ANNO LXIX - N. 1 GENNAIO - MARZO 2017 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo DĠAscia -Gianni De Bellis -Francesco De Luca - Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Anna Andolfi, Emanuela Brugiotti, Sonia Catalano, Roberto de Felice, Enrico De Giovanni, Giulia Fabrizi, Vinca Giannuzzi Savelli, Federica Mariniello, Massimo Massella Ducci Teri, Adolfo Mutarelli, Matteo Maria Mutarelli, Antonio Pugliese, Daniele Sisca, Claudio Tric˜. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................Û 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. Û 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Benefici spettanti alle vittime del dovere ed equiparati. Contenzioso: direttive, Circolare A.G. prot. 227893 del 4 maggio 2017 n. 22 . . . . . . . . . pag. 1 Definizione delle liti tributarie pendenti, prevista dallĠart. 11 del D.L. 24 aprile 2017 n. 50, pubblicato nella G.U. del 24 aprile 2017, n. 95, S.O. Prime istruzioni, Circolare A.G. prot. 266851 del 24 maggio 2017 n. 25 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 5 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Emanuela Brugiotti, Un difficile bilanciamento di interessi e un dialogo forse mancato con le Corti italiane: riflessioni a margine della pronuncia della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dellĠuomo del 24 gennaio 2017 (Corte EDU, Grande Camera, sent. 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 9 Gianni De Bellis, La Corte di Giustizia ÒsalvaÓ il meccanismo italiano pro-rata per il calcolo dellĠIVA detraibile (C. Giustiza UE, Sez. Terza, sent. 14 dicembre 2016, causa C-378/15). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 77 CONTENZIOSO NAZIONALE Giulia fabrizi, Brevi note sulla trasmissibilitˆ alla nascita del cognome materno dopo la sentenza della Corte EDU Cusan e Fazzo c. Italia del 7 gennaio 2014, n. 77. Nota a Corte Costituzionale n. 286 del 21 dicembre 2016 (C. cost., sent. 28 dicembre 2016 n. 286) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 97 Antonio Pugliese, Sulla qualifica di P.G. per gli operatori ARPA: considerazioni sulle due recenti pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale (Cass. pen., Sez. III, sent. 28 novembre 2016 n. 50352; C. Cost., sent. 13 gennaio 2017 n. 8) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 122 Anna Andolfi, Il Òrito ForneroÓ e le controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti instaurate dai pubblici dipendenti ÒcontrattualizzatiÓ (Trib. Napoli, Sez. lav., ord. 8 febbraio 2017) . . . . . . . . . . . . ŬŬ 137 Informativa antimafia e autorizzazioni: art. 89 bis del d.lgs n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) un presunto eccesso di delega? Uno scambio di email su Consiglio di Stato, Sez. Terza, sentenza 7 marzo 2017 n. 1080 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 154 Marina Russo, Diritto di accesso e opponibilitˆ della clausola di riservatezza (Cons. St., Sez. III, sent. 17 marzo 2017 n. 1213) . . . . . . . . . . . . ŬŬ 165 Vinca Giannuzzi Savelli, Brevi note sul sistema di regolazione del demanio marittimo (T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 9 febbraio 2017 n. 818). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 174 LEGISLAZIONE ED ATTUALITˆ Alfonso Mezzotero, Daniele Sisca, Il Commissario ad acta per il superamento dellĠemerganza sanitaria nel territorio della Regione Calabria. Analisi ragionata e sistematica delle tipologie di ricorsi esaminati dal T.A.R. Calabria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 191 federica Mariniello, Il rilievo giuridico dei codici di comportamento nel settore pubblico, con riferimento alle varie forme di responsabilitˆ dei pubblici funzionari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 218 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Roberto de felice, Che cosa  un nome? Brevi appunti sul diritto al nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 229 Adolfo Mutarelli, Matteo Maria Mutarelli, Considerazioni intorno alle possibili ricadute della misura straordinaria ex art. 32 d.l. 90/2014 (debiti pregressi e rapporti di lavoro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 253 Antonio Pugliese, Atto di provenienza amministrativa e prova penale . . ŬŬ 265 Claudio Tric˜, Principio di uguaglianza: pregiudizi privati e discriminazione dello straniero nellĠaccesso allĠabitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ŬŬ 287 TEMIISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 22/2017 oggetto: Benefici spettanti alle vittime del dovere ed equiparati. Contenzioso: direttive. Si trasmette, per conoscenza e coordinamento, copia del parere reso da questo Generale Ufficio in relazione all'oggetto. Alla luce dei recenti arresti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ivi richiamati, nelle more di eventuali iniziative legislative e/o amministrative, vorranno codeste Avvocature attenersi alle condotte processuali indicate nel parere. Si riservano ulteriori comunicazioni a seguito dei riscontri che perverranno dalle Amministrazioni interessate. LĠAVVOCATO GENERALE DELLO STATO avv. Massimo Massella Ducci Teri Avvocatura Generale dello Stato Via dei Portoghesi, 12 00186 ROMA Tipo Affare CT 15110/17 - Sez. V Avv. DE GIOVANNI Rif. a nota del 03/04/2017 Prot. n. 45342 22/04/2017-212869 P AGS Roma / POSTA CERTIFICATA MINISTERO DELLA DIFESA Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva Viale dellĠEsercito, 186 00143 ROMA 22/04/2017-212870 P AGS Roma / POSTA CERTIFICATA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi Largo Chigi 00187 ROMA RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2017 22/04/2017-212871 P AGS Roma / POSTA CERTIFICATA MINISTERO ECONOMIA E FINANZE Gabinetto Via XX Settembre, 87 00100 ROMA 22/04/2017-212872 P AGS Roma / POSTA CERTIFICATA MINISTERO DELLĠINTERNO Gabinetto Piazza del Viminale, 1 00184 ROMA 22/04/2017-212873 P AGS Roma / POSTA CERTIFICATA MINISTERO DELLA GIUSTIZIA Gabinetto Via Arenula, 70 00186 ROMA OggettO: Richiesta di parere in materia di benefici spettanti alle vittime del dovere ed equiparati. A riscontro della nota del Ministro della difesa indicata in epigrafe ... si rappresenta quanto segue. Come  noto, varie problematiche relative alle provvidenze in favore delle vittime del dovere, e fra le altre quella dell'ammontare dell'assegno vitalizio mensile (appunto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad essi equiparati) previsto dall'art. 1, co. 562 e ss., della L. 266/05 e dal DPR 243/06, si sono poste in numerosi giudizi, sia dinanzi al Giudice ordinario sia dinanzi a quello amministrativo, cosicchŽ si vanno consolidando alcuni orientamenti giurisprudenziali che impongono un'attenta considerazione. Vanno in particolare ricordate tre decisioni di estremo rilievo, in quanto provenienti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; con la sentenza no 23300 del 16 novembre 2016  stata affermata la giurisdizione del giudice civile sulle controversie in subiecta materia; con la sentenza nĦ 759 del 13 gennaio 2017 sono state affrontate questioni interpretative concernenti lĠart. 1, c. 564, della 1. 23 dicembre 2005, ed in particolare  stata affermata un'interpretazione (per inciso assai estensiva) della nozione di "missione"; infine le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 7761 del 7 marzo 2017 hanno ritenuto che l'importo dell'assegno debba essere "uguale a quello dell'analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalitˆ organizzata essendo la legislazione primaria in materia permeata da simile intento perequativo come risulta dal "diritto vivente" rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria", cio pari a euro 500,00 mensili. Le questioni sollevate dall'Amministrazione della difesa con la nota che si riscontra, relative in particolare a quest'ultima sentenza, vanno pertanto, a giudizio di questa Avvocatura, esaminate nel pi ampio contesto costituito dagli orientamenti generali assunti dalla Suprema TEMI ISTITUZIONALI Corte con riferimento alle provvidenze in favore delle vittime del dovere come manifestati dalle varie sentenze sopra ricordate. Appare infatti evidente un orientamento inteso a riconoscere nel modo pi ampio sia la spettanza che l'entitˆ dei benefici. Siffatto "favor", giustificato da evidenti ragioni di natura solidaristica, appare testimoniato dalle stesse motivazioni poste a base della sentenza nĦ 7761/17, che, richiamando a sostegno della decisione la "costante giurisprudenza amministrativa e ordinaria", non ha considerato che la Scrivente, negli atti difensionali depositati nel giudizio di legittimitˆ in cui  stata resa la sentenza citata, ed in particolare nella memoria ex art. 378 c.p.c., aveva segnalato i diversi orientamenti, provvedendo anche a citare espressamente la recentissima sentenza n. 5337/2016 del Consiglio di Stato, riportandone ampi stralci, nonchŽ il parere nĦ 751/2016 sempre del Consiglio di Stato; tuttavia, la Suprema Corte non ha dedicato particolare attenzione ai predetti precedenti. Dunque il perseguimento dellĠ Òintento perequativoÓ segnalato dalla stessa sentenza in esame appare evidente; va poi sottolineato come, accanto a siffatta affermazione, la Suprema Corte abbia sostenuto la propria decisione anche con ulteriori argomenti, ad esempio con un richiamo all'art. 2, co. 105 e ss., della L. 244 del 2007; in sostanza, alla luce dei complessivi orientamenti delle SS.UU., si deve ritenere che ben difficilmente le questioni sopra ricordate potranno essere decise in modo difforme in eventuali future decisioni della Corte di Cassazione, giacchŽ testimoniano la ferma adesione della Suprema Corte al ricordato "intento perequativo"; e ci˜ sembra valere sia per quanto riguarda l'importo dell'assegno mensile (500 euro), sia con riferimento al concetto di "missione", ferma restando la ritenuta giurisdizione dell'A.G.O. Tanto premesso va sottolineato che, poichŽ la giurisdizione in subiecta materia spetta al Giudice Ordinario, nella valutazione dei precedenti giurisprudenziali l'orientamento della Corte di Cassazione assume rilevanza decisiva rispetto a quello del Giudice Amministrativo, considerazione a cui si aggiunge quella inerente alla funzione di nomofilachia istituzionalmente svolta dalla Suprema Corte. Deve quindi rilevarsi che alla luce delle attuali disposizioni processuali i precedenti resi dalle Sezioni Unite costituiscono arresti (che saranno certamente fatti valere dalle controparti) suscettibili di condizionare la sorte dei giudizi pendenti, nel senso di determinare la quasi certa soccombenza delle P.A. resistenti e significative condanne alle spese legali a carico delle Amministrazioni medesime. Siffatta situazione impone, pertanto, un'attenta e ponderata valutazione in merito alle strategie processuali da seguire per la miglior tutela degli interessi erariali; tuttavia essa rende anche fortemente opportuna una urgente valutazione a livello politico e amministrativo, anche in vista di eventuali interventi di natura normativa o amministrativa generale. Per quanto  noto alla Scrivente, l'incremento da Û 258 a Û 500 del beneficio in esame determinerebbe infatti un onere finanziario non previsto a carico del bilancio dello Stato, e ci˜ sia in relazione ai maggiori costi conseguenti all'esecuzione delle sentenze di condanna, sia all'eventuale estensione, in via amministrativa, dell'aumento dell'assegno a tutti gli aventi diritto, con riflessi sia sul bilancio corrente (anche in considerazione del pagamento degli arretrati) sia sull'onere finanziario a regime. Appare quindi auspicabile che le varie questioni sopra esposte vengano urgentemente esaminate e, laddove non si ritenga di intervenire sulle norme vigenti in via interpretativa e/o modificativa, vengano apprestate le opportune misure per far fronte ai relativi maggiori oneri finanziari (che la Scrivente non , ovviamente, in grado di stimare). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2017 Nel frattempo, in attesa delle eventuali (ed auspicabilmente tempestive) iniziative sopra descritte, appare opportuno che nei nuovi giudizi e in quelli pendenti le singole Avvocature (Generale e Distrettuali) dello Stato si costituiscano in giudizio rappresentando, sullo specifico tema dell'importo dovuto, i diversi orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati, rimettendosi comunque alle decisioni dei giudici aditi (salve, ovviamente, eventuali diverse questioni di rito e/o di merito proponibili) e si astengano comunque dall'impugnare le decisioni sfavorevoli giˆ rese, cosicchŽ si possa tentare di evitare declaratoria di inammissibilitˆ delle impugnazioni medesime con conseguenti prevedibili onerose condanne alle spese. In tal senso saranno fornite indicazioni a tutte le Avvocature distrettuali dello Stato nelle more delle decisioni che saranno assunte dalle Amministrazioni interessate. Si resta comunque in attesa di conoscere, con l'urgenza del caso, le valutazioni e le eventuali iniziative di codeste Amministrazioni. L'Avvocato Estensore Il Vice Avvocato Generale (Avv. Enrico DE GIOVANNI) (Avv. Leonello MARIANI ) TEMI ISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 25/2017 oggetto: Definizione delle liti tributarie pendenti, prevista dallĠart. 11 del D.l. 24 aprile 2017 n. 50, pubblicato nella G.U. del 24 aprile 2017, n. 95, S.o. Prime istruzioni. Il 24 aprile 2017  entrato in vigore il D.L. n. 50/2017, recante "Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo". Il decreto, all'art. 11, ha previsto una "definizione agevolata delle controversie tributarie" in cui  parte l'Agenzia delle entrate. A differenza dei casi precedenti in cui l'importo da pagare per la definizione era modulato in funzione dello stato della causa (art. 16, comma 1, L. n. 289/2002; art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011) il citato art. 11 prevede che le controversie tributarie possano essere definite, "a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi  subentrato o ne ha la legittimazione", mediante il pagamento dell'intero tributo, con una parte degli interessi ed "escluse le sanzioni collegate al tributo". Queste ultime non sono dovute anche quando sono oggetto di separata contestazione, semprechŽ il tributo sia stato definito ai sensi del medesimo art. 11, ovvero "anche con modalitˆ diverse". In tali casi  comunque necessaria la presentazione della domanda di definizione (comma 5). Per le sanzioni non collegate al tributo la definizione  subordinata al pagamento di una somma pari al 40% della sanzione. requisiti soggettivi Sono definibili le sole controversie in cui  parte l'Agenzia delle Entrate, ivi comprese quelle dell'ex Agenzia del territorio (incorporata nell'Agenzia delle Entrate in forza dell'art. 23 quater del D.L. n. 95/2012). La domanda di definizione pu˜ essere presentata dal "soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi  subentrato o ne ha la legittimazione". requisiti oggettivi (comma 3) Sono astrattamente definibili tutte le controversie "attribuite alla giurisdizione tributaria" che siano "pendenti in ogni stato e grado del giudizio", semprechŽ la costituzione in giudizio del ricorrente in primo grado sia avvenuta entro il 31 dicembre 2016. Non sono definibili le controversie "per le quali alla data di presentazione della domanda di definizione" (che deve essere presentata entro il 30 settembre 2017) risulti emessa una "pronuncia definitiva" (passata in giudicato). Controversie escluse (comma 4) Sono espressamente escluse dalla definizione le controversie concernenti "anche solo in parte" : a) le risorse proprie tradizionali previste dall'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/Ce, euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/Ue, euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l'imposta sul valore aggiunto riscossa allĠimportazione; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2017 b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 16 del regolamento (Ue) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015. Sono pertanto da ritenersi definibili le controversie in materia di IVA. Sono invece da ritenersi logicamente escluse dalla definizione le controversie: a) aventi ad oggetto istanze di rimborso (anche a seguito d“ diniego espresso), in quanto non relative ad un "atto impugnato" portante una pretesa del fisco; b) aventi ad oggetto atti che non contengono una pretesa fiscale quantificata (es. i ricorsi contro provvedimenti di attribuzione di rendita catastale, di cancellazione dal registro delle ONLUS, di diniego di benefici o agevolazioni fiscali ecc.); c) aventi ad oggetto atti di riscossione di somme per precedenti condoni. Appare incerta la possibilitˆ di definire le controversie avverso atti di mera riscossione (es. cartelle di pagamento precedute da un avviso di accertamento). Tali atti, nelle scorse ipotesi di definizione delle liti, non venivano qualificati come "atti impositivi" e conseguentemente la giurisprudenza ne escludeva la definibilitˆ (a meno che non fossero stati preceduti dall'atto presupposto: Cass. n. 22000/2015). Sembra tuttavia che nel caso in esame anche tali controversie possano ritenersi definibili, in quanto: a) a differenza dei casi precedenti, l'art. 11 fa riferimento generico "all'atto impugnato" (e non all'atto impositivo: in particolare l'art. 16, comma 3, lett. a) della legge n. 289 precisava che per lite pendente doveva intendersi quella avente ad oggetto "avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione" ); b) le modalitˆ di definizione sono analoghe a quelle previste dall'art. 6 del D.L. 193/2016 (c.d. "rottamazione dei ruoli") per tutte le ipotesi di crediti iscritti a ruolo ed a tale riguardo la relazione governativa al D.D.L. di conversione del D.L. n. 50/2017 (AC 4444) precisa che "La nuova forma di definizione delle liti pendenti soddisfa l'esigenza di rendere compiuto l'effetto definitorio sulle controversie cui  applicabile la definizione agevolata in corso dei carichi affidati all'agente della riscossione in applicazione del citato decreto-legge n. 193 del 2016, consentendo al contribuente di definire integralmente i rapporti tributari in contestazione, anche qualora gli importi oggetto di contenzioso non siano stati integralmente affidati all'agente della riscossione per effetto delle disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio ". In tale situazione  allo stato opportuno, in via cautelativa, ritenere non definibili le cause aventi ad oggetto atti di mera riscossione ai fini della sospendibilitˆ dei relativi termini. Perfezionamento della definizione (comma 5) Il comma 5 prevede che la definizione si perfeziona con il pagamento della prima (o dell'unica) rata, da effettuarsi entro il 30 settembre 2017. Ne consegue che il mancato versamento delle rate successive alla prima, non farˆ venir meno la definizione e la successiva estinzione del giudizio (e l'Amministrazione dovrˆ ovviamente procedere alla riscossione coattiva delle somme ancora dovute). Il medesimo comma 5 prevede che "Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda". Sospensione dei giudizi in corso (comma 8) Il comma 8 che prevede che le controversie suscettibili di definizione "non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. In tal caso il processo  sospeso fino al 10 ottobre 2017. Se entro tale data il contribuente avrˆ depositato copia della domanda di definizione e TEMI ISTITUZIONALI del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2018". Sospensione dei termini (comma 9) Il comma 9 prevede che per le controversie suscettibili di definizione "sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del presente articolo fino al 30 settembre 2017". Ne consegue che - ancorch le cause siano condonabili - non devono ritenersi sospesi: a) i termini per il deposito delle controdeduzioni (in CTP e CTR) e per la notifica del controricorso (ancorchŽ si possa forse ritenere il contrario, stante la prevista sospensione dei termini per le impugnazioni incidentali); b) il termine per il deposito dei ricorsi (e controricorsi) eventualmente notificati; c) il termine lungo di impugnazione (di norma semestrale) delle sentenze depositate dal 1Ħ marzo 2017 in poi, in quanto (calcolando la sospensione feriale dal lĦ al 31 agosto 2017) verrebbe a scadere in data successiva al 30 settembre 2017. A tale riguardo  opportuno precisare che una eventuale notifica della sentenza durante il periodo di sospensione, non sarebbe idonea nŽ ad abbreviare il citato termine lungo (in quanto per il termine breve opererebbe comunque la sospensione semestrale), nŽ ad allungarlo (in base al noto principio secondo cui il termine di decadenza matura con lo scadere del termine lungo e non pu˜ essere posticipato da quello breve che eventualmente lo superi: Cass. SS.UU. n. 21197/2009; Cass. n. 26272/2005). Si precisa che trattandosi di un termine di sospensione (e non di proroga), nel termine di sei mesi deve ritenersi assorbito il termine di sospensione feriale (cfr. da ultimo, Cass. n. 9438/2017). Diniego di definizione (comma 10) Il comma 10 prevede che "l'eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2018" (in mancanza, la definizione deve ritenersi valida) e che avverso tale atto  possibile proporre ricorso "dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la lite" ovvero, nei casi in cui sia pendente il termine per impugnare una sentenza, davanti al giudice del gravame unitamente alla sentenza stessa. La norma prevede - ancorchŽ in modo non molto chiaro - che le controversie condonate si estinguono "in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2018 dalla parte che ne ha interesse ". Dalla relazione governativa sopra richiamata risulta che la disposizione  finalizzata a provocare l'estinzione automatica delle cause definite, senza necessitˆ di apposita istanza. effetti verso i condebitori solidali (comma 11) Il comma 11 prevede che "La definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia pi pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 7" (il comma 7 prevede il divieto di restituzione delle somme giˆ versate, ancorch eccedenti). Gestione del contenzioso Alla luce di quanto sopra esposto, gli Avvocati e Procuratori assegnatari di affari tributari avranno cura di verificare le controversie per le quali non opera la sospensione dei termini, e di rimodulare (per le altre) le nuove scadenze (rispetto a quelle risultanti da NSSI). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2017 Come si  detto, in via cautelativa dovranno ritenersi non sospesi - i termini di impugnazione nelle cause non definibili; -i termini di impugnazione nelle cause aventi ad oggetto atti di mera riscossione (nel dubbio sulla loro definibilitˆ); - i termini per il controricorso, per le controdeduzioni nonchŽ per l'iscrizione a ruolo. Qualora nella stessa causa sia impugnato anche un solo atto suscettibile di definizione, la sospensione dei termini prevista per quest'ultimo dovrebbe comportare la sospensione dei termini per l'intera causa (Cass. n. 8113/2013). Tuttavia un simile effetto  da escludersi per i casi di cui agli atti espressamente esclusi dalla definizione (comma 4), la cui presenza  ostativa in toto alla definibilitˆ anche degli eventuali ulteriori atti impugnati nel medesimo giudizio (i cui termini pertanto non sono sospesi). La valutazione in ordine alla opportunitˆ o meno di proporre comunque ricorso per cassazione nelle cause il cui termine  sospeso,  rimessa a ciascun titolare dell'affare. Occorrerˆ tuttavia tenere conto che una volta venuta meno la sospensione dei termini, le originarie scadenze si sommeranno a quelle "ordinarie" medio tempore sopravvenute. Si fa riserva di ulteriori chiarimenti anche all'esito delle eventuali modifiche che potranno essere apportate in sede di conversione in legge del decreto. LĠAVVOCATO GENERALE Massimo MASSELLA DUCCI TERI ContEnziosoComUnitarioEdintErnazonalE Un difficile bilanciamento di interessi e un dialogo forse mancato con le Corti italiane: riflessioni a margine della pronuncia della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dellĠuomo del 24 gennaio 2017 Nota a Corte eDU, GraNDe Camera, seNteNza 24 GeNNaIo 2017, rICorso N. 25358/12, ParaDIso e CamPaNellI C. ItalIa Emanuela Brugiotti* sommarIo: Premessa - 1. Delimitazione dellĠoggetto - 2. assenza di una vita familiare e riconoscimento interferenza nella vita privata - 3. misure previste dalla legge - 4. obiettivo legittimo - 5. Necessitˆ in una societˆ democratica - Conclusioni. Premessa Il 24 gennaio 2017 la Grande Camera (GC) della Corte EDU (1) si  pronunciata, a quasi due anni dalla sentenza della Camera, seconda sezione (2), su richiesta di riesame del Governo italiano ai sensi dellĠart. 43 CEDU (3). La vicenda aveva richiamato lĠattenzione giˆ allora per le diverse tema- La Rassegna ospita il presente contributo, ma la delicatezza del tema trattato con il difficile contemperamento dei diritti coinvolti pu˜ condurre a divergenti considerazioni (n.d.r.). (*) Avvocato e Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali (Universitˆ di Pisa), giˆ praticante presso lĠAvvocatura Generale dello Stato. (1) Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-170359%22]}. (2) Pubblicata il 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-151056#{%22itemid%22:[%22001-151056%22]} . (3) Richiesta accolta dallĠapposito panel di 5 giudici il 1Ħ giugno 2015. LĠudienza si  tenuta il 9 dicembre 2016 e si pu˜ vedere in streaming sul sito http://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=hearings& w=2535812_ 09122015&language=en. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 tiche coinvolte. QuestĠultima e definitiva pronuncia della Corte di Strasburgo ha riacceso le diverse opinioni sorte in merito. I fatti da cui trae origine il caso sono noti. Dopo aver scoperto di non poter avere figli, due coniugi italiani -i signori Paradiso e Campanelli -hanno iniziato la procedura di adozione e nel 2006 sono stati dichiarati idonei, con obbligo di rispettare i limiti di etˆ previsti dalla legge. Tuttavia, il ritardo nel- lĠaffidamento di un bambino, li ha spinti prima a provare senza successo la fecondazione in vitro e poi a ricorrere alla gestazione per altri. A tal fine, hanno stipulato in Russia un contratto con la societˆ Rosjurconsulting, conformemente alla normativa russa. Dopo la nascita del bambino il 27 febbraio 2011, i coniugi sono stati registrati come genitori senza alcuna indicazione che il minore era nato a seguito di un accordo di gestazione per altri. La signora Paradiso ha portato il bambino in Italia dopo due mesi dalla nascita. Qui per˜ i coniugi non hanno ottenuto la registrazione dellĠatto di nascita dal Comune di residenza, in quanto il Consolato italiano a Mosca aveva informato il Tribunale per i minorenni competente, il Ministero degli Affari Esteri e il Comune che il documento attestante la nascita del bambino conteneva informazioni false. Il 5 maggio 2011 la coppia  stata cos“ accusata di Òfalse dichiarazioni nello stato civileÓ e di violazione dellĠart. 72 della legge sulle adozioni (4), avendo portato illegalmente il bambino in Italia ed avendo violato i limiti di etˆ imposti dalla decisione del 2006. Nello stesso periodo, il minore, considerato in stato di abbandono,  stato avviato allĠadozione. Il 7 luglio 2011 il Tribunale per i Minorenni ha ordinato il test del DNA (eseguito il successivo 1 agosto) dal quale  emerso che il minore non aveva alcun legame genetico con i coniugi, sebbene, secondo la ricostruzione di questi ultimi, la clinica russa si fosse impegnata ad utilizzare il liquido seminale del signor Campanelli, portato in Russia dalla moglie. Il 20 ottobre 2011, il Tribunale per i Minorenni di Campobasso ha deciso di allontanare il bambino dai coniugi, affidandolo prima ad una casa famiglia e poi ad una nuova coppia. I contatti tra i ricorrenti e il bambino sono stati vietati. La decisione  stata confermata dalla Corte dĠAppello sezione famiglia di Campobasso con sentenza del 28 febbraio 2012. Il 3 aprile 2013, anche il rifiuto di registrare il certificato di nascita russo  stato confermato in appello, in considerazione del fatto che la registrazione, per la legge italiana, sarebbe stata contraria all'ordine pubblico, poichŽ il certificato conteneva dati non rispondenti al vero, non essendovi nessuna relazione biologica tra il bambino e i ricorrenti. La procedura di adozione del minore  potuta cos“ riprendere dinanzi al Tribunale per i Minorenni, il quale il 5 giugno 2013 ha deciso che i coniugi (4) L. n. 184/83, consultabile sul sito http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184 %20del%201983.htm. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Campanelli non avrebbero potuto partecipare alla procedura di adozione del minore, non avendo alcun legame di parentela con lo stesso. Il rifiuto della registrazione dellĠatto di nascita cos“ come la decisione riguardante lĠapertura della proceduta di adozione del bambino sono stati impugnati davanti alla Corte europea dei diritti dellĠuomo, in quanto lesive dei diritti alla vita familiare e alla vita privata, tutelati dellĠart. 8 della CEDU, cos“ come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU. I ricorrenti hanno presentato ricorso anche in nome del bambino, ma la Corte ha respinto questo punto, ritenendo che i coniugi non avessero titolo per agire in tal senso, non sussistendo alcun legame biologico o giuridico con il minore (5). Come chiarito nel seguito del presente lavoro, questa decisione sembra aver avuto un peso rilevante nella successiva decisione della Grande Camera. Nella sentenza del 27 gennaio 2015, la seconda sezione della Corte EDU ha considerato esistente una vita familiare de facto, pur in assenza di un legame biologico e nonostante la coabitazione dei ricorrenti e del bambino si fosse protratta per un tempo piuttosto esiguo (due mesi in Russia e sei mesi in Italia). La Corte ha valutato, poi, che le Autoritˆ italiane nel decidere di allontanare il minore dai ricorrenti hanno oltrepassato il proprio margine di apprezzamento, a discapito del superiore interesse del minore, e ha accertato, quindi, la violazione dellĠart. 8 CEDU. Tuttavia, proprio in considerazione del superiore interesse del minore, la Corte ha specificato che la propria decisione non avrebbe obbligato le Autoritˆ italiane a ÒrestituireÓ il bambino ai coniugi, avendo egli nel frattempo instaurato solidi legami con la famiglia, cui era stato affidato dal 2013 (6). Con la citata sentenza del 24 gennaio 2017, la Grande Camera ha ribaltato quanto deciso dalla seconda sezione, non riscontrando la violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. 1. Delimitazione dellĠoggetto. In via preliminare, la particolare delicatezza dei temi toccati nella fattispecie richiede una delimitazione dellĠoggetto della pronuncia della Grande Camera. Del resto, dopo aver rigettato le eccezioni preliminari del Governo (7), sono gli stessi giudici a circoscrivere la propria indagine, chiarendo che (5) Par. 50, Corte Edu, sez. II, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, consultabile in italiano sul sito https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp;jsessionid=D7e4D7B10184F7D47D2CC86957B21a 25.ajpal02?facetNode_1=0_8_1_4&facetNode_2=1_2(2015)&previsiousPage=mg_1_20&contentId= sDU1126686. (6) Per un commento si rinvia fra gli altri a BRUGIoTTI E., maternitˆ surrogata. Il rifiuto di registrazione dellĠatto di nascita nella giurisprudenza della Corte edu e alcune conseguenze applicative nellĠordinamento italiano (e non solo), in rass. avv. stato, Anno LXvII -n. 3, Luglio -Settembre 2015, pagg. 31 ss., consultabile sul sito http://www.avvocaturastato.it/files//file/rassegna/2015/rassegna_ avvocatura_ 2015_ luglio_settembre.pdf. (7) Parr. 92-94, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 essa ha ad oggetto Òthe measures taken by the Italian authorities which resulted in the separation, on a permanent basis, of the child and the applicantsÓ (8). Dunque, la Corte non si  pronunciata nŽ sulla questione della trascrizione del certificato di nascita straniero, nŽ sul riconoscimento della filiazione di un bambino nato allĠestero da gestazione surrogata, nŽ tantomeno sulla legittimitˆ o meno di tale pratica. I giudici sono rimasti, quindi, molto accuratamente nei confini del caso concreto, precisando numerose volte le differenze con altri casi giudicati dalla Corte di Strasburgo, evitando il pi possibile affermazioni suscettibili di pi vasto respiro su un tema cos“ delicato e riconoscendo allĠItalia un ampio (e in questo caso forse anche troppo ampio) margine di apprezzamento. In particolare, le questioni giuridiche al centro del giudizio sono state: se, date le circostanze del caso, lĠarticolo 8 CEDU risultava applicabile, se le misure urgenti ordinate dai giudici italiani costituivano un'interferenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare e/o della loro vita privata, ai sensi dell'articolo 8 ¤ 1 della Convenzione e, in caso affermativo, se le misure contestate erano state adottate ai sensi dell'articolo 8 ¤ 2 della Convenzione (9). Infine, la Corte ha precisato che il minore non  un ricorrente nel procedimento, avendo la seconda sezione rigettato il ricorso proposto dai coniugi in sua rappresentanza. Pertanto, i giudici sono tenuti a valutare solo le censure sollevate dei ricorrenti in proprio nome. Questa  una precisazione molto importante perchŽ ha consentito alla Grande Camera - insieme alla mancanza di un legame biologico del minore con uno dei ricorrenti - di discostarsi, come giˆ evidenziato, da altri casi, in particolare da quelli decisi con le sentenze mennesson c. Francia e labassee c. Francia (10) (11). (8) Ò133. Unlike the above-cited mennesson and labassee cases, the present article 8 complaint does not concern the registration of a foreign birth certificate and recognition of the legal parent-child relationship in respect of a child born from a gestational surrogacy arrangement (see paragraph 84 above). What is at issue in the present case are the measures taken by the Italian authorities which resulted in the separation, on a permanent basis, of the child and the applicantsÓ, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (9) Ò134. therefore the legal questions at the heart of the case are: whether, given the circumstances outlined above, article 8 is applicable; in the affirmative, whether the urgent measures ordered by the minors Court, which resulted in the childĠs removal, amount to an interference in the applicantsĠ right to respect for their family life and/or their private life within the meaning of article 8 ¤ 1 of the Convention and, if so, whether the impugned measures were taken in accordance with article 8 ¤ 2 of the ConventionÓ, Par. 134, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (10) mennesson c. Francia, Corte EDU, Sent. Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65941/11 e labassee c. Francia, Corte EDU, Sent. Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, consultabili rispettivamente in http://hudoc.echr.coe.int/sites/engpress/pages/search.aspx?i=00348046175854908#{%22itemid% 22:[%22003-4804617-5854908%22]} e in http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001145180*# {%22itemid%22:[%22001145180*% 22]} . CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 2. assenza di una vita familiare e riconoscimento interferenza nella vita privata. In seguito, la Corte ha analizzato lĠapplicabilitˆ al caso dellĠart. 8 della Convenzione, sotto la duplice prospettiva della vita familiare e/o della vita privata, appunto nei confronti solo dei due coniugi. Come visto, con la pronuncia del 2015, la seconda sezione della Corte EDU ha riconosciuto esistente una vita familiare de facto, basandosi sulla durata della coabitazione con il bambino, per quanto breve, nonchŽ sulle capacitˆ dei ricorrenti che avevano agito quali genitori del minore (12). Dopo aver richiamato i principi rilevanti per la questione (13), la GC ha ritenuto invece di non poter riscontrare in questo caso lĠesistenza di una vita familiare de facto, considerando la breve durata della convivenza. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che la precarietˆ del legame giuridico tra il bambino ed i ricorrenti  stata creata proprio da questi ultimi, i quali hanno consapevolmente adottato una condotta contraria al diritto italiano, cui le autoritˆ nazionali non hanno potuto che reagire tempestivamente. La Grande Camera ha concluso, pertanto, per lĠinesistenza di una vita familiare (14). Quindi, si badi bene, la Corte non ha disconosciuto affatto la possibilitˆ di un legame familiare di fatto, affiancato ad un legame biologico o legale, semplicemente, se ne condivida o meno la valutazione, non lo ha rinvenuto in questo caso concreto. Ci˜ precisato, si evidenziano di seguito alcune perplessitˆ sorte in merito alle argomentazioni sviluppate nella sentenza. Nel caso di specie, cos“ come la seconda sezione, i giudici della Grande Camera hanno ritenuto necessario analizzare la qualitˆ del legame instaurato fra la coppia e il bambino, il ruolo assunto concretamente nei confronti di questo e la durata della convivenza. (11) Ò135. lastly, the Court points out that the child t.C. is not an applicant in the proceedings before the Court, the Chamber having dismissed the complaints raised by the applicants on his behalf (see paragraph 86 above). the Court is called upon to examine solely the complaints raised by the applicants on their own behalf (see, a contrario, mennesson, cited above, ¤¤ 96-102, and labassee, cited above, ¤¤ 75-81)Ó, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (12) Par. 69 Corte EDU sentenza pubblicata il 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, cit. (13) Ò140. the existence or non-existence of Òfamily lifeÓ is essentially a question of fact depending upon the existence of close personal ties (see marckx v. Belgium, 13 June 1979, ¤ 31, series a no. 31, and K. and t. v. Finland, cited above, ¤ 150). the notion of ÒfamilyÓ in article 8 concerns marriage- based relationships, and also other de facto Òfamily tiesÓ where the parties are living together outside marriage or where other factors demonstrated that the relationship had sufficient constancy (see Kroon and others v. the Netherlands, 27 october 1994, ¤ 30, series a no. 297-C; Johnston and others v. Ireland, 18 December 1986, ¤ 55, series a no. 112; Keegan v. Ireland, 26 may 1994, ¤ 44, series a, no. 290; and X, Y and z v. the United Kingdom, 22 april 1997, ¤ 36, reports 1997-II)Ó, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (14) Par. 158 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Quanto ai primi due punti, la Corte ha valutato che i coniugi hanno sviluppato un vero e proprio un progetto genitoriale, assumendo poi tale ruolo nei confronti del bambino, e che gli stessi hanno instaurato legami affettivi profondi con il piccolo nelle prime fasi della sua vita, dato questo emerso dalla relazione degli assistenti sociali, disposta dai giudici nazionali (15). Quanto alla durata della convivenza, i giudici hanno premesso lĠinopportunitˆ di fissare un termine per una simile valutazione, citando un caso in cui un legame familiare di fatto  stato riscontrato a fronte di una convivenza (due mesi) inferiore a quella avuta nel caso di specie (sei mesi in Italia e circa due mesi in Russia) (16). La Corte ha poi svolto considerazioni relative allĠassenza di un legame biologico e allĠincertezza del legame giuridico della coppia con il bambino; apprezzamenti questi che per˜ non attengono propriamente ad una valutazione di una situazione appunto de facto. Tuttavia, Òand in spite of the existence of a parental project and the quality of the emotional bondsÓ - che invece dovrebbero costituire criteri fondamentali per accertare la sussistenza di un legame familiare di fatto - la Grande Camera ha ritenuto che questo non fosse sussistente nel caso concreto. Questa conclusione si  fondata su tre fattori: la mancanza di un legame genetico, lĠincertezza del legame giuridico e la breve durata della convivenza (17). Di questi, come giˆ osservato, i primi due non attengono a valutazioni di fatto, ma rappresentano gli altri due tipi di legame, in base ai quali pu˜ sorgere una relazione familiare; mentre il terzo non esclude di per sŽ la sussistenza di un legame familiare, dovendosi analizzare in concreto la qualitˆ del legame instaurato, come sottolineato dalla stessa Grande Camera nella premessa del- lĠanalisi da svolgere. Come pi volte ribadito dalla Corte EDU, infatti, lĠesistenza o meno di una "vita familiare"  essenzialmente una questione di fatto, dipendente dalla (15) Ò151. It is therefore necessary, in the instant case, to consider the quality of the ties, the role played by the applicants vis-ˆ-vis the child and the duration of the cohabitation between them and the child. the Court considers that the applicants had developed a parental project and had assumed their role as parents vis-ˆ-vis the child (see, a contrario, Giusto, Bornacin and V. v. Italy (dec.), no. 38972/06, 15 may 2007). they had forged close emotional bonds with him in the first stages of his life, the strength of which was, moreover, clear from the report drawn up by the team of social workers following a request by the minors Court (see paragraph 25 above)Ó, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (16) D. and others v. Belgium Corte EDU, 8 July 2014, ric. n. 29176/13, ¤ 49, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=eCHr&id=002-10163&filename=00210163. pdf& tID=i hgdqbxnfi. (17) 157. Having regard to the above factors, namely the absence of any biological tie between the child and the intended parents, the short duration of the relationship with the child and the uncertainty of the ties from a legal perspective, and in spite of the existence of a parental project and the quality of the emotional bonds, the Court considers that the conditions enabling it to conclude that there existed a de facto family life have not been met, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE reale esistenza, in pratica, di stretti legami personali (18). Inoltre, lĠarticolo 8 della Convenzione non fa distinzione fra famiglia ÒlegittimaÓ e famiglia ÒillegittimaÓ (19), cos“ come la presenza di un legame biologico tra chi agisce quale genitore ed il bambino rappresenta sicuramente unĠindicazione importante circa lĠesistenza di una vita familiare, ma la mancanza di questo tipo di legame non vuol dire necessariamente assenza di una vita familiare (20). Nella sentenza in commento, sono gli stessi giudici (o meglio la maggioranza di questi) a richiamare una serie di altri casi che dimostrano come ad essere rilevante sia la sussistenza di legami personali veri, non di legami biologici o di un legame giuridico riconosciuto (21). Si ha lĠimpressione, quindi, che la GC abbia premesso determinati parametri/principi di analisi, ma abbia poi deciso dando particolare rilevanza ad altri. Inoltre, come indicato, nonostante sia stata riscontrata la sussistenza di un vero e proprio progetto genitoriale, sulla base di legami affettivi di alta qualitˆ (22), la maggioranza dei giudici ha respinto questo argomento per il fatto (18) ¤140 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. Si vedano anche K. e t. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, ¤ 150, CEDU 2001-vII, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22appno%22:[%2225702/94%22],%22itemid% 22:[%22001-59587%22]} e serife Yi.it c. turchia [GC], ric. n. 3976/05, ¤ 93, 2 novembre 2010, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22serife%20Yi%C4%9Fit%22],%22documentcollectionid2% 22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22itemid%22:[%22001101579% 22]}. (19) Si vedano fra le altre marckx v. Belgium, [CP] 13 June 1979, ¤ 31, ric. n. 6833/74, Series A n. 31, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22marckx%20v.%20Belgium% 22],%22documentcollectionid2%22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22ite mid%22:[%22001-57534%22]}; Johnston and others v. Ireland, 18 December 1986, ¤ 55, r. n. 9697/82 Series A n. 11, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22Johnston%20and%20others%20v.%20 Ireland% 22],%22documentcollectionid2%22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22itemid% 22:[%22001-57508%22]}; serife Yi.it c. turchia [GC], r. n. 3976/05, ¤ 94, 2 novembre 2010, cit. (20) Nazarenko v. russia, 16 giugno 2015 ricorso no. 39438/13, ¤ 58, consultabile su h tt p: // h ud o c .e chr.co e . i n t/ a pp/ c o nvers i o n / p d f / ?l ib rar y =e C Hr & i d = 00 3 -5 1 3 3 99 5 6337799& filename=003-5133995-6337799.pdf. (21) Si vedano i paragrafi 148-150 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit., in cui la Corte si riferisce a Wagner e JmWl v. lussemburgo, n. 76240/01, ¤ 117, 28 giugno 2007, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=eCHr&id=002-2645&filename=0022645. pdf&tID=ihgdqbxnfi; moretti e Benedetti contro l'Italia, ric. n. 16318/07, ¤¤ 49-52, 27 aprile 2010 https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid =xUQ16JWBesej6KhnosHJqrov? facetNode_1=1_2(2010)&facetNode_2=1_2(201004)&facetNode_3=0_8_1_4&contentId=sDU344902 &previsiousPage=mg_1_20;e Kopf e liberda v. austria, n. 1598-1506, ¤ 37, 17 gennaio 2012, consultabile sul sito http://www.menschenrechte.ac.at/orig/12_1/Kopf.pdf. (22) Par. 157 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. Anche i giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev nella loro opinione dissenziente evidenziano tale aspetto. In particolare, secondo questi ultimi la maggioranza nella sentenza non ha dato la giusta rilevanza al fatto che i coniugi avessero vissuto i primi mesi di vita del bambino, fino a quando non gli  stato portato via e il legame sarebbe continuato se lĠautoritˆ non RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 che l'intervento delle Autoritˆ italiane  stato la conseguenza dell'incertezza giuridica, creata dagli stessi ricorrenti. Questi avrebbero posto in essere, infatti, comportamenti contrari alla legge italiana, venendo a stabilirsi in Italia con il bambino (23). Al riguardo, appare ragionevole il timore espresso dai giudici Lazarova Trajkovska, Bianku, Laffranque, Lemmens e Grozev nella propria opinione dissenziente: cos“ facendo la maggioranza ha operato sostanzialmente una distinzione tra famiglia "legittima" e famiglia "illegittima", distinzione questa esclusa dalla Corte EDU da molti anni (24). Al contrario, non pare essersi data la giusta rilevanza alla lunga tradizione del principio, in precedenza evidenziato, secondo cui l'esistenza o la non esistenza di una "vita familiare"  essenzialmente una questione di fatto (25). Non solo, ma volendo entrare nel merito della qualificazione del comportamento contrario alla legge italiana, non pu˜ non darsi conto che, con la sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016, la Corte di Cassazione ha stabilito che non commettono reato i genitori del bambino nato da gestazione surrogata, se nel paese estero (in quel caso lĠUcraina, in questo la Russia) tale pratica  lecita. Secondo la Corte deve ritenersi insussistente il reato contestato, poichŽ la coppia non aveva alcuna volontˆ di commettere l'illecito, avendo compiuto detta attivitˆ in un Paese dove tale pratica era appunto lecita (26). La suddetta pronuncia della Corte di Cassazione  citata nella sentenza della Grande Camera (27). Stesso discorso vale poi mutatis mutandi per la violazione della legge sulle adozioni, in quanto i coniugi non hanno avuto alcuna volontˆ di violarne i precetti, essendosi recati in Russia per ricorrere alla pratica della maternitˆ surrogata, non ad una adozione, e sono rientrati in Italia sulla base di un certificato di filiazione non di adozione. Il fatto che il Tribunale per i Minorenni ritenga sussistente una situazione di illegalitˆ imputabile ai ricorrenti, indipendentemente dagli aspetti di diritto penale, non implica necessariamente che vi avesse posto fine. ¤ 3 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, consultabile http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid% 22:[%22001-170359%22]}. (23) Par. 156, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12. (24) Si veda nota 19 supra. (25) Par. 4 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (26) Corte di Cassazione, sez. v penale, sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016, consultabile su http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2016/04/cass-pen-13525-16.pdf; si veda anche Corte di Cassazione, sezione vI penale sentenza 17 novembre 2016, n. 48696, in particolare per lĠassenza sia dellĠelemento soggettivo (dolo generico) sia dellĠelemento oggettivo del delitto contestato, consultabile sul sito http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13551. (27) 2. subsequent to the Grande Camera hearing 71. the Court of Cassation (section V, judgment no. 13525 of 5 april 2016) ruled in criminal proceedings against two Italian nationals who had travelled to Ukraine in order to conceive a child and had used an ova donor and a surrogate motherÓ, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE la ricostruzione giuridica operata da questo sia quella corretta secondo lĠordinamento italiano (28). Come noto, lo stesso concetto di ordine pubblico  mutato nella giurisprudenza italiana, attraverso un progressivo affrancamento da una funzione di tipo difensivo e lĠapertura alla dimensione della relazione e dellĠinterazione tra ordinamento interno e ordinamento internazionale (29). Cos“ come si deve sottolineare la rilevanza che i giudici italiani riconoscono oggi al genitore ÒsocialeÓ (30), potendosi affermare che ormai  stato rotto il paradigma genetico/biologico nella costituzione dello stato giuridico di figlio (e correlativamente di genitore). (28) Par. 147, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (29) Tra lĠaltro sotto la spinta anche di principi espressi dalla Corte di Strasburgo. Si veda in particolare Corte di Cassazione, III sezione civile, sentenza 19405/2013, consultabile su http://www.europeanrights. eu/public/sentenze/cass_19405_del_2013.pdf, in cui i giudici di legittimitˆ hanno precisato che: ÒéÉ acquisizione sufficientemente consolidata quella per cui la nozione di ordine pubblico É- in forza della quale la norma straniera che vi contrasti non pu˜ trovare ingresso nel nostro ordinamento in applicazione della pertinente disposizione di diritto internazionale privato - non  enucleabile esclusivamente sulla base dellĠassetto ordinamentale interno, racchiudendo essa i principi fondamentali della Costituzione o quegli altri principi e regole che rispondono allĠesigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dellĠuomo o che informano lĠintero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti del suo assetto ordinamentale (Cass., 26 novembre 2004, n. 22332; Cass., 19 luglio 2007, n. 16017). In altri termini, come posto in rilievo da Cass., 26 aprile 2013, n. 10070 (nel richiamare anche Cass., 6 dicembre 2002, 17349 e Cass., 23 febbraio 2006, n. 4040), il concetto di ordine pubblico a fini internazionalprivatistici si identifica con quello indicato con lĠespressione Òordine pubblico internazionaleÓ, da intendersi Òcome complesso di principi fondamentali caratterizzanti lĠordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dellĠuomoÓ. Si veda, ancora, Corte di Cassazione sentenza 19599/2016, consultabile su http://www.articolo29.it/wpcontent/ uploads/2016/10/Cass-195992016.pdf, secondo cui lĠordine pubblico non deve essere inteso come strumento di difesa dellĠintero ordinamento, ma solo di quei principi fondamentali che, qualificandone il nucleo essenziale, resistono alla relazione, impedendo che norme e atti formati allĠestero possano venire in rilievo allĠinterno, in conseguenza dellĠapplicazione delle norme di conflitto. Òla progressiva riduzione della portata del principio di ordine pubblicoÓ, secondo la Corte, ҏ coerente con la storicitˆ della nozione e trova un limite soltanto nella potenziale aggressione dellĠatto giuridico straniero ai valori essenziali dellĠordinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunitˆ internazionaleÓ (par. 7, p. 25). A sostegno di tale posizione, la Corte ha richiamato -facendo uso significativo dellĠargomento comparativo - la decisione con la quale la Corte federale di giustizia tedesca ha riconosciuto la trascrivibilitˆ nellĠordinamento interno dellĠatto di nascita del minore nato a seguito del ricorso alla gestazione per altri, con indicazione di entrambi i genitori intenzionali (si trattava di due padri: BGH, 10-19 dicembre 2014, X. c. land di Berlino, trad. it. di R. De Felice su www.personaedanno.it, 2015), per un commento di questa sentenza si rinvia a SCHILLACI A., le vie dellĠamore sono infinite. la Corte di cassazione e la trascrizione dellĠatto di nascita straniero con due genitori dello stesso sesso, consultabile su http://www.articolo29.it/2016/le-vie-dellamore-sono-infinite-la-corte-di-cassazione-ela- trascrizione-dellatto-di-nascita-straniero-con-due-genitori-dello-stesso-sesso/. (30) Si veda la Corte costituzionale con la sentenza 5 ottobre 2016, n. 225 (Pres. Grossi, est. Morelli), consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/16283.pdf. Si veda anche Corte di Cassazione, sezione vI penale sentenza 17 novembre 2016, n. 48696, cit.; per la giurisprudenza di merito, tra gli altri, si veda Trib. Palermo, sez. I, decreto 6 aprile 2015 (Pres. C. Grimaldi di Terresena, est. M. Ruvolo), consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/12429.pdf. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Si veda in merito la recentissima ordinanza della Corte dĠAppello di Trento (31) che ha riconosciuto il legame tra figli e genitore non genetico. In particolare, la pronuncia ha disposto il riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero, che stabiliva la sussistenza di un legame genitoriale tra due minori nati grazie alla gestazione per altri - nel quadro di un progetto di genitorialitˆ di una coppia omosessuale -ed il loro padre non genetico. LĠordinanza ha applicato i principi enunciati dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 19599/2016 (32). Per quanto riguarda la questione trattata in questa sede, deve essere sottolineato il passaggio in cui la Corte dĠAppello di Trento ha ritenuto che lĠinsussistenza di un legame genetico tra i minori e il padre non  di ostacolo al riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero: si deve infatti escludere Òche nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialitˆ esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato; allĠopposto deve essere considerata lĠimportanza assunta a livello normativo dal concetto di responsabilitˆ genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato; la favorevole considerazione da parte dellĠordinamento al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico, con la regolamentazione dellĠistituto dellĠadozione; la possibile assenza di relazione biologica con uno dei genitori (nella specie il padre) per i figli nati da tecniche di fecondazione eterologa consentiteÓ (33). Senza dubbio, nel caso dei coniugi Campanelli, la Corte si  dovuta occupare di una situazione molto particolare perchŽ qui (seppure per un errore non (31) Corte dĠAppello di Trento, 23 febbraio 2017, http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/ 2017/02/ordinanza.pdf. La pronuncia si segnala perchŽ i giudici hanno affrontato anche la sentenza della Grande Camera qui in commento, evidenziando la particolaritˆ del caso deciso ed escludendo che la pronuncia della Corte di Strasburgo possa essere di ostacolo al riconoscimento del legame tra i minori ed il loro padre non genetico. (32) Corte di Cassazione, sentenza n. 19599 del 21 giugno 2016, depositata il 30 settembre (anche questa prima dellĠudienza della Grande Camera del 9 dicembre 2016), cit. Questi in sintesi i principi stabiliti dalla Corte: Òa) in merito al giudizio di compatibilitˆ tra il provvedimento straniero e lĠordine pubblico, la necessitˆ di far riferimento ad un concetto di ordine pubblico dai contorni larghi, al fine di valutare non giˆ se il provvedimento straniero applichi una disciplina della materia corrispondente a quella italiana, bens“ piuttosto se esso appaia conforme alle esigenze di tutela dei diritti fondamentali dellĠuomo (in questo caso, del minore) come garantiti dalla Costituzione italiana e dai principali documenti internazionali in materia; b) lĠesigenza di salvaguardare il diritto del minore alla continuitˆ dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori, il cui mancato riconoscimento non solo determinerebbe un grave pregiudizio per i minori, ma li priverebbe di un fondamentale elemento della loro identitˆ familiare, cos“ come acquisita e riconosciuta nello stato estero in cui lĠatto di nascita  stato formato; c) lĠassoluta indifferenza delle tecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso allĠestero, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori che lo abbiano portato al mondo, nellĠambito di un progetto di genitorialitˆ condivisaÓ, SCHILLACI A., Due padri, i loro figli: la Corte dĠappello di trento riconosce, per la prima volta, il legame tra i figli e il padre non genetico, consultabile su http://www.articolo29.it/ (33) ordinanza Corte dĠAppello di Trento, 23 febbraio 2017, cit., pp. 17-18. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE imputabile alla coppia) manca un legame genetico con entrambi i genitori. Tuttavia, pur non sostituendosi alle Autoritˆ italiane nellĠinterpretazione della legge nazionale, nel valutare gli elementi posti a fondamento delle misure adottate da queste, i giudici di Strasburgo forse avrebbero dovuto tenere in maggiore considerazione i principi emersi e lĠapplicazione fattane dalle Corti nazionali e non solo quella operata dai singoli tribunali che hanno giudicato il caso. In linea con la seconda sezione della Corte EDU, invece, la Grande Camera ha considerato che lĠart. 8 CEDU  applicabile con riferimento al diritto al rispetto della vita privata (34). NellĠesaminare questa la violazione, la GC ha ritenuto, infatti, che le misure adottate da parte delle Autoritˆ italiane (allontanamento del minore, affidamento in una casa famiglia senza contatti con i ricorrenti e nomina di un tutore) hanno costituito sicuramente unĠingerenza, ai sensi dellĠart. 8 CEDU (35). Di conseguenza, la stessa ha poi verificato se queste potevano essere giustificate ai sensi dellĠart. 8, par. 2, CEDU, in quanto previste dalla legge, dirette al perseguimento di un obiettivo legittimo e necessarie in una societˆ democratica (36). Al riguardo, a parere di chi scrive, si deve prestare attenzione ad alcuni principi enucleati dalla giurisprudenza della Corte EDU. In particolare, ci si riferisce a quello per cui nei casi riguardanti la dichiarazione di adozione di un minore, il migliore interesse di questo  di primaria importanza (37). Come chiarito anche dai giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev, nell'identificare l'interesse superiore del bambino in un caso specifico, le considerazioni che devono essere tenute presenti sono due: in primo luogo,  nel migliore interesse del bambino mantenere i legami con la propria famiglia (per i giudici doveva essere riconosciuto un legame di tipo familiare, ma in ogni caso il superiore interesse del bambino deve essere perseguito comunque in tutti procedimenti che lo coinvolgono (38)), tranne (34) Par. 161, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (35) Par. 166, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (36) Par. 167, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (37) Si vedano Johansen v. Norway, 7 August 1996, ¤ 78, in reports of Judgments and Decisions 1996-III; Kearns v. France, n. 35991/04, ¤ 79, 10 gennaio 2008, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22appno%22:[%2235991/04%22],%22itemid%22:[%2200184339% 22]}; r. and H. v. the United Kingdom, n. 35348/06, ¤¤ 73 and 81, 31 maggio 2011, consultabile sul sito http://www.familylawweek.co.uk/site.aspx?i=ed83859 ; and Y.C. v. the United Kingdom, n. 4547/10, ¤ 134, 13 marzo 2012, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library= eCHr&id=001-112315&filename=001-112315.pdf&tID=thkbhnilzk.; nonch lĠopinione dissenziente dei giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev a Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (38) La Convenzione sui diritti del fanciullo dell'onu del 1989 all'art. 3 sancisce espressamente che: "in tutte le azioni riguardanti bambini, se avviate da istituzioni di assistenza sociale, private e pubbliche, tribunali, autoritˆ amministrative, corpi legislativi, i RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 nei casi in cui la famiglia si  dimostrata particolarmente inidonea; in secondo luogo,  nel migliore interesse del bambino assicurare il suo sviluppo in un ambiente sicuro e protetto (39). Pertanto, se giustamente la Corte di Strasburgo non pu˜ sostituire la propria valutazione a quella dei tribunali nazionali per quanto riguarda le misure concernenti i minori, questo non vuol dire per˜ che questa non sia chiamata ad accertare che il processo decisionale che ha portato all'adozione di tali misure sia stato giusto, abbia permesso agli interessati di presentare il proprio caso in modo completo e che sia stato tutelato l'interesse superiore del bambino (40). In particolare, nei procedimenti di adozione i giudici nazionali devono esaminare non solo se lĠallontanamento del bambino dalle persone che agiscono come i suoi genitori sarebbe nel suo interesse, ma devono anche motivare in modo specifico alla luce delle circostanze del caso (41). Quindi, per verificare se lĠinterferenza con il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata (non essendo stata riconosciuta una vita familiare), cio lĠallontanamento del bambino,  stata compatibile con lĠarticolo 8 CEDU  importante valutare quali motivazioni / giustificazioni sono state date dalle Autoritˆ nazionali. Sul punto il Tribunale per i Minorenni di Campobasso e la Corte dĠAppello, sezione Minori, di Campobasso hanno dato motivazioni molto differenti, fatto questo che  stato rilevato in modo puntuale anche nella dissenting opinion (42). In particolare, agendo a seguito della richiesta di adozione di misure urgenti del Pubblico Ministero, il Tribunale per i Minorenni ha fondato la propria decisione sulla necessitˆ di porre fine ad una situazione contraria alla legge italiana, scaturente da due violazioni. La prima: aver portato il minore in Italia, facendolo passare per proprio figlio, ha violato le norme sulle adozioni internazionali previste delle Legge n. 183 del 1984 (43); la seconda: aver stipulato un accordo di gestazione per altri in Russia ha violato la legge sulla feconda- maggiori interessi dei bambini devono costituire oggetto di primaria importanza". In Italia la Convenzione  stata ratificata con Legge 27 maggio 1991, n. 176, consultabile sul sito http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge%20176%20del%201991.htm. (39) ¤ 6 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. Si vedano anche Neulinger e shuruk v. svizzera [GC], n. 41615/07, ¤ 136, CEDU 2010, consultabile sul sito http://www.federalismi.it/applopenFilePDF. cfm?artid=16718&dpath=document&dfile= 28072010161721.pdf&content=Corte+dei+diritti+ dell%27Uomo,+sentenza+del+in+tema+di+sottrazione+internazionale+di+minori,+pericolo+d i+violazione+dell%27art.+8+CeDU+(Neulinger+e+shuruk+c.+svizzera)++-++-++-+;e r. e H. c. regno Unito, ric. n. 35348/06, 31 maggio 2011, ¤¤ 73-74, cit. (40) v. ¤ 139 Neulinger e shuruk c. svizzera [GC], cit., e X v. lettonia [GC], n. 27853/09, ¤ 102, novembre 2013, consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library= eCHr&id=002-9245&filename=002-9245.pdf&tID=thkbhnilzk. (41) Si veda mutatis mutandis, per quanto riguarda la decisione sulla domanda per il ritorno di un figlio ai sensi della Convenzione dell'Aia sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, X v. latvia [GC], no. 27853/09, ¤ 107, novembre 2013, cit. (42) Par. 7 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE zione assistita, L. n. 40/2004. La reazione a questa situazione illegale  stata duplice: allontanare il bambino dai coniugi e collocarlo presso una struttura, al fine di trovare una coppia idonea per lĠadozione (44). Con la sentenza del 28 febbraio 2012, la Corte dĠAppello, sezione famiglia, ha rigettato lĠimpugnazione della decisone del Tribunale, ma sulla base di motivazioni differenti. I giudici di secondo grado non hanno affermato, infatti, che la coppia era in una situazione illegale e che cĠera la necessitˆ di porvi fine, bens“ hanno dichiarato il bambino Òin stato di abbandonoÓ ai sensi della legge n 183/84, in quanto privo dellĠassistenza della famiglia naturale. Quindi, mentre il Tribunale per i Minorenni ha incentrato le proprie analisi (e valutazioni) sul comportamento dei coniugi e lo ha sanzionato con le suddette misure, i giudici dĠappello hanno esaminato la questione sulla base di una valutazione degli interessi e dello stato del minore. Ed  fuor di dubbio che questo sia lĠapproccio corretto in questo genere di procedimenti (45). Ebbene, la motivazione della Corte dĠAppello, sostituendosi a quella del Tribunale per i Minorenni, avrebbe dovuto essere quella da tenere primariamente in considerazione da parte dei Giudici di Strasburgo, per valutare la legittimitˆ dellĠinterferenza nei diritti tutelati dallĠart. 8 della Convenzione. Al contrario si ha lĠimpressione che la Corte EDU abbia valutato soprattutto (se non esclusivamente) quella del giudice di primo grado. 3. misure previste dalla legge. La prima questione da esaminare  se lĠingerenza nel diritto tutelato dal- lĠarticolo 8 della Convenzione era prevista dalla legge. Tenendo conto delle motivazioni date dalla Corte dĠAppello nella sentenza del 28 febbraio 2012, lĠallontanamento del minore dalla coppia  fondato sullĠart. 8 legge 183/84, (43) I ricorrenti avrebbero intenzionalmente eluso le disposizioni di tale legge, la quale prevede che le coppie si devono rivolgere ad un organismo autorizzato (art. 31) e che dispone il coinvolgimento della Commissione per l'adozione internazionale (art. 38). (44) Cfr. ¤ 37, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (45) Le limitazioni della responsabilitˆ genitoriale, lĠallontanamento del minore, le dichiarazioni dello stato di abbandono e di adottabilitˆ non rappresentano delle punizioni in risposta a comportamenti ÒscorrettiÓ, ma degli interventi resi necessari per tutelare il sano sviluppo psico-fisico del bambino. Cfr. fra i tanti CHISToLINI M., affido sine die e tutela dei minori. Cause, effetti e gestione, FrancoAngeli, 2015; RUo M.G., tutela dei figli e procedimenti relativi alla crisi della coppia genitoriale nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dellĠUomo, in Dir. Di famiglia e delle persone, 2011, pp. 1004 ss.; e ancora ÒNella prospettiva di una cultura della tutela dei diritti, quelli del minore allĠeducazione, alla cura, allĠistruzione e allĠaffetto, in generale ad una crescita equilibrata, costituiscono pertanto il riferimento fondamentale per poter inquadrare il tema dei provvedimenti convenienti che il giudice deve adottare per ristabilire un equilibrio di relazioni familiari e di crescita armoniosa del bambinoÓ, cos“ SPINA L., tutela delle persone minori di etˆ e rispetto delle relazioni familiari, Introduzione ai lavori del XXXI Convegno nazionale, Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia, Roma, 23 novembre 2012, consultabile su http://www.minoriefamiglia.it/download/spina-relazione- roma-2012.pdf. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 secondo il quale: Òsono dichiarati in stato di adottabilitˆ dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perchŽ privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purchŽ la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorioÓ. PoichŽ i ricorrenti non sono stati considerati dalla Corte come parenti, il minore  stato considerato in stato di abbandono e quindi dichiarato adottabile. A parere di chi scrive, sul punto  di particolare interesse lĠosservazione fatta dai giudici nellĠopinione dissenziente citata. Dopo aver premesso che  compito dei giudici nazionali interpretare la legge dei singoli Stati membri, questi hanno precisato: ÒNevertheless, we cannot but express our surprise as to the finding that the child, who was cared for by a couple that fully assumed the role of parents, was declared to be in a state of ÒabandonmentÓ. If the only reason for such a finding was that the applicants were not, legally speaking, the parents, then we wonder whether the domestic courtsĠ reasoning is not excessively formal, in a manner that is incompatible with the requirements stemming from article 8 of the Convention in such casesÓ (46). In un momento storico in cui, come giˆ evidenziato in precedenza, la rilevanza dei legami affettivi ÒsocialiÓ si  fatta breccia non solo nella giurisprudenza della Corte EDU, ma ormai anche in quella nazionale (47), in quanto situazioni giuridiche meritevoli di tutela nel perseguimento del superiore interesse del minore, forse non  poi cos“ azzardato chiedersi se effettivamente unĠinterpretazione cos“ formale della norma (o la norma stessa, se questa deve essere considerata lĠunica interpretazione possibile) sia davvero ancora compatibile con lĠart. 8 della Convenzione (e non solo). Tra lĠaltro, la rilevanza del legame affettivo tra il bambino e le persone, non parenti, che se ne prendono cura  stata introdotta dalla legge n. 73/2015 (48), per quanto riguarda il minore e la famiglia affidataria, e in materia di adozione in casi particolari, ai sensi dellĠart. 44 lett. a), l. 183/84. Secondo questĠultima disposizione, infatti,  possibile richiedere lĠadozione speciale da parte di chi  unito al minore Òda un rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madreÓ. vero  che in questo caso il minore non  orfano, ma figlio di genitori ignoti, tuttavia  pur vero che questa  una condizione (46) Par. 8 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (47) Ma anche da parte del legislatore, si vedano ad esempio la legge n. 173/2015 a tutela della continuitˆ affettiva nei procedimenti di affidamento e adozione e la legge n. 76/2016 sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e sulla disciplina delle convivenze, consultabili rispettivamente sui siti http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg e http://www.gazzettaufficiale. it/eli/id/2016/05/21/ 16G00082/sg. (48) Legge 19 ottobre 2015, n. 173, cit. La legge riconosce un vero e proprio diritto alla continuitˆ affettiva del minore e delle persone affidatarie. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE sostanzialmente assimilabile e infatti assimilata per quanto riguarda la dichiarazione di stato di abbandono e la dichiarazione di adottabilitˆ. Per quanto riguarda poi la questione di quando concretamente un rapporto possa essere considerato sufficientemente stabile e duraturo ai fini del suo riconoscimento giuridico, questa rappresenta pi propriamente una valutazione di fatto legata al caso concreto. Tale forma di adozione (sub species della lett. d)  poi riconosciuta nei confronti del convivente del genitore biologico del minore (49). In ogni caso, quello che rileva  il rapporto instaurato dallĠadulto con il bambino - il legame parentale di fatto o ÒsocialeÓ- meritevole di tutela se rispondente allĠinteresse del minore, il cui accertamento in concreto  in ogni caso un elemento sempre imprescindibile. Ad ogni modo, pur assumendo che lĠinterferenza nella vita privata sia stata legittima, si ritiene, come illustrato in seguito, che questa non sia stata comunque sufficientemente giustificata da parte delle Autoritˆ nazionali (50). 4. obiettivo legittimo. La seconda questione da affrontare  se lĠinterferenza nel diritto alla vita privata perseguiva uno scopo legittimo. In merito, si  giˆ osservato che la Corte dĠAppello ha fondato la propria decisione sulla necessitˆ di porre fine allo stato di abbandono, in cui  stato ritenuto si trovasse il minore, e quindi le misure adottate hanno avuto come fine la tutela dei diritti del bambino. La Corte EDU ha ritenuto per˜ che queste perseguissero anche un altro obiettivo, cio quello di Òpreventing disorderÓ. Come la seconda sezione (51), infatti, i giudici della Grande Camera (la maggioranza) si sono riferiti al fatto che la coppia con il proprio comportamento avesse violato la legge sulle adozioni e la legge sulla procreazione medicalmente assistita (52). Bene, al di lˆ delle considerazioni giˆ svolte in precedenza in merito alla valutazione della illegalitˆ del comportamento dei ricorrenti valutata in base a quanto stabilito dal singolo giudice, nonostante lĠorientamento espresso (e citato) dal resto della giurisprudenza (53), lĠargomentazione della CG non convince anche per un altro motivo. Infatti, si  giˆ osservato che  stato soltanto il Tribunale per i Minorenni, (49) Si veda in merito allĠapplicazione al compagno (omosessuale) del genitore biologico Cass., sez. I civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962, consultabile sul sito http://www.neldiritto.it/public/pdf/12962_06_2016.pdf (50) Si concorda quindi con lĠopinione dissenziente, cfr. Par. 8 opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (51) Par. 73 Corte EDU, seconda sez., Paradiso e Campanelli c. Italia, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, cit. (52) Par. 177 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (53) In species della Corte di Cassazione, che dovrebbe svolgere un ruolo superiore di nomofilachia delle disposizioni di legge rispetto alle singole pronunce dei giudici di merito, e dalla Corte Costituzionale come giudice delle leggi. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 giudice di primo grado, a fondare la propria pronuncia sulle necessitˆ di porre fine ad una situazione causata dal comportamento illecito dei ricorrenti. La Corte dĠAppello si  rifiutata, invece, di utilizzare la misura di porre il minore in stato di adozione come una sanzione nei confronti della coppia (54). 5. Necessitˆ in una societˆ democratica. Infine, lĠultimo punto affrontato  quello relativo alla valutazione se lĠingerenza nel diritto tutelato dallĠart. 8 CEDU era necessaria in una societˆ democratica, al fine di raggiungere lo scopo perseguito. Questa valutazione, come osservato dalla Grande Camera, implica in primo luogo che le ragioni addotte per giustificare la misura impugnata siano state pertinenti e sufficienti in relazione al legittimo scopo perseguito (55) ed in secondo luogo, sempre in relazione a questĠultimo, che la misura sia stata proporzionata e sia stato operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco (56). Anche su questo punto, quello che non convince fino in fondo nella sentenza  lĠapplicazione dei principi al caso concreto operata dalla Corte di Strasburgo, sebbene senza dubbio la valutazione dipenda largamente da quali specifiche finalitˆ legittime sono identificate come quelle perseguite dalle Autoritˆ nazionali, mediante lĠadozione delle misure applicate. Come indicato, in accordo a quanto sostenuto anche nellĠopinione dissenziente, a parere di chi scrive la Corte dĠAppello ha fondato lĠallontanamento del bambino sulla condizione di questĠultimo (stato di abbandono ai sensi delle legge adozioni). Al contrario, i giudici di Strasburgo non solo hanno preso in considerazione le motivazioni adottate dal Tribunale per i Minorenni (la situazione illegale creata dai ricorrenti), ma seguendo le osservazioni del Governo hanno valutato il contesto pi ampio del divieto di accordi di gestazione per altri (e della sua ratio) da parte della legge Italiana e dellĠesigenza di scoraggiarne la pratica allĠestero (57). In merito, i giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev hanno osservato che: Òthe specific facts of the present case, and in particular the judgments handed down by the domestic authorities, do not warrant such a broad approach, in which sensitive policy considerations may play an important roleÓ. Inoltre, si deve nuovamente porre in rilievo che (54) Questa osservazione  stata evidenziata anche nellĠopinione dissenziente, dai giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (55) Si veda il paragrafo 179 della sentenza, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. (56) Si veda il paragrafo 181 della sentenza, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. (57) Si veda il paragrafo 203 della sentenza, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE sulla nozione di ordine pubblico, a cui riconduce il concetto di Òpreventing disorderÓ utilizzato dalla Corte EDU, questa aveva a disposizione lĠorientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione. In base a questo -seppure in merito al riconoscimento del certificato di nascita straniero - i giudici di legittimitˆ nazionali hanno stabilito che il riconoscimento dellĠatto straniero Ònel quale risulti la nascita di un figlio da due donne [É] nellĠambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia [É] non contrasta con lĠordine pubblico per il solo fatto che il legislatore non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie nellĠordinamento italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dellĠinteresse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuitˆ dello status filiationis, validamente acquisito allĠesteroÓ (58). A questo non pu˜ ostare il rilievo che la nascita del minore sia avvenuta a seguito del ricorso ad una pratica di procreazione medicalmente assistita non consentita dalla legge italiana. ÒNon si pu˜ ricorrere alla nozione di ordine pubblicoÓ afferma, infatti, la Corte, Òper giustificare discriminazioni nei confronti [del minore] a causa della scelta di coloro che lo hanno messo al mondo mediante una pratica di procreazione assistita non consentita in Italia [É] Vi sarebbe altrimenti una violazione del principio di uguaglianza, intesa come pari dignitˆ sociale di tutti i cittadini e come divieto di differenziazioni legislative basate su condizioni personali e socialiÓ (59). Inoltre, sebbene spetti al legislatore nazionale stabilire la politica in materia, tuttavia deve anche riconoscersi che la legge italiana non ha effetti extraterritoriali (60). In particolare, quando una coppia  ricorsa allĠestero a tale pratica e rientra legalmente in Italia con il bambino nato, per le Autoritˆ italiane dovrebbe essere rilevante la situazione di fatto sussistente in Italia. In base al medesimo rilevo nellĠopinione dissenziente, i giudici non concordano con lĠargomentazione della GC, secondo cui la ratio che ha spinto il legislatore a vietare tale pratica  rilevante in merito alle misure adottate per scoraggiare il ricorso a tale tecnica procreativa allĠestero. Gli stessi hanno osservato che la pertinenza di questi motivi diventa meno evidente, infatti, quando una situazione  stata prodotta all'estero, perchŽ, in quanto tale, non pu˜ avere violato la legge italiana (61). Inoltre, si deve anche sottolineare che la condizione (58) Par. 8.4, p. 36, sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016, cit. (59) Par. 8.3, pp. 34-35 sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016, cit. (60) ÒWe do not intend to express any opinion on the prohibition of surrogacy arrangements under Italian law. It is for the Italian legislature to state the Italian policy on this matter. However, Italian law does not have extraterritorial effectsÓ, Dissenting opinion, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 201, ric. n. 25358/12, cit. Peraltro, come visto, la considerazione  allineata alla giurisprudenza di legittimitˆ italiana, si vedano le sentenze citate supra. (61) ÒWhere a couple has managed to enter into a surrogacy agreement abroad and to obtain from a mother living abroad a baby, which subsequently is brought legally into Italy, it is the factual situation in Italy stemming from these earlier events in another country that should guide the relevant RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 creata dai ricorrenti in Russia  stata inizialmente riconosciuta e formalizzata dalle autoritˆ italiane attraverso il consolato di Mosca (62). In ogni caso, quali che siano le ragioni avanzate per giustificare lĠallontanamento del minore dalla coppia, non pare che le Autoritˆ italiane abbiano effettuato comunque un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, come invece ritenuto dalla Grande Camera. Per quanto riguarda gli interessi pubblici, si  giˆ messo in evidenza come sia stato dato forse troppo peso alla necessitˆ di porre fine ad una situazione illegale e di scoraggiare i cittadini a ricorrere allĠestero a pratiche vietate in Italia. Non sono questi gli interessi, infatti, che la Corte dĠAppello ha cercato di perseguire. Riguardo agli interessi della coppia, invece, non  stato tenuto in alcuna considerazione il fatto che per anni questa ha atteso inutilmente lĠarrivo di un bambino da adottare. La dichiarazione di idoneitˆ allĠadozione  infatti del 2006, i coniugi sono ricorsi alla gestazione per altri in Russia solo nel 2010. Se  vero che non esiste un diritto ad adottare o un diritto a costituire una famiglia, sussistono per˜ il diritto alla realizzazione personale, il diritto di rispettare la decisone di divenire genitori e di poter accedere agli strumenti che lo consentono (63). Pertanto una volta ottenuta lĠidoneitˆ allĠadozione deve essere riconosciuta alla coppia unĠaspettativa meritevole di tutela. Il trascorre del tempo, infatti, pu˜ svuotare ed in alcuni casi compromettere (in questo caso per il superamento dei limiti di etˆ) la possibilitˆ di formare una famiglia, peraltro svilendo anche la ratio della legge sulle adozioni (64). Se il sistema italiano sulle adozioni avesse funzionato con tempi diversi, forse i coniugi in Russia non ci sarebbero andati. Non pare sia stato dato poi il giusto rilievo neanche allĠinteresse dei coniugi a proseguire il rapporto con il bambino di cui volevano essere genitori, in particolar modo dal Tribunale per i Minorenni. Per questo il bambino  stato soltanto un mezzo per soddisfare le aspettative ÒnarcisisticheÓ dei ricorrenti e nel complesso sembra affermare che chi pratica allĠestero la fecondazione eterologa o la gestazione  per ci˜ stesso inadatto ad essere un buon genitore, fino ad essere considerato talmente pericoloso che i minori devono essere im- Italian authorities in their reaction to that situation. In this respect, we have some difficulty with the majorityĠs view that the legislatureĠs reasons for prohibiting surrogacy arrangements are of relevance in respect of measures taken to discourage Italian citizens from having recourse abroad to practices which are forbidden on Italian territory (see paragraph 203 of the judgment). In our opinion, the relevance of these reasons becomes less clear when a situation has been created abroad which, as such, cannot have violated Italian lawÓ, Dissenting opinion, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 201, ric. n. 25358/12, cit. (62) Si veda il par. 17, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 201, ric. n. 25358/12, cit. (63) Par. 159 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. (64) Si veda lĠinchiesta sullo stato del sistema adozioni in Italia, adozioni, la lunga gestazione di una famiglia quasi impossibile, del 13 febbraio 2016 consultabile sul sito http://www.pagina99.it/2016/07/29/adozioni-la-lunga-gestazione-di-una-famiglia-quasi-impossibile/ CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE mediatamente allontanati e destinati ad una casa famiglia. In merito, anche i giudici minoritari hanno ritenuto che Òsuch assessments were of a speculative nature and should not have guided the minors Court in its examination of the Public ProsecutorĠs request for urgent measuresÓ (65). Deve essere ricordato, poi, che la coppia  stata dichiarata idonea allĠadozione nel 2006 dallo stesso Tribunale per i Minorenni e che nella relazione dei servizi sociali del 2011, incaricati dallo stesso, si  riscontrato come i ricorrenti si occupassero del bambino secondo gli standard pi elevati di cure. Queste valutazioni positive non sono state smentite da serie considerazioni riguardo al concreto miglior interesse del minore, bens“ da ragionamenti astratti e generali (66). oltre a ci˜, si evidenzia anche lĠosservazione fatta in merito dai giudici minoritari. Come riconosciuto peraltro nella stessa sentenza della Grande Camera, questi hanno sottolineato che le Autoritˆ nazionali hanno dato poco peso all'impatto che la separazione immediata e irreversibile dal bambino avrebbe avuto sui ricorrenti (67). Secondo lĠopinione dissenziente questo fatto integra una grave lacuna - che non pu˜ essere giustificata con il fatto che il comportamento dei ricorrenti era illegale ed il rapporto con il bambino precario - e dimostra che in realtˆ non si  cercato di trovare un giusto equilibrio tra gli interessi dei ricorrenti e gli eventuali interessi contrapposti. Questo indipendentemente da quale sarebbe stato lĠesito di tale bilanciamento (68). Riguardo allĠinteresse del minore, invece, si rimanda a quanto giˆ evidenziato in relazione alla valutazione di stato di abbandono e si mette qui in evidenza che nessuno dei giudici nazionali ha valutato se sarebbe stato nell'interesse del bambino rimanere con le persone che avevano assunto il ruolo di suoi genitori. Infatti, lĠallontanamento si  fondato unicamente su motivazioni giuridiche, mentre i fatti hanno acquisito rilevanza solo per stabilire se, deciso lĠallontanamento, questo sarebbe stato troppo traumatico per il minore (69). (65) Dissenting opinion, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. (66) Cos“ si esprimono i giudici, dissenting opinion, cit. (67) Si veda il paragrafo 211 Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit . (68) Òthe courts did not address the impact which the immediate and irreversible separation from the child would have on the applicants (see paragraph 211 of the judgment). We find this a serious shortcoming, which cannot be justified by the majorityĠs consideration that the applicantsĠ conduct was illegal and their relationship with the child precarious (ibid.). the mere fact that the domestic courts did not find it necessary to discuss the impact on the applicants of the removal of a child who was the specific subject of their parental project demonstrates, in our opinion, that they were not really seeking to strike a fair balance between the applicantsĠ interests and any opposing interests, whatever these might have beenÓ, Dissenting opinion, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (69) Considerazione evidenziata anche dai giudici minoritari nellĠopinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, .ic. n. 25358/12, cit. ÒWe consider that in these circumstances it cannot be said that the domestic courts sufficiently addressed the impact that the removal would have on the childĠs well-beingÓ. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Le medesime considerazioni giuridiche hanno portato le Autoritˆ italiane ad escludere la possibilitˆ di lasciare il minore in affidamento alla coppia in vista di una adozione. Non un accenno  stato fatto se fosse o meno nellĠinteresse del minore lo sviluppo del rapporto parentale di fatto instaurato fra la coppia e il minore, consentendone la prosecuzione sotto unĠadeguata veste giuridica. In merito, appare sfuggente il punto in cui la Grande Camera ha riconosciuto che la legge italiana consentirebbe di derogare al prescritto limite di etˆ per lĠadozione, ma ha ritenuto non censurabile la scelta delle Autoritˆ giurisdizionali italiane di non prendere in considerazione tale ipotesi nelle circostanze del caso di specie, senza indicare perchŽ essa non fosse appunto censurabile (70). Ci˜ a meno di non voler intendere che, visto il comportamento dei ricorrenti contrario alla legge italiana