) delle Forze dellĠordine, ma che anche in tal caso viene garantita dallĠimpossibilitˆ di continuare ad esercitare, in costanza dĠincarico, le precedenti attribuzioni, e soprattutto dalla rigorosa separatezza (sia sotto il profilo organizzativo che funzionale) tra lĠUfficio del Secret‡rio-Geral e le strutture da lui coordinate. La terzietˆ dellĠUfficio del Secret‡rio-Geral rispetto agli operatori del settore sicurezza  evidenziata dalla scelta di incardinarlo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (analogamente a quanto accade in Italia per il DIS, che per˜ ha competenze limitate allĠattivitˆ di intelligence), in virt del fatto che ad essa compete il coordinamento dellĠazione dei singoli Ministri per assicurare la realizzazione delle politiche di governo, comprese quelle di pubblica sicurezza. Nel quadro delle sue responsabilitˆ di coordinamento, il Secret‡rio-Geral ha il compito di concertare misure, piani ed operazioni tra le diverse Forze di polizia, nonchŽ tra queste ed altri soggetti o servizi pubblici e privati, oltre a curare la cooperazione con le organizzazioni internazionali e le Forze dellĠordine straniere, conformemente ad un Òpiano di coordinamento, di controllo e di comando operativo delle Forze e dei Servizi di sicurezzaÓ. QuestĠultimo, definito dal Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base dellĠapporto paritetico di tutti gli attori coinvolti sul campo, viene approvato dal Governo ed ha lo scopo di garantire la miglior collaborazione possibile tra le Forze operative sul territorio, nonchŽ una formazione per quanto possibile fondata su principi comuni, secondo il modello ÒintegratoÓ (civile/militare) dellĠUE, sul quale viene posta particolare enfasi nellĠarticolazione del comma terzo (470); del resto, la ratio ispiratrice ÒeuropeaÓ della riforma dellĠAmministrazione di P.S. portoghese emerge con chiarezza al comma secondo, lett. (469) Indifferentemente intesi, senza che cio il legislatore pretenda dei requisiti minimi di attribuzioni o grado, ovvero lo status militare o civile dellĠinteressato. Di tale eventualitˆ dˆ implicitamente conto lĠultimo comma dellĠart. 14, riferendosi al trattamento economico. (470) In ispecie, Òa) Garantir a articula‹o das foras e dos servios de segurana com o sistema prisional [la norma, parlando di coordinamento tra tali strutture, si conforma al principio internazionalistico - cfr. retro - che, diversamente dal sistema italiano della legge 121/81, esclude la riconducibilitˆ dei servizi penitenziari a quelli della polizia di sicurezza; ndr] de forma a tornar mais eficaz a preven‹o e a repress‹o da criminalidade; b) Garantir a articula‹o entre as foras e os servios de segurana e o Sistema Integrado de Opera›es de Protec‹o e Socorro; c) Estabelecer com o Secret‡rio-Geral do Sistema de Informa›es da Repœblica Portuguesa mecanismos adequados de coopera‹o institucional de modo a garantir a partilha de informa›es, com observ‰ncia dos regimes legais do segredo de justia e do segredo de Estado, e o cumprimento do princ’pio da disponibilidade no interc‰mbio de informa›es com as estruturas de segurana dos Estados membros da Uni‹o Europeia; d) Garantir a coordena‹o entre as foras e os servios de segurana e os servios de emergncia mŽdica, segurana rodovi‡ria e transporte e segurana ambiental, no ‰mbito da defini‹o e execu‹o de planos de segurana e gest‹o de crises; e) Garantir a articula‹o entre o Sistema de Segurana Interna e o planeamento civil de emergncia; f) Articular as institui›es nacionais com as de ‰mbito local, incluindo nomeadamente as pol’cias municipais e os conselhos municipais de segurana; g) Estabelecer liga‹o com estruturas privadas, incluindo designadamente as empresas de segurana privadaÓ. d) della norma, laddove si precisa che compete al Secret‡rio-Geral ÒSviluppare sul territorio nazionale i piani dĠazione e le strategie dello ÇSpazio Europeo di Libertˆ, Sicurezza e GiustiziaÈ (settore FSJ, cfr. retro - ndr), che implicano unĠazione integrata delle Forze e dei Servizi di sicurezzaÓ (471). Parallelamente ai poteri di coordinamento - che per tali non incidono su attribuzioni, dipendenze e specificitˆ (472) delle singole Forze di polizia - il Secret‡rio-Geral si vede attribuite delle specifiche potestˆ di direzione (art. 17), ovviamente non riferite allĠattivitˆ operativa di queste ultime bens“ (cfr. retro, in materia, la riforma 2012 del DIS) allĠorganizzazione e gestione amministrativa e logistica: in breve, alla materia degli approvvigionamenti di servizi strumentali (tipo pulizie e vettovagliamento), dotazioni logistiche e tecniche comuni alle Forze dellĠordine ed ai Servizi di intelligence, etc. Infine, lĠart. 18 attribuisce allĠorgano ausiliario una serie di specifici poteri di controllo. Neppure la previsione eccezionale di cui allĠart. 19 (ÒCompetncias de comando operacionalÓ), nellĠattribuire formalmente al Secret‡rio-Geral un potere di comando operativo in presenza di catastrofi nazionali che debbano essere affrontate con lĠutilizzo congiunto di tutte le Forze disponibili, ivi compreso il ÒSistema Integrato delle Operazioni di Protezione Civile e SoccorsoÓ (473), realmente incide sullĠautonomia operativa delle Forze dellĠordine (nei reciproci rapporti tra di esse e nei riguardi dellĠAutoritˆ di governo), comĠ vero che tali poteri non vengono esercitati direttamente nei confronti degli operatori o delle strutture coinvolte, ma attraverso direttive rivolte ai rispettivi vertici istituzionali (474), nel rispetto cio della loro autonoma linea di comando. In ogni caso, gli ulteriori poteri del Secret‡rio-Geral devono essere esercitati pur sempre nel quadro del Òpiano di coordinamento, di controllo e di (471) Testualmente: ÒDesenvolver no territ—rio nacional os planos de ac‹o e as estratŽgias do espao europeu de liberdade, segurana e justia que impliquem actua‹o articulada das foras e dos servios de seguranaÓ. (472) Al riguardo va ricordato che anche lĠesercizio dei poteri di controllo del Secret‡rio-Geral (di cui allĠart. 18) non pu˜ mai tradursi in unĠingerenza dellĠorgano ausiliario nellĠordinamento e nelle attribuzioni specifiche delle Forze di polizia (salvaguardate dalla terzietˆ dellĠorgano coordinatore e dallĠassenza di un rapporto di subordinazione gerarchica nei suoi confronti), dovendo sempre essere esercitati per il tramite dei Comandanti delle suddette Forze (ex art. 18 comma secondo) e dunque nel rispetto delle rispettive linee di comando interne. Lo stesso dicasi per lĠeccezionale attribuzione di un potere di Òcomando operativoÓ, a fronte delle circostanze di cui allĠart. 19. (473) Il ÒSistema Integrado de Opera›es de Protec‹o e Socorro - SIOPSÓ  attualmente disciplinato dal Decreto-Lei n. 134 del 25 luglio 2006. Si vedano anche la Lei n. 27 del 3 luglio 2006 (Legge Fondamentale della Protezione Civile) ed il Decreto-Lei n. 75 del 29 marzo 2007, su attribuzioni e struttura dellĠAutoridade Nacional de Protec‹o Civil. Per lĠelenco delle basi legali, cfr. http://www.proteccaocivil.pt/Legislacao/Pages/LegislacaoEstruturante.aspx. (474) ÒÉ estes s‹o colocados na dependncia operacional do Secret‡rio-Geral do Sistema de Segurana Interna, atravŽs dos seus dirigentes m‡ximosÓ. comando operativo delle Forze e dei Servizi di sicurezzaÓ. La funzione di coordinamento esplicata dal Secret‡rio-Geral vale - in ottica chiaramente ÒintegrataÓ ed ÒinterforzeÓ - per tutte le Forze di polizia nazionali e non solo, come si evince a contrario dallĠart. 25 comma secondo che richiama, nella categoria generale delle ÒForze e Servizi di sicurezzaÓ, ÒA Guarda Nacional Republicana; b) A Pol’cia de Segurana Pœblica; c) A Pol’cia Judici‡ria; d) O Servio de Estrangeiros e Fronteiras; e) O Servio de Informa›es de Segurana. 3 - Exercem ainda fun›es de segurana, nos casos e nos termos previstos na respectiva legisla‹o: a) Os —rg‹os da Autoridade Mar’tima Nacional; b) Os —rg‹os do Sistema da Autoridade Aeron‡uticaÓ. LĠalta funzione di coordinamento operativo delle politiche di sicurezza attualmente delegata al Ministro dellĠInterno - alla quale consegue una netta distinzione tra gli apparati di vertice del Ministero e quelli dei soggetti coordinati (e relative funzioni), codificata da ultimo allĠart. 14 del Decreto-Lei n. 86-A del 12 giugno 2011 (475), trova sanzione anche nellĠart. 5 della Lei Organica 63/2007, a mente del quale, in caso di attivitˆ simultanee compiute dalla Pol’cia de Segurana Pœblica (lĠaltra Forza a competenza generale, presente nelle maggiori aree urbane del Paese), i settori di competenza della Guarda vengono definiti da un decreto del Ministro (476). Il principio di netta separazione tra la funzione di indirizzo e coordinamento e quella di gestione (e relativi organi) trova ulteriore riscontro nel De- creto-Lei n. 126-B del 29 dicembre 2011 (477), recante la riforma organizzativa del MinistŽrio da Administra‹o Interna (MAI), il cui art. 6 comma terzo (da leggere nel combinato disposto con lĠart. 4, che riconduce nellĠambito dei servizi di diretta competenza statale, svolti sotto la responsabilitˆ del MAI, lĠattivitˆ operativa delle Forze dellĠordine) chiarisce che entrambi i Corpi di polizia di cui si  detto ÒÉ regem -se por legisla‹o pr—pria, que define o seu regime, designadamente quanto ˆ sua organiza‹o, funcionamento, estatuto de pessoal e protec‹o socialÓ; correlativamente, lĠart. 2 lett. i) (478) attribuisce alle strutture del MAI il compito di adottare misure esecutive e regolamentari con cui attuare le politiche di sicurezza interna adot (475) ÒO MinistŽrio da Administra‹o Interna Ž o departamento governamental que tem por miss‹o a formula‹o, coordena‹o, execu‹o e avalia‹o das pol’ticas de segurana interna, do controlo de fronteiras, de protec‹o e socorro, de segurana rodovi‡ria e de administra‹o eleitoralÓ. Testo consolidato su http://dre.pt/pdf1s/2011/07/13201 /0000200007.pdf. (476) In relazione allĠattuale assetto dellĠAmministrazione della pubblica sicurezza portoghese si richiamano anche le indicazioni contenute nel Relat—rio Anual de Segurana Interna 2011, pubblicato su http://www.portugal.gov.pt/media/ 555724/2012-03-30_relat_rio_anual_seguran_a_interna.pdf. (477) Testo consolidato su http://www.portugal.gov.pt/media/381580/lo_mai.pdf. (478) Testualmente ÒNa prossecu‹o da sua miss‹o, s‹o atribui›es do MAI: É i) Adoptar as medidas normativas adequadas ˆ prossecu‹o das pol’ticas de segurana interna definidas pela Assembleia da Repœblica e pelo Governo, bem como estudar, elaborar e avaliar a execu‹o das medidas normativas integradas na ‡rea da administra‹o internaÓ. tate da Parlamento e Governo, valutandone altres“ la concreta esecuzione. Pi nel dettaglio, la riforma di cui al Decreto-Lei n. 86-A dellĠ11 luglio 2011 (successivamente emendato con Declara‹o de Retifica‹o n. 29 del 2 settembre 2011) individua nel MAI il Dipartimento governativo Òincaricato di formulare, coordinare, eseguire e valutare le politiche di sicurezza interna, del controllo delle frontiere, di protezione e soccorso, di sicurezza stradale e di amministrazione elettorale, mantenendo cos“ nella sua sfera di attuazione, le aree tradizionalmente consacrate, in una linea di stabilitˆ evolutiva anzichŽ di partizioneÓ, al quale viene altres“ ricondotta la maggior parte delle competenze dei soppressi ÒGovernos CivisÓ territoriali. Il Òsistema di sicurezza internaÓ portoghese  autonomamente disciplinato con Lei 29 agosto 2008, n. 53 (479), che allĠart. 13 individua tre organi deputati alla sua attuazione, il ÒConselho Superior de Segurana InternaÓ, il ÒSecret‡rio-GeralÓ e il ÒGabinete Coordenador de Segurana - GCSÓ, tutti inseriti - a garanzia di imparzialitˆ rispetto alle Istituzioni ed agli operatori in campo - non presso il MAI bens“ nella struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri; questĠultima, peraltro,  stata recentemente oggetto di riforma con Decreto-Lei n. 126-A/2011, il cui art. 47 prevede la futura soppressione del GCS, da attuarsi con apposita novella, nonchŽ la ristrutturazione - sempre in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - del Gabinetto dellĠAutoritˆ nazionale di pubblica sicurezza (di cui allĠart. 21 comma nono). Nel sistema portoghese vi  dunque una netta distinzione tra attribuzioni di indirizzo politico, che spettano al Governo ed in via derivata - ai fini del coordinamento - al Primo Ministro (nonchŽ, indirettamente, al suo organo ausiliario), funzioni esecutive di alta amministrazione (recte, di pianificazione), di competenza del Ministro dellĠInterno e funzioni direttamente operativo/esecutive, o di gestione, proprie delle Forze dellĠordine. Conseguentemente non vi  alcuna sovrapposizione tra le strutture e gli organi di queste ultime e quelli del Ministero di riferimento. NŽ, significativamente, lĠordinamento portoghese prevede un accentramento delle funzioni di comando delle Forze di polizia in seno ad un unico Dicastero, in ragione degli evidenti limiti di efficienza e trasparenza che un tale assetto verrebbe a comportare: in effetti, se  vero che - per tradizione storica - la Pol’cia de Segurana Pœblica (ad ordinamento civile) e la Guarda Nacional Republicana (a statuto militare) attualmente dipendono organicamente da questĠultimo (la GNR limitatamente allĠesercizio delle sue - pur preponderanti - funzioni di polizia ÒcivileÓ (480)),  altres“ vero che la terza Forza di polizia portoghese (la Polic’a Judicial) dipende invece, organicamente, dal solo Ministero della Giustizia (481), ma nonostante ci˜  a tutti gli effetti par (479) Testo sul portale istituzionale http://legislacao.mai-gov.info/i/lei-de-seguranca-interna/. tecipe delle politiche si sicurezza interna dello Stato, coordinandosi con gli altri soggetti coinvolti. Analoghi rilievi possono farsi per quel che riguarda lĠesercizio e la pianificazione dellĠattivitˆ di pubblica sicurezza a livello territoriale (o decentrato): nel caso da ultimo trattato, le competenze che a livello centrale spettano allĠAutoritˆ governativa (ministeriale) sino al 2011 (482) erano in parte devolute ai Governadores Civis (espressione della medesima funzione propria dellĠAutoritˆ ÒcivileÓ di governo), analogamente a quanto tuttora accade in Francia con i Prefetti, in Spagna con i Delegados e Subdelegados del Gobierno nelle Comunidades Aut—nomas, etc.. Ultimo aspetto da considerare, la diffusione pi o meno capillare, sul territorio, delle varie Forze dellĠordine. Se sul piano comparato da tempo si parla di Òpolizia di prossimitˆÓ, su quello interno il legislatore ha previsto, in parallelo al decentramento di talune funzioni amministrative di pubblica sicurezza, di cui si  detto, degli ulteriori ÒstrumentiÓ di gestione territoriale dellĠordine e sicurezza pubblici, quali i Òpatti per la sicurezzaÓ. Si tratta, in estrema sintesi, di accordi di collaborazione e solidarietˆ stipulati tra lo Stato e gli Enti locali (Province e soprattutto Comuni) che prevedono lĠazione congiunta di pi livelli di governo e la promozione di interventi, anche in via sussidiaria e nellĠambito delle responsabilitˆ di ciascuno, per rendere effettivo il diritto ad una sicurezza diffusa. O, a fronte del progressivo deteriorarsi delle condizioni della finanza pubblica, per mantenere almeno il livello di sicurezza sino ad allora raggiunto. Tali accordi non derogano alle competenze centralizzate delle Autoritˆ di P.S., nŽ prevedono una loro gestione in via delegata: obiettivo dei ÒpattiÓ  la progressiva eliminazione delle aree di degrado e di illegalitˆ, nel rispetto delle competenze delle Autoritˆ di settore, ottimizzando lĠintegrazione con le poli (480) La dipendenza, in tempo di pace, della GNR dal MinistŽrio da Administra‹o Interna risale formalmente al Decreto del 3 maggio 1911, che peraltro recupera la disciplina giˆ precedentemente data nel 1801 per la Guarda Real da Pol’cia de Lisboa e quindi, nel 1834-35, per la Guarda Municipal de Lisboa e Porto. Invero, in ragione della sua natura di Forza militare di sicurezza, la GNR ha in realtˆ una doppia dipendenza, dal Ministro da Defesa e dal Ministro da Administra‹o Interna (attuale responsabile della sicurezza interna dello Stato, ex art. 2 comma primo della Lei 63/2007). (481) Giˆ dipendente dal Ministero dellĠInterno, transitata alla Giustizia nel 1945. Si tratta della Polizia criminale (e non di quella penitenziaria), avente per missione di collaborare con i Pubblici ministeri nellĠattivitˆ di indagine (art. 2 comma primo: ÒA PJ tem por miss‹o coadjuvar as autoridades judici‡rias na investiga‹o, desenvolver e promover as ac›es de preven‹o, detec‹o e investiga‹o da sua competncia ou que lhe sejam cometidas pelas autoridades judici‡rias competentesÓ), la cui organizzazione  data dalla Lei 6 agosto 2008, n. 37 (emendata con legge 30 agosto 2010 n. 26). In argomento, cfr. il portale istituzionale http://www.policiajudiciaria.pt/. (482) A seguito della riforma del 2011, che ne ha disposto la soppressione, tali competenze sono state in parte ri-accentrate in capo al Ministero dellĠInterno, in parte devolute ad altre Amministrazioni pubbliche. tiche di sicurezza delle autonomie territoriali ed impegnando maggiormente le polizie locali (483). In breve, uno strumento operativo mediante il quale dare attuazione al modello ÒintegratoÓ della pubblica sicurezza che contraddistingue il Òmodello europeoÓ, coordinando tra loro gli operatori di settore di volta in volta interessati: i ÒpattiÓ spesso consistono in piani che prevedono lo stanziamento di fondi o lĠimpiego di maggiori risorse umane, oppure azioni mirate per affrontare, ad esempio, la questione di insediamenti abusivi o reati di contraffazione, di sfruttamento della prostituzione, di abusivismo commerciale, etc. A rigore - pur nel rispetto delle competenze proprie di ciascuna Forza di polizia - possono anche comportare la riorganizzazione dei presidi delle Forze dellĠordine, lĠintensificazione dellĠutilizzo dei cd. Òpoliziotti di quartiereÓ, etc. I Òpatti per la sicurezzaÓ non rappresentano per˜ un modello alternativo alle funzioni di coordinamento prefettizie tracciate dalla legge 121/81, ma si inseriscono nel sistema vigente, tentando di superare il rigido schematismo burocratico del TULPS - come ÒfiltratoÓ dalla legge 121/81 - per dar vita ad un ordinamento pi articolato: in concreto, infatti, sono definiti da protocolli e programmi congiunti condivisi tra la Prefettura, il Comitato provinciale per lĠordine e la sicurezza pubblica (organo di coordinamento per eccellenza), nonchŽ il Comune o la Provincia interessati, volti ad individuare delle specifiche modalitˆ di pianificazione e/o collaborazione ÒinterforzeÓ coerenti con le decisioni assunte in seno al suddetto Comitato Provinciale e con i piani coordinati di controllo prefettizi. LĠart. 7 del D.L. 92/2008 ha poi esteso la predisposizione di piani coordinati di controllo del territorio, per specifiche esigenze, anche ai Comuni minori ed alle forme associative sovracomunali, per potenziare la capacitˆ di intervento della polizia locale nelle attivitˆ ordinarie. Sempre nellĠottica di una gestione della pubblica sicurezza quanto pi vicina al cittadino ed al territorio si collocano infine le dottrine della cd. Òpolizia di prossimitˆÓ, nate nel particolare contesto degli ordinamenti anglosassoni (in primis, negli USA degli anni Ô60) che non conoscevano lĠesperienza storica delle Forze di gendarmeria territoriali (484). Negli anni Ottanta il modello venne poi esteso, in Francia, soprattutto (483) SullĠargomento si veda PAJNO, La sicurezza urbana, cit., pp. 142 ss. (484) Tipiche invece dellĠEuropa continentale, tra cui si possono menzionare i Corpi di MarechaussŽes fiamminghi e francesi, da cui si sono evolute - almeno in parte - le moderne gendarmerie. SullĠargomento si vedano gli studi di LUC, Gendarmerie, ƒtat et SociŽtŽ au XIX sicle, cit., EMSLEY, Gendarmes and the State in nineteenth-century Europe, Oxford 1999, pp. 27 ss. e LORGNIER, Quand le Gendarme juge. MarŽchaussŽe, histoire dĠune rŽvolution judiciaire et administrative, Paris 1994. Cfr. anche CODRONCHI, Sul riordinamento della P.S. in Italia, in Nuova Antologia CXLIII, 1895, pp. 215 ss., nonchŽ JENSEN, Liberty and Order: The Theory and Practice of Italian Public Security Policy, 1848 to the Crisis of the 1890s, New York 1991. alla Police Nationale (Forza di polizia allocata nei maggiori centri abitati e nelle metropoli), nonchŽ in Olanda, Belgio e Spagna (qui soprattutto per contrastare particolari fenomeni di terrorismo locale). Nei Paesi scandinavi, caratterizzati da unĠesigua densitˆ demografica e, soprattutto in passato, da una relativa pace sociale (con conseguente elaborazione di una peculiare dottrina della pubblica sicurezza su base comunitaria), il modello in questione si confonde con le pi ampie politiche di prevenzione, che affiancano alle tradizionali misure della polizia di sicurezza degli articolati interventi - su base locale - di sostegno economico ed assistenziale, implementati da Consigli di Prevenzione locali che danno vita ad un sistema integrato di forze politiche e sociali, in collaborazione tra loro, secondo un programma nazionale di prevenzione della criminalitˆ. In ambito UE, come giˆ evidenziato,  centrale il modello ÒintegratoÓ ed ÒolisticoÓ, compendiato nelle conclusioni della Riunione dei Ministri dellĠInterno di Italia, Francia e Germania del 30 aprile 2001 - di poco posteriore al Consiglio UE di Feira - avente per tema ÒLa sicurezza per la libertˆÓ, per cui ÒLĠefficacia delle politiche di sicurezza e di tranquillitˆ si basa su unĠimpostazione globale che prevede al prevenzione, la dissuasione e la sanzione, mettendo insieme tutti gli attori pubblici e non, in una co-produzione di sicurezzaÓ. Tale concetto, ÒrilettoÓ alla luce del principio comunitario di sussidiarietˆ, si pone alla base di quello di ÒprossimitˆÓ. In realtˆ, nella tradizione amministrativa europea possono individuarsi almeno due sistemi generali che mirano ad attuare, per quanto possibile, una diretta collaborazione tra Forze dellĠordine e cittadini: il primo  quello, del tutto peculiare, della Community policing anglosassone, in base al quale le Forze di polizia vengono assegnate a specifiche aree geografiche, al fine di stabilire diretti legami con le comunitˆ ivi residenti e le rispettive formazioni sociali (associazioni religiose, di quartiere, gruppi giovanili, etc.). Il modello si basa sullĠidea che quando la polizia viene interamente coinvolta nella vita della comunitˆ non  pi avvertita come unĠentitˆ ÒterzaÓ - assegnata dallo Stato al sol fine di far rispettare la legge - e che la prevenzione del crimine pu˜ essere meglio perseguita attraverso unĠinterazione positiva tra le Forze del- lĠordine e la comunitˆ locale: per lĠeffetto, anche i cittadini finiscono per partecipare alla pianificazione ed alla supervisione delle attivitˆ di polizia, le cui responsabilitˆ di comando vengono operativamente trasferite ai gradi inferiori. Tale modello presuppone per˜ un assetto dello Stato ed una formazione delle sue classi dirigenti funzionali ad una gestione locale del potere e delle strutture comuni, con conseguente venir meno degli organi di intermediazione tra Governo centrale e periferia (per fare un esempio, in Italia e Francia il Prefetto). Il secondo modello, di origine francese,  quello dellĠil™tage (ossia del- lĠisolato, porzione del centro urbano delimitato da strade), adottato a suo tempo per lĠattivitˆ della Police nationale nei maggiori centri urbani (la Gendarmerie giˆ essendo una tipica polizia territoriale di prossimitˆ): con tale politica, sviluppata a partire dal 1998 (485), si voleva assicurare anche in tali realtˆ una pi capillare visibilitˆ delle Forze dellĠordine, per fronteggiare il crescente senso di insicurezza dei cittadini. Il modello venne tuttavia gradualmente abbandonato a partire dal 2003, per essere definitivamente dismesso nel 2010. In Italia, con lĠespressione ÒPolizia di prossimitˆÓ (486) si intende, dal 2002 in poi, un settore della Polizia di Stato, dellĠArma dei Carabinieri e della Polizia municipale particolarmente legato al territorio e composto da operatori che prendono il nome evocativo di Poliziotti, Carabinieri e Vigili Òdi quartiereÓ. In realtˆ, una questione di radicamento si pone solo per la prima delle tre componenti, stante la tipica connotazione territoriale delle altre due; vero , peraltro, che i servizi in esame vengono utilizzati non nei centri abitati di medie dimensioni (dove la Polizia di Stato  generalmente assente), bens“ nei capoluoghi di provincia e nei centri maggiori, dove anche la diffusione capillare dei Carabinieri deve confrontarsi con un tessuto sociale ed urbano spesso disaggregato e impersonale. NellĠottica di un maggiore ÒavvicinamentoÓ ai cittadini, affinchŽ percepiscano anche visivamente la presenza dello Stato, il Poliziotto ed il Carabiniere di quartiere si associano, a piedi, allĠattivitˆ svolta dalle pattuglie ÒautomontateÓ che si occupano del controllo del territorio. Dal punto di vista organizzativo, sono collocati - non a caso - nellĠorganico dellĠUfficio Prevenzione generale e Soccorso pubblico (U.P.G.S.P.) della Questura, ovvero presso i Comandi Stazione Carabinieri. Gli operatori in questione svolgono la loro attivitˆ in ÒzoneÓ o ÒquartieriÓ, individuati in sede prefettizia ed aventi una popolazione non superiore ai 30.000 abitanti circa, al fine di favorire un contatto pi diretto con i residenti. Al di lˆ dellĠapparenza, la logica sottesa al modello Òdi prossimitˆÓ mira a qualificare lĠattivitˆ della polizia di sicurezza in termini particolarmente complessi, mutuando per le realtˆ urbane di maggiori dimensioni il modello di rapporto con il pubblico tipico della Stazione dei Carabinieri: la vicinanza fisica dellĠoperatore di polizia ne  solo lĠaspetto esteriore, poichŽ tale modello storico, in realtˆ, presuppone (per poter funzionare e non ridursi a mera apparenza) un continuo ed immediato adattamento delle procedure operative alle diverse realtˆ sociali presenti sul territorio (che dunque vanno preventivamente (485) Tale modello era giˆ stato individuato con la Loi dĠorientation et de programmation relative ˆ la sŽcuritŽ del 21 gennaio 1995. In argomento cfr. FERRET, Police de proximitŽ en France, Une expŽrience de recherche institutionnelle ˆ lĠIHESI entre 1998 et 2001, in Les Cahiers de la sŽcuritŽ intŽrieure, 46/4, (Paris 2001) pp. 97-118. (486) SullĠargomento, per unĠintroduzione generale, si veda CARRER, La polizia di prossimitˆ: la partecipazione del cittadino alla gestione della sicurezza nel panorama internazionale, Milano 2003. vissute), cos“ da garantire al cittadino adeguate forme di collaborazione, concretando lĠoperatore di polizia la propria funzione di rappresentante dello Stato nel senso pi autentico del termine. In difetto di tali presupposti, il modello in questione rischia di tradursi in una mera duplicazione delle funzioni, fonte di inefficienze destinata al fallimento. Un articolato modello teorico di Òpolizia di prossimitˆÓ  presente anche nella Raccomandazione 31 marzo 2007, n. 216, del Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio dĠEuropa (487), utile ai fini descrittivi benchŽ priva di qualsiasi valore vincolante: in questi termini, la polizia di prossimitˆ rappresenta una componente - applicabile ai maggiori centri urbani o negli Stati privi di una Forza di polizia territoriale a competenza generale - del pi ampio modello della cd. Òsicurezza partecipataÓ (coinvolgente cio un numero di soggetti e strutture maggiore rispetto a quelle tradizionali di pubblica sicurezza), che si estende oltre i fatti penalmente rilevanti sino a comprendere manifestazioni di diverso genere ma che pur sempre incidono sulla tranquillitˆ sociale e sulla percezione stessa della sicurezza. In pratica, un concorso fattivo di tutti i soggetti - pubblici e privati - che con il loro intervento possono rendere pi efficace il lavoro delle Forze dellĠordine. Alcuni Autori teorizzano che la polizia Òdi prossimitˆÓ possa rappresentare il primo passo per la realizzazione di una polizia Òdi comunitˆÓ, intesa come reale collaborazione di tutte le Istituzioni responsabili di qualche aspetto della Òsicurezza socialeÓ, evitando la compartimentazione tra gli Enti territoriali, quelli preposti alla prevenzione sociale o quelli deputati alla prevenzione e repressione criminale (Forze di polizia a competenza generale e speciale, Prefetture, magistratura), etc., compartimentazione che invece ancora informa lĠimpianto organizzativo del TULPS, il cui rigido modello monistico delle Autoritˆ provinciali di P.S. solo in parte  stato scalfito dalle pi recenti riforme legislative. In Italia le politiche della sicurezza ispirate alla Ònuova prevenzioneÓ si sono indirizzate verso il sistema dei ÒProtocolli dĠintesaÓ, un variegato insieme di iniziative e forme di ÒpartenariatoÓ che il Ministero dellĠInterno ha progressivamente sviluppato con gli Enti locali, soprattutto per reperire maggiori risorse, con iniziative rivolte in particolare alle categorie di cittadini pi a rischio: anziani, donne, portatori di handicap, etc.. Gli strumenti di attuazione sono risultati essere, col tempo, i pi vari ed atipici, quali contratti sociali, protocolli, convenzioni, ordinanze, etc., al fine di regolamentare, innanzitutto, le relazioni tra Amministrazioni centrali e locali, per intervenire direttamente sui fenomeni che in uno specifico contesto destano particolare allarme sociale. (487) Testo integrale, nella versione ufficiale francese, su https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1145663. AllĠatto pratico, per˜, va rilevata la sostanziale crisi di tale modello, incompatibile con il vigente assetto dellĠAmministrazione di P.S.: non solo, infatti,  privo di una definita base legale, ma soprattutto - in considerazione dei noti e persistenti problemi della finanza pubblica - non si attaglia alla distribuzione territoriale frammentaria (al di fuori delle aree metropolitane) della Forza a competenza generale alla quale avrebbe dovuto realmente applicarsi. Invero, la Circolare 23 dicembre 2010 n. 225/B/2010/91482/U della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato (488), avente ad oggetto la riorganizzazione dellĠUfficio Prevenzione generale e Soccorso pubblico (UPG-SP settore che coordina la centrale operativa e le volanti della Squadra mobile), nel creare, in seno ai Commissariati di P.S. sezionali e distaccati il nuovo ÒUfficio Controllo del TerritorioÓ (UTC), destinato ad assorbire tutte le altre organizzazioni interne diversamente denominate ed a divenire il Òterminale di una rete provinciale coordinata dallĠUPG e SPÓ, precisa che ÒIl servizio polizia di quartiere viene organicamente unificato in seno allĠUPG e allĠSP, quale ulteriore momento strumentale allĠoperativitˆ, anche perchŽ il conseguimento di alcuni obiettivi di prevenzione richiede spesso lo sviluppo di progetti di prossimitˆ di ÒimpattoÓ da svolgere in tutte le zone in maniera uniforme e con metodologie omogenee ÉÓ. Viene inoltre correttamente precisato che ai fini delle assegnazioni di personale Òdeve essere valutata la generale diminuzione di risorse ed il venir meno dellĠunitˆ di riserva del poliziotto di quartiere. In tale ottica non potrˆ escludersi la necessitˆ di una riduzione del numero di aree coperte dal servizioÓ e comunque Òla riorganizzazione in argomento non deve determinare ÔmigrazioniĠ logistiche di strutture e di risorse umane tali da inficiare lĠefficacia dellĠazione delle pattuglie ÉÓ. A ci˜ aggiungasi che la natura subordinata e strumentale dellĠUTC rispetto alle strutture ÒcentraliÓ della Questura, unitamente allĠesigua presenza di presidi della Polizia di Stato al di fuori dei maggiori centri urbani del Paese, sebbene coerente con il vigente impianto del TULPS appare poco funzionale alla necessitˆ di una gestione ÒreticolareÓ ed ÒintegrataÓ del controllo di pubblica sicurezza, presupposte dal modello della polizia Òdi prossimitˆÓ e dalle linee- guida europee. A questo punto del discorso si possono trarre alcune conclusioni. Secondo lĠinsegnamento dellĠAlta Corte (489), giˆ richiamato in precedenza, nellĠordinamento costituzionale vigente per pubblica sicurezza deve intendersi Òla funzione inerente al mantenimento dellĠordine pubblico, cio (488) Circolare sul sito non istituzionale http://www.anfp.it/gestionale/upload/cms/elementi_portale/news/ documenti/attivita_controllo_progetto_uct.pdf (489) Corte Cost., sent. 7 aprile 1995, n. 115 (cit.). Per uno studio sui profili giuridici della materia, cfr. DI RAIMONDO, Ordine pubblico e sicurezza pubblica, cit. alla tutela dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenzaÓ. La relativa competenza  riservata allo Stato, ai sensi dellĠart. 4 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 382, nonchŽ dellĠart. 117, comma secondo lett. d) Cost. Non siamo quindi in presenza di un modulo organizzativo - civile, militare o misto - bens“ di una funzione che prescinde del tutto dalle caratteristiche ordinamentali degli operatori che vi attendono, rilevando solamente gli obiettivi, le modalitˆ ed i limiti della loro azione. Si tratta, in particolare, di una funzione ÒpreventivaÓ, a carattere prettamente amministrativo, con la quale lo Stato mira ad anticipare e colpire specifiche attivitˆ in grado di mettere in pericolo lĠordine pubblico: in sintesi, tende ad assicurare la pacifica convivenza tra i cittadini e lĠordinato svolgersi delle relazioni sociali attraverso lĠimposizione di limiti, vincoli e prescrizioni per tutelare - da danni e pericoli eventuali - tanto i consociati quanto le Istituzioni pubbliche. Ad essa si collega, strumentalmente, lĠattivitˆ della Òpolizia di sicurezzaÓ (490), branca della Òpolizia amministrativaÓ (491) deputata ad esplicare prevalentemente unĠattivitˆ di prevenzione, impedendo lo svolgimento di atti ed attivitˆ in grado di mettere in pericolo lĠordinata convivenza civile (492). Cosa diversa  la funzione di Òpolizia giudiziariaÓ, avente natura prevalentemente repressiva e legata, per contro, allĠattivitˆ giurisdizionale sia sotto il profilo organizzativo/formativo che sotto quello funzionale: ai sensi dellĠart. 55 cpp ÒLa polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori É Svolge ogni indagine e attivitˆ disposta o delegata dallĠAutoritˆ giudiziariaÓ. A differenza di quelle precedentemente citate, le funzioni di polizia giudiziaria vengono svolte alle dipendenze e sotto la dire (490) In argomento si veda CORSO, Polizia di sicurezza, in Dig. Disc. Pubbl., XI, Torino 1996, pp. 319 ss. In merito allĠordinamento previgente, RANELLETTI, La polizia di sicurezza, in Primo trattato di diritto amministrativo italiano (a cura di ORLANDO), IV/1, Milano 1904, pp. 205 ss.. Per unĠesposizione compendiata dei concetti e delle funzioni di polizia si rinvia a CHIAPPETTI, Polizia (dir. pubbl.), in Enc. dir. XXXIV, Milano 1985, pp. 120 ss. nonchŽ allĠefficace studio comparativo di BERTACCINI, I modelli di polizia, cit. (491) Per tale intendendosi lĠattivitˆ di polizia volta ad attuare le misure amministrative, preventive e repressive necessarie affinchŽ i privati pongano in essere le proprie attivitˆ senza arrecare danno alla societˆ: in questi termini si pone anche la definizione riportata allĠart. 159 del D.lgs 31 marzo 1998, n. 112. In argomento, per unĠintroduzione generale (sebbene antecedente a tale precisazione normativa) si veda NOVA, Polizia amministrativa, in Dig. Disc. Pubbl., XI, Torino 1996, pp. 315 ss. (492) Storicamente, la legge 20 marzo 1865 n. 2248, Allegato B (che stabil“ la dipendenza funzionale delle Forze di polizia dal Ministro dellĠInterno - a livello nazionale - ed a livello provinciale dal Prefetto) rappresenta lĠantecedente poi ripreso dallĠart. 1 del TULPS nel definire le funzioni di pubblica sicurezza in termini di Òmantenimento dell'ordine pubblico, sicurezza dei cittadini, loro incolumitˆ e tutela della proprietˆ; É osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, nonchŽ delle ordinanze delle autoritˆÓ. zione dellĠAutoritˆ giudiziaria (493) e generalmente vengono ricondotte - sul piano internazionale (494) - alle attribuzioni del Ministero della Giustizia. Le distinzioni di cui sopra, al di lˆ delle finalitˆ compilative, riflettono le diverse attribuzioni - a monte - degli apparati di indirizzo dello Stato e sono strumentali ad un ordinato riparto delle connesse funzioni esecutive, ad evitare improprie sovrapposizioni che - prima ancora dellĠefficacia e della trasparenza dellĠazione amministrativa - possano attingere gli stessi presupposti materiali del principio della divisione dei Poteri, cardine dello Stato di diritto: eventualitˆ tuttĠaltro che peregrina, se solo si considera la scrupolosa attenzione dei vari legislatori europei nellĠevitare reciproche Òinvasioni di campoÓ nel settore della pubblica sicurezza. Atteso lĠautonomo rilievo assunto dalla funzione amministrativa nei modelli costituzionali dellĠEuropa continentale (495), si spiega la necessitˆ di una sua netta differenziazione dalla funzione di indirizzo, che rappresenta un fondamentale attributo non solo dellĠamministrazione cd. ÒattivaÓ, ma pure dellĠiniziativa legislativa: esigenza che, seppur entrata solo in tempi relativamente recenti nellĠagenda legislativa italiana, pur tuttavia  oggetto di qualificati riscontri, da ultimo lĠart. 6 della legge 4 marzo 2009, n. 15 che contiene principi e criteri Òal fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e confronto spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza É regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente attuazione dellĠindirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativoÓ. NellĠassetto istituzionale presupposto dalla divisione dei Poteri, la struttura di Governo - composta dai vari Dicasteri - non esplica funzioni operativo/ gestionali, bens“ di indirizzo politico ed iniziativa legislativa: per lĠeffetto, (493) Dovendosi peraltro distinguere tra Servizi di P.G. - istituiti presso le strutture delle singole Forze dellĠordine e dipendenti dallĠufficiale di P.G. preposto agli stessi (unico responsabile verso il Procuratore della Repubblica dellĠoperato della struttura) - e Sezioni di P.G., istituite presso ciascuna Procura della Repubblica (a composizione interforze) e direttamente dipendenti dal Procuratore (cfr. gli artt. 56 e 59 cpp). (494) Basti ricordare la Raccomandazione 10/2001/REC del Consiglio dĠEuropa (cfr. infra) e le fonti OSCE (idem). Nel sistema italiano, per contro, talune attribuzioni permangono in capo al Ministero dellĠInterno. (495) Rilievo sancito, nellĠEuropa continentale, a seguito delle grandi codificazioni ottocentesche. LĠindividuazione di un autonomo Potere esecutivo, distinto ed equiordinato rispetto a quello legislativo e giudiziario,  successiva alla Rivoluzione francese e riposa sullĠidea giacobina per cui lĠAmministrazione  un soggetto sovraordinato rispetto ai privati cittadini, proprio in ragione delle sue funzioni naturali, in quanto deputato alla promozione e tutela dellĠinteresse generale, da ritenersi comunque prevalente. In argomento, cfr. BURDEAU, Histoire du droit administratif de la RŽvolution au dŽbut des annŽes 1970, Paris 1995 e REDOR, De lĠƒtat legale ˆ lĠƒtat de droit. LĠevolution des conceptions de la doctrine pubbliciste franaise 1874-1914, Paris 1992. Il termini pi ampi, ZOLO, Teoria e critica dello Stato di diritto, in AA.VV. (a cura di COSTA-ZOLO), Lo Stato di diritto. Storia, teorica, critica, Milano 2002. se da un lato si avvale di organi ausiliari che - nellĠesercizio delle funzioni di amministrazione generale -operano quale Òanello di congiunzioneÓ con gli organi esecutivi dellĠAmministrazione statale, dallĠaltro non pu˜ integrare al suo interno parte di questi ultimi, pena una contraddizione di sistema e la confusione tra gli organi di coordinamento e controllo ed i soggetti sottoposti a questĠultimo. Tale distinzione, sia organizzativa che funzionale, rappresenta il tratto caratteristico degli ordinamenti dellĠAmministrazione di pubblica sicurezza dei vari Stati europei, a prescindere dalle particolaritˆ storiche di ciascuno di essi e, sostanzialmente, valeva anche in Italia, sino ai mutamenti istituzionali dei primi anni Venti del secolo scorso. Per contro, il sistema italiano ha invece salvaguardato - quasi a contrappeso - un ulteriore principio fondamentale di democrazia classica, anchĠesso presente nella maggior parte degli ordinamenti continentali seppur con minor evidenza, ovverosia la netta distinzione tra la dipendenza organizzativo/ordinamentale delle varie Forze dellĠordine (suddivisa tra diversi Dicasteri, in ragione della natura di ciascuna di esse, oltre che per evidenti ragioni di equilibrio istituzionale) rispetto alla loro comune dipendenza funzionale da quello dellĠInterno, per le (sole) attivitˆ di pubblica sicurezza (496). Soluzione che, come riconosciuto anche a livello internazionale, non solo risponde alle naturali differenze tra i vari operatori del settore, ma soprattutto garantisce la trasparenza ed il costante monitoraggio di un contesto assai delicato, non a caso stimato per˜ tra i pi efficienti e versatili - operativamente parlando - a livello mondiale. Tale soluzione, del resto,  di tutta evidenza la pi conforme al cd. Òmodello europeoÓ che, oltre a privilegiare un approccio ÒintegratoÓ,  strutturato in chiave rigorosamente ÒfunzionaleÓ: in questi termini, ci˜ che rileva  lĠesercizio istituzionale di determinate incombenze nel rispetto di ben precisi standard qualitativi, e non invece lĠorganizzazione accentrata o decentrata di una struttura, ovvero lĠordinamento civile piuttosto che militare, una dimensione generalista o circoscritta per luogo ed oggetto, etc. (496) Altri ordinamenti, quali quello portoghese (cfr. retro), nei quali alla dipendenza funzionale si associa anche, in modo pi o meno marcato, la dipendenza ordinamentale di pi Forze dellĠordine (ma non di tutte) dal medesimo Dicastero, la salvaguardia dellĠequilibrio istituzionale  stata ricercata nella devoluzione ad un organo terzo - quale il Presidente del Consiglio dei Ministri (in ragione del suo ruolo istituzionale di coordinamento dellĠindirizzo di governo: il Portogallo  un regime semi-presidenziale di tipo parlamentare, nel quale il ruolo del Primo Ministro, nominato dal Presidente della Repubblica e vincolato alla fiducia del Parlamento, entrambi eletti a suffragio diretto,  tendenzialmente residuale) - delle potestˆ di pubblica sicurezza, eventualmente delegabili al Ministro dellĠInterno ma solamente sotto il profilo tecnico. Soluzione che invece risulta impropria in un sistema presidenziale pieno (quale quello francese, dove la parziale riforma del 2009 ha dato adito a seri spunti critici), poichŽ finisce per determinare - analogamente a quanto accadrebbe nei regimi parlamentari, per ragioni speculari - delle concentrazioni di attribuzioni poco coerenti con i principi di trasparenza e controllo. Questi aspetti possono al pi attenere a questioni ulteriori, legate a valutazioni di efficienza ed efficacia, nonchŽ alla capacitˆ dei suddetti organismi di soddisfare il secondo requisito-cardine del modello sovranazionale, ossia lĠattitudine ad inserirsi organicamente in unĠazione integrata (multidisciplinare o interforze); aspetto, questĠultimo, che ha portato le Istituzioni dellĠUnione a riconoscere un ruolo determinante e decisivo alle cd. ÒForze ibrideÓ - tanto sul piano della sicurezza interna che di quella esterna - nellĠimplementazione delle politiche comuni. Il presupposto della distinzione delle funzioni e dei poteri si presenta per˜ in modo variabile nei singoli ordinamenti europei. LĠidea di una differenziazione qualitativa nelle forme di esercizio del- lĠautoritˆ pubblica risale, secondo alcuni, giˆ ai Glossatori del Trecento, che con BALDO DEGLI UBALDI scomposero lĠimperium absolutum del Princeps dalla sfera della iurisdictio, propria dei soli magistrati subordinati; in realtˆ, di una consapevole distinzione delle funzioni pubblicistiche si pu˜ incominciare a parlare solo nel Sei-Settecento nel mondo anglosassone, ove vennero per˜ ridotte a quella del legiferare e dellĠeseguire (espressione con la quale ci si riferiva solamente allĠodierna attivitˆ giurisdizionale dellĠapplicazione delle leggi). Va infatti ricordato - anche a definitivo chiarimento della nozione-chiave, nel settore che qui ci occupa, della ÒCivil AuthorityÓ, con la quale abbiamo significativamente introdotto questo lavoro - che nel sistema inglese non viene generalmente riconosciuta unĠautonoma funzione esecutiva (sul modello ÒtripartitoÓ dellĠEuropa continentale), in ragione del ruolo autocratico e supremo di quella legislativa, a fronte della quale vi  solamente un generale obbligo di vigilanza. Le ragioni di ci˜ risiedono nella particolare evoluzione istituzionale di un ordinamento che giˆ nel 1265 vide il Ruler Òde factoÓ of England, Simone di Montfort, convocare il primo Parlamento elettivo dellĠEuropa medievale che, non a caso, da subito assunse il controllo dellĠEsercito, sottraendolo al monarca, con ci˜ reclamando le funzioni militari allĠAutoritˆ (cd. ÒcivileÓ, da civitas) dello Stato ed anticipando cos“ un principio politico che sul Continente troverˆ sanzione con BODIN e MACHIAVELLI. Come osserva la dottrina (497), sul piano interno gli organi amministrativi hanno qui il compito di assicurare il rispetto della legge, al pi provvedendo alla nomina dei magistrati, allĠesecuzione delle loro sentenze ed allĠoccorrenza allĠemanazione di norme integrative (cd. ÒproclamationsÓ): al di fuori di que (497) Cos“, testualmente, MANNORI, op. ult. cit., p. 123. In argomento si veda anche lĠampio studio di VILE, Constitutionalism and the Separation of Powers, Indianapolis 1968 (online allĠindirizzo http://oll.libertyfund.org/index.php?option=com_staticxt&staticfile=show.php%3Ftitle=677&Itemid=28), in particolare il terzo capitolo. sto ristretto ambito rimane solo la tipica funzione giurisdizionale, dal momento che Òla legge  sempre concepita come un comando rivolto ai sudditi, che non lascia altro spazio agli organi dello Stato se non quello di vigilare sulla sua corretta osservanza e di irrogare ai contravventori le sanzioni del caso. In questa prospettiva, lĠesecuzione della legge  in primo luogo rimessa ai membri del corpo sociale ed in subordine agli apparati giudiziari preposti a constatare il mancato rispetto dei precetti legali. Fu cos“ che la raggiunta percezione di un Çpotere esecutivoÈ non corrispose affatto allĠemergere di una Çfunzione esecutivaÈ, intesa come un terzo genere di attivitˆ pubblica individuabile sulla base di contenuti giuridici specifici rispetto alla legislazione ed alla giurisdizioneÓ. In un sistema concettuale nel quale il ÒPotere esecutivoÓ altro non  che Òthe Power of the SwordÓ, secondo la celebre definizione di DALLISON (498), ossia il potere/dovere di proteggere lo Stato dai nemici esterni, e dunque attiene al comando dellĠEsercito ed alla cura delle relazioni internazionali (in breve, a quelle prerogative che LOCKE riassume nel termine ÒFederative PowerÓ (499)), ben si spiega la particolare accezione che assume la nozione di ÒCivil AuthorityÓ: non dunque una forma organizzativa, bens“ una funzione di indirizzo e di scopo, centrale nel pensiero dei costituzionalisti inglesi da LAWSON in poi. Se giˆ il titolo della ÒPolitica Sacra et CivilisÓ (500) anticipa lĠidea che essa si sostanzi nel potere dellĠAutoritˆ statuale di dettare le leggi, ossia i lineamenti fondamentali dellĠindirizzo politico dello Stato, nel successivo svolgimento (501) verrˆ canonizzata lĠessenza del correlato potere ÒcivileÓ, laddove ÒThere is a threefold power civil, or rather three degrees of that power. The first is legislative. The second judicial. The third executiveÓ e - significativamente -ÒLegislation, Judgement and Execution by the Sword, are the three essential acts of supreme Power civil in the administration of the StateÓ (502). (498) DALLISON, The RoyalistĠs Defence, London 1648, tesi poi ripresa da Lawson. é significativo -tanto pi nella prospettiva di questo lavoro - rilevare come tale principio rappresenti uno dei capisaldi della teoria della ÒBalanced ConstitutionÓ, che trae origine dalla distinzione di BRACTON (De legibus et consuetudinibus Angli, 1210-1268 ca.) tra scelte di indirizzo politico, svincolate dal dirtitto vigente (gubernaculum) e iurisdictio (la successiva fase esecutiva, nella quale vengono prodotte ed applicate le norme giuridiche, con decisioni vincolate al diritto). Sullo svolgimento delle teorie costituzionaliste inglesi nel periodo della guerra civile, si veda il classico di WORMUTH, The origins of the modern constitutionalsm, New York 1949. (499) LOCKE, Two Treaties on Government (1680-1690), II, 12, par. 146: ÒThis, therefore, contains the power of war and peace, leagues and alliances, and all the transactions with all persons and communities without the commonwealth, and may be called federative if any one pleases. So the thing be understood, I am indifferent as to the nameÓ. (500) LAWSON, Politica Sacra et Civilis, London 1660. (501) Che sul punto riprende quanto giˆ sviluppato nel precedente An Examination of the Political Part of Mr. Hobbs his Leviathan, London 1657, p. 8. (502) LAWSON, An Examination, cit., p. 8. Un potere ÒcivileÓ che non  dunque minimamente contrapposto a quello ÒmilitareÓ (503), bens“ lo ricomprende quale sua naturale, immanente funzione, finalizzata al pari dei suoi altri attributi - la potestˆ legislativa e quella giudicante - ad assicurare il rispetto delle leggi e la salvaguardia dellĠordine pubblico generale. (503) Come invece un secolo dopo avverrˆ nella dottrina statunitense, che a differenza di quella inglese non tanto concepiva il potere ÒcivileÓ come detentore della suprema autoritˆ militare, bens“ - di fatto - quasi come un antagonista di questĠultima. Tale linea di sviluppo pu˜ trovare una spiegazione sia nellĠinfluenza dellĠutilitarismo puritano, sia nella mancata creazione, allĠorigine dello Stato, di una Forza militare nazionale con finalitˆ aggreganti (secondo un modello teorizzato in Europa giˆ da Machiavelli), che venne invece ÒsurrogataÓ - soprattutto per le esigenze di ordine pubblico - da disorganiche milizie regionali soggette s“ ai Governi locali, ma spesso impopolari per la presenza, nelle loro fila, di un gran numero di avventurieri e sbandati. contributi dottrina CONTRIBUTI DI DOTTRINA Le notifiche nel processo civile telematico alla luce dei pi recenti decreti ministeriali Alfonso Contaldo* Michele Gorga** SOMMARIO: 1. Le notifiche nel processo civile telematico: le prime previsioni normative. - 2. Il regime delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nel processo civile. - 3. Le no- tifiche a mezzo posta elettronica ex art. 149-bis c.p.c. - 3.1 Le notifiche tramite PEC alla luce del Decreto ministeriale 3 aprile 2013 n. 48. - 3.2 Gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche. - 4. Le pronunce di merito e di legittimitˆ in tema di notifiche telematiche nel processo civile. 1. Le notifiche nel processo civile telematico: le prime previsioni normative. Con le norme di modifica al codice di procedura civile, introdotta con lĠart. 51 del decreto-legge del 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge n. 133 del 6 agosto 2008, nel quadro pi generale di riforma del rito civile il nostro legislatore non solo ha introdotto importanti novitˆ in tema di comunicazioni e notificazioni telematiche (1) ma si  anche preoccupato - per rendere obbligatorio lĠutilizzo della telematica - di prevedere che a decorrere dalla data fissata con decreto del Ministro della Giustizia, tutte le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento alla parte costituita e al consulente, che non abbiano comunicato l'indirizzo elettronico, saranno fatte direttamente presso la cancelleria del Tribunale. Le notificazioni e le comunicazioni di cui (*) Avvocato, Docente a c. di Informatica giuridica - Universitˆ di Perugia. (**) Avv. Prof., Cassazionista. Docente a c. presso la S.S.P.L. dellĠUniversitˆ del Molise per il modulo sul Processo Civile Telematico. (1) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Le comunicazioni e le notifiche di cancelleria per via telematica anche alla luce delle pi recenti novitˆ normative, in Ciberspazio e diritto, 2009, 63 ss. al primo comma dell'art. 170 e dellĠart. 192, dovranno essere, quindi, effettuate per via telematica all'indirizzo elettronico comunicato dagli avvocati ai sensi dell'art. 7 13 febbraio 2001, n. 123. In forza di detta previsione quindi ai sensi dellĠart. 170 c.p.c., dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni relative allo svolgimento del processo (comunicazione delle ordinanze rese fuori udienza dal giudice; provvedimenti del giudice istruttore; provvedimenti del collegio e comunicazione della sentenza), dovranno essere fatte, dalle cancellerie, ai procuratori costituiti (2) solo ed esclusivamente per via telematica. Identica procedura seguiranno le cancellerie per la notifica dellĠordinanza al consulente tecnico ex art. 192 c.p.c., per quanto attiene allĠinvito a comparire allĠudienza fissata per il conferimento dellĠincarico e lĠassegnazione dei quesiti. Dette comunicazioni saranno effettuate, quindi, dalle cancellerie, nel primo caso, per gli avvocati costituiti nel giudizio, allĠindirizzo elettronico comunicato da questi, al Consiglio dell'ordine di appartenenza, e da questĠultimo reso disponibile mediante comunicazione al Ministero della giustizia. Questi indirizzi elettronici degli avvocati, cos“ come quelli degli uffici giudiziari e degli uffici noti- fiche (UNEP), saranno resi consultabili, anche in via telematica, secondo le modalitˆ operative stabilite ai sensi dell'art. 3, comma 3 d.P.R. n. 123 del 2001. La cogenza della norma (3) in esame  stata, poi, rafforzata dalla previsione che a decorrere dalla data fissata in decreto (o nei decreti) del Ministero della Giustizia tutte le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alla parte costituita e al consulente, che non ha comunicato l'indirizzo elettronico (4), saranno fatte direttamente presso la cancelleria (5) del Tribunale. Per (2) Vedi CALAMANDREI P., Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1961, 142, in cui lĠA. esplicita che: ÒPer poter esercitare il ÒministeroÓ del difensore rappresentante bisogna che questi, a differenza del difensore assistente, sia munito di ÒprocuraÓ scritta (art. 83 cpc): per questo la legge distingue il Òdifensore con procuraÓ (art. 86) che rappresenta la parte, dal difensore Òsenza procuraÓ che per incarico che pu˜ essere puramente verbale, si limita ad assisterlaÓ. (3) LĠart. 51 prevede al 4Ħ comma che a decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni e le comunicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 17 d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, si effettuano ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile. Al 5 co., poi in materia di modifica alla legge sulla professione degli avvocati prevede che allĠarticolo 16 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il primo comma  aggiunto il seguente: ÇNell'albo  indicato l'indirizzo elettronico attribuito a ciascun professionista dal punto di accesso ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123È; b) il quarto comma  sostituito dal seguente: ÇA decorrere dalla data fissata dal Ministro della giustizia con decreto emesso sentiti i Consigli dell'Ordine, gli albi riveduti debbono essere comunicati per via telematica, a cura del Consiglio, al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civileÈ. Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il Processo Civile Telematico (PCT) come occasione della diffusione delle best pratices nel settore giustizia, in Rass. Avv. Stato, 2009, n. 4, 382 ss. (4) LĠindirizzo di posta elettronico avrˆ valenza quindi di domicilio legale. Per la distinzione si veda: TEDESCHI V., Domicilio, residenza e dimora, in Nuovissimo Digesto Italiano, III, Torino, 1957, 652 ss. i soggetti diversi dagli avvocati, e cio per i CTU e per gli altri esperti ed ausiliari del giudice, l'indirizzo elettronico sarˆ quello comunicato da questĠultimi ai propri ordini professionali o all'albo dei consulenti tenuto dai singoli Tribunali. Per tutti gli altri soggetti, invece, quali ad esempio la parte stessa; gli informatori; i testi ecc., l'indirizzo elettronico al quale le cancellerie dovranno inviare le comunicazioni, e fare le notificazioni sarˆ quello dichiarato al certificatore della firma digitale al momento della richiesta di attivazione della procedura informatica di certificazione della firma digitale, ove reso disponibile nel certificato, da parte di detti soggetti. LĠattuazione della norma in esame tuttavia richiede oltre ad una necessaria preliminare fase dĠintesa fra il Ministro della Giustizia e l'Avvocatura Generale dello Stato; Consiglio Nazionale Forense e Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, anche una necessaria verifica territoriale delle infrastrutture telematiche (6). Quindi nel corso del processo le comunicazioni saranno effettuate dalle cancellerie agli avvocati costituiti in giudizio, allĠindirizzo elettronico da essi comunicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza. SicchŽ ogni eventuale eccezione di non conoscenza dellĠatto sarˆ improponibile in quanto giˆ adesso la giurisprudenza pi volte si  espressa negativamente in materia. Fra le pi rilevanti decisioni va ricordata quella della Corte di Cassazione Civile la n. 4061 del 2008 (7), con la quale  stato affermato la validitˆ della comunicazione della cancelleria via e-mail allĠindirizzo elettronico dellĠavvocato dichiarato al proprio consiglio dellĠordine al quale il destinatario aveva dato risposta non in automatico ma con ricevuta documentata dalla relativa stampa cartacea. Deve poi essere segnalata anche lĠordinanza del 1Ħ febbraio 2008 del Tribunale di Milano con la quale si  affermato che  valida la procura alle liti spedita allĠinterno della busta telematica sottoscritta con firma digitale dallĠavvocato che ha presentato e depositato telematicamente il ricorso (8). é stata anche prevista una preliminare necessaria fase di verifica della funzionalitˆ dei servizi di comunicazione dei documenti informatici, nei singoli uffici giudiziari, nonchŽ lĠindividuazione dei circondari dei Tribunali nei (5) Vedi ANDRIOLI V., Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, 430 ss., per il quale il difetto della dichiarazione o dellĠelezione (qui da intendere come difetto di inserimento nellĠatto del- lĠindirizzo elettronico) ha per conseguenza non giˆ che le notificazioni e le comunicazioni possano eseguirsi presso la cancelleria del giudice adito, ma che non debbano eseguirsi affatto. (6) Nella trasmissione di documenti informatici nell'ambito del processo civile trovano applicazione tutte le prescrizioni contenute nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nel D.Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, e successive modificazioni. I documenti informatici prodotti nel processo civile sono sottoscritti con firma digitale, nei casi previsti dall'art. 4, comma 3, del d.P.R. 3 febbraio 2001, n. 123. Vedi al riguardo le analisi di COROSANITI G., Esperienza giuridica e sicurezza informatica, Milano, 2003, 221 ss. (7) Corte di Cassazione, Sez. I civ., sentenza 12 luglio 2008 n. 4061. Sul punto vedi ancora CONTALDO A., GORGA M., Le comunicazioni e le notifiche di cancelleria per via telematica alla luce della pi recenti novitˆ normative, cit., 68 ss. (8) Vedi al riguardo BUONOMO G., Il processo telematico (commento al d.P.R. n. 123/2001), in Codice di procedura civile. Commentario, a cura di PICARDI N., V ed., Tomo III, Milano, 2011, 341 ss. quali dovrˆ essere data applicazione alle disposizioni sulle comunicazione e sulle notificazioni telematiche. Rispetto a tali verifiche territoriali non  da escludere che si potrebbe avere una diffusione a macchia di leopardo nellĠavvio delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nei processi. Anche in questo settore si corre il rischio di una discriminazione informatica ossia del digital divide per singoli Tribunali di diverse zone del paese a secondo del livello infrastrutturale delle singole realtˆ locali. La notifica on-line , quindi, alle porte per tutti gli avvocati, nessuno escluso dato che lĠalternativa prevista, per tutti coloro che non si adegueranno allĠutilizzo nellĠattivitˆ forense agli strumenti informatici e telematici, , per legge, il recapito della posta elettronica presso le cancellerie degli uffici giudiziari dove gli avvocati nellĠorario dĠufficio in fila potranno chiedere delle notifiche elettroniche a loro recapitate. Sulla base dei decreti ministeriali autorizzativi (9), quindi, cancellerie e studi professionali dovranno dialogare, in via prioritaria, attraverso il solo personal computer. Dopo la prima esperienza ÒpassivizzanteÓ del Polisweb, che ha permesso agli avvocati di consultare i propri fascicoli direttamente dallo studio legale tramite il pc e la normale rete internet, nellĠimmediato futuro, in tutto il territorio nazionale, avvocati e uffici giudiziari diventeranno ÒattoriÓ e dovranno scambiarsi ÒnormalmenteÓ documenti per via telematica. 2. Il regime delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nel processo civile. Con la legge del 6 agosto 2008 n. 133 (10) il nostro legislatore aveva introdotto importanti novitˆ in tema di comunicazioni e notificazioni per via telematica (11). Queste novitˆ sono state recentemente rivisitate dalla legge di riforma al codice di procedura civile che ha modificato la seconda parte del (9) Con D.M. del 26 maggio 2009, n. 57, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 124 del 30 maggio 2009 con decorrenza dal 1 giugno 2009, si applicano, nel circondario del tribunale di Milano, le disposizioni di cui allĠart. 51, co. 1, 3 e 4 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133 secondo il quale le notificazioni e le comunicazioni in corso di causa (ex artt. 170 e 192 cpc) sono effettuate unicamente per via telematica all'indirizzo elettronico, ossia alla CPECPT del punto di accesso. (10) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, Torino, 2012, 221 ss. ed alla bibliografia colˆ citata. (11) Vedi BIAVATI P., Diritto Processuale dellĠUnione Europea, Milano 2005, 155 ss. Una caratteristica di notevole importanza  che nel processo dellĠUnione tutte le notificazioni sono effettuate dĠufficio, a cura del cancelliere (art. 20, co. 3, statuto; art. 79, par. 1Ħ, co. 1, reg. proc. Corte; art. 100, par. 1Ħ, co. 1Ħ, reg. Proc. Trib.). Le forme della notificazione sono molteplici. Prima di tutto,  prevista la notificazione a mani o per mezzo del servizio postale. Il cancelliere pu˜ infatti curare che sia consegnata una copia dellĠatto, verso ricevuta, oppure che la copia sia spedita in plico raccomandato con ricevuta di ritorno. Le pi recenti novellazioni hanno poi introdotto, come strumento corrente di notificazione, il fax (telescopia) e ogni altro mezzo tecnico di comunicazione (posta elettronica art. 79, par. 2Ħ reg. proc. Corte). LĠammissibilitˆ di questa forma di notificazione  subordinata al consenso del destinatario, che pu˜ essere unicamente un avvocato. In tal senso si veda anche art. 2 D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 (sul nuovo rito societario). lĠart. 137 stabilendo che se lĠatto da notificare o da comunicare  costituito da un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, lĠufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dellĠatto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme allĠoriginale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Inoltre Òse richiesto, lĠufficiale giudiziario invia lĠatto notificato anche attraverso strumenti telematici allĠindirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi diritti, copia dellĠatto notificato, su supporto informatico non riscrivibileÓ. Se la notificazione non pu˜ essere eseguita a mani proprie del destinatario, tranne che nel caso previsto dal secondo comma del- lĠart. 143 c.p.c., lĠufficiale giudiziario consegna o deposita la copia dellĠatto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce allĠoriginale e alla copia dellĠatto stesso. Sulla busta non possono essere apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dellĠatto. é disposto poi che predette disposizioni si applicano anche alle comunicazioni effettuate con biglietto di cancelleria ai sensi degli artt. 133 e 136 c.p.c. Orbene le norme qui in parola sono state ampiamente modificate dallĠart. 4 decreto legge 29 dicembre 2009 n. 193 (12), il quale prevede che a decorrere dal quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dei decreti con il quale il Ministro autorizza i singoli distretti di Corte di Appello per le notifiche telematiche, negli uffici giudiziari autorizzati, le notificazioni e le comunicazioni di cui allĠart. 170 comma 1 e art. 192 c.p.c. e ogni altra comunicazione al consulente devono essere effettuate per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata di cui all'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (13). Inoltre dispone la novella che allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. é stato poi previsto che la notificazione o la comunicazione che contiene dati sensibili deve essere effettuata solo per estratto e contestualmente deve essere messo a disposizione, sul sito internet individuato dall'amministrazione, l'atto integrale al quale il destinatario pu˜ accedere mediante gli strumenti di cui all'art. 64 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (14). Inoltre con uno o pi decreti aventi natura non regolamentare e previa audizione dellĠAvvocatura generale dello Stato, del Consiglio Nazionale Fo (12) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 222 ss. (13) Vedi BARALE M., Il processo civile telematico di cognizione: uno sguardo sul futuro, in Corr. Giur., 2012, 285 ss. (14) Vedi BASSOLI E., Fondamenti di diritto della comunicazione elettronica, Padova, 2014. rense e dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, il Ministro della giustizia accerta la funzionalitˆ dei servizi di comunicazione, ed individua gli uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni che autorizzano alle notifiche telematiche. Dopo che saranno emanati, ed entrati in vigore, i decreti autorizzativi per ogni singolo distretto le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento alle parti costituite o agli altri soggetti che non avranno provveduto ad istituire ed a comunicare ai relativi ordini l'indirizzo elettronico, le comunicazioni e le notifiche, saranno fatte presso la cancelleria o la segreteria dell'ufficio giudiziario procedente dove i procuratori e gli altri soggetti dovranno recarsi per ritirale. La novella in esame poi ha modificato anche il co. 2 dell'art. 16 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, in quanto  stato previsto che nell'albo tenuto dai Consigli degli Ordini forensi  indicato, oltre al codice fiscale (15), che  una novitˆ assoluta per la tenuta dellĠalbo, anche (15) Tribunale di Varese, Sezione I Civile Ordinanza del 16 aprile 2010 proc. civ. n. 83/2010. ÇLĠOmessa indicazione del codice fiscale non comporta nullitˆ. In tal senso. Negli atti del difensore e nella procura manca il codice fiscale. Il ricorso  stato depositato sotto la vigenza del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193 (in G.U. del 30 dicembre 2009 ed entrato in vigore il 31 dicembre 2009, ex art. 5) convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, che ha modificato lĠimpianto del codice di rito, per quanto qui interessa, negli artt. 125, 163, 167 c.p.c., introducendo nelle disposizioni processuali richiamate lĠobbligo di inserimento del codice fiscale: per lĠattore (art. 163, comma III, n. 2 c.p.c.), per il convenuto (art. 167, comma I, c.p.c.) e per il difensore (art. 125, comma I, c.p.c.). Va precisato che lĠart. 163, comma III, n. 2 richiede anche lĠindicazione del codice fiscale delle persone che Òrappresentano o assistonoÓ le parti: ma tale aggiunta non va intesa come riferimento agli avvocati (per cui, infatti,  stato appositamente modificato lĠart. 125 c.p.c.) bens“ come richiamo agli istituti della rappresentanza e dellĠassistenza di cui allĠart. 182 c.p.c. e, dunque, ai soggetti che, in virt di specifiche disposizioni normative, agiscono come sostituti processuali o rappresentanti legali (ad es. v. art. 273, comma I, c.c.). LĠomessa indicazione del codice fiscale non pu˜ tradursi in una ipotesi di nullitˆ. In primo luogo, non pu˜ essere pronunciata la nullitˆ per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullitˆ non  comminata dalla legge (art. 156, comma I, c.p.c.); in secondo luogo, il raggiungimento dello scopo, comunque preclude lĠinsorgere della patologia invalidante (art. 156, comma III, c.p.c.). é vero che lĠart. 164, comma I, c.p.c. afferma essere la citazione nulla se omesso o assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'art. 163 c.p.c. (e proprio nel n. 2 si innesta la modifica legislativa con introduzione dellĠobbligo di indicazione del codice fiscale): ma tale inciso va ricondotto allĠidentificazione Òdella persona della parteÓ, secondo una interpretazione che sia coerente con il sistema ed impedisca mere nullitˆ formali non giustificate dalla violazione del diritto di difesa altrui. Ed, allora, sulla scorta di una giurisprudenza ben consolidata, la nullitˆ della citazione, ai sensi dellĠart. 163 n. 2, pu˜ essere pronunciata soltanto se e quando lĠomissione determini una incertezza assoluta in ordine alla individuazione della parte, altrimenti lĠomissione costituisce una violazione meramente formale che si traduce in una irregolaritˆ non invalidante lĠatto giudiziale. Vi , poi, che la grave sanzione della nullitˆ, per lĠomessa indicazione del codice fiscale, costituirebbe anche unĠaporia nella teoria generale delle nullitˆ processuali. Il codice fiscale, infatti, ha la precipua funzione di identificare in modo univoco a fini fiscali le persone residenti sul territorio italiano (iscrivendo, dunque, il contribuente nel registro del- lĠanagrafe tributaria, v. decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784). Esso, pertanto, non afferisce ai rapporti tra le parti o tra il giudice e le parti ma alla relazione tra queste ultime e lĠamministrazione finanziaria, cosicchŽ la violazione di una norma che disciplina un rapporto estraneo al processo non pu˜ riverberare i suoi effetti sul procedimento. In effetti, volendo fornire unĠ l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato ai sensi dell'art. 16, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che  una ulteriore novitˆ, ma relativa in quanto giˆ gli ordini forensi, indipendentemente dalla previsione normativa, da tempo forniscono nellĠalbo anche gli indirizzi e-mail degli avvocati che lo comunicano. Gli indirizzi di posta elettronica certificata ed i codici fiscali sono aggiornati Òcon cadenza giornaliera, sono resi disponibili per via telematica al Consiglio nazionale forense ed al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazioneÓ. Sempre la novella in esame al comma 4 modifica l'art. 40 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (dPR 30 maggio 2002, n. 115), aggiungendo un ulteriore comma - 1 bis - il quale, agendo sul costo delle copie, ha lo scopo precipuo di disincentivare il rilascio di copie in formato cartaceo con lĠespressa previsione che Òl'importo del diritto di copia rilasciata su supporto cartaceo  fissato in misura superiore di almeno il cinquanta per cento di quello previsto per il rilascio di copia in formato elettronicoÓ. Tuttavia subito dopo al successivo comma 5 si prevede che fino all'emanazione del regolamento di cui all'art. 40 dPR 30 maggio 2002, n. 115, i diritti di copia, di cui all'All. 6 dello stesso, sono aumentati del cinquanta per cento ed i diritti di copia rilasciata in formato elettronico degli atti esistenti nell'archivio informatico dell'ufficio giudiziario, sono determinati in ragione del numero delle pagine memorizzate, nella misura precedentemente fissata per le copie cartacee. Qui il legislatore in veritˆ effettua una manovra tanto vessatoria quanto ingiustificata in quanto da un lato dˆ lĠapparente sensazione di voler incentivare il ricorso alle copie in formato elettronico poste ad un costo inferiore del 50% rispetto a quelle cartacee, dallĠaltro poi subito interpretazione coerente e sistematica, deve ritenersi che lĠart. 4 d.l. 193/09 (come convertito), introducendo lĠobbligo di indicazione del codice fiscale in seno agli atti di cui agli artt. 125, 163, 167 abbia di fatto provocato una estensione dellĠambito applicativo dellĠart. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (che indica gli Òatti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscaleÓ). Ed, allora, lĠomessa indicazione del codice fiscale non  sanzionata con la nullitˆ processuale, ma con le sanzioni speciali previste dalla legislazione vigente (es. art. 13 d.P.R. 605/73, come prima modificato dall'art. 1, D.P.R. 23 dicembre 1977, n. 955, poi dall'art. 20, L. 30 dicembre 1991, n. 413 ed infine come sostituito dall'art. 20, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473). Non pu˜, peraltro, essere sottaciuto che, invero, secondo la giurisprudenza tributaria, le irregolaritˆ meramente formali, che non comportano evasione di imposta, quale l'omessa indicazione del codice fiscale, non sono pi sanzionabili ex art. 10, comma 3 legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente: v., ad es. Commissione Tributaria Centrale, Sez. IX, 13 agosto 2001, n. 5983): sarebbe, allora, eccentrico sanzionare in seno al diritto processuale civile, con la nullitˆ, una condotta che in seno al suo alveo naturale, quello tributario, non trova pi - in linea di principio - alcuna sanzione. Per i motivi sin qui esposti, in caso di omessa indicazione del codice fiscale, delle parti, di chi li rappresenta o assiste oppure dei difensori, il giudice non deve pronunciare la nullitˆ dellĠatto ma pu˜, tuttĠal pi, sollecitare una condotta che vada a rimuovere lĠirregolaritˆ. P.q.m. Visti gli artt. 175 c.p.c., 4 d.l. 193/2009 conv. il l. 24/2010 invita i difensori che non lo abbiano ancora fatto ad indicare il codice fiscale richiesto dagli artt. 125, 163, 167 c.p.c., negli atti ivi indicatiÈ. si appresta ad aumentare il diritto di copia nella stessa misura del 50% per le copie informatiche annullando, di fatto, il dichiarato vantaggio ed incentivo sia pure fino allĠemanazione del regolamento ex art. 40 dPR n. 115 del 2002. é previsto poi che il maggior gettito derivante dall'aumento dei diritti di cui ai commi 4 e 5 dovrˆ essere riassegnato, per la quota parte eccedente rispetto a quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, lettera b), ad appositi capitoli del Ministero della giustizia per il funzionamento e lo sviluppo del sistema informatico, con esclusione delle spese di personale. Quindi il maggior gettito dovrˆ essere investito solo ed esclusivamente nelle infrastrutture informatiche e telematiche nellĠambito del principio di solidarietˆ nazionale e ridistribuzione su base nazionale. Il Ministero della giustizia allĠuopo potrˆ avvalersi di Consip Spa (16), anche sulla base di apposita convenzione, anche in qualitˆ di centrale di committenza per l'attuazione delle iniziative in tema di digitalizzazione dell'Amministrazione della giustizia e per le ulteriori attivitˆ di natura informatica individuate con decreto del Ministero della giustizia. 3. Le notifiche a mezzo posta elettronica ex art. 149-bis c.p.c. Sempre con il decreto legge n. 193 del 2009 (17), convertito in legge nel 2010 n. 24, al codice di procedura civile sono state apportate ulteriori modifiche nel senso che in relazione al comma 1 dellĠart. 125 c.p.c.  stato previsto lĠinserimento negli atti di parte del codice fiscale del difensore, mentre in relazione allĠart. 163, comma 3 le parole: Çil cognome e la residenza dell'attoreÈ sono state sostituite con Çil cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore È e le parole: Çil nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono È sono sostituite con: Çil nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistonoÈ. Infine lĠart. 167 comma 1 le generalitˆ e il codice fiscale devono essere indicate nella comparsa di risposta. é stato poi inserito un nuovo articolo il 149-bis relativo alle notifiche a mezzo posta elettronica. Prevede questĠultimo articolo che se non  fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione pu˜ eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo. La notifica a mezzo posta elettronica certificata  stata introdotta nel nostro ordinamento, quindi, come notifica ÒordinariaÓ in quanto alla stessa deve farsi sempre ricorso salvo che sia espressamente disposto diversamente per un altro tipo di notificazione quale ad esempio: per posta ordinaria, a mani proprie o per pubblici proclami. Inoltre per notifica mediante PEC si deve procedere (16) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., La contrattazione telematica e la pubblica amministrazione, in Manuale di diritto dellĠinformatica, a cura di VALENTINO D., Napoli, 2011, 488 ss. (17) Ci si permette di rinviare ancora a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 231 ss. anche quando dal documento cartaceo presentato per la notifica si estrae copia informatica per la notifica. Quando lĠufficiale provvede per via telematica alla notifica dellĠatto mediante posta elettronica certificata ne trasmette copia informatica dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi. In questo caso  essenziale rilevare che la norma prevede che in tale modalitˆ la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario. La notifica si perfeziona quindi con la consegna al gestore essendo irrilevante che il destinatario ne abbia o no conoscenza, basta che egli possa accedervi e la notifica si deve intendere legalmente effettuata e conosciuta. Nelle notifiche telematiche poi l'ufficiale giudiziario deve redige la relazione di notifica di cui al comma 1 dellĠart. 148 c.p.c., mediante la certificazione dellĠeseguita attivitˆ datata e sottoscritta apposta in calce allĠoriginale e alla copia dellĠatto notificato, e ci˜ su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, che saranno individuati con un apposito decreto del Ministero della giustizia. Anche nel- lĠinciso Òcongiunzione dellĠatto a cui si riferisceÓ il legislatore riproduce la norma giˆ introdotta con la n. 69 del 2009 in tema di procura informatica, ma qui con lĠintenzione di eliminare in radice, ogni possibile interpretazione in ordine alla congiunzione degli atti informatici. é stato poi previsto che la relazione che contiene le informazioni di cui all'art. 148, comma 2, comporta la sostituzione - ovviamente - del luogo della consegna con l'indirizzo di posta elettronica presso il quale l'atto  stato inviato. Infine si prevede che al documento informatico originale o alla copia informatica del documento cartaceo sono allegate, come per la relata, mediante strumenti informatici, le ricevute di invio e di consegna previste dalla normativa concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica. Eseguita la notificazione, l'ufficiale giudiziario restituisce all'istante o al richiedente, anche per via telematica, l'atto notificato, unitamente alla relazione di notificazione e agli allegati ossia le ricevute dellĠavvenuta consegna presso il gestore della posta elettronica certificata. Qui per˜ si pongono non pochi problemi, cui facciamo solo alcuni cenni. Prima di tutto viene in rilievo il comma 4 che rimanda a successivi Decreti Ministeriali le regole tecniche volte ad assicurare che le comunicazioni e le notificazioni per via telematica siano effettuate, nei casi consentiti, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68. Gli effetti immediati della previsione consistono nel passaggio dalla Casella di Posta Elettronica Certificata per il Processo Telematico (18) (CPECPT) (18) Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., E-Law Le professioni legali la digitalizzazione delle informazioni giuridiche e il processo telematico, Soveria Mannelli (CZ), 2006, spec. 122 ss. alla Posta Elettronica Certificata (PEC) di cui al decreto legge n. 185 del 2008, convertito nella legge n. 2 del 2009 (19), con il conseguente mutamento del gestore del Punto di accesso di cui allĠart. 11 del D.M. 17 luglio 2008, dato che lo diventano tutti i gestori iscritti nellĠelenco CNIPA (ora DigitPA). Si pongono quindi non secondari problemi in ordine alle minori garanzie di certezza sulla certificazione dello status dei titolari della PEC, da qui la logica previsione sullĠaggiornamento giornaliero degli indirizzi di PEC degli iscritti per via telematica (20), da parte dei Consigli degli Ordini forensi Locali, al Consiglio Nazionale Forense ed al Ministero della Giustizia. 3.1 Le notifiche tramite PEC alla luce del Decreto ministeriale 3 aprile 2013 n. 48. Con lĠobbligatorietˆ del deposito telematico degli atti processuali durante il processo stesso (21) di cui allĠart. 1 comma 19 d.l. 18 ottobre 2012, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, si  dovuto apportare delle nuove previsioni altres“ alle modalitˆ per definire le notificazioni tramite PEC degli avvocati autorizzati. Il D.M. 3 aprile 2013, n. 48, ha modificato lĠart. 18 delle regole tecniche del processo telematico (D.M. n. 44 del 2011) sotto pi aspetti che attengono le copie informatiche da notificare come allegati alla PEC. Bisogna ricordare come lĠart. 3 bis utilizzi impropriamente lĠespressione Òcopia informaticaÓ, perchŽ in realtˆ si riferisce alla Òcopia informatica (19) Ancora BASSOLI E., op. loc. supra cit. (20) La norma qui riproduce la previsione giˆ fatta con il decreto legge n. 112 del 2008 ma qui introduce, ed  questa la sua differenza, lĠinserzione su un apposito sito Internet di atti contenenti dati sensibili. (21) Questa norma entra in vigore per i tribunali dal 30 giugno 2014 e negli altri uffici giudiziari diversi dai tribunali dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti, aventi natura non regolamentare, con i quali il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalitˆ dei servizi di comunicazione. Dispone in concreto la nuova norma quindi che per i tribunali che, a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione il deposito degli atti processuali e dei documenti di parte, dei difensori e dei loro consulenti e delle parti in precedenza giˆ costituite deve avvenire esclusivamente nella modalitˆ telematica. Il deposito si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Nel processo esecutivo il deposito telematico degli atti nel processo si effettua sempre con decorrenza successiva al deposito cartaceo con il quale si dˆ inizio allĠesecuzione, cos“ come nelle procedure il deposito telematico  da intendere esclusivamente riferibile al deposito degli atti e dei documenti da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario. Sempre con decorrenza dal 30 giugno 2014, per il procedimento di ingiunzione, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti dovrˆ avvenire esclusivamente con modalitˆ telematiche sempre per˜ nel pieno rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il presidente del tribunale pu˜ tuttavia autorizzare anche il deposito con modalitˆ non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti laddove sussista per˜ urgenza altrimenti non rinviabile indifferibile ovvero pu˜ ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche. per immagineÓ: ci˜ si desume dal rinvio allĠart. 22, comma 2, del CAD (22) che riguarda, appunto, le attestazioni di conformitˆ di questa tipologia di copie informatiche Òper immagineÓ. LĠavvocato che intenda notificare per via telematica un atto cartaceo ai sensi dellĠart. 3 bis, deve estrarre, mediante scansione, una copia informatica Òper immagineÓ, attestandone la conformitˆ allĠoriginale ai sensi dellĠart. 22, comma 2, del CAD e, quindi, allegando lĠatto alla PEC. Bisogna per˜ considerare che lĠart. 22, comma 2, CAD prevede che sia un pubblico ufficiale ad attestare tale conformitˆ, con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche di cui allĠart. 71 CAD (23). LĠavvocato, dunque, per la norma in esame, pu˜ assumere le vesti del pubblico ufficiale, ai sensi dellĠart. 6 della legge n. 53 del 1994, perchŽ, quanto rilevato, che a causa della mancanza delle regole tecniche di cui allĠart. 71 CAD la notifica tramite PEC di copie informatiche per immagine era dubbiosa, oggi, invece  possibile grazie alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2014 delle regole tecniche sui sistemi di conservazione dei documenti informatici. Quindi lĠavvocato pu˜ effettuare, ai sensi dellĠart. 3 bis della legge n. 53 del 1994, la notifica via PEC di copie informatiche per immagine di originali cartacei cos“ come pu˜ effettuare la notifica via PEC di documenti informatici ÒnativiÓ. LĠincidenza su tale quadro normativo del nuovo art. 18 Regole tecniche del PCT  rilevante; al nuovo comma 4 dellĠart. 18, lĠavvocato che estrae copia informatica per immagine dellĠoriginale cartaceo compie lĠasseverazione di cui allĠart. 22, comma 2, CAD, inserendo la dichiarazione di conformitˆ allĠoriginale nella relata di notifica, ai sensi dellĠart. 3 bis, comma 5, della legge n. 53 del 1994. Ora, lĠart. 18 riformulato sembra innovare, eludendo lĠasseverazione dal richiamo alle regole tecniche di cui allĠart. 71 CAD, e stabilendo che tale asseverazione sia fatta, dallĠavvocato, inserendo la dichiarazione di conformitˆ nella relata (anche se suscita qualche riserva che un regolamento tecnico possa disciplinare la materia diversamente dalla legge, considerando per giunta che il D.M. n. 48 del 2013  stato emanato proprio per adeguare lĠart. 18 delle regole tecniche del PCT alle modifiche della legge n. 53 del 1994). Occorre peraltro notare che lĠart. 18 precisa che lĠinserimento, da parte dellĠavvocato, della dichiarazione di conformitˆ nella relata deve essere effettuato a norma dellĠart. 3 bis, comma 5, della legge 53/1994; quindi, secondo questĠultima norma, la relata di notifica deve essere redatta dallĠavvocato su (22) Vedi al riguardo CASSANO G., GIURDANELLA C., Il codice della pubblica amministrazione digitale, Milano, 2005, 131 ss.; MACRI I., MACRI U., PONTAVOLPE G., Il nuovo codice dellĠamministrazione digitale, Milano, 2011, 110 ss. (23) Ancora MACRI I., MACRI U., PONTAVOLPE G., op. supra cit., 208 ss. documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e allegato alla PEC; tuttavia, lo stesso comma 5, nellĠelencare gli elementi che costituiscono il contenuto obbligatorio della relata, indica anche lĠattestazione di conformitˆ di cui allĠart. 22, comma 2, CAD, cio quella che allo stato non  possibile attivare per la mancanza delle regole tecniche ex art. 71 CAD. Quindi lĠavvocato pu˜ inserire nella relata di notifica la dichiarazione di conformitˆ allĠoriginale cartaceo e allega la relata alla PEC, unitamente alla copia per immagine, ritenendo con ci˜ soddisfatti sia il requisito dellĠasseverazione, sia quello dellĠallegazione, ma ignorando i rinvii alle regole tecniche di cui allĠart. 71 CAD (con il rischio peraltro che ci˜ sia rilevato da un giudice, forse eccessivamente ÒrigidoÓ, chiamato a verificare la regolaritˆ della notifica). LĠart. 18 riformulato dispone altres“ che lĠavvocato notificante alleghi alla PEC Òdocumenti informatici o copie informatiche, anche per immagineÓ, di originali cartacei: ci˜ significa che lĠavvocato potrebbe notificare anche una copia informatica (non per immagine). Qui, ammesso che non siano stati utilizzati impropriamente i termini relativi alle copie informatiche, si apre un grosso problema: infatti, le copie informatiche (non per immagine) sono attivitˆ tipiche del pubblico ufficiale depositario, ai sensi dellĠart. 22, comma 1, CAD, che non  richiamato da alcuna norma della legge n. 53 del 1994, la quale non prevede quindi che, per tale attivitˆ, lĠavvocato possa assumere la veste del pubblico ufficiale (mentre ci˜  previsto per le copie informatiche per immagine di cui allĠart. 22, comma 2, CAD). Appare inoltre singolare che il ÒnuovoÓ art. 18 contempli la possibilitˆ di estrarre copia informatica (non per immagine) dellĠoriginale cartaceo, senza prevedere alcuna regolamentazione tecnica di tale possibilitˆ che, per quanto ci concerne, non pu˜ trovare applicazione. Per quanto riguarda la firma digitale (24), il nuovo testo dellĠart. 18 delle Regole tecniche del processo telematico vincola l'avvocato notificante in maniera assai peculiare. LĠart. 18 comma 4 prevede che lĠavvocato, dopo aver estratto la copia informatica per immagine dell'originale cartaceo, firmi digitalmente la relata contenente la dichiarazione di conformitˆ, ma non la copia informatica per immagine (a differenza della versione precedente dellĠart. 18): quindi, leggendo (solo) il comma 4, la soluzione appare la seguente: lĠavvocato notificante allega alla PEC la scansione dellĠoriginale cartaceo senza firma digitale, e la relata con la sua firma digitale. (24) Vedi ZANELLI P., Funzione notarile e firma digitale, in Contr. Impr., 2005, 232 ss.; FINOCCHIARO G., Tecniche di imputazione della volontˆ negoziale: le firme elettroniche e la firma digitale, in I contratti informatici, a cura di CLARIZIA R., XIII Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO P. e GABRIELLI E., Torino, 2007, 201 ss.; MAGGIPINTO A., NIGER S., Documento informatico e firme elettroniche, in La posta elettronica: profili giuridici e tecnico-informatici, a cura di BASSOLI E., IASELLI M., QUADRELLI M., Roma, 2007, spec. 42 ss. Questa soluzione potrebbe lasciare smarriti: perchŽ il comma 4 sembra aver eliminato la firma digitale dell'avvocato notificante dalla scansione del- l'originale cartaceo, riservandola alla relata. In realtˆ tale soluzione non dovrebbe sorprendere, in un contesto tecnico-giuridico in cui sia accuratamente regolamentato il profilo del documento informatico separato contenente lĠattestazione di conformitˆ, ove occorre obbligatoriamente la firma digitale. Inoltre occorre considerare che la copia informatica per immagine contiene lĠacquisizione digitale delle sottoscrizioni autografe dellĠoriginale cartaceo, e ci˜ si inserisce nel solco della nuova disciplina del documento informatico, richiamata dal comma 3 bis, comma 1, della legge n. 53 del 1994. Sembrerebbe, quindi, che l'avvocato notificante possa procedere alla notifica solo con la firma digitale della relata, congiunta alla scansione dell'originale cartaceo mediante PEC. Attenzione, per˜, al comma 1 dell'art. 18: purtroppo la scelta infelice di costruire una disciplina inedita e delicata, quale quella delle notifiche telematiche degli avvocati, attraverso continui rimandi normativi, anzichŽ precisi dettagli informatico-giuridici, genera dannose incertezze: infatti, se  vero che il comma 4 dell'art. 18 prevede la firma digitale solo sulla relata e non sulla scansione dell'atto, il comma 1 precisa che anche le scansioni informatiche da notificare devono essere redatte nei formati consentiti dalle specifiche tecniche del processo telematico. Queste ultime, all'art. 12, prevedono che l'atto del processo sia, tra l'altro, in formato PDF con firma digitale p7m (il PDF non firmato  previsto invece per gli allegati degli atti processuali). Pertanto si potrebbe sostenere che la firma digitale del documento informatico contenente la scansione, abrogata dalla previsione normativa di un comma, riviva grazie alla previsione normativa di un altro comma dello stesso articolo. L'avvocato prudente, considerato quanto sopra, apporrˆ la sua firma digitale alla scansione dell'atto originale cartaceo, allegando alla PEC anche il PDF non firmato, fermo restando che comunque non potranno essere rispettati altri requisiti dell'art. 12 delle specifiche tecniche, quali le informazioni strutturate in XML e, naturalmente, il divieto della scansione per immagini. NellĠipotesi in cui l'atto informatico da notificare sia originato dall'avvocato, e quindi non sia generato attraverso la copia di un atto cartaceo, il nuovo art. 18 stabilisce solo che il documento informatico sia privo di elementi attivi e redatto nei formati consentiti dalle specifiche tecniche del processo telematico, giˆ esaminate sopra per le copie informatiche. In tal caso, peraltro, non essendoci l'esigenza di trasformare in digitale un originale cartaceo, si potrˆ rispettare il divieto di scansione di immagini: il PDF sarˆ quindi strutturato come testo, oltre ad essere privo di elementi attivi. L'eventuale procura potrˆ essere contenuta in un documento informatico separato, ottenuto anche mediante scansione dell'originale cartaceo, ed allegato alla PEC ai sensi del nuovo comma 5 dell'art. 18. Una volta formato l'atto in PDF, l'avvocato notificante dovrˆ apporre la sua firma digitale, naturalmente con certificato valido, e allegare l'atto cos“ firmato alla PEC, avendo cura di impostare la ricevuta completa di avvenuta consegna, ora prevista dal comma 6 dell'art. 18. Il nuovo art. 18 si riferisce genericamente a documenti informatici nativi che l'avvocato potrebbe notificare, quindi in tale ambito possono essere compresi anche quelli non formati dall'avvocato, ma provenienti dall'ufficio giudiziario, come i provvedimenti del giudice. Tuttavia su tali documenti si registra il silenzio sia del nuovo art. 18, sia della legge n. 53 del 1994, che per questa tipologia di atti non attribuiscono la qualitˆ di pubblico ufficiale all'avvocato notificante. Pertanto non  praticabile la notifica in proprio di questi atti, se non quando sarˆ percorribile la strada della richiesta e del rilascio delle copie autentiche informatiche (o duplicati) degli originali informatici da parte delle cancellerie, come previsto dalle regole e dalle specifiche tecniche del processo telematico. 3.2 Gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche. Per individuare gli indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche degli avvocati autorizzati, dobbiamo esaminare lĠart. 3 bis della legge n. 53 del 1994, in quanto richiamato dal nuovo art. 18. LĠart. 3 bis precisa che le notifiche si possono eseguire soltanto tramite indirizzi PEC risultanti da pubblici elenchi; tali elenchi, utilizzabili ai fini delle notifiche, sono indicati dallĠart. 16 ter decreto legge n. 179 del 2012 e sono i seguenti: a) domicili digitali dei cittadini inseriti nellĠanagrafe nazionale della popolazione residente (art. 4 decreto legge n. 179 del 2012); b) elenco degli indirizzi PEC delle P.A. formato dal Ministero della Giustizia (art. 16, comma 12, decreto legge n. 179 del 2012); c) INI-PEC (indice nazionale degli indirizzi PEC di imprese e professionisti) di cui all'art. 6-bis CAD; d) elenchi di indirizzi PEC di cui allĠart. 16 decreto legge n. 185 del 2008; e) REGINDE (registro generale degli indirizzi elettronici) del processo telematico. LĠart. 16 ter stabilisce, poi, che tali elenchi si considerano pubblici, ai fini delle notifiche. é innegabile che lĠutilizzo della posta elettronica certificata comporta vantaggi che sono di carattere economico, ma anche di sicurezza e rapiditˆ nella trasmissione e nella ricezione degli atti. La integritˆ e la mole dei dati trasmessi, la possibilitˆ di un invio multiplo, cio a pi destinatari contemporaneamente, comporta innegabili vantaggi. La tracciabilitˆ della casella mittente e quindi del titolare, la possibilitˆ di consultare il proprio indirizzo e-mail anche da postazioni diverse da quella del proprio ufficio o dallĠabitazione, e la permanenza in memoria del messaggio e di quanto allegato, sempre accessibile,  un innegabile vantaggio anche organizzativo. Inoltre si tenga presente che il gestore ha lĠobbligo di archiviare sia i Log dei messaggi PEC che gli allegati, per un periodo di trenta mesi conservando la traccia di ogni singola operazione, in modo tale che qualora il mittente che abbia smarrito le ricevute, possa comunque ricostruire le operazioni effettuate. Tuttavia nonostante questi innegabili vantaggi sulla base di un analisi scientifica delle disposizioni giuridiche sulla posta elettronica certificata (25), sono da evidenziare criticitˆ e problematiche che mettono in dubbio la legittimazione giuridica del sistema di posta e la sua utilizzabilitˆ nel processo civile telematico, problematiche che hanno la loro radice dal confuso e disorganico processo di produzione normativa volto pi alla propaganda del risparmio che dellĠevoluzione tecnologica di una P.A. informatizzata (26) e di un processo civile telematico non pi rinviabile mentre con norme contraddittorie si vanno ad annullare quelle che erano le poche certezze del processo telematico secondo la previsione di caselle di poste certificate solo per il processo telematico con altrettanti, limitati, punti di accesso. 4. Le pronunce di merito e di legittimitˆ in tema di notifiche telematiche nel processo civile. Con riguardo alla notifica, telematica, si sono formati diversi orientamenti giurisprudenziali, ancorati, al concetto di inesistenza, di nullitˆ e di irregolaritˆ, dellĠattivitˆ. Alla conclusione dellĠinesistenza della notifica  pervenuto il Tribunale di Monza, che, con ordinanza in data 30 dicembre 2004 (27), ha sottolineato come il legislatore, facendo riferimento al fax ed alla posta elettronica, in termini di mere modalitˆ operative, non abbia, in realtˆ, dato alcuna indicazione Òcirca il soggetto legittimato allĠutilizzo di tali mezzi di trasmissioneÓ. Per questa decisione quindi la Òforma legaleÓ della notificazione non pu˜ prescindere dal fatto che deve essere, comunque, eseguita dallĠorgano deputato a tali atti e cio dallĠufficiale giudiziario e non sarebbe consentita (al di fuori delle regole tecniche previste) la trasmissione diretta tra difensori. é stato evidenziato, infatti, che lo <> costituisce una valida forma di notifica nel rito societario solo se attestato da una fisica <> (art. 17) mentre non pare essere consentito per le forme di trasmissione a mezzo fax o posta elettronica, a meno che non si rispettino le norme <>. In forza di detta decisione sarebbe anche possibile la notifica per posta elettronica, che costituisce lĠequivalente dello scambio diretto tra difensori di cui allĠart. 17, I comma lett. c) del rito societario, solo se entrambi i difensori siano, come  ovvio, certificati, (25) BASSOLI E., op. loc. supra cit. (26) Sul punto vedi BOMBARDELLI M., Informatica pubblica, e-government e sviluppo sostenibile, in Riv.it.dir. pubbl.com., 2002, 991 ss.; ci si permette di rinviare a CONTALDO A., Dalla teleamministrazione allĠE-Government: una complessa transizione in fieri, in Foro. Amm.- CdS, 2002, 696 ss.; IDEM, Le politiche pubbliche per la Societˆ dellĠinformazione, Padova, 2012, 112 ss. (27) Trib. Monza, Ord. 30 dicembre 2004 (Giudice DĠAietti), in Giur. it., 2005, 2330 ss., citata in BUONOMO G., Il nuovo processo telematico, Milano, 2009, 176 ss. ovvero abilitati a trasmettere documenti con firma digitale e con attestazione informatica di trasmissione e se dotati di casella di posta elettronica certificata. In questi casi, ovviamente, la reciproca attestazione informatica di trasmissione e ricezione degli atti costituirebbe lĠequivalente digitale della fisica sottoscrizione per ricevuta sullĠoriginale dellĠatto scambiato. In modo diametralmente opposto si  espresso il Tribunale di Bari (28) che ha, invece, ravvisato, nellĠart. 17 d.lgs. n. 5 del 2003, lĠintenzione del legislatore di legittimare forme di notificazioni e comunicazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle di cui agli artt. 136 e seguenti, eliminando cos“ lĠesclusiva competenza dellĠufficiale giudiziario, ci˜ in quanto lo stesso art. 137, 1 comma, c.p.c. stabilisce che le notificazioni sono eseguite dallĠufficiale giudiziario Òquando non  disposto altrimentiÓ. QuestĠultima previsione renderebbe quindi compatibile la notifica effettuata anche da altri soggetti. Con predetta ordinanza  stato poi, verificato anche se la notifica effettuata a mezzo posta elettronica sia rispondente al tipo normativo. In merito ha ritenuto il Tribunale che la novella legislativa (lex specialis) prevede lĠutilizzo di mezzi alternativi di trasmissione degli atti processuali  che la parte, attraverso il proprio difensore che aveva comunicato formalmente le proprie coordinate tecniche, che ne assicuravano la reperibilitˆ attraverso tali mezzi di comunicazione, in costanza della dichiarazione del difensore di volersi avvalere di quei mezzi alternativi faceva ritenere sanata la notificazione che, pur invalida, in quanto avvenuta con lĠinosservanza della normativa concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici o teletrasmessi, aveva comunque raggiunto lo scopo. La notificazione alternativa per posta elettronica, con esclusione del tramite dellĠufficiale giudiziario, ma con il rispetto delle modalitˆ descritte per legge, prevede, quale elemento essenziale lĠassunzione di responsabilitˆ del difensore destinatario dellĠatto. Lo stesso Tribunale ha, poi, precisato che anche se lĠe-mail  forma scritta, quale documento informatico, provvista di firma elettronica leggera o ÒdeboleÓ ci˜ tuttavia non ne garantisce lĠimmodificabilitˆ, la integritˆ e la sicurezza nella provenienza dal soggetto che ne appare lĠautore ed  proprio ci˜ che la rende radicalmente differente con il sistema della posta elettronica certificata. Il Tribunale di Roma (29), ha esaminato la questione della trasmissione per posta elettronica con riferimento alla memoria di replica, sancendone la nullitˆ della notifica ai sensi dellĠart. 160 c.p.c. (30). Nella stessa direzione  andato anche il Tribunale di Milano, sia con la sentenza del 14 dicembre 2005 (28) Trib. Bari, Ordinanza 2 giugno 2005 (Giudice DĠAlessandro). Ci si permette di rinviare a CONTALDO A., GORGA M., LĠarringa elettronica. Il foro virtuale come strumento di trasparenza e doverosa pubblicitˆ nellĠattivitˆ amministrativa di supporto allĠesercizio del potere giurisdizionale, in Dir. econ. mezzi com., 2010, n. 1, 42 ss. (29) Sentenza in data 23 maggio 2005, riportata in CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 214 ss. che con lĠOrdinanza del 1 marzo 2006 (31), che vanno segnalate in quanto il Tribunale, sempre in materia di processo societario, ha ritenuto che anche se la notifica  fatta su supporto informatico sottoscritto con firma digitale ai sensi dellĠart. 2 del d.P.R. n. 123 del 2001, attraverso il sistema informatico del S.I.C.I. (32), reso operativo dal d.m. 14 ottobre 2004 con la previsione del Gestore Centrale, presso il ministero, ed i Gestori Locali, presso le sedi degli Uffici Giudiziari e gli uffici UNEP allĠindirizzo elettronico dichiarato, ai sensi dellĠart. 7, richiede pur sempre la collaborazione dellĠUfficiale Giudiziario. Nello stesso solco deve essere segnalata anche la decisione del Tribunale di Torino assunta con ordinanza del 18 aprile 2006 (33) che in relazione allĠart. 17 del d. lgs. n. 5 del 2003 ha ritenuto che lĠutilizzo di posta elettronica certificata soddisfa i requisiti imposti dallĠart. 14 dPR 28 dicembre 2000 n. 445 (34) e quindi  validamente effettuata la notifica della comparsa di risposta tra i difensori a mezzo fax o posta elettronica certificata. In senso contrario, ma solo sotto il profilo non giˆ dellĠinesistenza della notifica bens“ della nullitˆ si  espresso il Tribunale dellĠAquila con lĠordinanza del 22 febbraio 2006 (35). QuestĠultimo Tribunale sempre in relazione agli atti notificati direttamente tra difensori nel rito societario, per il quale vi  espresso utilizzo del fax, ha ritenuto nulla tale notifica per incertezza assoluta sulla data di trasmissione. Sempre nel senso della nullitˆ della notifica a mezzo fax si  pronunciato anche il Tribunale di Bologna con lĠOrdinanza del 15 giugno 2005 (36). In modo analogo si era poi giˆ espressa la Cassazione con la Sentenza 25 marzo 2003 n. 4319 (37). La Corte di Cassazione, ha individuato alcuni casi di inesistenza della notifica laddove lĠatto era manchevole di requisiti indispensabili, come la firma dellĠufficiale giudiziario (38), lĠomessa indicazione della data (39) nella relata, o nellĠipotesi di consegna al legale privo della rappresentanza (30) In tal senso anche il Tribunale di Biella. Sentenza del 22 marzo 2006, in Giur. merito 2007, 1692. Nella stessa direzione anche il Tribunale di Napoli, ord. 8 maggio 2006, in Societˆ, 2008, 361. (31) Ci si permette di rinviare ancora a CONTALDO A., GORGA M., Il processo telematico, cit., 222 ss. (32) Ci si permette di rinviare CONTALDO A., GORGA M., Il processo civile telematico come occasione della diffusione delle best pratices nel settore giustizia, in Rass. Avv. Stato, IV, 2009, 322 ss. (33) Tribunale di Torino Ordinanza del 18 aprile 2006 in Giur. merito 2007, 1690. (34) Vedi BOMBARDELLI M., Il testo unico delle disposizioni sulla documentazione amministrativa, in Giorn. Dir. amm., 2001, 664 ss.; FERRARA M., MIELE T., PANASSIDI G., VOLPE I., La documentazione amministrativa, Milano, 2001, 92 ss. (35) Tribunale de lĠAquila Ordinanza del 22 febbraio 2006 in Foro it. 2006, 1, 1551. (36) Tribunale di Bologna Ordinanza del 15 giugno 2005, in Giur. it. 2006, 1242. (37) Cassazione civile 25 marzo 2003 n. 4319, Foro it., 2003, I, 2358 secondo cui, tale forma di di notificazione sebbene autorizzata dallĠA.G. non pu˜ prescindere dai requisiti essenziali della notificazione, quali la certificazione per iscritto delle attivitˆ dellĠufficiale giudiziario, la consegna di copia conforme dellĠatto, lĠosservanza di formalitˆ idonee a garantire la conoscenza legale del medesimo e un grado di certezza non inferiore a quello offerto dai procedimenti ordinari, con la conseguente inesistenza della notifica effettuata via fax. (38) Cass. civ., I sez., sentenza n. 6377/1988. (39) Cass. civ. II sentenza, n. 3068/1987. processuale (40). Per la Corte di Cassazione la nullitˆ dellĠatto processuale si determina quando la violazione di norme attinenti ai requisiti formali, sia cos“ grave da rendere lĠatto non idoneo al raggiungimento del suo scopo processuale cui  destinato, fatto comunque salvo il raggiungimento dello scopo nel caso concreto. E proprio nellĠambito della categoria della nullitˆ, e non del- lĠinesistenza, la Suprema Corte ha iscritto la notifica di un atto processuale effettuata da soggetto non abilitato, in quanto al di fuori della previsione di cui alla legge n. 53 del 1994, che consente allĠavvocato munito di regolare procura ed alle specifiche condizioni ivi previste, di procedere a notifica, in via del tutto eccezionale ed in deroga alla notifica a mezzo ufficiale giudiziario (41). Quindi anche lĠattivitˆ di notificazione svolta dagli avvocati ai sensi della legge n. 53 del 1994, in assenza dei requisiti previsti dalla legge, determina nullitˆ della notifica, sanabile con la costituzione (42). Orbene tutta questa contraddittoria giurisprudenza e lĠincertezza dottrinale pare trovare fondamento nella non corretta comprensione della natura dellĠe-mail (43). Si ritiene, pertanto, utile illustrare in questa sede alcune nozioni fondamentali e preliminarmente sulla PEC, che eliminando in radice lĠincertezza genetica dellĠe-mail ne ha reciso ogni possibile fraintendimento in ordine al suo valore legale. Orbene internet pu˜ qui essere rappresentato come un binario (telefonico) sul quale, cos“ come sul binario dei treni, passano pi convogli tra loro diversi benchŽ sempre sugli stessi binari, cos“ anche sul canale telefonico possono passare servizi tra loro diversi. Di questi servizi che passano sulla rete Internet i pi noti sono il Word Wide Web (www), Chat, Mailing List; la e-mail e tanti altri che per comoditˆ espositiva qui non elenchiamo. Ora venendo al nostro discorso  da dire che la e-mail  costruita, come protocollo, da un nome utente - che individua il soggetto registrato - da un at @ (o chiocciolina) che sta ad indicare che lĠutente  presso un determinato indirizzo IP ossia un dominio comunemente elencato sotto le forme di .it (per la nazionalitˆ o paese di riferimento), .com (per quanto attiene ad una attivitˆ commerciale), .org (se una organizzazione, che sta a rappresentare appunto, secondo la scelta fatta o la nazionalitˆ o il tipo di servizio reso). Giˆ lĠart. 45 CAD aveva previsto che i documenti trasmessi con qualsiasi mezzo informatico o telematico soddisfano il requisito della forma scritta, tuttavia  solo con lĠart. 48 CAD (44) che  stato previsto che la trasmissione del docu (40) Cass. civ. I sentenza, n. 12002/1998. (41) Idem Tribunale di Foggia 21 aprile 2006, in Giur. merito, 2007, 692, secondo la quale decisione la notifica telematica a mezzo e-mail o fax non richiede il necessario intervento dellĠufficiale giudiziario. (42) Cass. civ. I sentenza, n. 10208/2004. (43) Mail in Inglese significa posta, e-mail significa posta elettronica che viaggia tramite Internet. Per una panoramica giuridica delle problematiche al riguardo vedi BASSOLI E., Fondamenti di diritto della comunicazione elettronica, cit., 208 ss. mento informatico per posta elettronica certificata equivale, nei casi consentiti dalla legge alla notificazione per mezzo della posta. Quindi con la PEC la trasmissione dˆ certezza legale ma lo  solo per i casi in cui tale trasmissione sia considerata forma legale in modo espresso da una disposizione di legge. (44) Vedi BELISARIO E., La disponibilitˆ dei dati delle pubbliche amministrazioni nel Codice dellĠ amministrazione digitale, in Inform. Dir., 2005, n. 1-2, 165 ss. Le nuove procedure di conciliazione dopo il Collegato lavoro e la riforma Fornero Matteo Maria Mutarelli* SOMMARIO: 1. La conciliazione nei rapporti di lavoro. Considerazioni preliminari. - 2. Cenni sullĠevoluzione del tentativo di conciliazione. - 3. La nuova conciliazione amministrativa dopo la l. n. 183/2010. - 4. Le novitˆ per la conciliazione sindacale e giudiziale. - 5. Le residue ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione. - 6. Il nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione antecedente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 1. La conciliazione nei rapporti di lavoro. Considerazioni preliminari. In mancanza di una definizione legislativa univoca di conciliazione, appare opportuno descriverne il contenuto in relazione allĠobiettivo di tale strumento, ovvero la composizione di una lite, attraverso la partecipazione di un soggetto terzo indipendente, alternativamente ai procedimenti giudiziari cui lĠordinamento normalmente devolve la tutela dei diritti e la definizione delle relative controversie. é evidente che con il termine ÇconciliazioneÈ ci si pu˜ riferire a due diverse fattispecie: 1) la conciliazione-procedimento, ovvero lĠattivitˆ, variamente procedimentalizzata attraverso interventi regolatori, per mezzo della quale le parti possono trovare una composizione dei propri divergenti interessi; 2) la conciliazione-negozio, ossia lĠatto negoziale, che si compie a valle del procedimento conciliativo, il quale determina la risoluzione della controversia e che al suo interno pu˜ contenere variegate tipologie di atti giuridici (ad esempio rinunzie e transazioni, negozi di accertamento, riconoscimenti debitori). Sul piano generale si distingue tra diverse tipologie di conciliazione in relazione alla sede (giudiziale/extragiudiziale), alla composizione dellĠorgano conciliativo (collegiale/ monocratica), al ruolo svolto dal conciliatore (facilitativa/ aggiudicativa), alla eventuale correlazione con la successiva fase processuale (facoltativa/obbligatoria). Nel diritto del lavoro le conciliazioni assumono un particolare rilievo in relazione alle previsioni contenute nellĠart. 2113 c.c. (come risultanti a seguito dellĠintervento di riforma operato dalla legge n. 533/1973). ComĠ noto tale disposizione stabilisce, da una parte, che le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni in (*) Ricercatore di Diritto del lavoro, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dellĠUniversitˆ degli Studi di Napoli Federico II. Il presente scritto  la Relazione dellĠAutore al Convegno ÇLa conciliazione e lĠarbitrato in materia di lavoroÈ, promosso da C.L.A.A.I. - Associazione dellĠartigianato e della piccola e media impresa. Napoli 3 dicembre 2013. LĠAutore ringrazia Teleconsul. derogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui allĠart. 409 del codice di procedura civile, non sono valide; dallĠaltra parte, che lĠimpugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia e della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima; dallĠaltra parte ancora, che le predette rinunzie e transazioni possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontˆ di porre nel nulla tali atti. Ebbene, il comma 4 dellĠart. 2113 c.c. stabilisce che le norme contenute nei primi tre commi della disposizione non si applicano alle conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 c.p.c., nonchŽ a quelle intervenute ai sensi degli artt. 412-ter e 412quater c.p.c. (le ultime due fattispecie sono state inserite a seguito dellĠintervento della legge n. 183/2010, c.d. Collegato lavoro). Inoltre, ai sensi di quanto oggi espressamente previsto dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 124/2004, i primi tre commi dellĠart. 2113 c.c. non si applicano neanche al verbale sottoscritto dalle parti nellĠambito della conciliazione monocratica o della conciliazione promossa a seguito di diffida accertativa. In tutte queste ipotesi, pertanto, la conciliazione  inoppugnabile e rende intangibili i rapporti obbligatori come definiti dalle parti (salvi, naturalmente, sul piano oggettivo, i diritti assolutamente indisponibili e, sul piano soggettivo, i vizi della volontˆ). 2. Cenni sullĠevoluzione del tentativo di conciliazione. Va evidenziato come, nel sistema originariamente delineato dalla legge n. 533/1973, le esclusioni previste dal quarto comma dellĠart. 2113 c.c. riguardassero, oltre la conciliazione giudiziale, due forme di conciliazione facoltativa: quella sindacale, da sempre variamente disciplinata dalla contrattazione collettiva, e quella amministrativa, introdotta proprio dalla legge n. 533/73. Negli anni Ġ90 del secolo scorso, tuttavia, il legislatore ha introdotto lĠobbligatorietˆ del tentativo di conciliazione in sede sindacale ed amministrativa, dapprima limitatamente allĠimpugnazione giudiziale dei licenziamenti individuali nei rapporti di lavoro alle dipendenze di imprese che occupano sino a 15 dipendenti (art. 5, legge n. 108/1990), poi generalizzando tale scelta per tutte le controversie di lavoro (art. 36, d.lgs. n. 80/1998, e art. 19, comma 8, d.lgs. n. 387/1998, che hanno riscritto gli artt. 410 e ss. c.p.c.) ed anche per le controversie dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (assoggettati, tuttavia, ad una specifica disciplina con larghi tratti differenziali, artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165/2001). Il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui al rinnovato art. 410 c.p.c. si configurava, quindi, quale condizione di procedibilitˆ della domanda, la cui carenza, cio, comportava la sospensione del processo in attesa dellĠesperimento della procedura conciliativa e della successiva riassunzione. LĠapplicazione pratica del tentativo obbligatorio di conciliazione, tuttavia, ha evidentemente fallito il suo scopo. Da una parte, durante la sua vigenza, i benefici deflattivi si sono rivelati assai modesti, dallĠaltra lĠistituto della conciliazione obbligatoria ha di fatto realizzato una dilatazione dei tempi del processo. Sostanzialmente lĠesperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione si risolveva nellĠassolvimento di un mero adempimento burocratico. Da pi parti, dunque, si  invocata una riforma del tentativo di conciliazione che fosse in grado di rilanciare la funzione deflattiva dellĠistituto, e in questo quadro  intervenuto lĠart. 31 della legge n. 183/2010, il quale ha definito una disciplina ampiamente innovativa (concretizzatasi, sul piano delle fonti, nella riscrittura degli artt. 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater c.p.c. e del comma 4 dellĠart. 2113 c.c., e nellĠabrogazione degli artt. 410-bis e 412bis c.p.c.) che ne ha, da una parte, reintrodotto la facoltativitˆ, dallĠaltra, moltiplicato le sedi conciliative (art. 31, comma 13, legge n. 183/2010) e, dallĠaltra ancora, dettato una disciplina uniforme per il lavoro pubblico e privato (gli artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165/2001 sono stati, infatti, abrogati). 3. La nuova conciliazione amministrativa dopo la l. n. 183/2010. Per lĠattivazione della procedura prevista per il nuovo tentativo di conciliazione in sede amministrativa  necessario che lĠistante faccia pervenire alla Commissione di Conciliazione, da individuarsi con i criteri di competenza stabiliti dallĠart. 413 c.p.c., una comunicazione scritta. Tale comunicazione va consegnata oppure inviata per raccomandata a.r. ed una copia va parimenti consegnata o spedita con raccomandata a.r. anche alla controparte. é possibile, altres“, lĠinoltro per il tramite di una associazione sindacale, tuttavia  sempre necessario che la parte sottoscriva lĠistanza personalmente (art. 410, comma 5, c.p.c.). Le Commissioni di conciliazione sono presiedute dal direttore della Direzione territoriale del lavoro o da un suo delegato, oppure da un magistrato collocato a riposo; gli altri componenti sono costituiti da quattro rappresentanti effettivi e quattro supplenti dei datori di lavoro, 4 rappresentanti effettivi e 4 supplenti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale. Ove se ne manifesti lĠopportunitˆ,  altres“ consentito alle Commissioni di articolarsi in sottocommissioni, che devono rispettare la composizione paritaria dei rappresentanti delle diverse parti ed essere comunque presiedute dal direttore o da un suo delegato. In ogni caso per la validitˆ della riunione  necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e dei lavoratori. La richiesta di esperire il tentativo di conciliazione deve contenere (art. 410, comma 6, c.p.c.): i dati anagrafici e la residenza dellĠistante e del convenuto ovvero la denominazione e la sede per le persone giuridiche, le associazioni e i comitati; il luogo dove il rapporto di lavoro  sorto, o dove si trova lĠazienda o la dipendenza alla quale  (o era) addetto il lavoratore, necessario ai fini di determinare la competenza territoriale ex art. 413 c.p.c.; il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni relative alla procedura; lĠesposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa. Deve rilevarsi, a tale ultimo proposito, come la norma abbia omesso di indicare tra i contenuti essenziali dellĠistanza il petitum; non pu˜ non ritenersi, tuttavia, che lĠoggetto della domanda debba essere sempre determinato nellĠistanza, sia pure con margini di elasticitˆ. Quanto agli effetti sostanziali e processuali, ai sensi dellĠart. 410, comma 2, c.p.c., la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende ogni termine decadenziale per tutta la durata del tentativo di conciliazione nonchŽ per i venti giorni successivi. La previsione non chiarisce se la produzione di tali effetti consegua allĠinvio della comunicazione sia alla Commissione di conciliazione sia alla controparte. In proposito, in applicazione delle regole civilistiche che disciplinano in generale gli istituti della prescrizione (artt. 2943 e ss. c.c.) e della decadenza (artt. 2965 e ss. c.c.), sembra potersi distinguere tra lĠeffetto interruttivo della prescrizione, che potrˆ prodursi anche ove la comunicazione sia inviata esclusivamente alla controparte (sempre che, naturalmente, dallĠistanza risulti adeguatamente determinabile lĠoggetto della domanda), e la sospensione della decadenza, per la quale sarˆ sempre necessario trasmettere la richiesta alla Commissione di conciliazione. Per la valida instaurazione del contraddittorio  necessario il deposito presso la Commissione da parte della controparte di una memoria difensiva, contenente difese ed eccezioni in fatto e in diritto nonchŽ lĠeventuale domanda riconvenzionale, entro venti giorni dal ricevimento della copia dellĠistanza. In mancanza il tentativo si riterrˆ implicitamente non accettato e, decorsi i venti giorni, ciascuna parte  libera di adire lĠautoritˆ giudiziaria (art. 410, comma 7, c.p.c.). Deve ritenersi ammissibile, altres“, che la controparte, anticipatamente rispetto allo spirare dei venti giorni decorrenti dalla ricezione della copia dellĠistanza, formalizzi espressamente il proprio rifiuto alla Commissione ed anche alla parte istante, determinando cos“ lĠanticipata cessazione del tentativo e dei suoi effetti. In caso di accettazione del tentativo di conciliazione, entro dieci giorni la Commissione fissa la comparizione delle parti da tenersi entro i successivi trenta giorni e, ove il tentativo abbia esito positivo, sia pure parzialmente, se ne redige verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione. Il verbale non costituisce titolo esecutivo ma assume tale efficacia a seguito del decreto del giudice emesso su istanza di parte (art. 411, comma 1, c.p.c.). In caso, invece, di esito negativo del tentativo, la Commissione deve procedere alla formulazione di una proposta transattiva che, se non accettata,  riassunta in un verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti (art. 411, comma 2, c.p.c.). é evidente che la funzione del verbale di mancato accordo  quella di cristallizzare lĠemersione delle responsabilitˆ. Il giudice dellĠeventuale giudizio successivamente instaurato, infatti, per espressa previsione normativa, deve tenere conto Çin sede di giudizioÈ della proposta formulata dalla Commissione qualora non accettata senza adeguata motivazione, ossia -  da ritenersi - deve tenerne conto per la determinazione delle spese (art. 91 c.p.c.) ed anche per trarne argomenti di prova (art. 116 c.p.c.). Inoltre, in qualunque fase del tentativo di conciliazione le parti possono accordarsi per la risoluzione arbitrale della lite, affidando alla stessa Commissione innanzi alla quale si sta tenedo il tentativo di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia (art. 412 c.p.c.). Infine, va rimarcato come lĠart. 31, comma 13, l. n. 183/2010, abbia esteso la possibilitˆ di esperire il tentativo di conciliazione di cui allĠart. 410 c.p.c. anche presso le sedi degli organi di certificazione di cui allĠart. 76 del d.lgs. n. 276/2003, ovvero gli enti bilaterali (territoriali e/o nazionali), le province, le universitˆ pubbliche e private comprese le fondazioni universitarie, la Direzione generale del Ministero del lavoro (in talune ipotesi), i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro nellĠambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. 4. Le novitˆ per la conciliazione sindacale e giudiziale. Tra le norme riscritte dallĠart. 31, l. n. 183/2010, ve ne sono due che si occupano espressamente delle conciliazioni sindacali, lĠart. 411, comma 3, e lĠart. 412-ter c.p.c. LĠart. 412-ter c.p.c. stabilisce che la conciliazione pu˜ essere svolta presso le sedi e con le modalitˆ previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Tale norma, dunque, innanzitutto ribadisce la piena legittimitˆ e lĠefficacia delle conciliazioni sindacali, previsione rafforzata da quanto si legge nellĠart. 411, comma 3, c.p.c., secondo il quale se il tentativo si  svolto in sede sindacale ad esso non si applicano le previsioni di cui allĠart. 410 c.p.c., previsione questĠultima dalla quale sembra potersi desumere una sorta di completa immunitˆ delle conciliazioni sindacali rispetto al procedimento della conciliazione amministrativa che, se da una parte appare idonea ad esaltarne la duttilitˆ, dallĠaltra lascia facilmente preconizzare una preferenza per il ricorso a tale strumento da parte degli operatori. A ben guardare, comunque, dal rinnovato assetto normativo emerge anche una maggiore formalizzazione rispetto al passato, in quanto dalle disposizioni di legge si desume la necessitˆ che le conciliazioni sindacali si svolgano nel pieno rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi in ordine sia alle sedi sia alle modalitˆ procedimentali del tentativo di conciliazione. Per il conseguimento degli effetti di cui allĠart. 2113, comma 4, c.c., inoltre, risultano abilitate solo le conciliazioni sindacali previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, requisito evidentemente imposto dal legislatore, in considerazione della pi ampia attendibilitˆ di tale soggetti, al fine di contrastare prassi lassiste largamente emerse in passato. Quanto al livello, nazionale, territoriale o aziendale, dei contratti collettivi, nel silenzio della legge appare preferibile, anche in virt di elementari esigenze di affidabilitˆ, ritenere che la norma si riferisca esclusivamente alle procedure di conciliazione sindacale introdotte dai contratti collettivi nazionali. Naturalmente, anche dopo lĠintervento della legge n. 183/2010, devono ritenersi ferme le acquisizioni giurisprudenziali in tema di conciliazione sindacale, e in particolare la necessitˆ per la piena validitˆ della conciliazione della biunivocitˆ ed effettivitˆ dellĠassistenza sindacale ricevuta dalle parti. Sul punto, da ultimo, si  espressa Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024, la quale ha enunciato il seguente principio di diritto: Çper il combinato disposto dellĠart. 2113 c.c. e degli artt. 410 e 411 c.p.c., le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113 c.c., commi 2 e 3, solo a condizione che lĠassistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dallĠatto si evinca la res dubia oggetto della lite (in atto o potenziale) e le Òreciproche concessioniÓ in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dellĠart. 1965 c.c.È. In caso di esito positivo della conciliazione sindacale, lĠart. 411, comma 3, c.p.c. dispone la redazione del verbale ed il suo successivo deposito presso la Direzione territoriale del lavoro, anche per il tramite dellĠassociazione sindacale; quindi il Direttore della DTL, accertatane lĠautenticitˆ, deve provvedere al deposito presso la cancelleria del Tribunale competente. Anche in tal caso, per lĠattribuzione al verbale dellĠefficacia di titolo esecutivo,  necessario il decreto del giudice, che potrˆ provvedere su istanza di parte e previo accertamento della regolaritˆ formale del verbale (cos“, ancora, lĠart. 411, comma 3, c.p.c.). La conciliazione giudiziale, a sua volta,  disciplinata dagli artt. 185 e 420, comma 1, c.p.c. Si tratta della conciliazione che il giudice del lavoro, allĠudienza di discussione, tenta dopo aver interrogato liberamente le parti presenti. Anche per tale istituto vi sono alcune novitˆ. LĠart. 31, comma 4, legge n. 183/2010, innanzitutto, ha inserito allĠart. 420, comma 1, c.p.c. la previsione secondo cui il giudice non pu˜ pi limitarsi a facilitare lĠeventuale ÒspontaneaÓ conciliazione delle parti o a registrarne la volontˆ negativa ma deve formulare ad esse anche una propria proposta transattiva. Se ne desume un significativo cambiamento del ruolo del giudice, il quale assume anche una funzione valutativa, la quale si presenta alquanto opinabile in relazione alla necessaria im parzialitˆ e terzietˆ degli organi giudicanti. Naturalmente la proposta transattiva giudiziale pu˜ essere diversa da quella emersa nellĠeventuale fase conciliativa precedente. Il secondo periodo del comma 1 dellĠart. 420 c.p.c., come modificato dallĠart. 31, comma 4, legge n. 183/2010, stabilisce, poi, che il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio, formula con la quale, non diversamente da quanto osservato in relazione al verbale di mancato accordo redatto a seguito del tentativo di conciliazione amministrativa, il legislatore ha inteso riferirsi alla determinazione delle spese di giudizio (art. 91 c.p.c.) ed agli argomenti di prova desumibili dal contegno processuale delle parti (art. 116 c.p.c.). Se la conciliazione riesce si redige verbale, che ha immediatamente efficacia di titolo esecutivo (art. 420, comma 3, c.p.c.) senza necessitˆ di ulteriori adempimenti data la sede in cui si realizza. Infine, va segnalata lĠintroduzione ad opera della legge n. 183/2010 di una conciliazione del tutto innovativa, quella prevista dal rinnovato art. 412quater c.p.c. che disciplina la possibilitˆ per le parti di ricorrere ad un Collegio di conciliazione ed arbitrato. In proposito pu˜ osservarsi come, in realtˆ, la norma disciplini una particolare modalitˆ di devoluzione della controversia ad arbitri, con la procedimentalizzazione di un previo tentativo di conciliazione che il Collegio deve espletare. 5. Le residue ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione. A fronte della generalizzata eliminazione del carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione, disposta in favore della facoltativitˆ dal nuovo art. 410 c.p.c. introdotto dal Collegato lavoro, il comma 2 dello stesso art. 31, legge n. 183/2010 precisa che Çil tentativo di conciliazione di cui allĠart. 80, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,  obbligatorioÈ. Si tratta del previo tentativo di conciliazione prescritto a carico di chi intenda ricorrere in giudizio contro la certificazione, introdotto dal legislatore del 2003 come variante del tentativo obbligatorio di conciliazione allĠepoca prescritto per tutte le controversie di lavoro, caratterizzato dalla circostanza di doversi necessariamente svolgere innanzi alla stessa commissione di certificazione responsabile dellĠemissione dellĠatto in contestazione. Le ragioni che hanno indotto il legislatore del Collegato lavoro a salvaguardare espressamente la natura obbligatoria di tale tentativo di conciliazione vanno inquadrate nellĠambito del pi generale disegno di rilancio dellĠistituto della certificazione perseguito dalla legge n. 183/2010. Tuttavia, modalitˆ, procedimento ed effetti interruttivi e sospensivi del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui allĠart. 80, comma 4, d.lgs. n. 276/2003, non trovano nella legge una specifica disciplina, per cui devono ri tenersi applicabili, nei limiti di compatibilitˆ, le regole disposte in generale per il tentativo facoltativo oggi vigente. Considerata, poi, la natura obbligatoria del tentativo, appare scontato che il giudice adito debba rilevarne dĠufficio lĠeventuale mancato esperimento. Il legislatore, tuttavia, avrebbe fatto bene ad occuparsi espressamente delle conseguenze dellĠomissione di tale tentativo di conciliazione, dal momento che lĠabrogazione dellĠart. 412-bis c.p.c., disposta dallĠart. 31, comma 16, l. n. 183/2010, ha tranciato di netto la disciplina di riferimento. In mancanza di norme di riferimento, innanzitutto, non sembra potersi dubitare che tale tentativo di conciliazione sia prescritto a pena di improcedibilitˆ, e non di improponibilitˆ, della domanda. In questo senso milita innanzitutto la circostanza che, quando  stato introdotto, lo speciale tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie inerenti alle certificazioni rappresentava un segmento del tentativo obbligatorio di conciliazione di applicazione generalizzata per tutte le controversie di lavoro, della cui riconducibilitˆ alle condizioni di procedibilitˆ non poteva dubitarsi stante il chiaro dettato dellĠart. 412-bis, comma 1, c.p.c. Pertanto, in mancanza di esplicite indicazioni normative in senso contrario, sembra logico ritenere che il legislatore abbia inteso preservare lĠistituto cos“ comĠera. Una tale conclusione, poi, appare obbligata ove si ritenga il condizionamento dellĠazione connesso allĠimproponibilitˆ in contrasto con i principi costituzionali. ComĠ noto, infatti, in caso di improcedibilitˆ la litispendenza sopravvive al vizio e, a seguito della sanatoria, attraverso un semplice atto di impulso (ossia la riassunzione) il processo pu˜ riprendere il suo corso, con conseguente consolidamento di tutti gli effetti riconducibili alla domanda al momento della sua originaria formulazione; in caso di improponibilitˆ, invece, la litispendenza cessa e, con essa, tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda, i quali possono conservarsi esclusivamente qualora il processo si concluda con una sentenza di merito. Se ne deduce che il meccanismo dellĠimproponibilitˆ, a differenza dellĠimprocedibilitˆ, si pone in contrasto con il dettato dellĠart. 24 Cost., comportando lĠespropriazione di un mezzo della tutela giurisdizionale dei diritti come la domanda e lĠimmediatezza dei suoi effetti, volti ad impedire che il decorso del tempo possa estinguere un diritto soggettivo (in termini giˆ Corte cost. 4 marzo 1992, n. 82). Quanto alle conseguenza dellĠomissione, poi,  necessario colmare in via interpretativa il vuoto determinato dallĠabrogazione dellĠart. 412-bis c.p.c. circa la sospensione del giudizio, la fissazione di un termine per lĠassolvimento del tentativo, lĠobbligo di riassunzione del processo, dovendosi ritenere in insanabile conflitto con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dallĠart. 24 Cost. una sospensione del processo sine die. Invero, come giˆ prospettato in altra sede, sembra possibile lĠapplicazione della disciplina dettata dallĠart. 443 c.p.c. (a grandi linee coincidente con quella giˆ prevista dallĠabrogato art. 412 bis, comma 2, c.p.c.): tale disposizione, che trova applicazione in relazione alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, stabilisce: a) lĠimprocedibilitˆ della domanda fino allĠesaurimento dei procedimenti per la composizione in sede amministrativa (ovvero fino al decorso dei termini per il loro compimento); b) che il giudice che rileva l'improcedibilitˆ deve sospendere il giudizio e fissare (solo) all'attore un termine perentorio di sessanta giorni per rimuovere la condizione di improcedibilitˆ; c) che il processo deve essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di 180 giorni decorrente dalla cessazione della causa della sospensione. Infine, per completezza, va affrontata la questione se il dissolversi della generale obbligatorietˆ del tentativo di conciliazione lasci riemergere o meno il tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie relative a licenziamenti nelle imprese minori contenuto nellĠart. 5, legge n. 108/1990, che si riteneva implicitamente abrogato per effetto della sopravvenuta generalizzazione dellĠobbligatorietˆ del tentativo di conciliazione conseguente alla riscrittura degli artt. 410 e ss. c.p.c. operata dal d.lgs. n. 80/1998. Alla problematica sembra doversi rispondere negativamente, in quanto lĠavvenuta abrogazione, ad opera della legge n. 183/2010, della norma abrogatrice (ossia il testo dellĠart. 410 c.p.c. come novellato dal d.lgs. n. 80/1998) non appare idoneo a determinare la reviviscenza dellĠart. 5, legge n. 108/1990. Infatti deve escludersi il ritorno in vita di norma abrogata da norma a sua volta abrogata in considerazione della natura istantanea, definitiva e non retroattiva dellĠeffetto abrogativo, inidoneo perci˜ a rimuovere gli effetti prodotti da una precedente legge abrogatrice, potendosi al pi ammettere la reviviscenza di una norma abrogata solo allorchŽ venga disposta testualmente dal legislatore oppure nel caso in cui la norma abrogativa abbia come suo unico oggetto diretto una precedente norma espressamente ed esclusivamente abrogativa. In conclusione, pu˜ serenamente escludersi che lĠintervento della legge n. 183/2010 abbia comportato la ÒrisurrezioneÓ del tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie relative ai licenziamenti nelle imprese minori. 6. Il nuovo tentativo obbligatorio di conciliazione antecedente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. LĠart. 1, comma 40, della legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero), attraverso lĠintegrale riscrittura dellĠart. 7 della legge n. 604/1966, ha istituito una nuova procedura conciliativa da espletarsi obbligatoriamente prima dellĠintimazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Essa presenta lĠevidente finalitˆ, da un lato, di deflazionare il contenzioso e, dallĠaltro lato, di restringere gli spazi di aleatorietˆ dellĠeventuale giudizio, anticipando ad un momento antecedente al licenziamento lĠemersione di elementi che altrimenti potrebbero manifestarsi solo in sede di contenzioso (quali, ad esempio, le circostanze di fatto idonee a dimostrare la sussistenza e la non pretestuositˆ della ragione posta a base del licenziamento o, per altro verso, la presenza di eventuali posti disponibili per lĠassolvimento dellĠobbligo di rep.chage). Il nuovo tentativo di conciliazione ha una applicazione generalizzata nellĠarea coperta dalla tutela reintegratoria di cui allĠart. 18 St. lav., con le sole esclusioni dei licenziamenti per superamento del periodo di comporto, per fine lavoro nel settore edile e per quelli seguiti da nuove assunzioni nei cambi di appalto (art. 7, comma 6, legge n. 604/1966, come riscritto dallĠart. 7, comma 4, d.l. n. 76/2013, conv. dalla legge n. 99/2013). Merita di essere preliminarmente chiarito come tale procedimento condizioni solo la legittimitˆ, non la validitˆ, dellĠeventuale licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto dal datore. Sotto il profilo sanzionatorio, poi, qualora il licenziamento risulti effettuato in violazione della procedura conciliativa obbligatoria, il datore potrˆ essere condannato solo al pagamento di una indennitˆ risarcitoria compresa tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilitˆ dellĠultima retribuzione globale di fatto, secondo quanto previsto dal nuovo testo dellĠart. 18, comma 6, St. lav. come modificato dalla legge n. 92/2012, con esclusione, dunque, della reintegrazione (salva, naturalmente, la sussistenza di ulteriori profili relativi alla carenza della giustificazione del licenziamento stesso). La procedura deve essere avviata dal datore di lavoro con comunicazione scritta, da una parte, trasmessa alla Direzione territoriale del lavoro competente in base al luogo di svolgimento dellĠattivitˆ lavorativa, e, dallĠaltra parte, inviata per conoscenza al lavoratore interessato. La comunicazione datoriale deve esplicitare lĠintenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e deve includere i motivi del licenziamento nonchŽ le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore art. 7, commi 1e 2, legge n. 606/1966. La comunicazione, dunque, ha ad oggetto lĠintenzione di procedere al licenziamento e deve necessariamente precedere lĠeffettiva intimazione dello stesso. Una volta ricevuta la richiesta del datore di lavoro, la DTL deve convocare le parti entro il termine, espressamente definito perentorio, di sette giorni dalla ricezione della richiesta, indicando giorno e ora dellĠincontro da svolgersi innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione di cui allĠart. 410 c.p.c. (art. 7, comma 3, legge n. 606/1966). La mancata convocazione nel termine di sette giorni non inficia la legittimitˆ del licenziamento successivamente disposto e, qualora la convocazione sia disposta tardivamente, viene meno lĠobbligo per le parti di intervenire allĠincontro. In sostanza, in caso di convocazione tardiva da parte della DTL, lĠesperimento del tentativo di conciliazione da obbligatorio si trasforma in facoltativo, essendo del tutto rimessa alle parti la scelta se prendervi parte o meno. Ad ogni modo, la procedura conciliativa si estingue entro 20 giorni, comprensivi dei giorni necessari alla consegna delle raccomandate, che decorrono dal momento in cui la DTL ha effettuato la convocazione per lĠincontro. Tale termine pu˜ essere prorogato per un massimo di quindici giorni esclusivamente in caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a partecipare alla riunione, ovvero, stavolta senza limitazioni temporali, dalle parti di comune accordo ove queste ultime ravvisino lĠopportunitˆ di proseguire gli incontri in vista del raggiungimento dellĠaccordo. In altre parole, secondo quanto  possibile inferire dalla formulazione dellĠart. 7, comma 6, della legge n. 604/1966, indipendentemente dai risultati concretamente conseguiti nel corso della procedura, il decorso dei termini, vuoi per la convocazione, vuoi per lo svolgimento del tentativo di conciliazione, consente al datore di lavoro di intimare il licenziamento senza il rischio di subire la sanzione prevista dallĠart. 18, comma 6, St. lav. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza alle quali siano iscritte o abbiano conferito mandato, da un componente della rappresentanza sindacale che opera sul luogo di lavoro (r.s.a. o r.s.u.), da un avvocato o da un consulente del lavoro (art. 7, comma 5, legge n. 604/1966). Esse possono esaminare nellĠambito del tentativo conciliativo soluzioni alternative al recesso come, ad esempio, la risoluzione consensuale. Tale soluzione  incentivata dalla previsione (art. 7, comma 7, legge n. 604/1966) che, equiparando la condizione del lavoratore che abbia consensualmente risolto il contratto a quella del disoccupato involontario, gli garantisce la fruizione dellĠAspi in deroga alla disciplina generale. In tal caso  anche prevista la possibilitˆ di affidare il lavoratore, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, ad una delle agenzie per il lavoro disciplinate dallĠart. 4, comma 1, lett. a) e b) del d.lgs. n. 276/2003. Infine, sempre con riferimento alla risoluzione consensuale conclusa nellĠambito del nuovo tentativo di conciliazione di cui allĠart. 7, legge n. 604/1966, il Ministero del lavoro, con la circolare 16 gennaio 2013, n. 3, ha chiarito che ad essa non si applica la nuova procedura di convalida di cui allĠart. 4, comma 17, legge n. 92/2012. La Commissione di conciliazione  tenuta a formulare una propria proposta conciliativa ed a redigere un apposito verbale di conciliazione, come si desume dal comma 8 dellĠart. 7, legge n. 604/1966. La stessa disposizione stabilisce altres“ che il giudice dellĠeventuale giudizio successivamente instaurato deve tener conto del comportamento delle parti nella fase conciliativa, oltre che per la definizione delle spese legali (art. 91 c.p.c.), anche per la determinazione della nuova indennitˆ risarcitoria per il licenziamento ingiustificato prevista dallĠart. 18, comma 7, St. lav. Infine, allo scopo di prevenire possibili comportamenti opportunistici od ostruzionistici da parte del lavoratore, lĠart. 1, comma 41, della legge n. 92/2012, ha stabilito che il licenziamento intimato allĠesito del nuovo procedimento conciliativo produce comunque effetto a partire dal giorno della co municazione con cui il tentativo  stato avviato, salvo lĠeventuale diritto del lavoratore al periodo di preavviso ovvero alla relativa indennitˆ sostitutiva, e che gli effetti del licenziamento restano sospesi solo in caso di impedimento del lavoratore derivante da infortunio sul lavoro ovvero in relazione alle sospensioni disposte dal d.lgs. n. 151/2001 (Testo unico per la tutela della maternitˆ e paternitˆ). Finito di stampare nel mese di maggio 2014 Servizi Tipografici Carlo Colombo s.r.l. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma