ANNO LXVIII - N. 2 APRILE - GIUGNO 2016 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello - Lorenzo DĠAscia - Gianni De Bellis - Francesco De Luca - Wally Ferrante - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Domenico Andracchio, Giuseppe Arpaia, Francesco Cecchini, Maria Luisa Costanzo, Luca DellĠOsta, Fabio Fasani, Emanuela Antonia Favara, Adriana Lagioia, Grazia Maggi, Luigi Maruotti, Glauco Nori, Stefano Pizzorno, Dadiv Romei, Francesco Scardino. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Emanuela Antonia Favara, Corte di Giustizia e res iudicata: abbattute le colonne dĠErcole?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Glauco Nori, I rifugiati: non sarebbe il caso di ricordare la normativa? Luca DellĠOsta, LĠatto amministrativo contrario al diritto dellĠUnione europea nellĠalto mare aperto: un intervento legislativo per conciliare supremazia del diritto europeo e i principi di certezza e affidamento . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Grazia Maggi, Enti lirici. La sentenza della Corte Costituzionale n. 260 del 2015. Una lettura interpretativa e riflessi sui contenziosi pendenti (C. Cost., sent. 11 dicembre 2015 n. 260) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Adriana Lagioia, LĠonere della prova del chiamato allĠereditˆ e la sua capacitˆ di rappresentare lĠereditˆ in giudizio (Cass. civ., Sez. V, sent. 23 marzo 2016 n. 5750) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Scardino, LĠuso illegittimo dellĠautovettura di servizio (Cass. pen., Sez. VI, sent. 31 marzo 2016 n. 13038). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Arpaia, Sospensione del processo ed individuazione del termine di decorrenza dellĠatto di riassunzione rispetto ad una parte non presente nel giudizio pregiudiziale (C. app. Napoli, Sez. I civ., sent. 23 giugno 2016 n. 2533). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Pizzorno, LĠestensione della tutela di rifugiato per una caratteristica fondamentale dellĠidentitˆ (Trib. Palermo, Sez. I civ., ord. 11 aprile 2016). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Cecchini, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza e bancarotta. La legittimazione alla costituzione di parte civile del Ministero dello Sviluppo Economico. . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Glauco Nori, Uno dei problemi provocati dal Òbail inÓ . . . . . . . . . . . . . Maria Luisa Costanzo, La tutela dei beni superindividuali: evoluzione normativa e giurisprudenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Domenico Andracchio, Lo ÒStato-autoproduttoreÓ. Dalle origini giurisprudenziali alla codificazione dellĠin house providing. . . . . . . . . . . . . . Francesco Meloncelli, Il valore doganale nel Òtransfer pricingÓ . . . . . . Alfonso Mezzotero, David Romei, Gli effetti dellĠannullamento dellĠaggiudicazione sul contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ŬŬ 51 ŬŬ 62 ŬŬ 73 ŬŬ 92 ŬŬ 105 ŬŬ 120 ŬŬ 130 ŬŬ 136 ŬŬ 159 ŬŬ 162 ŬŬ 171 ŬŬ 229 ŬŬ 253 RECENSIONI Alfonso Mezzotero, David Romei, Il patrocinio delle Pubbliche Amministrazioni. La Difesa innanzi alle Giurisdizioni Ordinarie e Speciali Prefazione del dott. Luigi Maruotti, CSA Editrice, 2016. . . . . . . . . . . . . pag. 277 Fabio Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, CEDAM, 2016. . . . ŬŬ 281 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Corte di Giustizia e res iudicata: abbattute le colonne dĠErcole? Emanuela Antonia Favara* SOMMARIO: INTRODUZIONE - (IN)TANGIBILITË DEL GIUDICATO NAZIONALE. UN ASSIOMA APPARENTE? I.I. - Concettualizzazione della res iudicata - I.II. La cosa giudicata sostanziale nellĠordinamento italiano - I.III. La cosa giudicata formale nellĠordinamento italiano - I.IV. Profili di ÒingiustiziaÓ del giudicato - I.V. Ingiustizia per contrarietˆ al diritto comunitario - I.VI. La problematica gestione del precedente - I.VII. LĠattivismo giudiziale della Corte di Giustizia I.VIII. La Corte di Giustizia e lĠautonomia degli Stati membri - I.IX. Percorso dellĠanalisi. PARTE PRIMA - LA RESPONSABILITË DELLO STATO PER LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELLĠUNIONE EUROPEA (Sentenze Francovich (C-6/90), Brasserie du pecheur e Factortame (C-46/93 e C48/ 93) e Kšbler (C-224/01). 1.1. Le peculiaritˆ del caso Francovich - 1.2. Ulteriori riflessioni in materia di responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto comunitario -1.3. Violazione sufficientemente grave e manifesta: un argine autoimposto? - 1.4. Funzionalizzazione della responsabilitˆ statale - 1.5. Verso la sistematizzazione della responsabilitˆ - 1.6. Le funzioni della responsabilitˆ e le esigenze individuali - 1.7. Rischi di una elaborazione volutamente imprecisa - 1.8. LĠapparente unitarietˆ della responsabilitˆ - 1.9. Decentralizzazione e garanzia di un ricorso effettivo - 1.10. Riflessi sul principio di intangibilitˆ della res iudicata. PARTE SECONDA - CORTE DI GIUSTIZIA E RES IUDICATA: CRONACA DI UN BLANDO TRAVOLGIMENTO (Sentenze Eco Swiss (C-126/97); KŸhne & Heitz (C-453/00); Kapferer (C-234/04); Lucchini (C-119/05); Fallimento Olimpiclub (C-2/08); Pizzarotti (C-213/13). 2.1. Le pronunce (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. Il presente studio  un estratto della Tesi di Diploma di Licenza Magistrale della Scuola Superiore dellĠUniversitˆ di Catania, difesa il 14 dicembre 2015. (Relatore Chiar.mo Prof. Andrea Bettetini Universitˆ degli Studi di Catania, Controrelatore Chiar.mo Prof. Marco Pedrazzi - Universitˆ degli Studi di Milano). LĠAutrice rivolge un particolare ringraziamento, per i puntuali e preziosi spunti di ricerca, agli Avvocati dello Stato Anna Collabolletta e Paolo Gentili. delle Corti europee e lĠintrusione nella sovranitˆ statale - 2.2. Una ingerenza necessitata 2.3. Tre filoni interpretativi - 2.4. Corte di Giustizia e giudicato nazionale. Lesione di principi? - 2.5. Una nuova chiave di lettura dei rapporti fra ordinamenti - 2.6. Uno scontro evitabile 2.7. Il caso Pizzarotti: rilievi della sentenza della Corte nella considerazione del giudice remittente - 2.8. Limiti del risarcimento in forma specifica e responsabilitˆ civile dei magistrati: la chiusura del cerchio. CONSIDERAZIONI FINALI. INTRODUZIONE (IN)TANGIBILITË DEL GIUDICATO NAZIONALE. UN ASSIOMA APPARENTE? I.I. Concettualizzazione della res iudicata. LĠautoritˆ di res iudicata conferisce allĠoggetto del giudizio immutabilitˆ ed incontrovertibilitˆ sostanziali e processuali. Il concetto di cosa giudicata, infatti, racchiude in sŽ due aspetti, due facce (1) della stessa giuridica medaglia: il passaggio in cosa giudicata comporta, in genere, la preclusione di mezzi di revisione della sentenza e, altres“, lĠimmutabilitˆ della statuizione contenuta nella sentenza stessa, anche nei termini della sua influenza sulle vicende giuridiche collegate a quella oggetto del giudicato. Per Chiovenda (2), la Çcosa giudicata consiste nellĠindiscutibilitˆ dellĠesistenza della volontˆ concreta di legge affermata nella sentenzaÈ: ci˜ significa che nella sentenza passata in giudicato si incarna la norma generale ed astratta sotto la quale  sussumibile il caso concreto, conferendo alla stessa la natura di regola applicabile per la risoluzione dello stesso (3). Ci˜ risponde a criteri di certezza ed economicitˆ, sicchŽ non dovrebbe pi essere ammesso ritornare su quanto  coperto dallĠefficacia del giudicato, pena anche la delusione dellĠaffidamento ingenerato su una statuizione che, per le particolari contingenze che ne hanno determinato lĠimmutabilitˆ, ha meritato lĠassunzione nellĠempireo dei concetti (4). Nel quadro di scambi naturali e obbligati tra i giudici nellĠUnione europea, il concetto di giudicato si veste di nuovi colori, in ragione dei confronti incrociati tra le statuizioni delle giurisdizioni nazionali, prime e naturali detentrici del monopolio applicativo del diritto dellĠUnione e quelle della Corte di Giustizia, cui  riservata lĠinterpretazione dello stesso. (1) Cos“ FAZZALARI E., Processo Civile, in Enc. Dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, 189. (2) CHIOVENDA G., Principi di diritto processuale civile, Napoli, Jovene, 1980, 906. (3) CHIOVENDA G., ivi, 907. (4) Alla stregua della nota corrente della Begriffsjurisprudenz (giurisprudenza dei concetti), secondo la quale lĠinterprete dovrebbe far riferimento esclusivamente a quanto, astratto dalle contingenze eteronome provenienti dal corpo sociale, sia concepibile come concetto giuridico puro. Tali circostanze, pi che minare la rilevanza del fenomeno (5), ne richiedono una pi attenta analisi, nei termini della sua incidenza sui rapporti disciplinati dal diritto dellĠUnione e sulla sua capacitˆ di sopravvivere alla primaut comunitaria. I.II. La cosa giudicata sostanziale nellĠordinamento italiano. La cosa giudicata sostanziale, o materiale, cui  dedicato lĠarticolo 2909 del codice civile italiano, (che  distinta da quella formale, di cui allĠarticolo 324 del codice di rito, che, per certi, versi, ne  antecedente logico, in quanto potrˆ spiegare i suoi effetti di cosa giudicata sostanziale lĠaccertamento contenuto in una sentenza che sia incontrovertibile, nel senso di essere passata in giudicato formale), corrisponde allĠaccertamento contenuto nella sentenza del giudice civile, la quale fa stato ad ogni effetto (Feststellung) fra le parti, i loro eredi ed aventi causa. In altre parole, lĠarticolo 2909 c.c. descrive gli effetti della trasformazione della res in iudicium deducta (cristallizzata entro i limiti cronologici della udienza di precisazione delle conclusioni) in res iudicata. Asserire che il giudicato sostanziale fa stato significa che esso vincola le parti, che hanno scelto, attraverso la devoluzione di una controversia ad un organo giurisdizionale, di imprimere ai loro rapporti giuridici nuova certezza (res iudicata pro veritate habetur). Risiede, probabilmente, nel concetto di fare stato lĠintima contraddizione del concetto di giudicato, che  certezza interna al rapporto giuridico processuale, necessariamente cieca rispetto alle contingenze mondane che potrebbero incidere la vicenda dedotta in giudizio successivamente alla cristallizzazione formale ed obbligata che  essenza del giudicato stesso (6). Fare stato ad ogni effetto comporta che il giudicato imprima il suo divieto di ne bis in idem (a differenza che nel processo penale (7), in cui lĠeffetto negativo sembrerebbe preponderante su ogni altro, nel processo civile, in quello amministrativo e in quello tributario (8) si distinguono, pi propriamente, la (5) Come, in parte, sostenuto da PUNZI C., Il processo civile, Volume I, II ed., Torino, Giappichelli, 2010, 46. (6) Cfr. BETTETINI A., Veritˆ, giustizia, certezza: sulla cosa giudicata nel diritto della Chiesa, Padova, Cedam, 2012, 9, il quale, rapportando la cristallizzazione propria del giudicato al modello formale del linguaggio, sottolinea come, se da un lato esso  in grado di creare un mondo indipendente da quello che dovrebbe rappresentare, dallĠaltro, in seguito a tale circoscrizione concettuale, viene necessariamente accantonato il rapporto con la realtˆ degli eventi a questa sottesi. (7) Cfr. art. 649 c.p.p. (8) Nel diritto tributario, probabilmente, si coglie nella sua interezza la problematicitˆ di accertamenti giurisdizionali risoltisi in una res iudicata i quali, in virt del conseguente e spesso naturale frazionamento temporale o personale delle posizioni impositive, potrebbero non essere al passo con le contingenze fattuali e, pertanto, non rispondere pienamente allĠistanza di giustizia che, pi che mai nella pretesa fiscale,  avvertita come necessaria. accezione di effetto preclusivo diretto, e quella, ulteriore, di effetto positivo conformativo riflesso, che determina il modo in cui le eventuali e successive questioni dovranno essere decise in ragione della presenza del giudicato) (9) non solo ai successivi processi ove fosse azionato il medesimo diritto, ma anche a quelli relativi a diritti diversi e strettamente connessi al primo. Ci˜, naturalmente, determinerˆ una diversificazione dei poteri del giudice e del loro esercizio, in quanto, nel caso di un giudicato che espliciti la sua efficacia conformativa, il giudice sarˆ chiamato a decidere e lo farˆ in ossequio al contenuto del precedente giudicato (profilandosi una mera circoscrizione della sua libertˆ di giudizio); viceversa, nel caso di efficacia negativa, al giudice sarˆ precluso di ritornare sulla questione coperta dal giudicato, richiedendosi, dunque, allo stesso un vero e proprio dovere di astensione dalla decisione della causa. LĠarticolo 2909 , non a caso, posto a chiusura del codice civile, costituendo, probabilmente, il tramite (10) per il quale il diritto sostanziale, vivificato nella realtˆ, ma inevitabilmente deietto, imperfetta copia dellĠidea pura di ius oggetto di codificazione, transita verso lĠeventuale, ma inevitabile, momento processuale, per essere riaffermato nella sua interezza. I.III. La cosa giudicata formale nellĠordinamento italiano. LĠarticolo 324 del codice di procedura civile, rubricato, appunto, ÇCosa giudicata formaleÈ, descrive, invece, lĠattitudine formale della sentenza passata in giudicato a resistere ad ulteriori modificazioni (11), in quanto esaurita ogni possibilitˆ di emendamento e di riesame delle quaestiones a questa sottese, attraverso le ormai impraticabili impugnazioni ordinarie predisposte dallĠordinamento o a seguito dellĠacquiescenza della parte interessata. La dottrina sulla cosa giudicata, spesso assestata su posizioni antitetica- mente contrapposte (12), risente pi di altre della collocazione in terreno di confine di tale concetto, tra il diritto sostanziale e quello processuale. é pi giusto riconoscere (13) che la cosa giudicata viva di tale bilico, che ne  linfa e inscindibile presupposto concettuale, non a caso comprovato dal- lĠesistenza di due norme (i giˆ citati articoli 2909 c.c. e 324 c.p.c.), che sono la codificata dimostrazione della sua intrinseca poliedricitˆ. Cos“ concepita, quindi, la cosa giudicata si concreta nella riconosciuta attribuzione del bene della vita, legittimata dal diritto sostanziale e vivificata, a (9) Cfr. CONSOLO C., che, per descrivere la seconda delle accezioni del concetto di cosa giudicata sostanziale, parla di specularitˆ al negativo in Spiegazioni di diritto processuale civile, Volume I, Torino, Giappichelli, 2011, 184. (10) Cfr. CONSOLO C., che descrive lĠart. 2909 del codice civile come un ponte, in op. cit., Volume I, 166. (11) O meglio, come pi propriamente si evince dalla lettera della legge, lĠart. 324 fa derivare dalla preclusione dei mezzi ordinari di riesame della pronuncia il passaggio in giudicato della stessa. seguito della contestazione sulla spettanza, da quello processuale (sententia facit ius) (14). A cavallo tra i rigorismi concettuali del codicismo e la necessitata dimensione dialettica dello storicismo (15), la teoria del giudicato  stata, tra lĠaltro, una delle esemplificazioni della riduzione del diritto a processo, che tanto anim˜ la filosofia giuridica romantica, nella convinzione che il diritto sostanziale, concepito organicamente e senza imposizioni di sorta, trovasse il proprio completamento logico e concettuale solo nellĠesperienza processuale (16). é come se, per dirla con Wittgenstein nella sua essenza neokantiana, il diritto non esistesse senza esperienza, in quanto  questĠultima a renderci edotti dellĠesistenza di posizioni formali prima ignote, incidendo sul reale e sul concetto di attribuzione che ritenevamo innato. La definizione processuale dellĠassetto di interessi non sarˆ mai priva di sacrifici in capo a chi risultasse soccombente nel giuoco di attribuzioni e privazioni che, immancabilmente, accompagna le controversie sulle posizioni giuridiche soggettive. E, tuttavia, tale sacrificio non  contrario alla razionalitˆ, in quanto, attraverso il soddisfatto anelito alla certezza, esso garantisce lĠordine sociale (17). (12) Cfr. PUGLIESE G., Giudicato civile, in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, 836, che distingueva tra teoria sostanziale del giudicato e teoria processuale, sulla scorta della dottrina classica tedesca. Tale diversificazione  stata ben commentata da CONSOLO C., op. cit., Volume I, 195: ÇLa tesi sostanziale (Carnelutti, Allorio) ritiene che la sentenza e il giudicato siano, in sostanza, qualche cosa che entra a far parte direttamente e giˆ sul terreno del diritto sostanziale della dinamica di estinzione e produzione dei rapporti giuridici. LĠart. 2909 sarebbe allora - come rilevava la Relazione al Re - collocato nel c.c. in modo corretto dal punto di vista non solo funzionale (tutela giurisdizionale dei diritti), ma anche strutturale ed effettuale, siccome istituto al fondo di diritto materiale (Goldschmidt). Per conseguenza di tale effetto sostanziale il nuovo giudicato de eadem re non sarebbe impedito dal vero e formale ne bis in idem, ma ad esso conformato. LĠaltra pi snellamente concepita tesi (Chiovenda), quella processuale, si basa su un principio di preclusione al riesame della domanda; preclusione giustificata e non incostituzionale poichŽ cĠ giˆ stato un primo esame che lĠordinamento ritiene verosimile e comunque sufficienteÈ. (13) Come fa PUNZI C., op. cit. (14) Cfr., in merito, le teorie di SATTA S., Commentario del codice di procedura civile, voll. I-II, Milano, 1959-1960. (15) Si allude qui alla contrapposizione, frutto della reazione al razionalismo illuminista, tra lĠossequioso asservimento alla lettera della legge tipico di questĠultima e il metodo dialettico di trasformazione del processo storico a mezzo di antitesi, che caratterizz˜ la filosofia hegeliana. (16) Cfr. VON SAVIGNY F.C., System des heutigen ršmischen Rechts (1840-1851); tr. it. (a cura di) SCIALOJA, V., Sistema del diritto romano attuale, vol. 1, Torino, ed. Unione Tipografico, 1886-1898, per cui Çteorico perfetto sarebbe dunque colui la cui teoria fosse vivificata dalla piena e completa conoscenza di tutta la pratica attivitˆ giuridica; tutti i rapporti morali, religiosi, politici, economici della vita reale dovrebbero essere presenti al suo sguardoÈ. Su questo argomento, cfr. anche SATTA S., Diritto processuale civile, Cedam, Padova, 1950; PEKELIS A., Il diritto come volontˆ costante, Cedam, Padova, 1930; BOBBIO N., La filosofia del diritto di Julius Binder, Milano, Giuffr, 1943. (17) Cfr. CAPOGRASSI G., Prefazione a ÇLa certezza del dirittoÈ di F. Lopez de O–ate, in DĠADDIO M. - VIDAL E. (a cura di) Opere di Giuseppe Capograssi, vol. V, Milano, 1959. I.IV. Profili di ÒingiustiziaÓ del giudicato. é opportuno, dunque, interrogarsi sulle sorti di una pronuncia protetta dal giudicato, allorchŽ si profili un contrasto tra questa e altro giudicato o se ne rinvenga una qualsivoglia ingiustizia secondo i parametri di un altro ordinamento, come quello comunitario, dotato di caratteri di primazia nelle materie assegnate alla competenza delle sue istituzioni. Ovvero,  necessario chiedersi se tale pronuncia permarrˆ intatta nella sua essenza di legge del caso concreto, impermeabile a successive ed eventuali contingenze, anche dove queste dovessero qualificarla come palesemente ingiusta o se, viceversa, essa tollererˆ superamenti e riedizioni di sorta in ossequio ad una esigenza di giustizia e correttezza promanante dallĠordinamento comunitario. I fautori di questa seconda (forse, secondo quando si dirˆ, solo apparentemente rivoluzionaria) corrente interpretativa sostengono che il giudicato copra il dedotto ed il deducibile, questĠultimo inteso come quanto rappresentabile dalle parti fino al momento della precisazione delle conclusioni, ma non giˆ il non ancora deducibile, cio le sopravvenienze successive al giudicato suscettibili di incidere sulla base giuridico concettuale posta a sostegno dello stesso. In questo modo, tuttavia, le istanze di revisione della res judicata formatasi a livello nazionale, a fronte di eventuali discrasie tra la stessa e la normativa sovranazionale dellĠUnione europea, porrebbero lĠinterprete al crocevia tra certezza e giustizia, sempre che di questĠultima possa ancora discorrersi laddove la prima venga scardinata (18). Una tale divaricazione, che si concreta nel dualismo tra essere (Sein) e dover essere (Sollen), tipica dello storicismo idealista ottocentesco (19),  un prodotto della modernitˆ, sebbene sia archetipale lĠossequio ad una suprema idea di giustizia (fino allĠassimilazione della stessa con una superiore volontˆ divina) (20), in qualche modo deietta nellĠincontro mondano. Una corretta analisi diceologica non pu˜, quindi, prescindere dallĠinterrogativo sulla corrispondenza del diritto a un ethos, o meglio, della ricomprensione del secondo nel primo, con intento vivificante e nobilitante: la certezza (18) é pur vero che Çla certezza del diritto  qualcosa non di astratto e schematico, ma di concreto, di specifico, di correlativo alle singole esperienze ed ai singoli ordinamenti, di cui si compone il mondo del dirittoÈ. LOPEZ DE O„ATE F., La certezza del diritto, Milano, Giuffr, 1968, 47 ss. (19) Hegel distingueva tra Etica e Morale, riconoscendo a questĠultima rilevanza esclusivamente individuale e assegnando allĠetica un ruolo sociale e filosofico. QuestĠultima  assurta al rango di concetto della filosofia, che ha ad oggetto lĠanalisi dei mores dellĠuomo. Cfr. HEGEL W.F., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, Laterza, 1965. In ottica di ricomprensione delle morali (che per Hume erano molteplici e dipendenti dallĠesperienza),  stata la filosofia di Kant il preludio concettuale alle esperienze internazionali, tra cui quella europeistica, contraddistinte dallĠanelito alla ricerca di una superiore morale con-divisa, dalla quale far scaturire, altres“, omogeneitˆ nellĠesperienza giuridica. Cfr. KANT I., Critica della ragion pratica e altri scritti morali, Torino, Utet, 2006. del diritto (Rechtssicherheit) deve ricomprendere il principio della giustizia (Gerechtigkeit) perchŽ essa possa resistere alle leve deontologiche? Si ricade, forse, in un curioso ossimoro (contradictio in adiecto) ponendo in dubbio la correttezza di una statuizione, quale  quella oggetto di giudicato, che, di per se stessa ed antonomasticamente dovrebbe essere dotata dei caratteri della giustizia e dellĠincontrovertibilitˆ (21). Ci si chiede, dunque, se la primazia del diritto comunitario su quello nazionale eventualmente contrastante con lo stesso comporti e pretenda che un giudicato (22) formatosi nellĠordinamento di uno Stato membro possa, in qualche modo, essere sovvertito in ragione della sua difformitˆ rispetto ad una normativa comunitaria, specie in seguito ad una pronuncia della Corte di Giustizia. In altre parole, pu˜ discorrersi di una qualche cedevolezza del concetto di giudicato nel giuoco di rapporti che connota lĠordinamento comunitario, attraverso i dialoghi fra le Corti? é ammissibile che la regula iuris in senso normativo, che  la concretizzazione nel reale della lex, asfitticamente intesa nella sua dimensione codificata, superindividuale e incontrovertibilmente giusta, risulti cedevole proprio a causa della vulnerabilitˆ che le deriva dalla sua mondanizzazione processuale? NellĠanalisi della questione non pu˜ prescindersi dalla convinzione per cui, tradizionalmente, la sentenza irrevocabile  il limite finale contro il quale lĠingiustizia lotta la sua ultima battaglia, ÇlĠerrore che sta dietro di essa - errore che tutti noi dovremmo sforzarci a che sia ridotto alla minima entitˆ - resta coperto da essa, cos“ come ogni impuritˆ resta annullata nel compendio di unĠoperaÈ (23). I.V. Ingiustizia per contrarietˆ al diritto comunitario. La questione appare ampia ed articolata, anche in considerazione della molteplicitˆ delle tecniche di revisione delle decisioni previste negli ordinamenti di ciascuno degli Stati membri e degli accorgimenti rimediali, in particolar modo amministrativi (24) e tributari (25), posti in essere a fronte di (20) LĠAntigone sofoclea accettava il sacrificio della vita in ossequio alle supreme ed incontrovertibili leggi divine, che erano Ç[r]egole non d'un'ora, non d'un giorno fa. Hanno vita misteriosamente eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d'esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli di, intimidita da ragioni umaneÈ. Tale giustizia divina, in lotta con le leggi degli uomini, era ed  destinata a soccombere di fronte ai formalismi del ius positum (e non  un caso che la tragedia di Antigone consacri la ingiusta vittoria di Creonte). (21) Nel diritto tedesco, il termine Rechtskraft (letteralmente Òforza del dirittoÓ) rappresenta lĠincarnazione dellĠautoritˆ giuridica vincolante. (22) CONSOLO C. in op. cit. preferisce parlare della norma nazionale che attribuisce autoritˆ di cosa giudicata ad un atto giurisdizionale. (23) Cfr. LEONE, G., Il mito del giudicato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1956, 197. (24) Dove, pi che ai rimedi giurisdizionali, dovrebbe, forse, farsi riferimento allĠistituto della autotutela amministrativa. Cfr. CERULLI IRELLI V., Lineamenti del diritto amministrativo, III ed., Torino, Giappichelli, 2012, 506 ss. (25) Si allude allĠistituto della frammentazione del giudicato, che sottenderebbe una evoluzione statuizioni confliggenti con la normativa sovranazionale e, perci˜, private, dal tempo o dalle contingenze, del carattere di giustizia che nel giudicato avrebbe dovuto essere colto e definitivamente impresso. La necessitˆ di artifici giuridici siffatti risulterebbe accentuata alla luce del principio fondamentale del diritto dellĠUnione di leale cooperazione (di cui allĠarticolo 4 comma 3 TUE) (26), per cui, tra lĠaltro, gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle decisioni della Corte di Giustizia allorchŽ essa abbia riscontrato un contrasto tra le loro normative interne (in cui potrebbero latamente farsi rientrare gli orientamenti e le decisioni pretorie) ed il diritto comunitario, primario e secondario. Vengono qui in rilievo diversi ordini di questioni: la possibilitˆ di individuare dei limiti al principio di intangibilitˆ della cosa giudicata pu˜ porsi in aperto ed inconcepibile contrasto con il principio della certezza del diritto, allorchŽ vi siano istanze atte semplicemente a giustificare non giˆ un superamento, ma, quantomeno, una diversa declinazione del giudicato, al fine di evitare che esso diventi mero parossismo concettuale, scevro da ogni giustificazione? O, a monte, una siffatta revisione della questione  del tutto inaccettabile alla luce dei canoni classici, per cui il giudicato  in grado di facere de albo nigrum et de quadrato rotundum? Ora, nelle molteplici angolazioni della prospettiva comunitaria, connotata da una pi ampia varietˆ di volontˆ ed interessi in gioco, devono certamente tenersi in debita considerazione le tradizioni giuridiche degli Stati membri, la maggior parte delle quali contempla quello dellĠintangibilitˆ del giudicato tra i principi fondamentali dei propri ordinamenti giuridici. Ebbene, vi  da verificare se la tenuta di tali tradizioni giuridiche, e dei loro annessi princ“pi, rispetto a statuizioni o normative sovranazionali eventualmente confliggenti possa essere considerata mancato ossequio del diritto comunitario. Bisogna, forse, chiedersi se il problema si ponga realmente come tale o sia semplicemente apparente, in un sistema di relazioni che riesca a tutelare dinamica del rapporto sostanziale, soggetto a frazionamenti logico-temporali, per cui lĠapplicazione della norma di cui allĠart. 324 c.p.c. pu˜ essere suscettibile di (anche solo apparenti) deroghe. Si veda pi ampiamente infra, Parte Seconda. (26) Articolo 4 TUE Ç1. (É) 2. (É) 3. In virt del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'UnioneÈ. lĠinteresse di ognuno dei partecipanti, ai fini della sopravvivenza stessa del- lĠordinamento di integrazione. Nel processo creativo dellĠUnione europea, che segna il culmine ed il termine dellĠegotismo statuale, pu˜ rinvenirsi una reinterpretazione del principio del giudicato, che  spinto oltre i limiti della ragion di Stato ed ammantato di istanze garantiste, promananti non solo dalle singole esperienze costituenti statali, ma anche dalle vicende costituenti comunitarie? DĠaltronde,  proprio nelle dinamiche dellĠintegrazione che il costituzionalismo multilivello (tradizionalmente irenico o, pi spesso, problematica- mente polemico (27)) ha trovato la propria linfa vivificante, non essendo altrimenti concepibile (nŽ necessaria, dĠaltronde) stratificazione alcuna a fronte di omogeneitˆ indotte (28). La questione  ulteriormente arricchita dalle affermazioni della Corte di Giustizia (29), ad esempio, in merito al principio per cui gli Stati membri sono obbligati al risarcimento del danno nei confronti dei cittadini nel caso in cui questi ultimi siano stati danneggiati da una pronuncia dei loro organi giurisdizionali di ultima istanza contraria al diritto eurocomunitario (30). Tale pi cauta corrente, sulla quale si tornerˆ ampiamente allo scopo di individuare una linea direttrice coerente nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, non sembra, ad una prima analisi, contraria al principio della intangibilitˆ della res iudicata, spostando, pi che altro, il baricentro concettuale dalla assicurazione del bene della vita (ingiustamente) negato a seguito di una errata interpretazione o applicazione del diritto comunitario al ristoro equivalente di un torto acclarato, ma giuridicamente immodificabile, facendo del giudicato il mero presupposto di una obbligazione risarcitoria da fatto illecito. I.VI. La problematica gestione del precedente. Qui si tratta, forse, di distinguere tra lĠinserimento del giudicato nella dimensione costituzionale, ove esso diventa presidio e parametro per il controllo della legittimitˆ delle azioni e delle reazioni a taluni temi sensibili nellĠordinamento e la dottrina dellĠefficacia del giudicato nel tempo (31), per cui si opera una valutazione delle sopravvenienze rispetto alla res iudicata e la loro eventuale capacitˆ di inciderne la portata e la resa. (27) Cfr. LUCIANI M., Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. (28) Cfr. DĠIGNAZIO G. (a cura di), Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme degli ordinamenti decentrati, Milano, Giuffr, 2011, 2. (29) Ex multis, Corte di Giustizia, sentenza del 30 settembre 2003, Gerhard Kšbler contro Repubblica d'Austria, C-224/01, in Raccolta, 2003, I-10239, per cui si veda, ampiamente, infra, Parte Prima. (30) Infra, Parte Prima. (31) In merito ad una tale diversificazione, cfr. CAPONI R., Corti europee e giudicati civili nazionali, in Il costituzionalismo multilivello - Profili sostanziali e processuali, in Atti del XXVII Convegno In altre parole, vi  da chiedersi se lĠeventuale superamento di una res iudicata ingiusta possa essere inquadrato nel sistema sostanziale di garanzia dei diritti, tutelato dallĠordinamento costituzionale o se, comunque, allĠatto del- lĠeventuale superamento di un giudicato, siano sempre necessarie valutazioni di carattere formalistico. Quanto alle sopravvenienze ritenute suscettibili di attaccare un giudicato, non pu˜ tacersi dellĠincidenza del principio dello stare decisis, come trasposto e reinterpretato negli ordinamenti di Civil law (cui esso  formalmente estraneo), come quello italiano, nei quali, pur non sussistendo lĠobbligo di adeguamento al precedente, si  assistito ad una progressiva infiltrazione del diritto pretorio (e della sua vincolativitˆ) nelle maglie della normativa vigente. Tale sistema di gestione e rilevanza del precedente, cui gli operatori giuridici medi non sono avvezzi, in generale, parrebbe estraneo a taluni istituti financo quello del giudicato - i quali, naturalmente, non contemplano una evoluzione normativa affidata (solo) alla fluiditˆ del diritto delle corti (32). Su tale scia, si collocano anche le perplessitˆ relative alla sorte di una pronuncia passata in giudicato a seguito della avvenuta dichiarazione di incostituzionalitˆ della norma sulla quale tale pronuncia si  fondata (33). Quanto alla cosiddetta dimensione costituzionale del giudicato, con essa si intende, altres“, lo scontro tra il supporto offerto dallĠintangibilitˆ alle esigenze di certezza del diritto ed interventi legislativi successivi discordanti con lĠoggetto del decisum, la cui base normativa diventa suscettibile di essere dichiarata incostituzionale dalla Consulta. La certezza, qui intesa come garanzia degli affidamenti del singolo, assume tutta la sua valenza interindividuale, di protezione del cittadino dai poteri pubblici, quasi sceverandosi dei supremi aspetti sovrani (34) di cui  stata successivamente rivestita (35). nazionale dellĠAssociazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Corti europee e giudici nazionali (Verona, 25-26 Settembre 2009), Bologna, 2011, 203 ss., per cui lĠefficacia civile del giudicato nel tempo  intrisa dei caratteri della retrospettivitˆ, in quanto la giurisdizione (iurisdictio)  per sua natura pronuncia su qualcosa che  giˆ stato. (32) A ci˜ si aggiunga, come giˆ ampiamente argomentato, lĠinserimento degli ordinamenti nazionali entro un panorama pi ampio nei termini della produzione legislativa vincolante, quale  quello europeo e (potenzialmente) meno controllabile, anche in ragione di un non ancora superato deficit democratico e rappresentativo. (33) La questione ha assunto rilevanza e suscitato lĠinteresse dottrinale specialmente in campo penale, con riferimento a sistemi di rideterminazione della pena nel caso di sopravvenienza di una lex mitior. Cfr. Cass. pen., Sezioni Unite, 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014), Gatto, in archiviopenale.it, 15 ottobre 2014. Cfr., altres“, RICCARDI G., Giudicato penale e incostituzionalitˆ della pena, in penalecontemporaneo.it. (34) CAPONI R. in op. cit. parla di ragion di stato. (35) Si allude alla valenza pubblicistica attribuita al principio del giudicato, che ne fa baluardo del potere dello Stato nei confronti dei singoli, cui il primo oppone la fissitˆ della situazione giuridica cristallizzata nella sentenza. Anche nel panorama comunitario, ove, il giudicato  lĠargine ultimo contro la primazia del diritto dellĠUnione su quello interno, pu˜ cogliersi lĠaccezione pubblicistica del concetto. Il giudicato diventa espressione dello stato di diritto perchŽ, se allĠinterno di quello il potere  limitato dal diritto stesso, esso rappresenta uno dei limiti posti al potere da se stesso. Il cerchio  chiuso, nella dimensione comunitaria, da una trasmigrazione del principio ai vertici, con la rievocazione dello stesso nelle spinte autonomistiche degli Stati, che ne fanno strumento di tutela della propria sovranitˆ (e non pi solo garanzia dei cittadini) e lo contrappongono al conseguimento dellĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione, invocato a tutti i costi dalle istituzioni europee. Le diversificate interpretazioni rese, in merito, dalla Corte di Giustizia tendono a seguire una logica coerente, protesa allĠindividuazione di un tertium genus tra fatto e norma, capace di allentare la tensione tra i due senza ricadere in aporetiche sintesi conciliative e, allo stesso tempo, rifuggendone una radicale contrapposizione (36). Come nella filosofia neokantiana di Radbruch (tenuto in dovuta considerazione il sostrato storico politico nel quale essa fu concepita (37)) si perviene ad una celata critica allĠimpostazione kelseniana del ius quia iussum, per cui il diritto, assicurato dalla promulgazione e dalla sanzione, ha la precedenza anche quando il suo contenuto  ingiusto e inadatto allo scopo, a meno che il conflitto fra diritto e giustizia non giunga ad un tale grado di intollerabilitˆ che il primo (unrichtiges Recht) arretri di fronte alla seconda (38). (36) Cfr. CASTRUCCI E., Rileggendo Radbruch, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, Milano, Giuffr, fasc. n. 17/1988. Radbruch individuava questo tertium genus nella cultura, cui lo stesso diritto appartiene. Esso, infatti,  un fenomeno culturale e non semplicemente valore o semplicemente fatto. Pertanto, il diritto (n—mos) non pu˜ essere completamente avulso dal valore (come avviene nella ph.sis, che, rispecchiando il caos degli elementi,  cieca rispetto allo stesso). Quindi, Çla cultura non  puro valore;  piuttosto un miscuglio di umanitˆ e barbarie, buon gusto e cattivo gusto, veritˆ ed errore, ma sempre in collegamento al valore: non  essa stessa valore o diretta realizzazione del valore. Il Ôcollegamento al valoreĠ indica la modalitˆ che  tipica delle scienze umaneÈ. RADBRUCH G., Rechtphilosophie, Stuttgart, Koehler, 1956, 92-93. é possibile cogliere le differenze tra questa filosofia e lĠidealismo ottocentesco, cui era ancora quasi estraneo lĠorrore della guerra, che, invece, coglieva nel miscuglio del reale, sebbene esso fosse bassa, degradata ed umile empiria, il germe del vero sapere. (37) In Germania, la questione relativa al contrasto fra spirito e lettera della legge fu ispirata dal comportamento dei soldati tedeschi della parte orientale che, posti a presidio del muro di Berlino, sparavano senza pietˆ contro i civili che vi si fossero trovati in prossimitˆ, in ossequio formale a un ordine dellĠautoritˆ. (38) ÇDer Konflikt zwischen der Gerechtigkeit und der Rechtssicherheit dŸrfte dahin zu lšsen sein, da§ das positive, durch Satzung und Macht gesicherte Recht auch dann den Vorrang hat, wenn es inhaltlich ungerecht und unzweckmŠ§ig ist, es sei denn, da§ der Widerspruch des positiven Gesetzes zur Gerechtigkeit ein so unertrŠgliches Ma§ erreicht, da§ das Gesetz als 'unrichtiges Recht' der Gerechtigkeit zu weichen hat. Es ist unmšglich, eine schŠrfere Linie zu ziehen zwischen den FŠllen des gesetzlichen Unrechts und den trotz unrichtigen Inhalts dennoch geltenden Gesetzen; eine andere Grenzziehung aber kann mit aller SchŠrfe vorgenommen werden: wo Gerechtigkeit nicht einmal erstrebt wird, wo die Gleichheit, die den Kern der Gerechtigkeit ausmacht, bei der Setzung positiven Rechts bewu§t verleugnet wurde, da ist das Gesetz nicht etwa nur 'unrichtiges' Recht, vielmehr entbehrt es Ÿberhaupt der Rechtsnatur. Denn man kann Recht, auch positives Recht, gar nicht anders definieren als eine Ordnung und Satzung, die ihrem Sinne nach bestimmt ist, der Gerechtigkeit zu dienenÈ. RADBRUCH G., Gesetzliches Unrecht und Ÿbergesetzliches Recht, SŸddeutsche Juristenzeitung, 1946, 107. I.VII. LĠattivismo giudiziale della Corte di Giustizia. La Corte di Giustizia dellĠUnione europea  lĠorgano di vertice del potere giurisdizionale comunitario e ad essa i Trattati demandano, tra gli altri poteri, il monopolio di interpretazione del diritto dellĠUnione (cfr. lĠarticolo 19 TUE, per cui essa assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati e lĠarticolo 267, paragrafo 1, lettera a) TFUE, disciplinante il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali, per la risoluzione, ad opera della Corte, di questioni interpretative inerenti al diritto dellĠUnione). Nella costruzione dellĠordinamento comunitario, in virt delle specifiche che lo caratterizzano, gli Stati membri (e, poi, la Corte stessa nella propria giurisprudenza) si sono posti sulla scia dei sistemi di Common law, per cui il precedente giurisprudenziale del caso di specie  vincolante alla stregua di una norma giuridica generale ed astratta su altri casi analoghi. La supplenza normativa che ne  derivata, ad opera della Corte di Giustizia, determinata anche dalla frammentazione del sostrato nazionale alla base dellĠordinamento dellĠUnione e dalla peculiare posizione del Parlamento europeo nel sistema istituzionale (non del tutto assimilabile ad un potere legislativo, alla stregua del costituzionalismo classico), ha finito per diventare uno stile nella stessa tecnica di redazione delle sentenze, allĠinterno delle quali si rinvengono sistematicamente i riferimenti al precedente cui la Corte intende conformarsi, o, nellĠottica di una resa interpretativa coerente e priva di aporie logiche, le ragioni per cui essa intende discostarsi dallo stesso. Tale sistema determina, a cascata, ripercussioni sugli ordinamenti degli Stati membri (anche su quelli caratterizzati dalla vigenza di un sistema di Civil law), entro i confini dei quali i giudici nazionali sono tenuti allĠossequio del precedente interpretativo costituito dalla pronuncia del giudice eurocomunitario (39). Ci˜ ha permesso alla Corte di esercitare il proprio attivismo giudiziale (40), congiuntamente ad una attivitˆ di creazione legislativa, rispetto alla quale taluno ha temuto cristallizzazioni a-rappresentative (41), tuttavia sempre bilanciate da un generalizzato approccio critico nei confronti delle decisioni del giudice comunitario. Quel che appare  che la Corte di Giustizia abbia un ruolo pi vicino a quello di un giudice supremo in un sistema federale che a quello del tribunale (39) Cfr. STEIN E., Lawyers, Judges and the Making of a Transnational Constitution, American Journal of International Law, L. 1, 1981, 75. (40) Cfr. ARNULL A.M., Judicial Activism and the European Court of Justice: How Should AcademicsRrespond?, in Judicial Activism at the EU Court of Justice, 2013, 211-232. (41) Ci si riferisce alla circostanza per la quale la normazione  demandata (anche) ad un organo giurisdizionale, quale  la Corte di Giustizia, non dotato dei caratteri di rappresentativitˆ tipici dei legislatori nazionali. Sostenitore di tale approccio critico RASMUSSEN H., On law and policy in the European Court of Justice: a Comparative Study in Judicial Policymaking, Dordrecht, Martinus Nijhoff Publishers, 1986. di una organizzazione internazionale e, attraverso tale ruolo, essa abbia spiegato il proprio impatto politico sugli ordinamenti degli Stati membri. Ci˜, dĠaltronde, risponde allĠanelito costituente dellĠUnione europea che, sebbene ne rifugga i nominalismi (42), tenta di incarnarne la sostanza, per cui la Corte di Lussemburgo, lungi dallĠessere lĠoracolare e mero interprete di un diritto al servizio degli Stati,  anche il luogo della garanzia dei diritti che la normativa dellĠUnione attribuisce ai cittadini. I.VIII. La Corte di Giustizia e lĠautonomia degli Stati membri. Cos“ delineato, il ruolo della Corte di Giustizia (la cui interpretazione, come detto, costituisce precedente vincolante per i giudici nazionali) non pu˜ dirsi del tutto neutrale rispetto alle politiche interne degli Stati membri nelle materie incise dal diritto dellĠUnione. Si crea, in tal modo, una catena di reazioni antitetiche che, ontologicamente, segnano lĠUnione europea dai suoi albori: le istanze autonomistiche degli Stati e le loro tradizioni costituzionali convivono con la necessitˆ di una ricomprensione unitaria allĠinterno di un medesimo ordinamento sovranazionale, cui  chiesto, come Giano, di guardare al modello del passato per scalfire la trascendenza del futuro. é questo il paradigma del pernicioso andare dellĠintegrazione europea, che, dai pi,  vista come un processo e non come una condizione (43), per la stabilitˆ mai raggiunta, per lĠincompiutezza che ne  linfa, per la rigiditˆ, anche normativa, che le  estranea. Ora, per quanto concerne la questione del giudicato, le politiche del- lĠUnione non si muovono, attualmente, nel senso dellĠarmonizzazione delle regole processuali nazionali. Ci˜ sebbene il Trattato di Lisbona (articolo 19 TUE, per cui [g]li Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione) parrebbe imporre obblighi pi stringenti agli ordinamenti dei singoli Stati (prima vincolati dal solo principio di leale cooperazione) in questa materia. Vi  chi crede (44) che lĠattivismo giuridico della Corte sia necessario a garanzia di omogenei standard di tutela nel territorio dellĠUnione, a fronte della diversificazione ordinamentale al suo interno. Le reazioni critiche avverso detto sistema deriverebbero da una imposta limitazione delle autonomie procedurali ad opera delle interpretazioni creative della Corte. (42) Si allude allĠabortito tentativo di un trattato costituzionale per lĠEuropa del 2004. (43) Cfr. MICKLITZ H.-W., DE WITTE B. (a cura di), The European Court of Justice and the Autonomy of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia, 2012. (44) Cfr. ADINOLFI A., The ÒProcedural AutonomyÓ of Member States and the constraints stemming from the ECJĠs case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice and the Autonomy of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia, 2012, 281-303. Tuttavia, essendo le decisioni della Corte spesso legate al caso concreto, non  certamente automatica quella normativitˆ generale ed astratta che si vorrebbe loro attribuire. La questione  quanto mai complessa:  labile il confine tra la garanzia dei diritti dei singoli e la conculcazione di un principio di effettivitˆ ampia (forse, sgradito agli Stati), questĠultima denotata anche da talune strategie interpretative della Corte in materie particolarmente spinose (45). I.IX. Percorso dellĠanalisi. Questa analisi della declinazione del principio di cosa giudicata allĠinterno dellĠordinamento dellĠUnione europea seguirˆ due linee direttrici fondamentali, in concatenazione logica successiva lĠuna con lĠaltra, attraverso una disamina dei casi pi rappresentativi sottoposti ai giudici di Lussemburgo. La prima, relativa allĠasserzione della responsabilitˆ dello Stato per lĠoperato (illegittimo alla luce del diritto dellĠUnione) di uno dei suoi interna corporis, metterˆ in luce il superamento del baluardo dellĠinfallibilitˆ del potere pubblico, al quale possono, altres“, seguire conseguenze risarcitorie a carico dellĠapparato statale stesso. La seconda, relativa al paventato superamento del principio di intangibilitˆ del giudicato da parte della Corte di giustizia, rileverˆ lĠesigenza di una declinazione coerente dello stesso nel caso concreto e, ancora una volta attraverso un excursus dei casi pi rappresentativi, anche recentissimi, porrˆ in evidenza le singolaritˆ del dialogo fra le corti nazionali e il giudice comunitario. PARTE PRIMA LA RESPONSABILITË DELLO STATO PER LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELLĠUNIONE EUROPEA (Sentenze Francovich (C-6/90), Brasserie du pecheur e Factortame (C-46/93 e C-48/93) e Kšbler (C-224/01) 1.1. Le peculiaritˆ del caso Francovich. Per prima, la sentenza Francovich della Corte di Giustizia ha rafforzato lĠidea che entro i confini dellĠUnione vigesse un nuovo ordine legale di diritto internazionale, la cui concettualizzazione  merito anche delle prese di posizione interpretative del giudice comunitario. Un ordinamento pu˜ dirsi tale anche quando sia dotato dei caratteri tipici (45) Si allude al diritto ad un ricorso effettivo di cui allĠart. 47 della Carta di Nizza, che la Corte, talvolta, richiama (strategicamente) come principio generale, forse ai fini del superamento delle restrizioni contenute nei protocolli addizionali (cfr. protocollo n. 30). di effettivitˆ ed azionabilitˆ delle tutele, in quanto attribuisca diritti direttamente agli individui e ne sanzioni efficacemente la violazione. La declinazione di tale paradigma nellĠordinamento eurocomunitario risente delle asperitˆ e delle contraddizioni ivi insite, poichŽ vi convivono, in perenne opposizione, le due anime di ciascuno degli Stati membri: lĠuna volta a garantire lĠassolvimento del dovere di leale cooperazione e lĠaltra mirante al soddisfacimento dei propri interessi nazionali. La mediazione tra tali due caratteri ha una matrice essenzialmente pretoria (non  un caso che qui si discorra di una sentenza elaboratrice di un principio e non di una normativa in materia di responsabilitˆ degli Stati per le violazioni del diritto dellĠUnione che, dĠaltronde, non esiste), tanto che sarˆ, in seguito, affidata ad unĠaltra sentenza (1) lĠaffermazione della responsabilitˆ dello Stato per fatti dei propri giudici di ultima istanza. Prima di Francovich, infatti, il principio di responsabilitˆ dello Stato per torti di carattere legislativo o giurisdizionale derivanti dal diritto comunitario era poco diffuso anche negli impianti normativi interni agli Stati membri e lĠindividuo che si ritenesse leso dalla condotta statale poteva contare esclusivamente sullĠesiguitˆ di quelli, non essendovi direttive o tutele di matrice esterna al riguardo. Con la giˆ citata sentenza Van Gend & Loos, la Corte aveva enucleato il principio dellĠeffetto diretto (orizzontale) delle direttive comunitarie, attribuendo anche ai privati la possibilitˆ di attivare le tutele previste dal diritto dellĠUnione, in aggiunta alle procedure pubbliche interstatali ed inter istituzionali di infrazione giˆ previste dai Trattati. Infatti, rinvenuta una violazione dei Trattati da parte di uno Stato membro, la Commissione pu˜ instaurare, ex articolo 258 TFUE, una procedura di infrazione nei confronti di questo davanti alla Corte di Giustizia, unica istituzione comunitaria cui i Trattati attribuiscono il potere di stabilire se lo Stato membro sia stato inadempiente. Di conseguenza, lo Stato dovrˆ adottare tutte le misure necessarie allĠadempimento degli obblighi derivanti dallĠappartenenza allĠordinamento del- lĠUnione, essendo tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta (2). Non  mancato, tuttavia, chi abbia giustamente sottolineato come lĠefficacia pratica di siffatti procedimenti sia fortemente ridimensionata nei fatti, sia perchŽ gli Stati perdurano, spesso, nella loro inadempienza nei confronti dei Trattati (come si era verificato per lĠItalia nel caso Francovich, per cui la Corte di Giustizia aveva giˆ rilevato la mancata trasposizione della Direttiva entro i termini), sia perchŽ essi adottano, altrettanto frequentemente, misure (1) La giˆ citata Gerhard Kšbler c. Repubblica d'Austria (supra, Introduzione, nota 29). (2) Cfr. art. 260 comma 1 TFUE. di adempimento solo formali, ma, in realtˆ, non ossequiose delle prescrizioni della Corte in termini di risultati concreti e di garanzia per i cittadini (3). Ad ulteriormente alimentare la vischiositˆ del sistema, veniva e viene in rilievo il mito dellĠintangibilitˆ della voluntas dello Stato, esternata attraverso gli organi di questo (the King could do no wrong), sicchŽ una forma di responsabilitˆ statale cos“ concepita (la quale aveva come presupposto una ammissione/ dichiarazione di inadempimento dello Stato membro nellĠassolvimento dei propri obblighi eurocomunitari) risultava quasi inaccettabile (vi  chi ha parlato di esitazione e riluttanza degli Stati nellĠapplicazione della dottrina Francovich (4)). Non ultimo, gli stessi giudici guardavano con sospetto al sistema di responsabilitˆ statale nellĠordinamento dellĠUnione europea, che veniva dai pi visto come una distorsione nella coerenza dei sistemi nazionali di responsabilitˆ (5). Solo a seguito dellĠentrata in vigore del Trattato di Maastricht a tale tipo di violazioni, che prima erano sanzionate esclusivamente con la riprovazione degli attori comunitari nei confronti dello Stato inadempiente, seguiranno sanzioni di carattere economico. Si comprende facilmente come la semplice riprovazione non fosse sufficiente a spingere lo Stato ad adeguarsi alle prescrizioni della Corte in merito al proprio inadempimento sul panorama comunitario. Ma un siffatto disinteresse per nulla giovava alle sorti della Comunitˆ, che avrebbe rischiato il tracollo istituzionale se il diritto dellĠUnione fosse rimasto lettera morta negli ordinamenti degli Stati membri. Alla luce di ci˜, risultano spiegati e, in qualche modo, giustificati gli artifici interpretativi della Corte in Francovich, in cui, a fronte della mancanza di coercizioni a livello legislativo, essa elabora una sanzione indiretta attraverso la figura del risarcimento del danno ai singoli per lĠinadempimento statale, ponendo fine al vuoto precedentemente creatosi in merito alle conseguenze dello stesso. E se  chiaro per il commentatore virtuoso che la soluzione a tale rompicapo interpretativo possa essere rinvenuta nellĠadesione (legittimata dalle diversificate forme di copertura costituzionale predisposte a livello legislativo o dai giudici delle leggi al loro interno) degli Stati allĠUnione, non pu˜ dirsi altrettanto agevolmente condivisa lĠaccettazione delle conseguenze che la limitazione di sovranitˆ derivante dallĠappartenenza allĠordinamento comunitario naturalmente determina. Infatti, se agli Stati membri (e ai loro giudici) erano chiari gli estremi at (3) Per questo, cfr. TALLBERG J., Supranational Influence in EU Enforcement: the Court of Justice and the Principle of State Liability, in Journal of European Public Policy, marzo 2000, 104-121. (4) TALLBERG, ibidem. (5) Cfr. GRANGER M.-P. F., National Applications of Francovich and the Construction of a European Administrative Jus Commune, in European Law Review, 32/2007, 158. tributivi della responsabilitˆ extracontrattuale in ambito nazionale, pi controversa era la possibilitˆ di concepire un siffatto tipo di responsabilitˆ a fronte di inadempimenti aventi rilevanza nellĠordinamento comunitario, in particolare in ragione dellĠonnicomprensivitˆ dellĠapproccio della Corte di Giustizia (che preferiva, almeno inizialmente ed asseritamente, una nozione unitaria di responsabilitˆ, indipendentemente dalla sua fonte), a fronte, invece, delle diversificazioni di responsabilitˆ (a seconda dellĠorigine legislativa, amministrativa, giurisdizionale) concepite a livello nazionale. Le perplessitˆ dei giudici nazionali si concentrarono tutte sui limiti al- lĠestensione di tale forma di responsabilitˆ: essa rientrava tra le forme giˆ note agli Stati membri o era una nuova forma di responsabilitˆ, dal titolo autonomo ed aggiuntiva rispetto alle pi note di origine statale? Le iniziali riluttanze degli Stati membri nellĠadesione alla dottrina Francovich erano, altres“, da rinvenire in un ossequioso ed interessato attaccamento alla dottrina della separazione dei poteri, per cui, aggiungere forme di responsabilitˆ statale (per di pi non diversificate ed onnicomprensive) era letta come una indebita intrusione entro gli spazi di indipendenza dei poteri dello Stato nellĠesercizio delle loro funzioni. DĠaltronde, mentre in alcuni Stati dellĠUnione, come Lussemburgo ed Austria, lĠazione di responsabilitˆ per inadempimento da parte dello Stato di un obbligo comunitario aveva una matrice autonoma, nel resto dei Paesi membri essa veniva incardinata entro gli schemi interni di responsabilitˆ. Emergeva, in tal modo, una qualche forma di gelosia nazionale, che si manifestava nella ostinatezza degli Stati nel conferire una matrice interna a tale tipo di responsabilitˆ e alle procedure da adottare per accedere al risarcimento. Derivante, forse, come giˆ la verghiana esigenza di preservazione della roba, dallĠesigenza di mantenere una identitˆ autonoma ed estrinsecata attraverso la predisposizione di presidi giuridici interni (ma imposti dallĠesterno), essa si poneva come una sorta di ultima parola sistematica. Anche in questo caso, dunque, si  trattato di una alternativa tra il mantenimento della coerenza interna allĠordinamento e lĠapertura verso quello comunitario, anche quando esso pretendesse adempimenti formalmente (o sostanzialmente) estranei allĠordine nazionale. La sentenza Francovich, pertanto, costituisce un ottimo punto di partenza per una riflessione critica sulla teoria classica del giudicato, in quanto sottolinea la singolaritˆ dei rapporti fra gli attori comunitari, rimettendo in discussione gli assiomi tradizionali a favore del dinamismo inter istituzionale (6). Dopo Francovich, nelle cause riunite Brasserie du pe cheur SA e Factor (6) NellĠottica di una revisione delle posizioni tradizionali anche a livello interno, si veda la posizione critica di ANDOLINA I.A., La crisi del giudicato e nuovi strumenti alternativi di tutela giurisdizionale. La nuova tutela provvisoria di merito e le garanzie costituzionali del Çgiusto processoÈ, in Giusto proc. tame Ltd e altri (7), la Corte estendeva il principio di responsabilitˆ statale, facendolo sussistere in ogni caso, indipendentemente dal momento (traspositivo o applicativo) in cui la violazione del diritto dellĠUnione si fosse perpetrata. A questo secondo, pi estensivo, filone giurisprudenziale, seguirˆ un terzo (rappresentato dalla giˆ citata e notissima sentenza Kšbler) in cui la Corte, estendendo ulteriormente le maglie del principio di responsabilitˆ, di cui il caso Francovich poteva vantare la paternitˆ, ben oltre il limite della (incorretta) trasposizione legislativa, individuava profili di responsabilitˆ sanzionabile dello Stato anche nellĠattivitˆ del suo corrispondente nazionale, dei giudici di ultima istanza chiamati a correttamente applicare il diritto dellĠUnione. 1.2. Ulteriori riflessioni in materia di responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto comunitario. Dopo il caso Francovich, le sentenze Brasserie du pe cheur e Kšbler non hanno costituito una sorpresa, se non (forse e apparentemente) per quegli Stati membri le cui argomentazioni difensive in merito allĠimpossibilitˆ di ammettere una responsabilitˆ dello Stato per lĠincompatibilitˆ della legislazione interna con il diritto dellĠUnione e per la decisione dei propri giudici di ultima istanza contraria allo stesso facevano leva sugli argomenti della certezza del diritto e dellĠintangibilitˆ del giudicato. Come giˆ sottolineato, al paragrafo 39 della sentenza Kšbler, la Corte puntualizzava che ammettere un siffatto tipo di responsabilitˆ non avrebbe, in vero, necessariamente richiesto una revisione della res iudicata precedentemente formatasi. Attribuire al cittadino una giusta riparazione per il pregiudizio subito da una decisione giurisdizionale illegittima, come in Kšbler, infatti, non necessariamente avrebbe preteso lĠeliminazione o il superamento formale (laddove civ., 2007, 317 ss., per il quale si assiste ad una vera e propria crisi dellĠimpianto tradizionale, nel quale il processo civile aveva come esito naturale la creazione di una certezza giuridica ed anche gli effetti provvisori ed interinali di alcuni provvedimenti esistevano nella prospettiva del futuro giudicato. Sempre pi spesso, infatti, viene manifestata lĠesigenza di una tutela giurisdizionale effettiva, ma tempestiva, con la conseguente elaborazione di provvedimenti a cognizione sommaria (distinti da quelli, di chiovendiana memoria e idonei al giudicato, di cognizione sommaria con prevalente funzione esecutiva e cautelari disancorati dal giudicato), che determina una duplicazione dei modelli del processo civile, uno tradizionalmente finalizzato al giudicato, lĠaltro, sulla base di un giudizio di verosimiglianza e non di veritˆ, mirante alla composizione immediata del conflitto e alla provvisoria produzione di effetti pratici, ma inidoneo al giudicato. Tale mutamento di prospettive pu˜ essere paradigmaticamente letto nellĠottica di una manifestata esigenza di ÒaggiornamentoÓ delle tutele (a prima vista estendibile anche alle istanze di revisione dei giudicati nellĠordinamento europeo), che corre, tuttavia, il rischio di dilatare le maglie della certezza fino a lederne la stessa consistenza. (7) Corte di Giustizia, sentenza del 5 marzo 1996, cause riunite Brasserie du pe cheur SA c. Repubblica federale di Germania e The Queen c. Secretary of State for Transport, ex parte: Factortame Ltd e altri, C-46/93 e C-48/93, in Raccolta 1996 I-01029. quello concettuale sarebbe stato insito nella affermazione della responsabilitˆ dello Stato) del giudicato. Anche le argomentazioni relative alla paventata lesione dellĠindipendenza del potere giurisdizionale a fronte della minaccia di un risarcimento del danno a coloro i quali fossero negativamente incisi dallĠincorretto esercizio di un potere venivano facilmente confutate dalla Corte, la quale precisava come non il legislatore o il singolo giudice, ma lo Stato sarebbe stato responsabile per una condotta considerata attribuibile a questĠultimo nel suo complesso. Dopo Francovich, ma, in particolare, dopo Brasserie du pe cheur, risultava, poi, difficile aspettarsi che la Corte non avrebbe, altres“, esteso la responsabilitˆ dello Stato altres“ alle conseguenze derivanti dalle decisioni giurisdizionali (8). In questo senso, la decisione del caso Kšbler  perfettamente in linea con quella del caso Commissione c. Italia (9), in cui la Corte ebbe modo di affermare che lĠinterpretazione e lĠapplicazione del diritto da parte degli organi giurisdizionali italiani, ivi compresa la Suprema Corte di Cassazione, erano incompatibili con il diritto dellĠUnione europea. Alla Corte di Lussemburgo, dunque, non erano estranee intrusioni nella sfera di autonomia, ritenuta inattaccabile, dei propri corrispondenti nazionali, ma ci˜ rientrava in pieno nel sistema di applicazione ed interpretazione dei Trattati, che non tollera immunitˆ alcuna, pena lo squilibrato funzionamento del sistema stesso. 1.3. Violazione sufficientemente grave e manifesta: un argine autoimposto? In Kšbler, tuttavia,  la Corte stessa ad imporre dei limiti nella attribuzione della responsabilitˆ, che lasciano pensare ad una forma di velata protezione nei confronti dei giudici nazionali, giudici naturali del diritto dellĠUnione. Infatti, perchŽ sia fonte di responsabilitˆ per lo Stato, la violazione posta in essere da un giudice, oltre che sufficientemente grave ( tale la violazione che coinvolga uno Stato membro che, nellĠesercizio dei suoi poteri, abbia manifestamente e gravemente ignorato i limiti di esercizio degli stessi) deve essere manifesta. Qui la Corte adotta un approccio pi funzionale che concettuale, al fine di unificare le diverse normative statali in materia di responsabilitˆ, ma tale regime non appare scevro da problematicitˆ (10). Anzitutto, occorre interrogarsi criticamente sul sistema di responsabilitˆ (8) Cfr.. HANS J.H., State Liability and Infringements Attributable To National Courts: A Dutch Perspective On The Kšbler Case in The European Union: An Ongoing Process - Liber Amicorum Alfred E. Kellermann, The Hague, 2004, 165-176. (9) Corte di Giustizia, sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione delle Comunitˆ europee contro Repubblica italiana, C-129/00 in Raccolta 2003 I-14637. (10) A tal proposito, cfr. MARTêN RODRêGUEZ P., State Liability For Judicial Acts In European Community Law: The Conceptual Weaknesses Of The Functional Approach, in The Columbia Journal of European Law, vol. 11, n. 3/2005, 605-621. che la Corte ha ritenuto inerente al sistema del Trattato, specie in considerazione del fatto che tale sistema potrebbe vivere nel limbo della non applicazione laddove gli Stati membri si dimostrassero restii alle aperture, anche processuali, che la stessa ha suggerito (o imposto) nella sentenza Kšbler. Anche i requisiti della sufficiente gravitˆ di una violazione manifesta non sono rimasti immuni da perplessitˆ, in quanto la Corte li ha mantenuti entro margini ampi e necessariamente labili, forse al fine di permetterne la pi estesa e diversificata applicazione, ma non senza correre il rischio di porli nel nulla, assieme ad un sistema che, probabilmente, richiederebbe una concretizzazione a livello normativo, al fine di sfuggire dalle aporie applicative tipiche della legiferazione giurisprudenziale. La questione, dĠaltronde, non  di poco conto, in quanto  in gioco lĠautonomia processuale degli Stati membri, ai quali i Trattati richiedono, in ossequio ai principi di equivalenza ed effettivitˆ, di garantire la paritˆ di trattamento tra le situazioni giuridiche di matrice interna e quelle di matrice comunitaria. Pi o meno la totalitˆ degli Stati membri possiede un sistema di valutazione ed attribuzione di responsabilitˆ per gli errori giudiziari, ma ciascuno di questi , di norma, caratterizzato da stringenti presupposti di accesso, proprio in ragione della paventata lesione alla certezza del diritto che potrebbe causare un esercizio di potere, anche solo indirettamente, rimesso in discussione, attraverso lĠindividuazione dei profili di scorrettezza dello stesso (11). Proprio in ragione di questo, pur frammentato, retroterra normativo statale, la Corte, in Kšbler, non ammetteva una creazione dal nulla del sistema di responsabilitˆ dello Stato per il fatto dei propri giudici di ultima istanza, dichiarandolo come immanente allĠintero ordinamento giuridico dellĠUnione. Tuttavia, dalle assimilazioni con la responsabilitˆ extracontrattuale della Comunitˆ, che permettevano alla Corte di chiudere il cerchio interpretativo, garantendo coerenza al sistema nella sua interezza, traspariva, forse, qualche ulteriore criticitˆ (12). Una tale affermazione di responsabilitˆ, infatti, facilmente sarebbe potuta risultare invisa agli Stati membri, allĠinterno dei quali essa era stata contenuta entro i limiti dellĠinattaccabilitˆ del dictum giurisdizionale, al fine di preservare la propria autonomia e coerenza processuale. é chiaro, dunque, come la provenienza esterna della stessa (ovvero da un giudice che , allo stesso tempo, lĠinterprete di un diritto primaziale) potesse creare resistenze se non correttamente incardinata entro i confini normativi fondamentali negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. (11) In merito alla disciplina italiana, cfr. infra, Parte Seconda. (12) Cfr. PƒREZ GONZËLEZ C., La responsabilidad del Estado por incumplimiento del Derecho comunitario, Madrid, Tirant Lo Blanch, 2001. 1.4. Funzionalizzazione della responsabilitˆ statale. Vi  da chiedersi, in altre parole, se tale responsabilitˆ sussista effettivamente nei termini tracciati dalla Corte e quanto essa pesi, nella sostanza, negli equilibri tra poteri degli attori del diritto dellĠUnione. A tal proposito, taluno ha adombrato la possibilitˆ che la Corte avesse fatto un utilizzo funzionale e non concettuale del Trattato, trasformando la responsabilitˆ in un concetto servente, non pi base consolidata del sistema pattizio eurocomunitario (13). é questa, forse, la critica a cui questo filone di sentenze della Corte presta maggiormente il fianco: nella elaborazione di questo e di altri orientamenti ritenuti incisivi di principi invalsi, quale quello della certezza del diritto o della intangibilitˆ della res iudicata (che, in veritˆ, pi spesso, non sottraggono nulla allĠessenza di tali principi, esplicandone, semplicemente la portata allĠinterno dellĠordinamento giuridico dellĠUnione) i giudici di Lussemburgo sembrano creare un regime autoreferenziale, la cui correttezza di fondo corre il rischio di essere tradita dal proprio solipsistico gioco di rimandi, per i pi estraneo dalle logiche ordinamentali classiche. Questa Babele interpretativa  testimoniata anche dalla abbondanza di rinvii pregiudiziali alla Corte per una questione, quella del risarcimento del danno da parte dello Stato per il fatto di uno dei suoi organi, che avrebbe dovuto dirsi come consolidata e sufficientemente chiara. A titolo di esempio, si consideri la circostanza, sottolineata anche dalla Corte nella sentenza Kšbler, per cui la responsabilitˆ degli Stati membri per violazioni del diritto dellĠUnione  assimilata alla responsabilitˆ extracontrattuale della Comunitˆ. QuestĠultima, tuttavia, trova la sua fonte principalmente nellĠ(incorretto) esercizio da parte della stessa del potere legislativo, in particolar modo nelle scelte di politica economica. Ora, se tale assimilazione ha consentito alla Corte di trovare un prius logico e di incardinare la responsabilitˆ entro un presidio normativo esistente, essa ha creato, allo stesso tempo, incertezze applicative, a fronte della diversificazione delle figure di responsabilitˆ interne allo Stato (che non sono, come  stato dimostrato, riconducibili esclusivamente nellĠalveo legislativo). Questa distonia interpretativa ha determinato una certa libertˆ nel recepimento e nella applicazione della dottrina per prima delineata in Francovich, giustificando, poi, le frequenti domande pregiudiziali alla Corte (14). (13) Cfr. MARTêN RODRêGUEZ P., op. cit. (14) Taluno aveva sostenuto, inoltre, che questo approccio della Corte si sarebbe risolto nellĠapprodo opposto rispetto a quello auspicato: assimilare la responsabilitˆ degli Stati a quella extracontrattuale della Comunitˆ, di matrice essenzialmente legislativa, avrebbe ridotto considerevolmente i casi di risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio di altri poteri dello Stato. Cfr. MANGAS MARTêN A. e LI„çN NOGUERAS D.J., Instituciones y Derecho de la Uni—n Europea, Madrid, McGraw-Hill, 2004, 74. QuestĠultima, scegliendo un approccio case by case ha, forse, corso il rischio di diluire la coerenza di fondo della propria posizione nella vischiositˆ dei casi concreti, adombrando delle oscillazioni giurisprudenziali che, in realtˆ, sono pi apparenti che effettive (15). DallĠimpostazione della Corte si percepiva un utilizzo del risarcimento del danno qual strumento per rinforzare lĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione, allorchŽ i mezzi disponibili (quali lĠeffetto diretto della normativa comunitaria o una sentenza della Corte in cui si dichiarasse il mancato ossequio del diritto comunitario da parte dello Stato, a seguito di un ricorso per inadempimento) non si fossero dimostrati sufficienti. Questo utilizzo del rinvio pregiudiziale quale strumento di compensazione delle inadeguatezze (non tanto formali, quanto relative allĠimpatto concreto sugli atti e comportamenti dei partner nazionali) si rivelava maggiormente utile per la Corte allorchŽ lĠatto non avesse effetto diretto, in quanto costituiva il tramite privilegiato attraverso cui suggerire la corretta attuazione della normativa comunitaria. I casi Brasserie e Factortame costituivano terreno fertile per il soddisfacimento della avvertita necessitˆ di chiarezza in merito al principio della responsabilitˆ dello Stato nel diritto comunitario giˆ postulata nella sentenza Francovich, sebbene il risvolto della medaglia fosse una certa complessitˆ degli stessi, nelle maglie della quale avrebbe corso il rischio di avvilupparsi il ragionamento interpretativo della Corte. Ecco perchŽ nellĠargomentazione del giudice comunitario si  colta una maggiore cautela in merito allĠaffermazione stessa di responsabilitˆ, che esso subordinava al requisito della violazione sufficientemente grave di una norma volta ad attribuire diritti agli individui (16). Ci˜, tuttavia, determinava il rischio di una incongruenza tra la sentenza Francovich e la sentenza Brasserie, in quanto la prima sembrava ammettere, a condizioni meno restrittive (ma, forse, meno chiare, tanto che i rinvii pre (15) Si allude a quanto si svilupperˆ nel corso della trattazione in merito solo apparente al superamento del principio del giudicato da parte della Corte di Giustizia. Si tenterˆ, infatti, di dimostrare come questĠultima non abbia affatto sovvertito il principio (a differenza di quanto sostenuto in qualche enfatica riflessione a caldo), essendosi limitata a rimarcare il principio di interpretazione conforme al diritto del- lĠUnione cui sono tenuti i giudici nazionali. Anche dove le posizioni assunte sono sembrate pi radicali (come nella sentenza Lucchini), non si , come si dimostrerˆ, trattato di un vero e proprio superamento dellĠintangibilitˆ del giudicato, ma del riconoscimento di un conflitto di competenza, risolto a favore del- lĠIstituzione europea (in quel caso la Commissione) e non del giudice nazionale che, pronunciandosi nel merito, aveva posto in essere un prodotto (la sentenza) incompatibile con il diritto comunitario. (16) Cfr. par. 55 della sentenza Brasserie du pe cheur e Factortame: ÇQuanto alla seconda condizione, sia per quanto riguarda la responsabilitˆ della Comunitˆ ai sensi dell'art. 215 sia per quanto attiene alla responsabilitˆ degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario, il criterio decisivo per considerare sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario  quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un'istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro potere discrezionaleÈ. giudiziali successivi erano volti a comprendere quale potesse essere la portata della responsabilitˆ statale), una culpa in re ipsa dello Stato e la seconda, pur estendendone la portata, ne limitava lĠapplicabilitˆ. Tale incongruenza pare, poi, essere stata superata nella sentenza Dillenkofer (17), in cui la Corte riteneva che, comunque ed in ogni caso, la mancata trasposizione di una direttiva fosse una violazione sufficientemente grave del diritto comunitario. Ci˜ denotava una evoluzione della giurisprudenza del giudice di Lussemburgo, nel verso di una costruzione sistematica del regime di responsabilitˆ (e ci˜ si evince anche dalla successiva sentenza Bergaderm, in cui la Corte rimarca lĠunitarietˆ dei presupposti della violazione per gli Stati membri e la stessa Comunitˆ) (18). Da ultimo, nella sentenza Robins (19), la Corte ha operato un approfondimento della tematica relativa alla sufficiente caratterizzazione della violazione, ponendo lĠaccento sui limiti posti dal legislatore comunitario alla discrezionalitˆ dello Stato membro: se questo, alla luce della normativa comunitaria, ha margini ridotti di discrezionalitˆ o non dispone affatto della stessa, qualunque trasgressione potrebbe essere idonea a realizzare la violazione sufficientemente caratterizzata richiesta dalla giurisprudenza comunitaria. Viceversa, qualora la normativa comunitaria permetta maggiori spazi di discrezionalitˆ, il compito del giudice nazionale chiamato a valutare la sussistenza della violazione sarˆ quello di verificare la presenza degli altri elementi sintomatici della violazione individuati dalla Corte di Giustizia. 1.5. Verso la sistematizzazione della responsabilitˆ. Se tale sistema di responsabilitˆ fosse stato compiutamente definito, alla Corte non sarebbero residuati quei margini (interpretativi, s“, ma indubbiamente incisivi sulle decisioni dei giudici nazionali) che le consentivano, comunque, lĠultima parola su un regime di cui, allo stesso tempo, essa aveva conferito la gestione agli Stati membri ed ai loro giudici. NellĠavvicendarsi delle pronunce sul tema, emergeva, tuttavia, il tentativo dei giudici di Lussemburgo di fornire carattere sistematico alla nozione di responsabilitˆ degli Stati membri per la violazione del diritto dellĠUnione, superando la iniziale visione strumentale dello stesso a garanzia esclusiva dellĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione. (17) Corte di Giustizia, sentenza dellĠ8 ottobre 1996, Erich Dillenkofer, Christian Erdmann, Hans- JŸrgen Schulte, Anke Heuer, Werner, Ursula e Trosten Knor contro Bundesrepublik Deutschland, Cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, in Raccolta 1996 I-04845. (18) Corte di Giustizia, sentenza del 4 luglio 2000, Laboratoires pharmaceutiques Bergaderm SA, Jean-Jacques Goupil contro Commissione, C-352/98 P, parr. 39-42, in Raccolta 2000 I-05291. (19) Corte di Giustizia, sentenza del 25 gennaio 2007, Carol Marilyn Robins e a. contro Secretary of State for Work and Pensions, Causa C-278/05, in Raccolta 2007 I-01053. Sotto questo fronte, la sentenza Kšbler non  particolarmente innovativa, in quanto essa dˆ conto di un orientamento giurisprudenziale che giˆ si era consolidato. Le ragioni dellĠulteriore rinvio pregiudiziale, allora, erano da rinvenirsi nella generalizzata tendenza ad accettare il principio di responsabilitˆ come costruito dal giudice comunitario, ma di rifiutare la sua applicazione pratica generale, in quanto ci˜ avrebbe inciso sullĠindipendenza dei giudici nazionali (20). Se tale opinione era diffusa ancora dopo la soluzione interpretativa fornita al caso Brasserie (21), il caso Kšbler, atteso per la fine dellĠanno 2003 (22), ha avuto senzĠaltro il merito di determinarne un primo superamento, costituendo una prima affermazione della responsabilitˆ dello Stato per il fatto dei propri giudici di ultima istanza. In Kšbler, infatti, la Corte fissa il principio della responsabilitˆ dello Stato per la violazione del diritto comunitario (per vero, invalso nella maggior parte degli Stati membri), ne rimarca i presupposti (costituiti dallĠincisivitˆ dellĠatto illegittimo sui diritti individuali, da una violazione sufficientemente seria del diritto dellĠUnione, sul nesso di causalitˆ fra questĠultima e la lesione) ma, nonostante le perplessitˆ manifestate supra, ne attua una interpretazione innegabilmente innovativa. Ai presupposti classici della responsabilitˆ dello Stato (volta a garantire la piena effettivitˆ del diritto dellĠUnione ed i diritti dei singoli), la Corte aggiunge, per quanto riguarda la responsabilitˆ derivante da atti dei giudici di ultima istanza, un onere di corretta applicazione dei precedenti giurisprudenziali pertinenti. In Kšbler, la Corte non riteneva applicabile la dottrina dellĠacte clair (23) da parte del Verwaltungsgerichtshof, il quale, tra lĠaltro, travisava il portato della precedente decisione Schšning-Kougebetopoulou, cos“ ledendo la libertˆ di movimento dei lavoratori allĠinterno della Comunitˆ di cui allĠarticolo 48 CE e al Regolamento n. 1612/68. Purtuttavia, dopo aver affermato che il Tribunale austriaco non avrebbe dovuto ritirare la domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte non riteneva che la violazione posta in essere dallo stesso avesse carattere manifesto (24), in quanto il diritto dellĠUnione non disciplina espressamente tale questione e non esisteva una chiara giurisprudenza in materia. Pertanto, nonostante lĠarticolo 234, terzo paragrafo del Trattato CE fosse (20) Cfr. STEINER J., From Direct Effect to Francovich: Shifting Means of Enforcement of Community Law, in European Law Review, n. 48/1993, 3, 11. (21) Cfr. TONER H., Thinking the Unthinkable? State Liability for Judicial Acts After Factortame, Year Book of European Law, n. 17/1997, 165. (22) Cfr. KOMçREK J., Federal Elements in the Community Judicial System: Building Coherence in the Community Legal Order, in Common Market Law Review, n. 42/2005, 9. (23) Cfr. par. 118 della sentenza Kšbler. (24) Cfr. par. 121 della sentenza Kšbler. stato violato dal giudice austriaco, questo non determinava, a detta della Corte, lĠattribuzione di responsabilitˆ allo Stato. I giudici di Kirchberg non chiarivano se il motivo fosse la scusabilitˆ dellĠerrore, anche perchŽ essi stessi, probabilmente, avevano contribuito a determinarlo, suggerendo alla giurisdizione di rinvio, tramite la propria cancelleria, la possibilitˆ di ritirare la domanda di rinvio pregiudiziale, a fronte di intervenuta giurisprudenza applicabile al caso di specie (ma anche, probabilmente, ai fini della riduzione del proprio carico di lavoro). é innegabile che lo Stato membro (in questo caso lĠAustria) si fosse trovato in una situazione delicata (25) ma altrettanto peculiare era, probabilmente, la condizione in cui versava la Corte, che, ammettendo la responsabilitˆ dello Stato, avrebbe corso il rischio di auto dichiarare la propria, con la possibilitˆ di esiti alquanto singolari (tra cui una eventuale azione di responsabilitˆ nei confronti della Corte stessa). Tali difficoltˆ derivavano, probabilmente, dalla natura ancora troppo funzionale e troppo poco sistematica della concezione di responsabilitˆ come delineata dalla Corte, in quanto, effettivamente, lĠattuazione stessa rischiava di essere vanificata semplicemente dallĠincorretto posizionamento di un tassello da parte degli attori, nazionali ed eurocomunitari, della procedura. 1.6. Le funzioni della responsabilitˆ e le esigenze individuali. LĠavvertita esigenza di revisione del sistema di responsabilitˆ come inizialmente prospettato dalla Corte di Giustizia pu˜ farsi discendere da una considerazione pi generale in merito alle funzioni della responsabilitˆ extracontrattuale: essa  presidio per il risarcimento del danno/indennitˆ (damage/ tort) ed altres“ strumento di conservazione della res attribuita al soggetto (wronguful act) (26). Nella iniziale prospettazione funzionale della Corte, lĠaffermazione di responsabilitˆ era pi concentrata sulla sanzione delle violazioni (per la realizzazione interessata del fine consistente nella garanzia di effettivitˆ del Diritto dellĠUnione), che non sulla garanzia conservativa delle posizioni giuridiche degli individui. In altre parole, il fine ultimo della responsabilitˆ come elaborata dalla (25) Si veda, a tal proposito, lĠart. 104, comma 2, del Regolamento di Procedura della Corte di Giustizia, per cui: ÇSpetta ai giudici nazionali valutare se essi abbiano ricevuto sufficienti chiarimenti mediante una pronuncia pregiudiziale, o se appaia necessario adire nuovamente la CorteÈ. (26) In questo secondo termine, cfr. BARCELLONA M., La responsabilitˆ extracontrattuale, Torino, Utet, 2012, 3 e ss., per cui il sistema giuridico chiama il diritto privato a svolgere tre funzioni fondamentali, quella attributiva (riservata alla disciplina dei cd. beni giuridici), quella traslativa (riservata alla disciplina del contratto e a quella delle successioni) e quella conservativa, riservata, appunto, alla responsabilitˆ, per cui il diritto provvede a garantire che la ricchezza e le chanches acquisitive, che in sede attributiva ha assegnato a ciascuno, non vengano impunemente distrutte ad opera di altri ed a questo fine prevede dispositivi atti a trasferire ricchezza da chi ne ha cagionato la distruzione a chi ne ha subito la perdita. Corte, pi che quello di garantire le posizioni giuridiche degli individui (obiettivo nobile e chiaramente rappresentato) pareva, piuttosto, quello di affermare ad ogni costo la primazia del diritto dellĠUnione, attraverso la comminazione di una sanzione per le violazioni dello stesso. Pertanto, sebbene le conseguenze fossero, sostanzialmente, analoghe, la responsabilitˆ pareva porsi pi in unĠottica superindividuale (sanzionatoria e rivolta agli Stati) che in una individuale (riparatoria e rivolta alla tutela dei cittadini). Emergeva, a questo punto, una difficoltˆ concettuale: come poteva porsi a presidio dellĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione e della certezza del diritto entro i suoi confini un sistema di responsabilitˆ solo eventuale (in quanto subordinato alla gravitˆ e al carattere manifesto della violazione)? (27). Infatti, solo allorchŽ fossero pregiudicati particolari diritti e la violazione avesse raggiunto un certo livello di serietˆ poteva essere affermata la responsabilitˆ dello Stato, che, in quanto avesse cagionato perdite o danni ai cittadini, comportava il risarcimento degli stessi. Per tale ragione e in virt di tali incongruenze,  parso che la Corte di Giustizia, pi cauta con riferimento alla portata delle proprie decisioni, volesse salvaguardare i giudici nazionali (e, indirettamente, se stessa) ritenendo, in Kšbler, che il comportamento del Tribunale di ultima istanza austriaco non integrasse una violazione del Diritto dellĠUnione attributiva di responsabilitˆ allo Stato (solo nella terza questione sottoposta alla sua interpretazione pregiudiziale essa riconosceva tale responsabilitˆ con riferimento alla normativa interna in materia di indennitˆ). Questo gioco di relazioni dava conto delle difficoltˆ applicative di un regime (nel quale, pi propriamente, la responsabilitˆ  una conseguenza della non assicurata effettivitˆ) che, finalisticamente e non strutturalmente concepito, risentiva della cooperazione degli Stati alla sua pi corretta attuazione. Non a caso, la letteratura anglosassone (pi sensibile ai temi del precedente giurisprudenziale vincolante e critica nei confronti del cd. attivismo giudiziale della Corte di Giustizia) aveva sottolineato come, a partire da Francovich, si fosse creato un regime fondato su un nuovo rimedio legale nazionale, in quanto  il giudice nazionale a stabilire se lo Stato sia responsabile oppure no della violazione del diritto dellĠUnione, essendo il ricorso alla Corte di Giustizia obbligatorio solo per i giudici di ultima istanza (28). Il sistema mostra le sue falle proprio nella sentenza Brasserie e Factortame, (27) Cfr. B. LEE, che, in ragione di tale ambiguitˆ, rifiuta ogni assimilazione tra il sistema di responsabilitˆ come concepito nellĠUnione e i sistemi nazionali di responsabilitˆ (civile, costituzionale, amministrativa, internazionale), B. LEE I., In Search of a Teory of State Liability in the European Union, Harvard Jean Monnet Working Papers, 1999, 9. (28) Cfr. HARLOW C., A Common European Law of Remedies?, The Future of Remedies in Europe, KILPATRICK C., NOVITZ T. e SKIDMORE P. (a cura di), Oxford, Hart Publishing, 2000, 80. in cui le due giurisdizioni di rinvio, a fronte dellĠunica pronuncia resa dalla Corte, decidono diversamente le questioni di diritto loro sottoposte, cos“ dimostrando che  allĠinterno degli Stati membri che si gioca la differenza tra la natura riparatoria e quella garantistica della responsabilitˆ extracontrattuale, con lĠeventuale intervento della Corte di Giustizia solo allorchŽ il sistema vacilli. é il giudice nazionale, pertanto, ad essere chiamato a ponderare i valori in gioco, dovendo correttamente applicare la normativa nazionale in materia di responsabilitˆ e, contemporaneamente, prestare attenzione al rispetto del principio di effettivitˆ (29). 1.7. Rischi di una elaborazione volutamente imprecisa. Da tutto ci˜ emerge come la Corte di Giustizia, nellĠintento di creare un regime obiettivo di responsabilitˆ, si sia trovata nella necessitˆ di condividere la potestˆ demiurgica con i giudici nazionali, purtuttavia trascurando taluni nodi centrali della materia. Quasi mai, infatti, la Corte si  occupata del danno risarcibile o del nesso di causalitˆ tra la condotta inadempiente ed il primo, demandandone la specificazione ai giudici nazionali. Ci˜ non per un senso di deferenza nei confronti di questi, in quanto, poi, essa si occupava di questioni come la scusabilitˆ dellĠerrore o lĠintenzionalitˆ della violazione (questioni, queste, che, invece, parrebbero rientrare maggiormente nellĠalveo delle competenze dei giudici nazionali). Nelle intenzioni della Corte, lĠeffettivitˆ sarebbe stata garantita dal fatto che una violazione sufficientemente seria senzĠaltro  fonte di responsabilitˆ, denunciando, cos“, lĠesigenza di una matrice comune e generalmente applicabile, a fronte della diversificazione dei regimi di responsabilitˆ allĠinterno degli Stati membri. Si consideri, ad esempio, la tendenza, registrata allĠinterno di alcuni Stati membri, alla elaborazione di forme di responsabilitˆ sempre pi oggettiva, per cui ad una determinata violazione corrisponde una altrettanto certa reazione da parte dellĠordinamento, a garanzia della certezza del diritto. Un sistema cos“ concepito garantirebbe a se stesso maggior coerenza e minor frequenza di eventi qualificabili come anomali (tra questi, senzĠaltro, il superamento di una res iudicata), che, spesso apparenti, sono frutto di oscillazioni interpretative. Tuttavia, a tali sistemi di responsabilitˆ obiettiva la Corte ha aggiunto elementi connotati da forte soggettivitˆ (il carattere intenzionale della violazione, la scusabilitˆ dellĠerrore di diritto, il comportamento della vittima o di terze parti), che, volti a circoscrivere la portata dellĠaffermazione di responsabilitˆ (29) Cfr. GIRERD P., Les principes dĠŽquivalence et dĠeffectivitŽ: encadrement ou desencadrement de lĠautonomie procŽdurale des Etats membres?, in Revue trimestrielle de droit europŽen, 2001, 48. quando utile, non mancano di provocare incertezze sullĠeffettiva portata della stessa quando, invece, essa sussista, con la conseguente creazione di pi regimi di responsabilitˆ coesistenti (30). é innegabile come tale, probabilmente necessitata, indefinitezza garantisca alla Corte di Giustizia ampi margini di controllo residuale, su un regime la cui gestione , formalmente, dalla stessa attribuito agli Stati membri ed ai loro giudici. Un maggiore compiutezza, probabilmente, diluirebbe il monopolio interpretativo in un effettivo rimedio nazionale ed  per questo che, nelle pronunce oggetto di studio, la Corte afferma sempre risolutamente come il diritto al risarcimento sia fondato sul diritto dellĠUnione. 1.8. LĠapparente unitarietˆ della responsabilitˆ. Un ulteriore punto di criticitˆ del sistema, come concepito dalla Corte, pu˜ cogliersi in relazione allĠaffermazione della stessa secondo la quale il regime di responsabilitˆ deve essere connotato da unitarietˆ, anche in ragione della presentazione unitaria dello Stato nel diritto internazionale, quale unicum nel quale non  possibile (nŽ dovuto) distinguere le proprie articolazioni interne (legislative, amministrative e giurisdizionali). Tuttavia, nei fatti, il regime  tuttĠaffatto che unitario, in quanto  la Corte stessa a diversificarlo a seconda dellĠorgano dal quale la violazione provenga (31). Nel diritto internazionale generale, invece, la responsabilitˆ degli organi giurisdizionali  effettivamente equiparata a quella degli altri poteri dello Stato e ci˜ ha senso poichŽ in quel sistema non cĠ diversificazione fra violazioni pi o meno gravi ed il diritto ad elaborare ed ottenere un risarcimento  creato e gestito esclusivamente allĠinterno dellĠordinamento internazionale stesso. Secondo lĠinterpretazione della Corte, nel diritto dellĠUnione si ha responsabilitˆ dello Stato solo se un organo dello stesso abbia violato gravemente e manifestamente i limiti della propria potestˆ, configurando ci˜ una violazione sufficientemente seria. Tuttavia, a dispetto dellĠaffermata unitˆ, gli organi di uno Stato membro non sono tutti dotati del medesimo livello di discrezionalitˆ nellĠapplicazione del diritto dellĠUnione e da questa circostanza  derivata la difficoltˆ di collocare il frammento di responsabilitˆ tra uno degli stessi nella sentenza Kšbler, specie in ragione del fatto che, in questo caso, la valutazione  s“ svolta dal giudice interno, ma sotto lĠinfluenza del giudice comunitario. (30) Per questo, cfr. ABOUDRAR-RAVANEL S., ResponsabilitŽ et PrimautŽ, ou la question de lĠefficience de lĠoutil, in Revue du MarchŽ commun et de lĠUnion EuropeŽnne, n. 544/1999, 437. (31) Cfr. ANAGNOSTARAS G., Not as Unproblematic as You Might Think: the establishment of causation in governmental liability actions, in European Law Review, 2002, 663. Questa scissione decisionale ed interpretativa rende palesi le differenze (che la Corte aveva mancato di considerare) con lĠordinamento internazionale generale, in cui, come si  detto, le questioni vengono decise nellĠambito di un sistema unitario e, per quanto pi possibile, coerente. 1.9. Decentralizzazione e garanzia di un ricorso effettivo. Da ci˜ pu˜ ricavarsi una ulteriore riflessione, anchĠessa non priva di effetti sulle esigenze di certezza allĠinterno dellĠordinamento eurocomunitario: lĠapplicazione necessariamente decentralizzata del diritto dellĠUnione (per cui il giudice naturale dello stesso  il giudice nazionale e non la Corte di Giustizia)  accompagnata dallĠaltrettanto necessaria garanzia di un ricorso effettivo ad un organo giurisdizionale a fronte di una violazione del diritto dellĠUnione, innanzi al quale le parti possano lamentare il torto subito (32). Un sistema cos“ concepito, tuttavia, pu˜ determinare una conseguenza paradossale: che ogni violazione del diritto dellĠUnione, eventualmente fonte di responsabilitˆ ed eventualmente determinante un diritto al risarcimento del danno a causa della stessa sub“to, possa essere del tutto riversata sul potere giurisdizionale, al quale spetterebbe lĠultima parola anche sulle violazioni poste in essere dagli altri poteri dello Stato. Tale ipotesi non  neutra nŽ priva di conseguenze rischiose, anche in ragione del fatto che la considerazione di cui i giudici di ultima istanza godono allĠinterno degli ordinamenti Stati membri  significativamente diversificata e ci˜ pu˜ incidere sulla concreta fruibilitˆ di diritti e libertˆ da parte dei cittadini. In questĠottica pu˜ essere, dunque, spiegato e giustificato lĠatteggiamento restrittivo della Corte di Giustizia in relazione alle violazioni direttamente attribuibili ai giudici nazionali di ultima istanza, relativamente alle quali la responsabilitˆ risarcitoria avrˆ luogo solo in casi eccezionali. In primo luogo, allorchŽ il giudice di ultima istanza, che vi  tenuto, non abbia sollevato un rinvio pregiudiziale in presenza di un dubbio interpretativo. In particolare, perchŽ ci˜ determini una responsabilitˆ dello Stato membro, bisognerˆ dimostrare che il giudice abbia manifestamente male utilizzato il proprio potere discrezionale di sollevare un rinvio pregiudiziale, nellĠambito della dottrina dellĠacte clair (33). In secondo luogo,  necessario (ma non sempre facile, specie per i danni materiali, come anche affermato dallĠAvvocato Generale LŽger nelle sue con (32) In questo senso, cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 15 maggio 1986, Marguerite Johnston contro Chief Constable Of The Royal Ulster Constabulary, C-222/84, in Raccolta 1986 01651, par. 17 e Corte di Giustizia, sentenza del 15 ottobre 1987, Union nationale des entra”neurs et cadres techniques professionnels du football (Unectef) contro Georges Heylens e altri, C-222/86, in Raccolta 1987 04097. (33) Cfr. PEERBUX-BEAUGENDRE Z., Premire consŽcration expresse du principe de la responsabilitŽ de lĠEtat membre pur les jurisprudences de ses cours suprmes dans le cadre de lĠarticle 226 CE, Revue trimestrielle de droit europŽen, 2004, 208 e ss. clusioni in merito al caso Kšbler (34)) dimostrare il nesso di causalitˆ tra la violazione ed il danno subito dal cittadino (solo nella sentenza KŸhne & Heitz (35) la Corte chiarirˆ ai giudici la cogenza dellĠobbligo di rinvio pregiudiziale, alla luce delle conseguenze del mancato adempimento dello stesso). Infine, affinchŽ sussista la responsabilitˆ,  necessario che la normativa violata conferisca diritti individuali. Tale quadro  reso ulteriormente complesso dalla diversificazione delle violazioni che potenzialmente possono essere poste in essere dai giudici (tra cui possono distinguersi errores in procedendo ed errores in iudicando) e dallĠassenza, nellĠordinamento dellĠUnione europea, di una gerarchia tra i giudici (che, invece,  ben chiara allĠinterno degli Stati membri), essendo questĠultimo un ordinamento di cooperazione. 1.10. Riflessi sul principio di intangibilitˆ della res iudicata. Ora, il passaggio logico dalla articolata questione della responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto comunitario a quella relativa allĠintangibilitˆ del giudicato si snoda attraverso un interrogativo: a fronte del monopolio interpretativo del diritto dellĠUnione, la Corte di Giustizia pu˜ operare delle revisioni sulle decisioni degli organi giurisdizionali di ultima istanza che costituiscano palesi e sufficientemente gravi violazioni del diritto dellĠUnione e che, quindi, siano giˆ fonte di responsabilitˆ per lo Stato membro al quale il giudice appartiene? Pi in generale:  sempre possibile rimettere in discussione una manifestazione di volontˆ dello Stato, a livello amministrativo o giurisdizionale (e, come si vedrˆ, la distinzione non  di poco conto), allorchŽ questa sia stata resa in contrarietˆ al diritto dellĠUnione? In altre parole, vi  da chiedersi se lĠaffermazione di responsabilitˆ, cui pu˜ seguire, a favore del soggetto leso dalla violazione del diritto dellĠUnione, un ristoro per equivalente attraverso il risarcimento del danno, possa condurre, in un crescendo progressivamente pi intrusivo dellĠautonomia degli Stati membri, alla prassi per cui lĠatto illegittimo debba sempre essere rimosso dallĠordinamento. (34) ÇVerosimilmente ci˜ non avverrˆ quando si tratta di un danno materiale. Infatti, la prova del nesso di causalitˆ fra un tale danno e l'inadempimento all'obbligo di rinvio presuppone che il singolo asseritamente leso dimostri che la decisione dell'organo giurisdizionale supremo sia stata conforme alle sue pretese se quest'ultimo avesse effettivamente effettuato un rinvio pregiudiziale. Salvo che la Corte pronunci una sentenza sul punto di diritto di cui trattasi, poco tempo dopo la pronuncia della decisione dell'organo giurisdizionale supremo, e che tale sentenza assecondi questo singolo nelle sue pretese,  difficile immaginare come possa essere fornita la prova di un tale nesso di causalitˆÈ par. 151 delle conclusioni dellĠAvvocato Generale LŽger. (35) Corte di Giustizia, sentenza del 13 gennaio 2004, KŸhne & Heitz contro Produktschap voor Pluimvee en Eieren, Causa C-453/00, in Raccolta 2004 I-00837, per cui vd. pi ampiamente infra, Parte Seconda. La risposta parrebbe essere negativa, in quanto la res iudicata giˆ formatasi resta presidio esclusivo del diritto nazionale, che, tendenzialmente, riterrˆ la conservazione del decisum esigenza pi stringente rispetto a quella di garantire effettivitˆ al diritto comunitario. La Corte, dal canto suo, si troverˆ innanzi a questo tipo di questioni solo allorchŽ venga effettivamente sollevato un rinvio pregiudiziale, che, tra lĠaltro, non  unĠazione a giurisdizione piena (ivi, infatti, essa deve attenersi alle questioni interpretative cos“ come proposte dalla giurisdizione di rinvio, che, naturalmente, offriranno una rappresentazione dei fatti dettata dalla sensibilitˆ del giudice nazionale che abbia formulato i quesiti interpretativi). NellĠimplementazione quale rimedio nazionale, il sistema di responsabilitˆ rischia di privare la Corte di Giustizia dellĠultima parola sistematica che essa avrebbe voluto attribuirsi, lasciando alla sola cooperazione tra i giudici lĠappianamento delle criticitˆ del sistema. Alla luce delle sottolineate peculiaritˆ di un tale regime di responsabilitˆ dello Stato per violazione del diritto dellĠUnione,  opportuno procedere alla disamina delle pronunce in cui alla violazione sia seguita la rilevata esigenza di eliminare lĠatto contrario al diritto dellĠUnione. PARTE SECONDA CORTE DI GIUSTIZIA E RES IUDICATA: CRONACA DI UN BLANDO TRAVOLGIMENTO (Sentenze Eco Swiss (C-126/97); KŸhne & Heitz (C-453/00); Kapferer (C-234/04); Lucchini (C-119/05); Fallimento Olimpiclub (C-2/08); Pizzarotti (C-213/13) La questione relativa alla responsabilitˆ dello Stato per lĠinadempimento, da parte di uno dei propri organi, del diritto dellĠUnione europea, permette, come accennato, un approdo allĠaltra, oggetto principale del presente studio e relativa alle conseguenze dellĠadozione, da parte di un giudice di ultima istanza o di altro organo statale, di una decisione contraria al diritto comunitario. Essa  stata lungamente dibattuta in seno alla Corte di Giustizia ed ha suscitato il pi vivo interesse di dottrina e giurisprudenza, anche in virt del suo carattere innovativo e potenzialmente travolgente di principi invalsi allĠinterno degli ordinamenti giuridici, tra cui quello di intangibilitˆ del giudicato e di certezza del diritto. 2.1. Le pronunce delle Corti europee e lĠintrusione nella sovranitˆ statale. Le pronunce oggetto di analisi in questa sezione, nella loro complessitˆ e diversificazione, testimoniano, anzitutto, la peculiaritˆ della materia e la necessaria cautela richiesta agli attori, comunitari e nazionali, in relazione ad un tema come quello del giudicato e possono dirsi specchio della pi generale tendenza del diritto dellĠUnione europea a pervadere gli spazi prima riservati agli ordinamenti nazionali (1). Incidentalmente, quanto alla progressiva erosione dei porti franchi di indiscussa sovranitˆ dello Stato, non pu˜ tacersi la cogente influenza esercitata, specie in campo penale, dal sistema della Convenzione e della Corte Europea dei Diritti dellĠUomo (che non , tuttavia, oggetto di questa ricerca), per cui si  assistito alla nascita e allo sviluppo di un sistema giuridico integrato, nel quale le autoritˆ nazionali e, in modo particolare, i giudici, hanno dovuto coniugare la propria tradizionale ed inattaccabile potestas interna con la preponderante forza normativa e il garantismo di nuovo conio promananti dai sistemi sovranazionali. Ci˜ , dĠaltronde, il precipitato naturale di questi ordinamenti di integrazione, in cui  necessariamente richiesta una sinergia tra gli attori a livello nazionale e sovranazionale. Tale necessitata comunione dĠintenti, tuttavia, non pu˜ non risentire della diversa matrice dei poteri ai differenti livelli e, pi in generale, della non sempre identica sensibilitˆ nei confronti di temi ricorrenti da parte dei soggetti chiamati a dare attuazione ai sistemi di integrazione. Tra questi, il tema dei diritti fondamentali per la Corte Europea dei Diritti dellĠUomo e i temi economici e mercantili per la Corte di Giustizia, la quale, tra lĠaltro, a seguito della consacrazione dellĠordinamento dellĠUnione europea quale luogo in cui i diritti dellĠindividuo sono ritenuti di interesse primario (specie a seguito dellĠentrata in vigore della Carta di Nizza, poi equiparata, quanto al valore giuridico, ai Trattati) (2) si  pi ampiamente occupata della questione, andando ben oltre il primario interesse per il buon funzionamento dei mercati e per la libera circolazione dei fattori produttivi, trascendendo il principio di non discriminazione e la libertˆ di concorrenza (cui, si rammenti, era peculiarmente ispirato lĠintento creatore dei Padri Fondatori). Tuttavia, nel momento in cui le Corti sovranazionali iniziano ad occuparsi (1) Sulle incidenze del diritto dellĠUnione europea sulla sovranitˆ statale, cfr. STILE M.T., Il problema del giudicato di diritto interno in contrasto con lĠordinamento comunitario o con la CEDU, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, Fasc. 2/2007, 237-266. LĠautrice, oltre al tema oggetto di studio, individua altri aspetti della sovranitˆ incisi dal diritto comunitario, tra cui, nella notissima sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 500 del 22 luglio 1999, il tema della risarcibilitˆ dei danni derivanti dalle violazioni di interessi legittimi, cui  conseguita lĠeliminazione di uno tra i pi risalenti privilegi goduti dalla pubblica amministrazione o, ancora, il tema della legittimazione delle associazioni dei consumatori ad impugnare le decisioni dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato, conformemente alla giurisprudenza della Corte (cfr., ex multis, Corte di Giustizia, sentenza del 25 ottobre 1977, Metro SB-Gro§mŠrkte GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunitˆ europee, Causa 26/76, in Raccolta 1977 01875) che riconosceva la legittimazione di soggetti terzi ad impugnare i c.d. provvedimenti assolutori della Commissione. (2) Cfr. art. 6 TUE. di temi tradizionalmente riservati alla sovranitˆ statale, le maglie del sistema, inevitabilmente, si allargano, richiedendo soluzioni di compromesso o, comunque, artifici giustificativi di tali intrusioni, che spesso sono il precipitato processuale di una collisione tra diritti sostanziali. Se, dunque, gli ordinamenti nazionali sono inevitabilmente incisi dalla forza preponderante con cui quelli sovranazionali si impongono nelle discipline di loro competenza,  vero anche che i primi e, in particolare, i loro organi giurisdizionali interni, influenzano i coefficienti di effettivitˆ della normativa europea (in special modo eurocomunitaria) (3), essendo i primi e diretti interlocutori dei cittadini, soggetti di entrambi gli ordinamenti. La diversificata sensibilitˆ degli organi nazionali (amministrativi, come in KŸhne & Heitz o giurisdizionali, come in Lucchini, Olimpiclub e Pizzarotti) produce effetti che si riversano nella tenuta dei rapporti con gli ordinamenti sovranazionali, fino a determinare la responsabilitˆ degli Stati membri (4) nel caso in cui la condotta dei loro organi sia risultata incompatibile con i compromessi che essi stessi hanno deciso di porre in essere (in uno schema singolare nel quale gli apparenti coscritti, provenienti da schieramenti contrapposti, sono, in realtˆ, i medesimi soggetti - gli Stati- che ivi si trovano a seguito di una cessione volontaria della propria potestˆ). Ci˜ in quanto, se  vero che lĠordinamento comunitario ha una propria autonomia giuridica e funzionale, non pu˜ negarsi che esso, senza la sinergica collaborazione degli Stati membri e dei loro organi, non potrebbe spiegare a pieno le proprie competenze. 2.2. Una ingerenza necessitata. A chi scrive, tuttavia, non pare che tale infittita, ma necessaria, rete di relazioni tra Stati membri ed istituzioni comunitarie comprometta irrimediabilmente la tenuta degli ordinamenti. DĠaltronde, il profilarsi di divergenze interpretative (quali si sono verificate nei casi sopra riportati) tra giudici (in questo caso di diversi, ma compenetrati, ordinamenti) nella tutela dei medesimi diritti rientra nella fisiologia dello ius dicere. Certo, essa crea delle criticitˆ, giˆ sottolineate ampiamente in materia di responsabilitˆ dello Stato per le violazioni del diritto dellĠUnione (5), ma non priva del tutto i sistemi (o il sistema) della sua intrinseca coerenza. (3) Per questo, cfr. STILE M.T., ibidem. (4) Cfr. CAPELLI F., LĠobbligo degli Stati a risarcire i danni per violazione delle norme comunitarie, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, 1997, 54 ss.; TESAURO G., ResponsabilitŽ des Etats Membres pour violation du droit communautaire, in Rev. marchŽ commun et de lĠUn. eur., 3/1996, 12-34; TIZZANO A., La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dellĠUnione Europea, in Foro it., 1995, IV, 13 ss. (5) Cfr. supra, Parte Prima. In questo modo, lĠattivismo della Corte di Giustizia si spiega nella necessitˆ di giustificare le limitazioni al liberismo cui la creazione delle Comunitˆ era preordinata e che, tuttavia, in una prospettiva esclusivamente mercantilistica, denotavano una scelta ancora miope (6), che necessitava degli arricchimenti costituzionali ed istituzionali che sono, via via, sopraggiunti. é merito della Corte di Giustizia quello di aver colmato, non senza difficoltˆ, le lacune del sistema, almeno fino a quando non si sia registrata, anche a livello normativo, una chiara presa di posizione in materia di tutela dei diritti, attraverso lĠinserimento della previsione di cui allĠarticolo 6.2. del Trattato di Maastricht, in cui, per la prima volta, si affermava che Ç[l]ĠUnione rispetta i principi fondamentali (É) quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitarioÈ (7). 2.3. Tre filoni interpretativi. é possibile isolare tre macro aree interpretative allĠinterno della giurisprudenza della Corte in materia di giudicato (8). La prima riguarda controversie di tipo verticale, sorte, cio, tra soggetti privati ed amministrazioni nazionali e nelle quali, attraverso la tecnica c.d. della amministrazione indiretta, le seconde erano chiamate a dare attuazione al diritto dellĠUnione. La seconda direttrice concerne, invece, controversie intercorrenti tra privati. La terza, infine, ricomprende il solo caso Lucchini, che, per la sua singolaritˆ, merita una posizione isolata. Si trattava, in quel caso, di una questione di amministrazione c.d. diretta, in cui erano direttamente le Istituzioni comunitarie (segnatamente, la Commissione) ad amministrare il diritto dellĠUnione. Quanto al primo filone, nel quale  inquadrabile la sentenza KŸhne & Heitz, il primato del diritto comunitario  stato ivi inteso quale specificazione del principio di effettivitˆ, anche alla luce del principio di equivalenza, per cui le regole procedurali degli Stati devono essere applicate allo stesso modo per le posizioni soggettive derivanti dal diritto interno e per quelle derivanti dal diritto comunitario. In questĠottica sono spiegate le condizioni delineate dalla Corte in KŸhne & Heitz perchŽ una decisione definitiva potesse essere rimessa in discussione. Qui, in particolare, oltre alla trasformazione in obbligo della possibilitˆ dellĠorgano dello Stato membro di ritornare su una propria decisione  rilevante interrogarsi su quanto la posizione del cittadino possa influenzare lĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione allĠinterno dello Stato membro. (6) Cfr., a tal proposito, GIUBBONI S., I diritti sociali fondamentali nellĠordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Diritto dellĠUnione Europea, 2003, 325. (7) Cfr., al riguardo, SCUDIERO L., Comunitˆ europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire?, in Riv. dir. eur., 1996, 263 ss. (8) Cfr. RAIMONDI S., Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra principio di effettivitˆ e competenze di attribuzione, in Il Diritto dellĠUnione Europea, 4/2008, 773-823. Ovvero: pu˜ discorrersi di una lesione del principio di effettivitˆ se il singolo abbia scelto di non esperire tutti i ricorsi a propria disposizione per tutelare la propria posizione violata? A chi scrive pare che il corretto spiegarsi del principio di effettivitˆ non possa essere sottoposto alle scelte dei singoli individui e che esso, invece, dipenda da scelte di carattere sistematico allĠinterno degli ordinamenti. Infatti, laddove esso dipendesse esclusivamente dalla diligenza degli individui nella contestazione delle illegittimitˆ, allorchŽ, per ipotesi, una schiera indefinita e molto ampia di soggetti prestasse acquiescenza ad una decisione contraria al diritto comunitario, lĠeffettivitˆ dello stesso potrebbe sempre dirsi violata (9). Nel secondo filone, riguardante controversie intercorrenti tra privati, nel quale possono farsi rientrare le pronunce Eco Swiss e Kapferer, la Corte ha dovuto adottare criteri risolutivi differenti. Infatti, nelle cause del primo filone, intercorrenti tra i singoli e lo Stato, doveva tenersi in debita considerazione lĠobbligo di leale cooperazione che incombe sul soggetto pubblico e che poteva giustificare la posizione pi rigorosa della Corte, suscettibile, pertanto, anche di rimettere in discussione la definitivitˆ di talune decisioni. Viceversa, in questi casi, la tutela degli interessi dei terzi privati poteva giustificare un approccio pi conservativo. Pertanto, a fronte della tenuta delle decisioni definitive ritenute illegittime, lĠunico rimedio avrebbe potuto essere quello di una azione di carattere extracontrattuale nei confronti dello Stato per la violazione di una norma di diritto dellĠUnione da parte di un giudice di ultima istanza. LĠultimo filone, infine, lasciava intendere, in ragione delle sue specificitˆ, che lĠautonomia processuale degli Stati membri potesse essere consacrata come prevalente solo nei casi di amministrazione indiretta. In Lucchini si trattava, infatti, di una ipotesi di amministrazione diretta del diritto dellĠUnione da parte della Commissione e il conseguente riparto di competenze, anchĠesso posto a presidio della certezza del diritto poteva giustificare un eventuale superamento del giudicato illegittimo. 2.4. Corte di Giustizia e giudicato nazionale. Lesione di principi? Alla luce delle considerazioni che precedono si deve inquadrare lĠexcursus della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di giudicato riportato nella prima parte di questo capitolo, ovvero tentando di spiegare come la questione dellĠapparente superamento della res iudicata da parte del giudice (9) Cfr. a questo proposito, la sentenza Kempter (Corte di Giustizia, sentenza del 12 febbraio 2008, Willy Kempter KG contro Hauptzollamt Hamburg-Jonas, C-2/06, in Raccolta 2008 I-00411), in cui la Corte ha precisato le condizioni di diligenza del singolo. comunitario sottenda, in realtˆ, una faticosa presa di posizione per la salvaguardia e lĠaffermazione del nuovo diritto sostanziale europeo, che investe settori (quale quello della tutela dei diritti, della cooperazione giudiziaria, della concorrenza, della disciplina degli aiuti di Stato, della imposizione tributaria) prima appannaggio esclusivo della normazione statale. Tale interpretazione pare suffragata dal fatto che la Corte, nella elaborazione della corrente in materia di giudicato, ha dimostrato di saper stare al proprio posto, pur attribuendosi il ruolo di interprete privilegiato e legittimato del diritto dellĠUnione. DĠaltronde, se essa avesse inteso risolvere il contrasto tra diritto nazionale e diritto comunitario solo sulla base del primato (10) del secondo sul primo, avrebbe sempre dovuto concludere, in modo tranciante, per la disapplicazione o per la nullitˆ del provvedimento nazionale incompatibile o delle norme procedurali che a questo conferissero carattere definitivo. Ma ci˜ avrebbe eroso drasticamente lĠautonomia procedurale degli Stati membri, la certezza del diritto e lĠeventuale affidamento di terzi sul provvedimento definitivo. Pertanto, a fronte della pressochŽ unanime convinzione in merito allĠintangibilitˆ del giudicato (11), la Corte, cautamente, si  trovata ad affermare che solo gli ordinamenti interni possono prevedere dei rimedi a fronte di palesi iniquitˆ di un giudicato (costituiti, nellĠordinamento italiano, ad esempio, dagli istituti della revocazione della sentenza definitiva resa dal giudice civile (articolo 395 c.p.c.) e dalla revisione della sentenza penale (articolo 360 c.p.p.), concepiti come mezzi di impugnazione straordinari, la cui invocazione , comunque, subordinata alla sussistenza di presupposti stringenti. Alla luce di ci˜, pu˜ individuarsi (forse, con la sola eccezione costituita dal caso Lucchini) una certa coerenza nella risoluzione dei casi sottoposti allĠattenzione della Corte in cui era posto in discussione il principio del- lĠintangibilitˆ del giudicato, tanto da consacrare il giudice di Lussemburgo quale ossequioso custode del principio e non giˆ quale impunito sovvertitore dello stesso. In Kšbler, tanto per cominciare, si  registrato pi il superamento di un pregiudizio (quello relativo allĠimpossibilitˆ di configurare una responsabilitˆ dello Stato per il fatto illecito dei propri giudici di ultima istanza), che il superamento di principio (quello del giudicato). LĠintangibilitˆ della res iudicata (per cui la decisione passata in giudicato in merito allĠimpossibilitˆ di riconoscere al professor Kšbler lĠindennitˆ che, secondo il diritto comunitario, gli sarebbe spettata) era, anzi, il presupposto per lĠaffermazione della responsabilitˆ dello Stato. (10) Sui rapporti tra fonti, cfr. ZAGREBELSKI G., Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992. (11) Per cui si vedano le considerazioni ampiamente svolte nella introduzione al presente lavoro. Anche lĠallora Avvocato Generale Tizzano, che, nelle proprie conclusioni relative al caso Kapferer aveva riscontrato un temperamento del principio di intangibilitˆ di decisioni divenute definitive (12), riteneva comunque inattaccabile il principio della res iudicata, che dichiarava applicabile esclusivamente alle decisioni giurisdizionali, cos“ giustificando lĠapparente superamento dello stesso in casi come KŸhne & Heitz, in cui era in discussione la tenuta non giˆ di una sentenza, bens“ di una decisione amministrativa, possibile oggetto di revisione in autotutela da parte dellĠorgano che lĠaveva resa. Per tutte queste ragioni, non pare che si possa parlare di una effettiva lesione di principi, anche in ragione dellĠassenza di una sovvertitrice linea direttrice unitaria, la quale si evince anche dallĠatteggiamento, pi o meno restrittivo, della Corte, dipendente dalla materia oggetto, di volta in volta, del fatto concreto sottoposto alla sua attenzione (13). Tale approccio case by case non  certo scevro da profili problematici, ma non  impossibile leggervi una coerenza di fondo, fondata, da un lato sul- lĠossequio del principio della certezza del diritto e, dallĠaltro, sullĠesigenza di garantire piena effettivitˆ al diritto dellĠUnione. In altre parole, lĠattivismo della Corte, lungi dal ledere i principi fondamentali ed immanenti agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, mirerebbe, pi che altro, a compensare lĠinerzia legislativa di questi, nei confronti del diritto eurocomunitario (14). 2.5. Una nuova chiave di lettura dei rapporti fra ordinamenti. In questĠottica, il principio del giudicato rappresenta uno dei confini ultimi posti dagli ordinamenti nazionali per preservare la loro sfera di autonomia nei confronti del diritto comunitario e, allo stesso tempo, il terreno fertile per lo sviluppo delle riflessioni del giudice comunitario in materia di attuazione del diritto sostanziale, nei modi pi coerenti e compatibili con le prescrizioni sovranazionali cui gli Stati hanno deciso di sottoporsi. Tale orientamento  ben visibile in Olimpiclub, in cui, nonostante nella giurisprudenza nazionale di legittimitˆ fosse stato superato il prima invalso principio di frammentazione del giudicato (15), a partire dalla nota sentenza (12) ÇAlla luce delle considerazioni sopra svolte mi sembra pertanto di poter concludere che il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale che ha acquisito forza di giudicato qualora risulti che tale decisione abbia violato il diritto comunitario È. Cfr. par. 34 delle conclusioni dellĠAvvocato Generale Antonio Tizzano nella causa Kapferer. (13) A questo proposito, cfr. GROUSSOT X., MINSSEN T., Res judicata in the Court of Justice Case- Law: Balancing Legal Certainty with Legality?, in European Constitutional Law Reviev, 3/2007, 401. (14) Cfr. ADINOLFI A., The ÒProcedural AutonomyÓ of Member States and the constraints stemming from the ECJĠs case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice and the Autonomy of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia 2012, 302. (15) Per cui, in materia di IVA, lĠaccertamento relativo ad una singola annualitˆ fiscale poi passato in giudicato non spiegava i propri effetti conformativi nei giudizi relativi ad altre annualitˆ. delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13916/2006 (16) in cui si affermava che, Ç[i]n una fattispecie di esenzione fiscale pluriennale, accertato con sentenza passata in giudicato che al contribuente spetta l'esenzione per un segmento dell'arco temporale di estensione dell'esenzione medesima, tale sentenza ha efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale si discute della spettanza dell'esenzione per un altro segmento di quell'arco temporaleÈ, la Corte ritiene di dover suggerire ai giudici nazionali di ritornare sui propri passi, laddove lĠadesione al principio della frammentazione sia strumentale alla pi corretta attuazione del diritto dellĠUnione. Taluno (17) ha parlato, a questo proposito, del progressivo emergere di un diritto processuale europeo, che  auspicato e stimolato dalla Corte di Giustizia, ma del quale lĠattuazione  demandata, comunque, ai giudici nazionali e dipenderebbe dalla sensibilitˆ di questi nei confronti dei temi del diritto eurocomunitario. La questione non  di poco conto, se si considera che la Corte ha associato alle ipotesi di scollamento fra una decisione nazionale e il diritto dellĠUnione la pi grave sanzione del risarcimento del danno a carico dello Stato membro. Si tratta, dunque, della scelta tra un ristoro per equivalente, consistente nella affermazione della responsabilitˆ dello Stato cui consegua il risarcimento del danno e uno in forma specifica, consistente nellĠanelata eliminazione di una decisione, anche definitiva, contraria al diritto dellĠUnione. Come si  avuto modo di notare, le soluzioni non sono sempre state agevoli nemmeno per il giudice comunitario, anche alla luce della profonda diversificazione dei casi e delle materie sottoposti alla sua attenzione. In Kšbler, ad esempio, si trattava di decidere, pi che sulla compatibilitˆ tra un giudicato e una norma europea, su quella tra due giudicati (segnatamente, la pronuncia divenuta definitiva del Verwaltungsgerichtshof e la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia favorevole al ricorrente). In queste occasioni, dunque, attraverso il rinvio pregiudiziale, alla Corte era stata, altres“, sottoposta la risoluzione di un peculiare conflitto di attribuzioni (18) o, in alternativa di competenza (19). (16) Cass., S.U., 16 giugno 2006, n. 13916, in Foro it. 2007, 2, I, 493. (17) GAVAA., Giudicato nazionale e diritto comunitario: (quale) nuova chiave di lettura del rapporto tra gli ordinamenti?, in Europa e Diritto Privato, 1/2010, 297. (18) Su questi, nellĠordinamento italiano,  la Corte costituzionale a giudicare, a norma dellĠart. 134, comma III della Costituzione. Tuttavia, perchŽ possa parlarsi di conflitto di attribuzioni tra poteri, sono necessarie le seguenti condizioni: a) che esso sorga fra organi appartenenti a poteri diversi; b) che sorga fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontˆ del potere cui appartengono; c) che sorga per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Cfr. MARTINES T., SILVESTRI G. (a cura di), Diritto Costituzionale, XIII ed., Milano, Giuffr, 2013, 344. (19) Il dubbio sorge in ragione della assenza della prima delle condizioni di cui alla nota precedente affinchŽ possa delinearsi un conflitto di attribuzioni, ovvero quella relativa allĠappartenenza dei giudici nazionali e della Corte a poteri diversi (e non, invece, al medesimo, ovvero quello giurisdizio Giˆ in Francovich, attuando lo stratagemma del risarcimento del danno, la Corte risolveva il conflitto di competenza a favore del giudice nazionale e quello di attribuzione in proprio favore, riservandosi lĠultima parola interpretativa. DĠaltronde, come giˆ sottolineato, il presupposto dellĠobbligazione risarcitoria  stato, in questi casi, proprio il permanere della violazione, in ragione della impossibilitˆ di eliminare una decisione divenuta definitiva (20). La giurisprudenza Lucchini, anche sotto questo versante, mostra tutte le sue peculiaritˆ, tanto che vi  sia chi ha ritenuto che la Corte abbia ivi risolto un conflitto di competenze (21) e chi, invece, un conflitto di attribuzioni (22). La lieve propensione verso la seconda di queste spiegazioni  giustificata dal fatto che, in Lucchini, la competenza a decidere sulla spettanza dellĠaiuto era, in effetti, riservata alla Commissione e non giˆ al giudice nazionale e, proprio in ragione del fatto che lĠordinamento comunitario prevale nelle materie ad esso espressamente riservate, con la contestuale necessitˆ di disapplicare la norma interna con esso confliggente, si spiega la portata di tale pronuncia. La sentenza, in realtˆ, sottendeva un (poco) velato rimprovero della Corte (ma, pi, in generale, dellĠordinamento comunitario) (23) nei confronti della condotta dello Stato italiano nel suo complesso, il quale, dapprima, non aveva ottemperato correttamente ai propri oneri comunicativi nei confronti della Commissione e poi, sia attraverso la decisione del giudice civile che attraverso la mancata rilevazione della, nel frattempo, intervenuta, decisione della Commissione in merito allĠaiuto, aveva contribuito al consolidarsi della decisione contraria al diritto comunitario. Pertanto, in Lucchini, la Corte, che ha poi avuto modo di precisare che mai essa ha superato il limite del giudicato, ha formulato un rimprovero di tipo politico nei confronti dello Stato membro e ci˜ ha giustificato sia la singolaritˆ della pronuncia che la portata esorbitante della stessa. é in Olimpiclub che la Corte, superate le asperitˆ del caso Lucchini, ritrova coerenza argomentativa, questa volta al di fuori della questione di competenza (che, dĠaltronde, non avrebbe potuto porsi, giacchŽ la competenza a nale). La questione potrebbe essere risolta differenziando le attribuzioni dei due organi e ricordando che la Corte di Giustizia  deputata, pi che altro, allĠinterpretazione del diritto dellĠUnione, la cui applicazione pertiene, invece, alle giurisdizioni nazionali. (20) Cos“, PICARDI N., Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superioritˆ del diritto comunitario, in Giust. Civ., 2008, 561. (21) NUCERA, V., La tenuta del giudicato nazionale al banco di prova del contrasto con lĠordinamento comunitario, in Riv. Dir. Trib., IV/2008, 161. (22) CAPONI R., Giudicati civili nazionali e sentenze delle corti europee tra esigenze di certezza del diritto e gerarchia delle fonti, sintesi aggiornata della relazione Corti europee e giudicati nazionali, presentata al XXVII Congresso nazionale dellĠAssociazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Verona, 25-26 Settembre 2009. (23) Si vedano, a questo proposito, le recise osservazioni dellĠAvvocato Generale Geelhoed in riferimento allĠoperato dei giudici nazionali. decidere delle annualitˆ fiscali era esclusivamente del giudice nazionale), risolvendo il contrasto tra un giudicato e una norma comunitaria, ovvero un contrasto fra principi generali tra due ordinamenti, attraverso la rievocazione di un vecchio principio (quello della frammentazione dei giudicati), ormai abbandonato dalla giurisprudenza nazionale. 2.6. Uno scontro evitabile. Molte delle difficoltˆ concettuali insite nella elaborazione (allĠoccorrenza, nella revisione o nella riedizione) di un concetto di giudicato comunitario derivano, altres“, dalla differenza di vedute tra la Corte di Giustizia e i giudici delle leggi di taluni Stati membri. La prima, tradizionalmente fautrice della tesi monista dei rapporti tra Stato e ordinamento internazionale e i secondi, pronti ad arginare la forza espansiva del diritto comunitario sostenendo la (ormai temperata) tesi dualista, si scontrano sulla soluzione di conflitti che, se inquadrati allĠinterno di un medesimo ordinamento mantengono la loro coerenza sistematica (e non  un caso che la Corte di Giustizia abbia ritenuto di essere competente a risolvere conflitti di attribuzione tra istituzioni comunitarie e Stati membri), ma che mostrano le loro problematicitˆ in una prospettiva inter ordinamentale (24). Promotrice dellĠintegrazione, la Corte di Giustizia, in occasione delle pronunce in materia di giudicato, ha tentato, con non poca fatica, di sopperire a mancanze sostanziali e processuali interne agli Stati membri, alla luce del diritto dellĠUnione. Per questo motivo, non  mancata lĠopinione di chi (25) abbia ritenuto che il sollevamento del polverone sulla questione del giudicato si sarebbe potuto evitare se si fossero adottate, nel corso dei giudizi e delle procedure nazionali, maggiori cautele nel rispetto del diritto comunitario. (24) A proposito della contrapposizione fra monismo e dualismo nellĠordinamento dellĠUnione europea, cfr. ITZCOVICH G., Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2006, il quale individua nellĠordinamento comunitario una costruzione-piano, ossia un progetto politico al quale, in modi diversi, i singoli Stati avrebbero dovuto conformarsi, un diritto costituzionale in fieri, e non una costituzione statica, un modello di divisione dei poteri giˆ stabilito. Questa concezione dei trattati istitutivi ha svolto un ruolo anche nella modalitˆ di interpretazione degli stessi, che si  improntata sul modello teleologico. I trattati vengono interpretati s“ da realizzare il fine dell'integrazione, allontanandosi dai modelli restrittivi e letterali di interpretazione fondati sull'assunto che non si sarebbero potute individuare limitazioni alla sovranitˆ statale, a meno che non fossero chiaramente espresse o non costituissero un favore al contraente. L'autore connette l'uso del metodo teleologico al principio dell'autonomia del diritto comunitario rispetto ai diritti statali, ritenendo il principio funzionalista la vera modalitˆ di sviluppo delle istituzioni europee. Egli fa riferimento ad una progressiva de-internazionalizzazione del diritto comunitario da parte della Corte di Giustizia, che ha cos“ generato un ordinamento peculiare e retto da principi parzialmente differenti rispetto a quelli del diritto internazionale. Sulle interpretazioni funzionali dei trattati, cfr. anche supra, Parte Prima. (25) Cfr. NEGRELLI A., Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o risolvere altrimenti, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 5/2008. In Lucchini il Consiglio di Stato, nel sollevare la questione pregiudiziale, riteneva che il giudicato coprisse il dedotto ed il deducibile e traeva lĠintangibilitˆ della decisione della Corte dĠAppello di Roma dalla circostanza che la decisione della Commissione fosse venuta in essere in un secondo momento, quando la Lucchini poteva dire di aver giˆ consolidato la propria aspettativa in merito alla corresponsione dellĠaiuto. Cos“ posta, la questione ha messo la Corte di Giustizia innanzi ad una pericolosa alternativa, tra la garanzia dellĠeffettivitˆ del diritto dellĠUnione e quella della autonomia processuale nazionale, risolta nelle giˆ note modalitˆ. Tuttavia, se il Consiglio di Stato avesse considerato pi attentamente la circostanza per la quale un giudicato pu˜, a determinate condizioni, far salve eventuali sopravvenienze, tali che il deducibile valga solo per i fatti passati, si sarebbe forse assistito ad una pi coerente affermazione di principio da parte della Corte, al di lˆ della dirompenza che la decisione della stessa era, comunque, destinata a manifestare. Vi  da chiedersi, quale grado di collaborazione (ai sensi dellĠarticolo 4 TUE) possa essere richiesto agli Stati membri e ai loro organi al fine di evitare, a monte, tali imbarazzanti situazioni di incompatibilitˆ, che spingono il giudice comunitario ad esporsi, non senza conseguenze, sullĠattuazione del diritto dellĠUnione. La risposta  una questione di prospettive. Una prospettiva internazionalista colloca gli attori delle procedure su due piani parzialmente differenti, ove ciascuno di essi pu˜ estrinsecare la propria autonomia riducendo il rischio di interferenze o di incongruenze derivanti dallĠintersezione con i partner dellĠaltro ordinamento (in questa prospettiva pu˜ farsi rientrare il sistema della CEDU, che richiede al soggetto leso in un diritto garantito dalla Convenzione il previo esperimento di tutti i ricorsi interni prima di rivolgersi alla Corte di Strasburgo). Una prospettiva integrazionista, viceversa, garantisce maggiore organicitˆ al sistema e se, da un lato, in ragione della pi acuta sensibilitˆ richiesta alle autoritˆ nazionali, impedisce a monte la creazione di situazioni contrarie al diritto dellĠUnione, dallĠaltro, laddove queste vengano comunque in essere, sono private della loro regolaritˆ, in quanto formatesi in spregio alla normativa comunitaria (26). In ci˜ il diritto comunitario ha profondamente modificato il modo di intendere i sistemi giuridici tradizionali, dai quali era impossibile pretendere una astensione acritica da reazioni o limitazioni di tale forza propulsiva. Si pensi, ancora una volta, alla Corte costituzionale italiana, che ha sottolineato come ogni statuizione della Corte di Giustizia debba essere sottoposta (26) Per questo, cfr. CANNIZZARO E., Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto del- lĠUnione europea, in Il Diritto dellĠUnione Europea, 3/2008, 447-468. ai controlimiti costituzionali (27) o, ancora, al Consiglio di Stato, che, per giustificare lĠeventuale superamento di giudizi amministrativi divenuti definitivi, soleva distinguere tra giudizi sullĠatto (la cui stabilitˆ era superabile, attraverso un sostanziale annullamento in autotutela) e giudizi sul rapporto (come quelli civili), in cui lĠautoritˆ del giudicato non permetteva superamento alcuno. La composizione di questi conflitti fra le autoritˆ nazionali (in particolare, i giudici) e quelle comunitarie (in particolare, la Corte di Giustizia) non pu˜ prescindere dalla considerazione dellĠanelito integrazionista che ispira lĠesperienza comunitaria e, poi, dalle successive, anche se controbilanciate, spinte costituenti dellĠUnione, alla luce dei quali le ritrosie nazionali andrebbero ridimensionate a vantaggio del buon funzionamento del sistema nel suo complesso. 2.7. Il caso Pizzarotti: rilievi della sentenza della Corte nella considerazione del giudice remittente. Il recentissimo caso Pizzarotti (28), il quale si pone in rapporto di specificazione con i propri precedenti, non avendo qui la Corte assunto una posizione netta sul travolgimento di una decisione amministrativa contraria al diritto comunitario, limitandosi a sollecitare lĠutilizzo delle regole procedurali interne per assicurare lĠossequio del diritto dellĠUnione, pone in evidenza lĠimportanza della considerazione del giudice remittente in merito alla intervenuta sentenza della Corte su una materia oggetto di rinvio pregiudiziale. Infatti, se si  dimostrato come la Corte non abbia, fino ad ora, effettivamente inciso il principio della autonomia procedurale degli Stati membri, meritano di essere chiariti i limiti di codesta autonomia e le modalitˆ di esercizio della stessa a seguito di una pronuncia della Corte su una materia incisa dal diritto dellĠUnione. In altre parole, quali sono i vincoli derivanti al giudice nazionale dalle prescrizioni di una sentenza interpretativa resa dalla Corte di Giustizia? Certamente, esso deve prestarvi ossequio, in quanto la pronuncia della Corte di Giustizia spiega effetti endoprocessuali tali che essa ha portata vincolante per il giudice del rinvio e per le eventuali giurisdizioni superiori che fossero chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa. Il rifiuto di prestare ossequio alla sentenza della Corte potrebbe comportare, a carico dello Stato membro, lĠapertura di una procedura di infrazione e sfociare nel ricorso per inadempimento di cui allĠarticolo 258 TFUE. Ma, al di lˆ delle palesi inosservanze del dictum della Corte, vi  un ampio (27) Sui, travagliati, rapporti fra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia dellĠUnione europea, cfr. CHITI M.P., La Consulta e il primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, verso il concerto costituzionale europeo, in Giornale di diritto Amministrativo, (2008). (28) Per cui cfr. GATTINARA G., LĠautoritŽ de la chose jugŽe aprs lĠ arrt Pizzarotti, in Revue des Effaires EuropŽennes, 3/2014, 623-632. ventaglio di possibilitˆ interpretative cui il giudice remittente, nellĠalveo della propria autonomia, pu˜ far ricorso. é quanto  successo nellĠancora pendente giudizio Pizzarotti, in cui, a seguito della sentenza resa dalla Corte (la quale suggeriva di far ricorso, in sede di ottemperanza, ad interpretazioni della decisione passata in giudicato compatibili con il diritto dellĠUnione, alla stregua del principio della formazione progressiva del giudicato amministrativo, come concepito dalla giurisprudenza amministrativa), la sezione Quinta del Consiglio di Stato (29) ha deciso di rimettere la questione allĠAdunanza Plenaria, Çdovendosi verificare se, dopo la riforma del processo amministrativo attuata con lĠadozione del relativo codice e lĠintroduzione di azioni processuali prima non riconosciute dal sistema processuale amministrativo, abbia ancora senso fare riferimento allĠistituto in esame [il giudicato a formazione progressiva] che  stato elaborato dalla giurisprudenza proprio per sopperire alle limitazioni proprie del processo amministrativo originario, centrato sulla sola azione di annullamento del provvedimento illegittimo; oppure se debba farsi riferimento ad un concetto di giudicato omologo a quello civilistico ed incentrato sul dictum contenuto nella sola sentenza di meritoÈ. Il Consiglio di Stato Ç[c]onsiderato che, come  noto, in sede di giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo pu˜ esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e pu˜, conseguentemente, integrare lĠoriginario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva (da ultimo, cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 748; principio da ultimo autorevolmente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Pl., 15 gennaio 2013, n. 2)È ha colto la problematicitˆ del bivio di fronte al quale  stato posto. In altre parole, i giudici di Palazzo Spada si sono chiesti se si possa ancora discorrere di giudicato a formazione progressiva e quanto questo principio possa incidere sulle sentenze di merito, poi oggetto di ottemperanza. Se, infatti, il Consiglio di Stato avesse aderito pedissequamente alla soluzione proposta dalla Corte, attuando, in sede di ottemperanza, una interpretazione della sentenza di merito passata in giudicato compatibile con il diritto dellĠUnione, avrebbe comunque corso il rischio di accantonare la prospettiva, certamente concreta, del giudicato. DĠaltro canto, prestando ossequio al giudicato e soddisfacendo lĠinteresse della Pizzarotti alla conclusione del contratto, esso sarebbe incorso in una violazione del diritto dellĠUnione. Spetta, adesso, allĠAdunanza Plenaria decidere sulla questione ed essa non potrˆ non tener conto delle innovazioni che il codice del processo ammi (29) Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza del 17 luglio 2015, n. 3587, Pres. Torsello, Est. Lotti. nistrativo ha determinato in materia di ottemperanza, rispetto alla quale le decisioni assunte prendono il nome di sentenze e per le quali  difficile escludere che siano rivestite dellĠautoritˆ di giudicato. Ma, ancora, considerando le sentenze di ottemperanza oggetto di giudicato intangibile, la sentenza Pizzarotti della Corte di Giustizia costituisce una sopravvenienza suscettibile di rendere ineseguibile una decisione amministrativa? Pare di no, seguendo la lettera della stessa sentenza, che attribuisce al giudice nazionale la scelta in merito al mantenimento o al superamento del giudicato, ma non pu˜ negarsi come, da un lato, la Pizzarotti sia ormai titolare, quantomeno, di una aspettativa qualificata nei confronti del comune di Bari e, dallĠaltro, come il soddisfacimento di questa aspettativa possa porsi in contrasto con il diritto eurocomunitario. NellĠattesa della pronuncia della Plenaria, non pu˜ non rilevarsi ulteriormente come le questioni attinenti al giudicato siano lo specchio delle difficoltˆ di compenetrazione tra i due ordinamenti, che nellĠesercizio del potere giudiziario si vivificano e trovano linfa continua. 2.8. Limiti del risarcimento in forma specifica e responsabilitˆ civile dei magistrati: la chiusura del cerchio. La pronunce della Corte preservano, perlopi, il principio di autonomia processuale degli Stati membri, con la macroscopica eccezione di Lucchini e le peculiaritˆ di KŸhne & Heitz. DallĠanelito ad un risarcimento in forma specifica, attraverso lĠeliminazione della decisione lesiva, si ritorna, dunque, al rimedio analizzato nella prima parte di questo lavoro: il risarcimento del danno a carico dello Stato per lĠincorretto operato dei propri organi. Pertanto, pur essendo incontrovertibile lĠaccertamento contenuto in una decisione passata in giudicato (sempre tenendo nella dovuta considerazione la acuta distinzione operata dallĠAvvocato LŽger nelle proprie conclusioni relative al caso Kšbler tra autoritˆ di cosa giudicata, travolgibile, e cosa definitivamente giudicata, tendenzialmente inattaccabile), se questa  contraria al diritto dellĠUnione, essa pu˜ esitare in una responsabilitˆ dello Stato, in particolare per lĠoperato dei propri giudici. Merita qui un accenno la recentissima normativa italiana in materia di responsabilitˆ civile dei magistrati, il cui rinnovamento  stato sollecitato anche dagli impulsi provenienti dallĠordinamento comunitario. La disciplina, contenuta nella c.d. Legge Vassalli (30), era stata pi volte oggetto delle censure da parte della Corte di Giustizia (e della Commissione, che aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dellĠItalia (31)), che la riteneva inidonea ad assicurare una tutela effettiva a chi avesse subito (30) L. 13 aprile 1988, n. 117, in GU n. 88 del 15 aprile 1988. un pregiudizio per il fatto del giudice, specie nel caso in cui lĠillecito derivasse dallĠinosservanza del diritto dellĠUnione Europea (32). Pertanto, con L. n. 18 del 27 febbraio 2015 (33),  stata approvata la modifica della disciplina della responsabilitˆ civile dei magistrati, con il dichiarato obiettivo di adeguamento alle prescrizioni provenienti dallĠordinamento comunitario. La responsabilitˆ rimane indiretta (non si potrˆ convenire direttamente il magistrato, bens“ lo Stato che, ove ne sussistano i presupposti, eserciterˆ la rivalsa) e sussisterˆ anche per gli illeciti commessi nellĠesercizio di attivitˆ di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove, ove sussistano il dolo o la colpa grave (novellato articolo 2, comma 2, L. 117/88). Tra le ipotesi di colpa grave rientra la violazione manifesta della legge, nonchŽ del diritto dellĠUnione europea, per dichiarare la sussistenza della quale sarˆ necessario tener conto del grado di chiarezza e precisione delle norme violate, nonchŽ dellĠinescusabilitˆ e della gravitˆ dellĠinosservanza (come giˆ precisato dalla Corte di Giustizia in Brasserie du pcheur). La novella legislativa indica, altres“, la necessitˆ di valutare, nellĠesame della condotta del magistrato, la mancata osservanza dellĠobbligo di rinvio pregiudiziale, ai sensi dellĠarticolo 267, terzo comma, TFUE, nonchŽ il contrasto dellĠatto o del provvedimento del giudice con lĠinterpretazione espressa della Corte di Giustizia. In attesa della valutazione di conformitˆ della nuova disciplina da parte della Commissione, si deve rilevare nella novella la conferma della sensibilitˆ dello Stato sul tema delle violazioni del diritto comunitario, che fa da contraltare allĠossequio prestato dalla Corte di Giustizia ai temi classici della certezza del diritto e fa ben sperare sulla tenuta dellĠordinamento di integrazione. CONSIDERAZIONI FINALI Dalle linee maestre tracciate, sin qui, dalla giurisprudenza comunitaria in materia di acclarati contrasti fra un giudicato nazionale e il diritto dellĠUnione europea, si evince come il principio di intangibilitˆ della res iudicata riesca ancora a reggere alle forze propulsive che, nel nome della anelata coerenza del sistema, vorrebbero travolgerlo. (31) Procedura d'infrazione n. 2009/2230 del 26 settembre 2013, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato, per non conformitˆ al diritto dell'Unione europea della legge 13 aprile 1988, n. 117 relativa al risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilitˆ civile dei magistrati per lĠinadempimento della sentenza della Corte nella causa Commissione contro Italia, C-379/10, in Raccolta 2011 I-00180. (32) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo SpA contro Repubblica italiana, C-173/03, in Raccolta 2006 I-05177. (33) In GU Serie Generale n.52 del 4-3-2015. Non  stato necessario, pertanto, ricorrere ai controlimiti per bilanciare la portata delle pronunce della Corte di Giustizia in questo settore, le quali, pi che aggiramenti del principio della certezza del diritto, sono risultate pietre miliari sul tema dellĠeffettivitˆ del diritto eurounitario (1). I giudici di Lussemburgo, agendo con estrema cautela, hanno dimostrato, a coloro i quali li additavano come dispotici sovvertitori di un principio, la saggezza e lĠautorevolezza della corte di ultima istanza in un ordinamento para federale. Le difficoltˆ concettuali sottolineate nel corso della trattazione sono ascrivibili alla non semplice ricerca di coerenza in un panorama, sostanziale e processuale, diversificato, composito, ma estremamente ricco, fonte di continua ispirazione per gli interpreti. LĠunica remora pu˜ insidiarsi nel paventato deficit di tutele nei confronti dei cittadini, i quali, nel gioco delle cortesi reciproche affermazioni di prevalenza tra gli Stati membri e la Corte, rischiano la confusa mortificazione delle proprie posizioni soggettive e delle legittime aspettative maturate in base a normative poi rivelatesi illegittime, trovando nel solo risarcimento del danno lĠultimo baluardo di certezza. Sarˆ compito oneroso di legislatori e giudici, nazionali ed eurocomunitari, quello di realizzare il delicato bilanciamento tra principi e valori promananti dalla molteplicitˆ degli ordini che compongono il sistema di tutela multilivello dei diritti. LĠidea del giudicato  chiamata a misurarsi con i piani della normativitˆ internazionale e sovranazionale e la sfida pi impegnativa  proprio quella della coerenza, del superamento della inettitudine degli ordinamenti giuridici nazionali a regolamentare in modo compiuto ed efficiente i rapporti transnazionali. Nessun abbattimento delle Colonne dĠErcole, dunque, bens“, piuttosto, il posizionamento delle stesse quali basi di una nuova realtˆ globale, della quale il giudicato  chiamato a fare parte, non indebolito nŽ eliso, ma, al massimo, riproporzionato. Bibliografia alfabetica ABOUDRAR-RAVANEL, S., ResponsabilitŽ et PrimautŽ, ou la question de lĠefficience de lĠoutil, in Revue du MarchŽ commun et de lĠUnion EuropeŽnne, n. 544/1999; 544-558; ADINOLFI, A., The ÒProcedural AutonomyÓ of Member States and the constraints stemming from the ECJĠs case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice and (1) Per questa definizione cfr. 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Glauco Nori* 1.-LĠimmigrazione sta rendendo pi evidenti, di quanto giˆ non lo fossero, le debolezze dellĠUnione Europea: ogni Paese membro cerca di reagire per proprio conto dando lĠimpressione di non avere colto la natura del fenomeno. é dallĠAfrica e dal Medio Oriente che sta arrivando la gran parte degli immigrati. I movimenti sono potuti arrivare alle dimensioni attuali per lo sviluppo dei mezzi di informazione, utilizzati anche per lĠorganizzazione dei trasporti. Venti anni fa, chi oggi si muove dallĠAfghanistan o dal Mali, dellĠItalia non solo non conosceva le condizioni di vita, ma probabilmente nemmeno dove si trovasse o addirittura lĠesistenza. LĠimmigrazione potrebbe essere definita come globalizzazione sociale per lĠincidenza che la c.d. globalizzazione ha avuto sulle sue dimensioni. Considerate le cause, non si pu˜ pensare di arginarla con i mezzi tradizionali. Il fenomeno, che talvolta  stato definito biblico, richiede nellĠaffrontarlo unĠampiezza di visione corrispondente. Per i Paesi che per i loro interessi contingenti tentano di fare da soli, il risultato pi probabile sarˆ di aggravare le difficoltˆ. Immigrazioni per ragioni economiche o per la ricerca di asilo ci sono sempre state; la novitˆ sta solo nei numeri che richiedono mezzi di intervento alla cui predisposizione gli Stati non erano e non sono ancora preparati. La differenza tra le due categorie non sta solo nella diversitˆ dei motivi, ma anche nel fatto che per i rifugiati da tempo ci sono normative internazionali di tutela. 2.-Verso i rifugiati, in particolare, si scontrano le ragioni della sicurezza con quelle umanitarie. Prima di far valere le ragioni umanitarie si dovrebbe verificare se certi comportamenti non siano giˆ disciplinati dalle norme. La rete etica, a maglie pi strette di quella del diritto, pu˜ vietare comportamenti consentiti dalle norme giuridiche; per quello che  giˆ imposto o vietato dal diritto il ricorso alle ragioni umanitarie  fuori luogo. Per prevenire le immigrazioni si  proposto da pi parti di intervenire nei luoghi di provenienza in modo da eliminare le condizioni locali che le provocano. Il rimedio non potrebbe operare a breve: in ogni caso sarˆ necessario il tempo perchŽ le nuove condizioni maturino. Diventa ancora pi improbabile per i rifugiati che fuggono per i pericoli provocati dalle condizioni politiche locali. Alcuni dei Paesi di provenienza degli immigrati non chiedono aiuti, i cui effetti sono temporanei, ma investimenti che creino occasioni di lavoro che potrebbero incidere anche sulle condizioni politiche. Il consenso, che in linea (*) Professore, Avv. dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. di principio  intervenuto da pi parti, non deve fare trascurare che interventi economici dallĠesterno non  detto che portino ai risultati voluti. Dove sono in corso guerre civili non si saprebbe a chi rivolgersi mentre il potere centrale efficiente, dove cĠ,  spesso dittatoriale, non sempre affidabile per lĠattuazione dei programmi. Che gli arrivi dei rifugiati possano ridursi in tempo ragionevole , dunque, da escludere. CĠ da prevedere, invece, che aumentino mano a mano che, chi non si  ancora mosso, vede che nei Paesi di arrivo sono possibili sistemazioni, anche se precarie, in ogni caso migliori e pi sicure di quelle in patria. 3.-Sulla nozione di immigrato, almeno nei suoi caratteri essenziali, non sembra che ci siano contrasti:  chi si trasferisce in uno Stato diverso da quello di residenza che pu˜ essere a sua volta diverso da quello di cittadinanza. LĠimmigrazione , dunque, una vicenda a base territoriale che mette in relazione almeno due Stati ognuno dei quali regola i rapporti che si svolgono sul suo territorio e per questo fissa anche le condizioni di accesso: chi vuole entrare vi si deve attenere. Anche se scontate, sono premesse da farsi per evitare che, proprio perchŽ scontate, finiscano con lĠessere dimenticate. LĠimmigrazione ha come carattere una sua stabilitˆ: non pu˜ essere considerato immigrato il turista che si trattiene per un tempo limitato per poi tornare in dietro. Per le sue peculiaritˆ quella che oggi richiama la maggiore attenzione  lĠimmigrazione di chi richiede asilo per i pericoli che corre in patria. Pi correttamente, si dovrebbe parlare di trasmigrazione con la quale  stata tradizionalmente distinta lĠimmigrazione di massa. A muoversi sono tante persone contemporaneamente perchŽ tutte fuggono da una situazione comune. In molti possono muoversi anche per cercare lavoro, ma ciascuno per ragioni personali; in ogni caso mai tanto numerosi come chi deve scappare dal suo Paese per i pericoli provocati da scontri militari diffusi. Quella dei rifugiati  una trasmigrazione che preoccupa lĠopinione pubblica sia per il numero sia perchŽ la normativa che la regola  considerata insufficiente. 4.-La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 nellĠart. 1, attraverso il richiamo di norme precedenti, ha riconosciuto come rifugiato chi lo era Òper causa di avvenimenti anteriori al 1Ħ gennaio 1951Ó. Il limite temporale  stato poi abolito con il Protocollo di New York del 1967, ma la norma per il resto  rimasta la stessa. é il momento di soffermarsi sugli effetti giuridici di questa Convenzione sui quali non sembra si sia fatta la giusta attenzione fino a quando i numeri non hanno creato allarme. Dalla Convenzione nascono diritti e doveri? Se s“, solo tra gli Stati che lĠhanno sottoscritta o anche tra gli Stati e i rifugiati? Le domande, come si vedrˆ, non hanno un valore solo teorico; le risposte possibili fanno cambiare, e non di poco, i termini delle questioni. Che una trattato internazionale non produca diritti e doveri per nessuno  da escludersi; in mancanza di effetti giuridici non ci sarebbe motivo di concluderlo: si risparmierebbe lĠattivitˆ preparatoria. Anche la Convenzione di Ginevra ha prodotto effetti: cĠ da verificare quali e nei confronti di chi. Gli internazionalisti da tempo si sono domandati se i trattati possano creare posizioni giuridiche soggettive solo per i contraenti o anche per soggetti diversi nellĠinteresse dei quali sono conclusi. Questa seconda possibilitˆ oggi non sembra pi messa in discussione: il trattato pu˜ essere a favore di terzi. Lo  anche la Convenzione di Ginevra? Per escluderlo dovrebbe avere prodotto effetti solo tra gli Stati contraenti, disciplinando i rapporti reciproci. Dopo il Capo I, che dˆ la definizione di rifugiato, il Capo II ne definisce la condizione giuridica, precisata ulteriormente nei Capi successivi (attivitˆ lucrativa, benessere sociale, assistenza amministrativa). ÒCiascuno Stato Contraente, allĠatto della firma, della ratificazione o dellĠaccessione, farˆ una dichiarazione circa lĠestensione che esso intende attribuire a tale espressione per quanto riguarda gli obblighi da esso assunti in virt della presente ConvenzioneÓ (art. 1). Gli Stati, dunque, hanno assunto degli obblighi e li hanno assunti verso i rifugiati dal momento che non ce ne sono tra di loro, salvo qualcuno solo strumentale. In corrispondenza, secondo lĠart. 2, Òogni rifugiato ha, verso il paese in cui risiede, doveri che includono separatamente lĠobbligo di conformarsi alle leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento del- lĠordine pubblicoÓ. I rifugiati, dunque, hanno doveri in corrispondenza dei loro diritti: sono i ÒterziÓ in favore dei quali la Convenzione  stata conclusa. Il trattato  multilaterale: il rifugiato ha, pertanto, gli stessi diritti nei confronti di ciascuno Stato aderente, fondamentale quello di ÒasiloÓ, il diritto di essere accolto (v. art. 10 Cost.). PoichŽ non  previsto che siano gli Stati a stabilire quale tra di loro sia tenuto allĠaccoglienza, la scelta non pu˜ essere che del rifugiato. Sembra questa la sola interpretazione ragionevole. Se il rifugiato ha un diritto nei confronti di ciascuno degli Stati sottoscrittori e lĠindividuazione dello Stato obbligato non pu˜ essere degli Stati stessi per la mancanza nella Convenzione della fissazione dei criteri e del procedimento, la scelta non pu˜ essere che dellĠaltra parte del rapporto. Con il diritto di scelta lasciato al singolo si spiega perchŽ quei criteri non siano fissati e perchŽ ai rifugiati siano attribuiti anche diritti strumentali, come quello di attraversare i territori degli Stati intermedi. Per lĠatmosfera internazionale del 1951 con la Convenzione ci si  preoccupati di tutelare chi si trovava in pericolo; le dimensioni dei movimenti del tempo non hanno fatto sentire la necessitˆ di porre dei limiti al dovere di accoglienza da parte dei singoli Stati. 5.-Secondo lĠart. 31.1 della Convenzione ÒGli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno il legali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertˆ erano minacciate nel senso dell'articolo 1, per quanti si presentino senza indugio alle autoritˆ e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolariÓ. ÒDirettamenteÓ, secondo unĠopinione che si  andata rafforzando mano a mano che i numeri sono aumentati, significherebbe che il vincolo si crea con il primo Stato con il quale il rifugiato si imbatte. Tempo a dietro, quando i rifugiati erano pochi, la questione non ha richiamato lĠattenzione perchŽ lasciare la scelta dello Stato di destinazione ai diretti interessati non creava allarme. Oggi la questione  diventata rilevante e richiede di verificare se ÒdirettamenteÓ non possa anche significare che sia lo Stato che il rifugiato ha scelto, dove arriva dopo essere passato attraverso Stati diversi nei quali non intende fermarsi. Sarebbe, pertanto, compito di quello Stato provvedere senza poter prendere provvedimenti per la illegalitˆ dellĠingresso e senza possibilitˆ di respingerlo se si sottopone al controllo (art. 33). Sono evidenti gli interessi che ispirano le due interpretazioni. ÒDirettamenteÓ in effetti pu˜ avere due significati: pu˜ riferirsi alla contiguitˆ territoriale e indicare il primo Stato nel quale non si corre pi pericolo, ma pu˜ indicare anche lo Stato in cui si arriva, per scelta, alla fine dellĠintero trasferimento. Vale la pena di ripeterlo: nella interpretazione si dovrebbe tenere conto della situazione del 1951 quando le possibilitˆ di movimento erano diverse e quando le emigrazioni non erano prevedibili con le dimensioni attuali. Non  senza significato che la Convenzione non preveda nemmeno una domanda formale nŽ i requisiti che dovrebbe avere, ma sia stata considerata sufficiente la presenza fisica e la prova, nemmeno rigorosa, di trovarsi nelle condizioni previste. Se si parte dalla premessa che il rifugiato ha il diritto di scelta dello Stato da cui essere accolto, diventa quasi obbligata la seconda interpretazione, lasciando gli accertamenti allo Stato di destinazione. Per questo gli Stati di solo transito non possono ostacolarlo. ÒGli Stati Contraenti limitano gli spostamenti di tali rifugiati soltanto nella misura necessaria. Tali limitazioni devono essere mantenute solo fintanto che lo statuto di questi rifugiati nel paese che li ospita sia stato regolato o essi siano riusciti a farsi ammettere in un altro paese. Gli Stati Contraenti concedono a tali rifugiati un termine adeguato e tutte le facilitazioni necessarie affinchŽ possano ottenere il permesso dĠentrata in un altro paeseÓ (art. 31, secondo comma). Per consentire di arrivare al Paese, che ha scelto, dovrebbero, dunque essere concesse Òtutte le facilitazioni necessarieÓ. Se si fosse inteso come vincolato lo Stato di primo ingresso, si sarebbe detto che il diritto del rifugiato era nei confronti dello Stato confinante con quello dove era sorto il pericolo. Per arrivare a questa conclusione non sembra che lĠespressione ÒdirettamenteÓ, da sola, sia sufficiente. 6.-Nel 1990 dodici Stati membri hanno stipulato la Convenzione di Du blino Òsulla determinazione dello stato competente per lĠesame della domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunitˆ EuropeeÓ. Si  dato, pertanto, per presupposto che dalla Convenzione di Ginevra quei criteri non fossero desumibili e quindi anche che la competenza non fosse del primo Stato di ingresso. Se poi i criteri fossero comunque desumibili, gli Stati membri, che hanno stipulato la nuova Convenzione, hanno ritenuto di avere il potere di cambiarli. Con la Convenzione di Dublino si Ž inteso garantire ai rifugiati ÒunĠadeguata protezione come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del protocollo del New York del 31 gennaio 1967Ó ed  stato confermato ÒlĠobiettivo comune di uno spazio senza frontiere interne nel cui ambito, in particolare, sarˆ garantita la libera circolazione delle persone conformemente alle disposizioni del trattato che istituisce la Comunitˆ economica europea, modificato dallĠatto unicoÓ. Ai rifugiati, dunque, si garantiva la libera circolazione nel territorio comunitario, naturalmente quello dellĠepoca. NellĠart. 1.1.b la domanda di asilo era definita come Òdomanda con cui uno straniero chiede ad uno Stato membro la protezione della convenzione di GinevraÓ: Òad uno Stato membro,Ó senza indicare i criteri per individuarlo. NellĠart. 3.1 gli Stati Òsi impegnanoÓ perchŽ sia esaminata la domanda di asilo Òpresentata alla frontiera o nel rispettivo territorioÓ. Avere ricevuto la domanda non comportava automaticamente il dovere di esaminarla se lo Stato va individuato Òsecondo i criteri previsti dalla presente convenzioneÓ, vale a dire i criteri di cui agli articoli da 4 a 8 da applicarsi secondo lĠordine in cui sono presentati. Anche per lĠart. 3.7 lo Stato che riceve la domanda non  tenuto allĠesame se  prevista una disciplina apposita Òal fine di concludere il procedimento di determinazione dello Stato competenteÓ. Possono essere lasciati da parte gli artt. 4 e 5 per la specialitˆ dei casi regolati (richiedente asilo un cui familiari  giˆ stato riconosciuto come rifugiato; richiedente che ha un valido titolo di soggiorno). Nel caso dellĠart. 7.1 la domanda di asilo dello ÒstranieroÓ  indirizzata ad uno Stato. Anche se il caso  particolare, quello che interessa in termini generali  che la domanda di asilo porta lĠindicazione dello Stato al quale  rivolta; non , quindi, una domanda generica. Il caso  del richiedente che ha varcato irregolarmente la frontiera di uno Stato membro, provenendo da uno Stato non membro, caso per il quale  prevista la competenza dello Stato membro di arrivo. Nelle condizioni attuali ci si dovrebbe domandare se la frontiera sia varcata irregolarmente quando lĠingresso nelle acque territoriali avviene su navi nazionali che hanno prestato assistenza in acque internazionali. Pu˜ essere lasciata da parte lĠaltra disposizione dellĠart. 7 che riguarda chi  dispensato dal visto. La disciplina generale  quella dellĠart. 8: quando lo Stato competente non pu˜ essere designato secondo gli altri criteri previsti nella convenzione, lĠesame della domanda di asilo  di competenza del primo Stato membro al quale  stata presentata. Nella applicazione di questa norma si  dato per scontato quello che forse avrebbe richiesto qualche verifica. La domanda di asilo, come si  visto, secondo lĠart. 1.1.b  rivolta allo Stato di cui si chiede la protezione. Se si concorda sul diritto di scelta da parte dellĠinteressato, la domanda dovrebbe essere rivolta a questo Stato e non a quello nel quale si arriva. Gli arrivi in Italia sono sempre avventurosi, non per scelta, ma per la geografia. Un arrivo del genere pu˜ essere considerato equivalente alla presentazione della domanda? Se con la domanda si chiede lĠasilo ad uno Stato e se lĠinteressato ha diritto di scelta, la richiesta dovrebbe essere espressa, rivolta allo Stato scelto. Il semplice arrivo, senza nemmeno una generica richiesta verbale, non dovrebbe essere inteso come domanda di asilo. Interpretando lĠart. 8 nel senso che  allo Stato prescelto che la domanda va considerata proposta, per la Convenzione di Dublino sarebbero eliminati i dubbi di contrasto con quella di Ginevra. LĠinterpretazione si coordinerebbe anche con lĠart. 3.4 per il quale alla presentazione materiale della domanda non si accompagna necessariamente la competenza ad esaminarla. Che questa ipotesi non sia stata presa in considerazione  dovuto probabilmente al fatto che non ci si  mai domandato se lĠinteressato abbia il diritto di scegliere lo Stato di asilo. 7.-Si sarebbe dovuto affrontare anche unĠaltra questione. Alla Convenzione di Ginevra hanno aderito, insieme a tutti gli Stati membri dellĠUnione, molti altri Stati e ogni Stato membro ha aderito in autonomia perchŽ allĠepoca non era stata costituita nemmeno la CECA. La Convenzione di Dublino  stata conclusa solo da Stati membri del- lĠUnione. CĠera da domandarsi se la Convenzione di Vienna del 1969, sul diritto dei trattati, consentisse che una normativa internazionale, che vincolava anche molti altri Stati, potesse essere modificata solo da alcuni di essi. Sulla applicabilitˆ della Convenzione di Vienna non possono esserci dubbi dal momento che entrambe le Convenzioni sono tra Stati (art. 1 della Convenzione). Secondo lĠart. 30.4, quando le parti di un trattato anteriore non sono tutte parti di quello posteriore, secondo la lett. b) si applica il trattato di cui entrambe sono parti, vale a dire il trattato anteriore. Nel caso che si sta esaminando la Convenzione di Dublino sarebbe applicabile solo nei rapporti tra gli Stati membri dellĠUnione, mentre nei rapporti tra ciascuno Stato membro e gli altri Stati (non membri) continua ad essere applicata la Convenzione di Ginevra senza modifiche. La situazione normativa viene a risultare quanto meno strana. Ai rifugiati, che provengono da Stati non membri, che hanno sottoscritto la Convenzione di Ginevra, la Convenzione di Dublino sarebbe inapplicabile. La Convenzione di Vienna a proposito dei trattati in favore di Stati terzi impedisce che il diritto creato in loro favore possa essere modificato o revocato dalle parti se risulta che era destinato a non essere revocabile o modificabile senza il consenso dello Stato terzo (art. 37.2). I terzi, favoriti dalla Convenzione di Ginevra, sono persone fisiche; si sarebbe dovuto verificare se dalle norme richiamate potesse essere desunto che lo stesso principio fosse applicabile anche ad esse. 8.-Il diritto non , naturalmente, senza limiti. Chi rivendica un beneficio, secondo un principio di ragione prima che giuridico, deve dare la prova di trovarsi nelle condizioni richieste. Per le emergenze, nelle quali si  trovato, spesso chi arriva non ha documenti di identitˆ, mancanza che pu˜ riuscire utile anche a chi non si trova nella condizioni di rifugiato, approfittando cos“ della impossibilitˆ di subire provvedimenti repressivi anche se lĠentrata nel territorio statale fosse illegale. Che Ògiustifichino con motivi validi la loro entrataÓ non pu˜ significare che bastino le dichiarazioni degli interessati perchŽ le tutele siano dovute. La formula, per quanto elastica, non pu˜ consentire di accettare passivamente quello che dichiara lĠinteressato. é accertato che cĠ anche chi arriva con documenti falsi dei quali si  creato un mercato. Tutti questi fattori rendono difficili gli accertamenti e, in ogni caso, li ritardano. Nel valutare i ritardi non si dovrebbe trascurare che sono provocati, anche se incolpevolmente, dagli stessi interessati, che talvolta li contestano, arrivando in numeri non prevedibili e in aumento costante. Per essere tempestivi, come si pretende, dovrebbe essere sempre pronta una organizzazione adeguata anche in periodi senza arrivi. Alcuni Paesi dellĠUnione, che lo avevano contestato allĠItalia, hanno preso provvedimenti di legittimitˆ comunitaria molto dubbia quando, rimasti coinvolti direttamente, hanno verificato che nelle condizioni attuali i ritardi non sono, in fondo, il guaio maggiore. 9.-Anche se la fuga dai Paesi di origine  provocata da cause ambientali che non possono che essere subite, va tenuto presente che quando e dove dirigersi  una scelta degli interessati e che il Paese di destinazione si trova caricato di obblighi il cui peso pu˜ essere definito solo a consuntivo. Il diritto comunitario non ne ha tenuto conto. Oltre alla necessitˆ di principio dellĠaccordo di ventotto Stati, il ritardo con il quale si  cominciato a prendere sul serio il fenomeno  dipeso anche dal fatto che le difficoltˆ iniziali sono state soprattutto dellĠItalia dalle quali gli altri Paesi si sono dichiarati fuori. AllĠItalia, in pratica,  stata attribuita una responsabilitˆ a base geografica, fondata sul fatto di essere la pi vicina ai punti di partenza di chi cerca rifugio, segno della mancanza non solo di spirito comunitario ma, prima ancora, di ragionevolezza. Qualunque fosse il Paese dove si volesse andare, sempre dallĠItalia si  entrati in quanto confine europeo pi vicino. Interessati a guardare solo ai propri interessi del momento, ci si  adattati ad una vista corta. Per quanto caricata, ogni imbarcazione in partenza dalla Libia o dalla Tunisia non pu˜ portare che poche centinaia di persone e con un certo scaglio namento temporale. Per chi avesse voluto guardare alla situazione con lungimiranza, non sarebbe stato difficile prevedere che, quando si fossero mosse contemporaneamente molte migliaia di persone, la via poteva diventare quella orientale che, tra lĠaltro, passa per Paesi con difficoltˆ di controllo dei propri confini: la carta geografica sarebbe stata sufficiente. 10.-Non inquadrandolo nelle dimensioni reali, come trasmigrazione, si  creato un ostacolo ulteriore al controllo del fenomeno. Non  stato nemmeno considerato utile distinguere i flussi. Quelli orientali trovano verso la Grecia la via pi praticabile; gli africani si dirigono prevalentemente verso il Mediterraneo. Per alcuni, quelli dai Paesi dove il pericolo dipende da scontri armati, possono essere previsti ritorni, anche se a scadenze incerte; i ritorni vanno esclusi, o comunque vanno messi in forte dubbio, verso quei Paesi dove sono le strutture politiche a provocare il pericolo. Dal modo in cui viene affrontato si desume che il fenomeno ha in gran parte carattere strutturale, nel senso che non  destinato a risolversi in tempi prevedibili. Per questo si ritiene che alcuni dei flussi siano destinati non solo a durare, ma anche ad aggravarsi. é stata prospettata lĠeventualitˆ che dallĠAfrica si possano muovere, e non a scaglioni, milioni di persone. Di fronte a questa prospettiva non  stata ritenuta necessaria una programmazione di portata corrispondente. Alcuni interventi comunitari sono orientati in senso opposto e talvolta lĠincongruitˆ sembra dovuta non ad un difetto di analisi ma agli interessi del momento, anche a costo di trovarsi poi in difficoltˆ maggiori. La Direttiva 2001/55/CE ha previsto Òprotezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti allĠUnione EuropeaÓ. Avere qualificato la protezione come temporanea sta ad indicare che si  trascurata la durata delle esigenze alle quali si stava provvedendo. Le misure giˆ in partenza non potevano essere che insufficienti. Con la durata di un anno, prorogabile a due, secondo lĠart. 24 Òle misure previste dalla presente direttiva beneficiano del Fondo europeo per i rifugiati istituiti con decisione 2000/296/CE, nei termini determinati da questĠultimaÓ. Il Fondo ÒsostieneÓ le azioni degli Stati e Òpu˜ finanziareÓ misure urgenti Òin caso di afflusso improvviso e massiccio di rifugiati o sfollatiÓ (art. 4). ÒGli stanziamenti annuali sono autorizzati nei limiti delle prospettive finanziarie dellĠautoritˆ di bilancio, che assegna gli stanziamenti annualiÓ (art. 2). Per gli Stati non cĠ, pertanto, nessuna garanzia nŽ del finanziamento (il Fondo pu˜ finanziare; quindi non  tenuto) nŽ della sua misura minima, ad esempio, in percentuale sulle spese sostenute. Non  previsto lĠintervento diretto dellĠUnione che, quando ha disposto un finanziamento apposito, lo ha fatto in via straordinaria e non perchŽ obbligata. Una volta approvato, lo stanziamento  destinato a rimanere fisso anche se lĠafflusso  fuori del normale e continuo. Per fare fronte ad esigenze di entitˆ imprevedibile sono state, dunque, destinate risorse determinate preventivamente e con criteri astratti, non secondo le necessitˆ effettive. Che si debba provvedere con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione (art. 5), sta ad indicare che la sua consistenza  stata considerata prevedibile, diversa dalla trasmigrazione. Ò[G]li Stati membri accolgono con spirito di solidarietˆ comunitaria le persone ammissibili alla protezione temporaneaÓ (art. 25) e, ÒfinchŽ dura la protezione temporanea, gli Stati membri cooperano tra loro per il trasferimento della residenza delle persone che godono della protezione temporanea da uno Stato membro allĠaltroÓ (art. 26), nei limiti della loro Òcapacitˆ di accoglienza in termini numerici e generaliÓ che dovrebbero avere giˆ indicato (art. 25). In caso di arrivo di diverse migliaia di persone in pochi giorni, per sapere se lĠafflusso pu˜ essere considerato massiccio, quindi ricadente nella Direttiva, si deve aspettare che la Commissione faccia la proposta e che il Consiglio decida. Per trasferire quelli che hanno diritto alla protezione temporanea, si deve poi fare affidamento sullo Òspirito di solidarietˆ comunitariaÓ. Nel frattempo ai sopravvissuti vanno assicurati: un alloggio adeguato e, se necessario, anche i mezzi per ottenere unĠabitazione; per chi non dispone di risorse sufficienti (in pratica tutti) i contributi di sostentamento e le cure mediche Òin termini di assistenza socialeÓ; una assistenza medica appropriata per chi, come i minori non accompagnati, presentino esigenze particolari (art. 13); per chi non ha 18 anni lĠaccesso al sistema educativo alla pari dei cittadini dello Stato membro (art. 14). Non si pu˜ dire che sia un esempio di coerenza. Per fare fronte ad un fenomeno spontaneo, che comporta impegni di entitˆ non prevedibile e da assolvere subito, sono stati predisposti procedimenti formalizzati che richiedono tempo. Dopo aver premesso che la decisione del Consiglio Òdetermina É lĠapplicazione in tutti gli Stati membri della protezione temporaneaÓ (art. 5.3), per la distribuzione degli assistiti  stata richiesta la cooperazione tra Stati, dunque il loro consenso, senza creare obblighi. Se lĠafflusso, oltre che massiccio,  improvviso e supera la capacitˆ di accoglienza che gli Stati debbono comunicare (naturalmente dopo che la Direttiva  diventata applicabile a seguito della decisione del Consiglio) il Consiglio Òesamina dĠurgenza la situazione e prende i provvedimenti appropriati, compresa la raccomandazione di un ulteriore sostegno allo Stato membro interessatoÓ (art. 25): solo, dunque, una raccomandazione e, per provvedere ai rifugiati rimasti in carico, un sostegno finanziario, fissato con criteri che non tengono conto delle esigenze effettive. Non ci si dovrebbe meravigliare per quello che sta succedendo. Se per trasferire una parte delle persone arrivate ci vuole il consenso degli altri Paesi, quelli che non sono dĠaccordo si sentono autorizzati a bloccare i confini. 11.-Se, per fare fronte al fenomeno diventato ÒmassiccioÓ, si  ritenuta necessaria nel 2001 una Direttiva apposita, si  dato per presupposto che, in quelle dimensioni, in quelle dimensioni fino ad allora non era stato regolato. Con le norme comunitarie la Convenzione di Ginevra sarebbe stata interpretata nel senso che avrebbe disciplinato solo le immigrazioni nelle loro dimensioni normali. Ancora una volta non si  verificato se con un atto comunitario fosse possibile interpretare in forma vincolante un trattato internazionale sottoscritto anche da Stati estranei allĠUnione Europea. Le norme sono state poi aggiornate col Regolamento 343/2003/CE e col Regolamento n. 604/2013, con effetti dal gennaio 2014. Per la individuazione dello Stato competente allĠesame della domanda di protezione internazionale  stata introdotta una disciplina piuttosto complessa che certamente non renderˆ la materia meno conflittuale. Come  stato giˆ accennato, non ci si  domandato se i diritti, attribuiti dalla Convenzione di Ginevra ai rifugiati nei confronti dei singoli Stati contraenti (sempre che questa sia lĠinterpretazione corretta), potessero essere ridotti o, comunque, strutturati diversamente da una norma comunitaria. Detto diversamente: un atto, fondato sul diritto dellĠUnione, pu˜ modificare gli obblighi assunti con la Convenzione di Ginevra dagli Stati membri singolarmente, quando non era ancora sorta la Comunitˆ Europea? Stando ai principi,  da dimostrare che un Regolamento comunitario possa incidere su rapporti disciplinati da un Trattato che fa sorgere diritti per non cittadini dellĠUnione in favore dei quali  stato concluso. Questi potrebbero disconoscerne lĠefficacia nei loro confronti. Che poi siano in condizioni di farlo, e in quale sede,  unĠaltra questione. La posizione sarebbe coerente se nella Convenzione di Ginevra si dovesse vedere solo la disciplina dellĠimmigrazione come vicenda individuale, anche se plurima, ma non della trasmigrazione, a quel tempo nemmeno prevedibile. La mancanza di tutela, di chi oggi si trova nella condizione di rifugiato, dipenderebbe dal fatto che, muovendosi in tanti tutti insieme, hanno provocato una trasformazione del fenomeno che lĠha portato al di fuori dalla sfera normativa della Convezione di Ginevra e della Convenzione di Dublino che lĠha integrata. Su questa interpretazione sarebbe necessario lĠaccordo di tutti gli Stati sottoscrittori ed eventualmente la conferma da parte di una giurisdizione internazionale, condizioni per il momento non verificate. Con le loro prese di posizione lĠUnione e i singoli Stati membri dimostrano di non avere dubbi che gli obblighi, assunti verso i rifugiati, possano essere ridimensionati dalla normativa comunitaria. In pratica lĠasilo non sarebbe un loro obbligo, ma una concessione ai rifugiati, quindi assoggettabile alla normativa comunitaria alla quale gli interessati si dovrebbero attenere. La questione non si proporrebbe anche se la Convenzione di Ginevra non fosse considerata in favore di terzi. La sua efficacia verrebbe tanto ridotta da metterne in dubbio lĠutilitˆ dal momento che, in mancanza di rapporti rilevanti tra i singoli Stati sottoscrittori, disciplinerebbe in pratica soltanto i procedimenti di riconoscimento dello stato di rifugiati per i quali nascerebbero non diritti, ma solo doveri, previsti espressamente. 12.-Tra le norme pattizie, stipulate nei primi anni Ġ50, quando le immigrazione, anche per i mezzi a disposizione, potevano essere solo lente e non massicce, e le norme intervenute a distanza di oltre cinquanta anni andrebbe ricercato un coordinamento ragionevole senza dare niente per scontato. Per i Paesi membri sembra che non ci sia niente da coordinare una volta che si attengono alle norme comunitarie, superando i vincoli internazionali precedenti. Su questa interpretazione, come si  rilevato, dovrebbero concordare anche gli Stati che non fanno parte dellĠUnione Europea. Prima di allora andrebbero evitate iniziative autonome, in parte incompatibili, che stanno aggravando le difficoltˆ. Dati i pericoli che costringono a scappare dai propri Paesi di appartenenza, almeno a breve non sono prevedibili soluzioni. Anche tenendo conto del solo tempo di durata del viaggio per diversi anni la situazione non si alleggerirˆ. I contrasti in corso, gli oneri ai quali alcuni Stati vanno incontro solo per la loro posizione geografica, la previsione che il fenomeno durerˆ nel tempo, probabilmente aggravandosi, dovrebbe richiedere un chiarimento della situazione complessiva, almeno dal punto di vista normativo. Si  adoperato il condizionale perchŽ non ci sono elementi che possano farlo prevedere. Solo dopo avere verificato se i rifugiati abbiano qualche diritto in base alla Convenzione di Ginevra, quale ne sia la portata, come sulla disciplina internazionale possa incidere la normativa comunitaria, potranno essere prese in considerazione le ragioni umanitarie. Invertendo i tempi si va incontro al rischio che le ragioni umanitarie, di per sŽ piuttosto elastiche, possano servire a schermare doveri che giˆ derivano da vincoli internazionali assunti insieme a molti Stati che non fanno parte dellĠUnione Europea. Ogni Stato membro si sta dimostrando interessato solo ad evitare oneri, speculando sulla posizione geografica sfavorevole della Grecia e dellĠItalia. Per avere un minimo di coerenza, dovrebbero almeno proporre iniziative rivolte a far venire meno lĠinteresse a trasmigrare, iniziative che, anche quando sono proposte, lo sono solo a parole. Pi che a cercare di risolvere il problema, la maggiore parte degli Stati membri si dimostra interessata a lasciarlo a carico di altri. LĠatto amministrativo contrario al diritto dellĠUnione europea nellĠalto mare aperto: un intervento legislativo per conciliare supremazia del diritto europeo e i principi di certezza e affidamento Luca DellĠOsta* SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La tesi della disapplicazione - 3. La tesi dellĠinterpretazione conforme - 4. La tesi dellĠautotutela (doverosa) - 5. La tesi della nullitˆ - 6. Conclusioni: il necessario intervento del legislatore. 1. Introduzione. La posizione della giurisprudenza italiana in tema di atti amministrativi adottati in violazione del diritto comunitario  ormai pacificamente orientata nel senso di inquadrare tale vizio nellĠambito dellĠart. 21-octies della l. 241/1990 e facendo evidentemente riferimento, in relazione a questĠultimo, alla violazione di legge (1). Il ragionamento del giudice amministrativo  lineare e rigoroso: le ipotesi di nullitˆ sono tassativamente previste dallĠart. 21-septies della l. 241/1990 (2); tale disposizione non fa alcun riferimento al diritto comunitario, e nellĠordinamento non  nemmeno rinvenibile una ulteriore norma, potenzialmente applicabile in virt del richiamo agli Çaltri casi previsti dalla leggeÈ quale ipotesi residuale di nullitˆ prevista dallĠart. 21-septies, che sanzioni proprio con la nullitˆ lĠatto amministrativo anticomunitario. Ne consegue, necessariamente e logicamente, che questĠultimo  senzĠaltro sottoposto alla disciplina dellĠannullabilitˆ, con tutto ci˜ che ne consegue in tema di impugnazione e di regime processuale. Quello a cui il giudice amministrativo  giunto pare essere, nellĠambito della legislazione vigente, un porto assai sicuro, formalmente rispettoso delle disposizioni sostanziali e procedurali (e conseguentemente processuali) del- lĠordinamento nazionale. Tuttavia, in dottrina, vĠ chi ha criticato tale approdo (3), e le critiche appaiono tanto pi fondate in quanto si considerino le numerose soluzioni al problema che, nel corso degli anni, sono state proposte dalla (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato di Bologna. (1) Si vedano, inter alia e pi recentemente, T.A.R. Umbria, sez. I, sent. n. 449/2015 (per il quale Çla violazione di una disposizione comunitaria da parte di un atto amministrativo dˆ luogo ad un vizio di illegittimitˆ-annullabilitˆ, con conseguente onere di impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario nel termine decadenziale previsto dallĠart. 29 del cod. proc. amm.È); T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sent. n. 1295/2014; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, sent. n. 447/2014. (2) In questo senso si vedano Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 882/2016 (seppure come obiter dictum); Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 4167/2013; Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1123/2013; Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1498/2010. stessa dottrina e dalla giurisprudenza, nazionale e comunitaria; e solo di fronte a una sommaria analisi  lecito non rendersi conto che Çil problema sollevato dallĠatto amministrativo antieuropeo non  che la punta emersa di una questione ben pi ampia e spinosa, che consiste nel rendere compatibile lĠÒeffetto utileÓ del diritto europeo con il principio della autonomia processuale degli statiÈ (4). Da una parte, infatti, ci sono il primato del diritto europeo e lĠeffetto utile, principi fortemente compressi dalla sottoposizione dellĠatto amministrativo viziato da contrarietˆ al diritto europeo alla disciplina dellĠannullabilitˆ (con il brevissimo termine di sessanta giorni per lĠimpugnazione dellĠatto); dallĠaltra vi sono invece gli altrettanto fondamentali principi della certezza del diritto, dellĠaffidamento e, conseguentemente, della cristallizzazione degli atti amministrativi non impugnati nei termini. Delle soluzioni proposte da dottrina e giurisprudenza per risolvere tale dicotomia si renderˆ quindi conto nei successivi paragrafi. Infine, nel tentativo di superare le posizioni finora espresse e non del tutto convincenti, si proverˆ a tratteggiare una possibile soluzione interpretativa del problema di cui qui si tratta. é comunque opportuno anticipare che, allo stato, non  prospettabile un riordino degli opposti principi che sono stati citati: la prevalenza dellĠuno comporta necessariamente lo sgretolamento dellĠaltro, e pertanto le soluzioni che possono essere proposte, lungi dal ricomporre lĠevidenziata antinomia, possono solo limitarsi a renderla meno stridente per lĠordinamento nel suo complesso. 2. La tesi della disapplicazione. ComĠ noto, la Corte di Giustizia, con la sentenza Ciola (5), ha esteso il principio di disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario (elaborato precedentemente nella sentenza Simmenthal (6), e or (3) Da ultimo E. CHITI, Il regime dellĠatto amministrativo contrario al diritto dellĠUnione, in Giornale di diritto amministrativo, n. 4/2015, p. 553 e ss.; lĠautore, commentando la citata sentenza n. 1295/2014 del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sostiene che lo schema consolidato che riconduce la contrarietˆ al diritto europeo di un atto amministrativo al vizio di violazione di legge ex art. 21octies della l. 241/1990 presenta lĠinconveniente di Çlimitare lo spazio argomentativo del giudice, giustificandone la pigriziaÈ. (4) G. GARDINI, Rinvio pregiudiziale. Disapplicazione, interpretazione conforme: i deboli anticorpi europei e la Òforza sovranaÓ dellĠatto amministrativo inoppugnabile, in Diritto amministrativo, n. 1-2/2014, p. 223. (5) Corte giust., 29 aprile 1999, causa C-224/97, Ciola, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu. (6) Corte giust., 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu.; il principio  noto: Çil giudice nazionale, incaricato di applicare, nel- lĠambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha lĠobbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando allĠoccorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionaleÈ (cos“ il dispositivo della sentenza). mai dato incontroverso del sistema di diritto integrato fra ordinamento nazionale ed europeo) anche agli atti amministrativi adottati in violazione del diritto comunitario. LĠevidente vantaggio di tale impostazione  quello di garantire lĠeffetto utile del diritto dellĠUnione e la sua primautŽ (7): il giudice, quando si trovi di fronte a un atto amministrativo che viola una disposizione di diritto europeo,  tenuto a disapplicalo, con le stesse modalitˆ e negli stessi termini in cui il giudice ordinario disapplica la normativa nazionale in contrasto con il diritto dellĠUnione. Tale impostazione  stata accolta, in dottrina, da M. Chiti (8), ma ha ricevuto numerose e fondate critiche, non solo implicitamente dalla giurisprudenza nazionale (che si  limitata a non seguirla, fatte salve alcune rare eccezioni (9)), ma anche dalla dottrina. In particolare,  stato evidenziato: -che, di per sŽ, la disapplicazione dellĠatto amministrativo muove dalla presupposta, ma errata, equiparazione tra atto amministrativo nazionale e normativa nazionale; -che la disapplicazione, operando senza limiti temporali, finisce quindi per produrre Çgli stessi effetti di un annullamento o di una dichiarazione di inefficaciaÈ (10), mettendo in discussione lĠautonomia processuale e procedi- mentale da sempre riconosciuta allĠordinamento nazionale con lĠelusione, in pratica, della Çperentorietˆ dei termini per lĠimpugnazione degli atti amministrativi illegittimiÈ (11), giungendo a un risultato che si pu˜ definire Çabnorme È (12). A tali criticitˆ la giurisprudenza comunitaria ha provato a rispondere temperando il netto principio dettato nella sentenza Ciola individuando altre soluzioni operative, prima (causa Santex (13)) stabilendo che il giudice nazionale (7) Sulla differenza tra i due principi, e in particolare sullĠerrata idea che il principio dellĠeffetto utile possa essere declinato solamente in termini di supremazia del diritto europeo sui diritti nazionali, si veda S. STICCHI DAMIANI, Violazione del diritto comunitario e processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2012, p. 5 e ss. (8) In M. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffr, 2004, p. 469 e ss. (9) Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 5826/2005. Va comunque specificato che il giudice amministrativo, con la richiamata decisione, ha annullato un atto avente natura regolamentare, Çin coerenza al consolidato insegnamento giurisprudenziale comunitario e nazionale, per il quale il contrasto tra la normativa nazionale o regionale ed il diritto comunitario si risolve con la disapplicazione della disciplina interna e la conseguente invaliditˆ degli atti applicativiÈ, e non giˆ un provvedimento amministrativo puntuale. (10) E.M. BARBIERI, Ancora sulla disapplicazione di provvedimenti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2000, p. 152. (11) G. GR†NER, LĠannullamento di ufficio in bilico tra i principi di preminenza e di effettivitˆ del diritto comunitario, da un lato, ed i principi della certezza del diritto e dellĠautonomia procedurale degli Stati membri, dallĠaltro, in Diritto processuale amministrativo, n. 1-2007, p. 257. (12) N. PIGNATELLI, LĠillegittimitˆ ÇcomunitariaÈ dellĠatto amministrativo, in Giurisprudenza costituzionale, fasc. 4-2008, p. 3653. (13) Corte giust., 27 febbraio 2003, causa C-327/00, Santex, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu. deve Çdichiarare ricevibili i motivi di diritto [di un ricorso] basati sullĠincompatibilitˆ del bando di gara con il diritto comunitario [É], ricorrendo, se del caso, alla possibilitˆ prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non  pi possibile invocare una tale incompatibilitˆÈ (14), e poi giungendo a stabilire che solo in presenza di quattro condizioni lĠorgano amministrativo nazionale  tenuto a riesaminare un atto amministrativo, non pi impugnabile, e contrario al diritto dellĠUnione (15), chiarendo che Çil carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito allĠesaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a[lla] certezza [del diritto] e da ci˜ deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivoÈ (par. 24). Infine la Corte, con la sentenza Kapferer (16) (che pur fa riferimento allĠintangibilitˆ del giudicato e non alla cristallizzazione di un atto amministrativo) ha stabilito che Çil principio di cooperazione derivante dallĠart. 10 CE non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale passata in giudicato qualora risulti che questa viola il diritto comunitarioÈ (par. 24) (17). Nel complesso  possibile rilevare che in un primo momento la Corte di Giustizia ha inteso affermare, in ogni caso, il primato del diritto europeo (im (14) Par. 66;  chiaro che la decisione della Corte si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza Simmenthal, ma  anche innegabile che la disapplicazione, nel caso concreto, delle norme di decadenza, e la conseguente ammissibilitˆ di un ricorso che altrimenti sarebbe stato tardivo e quindi inammissibile, pu˜ condurre allĠannullamento di un provvedimento amministrativo che, di per sŽ viziato, sarebbe dovuto essere cristallizzato. Anche in tale circostanza  evidente il conflitto tra il principio di effetto utile e la supremazia del diritto dellĠUnione da una parte, e le esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei terzi dallĠaltra. (15) é quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia del 13 gennaio 2004, causa C-453/00, KŸhne & Heitz NV, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu, per la quale Çil principio di cooperazione derivante dallĠart. 10 CE impone ad un organo amministrativo, investito di una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto del- lĠinterpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora: disponga secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su unĠinterpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni previste allĠart. 234, n. 3, CE, e lĠinteressato si sia rivolto allĠorgano amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenzaÈ (par. 28). (16) Corte giust., 16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu. (17) La citata giurisprudenza della Corte fa riferimento, come appare evidente, a soluzioni alternative rispetto alla disapplicazione diretta, da parte del giudice, dellĠatto amministrativo anticomunitario, ossia alla disapplicazione delle norme processuali e procedurali (Santex) e allĠautotutela (KŸhne & Heitz NV, per cui si veda anche infra, par. 4). ponendo ai giudici nazionali la disapplicazione degli atti amministrativi anticomunitari), per poi stemperare la sua posizione e far prevalere, in un giudizio di bilanciamento, le esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei terzi (prima subordinando la disapplicazione dellĠatto amministrativo al concorrere di determinate circostanze, e poi, timidamente, dichiarando che la certezza del diritto prevale sullĠopportunitˆ di eliminare dallĠordinamento atti o pronunce contrarie al diritto europeo). Come  stato acutamente osservato, lĠoscillare della giurisprudenza della Corte di giustizia pu˜ essere giustificato rilevando che, inizialmente, la netta affermazione del principio di supremazia si  rivelata utile Çper garantire la primautŽ del nuovo ordinamento sovranazionale[;] oggi, che si  in una fase di compiuta realizzazione di tale ordinamento, insistere sulla centralitˆ del principio di supremazia per definire il rapporto tra lĠordinamento europeo e quello nazionale appare unĠopzione non pi necessariaÈ (18). Tale assunto, per˜,  condivisibile solo in unĠottica storica; non pu˜ essere invece condiviso in senso sostanziale, perchŽ solo apparentemente la violazione del diritto nazionale equivale alla violazione del diritto europeo: la cristallizzazione e quindi la permanenza nel sistema giuridico di un atto amministrativo adottato in violazione delle norme nazionali, dal punto di vista sostanziale,  meno grave della permanenza nel sistema giuridico di un atto amministrativo adottato in violazione delle norme comunitarie, proprio in virt della supremazia di queste ultime rispetto alle norme dellĠordinamento interno; e se tale circostanza non incide nellĠottica delle posizioni giuridiche tutelate dallĠordinamento (in altre parole: il cittadino  ugualmente leso sia dallĠatto amministrativo contrario al diritto nazionale sia dallĠatto amministrativo contrario al diritto europeo), non sfugge che lĠordinamento nazionale, nel suo complesso, riconosce la prevalenza dello stesso diritto europeo (19) e quindi non  irragionevole prevedere un differente sistema di tutela (20); e se il principio di prevalenza del diritto dellĠunione non pu˜ essere inverato con una disapplicazione (in ogni tempo e in ogni circostanza) dellĠatto anticomunitario, perchŽ verrebbero meno i principi di affidamento e di certezza del diritto,  allora necessario trovare una soluzione terza rispetto alla disapplicazione o alla riconducibilitˆ della violazione di norme comunitarie allĠart. 21-octies della l. 241/1990. (18) S. STICCHI DAMIANI, op.cit., p. 6. (19) Tanto da chiarirlo esplicitamente nel novellato primo comma dellĠart. 117 Cost., che pure fa riferimento solamente allĠesercizio della Çpotestˆ legislativaÈ da parte dello Stato e delle Regioni. (20) G. MONTEDORO, in Il giudizio amministrativo fra annullamento e disapplicazione (ovvero dellĠÇinsostenibile leggerezzaÈ del processo amministrativo), in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 2008, p. 525, sostiene invece che Çla violazione del diritto comunitario deve essere equiparata (quanto a disciplina ed effetti) alla violazione della normativa nazionale, a pena di una ÒdequotazioneÓ di questĠultimaÈ, adducendo a sostegno della propria tesi una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV, 3. La tesi dellĠinterpretazione conforme. Alcuni autori, nel solco della sentenza Santex, hanno proposto, di fronte ad atti amministrativi anticomunitari, di procedere a una interpretazione conforme Çcome cura preventivaÈ (21). In sostanza, il giudice nazionale sarebbe chiamato a effettuare unĠinterpretazione delle regole procedurali e processuali interne in senso compatibile alla normativa (sostanziale) europea, s“ da rendere effettivo, in questo modo, il principio di prevalenza del diritto dellĠUnione europea. Tale operazione dovrebbe avvenire, mutatis mutandis, con lĠapplicazione dei noti principi pi volte espressi dalla Corte costituzionale italiana per cui Çin linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perchŽ  possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perchŽ  impossibile darne interpretazioni costituzionaliÈ (22), e per cui Ça fronte di pi significati possibili della stessa disposizione,  compito dellĠinterprete escludere quello che difetti di coerenza rispetto ai dettami della CostituzioneÈ (23). Le criticitˆ di tale soluzione sono tuttavia evidenti: anche nel caso in cui vi siano casi pratici per i quali sia possibile fornire unĠinterpretazione conforme al diritto europeo di norme processuali e procedimentali che pi volte hanno superato, e positivamente, il vaglio della Corte di Giustizia (24),  chiaro che: sent. n. 579/2005). Tuttavia, lĠinterpretazione dellĠautore non pu˜ essere condivisa: il Consiglio di Stato, nel rifiutare fermamente la teoria della disapplicazione (che, oltre a essere contraria al Trattato, Çminerebbe le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, nonchŽ i principi di stabilitˆ, affidamento, continuitˆ dellĠazione amministrativa, presunzione di legittimitˆÈ), ritiene che Çuna volta che la norma comunitaria sia entrata a fare parte integrante dellĠordinamento interno, essa gode del medesimo regime di illegittimitˆ- legittimitˆ degli atti o conformi alle altre disposizioni dellĠordinamento nazionale. Se si consentisse al giudice adito (o allĠamministrazione) la disapplicazione delle norme nazionali processuali che impongono la impugnazione a pena di decadenza, si creerebbe una discriminazione alla rovescia a danno delle norme nazionali, invece sottoposte a quel regimeÈ. A giudizio di chi scrive, e contrariamente a quanto sostenuto dallĠautore citato, pare invece che il Consiglio di Stato abbia inteso riferirsi a unĠequiparazione tra normativa nazionale ed europea solo nellĠottica di valutare lĠopportunitˆ o meno di recepire, nellĠordinamento italiano, la teoria della disapplicazione espressa dalla Corte di Giustizia nella sentenza Ciola. In ogni caso, il Consiglio di Stato non pone sufficiente attenzione al fatto che norme comunitarie e norme nazionali, ancorchŽ facciano parte di un unico complesso, uguali non sono. A dimostrazione di ci˜, va registrato il fatto che le norme comunitarie hanno una maggiore forza ÒsostanzialeÓ (ancorchŽ non ÒformaleÓ) testimoniata dal fatto che il giudice nazionale, di fronte a una norma interna contrastante con una norma europea,  tenuto a disapplicare la prima, facendo prevalere la seconda. In questo senso anche R. MUSONE, Il regime di invaliditˆ dellĠatto amministrativo anticomunitario, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, per il quale Çla peculiaritˆ del fenomeno giuridico comunitario non consente, infatti, di ricondurre la norma comunitaria e la norma di legge ad un unico omogeneo parametro di legittimitˆ dellĠattivitˆ amministrativaÈ (p. 294). (21) LĠespressione  di G. GARDINI, op. cit., in Diritto amministrativo, n. 1-2/2014, p. 234. (22) Corte cost., sent. n. 356/1996. (23) Corte cost., sent. n. 65/1999. (24) Il riferimento  al principio di equivalenza, che impone Çal processo amministrativo di garantire alle posizioni giuridiche a rilevanza comunitaria una tutela non inferiore a quella assicurata a - ogni tipo di interpretazione - la si chiami bilanciamento, armonizzazione, adeguamento - non pu˜ spezzare il significato letterale della norma; - inoltre, ammesso che sia possibile superare questo primo scoglio (circostanza della quale si dubita fortemente), il rimedio proposto pu˜, al massimo, risolvere il problema nel caso concreto, ma non ricompone la frattura, di cui si  detto pi volte, che sussiste tra le esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei terzi, la cristallizzazione di provvedimenti viziati e la prevalenza del diritto comunitario; -se la disapplicazione del provvedimento amministrativo anticomunitario si traduce, nei fatti, in una violazione dei termini per lĠimpugnazione e quindi in un annullamento consentito in ogni tempo e in ogni caso (con palese violazione dellĠaffidamento dei terzi e delle esigenze di certezza del diritto), lĠinterpretazione conforme (che potrebbe portare, per esempio, alla remissione in termini della parte che non ha sollevato censure relative alla contrarietˆ del provvedimento impugnato al diritto dellĠUnione europea) non pu˜ essere imposta per legge ed  subordinata alla discrezionalitˆ, alla sensibilitˆ e alla cultura giuridica dellĠorgano giudiziario che deve risolvere la questione. Con un gioco di parole, se nel primo caso vi  certezza dellĠincertezza, nel secondo si registra incertezza dellĠincertezza. Appare quindi chiaro che nemmeno un approccio interpretativo elaborato nei termini supra descritti pu˜ rappresentare una soluzione al problema della violazione degli atti amministrativi al diritto europeo. 4. La tesi dellĠautotutela (doverosa). Di ben maggior consistenza  la tesi dellĠautotutela doverosa. ComĠ noto, lĠamministrazione che ha emanato un provvedimento viziato ai sensi dellĠart. 21-octies della l. 241/1990 pu˜ annullarlo dĠufficio qualora sussista un interesse pubblico alla rimozione, tenuto conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, ed entro un termine ragionevole che, per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, non pu˜ essere superiore a diciotto mesi (25). posizioni fondate solo sul diritto internoÈ (S. STICCHI DAMIANI, op. cit., p. 10). Inoltre, nella sentenza del 12 dicembre 2002, Universale-Bau AG, la Corte di giustizia ha chiarito che, nel caso in cui il termine previsto a pena di decadenza sia ragionevole (nel caso affrontato, due settimane),  compatibile al diritto europeo Çuna normativa nazionale la quale prevede che qualsiasi ricorso avverso una decisione del- lĠamministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine allĠuopo previsto e che qualsiasi irregolaritˆ del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale ricorso vada sollevata nel medesimo termine a pena di decadenza talchŽ, scaduto tale termine, non  pi possibile impugnare tale decisione o eccepire la suddetta irregolaritˆÈ. (25) La modifica allĠart. 21-nonies che ha previsto un termine di diciotto mesi oltre il quale il provvedimento si cristallizza e non pu˜ pi essere annullato dĠufficio  stata apportata dallĠart. 6 della l. 124/2015. Per un approfondimento sul tema si veda M. MACCHIA, Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in Giornale di diritto amministrativo, 5/2015, p. 634. Sul punto la giurisprudenza europea muove da quanto enucleato nella sentenza KŸhne & Heitz NV e giunge a sostenere che ÇlĠart. 10 CE [É] fa obbligo al giudice nazionale di valutare se una regolamentazione chiaramente incompatibile con il diritto comunitario [É] sia manifestamente illegittima ai sensi del proprio diritto. Se tale si rivelerˆ, il detto giudice ne dovrˆ trarre tutte le conseguenze di diritto nazionale circa il ritiro [degli atti viziati]È (26). In questo senso il diritto comunitario; dallĠaltra parte, i giudici amministrativi nazionali hanno prima affermato la doverositˆ Çin generaleÈ (27) dellĠautotutela di fronte a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto comunitario, per poi rivedere le proprie posizioni e riaffermare il principio di discrezionalitˆ dellĠannullamento dĠufficio (28): se, difatti, lĠavvio del procedimento a seguito di unĠistanza del privato deve ormai ritenersi doveroso (29), la mera contrarietˆ al diritto dellĠUnione europea non integra il requisito della sussistenza di un interesse pubblico di cui parla lĠart. 21-nonies della l. 241/1990 (30) e pertanto oggi, sul punto, non  possibile registrare alcun automatismo. LĠautotutela come soluzione del problema prospettato presenta grande fascino: grazie alla modifica introdotta dalla l. 124/2015, e quindi allĠintroduzione del termine di diciotto mesi entro il quale pu˜ essere esercitato il relativo potere, essa ha infatti il pregio di contemperare le esigenze di certezza del diritto, di tutela dellĠaffidamento e di prevalenza del diritto europeo, che si concretizza proprio nellĠannullamento, in autotutela, del provvedimento viziato in un termine certo e senzĠaltro meno preclusivo rispetto a quello, di sessanta giorni, contenuto nella codice del processo amministrativo (art. 29). Tuttavia, vi sono almeno due ordini di problemi. (26) Corte giust., 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 e C-442/04, i-21 Germany GmbH e Arcor, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu, dispositivo; successivamente, la Corte  nuovamente intervenuta chiarendo che ÇnellĠambito di un procedimento dinanzi ad un organo amministrativo diretto al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva in virt di una sentenza pronunciata da un giudice di ultima istanza, la quale, alla luce di una giurisprudenza successiva della Corte, risulta basata su unĠinterpretazione erronea del diritto comunitario, tale diritto non richiede che il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nellĠambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno da esso proposto contro tale decisioneÈ e che Çil diritto comunitario non impone alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva. Gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di fissare termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai principi comunitari di effettivitˆ e di equivalenzaÈ (sent. 12 febbraio 2008, Willy Kempter KG, dispositivo). (27) Cos“ F. FONDERICO, Nota a Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023, in www.giuristiambientali.it, p. 2, corsivo dellĠautore; il riferimento  alla sentenza del Consiglio di Stato n. 918/1998. (28) In questo senso anche le recenti innovazioni contenute nella l. 124/2015; in giurisprudenza, e pi recentemente, T.A.R. Molise, sez. I, sent. n. 207/2015; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, sent. n. 415/2014. (29) A seguito delle modifiche apportate allĠart. 2 co. 1 della legge 241/1990 dallĠart. 1 co. 38 della l. 190/2012. (30) Per G. GARDINI, op. cit., p. 245, Çla legalitˆ comunitaria quale interesse primario dello stato in re ipsa, in altri termini, non appare pi un argomento persuasivo alla luce delle modifiche legislative introdotte nel 2005È. Il primo lo si  giˆ evidenziato, ed  la ritrosia, dimostrata dalla giurisprudenza a partire dal 2006, a riconoscere una corrispondenza tra le Çragioni di interesse pubblicoÈ di cui parla lĠart. 21-nonies della l. 241-1990 (con riferimento ai requisiti per lĠesercizio dellĠannullamento dĠufficio) e il rispetto del diritto europeo, declinato nelle forme di un atto amministrativo che tale diritto lo v“ola. LĠunico modo per superare questa impasse  una modifica legislativa che renda doveroso non tanto lĠavvio, anche di ufficio, del procedimento di autotutela, quanto piuttosto il relativo esito, ovviamente nel senso di una doverositˆ dellĠannullamento di fronte a un atto amministrativo anticomunitario. In ogni caso, la soluzione proposta si scontra con un dato a giudizio di chi scrive insuperabile, che  quello della tutela e della garanzia del soggetto leso dallĠatto amministrativo anticomunitario. é difficilmente credibile che la stessa autoritˆ amministrativa che ha emanato lĠatto viziato, o comunque ogni altra autoritˆ competente ai sensi dellĠart. 21-nonies della l. 241/1990 a intervenire in via di autotutela, possa riconoscere con serenitˆ di giudizio tale vizio (salvo che non sia cos“ abnorme e manifesto) e procedere di conseguenza allĠannullamento dellĠatto. é indubbio che la devoluzione alla giustizia amministrativa della quaestio controversa richieda, in capo al ricorrente, un cospicuo investimento (non solo in termini economici ma anche temporali), che potrebbe scoraggiare la sua azione; tuttavia,  altrettanto indubbio che il ricorso alla giurisdizione amministrativa offra al soggetto che si dichiari leso da un provvedimento amministrativo anticomunitario maggiori garanzie, procedurali/ processuali e sostanziali. 5. La tesi della nullitˆ. Per completezza, bisogna rendere conto di unĠulteriore tesi, rimasta isolata in giurisprudenza e assai criticata dalla dottrina, che muove da unĠimpostazione dualista (anchĠessa ormai comunemente respinta da dottrina e giurisprudenza), ossia dallĠidea che lĠordinamento nazionale sia separato da quello europeo, e che  stata espressa dal T.A.R. Piemonte (31). Per questo giudice, ogni atto amministrativo presuppone lĠesistenza di una norma. Se tale norma non esiste o non produce effetti nellĠordinamento, Çil giudice non pu˜ che accertare lĠinesistenza del necessario parametro per la valutazione della legalitˆ dellĠazione amministrativa e, siccome non esiste attivitˆ amministrativa legibus soluta, egli non pu˜ che dare atto della radicale nullitˆ dellĠatto medesimoÈ (32). Se nel 1989 e negli anni immediatamente successivi la pronuncia del T.A.R. Piemonte si prestava a critiche non solo perchŽ allĠepoca non era ancora (31) Il riferimento  a T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. n. 34/1989, in T.A.R., 1989, parte I, p. 1228 e ss. (32) Ibidem. pacifica la possibilitˆ, per il giudice amministrativo nellĠambito della cd. giurisdizione generale di legittimitˆ, di dichiarare la nullitˆ di un provvedimento amministrativo (33), ma anche perchŽ sottendeva una visione separatista tra gli ordinamenti nazionale e comunitario, la tesi della nullitˆ  divenuta ancora pi insostenibile dopo lĠintroduzione, da parte dellĠart. 14 della l. 15/2005, dellĠart. 21-septies nella l. 241/1990, disposizione che ha previsto un numerus clausus di ipotesi di nullitˆ, come ha subito chiarito la giurisprudenza, e che  insuscettibile di interpretazione estensiva (34). 6. Conclusioni: il necessario intervento del legislatore. Alla luce di quanto finora riportato, appare evidente che lĠunica strada percorribile per chiarire e risolvere il problema dellĠatto amministrativo antieuropeo  quella di un intervento legislativo. Delle perplessitˆ legate a una modifica delle disposizioni in tema di autotutela (doverosa) si  giˆ detto supra, nel paragrafo 4. Per ci˜ che concerne invece lĠipotesi, suggerita da parte della dottrina, di modificare lĠart. 21-septies indicando tra le (tassative) ipotesi di nullitˆ anche la contrarietˆ dellĠatto amministrativo al diritto dellĠUnione europea,  ugualmente possibile avanzare alcune riserve (35). Se  vero, come  vero, che tale proposta ha il pregio di sanzionare con una illegittimitˆ ÒforteÓ, ossia con la nullitˆ, lĠatto amministrativo anticomunitario, implicitamente riconoscendo la prevalenza del diritto dellĠUnione su quello nazionale (e per cui la violazione del primo rende lĠatto nullo, quella del secondo lo rende semplicemente annullabile), dallĠaltra parte  doveroso porre attenzione alla disciplina processuale dellĠatto nullo, che prevede s“ un termine di centottanta giorni per la proposizione dellĠazione di nullitˆ (art. 31 co. 4 c.p.a.), ma estende sine die tale facoltˆ nei confronti della parte resistente e permette al giudice di rilevare il vizio ex officio, in deroga al principio dispositivo che informa il processo amministrativo (36). Anche in questa circostanza, quindi, e come nel caso della disapplicazione in ogni tempo, residuano margini eccessivamente ampi di indeterminatezza, che mettono in dubbio i principi di certezza e di affidamento. Al contrario, lĠunica soluzione che sembra garantire una contemperamento degli interessi in gioco sembra essere quella che passa per una modi (33) Per approfondire si veda R. MUSONE, op. cit., p. 223 e ss. (34) Come chiarito supra, nel primo paragrafo, e in particolare nella nota n. 2; vedi anche A. SUSCA, LĠinvaliditˆ del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, Giuffr, p. 50 e ss. (35) é la tesi sostenuta da G. GARDINI, op. cit., p. 259. (36) Cos“ R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Neldiritto Editore, 2016, p. 1197. Per approfondimenti sul punto, si vedano F. LUCIANI, Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, Torino, Giappichelli, 2010; F. VETRñ, LĠazione di nullitˆ dinanzi al giudice amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012. fica dellĠart. 29 c.p.a., contemplando una dilatazione del termine, previsto a pena di decadenza, per impugnare il provvedimento viziato da contrarietˆ al diritto dellĠUnione europea, da sessanta giorni fino a centottanta giorni (ossia il medesimo termine previsto dal c.p.a., come si  visto, per promuovere lĠazione di nullitˆ). Tale soluzione: -permette di continuare a ricondurre al generale vizio di violazione di legge sia la violazione del diritto interno sia quella del diritto europeo, coerentemente alla natura stessa del vizio (37); -riconosce per˜ il maggior valore del diritto europeo rispetto a quello nazionale, fornendo al soggetto leso la possibilitˆ di impugnare lĠatto anticomunitario in un termine molto pi ampio rispetto a quello, assai breve, attualmente previsto per i vizi di cui allĠart. 21-octies della l. 241/1990; -prevedendo un termine oltre il quale non  pi possibile eccepire il vizio dellĠatto, nemmeno dĠufficio da parte del giudice, fa salvi i principi di certezza e di affidamento dei terzi, senza per questo comprimerli o estenderli in modo irragionevole (come invece accade, rispettivamente, abbracciando le teorie della disapplicazione, dellĠinterpretazione conforme e della nullitˆ da una parte, e quella della annullabilitˆ per cos“ dire ÒsempliceÓ a cui aderisce attualmente la giurisprudenza nazionale, dallĠaltra). Inoltre, tale soluzione non creerebbe problemi di pregiudizialitˆ in ambito processuale: va da sŽ che ulteriori vizi dellĠatto - oltre a quello di violazione di legge europea - devono (rectius: dovrebbero) continuare ad essere fatti valere dal soggetto ricorrente entro lĠordinario termine di impugnazione di sessanta giorni; se presentati dopo il sessantesimo giorno ma entro il centottantesimo dal dies a quo unitamente a una censura di anticomunitarietˆ dellĠatto impugnato, tali motivi dovrebbero essere dichiarati dal giudice inammissibili perchŽ tardivi, e la cognizione del tribunale sarebbe limitata alla verifica della sussistenza di un vizio di violazione di legge europea. (37) Difatti, che si parli di diritto europeo o di diritto interno, pur sempre di violazione di legge si tratta. CONTENZIOSO NAZIONALE Enti liririci. La sentenza della Corte Costituzionale n. 260 del 2015: lettura interpretativa e riflessi sui contenziosi pendenti Grazia Maggi* SOMMARIO: 1. Evoluzione storica e normativa degli enti lirici: natura giuridico-soggettiva e specialitˆ della disciplina dei rapporti di lavoro - 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 260 del 2015 - 3. Corretta lettura interpretativa della sent. Corte Costituzionale n. 260 del 2015. 1. Evoluzione storica e normativa degli enti lirici: natura giuridico-soggettiva e specialitˆ della disciplina dei rapporti di lavoro. Le fondazioni lirico-sinfoniche sono il risultato dei processi di privatizzazione avvenuti in Italia negli anni Ġ90; dapprima, la legge definiva tali istituzioni Òenti autonomi lirici con personalitˆ giuridica di diritto pubblicoÓ (1), in seguito, con pi interventi legislativi, sono state trasformate in Fondazioni con personalitˆ giuridica di diritto privato. Prima del 1996, anno di inizio del processo di riforma e privatizzazione di tali Enti, le istituzioni liriche, erano dotate di personalitˆ giuridica di diritto pubblico in ragione delle finalitˆ di interesse generale perseguite ÒGli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate hanno personalitˆ giuridica di diritto pubblico e sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del turismo e dello spettacolo. Essi non perseguono scopi di lucro ed hanno come (*) La Dott.ssa Grazia Maggi, durante il corso di laurea in giurisprudenza, ha partecipato ad un tirocinio curriculare presso lĠAvvocatura Generale dello Stato, con lĠAvvocato Alessandra Bruni, occupandosi in modo particolare del rapporto di lavoro e del contenzioso nel settore lirico-sinfonico. Si  laureata presso lĠUniversitˆ LUISS Guido Carli, con tesi dal titolo ÒLĠaccesso nella pubblica amministrazione: modalitˆ di reclutamento e tipologie contrattuali. Il caso delle fondazioni lirico-sinfonicheÓ. (1) Art. 5 legge n. 800 del 1967. fine la diffusione dellĠarte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e la educazione musicale della collettivitˆÓ (2). Il d.lgs. n. 367 del 1996 costituisce il primo intervento legislativo nellĠottica della trasformazione degli enti lirici in fondazioni; tale decreto, allĠart. 1, statuisce ÒGli enti di prioritario interesse nazionale che operano nel settore musicale devono trasformarsi in fondazioni di diritto privato secondo le disposizioni previste dal presente decretoÓ. Tuttavia, negli anni successivi, non tutti gli enti lirici si sono conformati a quanto previsto dal decreto n. 367 cit. trasformandosi in fondazioni, motivo per il quale, il legislatore  intervenuto nel 1998 con il d.lgs. n. 134, stabilendo la trasformazione ex lege. QuestĠultimo decreto  stato, dopo soli due anni, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, ma il suo contenuto  stato sostanzialmente reiterato nel d.l. n. 345 del 2000, convertito in legge n. 6 del 2001, che costituisce lĠattuale disciplina della trasformazione degli enti lirici: ÒGli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate, sono trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalitˆ giuridica di diritto privato a decorrere dal 23 maggio 1998. La fondazione subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi e passivi dellĠente, in essere alla data della trasformazione. Essa  disciplinata, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 e dal codice civileÓ (3). Gli interventi legislativi sopra menzionati, si sono inseriti nel periodo delle grandi privatizzazioni italiane, quando il sistema della finanza pubblica attraversava una grave crisi e si cercava rimedio attraverso la dismissione di molti enti pubblici: questi venivano trasformati in societˆ per azioni, in fondazioni o associazioni con il prioritario intento di attirare finanziamenti privati e risollevare le casse e i bilanci di tali ex-enti (4). é accaduto, cos“, che in numerosi settori pubblici siano state introdotte forme di gestione formalmente private, quali le fondazioni, ma che nella sostanza rimangano Òsottoposte a vincoli di diritto pubblico imposti dallĠesigenza del rispetto dei principi costituzionali di cui allo stesso art. 97 Cost.Ó (5). I soggetti giuridici risultanti allĠesito del processo di privatizzazione non sono, totalmente inquadrabili nellĠarea del diritto privato: permangono in capo alle fondazioni lirico-sinfoniche peculiaritˆ proprie del modello pubblicistico dovute alle finalitˆ culturali di rilevo pubblico e di interesse nazionale perse (2) Art. 5 comma 1 legge n. 800 del 1967. (3) Art. 1, commi 1 e 2, d.l. n. 345/2000. (4) V. CERULLI IRELLI, Diritto privato dellĠAmministrazione pubblica, Torino, 2008. (5) V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 32 e ss. ÒLĠattivitˆ giuridica delle organizzazioni pubbliche oggi si esercita normalmente anche secondo moduli di diritto privato e le stesse funzioni di amministrazione in senso sostanziale possono essere conferite a soggetti formalmente privatiÓ. guite con la propria attivitˆ. Autorevole giurisprudenza ha affermato si tratti di figure giuridiche ÒibrideÓ, dal momento che la loro disciplina non pu˜ essere considerata nŽ completamente privatistica nŽ pubblicistica (6). Le incertezze concernenti la natura giuridica delle fondazioni lirico-sinfoniche sono molteplici. é controverso se allĠesito della privatizzazione, tali soggetti, siano solo formalmente o anche sostanzialmente privatistici (7). Il Consiglio di Stato, con pronunce risalenti, ha affermato come il momento di individuazione della natura pubblica di un ente vada ricercato Ònella sua collocazione istituzionale in seno allĠorganizzazione statale, come organo ausiliario necessario al raggiungimento di finalitˆ di interesse generaleÓ (8); ancora sulla questione la Corte dei Conti ha recentemente affermato come la forma societaria non sia da considerarsi il criterio per distinguere la natura pubblica o privata dellĠente, quanto piuttosto si debba indagare sullo scopo perseguito dallĠente stesso e sulle risorse utilizzate nello svolgimento della propria attivitˆ (9). Accogliendo le argomentazioni delle Corti si arriva a sostenere come la privatizzazione che ha riguardato gli enti lirici, trasformati in fondazioni, sia una privatizzazione esclusivamente formale e non anche sostanziale (10). Ad una veste giuridica privata si accompagna una disciplina a tratti pubblicistica, e sono diversi i fattori che inducono a ritenere che la forma giuridica della fondazione non escluda lĠapplicabilitˆ, alle medesime fondazioni, di alcune peculiaritˆ tipiche del diritto pubblico. Recentemente il T.A.R. Roma (Lazio), in due pronunce, ha individuato alcuni indici rivelatori della natura pubblicistica delle istituzioni lirico-sinfoniche: Òla preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, il conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei Conti, il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, confermato dall'art. 1 comma 3, d.l. n. 345 del 2000, l'inclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti al d.lgs. n. 163 del 2006Ó (11). Attraverso il processo di privatizzazione, il legislatore, ha sentito lĠesigenza di snellire e semplificare lĠimpianto organizzativo di tali enti, trasformandoli in soggetti di diritto privato: si  perseguito il principale obiettivo di intervenire in un settore gravato da profonda crisi economica inserendo modelli di gestione privata ritenuti pi efficienti. (6) Corte Costituzionale n. 153 del 2011; T.A.R. Cagliari, (Sardegna), sez. II, 8 novembre 2013, n. 695: ÒLe fondazioni e gli altri enti operanti nel settore musicale, ancorchŽ formalmente privatistici, perseguono interessi di rango sostanzialmente pubblicistico e sono assoggettati ad un regime parimenti pubblicisticoÓ. (7) F. SCIARETTA, Associazioni e fondazioni con compiti di amministrazione pubblica, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2013, pag. 959. (8) Consiglio di Stato n. 836/95; Consiglio di Stato n. 1666/89. (9) Corte dei Conti, sez. controllo Regione Lombardia, delibera 46/2007. (10) T.A.R. Cagliari, (Sardegna), sez. II, 8 novembre 2013, n. 695. (11) T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 10 settembre 2013, n. 8194; T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 5 giugno 2013, n. 5602. AllĠindomani della trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, si sono poste questioni riguardanti la qualificazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle fondazioni medesime, ci si  chiesti se, ed in che modo, i rapporti di lavoro si sarebbero ÒtrasformatiÓ seguendo la disciplina dettata per il lavoro privato. In primo luogo, si ritiene pacifica la natura pubblicistica del rapporto di lavoro instaurato dagli enti lirici prima dellĠinizio dei processi di privatizzazione. Successivamente allĠentrata in vigore delle disposizioni di legge che hanno condotto alla privatizzazione degli enti lirici, i rapporti di lavoro con essi instaurati, individuano la propria fonte regolatrice nelle norme dedicate al lavoro privato, pur mantenendo, per alcuni istituti e per ragioni particolari, discipline derogatorie rispetto al diritto del lavoro comune. Ci troviamo di fronte ad un caso, comune nel nostro ordinamento e nella storia della trasformazione degli enti pubblici, di privatizzazione al livello formale e non invece di privatizzazione sostanziale (12). La ratio legis della trasformazione  legata, infatti, alla eliminazione di rigiditˆ organizzative al fine di migliorare lĠefficienza, cercando di attrarre conseguentemente finanziamenti privati, per poter potenziare e tutelare maggiormente le finalitˆ istituzionali e la natura sostanzialmente pubblica di questi enti di rilievo nazionale. La Corte Costituzionale, a causa dei contrasti dottrinali e giurisprudenziali sorti in merito alla natura giuridica delle fondazioni lirico-sinfoniche, nel 2011  chiamata a pronunciarsi su tale controversa questione; lo fa attraverso una sentenza ÒricostruttivaÓ della materia, con la quale aiuta a fare chiarezza nel complesso quadro normativo dedicato alle fondazioni. La Corte ripercorre le tappe che, negli anni, hanno portato alla privatizzazione degli Enti lirici: la motivazione sottesa al mutamento di veste giuridica, da pubblica a privata, si rinviene nel fine, dichiarato, di eliminare rigiditˆ organizzative e di attrarre conseguentemente finanziamenti privati. I giudici costituzionali espressamente affermano che Òsi ritiene, concordemente, che nonostante lĠacquisizione della veste giuridica formale di Çfondazioni di diritto privatoÈ, tali soggetti conservino, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicisticaÓ. In questo modo si avvalora la tesi secondo la quale, le fondazioni, siano solo formalmente diventate soggetti di diritto privato, ma che le stesse, per il fine pubblico e di interesse generale perseguito, siano da considerare, sostanzialmente, soggetti di diritto pubblico. La sentenza n. 153 cit., prosegue rilevando che Ògli indici della connotazione pubblica degli enti lirici sono, peraltro, molteplici e ravvisabili nella preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assogget (12) A. BRUNI, La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici, in Rassegna Avvocatura dello Stato - n. 1/2014, p. 135. tamento al controllo della Corte dei conti, nel patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato, nellĠinclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti al Codice dei contratti pubbliciÓ. Con tale pronuncia la Corte Costituzionale afferma chiaramente la natura pubblicistica degli Enti lirici (13) (anche dopo la loro trasformazione in Fondazioni) (14), e tale prevalenza pubblicistica si ripercuote, evidentemente, sulla disciplina dei rapporti di lavoro. Nonostante siano convincenti e ben strutturate le motivazioni della Corte Costituzionale (nella sent. n. 153 del 2011), e quindi la natura pubblicistica delle Fondazioni liriche sia, apparentemente, non controversa,  opportuno dare rilievo al cambiamento di orientamento operato dalla Corte di Cassazione nel 2014 (15). La Corte chiarisce che per effetto della trasformazione degli enti lirici in Fondazioni, queste ultime Ònon fanno pi parte del complesso delle pubbliche amministrazioniÓ; secondo la Cassazione Òla qualitˆ dellĠente, mutata da pubblica amministrazione a figura soggettiva privata, comporta la contestuale trasformazione della natura giuridica del rapporto di lavoro dipendente, che diventa un comune rapporto di lavoro subordinato, con salvezza di eventuali regole speciali dettate dalla normativa di trasformazioneÓ (16). Facendo salve le eventuali norme speciali, rivolte alle istituzioni liriche, la Corte, pur riconoscendo la natura privatistica di tali enti privatizzati, ammette possano esistere norme di legge derogatorie rispetto alla disciplina di diritto comune. Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione  il seguente: Òla violazione delle altre disposizioni, e in particolare delle norme che prevedono la forma scritta ab substantiam e la specifica indicazione della causale, devono essere riportate nellĠambito della disciplina ordinaria del contratto a tempo determinato, con la conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.[É] LĠart. 3 comma 6 non riguarda i vizi afferenti alla mancanza dellĠatto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere produttivo che legittimano lĠapposizione del termineÓ. Le fondazioni lirico-sinfoniche sono veri e propri soggetti giuridici ÒibridiÓ, da un lato sono sottoposti alla disciplina del codice civile, come disposto dallĠart. 1 comma 2 d.l. n. 345/2000; ma dallĠatro permangono in capo ad essi vincoli di controllo e di organizzazione tipici degli enti pubblici. (13) Corte Cost. sent. n. 153/2011: Ònatura pubblica di tali enti - non controversaÓ. (14) Corte Cost., sent. n. 153/2011: ÒSulla qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorchŽ privatizzati, si registra anche una sostanziale convergenza delle parti, nel solco peraltro di una giurisprudenza prevalente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 2637 del 2006; T.A.R. Liguria, sez. II, sentenza n. 230 del 2009; T.A.R. Sardegna, sez. II, sentenza n. 1051 del 2008)Ó. (15) Cassazione Sezione Lavoro sent. n. 5748 e 5749 del 12 marzo 2014; Cassazione civile, sez. lav., 20 marzo 2014, n. 6547. (16) Corte di Cassazione, Sezione Lavoro n. 5748 del 12 marzo 2014. Proprio in ragione delle peculiaritˆ della struttura organizzativa delle fondazioni e dei vincoli di controllo ai quali sono sottoposte, il legislatore, nel dettare la disciplina dei rapporti di lavoro, ha dovuto compiere un bilanciamento degli interessi in gioco: da un lato le esigenze dei prestatori di lavoro, ormai dipendenti di un soggetto giuridico formalmente privato; dallĠaltro la necessitˆ che le fondazioni operino nel rispetto di vincoli di spesa evitando di concorrere allĠindebitamento delle casse dello Stato. Sono queste le ragioni che hanno spinto il legislatore a prevedere una disciplina ÒspecialeÓ da applicarsi ai rapporti di lavoro presso le fondazioni lirico-sinfoniche. Nonostante le intenzioni del legislatore delle privatizzazioni fossero apprezzabili, va rilevato che la gestione privatistica delle fondazioni non ha condotto ai risultati sperati; i deficit dei bilanci delle fondazioni hanno continuato a crescere portando il settore verso situazioni finanziarie sempre peggiori. é in questo contesto socio-economico che si innesta il d.l. n. 64 del 2010, recante Òdisposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivitˆ culturaliÓ. La finalitˆ perseguita dallĠintervento legislativo  di dettare una disciplina specifica per le fondazioni liriche, considerando non adeguati gli strumenti privatistici fino a quel momento adottati, ed intervenendo maggiormente sulla disciplina dei rapporti di lavoro considerata complice del- lĠindebitamento delle fondazioni. Il legislatore, dopo aver emanato il decreto n. 64 cit., interviene nuovamente nel settore sinfonico attraverso un decreto legge ricco di novitˆ nel- lĠambito della gestione e dellĠorganizzazione delle fondazioni (17). La legge n. 112 del 2013, al fine di contenere la spesa delle fondazioni, introduce unĠimportante disposizione, con la quale prevede che Òil contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche  instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubblicheÓ. Torna in auge lĠorientamento dottrinale e giurisprudenziale, pi volte citato, che riconosce carattere meramente formale, e non anche sostanziale, alla privatizzazione operata a favore degli enti lirici. Ci˜ che maggiormente caratterizza la disciplina del lavoro applicabile alle fondazioni, in deroga a quanto previsto nel diritto comune,  il divieto di conversione di contratti a termine viziati in contratti a tempo indeterminato, come stabilito dallĠart. 22 commi 1 e 2, d.lgs. n. 367/1996. Nonostante la sottoposizione dei rapporti di lavoro alla disciplina del lavoro privato, le peculiari finalitˆ di rilevante interesse generale perseguite, e la struttura organizzativa delle fondazioni, hanno evidenziato la necessitˆ di prevedere un sistema che, da un lato, tutelasse i lavoratori delle fondazioni, ma dallĠaltro, tenesse conto della rilevanza pubblicistica di tali soggetti giuridici. Il decreto n. 367 cit. ha espressamente vietato lĠapplicazione delle norme (17) Viene emanato il d.l. n. 91 del 2013, convertito in legge n. 112 del 2013. riguardanti la conversione dei contratti a termine viziati (18), e ci˜ in ossequio dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialitˆ ed efficienza del- lĠapparato amministrativo (ex art. 97 Cost.), a cui le fondazioni liriche sono tuttĠora assoggettate in ragione delle particolari finalitˆ di diffusione ed espansione dellĠarte musicale. Il successivo d.lgs. n. 368 del 2001, concordemente con quanto previsto dalla previgente disciplina, nel modificare lĠistituto del contratto a tempo determinato, si occupa espressamente delle fondazioni lirico-sinfoniche. LĠart. 11 comma 4 decreto n. 368 cit. afferma Òal personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le norme di cui agli articoli 4 e 5Ó. Gli appena citati artt. 4 e 5 si occupano delle proroghe, i rinnovi e la successione nei contratti a tempo determinato, prevedendo, in caso di violazione della disciplina dettata, la sanzione della conversione del contratto a tempo determinato viziato in contratto di lavoro a tempo indeterminato. In questo quadro normativo si inserisce il d.l. n. 64 del 2010 che modifica in parte la disciplina del personale e della contrattazione collettiva delle fondazioni liriche. LĠ art. 3, comma 6, del decreto n. 64, con lĠintento di dirimere le controversie riguardanti le violazioni dei contratti a termine stipulati dalle fondazioni, afferma testualmente: Òalle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l'articolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368Ó. Se da un lato, per le fondazioni lirico-sinfoniche, si ritiene pacifica la non conversione dei contratti a termine in caso di violazione delle norme riguardanti le proroghe e i rinnovi dei medesimi contratti, come previsto da numerose disposizioni legislative (19); dallĠaltro, ci si chiede se il d.l. n. 64 cit., abbia voluto ampliare lĠarea della non conversione, anche per il passato, ricomprendendovi ipotesi di nullitˆ genetica dei contratti a termine (20). La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza dellĠ11 dicembre 2015 n. 260,  intervenuta in merito alla legittimitˆ costituzionale dellĠart. 3 comma 6 d.l. n. 64 del 2010. (18) Art. 22 d.lgs. n. 367/1996: Ò Al personale artistico e tecnico della fondazione non si applicano le disposizioni dell'art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230Ó. (19) Art. 22, comma 2, d.lgs. n. 367/1996; art. 11, comma 4, d.lgs. n. 368/2001. (20) Si pensi alla mancanza della forma scritta ab substantiam del contratto a termine. 2. Sentenza Corte Costituzionale n. 260 del 2015. LĠart. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010 statuisce ÒAlle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l'articolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368Ó. Parte della dottrina e della giurisprudenza (21) ha ritenuto che tale disposizione fosse interpretabile nel senso di ritenere insussistente la conversione dei contratti a termine, in caso di qualsiasi violazione delle norme imperative; altro orientamento, invece, ha ritenuto che la disposizione di legge facesse riferimento alle sole ipotesi di violazione delle norme sui contratti a termine riguardanti proroghe e rinnovi (22). La corte dĠappello di Palermo, nel 2010, applicando lĠart. 3 comma 6, ha ritenuto che il termine <> Òpotesse ingannare lĠinterprete, suggerendo una qualificazione in senso tecnico dello stessoÓ, conducendo alla erronea conclusione secondo la quale il divieto di conversione deve ritenersi limitato alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe o sulla successione dei contratti; secondo la Corte, invece, il termine va interpretato in senso ÒatecnicoÓ ricomprendendovi qualsiasi violazione della disciplina dettata per il lavoro a tempo determinato (23). Di avviso diametralmente opposto  la Corte di Cassazione la quale, con la sentenza n. 11573 del 2011 afferma che, lĠart. 3 decreto n. 64 cit.,  in linea di continuitˆ con quanto previsto dalle previgenti discipline: tale articolo conferma lĠinapplicabilitˆ, alle Fondazioni liriche, della disciplina sui rinnovi dei contratti a termine, ma riguarda solo lĠaspetto dei rinnovi, e non anche qualsiasi violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori a tempo determinato (24), il termine ÒrinnovoÓ va inteso dunque in senso tecnico. In questo quadro di incertezze interpretative che, nella pratica, hanno condizionato vistosamente lĠapplicabilitˆ della norma (art. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010), il legislatore interviene fornendo unĠinterpretazione autentica del- lĠart. 3, ad opera dellĠart. 40 comma 1-bis d.l. n. 69/2013. (21) A. BRUNI, La specialitˆ della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici, in Rassegna Avvocatura dello Stato - n. 1/2014; Corte dĠappello Palermo n. 2124/2010; Tribunale di Sciacca sentt. n. 252 e 253 del 2014. (22) Corte dĠappello Firenze n. 234/2014; Cassazione n. 5748 e 6547 del 2014. (23) Corte dĠappello Palermo n. 2124/2010. (24) Corte di Cassazione n. 5748/2014: ÒLa specialitˆ della disciplina del contratto a tempo determinato del personale delle fondazioni liriche - che invece, per il resto,  interamente sottoposto alla disciplina del codice civile -  dunque limitata allĠinapplicabilitˆ delle disposizioni relative alle proroghe e ai rinnovi, come giˆ prevedeva lĠart. 3 legge n. 426/1977, quindi lĠart. 2 legge n. 230/1962 e, infine, lĠart. 11 d.lgs. n. 368/2001Ó. LĠart. 40, comma 1-bis, d.l. n. 69 del 2013, afferma: Òl'articolo 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contrattiÓ. L'esigenza del legislatore di introdurre una norma interpretativa, scaturisce da una giurisprudenza estesa su tutto il territorio nazionale, che ha inteso in senso restrittivo il divieto di stabilizzazione sancito nel 2010, limitandolo alle ipotesi dei rinnovi. Il legislatore imputa alla giurisprudenza di avere travisato il senso del d.l. n. 64 del 2010, che intendeva evitare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in un settore gravato da forte crisi economica. Invero, la lettura ampia data in sede di interpretazione autentica  quella che meglio si concilia con la disciplina complessiva della materia (e, quindi, pi compiutamente ne realizza i fini) e che appare pi coerente con le peculiaritˆ del rapporto di lavoro alle dipendenze delle fondazioni. Proprio in ragione degli orientamenti giurisprudenziali dissonanti e dei contrasti nati sullĠinterpretazione dellĠart. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010, sono state sollevate questioni di illegittimitˆ costituzionale dellĠart. 40 comma 1bis d.l. n. 69 del 2013, ritenendo che lo stesso non sia di interpretazione autentica, bens“ innovativo, con portata retroattiva, e che la sua valenza per il passato violi il legittimo affidamento che i lavoratori delle fondazioni liriche hanno preposto nella previgente disciplina. La sentenza, Corte Costituzionale n. 260 del 2015, affronta le questioni sollevate, effettuando una ricostruzione sistematica delle norme di legge susseguitesi negli anni e individuando la disciplina applicabile ai contratti a tempo determinato stipulati dalle fondazioni lirico-sinfoniche. In prima approssimazione, la Corte ritiene che la norma ex art. 40 comma 1-bis, non possa legittimamente ritenersi di interpretazione autentica, dal momento che, non solo interpreta quanto statuito dallĠart. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010, ma amplia lĠarea della non convertibilitˆ ritenendo che in nessun caso i contratti a termine delle fondazioni liriche possano essere trasformati in contratti a tempo indeterminato, neanche in caso di vizi genetici: ÒLa norma impugnata non attribuisce alla legge che intende interpretare (decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, recante ÇDisposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivitˆ culturaliÈ e convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100) un senso riconducibile alle possibili letture del testo originario e vanifica l'affidamento ragionevole dei consociati, avvalorato dall'orientamento costante della giurisprudenza di legittimitˆÓ (25). (25) Corte Costituzionale n. 260 del 2015. I giudici costituzionali sentono lĠesigenza di salvaguardare le aspettative dei lavoratori interpretando in modo restrittivo quanto previsto dallĠart. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte Costituzionale parte dal- lĠanalisi dellĠart. 22 d.lgs. n. 367/1996 e prosegue con lĠanalisi dellĠart. 11 d.lgs. n. 368 del 2001, mettendo in evidenza come nella previgente disciplina le uniche deroghe ammissibile per i contratti a termine delle fondazioni liriche, fossero contenute nelle norme riguardanti le proroghe e i rinnovi dei medesimi contratti. In tale contesto normativo si inserisce il d.l. n. 64 del 2010, ad avviso della Corte Costituzionale tale decreto conferma quanto giˆ stabilito in precedenza, accordando, quale unica deroga ammissibile, la mancata conversione dei contratti a termine in caso di violazione delle norme sui rinnovi e le proroghe dei contratti stessi. La Corte afferma che Ònel sancire che il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato non  circoscritto alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle proroghe, ma investe ogni ipotesi di Çviolazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termineÈ, la norma impugnata non enuclea una plausibile variante di senso dell'art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010Ó: cos“ esorbitando dallo spazio dellĠinterpretazione e giungendo a quello dellĠinnovazione, lĠart. 40 comma 1-bis d.l. n. 69 del 2013 non pu˜ ottenere il consenso della Corte Costituzionale. Ne viene, appunto, dichiarata lĠillegittimitˆ costituzionale poichŽ Ònell'estendere il divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo anche l'ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall'ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto giˆ connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune. La norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a termine. Secondo il significato proprio delle parole, che  canone ermeneutico essenziale (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo "rinnovo" evoca un concetto diverso rispetto a quello dell'illegittimitˆ del termine, apposto al primo contrattoÓ (26). 3. Corretta lettura interpretativa della sent. Corte Cost. n. 260 del 2015. Alla luce di questa recentissima sentenza della Corte Costituzionale,  opportuno riflettere sulle motivazioni che hanno spinto i giudici delle leggi ad una siffatta pronuncia. La sentenza n. 260 cit. statuisce che in caso di violazione delle norme sul lavoro a tempo determinato nelle fondazioni lirico-sinfoniche, la sanzione  as (26) Corte Costituzionale n. 260 del 2015. similabile a quella prevista nel settore pubblico, pertanto, non  possibile la conversione del contratto a termine viziato, ma tale inconvertibilitˆ incontra dei limiti: solo nel caso in cui la violazione inerisca alla disciplina delle proroghe, i rinnovi o la durata del contratto, questĠultimo non sarˆ convertibile; qualora la violazione inerisca a vizi genetici, il contratto si trasformerˆ a tempo indeterminato. Il momento storico ed economico nel quale tale sentenza si colloca ha avuto un ruolo fondamentale: la disoccupazione, il precariato e la situazione di crisi economica che attraversa il nostro paese hanno reso necessario un intervento della Corte a favore dei prestatori di lavoro, che accordasse loro una tutela residuale che il legislatore voleva negargli. é sicuramente apprezzabile la volontˆ della Corte Costituzionale di voler apprestare garanzie ai lavoratori del settore lirico, settore nel quale, negli anni, lĠutilizzo delle forme contrattuali flessibili ha conosciuto un vero e proprio abuso; probabilmente, per˜, i giudici delle leggi, avrebbero dovuto tenere in debita considerazione, anche la situazione economica e finanziaria in cui versano le fondazioni lirico-sinfoniche. é opportuno segnalare che la sentenza in oggetto, nulla dice a riguardo della natura giuridica delle fondazioni liriche, non si pone il problema della specialitˆ dellĠattivitˆ posta in essere da questi soggetti giuridici, equiparandoli ad un qualsiasi datore di lavoro privato. Senza dubbio la sentenza n. 260 del 2015 inciderˆ profondamente sulle finanze delle fondazioni, finanziamenti posti prevalentemente a carico dello Stato, obbligando le medesime fondazioni ad inserire nel proprio organico personale a tempo indeterminato anche in mancanza di effettive necessitˆ o delle professionalitˆ richieste. La problematica riguardante la situazione finanziaria delle fondazioni liriche non  di poco conto, soprattutto alla luce della disciplina introdotta della legge n. 112 del 2013. ÒAl fine di fare fronte allo stato di grave crisi del settore e di pervenire al risanamento delle gestioni e al rilancio delle attivitˆ delle fondazioni lirico-sinfonicheÓ (27), gli enti di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni, che non possano far fronte ai debiti certi ed esigibili, ovvero che siano stati in regime di amministrazione straordinaria nel corso degli ultimi due esercizi, devono presentare un piano di risanamento che interviene su tutte le voci di bilancio e in grado di riportare in tre anni la fondazione in condizioni di attivo patrimoniale e di equilibrio del conto economico (28). Ci˜ che pi preoccupa,  il regime sanzionatorio predisposto nel caso in (27) Art. 11 comma 1 legge n. 112 del 2013 (legge Bray). (28) Tale piano deve prevedere la riduzione fino al 50% del personale tecnico e amministrativo in organico al 31 dicembre 2012, una razionalizzazione del personale artistico nonchŽ la cessazione del- lĠefficacia dei contratti integrativi aziendali in vigore e, per quanto riguarda gli stipendi, lĠapplicazione del minimo sindacale. cui le fondazioni, entro il 2016, non riescano a raggiungere Òcondizioni di equilibrio strutturale del bilancio, sia sotto il profilo patrimoniale che economico- finanziarioÓ (29): tali fondazione verranno poste in liquidazione coatta amministrativa. La Corte Costituzionale del 2015 avrebbe dovuto tener conto di tale disposizione e delle conseguenze sanzionatorie, dal momento che, a seguito della pronuncia n. 260, le fondazioni saranno costrette ad inserire nel proprio organico personale a tempo indeterminato sulla base di pronunce giudiziali, senza poter preventivare i costi che effettivamente dovranno sostenere. Quanto statuito dalla legge Bray n. 112 del 2013, secondo la quale Òil contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche  instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubblicheÓ (30), mal si concilia con la pronuncia della Corte Costituzionale che ammette lĠingresso dei lavoratori nelle fondazioni a seguito di pronunce giudiziali. La regola del pubblico concorso per lĠaccesso al lavoro nelle fondazioni lirico-sinfoniche, sancito dalla legge n. 112 cit., riapre una porta che sembrava ormai chiusa. Torna ad essere centrale il problema del- lĠesatta qualificazione giuridica degli ex-enti lirici, ci si chiede se il legislatore, introducendo la disposizione in esame, abbia voluto consolidare la sostanziale natura pubblicistica delle fondazioni, oppure abbia esclusivamente cercato di porre un freno allĠaumento della spesa delle fondazioni medesime. Si auspica che i giudici di merito possano cogliere la raffinata sfumatura di significato della sentenza n. 260 evitando di fare Òdi tutta lĠerba un fascioÓ, ma si dovrˆ attendere ancora qualche anno affinchŽ si possa valutare lĠimpatto pratico di questa recente pronuncia della Corte Costituzionale. Nel contempo si attende un intervento del legislatore che si faccia al pi presto carico di tale delicata situazione, con il prioritario obiettivo di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze in gioco: da un lato, salvaguardando i lavoratori precari bisognosi di certezze e troppo spesso sfruttati; dallĠaltro tutelando le finalitˆ delle fondazioni ed evitando che spiacevoli conseguenze ricadano, inficiandole, sullĠarte musicale e teatrale di cui le fondazioni lirico-sinfoniche sono espressione. Corte Costituzionale, sentenza 11 dicembre 2015 n. 260 -Pres. Cartabia, Red. Sciarra Giudizio di legittimitˆ costituzionale promosso dalla Corte dĠappello di Firenze nel procedimento vertente tra la Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino e M.M.G. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18 settembre 2014, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2014, la (29) Art. 11 comma 14 legge n. 112 del 2013. (30) Art. 11 comma 19 legge n. 112 del 2013. Corte dĠappello di Firenze ha sollevato questione di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dellĠeconomia), convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, prospettando la violazione degli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questĠultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. La norma impugnata prevede che ÇLĠarticolo 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contrattiÈ. La Corte dĠappello fiorentina espone di dover decidere sul gravame che la Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino ha proposto contro la sentenza pronunciata dal Tribunale ordinario di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, nella controversia che ha contrapposto lĠappellante a M.M.G., Çtersicorea di fila con obbligo di solistaÈ, lavoratrice della fondazione in virt di Ç34 contratti temporanei a partire dal 3.6.1997 e poi reiterati negli anni, (altri 7) anche nel corso del giudizio stessoÈ. Il giudice di primo grado, con la sentenza impugnata, ha dichiarato la nullitˆ del termine apposto al contratto del 9 gennaio 2001, ha accertato che tra le parti si era instaurato, dal 9 gennaio 2001, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con inquadramento della ricorrente nel sesto e poi nel quinto livello del contratto collettivo nazionale, e ha condannato la fondazione, in base allĠart. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per lĠimpiego, di incentivi allĠoccupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchŽ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), al pagamento dellĠindennitˆ onnicomprensiva di sei mensilitˆ dellĠultima retribuzione globale, con rivalutazione monetaria e interessi legali. Tale decisione si fonda sullĠillegittimitˆ dellĠapposizione del termine a un contratto carente di una Çreale, coerente e dimostrata esigenza di temporaneitˆÈ. La Corte dĠappello, investita del gravame della fondazione, afferma, in primo luogo, la natura privatistica dei rapporti di lavoro intercorsi tra le parti. Da tale affermazione discende lĠinfondatezza del richiamo al divieto di stabilizzazione vigente nellĠˆmbito del lavoro pubblico (art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante ÇNorme generali sullĠordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubblicheÈ). Sulla scorta di tale rilievo e della giurisprudenza di legittimitˆ in tema di contratti a termine delle fondazioni lirico-sinfoniche (fra le molte, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 12 marzo 2014, n. 5748), la Corte rimettente conclude che le statuizioni del Tribunale resistono alle doglianze dellĠappellante. Il giudice dĠappello, nel condividere lĠapprezzamento del giudice di prime cure, ribadisce che la ricorrente  stata assunta allo scopo di Çassicurare lĠespletamento della ordinaria programmazione del Teatro senza riferimento a specifici spettacoli e anche al di fuori dellĠimpegno originariamente preventivatoÈ. Alla conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato si frappone lĠostacolo della norma impugnata, che, sotto la parvenza interpretativa, interviene - con va lenza retroattiva - a privare del diritto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro quei soggetti che giˆ avevano conseguito una pronuncia favorevole. Tali considerazioni, ad avviso della Corte rimettente, confermano la rilevanza della questione. In punto di non manifesta infondatezza, la Corte dĠappello argomenta che la disciplina censurata si indirizza a un numero ristretto di lavoratori Çben individuabili nominativamenteÈ, discriminati senza alcuna giustificazione rispetto alla generalitˆ dei lavoratori del settore privato, che beneficiano della tutela pi ampia prevista, in materia di contratti a termine, dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa allĠaccordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dallĠUNICE, dal CEEP e dal CES). La norma impugnata non attribuisce alla legge che intende interpretare (decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, recante ÇDisposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivitˆ culturaliÈ e convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100) un senso riconducibile alle possibili letture del testo originario e vanifica lĠaffidamento ragionevole dei consociati, avvalorato dallĠorientamento costante della giurisprudenza di legittimitˆ. Tali caratteristiche pongono la norma in antitesi con i princ’pi di eguaglianza e di ragionevolezza e concorrono a configurare unĠingerenza indebita del potere legislativo nellĠamministrazione della giustizia, in mancanza di motivi imperativi dĠinteresse generale, incompatibili con il carattere privato delle fondazioni. 2. Nel giudizio  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallĠAvvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di respingere, in quanto infondata, la questione di legittimitˆ costituzionale. La difesa dello Stato replica che la disciplina impugnata ha natura interpretativa, in quanto isola una delle varianti di senso (il divieto generale di stabilizzazione dei rapporti irregolari), coerente con la finalitˆ di contenere la spesa pubblica e con le peculiaritˆ di un settore contraddistinto da unĠattivitˆ stagionale. A dire dellĠAvvocatura generale dello Stato, la norma censurata rinviene la sua ragion dĠessere nella spiccata impronta pubblicistica delle fondazioni lirico-sinfoniche, sovvenzionate in misura prevalente dallo Stato e dagli enti locali, qualificabili, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 153 del 2011), come organismi nazionali di diritto pubblico. Non si potrebbe istituire, pertanto, alcun raffronto tra i rapporti di lavoro instaurati dalle fondazioni e i rapporti di lavoro che intercorrono con gli imprenditori privati. Inoltre, i ragguardevoli disavanzi di esercizio del settore integrano Çrazionali e congrue motivazioni di spiccato rilievo pubblicisticoÈ, idonee a giustificare lĠintroduzione di un assoluto divieto di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. Considerato in diritto 1. La Corte dĠappello di Firenze dubita della legittimitˆ costituzionale dellĠart. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dellĠeconomia), convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, e denuncia il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questĠultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. La norma censurata, che dichiara di interpretare lĠart. 3, comma 6, primo periodo, del de- creto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivitˆ cul turali), convertito, con modificazioni, dallĠart. 1 comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, vieta di convertire i contratti di lavoro a termine delle fondazioni lirico-sinfoniche in contratti a tempo indeterminato, in conseguenza delle violazioni delle norme sulla stipulazione dei contratti, sulle proroghe e sui rinnovi. Con particolare riguardo alla fattispecie di illegittima apposizione del termine al primo contratto, la Corte rimettente ravvisa una portata retroattiva della disciplina, dietro lo schermo dellĠenunciata natura interpretativa, e assume che tale retroattivitˆ contravvenga ai princ’pi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.) e leda il diritto a un processo equo, consacrato anche dalla fonte convenzionale. La normativa impugnata, carente di motivi imperativi dĠinteresse generale, frustrerebbe lĠaffidamento legittimo dei consociati e si tradurrebbe in unĠarbitraria ingerenza nellĠesercizio della funzione giurisdizionale, discriminando, senza alcuna ragionevole giustificazione, i lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto agli altri lavoratori del settore privato. 2. Sul presente giudizio non incide la nuova disciplina in tema di contratti a tempo determinato delle fondazioni di produzione musicale, introdotta dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dellĠarticolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183). Per effetto dellĠart. 57, tale disciplina (artt. 23, comma 3, e 29, comma 3) si applica soltanto dal 25 giugno 2015, giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, e pertanto non concerne i diritti sorti nel vigore della normativa antecedente. Le novitˆ normative non dispiegano alcuna influenza sul giudizio in corso, nŽ alterano i termini della questione. La Corte rimettente non deve, dunque, rinnovare la valutazione di rilevanza (sentenza n. 205 del 2015, con riguardo alle novitˆ apportate, con una norma transitoria di identico tenore, dal coevo decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, recante ÇMisure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183È). 3. La questione  fondata. 4. La norma impugnata deve essere esaminata in una prospettiva diacronica, in ragione dei molteplici interventi legislativi che si sono succeduti. 4.1. Occorre prendere le mosse dallĠart. 3, comma 6, del d.l. n. 64 del 2010, come convertito, che al primo periodo cos“ recita: ÇAlle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi lĠarticolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368È. LĠart. 3 della legge 22 luglio 1977, n. 426 (Provvedimenti straordinari a sostegno delle attivitˆ musicali), cui si fa riferimento nel d.l. n. 64 del 2010, vietava Çi rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminatoÈ (terzo comma) e sanciva la nullitˆ di diritto delle assunzioni attuate in violazione di tale divieto (quarto comma). La legge n. 426 del 1977 ha come retroterra lĠassetto normativo che attribuiva la personalitˆ giuridica di diritto pubblico agli enti di prioritario interesse nazionale chiamati ad operare nel settore musicale (art. 5, primo comma, della legge 14 agosto 1967, n. 800, in tema di ÇNuovo ordinamento degli enti lirici e delle attivitˆ musicaliÈ). Tale diverso assetto dˆ conto delle deroghe alla disciplina generale, racchiusa nella legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), cos“ come successivamente modificata, e, in particolare, della scelta di sottrarre gli enti lirici allĠapplicazione dellĠart. 2 della legge n. 230 del 1962, in tema di proroghe e rinnovi (Consiglio di Stato, sezione sesta, decisione 23 marzo 1998, n. 352). Nel 2010 il legislatore si muove in un contesto profondamente mutato. Il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato) ha disposto la trasformazione degli enti di prioritario interesse nazionale, che operano nel settore musicale, in fondazioni di diritto privato (art. 1) e a tali fondazioni ha conferito una Çpersonalitˆ giuridica di diritto privatoÈ (art. 4). La scelta di assoggettare i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni alle disposizioni del codice civile e a una regolamentazione di matrice contrattuale (art. 22, comma 1)  coerente con le nuove previsioni, efficaci a partire dal 23 maggio 1998 (art. 1 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 345, recante ÇDisposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche È, convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 26 gennaio 2001, n. 6). Il d.l. n. 64 del 2010, in un disegno complessivo improntato allĠesigenza di razionalizzare la spesa, ha dettato, per un verso, disposizioni di carattere generale, innovando la disciplina dei contratti a tempo determinato delle fondazioni, e, per altro verso, disposizioni legate alla situazione contingente e alle questioni controverse, insorte nella transizione dal regime di diritto pubblico a quello eminentemente privatistico. Quanto al primo profilo, il legislatore, pur confermando la necessitˆ di un concreto riferimento dei contratti di scrittura artistica a specifiche attivitˆ artistiche espressamente programmate (art. 3, comma 6, secondo periodo), delinea una disciplina derogatoria per i contratti a tempo determinato delle fondazioni lirico-sinfoniche e le dispensa dallĠosservare le disposizioni dellĠart. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa allĠaccordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dal- lĠUNICE, dal CEEP e dal CES), che individuano nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro e sanciscono per lĠapposizione del termine, a pena di inefficacia, lĠobbligo della forma scritta (art. 3, comma 6, terzo periodo). Per quel che attiene al secondo aspetto, rilevante nel presente giudizio, il legislatore si propone di fugare i dubbi che avevano accompagnato lĠapprodo delle fondazioni al regime privatistico. Tali dubbi erano, peraltro, circoscritti entro un arco temporale che, dalla trasformazione degli enti lirici in soggetti di diritto privato (23 maggio 1998), si estendeva fino allĠentrata in vigore delle nuove regole sui contratti a tempo determinato, introdotte con il d.lgs. n. 368 del 2001 e finalizzate a evitarne lĠabuso, in attuazione della direttiva comunitaria. La norma ha come orizzonte un periodo delimitato, come si desume dal dettato letterale, che opera un riferimento circostanziato ai rapporti di lavoro, instaurati dopo la trasformazione delle fondazioni in soggetti di diritto privato, e Çal periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368È. Per tale periodo, entro cui la transizione delle fondazioni al regime privatistico si  compiuta, ma non ha ancora visto la luce la nuova disciplina dei contratti a tempo determinato (d.lgs. n. 368 del 2001), il legislatore ribadisce la perdurante vigenza delle norme sui rinnovi, dettate dalla legge n. 426 del 1977, funzionali a una regolamentazione pubblicistica, altrimenti superata, senza tale disposizione espressa, dallĠapplicazione delle regole del codice civile. 4.2. LĠart. 40, comma 1-bis, del decreto-legge n. 69 del 2013, censurato nel presente giudizio,  stato introdotto nella fase di conversione ed  il frutto di un emendamento delle commissioni riunite in sede referente (emendamento n. 40.3). La norma, che ricalca la previsione giˆ inserita nellĠart. 11, comma 19, ultimo periodo, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivitˆ culturali e del turismo), nel testo anteriore alla conversione, con modificazioni, disposta dallĠart. 1, comma 1, della legge 7 ottobre 2013, n. 112, propone lĠinterpretazione autentica dellĠart. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010. Il legislatore statuisce, per le fondazioni lirico-sinfoniche, un divieto assoluto di stabilizzazione del rapporto di lavoro Çcome conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contrattiÈ. Come emerge dai lavori parlamentari e, in particolare, dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione (A.S. n. 1014, XVII Legislatura) del d.l. n. 91 del 2013, il cui art. 11, comma 19, ultimo periodo,  lĠantesignano della norma oggi impugnata, lĠesigenza di introdurre una norma interpretativa scaturisce da una Çgiurisprudenza estesa su tutto il territorio nazionale È, che ha inteso in senso restrittivo il divieto di stabilizzazione sancito nel 2010, limitandolo alle ipotesi dei rinnovi. Il legislatore imputa alla giurisprudenza di avere travisato il senso del d.l. n. 64 del 2010, Çche intendeva evitare la stabilizzazione dei rapporti di lavoroÈ. Confliggerebbe, dunque, con tale ratio legis lĠinterpretazione restrittiva, che, giˆ prima dellĠintervento della norma di interpretazione, aveva ricevuto lĠavallo della Corte nomofilattica (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 30 luglio 2013, n. 18263, e 26 maggio 2011, n. 11573, che inaugurano un orientamento conforme, riferito alla norma interpretata ed espresso, fra le molte, pur dopo lĠentrata in vigore della norma interpretativa, da Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 19 maggio 2014, n. 10924, 12 maggio 2014, n. 10217, 27 marzo 2014, n. 7243, 20 marzo 2014, n. 6547, 12 marzo 2014, n. 5748). 5. Nel sancire che il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato non  circoscritto alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle proroghe, ma investe ogni ipotesi di Çviolazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termineÈ, la norma impugnata non enuclea una plausibile variante di senso dellĠart. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010 e dellĠart. 3, quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977. La norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a termine. Secondo il significato proprio delle parole, che  canone ermeneutico essenziale (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo ÒrinnovoÓ evoca un concetto diverso rispetto a quello dellĠillegittimitˆ del termine, apposto al primo contratto. Se il rinnovo attiene alla successione dei contratti e allĠaspetto dinamico del rapporto negoziale, la questione scrutinata nel giudizio principale verte su un vizio genetico, che inficia il contratto sin dallĠorigine. Non a caso, il legislatore esclude ogni equiparazione tra il rinnovo e lĠillegittimitˆ originaria del termine nella disciplina dei contratti a tempo determinato. ÒRinnovoÓ  termine tecnico, riscontrabile in tutta la legislazione sui contratti a tempo determinato, e approda inalterato fino agli sviluppi pi recenti. LĠautonomia concettuale dei rinnovi traspare da una trama, variegata e coerente, di disposizioni, i cui fili essenziali legano la legge n. 230 del 1962, che disciplina la materia allĠart. 2, al d.lgs. n. 368 del 2001, che al tema delle proroghe e della successione dei contratti dedica gli artt. 4 e 5, e, da ultimo, si allacciano al d.lgs. n. 81 del 2015, che menziona le proroghe e i rinnovi allĠart. 21. Anche la disamina della disciplina di settore conferma tale autonomia concettuale e dimo stra che  proprio nella regolamentazione delle proroghe e dei rinnovi che risiede la peculiaritˆ dei contratti a tempo determinato nelle fondazioni lirico-sinfoniche. LĠintero assetto normativo  attraversato da questi princ’pi, che caratterizzano il corso della sua complessa evoluzione e trovano significativi elementi di conferma dapprima nellĠart. 3, quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977, tributaria del regime pubblicistico degli enti lirici, nellĠart. 22, comma 2, del d.lgs. n. 367 del 1996, che esonera le fondazioni, oramai privatizzate, dallĠosservanza delle disposizioni dellĠart. 2 della legge n. 230 del 1962 sulle proroghe e sui rinnovi, in seguito nellĠart. 11, comma 4, del d.lgs. n. 368 del 2001, che, su impulso della direttiva comunitaria, riproduce tale disposizione derogatoria nellĠinnovare la disciplina dei contratti a tempo determinato. Anche lĠart. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2015, ribadisce, con riguardo alle proroghe e alle successioni dei contratti, la disciplina derogatoria dei contratti a tempo determinato nelle fondazioni lirico-sinfoniche. Si pu˜ dunque affermare che la disciplina censurata attribuisce alla disposizione del d.l. n. 64 del 2010 un contenuto precettivo dissonante rispetto al significato della parola ÒrinnoviÓ, accreditato da una costante elaborazione della giurisprudenza di legittimitˆ. Non si pu˜ ritenere, pertanto, che la norma interpretativa sia servita al legislatore, per emendare unĠimperfezione del testo originario, ripristinando il significato autentico della disposizione interpretata, o che abbia risolto contrasti interpretativi, forieri di incertezze rilevanti. 6. La disposizione impugnata, che non interferisce con il divieto di stabilizzazione nelle ipotesi di proroghe e di rinnovi illegittimi, opera in una latitudine circoscritta e riguarda la sola ipotesi della violazione delle norme sullĠillegittima apposizione del termine. La norma impugnata lede, in pari tempo, lĠaffidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dellĠautoritˆ giudiziaria (sentenza n. 209 del 2010, per lĠindissolubile legame che unisce tali valori dello stato di diritto, posti in risalto anche dal- lĠordinanza di rimessione della Corte fiorentina). LĠaffidamento, nel caso di specie, risultava corroborato da un assetto normativo risalente, imperniato sulla distinzione tra i rinnovi e le fattispecie di illegittimitˆ originaria del contratto a tempo determinato, e da una giurisprudenza che gli stessi lavori parlamentari menzionano e che la legge interpretativa consapevolmente ribalta, ripercuotendosi sui giudizi in corso e su vicende non ancora definite. La disciplina impugnata, priva di un appiglio semantico con la norma oggetto di interpretazione, lede, inoltre, lĠautonomo esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto  suscettibile di definire i giudizi in corso, travolgendo gli effetti delle pronunce giˆ rese. LĠillegittimitˆ costituzionale della norma, in quanto retroattiva, si coglie anche sotto un distinto e non meno cruciale profilo. NellĠestendere il divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo anche lĠipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dallĠordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto giˆ connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune. Del resto, con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il ruolo della Òragione obiettivaÓ come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla stabilitˆ dellĠimpiego e le irriducibili peculiaritˆ del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le afferma zioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri). 7. Restano assorbite le censure di violazione dellĠart. 3 Cost., per asserita disparitˆ di trattamento tra i lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche e i lavoratori del settore privato. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dellĠeconomia), convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui prevede che lĠart. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. Cos“ deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1Ħ dicembre 2015. LĠonere della prova del chiamato allĠereditˆ e la sua capacitˆ di rappresentare lĠereditˆ in giudizio NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZ. TRIBUTARIA, SENTENZA 23 MARZO 2016 N. 5750 Adriana Lagioia* SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria - 2. I poteri e gli obblighi del chiamato allĠereditˆ: il limite della conservazione del patrimonio ereditario - 3. Il riparto dellĠonere della prova della qualitˆ di erede - 4. Conclusioni. 1. La vicenda giudiziaria. Il venditore della farmacia che aveva impugnato lĠavviso di rettifica e di liquidazione dellĠAgenzia delle Entrate decedeva nel corso del giudizio di merito. Dinanzi alla Corte di Cassazione, le figlie censuravano la sentenza di secondo grado nella parte in cui aveva omesso di statuire sulla carenza della loro legittimazione passiva, deducendo la violazione degli artt. 475 e 476 c.c. per non aver mai accettato lĠereditˆ nŽ espressamente nŽ tacitamente. Sul punto, la Corte di Cassazione - rigettando il motivo di ricorso - ha affermato che, essendo il presupposto dellĠimposizione tributaria in tema di imposta sulle successioni la sola chiamata allĠereditˆ, il chiamato goda di legittimazione passiva, aggiungendo peraltro che sarˆ suo onere provare lĠavvenuta rinuncia allĠereditˆ. Ben pi controverso  il caso in cui il chiamato allĠereditˆ sia convenuto in un giudizio iniziato contro il de cuius per pretese diverse da quella fiscale. In tal caso, si pongono due problematiche: la prima attiene alla possibilitˆ di proseguire il processo in capo al chiamato allĠereditˆ; la seconda riguarda la ripartizione dellĠonere della prova delle vicende successorie, relative allĠavvenuta accettazione o rinuncia dellĠereditˆ. In riferimento alla prima questione, si analizzerˆ la disciplina codicistica relativa ai poteri e agli obblighi del chiamato allĠereditˆ. Ci˜, al fine di capire se dalla lettura dellĠart. 460 c.c. - sul quale sono peraltro sorte numerose questioni interpretative - si possa far discendere una legittimazione passiva del chiamato allĠereditˆ in processi il cui oggetto sia diverso da quello fiscale. Si considererˆ quindi la possibilitˆ di concepire il chiamato come rappresentante dellĠereditˆ in giudizio, vagliando sul punto le soluzioni proposte dalla Corte di Cassazione. La seconda problematica attiene alle indiscutibili difficoltˆ, per la parte esterna alla vicenda successoria, di provare lĠavvenuta rinuncia o accettazione dellĠereditˆ. * Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato. Sul punto, si analizzerˆ il criterio di matrice processuale di vicinanza alla fonte di prova. 2. I poteri e gli obblighi del chiamato allĠereditˆ: il limite della conservazione del patrimonio ereditario. NellĠambito del contenzioso tributario (1) la giurisprudenza prevalente ha considerato il chiamato allĠereditˆ come legittimato a stare in giudizio e ha posto a suo carico lĠonere della prova della rinuncia allĠereditˆ. Nella massima in oggetto, la Corte di Cassazione, ha infatti affermato che Ça fini fiscali,  il chiamato allĠereditˆ, che deve dare prova di aver rinunciato allĠereditˆ, in quanto, in tema di imposta sulle successioni, presupposto dellĠimposizione tributaria  la chiamata allĠereditˆ e non giˆ lĠaccettazioneÈ. Il concetto  stato pi volte ribadito dalla giurisprudenza. In particolare, la Corte ha affermato che Çsebbene la qualitˆ di erede si acquisti solo con l'accettazione dell'ereditˆ e malgrado la disciplina tributaria in materia indichi l'erede (oltre al legatario) quale soggetto passivo dell'imposta di successione (art. 5 D.P.R. 26.10.1972 n. 637), da pi parti  stato autorevolmente sostenuto che presupposto dell'imposizione tributaria sia la chiamata all'ereditˆ e non giˆ l'accettazione. (É) Pur non sottovalutandosi le obiezioni espresse in contrario, deve riconoscersi che la differenza fra la legislazione civilistica e quella tributaria abbia una sua giustificazione collegata alla necessita di evitare che i chiamati altrimenti potrebbero dilazionare fino a dieci anni (termine di prescrizione per l'accettazione) il pagamento dell'imposta con evidenti danni per l'erario e con conseguente appesantimento della procedura per la riscossioneÈ (2). In altra pronuncia, la Corte di Cassazione ha sconfessato la prospettazione del giudice di merito che aveva dichiarato nullo lĠavviso di liquidazione notificato dallĠAgenzia delle Entrate al chiamato allĠereditˆ. I giudici di legittimitˆ hanno infatti statuito che Çin tema di imposta sulle successioni, presupposto dell'imposizione tributaria  la chiamata all'ereditˆ e non giˆ l'accettazione. Ne consegue che, allorchŽ la successione riguardi anche l'ereditˆ devoluta al dante causa e da costui non ancora accettata, l'erede  tenuto al pagamento dell'imposta anche relativamente alla successione apertasi in precedenza a favore del suo autore, la cui delazione sia stata a lui trasmessa ai sensi dell'art. 479 c.c.È (3). Pertanto, in tema di imposta sulle successioni e donazioni, il termine ÒeredeÓ non va inteso in senso tecnico, potendo lĠAgenzia delle Entrate convenire in giudizio anche il solo chiamato allĠereditˆ, dotato quindi di legitti (1) Il riferimento al contenzioso tributario riguarda, nello specifico, lĠimposta di successione. Le statuizioni della giurisprudenza sul punto non possono quindi essere estese a pretese fiscali diverse. (2) Sez. I, 28 ottobre 1995, n. 11320. (3) Sez. VI, 9 ottobre 2014, n. 21394. mazione passiva per questo tipo di contenzioso. Nel caso di rinuncia allĠereditˆ, lĠonere della prova sarˆ disposto a carico dello stesso chiamato. Dunque, una vera e propria legittimazione passiva del chiamato  stata attestata dalla giurisprudenza nel solo contenzioso fiscale per lĠimposta sulle successioni. Per tale ragione, ci si  chiesti se, in contenziosi diversi, il chiamato allĠereditˆ possa essere convenuto in giudizio in qualitˆ di rappresentante dellĠereditˆ. Per rispondere al quesito, si devono analizzare le disposizioni codicistiche recanti i poteri e gli obblighi del chiamato. Come noto, il delato (4) allĠereditˆ  titolare di due posizioni giuridiche distinte: da un lato, ha il potere di accettare lĠereditˆ, come sancito dallĠart. 479 comma 1 c.c.; dallĠaltro,  titolare di un potere di amministrazione del patrimonio ereditario di ampio contenuto, disciplinato dallĠart. 460 c.c. (5). Alla stregua di questĠultima disposizione, il chiamato allĠereditˆ, oltre che poter esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, Çpu˜ compiere atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea e pu˜ farsi autorizzare dallĠautoritˆ giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendioÈ. Dunque, lĠart. 460 c.c.  una norma attributiva di poteri nei confronti di un soggetto che non solo non  titolare dellĠereditˆ, ma potrebbe anche non diventarlo mai nel caso di rinuncia alla stessa. La disposizione rappresenta per questo una deroga allĠart. 476 c.c. (6): senza la previsione di cui allĠart. 460 c.c., gli atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione compiuti dal chiamato allĠereditˆ varrebbero come sua accettazione tacita. La ratio sottesa allĠart. 460 c.c.  evidentemente quella di apportare un elemento di flessibilitˆ al sistema: essendo il chiamato il soggetto maggiormente interessato alla salvaguardia del patrimonio ereditario, il legislatore ha inteso attribuirgli - nel momento antecedente allĠaccettazione - un catalogo di azioni che, se rispettose dei limiti contenuti nella disposizione, non assumeranno il significato di accettazione tacita dellĠereditˆ. (4) Si ricorda che, malgrado il codice faccia riferimento al termine ÒchiamatoÓ, sarebbe pi corretto riferirsi al Òdelato allĠereditˆÓ. Ci˜ in ragione del fatto che vanno distinti il momento della vocazione da quello della delazione. La prima indica lĠaspetto soggettivo, ossia la designazione di coloro che dovranno succedere e la seconda lĠaspetto oggettivo del fenomeno successorio, ossia Çil complesso dei diritti, dei doveri e delle altre situazioni giuridiche, che viene tutelato alla morte del titolare per essere offerto ad altro soggettoÈ. In linea generale, i due fenomeni si verificano simultaneamente, ma in taluni casi - come ad esempio lĠistituzione di un soggetto sottoposta a condizione sospensiva - alla morte del de cuius si avrˆ solo la vocazione e la delazione avverrˆ in un secondo momento. Sul punto, si veda diffusamente CAPOZZI, Successioni e donazioni, I, Giuffr, 2009, p. 99. (5) Il potere di amministrazione dellĠereditˆ viene escluso nei casi in cui il chiamato allĠereditˆ abbia nominato un curatore ex art. 460 comma 3 c.c. (6) LĠart. 476 c.c. dispone ÇLĠaccettazione  tacita quando il chiamato allĠereditˆ compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontˆ di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualitˆ di eredeÈ. Come si diceva, le attivitˆ contemplate dalla disposizione sono quella di vigilanza, di conservazione e di amministrazione temporanea dei beni. LĠattivitˆ di vigilanza  stata definita da autorevole dottrina (7) come quella tesa ad Çindividuare le cause di un possibile pregiudizio al patrimonio ereditario e pone i presupposti per lĠadozione dei provvedimenti di natura conservativaÈ. Si pu˜ quindi affermare che lĠattivitˆ di vigilanza sia prodromica a quella di amministrazione. Essa comprende diversi atti di natura cautelare la cui finalitˆ  lĠaccertamento della reale consistenza del patrimonio ereditario (8). Nonostante sia previsto da altra disposizione del codice civile, si ritiene che tra i poteri di vigilanza del chiamato rientri anche la redazione dellĠinventario per accertare lĠentitˆ dei beni ereditari. Differentemente da quanto sancito dallĠart. 460 c.c. tuttavia, in tal caso si tratterˆ di un vero e proprio obbligo per il chiamato, cos“ come sancito dallĠart. 485 comma 3 c.c. (9). Accanto al potere di vigilanza, lĠart. 460 c.c. prevede le azioni conservative. In altre parole, ÇlĠattivitˆ conservativa in senso stretto tende ad evitare il pericolo attuale di un danno che possa derivare da una modifica allo stato giuridico o materiale dei beni ereditariÈ (10). Come per lĠattivitˆ di vigilanza, anche per quella conservativa sono previsti atti di natura cautelare, cui si affiancano tuttavia anche atti di natura diversa ma comunque diretti ad evitare la dispersione del patrimonio o a garantirne il recupero (11). Come si diceva, lĠart. 460 c.c. contempla anche le attivitˆ di amministrazione temporanea. é proprio sotto questĠultimo profilo che si sono poste rilevanti questioni interpretative. La dottrina discute infatti sulla tassativitˆ della previsione di cui al (7) CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 117. (8) Tra questi sono ricompresi il controllo sulla gestione dellĠazienda ereditaria, il controllo sullo stato delle culture dei fondi e la richiesta di conto al mandatario se il mandato si estingue con la morte del mandante. (9) NATOLI, L'amministrazione nel periodo successivo all'accettazione, in L'amministrazione di beni ereditari, vol. II, Giuffr, 1969, p. 159. (10) CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 118. (11) Tra questi sono ricompresi gli atti interruttivi della prescrizione, lĠiscrizione di ipoteca giudiziale concessa al de cuius, la trascrizione di un atto di acquisito del defunto e gli accertamenti del titolo di possesso di un terzo su un bene ereditario. In tema di azioni possessorie, si  espressa anche la Corte di Cassazione, affermando che ÇLĠart. 460 c.c. dispone che i chiamati allĠereditˆ possono, in quanto tali esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza bisogno di materiale apprensione degli stessi, obbedendo allĠesigenza che, pur nel periodo tra la delazione e lĠaccettazione lĠereditˆ non sia lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative; conseguentemente, in applicazione di detto principio, possono anche proseguire un giudizio possessorio iniziato dal loro dante causaÈ (Sez. II, 8 aprile 2002, n. 4991). Relativamente alla trascrizione, la Corte di Cassazione ha stabilito che ÇLa trascrizione di un acquisto fatto dal de cuius rientra tra gli atti conservativi, consentiti dalla norma dellĠart. 460 c.c., al chiamato anche prima dellĠaccettazioneÈ (Sez. III, 18 giugno 1975, n. 2432). lĠart. 460 comma 2 c.c. con riferimento agli atti di amministrazione straordinaria. Il legislatore ammette espressamente - previa autorizzazione del giudice -solo due casi di amministrazione straordinaria dei beni ereditari, ossia quello della vendita dei beni che non si possono conservare o la cui conservazione comporti eccessive spese o riparazioni. Con la prima delle due fattispecie ci si riferisce al caso di beni deperibili per i quali vi  un immediato pericolo di danno; la seconda attiene ai casi di beni in cattivo stato di manutenzione o a spese che appaiono eccessive rispetto al reale valore del bene. Si  discusso sulla possibilitˆ di poter ricomprendere, tra i poteri di amministrazione temporanea straordinaria, anche casi differenti da quelli citati dalla disposizione. Si pensi al caso in cui un soggetto deceda lasciando ai suoi figli unĠereditˆ gravata da passivitˆ e che al momento dellĠapertura della successione sia in corso un contenzioso per debiti del defunto scaduti ma non onorati. Se i creditori propongono ai chiamati allĠereditˆ una transazione con la quale, in cambio di un cespite ereditario, vengano estinti i debiti del de cuius, si prospettano due alternative a seconda che lĠelencazione di cui allĠart. 460 comma 2 c.c. si intenda o meno come tassativa. Accogliendo la prima tesi interpretativa, i chiamati allĠereditˆ che vogliano porre in essere la transazione con i creditori saranno costretti ad accettare lĠereditˆ, non potendo gli stessi compiere un atto di amministrazione straordinaria del patrimonio - quale  certamente la cessione di un cespite ereditario - senza prima aver acquisito la qualitˆ di eredi. Se invece lĠelencazione dellĠart. 460 comma 2 c.c. fosse considerata solo esemplificativa, i chiamati potrebbero porre in essere la transazione e scegliere in un secondo momento se accettare o meno lĠereditˆ. Sul punto, una parte della dottrina (12) ha sostenuto che anche nei casi non espressamente previsti dalla legge, il chiamato allĠereditˆ possa compiere un atto di straordinaria amministrazione. La posizione dottrinale in oggetto si discosta senzĠaltro dal dato letterale, ma risponde a esigenze di ordine logico. Infatti, la necessitˆ di alienare un bene ereditario pu˜ certamente dipendere da una casistica molto pi ampia di quella del rischio di deperimento e di grave dispendio di risorse economiche. Del resto, non si vede perchŽ il chiamato allĠereditˆ sia autorizzato ad alienare un bene a causa delle ingenti spese di manutenzione, ma non possa richiedere al giudice lĠautorizzazione a contrarre un mutuo ipotecario per il reperimento di fondi necessari alla riparazione dello stesso bene, che in tal modo rimarrebbe nella massa ereditaria. (12) GROSSO - BURDESE, Le successioni, parte generale, Utet, 1977, passim; NATOLI, L'amministrazione nel periodo successivo all'accettazione, in L'amministrazione di beni ereditari, vol. II, Giuffr, 1969; SANTARCANGELO, La volontaria giurisdizione, Giuffr, 2006; CAPOZZI, Successioni e donazioni, I, Giuffr, 2009. Prima facie, questa alternativa interpretativa sembrerebbe essere una potenziale soluzione al problema di cui trattasi, ossia quello relativo alla carenza di legittimazione passiva del chiamato in qualitˆ di rappresentante dellĠereditˆ. Tuttavia, se  vero che con questa interpretazione lĠattenzione si  spostata dallĠatto alla sua natura, resta chiaro che la finalitˆ delle operazioni intraprese dal chiamato allĠereditˆ debba sempre essere la conservazione dei beni ereditari. ÇIl limite non  nella natura dellĠatto, ma nella natura conservativa della funzione (É). Non  ammesso un impiego di reddito in mutui attivi onerosi, perchŽ il chiamato  legittimato ad agire solo in via di urgenza ed  tenuto ad evitare gli investimenti che comportano un rischio e che comunque non consentano, in caso di necessitˆ, il sollecito recupero delle somme investiteÈ (13). In conclusione, se le posizioni dottrinali analizzate hanno contribuito ad ampliare il novero delle azioni esperibili dal chiamato allĠereditˆ, da esse non si pu˜ comunque desumere la capacitˆ del chiamato di stare in giudizio in qualitˆ di rappresentante dellĠereditˆ. Va comunque dato conto del fatto che in taluni casi, malgrado la mancanza di un addentellato normativo in tal senso, la Corte di Cassazione ha prospettato lĠipotesi di considerare il chiamato come rappresentante dellĠereditˆ in giudizio, specificando tuttavia che questi non possa essere destinatario di domande di condanna al pagamento di un debito ereditario. La Corte ha infatti affermato che Çil soggetto chiamato all'ereditˆ e che non l'abbia accettata pu˜ stare in giudizio, ma per rappresentare l'ereditˆ, se si trova nel possesso di beni ereditari (art. 486 c.c.), ma, siccome non  ancora succeduto all'ereditando, non  soggetto passivo delle obbligazioni giˆ pertinenti al suo dante causa e dunque contro di lui non pu˜ essere rivolta una domanda di condanna al pagamento di un debito ereditario. Perci˜, il ricorrente, contro il quale - come la Corte d'appello ha accertato - era stata proposta domanda di condanna al pagamento di quota di un debito ereditario e quale erede del debitore, avrebbe potuto opporsi al decreto e nel giudizio di opposizione avrebbe potuto dedurre di trovarsi ancora nella condizione di chiamato all'ereditˆ e chiedere che la domanda proposta in suo confronto come erede fosse rigettataÈ (14). Resta il fatto che, in linea generale, la Corte di legittimitˆ ha ricollegato la legittimazione passiva esclusivamente alla qualitˆ di erede. In ragione di ci˜, occorre porsi il problema di individuare il soggetto sul quale gravi lĠonere di provare lĠavvenuta accettazione dellĠereditˆ. 3. Il riparto dellĠonere della prova della qualitˆ di erede. Nel processo civile, lĠonere della prova  ripartito, a norma dellĠart. 2697 (13) CAPOZZI, op. ult. cit., p. 119. (14) Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18534. c.c., tra lĠattore e il convenuto in giudizio sulla base della qualificazione del fatto giuridico. I fatti costitutivi vengono di norma provati dallĠattore, poichŽ Çchi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamentoÈ; al contrario, i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi devono essere provati dal convenuto. Applicando questo criterio di distinzione dei fatti giuridici al tema in oggetto, si dovrebbe allora affermare - ed  stato affermato dalla giurisprudenza di legittimitˆ - che lĠacquisizione della qualitˆ di erede abbia valore di fatto costitutivo per il soggetto estraneo alla vicenda successoria che voglia proseguire in capo allĠerede unĠazione giudiziaria iniziata contro il de cuius. Al contrario, lĠavvenuta rinuncia allĠereditˆ - che esclude la legittimazione passiva - darebbe luogo ad una prova ÒnegativaÓ. Sulla base di questo ragionamento, lĠonere della prova graverebbe sul- lĠattore interessato a proseguire il giudizio. Cos“ ha di recente ribadito la Corte di Cassazione (15): Çla qualitˆ di erede assurge a fatto costitutivo del diritto di porre in essere un rapporto processuale nei confronti del soggetto che tale qualitˆ riveste; e, dal momento che questo diritto viene esercitato dal riassumente, in forza del canone basilare di ripartizione delle attivitˆ probatorie rilevanti ai fini dell'accertamento processuale evincibile dall'art. 2697 c.c. grava sul riassumente l'onere di provare la qualitˆ di erede, come chiaramente insegna il sopra richiamato orientamento giurisprudenziale di netta prevalenza, rispetto al quale non sussistono validi argomenti per discostarsi. (É) Ad abundantiam, si rileva poi che, qualora si seguisse l'impostazione inversa per cui graverebbe su chi  chiamato nel processo in forza dell'atto di riassunzione dimostrare di non avere legitimatio ad causam, si imporrebbe a quest'ultimo l'onere di una prova negativa, o anche - valutando dal parallelo punto di vista sostanziale le conseguenze di detta impostazione processuale - un obbligo ad espressa rinuncia, obbligo non rinvenibile nel dettato normativo se non nella fattispecie (precisamente relativa alla dichiarazione di rinunzia o di accettazione) di cui all'art. 481 c.c., in un contesto in cui, si noti, il legislatore riconosce al chiamato in ereditˆ che rinuncia persino la facoltˆ di revocare la rinuncia stessa qualora sussistano i presupposti di cui all'art. 525 c.c.È. Unico caso in cui la giurisprudenza ha prospettato un onere di prova contraria a carico del chiamato allĠereditˆ  stato quello nel quale, in un momento successivo alla notificazione dellĠatto di riassunzione, si sia verificato un evento che abbia fatto venir meno la qualitˆ di erede del soggetto. In tal caso, Çla riassunzione  regolare, onde grava sui convenuti l'onere di provare il contrario e di chiarire la loro posizioneÈ (16). (15) Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 25357. (16) Sez. I, 31 marzo 2011, n. 7517. La Corte ha infatti statuito che Çla parte che riassume il giudizio deve diligentemente accertare che i convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente investiti del titolo a succedere, e che un tale titolo permanga al momento della riassunzione. Qualora il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc.), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell'atto, la riassunzione  da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti. Viene a gravare sui convenuti in riassunzione, in tal caso, l'onere di dimostrare il contrario e se del caso di chiarire la loro posizione in tempo utileÈ. Limitandosi lĠinversione dellĠonere della prova al solo caso di vicende sopravvenute alla notifica dellĠatto, resta immutato il problema relativo alla gravositˆ della prova dellĠavvenuta accettazione per un soggetto estraneo alla vicenda ereditaria. Tuttavia, il caso descritto di inversione dellĠonere della prova viene motivato dalla Corte di Cassazione sulla base del fatto che ÇlĠeccezione attiene alla legittimazione a subentrare nel processo, (É) alla luce del principio ordinario sullĠonere della prova governato dal principio di prossimitˆ, che grava della dimostrazione dei fatti rilevanti in causa la parte che ne dispone o quanto meno che si trova nella condizione di averne conoscenza direttaÈ. LĠargomentazione utilizzata dalla Corte fa riferimento al criterio cd. di vicinanza alla fonte di prova. Il criterio, di matrice giurisprudenziale,  stato utilizzato in funzione di ÒcorrettivoÓ al rigido riparto dellĠonere della prova sancito dal codice civile e dunque in funzione ÒsussidiariaÓ rispetto a quanto stabilito dallĠart. 2697 c.c. (17). Esso ha rappresentato una risoluzione ai casi in cui vi sia una difficoltˆ nella qualificazione del fatto giuridico come costitutivo o come impeditivo (18). ÇOve alla fattispecie costitutiva si aggiunga un ulteriore fatto, a cui lĠordinamento attribuisce la prerogativa di rendere inefficaci i fatti costitutivi, questo  un fatto impeditivo. La difficoltˆ sta nellĠindividuazione di quando un fatto appartenga alla fattispecie costitutiva e quando alla fattispecie impeditiva. (É) Essendo incerto se un fatto appartiene alla fattispecie costitutiva oppure a quella impeditiva, si deve scegliere quella soluzione in virt della quale diventa onerato della prova il soggetto per cui la prova  pi facile, cio il soggetto pi vicino alle fonti di provaÈ (19). Taluni (20) ritengono che il criterio di vicinanza della prova trovi la pro (17) PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, 2012, p. 443. (18) SACCO, Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto, onere della prova, in Riv. dir. civ., 1957, p. 409. (19) LUISO, Diritto processuale civile, Vol. I, Giuffr, 2015, p. 256. pria fonte nei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost., ponendosi a carico del soggetto Òpi vicinoÓ alla prova il dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano lĠuguaglianza dei soggetti, garantendo in tal modo il diritto alla difesa del soggetto Òpi distanteÓ dalla prova. Tuttavia,  dĠuopo considerare che la vicinanza alla fonte di prova  stata applicata dal diritto vivente in maniera frammentaria (21), ossia solo in alcune, singole, aree dellĠesperienza civilistica (22). Un approdo importante  stato quello raggiunto in tema di onere della prova del creditore nel caso di azione di adempimento o di risoluzione del contratto. Ci si  chiesti, in altre parole, se sul creditore gravasse, oltre che lĠonere di dimostrare la fonte del suo diritto e il relativo termine di scadenza, anche la prova dellĠinadempimento (23). Fino alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2001, la tesi maggioritaria era quella secondo cui, essendo il creditore a la (20) Si veda in tal senso, DOLMETTA, MALVAGNA ÇVicinanza della provaÈ e contratto dĠimpresa, in Aperta Contrada, 2015. (21) Ci˜ anche a causa delle forti resistenze in dottrina. Si veda in particolare MICHELI, LĠonere della prova, Cedam, 1966, p. 354 secondo cui il criterio Çbasato sulla maggiore vicinanza di una parte alla prova, non pu˜ che costituire una linea di discriminazione tra fatti costitutivi e fatti impeditivi, neppure dare un valido sussidio per la distribuzione del carico della provaÈ. Nello stesso senso, si veda anche TARUFFO, La prova nel processo civile, in AA.VV., Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU, MESSINEO, MENGONI, Giuffr, 2012, p. 256 e ss., contra COMOGLIO, Le prove civili, Utet, 2010, p. 285 secondo cui Çil fondamento razionale comune - alla regola generale di distribuzione della prova e alle sue deroghe - viene, solitamente, rivenuto nei criteri di opportunitˆ e di giustizia distributiva, da cui derivano altri criteri subordinati (descritti dai binomi regola-eccezione e normalitˆ-anormalitˆ o dal concetto di vicinanza alla prova) in forza dei quali, il legislatore, nel dettare lĠart. 2697 c.c. e nel costruire le differenti fattispecie legali da cui nascono i diritti tutelabili, distribuisce tra le parti gli oneri di prova tenendo conto della differenziata facilitˆ con cui determinati fatti giuridici possono essere provati da colui che abbia interesse al loro accertamento, per farne dipendere il riconoscimento in giudizio di un determinato effetto giuridico a sŽ favorevole. é cos“, da reputarsi razionale che la prova positiva di un fatto eccezionale o anormale debba essere accollata a chi intenda trarne effetti favorevoliÈ. (22) In particolare, la Corte di Cassazione lo ha utilizzato nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, statuendo che ricadesse sul primo lĠonere di provare lĠinsussistenza dei requisiti dimensionali necessari allĠapplicazione dellĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori poichŽ Çtale presupposto, concernendo le dimensioni occupazionali dellĠimpresa - riguarda connotazioni proprie dellĠimpresa e perci˜ sicuramente rientranti nella sua consapevolezza, ma non altrettanto sicuramente conosciute o percepibili dal lavoratore dipendenteÈ (Sez. lav., 22 gennaio 1999, n. 613). Il criterio  stato anche utilizzato in tema di responsabilitˆ medica, per la quale  stato stabilito che Çla difettosa tenuta della cartella clinica lungi dallĠescludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici e la patologia, al contrario consente il ricorso alle presunzioni: come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dellĠonere della prova e al rilievo che assume a tal fine la Òvicinanza alla provaÓÈ (Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577). Di recente, la vicinanza alla fonte di prova  stata utilizzata anche nellĠambito dei cd. contratti di impresa. Per questĠultimo profilo si veda DOLMETTA, Sui Çcontratti dĠimpresaÈ: ipoteticitˆ di una categoria, in Un maestro del diritto commerciale. Arturo Dalmartello, a cura di DOLMETTA, PORTALE, Utet, 2010, p. 107 e ss. (23) Si veda diffusamente R. GIORDANO, LĠistruzione probatoria nel processo civile, Giuffr, 2013, p. 33 e ss. mentare una lesione del proprio diritto, gravasse su di lui lĠonere di provare compiutamente il mancato o inesatto adempimento (24). NellĠapplicare il criterio di vicinanza alla fonte di prova, la Corte ha affermato che sia nel caso di azione di adempimento, che di azione per la risoluzione del contratto, al creditore spetti lĠonere di provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte. Sarˆ il debitore convenuto a dover provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. LĠonere della prova quindi Çviene ripartito tenuto conto in concreto della possibilitˆ per l'uno e per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azioneÈ (25). Come si diceva, in tema di successioni, il criterio di vicinanza della prova  stato applicato al solo e circoscritto caso in cui, dopo la notifica della riassunzione, sopravvenga un fatto che, pur non risultante dai registri delle successioni, faccia venir meno la qualitˆ di erede. Resta dunque il fatto che, fino alla notifica dellĠatto di riassunzione, sarˆ lĠattore a dover reperire le informazioni necessarie sulla vicenda ereditaria, consultando i registri delle successioni. Nel caso in cui lĠattore si avveda che lĠereditˆ non sia ancora stata accettata, non potrˆ che esperire la cd. actio interrogatoria (26), consistente nel- lĠapposizione di un termine di decadenza allĠaccettazione o alla rinuncia dellĠereditˆ. Questo  attualmente lĠunico strumento posto a favore della parte processuale interessata a proseguire un giudizio dopo la morte del de cuius. Tramite lĠactio interrogatoria, il termine di prescrizione decennale per lĠaccettazione o la rinuncia dellĠereditˆ viene sostituito da un termine breve, determinato dal giudice, entro il quale il chiamato dovrˆ assumere la decisione. Anche superando le critiche rivolte a questo istituto (27), va dato atto che (24) Infatti, era maggioritario lĠorientamento secondo cui andava posta una differenza tra il creditore che agiva per ottenere lĠaltrui adempimento dal caso in cui lĠazione fosse volta alla risoluzione del contratto. Per lĠazione di adempimento, si riteneva che lĠonere della prova gravasse sul debitore; al contrario, nel caso di azione di risoluzione, si riteneva che al creditore spettasse altres“ la dimostrazione dellĠinadempimento totale o parziale. (25) Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533. (26) Si dˆ conto del fatto che sulla legittimazione attiva a richiedere lĠactio interrogatoria a norma dellĠart. 481 c.c.  sorta una questione interpretativa. Secondo alcuni, sarebbe necessario porre un distinguo tra i soggetti interni ed esterni al procedimento successorio. Si veda, in tal senso BARASSI, Le successioni per causa di morte, Giuffr, 1947 secondo cui lĠazione sarebbe prevista in favore del solo creditore dellĠereditˆ. Diversamente, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja e Branca, Zanichelli, 1964 secondo cui Çsi tratterˆ, pertanto, in ogni singolo caso, di vedere se sussiste un interesse a proporre tale domandaÈ. (27) Si veda, ex multis, BARBA, LĠactio interrogatoria e legittimazione attiva allĠazione, in Famiglia, persone e successioni, 2011, p. 95 che ha affermato che Çil tempo concesso - al chiamato - per dichiarare se accetta o rinunzia smarrisce la distesa ordinaria prospettiva decennale e si traduce in un angusto ed eccezionale breve orizzonte temporale fissato dal giudiceÈ. lĠactio interrogatoria non vale certo a risolvere la gravositˆ dellĠonere della prova per lĠattore del giudizio. é la stessa azione ad obbligare lĠattore alla consultazione dei registri, senza contare il fatto che, qualora i chiamati abbiano giˆ rinunciato allĠereditˆ, i soggetti cui destinare lĠazione saranno ancora diversi. Sarˆ ancora una volta lĠattore a dover rintracciare la prova della chiamata allĠereditˆ e della non avvenuta rinuncia o accettazione. LĠesito della questione sarebbe del tutto differente se del criterio di vicinanza alla fonte di prova si facesse unĠapplicazione pi ampia, ossia antecedente al momento della notificazione dellĠatto di riassunzione. In tal modo, lĠattore potrebbe notificare lĠatto al semplice chiamato al- lĠereditˆ, ricadendo su questĠultimo lĠonere della prova di tutte le vicende successorie. In questo caso, il chiamato proverebbe lĠavvenuta accettazione dellĠereditˆ - e quindi lĠacquisizione di legittimazione passiva - oppure lĠavvenuta rinuncia, con annessa indicazione del soggetto che ha accettato lĠereditˆ in suo luogo. Adempiere a un onere della prova cos“ formulato non appare in alcun modo gravoso per il chiamato allĠereditˆ, essendo lo stesso in una posizione di prossimitˆ alla fonte di prova. Ci˜ varrebbe a risolvere la problematica in oggetto, riequilibrando la posizione delle due parti processuali. 4. Conclusioni. La sentenza in esame offre un valido spunto di riflessione su una problematica pi generale, ossia quella relativa alla capacitˆ del chiamato di rappresentare lĠereditˆ in giudizio. Attesa la mancanza di un addentellato normativo in tal senso e considerata la posizione della giurisprudenza prevalente sul punto, non si ritiene di poter porre in dubbio che il presupposto della legittimazione passiva resti lĠacquisizione della qualitˆ di erede. Anche muovendo da questo assunto, resta aperta la problematica relativa alla distribuzione dellĠonere della prova. Considerato che il percorso di affermazione del criterio di vicinanza alla fonte di prova  stato caratterizzato da repentini mutamenti, non si pu˜ escludere che tra gli ambiti dellĠesperienza civilistica in cui il criterio trova applicazione, rientri anche quello relativo alle vicende successorie. Cassazione civile, Sezione Quinta, sentenza 23 marzo 2016 n. 5750 -Pres. Chindemi, Rel. Solaini, P.M. Giacalone (difforme 1^ ricorso, conforme 2^ ricorso) - D.L.G. (ricorrente) (avv. P. Speciale); F.E., F.M.P., F.C. (ricorso successivo) (avv. P. Speciale) c. Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La controversia riguarda l'impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione, con il quale l'ufficio determinava la maggiore imposta di Registro dovuta, a seguito della cessione di una farmacia, con atto di compravendita del 28.4.04. Il prezzo complessivo della cessione fu di Euro 407.829,00 di cui Euro 305.000,00 per avviamento, che l'ufficio ha successivamente rettificato elevandolo a Euro 998.468,00, in base al criterio di redditivitˆ e in base a studi di settore effettuati dall'ufficio, consistenti nell'applicare il moltiplicatore di 1,3, al valore del ricavo dichiarato nell'anno 2003. Con distinti ricorsi sia il venditore che l'acquirente impugnavano l'avviso di rettifica e liquidazione eccependo l'illegittimitˆ per carenza di motivazione e l'infondatezza, per inesistenza dei fattori presuntivi del maggior valore dell'avviamento, in contrasto con l'effettiva reddittivitˆ della farmacia. La Commissione adita, riuniti i ricorsi per connessione oggettiva, li accoglieva ritenendo non sufficientemente motivato e provato l'accertamento. A seguito dell'impugnazione dell'ufficio, il giudice d'appello, pur riconoscendo che lo studio, sulla base del quale l'ufficio aveva rettificato i valori, non fosse vincolante, ne riconosceva il fondamento, in termini di adeguatezza al caso di specie; operava, in ogni caso, un suo adeguamento in riduzione, sia detraendo il valore delle merci e delle attrezzature e sia tenendo conto dei flussi stagionali; pertanto, il valore dell'avviamento veniva fissato nel volume d'affari dell'ultimo anno (Euro 768.053,00), precedente alla cessione. I contribuenti hanno presentato ricorso davanti a questa Corte, in particolare le eredi figlie della parte venditrice sulla base di due motivi di ricorso mentre l'erede moglie sempre della parte venditrice sulla base di due distinti motivi (entrambi i ricorsi sono corredati di memorie, ex art. 378 c.p.c.), mentre l'ufficio ha resistito con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo e secondo motivo di ricorso che possono essere trattati congiuntamente, attenendo ad un medesimo profilo di censura, proposti dalle eredi figlie della parte venditrice, le stesse censurano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 475 e 476 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, a loro dire, sarebbero state coinvolte nel presente giudizio, perch individuate eredi di F.F. (loro padre), che era il proprietario della farmacia oggetto di compravendita; le stesse contestano la loro qualitˆ di eredi, non avendo mai, n espressamente n tacitamente accettato l'ereditˆ, ex artt. 475 e 476 c.c., e di ci˜, il giudice d'appello non avrebbe tenuto conto, violando il disposto degli articoli in tema di accettazione ereditaria e omettendo di motivare sulla sussistenza della loro legittimazione passiva. Il motivo non ha pregio. Innanzitutto, si rileva come per stessa ammissione delle ricorrenti, la loro costituzione nel giudizio d'appello, non sia stata ritenuta valida (in quanto avvenuta a mezzo fax, inviato alla cancelleria); pertanto, non avendo ritualmente proposto l'eccezione relativa al loro presunto difetto di legittimazione passiva, nel giudizio di merito,  inammissibile proporre tale motivo di doglianza, per la prima volta, nella presente sede di legittimitˆ. In secondo luogo, e nel merito, l'eccezione  infondata, in quanto a fini fiscali,  il chiamato all'ereditˆ, che deve dare prova di aver rinunciato all'ereditˆ, in quanto, in tema di imposta sulle successioni, presupposto dell'imposizione tributaria  la chiamata all' ereditˆ e non giˆ l'accettazione (Cass. ord. n. 21394 del 2014). D.L.G., quale moglie ed erede di F.F. con il primo e secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, attenendo ad un medesimo profilo di censura, denuncia sia il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, che il vizio d'insufficiente e contraddittoria motivazione, su un fatto controverso e decisivo del giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il giudice d'appello avrebbe aderito allo studio dell'amministrazione, privo di alcuna valenza probatoria, senza motivare sulla sua concreta idoneitˆ a valutare correttamente il profilo fiscale della vicenda, ed, inoltre, avrebbe accettato per "buone" le motivazioni dell'atto impugnato, senza sorreggere il proprio convincimento con una congrua e corretta motivazione a supporto delle conclusioni raggiunte. La censura  infondata. In via preliminare, il motivo di ricorso difetta di autosufficienza, in quanto il ricorrente non solo non riporta nel ricorso stesso, l'atto impositivo impugnato, al fine di mettere in condizione questa Corte di valutare la motivazione del giudice d'appello, rispetto alla motivazione dell'atto presupposto; ma non riporta neppure lo studio utilizzato dall'ufficio, che era stato allegato all'avviso di rettifica (come riconosciuto alle pp. 6 e 7 del ricorso), ed oggetto di diretta censura anche in questa sede. Nel merito, non  stata evidenziata, la effettiva violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, se  vero che lo studio utilizza come parametro il volume d'affari dell'azienda ceduta nell'anno precedente alla cessione, in ragione del moltiplicatore indicato, rivisto dalla CTR, per detrarre il valore delle merci e delle attrezzature e per tener conto del- l'andamento stagionale dei flussi della clientela. Non risulta che il ricorrente, nel giudizio d'appello ed anche in questa sede, abbia proposto dei criteri alternativi e pi aderenti alla fattispecie, ma, si  lamentato genericamente dello studio dell'ufficio, al quale il giudice d'appello ha aderito facendolo proprio, ma rettificandolo in maniera congrua e non illogica; fondato,  quindi, il convincimento, che il ricorrente miri a una nuova valutazione nel merito, inammissibile in questa sede. In ogni caso, dalla lettura della sentenza impugnata, non risultano, n errori di valutazione, n difetti di allegazione, ai sensi delle norme censurate. Infine, manca l'individuazione di un fatto decisivo, dal punto di vista probatorio, di cui non si sia tenuto conto, o sia stato non correttamente valutato in sentenza. Il dissenso, rispetto alla valutazione del giudice d'appello, , come detto, una censura di merito, non riproponibile nella presente sede di legittimitˆ. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti a pagare le spese di lite del presente giudizio, in favore dell'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore in carica, che liquida in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito. Cos“ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2016. LĠuso illegittimo dellĠautovettura di servizio NOTA A CASSAZIONE PENALE, SEZ. VI, SENTENZA 31 MARZO 2016 N. 13038 Francesco Scardino* La giurisprudenza non risulta, ad oggi, pervenire a conclusioni omogenee circa la qualificazione da attribuire al fatto dellĠagente pubblico che, utilizzando lĠautovettura allo stesso assegnata per ragioni inerenti al suo ufficio o servizio, la utilizzi per fini diversi rispetto a quelli a cui  preordinata. Pi specificamente, risulta un contrasto allĠinterno della sesta sezione della Corte di Cassazione, registrandosi sentenze che concludono per la configurazione del peculato ordinario, del peculato dĠuso o, seppur in via isolata, dellĠabuso di ufficio o della totale irrilevanza del fatto. Il problema concernente la corretta qualificazione giuridica dellĠutilizzo dellĠautovettura di servizio per fini privati esisteva, in realtˆ, anche prima della riforma del Ġ90. LĠart. 314 c.p., nel testo allĠepoca vigente, prevedeva, come noto, due distinte ipotesi: il peculato per appropriazione e il peculato per distrazione. Se lĠappropriazione implicava un impossessamento uti dominus del bene, la distrazione designava un mero distoglimento del bene dalla sua finalitˆ. In tale contesto, buona parte della giurisprudenza e della dottrina riconducevano lĠutilizzo illegittimo dellĠautovettura di servizio nellĠambito del peculato per distrazione (1). Tale incertezza risulta caratterizzare anche lĠattuale panorama giurisprudenziale, come  confermato da una recente sentenza della Corte di Cassazione (2) che, limitandosi a prendere atto del contrasto (3) e ad abbracciare una delle varie tesi fino ad oggi proposte, sembra ritenere la questione non meritevole di essere rimessa alla decisione delle Sezioni Unite per una definitiva definizione. La chiave di volta, attraverso la quale risolvere la questione , ad avviso della Corte di legittimitˆ, data dallĠindividuazione degli esatti confini del concetto di ÒappropriazioneÓ in quanto le varie tesi proposte pervengono a diversi risultati a fronte di unĠinterpretazione estensiva o restrittiva di tale concetto. Di seguito si rende opportuno ripercorrere gli orientamenti di legittimitˆ che si sono succeduti, in modo da poter individuare quello che, alla luce della giurisprudenza pi recente, sembra essere il pi sicuro approdo ermeneutico. (*) Dottore in Giurisprudenza, gia praticante forense presso lĠAvvocatura distrettuale di Bologna. (1) M. DE BELLIS, Uso illegittimo di autovettura di servizio da parte di pubblici ufficiali. La Cassazione precisa i criteri di sussistenza del peculato dĠuso, in Cass. pen., 2006, p. 100 ss. (2) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 2016, n. 13038, in www.iusexplorer.it. (3) I giudici di legittimitˆ, in tale sentenza, parlano al riguardo di Òampio e variegato diritto vivente in tema di abuso dellĠauto di servizioÓ. In svariate sentenze la giurisprudenza ha mostrato di aderire ad un criterio fondato, di fatto, sul quantum dellĠoffesa arrecata al bene giuridico protetto. Sulla base di tale premessa, qualora lĠutilizzo del bene, protratto per un lasso di tempo considerevole, sia stato tale da determinare un apprezzabile danno in capo alla p.a., e il bene sia stato successivamente restituito, la condotta  stata qualificata come peculato di uso (4). Di contro, nel caso in cui lĠabusivo utilizzo del bene abbia comportato un pregiudizio grave per la pubblica amministrazione, tale da compromettere in maniera significativa il suo buon andamento, ha trovato applicazione la fattispecie di cui al comma 1 dellĠart. 314 c.p. In tal senso la S.C. ha affermato che ÒlĠuso costante e reiterato nel tempo di unĠautovettura di servizio, da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, qualora sia idoneo ad arrecare un danno patrimoniale apprezzabile allĠamministrazione, non integra il peculato dĠuso, ma la pi grave ipotesi di peculato per appropriazioneÓ (5). QuestĠultima fu, per esempio, la soluzione cui la S.C. pervenne nel qualificare il fatto attribuito ad un pubblico agente che, utilizzando lĠautovettura di servizio per fini propri, aveva consumato una significativa quantitˆ di carburante arrecando, di conseguenza, un apprezzabile danno patrimoniale in capo allĠamministrazione (6). In dottrina, la tesi consistente nellĠattribuire rilievo significativo al quantum di offesa arrecata alla pubblica amministrazione  stata duramente criticata, ravvisandosi nella stessa un vulnus alle esigenze di tassativitˆ e determinatezza proprie del diritto penale (7). AllĠinterno del medesimo orientamento possono essere ascritte anche quelle pronunce che, a fronte di svariati e ripetuti episodi di abusivo utilizzo dellĠautovettura, seppur per brevi intervalli ma tuttavia protratti per un costante lasso di tempo, facevano derivare la trasformazione dei vari episodi di peculato dĠuso in un unico reato di peculato ordinario. In altri casi  stato, di contro, affermato che, in presenza dei requisiti che caratterizzano il peculato dĠuso - ossia la preordinazione dellĠappropriazione ad un uso temporaneo della cosa e la sua immediata restituzione - la reiterazione delle condotte determina una pluralitˆ di reati di cui allĠart. 314, comma II, c.p., eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione, ma giammai il mutamento della qualificazione giuridica del fatto in Òpeculato ordinarioÓ (8). (4) Cass. Pen., sez. 6, 1 febbraio 2005, n. 9216, in Cassazione Penale, 2006, I, 109. (5) Cass. Pen., sez. 6, 15 marzo 2012, n. 20922, in Guida al Diritto, 2012, I, 28. (6) Cass. Pen., sez. 6, 17 febbraio 2015, n. 18465, in Diritto e Giustizia, 2015, fasc. 5, 40. (7) A. MARCHINI, La qualificazione giuridica dell'uso indebito e ripetuto dell'autovettura di servizio da parte del pubblico ufficiale, in Cassazione Penale, 2015, fasc. 7-8, p. 2689. (8) Cass. Pen., sez. 6, 27 maggio 2014, n. 39770, in Diritto e Giustizia, 2014, I, 26. In tal senso  stato, altres“, affermato che lĠelevato numero di chilometri complessivamente percorsi dallĠautovettura di servizio, quando  determinato da un ripetuto utilizzo per brevi tragitti, costituisce indice della momentaneitˆ dellĠuso stesso. Vi , anche, un indirizzo, seppur minoritario, secondo il quale integra il delitto di abuso di ufficio lĠutilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti dĠufficio, non rilevando a tal fine nŽ le disfunzioni nŽ lĠentitˆ del danno cagionato alla p.a. di appartenenza, ma unicamente lĠingiusto vantaggio patrimoniale procurato dallĠagente a sŽ stesso o a terzi. Tale orientamento giurisprudenziale valorizzava la relazione alla legge n. 86/1990 (9) che, nel disporre lĠeliminazione del peculato per distrazione, disponeva che i pregressi casi rientranti in origine in tale fattispecie dovessero ora ricadere nellĠambito di operativitˆ dellĠart. 323 c.p. il quale punisce il reato dĠabuso dĠufficio. La dottrina, dal canto suo, proprio a fronte del fatto che nei lavori preparatori alla legge si trova lĠespressa indicazione che le fattispecie di distrazione dovessero trovare la propria sanzione nella distinta ipotesi dellĠabuso di ufficio, perveniva a diverse conclusioni (10). Alcuni autori ritenevano conforme alla ratio sottesa alla riforma sussumere ogni fattispecie di distrazione nellĠambito della fattispecie dellĠabuso dĠufficio, limitando lĠambito operativo del peculato a condotte di mera appropriazione (11). Altra opinione, di contro, interpretava la nozione di ÒdistrazioneÓ come mera species del genus ÒappropriazioneÓ, riconducendo il tutto allĠinterno del perimetro dellĠart. 314 c.p. (12). Infine, un ultimo e pi articolato indirizzo poneva in essere una distinzione a monte della ricostruzione proposta. Si riteneva, cos“, che integrasse una distrazione riconducibile allĠipotesi di abuso di ufficio la condotta del- lĠagente pubblico che destinasse il denaro o la cosa mobile in suo possesso a fini diversi da quelli a cui risultava preposta, ma sempre Òponendosi dalla parte della p.a.Ó. Dava luogo, invece, ad unĠappropriazione - riconducibile allĠart. 314 c.p. - una destinazione del denaro o della cosa pubblica ad una finalitˆ che Òtale rapporto con la cosa pubblica radicalmente abbandonaÓ (13). (9) V. relazione on. Battello al d.d.l. n. 2078, II commissione permanente del Senato della Repubblica. (10) M. DE BELLIS, Uso illegittimo di autovettura di servizio da parte di pubblici ufficiali. La Cassazione precisa i criteri di sussistenza del peculato dĠuso, in Cass. pen., 2006, p. 100 ss. (11) G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Appendice 1990, Bologna, 1992. (12) A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte speciale, Milano, 2000, 46 ss. (13) M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2002, 32. Vi , poi, un quarto gruppo di decisioni che ha concluso per la totale irrilevanza del fatto. é stato affermato che, qualora lĠutilizzo sia stato, in concreto, meramente occasionale o eccezionale, tale da compromettere il buon funzionamento della p.a. in una misura minima, o addirittura nulla, in forza del generale principio di offensivitˆ, tale condotta dovesse essere ritenuta esulante dallĠambito del penalmente rilevante (14). é stato, per esempio, esclusa la sussistenza del reato di peculato dĠuso in diversi casi in cui lĠuso momentaneo dellĠautovettura di ufficio, anche se per finalitˆ non corrispondenti a quelle istituzionali, sia stato meramente episodico ed eccezionale. Ci˜ in quanto un simile utilizzo non si caratterizzava, quanto a consistenza (in termini di chilometri percorsi) e durata dellĠuso medesimo, in fatti di effettiva appropriazione dellĠautovettura di servizio, suscettibili di cagionare un concreto e significativo danno economico allĠente pubblico (in termini di carburante utilizzato e/o di energia lavorativa degli autisti addetti alla guida) (15). A ben vedere, una simile impostazione altro non  se non una variante della tesi che presta attenzione al quantum dellĠoffesa arrecata al bene protetto, pur se sviluppata estensivamente. Si registra, infine, un ultimo - ed isolato - orientamento giurisprudenziale (16) caratterizzato da un eccessivo rigorismo. é stato recentemente affermato che lĠutilizzo per fini privati dellĠautomobile di servizio integra sia la condotta di peculato per quanto riguarda il consumo di carburante, sia quella di peculato dĠuso, derivante dalla momentanea appropriazione della vettura per ragioni diverse da quelle istituzionali. Nella medesima decisione si afferma, altres“, che nel caso in cui dovesse essere presente lĠautista, la condotta integrerˆ anche il reato di abuso di ufficio per aver distratto tale soggetto dalla sua attivitˆ istituzionale (17). In questo Òarticolato ed ampio spettro di decisioniÓ si colloca una recente sentenza della sesta sezione della Corte di Cassazione (18) che, come supra affermato, ritiene di poter individuare il pi corretto approdo ermeneutico partendo da una corretta definizione del concetto di ÒappropriazioneÓ. La condotta di appropriazione consiste, da un lato, nellĠimpedire al titolare del diritto prevalente sul possesso lĠesercizio delle sue prerogative e, dal (14) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 1997, n. 4651 in Giustizia Penale, 1998, II, 21. (15) Cass. Pen., sez. 6, 27 ottobre 2010, n. 7177, in Foro Italiano, 2011, fasc. 5, 284. (16) Cass. Pen., sez. 6, 17 febbraio 2015, n. 18465, in Diritto e Giustizia, 2015, I, 70. (17) In altra occasione la giurisprudenza afferma che Òil distoglimento dellĠautista dalle sue funzioni di esecutore di un servizio pubblico integra il delitto di peculato ordinario e non la fattispecie di abuso di ufficioÓ. In tal senso Cass. Pen., sez. 6, 18 gennaio 2001, n. 352, in www.iusexplorer.it. (18) Cass. Pen. sez. 6, 13038/2016. lĠaltro, nellĠattivazione, da parte del soggetto possessore, di un potere di signoria sul bene che renda esplicita la volontˆ di far propria la cosa (19). In tal modo si attua, dunque, lĠespromissione del proprietario dal rapporto con la cosa da parte del possessore per il mezzo di una mera relazione fattuale, produttiva della c.d. interversio possessionis. La condotta di appropriazione deve essere caratterizzata da un particolare elemento psicologico, ossia dalla volontˆ dellĠagente di appropriarsi della cosa, elemento che deve aggiungersi al dato oggettivo costituito dal comportarsi, di fatto, come proprietario. é, in dottrina, pacifico che la condotta appropriativa sia costituita da due distinti momenti. Viene in considerazione sia la c.d. espropriazione, ossia il non riconoscimento o negazione dei diritti altrui sulla cosa, cui segue la c.d. impropriazione, consistente nellĠaffermazione del proprio dominio di fatto sulla cosa medesima (20). Fino a tempi meno recenti si riteneva che gli effetti peculiari di una simile condotta, consistenti, come specificato, nella frattura della relazione proprietaria e nella successiva impropriazione, fossero incompatibili con quanto previsto dallĠart. 314, comma II, c.p., il quale si limita a richiedere una Òpi blanda e sempliceÓ sottrazione temporanea del bene dalle sue finalitˆ ordinarie e la immediata restituzione dopo lĠuso. LĠuso momentaneo della cosa, si predicava, sarebbe ontologicamente incompatibile con una condotta appropriativa, a fronte del differente substrato psicologico che guida lĠazione (finalizzata, da una parte, a usare per un determinato frangente temporale la res e, dallĠaltra, a realizzare un impossessamento definitivo) (21). NellĠipotesi del peculato dĠuso lĠagente non si comporterebbe, infatti, uti dominus, in quanto non agirebbe con la coscienza e volontˆ di porre in essere unĠappropriazione con conseguente e connesso mutamento del titolo del possesso, ma sarebbe animato dal solo intento di usare temporaneamente un bene che sa essere di altri e che intende restituire. Su queste basi  stato in passato sostenuto, dunque, che lĠuso momentaneo della cosa richiesto dal comma II dellĠart. 314 c.p. non possa essere mai qualificato come appropriazione rilevante ai sensi del I comma del medesimo articolo (22). Diversamente argomentando, si sosteneva, si sarebbe giunti al paradosso di ricomprendere, allĠinterno del concetto di ÒappropriazioneÓ ogni condotta (19) C. DE PELLEGRINI, I limiti di applicabilitˆ della fattispecie di peculato dĠuso: il caso paradigmatico del c.d. peculato telefonico, ne LĠindice penale, 2007, II, 570. (20) M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2008, 30. (21) C. DE PELLEGRINI, I limiti di applicabilitˆ della fattispecie di peculato dĠuso: il caso paradigmatico del c.d. peculato telefonico, op. cit., 559. (22) PALAZZO, Art. 314, peculato, a cura di PADOVANI, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1996, 32. di abuso del possesso, anche se non accompagnata dalla volontˆ di far propria la cosa (23). Nella sentenza in esame, la Corte esordisce specificando il corretto significato da attribuire al concetto ÒappropriazioneÓ, designando lo stesso il comportamento di colui che Òfa propria la cosa altrui, mutandone il possesso, attraverso il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al proprietarioÓ (24). La S.C., subito dopo, richiama una recente sentenza resa dalla Cassazione a SS.UU. in materia di uso indebito del telefono dĠufficio nella quale viene analizzata, nello specifico, la nozione di ÒappropriazioneÓ (25), utilizzando il ragionamento dalla stessa sviluppato per giungere ad una definizione anche in materia di abusivo utilizzo dellĠautovettura di servizio. Nella sentenza richiamata, le SS.UU. operano, innanzitutto, un raffronto con la fattispecie di cui allĠart. 646 c.p., disciplinante il reato di Òappropriazione indebitaÓ, rilevando come la nozione di ÒappropriazioneÓ abbia finito con lĠassumere un significato sempre pi ampio, comprensivo sia dellĠappropriazione in senso stretto (di cui - viene specificato - le pi tipiche forme di manifestazione sono lĠalienazione, la consumazione e la ritenzione), sia della distrazione o dellĠuso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del denaro o della cosa mobile. Da qui deriva la conclusione che lĠeliminazione, dal testo dellĠart. 314, I comma, c.p., della parola ÒdistrazioneÓ posta in essere dalla L. n. 86/1990, non ha determinato il semplice transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dallĠagente pubblico nellĠambito di operativitˆ della fattispecie del- lĠabuso di ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato (26). Come, sulla medesima linea, affermato da altra giurisprudenza, Òil concetto di appropriazione comprende anche le condotte di ÒdistrazioneÓ in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal (23) P. BARTOLO, Appropriazione e distrazione nel delitto di peculato, a cura di COPPI, Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 1993, 380. (24) Cass. SU, 2 maggio 2013, n. 19054, in Pluris. (25) Cass. SU, 2 maggio 2013, n. 19054, in Pluris. (26) Cass. Pen., sez. 6, 21 marzo 2013 n. 16381 qualifica come peculato e non abuso dĠufficio la condotta del vigile urbano che aveva ceduto, in pi occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di unĠimpresa di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio s“ da recarsi prontamente in tali luoghi e lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti. Tale conclusione deriva dal fatto che il pubblico agente, cedendo il bene a terzi, compie sullo stesso un atto uti dominus. In Rivista Penale, 2013, fasc. 6, 654. titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impossessarseneÓ (27). Tale ampia definizione del concetto di appropriazione risulta, dunque, necessaria ai fini della corretta qualificazione giuridica dellĠutilizzo abusivo dellĠautovettura di servizio. Viene, dunque, affermato che la nozione di ÒappropriazioneÓ, ad oggi, risulta non coincidente necessariamente con la sola alienazione del bene o con la sua consumazione, essendo, di contro, sufficiente per la realizzazione della c.d. impropriazione lĠesercizio su di essa di un potere uti dominus, che non corrisponda, cio, al titolo per la quale la cosa stessa risulta essere nella disponibilitˆ dellĠagente. Un simile comportamento  ritenuto sufficiente a realizzare lĠespropriazione, ossia lĠuscita del bene dalla disponibilitˆ della pubblica amministrazione che ne  titolare. In altre parole, lĠappropriazione , in tale prospettiva, ritenuta comprensiva anche del mero Òuso indebitoÓ, sottolineando che non risulta essere essenziale lĠelemento della fisica sottrazione della res dalla sfera di disponibilitˆ e controllo della p.a. (28). Pertanto, pu˜ concludersi nel senso che, ai fini dellĠintegrazione del delitto di peculato ai sensi dellĠart. 314, I comma, c.p., non sia necessariamente richiesta la perdita definitiva del bene da parte dellĠente pubblico, essendo sufficiente lĠesercizio, da parte dellĠagente, di poteri uti dominus, tali da sottrarre il bene stesso dalla disponibilitˆ dellĠente. La condotta di appropriazione, dunque, cos“ come interpretata, pu˜, nei fatti, assumere pi forme, tutte caratterizzate dalla sottrazione della cosa dalla disponibilitˆ del suo legittimo proprietario. Potrˆ, per esempio, realizzarsi con la sua consumazione, con lĠalienazione a qualsiasi titolo, con una mera negazione del possesso, dissipazione, rifiuto di restituzione o occultamento (29). Un simile comportamento , infatti, sufficiente a far s“ che lĠintrinseco fine di pubblica utilitˆ che caratterizza lĠoriginaria funzionalizzazione della cosa venga meno, allo stesso sostituendosi interessi che, nella maggior parte dei casi, hanno natura squisitamente privatistica (30). La Corte specifica, in conclusione, che il relativo accertamento  sottratto al vaglio di legittimitˆ se congruamente motivato, rilevando, a tal fine, Òla sistematica reiterazione dellĠuso abusivo che lĠagente faccia del medesimo beneÓ (31). (27) Cass. sez. 6, 17 luglio 2013, n. 1247, in Cassazione Penale, 2014, fasc. 12, 4158. (28) P. PISA, LĠillecito utilizzo di apparecchi della P.A. tra peculato e abuso dĠufficio, in Diritto penale e processo, 2013, fasc. 10, 1207. (29) L. MARINUCCI - E. DOLCINI, Trattato di diritto penale, parte speciale, 261. (30) MAGARINI, Le cessioni di natura patrimoniale, a cura di F. PALAZZO, Delitti contro la pubblica amministrazione, Trattato di diritto penale, parte speciale, 2011, 50. (31) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 2016, n. 13038. Alla luce di tali argomentazioni, fondate essenzialmente sullĠaccoglimento di una concezione lata di ÒappropriazioneÓ - intesa anche come derivante dallĠesercizio di poteri sul bene uti dominus - la Corte ritiene di poter inquadrare la fattispecie concernente lĠabusivo utilizzo di autovetture di servizio nellĠambito del peculato ordinario di cui allĠart. 314, I comma, c.p. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 31 marzo 2016 n. 13038 -Pres. D. Carcano, Rel. A. Capozzi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25.5.2015 la Corte di appello di Venezia - a seguito di gravame interposto dall'imputata B.B. avverso la sentenza emessa il 21.10.2013 dal G.I.P. del locale Tribunale - in parziale riforma della decisione, ha ridotto la pena inflitta alla predetta imputata, riconosciuta colpevole dei reati di cui al capo A) (artt. 81 cpv., 314 comma 1, cod. pen.) in relazione alla appropriazione dell'autovettura di servizio, utilizzata per ragioni estranee ad esso ed al capo B) (artt. 479, 81 cpv. cod. pen.) in relazione alla falsa attestazione nel libretto di servizio della predetta autovettura dell'esclusivo suo utilizzo per finalitˆ istituzionali. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, deducendo: 2.1. Erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla qualificazione dei fatti sub A) come peculato ordinario, anzichŽ come peculato d'uso. Sarebbe erroneo il criterio ermeneutico fatto proprio dalla sentenza impugnata in ordine alla durata e costanza dell'utilizzo dell'autovettura ai fini della predetta qualificazione del peculato, non essendosi realizzata la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa pubblica, vertendosi - semmai - nella distrazione del bene pubblico a fini personali e, dunque, nell'ipotesi di una pluralitˆ di episodi di peculato d'uso. Nei mesi oggetto di imputazione l'auto  stata utilizzata anche dagli altri docenti espressamente autorizzati dalla stessa ricorrente nella sua qualitˆ di dirigente scolastico, nŽ l'imputata ha mai impedito che l'auto venisse effettivamente utilizzata per ragioni di servizio, nŽ sono emerse circostanze specifiche e puntuali idonee a dimostrare che l'auto  uscita dalla sfera di disponibilitˆ dell'avente diritto. Non sarebbe risolutiva - al contrario - la considerazione del consumo di carburante che ha rilevanza penale autonoma solo se fosse stata oggetto di specifica contestazione, nella specie, assente. In ogni caso, non sono emersi elementi che depongano che la ricorrente abbia goduto di rimborsi per il carburante utilizzato nella vettura. 2.2. Mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta offensivitˆ della condotta e, in ogni caso, al mancato riconoscimento della attenuante di cui all'art. 323 bis cod. pen. La natura di reato di danno del delitto di peculato non consente di prescindere dalla dimostrazione della sussistenza di un danno economico apprezzabile per la Pubblica Amministrazione proprietaria del bene di cui il pubblico ufficiale si sia appropriato. La Corte di merito si sarebbe limitata a rilevare l'utilizzo per lungo periodo di tempo ed anche per viaggi di lunga percorrenza, ritenendo rilevanti le percorrenze chilometriche evidenziate nella prima sentenza, senza giustificare il danno in relazione a ciascun episodio oggetto di contestazione, di ben diversa entitˆ e caratteristiche. Cos“, sarebbe del pari ingiustificato il diniego della attenuante speciale sulla base della valutazione complessiva ed unitaria delle singole condotte, come invece, richiesto dalla difesa in appello anche attraverso le deduzioni tecniche rigettate in quanto non completamente valutate. Anche la considerazione della offerta di indennizzo da parte della ricorrente nulla proverebbe sulla offensivitˆ del fatto, risultando di valenza neutra al riguardo, tenuto conto anche della sua restituzione e della mancata costituzione di parte civile dell'Istituto scolastico. 2.3. Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo di appropriazione dell'auto di servizio. Sarebbe stata omessa la considerazione di circostanze fattuali, provate certamente, indicative della buona fede della ricorrente nell'utilizzo del veicolo e dunque dell'esistenza quanto meno - dell'esimente putativa dell'esercizio di un diritto. In tale senso militerebbe la autonomia funzionale ed organizzativa dell'Istituto scolastico rispetto alla quale la ricorrente -nella sua qualitˆ di Dirigente scolastica - era soggetto preposto alla gestione ottimale di tutte le risorse, senza essere vincolata ad un orario di ufficio precostituito. Inoltre - in relazione all'utilizzo della vettura per il tragitto scuola-casa - il Regolamento d'Istituto nŽ lo prevedeva, nŽ lo vietava, cos“ giustificando la buona fede della Preside, anche per l'utilizzo della vettura dopo i due esposti anonimi nei suoi confronti a riguardo dell'indebito utilizzo della vettura. 2.4. Mancanza di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 479 cod. pen. Si sarebbe omesso di valutare il contenuto integrale dell'interrogatorio reso dall'imputata in ordine ai doveri di tenuta del libretto di marcia da parte dell'Ufficio Tecnico ed alla sua disponibilitˆ offerta a riguardo come consegnataria del veicolo. Rispetto a tale tenuta nessun elemento consentirebbe di dedurre che la Preside abbia volontariamente omesso le registrazioni dei viaggi e dei chilometri percorsi per occultare l'indebito utilizzo della vettura. Risulterebbe soltanto una condotta negligente. In ogni caso, si sarebbe estesa la qualificazione di atto pubblico al libretto in questione a prescindere dalle specifiche finalitˆ cui esso era destinato e nonostante non si sia rilevata alcuna irregolaritˆ sulle spese di gestione del veicolo, desunte non dallo stesso libretto ma da "pezze giustificative" relative ai rifornimenti di carburante. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso  infondato. 2. Il primo motivo  infondato ed ai limiti della inammissibilitˆ, laddove prospetta una diversa ricostruzione dei fatti. 2.1. Ritiene la Corte che il riferimento operato dalla difesa della ricorrente a talune decisioni di legittimitˆ che hanno riguardato casi di abuso dell'auto di servizio, rende opportuno ripercorrere gli orientamenti di legittimitˆ che si sono succeduti, per individuare il pi sicuro approdo ermeneutico a riguardo della nozione di appropriazione prevista dall'art. 314, comma 1, cod. pen. che qui rileva. Si tratta di un ampio e variegato diritto vivente in tema di abuso dell'auto di servizio, espressione di quella "mediazione accertativa" cui tende la giurisprudenza di legittimitˆ (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi), esito di quella sinergia ermeneutica tra fatto e norma che si  verificata in relazione alla diversitˆ dei casi sottoposti al suo giudizio. 2.2. In un caso di un uso costante abusivo dell'automobile di servizio protrattosi per nove mesi con viaggi per oltre 12.000 Km. e consumo di oltre 1000 litri di benzina  stato affermato che integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che, utilizzando abusivamente il mezzo di servizio, consuma una significativa quantitˆ di carburante arrecando un apprezzabile danno patrimoniale all'Amministrazione (Sez. 6, n. 18465 del 17/02/2015, De Paola, Rv. 263940; v. , anche, conforme Sez. 6, n. 35676 del 14/05/2015, Fumagalli, Rv. 265602), dandosi rilievo, in entrambe le vicende, al consumo di carburante, oggetto di specifica contestazione. Ancora, in altra vicenda, nell'ambito della quale era stato contestato genericamente il consumo di carburante - osservandosi che per esso non  possibile la restituzione -  stato affermato integrare il reato di peculato e non quello di abuso di ufficio l'utilizzo dell' autovettura di servizio per fini personali (Sez. 6, n. 19547 del 04/04/2012, D'Alessandro e altro, Rv. 255418). In Sez. 6, n. 20922 del 2012, Campanile, n. m., si  affermato che rientra nell'ipotesi di cui all'art. 314 c.p., comma 1, l' utilizzo costante e reiterato nel tempo dell'autovettura di servizio, idoneo ad arrecare un danno patrimoniale apprezzabile all'amministrazione. 2.3. In altri casi,  stato affermato che il peculato d'uso  connotato dalla preordinazione dell'appropriazione ad un uso temporaneo, quindi non meramente istantaneo, della cosa e dalla immediata restituzione della stessa dopo il momentaneo utilizzo, con la conseguenza che, in presenza di tali requisiti, la reiterazione delle condotte determina l'integrazione di una pluralitˆ di reati ex art. 314, comma secondo, cod. pen., eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione, ma non il mutamento della qualificazione giuridica del fatto in peculato "ordinario" ex art. 314, primo comma, cod. pen. (Sez. 6, n. 39770 del 27/05/2014, Giordano, Rv. 260458) ed in motivazione,  stato osservato che l'elevato numero di chilometri complessivamente percorsi dall'autovettura di servizio, quando  determinato da un ripetuto utilizzo del veicolo per brevi tragitti, costituisce indice della momentaneitˆ dell'uso dello stesso. Su tale scia si  posta altra recente decisione di questa Sezione (Sez. 6, n. 14040 del 29/01/2015, Soardi, Rv. 262974) che ha ricordato la ragione fondante della fattispecie del peculato d'uso, individuata nell'esigenza del legislatore di sottrarre alla estensione del pi grave peculato comune (art. 314 c.p., comma 1) l'appropriazione di cose di specie (e non anche di quelle fungibili) per un circoscritto periodo di tempo, cui faccia seguito la loro pronta restituzione con coevo pieno ripristino della situazione anteatta (cfr. Cass. Sez. 6, 1.2.2005 n. 9216, Triolo, rv. 230940). Le decisioni citate si pongono nell'ambito dell'indirizzo - occasionato da una vicenda relativa ad un veicolo sottratto all'Amministrazione militare usato per il tempo necessario per raggiungere una vicina riserva di caccia e subito restituito - secondo il quale in tema di peculato, deve ritenersi che nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 314 cod. pen., "uso momentaneo" non significa istantaneo, ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato cos“ da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalitˆ della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 4651 del 10/03/1997, Federighi, Rv. 207594). 2.4. Risulta minoritario l'orientamento secondo il quale integra il delitto di abuso d'ufficio l'utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti d'istituto, non rilevando a tal fine le disfunzioni o l'entitˆ del danno cagionato alla P.A., ma solo l'ingiusto vantaggio patrimoniale procurato dall'agente a sŽ stesso o a terzi, reso in un caso relativo alla modifica dell'originaria imputazione di peculato nel delitto di abuso d'ufficio continuato, in cui un prefetto ha disposto e consentito diversi accompagnamenti della moglie per viaggi effettuati con autovetture di servizio (Sez. 6, n. 25537 del 15/04/2009, Gallitto, Rv. 244358). 2.5. Vi sono, infine, decisioni che hanno concluso per l'irrilevanza penale dell'abuso del- l'autovettura di servizio. Tanto, in un caso relativo ad un episodio di spostamento dell'autovettura dalla periferia al centro della cittˆ al fine di compiere una visita privata, percorrendo un tragitto comunque necessario prima di riconsegnare il veicolo all'amministrazione, come pure in altro caso, relativo a nove episodi di indebito utilizzo di autovetture di servizio da parte di assessori comunali - laddove  stato affermato che non  configurabile il reato di peculato nell'uso episodico ed occasionale di un'autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalitˆ della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile (Sez. 6, n. 5006 del 12/01/2012, Perugini, Rv. 251785), anche in relazione al l'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (Sez. 6, n. 7177 del 27/10/2010, Mola e altri, Rv. 249459). In particolare,  stata esclusa l'appropriazione, quale elemento materiale integrante il reato di peculato, nell'uso da parte del pubblico ufficiale della vettura di servizio per il compimento del tragitto casa-ufficio, quando l'accompagnamento non  effettuato in violazione di alcuna disposizione regolamentare, poichŽ in tal caso, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di utilizzo dell'auto per motivi personali e privati, il bene di cui il pubblico ufficiale ha la disponibilitˆ per ragioni del suo ufficio rimane, comunque, nell'ambito della sua normale destinazione giuridica, e cio nella sfera della Pubblica Amministrazione (Sez. 6, n. 46061 del 17/09/2014, Caropreso e altro, Rv. 260818). 2.6. Osserva questa Corte che - rispetto all'articolato ed ampio spettro di decisioni ricordato - necessario richiamare i consolidati principi in ordine alla fattispecie in esame con riguardo alla nozione di appropriazione. é, invero, necessario - da un lato - sfuggire ad un criterio discretivo tra l'ipotesi di peculato comune e quello di peculato d'uso che faccia leva su un dato meramente quantitativo - vuoi in relazione al numero di indebiti utilizzi, vuoi all'entitˆ chilometrica di ciascuno o della somma di essi - che non si rispecchia nella previsione normativa; dall'altro, non far dipendere il discrimine tra le due ipotesi dall'eventuale atteggiarsi della contestazione - specificamente rispetto al consumo di carburante - criterio che svaluta la fisionomia strutturale della stessa condotta, esperendo - fino alla individuazione del pi grave peculato ordinario, facendo leva su detto consumo - un dissezionamento dell'unitaria condotta -e correlativo profilo volitivo -, che ha propriamente ad oggetto l'autovettura e non le sue parti, siano esse soggette o meno a consumo o usura. 2.7. Ebbene, le S.U. nella sentenza n. 19054 del 2013, ric. Vattani - affrontando il caso peculiare dell'uso indebito del telefono d'ufficio - hanno ribadito che "la condotta di "appropriazione" identifica il comportamento di chi fa propria la cosa altrui, mutandone il possesso, con il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al proprietario" ed ha osservato che la espunzione dal testo dell'art. 314, comma 1, cod. pen., della parola "distrazione" operata dalla novella introdotta dalla l. n. 86 del 1990, "non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso di ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato". La Corte ha osservato che anche in relazione al delitto di cui all'art. 646 cod. pen. prevale l'opinione secondo la quale la condotta di distrazione - intesa nel suo significato di "deviare la cosa dalla sua destinazione o nel divergerla dall'uso legittimo"-  riconducibile alla appropriazione e, del pari, ad essa  riconducibile l'uso indebito della cosa. Cos“ - hanno proseguito le S.U. - la nozione di appropriazione nell'ambito del delitto di cui all'art. 646 cod. pen. " ha finito per assumere, con il passare del tempo, un significato sempre pi ampio, comprensivo sia dell'appropriazione in senso stretto (di cui le pi tipiche forme di manifestazione sono l'alienazione, la consumazione e la ritenzione), sia della distrazione, sia dell'uso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del denaro o della cosa mobile. Ed ha, quindi, definito la ipotesi del peculato d'uso - connotata dalla finalitˆ del- l'agente quale elemento specializzante - secondo una condotta "intrinsecamente diversa da quella del primo comma, in quanto l'uso momentaneo, seguito dall'immediata restituzione della cosa, non integra un'autentica appropriazione, realizzandosi quest'ultima, solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa". Ed ha rilevato come la nozione di restituzione venga intesa "in modo assai rigoroso dalla giurisprudenza, per la quale tra la cessazione dell'uso momentaneo e la restituzione deve intercedere il tempo minimo necessario e sufficiente, in concreto, per la restituzione medesima; al riguardo non  possibile fissare un rigido criterio cronologico, ma  necessario che le due attivitˆ (ossia, l'uso e la restituzione) si pongano in un continuum dell'operato dell'agente: occorre, cio, che egli, dopo l'uso, non compia altra attivitˆ che non siano quelle finalizzate alla restituzione". Ha, infine, aggiunto che "l'intenzione di restituire la cosa immediatamente dopo l'uso momentaneo deve essere presente fin dall'inizio: non si tratta, infatti, di un peculato proprio, che successivamente si trasforma, per effetto dell'uso momentaneo e della restituzione della cosa, in peculato d'uso, bens“, sin dall'origine, di un fatto caratterizzato dal contenuto intenzionale del reo." 2.8. Anche in dottrina  stato affermato che nel delitto di peculato l'appropriazione pu˜ essere integrata anche dall'uso indebito della cosa che avvenga con modalitˆ ed intensitˆ tali da sottrarla alla disponibilitˆ della pubblica amministrazione; in tali casi, verificandosi la definitiva "impropriazione" del bene, il pubblico funzionario finisce per abusare del possesso impedendo alla pubblica amministrazione di poter utilizzare la cosa per il perseguimento dei suoi fini (in caso, ad es., di un uso continuato e sistematico dell'auto di servizio, per finalitˆ pressochŽ esclusivamente private). Proposta interpretativa della quale si individua il fondamento sistematico proprio nella previsione dell'art. 314, comma 2, cod. pen., laddove si fa leva sul "solo scopo di fare uso momentaneo della cosa" restituendola immediatamente dopo averla usata. Da ci˜ ne segue la integrazione del peculato ordinario quando la cosa venga usata non momentaneamente - e quindi definitivamente - o anche momentaneamente ma senza restituirla dopo l'uso. 2.9. Ritiene questa Corte che - alla ampia valenza assunta dalla nozione di appropriazione, evidenziata dalla citata sentenza delle S.U. Vattani - consegue - in relazione alla cosa di specie -che essa non coincide necessariamente con l'alienazione del bene o la sua consumazione, essendo sufficiente a realizzare l'impropriazione l'esercizio su di essa di un potere uti dominus che non corrisponda al titolo per la quale la cosa stessa  nella disponibilitˆ dell'agente, tale da realizzare l'espropriazione, ovvero l' uscita del bene dalla disponibilitˆ della pubblica amministrazione che ne  titolare. In tal senso questa Sezione si  giˆ pronunciata in un'ipotesi in cui un vigile urbano aveva ceduto in pi occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un'impresa di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti, affermando che integra il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale che, comportandosi "uti dominus" rispetto alla cosa di cui abbia il possesso per ragioni di ufficio, la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei all'amministrazione, perchŽ ne facciano un uso al di fuori di ogni controllo della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 16381 del 21/03/2013, Apruzzese e altri, Rv. 254709). 2.10. Pertanto, deve affermarsi che - ai fini della integrazione del delitto di peculato ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. pen., in relazione a beni di specie appartenenti alla Pubblica amministrazione - non  necessaria la perdita definitiva del bene da parte dell'ente pubblico, essendo sufficiente l'esercizio da parte dell'agente sul medesimo bene dei poteri uti dominus, tale da sottrarre il bene stesso alla disponibilitˆ dell'ente. Il relativo accertamento  sottratto al vaglio di legittimitˆ se congruamente motivato, rilevando - a tal fine - la sistematica reiterazione dell'uso abusivo che l'agente faccia del medesimo bene e non essendo decisivo il conseguente consumo del carburante che - invece - va valutato ai fini della quantificazione del danno. Diversa  l'ipotesi prevista dall'art. 314, comma 2, cod. pen. la quale  caratterizzata sotto il profilo oggettivo - dall'endiadi dell'uso momentaneo e dalla immediata restituzione del bene e - sotto quello soggettivo - dal correlativo contenuto intenzionale. 2.11. Alla luce del principio di diritto enunciato, questa Corte ritiene che la fattispecie in esame  stata correttamente qualificata - sulla base di una ricostruzione in fatto priva di vizi logici e giuridici - quale peculato ex art. 314, comma 1, cod. pen. in ragione dell'avvenuta appropriazione della autovettura di servizio da parte della imputata, per il suo utilizzo quotidiano, continuativo e sistematico - in un arco temporale che va dal settembre 2012 al gennaio 2013, per ragioni estranee all'ufficio di dirigente scolastico che la predetta ricopriva. 2.12. Come, invero, si apprende dalla doppia conforme statuizione di merito l'autovettura intestata dall'Istituto (...)  risultata a completa disposizione della imputata - e dopo che questa aveva venduto a terzi la propria autovettura privata - essendo utilizzata come un veicolo personale. L'autovettura, infatti, risultava essere stata impiegata - oltre che per il quotidiano percorso casa-ufficio - sia ripetutamente per effettuare la spesa e accessi ad esercizi di vario genere, sia per recarsi per visite familiari e personali anche in cittˆ distanti, risultando financo il consentito utilizzo a terzi per finalitˆ estranee a quelle istituzionali (in periodi di accertata assenza della ricorrente dal territorio nazionale). L'autovettura risultava, in particolare, parcheggiata - al rientro dal lavoro e nei giorni liberi e festivi - nel posto auto per il quale la ricorrente era titolare di abbonamento ed ove prima aveva parcheggiato l'auto personale poi venduta. 2.13. L'abusivitˆ di siffatto utilizzo  stata desunta dal regolamento dell'istituto scolastico che prevedeva quale assegnatario del veicolo l'ufficio tecnico, che doveva conservare le chiavi dell'autovettura e i documenti in copia prevedendosi l'esistenza di personale addetto alla conduzione del veicolo, definito come il personale assegnato espressamente alla conduzione tramite ordine di servizio, che veniva nominato dal consegnatario, con divieto di utilizzo da parte di personale non autorizzato (artt. 1 e 4 del regolamento). Lo stesso regolamento prevedeva l'utilizzo del veicolo "esclusivamente" per l'espletamento dei servizi interni ed esterni indicati, escludendone - quindi - l'uso per motivi personali ed anche il percorso casa-ufficio. Del resto -come risulta dalla prima sentenza (pg. 18 e sg.) - era ben nota la gestione privatistica della stessa autovettura da parte della ricorrente, la quale era lei ad autorizzarne l'uso ad altri dipendenti consegnando le chiavi e senza alcun rispetto di qualsiasi formalitˆ (neanche annotazione dei viaggi e dei chilometraggi) ed alle quali ella era insofferente. Inoltre, si apprende dalla sentenza impugnata che, non solo non risulta essere stato accertato che la imputata provvedesse a sue spese ai rifornimenti di carburante per la vettura da lei utilizzata, ma - al contrario - risulta, documentalmente ed a mezzo di testimoni, che il carburante ed i pneumatici dell'autovettura erano stati pagati dall'Istituto. 3. Il secondo motivo  manifestamente infondato rispetto alla condotta appropriativa accertata che ha determinato la stabile destinazione del veicolo alle esigenze personali della ricorrente per un considerevole periodo di tempo con utilizzazione anche per viaggi di lunga percorrenza. Il peculato, in ogni caso, si consuma nel momento in cui ha luogo l'appropriazione della "res" o del danaro da parte dell'agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A.,  comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato dall'art. 314 cod. pen. che si identifica nella legalitˆ, imparzialitˆ e buon andamento del suo operato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190), interesse pacificamente violato con la condotta appropriativa accertata. 3.1. Quanto alla esclusione della attenuante ex 323bis c.p.  stato affermato che, in tema di delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuitˆ ricorre quando il reato, valutato nella sua globalitˆ, presenti una gravitˆ contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entitˆ del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014 Rv. 259501 Di Marzio e altri). Ancora, in tema di peculato, la semplice restituzione della somma sottratta al privato non comporta il riconoscimento dell'attenuante della riparazione del danno provocato dalla condotta illecita del pubblico ufficiale, poichŽ la fattispecie di reato, pur potendo tutelare eventualmente anche il patrimonio dei privati, si caratterizza principalmente per le finalitˆ di tutela del patrimonio della P.A. e dell'interesse alla legalitˆ, efficienza e imparzialitˆ della sua attivitˆ (Sez. 6, n. 41587 del 19/06/2013 Rv. 257148 Palmieri). Cosicch del tutto conforme all'alveo di legittimitˆ ricordato  la esclusione della attenuante in parola in costanza dell'ineccepibile accertamento in fatto che ha fatto leva sulla stabile destinazione del veicolo alle esigenze personali della ricorrente. 4. Il terzo motivo  manifestamente infondato, quando non generico. 4.1. é stato affermato che l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltˆ di disposizione del pubblico danaro per fini diversi da quelli istituzionali non ha alcuna efficacia scriminante, perchŽ, per quanto la destinazione del pubblico danaro sia fissata da una norma amministrativa, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l'illegittimo mutamento di tale destinazione, anche se compiuto dal- l'agente per ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla legge penale e, come tale, non vale ad escludere l'elemento soggettivo del reato di peculato (conformi, mass n 150097; mass n 144149; mass n 099254; mass n 112338) (Sez. 6, n. 11451 del 29/04/1987, Matera, Rv. 176973). Ancora, in tema di peculato per ritardato versamento di somme riscosse dal pubblico ufficiale per conto della Pubblica Amministrazione non pu˜ ritenersi errore scusabile, atto ad escludere il dolo, quello che investe la norma amministrativa di contabilitˆ che impone un tempestivo versamento: ci˜ in quanto tale norma  integrativa di quella penale. Conseguentemente risulta irrilevante una invocata prassi in senso contrario alla suddetta disciplina (Sez. 6, n. 10020 del 03/10/1996, Pravisani ed altro, Rv. 206365). 4.2. Pertanto, del tutto corretta  la motivazione con la quale la sentenza impugnata ha escluso la asserita buona fede della imputata in presenza delle disposizioni regolamentari prima indicate e secondo le accertate modalitˆ di utilizzo dell'autovettura. E non ha illogica- mente considerato la arrogante pervicacia della condotta nonostante la conoscenza degli esposti pervenuti all'Ufficio Scolastico Regionale - al quale  stata data la inveritiera risposta dell'uso istituzionale della autovettura - anche tenendo conto della deposizione resa da omissis accusata dalla stessa ricorrente di essere "rea" di indebite propalazioni a terzi di "accadimenti scolastici" e di quella del omissis, comandato dalla preside - all'atto del pervenimento del- l'esposto e durante una sua assenza - di recuperare al parcheggio la vettura per portarla presso l'Istituto. E, infine, considerando le accertate illecite modalitˆ di tenuta del libretto di marcia, non illogicamente ritenute manifestazione della male fede della ricorrente. 5.11 quarto motivo  manifestamente infondato, quando non generico ed in fatto. 5.1. Rientrano nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell'integrazione del reato di falso ideologico in atto pubblico, anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonchŽ quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale -conforme o meno allo schema tipico - ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858; Sez. 6, n. 11425 del 20/11/2012, Serritiello, Rv. 254866); ancora, il reato di falso ideologico in atto pubblico  configurabile in relazione a qualsiasi documento che, benchŽ non imposto dalla legge,  compilato da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni per documentare, sia pure nell'ambito interno dell'amministrazione di appartenenza, la regolaritˆ degli adempimenti ai quali  obbligato ovvero circostanze di fatto cadute sotto la sua percezione diretta o, comunque, ricollegabili a tali adempimenti e si inserisce nellĠ"iter" procedimentale prodromico all'adozione di un atto finale (Sez. 5, n. 9368 del 19/11/2013, Budetta, Rv. 258952); in particolare, infine, in tema di falsitˆ materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, costituiscono atto pubblico le "note di missione", attraverso le quali viene attestato l'espletamento di missioni per ragioni di servizio, con relativa trasferta, atteso che pure in relazione ai cos“ detti atti interni della pubblica amministrazione sussiste l'interesse giuridico alla tutela della pubblica fede, che risulta leso anche quando la falsitˆ riguarda tale categoria di atti, comunque destinati ad assumere funzione probatoria (Sez. 5, n. 6900 del 12/12/2000, Vinanate R., Rv. 218273). 5.2. Nella specie, la sentenza impugnata, si  collocata nell'alveo di legittimitˆ richiamato, correttamente qualificando quale atto pubblico il libretto di marcia in questione destinato a contenere le attestazioni di colui che utilizzava la vettura pubblica circa le circostanze del- l'utilizzo, sul rilievo della violazione delle disposizioni del regolamento d'Istituto nella tenuta del libretto di marcia, del quale era prevista e disciplinata la tenuta, ha richiamato il contenuto della prima sentenza in ordine alle falsitˆ (v. sentenza di primo grado, pg. 14 e ss.), anche sotto il profilo dell'omissione delle doverose attestazioni ed ha concluso per la tenuta del predetto libretto - da parte della imputata che personalmente vi provvedeva al di fuori di ogni previsione - in modo tale da rendere impossibile una ricostruzione delle reali modalitˆ di utilizzo del veicolo e del suo uso per fini privati ed estranei alle finalitˆ consentite. 5.3. Risulta, cos“, del tutto generica la dedotta disponibilitˆ della imputata alla tenuta del libretto rispetto alla specifica attribuzione dell'Ufficio tecnico; come pure la asserita negligenza nella sua tenuta, rispetto a quella che - secondo la sentenza ineccepibilmente motivata sul punto - risultava funzionale alla illecita appropriazione della vettura. Infine, generica  la dedotta concreta inincidenza delle annotazioni sul libretto di marcia ai fini della ricostruzione delle spese di gestione del veicolo, posto che - nell'illecito contesto analizzato connotato dalla assenza di rispetto delle pi elementari regole - nessuna rilevante correlazione economico- funzionale al riguardo risulta essere utilizzata. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Cos“ decisio in Roma, 10.3.2016. Sospensione del processo ed individuazione del termine di decorrenza dell'atto di riassunzione rispetto ad una parte non presente nel giudizio pregiudiziale NOTA A CORTE DĠAPPELLO DI NAPOLI, SEZ. I CIV., SENTENZA 23 GIUGNO 2016 N. 2533 Giuseppe Arpaia* Qualora un processo venga sospeso per lĠesistenza di un giudizio pregiudiziale e nel giudizio oggetto di sospensione sia presente anche una parte estranea a quello pregiudiziale (nella specie il M.E.F.), al fine della decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio sospeso Ž necessario che la parte estranea abbia legale conoscenza della cessazione della causa di sospensione (vale a dire del passaggio in giudicato della sentenza pregiudiziale) attraverso notificazione, comunicazione o dichiarazione della causa di cessazione della sospensione, non avendo alcun onere di attivarsi per accertarsi se il giudizio pregiudiziale si sia concluso, mentre spetta alla controparte che eccepisca lĠestinzione del procedimento provare che la parte che ha proceduto alla riassunzione abbia avuto legale conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante pi di sei mesi prima (termine vigente rationetemporis) del deposito della istanza di prosecuzione. é insufficiente ai fini della legale conoscenza dellĠesito del giudizio pregiudiziale la conoscenza di fatto di questĠultimo acquisita attraverso il deposito delle sentenze pregiudiziali in questione da parte dell'Avvocatura di Stato costituita in un distinto giudizio per il M.E.F. in causa con la stessa controparte. La sentenza della Corte di Appello di Napoli, che si commenta, ha parzialmente accolto lĠimpugnazione proposta dall'Avvocatura di Stato avverso la sentenza n. 453/15 del 5 febbraio 2015 resa dal Tribunale di S. Maria C.V., in composizione collegiale, che aveva rigettato il reclamo proposto dalla Agenzia delle Entrate e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze avverso la ordinanza di estinzione adottata dal giudice istruttore il 14 luglio 2014 nell'ambito del procedimento incidentale di accertamento dell'estinzione del giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dalle due predette Amministrazioni nei confronti del Fallimento Serit SpA. Il Tribunale aveva confermato la predetta ordinanza, ritenendo che sia l'Agenzia delle Entrate sia il Ministero dell'Economia e delle Finanze avevano omesso di riassumere il processo di opposizione allo stato passivo nel termine di sei mesi, prescritto dall'art. 297 cpc previgente decorrente dalla conoscenza della definizione dei giudizi pregiudiziali, giˆ pendenti innanzi alla Corte dei Conti sezione centrale di appello: in particolare, l'Agenzia delle Entrate aveva avuto conoscenza del passaggio in giudicato delle relative sentenze, essendo parte in causa dei giudizi pregiudiziali; inoltre, il M.E.F., nonchŽ la stessa Agenzia in ogni caso avevano avuto sicura conoscenza della definizione delle (*) Avvocato dello Stato in Napoli. cause pregiudiziali allorchŽ depositarono in un altro distinto giudizio, pendente innanzi al TAR Campania nei confronti dello stesso Fallimento Serit, le due sentenze pregiudiziali, per cui il predetto termine semestrale per la riassunzione doveva ritenersi in ogni caso cominciato a decorrere dalla data di tale deposito, avvenuto il 19 ottobre 2012. La dichiarazione di estinzione trovava causa nel ricorso in prosecuzione proposto dal Fallimento Serit al solo fine di far dichiarare l'estinzione del giudizio, notificato all'Agenzia delle Entrate ed al M.E.F., a cui aveva fatto seguito, insieme con la contestuale comparsa di risposta, la riassunzione del giudizio di opposizione allo stato passivo da parte delle due Amministrazioni, con la quale avevano rappresentato che nessun termine era utilmente decorso fino a quando la Curatela aveva precisato con il predetto ricorso quali e quanti fossero i giudizi pregiudiziali e le conseguenti relative sentenze. La Corte Territoriale ha rigettato lĠappello proposto dallĠAgenzia delle Entrate, ritenendo che questĠultima aveva avuto legale conoscenza dei due giudizi pregiudicanti pendenti innanzi alla Corte dei Conti sezione Centrale di Appello, che avevano determinato la sospensione del giudizio di opposizione allo stato passivo, sia attraverso la notificazione dei due ricorsi in appello, sia attraverso il deposito delle due relative sentenze, che la stessa Agenzia, nella sua articolazione territoriale di Caserta, aveva poi provveduto a notificare alla Curatela del Fallimento Serit ai fini esecutivi, trattandosi di pronunzie sfavorevoli a quest'ultima: di qui la conferma della sentenza impugnata, che aveva dichiarato lĠestinzione ex art. 308, 2^ co., c.p.c. del processo ex art. 98 l.f. promosso dalla Agenzia delle Entrate. Diversa, invece, in punto di diritto, era la situazione del Ministero del- l'Economia e delle Finanze, in quanto non era stato parte nei due giudizi di appello pregiudiziali pendenti innanzi alla Corte dei Conti sezione centrale di appello, per cui era necessario affinchŽ potesse decorrere il termine di sei mesi dalla conoscenza della cessazione dei giudizi pregiudicanti, per la tempestiva riassunzione del giudizio di opposizione ex art. 98 l.f., che il predetto Ministero avesse conoscenza ÒlegaleÓ della cessazione della causa di sospensione, vale a dire del passaggio in giudicato delle due sentenze pregiudicanti. Come Ž noto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 34/1970 dichiar˜ lĠillegittimitˆ costituzionale dell'art. 297, co. 1, c.p.c., nella parte in cui disponeva la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione, anzichŽ dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso, sostituendo ad un fatto oggettivo, quale Ž la verificazione dell'evento, un fatto soggettivo, costituito dalla conoscenza dell'evento stesso, senza, tuttavia, precisare le modalitˆ secondo le quali tale conoscenza debba attuarsi. Nella presente fattispecie la Corte di Appello da un lato ha ritenuto che la conoscenza dei giudizi pregiudicanti per l'Agenzia delle Entrate sia avve nuto in quanto pacificamente parte di entrambi i giudizi pregiudiziali, dall'altro non ha condiviso la impugnata statuizione del Tribunale di S. Maria C.V., secondo la quale la conoscenza delle due predette sentenze era avvenuto anche per il M.E.F. allorchŽ quest'ultimo aveva depositato - tramite l'Avvocatura di Stato - copia delle due pronunzie in parola in altro distinto giudizio pendente innanzi al TAR Campania tra le stesse parti del giudizio di opposizione allo stato passivo, nonchŽ con Banca Intesasanpaolo SpA ed Equitalia SpA. Secondo il Tribunale la data del deposito delle due sentenze costituiva notizia certa della definizione dei giudizi pregiudiziali e quindi anche di decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio di opposizione allo stato passivo, che non essendo intervenuta nei sei mesi successivi doveva considerarsi estinto. La Corte ha ritenuto insufficiente tale conoscenza di fatto acquisita delle due sentenze, ritenendo necessaria per la parte estranea al giudizio pregiudiziale la conoscenza legale della causa di cessazione della sospensione, vale a dire del passaggio in giudicato della sentenza pregiudiziale attuata "mediante dichiarazione, notificazione o certificazione", non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita (cfr. in tal senso anche Cass. 23 luglio 2012 n. 12790; Cass. 4 maggio 2010, n. 10714; Cass., 11 febbraio 2010 n. 3085; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24857; Cass. Lav. 12 giugno 2008 n. 15785). La Corte di Appello ha affermato che "l'evento della cessazione della causa di sospensione pu˜ essere conosciuto legalmente nei modi in cui nella disciplina del processo la sua conoscenza Ž realizzabile". In altre parole, la conoscenza dellĠevento idonea a far decorrere il termine per la prosecuzione di un processo sospeso Ž quella che si consegue mediante atti processuali, vale a dire mediante dichiarazione in udienza alla presenza del procuratore della parte interessata alla riassunzione/prosecuzione del giudizio (cfr. Cass. 8 marzo 2007, n. 5348), notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario o certificazione ufficiale dellĠevento (cfr. Cass. 16 marzo 2006, n. 5816). Alla luce di tali pronunce, Ž stata ritenuta infondata la tesi del Fallimento, secondo cui nel caso in cui la parte del processo sospeso non sia anche parte del processo pregiudicante la comunicazione della cessazione della causa di sospensione era superata dalla prova che la parte aveva avuto aliunde conoscenza della predetta cessazione. La giurisprudenza pi recente, richiamata dalla Corte Partenopea, ha affermato esattamente il contrario, asserendo che la conoscenza legale richiesta nei casi quale quello ad esame, per la parte estranea alla causa pregiudiziale, deve essere intesa come un quid pluris rispetto a quella di fatto aliunde acquisita (cfr. Cass. Civ., sez. Lav., sent. 5650 del 7 marzo 2013 ove si afferma che la conoscenza deve essere ÒlegaleÓ Ònel senso sopra chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte; deve cio essere acquisita non in via di mero fatto ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiataÓ ). Di conseguenza, non avendo adempiuto il Fallimento all'onere della prova della conoscenza legale da parte del M.E.F. del passaggio in giudicato delle sentenze pregiudicanti pi di sei mesi prima del deposito del ricorso in prosecuzione da esso proposto al solo scopo di far dichiarare l'estinzione del giudizio di opposizione allo stato passivo, nella fattispecie lĠatto idoneo a determinare per il M.E.F. la conoscenza legale della cessazione della sospensione si  attuato con la notificazione del predetto ricorso in prosecuzione. Corte di Appello di Napoli - Prima Sezione Civile, sentenza 23 giugno 2016 n. 2533 - Pres. M. Cultrera, Cons. rel. M. Lopiano - Agenzia delle Entrate -Ufficio di Caserta e Ministero dell'Economia e delle Finanze (avv. Stato G. Arpaia) c. Fallimento Serit S.p.A. (avv. prof. A. Di Amato). MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.1- Preliminarmente si rappresenta in fatto e in diritto che: - con ricorso 5 gennaio 2006 Agenzia delle Entrate - Ufficio di Caserta e Ministero delle Finanze e Tesoro ora Ministero dell'Economia e Finanze, hanno proposto opposizione ai sensi dell'art. 98 1. fall. avverso il provvedimento in data 17 dicembre 2004 (corretto del 25 gennaio 2005) con cui il g.d. al Fallimento Serit s.p.a. ha dichiarato lĠesecutivitˆ dello stato passivo rigettando n. 48 domande di insinuazione al passivo avanzate da Agenzia delle Entrate a titolo di "domande di discarico per quote erariali inesigibili" presentate dalla Serit e rigettate (domande specificamente indicate nel ricorso) ed omettendo di provvedere sulla domanda (n. 174) depositata il 19 febbraio 1999 dal Ministero delle Finanze e del Tesoro, avente ad oggctto lĠammissione al passivo per crediti erariali imposte dirette conto residui a tutto il 28 dicembre 1998; -il Fallimento Serit, costituito in giudizio, dopo aver rilevato che il g.d. ha pronunciato su tutte le domande presentate da controparte e, specificatamente, anche su quelle contrassegnate dai nn. 174 (domanda del Ministero del Tesoro), 292 e 293 (domande Agenzia delle Entrate), ha chiesto disporsi la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio come dianzi introdotto deducendo che Çin relazione alle domande di discarico per inesigibilitˆ cui le domande di ammissione al passivo si riferiscono  tuttĠora pendente dinanzi alla Corte dei Conti, sez. centrale appello, il procedimento volto al riconoscimento, a favore della Serit, del diritto al discarico in relazione alle predette domande. LĠudienza di discussione relativa al predetto procedimento  fissata per il 16 gennaio 2007 (all. 3)È; -con ordinanza 10 novembre 2006, il g.u. ha disposto Òla sospensione del presente giudizio fino alla definizione del giudizio pendente innanzi alla Corte dei Conti ed al passaggio in giudicato della relativa sentenzaÓ ci˜ dopo aver Òrilevato che in relazione alle domande di discarico per quote erariali inesigibili cui si riferiscono le domande di ammissione al passivo proposte dall'attuale opponente e rigettate dal GD,  pendente dinanzi alla Corte dei Conti, sez. centrale di appello, giudizio volto al riconoscimento in favore di Serit del diritto al discarico in relazione alle predette domande" e ritenuto che tale accertamento riveste carattere pregiudiziale in senso logico-giuridico, rispetto alle domande di ammissione al passivo dei crediti avanzate dallĠopponente fondate sul rigetto delle domande di discarico per quote erariali inesigibili avanzate dalla Serit, rigetto impugnato dinanzi alla Corte dei Conti; -con ricorso ex art. 297 c.p.c. il Fall. Serit ha promosso la riassunzione del processo al fine di ottenere la dichiarazione di estinzione del giudizio atteso che il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate, pur avendo contezza che la Corte dei Conti - sezione centrale di appello, con sentenze n. 46 e n. 47 del 2007 aveva definito i processi pregiudiziali, avevano omesso di riassumere nel termine prescritto il giudizio di cognizione ex art. 98 l. fall. sospeso; - con comparsa 24 settembre 2013 Ministero e Agenzia delle entrate hanno resistito allĠaverso ricorso e proposto contestuale istanza di riassunzione; -con ordinanza 14 luglio 2014 il giudice monocratico in funzione di istruttore ha dichiarato lĠestinzione del processo ex art. 98 l. fall. e ordinato la cancellazione della causa dal ruolo argomentando: - che Agenzia delle Entrate e Ministero in data 20 novembre 2006 hanno avuto legale conoscenza dell'ordinanza con la quale  stata disposta la sospensione (giusta risultanze della relata di notifica in atti); - lĠinfondatezza della difesa della Agenzia delle Entrate (secondo la Serit nel verbale di udienza e il G.I. nellĠordinanza di sospensione hanno fornito un'indicazione generica dei processi pendenti dinanzi alla Corte dei Conti quali giudizi pregiudizievoli rispetto al processo n. 46/2006) dal momento che dalle difese del Fallimento Serit e, in particoalre, dagli atti dalla stessa prodotti (all. 3) e che parte opponente, assistita dallĠAvvocatura Distrettuale dello Stato, organo di difesa tecnico di elevata specializzazione, poteva visionare, risulta in modo evidente che il processo pendente dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale era quello iscritto al n. 21615/06 avente ad oggetto lĠimpugnativa avverso la sentenza 889/03 e quello iscritto al n. 21617/06 avente ad oggetto l'impugnativa avverso la sentenza n. 890/03; -che la curatela aveva dimostrato la qualitˆ di parte dei processi suindicati (n. 21615/06 e 21617/06) in capo all'Agenzia delle Entrate (cui erano stati notificati entrambi gli atti di appello intoduttivi dei suddetti processi, ed a cui deve pertanto ritenersi sia stata data notizia del deposito delle sentenze che detti giudizi pregiudiziali hanno definito), che aveva altres“ proceduto alla notifica delle suddette sentenze nei confronti del Fallimento Serit); - che il Ministero delle Finanze e lĠAgenzia delle Entrate hanno avuto sicuramente notizia in data 10 ottobre 2012 del passaggio in giudicato delle sentenze n. 46 e n. 47 in data 13 marzo 2007 e 11 maggio 2007 della Sezione Centrale della Corte dei Conti, avendo fatto espresso riferimento ai medesimi provvedimenti nella memoria dalle stesse depositata il 19 ottobre 2012 nel processo CT 12963/2004 dinanzi al TAR Campania vertente tra le medesime parti e il Fall. Serit; - che la mancata riassunzione del giudizio ex art. 98 l. fall. sospeso nel termine di sei mesi (prescritto dall'art. 297 c.p.c. previgente) decorrente dalla data suddetta (19 ottobre 2012) impone la dichairazione di estinzione; - con sentenza n. 435/2015 del 5 febbraio 2015, il Tribunale di Santa Maria C.V., adito in sede di reclamo, ha dichairato lĠestinzione del processo e ordinato la cancellazione della causa dal ruolo, condannando i reclamenti al pagamento delle spese processuali in favore della curatela. 1.2 - Avverso la predetta sentenza, con atto notificato il 18 marzo 2015 al Fallimento Serit s.p.a., hanno proposto appello, per i motivi di seguito specificati, MEF e Agenzia delle Entrate chiedendo alla Corte di annullare la sentenza n. 453/15 dichiarativa della estinzione del processo di opposizione allo stato passivo e per lĠeffetto rimettere la causa dinanzi allo stesso Tribunale per il prosieguo ai sensi dellĠart. 354, secondo comma, c.p.c. con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese processuali del doppio grado di giudizio. 1.3- Iscritta la causa (erroneamente) al ruolo generale delle cause civili contenziose (in luogo che al ruolo generale della v.g.), con comparsa depositata allĠudienza del 28 ottobre 2015 si  costituito il Fallimento Serit s.p.a., che ha chiesto il rigetto dellĠimpugnazione poich in- fondata, con vittoria di spese e compensi del doppio grado. 1.4- AllĠudienza del 2 febbraio 2015, sulle conclusioni in epigrafe trascritte, la causa  stata dal collegio riservata per la decisione previa assegnazione di termini ridotti (giorni trenta per il deposito delle comparse conclusionali e giorni venti per le memorie di replica) ex art. 190 c.p.c. 2.1- Con il primo motivo le appellanti censurano la sentenza del Tribunale nella parte in cui, pur in presenza di un esplicito riferimento ad un unico giudizio pregiudicante effettuato dalla curatela sia nel verbale di udienza di prima comparizione che nella comparsa di costituzione, unicitˆ poi assunta ad oggetto della successiva ordinanza di sospensione del giudizio, ha ritenuto di superare tale atto testuale affermando che "dalle difese della curatela del fallimento Serit e, in particolare, dagli atti dalla stessa prodotti nel giudizio di opposizone allo stato passivo (cfr. all. 3) risulta in modo evidente che nel processo pendente dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale era quello iscritto al n. 21615/06, avente ad oggetto l'impugnativa avverso la sentenza n. 889/03 ..... e quello iscritto al n. 889/03 ... e quello iscritto al n. 21617/06 avente ad oggetto lĠimpugnativa avverso la sentenza n. 890/03 emessa ... I reclamanti, assistiti dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e, quindi, da un organo di difesa tecnico con elevata specializzazione, potevano visionare detti atti e ricollegare ai giudizi ivi indicati quello menzionato dalla curatelela del fallimento Serit nel verbale di udienza e dal giudice nellĠordinanza che disponeva la sospensione del processo. La curatela del fallimento ha dimostrato, inoltre, che lĠAgenzia delle Entrate, rappresentata dalla direzione regionale Campania, era parte dei processi n. 21615/06 e 21617/06 pendenti dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale. Infatti, l'atto di appello del processo n. 21615/06 e quello relativo al processo n. 21617/06 sono stati notificati rispettivamnte in data 5 ottobre 2004 e 6 ottobre 2004 all'Agenzia Direzione Regionale della Campania presso Avvocatura Distrettuale dello Stato, via Diaz n. 11, Napoli, quindi si deve che l'Agenzia delle Entrate rappresentata dall'ufficio territoriale - direzione Regionale Campania, ha necessarimante avuto notizia, in qualitˆ di parte dei giudizi indicati, del depostio e del conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 46 e 47, depositata il 12 marzo 2007 e lĠ11 maggio 2007, con le quali la Corte dei Conti sezione centrale ha definito i processi pregiudiziali rispetto a quello in esame. Si deve rimarcare, peraltro, che la stessa Agenzia, nella sua articolazione territoralie di Caserta ha proceduto alla notf“ca dei suddetti provvedimenti giurisdizionali alla curatela del fallimento Serit s.p.a. come emerge dagli atti depositati in giudizio dallo stesso ufficio fallimentareÓ. Rilevano al riguardo gli appellanti: -che il riferimento a due giudizi di appello aventi carattere pregiudiziale non trova scontro nŽ nel verbale di udienza di prima comparizione del 24 ottobre 2006, nŽ nella comparsa di costituzione dalla curatela deposita in pari data, nŽ nella stessa ordinanza di sospensione; - che, in contrasto con l'assunto del Tribunale,  solo alla ordinanza di sospensione che occorre fare riferimento per la identificazione del giudizio presupposto al fine di determinare il dies a quo della cessazionoe della causa di sospensione; -che la pacifica indicazione nel verbale di udienza e negli scritti difensivi della curatela di un solo giudizio anzichŽ di due (riconosciuta anche dalla stessa curatela nella memoria difensiva depositata il 19 agosto 2014 nel giudizio di recalmo) spiega come sia caduto in errore anche il g.d. laddove, nel sospendere il giudizio, ha fatto riferimento ad un unico giudizio senza indicare il numero di ruolo generale o altro elemento identificativo, evidentemente ritenendo che il giudizio di appello in questione fosse unico; -che la genericitˆ della indicazione contenuta nella ordinanza di sospensione fa s“ che nessun termine possa decorrere fino a quando la Curatela non ha ritenuto, con il ricorso in prosecuzione, di precisare quali e quanti fossero i giudizi pregiudicanti a cui ha fatto seguito la riassunzione del giudizio di opposizione allo stato passivo da parte degli odierni appellanti; -che la conoscenza dei due giudizi di appello pregiudicanti rispetto a quello di opposizione allo stato passivo sospeso non pu˜ invero desumersi dalla mera notificazione dei due ricorsi in appello prsso lĠAvvocatura dello Stato di Napoli (la cui trattazione fu svolta dalla competente Avvocatura Generale dello Stato) nŽ dalla notificazione delle due sentenze della Corte dei Conti sezione centrale di appello alla curatela da parte dell'Ufficio di Caserta dell'Agenzia delle Entrate effettauata ai soli fini esecutivi, trattandosi di sentenze favorevoli all'Amministrazione; -che, inoltre, come dedotto nell'atto di reclamo e tuttavia non tenuto in conto in sentenza appellata, alla data di emanazione dellĠordinanza di sospensione esisteva un ampio contenzioso tra lĠAgenzia delle Entrate e la Curatela pendente innazi alla Corte dei Conti sezione appello avente il medesimo oggetto, s“ che, ai fini della conoscenza della cessazione della causa di sospensione del giudizio, sovviene il princio affermato dalla Suprema Corte con ordinanza 17 febbraio 2014 n. 3701 depositata il 21 gennaio 2015, secondo cui in caso di pluralitˆ di cause potenzialmente pregiudiziali, la mancata identificazione del giudizio mediante indicazione di R.G. od altri elementi identificativi (situazione in concreto verificatasi nella fattispecie) fa s“ che la pregiudizailitˆ indicata nella ordinana di sospensione debba intendersi in senso logico riferita a tutti i procedimenti aventi il medesimo oggetto o logicamente connessi, pendenti alla data di emanazione della sospensione: nella fattispecie la curatela, su cui pacificamente incombeva il relativo onere, con il ricorso in prosecuzione non ha fornito la prova (attraverso la produzione di idonea certificazione della Corte dei Conti da cui evincere da parte dell'Agenzia di tutte le sentenze di appello relative al contenzioso de quo) della conoscenza da parte dell'Agenzia delle Entrate della cessazione della causa di sospensione per tutti i giudizi di appello aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto di discarico della Serit. 2.2 - L'appello, per il profilo considerato,  infondato. Come giˆ sostenuto dal giudice unico un funzione di g.i. nellĠordinanza che ha dichiarato l'estinzione del giudizio e successivamente ribadito dal Tribunale di S. Maria C.V. in sede di reclamo, il contenuto dellĠordinanza che ha sospeso il giudizio di opposizione allo stato passivo e, specificatamente, lĠindividuazione in detta ordinanza del Ògiudizio di appelloÓ, pendente dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale, pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio ex art. 98 l. fall. sospeso, va individuato, per relationem, nel contenuto della comparsa di costituzione nel medismo giudizio ex art. 98 l. fall. dal fallimento Serit depositata allĠudienza di prima comparizione del 23 ottobre 2006: detta comparsa contiene la richiesta di sospensione del giudizio di cognizione ex art. art. 98 l.f. sulla base della rappresentazione del rapporto di pregiudizialitˆ rispetto al predetto giudizio (pregiudicato) del Ògiudizio contabileÓ pendente tra il medesimo fallimento e lĠAgenzia delle Entrate e pregiudicante, in quanto avente ad oggetto domande di discarico per inesigibilitˆ presentate dalla Serit i cui importi costituivano oggetto della pretesa creditoria azionata dall'Agenzia delle Entrate nel fallimento Serit. Ebbene, come giˆ evidenziato, nella suddetta comparsa il fallimento Serit deduce che Çin relazione alle domande di discarico per insesigibilitˆ cui le domande di ammissione al passivo si riferiscono  tuttĠora pendente dinanzi alla Corte dei Conti, sez. centrale appello, il procediinenlo volto al riconoscimento, a favore della Serit, del diritto al discarico in relazione alle predette domande. L'udienza di discussione relativa al predetto procedimento  fissata per il 16 gennaio 2007 (all. 3)È mentre l'allegato 3 richiamato costituente parte integrante della comparsa,  costituito da due ricorsi in appello, rispettivamente avverso la sentenza n. 889/03 e la sentenza n. 890/03 emesse dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, proposti dal Fallimento Serit alla Corte dei Conti, regolamente notificati, e dai correlati due Decreti del Presidente della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Centrale, entrambi in data 19 aprile 2006, di fissazione al 16 gennaio 2007 dell'udienza di discussione di ciascuno dei due appelli. Nessun dubbio  allora ragionevolemnte prospettabile in ordine alla specifica individuazione, nell'ordinanza di sospensione (integrata per relationem dal contenuto della istanza di sospensione ex art. 295 c.c. avanzata e argomentata dal Fallimento Serit nella comparsa di costituzione su cui lĠordinanza provvede) dei giudizi contabili (puntualmente identificati) effettivamnete pregiudiziali rispetto alle domande di ammissione allo stato passivo avanzate dalle Amministrazioni statali e ci˜ tanto pi tenendo conto che i suddetti giudizi, come dedotto dal Fallimento Serit e confermato nella ordinanza di sospensione, avevano ad oggetto le medesime domande di discarico per inesigibi1itˆ (specificamente individuate sia nei ricorsi del Fallimento Serit dinanzi alla giurisdizione contabile sia nella ammissione al passivo del suddetto fallimento dell'Agenzia delle Entrate) i cui importi costituivano oggetto delle pretese creditorie fatte valere nel giudizio di opposizione allo stato passivo sospeso. Di qui la piena conoscenza, in capo alle amministrazioni statali, sin dalla costituzione in giudizio della curatela e quindi a maggior ragione dalla notifica della ordinanza di sospensione, degli specifici giudizi pregiudiziali posti a fondamento della disposta sospensione del giudizio ex art. 98 l.f., giudizi pregiudiziali di cui del resto l'Agenzia delle Entrate  stata parte e, in quanto tale destinataria della notifica di entrambi i ricorsi in appello proposti dalla curatela (per quanto detto allegati sub n. 3 alla comparsa di costituzione del fallimento Serit nel giudizio sospeso) nonchŽ, conseguentemente, della comunicazione del deposito delle sentenze n. 46 del 13 marzo 2007 e n. 47 dell'11 maggio 2007 che detti giudizi hanno definito (sentenze che, ancora, la stessa Agenzia, nella sua articolazione territoriale di Caserta, ha provveduto a notificare alla curatela del fallimento a fini esecutivi). Di qui anche la irrilevanza (ai fini che interessano) della dedotta contestuale pendenza tra le medesime parti di molteplici altri giudizi di appello dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale, aventi il medesimo oggetto: trattasi, invero di domande di discarico differenti da quelle oggetto sia dei due giudizi pregiudicanti dinanzi alla Corte dei Conti come dianzi individuati sia della istanza di ammissione al passivo presentata dall'Agenzia delle Entrate. Di qui altres“ la inconferenza del principio espresso dalla Suprema Corte ed evocato dalle appellanti con riferimento allĠipotesi (non ricorrente nel caso di specie) di pluralitˆ di cause potenzialmente pregiudiziali e di mancata specifica identificazione del giudizio effettivamente pregiudiziale. 3.1- Con il secondo motivo di impugnazione le amministrazioni finaziarie censurano la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha desunto la legale conoscenza della cessazione della causa di sospensione in capo ad entrambi gli enti dal mero deposito in data 19 ottobre 2012, da parte del- l'Avvocatura dello Stato, in altro giudizio pendente dinanzi al TAR Campania tra le medesime parti, la Banca Intesa San Paolo ed Equitalia Sud s.p.a., di note contenenti un espresso riferimento alle due sentenze (n. 46 e n. 47 del 2007) che hanno definito i due giudizi pregiudiziali. Rilevano in contrario le appellanti: -che tale circostanza  stata dedotta dalla curatela soltanto nelle note autorizzate depositate il 16 gennaio 2014 e, dunque, tardivamente rispetto al ricorso in prosecuzione notificato il 5 settembre 2013; - che il deposito da parte dell'Avvocatura, quale difensore dell'Agenzia delle Entrate e del Mef, di tali due sentenze insieme a molteplici altre in un altro giudizio, non pu˜ costituire legale conoscenza della cessazione della causa di sospensione nei confronti dei due predetti Enti; -che in ogni caso, per il Mef, parte estranea alle cause pregiudiziali, vale il principio di stretta conoscenza legale della cessazione della causa di sospensione in forza del quale per la parte estranea alla causa pregiudiziale ha la conoscenza legale avviene soltanto mediante notifica zione, comunicazione o dichiarazione di cessazione della casua di sospensione (cfr. Cass. 2 dicembre 2010 n. 24533, Cass. 19 luglio 1995 n. 7865). 3.2- L'appello per il profilo in esame  fondato nei soli confronti del Mef. In primo luogo va esclusa la fondatezza dell'eccezione di tardivitˆ della allegazione da parte del fallimento, nelle note del 14 gennaio 2014, della circostanza relativa al deposito da parte delle amministrazioni statali, in altro giudizio pendente tra le stesse parti dinanzi al TAR, di note recanti il riferimento alle due sentenze che hanno definito i processi pregiudizaili, risultando la suddetta allegazione avvenuta nellĠambito del procediemnto incidentale di estinzione e nel termine per note concesso dal giudice ed utilizzato da entrambe le parti. Del pari va esclusa la fondatezza del gravame, come dianzi argomentato, nei confronti del- lĠAgenzia delle Entrate, posto che questĠultima, in quanto pacificamente parte di entrambi i giudizi pregiudiziali, certamente (come in precedenza giˆ evidenziato) ha avuto conoscenza legale delle sentenze che detti giudizi hanno definito. A differenti conclusioni deve, invece, pervenirsi nei confronti del Ministero delle Finanze che, come accertato dal g.u. con ordinanza 14 luglio 2014, legittimamente ha propsoto (unitamente all'Agenzia delle Entrate) opposizione ex art. 98 l.f. in relazione alla domanda di ammissione al passivo dallo stesso presentata e che, pacificamente, non  sstato parte dei due processi pregiudicanti. Ebbene, secondo la giurisprudenza pi recente, richiamata dagli appellanti e da questa Corte condivisa, affinchŽ nei confronti della parte rimasta estranea al giudizio pregiudicante decorra il termine di sei mesi dalla conoscenza della cessazione del medesimo giudizio sospeso  necessario che detta parte abbia conoscenza ÒlegaleÓ della cessazione della causa di sospensione, ottenuta attraverso la notificazione, comunicazione o dichiarazione della causa di cessazione di sospensione (cfr. Cass. 2 dicembre 2010 n. 24553 e Cass. 3 ottobre 2008 n. 24599, le quali hanno tutte precisato che il termine semestrale per la riassunzione del processo sospeso decorre, per la parte estranea alla causa pregiudiziale, dalla data in cui la stessa abbia avuto conoscenza legale, mediante comunicazione, notificazione o dichiarazione, della cessazione della causa di sospensione, mentre spetta alla controparte che eccepisca 1'estinzione del procedimento provare che la conoscenza sia stata acquisita dal riassumente nel semestre precedente la presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione). Con la sentenza 23 luglio 2012 n. 12790, la S.C. ha altres“ precisto che nel caso di sospensione del processo per pregiudizialitˆ, la parte del processo pregiudicato, quando non sia parte anche di quello pregiudicante, non ha alcun onere di attivarsi per accertarsi se quest'ultimo si sia concluso, per cui incombe su chi intende eccepire la tardiva riassunzione del processo, per inutile decorso del termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante (oggi ridotto a tre mesi dall'art. 46, comma 2, L. 18 giugno 2009 n. 69), l'onere di provare (come si legge in motivazione) che la parte la quale ha proceduto alla riassunzione avesse avuto conoscenza legale del passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante pi di sei mesi prima del deposito dell'istanza di prosecuzione, precisando, in sostanza, che lĠevento della cessazione della causa di sospensione pu˜ essere conosciuto legalemente nei modi in cui nella disciplina del processo la sua conoscenza  realizzabile. Ebbene, di siffatta conoscenza legale in capo al MEF della cessazione della causa di sospensione (ossia del passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito i due giudizi pregiudicanti) non vi  nessuna traccia negli atti di causa, mentre risulta allo scopo insufficiente la conoscenza di fatto comunque acquisita, dalla curatela allegata in ragione del deposito delle due sentenze in esame eseguito dallĠAvvocatura, costituita anche per il MEF, in un distinto giudizio tra le stesse parti dinanzi al TAR. LĠappello avverso la sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. che ha dichiarato l'estinzione per tardiva riassunzione del processo ex art. 98 l. fall. sospeso, va quindi accolto poichŽ fondato, nei confronti del solo Ministero delle Finanze, con conseguente rimessione della predetta amministrazione e della curatela dinanzi al Tribunale di Santa Maria C.V. per la prosecuzione del giudizio ex art. 98 1. fall. 4. Avuto riguardo all'esito complessivo del giudizio, che ha visto sia le amministrazioni appellanti sia la curatela del Fallimento Serit s.p.a. parzialmente soccombenti, ricorrono giusti motivi per dichiarare le spese del doppio grado interamente compensate tra le predette parti P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza n. 453/2015, pronunciata dal Tribunale di S. Maria C.V. il 5 febbraio 2015, proposto da Agenzia delle Entrate- Ufficio di Caserta e da Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., con atto notificato il 18 marzo 2015 nei confronti di Fallimento Serit s.p.a. in persona del curatore p.t., ogni ulteriore istanza disattesa, cos“ provvede: 1) rigetta lĠappello proposto dall'Agenzia delle Entrate e, per l'effetto conferma la sentenza impugnata che ha dichiarato l'estinzione ex art. 308, secondo comma, c.p.c., del processo ex art. 98 l.f. promosso dalla suddetta Agenzia; 2) accoglie l'appello proposto dal Ministero delle Finanze in persona del Ministro p.t. e per l'effetto, in riforma della impugnata sentenza, rimette lo stesso Ministero e il Fallimento Serit s.p.a. dinanzi al Tribunale di S. Maria C.V. per la prosecuzione del giudizio ex art. 98 l. fall.; 3) dichiara le spese del doppio grado del presente giudizio interamente compensate tra le parti costituite. Cos“ deciso in Napoli nella camera di consiglio del 20 aprile 2016. LĠestensione della tutela di rifugiato per una caratteristica fondamentale dellĠidentitˆ NOTA A TRIBUNALE PALERMO, SEZ. I CIVILE,ORDINANZA 11 APRILE 2016 Stefano Pizzorno* L'omosessualitˆ costituisce motivo di accoglimento della domanda diretta ad ottenere lo stato di rifugiato sin da Cassazione 16417/2007. Con questa pronuncia (che si riferiva al divieto di espulsione dello straniero verso uno Stato nel quale possa essere oggetto di persecuzione, art. 19, comma 1 d.lgs. 286/1998) la Suprema Corte affermava il principio per cui l'omosessualitˆ andava riconosciuta come condizione dell'uomo degna di tutela, in conformitˆ ai precetti costituzionali e che la libertˆ sessuale comportava la libertˆ di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali, in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalitˆ, tutelato dal- l'art. 2 della Costituzione (1). Questi principi venivano subito ribaditi dalla Cassazione penale che escludeva che si potesse configurare il reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore nel caso di cittadino marocchino omosessuale; dal momento che in Marocco l'omosessualitˆ era punita come reato, nella fattispecie esisteva infatti il giustificato motivo previsto dall'art. 14, comma 5 bis d.lgs. 286/1998 (2). La sentenza 16417/2007 dopo aver affermato questi importanti principi, riteneva peraltro che la persecuzione si potesse ritenere esistente solo qualora l'ordinamento straniero punisse l'omosessualitˆ come fatto in sŽ considerato mentre doveva ritenersi esclusa allorchŽ fosse prevista come reato solo l'ostentazione delle pratiche omosessuali. Questa affermazione della Suprema Corte era quantomeno singolare; da un lato infatti si trattava nella specie di un cittadino senegalese e il codice penale del Senegal puniva testualmente con la reclusione da uno a cinque anni chi commetteva un atto impudico o contro natura con un individuo del suo sesso e quindi sanzionava evidentemente l'atto in sŽ stesso; dall'altro poteva essere comunque discutibile sostenere che una sanzione contro la manifestazione esteriore dell'omosessualitˆ non integrasse una persecuzione. Sul punto  decisivo quanto sostenuto dalla Corte di Giu (*) Avvocato dello Stato in Firenze. Articolo pubblicato sulla rivista online www.immigrazione.it - Rivista professionale di scienze giuridiche e sociali - n. 265, 1 giugno 2016. (1) Cass. Sez. I, 25 luglio 2007, n. 16417 in Nuova Giur. Civ. Comm., 2008, 2, 10271, con nota di S.E. PIZZORNO, LĠomosessualitˆ quale causa ostativa dellĠespulsione. (2) Cass. Pen, Sez. I, 23 luglio 2007, n. 2907, in Giur. It., 2008, 11, 2575 nota di S.E. PIZZORNO, Omosessualitˆ e reato di indebito trattenimento nel territorio dello Stato. stizia dell'Unione che nell'affermare che le persone omosessuali provenienti da Paesi nei quali l'omosessualitˆ  punita dalla legge penale costituiscono un determinato gruppo sociale protetto dall'art. 10, par. 1, lett. d) della direttiva 2004/83/CE, allo stesso tempo sottolinea come in sede di valutazione di una domanda diretta ad ottenere lo stato di rifugiato non  possibile attendersi che il richiedente asilo abbia nascosto la propria omosessualitˆ nel Paese d'origine. In altri termini il richiedente asilo non  tenuto a dar prova di riservatezza nel manifestare il proprio orientamento sessuale (3) . La Suprema Corte poi sottolineava come, per configurare la persecuzione, fosse sufficiente la previsione della sanzione penale indipendentemente dall'emanazione di una condanna. Questa impostazione veniva seguita dalla giurisprudenza di merito (4) e veniva confermata dalla Cassazione successivamente. La Suprema Corte osservava infatti che la persecuzione pu˜ anche essere attuata sul piano giuridico con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione (5); la circostanza per cui lĠomosessualitˆ sia considerata un reato dallĠordinamento giuridico del paese di provenienza  rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertˆ personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta (6). Questa posizione, del tutto condivisibile, si pone per˜ in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia dellĠUnione nella decisione n. 199/12 sopra citata. La Corte infatti, chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale se il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali e la comminatoria di una pena detentiva in relazione agli stessi costituisca un atto di persecuzione, ha dato risposta negativa; ha ritenuto infatti che sia necessaria la previsione di una pena detentiva che trovi effettiva applicazione nella prassi, spettando alle autoritˆ nazionali procedere allĠaccertamento di tale requisito. é unĠ affermazione che suscita perplessitˆ ed  diversa da quanto ritenuto dalla Corte Europea dei diritti dellĠuomo secondo cui lo stesso fatto dellĠesistenza di una legislazione che punisce gli atti omosessuali colpisce la vita privata ed  in contrasto con la Convenzione (7). Occorre osservare peraltro che le sen (3) Corte di Giustizia Unione Europea, sez. IV, sent. 7 novembre 2013, n. 199/12 in Nuova Giur. Civ. Comm., 2014, 6, 10560, con nota di MORASSUTTO e WINKLER, Le tante facce dell'omofobia: una sentenza recente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di rifugiati omosessuali. (4) Trib. Milano, ord. 27 ottobre 2015; Trib. Catanzaro, ord. 7 dicembre 2015; App. Bologna, sent. 16 luglio 2014; Trib. Bologna, ord. 8 novembre 2013 con giur. ivi richiamata, in Leggi d'Italia; Trib. Trieste, sent. 17 agosto 2009 n. 304, in www.meltingpot.it. (5) Cass. Civ., sez. VI, ord. 20 settembre 2012, n. 15981, in Leggi d'Italia. (6) Cass., Sez. 6, 5 marzo 2015 n. 4522 in Leggi dĠItalia. (7) Modinos v Cyprus 1993; Norris v Ireland 1991; Dudgeon v. United Kingdom in www.echr.coe.int; la posizione della Corte Europea dei diritti dell'Uomo  citata esplicitamente dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in Lawrence v. Texas, 539 US 558 (2003) la nota sentenza che dichiar˜ tenze della Corte rese a seguito di rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE) sono vincolanti non solo per il giudice che ha sollevato la questione ma per tutti i giudici e le autoritˆ degli Stati membri e quindi i nostri giudici avrebbero lĠobbligo di adeguarsi. In tutti i casi affrontati dalla giurisprudenza sopra citata si trattava di persone che affermavano di essere omosessuali e al pi si poneva la questione della prova di tale condizione o anche della possibilitˆ di reiterare la domanda di protezione internazionale rendendo nota la propria omosessualitˆ, taciuta in un primo momento a causa di fattori di ordine psicologico e morale (8). Recentemente  intervenuta peraltro una decisione (Trib. Palermo, 11 aprile 2016) che ha esteso la protezione internazionale a un soggetto che non si dichiarava omosessuale ma, secondo quanto dichiarato, aveva compiuto atti omosessuali in cambio di denaro con un turista. La circostanza che la legislazione del Gambia punisca il compimento di atti omosessuali  stata ritenuta sufficiente per ammettere il ricorrente alla protezione internazionale, in quanto, ad avviso del Tribunale, il ritorno in Gambia, al di lˆ di un effettivo orientamento sessuale, lĠavrebbe esposto a un reale pericolo di persecuzione. La domanda che si pone quindi : hanno diritto alla protezione internazionale i soggetti che si trovano nella condizione di omosessuali o tutti coloro che compiono atti omosessuali per qualsivoglia ragione? Il Tribunale potrebbe avere ragione se la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati tutelasse la libertˆ sessuale di per sŽ; del resto lĠassunto contenuto nella sentenza 16417/2007 della Suprema Corte secondo cui la libertˆ sessuale va intesa anche come libertˆ di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali, in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalitˆ, tutelato dallĠart. 2 Cost. potrebbe anche far ritenere corretta la decisione palermitana. Effettivamente la nostra Costituzione tutela la libertˆ sessuale e questa va intesa come libertˆ di avere rapporti sessuali di qualunque tipo, per qualunque ragione e quindi, ragionando in questi termini, il diritto alla protezione dovrebbe essere riconosciuto. A ben vedere per˜ una soluzione di questo tipo si scontra con il dato normativo. La Convenzione di Ginevra infatti non offre tutela nei riguardi di qualsivoglia persecuzione ma solo se la persecuzione avvenga per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni politiche. La direttiva 2004/83/CE, adottata al fine di aiutare le autoritˆ nazionali ad applicare la Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni, stabilisce che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale quando (art. 10 non conformi alla Costituzione le leggi degli Stati che punivano penalmente le pratiche omosessuali. La sentenza Lawrence super˜ la sentenza Bowers v. Hardwick, 478 US 186, (1986). Sulle due decisioni v. ZANETTI, L'orientamento sessuale. Cinque domande tra diritto e filosofia, il Mulino, 2015, in particolare il primo capitolo. (8) Cass. 4522/2015 cit. lett. d): i membri di tale gruppo condividono una caratteristica o una fede che  cos“ fondamentale per lĠidentitˆ o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi e tale gruppo possiede unĠidentitˆ distinta nel paese di cui trattasi, perchŽ vi  percepito come diverso dalla societˆ circostante. Inoltre  stabilito che in funzione delle circostanze nel paese dĠorigine, un particolare gruppo sociale pu˜ includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dellĠorientamento sessuale (9). La Corte di Giustizia dellĠUnione, con la sentenza 199/12 pi volte citata, ha stabilito che in presenza di una legislazione penale repressiva, le persone omosessuali devono considerasi costituire un determinato gruppo sociale sulla base delle definizioni contenute nellĠart. 10 della direttiva. La Corte sottolinea che lĠorientamento sessuale di una persona costituisce una caratteristica cos“ fondamentale per la sua identitˆ che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Su questa base sembra difficile sostenere che la protezione internazionale si possa estendere a chi compie atti omosessuali per ragione di denaro; non si pu˜ ritenere che se la persona vi rinunciasse perderebbe una caratteristica fondamentale per la propria identitˆ. Tribunale di Palermo, sez. I civile, ordinanza 11 aprile 2016. Con ricorso depositato in data 14 ottobre 2014 lĠopponente chiedeva lĠannullamento del provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale di Palermo nella seduta del 16 aprile .2014 (prot. EST PA 430/2014), notificato il giorno 17 settembre 2014 che ne aveva rigettato la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale. A sostegno delle proposte domande il ricorrente evidenziava di essere stato costretto a fuggire dal Gambia in quanto arrestato per essere stata scoperta la condotta omosessuale dallo stesso intrattenuta, seppure per motivi economici, con un turista olandese. Il Ministero dellĠinterno (rectius: la Commissione Territoriale), ritualmente avvisato, non si costituiva. La causa, istruita in via documentale e tramite CTU, veniva assunta in decisione allĠodierna udienza. (9) Il d.lgs. 19 novembre 2007 che attua la direttiva europea, all'art. 8 lett. d) dˆ la seguente definizione di gruppo sociale: particolare gruppo sociale:  quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non pu˜ essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che  cos“ fondamentale per lĠidentitˆ o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede unĠidentitˆ distinta nel Paese di origine, perchŽ vi  percepito come diverso dalla societˆ circostante. In funzione della situazione nel Paese dĠorigine, un particolare gruppo sociale pu˜ essere individuato in base alla caratteristica comune del- lĠorientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai sensi della legislazione italiana. Ai fini della determinazione dellĠappartenenza a un determinato gruppo sociale o dellĠindividuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa lĠidentitˆ di genere. **** Il ricorso  ammissibile in quanto proposto nei trenta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato. In ordine alla richiesta articolata in via principale osserva il decidente come la stessa debba trovare accoglimento alla luce della complessiva valutazione delle risultanze istruttorie. Va preliminarmente rilevato che la valutazione demandata al Giudice ordinario, adito in sede di opposizione al diniego frapposto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato dalla competente Commissione, si deve fondare sulla verifica della ricorrenza di (entrambi) i dati oggettivi (attinta anche in via di ragionamenti inferenziali), id est quello afferente la condizione socio-politico-normativa del Paese di provenienza e quella relativa alla singola posizione del richiedente (esposto a rischio concreto di sanzioni), senza poter ricavare sillogisticamente ed automaticamente dalla prima la seconda, per cui non ogni appartenente ad un certo gruppo risulta automaticamente un perseguitato (Cass. Civ., sez. I, 20 dicembre 2007 nĦ 26822). Inoltre, sempre in via preliminare, occorre precisare che per rifugiato politico deve intendersi qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide rispondente ai criteri stabiliti dallĠart. 1 della Convenzione di Ginevra, quali specificati nella direttiva 2004/83/CE. In particolare, secondo lĠart. 1 citato, si pu˜ chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato soltanto se nel Paese di origine sono state sofferte - ovvero se le stesse possano ritenersi probabili - persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalitˆ, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le opinioni politiche. In particolare, a fronte delle perplessitˆ formulate dalla Commissione in esito alla disposta audizione in merito alla credibilitˆ della vicenda personale del ricorrente, il Tribunale ha ritenuto necessario disporre consulenza tecnica dĠufficio, la quale - ovviamente non tesa ad accertare lĠorientamento sessuale del S. (il quale, peraltro, non ha dichiarato di essere omosessuale, avendo anzi una moglie ed un figlio, ma di avere intrattenuto la relazione con il turista per motivi di carattere esclusivamente economico) - potesse, nondimeno, fornire elementi di valutazione allĠattendibilitˆ del racconto ed ad eventuali start psicologici reattivi ad una condizione d“ disagio, elementi tutti idonei a verificare la credibilitˆ dellĠopponente. Orbene, la dr.ssa Maniscalco, CTU nominato, in esito a percorso argomentativo logicamente sviluppato ed adeguatamente argomentato, ha concluso ritenendo lĠinesistenza di Òelementi che giustifichino una manipolazione del contenuto delle dichiarazioni. Si sottolinea infatti come, nel raccontare i fatti, lo stesso esprima una emotivitˆ esplicitamente accompagnata da comportamenti non verbali coerenti con le implicazioni emotive sottese al vissutoÓ, concludendo per lĠattendibilitˆ del racconto. Ci˜ premesso deve ritenersi, al di lˆ di un effettivo orientamento omosessuale, sufficientemente provata lĠattendibilitˆ della vicenda personale del ricorrente, il quale, nellĠipotesi di rientro nel paese di origine, correrebbe un reale pericolo di persecuzione, prevalendo la valutazione del CTU sulle perplessitˆ formulate dalla Commissione. Ed invero lĠart. 5 del d.lgs. nĦ 251 del 2007, individua i responsabili della persecuzione o del danno grave, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale come di seguito: Òa) lo Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; c) soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizazzioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, contro persecuzioni o danni graviÓ. Nello specifico risulta notorio che in Gambia lĠomosessualitˆ e, comunque, comportamenti omosessuali (comunque posti in essere e per qualsiasi ragione) siano considerati reato. Pertanto, per come pure puntualmente rilevato nelle note conclusive dellĠopponente, vanno condivisi i principi affermati dalla Suprema Corte, la quale ha avuto modo di chiarire come: Òai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui lĠomosessualitˆ sia considerata un reato dallĠordinamento giuridico del Paese di provenienza  rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertˆ personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiestaÓ (Cass. Civ. 1 settembre 2012 n. 1598, e Cassazione civile, sez. IV, 5 marzo 2015, n. 4522). Avuto riguardo alla natura della controversia ed alle ragioni del decidere, il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Palermo - Sezione I Civile, in persona del Giudice Onorario, dr. Livio Fiorani, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa, in accoglimento delle domande proposte da S.S. con ricorso depositato in data 14 ottobre 2014 riconosce a questĠultimo lo status di rifugiato; spese compensate; dispone come da separato decreto in ordine alla richiesta di liquidazione dei compensi in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ex art. 85, comma II I bis, dPR 115 / 2002. Palermo, 11 aprile 2016 Il Giudice Onorario dr. Livio Fiorani Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza e bancarotta. La legittimazione alla costituzione di parte civile del Ministero dello Sviluppo Economico Francesco Cecchini* SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria e la questione controversa - 2. Individuazione dellĠoggettivitˆ giuridica dei reati in contestazione: a) lĠart. 2638 c.c. - 3. (segue) b) I delitti di bancarotta - 4. Il danno patito dal Ministero nel caso di specie - 5. Legitimatio ad causam nel processo penale secondo la pi recente giurisprudenza di legittimitˆ. 1. La vicenda giudiziaria e la questione controversa. Con decreto dellĠ11 aprile 2016 il Tribunale di Roma - Sezione G.U.P. ha disposto il giudizio nei confronti di sette imputati, in relazione ad una vicenda concernente il dissesto di una nota societˆ fiduciaria. In particolare a cinque di questi, quali soggetti apicali della societˆ - amministratore, consiglieri delegati, procuratore speciale, membro del c.d.a., presidente del collegio sindacale e sindaci - sono contestati i reati di bancarotta fraudolenta, bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva, bancarotta documentale fraudolenta, ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza e abusiva attivitˆ finanziaria. Si  costituito parte civile nel processo il Ministero dello Sviluppo Economico, quale soggetto cui spetta autorizzare le societˆ fiduciarie - e di revisione - allĠesercizio della relativa attivitˆ, nonchŽ esercitare sulle stesse le funzioni di vigilanza (1). La costituzione in giudizio, peraltro, non  avvenuta unicamente in riferimento al reato di cui allĠart. 2638 c.c., bens“ anche in relazione ai reati di bancarotta e di abusivo esercizio di attivitˆ finanziaria. Ci˜ in considerazione del fatto che tutti i suddetti reati, uniti dal vincolo della continuazione, hanno cagionato il danno subito dal Ministero, impedendo la realizzazione dellĠinteresse pubblico alla tutela del risparmio da parte dello stesso, con inevitabili conseguenze sullĠimmagine della Pubblica Amministrazione coinvolta. Le difese degli imputati hanno contestato la legittimazione del MISE a costituirsi parte civile in relazione ai reati diversi dallĠostacolo alle funzioni di vigilanza, chiedendone quindi lĠesclusione in parte qua. Si sosteneva, infatti, la impossibilitˆ di considerare il Ministero come soggetto danneggiato, (*) Dottore in Giurisprudenza, Specializzando in Professioni Legali, ha svolto la pratica forense presso lĠAvvocatura Generale dello Stato con gli Avvocati Massimo Giannuzzi e Alessandra Bruni, occupandosi, fra lĠaltro, di questioni attinenti la difesa delle Pubbliche Amministrazioni in processi penali, sia come responsabili civili che come parti civili. (1) L. 23 novembre 1939, n. 1966 e R.D. 22 aprile 1940, n. 531. in particolare, dalle contestate ipotesi di bancarotta. Accogliendo invece sul punto i rilievi e le argomentazioni dellĠAvvocatura dello Stato, il Giudice ha respinto le suddette eccezioni. LĠinteresse della presente vicenda sta quindi nella configurabilitˆ, ai danni del Ministero, di un pregiudizio derivante anche dai delitti di bancarotta, con conseguente legittimazione allĠesercizio del- lĠazione civile nel processo penale. Al fine di meglio comprendere le ragioni di tale legittimazione,  utile una breve ricognizione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale concernente lĠindividuazione dei beni giuridici tutelati (2), rispettivamente, dallĠart. 2638 c.c. e, soprattutto, dalle norme incriminatrici delle diverse tipologie di bancarotta. 2. Individuazione dellĠoggettivitˆ giuridica dei reati in contestazione: a) lĠart. 2638 c.c. Priva di significativi contrasti  la definizione della oggettivitˆ giuridica del reato di cui allĠart. 2638 c.c., quale introdotto dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 62 (3), rubricato Çostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanzaÈ. Tanto lĠipotesi delineata dal primo comma, quanto quella prevista dal secondo, sono poste a tutela delle funzioni di controllo dellĠattivitˆ da parte delle autoritˆ pubbliche di vigilanza (4). Isolata lĠopinione che ravvisa (2) Sulla rilevanza dellĠoggetto giuridico del reato, quale bene o interesse protetto dalla norma incriminatrice, ai fini della individuazione della persona offesa dal reato o soggetto passivo (dunque titolare del consenso scriminante e legittimato a proporre querela e istanza), v. F. ANTOLISEI, LĠoffesa e il danno nel reato, Istituto italiano dĠarti grafiche, Bergamo, 1930, pp. 108 e ss.; R.A. FROSALI, voce Soggetto passivo del reato, in Noviss. dig. it., vol. XVII, 1970, pp. 816 e ss.; M. GALLO, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, vol. I, Giappichelli, Torino, 2014, p. 194; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, ed. VII, Zanichelli, Bologna, 2014, p. 185; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, ed. IX, CEDAM, Padova, 2015, p. 225. Chiaro che, qualora dovesse ritenersi che anche le norme che puniscono la bancarotta tutelino interessi pubblicistici, riconducibili al Ministero, ne risulterebbe notevolmente agevolata la dimostrazione della legittimazione alla costituzione di parte civile: ci˜ stante la Çnormale coincidenza tra soggetto passivo e danneggiato dal reatoÈ (cos“ Cass., Sez. IV pen., 27 giugno 1979, Ghisotti, in Foro it., 1980, II, c. 488). Ferma comunque la possibilitˆ, in caso contrario, di qualificare comunque il MISE quale soggetto danneggiato dal reato, posto che ben pu˜ esservi un danneggiato che non sia persona offesa (cfr., per tutti, G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, ed. VIII, Giappichelli, Torino, 2013, p. 135). (3) LĠart. 11, lett. b), della legge delega per la riforma del diritto societario (l. 3 ottobre 2001, n. 336) conferiva al Governo il compito di Çarmonizzare e coordinare le ipotesi riguardanti falsitˆ nelle comunicazioni alle autoritˆ pubbliche di vigilanza, ostacolo allo svolgimento delle relative funzioni e omesse comunicazioni alle autoritˆ medesime da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societˆ, enti o soggetti sottoposti per legge alla vigilanza di tali autoritˆ anche mediante la formulazione di fattispecie a carattere generaleÈ. Esprime perplessitˆ relativamente alla sussistenza dei requisiti minimi necessari per il rispetto della riserva di legge in materia penale, a fronte della Çrelativa genericitˆ della delegaÈ, E. MUSCO, I nuovi reati societari, ed. III, Giuffr, Milano, 2007, pp. 288-289. Criticano invece la collocazione topografica della norma nel codice civile, anzichŽ nel contesto di un moderno codice penale, R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dellĠeconomia, ed. II, Giuffr, Milano, 2008, p. 203 e E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dellĠimpresa, ed. III, Zanichelli, Bologna, 2012, p. 220. il bene protetto nella veridicitˆ e completezza dellĠinformazione societaria (5). LĠorientamento maggioritario trae conferma dalla lettera della disposizione, in particolare dalla circostanza per cui le condotte incriminate devono realizzarsi Çnelle comunicazioni alle [É] autoritˆ [pubbliche di vigilanza] previste in base alla leggeÈ: dal che si ricaverebbe la specifica funzionalitˆ rispetto allo svolgimento effettivo delle funzioni di controllo (6). Il bene giuridico cos“ individuato, id est la funzione di controllo, viene ricondotto alla categoria dei Òbeni istituzionaliÓ (7), intesi quali beni Çfacenti capo ad enti pubblici (le autoritˆ di vigilanza), la cui integritˆ  strumentale alla salvaguardia di beni ulteriori, c.d. beni finaliÈ (8), da individuarsi nel corretto funzionamento del mercato (9). A sostegno del carattere strumentale dellĠinteresse al corretto esercizio della funzione di vigilanza, si adduce il fatto che alla sua realizzazione siano preposti soggetti pubblici, non portatori di interessi individuali di tipo patrimoniale (10). La scelta di una sanzione detentiva elevata  indice della particolare significativitˆ dellĠoggetto della tutela: lĠart. 2638 c.c. si connota cos“ per un profilo di particolare rigore, contro le offese alle funzioni di alta vigilanza relative alla salvaguardia del mercato e del pubblico risparmio, quali beni di rilevanza collettiva, anche in ossequio allĠart. 47, comma secondo, della Costituzione (11). (4) In questo senso E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290; C. SANTORIELLO, Il nuovo diritto penale delle societˆ, UTET, Torino, 2003, p. 347; A. ALESSANDRI, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, in ID. (a cura di), Il nuovo diritto penale delle societˆ. D. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, IPSOA, Milano, 2002, pp. 254-255; P. PALLADINO, Art. 2638 c.c., in F. GIUNTA (a cura di), I nuovi illeciti penali e amministrativi riguardanti le societˆ commerciali. Commentario del d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, Giappichelli, Torino, 2002, p. 207; S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autoritˆ di vigilanza, in Dir. pen. proc., 2002, p. 687. (5) B. ALBERTINI, Art. 2638 c.c., in A. LANZI - A. CADOPPI (a cura di), I nuovi reati societari, CEDAM, Padova, 2002, p. 185. (6) E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290. (7) F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale societario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, p. 597, che parla di Çentitˆ giˆ preformata dalla normativa societaria extrapenale. Detta funzione, la cui importanza non  certo dubbia, viene protetta dalle aggressioni al suo regolare svolgimento provenienti dai soggetti controllatiÈ. (8) R. ZANNOTTI, LĠostacolo allĠesercizio delle funzioni di vigilanza (art. 2638), in A. GIARDA S. SEMINARA (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, CEDAM, Padova, 2002, p. 582. (9) E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290. (10) C. SANTORIELLO, Il nuovo diritto penale delle societˆ, cit., p. 348; G. MESSINA, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, in G. CANZIO - L.D. CERQUA - L. LUPARIA (a cura di), Diritto penale delle societˆ, tomo I, I profili sostanziali, CEDAM, Padova, 2014, p. 556. Per una critica alla scelta di tutelare in sede penale lĠesercizio di una funzione, v. R. ZANNOTTI - A. MEYER, Le false comunicazioni sociali di cui allĠart. 134 T.U.L.B., in A. MEYER - L. STORTONI, Diritto penale della banca, del mercato mobiliare e finanziario, UTET, Torino, 2002, p. 171. E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 288 individua le ragioni di tale scelta, per un verso, in Çchiari interessi di ordine praticoÈ, per altro verso, in Çineludibili necessitˆ di apprestare forme strumentali e intermedie di tutela in vista della protezione di beni giuridici finaliÈ. In considerazione di ci˜, il corretto esercizio della funzione di vigilanza si pone come valore meritevole di protezione a prescindere dallĠaccertamento di danni o anche solo di pericoli, derivanti dalla sua violazione (12). La rilevanza penalistica delle condotte di falsitˆ o occultamento finalizzate ad ostacolare, cos“ come delle condotte di vero e proprio ostacolo, anche mediante omissioni, infatti, prescinde dalla lesione o messa in pericolo del bene finale (13). La fattispecie incriminatrice di cui allĠart. 2638 c.c., si  detto, funge da presidio preventivo, che scatta quando vengano violati obblighi informativi i quali, ove correttamente adempiuti, assicurano il corretto espletamento della attivitˆ di pubblica vigilanza, cos“ indirettamente proteggendo anche la sfera patrimoniale dei singoli, nei cui interessi quellĠattivitˆ  esercitata (14). LĠottica di prevenzione cos“ adottata dal legislatore delegato si spiega dunque con lĠimportanza del bene giuridico coinvolto, nonchŽ con la intrinseca natura istituzionale dello stesso, indispensabile per la realizzazione di interessi dei singoli, pur non essendo a questi riferibile (15). Nella medesima prospettiva si giustifica altres“ la rinuncia allĠinserimento di soglie di irrilevanza penale, configurandosi in tal modo una fattispecie priva di Çcontaminazioni privatistiche del tipoÈ, in linea con la rilevanza pubblicistica del bene tutelato (16). Anche la giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimitˆ, condivide le suddette argomentazioni: si  affermato che Çil bene giuridico tutelato dal reato di cui allĠart. 2638 c.c.  costituito dal regolare svolgimento dellĠesercizio delle funzioni di vigilanza svolte dalle autoritˆ pubbliche a dette funzioni preposteÈ (11) S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autoritˆ di vigilanza, cit., p. 687; E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 287; B. ALBERTINI, Art. 2638 c.c., cit., p. 185. La disposizione sembra dunque muoversi in una direzione opposta a quella dello spirito informatore della riforma del 2002, orientata invece verso un progressivo Çcongedo dal diritto penaleÈ della materia societaria: sul punto S. SEMINARA, Il diritto penale societario dopo le riforme: otto anni di giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Jus, 2011, pp. 71 e ss. (12) G. MESSINA, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, cit., p. 556. La Relazione Illustrativa qualifica la disposizione in parola come Çun capitolo importante per completare la tutela penale dellĠinformazione societaria, considerata, questa volta, nella sua destinazione allĠautoritˆ preposta alla vigilanzaÈ. (13) A. ALESSANDRI, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, cit., pp. 255-256. LĠAutore, sempre nellĠottica di differenziazione concettuale del bene strumentale da quello finale, sottolinea la diversitˆ strutturale tra il destinatario dellĠinformazione e i portatori degli interessi finali: Ǐ un soggetto unico, normalmente tenuto al segreto dĠufficio e dunque collocato al centro di una circolazione ÒriservataÓ di notizieÈ. (14) A.F. TRIPODI, Diritto penale e disciplina antitrust: le indicazioni provenienti dallĠanalisi economica del diritto e la prospettiva aperta dallĠart. 2638 c.c., in P. SIRACUSANO (a cura di), Scritti di diritto penale dellĠeconomia, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 125 e ss. (15) G. MESSINA, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, cit., p. 557: ÇlĠanticipazione della soglia di punibilitˆ [É] segnala, quindi, la prioritaria importanza che assume qui la gestione di un rischio pi che la repressione di unĠoffesa, di fatto non immediatamente ravvisabileÈ. (16) M.N. MASULLO, Art. 2638 c.c., in T. PADOVANI (a cura di), Le fonti del diritto italiano. Leggi penali dĠudienza, Giuffr, Milano, 2003, p. 1332. (17). Analogamente, risolvendo nel senso della continuitˆ normativa il rapporto fra il vecchio art. 134 del d.lgs. n. 385 del 1993 (in tema di tutela dellĠattivitˆ di vigilanza bancaria e finanziaria) ed il nuovo art. 2638 c.c., la Suprema Corte ha individuato il bene tutelato da entrambe le norme Çnella correttezza dei rapporti fra ente controllato ed ente controllante, al fine di consentire la piena legittimitˆ ed efficacia dellĠattivitˆ di controlloÈ (18); ovvero nella Çfunzione amministrativa di vigilanza tipica delle autoritˆ pubblicheÈ (19). Se dunque lĠindividuazione del bene giuridico protetto dallĠart. 2638 c.c. non pone particolari problemi, qualche incertezza solleva, allĠopposto, la delimitazione dellĠambito soggettivo di applicazione della norma, sotto il profilo passivo. Il generico riferimento alle Çautoritˆ pubbliche di vigilanzaÈ, infatti, non chiarisce se le autoritˆ, le cui funzioni di controllo ricevano tutela penale con la disposizione in parola, siano le sole autoritˆ operanti nel settore dei mercati finanziari (storicamente individuate in CONSOB, Banca dĠItalia e ISVAP), ovvero indistintamente tutte le autoritˆ amministrative progressivamente istituite nellĠordinamento, ovvero ancora le sole Autoritˆ preposte alla tutela di valori costituzionali (20). Parte della dottrina ritiene pertanto che la norma sia ÇÔidoneaĠ in astrattoÈ a tutelare le funzioni di ÇogniÈ autoritˆ di vigilanza, pur rimarcandone il difetto di determinatezza (21). Altri Autori, invece, propendono per unĠinterpretazione pi restrittiva della disposizione, incentrata sulla valorizzazione del significato (17) Trib. Milano - Ufficio G.I.P., ord. 25 gennaio 2005, Italaudit s.p.a, in Soc., 2005, pp. 1441 e ss. (18) Cass., Sez. V pen., 8 novembre 2002, n. 1252, Secchiero, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 916; Cass., Sez. V pen., 28 settembre 2005, n. 44704, Mangiapane, in Cass. pen., 2006, p. 1398. (19) Cass., Sez. VI pen., 24 ottobre 2005, n. 44234, Greco, in CED Cass. rv. 232849. (20) R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dellĠeconomia, cit., pp. 199-200: lĠAutore rileva come lĠespressione legislativa, incentrandosi esclusivamente sulla funzione, risulti priva di valenza tecnica, potendosi riferire tanto alle c.d. autoritˆ amministrative indipendenti, quanto a quelle di tipo tradizionale. La collocazione della disposizione, insieme al suo inserimento ad opera di un provvedimento mirante a disciplinare Çgli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le societˆ commercialiÈ e alla natura economica delle false informazioni, potrebbero deporre nel senso di una operativitˆ limitata alle autoritˆ di vigilanza sulle societˆ operanti nei mercati finanziari. Lo ÒSchema di disegno di legge delega per la riforma del diritto societarioÓ (c.d. progetto Mirone), immediato precedente del provvedimento in cui  inserito lĠart. 2638 c.c., allĠopposto, lascia intendere che le autoritˆ pubbliche di vigilanza rientranti nel- lĠambito applicativo della norma siano tutte quelle operanti nellĠordinamento. Cfr. anche G. LOVECCHIO MUSTI, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza (art. 2638), in A. ROSSI (a cura di), I reati societari, UTET, Torino, 2005, p. 245. (21) R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dellĠeconomia, cit., p. 201; ID., LĠostacolo allĠesercizio delle funzioni di vigilanza (art. 2638), cit., p. 478. Nello stesso senso anche L. FOFFANI, La riforma dei reati societari: riflessi sulla disciplina delle banche e degli intermediari finanziari, in A. MEYER - L. STORTONI, Diritto penale della banca, del mercato mobiliare e finanziario, cit., pp. 492 e ss.; S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autoritˆ di vigilanza, cit., p. 687, che significativamente parla di Çincriminazione caratterizzata solo dalla qualitˆ dei soggetti attivi [É] e dallĠoggetto della comunicazione [É] ma totalmente cieca dinanzi alla tipologia della vigilanza esercitata dallĠautoritˆ, che pu˜ spaziare dai comparti finanziario, bancario e assicurativo fino alla concorrenza, alle comunicazioni, ai servizi pubblici a rete, ecc.È. tecnico del termine ÒvigilanzaÓ, come inteso nellĠambito del controllo demandato alla Banca dĠItalia: in questo senso, Çautoritˆ pubbliche di vigilanzaÈ sarebbero solo quelle dotate di un potere di tipo ispettivo, consistente nel Çcontrollo preventivo e successivo su determinate fasi o momenti di attivitˆ dei soggetti [ad esso] sottoposti, al fine di garantire, prima che accadano negative ricadute sul mercato, lĠaffidabilitˆ di tali soggetti nel loro rapporto con il pubblicoÈ (22). Anche la giurisprudenza sembra alternare letture pi restrittive della disposizione (23), fondate sullĠaccoglimento del concetto tecnico di ÒvigilanzaÓ e del conseguente criterio del potere ispettivo (24), ad interpretazioni pi esten (22) Cos“ A. ALESSANDRI, Ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche di vigilanza, cit., p. 257. Condividono questa interpretazione E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 289; A. LORETO, Art. 2638, in F. GALGANO (a cura di), Commentario breve al codice civile, La Tribuna, Piacenza, 2006, p. 2285. Evidenzia gli effetti paradossali cui condurrebbe una dilatazione del concetto di autoritˆ di vigilanza al di lˆ della voluntas legis A. ALESSANDRI, Diritto penale e attivitˆ economiche, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 269: molteplici sono le situazioni in cui  riscontrabile la presenza di ÒautoritˆÓ cui sono attribuiti compiti di vigilanza su determinati settori o soggetti, quali la Asl o il veterinario pubblico; deve tuttavia ritenersi che Çnon erano queste le autoritˆ che aveva di mira il legislatore della riformaÈ. V. anche F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale societario, cit., p. 601, che include nel novero delle autoritˆ di cui allĠart. 2638 c.c., oltre a CONSOB e Banca dĠItalia, anche ISVAP, COVIP, AGCOM e AGCM (per lĠinserimento di questĠultima si pronuncia anche A.F. TRIPODI, Possibilitˆ di un intervento penale nella disciplina antitrust, in Giur. comm., 2006, p. 542), mentre esclude le autoritˆ di regolazione del mercato, intese principalmente al controllo della qualitˆ dei prodotti e dei prezzi (come lĠAutoritˆ di regolazione dei servizi di pubblica utilitˆ). Per una critica alla distinzione cos“ tracciata fra autoritˆ di vigilanza (o garanti) e autoritˆ di regolazione del mercato (anche in considerazione della frequente coincidenza delle due nature nel medesimo soggetto), v. ancora R. ZANNOTTTI, Il nuovo diritto penale dellĠeconomia, cit., p. 201 e L. FOFFANI, Ostacolo alle funzioni di vigilanza e tutela penale delle autoritˆ indipendenti: unĠanticipazione del diritto penale del futuro?, in A.R. CASTALDO (a cura di), Il diritto penale del futuro, Centro Stampa Fondazione Unisa, Salerno, 2006, pp. 104 e ss. (23) Cass., Sez. V pen., 11 febbraio 2013, n. 28070, Dispenza, in CED Cass. rv. 255565, secondo cui Çnon integra il delitto di ostacolo allĠesercizio delle funzioni delle autoritˆ pubbliche lĠomissione di comunicazioni dovute allĠAutoritˆ per lĠenergia elettrica ed il gasÈ (autoritˆ che, invece, la dottrina da ultimo citata indica quale esempio paradigmatico della commistione fra natura di vigilanza e di regolazione). (24) Cass., Sez. VI pen., 24 ottobre 2005, n. 44234, Greco, cit. che ha escluso dal novero delle autoritˆ di cui allĠart. 2638 c.c. lĠUfficio italiano dei cambi, al quale non  riferibile quel Çpotere di tipo ispettivo funzionale ad esercitare un controllo preventivo e successivo sullĠattivitˆ dei soggetti sottoposti, al fine di garantirne lĠaffidabilitˆ nel mercato e nel rapporto con il pubblicoÈ, dal momento che lĠUIC Çsvolge funzioni in materia di prevenzione e di contrasto, sul piano finanziario, del riciclaggio di denaro di provenienza illecita e dellĠusura soprattutto attraverso il sistema delle segnalazioni di operazioni sospette, che devono essere segnalate da banche, intermediari finanziari, imprese non finanziarie e anche da liberi professionisti. Si tratta di una funzione che non ha ad oggetto immediato il controllo di tali soggetti, ma  direttamente connessa allĠattivitˆ di contrasto della criminalitˆ economica sotto il profilo finanziarioÈ. Pi di recente, Cass., Sez. V pen., 31 ottobre 2014, n. 10108, Penocchio, in CED Cass. rv. 262629, che ha ricompreso fra le autoritˆ di vigilanza la FIGC, Çposto che a questa  riconosciuta la titolaritˆ di un potere ispettivo e di controllo di rilevanza pubblicistica attinente alla regolaritˆ della gestione delle societˆ professionistiche di calcioÈ; la sentenza ritiene comunque non condivisibile lĠassunto Çsecondo cui lĠart. 2638 c.c., pretenderebbe una interpretazione costituzionalmente orientata che escluda dal suo ambito di operativitˆ tutte le condotte di ostacolo alla vigilanza che non fossero giˆ previste e regolate da discipline diverse, preesistenti alla riforma del 2002È. sive, in cui pare privilegiarsi la finalitˆ pubblicistica del controllo (25). 3. (segue): b) i delitti di bancarotta. Ben pi contrastata , invece, la ricostruzione dellĠoggettivitˆ giuridica dei delitti di bancarotta: molteplici sono le opinioni che la dottrina, non solo penalistica, ha espresso al riguardo. i) Un primo indirizzo (26) inquadra la bancarotta, nelle sue varie forme, fra i reati contro lĠamministrazione della giustizia, sotto il profilo della tutela penale del processo, sul presupposto che i reati fallimentari, considerati nella loro globalitˆ, sono costituiti da fatti che, in modo diretto ovvero indiretto, tendono a frustrare le finalitˆ della legge fallimentare (27). QuestĠultima tutela infatti il diritto di credito non giˆ da un punto di vista individuale, bens“ da quello dellĠinteresse pubblicistico al massimo soddisfacimento di tutti i creditori secondo il criterio della par condicio. Le norme incriminatrici si basano quindi sulla concezione dei creditori come massa, che funge da presupposto ÒconcorsualeÓ: di qui la natura pubblicistico-processuale dellĠinteresse giuridico immediatamente leso, coincidente con il processo esecutivo concorsuale (28). Questi Autori considerano pertanto le procedure concorsuali come espressione di un interesse pubblicistico, riferibile allĠintera collettivitˆ e relativo alle modalitˆ di risoluzione dei molteplici problemi conseguenti al dissesto dellĠimpresa commerciale. Il che troverebbe conferma nel fatto che le stesse disposizioni penali trovino applicazione indipendentemente dalla tipologia della procedura concorsuale in corso di svolgimento (29). Nello specifico, con riguardo alle diverse tipologie di bancarotta, questo orientamento dottrinario (30) individua gli interessi oggetto di offesa nei seguenti: interesse alla legittima instaurazione delle procedure concorsuali (31) (25) Cass., Sez. III pen., 29 maggio 2013, n. 28164, M., in CED Cass. rv. 257142: Çrientra nella fattispecie di reato di cui allĠart. 2638 cod. civ., lĠostacolo frapposto allĠesercizio delle funzioni della Commissione di Vigilanza sulle Societˆ di Calcio Professionistiche, organo che ai sensi dellĠart. 20, comma quarto, dello Statuto del C.O.N.I. assume specifica funzione pubblicisticaÈ. (26) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Giuffr, Milano, 1955, pp. 24 e ss.; ID., voce Fallimento (reati in materia di), in Enc. dir., vol. XVI, 1967, p. 478; F. CARNELUTTI, Appunti sulla natura della bancarotta, in Riv. dir. proc., 1957, pp. 1 e ss; F. ANTONIONI, La bancarotta semplice, Jovene, Napoli, 1962, p. 29 (pur con una impostazione particolare); A. LANZI, Riflessi penali delle procedure concorsuali vecchie e nuove, in Ind. pen., 1982, p. 231; M. LA MONICA, I reati fallimentari, IPSOA, Milano, 1972, pp. 68 e ss.; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Giappichelli, Torino, 2000, pp. 13 e ss. (27) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 478 che cos“ individua le suddette finalitˆ: Çricostruzione documentale del patrimonio e del movimento degli affari, conservazione dei beni dellĠimprenditore e loro distribuzione ai creditori secondo i principi della par condicioÈ. (28) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, cit., p. 25. (29) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., p. 14. (30) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 480 e ss. (31) Posto che lĠattivitˆ giurisdizionale deve svolgersi al momento opportuno, anche nellĠambito delle procedure concorsuali, lĠazione deve essere promossa al ricorrere dei relativi presupposti, mentre (bancarotta semplice consistente nel fatto dellĠimprenditore che Çha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimentoÈ di cui allĠart. 217, comma primo, n. 4, l. fall.; bancarotta fraudolenta consistente nel fatto delle persone preposte allĠamministrazione delle societˆ commerciali che Çhanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della societˆÈ di cui allĠart. 223, comma secondo, n. 2, l. fall. (32)); interesse alla conservazione dei beni dellĠimprenditore insolvente (33) (bancarotta fraudolenta patrimoniale dellĠimprenditore individuale di cui allĠart. 216, comma primo, n. 1 e comma 2, l. fall. e degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societˆ di cui allĠart. 223, comma primo, l. fall.; bancarotta semplice patrimoniale di cui agli artt. 217, comma primo e 224 l. fall.); interesse alla par condicio creditorum (bancarotta preferenziale di cui allĠart. 216, comma terzo, l. fall.) (34); interesse alla conservazione e alla veridicitˆ della prova (bancarotta fraudolenta documentale di cui agli artt. 216, comma primo, n. 2 e comma 2 e 223, comma primo, l. fall.; bancarotta semplice documentale di cui allĠart. 217, comma secondo, l. fall.). Diverse le critiche mosse alla tesi che annovera la bancarotta fra i reati contro lĠamministrazione della giustizia. Autorevole dottrina (35) ha rimarcato come essa poggi sul presupposto che le norme incriminatrici della bancarotta considerino, in ogni caso, i creditori come massa, senza il quale sarebbe inconcepibile il vincolo processuale sui beni del debitore e sui mezzi di prova. Tale presupposto, tuttavia, sarebbe configurabile solo per le ipotesi di bancarotta post-fallimentare, non anche in relazione a quelle antecedenti alla dichiarazione di fallimento, che pure costituiscono la grande maggioranza dei casi: la formazione della massa dei creditori, infatti,  condizionata allĠapertura della procedura, mentre non  configurabile prima della stessa. Ragione per cui la tesi qui criticata subordina la punibilitˆ della bancarotta pre-fallimentare non deve essere promossa ove questi difettino: di qui il dovere di promuovere lĠazione e quello di non promuoverla inutilmente, cui corrispondono norme dirette, da un lato, a stimolare lĠattivitˆ dei soggetti tenuti a portare a conoscenza dellĠautoritˆ giudiziaria una domanda o una notizia, dallĠaltro, ad impedire che lĠautoritˆ giudiziaria sia chiamata al compimento di atti inutili o dannosi a seguito di notizie prive di fondamento o domande temerarie. (32) Sebbene questo reato debba principalmente annoverarsi tra quelli contro la pubblica economia, ritiene lĠAutore che ad esso possa ricondursi anche il fatto di chi dolosamente chieda il fallimento della societˆ in mancanza dei relativi presupposti, cio simulando uno stato di insolvenza in realtˆ inesistente. (33) I reati che offendono questo interesse si caratterizzano per il fatto che il debitore o un terzo, tramite le azioni pi diverse, sottraggono o comunque tentano di sottrarre a tutti i creditori indiscriminatamente i beni sui quali essi dovrebbero soddisfarsi in via coattiva o sostitutiva. (34) Secondo lĠAutore in questa norma  particolarmente evidente lĠesigenza pubblicistica di impedire sperequazioni fra i creditori; la minor pena rispetto alla bancarotta fraudolente, tuttavia, si giustifica col fatto che il fatto non  diretto a frodare genericamente i creditori, ma solo a favorire taluno di essi. (35) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, vol. II, Reati fallimentari. Reati ed illeciti amministrativi in materia tributaria, di lavoro, ambientale e urbanistica. Responsabilitˆ degli enti, ed. XIII, a cura di C.F. GROSSO, Giuffr, Milano, 2014, pp. 30-31. al verificarsi dello stato di insolvenza, presupposto della procedura concorsuale (36). Ancora, muovendo dalla natura strumentale delle procedure concorsuali, si  sottolineato come il proficuo svolgimento delle stesse rappresenti non un fine, bens“ un mezzo per la tutela del credito, pur collettivamente inteso (37). ii) Altra opinione, distinguendo fra norme ÒciviliÓ e ÒpenaliÓ in materia di fallimento, riconduce alle prime la salvaguardia dei diritti dei creditori, ravvisando invece lĠoggetto della tutela penale nellĠinteresse, sociale, al corretto andamento delle relazioni economiche (38): la bancarotta viene cos“ annoverata fra i reati contro lĠeconomia pubblica (39). In tal senso deporrebbe la natura della bancarotta come reato proprio dellĠimprenditore commerciale: posto che per questĠultimo il ricorso al credito  fisiologico ed abituale, lĠinsolvenza connessa alle condotte di bancarotta ingenera un senso di sfiducia nei potenziali investitori, il quale a sua volta si ripercuote negativamente sullĠeconomia generale; senza contare la possibilitˆ che i creditori dellĠinsolvente potrebbero, a loro volta, trovarsi in difficoltˆ nellĠadempiere ai propri obblighi, con conseguente dissesto a catena lesivo dellĠintero sistema economico. Anche il rigore delle risposte sanzionatorie dimostrerebbe come il legislatore abbia tenuto conto di questa frequente diffusivitˆ dei danni, in funzione di tutela della pubblica economia. (36) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 481 precisa che la bancarotta (fraudolenta o semplice) patrimoniale offende lĠinteresse alla conservazione dei beni dellĠimprenditore ÇÒinsolventeÓ: infatti, a nostro avviso, non  possibile, anche per i reati prefallimentari, retroagire indefinitamente nel tempo. Ciascuno ha diritto di disporre e di lasciar disporre liberamente dei propri beni fino al momento in cui, divenuto impossibile il normale soddisfacimento delle obbligazioni, subentra il vincolo in favore dei creditori. E tale momento  rappresentato dallĠinizio dello stato di insolvenzaÈ. Questa la conclusione cui lĠAutore sarebbe ÇcostrettoÈ secondo F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., p. 31, il quale ricava dalla inaccettabilitˆ della stessa (non potendo ammettersi la non punibilitˆ dei fatti di bancarotta che hanno cagionato lĠinsolvenza e che quindi la precedono, come la distrazione di beni in un fallimento preordinato, stante la contrarietˆ con la lettera e gli scopi della legge) non poche perplessitˆ circa la correttezza dellĠintera ricostruzione. Condivide questa critica L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), in Dig. disc. pen., vol. V, 1991, pp. 14-15 che sottolinea il ÇdisagioÈ del Nuvolone, Çrivelato dallĠessersi egli indotto, senza altro motivo se non la necessaria coerenza colle premesse poste, a classificare sotto un distinto angolo di visuale le figure di bancarotta in cui il delitto si perfeziona colla causazione dellĠinsolvenza (per es.: i fatti di bancarotta fraudolenta impropria di cui allĠart. 223, n. 2, l. fall., che vengono collocati tra i delitti contro lĠeconomia pubblica)È. (37) In questo senso E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dellĠimpresa, cit., p. 285 e G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), in Enc. dir., Annali VI, 2013, p. 295. (38) L. BOLAFFIO, La bancarotta della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1929, pp. 613 e ss. (39) A. CANDIAN, Della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1935, pp. 218 e ss.; G. NOTO SARDEGNA, I reati in materia di fallimento, Priulla, Palermo, 1940, p. 63; C. DĠAVACK, La natura giuridica del fallimento, CEDAM, Padova, 1940, pp. 20 e ss.; G. DE GENNARO, Teoria della bancarotta, Napoli, 1929, p. 38 (limitatamente per˜ alle ipotesi di bancarotta pre-fallimentare); A. BERENINI, Delitti contro lĠeconomia pubblica, lĠindustria e il commercio, in E. FLORIAN (a cura di), Trattato di diritto penale, ed. IV, Vallardi, Milano, 1937, pp. 17 e ss.; C. ALFANI, voce Bancarotta, in Dig. it., vol. V, 1926, p. 132; F. GRISPIGNI, La bancarotta e la nuova legge in preparazione sul fallimento, in Riv. dir. comm., 1941, p. 136. In questĠottica si  ulteriormente precisato (40) che il bene giuridico tutelato consiste nellĠÇordinato esercizio del commercioÈ, inteso non in senso giuridico, bens“ squisitamente economico: non quale conformitˆ dellĠesercizio del commercio alle norme giuridiche che lo disciplinano, ma quale rispondenza dellĠattivitˆ commerciale ai principi di una sana economia, principi lesi dai vari fatti di bancarotta (41). Anche questa ricostruzione  andata incontro a molteplici obiezioni. Anzitutto si  contestata la stessa utilitˆ, ai fini dellĠesegesi della figura delittuosa, della formula, eccessivamente generica, astratta ed evanescente, Òeconomia pubblicaÓ (42). In secondo luogo, pur non potendosi negare che il legislatore prenda in considerazione anche gli interessi della pubblica economia, essi tuttavia restano Çcomunque sullo sfondo e non appartengono al nucleo indefettibile dellĠoggettivitˆ giuridicaÈ (43): le conseguenze negative sullĠeconomia generale, si  detto, rappresentano solo un effetto indiretto dei reati di bancarotta che pu˜ aggiungersi alla lesione del diverso bene giuridico specificamente tutelato -, anzi possono derivare anche dal solo fatto dellĠinsolvenza, pur in mancanza di profili di rilevanza penale della condotta (44). Di qui lĠequivoco di Çconfondere il motivo della tutela con lĠinteresse tutelato, lĠoggetto immediato del reato con quello mediatoÈ (45). (40) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Priulla, Palermo, 1957, pp. 32 e ss., oggi anche in ID., Il diritto penale fra norma e societˆ. Scritti 1956-2008, Vol. III, Altri scritti - I, Giuffr, Milano, 2009, pp. 27 e ss. (41) Deve invece escludersi che il bene giuridico cos“ individuato sia leso dallĠinsolvenza in sŽ considerata, potendo essa verificarsi, come fatto oggettivo, anche in mancanza di qualsivoglia violazione dei principi di una sana economia. (42) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 14 che sottolinea lĠincertezza che ne deriva in ordine allĠindividuazione del soggetto passivo del reato; G. COCCO, La bancarotta preferenziale, Jovene, Napoli, 1987, p. 108; C. PEDRAZZI, Art. 216, in C. PEDRAZZI - F. SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, a cura di F. GALGANO, Zanichelli-Il foro italiano, Bologna-Roma, 1995, p. 9; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., p. 10. Secondo A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 27 il rilievo si supera assumendo ad oggetto di tutela lĠordinato esercizio del commercio, nel suo significato economico. (43) Cos“ C. PEDRAZZI, Reati fallimentari, in C. PEDRAZZI - A. ALESSANDRI - L. FOFFANI - S. SEMINARA - G. SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dellĠimpresa. Parte generale e reati fallimentari, Monduzzi, Bologna, 2003, p. 103. (44) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 14; E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI -M. RONCO, Diritto penale dellĠimpresa, cit., p. 284; G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 295; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 10 e ss., che critica la confusione tra danno derivante da insolvenza o fallimento e danno derivante dalla bancarotta: il fatto di bancarotta, Çper quanto grave possa essere la condotta posta in essere non avrˆ mai efficacia lesiva tale da danneggiare gli interessi patrimoniali dellĠintera collettivitˆÈ. Contra A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 28: Çal rilievo fondato sulla normale esiguitˆ della lesione alla pubblica economia, si pu˜ anche obiettare che, perchŽ sussista la lesione di un bene giuridico, non ha rilevanza il profilo quantitativo, ma solo lĠaspetto qualitativo dellĠoffesa [É] sicchŽ non  possibile argomentare dalle dimensioni del- lĠeconomia generale, per escludere che la bancarotta sia un reato contro la pubblica economiaÈ. iii) LĠorientamento prevalente (46) considera invece la bancarotta come un reato contro il patrimonio: oggetto della tutela sono cio gli interessi patrimoniali dei creditori, la cui soddisfazione  pregiudicata, o comunque messa in pericolo, dai fatti di bancarotta. Pi in particolare si distingue (47) fra diritto dei creditori alla garanzia patrimoniale, vanificato dalle condotte dellĠimprenditore volte a depauperare il patrimonio posto a salvaguardia delle pretese creditorie (bancarotta patrimoniale, sia fraudolenta che semplice); diritto dei creditori alla distribuzione egualitaria dei beni dellĠimprenditore secondo il principio della par condicio, pregiudicato da comportamenti che, pur non sminuendo nel complesso la garanzia patrimoniale, sono volti a favorire alcuni creditori in danno di altri (bancarotta preferenziale). Nella stessa prospettiva, anche la bancarotta documentale tutela le aspettative patrimoniali dei creditori, stante la strumentalitˆ, rispetto allĠesito fruttuoso della procedura fallimentare, della regolare tenuta della contabilitˆ (48). La maggioranza degli autori, comunque, ravvisa lĠoggetto giuridico nel diritto di credito vantato da chi abbia intrattenuto rapporti economici con lĠimpresa (49). (45) Come rilevato da G. DELITALA, LĠoggetto della tutela nel reato di bancarotta, in Studi in onore di Silvio Longhi, Roma, 1935, p. 285. Osserva al riguardo L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 14: Çaltra cosa  il motivo per cui la societˆ fa luogo allĠincriminazione dei reati, altra cosa  il modo con cui raggiunge tale fine ultimo col mezzo della protezione immediata di determinati interessi specifici, che si risolve nella protezione mediata di altri interessi di carattere pi generale [É] se lĠevento giuridico va inteso come lĠoffesa del bene immediatamente protetto, non vĠ dubbio che tale non pu˜ ritenersi la pubblica economiaÈ. (46) G. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. dir. comm., 1926, p. 458; ID., LĠoggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit., pp. 283 e ss.; S. LONGHI, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Societˆ editrice libraria, Milano, 1930, pp. 160 e ss.; G. VASSALLI, La tutela penale del credito nel progetto vaticano di codice di procedura civile, in Riv. it., 1938, p. 162; M. PUNZO, Il delitto di bancarotta, UTET, Torino, 1953, p. 28; L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 15-16; C. PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., p. 104; E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dellĠimpresa, cit., p. 284; U. GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giappichelli, Torino, 2012, p. 14; G.L. PERDONñ, I reati fallimentari, in A. MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dellĠimpresa, CEDAM, Padova, 2010, pp. 327 e ss.; S. PROSDOCIMI, Tutela del credito e tutela dellĠimpresa nella bancarotta prefallimentare, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, pp. 131 e ss.; G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 295-296. (47) Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., p. 25; E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI M. RONCO, Diritto penale dellĠimpresa, cit., p. 283; L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 13. (48) Ci˜ per un duplice ordine di ragioni: lĠesatta ricostruzione del patrimonio e delle operazioni effettuate consente lĠindividuazione dei beni aggredibili, immediatamente o previo esercizio di azioni revocatorie o declaratorie di inefficacia; dallĠaltro lato, viene in evidenza lĠeffetto deterrente, rispetto ad operazioni distruttive o sconsiderate, dellĠobbligo di dar conto di ogni operazione. (49) V. in particolare G. DELITALA, LĠoggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit., p. 284, che individua un triplice fronte di tutela del diritto in parola: contro gli atti del debitore di illecita disposizione dei propri beni; contro la violazione dellĠobbligo di estensibilitˆ del patrimonio imposto dalle disposizioni in materia di scritture contabili; contro il favoreggiamento di alcuni creditori in danno della massa. Argomenti a sostegno dellĠindividuazione del bene giuridico nellĠinteresse patrimoniale dei creditori si sono desunti dalla struttura delle formule normative le quali, criminalizzando atti di illecita disposizione di beni, esposizione o riconoscimento di passivitˆ inesistenti, distruzione o alterazione o irregolare tenuta dei mezzi di ricostruzione del patrimonio e degli affari del debitore, mirano a proteggere una pluralitˆ di interessi a carattere, appunto, patrimoniale dei portatori di ragioni di credito (50). In senso contrario si  contestata lĠesistenza di un diritto di garanzia o di obbligazione o di credito quale oggetto giuridico dei reati di bancarotta (51). Obiezione cui i sostenitori della tesi qui in esame replicano rilevando che oggetto di tutela penale possono essere anche semplici interessi, nellĠambito dei quali Çappare scolpito lĠoggetto giuridico della bancarotta, che diviene, cos“, elemento di tutela Òdegli interessi patrimonialiÓ dei creditoriÈ (52). Anche lĠidentificazione del bene giuridico nei semplici interessi patrimoniali dei creditori, tuttavia,  stata oggetto di critiche (53), fondate sui seguenti argomenti: la lesione dellĠinteresse patrimoniale dei creditori non si riannoda ai fatti di bancarotta, bens“ allĠinsolvenza, estranea alla struttura del reato (54); lĠinteresse patrimoniale  tutelato solo in rapporto al proprio titolare, dovendo appartenere ad un soggetto passivo ben determinato, il che nella bancarotta non avviene; non si spiegherebbe perchŽ le medesime condotte, ugualmente pregiudizievoli degli interessi patrimoniali dei creditori, poste in essere da soggetto diverso dallĠimprenditore, non integrino bancarotta; non troverebbe sufficiente giustificazione lo stesso requisito della dichiarazione di fallimento; Cfr. anche G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 295 (secondo cui lĠoggetto giuridico dei delitti di bancarotta Çdeve essere individuato Ònel diritto di credito in quanto taleÓÈ) e S. PROSDOCIMI, Tutela del credito e tutela dellĠimpresa nella bancarotta prefallimentare, cit., p. 138 (ÇnellĠambito della bancarotta patrimoniale [É] la tutela del credito appare, dunque, assolutamente predominante ed assorbenteÈ). (50) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 15 secondo cui Çsi tratta dellĠinteresse allĠintegritˆ della garanzia ex art. 2740 c.c., e, in funzione del medesimo, dellĠinteresse a conoscere lĠentitˆ e natura dei beni del debitore (donde la protezione delle scritture), dellĠinteresse ad ottenere [É] un soddisfacimento pronto e nella maggior misura possibile e infine dellĠinteresse alla tutela del proprio credito in modo conforme alla legge di fronte al concorso dei crediti altrui (ci˜ che spiega perchŽ sia represso il favoreggiamento dei creditori)È. (51) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 10 e ss. (52) G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 296; cfr. anche L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 13 e F. TAGLIARINI, I reati fallimentari, in G. INSOLERA - R. ACQUAROLI (a cura di), Problemi attuali del diritto penale dellĠimpresa, Nuove Ricerche, Ancona, 1997, p. 65. (53) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 13 e ss. (54) A questa obiezione replica L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 13-14: Ça prescindere dal fatto che lĠoffesa allĠinteresse patrimoniale dei creditori non pu˜ essere spostata innanzi e riferita al solo momento del verificarsi dellĠinsolvenza, non basta dire che questĠultima  estranea alla struttura del reato di bancarotta per affermare che della medesima non si debba tener conto nella ricerca sul contenuto dellĠoffesa. Basta pensare alla funzione della sentenza dichiarativa di fallimento, la quale appunto accerta lĠinsolvenza ai fini della punibilitˆ dellĠautore, per comprendere come la insolvenza stessa debba essere considerata in sede di indagine sullĠinteresse protettoÈ. la previsione di ipotesi di bancarotta colposa sarebbe incoerente con la normale punibilitˆ dei reati patrimoniali a solo titolo di dolo. Si  ulteriormente precisato che, fino al momento in cui il creditore non abbia aggredito i beni del debitore, su questĠultimo non incombe alcun dovere nŽ alcuna limitazione in ordine alla libera disponibilitˆ dei propri beni. Con la conseguenza che il bene giuridico non pu˜ identificarsi con il patrimonio dei creditori, essendo i loro interessi patrimoniali tutelati non di per sŽ, ma solo in quanto si inseriscano in una procedura concorsuale (55). iv) UnĠopinione pi risalente inquadra la bancarotta fra i reati contro la fede pubblica (56), sul rilievo che le relazioni commerciali si fondano sulla fiducia nella reciproca lealtˆ, assolutamente necessaria per lo svolgimento delle stesse, ragion per cui non di fede privata si tratterebbe, ma di fede pubblica, intesa come fiducia usuale che lĠordinamento dei rapporti commerciali e la sua attuazione pratica ingenerano tra i consociati. Questa concezione di fede pubblica, tuttavia, non collima con quella di Òfiducia che la societˆ ripone negli oggetti, nei segni e nelle forme esterioriÓ che individua la nozione tecnica di tale bene giuridico (57). Si  altres“ rilevato (58) che nei reati contro la fede pubblica lĠoggetto della tutela , in realtˆ, il mezzo di prova (59), che  tale solo se vi si ripone fiducia: di qui la coincidenza fra dire che oggetto di tutela  la fiducia che si ripone nel mezzo di prova e dire che il mezzo di prova  oggetto di tutela. Coincidenza che invece non si verifica nel caso della bancarotta: se pure  vero che la reiterata violazione delle norme penali fallimentari farebbe venir meno la fiducia indispensabile allo svolgimento dei rapporti commerciali, ci˜ tuttavia non vale ad individuare nella fede pubblica lĠoggetto di tutela, che sarˆ al contrario quellĠinteresse la cui lesione determina il venir meno della fiducia. Maggiormente fondata potrebbe apparire la tesi della bancarotta come (55) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 8-9. Contra L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 15 secondo cui non pu˜ negarsi che la difesa del credito si concreti in una difesa del patrimonio di chi lo fa valere, essendo pacifico che i crediti vadano computati tra le attivitˆ patrimoniali, nŽ potrebbe Çopporsi il fatto che la legge mira alla tutela non tanto dellĠinteresse del creditore singolo, quanto dellĠinteresse comparativo di tutti i creditori [É]. Questo incontestabile rilievo non vale di per sŽ ad escludere il carattere patrimoniale dellĠinteresse di massa preso in considerazione e a trasformarlo [É] in un interesse pubblicistico processuale. Data la funzione tipicamente strumentale del processo, occorre aver riguardo agli interessi sostanziali che nel regolare sviluppo di quello trovano tutela, tra i quali resta in prima linea la protezione del patrimonio dei creditori, sia pure attuata armonizzando e contemperando le ragioni di questi ultimi, prese in considerazione nel loro complessoÈ. (56) F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Parte speciale, vol. VII, Lucca, 1874, ¤ 3359 (e autori ivi citati). (57) Se ne ricava che la fede pubblica non possa costituire oggetto giuridico della bancarotta: in tal senso C. ALFANI, voce Bancarotta, cit., pp. 133 e ss.; G. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, cit., pp. 458 e ss.; ID., LĠoggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit., pp. 284 e ss. (58) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 21-22. (59) F. CARNELUTTI, Teoria del falso, CEDAM, Padova, 1935, pp. 2 e ss. reato contro la fede pubblica in relazione alla bancarotta documentale, che alcuni autori ritengono integri vere e proprie ipotesi di falso materiale e falso ideologico in scrittura privata (60). Anche con riferimento a queste fattispecie, tuttavia, si  obiettato che i reati di falso si caratterizzano per la tipicizzazione di un mezzo specifico per un fine generico, ben potendosi quindi fare riferimento non al fine, indeterminato, ma al mezzo nella ricostruzione dellĠoffesa, identificandola con la lesione di un interesse relativo alla prova. Nella bancarotta documentale fraudolenta, invece, anche il fine  tipicizzato (sottrazione della garanzia ai creditori), dovendosene quindi tener conto nella ricostruzione della oggettivitˆ giuridica, che non si differenzierˆ da quella della bancarotta fraudolenta patrimoniale (61). Anche per quanto riguarda la bancarotta documentale semplice si  rimarcata la necessitˆ di tener conto dellĠintera struttura della fattispecie nella ricostruzione dellĠoggetto giuridico (qualifica del soggetto attivo, oggetto materiale, funzione del fallimento, riunione delle ipotesi documentali e patrimoniali nella stessa disposizione): di nuovo, quindi, dovrˆ concludersi per la coincidenza fra oggetto giuridico della bancarotta patrimoniale e di quella documentale (62). v) Una sorta di tentativo di sintesi tra le opinioni suddette possono considerarsi le teorie della natura plurioffensiva dei reati di bancarotta. Il pi autorevole sostenitore (63) della necessitˆ di riconoscere una pluralitˆ di interessi tutelati dalle norme sulla bancarotta, muove dalla critica alla concezione della stessa come reato contro lĠamministrazione della giustizia, circoscrivendone lĠaccoglibilitˆ alle sole fattispecie di bancarotta post-fallimentare, con la precisazione per˜ che esse offendono anche altri interessi. Questi ulteriori interessi devono individuarsi, anzitutto, in quelli patrimoniali dei creditori (64), che quindi rientrano nellĠoffensivitˆ giuridica, senza tuttavia esaurirla, pena una visione angusta ed unilaterale del fenomeno dellĠinsolvenza, che trascura le gravi ripercussioni che ne derivano sul piano dellĠeco (60) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, cit., pp. 263 e ss. Deve per˜ precisarsi che questo Autore ritiene che nei reati di falso lĠoggetto di tutela sia ÇlĠinteresse al cui soddisfacimento lĠatto  predisposto nel sistema dellĠordinamento giuridicoÈ (p. 34), per cui anche le ipotesi di bancarotta documentale, come si  visto supra, offendono un interesse di tipo processuale (p. 36). (61) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 23. V. anche C. ALFANI, voce Bancarotta, cit., pp. 133 e ss. e G. DELITALA, LĠoggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit. pp. 284 e ss., che riferiscono lĠargomentazione a tutte le ipotesi di bancarotta documentale, ritenendola sufficiente ad escludere che anche la bancarotta documentale semplice sia reato contro la fede pubblica. (62) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 24. (63) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., pp. 31 e ss. (64) Questi ultimi non sono limitati alla conservazione della garanzia patrimoniale, ma ricomprendono: lĠinteresse a conoscere la consistenza del patrimonio del debitore e i il movimento dei suoi affari; lĠinteresse al trattamento paritario in caso di insolvenza; lĠinteresse ad essere soddisfatti nella maggior misura e nel minor tempo possibili. I fatti di bancarotta offendono lĠuno o lĠaltro di tali interessi, o anche pi di essi contemporaneamente. nomia generale in termini di pregiudizio al credito pubblico. Di qui la necessitˆ di ricomprendere nellĠoggetto giuridico della bancarotta anche lĠeconomia pubblica (65), oltre, come detto, per i fatti successivi alla dichiarazione di fallimento, lĠinteresse dellĠamministrazione della giustizia. La plurioffensivitˆ dei reati di bancarotta (e, pi in generale, di tutti i reati fallimentari),  stata ribadita anche di recente (66), assegnandosi a tutte le incriminazioni contenute nella legge fallimentare lo scopo di garantire la genuinitˆ della procedura fallimentare e il conseguimento delle sue finalitˆ, per lĠevidente riflesso sul regolare svolgimento dellĠeconomia che ne deriva. Oltre allĠinteresse al regolare svolgimento dellĠeconomia (67), le varie incriminazioni tutelano anche altri interessi particolari: lĠinteresse di ciascun creditore alla integritˆ del patrimonio del fallito contro ogni atto di depauperamento (bancarotta fraudolenta patrimoniale), lĠinteresse alla esatta e sollecita ricostruzione del patrimonio del fallito (bancarotta documentale fraudolenta e semplice), lĠinteresse alla par condicio creditorum (bancarotta fraudolenta preferenziale), lĠinteresse allĠintegritˆ del patrimonio del fallito (bancarotta semplice patrimoniale) (68), lĠinteresse relativo allĠopportunitˆ di colpire lĠimprenditore manifestamente negligente che non adempie il concordato preventivo o fallimentare (art. 217, comma primo, n. 5, l. fall.), lĠinteresse ad evitare aree di immunitˆ penale, quando i comportamenti illeciti siano posti in essere nellĠambito di societˆ (bancarotta impropria). In senso parzialmente difforme si  limitata la natura plurioffensiva alla sola bancarotta post-fallimentare, che tutelerebbe, oltre al diritto di credito, anche lĠinteresse dellĠamministrazione della giustizia (69). Pi radicale la critica di chi, riducendo a questĠultimo lĠoggetto della tutela, nega che possano rientrarvi anche gli interessi patrimoniali dei creditori o la pubblica economia, che riceverebbero tutela solo riflessa, strumentale rispetto ad altro obiettivo, costituente il vero oggetto giuridico (70). (65) In proposito lĠAutore respinge la critica fondata sulla confusione tra motivo della tutela e interesse tutelato, fra oggetto mediato e immediato del reato (v. supra, nota 45), ritenendo che lĠinteresse dellĠeconomia pubblica non si riduca a quel generico interesse pubblico che sta alla base di ogni illecito penale, ma identifichi un interesse specifico e concreto, di innegabile rilevanza, cui deve riconoscersi piena rilevanza nellĠordinamento, essendo oggetto giuridico di tutta una categoria di reati (artt. 499 e ss. c.p.). (66) A. DI AMATO, Diritto penale dellĠimpresa, ed. VII, Giuffr, Milano, 2011, pp. 427-428 e 434 e ss. (67) Dalla inclusione fra gli interessi protetti del regolare svolgimento dellĠeconomia, lĠAutore fa discendere lĠinapplicabilitˆ della scriminante del consenso. (68) Anche R. ROVELLI, Disciplina penale dellĠimpresa, Giuffr, Milano, 1953, p. 173 sembra ritenere che il patrimonio tutelato sia quello del fallito, il che secondo A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 9, nota 32 costituisce un equivoco, come rilevato giˆ da L. SEGESSER VON BRUNEGG, Die Konkursverbrechen des deutschen Rechts. Eine dogmatische Studie, Druck der Union Deutsche Verlagsgesellschaft, Stoccarda, 1914, p. 14, che qualifica il patrimonio dellĠagente non come oggetto giuridico, ma come oggetto materiale, posto che un bene non  mai tutelato contro gli attacchi del suo titolare. (69) G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 295. 4. Il danno patito dal Ministero nel caso di specie. Venendo al caso di specie, alla stregua delle ricostruzioni cos“ proposte, pu˜ anzitutto escludersi ogni dubbio circa la legittimazione del Ministero dello Sviluppo Economico a costituirsi parte civile in relazione al delitto di cui allĠart. 2638 c.c. Agli imputati si contesta lĠesposizione di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria nelle comunicazioni e nei bilanci, indirizzati anche allĠautoritˆ pubblica di vigilanza, attraverso condotte di omissione, occultamento e falsa indicazione, al fine di ostacolare lĠesercizio delle funzioni di vigilanza da parte del MISE. Corretto lĠinserimento del Ministero de quo nel novero delle Çautoritˆ pubbliche di vigilanzaÈ di cui alla suddetta norma, sulla base di una serie di indici normativi in cui trovano rispondenza tutti i criteri cui dottrina e giurisprudenza fanno riferimento nel delimitare la relativa nozione. Definite le societˆ fiduciarie come Çquelle che, comunque denominate, si propongono sotto forma di impresa, di assumere lĠamministrazione dei beni per conto di terzi [É] e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioniÈ (art. 1 l. n. 1966/1939), la legge esplicitamente afferma che esse Çsono soggette alla vigilanza del Ministero delle corporazioniÈ (art. 2 l. n. 1966/1939), poi del Ministero delle Attivitˆ Produttive (art. 28, comma primo, lett. c), d.lgs. n. 300/1999), oggi del MISE (artt. 1 e 17, comma primo, lett. h) D.P.C.M. n. 158/2013). Scontata la natura pubblicistica dellĠautoritˆ cos“ individuata, e della funzione che svolge, deve altres“ ritenersi che la vigilanza che essa  chiamata ad esercitare assuma appieno quel significato tecnico di potere ispettivo, inteso quale controllo tanto preventivo quanto successivo. Sotto il primo profilo, le societˆ fiduciarie non possono Çiniziare le operazioni senza essere autorizzate con decreto del MinistroÈ (art. 2 l. n. 1966/1939), per ottenere la quale autorizzazione esse devono presentare apposita istanza, cui vanno allegati i documenti attestanti i requisiti di legge (artt. 1 e 2 R.D. n. 531/1940). Sotto il secondo profilo, la vigilanza Ǐ esercitata per mezzo dellĠesame dei bilanci annuali, i quali devono essere inviati al Ministero [É] entro un mese dalla loro approvazione (71), e per mezzo dĠispezioni periodiche e straordinarie (70) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 11 e ss. Negano la natura plurioffensiva anche G.L. PERDONñ, I reati fallimentari, cit., pp. 330 e ss.; C. PEDRAZZI, Art. 216, cit., pp. 106 e ss., che limita lĠinteresse protetto a quello patrimoniale dei creditori, tanto nella bancarotta pre che post-fallimentare; L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 15-16: Çnon si nega che in questo modo restano difesi, con minore immediatezza, anche altri interessi, quali quelli dellĠamministrazione della giustizia (specie con riferimento alla bancarotta post-fallimentare), nonchŽ del commercio e dellĠeconomia pubblica. Non si nega del pari che la considerazione dellĠinteresse sociale della pubblica economia vada guadagnando terreno [É] ma, a nostro avviso, si tratta ancora soltanto di una prospettiva, avvicinata, ma non raggiunta, la quale richiederebbe, comunque, una modifica del dato normativoÈ. (71) V. anche art. 16 del D.M. 16 gennaio 1995, indicante i documenti da trasmettere unitamente al bilancio ai fini dellĠesercizio della funzione di vigilanza. dellĠamministrazione sociale, affidate a funzionari governativiÈ, con obbligo della societˆ di Çfornire tutte le spiegazioni e di presentare tutti i documentiÈ a richiesta del funzionario o del Ministero (art. 3 R.D. n. 531/1940). LĠomesso invio del bilancio, il rifiuto dei documenti richiesti o altra irregolaritˆ consente al Ministro di sospendere la societˆ dallĠesercizio dellĠattivitˆ o, nei casi pi gravi, di revocare lĠautorizzazione (art. 4 R.D. n. 531/1940). Tanto il controllo preventivo in sede di autorizzazione allĠesercizio dellĠattivitˆ fiduciaria, in cui il Ministero  chiamato ad accertare la sussistenza dei presupposti di legge, quanto il controllo successivo sul concreto svolgimento dellĠattivitˆ e sul mantenimento dei presupposti medesimi (72), sono finalizzati allĠattuazione dellĠinteresse pubblicistico a che sia garantita lĠaffidabilitˆ delle societˆ fiduciarie nei loro rapporti con il pubblico, prima che si verifichino negative ricadute sul mercato. Le condotte poste in essere dagli imputati hanno frustrato la realizzazione del suddetto interesse, pregiudicando il corretto ed efficace svolgimento delle funzioni di vigilanza del Ministero. Le conseguenti negative ricadute sul mercato, inevitabilmente, si ripercuoto sullĠimmagine del Ministero stesso, con legittimazione al ristoro del nocumento cos“ subito. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento ai reati di bancarotta contestati agli imputati, accusati di aver cagionato il dissesto della societˆ, compiendo, anche mediante omissione, atti di disposizione di beni posseduti dalla stessa in virt di mandati fiduciari ricevuti dai clienti investitori; di aver distratto somme di denaro ricevute allo stesso titolo; di aver distrutto e/o sottratto le scritture contabili e, antecedentemente, di averle tenute in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Tralasciando le concezioni, attualmente minoritarie, che qualificano le fattispecie di bancarotta come reati contro lĠinteresse dellĠamministrazione della giustizia ovvero contro la fede pubblica (73), se si muove dallĠimpostazione secondo cui essi offendono (esclusivamente o anche) il corretto andamento delle relazioni economiche, quindi lĠeconomia pubblica, o lĠordinato esercizio del commercio, ci si avvede che si tratta dei medesimi beni ÒfinaliÓ rispetto ai quali  strumentale la funzione di controllo tutelata dallĠart. 2638 c.c. (con riferimento, sĠintende, al settore di attivitˆ delle societˆ fiduciarie). Gli interessi pregiudicati dai fatti di bancarotta, in altri termini, sono interessi pubblicistici coincidenti con quelli in vista della realizzazione dei quali il Ministero dello Sviluppo Economico  chiamato a svolgere il controllo preventivo e successivo sulle societˆ fiduciarie. (72) Cfr. art. 3, comma terzo, D.M. 16 gennaio 1995. (73) Anche qualora dovesse accedersi allĠopinione del Carrara, intendendosi la Òfede pubblicaÓ, con riferimento al settore di attivitˆ della societˆ coinvolta nel caso di specie, come fiducia dei clienti investitori, ugualmente potrebbe sostenersi la legittimazione del MISE, essendo pregiudicata la sua immagine quale soggetto deputato al controllo necessario ad assicurare quella fiducia. La legittimazione alla costituzione di parte civile del MISE, in ogni caso, sussiste anche se si accede allĠorientamento dottrinario maggioritario, condiviso anche dalla pi recente giurisprudenza di legittimitˆ (74), che individua gli interessi protetti in quelli patrimoniali dei creditori. Essendo questi ultimi soggetti che si relazionano con una societˆ sottoposta al controllo e alla vigilanza del Ministero, i fatti di bancarotta non solo pregiudicano gli interessi patrimoniali dei creditori, ma cagionano altres“ un grave nocumento allĠimmagine del Ministero. Ci˜ soprattutto ove si muova dalla considerazione dellĠart. 2638 quale ÒpresidioÓ di obblighi informativi che, se correttamente adempiuti, assicurano in via diretta il corretto esercizio delle funzioni di controllo e, in via indiretta, la salvaguardia della sfera patrimoniale dei soggetti nel cui interesse quella funzione  prevista (75). Occorre considerare la nozione di danno allĠimmagine della Pubblica Amministrazione delineata dalle Sezioni Unite, nel senso di Çdanno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dellĠimmagine e della personalitˆ pubblica dello StatoÈ (76). Con riferimento, pi in generale, alle persone giuridiche e agli enti, si  ulteriormente precisato che anche nei loro confronti  configurabile un danno risarcibile quando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica equivalente ai diritti fondamentali della persona umana, fra i quali rientra lĠimmagine. La lesione di questĠultima, pertanto, comporta la risarcibilitˆ del danno costituito Çdalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dellĠente nel che si esprime la sua immagine [anche] sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte (74) Cass., Sez. III pen., 20 novembre 2015, n. 3539, C., in DeJure: la norma incriminatrice di cui allĠart. 216 l. fall. Ǐ preposta a sanzionare condotte che pregiudichino [É] lĠinteresse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli dirittiÈ; Cass., Sez. V pen., 17 settembre 2015, n. 3977, F., ivi: ÇlĠimprenditore  posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dellĠadempimento delle obbligazioni dellĠimpresa sul patrimonio di questĠultima. Ne deriva la diretta responsabilitˆ del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dellĠintegritˆ della garanzia. La perdita in- giustificata del patrimonio o lĠelisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra lĠevento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolentaÈ; Cass., Sez. V pen., 3 luglio 2015, n. 2295, P., ivi: ÇlĠevento del reato di bancarotta deve intendersi quello, in senso giuridico, costituito dal fatto capace di ledere il bene protetto dalla norma. Questo  costituito dalla esposizione a pericolo del patrimonio della societˆ mediante atti distruttivi, tali da ridurre la garanzia dei creditori in caso di fallimentoÈ; Cass., Sez. V pen., 26 settembre 2011, n. 44933, Pisani, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, pp. 564 e ss.: Çper la speciale configurazione del precetto, la protezione penale degli interessi creditori  assicurata mediante la sua connotazione di reato di pericolo. LĠoffesa penalmente rilevante  conseguente anche allĠesposizione dellĠinteresse protetto alla probabilitˆ di lesione, onde la penale responsabilitˆ sussiste non soltanto in presenza di un danno attuale ai creditori, ma anche nella situazione di messa in pericolo dei loro interessiÈ; Cass., Sez. V pen., 10 novembre 2011, n. 1843, M., in DeJure, che assegna alla bancarotta funzione di Çtutela dei creditoriÈ. (75) V. supra, al richiamo della nota 14. (76) Cass., Sez. Un. civ., 25 giugno 1997, n. 5668, in Danno e Resp., 1997, p. 767. dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o lĠente di norma interagiscaÈ (77). I fatti di bancarotta contestati agli imputati, avendo ad oggetto beni, libri e scritture contabili necessari alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, non solo hanno leso gli interessi patrimoniali dei privati entrati in rapporto con la societˆ, ma hanno altres“ inciso sulla considerazione che questi ultimi hanno del soggetto deputato al controllo necessario ad assicurare lĠaffidabilitˆ, nei loro confronti, della fiduciaria. La reputazione del Ministero presso la categoria dei consociati coinvolti dallĠattivitˆ della societˆ, quindi, ha subito un notevole scadimento per effetto delle condotte poste in essere dagli imputati. Le peculiaritˆ del caso di specie ulteriormente depongono in tal senso. Da un lato, il delitto di ostacolo allĠesercizio delle funzioni dellĠautoritˆ pubblica di vigilanza  contestato con lĠaggravante di cui allĠart. 61, n. 2, c.p.; dallĠaltro, i reati di bancarotta e quello di cui allĠart. 2638 c.c. sono unificati, secondo lĠimpianto accusatorio, dal vincolo della continuazione (78). (77) Cass., Sez. III civ., 4 giugno 2007, n. 12929, in DeJure. (78) Discussa  la compatibilitˆ fra reato continuato e aggravante di cui al n. 2 dellĠart. 61 c.p., soprattutto dopo la riforma dellĠart. 81 ad opera del d.l. 11 aprile 1974, n. 99. Una prima opinione (G. VASSALLI, La riforma penale del 1974, Vallardi, Milano, 1975, p. 63; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 451; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., pp. 489-490) muove dalla profonda analogia, se non identitˆ di situazione psicologica, fra medesimezza del disegno criminoso e nesso teleologico, che si differenzierebbero unicamente per le opposte conseguenze, di favor in un caso e aggravanti nellĠaltro. LĠintima contraddittorietˆ, priva di plausibile giustificazione tanto sul piano dogmatico che della prassi applicativa, dovrebbe condurre a ritenere tacitamente abrogata lĠaggravante di cui al n. 2 dellĠart. 61 c.p., per incompatibilitˆ con lĠart. 81, cpv. Nel senso della inapplicabilitˆ dellĠart. 61 n. 2 quando i reati teleologicamente connessi siano omogenei, con applicazione del solo art. 81, prima della riforma del 1974, v. C.F. PALAZZO, Considerazioni sulla compatibilitˆ fra le aggravanti dellĠesposizione alla pubblica fede e dellĠuso di violenza o di mezzi fraudolenti e sulla compatibilitˆ fra reato continuato ed aggravante teleologica, in Temi, 1971, p. 184. A sostegno della compatibilitˆ tra disegno criminoso e connessione teleologica, si  invece osservato (V. ZAGREBELSKY, Reato continuato, ed. II, Giuffr, Milano, 1976, pp. 162 e ss.; A. PAGLIARO, I reati connessi, Priula, Palermo, 1956, p. 173) come il primo, a differenza della seconda, non esiga mai un determinato ordine logico e cronologico tra i vari reati e che la seconda, a differenza del primo, disciplina il singolo reato-mezzo in una determinata relazione psichica con un altro reato, non svolgendo il diverso ruolo di qualificare unitariamente un complesso di reati riconducibili alla medesima ideazione. Per una critica ad entrambe le tesi e la configurazione della connessione teleologica tra reati in continuazione come variazione del disegno criminoso, v. G. DE FRANCESCO, La connessione teleologica nel quadro del reato continuato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, pp. 109 e ss. Pi di recente, L. BRIZI, La coniugabilitˆ della continuazione di reati e in particolare del Òmedesimo disegno criminosoÓ con lo Òstato di tossicodipendenzaÓ, in Cass. pen., 2015, pp. 36003601, ritenendo poco plausibile la conclusione dellĠabrogazione tacita dellĠaggravante in questione, ricava proprio da qui la necessitˆ di interpretare il ÒdisegnoÓ di cui allĠart. 81, cpv. differentemente rispetto al nesso teleologico, dunque Çin chiave intellettiva ÒpuraÓ, quale, cio, rappresentazione mentale anticipata, in via sufficientemente dettagliata, delle singole condotteÈ, ferma la possibilitˆ che esso possa maggiormente caratterizzarsi, rientrando nel suo ambito anche il rapporto mezzo-fine di cui allĠart. 61, n. 2. La prevalente giurisprudenza di legittimitˆ ritiene che Çnon sussiste incompatibilitˆ logico-giuridica tra la continuazione e lĠaggravante del nesso teleologico, agendo il vincolo della continuazione sul piano della riconducibilitˆ di pi reati ad un comune programma criminoso ed essendo il nesso teleologico connotato dalla strumentante di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione od al cui oc Sotto il primo profilo, le condotte contestate ex art. 2638 c.c. sono state poste in essere, oltre che per ostacolare lĠesercizio delle funzioni di vigilanza, anche per agevolare, in tal modo, la commissione dei reati di infedeltˆ patrimoniale. In altri termini, il pieno ed efficace svolgimento dei controlli da parte del Ministero  stato impedito dagli imputati per poter compiere i reati di bancarotta, cos“ vanificandosi la funzione del Ministero medesimo. Ne deriva che il danno riportato dai soggetti privati, creditori della fiduciaria, riverbera inevitabilmente, diminuendola, sulla considerazione che questi hanno del soggetto che avrebbe dovuto assicurare il regolare svolgimento dellĠattivitˆ fiduciaria, ma non ha potuto perchŽ impedito dalle condotte degli imputati. LĠunicitˆ dellĠubi consistam della fonte del pregiudizio patito dal Ministero, comprensiva di tutti i reati de quibus, risulta poi avvalorata dallĠessere state le condotte realizzate nellĠesecuzione di un medesimo disegno criminoso, intendendosi questĠultimo quale Çunico programma, deliberato sin dallĠinizio nelle sue linee essenziali, per conseguire un determinato fineÈ idoneo a ÒcementareÓ le singole violazioni (79). cultamento il primo  preordinato; e se  vero che normalmente il nesso teleologico  sintomo anche di identitˆ del disegno criminoso, non pu˜ dirsi, invece, che il vincolo della continuazione implichi o contenga in sŽ il nesso teleologico, che, invero, ben pu˜ mancare, ed ordinariamente difetta, tra i vari episodi di un reato continuato. NŽ pu˜ sostenersi che lĠincompatibilitˆ deriverebbe dallĠimpossibilitˆ che un istituto ispirato al favor rei, come la continuazione, possa, al contempo, fungere da causa di aggravamento della pena, essendo evidente come tale ultimo effetto consegua non giˆ allĠaffermazione del vincolo della continuazione bens“ allĠapplicazione della circostanza aggravante di cui allĠart. 61 c.p. , n. 2, in nessun modo contenuta od implicita nellĠidentitˆ della matrice ideativa dei due reati teleologicamente connessiÈ (Cass., Sez. I pen., 6 marzo 1996, n. 3442, Laezza, in CED Cass. rv. 204326). Cfr. anche Cass., Sez. V pen. 27 settembre 1995, n. 10508, Iaquinta, in CED Cass. rv. 202499 (Çla circostanza aggravante di cui allĠart. 61 n. 2 c.p. (nesso teleologico)  compatibile con il vincolo della continuazione; e ci˜ in quanto mentre il nesso teleologico aggrava il reato per la maggiore intensitˆ del dolo e la maggiore pericolositˆ di chi commette il crimine, il vincolo della continuazione, invece, ha la funzione di ridimensionare la pena escludendo il cumulo materialeÈ); Cass., Sez. II pen., 17 novembre 2004, n. 48317, Emiliano, in CED Cass. rv. 230427 (Ǐ da escludere che la circostanza aggravante del nesso teleologico, prevista dallĠart. 61 c.p., n. 2, sia concettualmente assorbita dallĠunicitˆ del disegno criminoso che, pertanto, il riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p. non consenta la configurabilitˆ della predetta circostanzaÈ); Cass., Sez. I pen., 3 novembre 2004, n. 46270, Dellagaren, in CED Cass. rv. 230188 (ÇIl vincolo della continuazione  compatibile con lĠaggravante del nesso teleologico, in quanto il primo agisce sul piano della riconducibilitˆ di pi reati ad un comune programma criminoso, mentre il secondo  connotato dalla strumentalitˆ di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione o al cui occultamento  preordinatoÈ). Da ultimo, v. Cass., Sez. IV pen., 6 marzo 2015, n. 45231, P., in Leggi dĠItalia, che ribadisce tutti i suddetti precedenti. (79) Cass., Sez. I pen., 18 novembre 2008, n. 43004, I., in Guida dir., 2009, n. 5, p. 91. Trattasi di orientamento consolidato: in senso conforme, tra le altre, Cass., Sez. II pen., 22 ottobre 2010, n. 40123, M., in CED Cass. rv. 248862; Cass., Sez. IV pen., 17 dicembre 2008, n. 16066, Di Maria, in CED Cass. rv. 243632; da ultimo Cass., Sez. I pen., 6 aprile 2016, n. 20503, B., in DeJure: Çl'unicitˆ del disegno criminoso presuppone lĠanticipata ed unitaria ideazione di pi violazioni della legge penale, giˆ presenti nella mente del reo nella loro specificitˆÈ. Per una efficace sintesi delle nozioni di Òmedesimo disegno criminosoÓ elaborate dalla dottrina, si rimanda ancora a L. BRIZI, La coniugabilitˆ della continuazione di reati e in particolare del Òmedesimo disegno criminosoÓ con lo Òstato di tossicodipendenzaÓ, cit., pp. 3597-3599. 5. Legitimatio ad causam nel processo penale secondo la pi recente giurisprudenza di legittimitˆ. LĠaffermazione del danno cos“ individuato ed eziologicamente riferito alle condotte degli imputati,  di per sŽ sufficiente a fondare la legittimazione alla costituzione di parte civile nel processo penale. Correttamente pertanto il Giudice ha disatteso le eccezioni delle difese, che quella legittimazione contestavano. Giova infatti ricordare quanto di recente precisato dalla giurisprudenza penale, in recepimento delle elaborazioni di quella civile (80), a sua volta debitrice della migliore dottrina processualcivilistica (81). Posto che soggetto danneggiato, al quale, ex artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., spetta il risarcimento del danno da reato,  chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile allĠazione od omissione del soggetto attivo del reato (82), ne consegue che Çsoggetto legittimato alla costituzione di parte civile  chiunque affermi di aver riportato un danno eziologicamente riferibile allĠazione od omissione del soggetto attivo del reato, a prescindere dallĠaccertamento dellĠeffettiva sussistenza del diritto azionato, che riguarda il merito della decisioneÈ; la legittimazione ad agire, infatti, costituisce Çuna condizione dellĠazione diretta allĠottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dellĠazione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ed indipendentemente dalla effettiva titolaritˆ della posizione soggettiva (attiva o passiva) affermataÈ (83). (80) V. Cass., Sez. II civ., 27 giugno 2011, n. 14177, in CED Cass. rv. 618438: Çla legittimazione ad agire costituisce una condizione dellĠazione diretta allĠottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza  da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dallĠazione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolaritˆ del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilitˆ della domanda e, perci˜, la sua fondatezza. Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto  rilevabile dĠufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, lĠeccezione relativa alla concreta titolaritˆ del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non  rilevabile dĠufficio, ma  affidata alla disponibilitˆ delle parti e, dunque, deve essere tempestivamente formulataÈ. Nello stesso senso, ex multis, Cass., Sez. III civ., 6 marzo 2006, n. 4796, in CED Cass. rv. 588202; Cass., Sez. II civ., 19 maggio 2010, n. 11284, in CED Cass. rv. 613149; Cass., Sez. II civ., 23 maggio 2012, n. 8175, in CED Cass. rv. 622407; Cass., Sez. III civ., 11 luglio 2014, n. 15759, in CED Cass. rv. 632277. (81) V. per tutti C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, ed. XXII a cura di A. CARRATTA, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 67 e ss. (82) Cass., Sez. VI pen., 20 ottobre 1997, n. 10126, Mozzati, in CED Cass. rv. 208820; Cass., Sez. I pen., 8 novembre 2007, n. 4060, S., in CED Cass. rv. 239189. (83) Cass., Sez. II pen., 21 ottobre 2014, n. 49038, S., in DeJure. Nel caso di specie uno degli imputati lamentava il difetto di legittimazione dei costituiti Ministeri della Giustizia, dellĠInterno e della Difesa, sostenendo che la legittimazione ad agire nei suoi confronti spettasse, essendo egli magistrato, unicamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Corte ha dichiarato la doglianza manifesta Quanto alla riferibilitˆ eziologica del danno affermato rispetto allĠazione od omissione dellĠimputato, autorevole dottrina, nellĠinterpretazione dei requisiti di cui allĠart. 1223 c.c. (84), ha di recente puntualizzato che quando, come di frequente accade, il reato cagioni anche danni diversi da quelli concernenti gli interessi specificamente protetti - come nel caso qui in esame, ove si ritenga la bancarotta lesiva degli interessi patrimoniali dei creditori -, la relazione causale estranea al fatto di reato, quella cio fra il fatto e quellĠevento ulteriore rispetto allĠevento componente essenziale del reato, ossia il danno giuridicamente rilevante, comunque andrˆ accertata alla stregua degli artt. 40 e 41 c.p. (85). Facendo applicazione della disciplina cos“ individuata al caso di specie, ne risulta adempiuta la richiesta condizione della riferibilitˆ eziologica, necessaria a fondare la legitimatio ad causam. mente infondata, avendo i Ministeri costituiti Çpuntualmente posto a fondamento dellĠazione esercitata una propria pretesa risarcitoria, vantata nei confronti dellĠimputato [É] in relazione ai reati indicati negli atti di costituzione, e ci˜  quanto occorre al fine di ritenerne sussistente la legitimatio ad causamÈ, sulla base del principio di diritto cos“ affermato: Çla legittimazione allĠazione di parte civile nel processo penale (legitimatio ad causam) va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica pro- spettata dalla parte a fondamento dellĠazione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ed indipendentemente dallĠeffettiva titolaritˆ del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilitˆ della domanda e, perci˜, la sua fondatezza, ed  collegato allĠadempimento dellĠonere deduttivo e probatorio incombente sullĠattoreÈ. (84) Come noto, la disposizione in parola, richiamata dallĠart. 2056 c.c. in tema di risarcimento da fatto illecito, ricomprende nel risarcimento del danno per inadempimento o ritardo Çcos“ la perdita subita [É] come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e direttaÈ. Sul problema se lĠart. 185 c.p. si riferisca unicamente al danno diretto o ricomprenda anche il danno indiretto, v. G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, pp. 131 e ss. (85) M. GALLO, La piccola frase di Mortara, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 72 e ss. LĠillustre Autore giunge a questa conclusione a fronte del potere del giudice penale di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento (art. 538 c.p.p.) e di pronunciare condanna generica (art. 539 c.p.p.), poteri da esercitare ricorrendo agli artt. 40 e 41 c.p., non prospettando la legge criteri diversi o ulteriori. In giurisprudenza v. Cass., Sez. Un. pen., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, in Foro it., 2002, II, cc. 601 e ss.: Çil principio stabilito dal codice penale si applica anche nel distinto settore della responsabilitˆ civile, a differenza di quanto avviene per il diritto anglosassone e nordamericanoÈ. LEGISLAZIONE ED ATTUALITË Uno dei problemi provocati dal Òbail inÓ Glauco Nori* 1-Sulle ultime vicende bancarie, concluse con il c.d. bail in, oltre ai commenti che sono stati fatti, sarebbe stata utile qualche verifica di principio, slegata dalle singole situazioni. Dopo interventi finanziari, di peso notevole, effettuati da diversi governi di Stati membri in favore delle banche nazionali, sono intervenute norme comunitarie, interpretate nel senso che dal momento della loro entrata in vigore avrebbero precluso interventi analoghi. La necessitˆ dei sostegni finanziari  sorta per la situazione economica internazionale della fine del decennio passato che ha provocato difficoltˆ ad un certo numero di banche, anche tra le maggiori. Alcune banche, per il ritardo con il quale i governi rispettivi si sono mossi, non hanno potuto ricevere il sostegno avuto dalle altre. In pratica, malgrado si siano trovate in difficoltˆ per la stessa combinazione di fatti, alcune hanno ottenuto un trattamento pi favorevole di altre per lĠentrata in vigore, nel frattempo, di nuove norme comunitarie. Si  arrivati a questo risultato passando sopra ad alcune questioni preliminari che sarebbe stato il caso di affrontare: -se fosse, o non, coinvolto il principio di uguaglianza; - se, in caso affermativo, le norme comunitarie andassero interpretate nel senso di assicurarne il rispetto; - se, in caso negativo, potessero sorgere dubbi sulla loro legittimitˆ; - se, una volta confermata la legittimitˆ delle norme anche nellĠinterpretazione preclusiva, fossero da verificare gli effetti della legge di esecuzione dei trattati comunitari. (*) Professore, Avv. dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 2-Quando, a seguito di una stessa sequenza di fatti, che mette in difficoltˆ pi soggetti, interviene una norma che impedisce per alcuni il trattamento che altri hanno giˆ ricevuto, dovrebbe sorgere almeno il dubbio che possa prospettarsi una questione di uguaglianza. La Corte di Giustizia dellĠUnione Europea non ha avuto dubbi (1). In quanto fondamentale dellĠordinamento dellĠUnione, il principio di uguaglianza va seguito anche nella valutazione delle norme comunitarie. La Commissione ha ritenuto che il sostegno finanziario alle banche, che ne hanno beneficiato, fosse consentito ai sensi dellĠart. 107, paragrafo 3, lett. b) del TFUE. Per impedirlo, attraverso il diritto derivato, nei confronti delle altre banche che si erano trovate in difficoltˆ per le stesse ragioni, sarebbero state necessarie differenze rilevanti. In linea di principio si sarebbero potute vedere nel ritardo delle iniziative dei governi nazionali; nei rischi minori, corsi da alcune banche, che avevano ritardato la percezione immediata dei pericoli; nella minore entitˆ degli interventi finanziari. Nessuno di questi elementi sembra che potesse giustificare una differenza di trattamento cos“ rilevante. Il sostegno finanziario era destinato a far superare certe difficoltˆ. Ai fini dellĠuguaglianza era della causa delle difficoltˆ che si sarebbe dovuto tenere conto, non del tempo dellĠintervento; anche i sostegni consentiti erano stati disposti in tempi diversi. Le banche, in favore delle quali non si era intervenuti negli stessi tempi, si erano trovate inizialmente in condizioni per le quali non era stato considerato necessario un sostegno urgente nella previsione che fossero in grado di rientrare autonomamente in sicurezza. Questa diversitˆ avrebbe potuto giustificare che gli interventi fossero di importi diversi, ma non che fossero autorizzati in pratica solo quelli di importo maggiore. Il divieto di aiuti di stato tutela la concorrenza; sarebbe contraddittorio che si derogasse solo per quelli pi consistenti che alterano maggiormente le condizioni di mercato. Il divieto  stato desunto dalla Direttiva 2014/59 ed il Regolamento 806/2014 (si possono trascurare le decisioni della Commissione che non incidono autonomamente sulla questione che si sta affrontando). Nei due atti non si trovano riferimenti per i quali debbano essere interpretati, senza alternative, nel senso di avere reso non pi applicabile dopo la loro entrata in vigore lĠart. 107, paragrafo 3, lett. b), nemmeno alla crisi precedente. (1) ÒA norma dell'art. 7, il principio di non discriminazione spiega i suoi effetti Ônel campo di applicazione del (...) trattatoĠ e Ôsenza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previsteĠ. Esprimendosi in questi termini, l'art. 7 rimanda segnatamente ad altre disposizioni del trattato che fanno concreta applicazione del principio generale da esso sancito a situazioni specificheÓ (sentenza Cowan, 186/87, 2 febbraio 1989, punto 14). Dal Regolamento si potrebbe addirittura desumere una volontˆ normativa diversa quando  detto che Ò[L]a crisi finanziaria ed economica ha tuttavia mostrato che il funzionamento del mercato interno in questo settore  minacciato e che sussiste un crescente rischio di frammentazione finanziariaÓ. Quando il rischio  lo stesso, non dovrebbero essere consentite discipline tanto differenti. Secondo il principio di conservazione dei valori giuridici, valido anche nellĠordinamento comunitario, delle interpretazioni possibili dovrebbe essere seguita quella che non provoca la invaliditˆ dellĠatto. Il Regolamento andrebbe, pertanto, interpretato nel senso che non impedisce il sostegno alle banche che si trovano nelle stesse condizioni di quelle che lo hanno giˆ ricevuto. Se questa interpretazione si ritenesse non consentita, il Regolamento verrebbe ad essere illegittimo, sempre per la stessa violazione. Se poi, una volta sollevate le questioni, il Giudice comunitario dichiarasse che il Regolamento  legittimo anche nella interpretazione che preclude qualunque sostegno successivo alla sua entrata in vigore, sorgerebbe una questione sulla esecuzione dei trattati comunitari. 3-Le banche straniere, che hanno ricevuto lĠaiuto, hanno loro filiali in Italia, in concorrenza con le banche italiane che lo stesso aiuto non hanno potuto ricevere. Che le condizioni competitive siano state alterate dovrebbe essere fuori dubbio. Secondo la Corte costituzionale i principi fondamentali della Costituzione non possono essere oggetto di revisione costituzionale: la loro modifica potrebbe intervenire solo con una nuova Costituzione. Durante le discussioni parlamentari sulla legge di esecuzione giˆ per il trattato CECA, ci fu chi sostenne che, per introdurre nellĠordinamento italiano limiti alla sua sovranitˆ, sarebbe stata necessaria una legge costituzionale. Si ritenne sufficiente una legge ordinaria in base allĠart. 11 Cost. Una volta data alla normativa comunitaria una interpretazione che altera la portata dellĠart. 3 Cost., la legge ordinaria di esecuzione viene ad essere non pi sufficiente. Di conseguenza non sarebbe efficace nei confronti dello Stato Italiano il divieto di sostegni finanziari alle banche nazionali per rimediare agli effetti della crisi internazionale del 2007-2008. La competenza a decidere sarebbe della Corte costituzionale dal momento che da verificare sarebbe la legittimitˆ di una legge italiana. La Corte di Giustizia non avrebbe titolo per intervenire. Non  la prima volta che sorge il problema della compatibilitˆ di normative comunitarie coi principi fondamentali delle costituzioni degli Stati membri. Sarebbe il caso che le Istituzioni comunitarie, prima di arrivare, anche se in via solo interpretativa, a normative restrittive non ragionevoli, facessero una verifica su quella compatibilitˆ per non ottenere come risultato di renderle inefficaci. La tutela dei beni superindividuali: evoluzione normativa e giurisprudenziale Maria Luisa Costanzo* I beni superindividuali rappresentano una categoria aperta, in continua evoluzione. Ne fanno parte, accanto a quelli tradizionali, quali lĠamministrazione della giustizia, anche altri di recente emersione, come ad esempio, lĠambiente. In particolare, si tratta di beni privi di una consistenza materiale, facenti capo ad una collettivitˆ indeterminata di soggetti e dotati, altres“, di copertura costituzionale diretta, perchŽ espressamente contemplati (ad esempio la salute, art. 32 Cost.) o indiretta, perchŽ la loro tutela  strumentale a quella di altri beni presenti in Costituzione ( il caso della fede pubblica, la cui tutela  strumentale a quella dellĠamministrazione della giustizia) (1). LĠelevato rango costituzionale e la natura di tali beni hanno portato il legislatore ad anticipare le soglie di tutela e a configurare, quindi, degli illeciti di pericolo, in cui viene incriminata la lesione potenziale del bene stesso. Al riguardo, la dottrina, facendo leva sulla differente tecnica di tipizzazione legislativa ha inizialmente distinto tra illeciti di pericolo concreto, da un lato e illeciti di pericolo presunto e astratto, dallĠaltro. Nei primi il pericolo  elemento essenziale della fattispecie ed  compito del giudice accertarne lĠesistenza, attraverso un giudizio retrospettivo, concreto e prognostico. La valutazione viene, cio, effettuata al momento del fatto storico, proiettata verso il futuro in termini ipotetici e condotta sulla base di tutte le circostanze esistenti al momento del fatto. Nei secondi, invece, il legislatore presume, in base ad una regola dĠesperienza fondata su conoscenze scientifiche, che ad una data condotta consegua automaticamente la messa in pericolo del bene protetto. QuestĠultima categoria  stata considerata di dubbia compatibilitˆ con le garanzie proprie del diritto penale. Infatti, posto che in base ai principi di materialitˆ, offensivitˆ e colpevolezza il reato ricorre quando la volontˆ criminosa si materializza in un comportamento idoneo a ledere o a porre in pericolo il bene protetto, pu˜ accadere che ad una condotta non consegua lĠeffettiva messa in pericolo del bene. In altri termini, una politica criminale ispirata al principio di offensivitˆ deve contemplare la punibilitˆ solo quando lĠagente abbia determinato un pericolo effettivo per il bene giuridico. Allo scopo di (*) Dottore in Giurisprudenza, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato di Bologna. (1) Cos“ G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 2009, p. 14; F. BRICOLA, Teoria generale del reato, in Novissimo digesto italiano, XIX, 1973, p. 43; C.F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2007, p. 66; Corte Cost., 23 novembre 2006, n. 394 in www.iusexplorer.it che riconosce carattere strumentale alla fede pubblica, perchŽ finalizzato alla tutela di beni ulteriori. evitare che il diritto penale si trasformi in un complesso cautelare di polizia, parte della dottrina sostiene che il ricorso alla categoria del pericolo astratto vada limitata alla protezione dei beni fondamentali della persona, dignitˆ, vita e salute, con esclusione di ogni tutela anticipata per beni meramente strumentali e istituzionali (2). Dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto la legittimitˆ della categoria degli illeciti in parola, in quanto si consente al giudice di recuperare offensivitˆ nelle ipotesi in cui il legislatore non abbia tipizzato in modo pregnante la fattispecie. A tal fine, in dottrina si distinguono reati di pericolo astratto, ove i tratti essenziali del fatto tipico sono coperti da pregnanza semantica (ad esempio, lĠart. 438 c.p.) e reati di pericolo presunto, ove sarˆ compito dellĠinterprete restituire alla norma la necessaria offensivitˆ (ad esempio, il reato in materia di coltivazione di sostanze stupefacenti) (3). In particolare, si riconosce al legislatore una certa discrezionalitˆ nellĠindividuazione delle condotte pericolose, legittima a condizione che le determinazioni assunte non siano irrazionali o arbitrarie, ci˜ che avviene quando esse non siano ricollegabili allĠid quod plerumque accidit (4). Come noto, infatti, il principio di offensivitˆ ha una duplice funzione: per un verso, rappresenta un limite alla discrezionalitˆ del legislatore nellĠindividuazione di interessi meritevoli di tutela; per altro verso,  un canone interpretativo, di cui il giudice deve tener conto nellĠapplicazione delle disposizioni penali (5). NellĠottica di anticipazione delle soglie di tutela, parte della dottrina ha ritenuto che lĠomogeneo sviluppo delle fattispecie di pericolo astratto sia rappresentato dal principio di precauzione (6). (2) M. RONCO, Il reato. Struttura del fatto tipico. Presupposti oggettivi e soggettivi dellĠimputazione penale. Il requisito dellĠoffensivitˆ del fatto, Bologna, 2011, p. 105. (3) Al riguardo, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalitˆ inerente alla parte della normativa degli stupefacenti che non escludeva dallĠarea della punibilitˆ le condotte di coltivazione destinate allĠuso personale. Al tempo stesso, ha, tuttavia, sconfessato quellĠorientamento giurisprudenziale che tendeva ad attribuire rilievo penale automatico alle condotte di coltivazione, senza accertarne in concreto la potenzialitˆ lesiva (Corte Cost., 24 luglio 1995, n. 360 in www.iusexplorer.it). Nello stesso senso, la Corte di Cassazione ha affermato la rilevanza penale delle condotte di coltivazione di sostanze stupefacenti, anche laddove il prodotto fosse destinato allĠuso personale, dal momento che non  possibile individuare un nesso immediato tra coltivazione e uso personale. LĠunica eccezione  data dal caso in cui la sostanza, ricavabile dalla coltivazione, sia di per s inidonea a produrre un effetto stupefacente in concreto, non ravvisandosi in tal caso alcuna offensivitˆ (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2008, n. 28605 in www.iusexplorer.it). Ulteriori pronunce della Corte di Cassazione hanno precisato che la condotta  punibile in presenza di due requisiti: formale (rientrare negli elenchi tabellari) e sostanziale (avere effetto stupefacente), in assenza del quale manca la potenzialitˆ lesiva (Cass. pen., 28 ottobre 2008, n. 1222; Cass. pen., 16 gennaio 2013, n. 13107; Cass. pen., 10 gennaio 2013, n. 9198; Cass. pen., 10 dicembre 2012, n. 12612 in www.iusexplorer.it) (4) Corte Cost., 11 luglio 1991, n. 333 in www.iusexplorer.it. (5) M. RONCO, Il reato, op. cit., p. 106. QuestĠultimo  un principio di matrice comunitaria (art. 191, par. 2 TFUE, ex art. 174 par. 2 Trattato CE), la cui definizione  fornita dallĠart. 7 del regolamento n. 178/2002, il quale prevede: ÒQualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilitˆ di effetti dannosi per la salute, ma permanga una situazione di incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la comunitˆ persegue, in attesa di una valutazione pi esauriente del rischioÓ. In base alla considerazione per cui il principio in esame sia destinato ad operare in settori di incertezza scientifica, parte della dottrina ritiene che lo stesso possa solo svolgere una funzione orientativa sul piano politico criminale (7). Si osserva, infatti, che lĠanticipazione delle soglie di tutela nei reati di pericolo si giustifica ed  coerente con lĠart. 3 della Costituzione, solo in quanto si abbia una conoscenza del problema, fondata su basi scientifiche, le quali permettano di affermare che il pericolo possa sfociare in lesione (8). Le disposizioni, frutto di una scelta politico criminale improntata alla precauzione, si rintracciano nel D.Lgs. n. 224/2003 agli articoli 34, 35, 36, nel D.Lgs. n. 70/2005 e nellĠart. 10 D.Lgs. n. 115/1995, di attuazione della direttiva 92/59/CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti, oggi modificato e confluito nellĠart. 112 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005). Attualmente rappresentano un caso isolato, ma - come osservato in dottrina - la situazione potrebbe mutare. Si osserva, infatti, che il consolidamento dello Stato sociale avvenuto nel secondo dopoguerra ha permesso lĠingresso dellĠidea di ÒprevenzioneÓ allĠinterno del diritto penale. Ci˜ ha contribuito allo spostamento del baricentro dellĠintervento legislativo: mentre, il diritto penale proprio del periodo liberale aveva il suo fulcro nella repressione ex post delle condotte lesive di beni giuridici, attualmente, il quadro  mutato e lĠintervento si  spostato ex ante, in un momento anteriore allĠeffettiva lesione del bene (9). Tanto premesso, occorre sottolineare che lĠindividuazione dei beni e delle tecniche di tutela  fortemente influenzata dal momento storico politico. Ci˜ si nota dallĠimpostazione del Codice Rocco, varato in epoca fascista, che, per un verso, colloca i delitti contro la personalitˆ dello Stato in apertura alle fattispecie di parte speciale; per altro verso, ricorre a illeciti di attentato e (6) M. DONINI, Il volto attuale dellĠillecito penale, Milano, 2004, p. 119 e ss. (7) F. GIUNTA, Le interpretazioni ÒradicaliÓ del principio di precauzione, in Diritto penale, i dizionari sistematici, Milano, 2008, p. 908, per il quale ÒIl principio precauzione sembra avere maggior agio a operare come criterio di politica legislativa, piuttosto che come nuova dogmatica penaleÓ. (8) D. CATRONUOVO, Principio di precauzione e diritto penale, Roma, 2012, p. 48. (9) E. CORN, Il principio di precauzione nel diritto penale. Studio sui limiti dellĠanticipazione della tutela penale, Torino, 2013, p. 42. di sospetto, che mal si conciliano con i principi costituzionali di materialitˆ e offensivitˆ. Infatti, i delitti di attentato colpiscono giˆ gli atti preparatori di condotte destinate a offendere interessi attinenti alla personalitˆ dello Stato; i reati di sospetto incriminano fatti che in s considerati non ledono, nŽ pongono in pericolo il bene protetto (10). Il legislatore e la giurisprudenza sono, quindi, intervenuti per aggiornare e rendere compatibile con il nuovo assetto costituzionale il catalogo degli illeciti. La giurisprudenza ha, in primo luogo, dichiarato incostituzionali quelle disposizioni che tutelavano interessi in contrasto con il mutato panorama costituzionale o che non risultavano conformi ai nuovi principi, in particolare a quello di offensivitˆ. In merito al primo punto, si fa riferimento allĠart. 502 c.p. che sanzionava, nel Titolo dedicato a delitti contro lĠeconomia pubblica, la serrata del datore di lavoro e lo sciopero del lavoratore a fini contrattuali, in contrasto quindi con il sistema di libertˆ sancito agli articoli 39 e 40 Cost. (11). In relazione al secondo punto, si fa riferimento allĠart. 688 II co. c.p., norma posta a presidio della pubblica sicurezza. In particolare, inizialmente la norma sanzionava penalmente la condotta di chi fosse colto in luogo pubblico o aperto al pubblico (I co.) e prevedeva una circostanza aggravante laddove lĠautore fosse stato condannato per taluni delitti (II co.); in seguito alla depenalizzazione, il primo comma  stato trasformato in illecito amministrativo e il secondo comma  divenuto fattispecie autonoma. In tal modo, tuttavia, la sola qualitˆ del soggetto (condannato per taluni delitti) avrebbe trasformato in reato un fatto che per tutti non costituiva illecito penale. La Corte Costituzionale ne ha quindi dichiarato lĠillegittimitˆ per contrasto con il principio di offensivitˆ, riconoscendo a questĠultimo rango costituzionale (art. 25 II co. Cost.) (12). In secondo luogo, la giurisprudenza ha fornito interpretazioni costituzionalmente orientate delle norme poste a presidio dei beni superindividuali. (10) Sul punto si veda M. PELISSERO, Reati contro la personalitˆ dello Stato e contro lĠordine pubblico, Torino, 2010, p. 150 ss. (11) Corte Cost., 4 maggio 1960, n. 29 in www.iusexplorer.it. (12) Corte Cost., 17 luglio 2002, n. 354, in www.iusexplorer.it. La Corte ha, per la prima volta, riconosciuto apertamente il fondamento costituzionale del principio di offensivitˆ. La Corte sostiene, infatti, che si sarebbe in presenza di ÒUna contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensivitˆ del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalitˆ legislativa in materia penale posto sotto il presidio di questa Corte (sentenze n. 263 del 2000 e n. 360 del 1995). Tale limite, desumibile dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, nel suo legame sistematico con l'insieme dei valori connessi alla dignitˆ umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualitˆ di condannato per determinati delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalitˆ dei soggetti non costituiscono illecito penaleÓ. Ne costituisce esempio, in materia di pubblica sicurezza, lĠinterpretazione che la Corte Costituzionale ha fornito dellĠart. 707 c.p. Tale norma configura un reato ostativo, in quanto incrimina il possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli da parte di colui che giˆ sia stato condannato per taluni delitti, al fine di prevenire la commissione di futuri reati. La Corte ha rigettato le questioni di legittimitˆ, ritenendola compatibile con il principio di offensivitˆ. In particolare, nellĠinterpretazione fornita, la disposizione non configura una responsabilitˆ per modo di essere dellĠautore: lĠoffensivitˆ in astratto (come descritta dalla norma) trova riscontro nellĠoffensivitˆ in concreto (come accertata dal giudice), laddove possa desumersi dalle circostanze la disponibilitˆ illecita degli oggetti (13). La norma  volta a tutelare la commissione di delitti contro il patrimonio, fermo restando il rigoroso scrutinio del giudice sullĠattualitˆ e concretezza del pericolo nel caso di specie (14). La giurisprudenza, infine, ha fornito unĠinterpretazione restrittiva di alcune disposizioni, escludendo dal loro ambito di applicazione quelle condotte che, pur astrattamente sussumibili nella fattispecie, non integravano il disvalore penale del fatto. A tal fine, si  fatto ricorso alla figura del reato impossibile (art. 49 II co.), quale referente codicistico del principio di offensivitˆ. In particolare, nellĠambito dei reati contro lĠamministrazione della giustizia, si  escluso il reato di calunnia, quando la condotta avvenga con modalitˆ tali da far apparire inverosimile il fatto oggetto della falsa denuncia (15). Ulteriori esempi si scorgono nellĠambito dei delitti contro la fede pubblica, laddove il reato non sussiste nei casi di falsitˆ tollerabile. Sono i casi di falso grossolano, ove la falsitˆ  facilmente riconoscibile, di falso innocuo, inidoneo ad offendere lĠinteresse tutelato e del falso inutile, dal quale non deriva alcun effetto giuridico (16). Con riferimento allĠevoluzione normativa, il legislatore ha operato in pi direzioni. In primo luogo, si  proceduto a trasformare alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi. La depenalizzazione ha riguardato reati eterogenei per con (13) Corte Cost., 20 giugno 2008, n. 225, in www.iusexplorer.it. La Corte, inoltre, aveva giˆ ÒsalvatoÓ dalla declaratoria di incostituzionalitˆ lĠart. 707 c.p. con sentenza 2 novembre 1996, n. 370, con la quale era stato dichiarato illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 25 Cost., lĠart. 708 c.p. (14) Corte Cost., 20 giugno 2008, n. 225, in www.iusexplorer.it . (15) Ex multis, Cass. pen. 20 luglio 2011, n. 29579, in www.iusexplorer.it. (16) In merito alla configurabilitˆ del delitto di cui allĠart. 474 c.p, occorre tuttavia segnalare a prevalenza dellĠindirizzo giurisprudenziale che ritiene configurabile il delitto anche in presenza di merci grossolanamente contraffatte. é ritenuta irrilevante la circostanza che la falsitˆ sia facilmente riconoscibile: il reato non tutela la libera determinazione del compratore, ma la fiducia di tutti i consociati, i quali, nel vedere utilizzati prodotti contraffatti, vengono ingannati in ordine alla genuinitˆ del marchio commerciale (Cass. pen., 12 marzo 2008, n. 21787, in Diritto penale processuale n. 3, 2009, con commento critico di I. GIACONA, Punibilitˆ delle merci grossolanamente contraffatte). dotta e oggetto, il cui comune denominatore  rappresentato dallĠesiguo spessore sanzionatorio. Pu˜ essere richiamato, ad esempio, lĠart. 688 c.p. che in passato prevedeva la pena dellĠarresto e dellĠammenda per chiunque fosse colto in stato di ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico e che, a seguito della legge n. 507/99, contempla la sola sanzione amministrativa. In secondo luogo, sono state introdotte nuove fattispecie per fronteggiare situazioni non presenti allĠepoca in cui il codice  stato varato. Si fa riferimento, in particolare, ai delitti volti a fronteggiare il terrorismo e, segnatamente, allĠart. 270 bis, introdotto per adeguare i reati associativi alle nuove realtˆ comparse sul finire degli anni Settanta. LĠarticolo in questione, inoltre,  stato ulteriormente aggiornato nei primi anni Duemila, per combattere il terrorismo internazionale. Il terzo comma chiarisce che Òla finalitˆ di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, unĠistituzione o un organismo internazionaleÓ. In tal modo, si consente la repressione di nuove forme di criminalitˆ che sarebbero andate esenti da pena, stante il limite che la giurisprudenza avrebbe incontrato nel divieto di analogia. Il legislatore, infine, ha introdotto nuove fattispecie a tutela di beni di recenti emersione, tra i quali lĠambiente. QuestĠultimo  espressamente contemplato dalla Costituzione, allĠart. 117 II co., lett. s) tra le materie di legislazione esclusiva statale. UnĠulteriore richiamo, sia pure indiretto, si scorge allĠart. 9 Cost., ove  previsto che la Repubblica Òtutela il paesaggioÓ. LĠimportanza del bene ÒambienteÓ avvertita, inizialmente, quale riflesso delle trasformazioni economico-sociali (17)  oggi apertamente riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, la quale  orientata a considerare lĠambiente un valore primario e trasversale, che abbraccia beni materiali e concreti utilizzi delle risorse naturali (18). Sulla scorta di tale considerazione, la giurisprudenza ha espresso la necessitˆ di massima protezione. Sono state, quindi, ritenute costituzionalmente legittime le disposizioni che sanzionano la realizzazione di opere non autorizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, anche quando intervenga successivamente lĠautorizzazione del sindaco (19). In tal caso, tuttavia, la dottrina (17) V. MAGNINI, Bene giuridico, in Diritto penale, dizionari sistematici, a cura di F. GIUNTA, Milano, 2008, p. 79. (18) Corte Cost., 7 novembre 2007, n. 367, in www.iusexplorer.it; per una panoramica sullĠevoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di ambiente si veda G. PERULLI, Ruoli e procedure nella tutela ambientale, ne Il danno ambientale, a cura di G. PERULLI, Torino, 2012, p. 56 ss., nonchŽ B. CARAVITA, Diritto dellĠambiente, Bologna, 2001, p. 34 ss. (19) Corte Cost., 8 maggio 1998, n. 158, in www.iusexplorer.it che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimitˆ degli artt. 1 ter e 1 sexies, d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (ÒDisposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientaleÓ), introdotti dallĠart. 1, l. di conv. 8 agosto 1985, n. 431 e dallĠart. 7, l. 29 giugno 1939, n. 1497. ha messo in luce come la disciplina penale rischi di diventare una mera appendice sanzionatoria del diritto amministrativo (20). Un riferimento di fondamentale importanza per il diritto penale ambiente  rappresentato dal diritto dellĠUnione Europea, sia nellĠenunciazione dei principi generali (in particolare, i principi di prevenzione, precauzione e il principio Òchi inquina pagaÓ), che nel diritto derivato (regolamenti, direttive, decisioni). Dalla normativa sovranazionale emerge, precipuamente, lĠobiettivo di assicurare un elevato livello di tutela, obiettivo che, non di rado, si scontra con i principi garantistici del diritto penale. Si  rilevato, infatti, che lĠinterpretazione comunitariamente conforme assume, nel diritto penale ambientale interno, il significato di interpretazione estensiva, meno favorevole allĠimputato rispetto ad altre sostenibili in base alla lettera della legge (21). Altre tensioni derivano dallĠapplicazione del principio di precauzione, recepito in materia ambientale allĠart. 3 ter del Codice dellĠAmbiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) (22). Si  osservato, tuttavia, come il citato principio di derivazione comunitaria non indirizzi il legislatore nazionale verso la costruzione di fattispecie necessariamente penali: ci˜ che conta  lĠeffettivitˆ della tutela, quale che sia la branca dellĠordinamento tesa a garantirla (23). Nonostante, ad oggi, lĠambiente sia riconosciuto come bene di primaria importanza, per lungo tempo,  stato tutelato solo indirettamente, quale riflesso dellĠincolumitˆ pubblica. La disposizione cui la giurisprudenza faceva sovente riferimento era data dallĠart. 434 c.p., che, con la nozione di Òaltro disastroÓ, contemplava la figura del disastro innominato (24). La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimitˆ della disposizione per carenza del requisito della sufficiente determinatezza, aveva dichiarato infondata la questione di costituzionalitˆ (25). In quellĠoccasione, la Corte aveva ritenuto che la nozione Òaltro disastroÓ si connettesse allĠimpossibilitˆ pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni idonee a met (20) F. GIUNTA, Tutela dellĠambiente (diritto penale), in Enc. Dir., Annali, II, tomo 2, Milano, 2008, p. 1154. (21) C. RUGA RIVA, Diritto penale dellĠambiente, Torino, 2016, p. 26. (22) Con riferimento ai fondamenti storici e normativi del principio di precauzione e la loro interpretazione da parte della giurisprudenza comunitaria si veda F. ROCCO, Alcuni spunti giurisprudenziali comunitari e unĠimportante enunciazione della giurisprudenza italiana sul principio di precauzione e sul conseguente obbligo risarcitorio, in Il danno ambientale, Torino, 2012, p. 14 e ss. (23) C. RUGA RIVA, Diritto penale dellĠambiente, op. cit., p. 39. (24) Relativamente al delitto previsto dallĠart. 434 c.p., una pronuncia della Cassazione ha affrontato in modo approfondito la esegesi della norma. Si  precisato che il termine ÒdisastroÓ implica che sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumitˆ Òstraordinariamente grave e complessoÓ, ma non Òeccezionalmente immaneÓ; pertanto ҏ necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di personeÓ (Cass. pen., 29 febbraio 2008, n. 9418, in www.iusexplorer.it). (25) Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327, in www.iusexplorer.it. tere in pericolo astrattamente la pubblica incolumitˆ. LĠutilizzo di concetti elastici, non comportava, pertanto, un vulnus al parametro costituzionale di cui allĠart. 25 Cost., quando la descrizione complessiva del fatto consentisse al giudice di stabilire il significato di tale elemento, mediante unĠoperazione interpretativa, avuto riguardo alle finalitˆ e al contesto in cui si collocasse lĠincriminazione. Stante lĠassenza di una norma specifica a tutela del bene giuridico in questione, una parte della dottrina aveva ravvisato nellĠart. 423 bis c.p. (incendio boschivo) una norma posta espressamente a presidio dellĠambiente. La ragione risiedeva nel fatto che il legislatore avesse costruito una fattispecie autonoma sulla base di un dato (lĠoggetto su cui ricade lĠincendio, ovvero lĠambiente) che, in passato, rappresentava solo una circostanza aggravante del delitto di incendio di cui allĠarticolo precedente (26). La tutela penale era, per il resto, affidata a due disposizioni di natura contravvenzione, gli articoli 727 bis e 733 bis c.p., introdotte nel 2011, su impulso dellĠUnione Europea (27). LĠintervento legislativo non aveva soddisfatto larga parte della dottrina, la quale evidenziava come la forma contravvenzione presentasse numerosi svantaggi, fra i quali: la preclusione di taluni mezzi di prova (intercettazioni telefoniche e ambientali, artt. 266 ss. c.p.p.), la non punibilitˆ del tentativo, la prescrizione del reato in tempi brevi, dovuta anche allĠinapplicabilitˆ dei termini pi lunghi previsti per la recidiva (circoscritta ai soli delitti) (28). Il panorama normativo  mutato a seguito della legge n. 68 del 2015, la quale ha introdotto un nuovo Titolo nel codice penale (Delitti contro lĠambiente) e, al tempo stesso, ha apportato modifiche al Testo Unico Ambientale. Si , in particolare, previsto un meccanismo di estinzione degli illeciti contemplati nello stesso decreto, quando i medesimi non abbiano cagionato un danno o un pericolo concreto di danno (29). Il sistema di tutela , quindi, ad oggi, strutturato in tre livelli: gli illeciti per i quali opera il meccanismo estintivo; le contravvenzioni e i delitti. Si  in presenza di un Òsistema tipizzato a tutela crescenteÓ, in cui le contravvenzioni rappresentano il primo gradino di un quadro di progressiva gravitˆ (30). Le novitˆ legislative hanno riguardato lĠintroduzione di cinque nuovi de (26) S. CORBETTA, Il nuovo delitto di Òincendio boschivoÓ: poche luci e (molte ombre), in Diritto penale e processo, 9, 2000, p. 1172. (27) Art. 1, d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, di attuazione della direttiva 2008/99/CE. (28) C. RUGA RIVA, Diritto penale dellĠambiente, op. cit., pp. 22 - 23. (29) Sulla disciplina dei nuovi reati ambientali, si veda P. FIMIANI, La tutela penale dellĠambiente, Milano, 2015; L. MASERA, I nuovi delitti contro lĠambiente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; C. BERNASCONI, Il ÒbastoneÓ e la ÒcarotaÓ nella nuova disciplina dei reati ambientali, in Studium Iuris, 12, 2012, p. 1403. (30) P. FIMIANI, La tutela penale dellĠambiente, op. cit., p. 12. litti, lĠallungamento dei termini prescrizionali e lĠinserimento, tra i reati presupposto della responsabilitˆ amministrativa degli enti, di alcuni reati in materia ambientale. La nuova disciplina segna unĠinversione di tendenza rispetto al passato. Da un lato, si  passati da fattispecie contravvenzionali di condotta, che sanzionavano lĠimmissione di sostanze oltre le soglie di legge (reati di pericolo astratto), a reati di evento, ove viene punita la causazione di un pregiudizio allĠambiente. DallĠaltro, mentre in passato la contaminazione era punita solo se pericolosa per la pubblica incolumitˆ, lĠattuale articolo 452 bis c.p. punisce lĠinquinamento in quanto tale. La visione antropocentrica ha lasciato, dunque, spazio ad una ecocentrica (31). In conclusione, lĠindividuazione dei beni e delle tecniche di tutela appare fortemente influenzata dal momento storico politico. Al riguardo, si osserva che, con lĠavvento della societˆ del rischio, sono comparsi nuovi beni da tutelare (tra cui, lĠambiente), in modo conforme ai principi costituzionali (in particolare al principio di offensivitˆ). é significativo, in proposito, che le nuove fattispecie di delitti ambientali siano strutturate come reati di evento e non di pericolo. (31) C. RUGA RIVA, Diritto penale dellĠambiente, op. cit., p. 18. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Lo Ç Stato -Autoproduttore È Dalle origini giurisprudenziali alla codificazione dellĠin house providing Domenico Andracchio* Colui che pu˜ distruggere una cosa, ha il pieno controllo di quella cosa (Frank Herbert) SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La cura concreta degli interessi pubblici e lĠampia discrezionalitˆ della p.a. nella scelta degli ÇstrumentiÈ: esternalizzazione, partenariato pubblico- privato e in house providing. La sequenza logica Òinteressi pubblici-mezzi-strumentiÓ - 3. Le origini giurisprudenziali dellĠin house providing e i requisiti del Çcontrollo analogoÈ e della Çattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblicoÈ - 4. La dubbia natura dellĠin house providing: ÇordinarietˆÈ versus ÇderogatorietˆÈ - 5. Critica alla ÇderogatorietˆÈ. Le tre ragioni che giustificano la configurazione dellĠin house providing come modello organizzatorio ordinario: la incostituzionalitˆ dei limiti allĠutilizzo della autoproduzione, i vincoli di finanza pubblica imposti dal Patto di Stabilitˆ Interno (P.S.I.) e il principio di auto-organizzazione amministrativa - 6. LĠin house providing nelle nuove direttive appalti e il processo di Çpositivizzazione-integrazioneÈ dei requisiti dellĠistituto: il carattere misto della nuova autoproduzione - 7. I nuovi requisiti del Çcontrollo analogoÈ e della Çattivitˆ prevalenteÈ come elaborati nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: lĠinfluenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della struttura in house e lo svolgimento di unĠattivitˆ pubblica nella misura dellĠoltre 80 % - 8. Le fattispecie di autoproduzione disciplinate nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: in house verticale ed invertito, in house orizzontale, in house frazionato e la cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata - 9. La Çforma giuridicaÈ dellĠin house providing prima e dopo lĠadozione delle direttive europee. Societˆ in mano pubblica, fondazioni pubbliche e associazioni no pro (*) Cultore di Giustizia amministrativa presso lĠUniversitˆ della Calabria, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura dello Stato. fit - 10. Considerazioni conclusive: le questioni affrontate dalla pi recente giurisprudenza amministrativa in tema di in house providing e il nuovo Codice degli appalti pubblici. 1. Premessa. Le attivitˆ che la pubblica amministrazione pone in essere nellĠesercizio delle funzioni di cui  attributaria sono numerose. Qualunque sia la specifica morfologia che viene assumendo lĠattivitˆ amministrativa, ci si viene a trovare, in ogni caso, dinanzi ad una serie di fatti materiali ed atti giuridici correlati tra di loro e permeati, irrimediabilmente, dal principio di legalitˆ. Tale principio pu˜ coprire interamente lĠattivitˆ amministrativa oppure lasciare un certo margine di apprezzamento: nel primo caso si avrˆ la c.d. attivitˆ vincolata, nel secondo la c.d. attivitˆ discrezionale. Con riferimento allĠattivitˆ vincolata, il legislatore disciplina, in maniera puntuale e precisa, sia i presupposti sia le modalitˆ di esercizio del potere pubblico, di guisa che il soggetto titolare del potere dovrˆ limitarsi ad accertare la sola sussistenza delle ÇcondizioniÈ e dei ÇpresuppostiÈ alla cui ricorrenza la legge subordina lĠesercizio di quel potere. Diversamente, per quel che concerne lĠattivitˆ discrezionale, il legislatore si limita a fissare le finalitˆ che debbono essere perseguite, cos“ da lasciare alla pubblica amministrazione la possibilitˆ di individuare - previa ponderazione degli interessi pubblici (primari e secondari) e degli interessi privati sottesi alla fattispecie concreta - lĠassunzione della scelta pi ÇragionevoleÈ e ÇproporzionaleÈ. Ognun sa che la pubblica amministrazione si sostanzia in un Çcomplesso di soggetti e di struttureÈ (1) deputate a porre in essere Çquella serie di azioni ad utilitˆ di tutta la societˆ politica, eseguita per autoritˆ sovrana o delegata sopra le materie appartenenti a tutta la societˆ medesimaÈ (2). Va da sŽ che, tanto nelle ipotesi di Çattivitˆ discrezionaleÈ quanto in quelle di Çattivitˆ vin- colataÈ, la complessa organizzazione che sovraintendere allĠesercizio della funzione amministrativa ha bisogno di risorse. I canali attraverso i quali gli  possibile ÇprocurarsiÈ queste risorse sono essenzialmente due: il ricorso al mercato e lĠautoproduzione. Facendo ricorso al mercato, il soggetto pubblico mira ad individuare lĠoperatore economico che, dotato di adeguate capacitˆ organizzative ed operative, gli consentirˆ di assolvere alla sua missione istituzionale; la necessitˆ di garantire la paritˆ di trattamento gli impone lĠespletamento di una procedura selettiva che metta in concorrenza tra di loro la pluralitˆ di operatori economici interessanti alla commessa. (1) SCOCA F.G., La pubblica amministrazione come organizzazione, in MAZZAROLLI L. - PERICU G. - ROMANO A. - ROVERSI MONACO F.A. - SCOCA F.G. (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 2001, p. 459. (2) ROMAGNOSI G.D., Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, Firenze, 1939, p. 359. DOTTRINA 173 Talvolta, per˜, pu˜ essere pi conveniente rinunciare alle dinamiche proprie della realtˆ mercantile, costituendo delle strutture organizzative che, controllate dalla pubblica amministrazione alla stregua di un ufficio interno, permettono alla stessa di conseguire, ugualmente, le risorse occorrenti per la cura dellĠinteresse generale: in questi casi si discorre di autoproduzione ovvero (secondo lĠidioma anglofono) di in house providing. Il presente saggio  incentrato proprio sullo studio dellĠin house providing, il quale  stato (ed  tuttĠora) al centro di un recente processo di Çtrasformazione È che gli ha permesso di divenire un istituto, non pi contemplato soltanto dalla giurisprudenza, ma financo disciplinato da una formale normativa. Dopo aver esaminato le caratteristiche indefettibili di esso, cos“ come erano state elaborate dalla giurisprudenza europea e nazionale negli anni passati, si giunge allĠanalisi dellĠistituto alla luce delle recenti direttive europee (nn. 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue) e del D.lgs. n. 50/2016 (c.d. nuovo codice appalti). 2. La cura concreta degli interessi pubblici e lĠampia discrezionalitˆ della p.a. nella scelta degli ÇstrumentiÈ: esternalizzazione, partenariato pubblico-privato e in house providing. La sequenza logica Òinteressi pubblici-mezzistrumentiÓ. Le pubbliche amministrazioni per assolvere la funzione istituzionale di Çcura concretaÈ degli interessi pubblici si avvalgono di una serie di strumenti dĠazione, molti dei quali previsti dalla legge (c.d. strumenti tipici), altri rimessi, di contro, alla loro prudente valutazione discrezionale (c.d. strumenti atipici). I caratteri indefettibili dellĠattuale contesto istituzionale evidenziano come nellĠalveo degli interessi pubblici assumono sempre maggiore importanza quelli suscettibili di valutazione economico-patrimoniale. Questi interessi possono essere distinti, a loro volta, in Çinteressi formalmente pubbliciÈ, i quali rientrano nella titolaritˆ dellĠapparato amministrativo (ad es. lĠinteresse alla costruzione di un manufatto edilizio da adibire a sede di uffici) e in Çinteressi sostanzialmente pubbliciÈ, il cui soddisfacimento viene rivendicato, invece, dalla comunitˆ assoggettata al potere di gubernaculum (ad. es. lĠinteresse alla erogazione del servizio idrico in una determinata localitˆ). In base a quello che  il contenuto specifico dellĠinteresse pubblico da soddisfare, i mezzi attraverso i quali le pubbliche amministrazioni si prodigano a tale scopo possono sostanziarsi ora nella costruzione, nella demolizione, nel recupero ovvero nel restauro e/o nella manutenzione di opere edilizie o di genio civile (lavori pubblici), ora nellĠacquisto o nella locazione di prodotti (forniture pubbliche), ora nella erogazione di prestazioni tese al soddisfacimento di esigenze della vita quotidiana delle persone (servizi pubblici). Alla tripartizione delle commesse pubbliche in lavori, servizi e forniture corrisponde un altrettanto celeberrima classificazione di quelli che sono gli strumenti con cui  consentito alle pubbliche amministrazioni avvalersi del mezzo pi idoneo a soddisfare lĠinteresse pubblico venuto in gioco. Difatti, i lavori, le forniture e i servizi potranno essere garantiti (a seconda di quelle che sono le specifiche circostanze del caso) mediante tre diversi strumenti dĠazione: a) lĠesternalizzazione (outsourcing), la quale permette di individuare, tra due o pi operatori messi in competizione, quello pi idoneo ad eseguire la commessa; b) la cooperazione (partenariato-pubblico privato), la quale consente alle autoritˆ pubbliche di realizzare lavori, servizi o forniture avvalendosi della collaborazione dei soggetti privati che abbiano manifestato la disponibilitˆ a stipulare un contratto in forza del quale, dietro acquisizione del diritto di gestire e di sfruttare economicamente lĠopera realizzata, si obbligano a sopportare il costo (totale o parziale) dellĠopera medesima; c) lĠautoproduzione (in house providing), la quale ricorre tutte le volte in cui la pubblica amministrazione realizza un lavoro, acquista un bene o eroga un servizio avvalendosi di una propria articolazione organizzativa interna. Non esiste una norma giuridica (comunitaria o nazionale) dalla quale sia consentito desumere degli elementi che impongono la predilezione per lĠuno, piuttosto che per gli altri strumenti. Emblematico  quellĠinsegnamento giurisprudenziale nel quale, dopo essere stato precisato che nŽ lĠordinamento europeo tampoco quello nazionale impongono alle Çautoritˆ pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare il corretto esercizio delle loro funzioni pubbliche, essendo addirittura consentito alle amministrazioni aggiudicatrici - in alternativa allo svolgimento di una di procedura di evidenza pubblica - di stipulare un ÒaccordoÓ a titolo oneroso con persone giuridiche soggette, comunque, ad un penetrante controllo da parte delle primeÈ, si chiarisce che Çuna cooperazione del genere non pregiudica lĠobiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione dei servizi e lĠapertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, poichŽ lĠattuazione di tali forme gestione delle commesse pubbliche  retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblico e, per tal ragione, nessun impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrentiÈ (3). Dei tre sopraccennati strumenti a disposizione della pubblica amministrazione, quello sul quale ci si soffermerˆ in questa sede  quello dellĠin house providing; un istituto che, nel rivestire un Çposto di assoluto rilievo nel panorama delle societˆ pubblicheÈ (4),  stato (e continua ad essere) al centro di numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. Sebbene la pi diffusa forma giuridica delle entitˆ organizzative deputate ad operare in regime di in house (3) Cons. St., Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6548, in www.giustizia-amministrativa.it. (4) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e lĠin house providing: problemi vecchi e nuovi, in www.giustamm.it, 2015, p. 1. DOTTRINA 175 sia quella societaria, nel perimetro dellĠistituto possono farsi rientrare le pi diverse figure soggettive (ad es. societˆ cooperative, consorzi, enti pubblici economici, etc.). Ne discende che esso si configura come un istituto strettamente collegato al fenomeno delle partecipazioni pubbliche. Se si considera che Çnel 2012 sono 11.024 le unitˆ per le quali si registra una forma di partecipazione pubblica in Italia, con un peso in termini di addetti pari a 977.792 unitˆÈ (5), si fa presto a capire che ci si trova in presenza di una realtˆ (quella delle c.d. partecipate pubbliche) capace di involgere dei rilevanti principi aventi copertura costituzionale. Ed  anche in ragione del fatto che vengono in rilievo i principi che sovraintendono alla finanza pubblica e alla contabilitˆ dello Stato che il giudice amministrativo preferisce impiegare un atteggiamento prudente tutte le volte in cui  chiamato a comporre delle questioni che attengono alle commesse pubbliche e, tra queste, soprattutto quelle concernenti lĠin house providing. 3. Le origini giurisprudenziali dellĠin house providing e i requisiti del Çcontrollo analogoÈ e dellĠÇattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblico È. NellĠattuale sistema giuridico multilivello, in cui accanto ad un ordinamento sovraordinato (quello europeo) coesistono e si intersecano una pluralitˆ di ordinamenti sottordinati (quelli dei singoli Stati membri), la Corte di giustizia europea  venuta ad assumere un ruolo determinante nella creazione ed armonizzazione di nozioni, di categorie e di istituti destinati ad avere un effetto dirompente sugli equilibri normativi degli ordinamenti dei singoli Stati membri. Non  un caso che si  giˆ avuto modo di segnalare lĠopportunitˆ di qualificare il diritto europeo (quindi di rimando anche le ÒporzioniÓ del diritto nazionale che promanano dallĠacquis comunitario) come Çdiritto giurisprudenziale È; ci˜ al fine di sottolineare che le Çdecisioni della Corte europea costituiscono non solo una formidabile cinghia di trasmissione fra il diritto dellĠUnione e i sistemi nazionali, ma anche uno dei principali momenti di creazione e innovazione delle regole nazionali, nonchŽ di ridefinizione degli equilibri fra ordinamento europeo e ordinamenti nazionaliÈ (6). Trattasi di osservazioni che hanno suscitato le perplessitˆ di quella autorevole dottrina che, nel prendere contezza di quanto la funzione legislativa, in sede europea, sia sempre pi erosa dalla pervasivitˆ della giurisprudenza della (5) RAPPORTO ISTAT - 2014, in www.istat.it, p. 16. (6) COZZIO M., Il contributo della giurisprudenza allĠevoluzione delle regole sugli appalti pubblici, in Il dir. dellĠecon., XXVI, 2013, p. 168. Per approfondimenti dottrinali sullĠincidenza del formante giurisprudenziale alla creazione del diritto europeo e, quindi, dei singoli diritti nazionali si rinvia, tra i tanti, alla lettura di: GIOVANETTI T., LĠEuropa dei giudici. La funzione giurisdizionale nellĠintegrazione comunitaria, Torino, 2009 e di MARTINICO G., LĠintegrazione silente. La funzione interpretativa della Corte di Giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, 2009. Corte di giustizia, non ha esitato ad affermare che Çla perimetrazione mediante regole giurisprudenziali di istituti e nozioni giuridiche (perci˜ aventi contorni non perfettamente delineati), benchŽ sia certamente utile e apprezzabile (e assuma lĠefficacia di binding judicial precedent) non sembra potersi sostituire allĠopportunitˆ, talvolta alla necessitˆ, di un intervento normativo che fornisca orizzonti di sistema agli istituti e maggiori certezze sul diritto applicabileÈ (7). Le nozioni e gli istituti giuridici che hanno tratto origine dalla forza creatrice della giurisprudenza europea sono diversi e tra questi deve farsi rientrare lĠin house providing (8). La prima comparsa del fenomeno dellĠautoproduzione nel mondo del diritto  da farsi risalire alla fine del secolo scorso. La Corte di giustizia europea, invero, con la ormai nota sentenza Teckal (9) ebbe modo di riconoscere, per la prima volta, la possibilitˆ di derogare alla regola (7) SANDULLI M.A., Riflessioni sulla responsabilitˆ civile degli organi giurisdizionali, in PORTALURI P.G. (a cura di), LĠEuropa del diritto: i Giudici e gli ordinamenti, Napoli, 2012, p. 513. (8) Tra i molti contributi dottrinali dedicati al fenomeno dellĠin house providing si rinvia a: CATRICALË A., Affidamenti in house: la posizione dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato, in App. e contratti, 2008, pp. 54 ss.; GOISIS F., Nuovi sviluppi comunitari e nazionali in tema di in house providing e i suoi confini, in Dir. amm., III, 2008, pp. 579 ss.; COLOMBARI S., Il modello in house providing tra mito ÒinternoÓ e realtˆ ÒcomunitariaÓ (commento a C.G.A. Sicilia, sez. giurisd., 4 settembre 2007, n. 719), in Urb. e app., II, 2008, pp. 211 ss.; RIZZO I., Affidamento in house e controllo analogo: una certezza irraggiungibile? (commento a Cons. di Stato, sez. V, 31 marzo 2009, n. 5082 sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365 sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591), in Urb. e app., XI, 2009, pp. 1345 ss.; CARANTA R., La Corte di giustizia chiarisce i contorni dellĠin house pubblico (commento a Corte di giustizia delle Comunitˆ europee, sez. III, 13 novembre 2008, C-324/07), in Giurispr. it., V, 2009, pp. 1251 ss.; PALLIGGIANO G., Affidamento in house: il Òcontrollo analogoÓ va verificato secondo un criterio generale. La scelta del metodo cosiddetto sintetico facilita le esigenze degli enti territoriali (commento a Cons. di Stato, sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082), in Guida al diritto, 2009, XXXVII, pp. 54 ss.; DE PAULI L., Gli enti in house e lĠevidenza pubblica Ça valleÈ (commento a Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 2009, n. 2765), in Urb. e app., IX, 2009, pp. 1104 ss.; CARUSO L.M., LĠin house providing nellĠevoluzione giurisprudenziale comunitaria e nazionale (commento a Tar Campania, Napoli, sez. VII, 6 dicembre 2008, n. 21241), in Giurispr. merito, V, 2009, pp. 1378 ss.; CORSO G. - FARES G., Crepuscolo dellĠÇin houseÈ? (nota a Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 439), in Foro it., V, 2009, pp. 1319 ss.; DI GIACOMO RUSSO B., LĠaffidamento in house  un modello di sussidiarietˆ orizzontale? (commento a TAR Sardegna, sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407), in Riv. trim. app., I, 2009, pp. 203 ss.; SCARALE P., La Corte di giustizia modifica la propria giurisdizione sullĠin house? (commento a Corte di giustizia europea, sez. II, 17 luglio 2008, n. C-371/05), in Riv. trim. appalti, I, 2009, pp. 165 ss.; PULVIRENTI M.G., Recenti orientamenti in tema di affidamenti in house (commento a Consiglio di Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1), in Foro amm. - CDS, I, 2009, pp. 93 ss.; FORTUNA G., LĠin house providing tra diritto interno e diritto del- lĠUnione europea (nota a margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010), in www.giustamm. it, 2010; ROMEO M., In tema di affidamento diretto di un servizio, ampliato per ambito territoriale e per importo, rispetto a quello precedentemente assegnato mediante procedura ad evidenza pubblica (commento a TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 aprile 2010, n. 457), in Contr. St. e ent. pubbl., III, 2010, pp. 345 ss.; DE SANTIS S. - DI FILIPPO E., Affidamento Çin houseÈ e controllo analogo, in Coop. e cons., VI, 2010, pp. 41 ss.; NICODEMO A., Il Òcontrollo analogo congiuntoÓ nellĠin house providing, in Riv. amm. Rep. it., V, 2010, pp. 307 ss.; DELLO SBARBA F., La compatibilitˆ degli affidamenti in house con lĠart. 23-bis. D.L. 112/2008: il g.a. anticipa lĠart. 15, D.L. 135/2009 (commento a Tar Toscana, sez. I, 8 settembre 2009, n. 1430), in Urb. e app., II, 2010, pp. 227 ss.; IAONE C., Societˆ in house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione a autoproduzione degli enti locali, Napoli, 2012. (9) C. giust. Ce, 18 novembre 1999, C-107/98, in www.curia.europa.eu. DOTTRINA 177 dellĠevidenza pubblica in tutte le ipotesi in cui fosse stato possibile individuare la contestuale esistenza di due presupposti: il Çcontrollo analogoÈ e ÇlĠattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblico di appartenenzaÈ, quali caratteristiche identificative dellĠin house providing. QuestĠaffermazione non deve per˜ confondere a causa del dubbio (comprensibile) circa il ÒseÓ lĠin house debba considerarsi come un Çmodello organizzativo È oppure come un Çmodulo dĠazioneÈ della pubblica amministrazione. Esso, molto semplicemente,  entrambe le cose: pu˜ essere considerato sia sotto un profilo oggettivo che sotto un profilo soggettivo. Da una punto di vista oggettivo costituisce una procedimento amministrativo che conduce la pubblica amministrazione - senza previo esperimento di una gara - ad affidare una commessa pubblica ad una determinato soggetto, mentre da un punto di vista soggettivo rappresenta unĠentitˆ organizzativa che, per essere assoggettata ad un controllo analogo rispetto a quello che la pubblica amministrazione esercita sui propri uffici interni, rende legittima lĠattribuzione diretta di una commessa pubblica. Si tratta allora di capire la portata dei requisiti indefettibili dellĠin house providing, considerati da unĠangolazione prospettica soggettiva: il Çcontrollo analogoÈ e lĠÇattivitˆ prevalenteÈ. Il Çcontrollo analogoÈ si sostanzia nella Çcapacitˆ dellĠente affidante di determinare le scelte di gestione e dĠorganizzazione per la produzione dellĠente in house, che perci˜ esclude una negoziazione bilaterale delle condizioni di fornitura del bene o di prestazione del servizioÈ (10), di guisa che, proprio in forza di un controllo siffattamente invasivo, il soggetto affidatario si configura come una Çarticolazione organizzativa interna facente parte della ÒcasaÓÈ (11). Il requisito ÇdellĠattivitˆ prevalenteÈ, invece, esclude che le attivitˆ svolte dallĠorganizzazione interna possano essere scelte liberamente sulla base di valutazioni tese ad intercettare delle propizie occasioni mercantili capaci di assicurare del profitto, trattandosi, piuttosto, di unĠattivitˆ Çirrefutabilmente vincolata alla soddisfazione dei fini pubblici, la cura dei quali  demandata dallĠordinamento giuridico allĠente pubblico socio della struttura in houseÈ (12). Proprio in forza di questĠultimo requisito vĠ stato chi ha attribuito allĠin house providing la qualifica di Çimpresa dimezzataÈ, allĠuopo evidenziando che ÇlĠordinamento giuridico, nellĠimporre, quale limite esterno dellĠorganizzazione in house, che lĠattivitˆ prevalente di questĠultima sia svolta per conto degli enti pubblici controllanti, ha configurato questa organizzazione come un (10) CAVALLO PERIN R., Il modulo ÒderogatorioÓ: in autoproduzione o in house providing, in BONURA H. - CASSANO M. (a cura di), LĠaffidamento e la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, Torino, 2011, p. 123. (11) Concl. Avv. gen., 20 settembre 2007, C-453/06 in www.curia.europa.eu. (12) MAZZAMUTO M., Brevi note su normativa comunitaria e in house providing, in Dir. Ue (Il), IV, 2001, p. 540. imprenditore non rivolto in via principale a qualsiasi mercato di beni o servizi; sicchŽ lĠorganizzazione in house pu˜ essere considerata unĠimpresa dimezzata o addirittura un Ònon imprenditoreÓ (es. artt. 2602 ss. c.c.) quando la legge o lo statuto dellĠorganizzazione in house escludano ogni produzione per conto o a favore di enti non di controlloÈ (13). Le linee direttrici sviluppate dalla Corte di giustizia europea nella sentenza Teckal sono state recepite dalla giurisprudenza nazionale. é al Consiglio di Stato che deve essere attribuito il merito di avere elaborato una delle definizioni pi sofisticate e complete dellĠin hous. NellĠAdunanza plenaria 3 marzo 2008, n. 1, dopo essere stato ribadito che ÇlĠistituto dellĠin house providing  ritenuto ammissibile solo nel rispetto di alcune rigorose condizioni (individuate dalla giurisprudenza comunitaria ed elaborate anche da quella nazionale) rappresentate da: 1) il cosiddetto controllo analogo a quello svolto sui propri servizi, necessariamente esercitato dallĠente pubblico nei confronti dellĠimpresa affidataria; 2) il rapporto di stretta strumentalitˆ fra le attivitˆ dellĠimpresa in house e le esigenze pubbliche che lĠente controllante  chiamato a soddisfareÈ, si  pure precisato che ÇlĠin house providing ricorre tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare una commessa pubblica, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una societˆ esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una ÒderivazioneÓ ovvero una Òlonga manusÓ dellĠente stessoÈ (14). Ma quandĠ che ricorrono, praticamente, i requisiti del Çcontrollo analogo È e ÇdellĠattivitˆ prevalentemente svolta per il soddisfacimento delle esigenze pubbliche dellĠente controllanteÈ? La giurisprudenza successiva alla sentenza Teckal non si  potuta esimere dal compiere i necessari sforzi ermeneutici volti a fornire una risposta allĠinterrogativo; il rischio sarebbe stato quello di consentire alle pubbliche amministrazioni di eludere, troppo facil (13) CAVALLO PERIN R. - CASALINI D., LĠin house providing: unĠimpresa dimezzata, in Dir. amm., II, 2006, p. 52. In giurisprudenza si  pronunziata in senso analogo Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 4 settembre 2007, in Foro amm. - CDS, 2007, n. 709, p. 2602 ss., ove si  stabilito che ÇdallĠesame della giurisprudenza europea e del Consiglio di Stato emerge con chiarezza che questo imprenditore non pu˜ essere un vero imprenditore. Egli non rischia, costituisce solo un braccio operativo della Pubblica Amministrazione, professionalizzato e capace di acquisire sul mercato i mezzi e le professionalitˆ necessarie, ma sostanzialmente equiparabile a quelle figure tradizionali del diritto amministrativo, ormai scomparse, quali le aziende autonome o gli organi con personalitˆ giuridica. I motivi per cui un soggetto pubblico opera la scelta di agire attraverso una societˆ per azioni ad hoc costituita, anzichŽ apprestare allĠuopo un ufficio tecnico, possono essere i pi vari. Dalla esigenza di sottrarsi alla contabilitˆ pubblica, a quella di acquisire uomini e mezzi in maniera flessibile attingendo al mercato, e quindi aderendo alle sue logiche dei prezzi e delle retribuzioni; dalla temporaneitˆ della intrapresa, alla particolare professionalitˆ non reperibile attraverso il reclutamento pubblico etc. Ci˜ non rileva molto, ci˜ che lĠUnione europea pretende  che tale esperienza rimanga confinata allĠinterno del soggetto pubblico azionista o proprietario, e che un tale imprenditore non abbia margini e discrezionalitˆ per invadere il mercato liberoÈ. (14) Cons. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, p. 1319 ss. DOTTRINA 179 mente, la regola in ossequio alla quale i lavori, i servizi e le forniture pubbliche debbono essere affidati, attraverso il previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica, ad un operatore economico (formalmente e sostanzialmente) terzo rispetto allĠamministrazione. Con riferimento al Çcontrollo analogoÈ si  stabilito che Çla sola partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale dellĠimpresa affidataria non  garanzia della ricorrenza dei presupposti dellĠin house, occorrendo anche unĠinfluenza determinante da parte del socio pubblico sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importantiÈ (15). Sicuramente pi utili sembrano essere, per˜, le indicazioni offerte dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, la quale, nel prediligere un approccio pi pratico, ha stabilito che Çsussiste il requisito del controllo analogo, necessario per lĠaffidamento diretto ad una societˆ di gestione a dominanza pubblica totalitaria, allorchŽ: a) lo statuto non consenta che una quota del capitale sociale possa essere alienata a soggetti privati; b) il consiglio di amministrazione abbia rilevanti poteri gestionali ed allĠente affidante sia consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale; c) la societˆ di gestione non possa acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dellĠente affidante attraverso, tra lĠaltro, la possibilitˆ dellĠampliamento dellĠoggetto sociale, lĠapertura di capitali, lĠespansione territoriale della attivitˆ sociale; d) le pi importanti decisioni degli organi societari siano sottoposti al vaglio preventivo dellĠente affidanteÈ (16). (15) C. Giust. Ce, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. (16) Con. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1, cit. Sulla portata del Çcontrollo analogoÈ, tra le pi recenti pronunce, si vedano: Cons. St., Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154, in Il Foro. amm., 2015, p. 1049 ss., ove  stato affermato che Çi requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale perchŽ possa farsi luogo ad affidamento in house sono: la totale partecipazione pubblica con divieto di cedibilitˆ a privati; lĠesclusivitˆ (destinazione prevalente dellĠattivitˆ a favore dellĠente affidante); il controllo analogo (esercizio di influenza decisiva sugli indirizzi strategici e sulle decisioni significative del soggetto affidatario, tale da escludere la sostanziale terzietˆ dell'affidatario rispetto al soggetto affidante)È; T.A.R. Abruzzo, LĠAquila, Sez. I, 19 novembre 2014, n. 929, in Red. Giuffr, 2015, che ha stabilito che Çil requisito del Òcontrollo analogoÓ, condizione fondamentale per ricorrere allĠaffidamento in house, idoneo ad escludere la sostanziale terzietˆ dellĠaffidatario domestico rispetto al soggetto affidante,  da ritenersi sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dellĠattivitˆ del soggetto partecipato da parte dellĠente controllante-affidante, che consenta cio a questĠultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dellĠaffidatarioÈ; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 4 dicembre 2014, n. 629, in Il Foro amm., 2014, p. 3198 ss., in cui si  inteso ribadire che ǎ impossibile la partecipazione ancorchŽ in percentuale minima di soggetti privati alle societˆ in house. é pacifico, nellĠattuale stato di soluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalitˆ della proprietˆ pubblica del capitale della societˆ in house debba sussistere in termini assoluti. Invero, lĠaffidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una societˆ esterna (ossia, soggettivamente separata), che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una derivazione o una longa manus dellĠente stesso. Infatti, in ragione del c.d. controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di unĠimpresa privata al capitale di una societˆ, alla quale partecipi Quanto allĠÇattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente affidanteÈ si  invece scritto che un tale requisito debba ritenersi integrato Çtutte le volte in cui lĠimpresa in house si astenga dallĠespletare le sua attivitˆ in favore di soggetti diversi rispetto alla pubblica amministrazione controllante ovvero quando li espleti in favore di soggetti diversi rispetto allĠamministrazione controllante, ma in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali, ed in ogni caso non fuori dalla competenza territoriale dellĠente controllanteÈ (17). é consolidato quellĠinsegnamento secondo il quale, al fine di stabilire se lĠattivitˆ della struttura in house possa considerarsi prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblico controllante,  necessario compiere Çun giudizio pragmatico nel caso concreto che si basi non solo sullĠaspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo, con la conseguenza che la natura dei servizi, delle opere o dei beni resi al mercato privato, oltre alla sua esiguitˆ, deve anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione dellĠaffidatario diretto sul mercato pubblico e privatoÈ (18). I requisiti costitutivi dellĠin house providing devono essere interpretati dallĠoperatore giuridico in maniera attenta e restrittiva, dal momento che un utilizzo inappropriato di esso potrebbe sortire - tra lĠaltro - effetti distorsivi per il mercato e per le dinamiche concorrenziali che debbono contraddistinguerlo; se cos“ non fosse, risulterebbero violati, oltre ai principi generali che sovraintendono a tutta lĠazione amministrativa (trasparenza, imparzialitˆ, pubblicitˆ, efficienza, efficacia, economicitˆ, etc.), anche Çil divieto di discriminazione nellĠesercizio delle attivitˆ di impresa, la libertˆ di prestazione dei servizi e la tutela della libera concorrenza, quali principi del Trattato istitutivo della Comunitˆ europea applicati nelle pronunce della Corte di giustizia, che anche lĠAmministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale Amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dellĠente pi incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile. Inoltre, non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della societˆ deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; allĠente pubblico controllante deve essere consentito lĠesercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; lĠimpresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dellĠente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della societˆ ad altri capitali, fino allĠespansione territoriale dellĠattivitˆ a tutta lĠItalia e lĠestero; le decisioni pi importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dellĠente affidante, e della c.d. destinazione prevalente dellĠattivitˆ (cio il rapporto di stretta strumentalitˆ fra le attivitˆ dellĠimpresa e le esigenze pubbliche che lĠente controllante  chiamato a soddisfare), lĠente in house non pu˜ ritenersi terzo rispetto allĠAmministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dellĠAmministrazione stessa. Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilitˆ di legittimo affidamento in house  sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale socialeÈ. (17) GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi, in www.giustizia-amministrativa.it, 2007, p. 15. (18) C. Giust. Ue, 11 gennaio 2005, C-26/03, in www.curia.europa.eu. DOTTRINA 181 hanno efficacia diretta nellĠordinamento interno degli Stati membri e che vincolano il giudice nazionaleÈ (19). A questĠultimo riguardo, si soggiunga che, sebbene sia pacifico ritenere che Çi principi comunitari e nazionali in materia di tutela della concorrenza e del libero mercato in sede di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, pur presupponendo un necessario rapporto fra la pubblica amministrazione ed il mercato, non possono vietarle di sottrarre al mercato attivitˆ in relazione alle quali la medesima ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazioneÈ (20), la necessitˆ di tutelare il libero gioco della concorrenza costituisce unĠesigenza improcastinabile nelle ipotesi in cui lĠimpresa in house si determini ad adottare strategie aziendali che, postulando la partecipazione alle gare pubbliche indette da altri enti, rischiano di dissimulare dei comportamenti anticoncorrenziale. 4. La dubbia natura dellĠin house providing: ÇordinarietˆÈ versus Çderogatorietˆ È. La ÒfisiologicaÓ modalitˆ attraverso la quale le pubbliche amministrazioni si determinano ad affidare le commesse pubbliche  rappresentata dallĠindizione di una gara, in quanto le gare bandite ai fini dellĠassegnazione del Çmonte contrattualeÈ sono in grado di garantire alla pubblica amministrazione tutta una serie di vantaggi (economici e giuridici) non altrimenti conseguibili con le altre due diverse modalitˆ operative: il partenariato pubblico-privato e lĠin house providing. La dottrina e la giurisprudenza pi sensibili, muovendo dalla considerazione preliminare che le Çgare sono di per sŽ stesse strumenti atti a perfezionare i meccanismi di scelta e valgono a correggere imperfezioni dei processi di scambio e difetti di mercatoÈ (21), hanno individuato gli inte (19) T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 13 febbraio 2006, n. 198, in Foro amm. - TAR, 2006, pp. 754 ss., in cui si  precisato, tra lĠaltro, che ÇlĠaffidamento Òin houseÓ deve essere considerato un metodo di carattere eccezionale, la cui legittimitˆ  subordinata al rigoroso rispetto delle condizioni dettate dallĠart. 113 comma 5 T.U.E.L. e, tra queste, in particolare, la prevalenza dello svolgimento dei servizi da parte dellĠaffidataria nei confronti dell'ente o degli enti pubblici che la controllanoÈ. (20) T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in Foro amm. - TAR, 2007, p. 3959. Nel commentare la pronuncia, ELEFANTE F., Gli affidamenti Òin houseÓ nei servizi pubblici locali: il lungo cammino verso il riconoscimento della eccezionalitˆ del modello gestionale societario a partecipazione pubblica totalitaria, in Foro amm. - TAR., I, 2008, p. 265 ss., ha precisato che Çla vera novitˆ della pronuncia  costituita dallĠaffermazione per cui il modello in house, seppur astrattamente compatibile, deve qualificarsi come ÇunĠeccezioneÈ; da qui la necessitˆ, in primo luogo, di motivare Çle circostanze eccezionaliÈ e, in secondo, di interpretare ÇrestrittivamenteÈ Çle due condizioniÈ che giustificano la deroga al vincolo comunitario della concorrenza, da intendersi non solo nellĠaccezione, per cos“ dire, negativa della paritˆ di condizioni - c.d. libera concorrenza Çnel mercatoÈ - ma soprattutto in senso positivo, come potenziale apertura dellĠintero settore dei servizi pubblici alla concorrenzialitˆ - cd. libera concorrenza Çper il mercatoÈ. Attraverso la partecipazione dellĠItalia allĠordinamento comunitario, infatti, ÇlĠintera logica di tale disciplina si  trasformata - in adesione ai principi europei - da quella della tutela primaria dellĠinteresse dellĠamministrazione a quella delle libera circolazione e concorrenzaÈ. (21) CAFAGNO M., Lo Stato banditore. Gare e servizi locali, Milano, 2001, p. 119. ressi maggiormente tutelati dalla gara pubblica nella ÇconvenienzaÈ ed Çefficienza È contrattuale, nella ÇimparzialitˆÈ e nel ÇcontrolloÈ dellĠazione amministrativa, nonchŽ nello ÇsviluppoÈ della concorrenza. é stato rilevato che Çman mano che il ricorso al mercato da parte di pubbliche amministrazioni diviene parte rilevante dellĠeconomica pubblica, la ragione per cui lĠordinamento impone alle amministrazioni, che non intendono provvedere da sole ad opere o servizi, di scegliere (con gara pubblica) la controparte con la quale stipulare il contratto non risiede soltanto nella possibilitˆ, per la p.a., di effettuare la scelta pi conveniente e di salvaguardare lĠimparzialitˆ delle pubbliche amministrazioni, come valore considerato in sŽ stesso, ma altres“, e inscindibilmente, nella possibilitˆ di promuovere la prosperitˆ collettiva rispettando la libertˆ dĠiniziativa economica e la genuinitˆ della concorrenza È (22). (22) Cons. St., Sez. V, 20 agosto 1996, n. 937, in Riv. trim. app., 1997, pp. 140 ss. Una plastica e illuminante individuazione degli interessi tutelati con le gare pubbliche  contenuta anche in: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 6 giugno 1997, n. 1248, in Foro amm. - TAR, 1997, p. 1256, nella quale si  stabilito che Çcon il termine Òamministrazione aggiudicatriceÓ la normativa comunitaria ha individuato, nellĠambito di appalti di lavori pubblici, gli Òorganismi di diritto pubblicoÓ, quali soggetti, pubblici e privati, istituiti per il soddisfacimento di bisogni di carattere generale e obbligati al rispetto delle norme di evidenza pubblica, implicanti, in quanto norme di azione, la giurisdizione del giudice amministrativo. Tale conclusione non pu˜ essere disattesa avendo riguardo allĠinteresse tutelato dalla disciplina comunitaria quale la libertˆ di concorrenza, al quale viene riconosciuta natura privatistica; la limitazione del- lĠapplicabilitˆ di detta disciplina alle sole amministrazioni e agli organismi di diritto pubblico, comporta, infatti, una strumentalizzazione della tutela della concorrenza al perseguimento di fini generali affidati alle pp.aa. dei Paesi membri, che per lĠItalia trovano espressione nei principi costituzionali di imparzialitˆ e buon andamento e, per la comunitˆ si risolvono nel progresso economico e sociale dei cittadini del- lĠUnione europeaÈ, ma, ancora, pi emblematico  il passaggio contenuto in: T.A.R., Valle dĠAosta, Sez. I, 13 febbraio 2015, n. 13, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 568 ss., nella cui motivazione si afferma che ÇlĠart. 2, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 dispone che lĠaffidamento dei pubblici appalti deve rispettare, tra gli altri, i principi di libera concorrenza e paritˆ di trattamento. LĠobbligatorio rispetto del principio di paritˆ di trattamento corrisponde allĠessenza stessa delle direttive in materia di appalti pubblici, che mirano in particolare a favorire lo sviluppo di una concorrenza effettiva nei settori rientranti nelle loro rispettive sfere di applicazione e che enunciano criteri di attribuzione dellĠappalto miranti a garantire una siffatta concorrenza. Detti principi, oltre ad essere il cardine del Trattato e delle direttive comunitarie in materia, rappresentano la declinazione dei principi costituzionali di imparzialitˆ e buon andamento, di cui allĠart. 97 Cost., che sovrintendono allĠazione amministrativa, nonchŽ della stessa libertˆ di iniziativa economica ex art. 41 Cost., e verrebbero ad essere del tutto obliterati laddove lĠordinamento ammettesse, in generale e nelle relazioni con le P.A., posizioni di vantaggio ovvero squilibri e/o disomogeneitˆ di trattamento e di rapporti. Si tratta, dunque, di principi di tipo imperativo, la cui violazione pu˜ essere fatta valere come eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, qualora in una data fattispecie emerga che dalla loro violazione sia derivata una posizione di favore, o di vantaggio, in capo ad uno o pi partecipanti alla gara. In particolare, sul versante procedimentale, costituisce lesione di detto principio lĠinadempimento dellĠobbligo, posto in capo alle Amministrazioni aggiudicatrici, di assicurare eguali condizioni di partenza a tutte le imprese partecipanti alle gare, se del caso escludendo dalla competizione quei soggetti che, in virt dello svolgimento di incarichi professionali precedenti, abbiano non soltanto contribuito a definire il contesto tecnico di riferimento, ma abbiano anche beneficiato di pi occasioni di confronto e approfondimento, tali da determinare un potenziale Çvantaggio competitivoÈ idoneo ad influire significativamente sullĠesito di una garaÈ. DOTTRINA 183 Agli interessi protetti mediante la gara pubblica sono correlati, in via del tutto complementare, dei costi che vengono abbattuti proprio mediante la messa in competizione degli operatori economici che partecipando alla procedura concorsuale: i Çcosti di transazioneÈ e i Çcosti di influenzaÈ. Tra le precipue voci che possono essere ricondotte nella categoria dei Çcosti di transazioneÈ, la dottrina  concorde nel ritenere che tra le complicazioni del settore dei contratti pubblici debbono annoverassi Çle asimmetrie informative derivanti dal fatto che lĠoperatore privato che partecipa alla gara pubblica, conoscendo analiticamente le caratteristiche del mercato, dispone di informazioni nascoste che non  disposto a rivelare nŽ alla pubblica amministrazione, tampoco alle imprese concorrentiÈ (23), unitamente al Çlimited commitement, ossia le spese fisiologicamente legate alla necessitˆ, per la p.a., di dare luogo a ripetute e talvolta schizofreniche fasi di contrattazione con il privato operatore economico per ovviare allĠincompletezza dei testi contrattuale causati, per lĠappunto, dalle asimmetrie informativeÈ (24) e agli oneri dovuti alla necessitˆ di Çpredisporre dei dispendiosi meccanismi di controllo volti a prevenire errori o a scoraggiare lĠopportunistico sfruttamento del vantaggio posseduto dalla parte pi consapevole (cio lĠoperatore privato) in sede precontrattuale ovvero postcontrattualeÈ (25). Tali costi di transazione possono essere abbattuti mediante il ricorso alla gara pubblica, in quanto con essa si riesce ad attuare una comparazione delle offerte che Çstimola i candidati a rivelazioni pi sincere, nello sforzo di sbaragliare la concorrenza, ed affina il bagaglio delle conoscenze dellĠamministrazione, riducendo il divario informativoÈ (26). Va da sŽ che con la riduzione delle asimmetrie informative si determina, a cascata, la riduzione dei costi connessi alla rinegoziazione (la p.a. non avrˆ pi bisogno di intavolare plurime e ripetute trattative), cos“ come la riduzione dei costi legati allĠattivazione di meccanismi di controllo (la p.a. non avrˆ pi bisogno di prevedere e di controllare, passo dopo passo, il comportamento dellĠoperatore privato, in quanto potrˆ valutare, allorchŽ lo ritenga opportuno o necessario, la conformitˆ di esso con il meticoloso ed esaustivo contenuto delle clausole contrattuali). I Çcosti di influenzaÈ, invece, ricomprendono tutte le voci connesse alle diseconomie che verrebbero registrandosi ogniqualvolta i funzionari incaricati di assolvere il ruolo di componente della commissione giudicatrice si presterebbero a tenere - dietro pressioni ed influenze esercitate dagli operatori privati -i comportamenti tipici di Çpersone venali e inclini a favoritismiÈ (27); ci˜ (23) PORRINI D., Asimmetrie informative, selezione avversa e azzardo morale, in CHIANCONE A. -PORRINI D. (a cura di), Lezioni di analisi economa del diritto, Torino, 1998, p. 191. (24) ZILLOTTI M., Teoria dei contratti di fornitura pubblica e regolamentazione, Milano, 1997, p. 9. (25) GUISO L. - TERLIZZESE D., Economia dellĠincertezza e dellĠinformazione, scelte individuali, mercati, contratti, Milano, 1994, p. 319. (26) CAFAGNO M., Lo Stato banditore, cit., p. 151. che avverrebbe qualora il contratto fosse assegnato, in modo arbitrario e scriteriato, ad un operatore economico che non abbia presentato lĠofferta migliore. PoichŽ le Çdecisioni pubbliche sono ordinariamente atte ad incidere sugli interessi di unĠampia gamma di gruppi di pressione e sono assunti in un ambiente nel quale il pericolo di collusione e pi intenso, a causa della separazione tra proprietˆ delle risorse e potere decisionale e dellĠassenza di precisi indici rivelatori dei comportamenti individualiÈ (28),  indubbio che mediante ÇlĠallestimento di procedure formali di raccolta e di elaborazioneÈ (29) e attraverso la puntuale individuazione del soggetto Çresponsabile del procedimentoÈ di gara, si riduce, notevolmente, lĠentitˆ dei costi di influenza; questĠultimo meccanismo, consentendo di ÇfisicizzareÈ in un persona determinata i complessi sub-procedimenti di selezione e valutazione di cui consta la gara, disincentiva i fenomeni corruttivi che potrebbero alterare lĠordinato dispiegarsi delle fasi in cui si snoda lĠevidenza pubblica (30). Nondimeno, la giurisprudenza amministrativa ha individuato nei principi di concentrazione e di continuitˆ un ulteriore strumento capace di incidere, abbattendoli o comunque riducendoli, i costi di influenza;  stato infatti precisato che Çnelle gare pubbliche, sebbene le garanzie dĠimparzialitˆ, pubblicitˆ, trasparenza e speditezza dellĠazione amministrativa postulino che le sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e continuitˆ e che, conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola seduta, senza soluzione di continuitˆ, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare lĠas (27) Per quanto possa rilevare in questa sede, si tratta di una definizione recentemente impiegata dalla giurisprudenza di legittimitˆ in sede di descrizione della fattispecie incriminatrice del millantato credito ai sensi dellĠart. 346 c.p. In C. Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 51688, in Dir. & giust., 2015, si  invero affermato che Çconsiderato che il reato di cui allĠart. 346 c.p.,  stato concepito per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si  focalizzato lĠattenzione sulla condotta dellĠagente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come persone venali, inclini a favoritismiÈ. (28) CAFAGNO M., Lo Stato banditore, cit., p. 178. (29) PANUNZI F., Autoritˆ, struttura organizzativa e costi di influenza, in MONTESANO A. (a cura di), Teorie economiche dellĠorganizzazione, Bologna, 1996, p. 115. (30) La funzione centrale che il R.u.p. (Responsabile unico del procedimento) assolve nellĠambito delle gare pubbliche  evidenziata, molto efficacemente, da quella giurisprudenza che si  occupata di stabilire i rapporti tra R.u.p. e commissione giudicatrice. Al riguardo, in Cons. St., Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3716, in Foro amm. - CDS, 2009, pp. 1471 ss., si  precisato che Çnon vi  incompatibilitˆ tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara, atteso che detta approvazione non pu˜ essere ricompresa nella nozione di controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa alla responsabilitˆ unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenzialeÈ. In dottrina, tra i tanti contributi, si veda: GIOVAGNOLI R., Il responsabile del procedimento: punti di contatto e dissonanza tra la disciplina codicistica e quella sul procedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012. DOTTRINA 185 soluta indipendenza di giudizio dellĠorgano incaricato della valutazione stessa; tale principio, comunque,  da considerasi tendenziale ed  suscettibile di deroga, ben potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono lĠespletamento di tutte le operazioni in una sola seduta, dovendo in questo caso essere minimo lĠintervallo tra le sedute e dovendo essere predisposte adeguate garanzie di conservazione dei plichiÈ (31). Le ÇqualitˆÈ e le ÇspecificitˆÈ che caratterizzano le gare pubbliche hanno fatto in modo - come sĠ detto - che le stesse venissero considerate come il metodo ordinario (rectius, normale) attraverso il quale gestire lĠaffidamento di lavori, servizi e forniture pubbliche. Il chŽ ha indotto, in via del tutto speculare, ad interrogarsi in merito alla natura da dover attribuire alle altre modalitˆ di gestione delle commesse pubbliche e, specificamente, alla c.d. autoproduzione: si tratta di un forma organizzativa ordinaria oppure derogatoria? Siffatto quesito ha animato un appassionato dibattito, dal quale sono scaturiti due opposte tesi interpretative. Da un lato vĠ quellĠorientamento che, muovendo dallĠassunto secondo il quale il Çmodello dellĠin house providing si configura, con tutta evidenza, come unĠeccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che lĠaffidamento degli appalti pubblici avvenga mediante la garaÈ (32), si  spinto sino al punto di (31) Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 76 ss. In senso analogo si veda anche: T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 30 gennaio 2015, n. 83, in Foro amm. - TAR, 2015, p. 177, ove  dato leggere che Çil principio della concentrazione della valutazione delle offerte non implica necessariamente che le offerte debbano essere esaminate nella stessa seduta, soprattutto se per la loro complessitˆ tecnica richiedono un esame approfondito, ci˜ poichŽ se  vero, da una parte, che le sedute di una commissione di gara devono ispirarsi al principio di concentrazione e continuitˆ e che conseguentemente la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire senza soluzione di continuitˆ, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare lĠassoluta indipendenza di giudizio dellĠorgano incaricato della valutazione stessa,  anche vero, dallĠaltra, che il principio di continuitˆ e speditezza va coniugato con altri concorrenti principi che informano lĠazione amministrativa nelle gare di appalto ed  derogabile in presenza di ragioni oggettive, quali la complessitˆ delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, lĠindisponibilitˆ dei membri della commissione, la correlata necessitˆ di nominare sostituti che giustificano il ritardo anche in relazione al preminente interesse alla effettuazione di scelte ponderateÈ e in T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 26 aprile 2014, n. 808, in Foro amm. - TAR, 2014, pp. 1837, in cui si  affermato che Çnelle gare pubbliche, il principio della continuitˆ e della concentrazione della gara costituiscono espressione della pi generale regola della imparzialitˆ e della par condicio, in quanto mirano ad assicurare lĠindipendenza di giudizio di chi presiede la gara stessa ed a sottrarlo a possibili influenze esterne; principio la cui violazione comporta lĠinvaliditˆ della procedura a prescindere dalla verifica delle conseguenze pratiche, e che subisce eccezioni soltanto in particolari situazioni, che obiettivamente impediscano la conclusione delle operazioni di gara in una sola sedutaÈ. (32) In tal senso si vedano: Cons. St., Sez. II, 18 aprile 2007, n. 456, in Foro it., 2007, p. 611 ss., ove  dato leggere che Çquesta Sezione condivide pienamente - come giˆ affermato nel precedente parere n. 3162/06 (cfr. pure, in termini, la citata decisione della VI Sezione n. 1514/07) - le affermazioni secondo le quali la figura dellĠin house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente poichŽ costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario. Ci˜  stato chiarito con fermezza dalla Corte di giustizia nelle sue successive pronunce (cfr. le note sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03 -Stadt Halle e RPL Lochau, su cui si tornerˆ pi avanti per altri concepire in capo ad ogni operatore economico un Çinteresse tutelato a contestare la scelta della p.a. di non procedere allĠindizione di una procedura di gara pubblica, in quanto tale decisione viene a ledere lĠinteresse sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo pari paritˆ, ai fini dellĠottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo procedura ad evidenza pubblicaÈ (33); unĠimpostazione che, del resto, sarebbe corroborata dalla necessitˆ di Çinterpretare restrittivamente i requisiti dellĠin house providingÈ (34), quale forma organizzativa congeniale alla realizzazione del pernicioso fenomeno delle c.d. Çscatole cinesiÈ (o catene societarie), mediante le quale, lĠazionista pubblico di controllo, celandosi dietro la Çvolontˆ di aumentare lĠeconomicitˆ del processo produttivo, migliorando le combinazioni produttive e ricercando le dimensioni pi efficaciÈ (35), otterrebbe la concreta opportunitˆ di creare un contorto sistema di collegamenti con le realtˆ imprenditoriali assoggettate al suo controllo, che gli permetterebbe di beneficiare, anzitutto, di limitazione della responsabilitˆ nei confronti degli stakeholder (una responsabilitˆ generalmente circoscritta al solo patrimonio delle societˆ controllate) e, secondariamente, di Çassumere decisioni non corrispondenti agli interessi dellĠazienda, cos“ come di ottenere benefici privati di natura monetaria (dai compensi sovradimensionati degli amministratori, allĠutilizzo personale di risorse aziendali anche molto ingenti e alla attribuzione di servizi ad imprese delle quali il suddetto controllore possiede quote di maggioranza) ovvero di altra natura (come il mantenimento della posizione di controllo)È (36). profili; 21 luglio 2005, causa C-231/03 -Corame; 13 ottobre 2005, causa C-458/03 -Parking Brixen GmbH; 10 novembre 2005, causa C-29/04 -Mšdling o Commissione c/ Austria; 6 aprile 2006, causa C410/ 04 -ANAV c/ Comune di Bari; 11 maggio 2006, causa C-340/04 - Carbotermo; 18 gennaio 2007, causa C-220/05 -Jean Auroux). Il ridimensionamento dellĠistituto  da ricondursi anche a fenomeni di distorsione nel ricorso a tale modello, del quale si tende ad abusare attraverso il fenomeno delle c.d. catene societarie e dei controlli indiretti, nonchŽ attraverso le attivitˆ svolte nei confronti di terziÈ; nonchŽ, pi di recente, anche Cons. St., Sez. III, 7 maggio 2015, n. 2291, in www.giustizia-amministrativa.it e Cons. St., Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 126 ss. (33) T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 4 ottobre 2007, n. 3436, in Foro amm. - TAR, 2007, pp. 3244 ss., nel quale, specificamente,  stato disposto che Çalla luce del generalissimo principio nazionale e comunitario di libera concorrenza e del criterio di effettivitˆ del diritto alla tutela giurisdizionale, ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare la scelta della p.a. di non procedere allĠindizione di una procedura di gara pubblica, in quanto tale decisione viene a ledere lĠinteresse sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo pari opportunitˆ, ai fini dellĠottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo procedure ad evidenza pubblicaÈ. (34) In questo senso, ex plurimis, C. Giust, Ue, 6 aprile 2006, C-410/04, in www.curia.europa.eu, in cui si  stabilito che Çi requisiti dellĠin house providing, costituendo unĠeccezione alle regole generali del diritto comunitario, devono essere interpretati restrittivamenteÈ. (35) AZZALI S., Il reddito e il capitale del gruppo, Milano, 2012, p. 119. (36) ZANDA L., Scatole cinesi,  giusto regolamentarle?, in Proprietˆ e controllo dellĠimpresa: il modello italiano stabilitˆ o contendibilitˆ?, Atti del convegno di studio ÒAdolfo Beria di ArgentineÓ. Problemi attuali di diritto e procedurale civile, Milano, 2008, p. 34. DOTTRINA 187 Sul fronte opposto, invece, si attesta quellĠopzione ermeneutica secondo la quale lĠautoritˆ pubblica pu˜ adempiere i suoi compiti mediante propri strumenti, senza che debba ritenersi obbligata a fare ricorso ad entitˆ esterne, poichŽ ÇlĠaffidamento diretto Òin houseÓ, lungi dal configurarsi come unĠipotesi eccezionale e residuale di gestione delle commesse pubbliche, costituisce una delle tre normali forme organizzative degli stessi (mediante il mercato, oppure mediante il cd. partenariato pubblico-privato, ovvero con lĠaffidamento Òin houseÓ), con la conseguenza che la decisione di un ente di avvalersi dellĠaffidamento diretto Òin houseÓ (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti), costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere motivata in maniera adeguata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimitˆ del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicitˆ, irragionevolezza, irrazionalitˆ ed arbitrarietˆ ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fattiÈ (37). I corifei di questa teoretica ritengono, infatti, che non sussiste alcuna valida ragione che possa giustificare la collocazione dellĠin house providing in una posizione di specialitas rispetto alla gara pubblica. Le garanzie e i vantaggi che questĠultima  idonea a garantite in tanto assumono rilievo in quanto il soggetto pubblico decida di approvvigionarsi sul mercato; se, nello sciogliere lĠopzione Òmercato-non mercatoÓ, la pubblica amministrazione si persuada della circostanza che sussistano i presupposti (di fatto e di diritto) capaci di rendere lĠautoproduzione come una scelta opportuna, non potrˆ essere dedotta la violazione di nessuna norma; ci˜ in quanto la struttura interna affidataria della commessa pubblica, potendo esercitare solo delle attivitˆ preordinate al soddisfacimento degli interessi pubblici alla cui cura  demandata lĠamministrazione affidante, si trova ad operare in una realtˆ mercantile autonoma, parallela e decisamente pi angusta rispetto a quella in cui operano le imprese private, le quali non patiscono - in linea di principio - i nocumenti derivanti da eventuali alterazioni e distorsioni della concorrenza dovuti alla presenza di (37) T.A.R. Abruzzo, LĠAquila, Sez. I, 18 dicembre 2014, n. 905, in Foro amm. - TAR, 2014, p. 3235 ss. Analogamente anche Cons. St., Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6548, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si legge che Çil diritto comunitario non impone in alcun modo alle autoritˆ pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, consentendo, invece, alle amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una di procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione pubblica, cui affidare il servizio. Una cooperazione del genere tra autoritˆ pubbliche non pu˜ rimettere in questione lĠobiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione dei servizi e lĠapertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, poichŽ lĠattuazione di tale cooperazione  retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblico e poichŽ viene salvaguardato il principio della paritˆ di trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicchŽ nessun impresa privata viene posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrentiÈ. imprese che, atteggiandosi come Çquasi amministrazioniÈ (38) opererebbero in una posizione di vantaggio e di supremazia. Le strutture in house non possono comportarsi come ÒsqualiÓ che, giˆ forti del nutrimento somministratogli in cattivitˆ (la commessa pubblica ottenuta senza gara), sono autorizzati a conquistare, proprio grazie allĠausilio di questa sostanza dopante, le Òacque agitateÓ dellĠeconomia aperta e in libera concorrenza, dovendo piuttosto astenersi dallĠeffettuare Çdeterminati investimenti di risorse economiche in altri mercati - anche non contigui - al fine di unĠeventuale espansione in settori diversi da quelli rilevanti per lĠente pubblico conferenteÈ (39). 5. Critica alla ÇderogatorietˆÈ. Le tre ragioni che giustificano la configurazione dellĠin house providing come modello organizzatorio ordinario: la incostituzionalitˆ dei limiti allĠutilizzo della autoproduzione, i vincoli di finanza pubblica imposti dal Patto di Stabilitˆ Interno (P.S.I.) e il principio di auto- organizzazione amministrativa. Tra le due sopraesposte teoretiche si ritiene di dover accordare prevalenza alla seconda; ci˜ per tutta una serie di ragioni. Primariamente, perchŽ a seguito dellĠesito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, con il quale  stato formulato (tra gli altri) il quesito Çvolete voi che sia abrogato lĠart. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 ÒDisposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivitˆ, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributariaÓ convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dallĠart. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante ÒDisposizioni per lo sviluppo e lĠinternazionalizzazione delle imprese, nonchŽ in materia di energiaÓ e dallĠart. 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, recante ÒDisposizioni urgenti per lĠattuazione di obblighi comunitari e per lĠesecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunitˆ europeaÈ convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?È,  stata abrogata la norma che stabiliva come modalitˆ ordinaria di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica lĠaffidamento a soggetti pri (38) CLARICH M., Societˆ di mercato e quasi amministrazioni, in www.giustizia-amministrativa.it, 2009, p. 21. (39) C. cost., 15 dicembre 2008, n. 439, in www.cortecostituzionale.it. Ancora pi significativamente, C. cost., 30 luglio 2008, n. 326, in ibidem, ha disposto che Çle esigenze di tutela della concorrenza impongono di tenere distinto lo svolgimento di attivitˆ amministrativa posta in essere da una societˆ di capitali per conto di una pubblica amministrazione dal libero svolgimento di attivitˆ di impresa; unĠesigenza finalizzata ad evitare che un soggetto, che svolge attivitˆ amministrativa, eserciti allo stesso tempo attivitˆ dĠimpresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso pu˜ godere in quanto pubblica amministrazione È. DOTTRINA 189 vati attraverso gara o lĠaffidamento a societˆ a capitale misto pubblico-privato. Nonostante lĠesito della consultazione referendaria,  stato necessario un ulteriore intervento della Corte costituzionale. Per vero, dopo solo poco tempo, il Governo  reintervenuto sulla materia con lĠart. 4 del D. lg. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; ma tale norma - come anticipato -  stata presto dichiarata incostituzionale, per via del fatto che, il Giudice delle leggi, ha considerato la norma Çcontraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di lˆ di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma  anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dellĠabrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel D.P.R. n. 168 del 2010È (40). (40) Si veda sul punto la celebre sentenza C. cost., 20 luglio 2012, n. 199, in www.cortecostituzionale.it, il cui aspetto cruciale dello snodo motivazione, testualmente, recita cos“: ÇIl citato art. 4  stato adottato con d.l. n. 138 del 13 agosto 2011, dopo che, con decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dellĠarticolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalitˆ di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), era stata dichiarata lĠabrogazione, a seguito di referendum popolare, dellĠart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, recante la precedente disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. QuestĠultima si caratterizzava per il fatto che dettava una normativa generale di settore, inerente a quasi tutti i predetti servizi, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010 n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dellĠarticolo 23-bis, comma 10, del d.l. n. 112 del 2008). Con la richiamata consultazione referendaria detta normativa veniva abrogata e si realizzava, pertanto, lĠintento referendario di Çescludere lĠapplicazione delle norme contenute nellĠart. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressochŽ tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)È (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, lĠapplicazione diretta della normativa comunitaria conferente. A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dellĠavvenuta abrogazione dellĠart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo  intervenuto nuovamente sulla materia con lĠimpugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato ÇAdeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dallĠUnione europeaÈ, detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo  contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di lˆ di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma  anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dellĠabrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010. Essa, infatti, da un lato, rende ancor pi remota lĠipotesi dellĠaffidamento diretto dei servizi, in quanto non solo limita, in via generale, ÇlĠattribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunitˆÈ (comma 1), analogamente a quanto disposto dallĠart. 23-bis Una circostanza che ha quindi indotto la giurisprudenza amministrativa a rilevare che Çproprio per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 20 luglio 2012, le commesse pubbliche possono, in definitiva, essere gestite indifferentemente secondo tre differenti modalitˆ: a) mediante ricorso al mercato (ossia individuando allĠesito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario); b) attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per mezzo di una societˆ mista e quindi con una Ç gara a doppio oggetto È per la scelta del socio e per la gestione del servizio); c) attraverso lĠaffidamento diretto, in house, senza previa gara, a un soggetto che solo formalmente  diverso dallĠente, ma che ne costituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, ricorrendo in capo a questĠultimo i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo (sulla societˆ affidataria) Ç analogo È (a quello che lĠente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte della societˆ affidataria, della parte pi importante della sua attivitˆ con lĠente o gli enti che la controllanoÈ (41). (comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la ˆncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente lĠesclusione della possibilitˆ di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dellĠente locale, oltre che della Regione, ed anche - in linea con lĠabrogato art. 23-bis - in difformitˆ rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dellĠente locale, allorquando lĠapplicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la Çspeciale missioneÈ dellĠente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della societˆ affidataria, del cosiddetto controllo ÒanalogoÓ (il controllo esercitato dallĠaggiudicante sullĠaffidatario deve essere di Òcontenuto analogoÓ a quello esercitato dallĠaggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte pi importante dellĠattivitˆ dellĠaffidatario in favore dellĠaggiudicante. DallĠaltro lato, la disciplina recata dallĠart. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, sia talune disposizioni contenute nellĠabrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 ( il caso, ad esempio, del comma 3 dellĠart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 ÒrecepitoÓ in via di principio dai primi sette commi dellĠart. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta della forma di gestione del servizio; del comma 8 dellĠart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a quella dettata dal comma 32 dellĠart. 4 del d.l. n. 138 del 2011; cos“ come del comma 10, lettera a), dellĠart. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 325 del 2010, sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dellĠart. 4 del d.l. n. 138 del 2011), sia la maggior parte delle disposizioni recate dal regolamento di attuazione dellĠart. 23-bis (il testo dei primi sette commi dellĠart. 4 del d.l. n. 138 del 2011, ad esempio, coincide letteralmente con quello dellĠart. 2 del regolamento attuativo dellĠart. 23-bis di cui al d.P.R. n. 168 del 2010, i commi 8 e 9 dellĠart. 4 coincidono con lĠart. 3, comma 2, del medesimo regolamento, mentre i commi 11 e 12 del citato art. 4 coincidono testualmente con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento)È. (41) T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 700, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 870 ss. Per il principio si veda anche T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si legge che Çper la gestione dei servizi pubblici lĠamministrazione locale pu˜ scegliere di optare tra ÒoutsourcingÓ e Òin house providingÓ, e tale scelta non  sindacabile alla stregua del diritto comunitario. La creazione di un mercato comune e lĠapplicazione delle regole di tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano il limite del potere di organizzazione della p.a. riconosciuta agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle libertˆ economiche tutelate dal mercato comune, ma  definizione DOTTRINA 191 Nondimeno, deve essere ricordato che lĠin house providing si prefigura, in talune ipotesi, come una modalitˆ, se non necessaria, quanto meno opportuna per consentire alla pubblica amministrazione di soddisfare delle primarie esigenze che le gare pubbliche rischierebbe di lasciare inevase. La prassi amministrativa italiana dimostra, infatti, che la p.a. tende a prediligere il modello dellĠautoproduzione quando deve acquisire uomini e mezzi in maniera flessibile, avviare una intrapresa con carattere temporaneo e, ancora di pi, quando le ragioni di contabilitˆ pubblica lasciano prevedere che la indizione di una gara pubblica (che di per sŽ comporta dei costi) non consentirebbe di rispettare i vincoli derivanti dal c.d. patto di stabilitˆ interno. Il patto di stabilitˆ interno - come noto -  lo strumento impiegato per Çfar cessare politiche dissennate dei conti pubbliciÈ (42). Esso consiste nellĠinsieme delle disposizioni della legge finanziaria con cui lo Stato italiano fissa gli impegni di finanza pubblica che le amministrazioni decentrare sono obbligate a rispettare al fine di consentire al Paese di mantenere lĠimpegno assunto con lĠUnione europea in forza del c.d. Patto di Stabilitˆ e crescita. La sua origine  da farsi risalire alla legge n. 448/1998 (c.d. Legge finanziaria Ġ99) che, al suo art. 28, stabilisce che Çle Regioni, le Province autonome, le Province, i Comuni e le Comunitˆ montane concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica assunti dallĠItalia con lĠadesione al Patto di stabilitˆ e crescita, impegnandosi a diminuire progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordoÈ. Se ne ricava che, in forza delle condizioni del Patto di stabilitˆ, le pubbliche amministrazioni sono tenute a garantire il pareggio di bilancio (ad un determinato ammontare di uscite deve corrispondere un identico ammontare di entrate). Per ragioni di trasparenza e pubblicitˆ  fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di anticipare il prezzo della commessa pubblica in favore del- lĠoperatore terzo che sia risultato aggiudicatario della gara; un divieto che, combinato con i rigidi parametri fissati nel Patto di stabilitˆ interno,  causa della non infrequente situazione in cui Çle pubbliche amministrazioni, pur in presenza di un impegno di spesa lecitamente assunto in un precedente eserci di ci˜ che non  mercato. La disciplina della concorrenza per lĠaggiudicazione degli appalti e delle concessioni presuppone un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dellĠamministrazione di rivolgersi a esso non pu˜ essere coartata per realizzare lĠapertura al mercato di taluni settori di attivitˆ in cui lĠamministrazione pubblica, voglia, invece, ricorrere allĠautoproduzione. In altri termini, le norme comunitarie non interferiscono sui poteri delle p.a. di adottare soluzioni organizzative che siano le pi rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare conformemente alle leggi che le disciplinanoÈ. (42) IURESCIA P., Il patto di stabilitˆ interno negli enti locali. Problematiche operative e strategie gestionali, in Fin. loc. (La), II, 2012, p. 20. In dottrina si rimanda per approfondimenti a: BISIO L. - NICOLAI M., Patto di stabilitˆ e federalismo fiscale, Rimini, 2010; RUFFINI P., Il patto di stabilitˆ interno per gli enti locali, Rimini, 2012. zio, e pur disponendo delle risorse finanziarie per provvedere al pagamento, si trovino vincolate a non effettuare il pagamento, mancando flussi di entrata in conto capitale ad esso equiparabiliÈ (43). Ne discende il rischio concreto per la pubblica amministrazione, costretta a ritardare i pagamenti in forza del Patto di stabilitˆ, di trovarsi coinvolta in un giudizio avente ad oggetto lĠaccertamento della sua responsabilitˆ per ritardato pagamento; e alla somma originariamente dovuta verranno a cumularsi gli interessi legali e moratori di cui allĠart. 4 del D.lgs. n. 231/2002 oltre ai danni patrimoniale e non patrimoniali ex art. 1224, comma 2, c.c. subiti dal contraente privato, per via del fatto che Çla necessitˆ di carattere generale di rispettare i vincoli derivanti dal rispetto del Patto di stabilitˆ non esime la Stazione appaltante dallĠobbligo di liquidare gli interessi legali e moratori per ritardato pagamento dei crediti relativi al- lĠesecuzione di appalti pubbliciÈ (44). Una simile evenienza pu˜ quindi disincentivare il ricorso alla gara pubblica, in luogo dellĠautoproduzione. Giova per˜ dare conto che la Corte costituzionale, nella consapevolezza che il Patto di stabilitˆ interno possa giustificare un inappropriato e imperante abuso dellĠin house providing, ha chiarito che le regole del Patto di stabilitˆ interno sono estese anche alle societˆ in house (45). Ma questo non fa venire meno la ÒconvenienzaÓ dellĠautoproduzione, in taluni casi, rispetto alla esternalizzazione, poichŽ la circostanza (affatto secondaria) che il personale della struttura organizzativa in house sia messo nella condizione di poter sviluppare (rispetto al terzo affidatario che rimane soggetto estraneo) uno spiccato senso di appartenenza alla pubblica amministrazione controllante rende pi agevole e proficua lĠinstaurazione di (43) PANDOLFINI V., Il ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali, Torino, 2013, p. 55. (44) A.V.C.P., 8 novembre 2007, n. 300, in www.anticorruzione.it. (45) C. cost., 20 marzo 2013, n. 46, in www.cortecostituzionale.it, nella quale si legge che Çsecondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali  subordinata la possibilitˆ del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dallĠaggiudicante sullĠaffidatario di Òcontenuto analogoÓ a quello esercitato dallĠaggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte pi importante dellĠattivitˆ dellĠaffidatario in favore dellĠaggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo lĠin house providing unĠeccezione rispetto alla regola generale dellĠaffidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che lĠin house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perchŽ questĠultimo , in realtˆ, solo la longa manus del primoÈ. Quindi, una diversa disciplina che favorisca le societˆ in house rispetto allĠaggiudicante Amministrazione pubblica si potrebbe porre in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe a scindere le due entitˆ e a determinare un ingiustificato favor nei confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici dato che il bilancio delle societˆ in house non sarebbe soggetto alle regole del patto di stabilitˆ interno. Le suddette regole, invece, debbono intendersi estese a tutto lĠinsieme di spese ed entrate dellĠente locale sia perchŽ non sarebbe funzionale alle finalitˆ di controllo della finanza pubblica e di contenimento delle spese permettere possibili forme di elusione dei criteri su cui detto ÒPattoÓ si fonda, sia perchŽ la maggiore ampiezza degli strumenti a disposizione dellĠente locale per svolgere le sue funzioni gli consente di espletarle nel modo migliore, assicurando, nellĠambito complessivo delle proprie spese, il rispetto dei vincoli fissati dallo stesso Patto di stabilitˆÈ. DOTTRINA 193 forme di transazione per le eventuali ipotesi di ritardata erogazione delle voci stipendiali e, in ultima battuta, scongiura il rischio del coinvolgimento della pubblica amministrazione in un giudizio risarcitorio per ritardi nei pagamenti; un rischio tuttĠaltro che remoto nei rapporti contrattuali che si instaurano a valle di una procedura di gara pubblica. Sempre per il tramite della costituzione di strutture organizzative in house, la pubblica amministrazione controllante ha la possibilitˆ di mettersi al ÒriparoÓ dalle eventuali azioni giudiziali esperite dai terzi operatori economici che abbiano stipulato rapporti contrattuali con lĠarticolazione interna, dal momento che per i danni che siano stati causati dagli amministratori della struttura in house ai soggetti terzi (ad esempio per il mancato pagamento di una fattura relativa allĠacquisto di beni strumentali allĠesercizio delle sue attivitˆ) lĠunico centro patrimoniale che rimane aggredibile  quello della struttura in house, poichŽ in queste ipotesi Çil danno incide solo sul patrimonio della societˆ, che resta privato e separato da quello dei soci, e non determina una diretta e illecita depauperazione del patrimonio dello Stato ovvero di altro ente pubblicoÈ (46). LĠaltra ragione che porta ad escludere il carattere eccezionale dellĠin house providing discende, direttamente, dal principio che ne costituisce il fondamento: il principio di auto-organizzazione amministrativa. Tale principio, che comprende anche il potere della pubblica amministrazione di scegliere le modalitˆ di gestione delle commesse pubbliche reputate pi opportune al soddisfacimento delle esigenze della collettivitˆ, si intreccia con il principio di libertˆ della concorrenza. BenchŽ il legislatore comunitario sia titolare di una competenza esclusiva nella definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato unico, lo stesso Çnon pu˜ obbligare i pubblici poteri dei Paesi membri ad utilizzare particolari strutture organizzative per raggiungere i fini comunitari imposti, cos“ come non pu˜ imporre agli stessi di fare ricorso al mercato, soprattutto quando la medesima funzione pubblica o i medesimi beni o servizi possano essere offerti mediante lĠuso di Çpropri strumentiÈ (47). Per questa via si  giustamente affermato che la libertˆ di organizzazione amministrativa si pone come un Çlimite esterno alle regole sulla concorrenza, le quali presentano un carattere recessivo laddove vi sia spazio per lĠautonomia (46) Cass., SS.UU., 5 aprile 2013, n. 8352, in Foro amm. - CDS, 2013, pp. 1836. Sul fronte della responsabilitˆ erariale in Cass., SS.UU., 26 marzo 2014, n. 7177, in Dir. & giust., 2014, p. 333 ss.  stato invece stabilito che essa sussiste tutte le volte in cui ÇlĠamministratore che rappresenta lĠente pubblico che detiene la partecipante totalitaria (o comunque maggioritaria) alla struttura in house abbia trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dellĠente pubblico, strumentale al perseguimento di finalitˆ pubbliche ed implicante lĠimpiego di risorse pubbliche o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonioÈ. (47) C. Giust. Ue, 11 marzo 2003, C-186/01, Dory, in www.curia.europa.eu.it. organizzativa dei pubblici poteri di escludere in radice la concorrenza ÒperÓ o ÒnelÓ mercatoÈ (48). Di talchŽ, il solo fatto che lĠin house providing possa configurarsi come Çlegittima declinazione di un principio generaleÈ (49), vale ad escludere che lo stesso sia ÇunĠeccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioniÈ (50). La pubblica amministrazione, con un ampio margine di discrezionalitˆ, pu˜ scegliere ÇordinariamenteÈ se rivolgersi o meno al mercato; lĠobbligo di assicurare un adeguato livello di concorrenza ÒperÓ e ÒnelÓ mercato sussistente soltanto nel caso in cui si propenda per lĠapprovvigionamento mercantile, senza che per questo debba considerarsi ÇeccezionaleÈ e ÇresidualeÈ tutto ci˜ che non preveda (come nella ipotesi dellĠautoproduzione) il contatto tra i poteri pubblici e lĠeconomia. 6. LĠin house providing nelle nuove direttive appalti e il processo di Çpositivizzazione- integrazioneÈ dei requisiti dellĠistituto: il carattere misto della nuova autoproduzione. LĠautoproduzione  stata coinvolta nel pi ampio disegno di riforma della materia degli appalti pubblici e delle concessioni del legislatore europeo. Nelle tre direttive europee  possibile riscontrare la presenza di una norma - topograficamente collocata in articoli diversi, ma contraddistinta da un contenuto identico - che disciplina, in modo puntuale e specifico, il fenomeno dellĠin house providing; si tratta dellĠart. 12 della direttiva 2014/24/Ue (appalti nei settori classici), dellĠart. 28 della direttiva 2014/25/Ue (appalti nei settori speciali) e dellĠart. 17 della direttiva 2014/23/Ue (concessioni). (48) IAIONE C., Le societˆ in house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione e auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2007, p. 137. (49) Cons. St., Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si legge che Çin coerente applicazione di principi di matrice in primis eurounitaria, deve ritenersi che lĠorganismo in house (al di lˆ del formale Òvelo societarioÓ) si qualifichi come mera articolazione organizzativa interna dellĠente o organismo che lo controlla, in tal modo qualificando l'istituto medesimo come legittima declinazione del generale principio dellĠautoproduzione (ovvero, per utilizzare la pregnante terminologia della direttiva 2014/23/UE, come corollario del principio di libera amministrazione delle autoritˆ pubbliche)È. (50) T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 1 dicembre 2014, n. 2986, in Foro amm. - TAR, p. 2986, in cui  stato stabilito che ÇlĠistituto dellĠin house, pi che unĠeccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni,  espressione di un principio generale riconosciuto sia dal diritto dellĠUnione che dal- lĠordinamento nazionale, cio del principio di auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto pi opportuno per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalitˆ istituzionali; ed invero lĠaffidamento diretto, in house, lungi dal configurarsi come unĠipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali, costituisce una delle normali forme organizzative della stessa, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dellĠaffidamento diretto, in house, costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, in quanto tale, sfugge al sindacato di legittimitˆ del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicitˆ, irragionevolezza, irrazionalitˆ ed arbitrarietˆ ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fattiÈ. DOTTRINA 195 Per la prima volta si  giunti a dettare delle disposizioni volte a disciplinare lĠautoproduzione; il chŽ  stato salutato dalla pi attenta dottrina come la prima rilevante novitˆ, in specie se si considera che la positivizzazione dellĠin house providing era stata pi volte ÒtentataÓ. Giˆ in sede di valutazione della direttiva 2004/18/Ce si era discusso in ordine alla possibilitˆ di introdurre una norma che, sotto la rubrica Çappalti aggiudicati a entitˆ costituite da amministrazioni aggiudicatriciÈ, avrebbe dovuto disciplinare lĠistituto degli affidamenti interni. Malgrado i buoni propositi, non se ne fece nulla e cos“ nel testo della precedente direttiva appalti non venne inserita nessuna norma allĠinterno della quale fosse possibile riscontrare, anche solo incidentalmente, elementi concernenti lĠin house providing. Del pari, in ambito nazionale, la Commissione incaricata di redigere il testo del precedente Codice degli appalti pubblici aveva considerato lĠopportunitˆ di inserire nellĠarticolato una norma (rubricata Çaffidamenti interniÈ) che avrebbe disciplinato lĠistituto, ma anche questo tentativo venne arenandosi. Sarebbe sufficiente giˆ solo questo per comprendere la portata rivoluzionaria delle nuove direttive europee. Ma ovviamente vĠ di pi. Sebbene nella elaborazione delle direttive del 2014 non si fosse mai dubitato della opportunitˆ di codificare lĠistituto dellĠin house providing, non sono mancate delle discussioni quanto al modo in cui codificarlo. Alla tesi (sostenuta dalla Commissione europea) secondo la quale lĠarticolo dedicato allĠin house si sarebbe dovuto risolvere in una pedissequa riproduzione dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, si  opposta quellĠimpostazione (fortemente sostenuta da alcuni Stati membri) in ossequio alla quale il legislatore europeo avrebbe dovuto costruire un nuovo modello di autoproduzione. Da tale scontro - come evidenziato da una attenta dottrina - il Çmodello che ne  derivato pu˜ dirsi di carattere misto, poichŽ in parte ricognitivo del- lĠesistente e in parte decisamente innovativoÈ (51). Nel testo delle nuove direttive europee non compare mai la locuzione di in house providing. Trattasi di un elemento di novitˆ che non rileva soltanto sotto un profilo stilistico, ma, al contrario, si pone in perfetta linea con lĠin (51) CONTESSA C., LĠin house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in www.giiustizia-amministrativa.it, 2014, p. 3, dove viene evidenziato, peraltro, che la natura mista del nuovo Òin houseÓ Çha indotto taluni osservatori a dubitare della stessa legittimitˆ in parte qua del risultato normativo finale. Si  infatti osservato che, in tema di in house providing, le direttive Ôappalti/concessioniĠ del 2014 si sarebbero ingiustificatamente discostate dalle insuperabili ipotesi eccezionali che la Corte di Lussemburgo aveva individuato in modo sostanzialmente tassativo nel corso degli anni, desumendole in via diretta dallĠapplicazione dei principi del Trattato di Roma (secondo un modus operandi che il Legislatore europeo derivato non avrebbe potuto a propria volta ulteriormente derogare). Spetterˆ, quindi, alla stessa Corte di giustizia stabilire (nellĠambito del controllo di cui allĠarticolo 263 del TFUE) se le disposizioni delle direttive 2014 in tema di ÔAppalti pubblici tra enti nellĠambito del settore pubblicoĠ risultino invalide per aver superato gli ambiti normativi legittimamente esercitabili in sede di formazione europea derivataÈ. tenzione del legislatore europeo di ampliare lĠambito di applicazione dellĠistituto a nuove fattispecie; nella direttiva appalti riguardanti i settori ordinari si parla di Çappalti pubblici tra enti nellĠambito del settore pubblicoÈ, in quella in materia di appalti nei settori speciali si parla di Çappalti tra amministrazioni aggiudicatriciÈ e, ancora, in quella relativa alle concessioni di Çconcessioni tra enti nellĠambito del settore pubblicoÈ. Occorre allora domandarsi: quali sono gli elementi di novitˆ introdotti dalle nuove direttive? LĠesame di essi deve essere preceduto dalla preliminare considerazione che essi possono essere suddivisi in due diversi ÇblocchiÈ. 7. I nuovi requisiti del Çcontrollo analogoÈ e della Çattivitˆ prevalenteÈ come elaborati nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: lĠinfluenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della struttura in house e lo svolgimento di unĠattivitˆ pubblica nella misura dellĠoltre 80 %. Il primo Çblocco di novitˆÈ  costituito dalla Çpositivizzazione integrativa È dei presupposti alla ricorrenza dei quali pu˜ dirsi che una persona giuridica di diritto pubblico ovvero di diritto privato faccia parte della ÒcasaÓ della pubblica amministrazione. I requisiti del Çcontrollo analogoÈ e della Çattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente controllanteÈ sono stati riprodotti e contestualmente integrati di aspetti che la giurisprudenza non aveva contemplato. In questa prospettiva - a tratti conservativa e ad altri ammodernante -  stata dapprima formulata una pi puntuale definizione del Çcontrollo analogoÈ, successivamente riconosciuta la possibilitˆ che soggetti privati possano detenere partecipazioni nel patrimonio della struttura in house e, infine,  stata fissata una soglia quantitativa idonea ad attestare lĠesistenza del requisito ÇdellĠattivitˆ prevalenteÈ. Il requisito del Çcontrollo analogoÈ ricorre tutte le volte in cui ÇlĠamministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri serviziÈ. Questa formula - in veritˆ assai ricorrente -  stata arricchita dalle nuove direttive europee di ulteriori specificazioni. Dopo essere stato perspicuamente chiarito che una pubblica amministrazione esercita su altra persona giuridica un Çcontrollo analogo È a quello esercitato sui propri servizi soltanto qualora sia in grado di esercitare ÇunĠinfluenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllataÈ, viene altres“ disposto che, sempre ai fini del requisito de quo, Çnella persona giuridica controllata non deve esservi alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di vetoÈ. A ben vedere, la conformazione del requisito del Çcontrollo analogoÈ, cos“ come risultante dalle direttive del 2014, presenta indubbi aspetti di innovazione. DOTTRINA 197 é stato finalmente superato lĠannoso dibattito (52) relativo al ÒseÓ il controllo analogo dovesse intendersi come controllo di tipo ÇstrutturaleÈ ovvero Çfunzionale È. Sul punto era infatti venuta consolidandosi una giurisprudenza che, ondivagamente, poneva, talvolta, lĠaccento sul profilo funzionale del Çpotere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dellĠattivitˆ del soggetto partecipatoÈ (53) e, talĠaltra, sul profilo strutturale del Çcontrollo gestionale e finanziario stringenteÈ (54). La circostanza che il contenuto di tale requisito sia da identificarsi in un posizione di supremazia dalla quale discende il potere di influenzare sia gli Òobiettivi strategiciÓ che le Òdecisioni significativeÓ, lascia desumere che il controllo analogo debba essere sia strutturale che funzionale. Ulteriore innovazione consiste nellĠaver voluto confermare lĠesistenza del requisito del Çcontrollo analogoÈ anche in presenza di Çpartecipazioni di capitali privati che non comportano lĠattribuzione di poteri di controllo ovvero di vetoÈ. Questo  un elemento di assoluta rottura rispetto al passato, ove la dottrina e la giurisprudenza erano unanimi nel ritenere che Çla sussistenza del controllo analogo viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria; la partecipazione (pure minoritaria) di unĠimpresa privata al capitale di una societˆ, alla quale partecipi anche lĠamministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta societˆ un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri serviziÈ (55). é stato peraltro dipanato ogni dubbio con riferimento allĠammissibilitˆ del Çcontrollo analogo indirettoÈ, che ricorre nelle ipotesi in cui sussiste (52) Per una ricostruzione, sufficientemente esaustiva, del dibattito venuto alimentandosi, soprattutto, nellĠambito della giurisprudenza nazionale si v.: CASSATELLA A., Partecipazione ÒsimbolicaÓ alle societˆ in house e requisito del controllo analogo, in Giur. it., VII, 2014, p. 2588 ss. Diversamente, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dellĠUnione europea ebbe modo di precisare la necessitˆ che il Çcontrollo analogoÈ comprendesse tanto elementi strutturali quanto elementi funzionali giˆ in tempi non sospetti; al riguardo, tra le altre, si ricordano: C. Giust. Ue, 13 ottobre 2005, C-458/03, nonchŽ C. Giust. Ue, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. (53) T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 22 marzo 2012, n. 892, in Foro amm. - TAR, p. 693 ss., in cui si  stabilito che Çnel caso di Òin house providingÓ, in particolare, il requisito del Òcontrollo analogoÓ, idoneo ad escludere la sostanziale terzietˆ dellĠaffidatario domestico rispetto al soggetto affidante,  da ritenersi sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione del- lĠattivitˆ del soggetto partecipato da parte dellĠente controllante-affidante, che consenta cio a questĠultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dellĠaffidatario. (54) T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in Foro amm. - TAR, 2008, p. 3959, ove si  affermato che Çle condizioni per ritenere legittimo lĠaffidamento diretto di un servizio pubblico locale ad una societˆ appositamente costituita (c.d. in house providing) sono costituite dalla sussistenza sia di una partecipazione pubblica totalitaria, sia del c.d. Òcontrollo analogoÓ, consistente in un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica (quando cio sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dellĠente pubblico sullĠente societario)È. (55) T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 dicembre 2008, n. 21241, in Giur. merito, 2009, pp. 1378 ss. Oltre che la celebre, e giˆ menzionata, Adunanza plenaria del 3 marzo 2008, n. 1, in cui si legge che Çla sussistenza del Òcontrollo analogoÓ viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitariaÈ. una pubblica amministrazione che, essendo titolare di una vasta e ramificata rete di strutture intermedie controllate, pu˜ esercitare unĠinfluenza determinante sulle entitˆ in house per il tramite di una delle organizzazioni intermedie. Una siffatta forma di controllo, inizialmente esclusa da quella giurisprudenza europea secondo la quale Çnel considerare il controllo analogo, non  sufficiente il fatto che lĠente pubblico abbia sulla societˆ aggiudicataria, unĠinfluenza indiretta perchŽ esercitato tramite una holdingÈ (56), viene quindi riconosciuta come possibile; nelle nuove direttive si afferma infatti che il controllo analogo Çpu˜ anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dallĠamministrazione aggiudicatriceÈ. Il requisito ÇdellĠattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblico È ha formato oggetto di un intervento novellatore che  giunto sino al punto di fissare una precisa quota percentuale. Nelle nuove direttive si  infatti affermato che il requisito dellĠattivitˆ prevalente pu˜ dirsi integrato solo quando Çoltre lĠ80 % delle attivitˆ della persona giuridica controllata siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dallĠamministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dallĠamministrazione aggiudicatrice di cui trattasiÈ. La formula impiegata dal legislatore europeo -  innegabile - si presenta come assai fortunata, ponendo fine a non pochi dubbi. La dottrina ha rilevato che la prescrizione normativa in questione Çoltre a superare quel- lĠorientamento giurisprudenziale secondo cui il secondo requisito Teckal poteva dirsi sussistente soltanto laddove lĠorganismo controllato realizzasse in regime di quasi esclusivitˆ, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, le proprie attivitˆ nei confronti dellĠEnte conferente, comporta anche il superamento del dibattito sul ÒseÓ la parte pi importante dellĠattivitˆ dellĠorganismo in house fosse da riferire alle attivitˆ svolte nei confronti dellĠente conferente ovvero alle attivitˆ svolte per conto di tale ente, poichŽ la formulazione finale del testo  di unĠampiezza tale da ricomprendere entrambi i profiliÈ (57). Quanto, poi, ai parametri che lĠoperatore giuridico  tenuto a considerare al fine di stabilire se il requisito ÇdellĠattivitˆ prevalenteÈ possa dirsi sussistente, essi sono stati identificati nel Çfatturato totale medio, o in unĠidonea misura alternativa basata sullĠattivitˆ, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti lĠaggiudicazione dellĠappalto È. (56) C. Giust. Ue, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. (57) CONTESSA C., LĠin house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, cit., p. 14. DOTTRINA 199 8. Le fattispecie di autoproduzione disciplinate nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: in house verticale ed invertito, in house orizzontale, in house frazionato e la cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata. Il secondo Çblocco di novitˆÈ concerne lĠintroduzione di alcune peculiari figure di in house providing. Sono state innanzitutto create due possibili modalitˆ organizzative dellĠautoproduzione, che la dottrina ha inteso enfatica- mente ribattezzare come in house verticale ed invertito e come in house orizzontale. LĠin house verticale ed invertito si configura quando in sede di affidamento di un appalto o di una concessione viene a registrarsi un capovolgimento soggettivo nei ruoli che caratterizzano, tradizionalmente, i rapporti sottesi ad un appalto pubblico ovvero ad una concessione: aggiudicatrice o concedente, da un parte, e aggiudicataria o concessionaria, dallĠaltra. Nei casi di in house providing verticale ed invertito la commessa pubblica non viene affidata dalla pubblica amministrazione controllante alla struttura in house, ma, al contrario,  questĠultima che, assumendo le vesti di stazione appaltante, si determina ad affidare (in maniera diretta) alla prima un appalto o una concessione. Nelle nuove direttive europee, a proposito di questa fattispecie, si  cos“ stabilita lĠesclusione dalla disciplina vigente in materia di appalti pubblici e concessioni Çanche quando una persona giuridica controllata (cio la struttura in house) aggiudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatrice controllanteÈ. é tuttavia evidente che una siffatta ipotesi di autoproduzione si presenta come idonea ad arrecare un pesante dubbio in ordine alla sua riconducibilitˆ al fenomeno dellĠin house providing. Se corrisponde al vero che lĠin house pu˜ dirsi perfettamente integrato soltanto qualora ricorrano i due requisiti del Çcontrollo analogoÈ e della Çattivitˆ prevalentemente pubblicaÈ,  altrettanto vero che nella ipotesi di in house verticale ed invertito manca del tutto il requisito del controllo analogo. Come giustificare, allora, lĠinserimento di una tale fattispecie nellĠampio fenomeno dellĠin house providing? La risposta viene dal dato che lĠentitˆ in house (pur ricoprendo il ruolo di aggiudicatrice/concedente) continua a configurarsi come un Çprolungamento endorganizzativoÈ asservito, strutturalmente e funzionalmente, alla pubblica amministrazione che (pur ricomprendo il ruolo di aggiudicataria/concessionaria) rappresenta ÇlĠapparato organizzativo dominanteÈ dalla cui sfera di autonomia ha tratto origine, appunto, la struttura in house; ci˜ che equivale ad affermare - molto pi significativamente -che alle modificazioni soggettive dellĠin house verticale ed inverso non corrisponde nessuna modificazione della titolaritˆ del potere di controllo, il quale rimane una prerogativa della pubblica amministrazione che ha inteso costituire una struttura interna alla propria ÒcasaÓ (58). LĠin house orizzontale ricorre, invece, quando la struttura interna affida un appalto o una concessione ad una persona giuridica soggiogata alla medesima pubblica amministrazione, che controlla la struttura interna. Qui si dˆ unĠunica pubblica amministrazione controllante e due soggetti in house che, controllati dal medesimo soggetto pubblico, hanno la possibilitˆ di dar vita ad un fenomeno di Çreciproca trasmigrazioneÈ di appalti e/o di concessione, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato lĠappalto o affidata la concessione Çnon vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformitˆ dei trattati, che non esercitano unĠinfluenza determinante sulla persona giuridica controllataÈ. La fattispecie in parola pone due problemi: al fine della configurabilitˆ dellĠin house orizzontale  forse necessario che il controllo analogo venga esercitato dalla struttura in house (aggiudicatrice/concedente)? Quale tipo di rapporti si instaura tra le due strutture controllate e tra queste e la pubblica amministrazione controllante? Le due domande si pongono in rapporto di stretta complementarietˆ, di guisa che dal tipo di risposta che si dˆ allĠuna, dipende la risposta che potrˆ essere offerta allĠaltra. DellĠin house orizzontale si  recentemente occupata la giurisprudenza europea (59), la quale  giunta ad affermare che il generale fenomeno dellĠau (58) In analogo senso si sono espressi: FOË S. - GRECO D., LĠin house providing nelle direttive appalti 2014: norme incondizionate e limiti dellĠinterpretazione conforme, in www.federalismi.it, 2015, i quali hanno affermato che Çla giustificazione a tale possibilitˆ di affidamento diretto si troverebbe nel fatto che, essendo la controllata unĠappendice dellĠamministrazione aggiudicatrice al quale viene affidato direttamente il contratto, si pu˜ ritenere che ci si trovi comunque in una mera forma di delegazione interorganica, benchŽ opposta a quella tradizionaleÈ. (59) C. giust. Ue, 8 maggio 2014, C-15/13, in www.curia.europa.eu, la cui massima  cos“ sintetizzabile: ÇLĠarticolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente ad oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato, unĠUniversitˆ che  unĠamministrazione aggiudicatrice ed  controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi da uno Stato federale tedesco e, dallĠaltro, unĠimpresa di diritto privato detenuta dallo Stato federale e dagli Stati federali tedeschi, compreso detto Stato federale, costituisce un appalto pubblico ai sensi della medesima disposizione e, pertanto, deve essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici previste da detta direttivaÈ. La vicenda riguardava unĠipotesi di affidamento diretto di un appalto di forniture da parte di un ateneo universitario della Cittˆ di Amburgo in favore di una societˆ tedesca. BenchŽ tra lĠUniversitˆ (aggiudicatrice) e la societˆ (aggiudicataria) non vi era alcun rapporto di controllo, la Cittˆ di Amburgo controllava, assieme alla Repubblica federale di Germania e ad altri Stati federati tedeschi, sia lĠUniversitˆ che la societˆ. La Corte di giustizia europea, investita delle quaestio iuris, ha escluso che la fattispecie potesse integrare unĠipotesi di in house orizzontale per via del fatto che il controllo esercitato dalla Cittˆ di Amburgo sullĠateneo universitario si estende solo su una parte dellĠattivitˆ di questĠultima. Pertanto, essendo in presenza di una in una situazione di Òcontrollo parzialeÓ non  configurabile il controllo analogo proprio dellĠin house orizzontale, venendo meno la possibilitˆ di determinare (tutti) gli obiettivi strategici e (tutte) le decisioni significative del soggetto controllato. DOTTRINA 201 toproduzione sussiste anche nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione decida di procedere alla cura concreta di interessi pubblici avvalendosi non giˆ di un sola struttura organizzativa interna, quanto piuttosto di due. Ci˜ posto, quanto al primo quesito si  dellĠavviso che il controllo analogo (come emerge dalla lettera della norma) debba essere esercitato soltanto dalla pubblica amministrazione controllante e che, peraltro, debba configurarsi come un controllo Çtotale e non limitato soltanto ad alcune delle attivitˆ svolte dai soggetti controllatiÈ. Una tale considerazione  rafforzata dal fatto che il tratto maggiormente caratterizzante dellĠin house providing risiede in ci˜ che il rapporto che si instaura tra la p.a. e lĠarticolazione organizzativa interna (sia essa una ovvero pi di una) non pu˜ considerarsi come un Çincontro di due volontˆ autonome, rappresentative di interessi e strategie negoziali distinteÈ (60), venendo piuttosto a crearsi una stretta relazione di Òimmedesimazione organicaÓ dalla quale discende lĠesistenza di un unico centro decisionale facente capo allĠamministrazione controllante che, perci˜ tale,  idoneo a rendere tutte le singole manifestazioni di volontˆ delle strutture in house come mere proiezioni/riproduzioni di una volontˆ formatasi in una sede strategicamente diversa rispetto a quella degli organi decisionali di cui lĠorganigramma delle articolazioni domestiche risulta essere dotato. Ammettere, per assurdo, che il controllo analogo debba essere esercitato dalla struttura in house che affida lĠappalto o la concessione, equivarrebbe a negare lĠesistenza stessa dellĠin house providing; cos“ facendo si ammetterebbero due autonomi centri di volontˆ (quello della pubblica amministrazione controllante e quello della struttura in house affidante) che, per lĠeffetto, traccerebbe unĠinconcepibile scissione di quel collegamento Çuno e trinoÈ che deve necessariamente esistere tra lĠamministrazione controllante, la struttura controllata che affida la commessa pubblica e la struttura controllata che si vede affidare lĠappalto o la concessione. Con riferimento al secondo quesito non  condivisibile quellĠorientamento dottrinale per il quale la Çparticolaritˆ dellĠin house orizzontale risiederebbe proprio nel fatto che il compito di interesse pubblico verrebbe assolto attraverso un affidamento diretto tra detti enti controllati, del quale lĠamministrazione controllante non risulterebbe parte; un legame, quello sussistente tra i due enti contraenti, che in quanto mediato da un terzo soggetto controllante, risulta pi tenue rispetto a quello esistente in un affidamento in house di tipo verticaleÈ (61). La circostanza - come sĠ detto - che anche nellĠin house providing orizzontale esista un unico centro decisionale facente capo alla pubblica amministrazione controllante fa in modo che il rapporto che si instaura tra le due (60) COMBA M. - TREUMER S., The in house providing in european law, Copenhagen, 2010, p. 35. (61) PESCATORE G., LĠinedito modello dellĠin house orizzontale, in www.treccani.it, 2015. strutture controllate veda come Òparte formaleÓ la struttura controllata che affida lĠappalto o la concessione e come Òparte sostanzialeÓ la pubblica amministrazione controllante; questa, infatti, nellĠesercitare un identico Çcontrollo analogoÈ su entrambe le strutture domestiche  senzĠaltro titolare di unĠincontrastabile potere di influenza. é la pubblica amministrazione controllante che pu˜ decidere se consentire alle strutture in house di dar luogo al cennato fenomeno della Çtrasmigrazione reciproca di appalti e/o di concessioniÈ oppure scegliere di creare una nuova struttura coinvolta in un rapporto di in house verticale o, ancora, di fare ricorso al mercato mediante lĠindizione di una gara pubblica. Diversamente argomentando non si vede in che cosa consisterebbe il requisito del Çcontrollo analogoÈ; non  pensabile che lĠinfluenza determinante esercitata dalla pubblica amministrazione sulle strutture in house sia transeunte e temporalmente limitata, cos“ che le strutture in house, una volta dotate di quel primo soffio vitale, potrebbero atteggiarsi a Çcreature prometeiche È capaci di sfuggire alle linee direttrici della p.a. UnĠaltra forma di in house providing introdotta dalle nuove direttive  quella dellĠin house frazionato o pluripartecipato. BenchŽ con riferimento al requisito ÇdellĠattivitˆ prevalenteÈ, lĠin house frazionato non differisce dalla tradizionale figura dellĠautoproduzione, poichŽ anche in questa ipotesi  richiesto che Çoltre lĠ80 % delle attivitˆ di tale persona giuridica controllata siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatriciÈ e che Çnella persona giuridica controllata non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di vetoÈ, lo stesso se ne differenzia quanto al requisito del Çcontrollo analogoÈ. Difatti, questo si considera perfezionato tutte le volte in cui una pubblica amministrazione, non essendo in grado (da sola) di esercitare ÇunĠinfluenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significativeÈ della struttura in house, si avvale delle partecipazioni detenute nella struttura controllata da altre pubbliche amministrazioni. GiacchŽ il requisito del Çcontrollo analogoÈ si presenta ÒcontaminatoÓ dalla presenza di una pluralitˆ di centri decisionali, non sono mancati quanti hanno inteso qualificare tale fattispecie di autoproduzione nei termini di Çquasi in houseÈ (62). (62) In questo senso si espresso CONTESSA C., LĠin house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, cit., p. 3, il quale, nel soffermarsi sulla ragione che ha indotto il legislatore europeo a non impiegare, espressamente, la locuzione in house providing, la individua nella circostanza che, cos“ facendo, ha fatto in modo di ricomprendere nellĠistituto Çsia il fenomeno dellĠin house providing in senso proprio; sia ipotesi che possono essere definite come di Òquasi-in houseÓ (come nel caso del c.d. Ôin house frazionatoĠ o del Ôcontrollo analogo congiuntoĠ di cui al paragrafo 3); sia - e pi in generale - ulteriori forme di cooperazione fra amministrazioni pubbliche che non comportano lĠistituzione di un organismo gestionale ad hoc (si tratta della c.d. Òcooperazione pubblico-pubblicoÓ)È. DOTTRINA 203 LĠesistenza di una pluralitˆ di pubbliche amministrazioni che soltanto congiuntamente sono in grado di influenzare in modo determinate le scelte strategiche della struttura in house induce a ritenere che nessuna di quelle pubbliche amministrazioni pu˜ dirsi, effettivamente, collocata in una posizione di supremazia. La struttura e le attivitˆ dellĠorganizzazione in house potranno essere influenzate soltanto qualora vi sia comunione dĠintenti tra una moltitudine di autonomi centri decisionali facenti capo ad una pluralitˆ di pubbliche amministrazioni controllanti; circostanza che viene palesandosi se si tiene conto che le pubbliche amministrazioni, per giungere alla costituzione di una organizzazione in house,  necessario che convengano di stipulare un contratto, un accordo o una convezione, il contenuto dei quali deve regolare, in modo quanto pi puntuale ed esaustivo, i principali aspetti organizzativi e funzionali della struttura interna alla ÒcasaÓ. La riscontrabilitˆ di incertezze e/o di insufficienze contenutistiche del- lĠatto convenzionale dal quale trae origine la struttura in house  senzĠaltro idonea a giustificare delle pronunce giurisdizionali con le quali venga dichiarata lĠinesistenza di un modello organizzativo riconducibile alla figura dellĠin house. Beninteso: la questione non  meramente teorica. AllorchŽ dallĠatto costitutivo di una struttura deputata allĠautoproduzione non sia possibile desumere la ripartizione delle partecipazioni sociali tra i soggetti controllanti, potrebbero registrarsi delle pregiudizievoli ricadute economiche sugli equilibri della finanza pubblica. Si pu˜ pensare, ad esempio, alla ipotesi in cui la pluralitˆ di soggetti controllanti si determinano ad affidare - senza previa indizione di una gara - una commessa pubblica alla struttura in house, dal cui atto costitutivo non  consentito comprendere quale sia la misura delle partecipazioni sociali ripartite tra la pluralitˆ di amministrazioni controllanti. DĠun tratto, per˜, uno dei soggetti controllanti, ritenendo che fosse pi ragionevole procedere ad una gara ai fini dellĠaffidamento della commessa, e rivendicando la titolaritˆ di una partecipazione sociale maggioritaria, deduce lĠinesistenza del suo consenso allĠaffidamento diretto alla Òstruttura domesticaÓ e, quindi, la invaliditˆ della decisione adottata dagli altri soggetti controllanti, per difetto del quorum deliberativo. Nel giudizio instauratosi a seguito del ricorso proposto dal soggetto controllante interverranno, plausibilmente, ai sensi dellĠart. 50 c.p.a. (63), le imprese operanti nel settore in cui la commessa  stata affidata in maniera diretta alla struttura in house, poichŽ Çogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare la scelta della pubblica amministrazione (63) T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 7 gennaio 2015, n. 22, in www.giustizia-amministrativa.it, nella cui motivazione si legge che Çnel processo amministrativo, chiunque abbia interesse in base allĠart. 28 comma 2, c.p.a. e non sia decaduto dallĠesercizio delle relative azioni, pu˜ intervenire in giudizio nei termini e con le forme previste dallĠart. 50 c.p.a., accettando lo stato e il grado di giudizio in cui si trovaÈ. di non procedere allĠindizione di una procedura di gara pubblica a tutela del principio della libera concorrenza e del criterio di effettivitˆ del diritto alla tutela giurisdizionaleÈ (64). Verrebbe quindi instaurandosi un processo plurisoggettivo al termine del quale potrebbero registrarsi una pluralitˆ di conseguenze, quali: a) lĠannullamento del provvedimento di affidamento diretto; b) lo stallo dellĠazione amministrativo e, quindi, la possibilitˆ delle imprese di pretendere lĠindennizzo da mero ritardo ex art. 2-bis, comma 1-bis, L. n. 241/90, in quanto tale stallo si sarebbe potuto evitare se solo i soggetti controllanti avessero, ad initio, indetto una gara pubblica; c) la possibilitˆ per gli utenti (se la commessa pubblica riguarda servizi) di avanzare pretese risarcitorie tese ad ottenere la riparazione dei danni causati dalla tardiva attivazione di un servizio pubblico. Quel che  certo  che, nonostante lĠin house frazionato si presenta come istituto di dubbia natura, una certa dottrina, evidenziandone lĠutilitˆ nellĠambito dei servizi pubblici, ha affermato che ÇlĠaccorto ricorso alla figura delle societˆ di gestione cc.dd. pluripartecipate potrˆ rappresentare uno strumento strategico per il conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione della gestione e di individuazione degli ambiti o bacini territoriali omogenei che presiede allĠattuale - sintetica - disciplina di settore. Tale modalitˆ organizzativa e gestionale potrˆ anche contribuire ad individuare un adeguato punto di equilibrio fra diversi elementi difficilmente riconducibili ad unitˆ, fra cui: i) lĠesigenza di offrire servizi pubblici di qualitˆ a bacini di utenza adeguatamente dimensionati; ii) lĠesigenza di razionalizzare le forme di gestione e i relativi costi, evitando le inevitabili duplicazioni connesse alla moltiplicazione dei soggetti gestori; iii) lĠesigenza di agire comunque nellĠambito di regole certe al livello comunitario, sfruttando nel modo pi adeguato i principi e le disposizioni in tema di cc.dd. cooperazioni pubblico-pubblicoÈ (65). Da ultimo, le nuove direttive europee contemplano una peculiare forma di collaborazione tra pubbliche amministrazioni: la cooperazione orizzontale ovvero cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata (66). Nelle di (64) Cons. St., Sez. V, 14 novembre 2008, n. 5693, in Guida al dir., 2009, pp. 103 ss., ove viene altres“ specificato che ÇlĠassenza di indizione di una procedura di evidenza pubblica viene a ledere, infatti, lĠinteresse sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo pari opportunitˆ, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure. NŽ risulta necessario che lĠimpresa del settore ricorrente dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e finanziari occorrenti per partecipare alla gara, risultando lĠinteresse fatto valere indirizzato a censurare la soluzione organizzativa adottata e non giˆ a riportarne lĠaggiudicazione, atteso che con lĠaccoglimento del ricorso viene soddisfatto lĠinteresse strumentale tendente alla rimessa in discussione del rapporto controverso e alla possibilitˆ di partecipare alla gara per lĠaffidamento dei lavori, servizio o fornitura, nella cui futura ed eventuale sede lĠamministrazione potrˆ verificare se lĠimpresa possiede in concreto i requisiti per prendervi parteÈ. (65) CONTESSA C., LĠin house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, cit., p. 18. DOTTRINA 205 rettive  consentito leggere che Çun contratto concluso esclusivamente tra due o pi amministrazioni aggiudicatrici non rientra nellĠambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nellĠottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b) lĠattuazione di tale cooperazione  retta esclusivamente da considerazioni inerenti allĠinteresse pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attivitˆ interessate dalla cooperazioneÈ. LĠipotesi cooperativa rappresenta una fattispecie ontologicamente diversa rispetto allĠin house providing, tantĠ che potrebbe essere sindacata - sotto un profilo stilistico e topografico - la scelta del legislatore europeo di giungere a disciplinare il partenariato pubblico-pubblico nellĠambito dellĠin house. Il principale elemento di discrimine tra lĠin house providing e il partenariato pubblico-pubblico  rinvenibile nellĠesistenza di una struttura organizzativa ad hoc soltanto nel primo caso. Mentre lĠin house providing presuppone che le amministrazioni controllanti provvedano alla creazione di una struttura organizzativa che, nonostante sia parte integrante della ÒcasaÓ, deve considerarsi soggettivamente distinta rispetto ai soggetti controllanti, il fenomeno della cooperazione orizzontale non postula, al contrario, la creazione di un apposita struttura. QuestĠultimo si limita a richiedere la stipulazione di un ÇcontrattoÈ tra pubbliche amministrazioni, al fine di regolare la erogazione di un servizio pubblico strumentale al conseguimento di obbiettivi comuni a tutte le amministrazioni contraenti; ci˜ che si pone in linea con lĠinsegnamento della giurisprudenza europea in ossequio al quale Çil diritto comunitario non impone alle autoritˆ pubbliche di utilizzare una particolare forma giuridica per assicurare lo svolgimento in comune delle funzioni di servizio pubblico, in quanto lĠattuazione di tale cooperazione  retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi dĠinteresse pubblicoÈ (67). Orbene, la regola della procedura di evidenza pubblica non trova applicazione nelle ipotesi di partenariato pubblico-pubblico: le pubbliche amministrazioni che intendano dare vita ad una forma di partenariato (non istituzionalizzato) non sono tenute a selezionare le altre pubbliche amministrazioni interessate alla stipulazione di una simile contratto, previa indizione di una gara pubblica. Nel diritto privato -  noto - il buon esito di una trattativa negoziale  de (66) VOLPE C., LĠaffidamento in house. Questioni aperte sulla disciplina applicabile, in www.giustamm.it, 2014, p. 15. (67) C. Giust. UE, 9 giugno 2009, C-480/06, in www.curia.europa.eu. terminato, anche, da taluni imprevedibili fattori empirici che, sebbene non siano contemplati dalla legge, possono talora rivelarsi di cruciale importanza: suggestioni, ambizioni, impressioni, simpatie ed alchimie. Tutto questo non accade allorchŽ le parti contraenti siano pubbliche amministrazioni, non fossĠaltro che se i soggetti incaricati di rappresentare le pubbliche amministrazioni sono tenuti a valutare degli elementi rigidamente predeterminati dal legislatore. Ecco che allora non sorprende che anche per la cooperazione orizzontale tra pubbliche amministrazioni siano stati puntualmente individuati gli elementi che debbono sussistere affinchŽ possa essere giustificato il mancato ricorso alla gara pubblica. é necessario, infatti, che il contratto tra le pubbliche amministrazioni sia funzionalmente orientato a garantire lĠerogazione di un servizio pubblico idoneo ad assicurare il conseguimento di obbiettivi comuni. Inoltre la cooperazione deve trovare la sua ratio giustificatrice un interesse pubblico, di guisa che le amministrazioni contraenti non possono pretendere di stipulare un contratto di cooperazione con la finalitˆ, principale o prevalente, di conseguire un massimizzazione dei profitti; poichŽ risulterebbe impedita, ristretta o falsata la concorrenza per il mercato, il contratto di cooperazione potrebbe essere colpito dalla nullitˆ prevista per le intese di cui allĠart. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287. Normativa antitrust che  senzĠaltro applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, come riprovato da quellĠorientamento interpretativo dellĠAutoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), il quale nello stabilire che, Çladdove venga accertato che un atto della pubblica amministrazione di particolare rilevanza economica sia illegittimo per violazione delle norme comunitarie e nazionali a tutela della concorrenza, lĠAGCM ha la legittimazione ad impugnarlo davanti agli organi della giustizia amministrativa, avvalendosi dellĠAvvocatura dello StatoÈ (68), ha indotto il legislatore ad introdurre lĠart. 21 bis, della L. n. 287/90, ai sensi del quale ÇlĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato  legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercatoÈ (69). Trattasi di una norma che Çrivela la volontˆ del legislatore di (68) AGCM (AS659), Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza, in www.agcm.it, 2010, p. 10. (69) LĠart. 35 della L. 22 dicembre 2011, n. 214 ha inserito, nella L. n. 287/90, lĠart. 21-bis (rubricato: Poteri dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza), il quale dispone che: Ç1. LĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato  legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. 2. LĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comuni DOTTRINA 207 valorizzare la tradizionale funzione consultiva e di segnalazione (c.d. competition advocacy) attribuita ab origine allĠAGCM. La legittimazione ad agire innanzi al giudice amministrativo conferisce, infatti, a tale funzione (in passato, mera espressione di unĠopinione dellĠAutoritˆ, ancorchŽ suscettibile di effetti di moral suasion, sullĠesistenza di situazioni distorsive della concorrenza derivanti da norme di legge, di regolamento o provvedimenti amministrativi) veri e propri effetti costitutivi, sia pure conseguibili in via mediata attraverso lo scrutinio giurisdizionale. é in ragione di tale correlazione che lĠiniziativa dellĠAutoritˆ deve essere necessariamente preceduta da unĠattivitˆ amministrativa procedimentalizzata, essendo il procedimento paradigma comune sia alle autoritˆ amministrative tradizionali che indipendenti. Come nel settore delle intese e degli abusi di posizione dominante - in cui lĠAutoritˆ possiede autonomi poteri di enforcement (decisori e di sanzione) - lĠAutoritˆ cazione del parere, lĠAutoritˆ pu˜ presentare, tramite lĠAvvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni. 3. Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104È. In dottrina, sullĠart. 21 bis della L. n. 287 90, tra i diversi contributi, si rinvia a: ARENA F., Atti amministrativi e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dellĠautoritˆ antitrust italiana, contributo per la X edizione del Convegno ÒAntitrust fra Diritto Nazionale e Diritto dellĠUnione EuropeaÓ, Treviso, 1718 maggio 2012, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012; CINTIOLI F., Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990), in www.federalismi.it, 2012; PECCHIOLI N., ÇTeologia della concorrenzaÈ o crisi di cooperazione? Note critiche sulla legittimazione dell'Autoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato ad impugnare atti amministrativi e regolamenti, in www.giustamm.it, 2012; URBANO G., I nuovi poteri processuali delle Autoritˆ Indipendenti, in Giorn. dir. amm., X, 2012, pp. 1022 ss.; CIFARELLI R., Verso un nuovo protagonismo delle Autoritˆ Indipendenti? Spunti di riflessione intorno all'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2012; POLITI R., Ricadute processuali a fronte dell'esercizio dei nuovi poteri rimessi allĠAGCM ex art. 21-bis della l. 287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione dell'interesse alla sollecitazione del sindacato. Ovvero: prime riflessioni sul nuovo protagonismo processuale dell'autoritˆ antitrust, tra il Minosse di Dante ed il giudice di De AndrŽ, in www.federalismi.it, 2012; SATTA F., Intorno alla legittimazione dellĠAutoritˆ Garante della concorrenza e del mercato a chiamare in giudizio pubbliche amministrazioni, in www.apertacontrada.it, 2012; DE BENEDETTO M., Le liberalizzazioni e i poteri dellĠAgcm, in Giorn. dir. amm., III, 2012, pp. 236 ss.; GHENGHI F., LĠattivitˆ di segnalazione e consultiva dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato: inquadramento generale, attivitˆ di coordinamento amministrativo e normativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, casi pratici, in www.amministrativ@mente.com, 2012; GIOVAGNOLI R., Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dellĠAGCM nellĠart. 21-bis legge n. 287/1990, in www.giustamm. it, 2012; ID., Ricadute processuali a fronte del- l'esercizio dei nuovi poteri rimessi all'AGCM ex art. 21-bis della legge 287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione dell'interesse alla sollecitazione del sindacato, in www.giustamm.it, 2012; SANDULLI M.A., Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dellĠAGCM nellĠart. 21 bis l. n. 287 del 1990, in www.federalismi.it, 2012. ID., Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autoritˆ indipendenti, Relazione al Convegno ÇLe Autoritˆ Amministrative Indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercatiÈ, tenutosi a Roma, Palazzo Spada, il 28 febbraio 2013, in www.astrid-online.it, 2013; GOISIS F., Il potere di iniziativa dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato ex art. 21-bis l. 287 del 1990: profili sostanziali e processuali, in Dir. proc. amm., II, 2013, pp. 471 ss.; DĠURBANO A., Il nuovo potere di legittimazione a ricorrere dellĠAgcm al vaglio del giudice amministrativo. (Nota alla sentenza non definitiva del TAR Lazio, Sez. III - ter, 15 marzo 2013 n. 2720), in www.federalismi.it, 2013. agisce in contraddittorio con le imprese, cos“  logico ritenere che, nei confronti degli eventuali abusi di potere regolatorio e/o provvedimentale, compiuti da soggetti pubblici ad essa pariordinati (siano essi espressione dello Stato - apparato, ovvero come pure  possibile altre autoritˆ indipendenti), vi sia una medesima esigenza di procedimentalizzazione, attraverso cui lĠAGCM contestualizza e concretizza la propria valutazione circa la regola giuridica da applicare al caso concreto. In tal modo, essa concorre direttamente alla formazione e al mantenimento di un complessivo quadro legale atto a favorire le dinamiche della concorrenzaÈ (70). NellĠambito del menzionato art. 21 bis pu˜ farsi rientrare anche la costituzione di una forma di partenariato pubblico-pubblico. LĠesplicito richiamo che la norma in parola fa agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi non deve indurre a pensare di poter escludere il contratto di partenariato pubblico-pubblico dai possibili Çfatti distorsivi della concorrenzaÈ. La norma in esame, benchŽ nel suo comma 1 faccia richiamo agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, nel successivo capoverso (cos“ come anche nella sua rubrica) fa un pi ampio riferimento agli atti amministrativi adottati in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato; una circostanza idonea a di- svelare lĠintenzione del legislatore di ricomprendere nel novero dei Òfatti pubbliciÓ distorsivi del libero gioco della concorrenza qualsiasi Çtipo di manifestazione dellĠazione amministrativaÈ. (70) T.A.R., Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451, in Foro amm. - TAR, 2013, pp. 1562 ss. Per quanto possa rilevare in questa sede, si ritiene inoltre opportuno segnalare la pronuncia del Supremo Consesso della giustizia amministrativa con la quale sono state chiarite le specifiche caratteristiche della procedura che sovraintende alla legittimazione processuale dellĠAGCM ad impugnare le manifestazioni dellĠattivitˆ amministrativa idonee ad alterare il libero gioco della concorrenza. Appunto, in Cons. St., Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, in Foro amm. - CDS, 2014, pp. 1089 ss., si stabilisce che Çai sensi dellĠart. 21 bis, l. 10 ottobre 1990 n. 287, aggiunto dallĠart. 35 comma 1 d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, conv. con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011 n. 214, il potere dellĠAutoritˆ garante della concorrenza e del mercato di agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti amministrativi da essa ritenuti lesivi della libertˆ di concorrenza e mercato deve essere necessariamente preceduto, a pena di inammissibilitˆ, da una fase precontenziosa caratterizzata dal- lĠemanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla p.a. nel quale sono segnalate le violazioni riscontrate e indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato; la funzione di detto parere motivato  duplice: sollecitare la p.a. a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dellĠAutoritˆ, mediante uno speciale esercizio del potere di autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dellĠinteresse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di questĠultimo sia assicurata innanzitutto allĠinterno della stessa p.a. e restando il ricorso allĠAutoritˆ giudiziaria amministrativa extrema ratio, non essendo lĠAutoritˆ dotata di poteri coercitivi nei confronti dellĠamministrazione pubblica; dĠaltro canto, la fase precontenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente ed esclusivamente al giudice per la tutela di un interesse pubblicoÈ. DOTTRINA 209 9. La Çforma giuridicaÈ dellĠin house providing prima e dopo lĠadozione delle direttive europee. Societˆ in mano pubblica, fondazioni pubbliche e associazioni no profit. Le direttive europee del 2014 hanno introdotto delle interessanti novitˆ anche per quanto concerne la forma giuridica delle strutture in house. I dati statistici offerti dalla prassi amministrativa italiana confermano che la pubblica amministrazione ha di gran lunga manifestato una predilezione per il modello societario: le strutture in house presentato, nella quasi totalitˆ dei casi, la forma giuridica della societˆ (71). Il sistema economico nazionale risulta caratterizzato da una massiccia ed imperante presenza di operatori economici aventi una natura (parzialmente ovvero totalmente) pubblica: nel primo caso si avranno le c.d. societˆ miste, mentre nel secondo le societˆ in house. NellĠintento di comprendere la effettiva portata della presenza delle pubbliche amministrazione nel mercato  stato di recente rilevato che Çda unĠanalisi dei dati contenuti nella relazione Istat 2015, attualmente ci sono 7.757 organismi attivi (anche diversi dalle societˆ) a partecipazione pubblica, con un totale di 953.100 impiegati. Di questi organismi, circa 5.000 sono societˆ a partecipazione pubblica (con netta prevalenza delle societˆ partecipate da enti territoriali), con un numero complessivo di impiegati intorno alle 500.000 unitˆ. Avendo riguardo alle sole societˆ partecipate dagli enti territoriali, la relazione della Corte dei Conti per lĠanno 2015 individua circa 3.000 societˆ che svolgono attivitˆ strumentali, a fronte di altre 1.700 che svolgono attivitˆ di servizio pubblico. Inoltre, la stessa relazione segnala che: sono 988 le societˆ con numero di addetti inferiore ai membri del consiglio di amministrazione; 2.479 le societˆ con numero di addetti inferiore a 20; 1.600 le societˆ con valore della produzione inferiore al milione di euro; (71) Per unĠampia panoramica dottrinale sulle societˆ pubbliche si rinvia a: VISENTINI G., Partecipazioni pubbliche in societˆ di diritto comune e di diritto speciale, Milano, 1979; MARASË G., Le ÒsocietˆÓ senza scopo di lucro, Milano, 1984; ID., voce Societˆ speciale e societˆ anomale, in Enc. giur. Treccani, XXIX, Roma, 1993; CIRENEI M.T., Le societˆ a partecipazione pubblica, in COLOMBO G.E. PORTALE G.B. (a cura di), Trattato delle s.p.a., Torino, 1992; IBBA C. Le societˆ legali, Torino, 1992; ID., Le societˆ a partecipazione pubblica locale fra diritto comune e diritto speciale, in Riv. dir. priv., II, 1999, pp. 22 ss.; SCOCA F.G., Il punto sulle c.d. societˆ pubbliche, in Dir. econ. (Il), II, 2005, pp. 239 ss.; PIZZA P., Le societˆ per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi modelli organizzativi, Milano, 2007; CAMMELLI M. - DUGATO M., Lo studio delle societˆ a partecipazione pubblica: la pluralitˆ dei tipi e le regole del diritto privato. Una premessa metodologica e sostanziale, in AA.VV. (a cura di), Studi in tema di societˆ a partecipazione pubblica, Torino, 2008; DE NICTOLIS R. - CAMERIERO L., Le societˆ pubbliche in house e miste, Milano, 2008; GR†NER G., Enti pubblici a struttura di s.p.a. -Contributo allo studio delle societˆ ÒlegaliÓ in mano pubblica di rilievo nazionale, Torino, 2009; DEMURO I., Societˆ con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, in COTTINO G. - BONFANTE G. - CAGNASSO O. - MONTALENTI P. (a cura di) Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, Bologna, 2009, pp. 878 ss.; CLARICH M., Le societˆ partecipate dallo Stato e dagli enti locali fra diritto pubblico e diritto privato, in GUERRERA F. (a cura di), Le societˆ a partecipazione pubblica, Torino, 2010. 984 le societˆ con valore della produzione maggiore di un milione e inferiore a cinque milioni di euroÈ (72). Le societˆ a partecipazione pubblica non si allontanano molto dal tradizionale modello societario disciplinato dal codice civile. Mentre in base alla partecipazione pubblica (parziale o totalitaria) suole distinguersi tra societˆ miste ovvero societˆ in house, in base alla natura (centrale o periferica) della pubblica amministrazione titolare della partecipazione si distingue tra societˆ a partecipazione pubblica statale e societˆ a partecipazione pubblica regionale o locale. Ma la classificazione che maggiormente degna di pregio giuridico  quella che distingue tra Çsocietˆ a partecipazione pubblica di diritto comuneÈ e Çsocietˆ a partecipazione pubblica di diritto specialeÈ (73): le prime svolgono unĠattivitˆ preordinata al conseguimento di guadagni, le seconde (derogando al modello civilistico della societˆ) svolgono unĠattivitˆ che, di lˆ dalla massimizzazione dei profitti,  finalisticamente orientata ad esercitare ora una funzione amministrativa (c.d. societˆ pubbliche in senso stretto), ora ad erogare un servizio pubblico in favore di una determinata collettivitˆ (c.d. societˆ di gestione dei servizi pubblici) ora ad assicurare servizi o forniture in favore di una o pi pubbliche amministrazioni (c.d. societˆ strumentali). Diversamente dal passato, ove non era infrequente riscontrare societˆ pubbliche di diritto comune, una tale possibilitˆ  ormai preclusa. La legge del 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria del 2008) ha infatti fissato il divieto di Çcostituire societˆ aventi per oggetto attivitˆ di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalitˆ istituzionali, nŽ assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali societˆÈ (74), quale norma che Çha posto un limite allĠimpiego dello strumento societario non tanto per assicurare la tutela della concorrenza - che di per sŽ lo strumento dellĠimpresa pubblica non potrebbe pregiudicare - quanto per garantire, in coerenza con lĠesigenza di rispettare il principio di legalitˆ, il perseguimento dellĠinteresse pubblico, cos“ che pu˜ ri (72) Cons. St., Comm. spec., 21 aprile 2016, n. 968, in www.giustizia-amministrativa.it. (73) CIRENEI M.T., Le societˆ a partecipazione pubblica, in COLOMBO G.E. - PORTALE G.B. (a cura di), Trattato delle s.p.a., Torino, 1992, pp. 1 ss. (74) LĠart. 3, comma 27 della L. 24 dicembre 2007, n. 244 dispone che: ÇAl fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire societˆ aventi per oggetto attivitˆ di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalitˆ istituzionali, nŽ assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali societˆ. é sempre ammessa la costituzione di societˆ che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui allĠarticolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e lĠassunzione di partecipazioni in tali societˆ da parte delle amministrazioni di cui allĠarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nellĠambito dei rispettivi livelli di competenzaÈ. DOTTRINA 211 tenersi, pertanto, che, allo stato, esiste una norma imperativa che - esprimendo un principio giˆ in precedenza immanente nel sistema - pone un chiaro limite allĠesercizio dellĠattivitˆ di impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento dellĠinteresse pubblicoÈ (75). La Òbussola pi affidabileÓ che la normativa vigente offre allĠoperatore giuridico al fine di distinguere le societˆ pubbliche rispetto alle societˆ di diritto comune  rappresentata dallĠoggetto sociale di queste: le societˆ di diritto comune stanno allo svolgimento di attivitˆ dirette alla massimizzazione dei profitti come le societˆ a partecipazione pubbliche stanno allo svolgimento di attivitˆ dirette alla cura concreta dellĠinteresse generale. Quanto alla disciplina applicabile,  pacifico che Çla societˆ pubblica deve essere assoggettata, sul piano sostanziale, allo statuto privatistico dellĠimprenditore, con applicazione soltanto di alcune regole pubblicheÈ (76). Pertanto pu˜ dirsi che la disciplina della societˆ pubblica  il frutto di una cumulativa commistione tra il diritto civile e il diritto pubblico; una commistione dalla quale deriva che ad esse si applica Çtanto la disciplina codicistica (norme specificamente dettate nel codice civile per tutte le societˆ partecipate dallo Stato o da enti pubblici, nonchŽ norme e istituti codicistici di carattere generale), quanto la disciplina extracodicistica (norme dettate da apposite leggi per le societˆ pubbliche o quanto meno per alcune di esse)È (77). Di base esse sono regolate dalla disciplina propria delle societˆ di capitali (e, pi precisamente, da quella della s.p.a. o da quella della s.r.l. a seconda del tipo societario in concreto adottato), ma, nondimeno, risultano destinatarie di norme speciali che derogano alla disciplina del codice civile. Nel nutrito alveo di queste norme speciali vi rientrano: a) quelle che escludono la possibilitˆ per le societˆ pubbliche, che abbiano registrato delle perdite per tre esercizi consecutivi, di essere beneficiari di aumenti di capitale, trasferimenti straordinari ovvero aperture di credito, rilascio di garanzie, salvo che ci˜ avvenga a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma di investimento ovvero previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 6, comma 19, del D.lg. n. 68/2010, convertito nella L. n. 122/2010); b) quelle che impongono lĠattivazione di idonee procedure selettive, rispettose dei principio di trasparenza, di pubblicitˆ e di imparzialitˆ, per procedere al recluta (75) Cons. St., Sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574, in Foro amm - CDS, 2012, pp. 696 ss. (76) T.A.R. Sardegna, Sez. II, 23 maggio 2008, n. 1051, in Foro amm. - TAR, 2008, p. 1494, ove si afferma, ancora pi incisivamente, che ÇlĠutilizzazione, per il perseguimento di pubblici interessi, di figure soggettive formalmente privatistiche, di strutture, di moduli organizzativi e di azione della p.a. Òdi confineÓ tra il pubblico e privato in luogo dei tradizionali enti pubblici costituisce il presupposto per la creazione di regimi giuridici di diritto speciale, connotati sia da aspetti pubblicistici che da profili privatisticiÈ (77) IBBA C., Le societˆ a partecipazione pubblica: tipologia e discipline, in IBBA C. - MALAGUTI M.C. - MAZZONI A. (a cura di), Le societˆ pubbliche, Torino, 2012, p. 5. mento del personale (art. 35, del D.lgs. n. 165/2001) (78); c) quelle che espongono gli amministratori delle societˆ pubbliche anche al regime di responsabilitˆ per danno erariale allorchŽ, violando gli obblighi connessi alla carica ricoperta, arrechino un danno al patrimonio della pubblica amministrazione detentrice della partecipazione sociale (79); d) quelle che riconoscono i caratteri della inalienabilitˆ, della imprescrittibilitˆ, della inusucapibilitˆ e della inespropriabilitˆ dei beni demaniali (art. 822 c.c.) e, in certa misura, dei beni patrimoniali indisponibili (art. 826, comma 2, c.c.) di cui dovessero essere proprietarieÈ (80). Per le societˆ in house valgono - in buona parte - le considerazioni svolte con riferimento alle societˆ pubbliche tout court. Anche le strutture in house costituite nella forma giuridica della societˆ sono soggette alla combinata applicazione delle norme del codice civile e di alcune peculiari norme che derogano rispetto al diritto comune delle societˆ. Tuttavia, le societˆ in house presentano delle caratteristiche che le allontanano, ancora pi marcatamente, rispetto al tradizionale modello civilistico delle societˆ: lĠesercizio da parte del socio pubblico di un potere di controllo (78) In dottrina, tra i tanti, si rinvia a: AMENDOLA M., Concorso a pubblico impiego, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, pp. 619 ss.; TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da parte delle societˆ a partecipazione pubblica, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 2008; PIPERITA G., LĠattualitˆ a proposito delle recenti disposizioni in materia di personale delle societˆ pubbliche: anatomia di una riforma e patologia, in Lav. Pubbl. amm. (Il), IV, 2009, pp. 647 ss.; GUZZO G., Reclutamento del personale nelle societˆ pubbliche e principio di autonomia degli enti locali: i dubbi e le incertezze sollevati dal D.lg. del 25 giugno 2008, in www.pubblic-utilities.it, 2008; SAPORITO A., Societˆ pubbliche e reclutamento del personale: profili problematici, in www.giustamm.it, 2016. (79) GASPARRINI D., La responsabilitˆ degli amministratori nonchŽ dei dipendenti delle societˆ a partecipazione pubblica. Il difficile rapporto con la responsabilitˆ amministrativa per danno allĠerario, in www.giustamm.it, 2009; GHIGLIONE P. - BIALLO M., La responsabilitˆ degli amministratori di societˆ a partecipazione pubblica: lĠorientamento delle SS. UU. (commento a Cassazione Civile, sez. un., ord., 15 gennaio 2010, n. 519 e Cassazione Civile, sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26086), in Le societˆ, VII, 2010, pp. 803 ss.; ROMAGNOLI G., La responsabilitˆ amministrativa dei componenti degli organi di gestione delle societˆ a partecipazione pubblica. Tra Òbrusche frenateÓ e Òannunciate accelerazioniÓ, in www.giustamm.it, 2010; DALFINO D., Societˆ pubbliche, responsabilitˆ degli amministratori e riparto di giurisdizione (commento a Cassazione civile, sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309), in Le societˆ, XI, 2010, pp. 1361 ss; TITA A., La responsabilitˆ degli amministratori nelle societˆ a partecipazione pubblica: prospettive nel 2011, dopo le novitˆ del 2010, e rimedi assicurativi proponibili, in ww.lexitalia.it, 2011; TORCHIA L., Societˆ pubbliche e responsabilitˆ amministrativa: un nuovo equilibrio, in Giorn. dir. pubbl., III, 2012, pp. 323 ss. (80) FALZONE G., I beni del Çpatrimonio indisponibileÈ, Milano, 1957; CASSARINO S., La destinazione dei beni degli enti pubblici, Milano, 1962, 148 ss.; GIANNINI M.S., I beni pubblici, Roma, 1963; CASSESE S., I beni pubblici: circolazione e tutela, Milano, 1969; CERULLI IRELLI V., Proprietˆ pubblica e diritti collettivi, Padova, 1975; CAPUTI JAMBRENGHI V., Premesse per una teoria dellĠuso dei beni pubblici, Napoli, 1979; ID., Beni pubblici, in Enc. giur., Roma, 1988; COLOMBINI G., Demanio e patrimonio dello Stato e degli enti pubblici, in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 1 ss.; ID., I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e internazionale, Napoli, 2009; POLICE A., I beni pubblici, tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008; TONOLETTI B., Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008; MERCATI L., Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, Torino, 2009; MARELLA M.R., Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012. DOTTRINA 213 analogo a quello svolto sugli uffici interni e la necessitˆ di svolgere la propria attivitˆ prevalentemente in favore del socio pubblico. Due caratteristiche che finiscono col depauperare la autonomia gestionale ed organizzativa di cui una persona giuridica deve essere attributaria al fine di potersi sussumere nel modello societario. é per questo che certa dottrina, partendo dal presupposto che Çpu˜ dirsi ormai acquisito il carattere anomalo del fenomeno dellĠin house nel panorama del diritto societario, laddove  difficile ammettere una societˆ che non abbia alcuna autonomia gestionaleÈ, ha ritenuto che le societˆ in house siano, proprio per le caratteristiche indefettibili del controllo analogo e del- lĠattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente controllante, delle societˆ ancora pi speciali rispetto alle giˆ speciali societˆ pubbliche (81). Oltre alla forma giuridica della societˆ, la prassi attesta che le pubbliche amministrazioni hanno inteso pure costituire delle strutture in house nella forma della Çfondazione pubblicaÈ. Le fondazioni pubbliche si configurano, alla stregua di quelle private, come espressione Çdi un atto di disposizione patrimoniale attraverso il quale il fondatore destina un patrimonio al conseguimento di uno scopo, nonchŽ di un atto di organizzazione, che determina, attraverso una struttura organizzativa, il modo di attuazione dello scopoÈ (82). La loro costituzione Çnon  disciplinata diversamente a seconda del fatto che il promotore o i promotori siano soggetti privati o enti pubblici, poichŽ il momento iniziale della vita di un soggetto di cui allĠart. 14 c.c non  influenzato neanche dalla tipologia degli interessi, siano essi pubblici, generali, diffusi o privati, che si intende perseguire con il costituendo enteÈ (83). A prescindere da queste affinitˆ di disciplina (84), ragioni di certezza del diritto impongono allĠoperatore giuridico di essere in grado di poter distinguere una Çfondazione privataÈ da una Çfondazione pubblicaÈ;  stata cos“ elaborato una puntuale (ma non tassativa) catalogazione delle pi frequenti tipologie di fondazioni costituite dalla pubblica amministrazione é tuttĠora avallata la tripartizione che distingue tra le fondazioni a base privata (ad es. le fondazioni di origine bancariaÈ), le fondazioni a partecipazione privata (ad es. i musei e gli enti lirici e musicali) e le fondazioni strumentali allĠente pubblico fonda (81) VOLPE C., LĠaffidamento in house. Questioni aperte sulla disciplina applicabile, cit., p. 12. (82) RESCIGNO G.U., Negozio privato di fondazione e atto amministrativo di riconoscimento, in Giur. it., I, 1968, p. 1358. (83) SARCONE V., Le fondazioni pubbliche, in www.amministrativ@mente.it, 2012, p. 2. (84) Per quel che riguarda la disciplina applicabile alle fondazioni pubbliche, si rinvia a: T.A.R. Basilicata, Sez. I, 10 marzo 2015, n. 163, in Foro amm. - TAR, 2015, p. 950 ss., nella quale si legge che Çin assenza di norme di legge che, in casi particolari, ne definiscano un regime giuridico diverso, le fondazioni costituiscono enti di diritto privato integralmente soggetti alla relativa disciplina civilistica anche ove perseguano finalitˆ di rilevanza pubblica in connessione con le funzioni di una pubblica amministrazione, con la conseguenza che le controversie relative alla loro attivitˆ, riguardando atti adottati iure privatorum, restano devolute alla cognizione del giudice ordinarioÈ. tore, delle quali questĠultimo si avvale allo scopo di perseguire il pi efficace esercizio delle proprie funzioni (85). La natura non tassativa di questa catalogazione ha indotto il formante dottrinale e giurisprudenziale - comĠera prevedibile - ad individuare degli Çindici generalmente applicabiliÈ ai fini di determinare la natura privata o pubblica di una fondazione. QuandĠ che una fondazione pu˜ dirsi pubblica? La giurisprudenza, rilevando che Çla volontˆ legislativa di connotare in termini pubblicistici una persona giuridica pu˜ essere esplicata, oltre che con una qualificazione espressa, anche con la previsione di indici sintomatici rivelatori della matrice pubblicistica dellĠente; di guisa che in assenza di unĠesplicita volontˆ espressa nellĠatto costitutivo della persona giuridica, il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, con la conseguenza che se lĠatto costitutivo attribuisce allĠente esplicitamente la natura privata, il superamento della volontˆ consacrata in tale atto pu˜ avvenire soltanto allorchŽ tali indici assumano valenza univoca, tale da superare e prevalere sulla configurazione formaleÈ (86), ha tentato di enucleare gli indici sintomatici della natura pubblica delle fondazioni. In linea con il menzionato indirizzo giurisprudenziale, la Corte di cassazione ha affermato che un soggetto formalmente privato, qual  la fondazione, pu˜ essere considerato di natura pubblicistica allorquando sia ravvisabile la sussistenza dei seguenti requisiti: a) la preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti; b) il conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei conti; c) il patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato; d) lĠinclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163È (87). Tuttavia, il richiamo fatto dalla giurisprudenza di legittimitˆ al patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato e alla riconduzione nellĠalveo degli organismi di diritto pubblico avrebbe comportato, ab absurdo, che le fondazioni costituite dalle Regioni e dagli enti locali - che non godono del patrocinio della difesa erariale - si sarebbero dovute considerare, (85) In questo senso, per un approfondimento si rinvia a: NAPOLITANO G., Le fondazioni pubbliche, in Dir. amm., III, 2006, p. 573; FOË S., Le fondazioni di diritto pubblico tra salvaguardia delle competenze regionali e rispetto dellĠautonomia fondazionale. La fondazione strumentale allĠente pubblico fondatore, in Foro amm. - CDS, XI, 2005, p. 3196 ss.; MERUSI F., La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in Dir. amm., IV, 2004, p. 234 ss.; IMMORDINO M., Le fondazioni teatrali e la loro incerta collocazione tra pubblico e privato, in Nuove Auton., VI, 2005, p. 913 ss., il quale evidenzia, tra lĠaltro, che Çsecondo la dottrina civilistica la forma della fondazione  neutra, nel senso che non implica necessariamente la qualificazione privatistica della persona giuridica che ne  rivestita, potendosi i relativi caratteri rinvenire anche in enti pubblici. Insomma, non  tanto la trasformazione imposta dalla legge a determinare tale discrasia rispetto al tipo codicistico, essendo prassi regolare per la privatizzazione di un ente pubblico lĠintervento del legislatore, quanto, piuttosto, la disciplina che nĠ stata dettata, derogatoria rispetto a quella dettata dal Titolo II del Libro I del codice (e dalle relative norme di attuazione) per le fondazioni di diritto privatoÈ. (86) T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 19 aprile 2013, n. 3971, in www.giustizia-amministrativa.it. (87) C. Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637, in Serv. pubbl. & app., 2006, pp. 320 ss. DOTTRINA 215 sempre e comunque, fondazioni di diritto privato. Oltretutto, il riferimento al finanziamento pubblico. Con il dichiarato intento di fare chiarezza, la dottrina e la giurisprudenza successive hanno evidenziato che per qualificare una fondazione come soggetto di natura pubblica  necessario che il giudice accertati la sussistenza di quelli che sono i tre requisiti indefettibili dellĠorganismo di diritto pubblico. Occorre cio che la fondazione: a) sia stata costituita per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) sia dotata di personalitˆ giuridica; c) la cui attivitˆ sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi o il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali pi della metˆ  designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (88). Orbene, se con riguardo al modello societario non si  mai dubitato circa la sua astratta idoneitˆ a configurarsi come forma giuridica idonea alla costi (88) LĠÇorganismo di diritto pubblicoÈ non pu˜ essere considerato un modello organizzativo in senso stretto della pubblica amministrazione, al pari dei Ministeri, delle Regioni, delle societˆ in mano pubblica, etc. Esso, infatti, rappresenta piuttosto una qualificazione giuridica astratta e funzionalizzata: astratta perchŽ, a prescindere dallĠesplicito nomen iuris che la legge o lĠatto costitutivo accorda al soggetto giuridico, la qualifica di organismo di diritto pubblico pu˜ essere, indifferentemente, attribuita a qualsiasi soggetto di diritto pubblico o di diritto privato; funzionalizzata perchŽ si tratta di una qualificazione giuridica che viene attribuita in funzione di stabilire se un determinato soggetto di diritto pubblico o privato sia obbligato a rispettare la normativa (europea e nazionale) in materia di appalti pubblici e concessioni. Tra i molteplici contributi dedicati allĠorganismo di diritto pubblico si rinvia a: GRECO G., Ente pubblico, impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1995, p. 1284 ss.; GAROFOLI R., Organismo di diritto pubblico: criteri di identificazione e problemi di giurisdizione, in Urb. e app., II, 1997, pp. 960 ss.; FISCHIONE G., LĠorganismo di diritto pubblico tra mito e realtˆ, in Arch. giur. op. pubbl., II, 1997, pp. 967 ss.; ID., LĠorganismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del giudice comunitario e dei giudici nazionali a confronto, in Foro it., IV, 1998, pp. 134 ss.; GUCCIONE C., Gli organismi di diritto pubblico di nuovo al vaglio del Consiglio di Stato, in Giorn dir. amm., I, 1999, pp. 215 ss.; ID., La nozione di organismo di diritto pubblico nella pi recente giurisprudenza comunitaria, in Giorn. dir. amm., X, 2003, pp. 1032 ss.; CHITI M.P., LĠorganismo di diritto pubblico e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione, Bologna, 2001; CASALINI D., LĠorganismo di diritto pubblico e lĠorganizzazione in house, Napoli 2003; PERFETTI L. R., Organismo di diritto pubblico e rischio di impresa (Nota a Corte giust. CE, Sez. V, 22 maggio 2003, in C-18/01), in Foro amm. - CDS, II, 2003, pp. 2498 ss.; LOTTINI M., Bisogni non economici e attivitˆ non economiche? Sulla controversa nozione comunitaria di Òorganismo di diritto pubblicoÓ (Nota a Corte giustizia CE, sez. VI, 16 ottobre 2003, n. 283), in www.iuritalia.it, 2003; MAMELI B., LĠorganismo di diritto pubblico. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2003; CARANTA R., LĠorganismo di diritto pubblico questo sconosciuto, in Giur. it., IV, 2003, pp. 1687 ss.; ID., Organismo di diritto pubblico e impresa pubblica, in Giur. it., II, 2004, pp. 2415 ss.; CERBO P., LĠeffetto utile nella giurisprudenza comunitaria sullĠorganismo di diritto pubblico, in Urb e app., II, 2004, pp. 649 ss.; PAPI ROSSI A. - SIRONI C., La qualificazione di organismo pubblico e la sottoposizione alla normativa sugli appalti, in Contr. St. e ent. pubb., I, 2007, pp. 569 ss.; CARINGELLA F., La nozione comunitaria di pubblica amministrazione: la controversa categoria di organismo di diritto pubblico nel settore degli appalti pubblici, in CARINGELLA F. (a cura di), Corso di diritto amministrativo, V, 2008, pp. 919 ss.; DELLA SCALA M.G., Organismo di diritto pubblico, in Dig. disc. pubbl., Torino, 2010, pp. 340 ss. tuzione di una organizzazione in house, la stessa cosa non pu˜ dirsi con riferimento alle fondazioni pubbliche. Sul punto si  registrata una non irrilevante disparitˆ di vedute. Un primo orientamento dottrinale era nel senso di affermare che Çin considerazione del principio che il fondatore  libero di costituire una fondazione di diritto privato fissando le regole di funzionamento della stessa, lĠaffidamento in house providing nei confronti di una fondazione da parte di un ente pubblico pu˜ essere legittimo: la legittimitˆ dellĠoperazione risiederebbe nella misura in cui verranno predisposte clausole statutarie utili a garantire la presenza di un penetrante controllo in capo allĠente conferenteÈ (89). Di contro, vĠ stato chi ha ritenuto che il modello della fondazione fosse inidoneo a costituire la forma giuridica di una struttura in house poichŽ sarebbe possibile riscontrare in essa soltanto il requisito dellĠattivitˆ prevalentemente svolta in favore dellĠente pubblico controllante, ma non anche il requisito del controllo analogo. Questo perchŽ Çse si tiene conto che il controllo analogo postula la totale proprietˆ delle azioni, o comunque del capitale, da parte del soggetto pubblico, non ci si pu˜ non accorgere che qualsiasi fondazione (come disciplinata dagli artt. 16 ss. c.c.) non dispone nŽ di azioni, tampoco di un capitale in senso tecnico-giuridico, potendo al pi disporre soltanto di un patrimonio, che, sebbene sia inizialmente costituito al 100 % da fondi dei soci pubblici costituisce essenzialmente ÒproprietˆÓ della fondazione stessa che si configura giuridicamente come ente autonomo, munito di personalitˆ giuridica di diritto privatoÈ (90). In altri e pi significativi termini, per il richiamato orientamento dottrinale, la fondazione sarebbe inadatta a configurarsi come forma giuridica del- lĠin house providing per due ragioni intimamente correlate tra di loro. In primo luogo, la fondazione sarebbe dotata soltanto di un patrimonio e non anche di un capitale, quale presupposto per la sussistenza del requisito del controllo analogo. Trattasi di una differenza non marginale, colta da quella dottrina secondo cui Çil patrimonio indica un complesso di beni, siano essi denaro o altri beni (a seconda della natura dei conferimenti), mentre il capitale designa unĠentitˆ numerica, la quale esprime in termine monetari il valore complessivo dei conferimentiÈ (91). In secondo luogo, sostanziandosi lĠessenza propria della fondazione nel- lĠesistenza di un patrimonio (che essendo la conditio sine qua non della fondazione  ontologicamente refrattario ad ogni forma di controllo e di direzione che il soggetto pubblico controllante dovesse voler concretare in un momento (89) CASAVECCHIA C., Affidamento in house providing di servizi socio-sanitari a fondazioni di diritto privato, in Nuova Rass., XIV, 2009, p. 8 (90) MANDUCA V.E. - PARISE C., In house providing e fondazioni a capitale pubblico: una prassi legittima?, in www.ratioiuris.it, 2012, p. 7. (91) PALUMBO A., Le societˆ in generale e le societˆ di persone, Milano, 2008, p. 144. DOTTRINA 217 successivo allĠatto di costituzione) varrebbe ad escludere qualsiasi possibilitˆ di esercitare su di essa un controllo analogo a quello che il soggetto pubblico esercita sui propri uffici interni. Anche la giurisprudenza sembrava essersi attestata su posizioni analoghe, giungendo ad affermare che Çla fondazione non pare essere lo strumento pi idoneo per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica (ma, a ben vedere, anche quelli privi di tale rilevanza) in considerazione del fatto che la fondazione, per la sua natura e per lĠelemento patrimoniale che la caratterizza, male si concilia con il requisito del Çcontrollo analogoÈ a quello esercitato sui propri organi/uffici previsto dalla disciplina comunitaria per lĠaffidamento in house dei serviziÈ (92). I dubbi sulla compatibilitˆ delle fondazioni rispetto al fenomeno dellĠin house providing debbono essere considerati ormai superati per effetto delle nuove direttive europee del 2014. PoichŽ in esse viene fatto riferimento ad una non meglio specificata Çpersona giuridica di diritto pubblico o di diritto privatoÈ, la dottrina non ha tardato a precisare che la relazione ipotizzata tra unĠamministrazione aggiudicatrice e una generica persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato Çestende i confini dellĠin house al di fuori del fenomeno delle societˆÈ (93). Dal tenore della disposizione contenuta nelle nuove direttive europee si ha modo di giungere alla conclusione che, oltre alla societˆ pubbliche, qualsiasi forma giuridica si presenta ex se compatibile con il fenomeno dellĠin house providing; comprese le fondazioni. Sono considerazioni che vengono ulteriormente suffragate dalla circostanza che le nuove direttive europee hanno disancorato il requisito del Çcontrollo analogoÈ da qualsivoglia riferimento alla maggioritaria titolaritˆ di (92) T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 9 giugno 2015, n. 831, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 1747 ss. In senso analogo anche C. Conti, Sez. reg. Lombardia, 10 gennaio 2013, n. 25 in www.corteconti.it, ove si legge che Çle fondazioni, come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura privata e sono espressione organizzativa delle libertˆ sociali, costituendo i cosiddetti corpi intermedi, collocati fra Stato e mercato, che trovano nel principio di sussidiarietˆ orizzontale, di cui allĠultimo comma dellĠart. 118 della Costituzione, un preciso presidio rispetto allĠintervento pubblico (Corte costituzionale 28 settembre 2003, n. 300 e n. 301). Per ci˜ che attiene le fondazioni in partecipazione, inoltre, fermo restando quanto affermato in merito alla natura privata della fondazione ed allĠelemento costitutivo essenziale determinato dal patrimonio la sezione lombarda della Corte dei Conti afferma che: ÒTale modello sorge dalla constatata limitatezza dello schema classico previsto dal codice civile, trattandosi di fondazioni non pi istituite da un singolo soggetto, sia esso persona fisica ovvero giuridica, ma da una pluralitˆ di soggetti (privati e/o pubblici), che condividono una medesima finalitˆ. Nella prassi, rappresenta lo strumento attraverso il quale un ente pubblico persegue uno scopo di utilitˆ generale, nel tentativo di creare una partnership pubblico-privato e consentire di usufruire di maggiori disponibilitˆ finanziarie e di attivitˆ di management nella gestione dei servizi sociali, venendosi cos“ a ridurre il rischio associato allĠattivitˆ di produzione di servizi. Pertanto, per individuare la disciplina applicabile, occorre avere riguardo alla fattispecie concreta e, in particolare, alle clausole statutarieÈ. (93) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e lĠin house providing: problemi vecchi e nuovi, cit., p. 9 azioni ovvero di capitale. La scelta del legislatore europeo di limitarsi ad individuare lĠessenza del Çcontrollo analogoÈ nel potere di esercitare unĠinfluenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata palesa lĠintenzione di attrarre nellĠambito dellĠin house qualunque modalitˆ (giuridicamente assentita) attraverso la quale il soggetto pubblico ha modo di collocarsi in una posizione di supremazia rispetto agli organi di vertice del soggetto controllato e rispetto ai soggetti privati che detengono partecipazioni irrisorie nella struttura controllata. Da ultimo devono essere dedicate dei brevi cenni anche alla forma giuridica dellĠassociazione. La pubblica amministrazione italiana, sul presupposto dellĠesistenza di una rapporto in house, ha provveduto ad affidare (senza il previo espletamento di una gara) delle commesse pubbliche a quel peculiare modello di associazione, che suole definirsi come associazione no profit. Queste sono degli Çorganismi che svolgono la propria attivitˆ per scopo ideali, senza alcuna remunerazione per il servizio prestato, ben potendo stipulare convenzioni con gli enti pubblici, senza necessitˆ di far precedere tale convenzione da una procedura concorsuale, visto che la prestazione dalle stesse erogata non rientra nellĠambito dei servizi economici, per i quali, invece,  necessario lĠespletamento di una selezione competitivaÈ (94). In considerazione del favor che la normativa italiana riserva alle organizzazioni no profit per garantire lĠefficace ed efficiente erogazione di servizi alla collettivitˆ, lo Stato, le Regioni e gli enti locali - in ossequio alle prescrizioni contenute nella L. 8 dicembre 2000, n. 328 (c.d. legge sui servizi sociali) - si sono impegnati a riconoscere e agevolare il ruolo degli organismi senza finalitˆ di lucro nellĠintraprendere Çdelle iniziative atte ad erogare quei servizi che sono prioritariamente rivolti al soddisfacimento dei diritti sociali; si pensi alla sanitˆ, allĠistruzione, alla previdenza e allĠassistenza sociale in genereÈ (95). Nel periodo antecedente lĠadozione delle direttive europee del 2014, si riteneva che il modello dellĠin house providing potesse considerarsi compatibile con la forma giuridica dellĠassociazione soltanto qualora la commessa da affidare a questĠultima avesse ad oggetto un servizio pubblico privo di rilevanza economica. SennonchŽ, la sola circostanza che il servizio erogato dal- lĠassociazione fosse privo di rilevanza economica si profilava come una Çcondizione necessaria ma non sufficienteÈ a confermare lĠesistenza di un rap (94) MICHETTI E., In house providing. Modalitˆ requisiti, limiti, Milano, 2011, p. 52. (95) CANCILLA F.A., Servizi di welfare e diritti sociali nella prospettiva dellĠintegrazione europea, Milano, 2009, p. 1. Per un inquadramento generale sul tema dei servizi sociali si vedano: FERRARI E., Servizi sociali, Milano, 1986; BALBONI E., I servizi sociali, in AMATO G. - BARBERAA. (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1998; FREGO LUPPI S., Servizi sociali e diritti della persona, Milano, 2004; FINOCCHI GHERSI R., Servizi sociali, in CASSESE S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 5536 ss; ALBANESE A., Diritto allĠassistenza e servizi sociali: intervento pubblico e attivitˆ dei privati, Milano, 2007; GUALDANI A., Servizi sociali tra universalismo e selettivitˆ, Milano, 2007. DOTTRINA 219 porto in house tra la pubblica amministrazione e lĠassociazione, tale da giustificare lĠaffidamento diretto della commessa. Gli ulteriori elementi che sarebbero dovuti ricorrere affinchŽ le associazioni no profit potessero considerarsi compatibili con il modello dellĠautoproduzione sono stati individuati dalla giurisprudenza nazionale ed europea. In una sentenza (non proprio recente), il giudice amministrativo nazionale ha infatti statuito che Çla qualifica soggettiva di un ente come non profit e lo svolgimento della relativa attivitˆ non orientata al profitto, non costituiscono di per sŽ elementi preclusivi allĠapplicazione delle regole concorrenziali (interne e comunitarie) nellĠaffidamento del servizio; tuttavia, in costanza di una situazione di urgenza qualificata risulta legittimo il ricorso alla trattativa privata per il rinnovo di una convenzione concernente lĠaffidamento del servizio di trasporto dei malatiÈ (96). A ben vedere, la giurisprudenza nazionale ha inteso affiancare alla non rilevanza economica del servizio affidato allĠassociazione no profit la necessitˆ che lĠaffidamento diretto trovasse la sua giustificazione in una situazione di urgenza qualificata. Ma anche la giurisprudenza europea ha avuto modo di offrire delle ulteriori specificazioni in merito. La Corte di Giustizia ha ritenuto che unĠindagine sulla compatibilitˆ delle associazioni no profit con il fenomeno dellĠautoproduzione non pu˜ discostarsi da quelli che sono i requisiti propri dellĠin house providing: controllo analogo e attivitˆ prevalentemente svolta in favore del- lĠamministrazione controllante. é recente la sentenza con la quale il giudice europeo ha ritenuto che Çqualora lĠaggiudicatario di un appalto pubblico sia unĠassociazione di pubblica utilitˆ senza scopo di lucro che, al momento del- lĠaffidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attivitˆ senza scopo di lucro, la condizione relativa al Çcontrollo analogo È, dettata dalla giurisprudenza della Corte affinchŽ lĠaffidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come unĠoperazione Çin houseÈ non  soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2014, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,  applicabile È (97). (96) T.A.R. Liguria, Genova, Sez. II, 23 dicembre 2002, n. 1206, in Foro amm. - TAR, 2003, pp. 85 ss. (97) C. Giust. Ue, 19 giugno 2014, C-574/12, in www.curia.europa.eu. La controversia sulla quale  stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia prende le mosse dalla scelta di un centro ospedaliero pubblico (Centro Hospitalar de Setœbal - EPE) di assegnare - senza previo espletamento di una gara - ad unĠassociazione senza scopo di lucro (Servio de Utiliza‹o Comum dos Hospitais - SUCH) un appalto avente ad oggetto lĠerogazione di un servizio (nella specie la fornitura pasti e personale) preordinato a soddisfare le esigenze organizzative degli ospedali pubblici, che erano membri dellĠassociazione affidataria del servizio. Questi i passaggi cruciali della sentenza: ÇOccorre anzitutto ricordare che la circostanza che lĠaggiudi Dalle argomentazioni sviluppante nella decisione  consentito desumere che il principale motivo ad aver indotto la Corte di Giustizia a negare la sussistenza di unĠipotesi di in house providing  rinvenibile nel fatto che lĠassociazione no profit alla quale era stata affidata direttamente la gestione del servizio comprendeva al suo interno tanto soggetti pubblici quanto soggetti privati di solidarietˆ sociale; ci˜ che sfregiava il principio (vigente sino a prima delle direttive del 2014) in ossequio al quale nelle strutture in house non era ammessa alcuna partecipazione privata. catario  costituito in forma di associazione di diritto privato e non persegua scopo di lucro  priva di rilevanza ai fini dellĠapplicazione delle norme del diritto dellĠUnione in materia di appalti pubblici e, di conseguenza, della giurisprudenza della Corte relativa allĠeccezione riguardante le operazioni Çin houseÈ. Infatti, una simile circostanza non esclude che lĠentitˆ aggiudicatrice di cui trattasi possa esercitare unĠattivitˆ economica (v., in tal senso, sentenze, sentenze Sea, C 537/07, EU:C:2009:532, punto 41, e CoNI- SMa, C 305/08, EU:C:2009:807, punto 45). Occorre rilevare, poi, che la questione che si pone essenzialmente nel caso di specie  quella di stabilire se la giurisprudenza espressa nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) si applichi, dal momento che il SUCH non  costituito in forma di societˆ e non  quindi dotato di un capitale sociale e che i suoi membri, non rientrando nel settore sociale, non sono imprese nei termini di cui alla citata sentenza. A tale proposito, occorre sottolineare che lĠeccezione riguardante lĠaffidamento Çin houseÈ  fondata sullĠimpostazione secondo cui, in tali casi, si pu˜ considerare che la pubblica amministrazione aggiudicatrice ha fatto ricorso alle proprie risorse per svolgere le sue funzioni di interesse pubblico. Uno dei motivi che hanno portato la Corte alle conclusioni espresse nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) era fondato non sulla forma giuridica degli enti privati facenti parte dellĠentitˆ aggiudicatrice e neppure sulla finalitˆ commerciale di essi, ma sul fatto che tali enti privati seguivano considerazioni inerenti ai loro interessi privati, che erano di natura diversa da quella delle finalitˆ di interesse pubblico perseguite dallĠamministrazione aggiudicatrice. Per tale motivo, questĠultimo non poteva esercitare sullĠaggiudicatario un controllo analogo a quello che esercitava sui propri servizi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punti 49 e 50). Alla luce della circostanza, rilevata dal giudice del rinvio, secondo cui il SUCH  unĠassociazione senza scopo di lucro e i soci privati, che facevano parte di tale associazione al momento dellĠaggiudicazione dellĠappalto di cui al procedimento principale, erano istituti privati di solidarietˆ sociale, anchĠessi senza scopo di lucro, occorre rilevare che il fatto che la Corte si sia riferita nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) a nozioni come quella di ÇimpresaÈ o di Çcapitale socialeÈ  dovuto alle circostanze della causa che ha dato luogo a tale sentenza e non significa che la Corte abbia voluto limitare le sue conclusioni ai soli casi della partecipazione nellĠente aggiudicatore, di imprese commerciali aventi scopo di lucro. UnĠaltra ragione che ha condotto la Corte alle conclusioni esposte nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5)  che lĠaggiudicazione diretta di un appalto offrirebbe allĠentitˆ privata presente allĠinterno dellĠentitˆ aggiudicatrice un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 51). Nella causa principale i membri privati del SUCH perseguono interessi e finalitˆ che, per quanto apprezzabili da un punto di vista sociale, sono di diversa natura rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono contemporaneamente membri del SUCH. Inoltre, come ha rilevato lĠavvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, non  escluso che i membri privati del SUCH, nonostante il loro status di associazioni caritative senza scopo di lucro, possano esercitare unĠattivitˆ economica in concorrenza con altri operatori. Di conseguenza, lĠattribuzione diretta di un appalto al SUCH sarebbe suscettibile di offrire ai membri privati di questĠultimo un vantaggio concorrenziale. Pertanto, le considerazioni che hanno indotto la Corte ad adottare le conclusioni esposte ai punti 36 e 38 della presente sentenza sono altres“ valide in circostanze come quelle del procedimento principale. La circostanza che la partecipazione dei membri privati allĠente aggiudicatario sia solo minoritaria, non pu˜ rimettere in discussione tali conclusioni (v., DOTTRINA 221 Tuttavia, con una pronuncia ancora pi recente, il giudice europeo sembra aver riveduto la posizione del 2014, assumendo un atteggiamento pi cauto, che non riconnette, automaticamente, alla presenza di soggetti privati nelle associazioni no profit lĠesercizio di attivitˆ lucrative. Ed infatti, sul presupposto che il ricorso ad associazioni di volontariato senza scopo di lucro  idoneo a garantire, tanto lĠefficiente erogazione di servizi capaci di contribuire al soddisfacimento dei diritti sociali, quanto il rispetto delle condizioni di equilibrio economico da parte delle pubbliche amministrazioni, si  affermato che Çgli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente alle autoritˆ locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicitˆ, ad associazioni di volontariato, purchŽ il contesto normativo e convenzionale in cui si svolge lĠattivitˆ delle associazioni in parola contribuisca effettivamente a una finalitˆ sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietˆ ed efficienza di bilancioÈ (98). Come per le fondazioni, non pare improbabile ritenere che, anche per la forma giuridica dellĠassociazione, il revirement giurisprudenziale stando al quale non  da escludersi la possibilitˆ che un appalto pubblico sia affidato direttamente ad una associazione non profit sia ulteriormente giustificato dal fatto che le nuove direttive ammettono anche partecipazioni minoritarie di soggetti privati nella struttura in house. in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 49). Infine, occorre rilevare che il fatto che, in conformitˆ del suo statuto, il SUCH disponesse esclusivamente della facoltˆ di ammettere tra i suoi membri degli enti privati non  in linea di principio rilevante. LĠelemento rilevante nel caso di specie  che, al momento dellĠaggiudicazione dellĠappalto di cui trattasi nel procedimento principale, il SUCH era effettivamente composto non solo da membri pubblici, ma anche da enti rientranti nel settore privato. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione nel senso che, qualora lĠaggiudicatario di un appalto pubblico sia unĠassociazione di pubblica utilitˆ senza scopo di lucro che, al momento dellĠaffidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attivitˆ senza scopo di lucro, la condizione relativa al Çcontrollo analogoÈ, dettata dalla giurisprudenza della Corte affinchŽ lĠaffidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come unĠoperazione Çin houseÈ non  soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18  applicabileÈ. (98) C. Giust. Ue, 28 gennaio 2016, C-50/2014, in www.curia.europa.eu, nella quale sono stati, peraltro, affermati i seguenti principi di massima: ÇQualora uno Stato membro consenta alle autoritˆ pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, unĠautoritˆ pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non  tenuta, ai sensi del diritto dellĠUnione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni. Qualora uno Stato membro, che consente alle autoritˆ pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, autorizzi dette associazioni a esercitare determinate attivitˆ commerciali, spetta a tale Stato membro fissare i limiti entro i quali le suddette attivitˆ possono essere svolte. Detti limiti devono tuttavia garantire che le menzionate attivitˆ commerciali siano marginali rispetto allĠinsieme delle attivitˆ di tali associazioni, e siano di sostegno al perseguimento del- lĠattivitˆ di volontariato di queste ultimeÈ. 10. Considerazioni conclusive: le questioni affrontate dalla pi recente giurisprudenza amministrativa in tema di in house providing e il nuovo Codice degli appalti pubblici. La codificazione dellĠin house providing deve essere considerato un evento da accogliere positivamente, poichŽ attribuisce maggiori margini di certezza ad un istituto che per troppo tempo  stato coperto da una Òfitta nebbiaÓ. Il dibattito tra coloro che hanno preferito qualificarlo come modello ordinario, al pari della gara pubblica, e quelli che, al contrario, hanno inteso considerarlo come modello derogatorio non ha condotto a soluzioni dotate di sufficiente certezza. Con la scelta del legislatore europeo di dettare unĠarticolata disciplina dellĠautoproduzione non pare possa pi essere refutato in dubbio che il modello dellĠin house sia divenuto un modello ordinario, il quale obbliga comunque il giudice a condurre un attento accertamento, non soltanto in merito alla ricorrenza dei due requisiti indefettibili di esso, ma anche sulla ragionevolezza della scelta della pubblica amministrazione di non procedere alla indizione di una gara pubblica. Lo scontro sulla natura ordinaria o derogatoria dellĠin house providing poteva avere una sua utilitˆ quando non esisteva una normativa che ne dettasse la disciplina: si poteva ragionevolmente sostenere che, lĠorigine giurisprudenziale dellĠautoproduzione, palesasse lĠidea di considerare lĠin house un modello del tutto eccezionale rispetto allĠistituto della gara pubblica, disciplinato espressamente dalla legge. Lo scenario oggi  mutato. Tra due istituti parimenti dotati di un fondamento normativo cade lĠutilitˆ (pratica e teorica) del dibattito sulla ordinarietˆ/eccezionalitˆ dellĠin house providing. Esso  oramai un istituto ordinario che non impone pi al giudice nazionale di valutare se la scelta di affidare un appalto pubblico in maniera diretta sia lesiva della concorrenza, in quanto se ci fosse stato il rischio di una tale lesivitˆ, non si sarebbe giunti a rigor di logica - a positivizzare un istituto contrario alla normativa antitrust. La valutazione che il giudice oggi deve compiere in tema di in house providing si snoda in due tipi di accertamento. Un primo accertamento (di tipo formale)  quello volto a verificare la sussistenza dei due requisiti cui  subordinata la sussistenza dellĠin house (controllo analogo e attivitˆ prevalentemente svolta nellĠinteresse delle amministrazioni pubbliche). Un secondo accertamento (di tipo sostanziale)  volto a verificare se la scelta di avvalersi della struttura in house sia idonea a garantire Çla qualitˆ, lĠefficienza, lĠeconomicitˆ e lĠefficacia dellĠappalto o del servizio e, in sostanza, la virtuositˆ per lĠamministrazione, la collettivitˆ e gli utenti dei serviziÈ (99). Solo qualora (99) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e lĠin house providing: problemi vecchi e nuovi, cit., p. 18. DOTTRINA 223 il giudice si avveda del fatto che la struttura in house sia inadatta alla realizzazione dellĠoggetto della commessa pubblica affidatagli direttamente (ad. es., perchŽ sia stata proposta nei confronti del soggetto in house unĠazione di classe pubblica di cui al D.lgs. n. 198/2009 ovvero perchŽ sia stato proposto un elevato numero di domande giurisdizionali tese ad ottenere il risarcimento dei danni causati da episodi di disservizio), lo stesso potrˆ pronunciare lĠillegittimitˆ della scelta di non indire una gara pubblica, ordinando alla pubblica amministrazione - nel rispetto della c.d. riserva di funzioni amministrative - di indire una gara. LĠadozione delle nuove direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni ha determinato lĠinsorgere di talune specifiche problematiche, che hanno visto impegnati i giudici nazionali. La prima di tali questione riguarda lĠapplicabilitˆ delle direttive: esse si applicano direttamente oppure necessitano del recepimento nazionale? Sul punto, il Consiglio di Stato ha propugnato due inconciliabili opzioni ermeneutiche. Un primo orientamento, sostenuto in sede consultiva, dopo aver ribadito che ÇlĠin house providing aveva ricevuto una disciplina esclusivamente giurisprudenziale e lĠart. 12 della direttiva europea 2014/24 ha in parte recepito tale giurisprudenza, ma in una parte rilevante ha profondamente innovato, definendo in modo parzialmente diverso le condizioni di esclusione dalla direttiva medesimaÈ, ed aver ritenuto che Çsebbene la direttiva 2014/24 non  stata ancora recepita, non  dubbio che, se non vi  addirittura unĠapplicazione immediata del tipo self-executing, non pu˜ in ogni caso non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nellĠU.E.È (100),  giunto a considerare legittimo un affidamento diretto realizzato dal Ministero dellĠIstruzione, dellĠUniversitˆ e della Ricerca in favore del consorzio CINECA, partecipato da enti pubblici di ricerca e, in una parte minoritaria, da istituti privati. Quindi, muovendo dallĠassunto che le nuove direttive europee ammettono delle partecipazioni minoritarie di soggetti privati nelle strutture in house, il giudice amministrativo ha ritenuto legittimo un affidamento diretto ad un consorzio partecipato (in minima parte da soggetti privati), prima ancora che le direttive venissero formalmente recepite nellĠordinamento italiano e, quindi, quando ancora doveva ritenersi vigente la giurisprudenza europea che imponeva, ai fini della configurabilitˆ dellĠin house providing, la totale partecipazione di soggetti pubblici; ci˜ in quanto le direttive europee troverebbero applicazione immediata. (100) Cons. St., Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina si veda la nota di: BRIGANTE V., La crisi della soggettivitˆ nel diritto amministrativo: lĠin house providing alla luce del parere del Consiglio di Stato n. 298/2015, in www.lexitalia.it, 2015. Conclusioni opposte sono state rassegnate dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale. La questione ha nuovamente visto come protagonista il CINECA, questa volta come affidatario diretto dei servizi informatici relativi al- lĠattivazione del sistema U-GOV e ESSE3 da parte dellĠUniversitˆ della Calabria. Il giudice amministrativo ha affermato lĠillegittimitˆ dellĠaffidamento diretto ad una struttura partecipata (ancorchŽ minoritariamente) da soggetti privati, in quanto Çdeve escludersi che la nuova direttiva, nonostante il suo contenuto in alcune parti dettagliato, possa ritenersi self-executing per la dirimente considerazione che  ancora in corso il termine previsto per la sua attuazione da parte dello Stato. é vero che la giurisprudenza comunitaria riconosce una forma di rilevanza giuridica alla direttiva anche prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento. Si tratta, per˜, di una rilevanza giuridica certamente minore rispetto al c.d. effetto diretto (che implica lĠimmediata applicazione della direttiva dettagliata ai rapporti c.d. verticali), che si traduce semplicemente, in nome del principio di leale collaborazione, in un dovere di stand still, ovvero nel dovere per il legislatore di astenersi dallĠadottare, nel periodo intercorrente tra la pubblicazione della direttiva nella GUUE e il termine assegnato per il suo recepimento, qualsiasi misura che possa compromettere il conseguimento del risultato prescritto e per il giudice di astenersi da qualsiasi forma di interpretazione o di applicazione del diritto nazionale da cui possa derivare, dopo la scadenza del termine di attuazione, la messa in pericolo del risultato voluto dalla direttiva. Non si tratta, quindi, del dovere di immediata applicazione o dellĠobbligo di interpretazione conforme (che operano solo dopo che  scaduto il termine di recepimento), ma soltanto di un obbligo negativo, che si sostanzia nel dovere di astenersi dallĠinterpretazione difforme potenzialmente pregiudizievole per i risultati che la direttiva intende conseguire. Si tratta, in altri termini, di un obbligo attenuato rispetto a quello di interpretazione conforme in quanto discende da un principio s“ fondamentale del diritto dellĠUnione, quale  quello di leale cooperazione, ma, pur tuttavia, gerarchicamente sotto ordinato a quello del primato, il cui mancato rispetto mina la stessa essenza dellĠordinamento dellĠUnione. Come  stato efficacemente evidenziato in dottrina, se lĠobbligo dĠinterpretazione conforme ha un valore prossimo allĠeffetto diretto, lo stesso valore non pu˜ riconoscersi allĠobbligo di astensione da unĠinterpretazione difforme dal diritto dellĠUnione europea che non consente una lettura della norma interna additiva, dovendosi altrimenti ritenere i due istituti giuridici sovrapponibili. Non si pu˜, quindi, ritenere che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria. Per ragioni analoghe, non appare corretto ritenere immediatamente operativa la possibilitˆ di partecipazione di capitali privati house richiamando il c.d. obbligo di in DOTTRINA 225 terpretazione conforme da parte del giudice nazionale. A venire in rilievo non , infatti, una norma nazionale ÒambiguaÓ o ÒplurivocaÓ, suscettibile di pi interpretazioni, di cui almeno una conforme al contenuto di una direttiva comunitaria sopravvenuta. Viene al contrario in rilievo una nozione di in house di matrice comunitaria (elaborata da una giurisprudenza pietrificata, tanto da costituire diritto vivente) che  univoca nellĠescludere la compatibilitˆ dellĠistituto con la partecipazione di soggetti privati. Ritenere da subito possibili forme di partecipazione di capitali privati significherebbe, pertanto, disapplicare la fin qui consolidata giurisprudenza comunitaria sui limiti allĠin house, dando prevalenza ad una nozione meno restrittiva prevista da una direttiva sopravvenuta ancora in corso di recepimento. Non si tratterebbe, quindi, di interpretare il diritto nazionale in maniera conforme al diritto eurounitario sopravvenuto, ma, al contrario, di disapplicare o correggere lĠinterpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, per assicurarne la conformitˆ alla direttiva sopravvenuta, la quale, per˜, (non essendo scaduto il termine di recepimento) non  ancora cogente allĠinterno degli ordinamenti nazionaliÈ (101). La seconda questione che ha visto impegnata la giurisprudenza nazionale concerne la portata del secondo requisito dellĠin house providing: quello ÇdellĠattivitˆ prevalenteÈ. La difficoltˆ di interpretare la nuova conformazione di tale requisito ha indotto il Consiglio di Stato a chiedere alla Corte di Giustizia europea Çse, nel computare lĠattivitˆ prevalente svolta dallĠente controllato, debba farsi anche riferimento allĠattivitˆ imposta da unĠamministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci, nonchŽ se, nel computare lĠattivitˆ prevalente svolta dallĠente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del c.d. controllo analogoÈ (102). Tanto posto, giova evidenziare che lĠauspicio che lo Stato italiano potesse ÒprofittareÓ di questĠoccasione per positivizzare, anche in sede nazionale, un istituto fondamentale, soprattutto in un periodo in cui si fanno sempre pi pressanti le esigenze di equilibrio della finanza pubblica, ha trovato un compiuto riscontro. I principi elaborati dalla giurisprudenza europea e le prescrizioni contenute nelle direttive appalti del 2014 sono state infatti recepite nel c.d. nuovo codice appalti. Il D.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50, recante ÇAttuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sullĠaggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dellĠacqua, dellĠenergia, dei trasporti e dei servizi postali, nonchŽ per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici (101) Cons. St., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660, in www.giustizia-amministrativa.it. (102) Cons. St., Sez V, 20 ottobre 2015, n. 4793, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 2515 ss. relativi a lavori, servizi e fornitureÈ detta la disciplina dellĠin house providing al suo articolo 5 (103). (103) LĠart. 5 del D.lgs. n. 50/2016, sotto la rubrica Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nellĠambito del settore pubblico, cos“ dispone: ÇUna concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da unĠamministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 per cento delle attivitˆ della persona giuridica controllata  effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi  alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformitˆ dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo pu˜ anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dallĠente aggiudicatore. Il presente codice non si applica anche quando una persona giuridica controllata che  un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione aggiudicatrice o allĠente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l'appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle legislazione nazionale, in conformitˆ dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore pu˜ aggiudicare un appalto pubblico o una concessione senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche in caso di controllo congiunto. Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti. Un accordo concluso esclusivamente tra due o pi amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) lĠaccordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l'attuazione di tale cooperazione  retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attivitˆ interessate dalla cooperazione. Per determinare la percentuale delle attivitˆ di cui al comma 1, lettera b), e al comma 6, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attivitˆ, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o lĠente aggiudicatore DOTTRINA 227 La lettera della norma consente di desumere, nellĠimmediato, che il legislatore delegato ha attuato il recepimento del diritto europeo vigente in materia di commesse pubbliche in maniera pienamente conforme alle indicazioni provenienti dallĠacquis comunitario. Sotto questo punto di vista, dunque, il D.lgs. n. 50/2016 si pone in linea con i risultati, in certo senso, positivi che lĠItalia inizia, sia pure timidamente, a far registrare in merito alla tempestivitˆ del recepimento del diritto europeo. Non  un caso che unĠattenta dottrina ha evidenziato che Çil principale indicatore della capacitˆ di uno Stato membro di attuare il diritto dellĠUnione  rappresentato dal numero di procedure di infrazione aperto nei suoi confronti. Alla fine del 2002, pendevano nei confronti dellĠItalia 201 procedure, delle quali 65 per mancata trasposizione di direttive entro il termine. Negli anni successivi, il numero di procedure  aumentato progressivamente, fino a raggiungere, alla metˆ del 2005, la quota massima di 275 (di cui 69 per mancato recepimento di direttive). Da allora, grazie a una serie di accorgimenti e al rafforzamento degli strumenti di dialogo con la Commissione, si  assistito a un sensibile miglioramento. Alla fine del 2012 il governo ha raggiunto lĠobiettivo di contenere il numero di procedure, per la prima volta dopo quindici anni, al di sotto di ÔÔquota centoĠĠÈ (104). Malgrado il rispetto del termine di recepimento, deve essere comunque rilevato quellĠatavica passivitˆ del legislatore italiano nel recepimento delle norme comunitarie. Anche in questo caso, come giˆ accaduto in altre ipotesi, lo Stato italiano, non incidendo minimante sulla conformazione della normativa, ha riprovato la fondatezza di quanto denunciato da quella dottrina, secondo cui Ça dispetto dei buoni risultati conseguiti negli ultimi anni sul piano dellĠattuazione del diritto europeo, i tradizionali problemi italiani, in questo ambito, non possono ritenersi risolti. Resta aperto, in particolare, il problema della inadeguata preparazione europea e della scarsa capacitˆ di analisi e valutazione delle nostre amministrazioni, a livello centrale e, ancor pi, territoriale. Il problema si riflette innanzitutto sulla fase ascendente. Fatte salve poche eccezioni, gli apparati burocratici italiani - a differenza di quelli di altri grandi paesi europei - non sono muniti delle capacitˆ di analisi e di valutazione, appunto, oltre che di coordinamento, richieste da una partecipazione nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell'attivitˆ della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attivitˆ, il fatturato o la misura alternativa basata sull'attivitˆ, quali i costi, non  disponibile per i tre anni precedenti o non  pi pertinente,  sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell'attivitˆ, che la misura dell'attivitˆ  credibile. Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di societˆ miste per la realizzazione e gestione di un'opera pubblica o per l'organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblicaÈ. (104) SAVINO M., LĠattuazione della normativa europea, in Giorn. dir. amm., V, 2013, p. 471. attiva (e non meramente reattiva) al decision-making europeo. Perci˜, le nostre amministrazioni non sono in grado di reagire prontamente alle sollecitazioni della Commissione e di incidere sulle scelte di fondo incorporate nelle proposte legislative dellĠUnione. Le ricadute sulla fase discendente sono inevitabili. Il fatto che la partecipazione delle amministrazioni italiane alla fase ascendente sia particolarmente debole spiega, infatti, perchŽ lĠItalia sopporti costi di adattamento pi elevati rispetto ad altri paesi; perchŽ gli uffici italiani si trovino in costante ritardo quando si tratti di recepire direttive complesse, non essendo state previamente valutate le ricadute; e perchŽ la qualitˆ del recepimento non sia elevata: la continua rincorsa porta ad una elaborazione frettolosa delle misure di recepimento, che si traduce in difformitˆ e incongruenze rispetto alle norme sovranazionali da attuareÈ (105). LĠunico elemento di novitˆ che  stato inserito in sede di recepimento delle direttive europee  rinvenibile nel disposto di cui allĠ192 del D.lgs. n. 50/2016, il quale prevede lĠistituzione presso lĠAutoritˆ Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) dellĠelenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie societˆ in house (106). La ragione giustificativa  rinvenibile nellĠesigenza di agevolare lĠAuthority nellĠattivitˆ di vigilanza e controllo (107) sul rispetto della normativa in materia di appalti e concessioni da parte delle pubbliche amministrazioni, cos“ da prevenire od estirpare i focali corruttivi che potrebbero celarsi dietro la scelte di rinunziare al mercato. (105) Savino M., op. ult. cit., 2013, p. 474. (106) LĠart. 192 del D.lgs. n. 50/2016 dispone che: é istituito presso l'ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicitˆ e trasparenza nei contratti pubblici, l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie societˆ in house di cui all'articolo 5. L'iscrizione nell'elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti, secondo le modalitˆ e i criteri che l'Autoritˆ definisce con proprio atto. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilitˆ, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo l'obbligo di pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3. Ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruitˆ economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonchŽ dei benefici per la collettivitˆ della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalitˆ e socialitˆ, di efficienza, di economicitˆ e di qualitˆ del servizio, nonchŽ di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Sul profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente sono pubblicati e aggiornati, in conformitˆ alle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in formato open-data, tutti gli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti nell'ambito del settore pubblico, ove non secretati ai sensi dell'articolo 162È. (107) Per una ricostruzione dei nuovi poteri dellĠA.N.A.C. si v.: STICCHI DAMIANI S., I nuovi poteri dellĠAutoritˆ Anticorruzione, in Libro dellĠanno 2015, www.treccani.it; LONGOBARDI N., LĠAutoritˆ Nazionale Anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, in www.giustamm.it, 2016. DOTTRINA 229 Il valore doganale nel transfer pricing Francesco Meloncelli* SOMMARIO: 1. Premessa metodica. A) LA DESCRIZIONE DEL VALORE DOGANALE NEL TRANSFER PRICING. 2. Il significato delle parole Òvalore doganaleÓ e Òtransfer pricingÓ e il relativo concetto - 3. La parametrazione interna - 3.1. Il dato normativo - 3.2. Il principio di effettivitˆ temperato dal criterio della normalitˆ - 3.3. Il concetto di Òlegame - 3.4. Il valore accettabile - 4. Excursus sul metodo scientifico di approssimazione - 5. LĠaccertamento per approssimazione nel transfer princing - 6. La parametrazione esterna. B) IL REGIME GIURIDICO DEL VALORE DOGANALE. 7. Dalla struttura alla funzione - 8. Il fondamento dellĠistituto. C) IL REGIME PROCESSUALE DEL VALORE DOGANALE NEL TRANSFER PRICING. 9. Dai profili sostanziali a quelli processuali - 10. Il fattore temporale della dichiarazione in dogana - 11. LĠonere della prova 12. La prova dellĠabuso di diritto - 13. Il concetto di legame. D) CONCLUSIONE. 1. Premessa metodica. Il compito affidatomi  quello dĠillustrare il regime giuridico del ÒValore doganale nel transfer pricingÓ. Assumiamo per ipotesi, con riserva di dimostrazione, che il Òvalore doganale nel transfer pricingÓ sia un istituto giuridico, val a dire che esso sia un fenomeno al quale lĠordinamento giuridico italiano abbia dedicato un insieme di norme di natura tale da formare un subsistema normativo, cio un complesso di norme ordinate e coerenti, di livello minimo e armonicamente collocato nel sistema ordinamentale statale e comunitario. LĠipotesi risulterˆ dimostrata se da quel subsistema normativo si saranno potuti desumere quattro profili del regime del valore doganale nel transfer pricing che risultino uniti in due coppie di elementi determinati secondo i concetti collegati e contrapposti di normalitˆ (o fisiologia) e anormalitˆ (patologia), a loro volta articolabili in sfere connesse e distinte secondo i concetti di struttura e di funzione. LĠesposizione, quindi, premessa una sommaria descrizione dei dati, sia lessicali sia parametrici, tanto interni quanto esterni, affronterˆ il nucleo essenziale del tema seguendo il percorso, consolidato in dottrina, illustrativo della natura di un istituto giuridico. A) La descrizione del valore doganale nel transfer pricing. 2. Il significato delle parole Òvalore doganaleÓ e Òtransfer pricingÓ e il relativo concetto. *) Avvocato dello Stato. Il presente scritto costituisce la Relazione svolta il 22 maggio 2015 a Roma, nel Seminario n. 2 del Corso di alta formazione in Diritto Doganale e del Commercio internazionale organizzato dallĠUniversitˆ Cattolica del Sacro Cuore. Il transfer price  il prezzo di trasferimento tra soggetti di gruppo. Si tratta di un fenomeno economico che  il risultato di pi comportamenti di soggetti diversi operanti coordinatamente: il transfer pricing. ComĠ dĠuso fare tra i giuristi, i quali lavorano, anzitutto e soprattutto, con le dichiarazioni normative, conviene partire, nella descrizione del fenomeno, dal significato delle parole che lo designano, tenendo conto che la tematica  di origine internazionale. Ci˜ significa che la fonte del regime giuridico vigente in Italia, relativo al transfer pricing nel settore doganale, ha una derivazione internazionale: esso  contenuto in trattati internazionali a cui ha aderito lo Stato italiano, in conformitˆ alle direttive e alle linee guida elaborate da organizzazioni internazionali, qual  lĠOrganizzazione mondiale del commercio. Tuttavia, dati i limiti fissatimi, la mia relazione si concentrerˆ solo sullĠesame del diritto comunitario con particolare riferimento al diritto interno italiano, con la conseguenza che, pur tenendo conto che il lessico impiegato nel settore costituisce prevalentemente una traduzione da testi normativi redatti in lingua inglese o in lingua francese, noi ragioneremo sul significato delle parole usate negli atti normativi comunitari in lingua italiana. Ci˜ precisato, possiamo muovere dal significato che nel linguaggio comune assume la parola ÒvaloreÓ di un bene. In generale, il valore  la caratteristica di un bene in forza della quale gli si riconosce una qualitˆ positiva, che rende il bene pregevole, stimabile, apprezzabile e, quindi, desiderabile. Due sono le accezioni con le quali la parola ÒvaloreÓ pu˜ essere impiegata nei settori comportamentali che noi dobbiamo analizzare: anzitutto, essa pu˜ designare la capacitˆ del bene di soddisfare un bisogno, cosicchŽ il valore si specifica, in senso economico, come valore dĠuso, assumendo un significato che , ai nostri fini, privo dĠinteresse; in secondo luogo, il valore pu˜ equivalere a valore di scambio, designando cos“ la proprietˆ del bene di consentire lĠacquisto di altri beni, assumendo il significato di prezzo relativo. Sottolineo che in questa definizione di valore come valore di scambio  giˆ insito il concetto di comparabilitˆ ed  incluso anche lĠulteriore significato di valore come stima. é, quindi, ineliminabile una certa dose di soggettivitˆ valutativa nel concetto di valore; se ne avrˆ conferma nellĠanalisi di diritto positivo che condurremo tra poco. Se questo  il significato nel linguaggio comune della parola ÒvaloreÓ, anche le altre parole che designano il fenomeno in esame cominciano a loro volta a precisare il loro senso: ÒtransferÓ equivale, nel linguaggio giuridico, a ÓtrasferimentoÓ o ÒcessioneÓ, e Òto priceÓ  lĠazione di fissare un prezzo. Per˜, se il significato dellĠespressione Òprezzare il trasferimentoÓ pu˜ essere colto da chiunque, quando ci si inoltra nel linguaggio giuridico del settore commerciale e tributario, questo termine si arricchisce di unĠaccezione ulteriore. Si tratta, cio, di un trasferimento artificiale della sopportazione del costo di un bene tra soggetti correlati; detto altrimenti, si tratta di un aggiustamento arti DOTTRINA 231 ficiale del prezzo di un bene tra soggetti collegati o, come dicono gli atti normativi UE, ÒlegatiÓ. Di questo significato giuridico di transfer pricing si trova conferma nei dati diritto positivo, che andiamo ad esaminare per identificare il fenomeno giuridico del transfer pricing nel diritto doganale, cominciando dai suoi elementi strutturali al fine di desumerne il concetto, sia in sŽ sia in relazione ai fenomeni contrapponibili e ai fenomeni assimilabili. A tal fine, prendiamo le mosse dallĠart. 29 del Regolamento del Consiglio della Comunitˆ europea 12 ottobre 1992, n. 2913 (1), che prescrive quale sia (1) Ricordo, per comoditˆ del lettore, che la testuale formulazione dellĠart. 29 del Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 del Consiglio, che istituisce un codice doganale comunitario, era la seguente: <<1. Il valore in dogana delle merci importate  il valore di transazione, cio il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l'esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunitˆ, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33, sempre che: a) non esistano restrizioni per la cessione o per l'utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre le restrizioni che: -sono imposte o richieste dalla legge o dalle autoritˆ pubbliche nella Comunitˆ, -limitano l'area geografica nella quale le merci possono essere rivendute, oppure -non intaccano sostanzialmente il valore delle merci, b) la vendita o il prezzo non sia subordinato a condizioni o prestazioni il cui valore non possa essere determinato in relazione alle merci da valutare, c) nessuna parte del prodotto di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa essere operata un'adeguata rettifica ai sensi dell'articolo 32, e d) il compratore ed il venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali, ai sensi del paragrafo 2. 2. a) Per stabilire se il valore di transazione sia accettabile ai fini dell'applicazione del paragrafo 1, il fatto che il compratore e il venditore siano legati non costituisce di per sŽ motivo sufficiente per considerare inaccettabile detto valore. Se necessario, le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il valore di transazione ammesso, purchŽ tali legami non abbiano influito sul prezzo. Se, tenuto conto delle informazioni fornite dal dichiarante o ottenute da altre fonti, l'amministrazione doganale ha motivo di ritenere che detti legami abbiano influito sul prezzo, essa comunica queste motivazioni al dichiarante fornendogli una ragionevole possibilitˆ di risposta. Qualora il dichiarante lo richieda, le motivazioni gli sono comunicate per iscritto. b) In una vendita tra persone legate, il valore di transazione  accettato e le merci sono valutate conformemente al paragrafo 1 quando il dichiarante dimostri che detto valore  molto vicino ad uno dei valori qui di seguito indicati, stabiliti allo stesso momento o pressappoco allo stesso momento: i) il valore di transazione in occasione di vendita, tra compratori e venditori che non sono legati, di merci identiche o similari per l'esportazione a destinazione della Comunitˆ; ii) il valore in dogana di merci identiche o similari, quale  determinato ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 2, lettera c); iii) il valore in dogana di merci identiche o similari, quale  determinato ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 2, lettera d). Nell'applicare i predetti criteri si tiene debitamente conto delle differenze accertate tra i livelli commerciali, le quantitˆ, gli elementi enumerati all'articolo 32 ed i costi sostenuti dal venditore in occasione di vendite nelle quali il compratore e il venditore non sono legati e i costi che questi non sostiene in occasione di vendite nelle quali il compratore ed il venditore sono legati. c) I criteri di cui alla lettera b) devono essere applicati su iniziativa del dichiarante e soltanto a fini comparativi. Non possono essere stabiliti valori sostitutivi ai sensi della predetta lettera b). il valore doganale, ossia la base imponibile su cui si applica il dazio doganale ad valorem (2). 3. La parametrazione interna. 3.1. Il dato normativo. Dal rapporto tra i vari elementi, che compongono la definizione normativa del valore doganale in caso di transfer pricing, si desume unĠimportante differenza: da un lato, in generale, il valore in dogana delle merci  costituito dal valore di transazione (art. 29.1), salve le condizioni indicate ancora dal comma 1 dellĠart. 29 alle lettere da a) a d), delle quali  qui rilevante lĠultima cos“ formulata: <>; dallĠaltro, in caso di parti correlate, il valore doganale al quale  dedicato il comma 2 dellĠart. 29 -  il valore di transazione (in)accettabile tra soggetti ÒlegatiÓ. Questa  la definizione di valore doganale secondo lĠart. 29 del Codice comunitario doganale del 1992, che nel regolamento del 2013, allĠart. 70,  definito in maniera leggermente differente, ossia come valore di transazione tra soggetti collegati quando la relazione ha influenzato il prezzo. In realtˆ, nella definizione attuale non si fa altro che specificare direttamente che lĠaccettabilitˆ del valore di transazione dichiarato dipende dal fatto che quel prezzo di transazione non sia stato influenzato dalla relazione tra il soggetto venditore e il soggetto compratore (3). 3. a) Il prezzo effettivamente pagato o da pagare  il pagamento totale effettuato o da effettuare da parte del compratore al venditore, o a beneficio di questo ultimo, per le merci importate e comprende la totalitˆ dei pagamenti eseguiti o da eseguire, come condizione della vendita delle merci importate, dal compratore al venditore, o dal compratore a una terza persona, per soddisfare un obbligo del venditore. Il pagamento non deve necessariamente essere fatto in denaro. Esso pu˜ essere fatto, per via diretta o indiretta, anche mediante lettere di credito e titoli negoziabili. b) Le attivitˆ, comprese quelle riguardanti la commercializzazione, avviate dal compratore per proprio conto, diverse da quelle per le quali  prevista una rettifica all'articolo 32, non sono considerate un pagamento indiretto al venditore, anche se si pu˜ ritenere che il venditore ne sia il beneficiario e ch'esse siano state avviate con l'accordo di quest'ultimo; il loro costo non  aggiunto al prezzo effettivamente pagato o da pagare per la determinazione del valore in dogane delle merci importate>>. (2) Devo precisare il senso del richiamo ad un atto normativo del 1992, che, comĠ noto,  stato abrogato dal Codice doganale comunitario contenuto nel Regolamento CE 23 aprile del 2008 n. 450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il codice doganale comunitario (Codice doganale aggiornato), a sua volta abrogato dallĠart. 286.1 Regolamento UE 9 ottobre 2013 n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il codice doganale dellĠUnione. Infatti, la disciplina in esso contenuta ha ricevuto una lunga applicazione, dalla quale si possono desumere delle linee interpretative ancor oggi valide. Le variazioni successivamente intervenute sono, invero, non radicali, cosicchŽ la normativa di passaggio - quella del 2008 - non differisce sostanzialmente dalla precedente ed  rimasta in vigore per cos“ poco tempo, che, in unĠanalisi evolutiva del sistema, la si pu˜ considerare, con qualche approssimazione, sostanzialmente sovrapponibile a quella precedente. DOTTRINA 233 3.2. Il principio di effettivitˆ temperato dal criterio della normalitˆ. Se, ora, si analizzano nel dettaglio i singoli elementi impiegati dalle disposizioni normative citate per comporre la struttura del valore doganale nel transfer pricing,  agevole constatare che esse fanno riferimento, anzitutto, al valore di transazione. Il richiamo del legislatore a questo concetto vincola a ritenere che il sistema  basato sul principio di effettivitˆ della transazione, dello scambio, in un libero mercato, temperato da un criterio di normalitˆ. In altri termini, da un lato, si conferisce rilievo alla concreta operazione economica posta in essere e, quindi, tendenzialmente al valore attribuito dalle parti alla merce nel singolo caso; dallĠaltro lato, tuttavia, si ha la consapevolezza che questo principio di base, il principio di effettivitˆ, pu˜ e deve essere temperato da un criterio di normalitˆ, perchŽ, se in un libero mercato, astrattamente perfetto, lĠoperazione, la singola operazione, indica effettivamente la base imponibile, si ha la consapevolezza che non sempre, o quasi mai, ci si trova in quella condizione e, in ogni caso, nellĠipotesi di parti ÒlegateÓ,  indispensabile effettuare un paragone con dei valori normali per verificare se il prezzo dichiarato dalle parti sia realistico. Pi dettagliatamente si pu˜ ricordare che l'effettivitˆ del valore di transazione  concepibile, nel diritto comunitario, soltanto in un un libero mercato:  necessario che la transazione venga effettuata con il rispetto di alcune condizioni preliminari, ovverosia che non vi siano restrizioni alla concorrenza previste per legge o per convenzione, che non sussista un regime concorrenziale alternativo al prezzo di mercato, ovvero che il bene venduto non ritorni pattiziamente al venditore, ossia sostanzialmente che la vendita non sia fittizia. Se queste sono le con (3) LĠart. 70 Regolamento (UE) 9 ottobre 2013, n. 952,  cos“ formulato: <>. dizioni perchŽ possa valere il valore di transazione dichiarato dalle parti in corrispondenza a quello effettivo dello scambio, la loro verificazione attribuisce attendibilitˆ al valore dichiarato dalle parti secondo il principio di effettivitˆ. La Corte di giustizia, nella sentenza C-111/79, sia pur a proposito del regime giuridico comunitario anteriore a quello qui esaminato, ha stabilito comunque che la definizione del valore di transazione non pu˜ essere indipendente dal prezzo normale, il che vale quanto dire che il principio di effettivitˆ devĠessere temperato dalla comparazione con un valore che possa assumersi come normale. Di qui nasce il riferimento al concetto di comparabilitˆ, che avevo segnalato in occasione dellĠillustrazione del concetto di valore come inclusivo in sŽ del concetto di ÒstimaÓ, di ÒvalutazioneÓ. 3.3. Il concetto di ÒlegameÓ. Altro elemento che si rinviene nella definizione di diritto positivo del transfer pricing nel diritto doganale  il concetto di ÒlegameÓ. Mi sia permesso di fare un rinvio allĠart. 143 del Regolamento applicativo del Codice comunitario (DAC) (4), il quale enumera tutti gli indici di un legame rilevante giuridicamente. Essi sono talmente numerosi che non  possibile qui analizzarli singolarmente. Val la pena, tuttavia, di notare che il concetto di legame si desume da una serie cos“ numerosa e variegata di fatti che, nel diritto doganale, al fine della determinazione del valore, si devono considerare ÒlegateÓ tra loro persone che ordinariamente non lo sono nel diritto interno. Mi spiegher˜ meglio, ma anticipo questa indicazione: per il diritto comunitario viene adottato un concetto di gruppo di imprese cos“ ampio, da in (4) Regolamento (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454/93 della Commissione, che fissa talune disposizioni d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario, il cui Articolo 143  cos“ formulato: <<1. Ai fini dell'applicazione degli articoli 29, paragrafo 1, lettera d) e 30, paragrafo 2, lettera c) del codice, due o pi persone si considerano legate solo se: a) l'una fa parte della direzione o del consiglio di amministrazione dell'impresa dell'altra e viceversa; b) hanno la veste giuridica di associati; c) l'una  il datore di lavoro dell'altra; d) una persona qualsiasi possegga, controlli o detenga, direttamente o indirettamente, il 5 % o pi delle azioni o quote con diritto di voto delle imprese dell'una e dell'altra; e) l'una controlla direttamente o indirettamente l'altra; f) l'una e l'altra sono direttamente o indirettamente controllate da una terza persona; g) esse controllano assieme, direttamente o indirettamente, una terza persona; oppure se h) appartengono alla stessa famiglia. Si considerano appartenenti alla stessa famiglia solo le persone tra le quali intercorre uno dei seguenti rapporti: -marito e moglie -ascendenti e discendenti, in linea diretta, di primo grado -fratelli e sorelle (germani e unilineari) -ascendenti e discendenti, in linea diretta, di secondo grado -zii/zie e nipoti -suoceri e generi o nuore - cognati e cognate>>. DOTTRINA 235 cludervi anche relazioni tra soggetti che non siano neanche formalizzate sul piano giuridico e che, tuttavia, di fatto possono determinare un'influenza di un soggetto su un altro. Questo spiega anche la ragione per cui nell'art. 29 del regolamento del 1992  espressamente previsto che il solo legame non  sufficiente a rendere inaccettabile il valore doganale, cio a presumere lĠinfluenza sul prezzo. Si pu˜ intendere questa precisazione come una conseguenza del- lĠampiezza del concetto di legame tra soggetti: il legislatore si  visto costretto a prevedere che lĠautoritˆ doganale non pu˜ rettificare il prezzo sulla sola base del rapporto tra il soggetto venditore e il soggetto compratore. 3.4. Il valore accettabile. Altro elemento  quello del valore accettabile, cio non influenzato dal rapporto. LĠart. 29 e lĠart. 70 dei rispettivi citati regolamenti del 1992 e del 2013 indicano che il transfer pricing allĠinterno di un gruppo dĠimprese, di per sŽ, non rende inaccettabile, cio non rende irrealistico, il valore dichiarato, purchŽ esso sia molto vicino, quantitativamente e temporalmente, ad un valore di transazione che , o pu˜ essere, determinato secondo tre metodi. Si vede, dunque, come il principio di effettivitˆ venga temperato: nel caso di transfer pricing, quando sussista un legame e lĠautoritˆ doganale abbia il fondato sospetto che il prezzo ne risulti influenzato, il valore dichiarato  accettabile quando esso sia molto simile ad un valore di transazione altrimenti determinato per ÒvicinanzaÓ -  proprio la legge ad usare questa parola -e, dunque, inevitabilmente costruito per approssimazione. Il richiamo indirizza lĠattenzione sul fatto che lĠimpiego di un concetto giuridico indeterminato comporta che la sua determinazione non possa esser effettuata altro che per approssimazione, cio soltanto in base a una stima. In altri termini,  la stessa legge a prevedere che per la determinazione del valore in dogana si adotti un metodo di approssimazione. 4. Excursus sul metodo scientifico di approssimazione. Il fenomeno dellĠapprossimazione nellĠattivitˆ di accertamento dei fatti e, quindi, nella determinazione dellĠoggetto dellĠimposizione,  cos“ rilevante che si ritiene opportuno soffermarsi ad effettuarne un breve inquadramento metodico, allo scopo ulteriore di chiarire il rapporto di sussunzione normativa e i requisiti di legittimitˆ del provvedimento amministrativo, che decida intorno ad un caso di specie ultima. Ricordiamo, in via preliminare, che il concetto di approssimazione  ampiamente utilizzato, in generale, a fini epistemologici (5). Infatti, se il compito della scienza  quello di conoscere un dato oggetto e, quindi, di rea (5) Sul punto v., per tutti, Massimo GALUZZI - Krzystof MOSZY.SKI-Andrzej WAKULICZ Approssimazione, in Enciclopedia (Torino, Einaudi) I, 1977, 765 ss. lizzarne la rappresentazione mentale ÒveraÓ, sia sotto il profilo della quantitˆ (conoscen-za di tutti i suoi elementi), sia sotto il profilo della qualitˆ (natura del fenome-no),  agevole rendersi conto che nella stragrande maggioranza dei casi la conoscenza effettivamente raggiungibile non pu˜ essere che approssimativa e, dunque, Ònon propriamente veraÓ o soltanto Òparzialmente veraÓ; tuttavia, poichŽ, data la natura delle cose, la conoscenza solo parzialmente vera  lĠunica possibile, si  costretti ad accettarla e, in effetti,  quella che si adotta in ogni campo dellĠattivitˆ umana. Si pu˜ ricordare, al riguardo, ad esempio, che nella matematica il calcolo infinitesimale  basato sullĠapprossimazione spinta fino al ÒlimiteÓ. Significativa , poi, lĠesperienza vissuta dalla scienza fisica alla fine del XIX secolo, allorchŽ si ritenne che, sotto il profilo qualitativo, non ci fosse pi nulla da scoprire e che non restasse ormai che migliorare sempre di pi le tecniche della misurazione dei fenomeni fisici. Poi, precedute dagli studi probabilistici delle teorie termodinamiche dei gas (6), sopravvennero la teoria della relativitˆ (7) e la teoria quantistica (8) e tutto fu rimesso in discussione. Neanche nelle scienze sociali si pu˜ prescindere dallĠapprossimazione: nella vita dei grandi gruppi sociali, i fenomeni che la caratterizzano e, in particolare, i fatti economici e qui ci si avvicina decisamente al nostro tema - sono conoscibili solo in maniera approssimata attraverso lĠanalisi statistica e, quindi, probabilistica; nella linguistica si rinuncia a priori alla precisione quando si sostiene, non a torto, che lĠunica cosa di cui possono essere certi due soggetti, che usino una data lingua per comunicare tra loro,  ci˜ su cui convengono di concordare, delegando lĠeventuale insanabile contrasto ad un terzo dotato del potere, a lui riconosciuto per accordo o per autoritˆ (9), di stabilire in loro vece quel che essi devono assumere come certo (10). Non vĠ da meravigliarsi, dunque, se anche per la conoscenza dei fenomeni giuridici, e per lĠinterpre (6) Ad opera di Ludwig Boltzmann, su cui Eduardo ARROYO PƒREZ Boltzmann. La termodinamica e lĠentropia. LĠuniverso morirˆ di freddo. Milano, RBA Italia, 2013, 65 ss. (7) DellĠisolato Albert Einstein, su cui Armando MASSARENTI (cur.) Albert Einstein. Relativitˆ: esposizione divulgativa. Autobiografia scientifica. Milano, Il sole 24 ore, 2012. (8) Di un gruppo consistente di studiosi: Max Planck, anzitutto, oltre allo stesso Einstein, e poi, soprattutto Niels Bohr, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Erwin Schršdinger, Paul Dirac ed altri. V. Manjit KUMAR Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realtˆ. Milano, Mondadori, 2011. (9) Per coloro che si avvalgano di dichiarazioni giuridicamente rilevanti come le norme giuridiche, i provvedimenti autoritativi, i negozi giuridici, le dichiarazioni giuridiche di specie ultima, il terzo risolutore del loro contrasto  il giudice pubblico, fissato dĠautoritˆ, o il giudice privato (o arbitro), scelto dai contendenti. (10) Ludwig WITTGENSTEIN, nella sua opera postuma e frammentata: Della certezza. LĠanalisi filosofica del senso comune. Torino, Einaudi, 1978, fornisce idee illuminanti in proposito: dopo aver premesso che la concordanza di due persone con la realtˆ <> (p. 34) e che quel che conta non  quello che io so <>, ma quel che io concordo con altri (pp. 44-45), conclude affermando che quello DOTTRINA 237 tazione della legge e per la sua applicazione, si ricorra al metodo per approssimazione, nonostante il relativo concetto e le sue applicazioni sembrino non aver ancora ricevuto, da parte della scienza giuridica, lĠattenzione che essi meriterebbero. La rilevanza dellĠapprossimazione per il diritto deriva, anzitutto, dal fatto che il fenomeno giuridico  costituito in gran parte dal formante normativo e dal fatto che le norme giuridiche sono strutturate per categorie, ossia per ge-neri, quasi sempre di livelli differenti, cosicchŽ ogni volta che una norma deb-ba essere applicata, si pone il problema della riconduzione alle categorie generali, da essa impiegate per la scelta dei tre suoi elementi strutturali non standardizzati - oggetto, contenuto e destinatari -, dei corrispondenti elementi della fattispecie di grado ultimo, o specie infima, <> (11). é il problema della sussunzione del fatto di specie ultima sotto la sua norma regolatrice. Se il genere utilizzato dalla norma  cos“ ampio e cos“ elevato da abbracciare molteplici generi subordinati, intermedi fino al grado della specie ultima, e se le specie ultime possono essere determinate secondo la libera volontˆ delle parti, la sussunzione  inevitabilmente, per la natura logica delle cose, gravata dellĠonere dellĠapprossimazione. La complessitˆ dellĠassolvimento di tale onere risulta particolarmente evidente in tutte le ipotesi in cui il formulatore delle norme impieghi dei concetti giuridici indeterminati e tutte le volte che le fattispecie ultime siano tanto variabili da poter esser determinate solo probabilisticamente, proprio come avviene per le molecole dei gas, per la fisica subatomica, per i fatti economici e per i che si sa  quello che si crede che credano anche gli altri (p. 46). Quando questa concordanza, o accettazione o convenzione, sul significato delle proposizione linguistiche normative non si riesca a stabilire, si pu˜ o si deve ricorrere ad unĠautoritˆ, che non  la generica <> (p. 29), ma lĠautoritˆ di quegli uomini cui sia stato conferito il potere di comando - eteronomo - di fissare per altri il punto e la linea di concordanza, cio quale sia la conoscenza - della specie della scienza o del giudizio - da assumere come certa. A quel punto non si pu˜ pi ÒcongetturareÓ, ma si tratta di ÒcredereÓ e, se quellĠautoritˆ  un giudice subordinato alla legge, si tratta di Òcredere nella leggeÓ (p. 81). Per lĠinquadramento del contributo di Wittgenstein alla certezza nel suo sistema di pensiero v. ALDO G. GARGANI Introduzione a Wittgenstein. Roma-Bari, Laterza 1988, 4.ed., 103-104. Della sintetizzata teoria convenzionale del linguaggio si  fatta espressa applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione per lĠindividuazione del regime dellĠincertezza normativa oggettiva; vedansi, in proposito, le sentenze di base: 28 novembre 2007, n. 24670, 21 marzo 2008, n. 7765, 11 settembre 2009, n. 19638. (11) La distinzione tra elementi standardizzati ed elementi non standardizzati della norma giuridica  operata da Achille MELONCELLI Manuale di diritto pubblico. Milano, Giuffr, 2005, 3.ed., 44 ss. Quanto alla contrapposizione genere/specie, fondamentale per lĠinterpretazione normativa, i concetti e il lessico qui utilizzati sono ispirati alla nota dottrina di PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, 57 ss. e, in particolare, 67. Sulla mediazione tra platonismo ed aristotelismo operata da Porfirio v. Giuseppe GIRGENTI LĠIsagoge di Porfirio nellĠottica della concordia tra Platone ed Aristotele, in PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, 7 ss. Sui problemi connessi allĠimpiego, in generale, della teoria porfiriana della classificazione per generi e per specie, Umberto ECO LĠantiporfirio, in Gianni VATTINO - Pier Aldo RAVATTI Il pensiero debole. Milano, Feltrinelli, 1988, 52 ss.; Umberto ECO Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 91 ss., 150 ss., 183, 190 ss., 193. fatti sociali. Il ricorso alla probabilitˆ e, quindi, allĠapprossimazione pone dei problemi delicati dal punto di vista epistemologico, se  vero che, <> (12). Non  affatto scandaloso, dunque, che allĠapprossimazione si ricorra talvolta anche nellĠesperienza giuridica ed  tanto pi doveroso metterlo in ri-lievo quanto pi si constati che il suo impiego  ben frequente e di particolare rilievo. Basti pensare allĠinterpretazione normativa analogica, sia sotto la specie dellĠanalogia legis sia sotto la specie dellĠanalogia iuris, per lĠutilizzazione che ciascuna di esse comporta degli altri insiemi di fenomeni -diversi dalla fattispecie ultima in esame - laterali o superiori, nella piramide della classificazione porfiriana dei fenomeni specificativi, a vari livelli, dellĠunico genere sommo (13). AllĠapprossimazione, tuttavia, si ricorre anche quando si debbano operare valutazioni inevitabilmente qualitative; ne  un esempio quanto mai significativo lĠaccertamento della conoscenza posseduta da un soggetto, come accade per gli esami scolastici (14) o per i procedimenti concorsuali (15). Si opera per approssimazione, poi, anche ogni volta che per la determinazione dellĠesistenza di un fatto, per il suo accertamento, ci si avvalga del rapporto di causalitˆ e si presuma che, dato un fatto noto, esso trovi la sua causa in un fatto ignoto precedente, che, pertanto, risulta accertato proprio in quanto causa del fatto conosciuto. é la tecnica di prova, abbondantemente usata nellĠesperienza giuridica, della presunzione. Pi recentemente si  operato un altro tentativo di approssimazione: si  proposto di sostituire la tecnica di approssimazione della presunzione con la pi precisa, ma sempre approssimativa, tecnica della semanticitˆ, rilevandosi lĠidentificazione tra segno e senso, tra sintomi di un fatto e il fatto stesso, che  tecnica pi precisa della presunzione perchŽ consente il rinvio da sŽ a sŽ. Giˆ la legge operava cos“ - intuitivamente, si (12) Karl POPPER Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza. Torino, Einaudi, 1970, 213. (13) LĠapplicazione del pensiero di PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, si manifesta particolarmente proficuo nellĠinterpretazione normativa per analogia. (14) Per la cui valutazione si opera unĠapprossimazione tanto che ci si esprima in termini numerici -il cosiddetto voto - quanto che ci si esprima con lettere (A, B, C e cos“ via), o usando categorie falsamente qualitative (insufficiente, sufficiente, mediocre, buono, ottimo, eccezionale o analoghe). (15) Cos“, ad esempio, nel procedimento di concorso ad impiego pubblico, lo scopo di determinare quale sia lĠidoneitˆ di una persona fisica a svolgere un dato compito, comparandola con quella degli altri concorrenti,  cos“ difficile che non si sfugge al difetto metodico della conversione delle qualitˆ in quantitˆ, attraverso la dosatura numerica o comunque il ricorso a categorie quantitative o linguistiche indeterminate. Pi in generale, si pu˜ dire che tutti i concorsi pubblici - quello ad impiego pubblico, quello della scelta del contraente con lĠamministrazione pubblica, le elezioni a cariche rappresentative -sono procedimenti di approssimazione, cos“ come accade inevitabilmente anche per le selezioni del personale da parte dei privati, a dimostrazione della forza della natura delle cose, che, non a caso,  uno dei fattori condizionanti dellĠinterpretazione normativa. DOTTRINA 239 potrebbe dire - per lĠeccesso di potere amministrativo e legislativo; ma la consapevole utilizzazione del contributo della semantica si riscontra, non solo negli studi giuridici sulla conoscenza dellĠinsolvenza dellĠimprenditore (16), ma anche per la focalizzazione dei molteplici fenomeni realizzantisi Òdi fattoÓ (lĠedificabilitˆ di fatto di unĠarea, lĠesistenza di una famiglia di fatto, la configurazione dellĠamministratore di fatto della societˆ commerciale o del rappresentante di fatto, la pericolositˆ sociale al fine della confisca di prevenzione). Questi fenomeni, o almeno alcuni di essi, potrebbero essere ricondotti alla categoria, di teoria generale del diritto, della situazione giuridica oggettiva, ossia a quella condizione che  giuridicamente rilevante in sŽ e per sŽ, ma che produce effetti anche nella sfera giuridica di quei soggetti che si vengano a trovare immersi in essa o che con essa abbiano comunque un contatto, cosicchŽ la situazione giuridica oggettiva  sempre anche relativamente soggettiva. Quel fenomeno che i teorici generali del diritto chiamano situazione giuridica oggettiva ha una natura sostanziale semantica perchŽ deriva la sua rilevanza giuridica, oggettiva e relativamente soggettiva, da quella che i semiologi hanno individuato come un Òsistema di significazioneÓ, come fatto genetico di un Òprocesso di significazioneÓ e che  portatrice di un Òsignificato situazionaleÓ (17). Con tali espressioni sĠintende, da parte della semiologia, che, quando uno o pi fatti, che, pur non essendo elementi di un codice, siano percepiti, da coloro che entrano in contatto con essi, come fatti che stiano per qualcosa dĠaltro, ci si trova dinanzi a una situazione significante o a un significato situazionale (18). In particolare, si segnala che, in applicazione, proprio in materia tributaria, di questa nuova impostazione teorica interdisciplinare, la tecnica approssimativa della presunzione, che  quella standard adottata dai giuristi,  stata sostituita dalla tecnica di approssimazione categoriale per lĠesercizio di poteri provvedimentali riguardanti fenomeni futuri;  la soluzione adottata recen (16) Francesco MELONCELLI La conoscenza dello stato dĠinsolvenza nella revocatoria fallimentare. Milano, Giuffr, 2002. (17) Umberto ECO Trattato di semiotica generale. Milano, La nave di Teseo, 2016 [1975], 29-30; ID. Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 65 ss. (18) Stefano GENSINI Elementi di semiotica. Roma, Carocci, 2015, 32. Occorre, peraltro, guardarsi dalle applicazioni indiscriminate di tali delicati strumenti interpretativi, evitando di seguire la tendenza della cultura contemporanea <>, come consiglia Umberto ECO Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 300. Per un esempio dĠimpiego incauto dei concetti della semiologia nellĠambito del diritto commerciale, v. Fabio IOZZO Le azioni di responsabilitˆ nella s.r.l. tra vecchia e nuova disciplina, in Giurisprudenza commerciale 2005, II, 53 ss., il quale, facendo proprie un buon numero di pagine giˆ dedicate allĠinsolvenza nella mia monografia pocĠanzi giˆ citata, le ha acriticamente riferite allĠÒincapienzaÓ, cosicchŽ anche lĠincapienza  diventata dĠemblŽe un fenomeno semantico. Per una pi approfondita critica, con altre argomentazioni, allĠuso distorto del metodo in argomento e ai consequenziali erronei risultati, v. anche Francesco MELONCELLI Azione di responsabilitˆ spettante [d]ai creditori sociali e prescrizione, in Giurisprudenza commerciale 2006, I, 691 ss. temente per la determinazione del valore di mercato dei beni oggetto di atti da sottoporre a registrazione (19). 5. LĠaccertamento per approssimazione nel transfer pricing. Tutto ci˜ premesso e brevemente illustrato sul piano della teoria generale, per dar conto della base su cui si fondano le considerazioni che si stanno svolgendo, torniamo al nostro tema per mettere in evidenza che anche nel transfer pricing la natura delle cose impone che lĠaccertamento del valore sia effettuato con un metodo approssimativo che si applica ad una situazione giuridica oggettiva, portatrice di un significato situazionale. Infatti, anche se il legislatore non lo enuncia espressamente, prendendosi atto che non pu˜ mai giungere a costituire un automatismo ogni tentativo, anche delle autoritˆ doganali, dĠindicare dei criteri guida, generali, in base ai quali le imprese possano regolarsi per determinare le loro politiche di prezzi infragruppo, la legge prevede, come ratio del sistema, che per lĠapplicazione dei dazi doganali sia effettuata una valutazione per approssimazione. Ci˜  per un verso positivo, perchŽ consente unĠestrema flessibilitˆ e lĠadeguamento del sistema normativo al caso specifico. Per altro verso, ci˜ rende pi difficile la programmazione dellĠattivitˆ dĠimpresa. Sarˆ, quindi, una sfida per il futuro quella di contemperare le due esigenze, per lo meno a legislazione vigente. Ritornando allĠaccettabilitˆ del valore, essa si realizza se il valore dichiarato in dogana  vicino a quello che si pu˜ determinare applicando uno dei tre seguenti metodi. Il primo  chiamato metodo del confronto di prezzo tra soggetti non correlati per merci identiche o simili. é il metodo in base al quale lĠautoritˆ doganale ricerca il valore di transazione effettivo di compravendite effettuate tra soggetti che non appartengono al gruppo di imprese che ha effettuato la transazione oggetto di verifica - e in questo caso si dice che il confronto  esterno - oppure tra uno dei soggetti che fa parte di un gruppo ed un soggetto da esso indipendente - e in questo caso si dice che il confronto  interno. é ovvio che queste ultime transazioni danno maggiore affidabilitˆ circa la corrispondenza a realtˆ del valore di transazione rispetto alle operazioni infragruppo, in cui lĠartificiositˆ del prezzo pu˜ essere pi facilmente preordinata. E si noti che le merci devono essere identiche o simili secondo il significato indicato dalle norme: la relazione dĠidentitˆ o similaritˆ di merci  indicata nellĠart. 30 del Codice Doganale Comunitario del 1992 e nellĠart. 142 del Reg. CE di attuazione del 1993, n. 2454. Il secondo metodo  quello del prezzo di rivendita tra soggetti non correlati per merci identiche o simili. In estrema sintesi, si verifica quale sia il (19) CTR Lazio 24 novembre 2015, n. 6261/4/15. DOTTRINA 241 prezzo a cui viene rivenduto il bene che  stato compravenduto al fine del- lĠimportazione e si scomputano a ritroso un margine di profitto e altri elementi per giungere al costo originario della transazione. Il terzo  il metodo del costo maggiorato tra soggetti non correlati per merci identiche o simili. Questa volta si parte dal costo del bene e vi si aggiungono i margini di profitto di ogni impresa che effettua la transazione fino ad arrivare a quella che interessa. Questi sono i tre metodi principali. Ve ne , per la veritˆ, un altro resi- duale, che  un metodo calcolato e dedotto, quando, mancando qualunque riferimento esterno, si possono utilizzare quegli elementi specifici, che sono indicati dallĠart. 30 del Codice doganale comunitario e che chiunque pu˜ verificare analizzando il testo normativo, per giungere comunque alla determinazione di un prezzo da comparare con quello dichiarato nellĠoperazione relativa al transfer pricing. Segnalo anche, come ultimo elemento strutturale, che si evince dalla definizione normativa del fenomeno, che lĠaccettabilitˆ del valore dichiarato relativo allĠoperazione infragruppo dipende anche dal livello commerciale al quale avviene la transazione allĠinterno del gruppo, dalla quantitˆ della merce trasferita e anche dal raffronto tra i costi che un soggetto sopporta in una catena di vendita infragruppo e quelli che vengono sopportati in una catena allĠesterno del gruppo, che possono essere differenti. Sono tutti elementi che inducono ancora una volta a ritenere che nel sistema normativo doganale si miri ad individuare il valore concreto dellĠeffettiva operazione svolta. 6. La parametrazione esterna. Il concetto di transfer pricing rilevante nel diritto doganale pu˜ esser meglio identificato se si effettua anche una parametrazione esterna, operando un confronto con un fenomeno simile, costituito dal transfer pricing nellĠimposizione sul reddito, la cui disciplina  contenuta negli art. 110 e 9 TUIR. In particolare, lĠart. 110 TUIR prevede che i componenti del reddito di un membro di un gruppo di societˆ siano valutati al valore normale. é utile individuare prima quali siano gli elementi distintivi che contrappongono la definizione del transfer pricing, rilevante ai fini dellĠimposizione diretta, con quelli che caratterizzano il transfer pricing rilevante nel settore doganale. Si deve evidenziare, anzitutto, che una differenza concerne il concetto di legame, perchŽ nellĠimposizione sui redditi ci si richiama al concetto di controllo ex art. 2359 cc, quindi a un concetto molto specifico che riguarda i gruppi di societˆ e non anche i gruppi dĠimprese, che  un fenomeno pi ampio, e per di pi con richiamo al concetto di influenza dominante e non di influenza notevole, perchŽ solo lĠinfluenza dominante dˆ luogo al controllo societario, mentre il concetto di legame nel diritto doganale  molto pi ampio e molto pi specificato dalla legge, tantĠ vero che si prendono in considera zione anche i legami di parentela tra soggetti, i legami tra gli amministratori e cos“ via (v. art. 143 Reg. com. di attuazione) (20). Altro elemento distintivo del transfer pricing doganale dal transfer pricing reddituale  la rilevanza giuridica attribuita ai fini dellĠimposta diretta solo nel caso in cui si produca un aumento del reddito, cio solo nel caso in cui la fattispecie si arricchisca strutturalmente di un altro fatto, altrimenti (caso della diminuzione di reddito, che non sia per˜ oggetto di un trattato sulla doppia imposizione) restando irrilevante la fattispecie del transfer pricing, per cos“ dire, ridotta di quel dato (aumento del reddito). In altri termini, se il prezzo  artificiosamente aumentato nella transazione internazionale perchŽ la societˆ di diritto italiano, in qualitˆ di acquirente, pu˜ dedurre dal proprio reddito in misura maggiore rispetto a quella corrispondente alla realtˆ, il fenomeno  rilevante; se, invece, la societˆ italiana paga un prezzo inferiore, e quindi il suo reddito imponibile non diminuisce, il fenomeno  irrilevante, a meno che lĠItalia non abbia stipulato un accordo internazionale a salvaguardia dellĠimposizione dello Stato contraente. Invece, secondo il diritto doganale, il transfer pricing  rilevante qualunque sia il valore doganale che ne subisce lĠinfluenza, cio tanto se esso sia in aumento quanto se esso sia in diminuzione. Da notare, poi, unĠaltra differenza: mentre nel diritto doganale il valore normale viene determinato con riferimento a casi singoli, quindi sempre puntuali, secondo metodi precisi e ben graduati nella loro utilizzabilitˆ, lĠart. 110 TUIR, richiamando lĠart. 9 dello stesso atto normativo, si avvale di un diverso concetto di valore normale, perchŽ fa riferimento alla stima dei prezzi effettuati nelle transazioni di beni simili o identici, cio appartenenti alla stessa specie, come ci accingiamo a mostrare, considerati non puntualmente, ma nel loro valore medio, ossia mediante il richiamo a una normalitˆ. Non a caso la legge italiana parla di Òvalore normaleÓ, mentre la normativa comunitaria non parla di normalitˆ del valore, ma di un valore di comparazione o di un valore comparato. Pi specificamente, da una parte, nel diritto interno si fa riferimento a un valore medio, quindi a un valore non reale, che potrebbe non essere proprio di alcuna transazione, proprio perchŽ si tratta di un valore calcolato su valori reali; dallĠaltra parte, si deve sottolineare la voluta aderenza del diritto doganale alla realtˆ vissuta, storica, perchŽ il valore da confrontare devĠessere un valore reale, nel senso che si devĠessere verificato che almeno una transazione sia stata effettivamente conclusa ad un dato prezzo che non sia un prezzo fissato infragruppo. Se questo non esiste, si ricorre allora al sistema sussidiario del valore calcolato dallĠAgenzia delle dogane utilizzando qualunque elemento informativo a disposizione. In entrambi i casi si tratta di una determinazione del valore per approssimazione: nel valore reddituale lĠapprossimazione deriva (20) Sul punto vedasi ora Corte di cassazione 22 aprile 2016, n. 8130. DOTTRINA 243 dallĠutilizzazione di un valore categoriale di genere superiore a quello in cui si colloca la specie ultima in esame; nel valore doganale si assume come riferimento almeno una transazione verificatasi allo stesso livello di genere/specie. é una differenza molto importante, perchŽ, come stiamo per vedere, si collega alla stessa funzione dellĠistituto. Desidero, infine, mettere in rilievo anche unĠaltra differenza: nel fare il confronto per verificare se il valore dichiarato  il valore accettabile al fine dellĠimposizione, il diritto doganale nellĠart. 142 del DAC fa riferimento o alle merci identiche o alle merci similari, cio appartenenti a specie contigue dellĠalbero porfiriano, sia in senso orizzontale (specie dello stesso livello, similaritˆ orizzontale) sia in senso verticale (specie di livello superiore o inferiore); nellĠaffermare che si possano individuare transazioni su beni identici, lĠart. 142 definisce le merci identiche come le merci prodotte nello stesso paese e uguali sotto tutti gli aspetti, ivi comprese le caratteristiche fisiche, la qualitˆ e la rinomanza. é vero che poi si dice che le differenze di scarso rilievo non impediscono di considerare identiche merci conformi alla presente definizione; per˜, le merci devono essere uguali. La legislazione interna, invece, non solo, come ho appena accennato, prende in considerazione la media tra valori di transazioni effettuate su merci simili, ma, senza richiamare lĠidentitˆ della merce in alternativa allĠappartenenza delle merci a specie simili, afferma che le merci oggetto del confronto possono appartenere alla stessa specie o a specie simili. Quindi, i due ambiti del confronto non coincidono, realizzando approssimazioni alla realtˆ di grado diverso. Per quanto riguarda, invece, le similaritˆ tra i due regimi, faccio presente che i valori sono confrontabili se si prendono in considerazione transazioni dello stesso livello commerciale, dello stesso luogo approssimato e dello stesso tempo approssimato. Le transazioni da comparare, infatti, devono essere effettuate pi o meno nello stesso periodo di tempo, pi o meno nello stesso luogo e devono riguardare beni simili e o identici secondo le definizioni giˆ fornite. B) Il regime giuridico del valore doganale. 7. Dalla struttura alla funzione. Una volta che abbiamo esaminato gli elementi strutturali principali del fenomeno, anche effettuandone un confronto con fenomeni simili, possiamo enuclearne il regime giuridico fisiologico: se il valore dichiarato in dogana, relativo a una transazione infragruppo,  accettabile, si applica il regime ordinario, cosicchŽ il valore dichiarato  quello posto alla base del sistema di applicazione del dazio. Se, invece, il valore dichiarato  effetto di un transfer pricing, cio di un processo di aggiustamento artificioso del prezzo, e quindi il valore dichiarato non  accettabile, in quanto influenzato da rapporti di grup po, allora deve aver luogo la rettifica da parte delle autoritˆ doganali secondo uno dei metodi secondari di determinazione del valore in dogana previsti dal- lĠart. 30 del Codice doganale comunitario del 1992 o dallĠart. 74 del Codice doganale comunitario del 2013, cio secondo uno dei metodi da utilizzare per la comparazione dei prezzi. Quindi, il valore viene riportato a quello normale, nel senso doganale del termine. Dal punto di vista strutturale del regime fisiologico del fenomeno possono evincersi i suoi aspetti funzionali. PoichŽ la funzione di un istituto giuridico si desume anzitutto dallĠanalisi degli effetti e poichŽ il principale effetto del transfer pricing  la riconduzione del valore doganale al valore temperato, al valore ricalcolato secondo un criterio di probabilitˆ, di normalitˆ approssimata, se ne deduce che il principale scopo della normativa - non lĠunico -  quello antielusivo; si vuole evitare, infatti, che gli operatori si attribuiscano volontariamente un vantaggio fiscale ingiustificato economicamente. Che quello antielusivo non sia lĠunico scopo del valore doganale nel transfer pricing  stato, per la veritˆ, recentemente evidenziato da una parte della dottrina. LĠosservazione merita di essere condivisa, se si tiene conto delle ragioni economiche che possono essere sottese ad una preventiva determinazione dei prezzi allĠinterno di un gruppo. Ne ricordo qualcuna: lĠesigenza di palesare una maggiore profittabilitˆ nella societˆ capogruppo quotata rispetto alle societˆ figlie; lĠesigenza di influenzare la valutazione di credito di alcune societˆ del gruppo; lĠintento di minimizzare lĠutile quando siano presenti soci di minoranza per non distribuire loro degli utili oltre una certa misura; lo scopo di assolvere la richiesta di liquiditˆ di singole imprese allĠinterno del gruppo, perchŽ mediante lĠaggiustamento dei prezzi si determina, invero, un ricarico di costi maggiori o minori dellĠuna o dellĠaltra. Addirittura, secondo alcuni, una delle finalitˆ potrebbe essere quella di scoraggiare le rivendicazioni salariali locali. Insomma, il prezzo di trasferimento pu˜ dipendere anche da finalitˆ economiche relative al mercato di sbocco o al prezzo finale dei propri prodotti: unĠimpresa deve tener conto che in un certo mercato non pu˜ vendere oltre un certo prezzo, che pu˜ dipendere dalle caratteristiche di un mercato o di un sottomercato. In estrema sintesi, la ragione economica dellĠaggiustamento di prezzo potrebbe essere indipendente dalla finalitˆ di ottenimento di un vantaggio fiscale, ma potrebbe risiedere nel modello di attivitˆ economica adottato dal gruppo. Se tutto ci˜ fosse vero, bisognerebbe considerare attentamente la possibilitˆ di difesa del contribuente rispetto ad unĠattivitˆ di transfer pricing che non abbia una finalitˆ elusiva. La legge, del resto, non esclude che la finalitˆ del transfer pricing possa essere diversa rispetto a quella di limitare la potestˆ impositiva statale; la legge stessa, tuttavia, sembra connotare negativamente il fenomeno, prediligendo la finalitˆ di ripristino della corretta allocazione della base imponibile, secondo il principio di territorialitˆ per lĠimposta sui DOTTRINA 245 redditi per effetto del criterio approssimato di valore normale e secondo, invece, il principio di effettivitˆ temperata, volto ad ottenere una realistica individuazione del valore doganale ai fini dellĠapplicazione dei dazi doganali. 8. Il fondamento dellĠistituto. In ogni caso, dalle funzioni cos“ enucleate pu˜ trarsi il fondamento del- lĠistituto: la legge, anche comunitaria, prende in considerazione il transfer pricing per contemperare interessi contrapposti: da un lato, gli interessi delle imprese alla libertˆ dellĠiniziativa economica (art. 41 Cost.), alla libera circolazione delle merci, allĠistituzione di un mercato unico interno, allĠistituzione di unione doganale (art. 26 28 e 32 TUE), con il connesso interesse a che la concorrenza si svolga lealmente e, quindi, che lĠartificiositˆ del prezzo non venga utilizzata per sfruttare vantaggi fiscali ingiustificati; dallĠaltro, si contrappongono gli interessi erariali allĠincasso dellĠeffettivo debito tributario commisurato alla capacitˆ contributiva. C) Il regime processuale del valore doganale nel transfer pricing. 9. Dai profili sostanziali a quelli processuali. Il regime giuridico del valore doganale nel transfer pricing di diritto comunitario presenta, oltre agli aspetti strutturali e funzionali di natura sostanziale che si sono appena illustrati, anche alcuni interessanti profili processuali, come, in particolare, quelli riguardanti la prova processuale dellĠistituto. 10. Il fattore temporale della dichiarazione in dogana. Preliminarmente devo segnalare che la giurisprudenza in ambito doganale  scarsissima; maggiore  quella nel settore delle imposte sui redditi. Tuttavia, dalle poche sentenze in argomento si pu˜ evincere un dato di fatto assodato, cio che il fattore temporale della dichiarazione in dogana assume molta rilevanza. Stando alla sentenza della Corte di cassazione 27 marzo 2013, n. 7716, il transfer pricing che sia effettuato dalle societˆ del gruppo successivamente alla dichiarazione presentata in dogana  irrilevante ai fini dei dazi doganali. In altri termini, non pu˜ essere effettuata una rettifica nŽ dĠufficio nŽ su istanza di parte, che sia basata su aggiustamenti di prezzo che le societˆ del gruppo abbiano effettuato mediante accordi contrattuali stipulati, in seguito alla dichiarazione doganale, che aggiustino il prezzo dichiarato in dogana. In assenza di quellĠaccordo, se non sussistono altre condizioni, lĠaccordo dichiarato  accettato. In ogni caso, il sistema, afferma la Corte di cassazione,  impostato nel senso che il valore doganale  un valore puntuale, cio  il valore che ha la merce al momento della transazione effettuata per lĠimportazione. Ci˜ esclude che il transfer pricing sia rilevante giuridicamente quando il fenomeno si venga a creare successivamente alla dichiarazione doganale. 11. LĠonere della prova. Questo  uno dei pochi problemi specifici di anomalia che  stato risolto dalla giurisprudenza. Si potrebbe dire che sussiste il regime ordinario per lĠonere della prova, per cui spetta al dichiarante denunciare il valore, mentre incombe sullĠautoritˆ doganale lĠonere di contestazione sulla base di dubbi fondati: essa deve fornire la dimostrazione della fondatezza dei dubbi, attraverso le informazioni fornite dal dichiarante oppure mediante elementi conoscitivi tratti da altre fonti che attestino lĠinfluenza della relazione soggettiva sul prezzo. é bene precisare che si discute ampiamente in dottrina sullĠidentificazione delle informazioni del dichiarante di cui lĠautoritˆ doganale pu˜ tener conto, perchŽ  attuale il problema dellĠefficacia probatoria dei documenti relativi alle politiche strategiche del gruppo relative al transfer pricing che vengono elaborate per iscritto dal gruppo di imprese per dimostrare il valore normale in caso di contestazione da parte dellĠAgenzia delle entrate per le imposte sui redditi. Riterrei che sarebbe bene che questi documenti potessero e dovessero essere valutati anche dallĠautoritˆ doganale, ovviamente secondo i criteri imposti dalla legge per il diritto doganale. Sarˆ, quindi, onere del gruppo dĠimpresa elaborare quei documenti per tener conto della diversitˆ delle discipline che abbiamo visto esser ineliminabile al momento attuale. Sarebbe anche opportuno, perci˜, che nel settore doganale si estendesse quella norma, contenuta nellĠart. 26.1 DL 31 maggio 2010, n. 78, convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122, introduttiva del comma 2-ter nellĠart. 1 DLgs 18 dicembre 1997, n. 471 (21), in base alla quale non si applicano le sanzioni previste dal comma 2, nellĠipotesi in cui, ove lĠAgenzia delle entrate ritenesse non corretta la stima del valore di transazione in conformitˆ al valore normale, il gruppo di societˆ presenti preliminarmente allĠAgenzia delle entrate propri documenti sul transfer pricing; si premierebbe cos“ il comportamento leale (21) LĠart. 26.1 DL 31 maggio 2010, n. 78,  cos“ formulato: <<1. A fini di adeguamento alle direttive emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, all'articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 2-bis,  inserito il seguente: Ç2-ter. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell'ambito delle operazioni di cui all'articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell'accesso, ispezione o verifica o di altra attivitˆ istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate idonea a consentire il riscontro della conformitˆ al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne apposita comunicazione all'Amministrazione finanziaria secondo le modalitˆ e i termini ivi indicati. In assenza di detta comunicazione si rende applicabile il comma 2È. DOTTRINA 247 di ostensione anticipata delle imprese nei confronti dellĠautoritˆ fiscale. Le autoritˆ doganali godono di amplissimi poteri nellĠassumere le informazioni, ma non si pu˜ arrivare, a mio avviso, fino al punto di obbligare le imprese a mostrare la documentazione preventivamente creata per supportare il valore di transazione della merce per la compravendita infragruppo, perchŽ vale il principio nemo tenetur se detegere, cio nessuno pu˜ essere obbligato a denunciare se stesso. Tuttavia, la fornitura di questi documenti dovrebbe essere apprezzata come comportamento leale nei confronti dellĠautoritˆ fiscale. Si potrebbe, inoltre, suggerire che un altro elemento di prova per la aderenza alla realtˆ di mercato del valore doganale dichiarato nellĠoperazione infragruppo possa essere desunto dal bilancio di societˆ - in particolare delle societˆ di capitale italiane, ma discorso analogo si potrebbe fare per le societˆ europee - visto che i bilanci delle societˆ di capitali sono stati oggetto di uniformazione nel diritto comunitario. Mi riferisco allĠart. 2428, n. 2, cc, nel quale si prevede che allĠinterno della relazione di gestione, scritta dagli amministratori della societˆ, siano illustrati i rapporti infragruppo. Se gli amministratori delle societˆ non si limitassero ad intendere formalisticamente questa previsione, cio nel senso che sarebbe loro prescritto solamente di enunciare i rapporti di gruppo, ovverosia lĠappartenenza di gruppo, ma anche dĠillustrare in concreto come si svolgano i rapporti di gruppo, si potrebbe ben pensare che assumano rilevanza nella relazione di gestione anche le politiche di prezzo assunte dal gruppo e dovrebbero, quindi, anchĠesse essere espresse almeno nelle loro linee essenziali. Le autoritˆ doganali ne trarrebbero un ausilio per la valutazione del valore di transazione effettivamente corretto. 12. La prova dellĠabuso di diritto. Un secondo problema merita attenta considerazione: muovendosi sempre nel campo patologico, non  ben chiaro se debba essere data la prova dellĠabuso del diritto, se cio lĠartificiositˆ del prezzo debba essere collegato con la volontˆ di ottenere un vantaggio fiscale ingiustificato economicamente. Non  ben chiaro, infatti, se lĠonere della prova riguardi soltanto la normalitˆ e lĠaccettabilitˆ del valore di transazione rispetto al valore normale tra soggetti indipendenti o se debba essere dimostrato anche lĠintento elusivo; o se il contribuente possa giustificare lĠoperazione, cio l'accettabilitˆ del prezzo, soltanto sulla base di criteri prettamente oggettivi, cio la comparazione con le altre transazioni secondo i metodi previsti dalla legislazione doganale o se possa essere utile per lui anche fornire la giustificazione economica di un siffatto valore anomalo. In altri termini, ci si domanda se lĠanomalia possa venir meno anche quando il valore si discosti eccessivamente, quindi non sia vicino a quello normale, qualora il contribuente possa fornire quella giustificazione economica che pu˜ sussistere relativamente ad obiettivi, non fiscali, della politica dei prezzi. Resta, comunque, fermo che gli elementi forniti dallĠAgenzia delle dogane non costituiscono una presunzione assoluta, ma una presunzione relativa, cosicchŽ  lasciata al contribuente la possibilitˆ di fornire prova contraria: la scelta se attribuire o no un peso alla giustificazione economica e, quindi alla natura del valore non abusivo del valore doganale dichiarato, dipende dalla nozione che si abbia della funzione dellĠistituto. Questo ha dei riflessi molto importanti anche relativamente al collegamento con il principio di capacitˆ contributiva, perchŽ, se il contribuente potesse fornire la giustificazione di un valore anomalo sulla base di ragioni economiche, lĠimposizione sarebbe effettivamente pi aderente alla sua capacitˆ contributiva; se, invece, ci˜ fosse impedito, e tanto pi nel regime interno di transfer pricing nellĠimposizione sui redditi che fa riferimento alla media dei valori, la capacitˆ contributiva tenderebbe a tramutarsi in una capacitˆ contributiva categoriale, sulla cui compatibilitˆ con la Costituzione si potrebbero nutrire seri dubbi, proprio in quanto categoriale, derivante cio da una media. Questo indurrebbe, quindi, a ritenere che si debba riconoscere al contribuente la possibilitˆ di fornire una giustificazione economica del fenomeno e che, pertanto, ci˜ possa rendere accettabile lĠaggiustamento del prezzo ancorchŽ non sia vicino a quello assunto come normale. Nel campo doganale, per˜, questa conclusione sembra contrastata dal diritto positivo, perchŽ, come ho evidenziato precedentemente, lĠart. 29 del Regolamento del 1992 definisce come accettabile, cio non influenzato dal transfer pricing, il valore che  molto vicino al prezzo di confronto. Questo  un dato oggettivo: a prescindere dalle ragioni economiche, il valore dichiarato devĠessere molto vicino, altrimenti il prezzo  anomalo e, quindi, non pu˜ essere accettato. E ci˜ dˆ complessivamente maggior certezza al sistema. Data lĠassenza di giurisprudenza in argomento, non posso che evidenziare la problematica, senza pretendere di fornire soluzioni definitive, e segnalare quindi che il tema dellĠonere della prova si presenta come un campo ancora tutto da arare. 13. Il concetto di legame. Tra le anomalie va inclusa anche lĠinterpretazione estensiva o restrittiva del concetto di legame, traendo spunto dalla giurisprudenza di legittimitˆ in materia doganale, nella quale si sostiene che dovrebbe essere adottata lĠinterpretazione la pi restrittiva possibile, perchŽ per lĠart. 143 DAC sono legate soltanto le imprese che presentano i rapporti descritti in un elenco, che, pur presentandosi come tassativo,  cos“ lungo che il concetto adottato ne risulta vastissimo, come ho giˆ avuto modo di sottolineare. Un altro spunto problematico  tratto dalla sentenza del 1980, n. C/111/79 della Corte di giustizia europea, la quale precisa che nel transfer pricing, perchŽ sia accettabile il valore, lĠautonomia commerciale  necessaria, ma non  DOTTRINA 249 sufficiente. La giurisprudenza comunitaria attribuisce rilevanza giuridica ad un fatto indice, al fine di giudicare anomalo il prezzo, per contrastare il cui valore probatorio appare doversi fornire una prova diabolica: anche se il contribuente dimostrasse che esiste effettivamente unĠautonomia commerciale tra le societˆ del gruppo, un prezzo sensibilmente inferiore a quello normale  considerato indice prevalente di relazioni finanziarie e commerciali o di altro genere che influenzano comunque il prezzo in maniera anomala. Se non incorro in qualche abbaglio, la sentenza risulta stranamente argomentata sotto il profilo logico, perchŽ, se cĠ autonomia commerciale riconosciuta,  difficile dire che il prezzo  anomalo solo perchŽ  inferiore, deducendone la mancanza di autonomia commerciale. Un altro tema interessante sotto lĠaspetto patologico  quello della similaritˆ dei beni. Ci si domanda se questa qualitˆ dei beni debba essere intesa nella prospettiva della natura delle cose o se si debba considerare rilevante anche la similaritˆ del mercato di vendita. Infatti, due merci, che pure possano essere considerate fisicamente uguali, potrebbero essere completamente diverse e, quindi, avere prezzi diversi in mercati di vendita distinti. Si assuma ad esempio la differenza che  stata introdotta nel mercato delle sigarette elettroniche, in cui in un primo tempo, ai fini dellĠimposta diretta sono state rese oggetto dĠimposizione i caricabatterie, che possono essere utilizzati anche per altri scopi, qual  quello della ricarica dei telefonini. Tuttavia, quando - da una legge per la veritˆ dichiarata poi incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 15 maggio 2015, n. 83 - venivano venduti insieme alle sigarette elettroniche, i caricabatterie subivano unĠimposizione che non si applicava quando li si vendevano in un ordinario negozio di materiale elettrico. Trasferiamoci ora nel settore del diritto doganale; il produttore potrebbe differenziare i prezzi anche a seconda del mercato di destinazione: se il carica-batterie fosse stato destinato a un mercato (nellĠesempio, il mercato delle sigarette elettroniche) cui si applica unĠimposta indiretta che in un altro mercato non figura, potrebbe praticare un prezzo diverso - pi alto o pi basso - per tener conto del fatto che ivi ci si imbatte in unĠimposta altrove inesistente. Potrebbe essere questa una politica di prezzi giustificatissima dal punto di vista economico, che induce a ritenere che la similaritˆ dei beni, di cui parla il diritto doganale, non sia solo una similaritˆ nel senso merceologico del termine, nel senso fisico caratteristico della natura delle cose, ma anche nel senso commerciale del mercato di sbocco, del luogo nel quale la merce  destinata ad essere venduta. C) Conclusione. A conclusione del cammino percorso si pu˜ ritenere che sia verificata lĠipotesi iniziale che il valore doganale nel transfer pricing sia un istituto giuri dico in senso proprio, perchŽ si  potuto fornire, dopo lĠiniziale descrizione del fenomeno, la sua definizione, sia positiva sia negativa e contrappositiva; attraverso lĠanalisi interpretativa strutturale, poi, si sono individuati gli elementi che ne compongono la struttura, mentre la successiva analisi interpretativa funzionale ha consentito di evidenziarne gli effetti, lo scopo e il fondamento. Cos“ esaurito il profilo di normalitˆ del regime del valore doganale nel transfer pricing, si sono, infine, illustrati alcuni dei principali aspetti di anomalia dellĠistituto in connessione con i problemi processuali che sono ad essi collegati. Insomma, il sistema subnormativo che regola il valore doganale nel transfer pricing, alimentato dai tre fondamentali formanti del diritto -normazione, dottrina e giurisprudenza - ne fanno un istituto autonomo. BIBLIOGRAFIA ARROYO PƒREZ, Eduardo Boltzmann. La termodinamica e lĠentropia. LĠuniverso morirˆ di freddo. Milano, RBA Italia, 2013, 65 ss. AVOLIO, Diego - SANTACROCE, Benedetto - SBANDI Ettore La Corte di cassazione esclude il rimborso dei dazi in eccedenza per rettifiche "transfer pricingÓ, in Corriere tributario 2013, 2217 ss. BALLANCIN, Andrea Natura e ratio della disciplina italiana sui prezzi di trasferimento internazionali, in Rassegna tributaria 2014, 1 ss. 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CGUE 5 dicembre 2002, in causa C-379/00. CGUE 20 novembre 2003, in causa C-152/01. CGUE 16 gennaio 2003, in causa C-422/00. CGUE 20 ottobre 2005, in causa C-486/03. CGUE 23 febbraio 2006, in causa C-491/04. CGUE 16 novembre 2006, in causa C-306/04. CGUE 6 novembre 2008, in causa C-248/07. CGUE 19 marzo 2009, in causa C-256/07. CGUE 15 luglio 2010, in causa C-354/09. CGUE 12 dicembre 2013, in causa C-116/12. CGUE 27 febbraio 2014, in causa C-571/12. CGUE 13 marzo 2014, in causa C-29/13 e C-30/13. CGUE 25 giugno 2015, in causa C-187/14. CGUE 21 gennaio 2016, in causa C-430/14. DOTTRINA 253 Gli effetti dellĠannullamento dellĠaggiudicazione sul contratto Alfonso Mezzotero* e David Romei** SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La tesi dellĠannullabilitˆ del contratto - 3. La tesi della nullitˆ del contratto - 4. La tesi dellĠinefficacia del contratto - 5. La tesi della caducazione automatica del contratto - 6. La soluzione accolta dal legislatore - 7. Le sanzioni alternative 8. I profili risarcitori. 1. Premessa. Particolarmente dibattuto negli ultimi anni, anche in ragione della sua estrema rilevanza pratica,  il tema delle conseguenze determinate dallĠannullamento giurisdizionale dellĠaggiudicazione sulla sorte del contratto medio tempore stipulato dallĠAmministrazione. La questione, prima dellĠabrogazione a far data dal 19 aprile 2016 (1), rinveniva una sua espressa disciplina negli artt. 245-bis e 245-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice degli appalti), che contenevano delle mere norme di rinvio alle norme dettate sul punto dal codice del processo amministrativo. In particolare, il rinvio  agli artt. 121 e 122 c.p.a., i quali, a loro volta, riproducono il testo degli artt. 245-bis e 245-ter cod. app. cos“ come riscritti dal legislatore a seguito del recepimento della direttiva ricorsi operata con il d.lgs. n. 53/2010. Le norme del codice del processo amministrativo costituiscono la risposta positiva del legislatore alla nota querelle che ha lungamente diviso tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, circa la patologia che affligge il contratto allorquando il procedimento amministrativo prodromico alla sua stipulazione venga caducato dallĠautoritˆ giudiziaria ovvero dalla stessa amministrazione stipulante in via di autotutela. In questa sede non si analizzeranno i risvolti di carattere processuale che la problematica assume con riferimento al profilo del riparto di giurisdizione e, segnatamente, relativamente allĠindividuazione del giudice competente a decidere sulla sorte del contratto stipulato successivamente allĠannullamento (giurisdizionale o in autotutela) dellĠaggiudicazione definitiva (2), ma ci si soffermerˆ esclusivamente sui profili di diritto sostanziale della problematica e, in particolare, sulla natura del vizio che inficia il contratto in conseguenza (*) Avvocato dello Stato. (**) Avvocato. (1) Il d.lgs. n. 163/2006  stato abrogato dallĠart. 217, comma 1, lett. e), d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50 (in Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n. 10) contenente il nuovo codice dei contratti pubblici. (2) Per un approfondimento sul tema, ci si permette di rinviare a MEZZOTERO - ROMEI, Il riparto di giurisdizione e gli strumenti di tutela, in Appalti e contratti pubblici. Commentario sistematico, a cura di F. SAITTA, Padova, 2016, ove ampi richiami di dottrina e giurisprudenza. dellĠannullamento dellĠaggiudicazione, secondo le teorie nel tempo elaborate. 2. La tesi dellĠannullabilitˆ del contratto. La tesi pi risalente, tradizionalmente fatta propria dalla giurisprudenza ordinaria, riteneva che il contratto stipulato a seguito dellĠannullamento del provvedimento di aggiudicazione divenisse annullabile ai sensi dellĠart. 1441 c.c. (3). Tale teoria muoveva dalla considerazione per cui gli atti amministrativi che precedono la stipulazione dei contratti conclusi jure privatorum dalla pubblica amministrazione rappresenterebbero dei meri mezzi di integrazione della capacitˆ e della volontˆ dellĠente stesso, sicchŽ i relativi vizi, attenendo alla capacitˆ e volontˆ dellĠente pubblico, non avrebbero potuto che comportare lĠannullabilitˆ (relativa) del contratto. Il fondamento della richiamata impostazione risiedeva nella considerazione secondo cui le norme che disciplinano le procedure ad evidenza pubblica sarebbero poste esclusivamente a tutela dellĠinteresse dellĠamministrazione, considerato che la loro funzione preminente sarebbe quella di assicurare la corretta formazione della volontˆ della parte pubblica nella scelta del miglior contraente possibile fra tutti i partecipanti alla gara (4). Ne derivava che, in ossequio alle regole civilistiche poste in materia di annullabilitˆ, il vizio inficiante il contratto sarebbe stato deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto dal soggetto nel cui interesse erano poste le norme sullĠevidenza pubblica violate, ovverosia il medesimo ente pubblico contraente (5), non potendo, di contro, derivare dallĠannullamento dellĠaggiudicazione alcun effetto caducatorio automatico sul negozio. Al terzo non aggiudicatario (che pure aveva ottenuto lĠannullamento giurisdizionale dellĠaggiudicazione illegittimamente disposta) la tesi in esame accordava una tutela meramente risarcitoria, non rientrando questi tra i soggetti legittimati ad agire al fine di ottenere lĠannullamento del contratto. Corollario della su esposta impostazione era la possibilitˆ attribuita alla (3) Cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13296, in Giust. civ. Mass., 2012, 7-8, 973 e in Giust. civ., 2013, 11-12, I, 2549; id., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8707, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 616; id., sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21265, ivi, 2007, 10 e in Giust. civ., 2008, 2, I, 357; id., sez. I, 30 luglio 2002, n. 11247, in Giust. civ. Mass., 2002, 1402; id., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269, in Contratti, 1997, 128, con nota di MUCIO e in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 518, con nota di SALANITRO; id., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2842, in Giust. civ. Mass., 1996, 453 e in Foro it., 1996, I, 2054; id., sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1885, ivi, 1995, 398. (4) In tal senso Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2000, n. 14901, in Giust. civ. Mass., 2000, 2358. (5) A sostegno della teoria dellĠannullabilitˆ si v. S.S. SCOCA, Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, 164 e ss.; GOISIS, In tema di conseguenze sul contratto dellĠannullamento del procedimento di aggiudicazione conclusivo di un procedimento ad evidenza pubblica e di giudice competente a conoscerne, in Dir. proc. amm., 2004, 214 e ss.; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, 1988, II, 847 e ss.; S. BUSCEMA - A. BUSCEMA, I contratti della pubblica amministrazione, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da SANTANIELLO, Padova, 1987, 22 e ss. DOTTRINA 255 stazione appaltante di convalidare il contratto illegittimamente concluso in applicazione del disposto di cui allĠart. 1444 c.c. (6). NellĠambito dei sostenitori della c.d. tesi tradizionale, era possibile, ad ogni modo, riscontrare una serie diversificata di posizioni interpretative in ordine allĠinquadramento teorico dellĠannullabilitˆ relativa. Per un primo indirizzo, lĠannullabilitˆ che vizierebbe il contratto in seguito allĠannullamento dellĠaggiudicazione sarebbe stata riconducibile ad unĠipotesi di incapacitˆ a contrarre ai sensi dellĠart. 1425 c.c. Un differente orientamento, invece, riconduceva lĠannullabilitˆ ad un vizio del consenso dellĠamministrazione e, segnatamente, alla fattispecie del- lĠerrore essenziale e riconoscibile disciplinata dagli artt. 1428 e 1429 c.c. (7). Infine, unĠisolata e pi risalente impostazione (peraltro, autorevolmente sostenuta), muovendo dalla premessa secondo cui tutti i vizi della procedura ad evidenza pubblica si tradurrebbero automaticamente in un difetto di potere rappresentativo dellĠente pubblico, inquadrava la fattispecie in esame nella disciplina del contratto concluso dal falsus procurator (8). Nella congerie di teorie emerse non  mancato chi, dubitando della correttezza sistematica delle su esposte posizioni, opinava nel senso che la figura dellĠannullabilitˆ relativa non potesse essere ricondotta solo ai tipici vizi della volontˆ contemplati dal codice civile (errore, violenza e dolo), ma avesse carattere pi ampio ricollegandosi ad un vizio ÒatipicoÓ, soltanto indirettamente riconducibile ad un difetto di volontˆ dellĠamministrazione (9), sicchŽ lĠinvaliditˆ da esso derivante doveva essere pi correttamente inquadrata in un tertium genus di annullabilitˆ relativa peculiare dei soli contratti pubblici in seguito allĠannullamento degli atti di gara (10). Malgrado la teoria (tradizionale) dellĠannullabilitˆ abbia lungamente prevalso nella giurisprudenza civile, ben presto la dottrina, sulla scia di diverse pronunce del Consiglio di Stato (11), ha rivisitato in chiave critica tale approccio dogmatico (12). (6) Cfr. Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2004, n. 19617, in Giust. civ. Mass., 2004, 11; id. 28 marzo 1996, n. 2842, in Foro it., 1996, I, 2054. (7) Cfr. in questo senso Cass. civ., sez. un., 20 marzo 1986, n. 2091, in Giust. civ. Mass., 1986, 3, in Giust. civ., 1986, I, 1273 e in Foro it., 1986, I, 904.; id., sez. I, 28 settembre 1984, n. 4820, in Giust. civ. Mass., 1984. (8) M.A. SANDULLI, Deliberazione di negoziare e negozio di diritto privato della P.A., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, 1 e ss. (9) VALAGUZZA, Illegittimitˆ della procedura pubblicistica e sue interferenze sulla validitˆ del contratto, in Dir. proc. amm., 2004, I, 284 e ss. (10) In senso critico rispetto alla ricostruzione dellĠannullabilitˆ del contratto quale conseguenza di un vizio atipico della volontˆ della p.a., VALAGUZZA, op. cit., 285 e ss.; GRECO, I contratti dellĠAmministrazione tra diritto pubblico e diritto privato. I contratti ad evidenza pubblica, Milano, 1986, 132 e ss. (11) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465, in Riv. giur. edil., 2004, I, 2079; id., sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7470, in Foro amm. CdS, 2003, 3413; id., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, in Dir. proc. amm., 2004, 177, con nota di GOISIS; id., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218, in Riv. trim. app., 2003, 78. In particolare, le maggiori perplessitˆ nei confronti della tesi dellĠannullabilitˆ si sono appuntate su tre aspetti principali. Anzitutto, appariva scorretto lĠassunto di partenza, secondo cui le norme sullĠevidenza pubblica sarebbero poste a tutela esclusiva dellĠinteresse pubblico alla corretta formazione della volontˆ negoziale della p.a. Invero, comĠ noto, tali norme, lungi dallĠessere preordinate alla tutela esclusiva del contraente pubblico, hanno portata molto pi ampia, essendo poste a presidio dei principi di concorrenzialitˆ e libertˆ del mercato, oltre che della sfera giuridica degli operatori di mercato che partecipano alle procedure ad evidenza pubblica, trovando il loro fondamento nei principi di imparzialitˆ e buon andamento della p.a. sanciti dallĠart. 97 Cost. (13) (14). Parimenti criticabile era anche lĠosservazione - pure sostenuta dai fautori della tesi tradizionale - per cui il procedimento ad evidenza pubblica dovesse essere qualificato, sul piano strettamente civilistico, come una complessa manifestazione di volontˆ contrattuale della p.a. Come giˆ evidenziato, infatti, il procedimento ad evidenza pubblica  preordinato non soltanto alla tutela dellĠinteresse pubblico generale, ma anche (12) Per unĠapprofondita ricostruzione delle principali obiezioni mosse alla teoria dellĠannullabilitˆ si veda BENETAZZO, Contratti della P.A. e annullamento dellĠaggiudicazione, Padova, 2012; CARINGELLA, Rapporti tra annullamento della gara e sorte del contratto, in I contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura, a cura di DE NICTOLIS, Milano, 2007, 726 e ss.; CINTIOLI, Annullamento dell'aggiudicazione, buona fede e metodo giuridico, in www.giustizia-amministrativa.it; CARPENTIERI, Annullamento dellĠaggiudicazione e contratto (Nota a Cons. St., Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666), in Giorn. dir. amm., 2004, 17 e ss. (13) Cfr., tra i tanti, CARINGELLA, Rapporti tra annullamento della gara e sorte del contratto, cit., 726; CHIEPPA - LOPILATO, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, 478 e ss.; TRIMARCHI BANFI, Questioni in tema di contratti di diritto privato dellĠamministrazione pubblica, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, Modena, 1996, IV, 1676 e ss.; CALENDA, I contratti pubblici, in Il contratto, a cura di BUFFONE - DE GIOVANNI - NATALI, Padova 2013, 1702 e ss. Nello stesso senso anche Corte cost., 14 dicembre 2007, n. 431, in Giur. cost., 2007, 6 e in Foro amm. CdS, 2007, 12, 3359, secondo cui Ònel settore degli appalti pubblici, la disciplina delle procedure di gara e in particolare la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertˆ di stabilimento, nonchŽ dei principi costituzionali di trasparenza e paritˆ di trattamento. Esse, in quanto volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono dunque riconducibili all'ˆmbito della tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, di esclusiva competenza del legislatore stataleÓ; id., 23 novembre 2007, n. 401, in Foro it., 2008, 6, 1787; id., 15 novembre 2004, n. 345, in Giur. cost., 2004, 6, 3839, con nota di FARES, e in Foro amm. CdS, 2004, 3069, con nota di NISPI LANDI. (14) In tal senso si v. anche Cons. St., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, cit., secondo cui Òle norme sullĠevidenza pubblica interna e comunitaria, plasmano allora un complesso rapporto amministrativo in seno al quale lĠamministrazione aggiudicatrice  soggetto in certa misura passivo, obbligato allĠosservanza di norme poste a tutela di un interesse anche trascendente quello specifico del singolo contraente pubblico in quanto collegato al valore imperativo della concorrenza e, quindi, anche allĠinteresse particolare delle imprese che sono tutelate dalle prescrizioni volte alla tutela ed alla stimolazione della dinamica competitivaÓ. DOTTRINA 257 alla garanzia delle posizioni soggettive dei partecipanti alla gara in ossequio ai principi del favor partecipationis e della par condicio competitorum. Sul piano dellĠeffettivitˆ della tutela delle posizioni soggettive, appariva, poi, incongruo, sotto il profilo dellĠequitˆ sostanziale e dellĠeffettivitˆ della tutela giurisdizionale, che lĠunico soggetto legittimato ad agire per far dichiarare la violazione delle norme sullĠevidenza pubblica e, conseguentemente, ottenere la caducazione del contratto medio tempore stipulato fosse la stessa parte (la pubblica amministrazione) che, attraverso il suo contegno, aveva provocato il vizio del negozio. Analogamente irragionevole appariva, infine, accordare al terzo non aggiudicatario una tutela meramente patrimoniale. Tale limitata forma di ristoro frustra, evidentemente, la posizione soggettiva del terzo non aggiudicatario, il quale, pur risultando vittorioso allĠesito del giudizio impugnatorio del provvedimento di aggiudicazione, avrebbe potuto ottenere soltanto la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno patito, senza poter aspirare al conseguimento del bene della vita costituito dallĠaggiudicazione della commessa. 3. La tesi della nullitˆ del contratto. Le critiche mosse alla tesi dellĠannullabilitˆ del contratto furono ben presto recepite dalla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, nonchŽ da parte della dottrina, le quali hanno elaborato ricostruzioni del fenomeno alternative alla teoria tradizionale. La pi risalente di queste soluzioni riteneva che il vizio che colpiva il contratto in seguito allĠannullamento dellĠaggiudicazione dovesse essere inquadrato in termini di nullitˆ (15). Tale interpretazione traeva spunto da un duplice ordine di considerazioni: in primis, si sosteneva che gli atti della procedura ad evidenza pubblica non rappresentassero meri strumenti di integrazione della volontˆ della stazione appaltante, ma atti costitutivi dellĠassunzione del vincolo contrattuale da parte della stessa; in secundis, veniva evidenziato che le norme sullĠevidenza pubblica sono poste esclusivamente a tutela di interessi superindividuali e indisponibili che lĠamministrazione deve necessariamente osservare anche qualora agisca jure privatorum. Muovendo da tali assunti, la tesi della nullitˆ  stata argomentata seguendo due diversi percorsi ricostruttivi. Secondo un primo indirizzo, lĠinvaliditˆ che inficia il contratto sarebbe una conseguenza diretta della violazione delle norme sullĠevidenza pubblica, le quali, dettando le modalitˆ da seguire nella scelta del contraente, sancirebbero, seppur implicitamente, un divieto assoluto a contrarre con soggetti che siano stati illegittimamente dichiarati aggiudicatari della gara. Da ci˜ consegue (15) Per unĠapprofondita disamina dellĠorientamento in parola si veda BENETAZZO, op. cit., 67 e ss. che lĠannullamento degli atti di gara, provocando la caducazione ex tunc del provvedimento di aggiudicazione, determinerebbe lĠinvaliditˆ originaria del consenso espresso dalla stazione appaltante al momento della conclusione del negozio e, di conseguenza, la nullitˆ del contratto stipulato ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2, e 1325, comma 1, c.c. (16). Questa impostazione - seppur autorevolmente sostenuta -  stata superata dallĠavvento del cod. app. Infatti, lĠart. 11, comma 7, prevede espressamente che lĠaggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dellĠofferta, ponendo, cos“, una netta cesura tra la fase pubblicistica della procedura ad evidenza pubblica e quella privatistica di insorgenza del vincolo negoziale. Una differente ricostruzione riteneva, invece, che il vizio inficiante il contratto dovesse essere ricondotto alla categoria della nullitˆ virtuale per violazione di norme imperative di cui allĠart. 1418, comma 1, c.c. (17). Per i sostenitori di questo filone interpretativo, le norme sullĠevidenza pubblica avrebbero tutte carattere imperativo, essendo poste a garanzia di interessi e diritti superindividuali (quali la libertˆ di concorrenza, la par condicio competitorum, lĠefficienza ed il buon andamento dellĠazione amministrativa) aventi copertura non solo costituzionale (artt. 3, 41 e 97 Cost.), ma anche comunitaria (artt. 2, 3, par. 1, lett. g), e 4 del Trattato CE), la cui violazione non potrebbe che comportare la radicale nullitˆ del contratto, ai sensi dellĠart. 1418, comma 1, c.c. Sebbene avesse lĠindubbio pregio di assicurare una maggiore protezione ai diritti del terzo non aggiudicatario (il quale, dopo aver ottenuto lĠannullamento dellĠaggiudicazione illegittima, avrebbe potuto agire anche al fine di sentir dichiarare la nullitˆ del contratto), la tesi della nullitˆ  stata aspramente criticata dalla dottrina maggioritaria (18). Le maggiori perplessitˆ si sono appuntate su due aspetti fondamentali. Anzitutto,  stato osservato che la nullitˆ costituisce una patologia genetica del contratto che ne condiziona ab origine la validitˆ; viceversa - seguendo la tesi in commento - nella materia dei contratti pubblici lĠinvaliditˆ non deriverebbe da un vizio originario del negozio, ma da un fatto sopravvenuto, ovverosia lĠannullamento dellĠaggiudicazione. In secondo luogo, ritenere che il negozio sia radicalmente nullo compor (16) A sostegno di tale impostazione si veda LOPILATO, Vizi della procedura di evidenza pubblica e patologie contrattuali, in Foro amm. TAR, 2006, 1537 e ss. In tal senso, in giurisprudenza, Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2002, n. 193, in Giust. civ. Mass., 2002, 35; Cons. St., sez. V, 28 marzo 2008, n. 1328, in www.giustizia-amministrativa.it. (17) Cfr. CERULLI IRELLI, LĠannullamento dellĠaggiudicazione e la sorte del contratto, in Giorn. dir. amm., 2002, 1195 e ss.; SATTA, LĠannullamento dellĠaggiudicazione e i suoi effetti sul contratto, in Dir. amm., 2003, 645 e ss. Nello stesso senso anche Cons. St., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218, in Riv. trim. app., 2003, 78. (18) Per una approfondita critica della tesi in esame si veda CARINGELLA, Rapporti tra annullamento della gara e sorte del contratto, cit., 733-735. DOTTRINA 259 terebbe, sul versante processuale, conseguenze inaccettabili per lĠordinamento: lĠimprescrittibilitˆ della relativa azione e la legittimazione generalizzata a far valere lĠinvaliditˆ del contratto. LĠaccoglimento della teoria in esame, consentendo a chiunque vi abbia interesse di poter ottenere la caducazione del contratto anche a distanza di molto tempo dalla sua conclusione, finirebbe, in sostanza, con il minare in radice il principio di certezza dei rapporti giuridici imputabili allĠamministrazione, specie in un settore particolarmente rilevante, anche dal punto di vista economico, qualĠ quello dei contratti pubblici (19). 4. La tesi dellĠinefficacia del contratto. UnĠulteriore impostazione, anchĠessa nata per sopperire alle criticitˆ emerse in seno alla tesi tradizionale, riteneva che, successivamente allĠannullamento dellĠaggiudicazione, il contratto divenisse inefficace (inefficacia relativa). In particolare, secondo i sostenitori della teoria in esame - che trov˜ largo seguito nella coeva giurisprudenza amministrativa (20) - la caducazione, in sede giurisdizionale (o amministrativa), di atti della fase della formazione della volontˆ contrattuale della stazione appaltante finirebbe per privare questĠultima, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare. Pertanto, lĠorgano amministrativo che aveva stipulato il contratto, una volta venuto a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontˆ dellĠamministrazione (come la deliberazione a contrattare, il bando o lĠaggiudicazione), si troverebbe nella condizione di aver stipulato injure, cio, privo della legittimazione che gli  stata conferita dai precedenti atti amministrativi (21). La categoria dogmatica entro cui ricondurre il vizio che inficia il contratto non sarebbe, dunque, lĠannullabilitˆ, bens“ lĠinefficacia. Nei contratti ad evidenza pubblica, infatti, gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validitˆ; i primi condizionerebbero, per˜, lĠefficacia dei secondi, di modo che il contratto diverrebbe ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento venisse meno per una qualsiasi causa (22). (19) Per una ampia difesa della tesi della nullitˆ si veda Cons. St., sez. IV, ord. 21 maggio 2004, n. 3355, in Foro it., 2005, III, 549, con nota di LAMORGESE. (20) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 settembre 2005, n. 5194, in Foro amm. CdS, 2005, 9, 2629, e 2005, 11, 3341, con nota di PERFETTI, Societˆ affidatarie di servizi pubblici locali, partecipazione a gare e tutela della concorrenza; id., 12 novembre 2004, n. 7346, in www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666, in Dir. proc. amm., 2004, 178, con nota di GOISIS; id., sez. IV, ord. 21 maggio 2004, n. 3355, in Foro it., 2005, III, 549, con nota di LAMORGESE, e in Giust. civ., 2005, 9, I, 2205, con nota di MICARI, LĠAdunanza Plenaria di fronte alla problematica ma necessaria sistematicitˆ del diritto (giurisprudenziale) amministrativo; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 22 novembre 2007, n. 6409, in Foro amm. TAR, 2007, 11, 3380. (21) Cfr., sul punto, anche Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1985, n. 5712, in Rass. avv. St., 1986, 1, 208. (22) Cfr. Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1976, n. 1197, in Foro it., 1976, voce Contratti della p.a., n. 11. La teoria in esame presentava lĠindubbio pregio di assicurare maggiore tutela tanto al partecipante ingiustamente pretermesso in sede di gara, quanto ai terzi che avessero acquistato in buona fede dei diritti sulla base di atti compiuti in esecuzione del contratto, favorendo la certezza e stabilitˆ dei rapporti giuridici in cui fosse parte una p.a. Sotto il primo profilo, infatti, essendo il contratto strutturalmente perfetto, ma soltanto improduttivo di effetti, lĠunico soggetto legittimato a dolersi della sua inefficacia relativa sarebbe il terzo (non aggiudicatario) che avesse preventivamente ottenuto lĠannullamento giurisdizionale dellĠaggiudicazione. Nei confronti dei terzi, invece, troverebbe applicazione la disciplina dettata dal codice civile in materia di associazioni e di fondazioni - in quanto esprimente principi generali, applicabili anche alla P.A., quale persona giuridica ex art. 11 c.c., soggetta, quindi, oltre che alle norme di diritto pubblico, anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano le persone giuridiche -in forza della quale lĠannullamento della deliberazione esprimente la volontˆ contrattuale dellĠamministrazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede sulla base di atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima (23). 5. La tesi della caducazione automatica del contratto. Un ultimo orientamento, avallato dalla giurisprudenza amministrativa immediatamente precedente lĠemanazione del cod. app. (24), riteneva che allĠannullamento, giudiziale o in autotutela, dellĠaggiudicazione conseguisse la caducazione automatica degli effetti del contratto, a prescindere, dunque, dal- lĠintermediazione di una pronuncia giurisdizionale sul punto (25). Questa teoria valorizzava lĠesistenza di una connessione funzionale tra la sequenza procedimentale pubblicistica e la conseguente stipulazione del contratto, tale da implicare, in analogia alla figura civilistica del collegamento negoziale, la caducazione del negozio dipendente nel caso di annullamento di quello presupposto, in applicazione del noto principio racchiuso nel brocardo simul stabunt simul cadent (26). (23) A sostegno della tesi della inefficacia relativa, si veda VALLA, Annullamento della procedura di evidenza a monte e sorte del contratto a valle: patologia o inefficacia?, in Urb. e app., 2004, 192 e ss. (24) Cfr. Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 41, in www.giustizia-amministrativa.it; id., 28 settembre 2005, n. 5194, ivi; id., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, cit.; id., 30 maggio 2003, n. 2992, in Dir. e Form., 2003, 1445, con nota di CINTIOLI; id., sez. IV, 14 marzo 2003, n. 1518, ibidem; id., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218, ibidem; id., sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244, in Foro amm., 2000, 108; id., sez. V, 25 maggio 1998, n. 677, ibidem.; id., 29 marzo 1992, n. 435, ibidem. (25) A sostegno della tesi della caducazione automatica, si veda AUDITORE, Caducazione automatica del contratto a seguito di annullamento dellĠaggiudicazione, in Cons. Stato, 2004, I, 1160; SCIARROTTA, Annullamento dellĠaggiudicazione e sorti del contratto, ibidem, 1164. (26) Cfr. Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2007, n. 7481, in Riv. giur. edil., 2007, I, 1280, in Giust. civ. Mass., 2007, 3 e in Foro amm. CdS, 2007, 5, 1398; id., 26 maggio 2006, n. 12629, in Foro it., 2008, 1, DOTTRINA 261 Il venir meno di un atto della sequenza procedimentale ad evidenza pubblica determinerebbe, quindi, la produzione di un effetto viziante Òa cascataÓ, per cui lĠannullamento dellĠatto Òa monteÓ (lĠaggiudicazione) causerebbe, quale conseguenza naturale e indefettibile, quindi senza necessitˆ di una pronuncia che disponesse sul punto, la caducazione automatica dellĠatto Òa valleÓ ad esso conseguenziale (il contratto). A sostegno di tale teoria veniva portato anche un dato di carattere testuale. LĠart. 246, comma 4, cod. app., infatti, nella formulazione antecedente al codice del processo amministrativo, prevedeva che, relativamente alle infrastrutture ed agli insediamenti strategici, la sospensione o lĠannullamento del- lĠaffidamento non comportasse la caducazione del contratto giˆ stipulato. Dalla lettura a contrario della disposizione citata alcuni Autori ricavavano che la regola generale applicabile alla sorte dei contratti a seguito dellĠannullamento dellĠaggiudicazione fosse proprio quella della caducazione automatica, derogabile, per espressa previsione legislativa, soltanto nella materia delle infrastrutture strategiche (27). Sebbene, avesse lĠindubbio pregio di riportare al centro della querelle sulla sorte del contratto lĠinteresse pubblico allĠesecuzione dellĠopera, la tesi in esame ha, nondimeno, destato forti perplessitˆ in dottrina (28), fatte proprie anche da alcune isolate pronunce del Consiglio di Stato (29). In prima battuta,  stato osservato come, giˆ sotto il profilo strettamente lessicale, il termine ÒcaducazioneÓ pecchi di ambiguitˆ, essendo estraneo tanto al lessico proprio del diritto privato, quanto a quello del diritto pubblico. Proprio lĠutilizzo di unĠespressione cos“ ambigua e atecnica sarebbe, dunque, sintomatica dellĠincertezza di fondo cui la stessa ricostruzione sistematica dellĠistituto soggiacerebbe (30). I, 256; id., sez. lav., 24 marzo 2004, n. 5941, in Giust. civ. Mass., 2004, 3, in Foro amm. CdS, 2004, 684 e in Giust. civ., 2004, I, 3205. (27) Disposizione analoga a quella contenuta nella norma citata era quella di cui allĠart. 20, comma 8, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, in l. 28 gennaio 2009, n. 2 (recante ÒMisure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare, in funzione anti-crisi, il quadro strategico nazionaleÓ), il quale, con riferimento alle opere esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale, prevedeva espressamente che Òle misure cautelari e lĠannullamento dei provvedimenti impugnati non comportano, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto giˆ stipulato, e il Giudice che sospende o annulla detti provvedimenti dispone il risarcimento degli eventuali danni solo per equivalenteÓ. (28) Per un critica a questa interpretazione cfr. GRECO, La direttiva 2007/66/CE: illegittimitˆ comunitaria, sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, in www.giustamm.it; F.G. SCOCA, Annullamento dellĠaggiudicazione e sorte del contratto, ibidem; CARPENTIERI, Annullamento dellĠaggiudicazione e contratto, in Giorn. dir. amm., 2004, 1, 22. (29) Cfr., per tutte, sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666, in Dir. proc. amm., 2004, 178, e in Dir. e giust., 2003, 40, 79 con nota di FEA, Annullamento atti di gara e sorte del contratto: ora tocca allĠinefficacia. Nullitˆ, annullabilitˆ e caducazione, strade giˆ percorse. (30) Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 20 luglio 2009, n. 4398, in Foro amm. TAR, 2009, 78, 1970. In secondo luogo, si  rimarcato come la soluzione della caducazione pecchi di eccessiva rigiditˆ, poichŽ configura la privazione degli effetti del contratto come una conseguenza sempre necessaria ed automatica dellĠannullamento dellĠaggiudicazione, senza distinguere a seconda del tipo e della gravitˆ della violazione in cui  incorsa la stazione appaltante, dello stato di (maggiore o minore) avanzamento dellĠesecuzione del contratto, della buona o cattiva fede del terzo aggiudicatario. LĠassenza di graduazione della gravitˆ delle violazioni commesse dalla stazione appaltante, infatti, si pone in netta antitesi con quanto disposto dalla direttiva 2007/66/CE, ove si afferma chiaramente come non ogni violazione del diritto comunitario (ad eccezione della mancata pubblicazione del bando) debba determinare la privazione di effetti del contratto, dovendo essere tale estrema conseguenza il risultato di una valutazione demandata ad un organo di ricorso indipendente dallĠamministrazione aggiudicatrice, che, tenuto conto delle circostanze e degli interessi in gioco, potrebbe anche decidere di mantenere in vita il contratto. In seguito alle insuperabili critiche cui  stata sottoposta, la tesi della caducazione automatica  stata fatta oggetto di un parziale ripensamento in sede pretoria (31). Secondo la rilettura prospettata, i termini della questione dovevano essere ricostruiti alla luce della categoria dellĠinefficacia successiva, che ricorre allorchŽ il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita divenga inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, questĠultima da intendersi come inidoneitˆ funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per lĠincidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con lĠinteresse interno negoziale. Tale interferenza non implicherebbe alcuna alterazione strutturale della fattispecie contrattuale, incidendo unicamente sulla funzione dellĠatto ovvero sul momento effettuale. In questi casi, dunque, ci si troverebbe di fronte ad un contrasto fra situazioni effettuali, non venendo in rilievo lĠatto sotto il profilo genetico (validitˆ o invaliditˆ), bens“ la sua efficacia. LĠinefficacia successiva, al pari della nullitˆ successiva, agirebbe, peraltro, retroattivamente, ma diversamente da questa incontrerebbe un duplice limite: da un lato, quello dellĠintangibilitˆ delle situazioni soggettive che si siano giˆ consolidate in capo ai terzi fino alla proposizione della domanda volta a far dichiarare lĠinefficacia (ex artt. 1452, 1458, comma 2, 1467 e 2901 c.c.); dallĠaltro, e con specifico riferimento ai contratti di durata, la non ripetibilitˆ delle prestazioni giˆ eseguite in esecuzione dellĠaccordo (32). (31) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465, in Giust. civ., 2005, 9, I, 2205, con nota di MICARI, LĠadunanza plenaria di fronte alla problematica ma necessaria sistematicitˆ del diritto (giurisprudenziale) amministrativo, e in Foro amm. CdS, 2004, 1435. DOTTRINA 263 6. La soluzione accolta dal legislatore. La disputa che ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza in ordine alle ricadute dellĠannullamento del provvedimento di aggiudicazione sul contratto medio tempore stipulato ha, infine, trovato una composizione negli artt. 245-bis e 245-ter cod. app. (introdotti dal d.lgs. n. 53/2010), con i quali il legislatore ha recepito i principi dettati dalla seconda direttiva ricorsi in materia. Come accennato supra, le richiamate disposizioni, prima della loro recente abrogazione, contenevano un mero rinvio agli artt. 121 e 122 c.p.a., che disciplinano i casi in cui allĠannullamento dellĠaggiudicazione debba conseguire, quale effetto obbligatorio o meramente eventuale (in relazione alla maggiore o minore gravitˆ delle violazioni procedimentali poste in essere dalla stazione appaltante), lĠinefficacia del contratto (33). Prima di esaminare la disciplina dettata dal codice di rito, occorre premettere che, sebbene le nuove disposizioni si riferiscano esplicitamente allĠinefficacia del contratto a seguito dellĠannullamento dellĠaggiudicazione, il legislatore ha omesso ogni indicazione utile circa il preciso inquadramento concettuale di tale fenomeno nellĠalveo delle tesi dottrinarie richiamate nei precedenti paragrafi. La riflessione dottrinale che ha investito la questione si  attestata su due posizioni antitetiche. Per una prima impostazione, lĠinefficacia del contratto di appalto dovrebbe essere classificata nella species della c.d. inefficacia in senso lato, ovvero in quella conseguente ad un contratto nullo per violazione di norme imperative poste a tutela di interessi pubblici e che atterebbero alla validitˆ del contratto. LĠinefficacia sarebbe, quindi, una conseguenza della nullitˆ del contratto, la quale, a sua volta, discenderebbe dallĠinvaliditˆ del provvedimento di aggiudicazione per violazione di norme del procedimento ad evidenza pubblica. Pertanto, ai fini della declaratoria di inefficacia, sarebbe necessario il preventivo annullamento del provvedimento amministrativo viziato. Tale forma di invaliditˆ si distaccherebbe, dunque, dalla disciplina tradizionale della nullitˆ propria dei contratti di diritto comune, legata alla concezione pandettistica formale che presuppone la sussistenza di un difetto originario e strutturale della fattispecie e cio di un vizio intrinseco alla fattispecie stessa, costituendo, piuttosto, una ipotesi di Ònullitˆ specialeÓ, frutto di (32) A sostegno dellĠinefficacia caducante successiva, si veda GAROFOLI, LĠannullamento del provvedimento di aggiudicazione e la sorte del contratto, in SANDULLI - DE NICTOLIS - GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, 3922 e ss. (33) Per unĠanalitica lettura delle norme in esame si veda DE NICTOLIS, Artt. 121-125, in Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, a cura di A. QUARANTA - V. LOPILATO, Milano, 2010, 1012 e ss. un sindacato complesso in ordine ad una serie di elementi che, pur non attenendo ad un profilo strutturale del contratto, ne possono condizionare il giudizio di validitˆ (34). Pi condivisibilmente,  stato ritenuto che lĠinefficacia prevista dal codice del processo amministrativo debba essere qualificata in termini di inefficacia in senso stretto o da contratto valido. UnĠapprofondita disamina della disciplina delle procedure ad evidenza pubblica che ne valorizzi la struttura bifasica (pubblicistica e privatistica), evidenzia come la connessione esistente tra lĠillegittimitˆ dellĠaggiudicazione e contratto attenga al piano fattuale del rapporto negoziale, non a quello del- lĠatto, sicchŽ il vizio procedimentale non impinge alla struttura del negozio, ma attiene esclusivamente al relativo piano effettuale (35). Questa conclusione , del resto, la sola in grado di fornire una soluzione idonea a consentire il costante bilanciamento degli interessi pubblici che deve guidare lĠinterprete nella valutazione della convenienza della declaratoria di inefficacia del contratto. Sul piano strettamente positivo, lĠart. 121 c.p.a. stabilisce che lĠinefficacia del contratto consegue obbligatoriamente allĠannullamento dellĠaggiudicazione qualora: a) lĠaggiudicazione definitiva sia avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara, quando tale pubblicazione  prescritta dal codice appalti; b) lĠaggiudicazione definitiva sia avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato lĠomissione della pubblicitˆ del bando o avviso con cui si indice una gara, quando questa sia prescritta dal codice appalti; c) il contratto sia stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione dellĠaggiudicazione (c.d. standstill sostanziale), qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilitˆ di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dellĠaggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilitˆ del ricorrente di ottenere lĠaffidamento; d) il contratto sia stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso lĠaggiudicazione definitiva (c.d. standstill processuale), qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dellĠag (34) In tal senso LOPILATO, Categorie contrattuali, contratti pubblici e i nuovi rimedi previsti dal decreto legislativo n. 53 del 2010 di attuazione della direttiva ricorsi, in www.giustizia-amministrativa.it; CARPENTIERI, Sorte del contratto nel nuovo rito sugli appalti, ibidem. (35) ORRô, LĠinefficacia del contratto ad evidenza pubblica tra vecchi problemi e nuove soluzioni normative, in Contratto pubblico e principi di diritto privato, a cura di CICERO, Padova, 2011, 169 e ss. DOTTRINA 265 giudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilitˆ del ricorrente di ottenere lĠaffidamento. DallĠesame del dato testuale di cui allĠart. 121, comma 1, c.p.a. emerge come il legislatore abbia voluto differenziare lĠambito di applicazione del primo gruppo di ipotesi di inefficacia obbligatoria (lett. a) e b)), rispetto a quello previsto dal secondo gruppo (lett. c) e d)). Se, infatti, nel primo caso il meccanismo dellĠinefficacia opera automaticamente al semplice riscontro dellĠomissione della pubblicazione del bando e degli avvisi di gara (36), essendo le violazioni gravi di cui alle lett. a) e b) direttamente ricollegate ad ipotesi in cui la violazione dei principi di trasparenza dellĠazione amministrativa ha leso la correttezza della gara, nel caso della violazione dello standstill (tanto sostanziale che processuale) la norma richiede un quid pluris, consistente nellĠaccertamento della contemporanea sussistenza di altre due condizioni: da un lato, lĠidoneitˆ causale della violazione a privare il concorrente della possibilitˆ di avvalersi dei mezzi di tutela e, dallĠaltro, il sacrificio, o comunque la compromissione, della sua possibilitˆ di conseguire lĠaggiudicazione, dovuta non solo alla violazione dello standstill, ma anche ad ulteriori vizi propri dellĠaggiudicazione (37). Ne discende che la semplice violazione dei termini di standstill, non accompagnata dalla compresenza degli ulteriori elementi previsti dallĠart. 121, comma 1, lett. c) e d), c.p.a., Òimporrˆ, di fatto, una derubricazione della vio (36) In questo senso, POLITI, op. cit.; LAMBERTI, LĠannullamento dellĠaggiudicazione e la sorte del contratto nel codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it. In senso contrario Cons. St., sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6374, in Foro amm. CdS, 2012, 12, 3283, secondo cui Òdopo lĠentrata in vigore delle disposizioni attuative della direttiva 2007/66/Ce, ora riprese negli artt. 121 e 122 c.p.a., in caso di annullamento giudiziale dellĠaggiudicazione di una pubblica gara, spetta al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente (anche nei casi di violazioni gravi) se mantenere o meno lĠefficacia del contratto nel frattempo stipulato. Tale sistema normativo, in base al quale lĠinefficacia del contratto non  conseguenza automatica dellĠannullamento dellĠaggiudicazione, ma costituisce oggetto di una specifica pronuncia giurisdizionale, si pone come innovazione rispetto alla logica sequenza procedimentale che vede la privazione degli effetti del contratto strettamente connessa allĠannullamento dellĠaggiudicazione, e da questa dipendente. La caducazione del contratto stipulato a seguito dellĠaggiudicazione poi annullata costituisce, quindi, in via generale, la conseguenza necessitata dellĠannullamento: di tale conseguenza lĠart. 122 c.p.a. costituisce una deroga, imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettivitˆÓ. Nello stesso senso, id., sez. III, 1 aprile 2016, n. 1308, in www.giustizia-amministrativa. it; id., sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4585, ibidem; id., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, ibidem; id., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4752, in Foro amm. CdS, 2013, 9, 2509; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 9 ottobre 2013, n. 1378, in Foro amm. TAR, 2013, 10, 3185; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 8 marzo 2011, n. 2122, ivi, 2011, 3, 879; T.A.R. Toscana, sez. I, 27 gennaio 2011, n. 154, in D&G - Dir. e Giust., 2011. (37) Cfr. POLITI, op. cit. In tal senso anche la giurisprudenza amministrativa: cfr., ex plurimis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 gennaio 2016, n. 2, in Foro amm., 2016, 1; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 25 giugno 2013, n. 610, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 1846; id., 18 aprile 2013, n. 363, ibidem, 4, 1115; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-bis, 30 maggio 2011, n. 4842, ivi, 2011, 7-8, 2583; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 20 ottobre 2010, n. 942, in Guida al dir., 2010, 45, 85, con nota di GIUNTA. lazione (riguardata con riferimento agli effetti indotti sullo strumento negoziale) verso lĠambito dispositivo di cui al comma 1 del successivo art. 122, ampliando, corrispondentemente, la latitudine dellĠapprezzamento del Giudice e, con essa, lĠespansione del potere (di merito) in materia veicolante la conclusiva determinazione giudizialeÓ (38). Malgrado la regola generale tratteggiata dal codice di rito sia quella della privazione degli effetti del contratto nelle ipotesi di gravi violazioni procedi- mentali, nondimeno, nel successivo comma 2 dellĠart. 121 c.p.a., il legislatore ha introdotto una norma di salvaguardia al fine di garantire il pi possibile la sopravvivenza del contratto, con ci˜, di fatto, dilatando enormemente lĠambito dei poteri concessi al giudice (39). Tale norma stabilisce, infatti, che anche in presenza delle violazioni di cui al comma 1, rimane attribuita al giudice la possibilitˆ di far salva lĠefficacia del contratto, qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Come acutamente rilevato (40), lĠinteresse generale che giustifica il mantenimento in vita del contratto pur a fronte della violazione delle norme sul procedimento e, indirettamente, dei principi di trasparenza e concorrenzialitˆ devĠessere inteso come quello dellĠintera collettivitˆ alla celere realizzazione delle opere pubbliche e non come interesse della sola stazione appaltante. Tra le esigenze imperative che giustificano una deroga al principio del- lĠinefficacia del contratto nel caso di gravi violazioni procedimentali (esemplificativamente elencate dal legislatore), il codice indica, anzitutto, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dallĠesecutore attuale (41). In queste ipotesi, il giudice dovrˆ operare un apprezzamento tecnico- discrezionale tramite il quale valutare se la residua parte dellĠopera non possa che essere eseguita dallĠaggiudicatario in ragione della particolaritˆ dellĠoggetto, della tipologia dei lavori o della loro durata. Di contro, gli interessi economici della stazione appaltante potranno essere valutati in termine di esigenze imperative soltanto in circostanze eccezionali in cui lĠinefficacia del contratto stesso condurrebbe a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo allĠeventuale mancata proposizione della (38) Cos“ POLITI, op. cit. (39) Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 11 novembre 2013, n. 2746, in Foro amm. TAR, 2013, 11, 3570. (40) DE NICTOLIS, Artt. 121-125, cit., 1022. (41) Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 11 novembre 2013, n. 2746, in Foro amm. TAR, 2013, 11, 3570, secondo cui fra le esigenze imperative, incluse quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo (art. 121, comma 2, c.p.a.), devono ricomprendersi quelle connesse allĠipotesi in cui il contratto sia stato da tempo eseguito e sia da tempo intervenuto il collaudo e lĠutilizzo della fornitura da parte dellĠamministrazione. DOTTRINA 267 domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dellĠaggiudicazione non comporti lĠobbligo di rinnovare la gara. In ogni caso, il codice espressamente prevede che non potranno in alcun caso costituire esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono, fra lĠaltro, i costi derivanti dal ritardo nellĠesecuzione del contratto stesso, dalla necessitˆ di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dellĠoperatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia. Al fine di prevenire uno straripamento di potere giurisdizionale, la locuzione Òesigenze imperativeÓ deve, comunque, essere interpretata con estremo rigore, limitandone il richiamo ai casi in cui risulti altrimenti impossibile garantire gli interessi pubblici perseguiti tramite il contratto (42), ovvero nel caso in cui sussistano ragioni tecniche (quali, ad es., particolari diritti di privativa industriale o di know-how) tali da far ritenere che gli obblighi negoziali nascenti dal contratto stesso potranno essere rispettati soltanto dallĠattuale esecutore (43). Discutibile , invece, lĠinclusione tra i criteri di ponderazione degli interessi economici non afferenti al contratto dellĠeventuale mancata proposizione della domanda di subentro nei casi in cui il vizio dellĠaggiudicazione non comporti lĠobbligo di rinnovare la gara, posto che tale circostanza non  prevista quale condizione per la declaratoria di inefficacia del contratto (44). A stemperare il rigore della previsione di cui al comma 1 dellĠart. 121 c.p.a. contribuisce anche il disposto di cui al successivo comma 5, che contempla le ipotesi in cui, malgrado lĠomessa pubblicazione del bando o dellĠavviso di indizione della gara, non pu˜, comunque, essere dichiarata lĠinefficacia del contratto. Ci˜ avviene allorchŽ la stazione appaltante abbia posto in essere la seguente procedura: a) abbia, con atto motivato anteriore allĠavvio della procedura di affidamento, dichiarato di ritenere che la procedura senza previa pubblicazione del bando o avviso  consentita dal codice appalti; b) abbia pubblicato un avviso volontario per la trasparenza preventiva ai sensi dellĠart. 79-bis del Codice, in cui manifesta lĠintenzione di concludere il contratto; c) il contratto non sia stato concluso prima di almeno dieci giorni de- correnti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dellĠavviso di cui alla lett. b). (42) TORRICELLI, Il contenzioso sugli appalti pubblici sotto la spinta del diritto europeo. Tradizione e discontinuitˆ nel modello di tutela offerto da giudice amministrativo, in Rivista de la Escuela Jacobea de Posgrado, n. 4/2013, 18, e in www.revista.jacobea.edu. (43) DE PAOLIS, Il processo amministrativo, Padova, 2012, 589-590. (44) Sul punto si veda LOPILATO, op. cit. La ratio sottesa alla previsione legislativa risiede nella volontˆ di apprestare una forma forte di tutela per lĠamministrazione e per lĠaggiudicatario anche nel caso in cui siano omessi i prescritti oneri di pubblicitˆ della procedura. In tali casi, la pubblicazione dellĠavviso volontario per la trasparenza preventiva  ritenuto un adempimento idoneo a supplire agli effetti tipici della pubblicitˆ del bando, surrogandone tutti i contenuti e consentendo agli interessati di avere, comunque, piena conoscenza della volontˆ di contrarre del- lĠamministrazione (45). La clausola di salvezza di cui al comma 5, specie ove letta unitamente allĠulteriore norma ÒscriminanteÓ contenuta nel comma 2, non pu˜ non destare pi di qualche perplessitˆ. Difatti, lĠevidente tensione del legislatore alla salvezza degli effetti contrattuali, pur a fronte della violazione di norme esprimenti principi fondamentali dellĠordinamento (quali quelli di trasparenza, concorrenza, libero mercato, efficienza, buon andamento dellĠazione amministrativa) poste in essere dalla stazione appaltante, testimonia un indebolimento della complessiva risposta legislativa alle irregolaritˆ commesse nel corso delle procedure ad evidenza pubblica, con evidenti nefaste ricadute tanto sullĠinteresse pubblico che su quello degli operatori economici partecipanti alla gara. Accanto alla previsione di una serie di ipotesi in cui lĠinefficacia del contratto deve obbligatoriamente conseguire alla commissione di una violazione ÒgraveÓ da parte dellĠamministrazione, il codice di rito (art. 122, giˆ art. 245ter cod. app.), con norma di chiusura, attribuisce al giudice il potere discrezionale di dichiarare lĠinefficacia del contratto anche a seguito dellĠaccertamento di ulteriori violazioni c.d. Ònon graviÓ commesse dalla stazione appaltante, non ricomprese negli artt. 121, comma 1, e 123, comma 3, c.p.a. In questi casi, il giudice che annulla lĠaggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare lĠinefficacia del contratto, fissandone la decorrenza, tenuto conto, in particolare, degli interessi delle parti, dellĠeffettiva possibilitˆ per il ricorrente di conseguire lĠaggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilitˆ di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dellĠaggiudicazione non comporti lĠobbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta (46). La giurisprudenza ha opportunamente evidenziato che il subentro nel contratto da parte del nuovo aggiudicatario disposto ai sensi dellĠart. 122 c.p.a. nel caso di annullamento dellĠaggiudicazione devĠessere inteso in senso atec (45) In tal senso POLITI, op. cit.; DE PAOLIS, op. cit., 591; VACCARI, La dichiarazione di inefficacia del contratto ex artt. 121 e 122 c.p.a. come misura processuale satisfattoria, in Dir. proc. amm., 2015, 255. (46) Cfr. Cons. St., sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4225, in Foro amm. CdS, 2014, 7-8, 2030; id., sez. V, 25 giugno 2014, n. 3220, ibidem, 6, 1743; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 446, in Riv. giur. ed., 2014, 2, I, 409; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 19 ottobre 2012, n. 8695, in Foro amm. TAR, 2012, 10, 3189. DOTTRINA 269 nico, ovvero non quale successione nel medesimo rapporto contrattuale intercorso con lĠoriginario aggiudicatario, che anzi viene meno allĠesito del giudicato amministrativo, bens“ in termini di necessitˆ di stipulare un nuovo contratto che consenta di completare le prestazioni residue (47). Nonostante il tenore letterale della disposizione, tra le norme contenute negli artt. 121 e 122 c.p.a. non  possibile riscontrare un vero e proprio rapporto di residualitˆ. Infatti, il contenuto precettivo dellĠart. 121 c.p.a., riconnesso alla tutela di ineliminabili esigenze di pubblicitˆ, trasparenza e partecipazione, impone che, in ogni caso in cui sussistano delle violazioni delle disposizioni tese a prevenire forme illegittime di affidamento diretto, il rimedio applicabile devĠessere sempre quello dellĠinefficacia, fatte salve le eccezioni dovute ad esigenze imperative connesse ad un interesse generale (48). Di contro, la norma in esame, relativa alla Çinefficacia del contratto negli altri casiÈ (cio quelli che concernono le violazioni Çnon graviÈ o meno gravi), attribuisce innovativamente al giudice il potere di decidere se dichiarare o meno inefficace il contratto fuori dai casi espressamente regolati dagli artt. 121 e 123, in base ad una serie di parametri che, seppure oggettivi, sono, per˜, da combinare in vario modo tra loro, in relazione alle specifiche e variabili caratteristiche della situazione di fatto di volta in volta in esame, vale a dire degli interessi delle parti, dellĠeffettiva possibilitˆ per il ricorrente di conseguire lĠaggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati e, conseguentemente, dello stato di esecuzione del contratto e della correlata possibilitˆ di subentrare nel contratto stesso, semprechŽ il vizio dellĠaggiudicazione non comporti, invece, il mero obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta (49). La scelta legislativa di assegnare al giudice un amplissimo potere discrezionale circa lĠindividuazione dei casi in cui dichiarare lĠinefficacia del contratto anche in fattispecie estranee a quelle tassativamente indicate dallĠart. 121 c.p.a. appare di dubbia legittimitˆ. Essa rischia, infatti, di determinare un insanabile vulnus dei principi di certezza delle situazioni giuridiche, oltre che di quelli di legalitˆ e tassativitˆ delle misure sanzionatorie (50). Presupposto necessario a giustificare lĠesercizio del potere giudiziale  la presentazione di idonea domanda di subentro nel contratto da parte del ricorrente. Soltanto a seguito del positivo accertamento dellĠesistenza di tale domanda il giudice potrˆ procedere a valutare se dichiarare o meno lĠineffica (47) In terminis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5404, in Banca dati De Jure. (48) Sul punto si veda LOPILATO, op. cit. (49) Cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 giugno 2012, n. 5222, in Foro amm. TAR, 2012, 6, 1969; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 7 novembre 2011, n. 2645, ivi, 2011, 11, 3741. (50) Parimenti critico nei confronti della disposizione in esame GE. FERRARI, LĠannullamento del provvedimento di aggiudicazione dellĠappalto pubblico e la sorte del contratto giˆ stipulato nella disciplina dettata dal nuovo c.p.a., in Giur. mer., 2011, 919. cia del contratto, bilanciando tutti i parametri indicati dallĠart. 122 c.p.a. (la possibilitˆ per il ricorrente di conseguire lĠaggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, la possibilitˆ di subentrare nel contratto, il suo stato di esecuzione e lĠinteresse delle parti) (51). Particolarmente ardua appare la ponderazione dellĠelemento relativo allo stato di esecuzione del contratto. In questi casi, il giudizio dovrˆ tener conto sia degli interessi pubblici sottesi allĠesecuzione dellĠappalto, quali i costi e le tempistiche necessarie al subentro del terzo pretermesso in relazione alla sollecita esecuzione dellĠopera, sia di quelli dellĠimpresa subentrante, non solo dal punto di vista strettamente economico, ma anche da quello del prestigio professionale derivante dalla commessa (52). Il favor mostrato dal legislatore per la sopravvivenza del contratto  ulteriormente sottolineato dalle recenti modifiche apportate al c.d. rito appalti dal nuovo codice dei contratti pubblici. In particolare, lĠart. 204, comma 1, lett. f), d.lgs. 8 aprile 2016, n. 50, ha introdotto nellĠart. 120 c.p.a. il comma 8-ter, il quale prevede che: Ònella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale allĠesecuzione del contratto, dandone conto nella motivazioneÓ. Come evidenziato dal Consiglio di Stato in sede consultiva sulla bozza del nuovo codice appalti (53), la previsione pu˜ essere ritenuta quale formale esplicitazione dei parametri giˆ utilizzati in sede di bilanciamento, attraverso un giudizio prognostico. Se ne desume, pertanto, che, ai fini della positiva delibazione dellĠistanza cautelare formulata dal ricorrente, dovrˆ assumere carattere preminente la ponderazione circa lĠeventuale sopravvivenza del contratto allĠesito del giudizio di merito onde evitare inutili rinvii nellĠinizio dellĠesecuzione dei lavori. Sarˆ, comunque, necessario attendere le prime indicazioni interpretative che la giurisprudenza dovrˆ fornire circa il significato da attribuire allĠespressione Òesigenze imperative connesse a un interesse generale allĠesecuzione del contrattoÓ, ovvero, se la stessa debba essere interpretata in termini di effettiva presunzione della sussistenza di tale interesse o di mera valutazione della sua eventuale esistenza (54). Resta, per˜, auspicabile che in sede di applicazione della nuova normativa ÒlĠorgano giudicante dovrˆ in ogni caso operare un bilanciamento dei contrapposti interessi, senza sentirsi in alcun (51) Una schematizzazione del bilanciamento dei su esposti parametri si pu˜ rinvenire in DE NICTOLIS, op. ult. cit., 1024-1028; nonchŽ ID., Il recepimento della direttiva ricorsi, cit. (52) Cfr., tra le tante, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 839, in Foro amm. TAR, 2012, 1025. (53) Cfr. Commissione speciale consultiva, 1 aprile 2016, n. 855, in www.giustizia-amministrativa.it. (54) LĠosservazione  di M.A. SANDULLI, Il rito speciale in materia di contratti pubblici, in www.federalismi.it. DOTTRINA 271 modo vincolato a un giudizio preferenziale per lĠinteresse alla sollecita esecuzione del contratto, che, in nessun caso, pu˜ legittimamente prevalere su quello alla selezione di unĠofferta che, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, rispetti i requisiti di legge e soddisfi al meglio le esigenze del committente e della collettivitˆÓ (55). 7. Le sanzioni alternative. Allo scopo di stigmatizzare il comportamento dellĠamministrazione che abbia violato le norme sulla trasparenza e la pubblicitˆ delle procedure ad evidenza pubblica, il comma 4 dellĠart. 121 c.p.a. prevede, con evidente finalitˆ dissuasiva, che nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace ovvero lĠinefficacia sia temporalmente limitata, il giudice debba applicare nei confronti della stazione appaltante le sanzioni alternative di cui al successivo art. 123 (il quale riproduce pedissequamente il testo originario dellĠart. 245-quater cod. app.). La norma contempla due distinte tipologie di sanzioni applicabili sia in via alternativa che cumulativamente. La prima, di natura economica, consiste in una sanzione pecuniaria a carico della stazione appaltante di importo compreso tra lo 0,5% ed il 5% del valore del contratto, inteso come prezzo di aggiudicazione. La seconda  costituita dalla riduzione della durata del contratto, ove possibile, da un minimo del 10% ad un massimo del 50% della sua durata residua alla data di pubblicazione del dispositivo. LĠapplicazione delle sanzioni pecuniarie  da ritenersi conseguenziale allĠannullamento dellĠaggiudicazione definitiva, alternativa allĠinefficacia parziale o totale del contratto, la cui pronuncia  correlata alla domanda di parte volta allĠannullamento dellĠaggiudicazione. é lĠordinamento, infatti, a considerare gravi determinati comportamenti assunti dal soggetto aggiudicatore e, nel caso in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace (o lĠinefficacia sia temporalmente limitata), a punire, per ci˜ stesso, il soggetto cui  oggettivamente imputabile lĠaccaduto, disponendo lĠirrogazione nei suoi confronti della sanzione alternativa di cui allĠart. 123 (56). LĠapplicazione cumulativa delle sanzioni  possibile nelle ipotesi contemplate dallĠart. 123, comma 3, c.p.a., qualora il contratto sia stato stipulato senza rispettare i termini di stand still sostanziale o processuale, allorchŽ la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilitˆ di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto stesso e non abbia influito (55) Cos“ M.A. SANDULLI, Nuovi limiti al diritto di difesa introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 in contrasto con il diritto eurounitario e la Costituzione, in www.lamminisstrativista.it. (56) Cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, 11 aprile 2013, n. 452, in Foro amm. TAR, 2013, 4, 1094. sulle possibilitˆ del ricorrente stesso di ottenere lĠaffidamento. In tali casi, il legislatore ha introdotto un automatismo, che assume unĠimpronta marcatamente sanzionatoria (57), finalizzato a punire lĠinosservanza delle norme procedimentali e processuali che fissano il termine finale per la sottoscrizione del contratto, anche quando ci˜ non abbia arrecato alcun pregiudizio al ricorrente sul piano della tutela giurisdizionale (58). Non , invece, consentita lĠapplicazione cumulativa delle sanzioni nei casi di violazioni gravi che comportino, quale conseguenza ineluttabile, la dichiarazione di inefficacia del contratto (art. 121, comma 1, lett. a) e b), c.p.a.), considerato che le sanzioni alternative sono applicabili soltanto qualora il contratto non debba essere privato degli effetti in modo totale o parziale (59). In ogni caso, non costituisce sanzione alternativa la condanna al risarcimento dei danni patiti dal terzo non aggiudicatario in conseguenza dellĠillegittima condotta della stazione appaltante, sicchŽ la domanda risarcitoria potrˆ sempre cumularsi con lĠirrogazione di una sanzione alternativa. A differenza della sanzione pecuniaria, che  posta esclusivamente a carico dellĠamministrazione, la riduzione della durata del contratto incide anche sulla posizione dellĠaggiudicatario, assumendo, cos“, i tratti di una vera pena inflitta al privato, ove questi abbia favorito il comportamento illegittimo della stazione appaltante. Competente ad irrogare le sanzioni  il giudice amministrativo, il quale deve determinarne la misura, affinchŽ le stesse risultino effettive, dissuasive, proporzionate al valore del contratto ed alla gravitˆ della condotta della stazione appaltante e allĠopera svolta dalla stessa per lĠeliminazione (o lĠattenuazione) delle conseguenze delle violazioni, assicurando il rispetto del principio del contraddittorio (art. 123, comma 2, c.p.a.) (60). Giˆ allĠindomani della sua entrata in vigore, parte della dottrina ha (57) Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 25 giugno 2013, n. 610, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 1846; id., 18 aprile 2013, n. 363, ivi, 4, 1115. (58) DE PAOLIS, op. cit., 594; GE. FERRARI, op. cit. (59) E. FOLLIERI, Le sanzioni alternative nelle controversie relative a procedure di affidamento di appalti pubblici, in Il contenzioso sui contratti pubblici un anno dopo il recepimento della direttiva ricorsi, a cura di F. SAITTA, Milano, 2011, 86. (60) In ordine ai criteri di quantificazione della sanzione, si veda T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19 luglio 2012, n. 574, in Foro amm. TAR, 2012, 7-8, 2396, secondo cui Òva applicata la sola sanzione pecuniaria nei confronti della stazione appaltante e non anche la riduzione della durata del contratto, di cui all'art. 123 commi 1 e 2 c.p.a., qualora risulti che lĠaggiudicataria si sia comunque premurata di rappresentare lĠimpedimento di diritto e quindi la necessitˆ di osservare il "tempo di attesa" di cui allĠart. 11 comma 10 ter, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163; per converso, alcuna utilitˆ pu˜ la stazione appaltante trarre dal richiamo ai favorevoli effetti economici conseguenti allĠanticipata contrattualizzazione del servizio in concessione in quanto tale vicenda non elide la connotazione di una condotta illecita perchŽ contraria al fine sotteso alle clausole di cd. stand still palesato dalla connessione tra le distinte fasi procedimentali e processuali - quindi dalla tensione ad assicurare al rapporto una fonte, il contratto appunto, tendenzialmente stabileÓ. DOTTRINA 273 espresso forti dubbi circa la legittimitˆ costituzionale dellĠimpianto sanziona- torio predisposto dal legislatore (61). é stata, anzitutto, criticata la scelta di attribuire al giudice amministrativo un potere di tipo ÒpenalisticoÓ diretto non a tutelare la posizione giuridica di una delle parti processuali, ma, piuttosto, a stigmatizzare il comportamento dellĠamministrazione (o anche quello del terzo nel caso in cui la sanzione irrogata sia la riduzione della durata del contratto), assolutamente estraneo alle previsioni contenute nella direttiva ricorsi. In secondo luogo,  apparsa scarsamente compatibile con il dettato del- lĠart. 113 Cost. la mancanza di giustiziabilitˆ della sanzione, qualora questa venga irrogata per la prima volta allĠesito del giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato. Infine,  parsa discutibile la possibilitˆ di comminare una sanzione in grado di pregiudicare (anche gravemente) la posizione del terzo aggiudicatario a prescindere dalla valutazione dellĠelemento soggettivo di questĠultimo. BenchŽ autorevolmente sostenute, le perplessitˆ sollevate attorno allĠistituto in esame non paiono cogliere nel segno (62). Relativamente alla prima critica sollevata,  agevole osservare che, sotto il profilo sistematico e di concentrazione della tutela giurisdizionale, appare corretto che sia lo stesso giudice che accerta lĠesistenza della violazione ad irrogare la conseguente sanzione. Parimenti infondati sono anche i dubbi di incostituzionalitˆ della norma in esame, considerato che il principio del doppio grado di giurisdizione nel processo amministrativo implica esclusivamente che avverso una sentenza di primo grado non possa essere preclusa la proposizione dellĠappello, senza che ci˜ comporti il divieto che un giudizio si svolga in unico grado innanzi ad un giudice superiore. Infine, sotto lĠultimo profilo, va sottolineato che le sanzioni alternative non hanno natura esclusivamente sanzionatoria, essendo la loro funzione anche quella di consentire il ripristino della legalitˆ violata attraverso unĠaggiudicazione illegittima. In questĠottica, il sacrificio dellĠinteresse del terzo, anche in buona fede, appare senzĠaltro giustificato dal perseguimento del preminente interesse pubblico rappresentato dalla garanzia del rispetto dei principi di concorrenza, buon andamento ed imparzialitˆ dellĠazione amministrativa. (61) Sul punto si vedano F.G. SCOCA, Relazione al Seminario su ÒLĠattuazione della nuova direttiva ricorsiÓ, in www.giustamm.it; CINTIOLI, In difesa del processo di parti, ibidem; LIPARI, Il recepimento della direttiva ricorsi, cit.; GRECO, Illegittimo affidamento dellĠappalto, sorte del contratto e sanzioni alternative nel d.lgs. 53/2010, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010, n. 3/4, 729 e ss. (62) DE NICTOLIS, op. ult. cit., 1029; CERBO, Le sanzioni alternative nellĠattuazione della direttiva ricorsi (e nel codice del processo amministrativo), in Urb. e app., 2010, 884; GE.FERRARI, op. cit.; E. FOLLIERI, Le sanzioni alternative, cit., 96 e ss. 8. I profili risarcitori. LĠart. 245-quinques, comma 1, cod. app. (introdotto a seguito del recepimento della direttiva ricorsi) stabiliva che lĠaccoglimento della domanda diretta a conseguire lĠaggiudicazione del contratto fosse subordinata alla previa declaratoria di inefficacia dello stesso ai sensi degli artt. 245-bis e 245-ter. Nel caso in cui lĠinefficacia del contratto stesso non potesse essere dichiarata, la norma attribuiva al giudice il potere di accordare al terzo non aggiudicatario, dietro formulazione di rituale domanda in tal senso, il risarcimento per equivalente del danno subito e provato, limitatamente ai casi in cui questĠultimo avesse comunque titolo per lĠaggiudicazione del contratto. Dalla lettura della disposizione in esame appare evidente come lĠintento del legislatore fosse quello di escludere la risarcibilitˆ del danno da perdita di chance, ossia della mera probabilitˆ di vittoria, dovendo il ricorrente provare che avrebbe certamente conseguito lĠaggiudicazione della gara qualora le illegittimitˆ procedimentali fossero state sanate. SenonchŽ, in sede di trasposizione della norma allĠinterno del codice di rito, il legislatore ha condivisibilmente espunto dal testo definitivo la locuzione Òa favore del solo ricorrente avente titolo allĠaggiudicazioneÓ, sicchŽ deve oggi ritenersi pienamente ammissibile anche la risarcibilitˆ del danno da perdita di chance (63). Parimenti assente dal testo dellĠart. 124 c.p.a.  lĠinciso secondo cui, ai fini della risarcibilitˆ del danno lamentato,  necessaria la proposizione di apposita domanda da parte del ricorrente. Malgrado ci˜, non vi  dubbio che, in applicazione del noto principio della deducibilitˆ in giudizio delle pretese azionabili a cura della parte interessata, il giudice giammai potrˆ procedere ex officio alla liquidazione del danno non richiesto (64). Ai fini della condanna al risarcimento del danno per equivalente, il ricorrente deve fornire la prova dellĠan e del quantum del danno subito ai sensi dellĠart. 2697 c.c., non essendo applicabile in via automatica il previgente criterio forfettario del 10% del valore dellĠappalto, al quale deve sostituirsi quello dellĠutile effettivo che lĠimpresa avrebbe potuto conseguire (65). Tale utile (63) Perplessitˆ sulla originaria scelta legislativa erano state espresse anche dai primi commentatori della novella: BARTOLINI - FANTINI - FIGORILLI, op. cit., 661; De NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi, cit. (64) Cfr. POLITI, op. cit.; LIPARI, La direttiva ricorsi, cit.; LAMBERTI, op. cit. Per lĠaffermazione del principio in giurisprudenza si veda, ex plurimis, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 25 luglio 2012, n. 1930, in Foro amm. TAR, 2012, 7-8, 2595. (65) Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2014, n. 3003, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 luglio 2014, n. 7229, in Foro amm. TAR, 2014, 7-8, 2155; id., sez. III, 5 marzo 2013, n. 2358, ivi, 2013, 3, 875; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 25 luglio 2012, n. 1930, ivi, 2012, 7-8, 2595; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 14 giugno 2012, n. 1192, ivi, 6, 2070; T.A.R. Abruzzo, LĠAquila, sez. I, 29 dicembre 2011, ivi, 2011, 12, 3996; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552, ivi, 2010, 11, 3447. DOTTRINA 275 pu˜ essere desunto, in via principale, facendo riferimento allĠofferta economica presentata in sede di gara (66). La condanna al risarcimento del danno non richiede la prova della colpa dellĠamministrazione. LĠart. 124 c.p.a., in linea con la giurisprudenza europea (67), ha, difatti, introdotto unĠipotesi di responsabilitˆ oggettiva a carico della stazione appaltante (68). Le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno s“ che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consenta allĠimpresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dellĠente aggiudicatore e, dunque, dallĠimputabilitˆ soggettiva della lamentata violazione, rispondendo il rimedio risarcitorio al principio di effettivitˆ della tutela previsto dalla normativa comunitaria (69). Il comma 2 dellĠart. 124 c.p.a. prevede che la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non abbia proposto domanda di conseguire lĠaggiudicazione o non si sia resa disponibile a subentrare nel contratto,  valutata dal giudice ai sensi dellĠart. 1227 c.c. La norma, confermando lĠottica sanzionatoria che sostiene tutto lĠimpianto risarcitorio e delle misure di cui allĠart. 123 c.p.a. costruito dal codice di rito, non esclude la risarcibilitˆ del danno per il caso della mancata proposizione delle domande di conseguimento o subentro nel contratto, limitandosi, di contro, a valutare (negativamente) la mala fede di chi, non mostrando un reale interesse ad ottenere lĠaggiudicazione del contratto, si prefiguri di bloccare lĠazione amministrativa, avendo sin dallĠinizio, come unico fine, quello di ottenere un risarcimento monetario (70). (66) Cons. St., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437, in Foro amm. CdS, 2013, 6, 1561; id., sez. V, 7 giugno 2013, n. 3135, ivi, 1649; id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444, ivi, 2012, 12, 3198; id., sez. V, 5 luglio 2012, n. 3940, ivi, 7-8, 1965; id., sez. III, 12 maggio 2011, n. 2850, ivi, 2011, 5, 1485; id., sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8646, ivi, 2010, 12, 2732; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 9 gennaio 2014, n. 255, in Foro amm. TAR, 2014, 1, 271. (67) Il riferimento , in particolare, a Corte giust. UE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314, in Europa e dir. priv., 2011, 1, 313, con nota di GUFFANTI PESENTI, secondo cui la vigente normativa europea che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi non consente ad una normativa nazionale di subordinare il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di unĠamministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. (68) Cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5115, in www.giustizia-amministrativa.it; id., 10 settembre 2014, n. 4586, ibidem; id., sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3611, in Foro amm. CdS, 2014, 7-8, 2028; id., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 3 marzo 2015, n. 590, ibidem; id., 16 gennaio 2015, n. 119, ibidem; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 11 settembre 2013, n. 8208, in Foro amm. TAR, 2013, 9, 2758. (69) Cfr., tra le tante, Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, in www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450, ibidem; id., 21 giugno 2013, n. 3397, in Riv. giur. ed., 2013, 5, I, 881; T.A.R. Veneto, sez. I, 28 aprile 2015, n. 451, ibidem; T.A.R. Liguria, sez. I, 17 marzo 2015, n. 292, in Foro amm. TAR, 2015, 3, 884. Tale disposizione, pur non presupponendo la sussistenza di una pregiudizialitˆ di rito, dimostra lĠintento del legislatore di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dellĠomessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilitˆ dei danni, che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso (71). Peraltro, lĠipotetica incidenza eziologica non  propria soltanto della mancata impugnazione del provvedimento dannoso, ma riguarda anche lĠomessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali i ricorsi amministrativi e gli atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dellĠautotutela amministrativa (c.d. invito allĠautotutela). (70) Cfr., sul punto, DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi, cit.; POLITI, op. cit. (71) In questo senso si vedano Cons. St., ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, in D&G - Dir. e Giust. online, 2011, 12 aprile; id., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 407, in Foro amm. CdS, 2015, 1, 119; id., 8 agosto 2014, n. 4225, ivi, 2014, 7-8, 2030; id., sez. V, 10 luglio 2012, n. 4067, ivi, 2012, 7-8, 1970; id., sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1800, ivi, 3, 708; id., sez. III, 18 luglio 2011, n. 4355, in Guida al dir., 2011, dossier n. 9, 43, con nota di ZANETTINI; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4735, in Foro amm. TAR, 2010, 12, 4075. RECENSIONI ALFONSO MEZZOTERO (*) -DAVID ROMEI (**), Il patrocinio dellePubbliche Amministrazioni. La Difesa innanzi alle Giurisdizioni Ordinarie e Speciali. (CSA EDITRICE, 2016, PP. 348) Negli ultimi anni, per far fronte alle pi svariate esigenze - dalla semplificazione dei riti, alla razionalizzazione della spesa pubblica - il legislatore ha intrapreso unĠopera di profonda destrutturazione e trasformazione della pubblica amministrazione, s“ da renderne i complessi schemi organizzativi pi snelli ed efficienti, al fine di ridurre il livello di Òiper-burocratizzazioneÓ del- lĠordinamento italiano. Questo processo di ÒdestrutturazioneÓ e semplificazione dellĠapparato burocratico nazionale, oltre che sul piano sostanziale, non poteva non incidere anche sotto un altro profilo: ovvero quello della rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti pubblici comunque sottoposti alla vigilanza dello Stato. (*) Avvocato dello Stato, giˆ Procuratore dello Stato, presso lĠAvvocatura distrettuale di Catanzaro. é stato consulente giuridico del Commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza nel settore dei rifiuti urbani nel territorio della Regione Calabria; componente del Comitato di consulenza giuridica della Giunta Regionale della Calabria; docente di diritto amministrativo e diritto processuale amministrativo presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali dellĠUniversitˆ degli Studi Magna Graecia di Catanzaro. é autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto amministrativo e degli appalti pubblici. (**) Avvocato, attualmente consulente giuridico di diritto amministrativo e diritto degli appalti pubblici per Siram S.p.A., nota multinazionale operante nel settore dei servizi energetici e del facility management. Si occupa prevalentemente di contenzioso in materia di diritto amministrativo, con particolare riguardo ai settori degli appalti pubblici e degli enti locali. NellĠottobre 2013 ha conseguito il Master di II livello in Diritto amministrativo e Scienze dellĠAmministrazione presso lĠUniversitˆ degli Studi Roma Tre. é autore di numerosi articoli e contributi in opere collettanee su diverse tematiche di diritto amministrativo, degli appalti pubblici e degli enti locali. Nel quadro di tali epocali cambiamenti deve, tuttavia, volgersi lo sguardo indietro, cercando di riflettere sulle ragioni storiche che, pi di un secolo or- sono, hanno dato vita a quello che ben pu˜ definirsi come lo statuto processuale della Pubblica Amministrazione. Non  un caso, infatti, che il patrocinio delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici in genere sia connotato da significativi elementi di differenziazione rispetto a quello ordinario delle persone fisiche o giuridiche, che, a monte, si appuntano nella precostituzione ex lege del loro Difensore istituzionale (lĠAvvocatura dello Stato). Queste differenze, introdotte in unĠepoca in cui, in ossequio al c.d. privilegium fisci, il legislatore riservava allĠAutoritˆ pubblica unĠindubbia prevalenza rispetto ai privati, permangono ancor oggi, nonostante sia ormai venuto meno il principio della primazia dello Stato sui diritti e gli interessi dei cittadini. Mutata rispetto alle origini , tuttavia, la ratio ispiratrice di questa diversitˆ: non pi la volontˆ di accordare un anacronistico privilegio per lĠAutoritˆ, ma consentire una valutazione unitaria dellĠinteresse pubblico che muove e condiziona lĠagere della P.A. unitamente ad unĠinterpretazione unitaria degli istituti giuridici tramite i quali questa tipicamente agisce. Muovendo da questo angolo prospettico, apparirˆ chiara al lettore la indeclinabile centralitˆ del ruolo di guida delle Amministrazioni (non solo sul versante strettamente processuale) che lĠordinamento attribuisce al loro Difensore istituzionale. Su queste direttrici, lĠOpera si propone di collegare, in una visione unitaria, lĠanalisi della specialitˆ dello statuto processuale delle Amministrazioni statali alla specialitˆ del loro Difensore istituzionale, illustrandone le diverse funzioni attribuitegli nel vigente ordinamento. Saranno, in particolare, scrutinate le peculiaritˆ dei giudizi, celebrati tanto innanzi alle giurisdizioni ordinarie che a quelle speciali, in cui sia parte unĠAmministrazione erariale, ovvero un soggetto pubblico rappresentato e difeso ex lege dallĠAvvocatura dello Stato. In questo ambito, saranno esaminate le pi significative vicende che, dal punto di vista sostanziale e da quello processuale, determinano una deroga ai principi generali del processo in ossequio al c.d. privilegium fisci, rivisitato in chiave moderna. Nel far ci˜ si rivolgerˆ, anzitutto, lĠattenzione alle diverse tipologie di patrocinio erariale ed al loro ambito applicativo, esaminandosi, in particolare, i nodi problematici del patrocinio dellĠAvvocatura dello Stato rispetto ad alcune peculiari categorie di soggetti pubblici (ad. es. le Universitˆ o le Autoritˆ portuali) ovvero in peculiari tipologie di giudizi (ad es. i giudizi lavoristici ovvero quelli di incandidabilitˆ). A questa rigorosa analisi di ordine sostanziale farˆ seguito lĠesegesi delle speciali norme processuali dettate per le Amministrazioni erariali in tema di notificazione degli atti giudiziali e stragiudiziali, individuazione dellĠAutoritˆ giu RECENSIONI 279 diziaria competente allĠesame delle controversie nonchŽ successione tra enti pubblici e le relative ricadute sul versante processuale che tale evento determina. NellĠesposizione non ci si limiterˆ a dar conto delle modifiche alle regole processuali nei soli giudizi celebrati innanzi allĠAutoritˆ giudiziaria ordinaria, ma, in considerazione della visione multidisciplinare che ispira lĠOpera, si approfondiranno anche le deroghe processuali relative ai giudizi celebrati innanzi alle Autoritˆ giudiziarie speciali (Tribunali Amministrativi Regionali, Corte dei Conti e Commissioni tributarie) oltre che nello speciale rito celebrato innanzi alla Corte costituzionale. Lungi dal costituire una elaborazione meramente accademica, lĠOpera si prefigge di fornire a tutti gli operatori del diritto (magistrati, avvocati, avvocati e procuratori dello Stato, dirigenti pubblici) unĠindispensabile bussola per risolvere tutte le pi complesse problematiche applicative che quotidianamente si trovano costretti ad affrontare quando parte del giudizio sia unĠAmministrazione statale o un ente a patrocinio erariale. Per rispondere a questĠesigenza lĠOpera  arricchita di un amplissimo corredo giurisprudenziale (in larga parte inedito) tramite il quale si darˆ conto dei pi disparati orientamenti assunti dalla giurisprudenza (di merito e di legittimitˆ) relativamente a pressochŽ tutti gli aspetti problematici analizzati. Maggio 2016. Gli Autori PREFAZIONE Luigi Maruotti (*) LĠAvvocatura dello Stato, pur non avendo una Çcopertura costituzionaleÈ, ha un indiscusso ruolo centrale nella attuale architettura istituzionale. Oltre a difendere innanzi alle varie giurisdizioni (anche internazionali) le Amministrazioni statali e le altre Amministrazioni individuate dalla legge, lĠAvvocatura dello Stato svolge altre importanti funzioni, tra le quali quella di consulenza e quella di amicus curiae, nei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale. Per qualsiasi operatore del diritto,  essenziale la conoscenza di tali funzioni, cos“ come  essenziale la conoscenza delle regole processuali sulla difesa dello Stato, in tema di competenza dei giudici, di formalitˆ riguardanti le notifiche, ecc. Eppure, nellĠattuale panorama dottrinario, non vi sono testi approfonditi e completi, che diano conto delle molteplici competenze della Avvocatura dello (*) Presidente di Sezione del Consiglio di Stato. Stato, di come vadano impostati i giudizi che si intendano intentare nei confronti delle Amministrazioni statali, di quali siano le specifiche regole processuali, di quali siano le esigenze sostanziali tenute in considerazione dal legislatore. Nei Manuali, di solito vi  un fugace richiamo alle complesse funzioni della Avvocatura dello Stato e alla sua articolata struttura organizzativa. Il testo di Alfonso Mezzotero e di David Romei, su ÇIl patrocinio delle Pubbliche AmministrazioniÈ,  invece un testo completo e aggiornato, nel quale vi  la ricostruzione di un sistema organico ed unitario. Sulla base di una accurata ricostruzione anche dei precedenti storici, il testo si caratterizza per la esaustiva esposizione degli istituti rilevanti e per i suoi continui approfondimenti, che tengono per˜ sempre conto delle esigenze pratiche degli operatori e dellĠesigenza di orientare il lettore anche nella individuazione delle soluzioni giurisprudenziali sulle questioni controverse. Il testo risulta un ausilio indispensabile non solo per coloro che vogliano conoscere la normativa e le prassi riguardanti lĠAvvocatura dello Stato, ma anche per coloro che vogliano meglio conoscere tutte le Istituzioni dello Stato, che necessariamente si pongono in rapporto anche con lĠAvvocatura dello Stato. Si tratta di un ottimo lavoro, al quale auguro ogni successo, non solo per lĠaffetto che mi lega agli Autori, ma anche perchŽ si pone come un preziosissimo ausilio di conoscenza delle Istituzioni. RECENSIONI 281 FABIO FASANI (*), Terrorismo islamico e diritto penale. PUBBLICAZIONI DELLA UNIVERSITË DI PAVIA FACOLTË DI GIURISPRUDENZA, STUDI NELLE SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI (CEDAM, 2016, PP. I-XII,491) INTRODUZIONE ÒE cos“ questa  la mia ultima parola Crivellato di colpi Battezzato nel sangue Come avevo speratoÓ [Dal messaggio di addio ritrovato nelle tasche di Mohammed Bouyeri, assassino del regista olandese Theo van Gogh (1) ] Nei Paesi occidentali, fino allĠ11 settembre 2001, il terrorismo di matrice islamica veniva scrutato come un fenomeno lontano spazialmente e culturalmente, che non spaventava pi di tanto, dal momento che pareva affliggere esclusivamente altri popoli e altri Paesi (2). Persino i mezzi dĠinformazione si dimostravano pigramente disinteressati al nascente fondamentalismo islamico militante e con essi - ovviamente - lĠopinione pubblica, che non aveva ancora elementi sufficienti per capire, nemmeno in maniera vaga, le dinamiche geopolitiche in mutazione (3). Prima di quella data la stessa figura di Osama bin Laden era sostanzialmente ignota presso la popolazione italiana e lĠanalisi della situazione mediorientale e del nascente fenomeno jihadista era confinata agli studi di pochi Autori e di poche riviste di settore (4). (*) Ricercatore di diritto penale, Universitˆ degli Studi di Pavia. (1) Mohammed Bouyeri credeva evidentemente che sarebbe stato freddato dalla polizia, divenendo cos“ un martire. In realtˆ, il terrorista venne arrestato, processato e sconta ora una condanna a vita nel carcere olandese di Nieuw Vosseveld. (2) Si legga, al proposito, lĠanalisi ex post del sociologo Renzo Guolo che osserva: ÒLe macerie delle Twin Towers hanno mandato in soffitta lĠillusione che un mondo ÇconnessoÈ, attraverso la sua compressione spazio-temporale, potesse tenere fuori dal suo centro motore conflitti pensati fino a quel momento come esterniÓ (R. GUOLO, LĠislam  compatibile con la democrazia?, Roma-Bari, 2004, p. 7). (3) Il complesso rapporto fra potere politico, mass-media e opinione pubblica resterˆ sullo sfondo nel prosieguo della ricerca, ma non potrˆ non affiorare talvolta, risultando indispensabile alla comprensione di taluni fenomeni socio-politici essenziali. Per un primo approfondimento sul tema si possono leggere A. BARATTA, Problemi sociali e percezione della criminalitˆ, in Dei delitti e delle pene, 1983, p. 15 ss.; T. MATHIESEN, Contemporary Penal Policy. A Study in Moral Panics, in U. BONDESON (ed.) Crime and Justice in Scandinavia, Copenhagen, 2005, p. 445 ss.; M. QUIRICO, Capro espiatorio, politiche penali, egemonia, in Dei delitti e delle pene, 1993, p. 115 ss.; A. DINO, I media e i nemici della democrazia, Quest. giust., 2006, p. 824 ss.; C.E. PALIERO, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed "effetti penali" dei media), in Riv it. dir. proc. pen., 2006, p. 467 ss. (4) Fra gli scritti, piuttosto scarsi, che prima del settembre 2001 sono apparsi in Italia, investendo il tema della nascita e della diffusione del fondamentalismo islamico e del connesso terrorismo jihadista, possono essere citati B. ETIENNE, L'islamismo radicale, Milano, 1988; Y.M. CHOUEIRI, Il fondamentali Eppure a quei tempi, la Òguerra globaleÓ era giˆ stata dichiarata ed intrapresa da parte di al-Qaeda (5) - ÒfondataÓ nel 1988 (6) -, Osama bin Laden aveva giˆ sollevato la ummah al jihad (7) e numerosi attentati terroristici erano giˆ stati realizzati con successo da parte di gruppi di matrice islamico-radicale (8). Fra questi, i pi eclatanti erano sicuramente stati lĠattentato del 7 agosto 1998 che colp“ simultaneamente le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania, provocando complessivamente 257 morti ed oltre 5000 feriti (9) e lĠattentato suicida, datato 12 ottobre 2000, alla nave USS Cole ancorata presso Aden nello Yemen, nel quale rimasero uccisi 17 marinai americani (10). Il punto  che questi fatti sanguinosi avevano una caratteristica comune: erano stati realizzati in terre lontane, afflitte da guerre, scontri etnici e guerriglie; terre da cui le notizie di morti e di bombe giungevano con costanza tale da far perdere, agli occhi degli occidentali, le tracce degli scopi degli attori. Questa importante limitazione geografica aveva subito fino al 2001 solo rare eccezioni, connotate peraltro da un clima geo-politico assai diverso e da una minore Òcolorazione religiosaÓ nella percezione collettiva. Si ricordino, ad esempio, gli attentati realizzati in Francia negli anni Ottanta (11) e Novanta (12) e quelli realizzati negli Stati Uniti sempre negli anni Novanta (13). smo islamico, Bologna, 1993; G. KEPEL, Jihad. Ascesa e declino, Roma, 2001. Si vedano anche, fra i contributi di taglio maggiormente giornalistico, M. ALLAM, I fanatici di Allah stanno giˆ conquistando lĠEgitto, in liMes, 1994, II, p. 127 ss.; S. PERES, Il mio sogno: Israele come Rialto, il ponte degli affari, in liMes, 1995, IV, p. 29 ss.; I. MAN, Il risveglio islamico e le sue conseguenze, in Gnosis, 2000, n. 18; V. BELOKRENICKIJ, Il Ôtriangolo islamicoĠ, in liMes, 1998, IV, p. 221 ss. (5) La nascita e lo sviluppo di al-Qaeda verranno analizzati con maggiore attenzione infra allĠinterno del Capitolo I, al quale si rinvia. Per un inquadramento generale, comunque, si veda subito L. WRIGHT, Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse allĠ11 settembre, Milano, 2007, passim. (6) Cfr. D. COOK, Storia del jihad, Torino, 2007, p. 198. (7) Risale al 23 febbraio 1998 il primo richiamo al Òjihad contro gli ebrei ed i crociatiÓ, lanciato dal sedicente Fronte Islamico Mondiale e firmato da cinque militanti, fra i quali spiccano i nomi di Ayman al-Zawahiri e dello stesso Osama bin Laden. Cfr. Jihad Against Jews and Crusades. World Islamic Front Statement, allĠindirizzo web http://www.fas.org/irp/world/para/docs/980223-fatwa.htm. AllĠindirizzo web http://www.library.cornell.edu/colldev/mideast/fatw2.htm si trova la versione originale in arabo, apparsa sul quotidiano londinese al-Quds al-Arabi il 23 febbraio 1998 a p. 3. (8) Per una ricostruzione storica degli eventi si veda anche AR. SPATARO, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani, in C. DE MAGLIE - S. SEMINARA (a cura di), Terrorismo internazionale e diritto penale, Padova, 2007, p. 163 ss. (9) Cfr. L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 330 ss. e anche M.S. HAMM, Terrorism as crime. From the Order to Al-Qaeda and Beyond, New York, 2007, p. 51 ss. (10) Cfr. L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 387 ss. (11) Tra il 1985 e il 1986 diverse bombe vennero fatte esplodere a Parigi dal sedicente ÒComitato di solidarietˆ con i prigionieri politici arabi e medio-orientaliÓ. (12) Il riferimento va agli attentati di matrice algerina che insanguinarono la Francia negli anni 1994 e 1995, motivati dal supporto fornito da quel Paese al governo di Algeri durante la coeva guerra civile. (13) Si pensi, ad esempio, al primo attacco dinamitardo al World Trade Center, realizzato il 26 febbraio 1993, che provoc˜ 6 morti ed oltre 1000 feriti. Sul punto, L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 220 ss. RECENSIONI 283 Parallelamente, la convinzione che il terrorismo religioso fosse una realtˆ ÒesoticaÓ, che non poteva in alcun modo riguardare la vita dei Paesi democratici occidentali, lasci˜ sullo sfondo, anche a livello politico, la disamina dei complessi meccanismi sociali, culturali e geopolitici che andavano esprimendosi in radicalismi particolarmente pericolosi e sanguinosi. Eppure, alcune cellule della rete transnazionale del terrore, giˆ dai primi anni Novanta, erano dislocate sul territorio nazionale e svolgevano diverse attivitˆ di supporto ai gruppi che allĠestero - specie in Medio Oriente - con tenacia propugnavano e mettevano in pratica il jihad, realizzando attentati terroristici ed ingaggiando vere e proprie forme di guerriglia con governi considerati empi e meritevoli di essere sovvertiti. Queste cellule vennero indagate dalla magistratura inquirente e dalle forze di polizia, ma tali indagini furono rivolte contro i singoli sodalizi criminosi, composti spesso da pochi individui, e presero di mira esclusivamente i reati- mezzo di criminalitˆ comune che venivano compiuti in Italia (14). In altri termini, si combatteva la realizzazione di reati-mezzo, ma non si considerava il Òdisegno comuneÓ del terrorismo e non se ne riusciva ad ipotizzare la componente consociativa. Ci˜ derivava principalmente dalla circostanza che, fino allĠentrata in vigore del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 (convertito con legge 15 dicembre 2001, n. 438) e quindi alla novella dellĠart. 270-bis c.p. (15), lĠassociazione con finalitˆ di terrorismo e di eversione dellĠordine democratico era punita, allĠinterno del nostro ordinamento, esclusivamente quando gli atti di violenza erano diretti allĠeversione dellĠordine democratico dello Stato italiano, essendo tutelato il bene giuridico dellĠordinamento costituzionale italiano. A ci˜ seguiva lĠimpossibilitˆ di perseguire, almeno in relazione alla pi grave ipotesi di cui allĠart. 270-bis c.p., sodalizi che si proponessero il compimento di atti terroristici allĠestero e che in Italia svolgessero, in ipotesi, esclusivamente attivitˆ preparatoria o logistica (16). Queste circostanze impedirono altres“ che lĠattenzione dei penalisti si con (14) Per alcune precisazioni sul punto e per un quadro sulle sentenze che, in assenza della normativa ad hoc introdotta nel 2001, giudicarono le cellule fondamentaliste presenti in Italia per i soli reati- scopo di criminalitˆ comune si veda AR. SPATARO (a cura di), Dati sulle sentenze di condanna pronunciate in Italia, successivamente allĠ11 settembre 2001, per i reati di terrorismo internazionale o per i reati collegati al terrorismo internazionale, in R.E. KOSTORIS - R. ORLANDI (a cura di), Contrasto al terrorismo interno ed internazionale, Torino, 2006, p. 454 ss. I dati sono aggiornati al 15 ottobre 2006. Per un aggiornamento al 23 luglio 2007 si veda una nuova versione, inedita, predisposta dal curatore nellĠambito del progetto ÒTerrorism and Security: Coordination and CooperationÓ, presso la New York University, Center on Law and Security, School of Law. (15) Vd. infra, Cap. III. (16) Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 737 del 24 febbraio 1999, Abdaoui e altri, in Dir. pen. proc., 2000, p. 485, con nota di A. PECCIOLI, Associazione a base italiana con finalitˆ eversiva di un ordinamento straniero. Vd. anche P.L. VIGNA, La finalitˆ di terrorismo ed eversione, Milano, 1981, p. 38 ss. centrasse sullĠapplicabilitˆ ai gruppi islamici fondamentalisti - pur giˆ presenti sul territorio nazionale - della disciplina dellĠassociazione terroristica e sui problemi gravissimi che, da pi punti di vista, questa operazione pone. Le cose cambiarono radicalmente, da ogni punto di vista, con lĠattentato alle Twin Towers prima e con gli attentati di Madrid e di Londra poi (17). Del fatto che spesso solo eventi tragici e clamorosi come quelli riescano a sollevare lĠopinione pubblica e a sensibilizzare il potere politico  sempre stato ben conscio lo stesso Osama bin Laden, il quale, intervistato il 20 ottobre 2001 dal capo dellĠufficio di Kabul della televisione satellitare al-Jazira Taysir Alluni sui fatti del mese precedente (18), osservava: ÒDi fronte ai recenti attacchi, viste anche le conseguenze che questi hanno portato, Bush e Blair hanno reagito con prontezza, dicendo che ora  tempo di creare una nazione indipendente in Palestina. Incredibile! Possibile che non ci sia stato un momento pi opportuno negli ultimi dieci anni per affrontare questa questione, se non dopo quegli attacchi? Evidentemente non rinsaviscono se non con il linguaggio della violenza e della morteÓ (19). A partire da questo momento, infatti, lĠattenzione dellĠopinione pubblica italiana venne prima monopolizzata e poi comunque fortemente attratta dal fenomeno neoterroristico, che resta ancora oggi un motivo di forte interesse e timore collettivo. Timore legato soprattutto allĠeventualitˆ che anche sul territorio italiano possano essere realizzati attentati terroristici analoghi a quelli citati in precedenza ed a quelli ancora pi recentemente eseguiti a Parigi nel corso del 2015. NŽ la morte di Osama bin Laden nel 2011 e le successive mutazioni del network jihadista globale hanno in alcun modo fatto scemare le preoccupazioni dellĠOccidente. LĠattenzione, anzi, si rivolge ora con terrore al nuovo fenomeno dellĠISIS, che del terrorismo islamico appare sinora lĠestrinsecazione pi temibile. Il problema del terrorismo internazionale di matrice islamica, giˆ ovviamente intravisto dagli addetti ai lavori, si inser“ quindi in primo piano nel- lĠagenda politica degli Stati occidentali e venne alla ribalta (anche) da un punto di vista strettamente penalistico solo a partire dal 2001, allorquando vari Paesi, fra cui lĠItalia, iniziarono a dotarsi di una normativa penale e amministrativa ad hoc. Tale esplosione del fenomeno terroristico e la sua preoccupante manifestazione anche nei Paesi occidentali ha costretto questi ultimi a enormi sforzi politici e sociali, tesi a ridurre il rischio di immani tragedie. (17) Il concetto  ben espresso da R. BETTINI, Delenda America. LĠescalation del terrorismo internazionale islamista e la giustizia, in Iustitia, 2002, p. 144: ÒLĠallucinante, truce attentato terroristico di gruppi islamici dellĠ11 settembre 2001, ed i commenti grotteschi dei relativi fomentatori, hanno dato agli occidentali brividi da Apocalisse imminenteÓ. (18) Il testo integrale dellĠintervista, tradotta in italiano,  ora riportato in B. LAWRENCE, Messaggi al mondo, Roma, 2007, p. 177 ss. (19) B. LAWRENCE, Messaggi, cit., p. 185 s. RECENSIONI 285 Ripercorrendo la tradizionale partizione dei poteri statuali,  possibile osservare come tutti e tre i poteri abbiano finito per costituire un corpo unitario contro la minaccia terroristica e abbiano, nel bene e nel male, adoperato tutte le proprie forze per respingere tale pericolo. Mi pare, tuttavia, che non tutti gli aspetti di questa battaglia siano stati chiariti dalla letteratura, la quale ha sviscerato, spesso in senso fortemente critico, lĠoperato dei legislatori e dei governi, senza quasi mai concentrarsi sul ruolo fondamentale che la giurisprudenza ha in questa partita. Quanto ai poteri legislativo ed esecutivo, infatti, appartiene ormai alla tradizione penalistica e processual-penalistica di questi ultimi anni il dibattito attorno al tema del cd. diritto penale del nemico e delle logiche dĠautore nel contrasto al terrorismo islamico. La questione, sulla quale torner˜ approfonditamente (20), fornisce la cifra della politica criminale adottata contro il terrorismo e concerne segnatamente i limiti che tali due poteri devono darsi nel contrasto allo jihadismo militante, con riferimento al necessario bilanciamento di interessi fra la tutela della pubblica incolumitˆ e la protezione dei diritti fondamentali dei singoli individui coinvolti (presunti terroristi o terzi estranei che siano) (21). Tanta attenzione non  invece stata prestata alla lotta che contestualmente stanno compiendo le magistrature, chiamate ad applicare le vecchie categorie normative al fine di debellare un fenomeno criminale nuovo e sconosciuto nelle sue linee strutturali. Le difficoltˆ interpretative sembrano essersi concentrate, a livello giudiziario, attorno a due temi: uno abbondantemente sviscerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza; uno sostanzialmente negletto o comunque decisamente sottovalutato. Il primo tema  sicuramente quello della nozione di terrorismo. Su tale profilo, pur interessantissimo, si sono giˆ diffusamente intrattenuti gli Autori e gli operatori del diritto, tanto da lasciar credere che, anche alla luce dellĠintroduzione dellĠart. 270-sexies c.p., esso abbia progressivamente acquisito sufficiente stabilitˆ e meriti di essere solo accennato nel prosieguo (22). Il secondo tema, invece,  quello concernente la sussumibilitˆ del nuovo terrorismo entro le vecchie fattispecie e le vecchie categorie dogmatiche. Sul punto, sono davvero scarsi gli studi che, partendo dalle profonde peculiaritˆ strutturali delle reti cellulari jihadiste e scendendo sul terreno del diritto penale in action, si propongano, da un lato, di saggiare i limiti della compatibilitˆ di tali strutture rispetto al reato associativo e alle altre fattispecie (direttamente o indirettamente) antiterroristiche e, dallĠaltro lato, di valutare lĠeventuale necessitˆ di adottare differenti tecniche di controllo della criminalitˆ. (20) Infra, Cap. II. (21) In generale, cfr. R. BARTOLI, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008, passim. (22) Infra, Cap. III, ¤ 3. Su tali complesse fondamenta si innesta la presente ricerca che si propone di rispondere a una domanda cruciale: che fisionomia deve assumere lo strumento penale rispetto al terrorismo islamico per garantire, allo stesso tempo, la sicurezza dei cittadini e i loro diritti fondamentali? Si tratta di una questione apparentemente semplice, che nasconde peraltro infinte insidie e che presuppone la soluzione di una serie di successive problematiche intermedie, che il presente lavoro si propone di passare in rassegna. Anzitutto, non pu˜ procedersi ad alcuna valutazione di natura giuridica senza la preventiva analisi del complesso fenomeno socio-criminale in indagine. Occorre, in altri termini, sgombrare il campo dai luoghi comuni e dalle semplificazioni massmediatiche, per dedicarsi a un approfondimento delle dinamiche dello jihadismo militante. Il primo capitolo prende cos“ le mosse da una sintetica analisi storico-sociologica della religione islamica e delle sue ricorrenti estrinsecazioni in fenomeni violenti di natura jihadista. In seguito la ricerca entra nel merito e fornisce un compiuto inquadramento del fenomeno terroristico di matrice islamico-radicale, ricostruito attraverso lĠausilio di copiose fonti giuridiche ed extragiuridiche di provenienza italiana, ma soprattutto internazionale (relazioni di polizia, fonti di intelligence e giornalistiche, materiali sequestrati, relazioni delle commissioni governative, informazioni riferite da pentiti ed infiltrati ecc.). Del fenomeno in discussione vengono indagati tutti i livelli, dal presunto livello macroscopico della rete globale fino al livello atomistico del singolo terrorista. In questa sede, sono analizzate le diverse estrinsecazioni dellĠislamismo violento, dallĠormai longeva ÒnebulosaÓ di Al-Qaeda sino allĠattuale e ÒmaterialissimaÓ struttura para-statuale del cd. Stato Islamico. Il successivo passaggio consiste nel valutare lĠapproccio politico-criminale che si intende tenere contro un fenomeno criminale tanto pericoloso, dal momento che le concrete scelte legislative non possono che dipendere da questa preventiva presa di posizione. A tal proposito, nel secondo capitolo, formulate talune premesse di natura storico-filosofica, viene ripreso un confronto, frequente in letteratura, tra i due opposti modelli culturali e politico-criminali che si sono affermati nei Paesi occidentali in risposta al terrorismo islamico. In prima battuta viene analizzato il modello statunitense, scelto a livello comparatistico proprio per la sua tendenza estrema ad esasperare le logiche di contrasto allĠÒautore terroristaÓ, anche a discapito della tutela dei diritti individuali, secondo un approccio che  stato efficacemente descritto quale diritto penale del nemico. Di tale impostazione viene anche sottolineata la tendenza a rifuggire dallo strumento penale, in favore di opzioni di natura pseudo-amministrativa, pi ÒsnelleÓ e molto meno garantiste. Scartato tale modello, perchŽ ritenuto illegittimo, viene posto al centro del discorso, in seconda battuta, il modello europeo continentale, il quale prevede lĠimpiego di altri meno invasivi strumenti di lotta, senzĠaltro pi rispettosi delle garanzie individuali. RECENSIONI 287 Il favore verso lĠapproccio europeo, teso a perseguire il terrorismo attraverso lĠordinario sfruttamento del diritto penale, risolve una prima alternativa e porta cos“ alla necessitˆ di confrontarsi con le fattispecie delittuose attualmente utilizzate nella repressione del terrorismo stesso. In tale ottica, emerge il precipuo interesse per il reato associativo, dal momento che il delitto di associazione terroristica ex art. 270-bis c.p. rappresenta lo strumento adoperato in via quasi esclusiva dalla giurisprudenza italiana ed europea nel contrasto dello jihadismo violento. Per risolvere uno dei problemi principali di questa ricerca - ossia quello della compatibilitˆ delle strutture del terrorismo islamico con le categorie dogmatiche del reato associativo - viene fornita, nel terzo capitolo, unĠaccurata ricostruzione degli elementi costitutivi dellĠart. 270-bis c.p. e delle disposizioni che concorrono ad integrarlo, seguendo le orme del tradizionale dibattito circa gli elementi organizzativo e teleologico dellĠassociazionismo criminoso. Il confronto fra la (de)strutturazione del terrorismo islamico, indagata nel primo capitolo, e le categorie del reato associativo, recuperate nel terzo, lasciano ipotizzare lĠidea che queste ultime non siano idonee a ÒcoprireÓ il fenomeno criminale in indagine, in ragione del profondo gap strutturale che separa il nuovo terrorismo da un diritto sorto su basi criminologiche del tutto difformi. Nel quarto capitolo, pertanto, attraverso lĠanalisi di sentenze di legittimitˆ e soprattutto di merito, molte delle quali inedite, si giunge alla dimostrazione della tesi appena indicata, secondo cui le (giˆ descritte) categorie dogmatiche sono tendenzialmente incompatibili con le strutture cellulari del terrorismo transnazionale di matrice islamica, attualmente presenti in Occidente. Le difficoltˆ nel ricondurre le realtˆ cellulari del terrorismo islamico al reato associativo e le forzature che in tal senso vengono praticate spingono verso la ricerca di strumenti normativi differenti. In particolare, dal punto di vista del reato associativo, allĠinterno del quinto capitolo viene gettato un primo sguardo sullĠordinamento spagnolo, selezionato a livello comparatistico in ragione di alcuni elementi fondamentali: i) la tendenziale scelta politico- criminale di mantenere, analogamente allĠItalia, lĠazione dello Stato entro lĠalveo del diritto penale Òdel cittadinoÓ, evitando le esasperazioni dellĠapproccio statunitense; ii) lĠanaloga base categoriale, dovuta alla comune influenza del- lĠimpostazione teorica europeo-continentale su entrambi i sistemi penali; iii) le rilevanti novitˆ legislative, introdotte in Spagna nel 2010 e nel 2015, con le quali si  proceduto, espressamente per ragioni di tutela della sicurezza pubblica scaturenti dal fenomeno terroristico di matrice islamica, ad alcune importanti modifiche delle fattispecie antiterroristiche. In questo capitolo, in particolare, viene approfondito - come si diceva - il versante dei reati associativi, attraverso lĠanalisi, ante e post riforma del 2010, degli istituti della Òasociaci—n ilicitaÓ, della Òorganizaci—n terroristaÓ e del Ògrupo terroristaÓ. Un particolare approfondimento, in vista di successive osservazioni in tema di con trollo della criminalitˆ, viene riservato proprio alla fattispecie associativa ÒminoreÓ di grupo, nata espressamente nel 2010 per superare le tensioni che - in Spagna come in Italia - si avvertono nel tentativo di adattare alla rete cellulare del nuovo terrorismo le vecchie categorie dellĠasociaci—n e dellĠorganizaci—n. Lasciate le ÒseccheÓ del reato associativo, il sesto capitolo approfondisce il tema della possibile repressione del terrorismo internazionale di matrice islamica attraverso le fattispecie espressamente antiterroristiche, diverse dal reato associativo. A tal proposito vengono di nuovo comparati lĠordinamento italiano e quello spagnolo che, anche in questo caso, mostrano talune differenze a livello di sistema, pur nella comune impostazione di massima. DellĠordinamento italiano, in particolare, sono prese in considerazione le fattispecie antiterroristiche non associative presenti nel codice e nelle leggi speciali e, fra queste, precipuamente le ipotesi di arruolamento e addestramento con finalitˆ di terrorismo (artt. 270-quater e 270-quinquies c.p.), recentemente novellate da unĠimportante riforma del 2015. Vengono quindi analizzate le due ragioni fondamentali della sostanziale disapplicazione dei delitti in parola: i) la natura onnivora dellĠassociazione terroristica, intesa nei termini sbiaditi, in precedenza evidenziati; ii) la complessa struttura tipologica delle menzionate fattispecie antiterroristiche, le quali, richiedendo il dolo specifico (talvolta addirittura duplice), richiamano la complessa definizione di cui allĠart. 270sexies c.p. e cos“ pretendono note di idoneitˆ rispetto alla realizzazione di gravissimi fatti di terrorismo. A questo scenario, viene contrapposta lĠimpostazione normativa adottata in Spagna. Il legislatore iberico, andando persino oltre le giˆ discutibili richieste comunitarie di criminalizzazione, ha infatti creato una normazione penale talmente pervasiva ed arretrata da essere stata efficacemente descritta quale Òorg’a punitivaÓ ed  giunto a livelli inediti di arretramento della tutela penale, giungendo allĠincriminazione di chi consulta siti estremisti e di chi detiene materiale di propaganda jihadista. LĠultimo capitolo del libro  dedicato alle conclusioni e alle prospettive di intervento sulla legislazione vigente. A tal proposito, vengono indicate alcune soluzioni de lege lata e de lege ferenda, finalizzate alla prevenzione e al controllo della criminalitˆ terroristica, attraverso strumenti che siano allo stesso tempo efficaci e rispettosi del ruolo che deve essere assegnato ad un diritto penale garantista, democratico e costituzionalmente orientato. In questo contesto, viene quindi ribadita lĠinconciliabilitˆ con i principi del nostro Stato di diritto del modello del cd. Òdiritto penale del nemicoÓ, ma viene anche enucleata una categoria pi subdola, ivi definita Òdiritto penale (del cittadino) adattato alle forme del nemicoÓ. Anche questa impostazione viene respinta, perchŽ ritenuta distorsiva rispetto a tradizionali categorie dogmatiche che non possono essere a tal punto plasmate per finalitˆ repressive, secondo pericolose direttrici di distorsione probatoria. Alla luce di queste riflessioni, de lege lata, si indicano: i) gli stretti limiti di applicazione dellĠassociazione terroristica, RECENSIONI 289 ricavati attraverso unĠinterpretazione che non snaturi i requisiti strutturali del reato associativo e che non confonda questĠultimo con la mera comunanza di basi socio-culturali e di aspirazioni estremistiche; ii) gli spazi di operativitˆ delle fattispecie non associative espressamente terroristiche, cos“ come ricavati dalla corretta lettura del requisito del dolo specifico che le connota; iii) la possibilitˆ, sinora trascurata, di colpire le condotte (potenzialmente) prodromiche rispetto a condotte terroristiche attraverso reati comuni, che siano egualmente efficaci e che non forzino la prova della tensione teleologica verso condotte con finalitˆ di terrorismo. De lege ferenda, invece, vengono formulati alcuni caveat ed alcune proposte. Dal primo punto di vista, sono riassunte le ragioni che depongono contro lĠindiscriminato arretramento della tutela penale, sancendo cos“ la scarsa appetibilitˆ dei (pur diversi tra loro) modelli statunitense e spagnolo. A livello propositivo, per contro, vengono sondati e problematizzati due possibili interventi di riforma. In primo luogo, seguendo ed approfondendo gli auspici della migliore letteratura penalistica, viene proposta una modifica del reato associativo (recte: una generale norma definito-ria), che colmi la lacuna nella definizione del concetto di ÒassociazioneÓ attraverso lĠintroduzione espressa dei profili statici e dinamici della struttura criminale. In secondo luogo, viene valutata la possibilitˆ di introdurre specifici reati, anche di natura ostativa, che evitino le difficoltˆ probatorie scaturenti dallĠaccertamento della finalitˆ di terrorismo e che, anche attraverso una corretta modulazione penologica, apprestino una tutela efficace ma ragionevole, senza forzature ermeneutiche ed eccessi sanzionatori. Finito di stampare nel mese di settembre 2016 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma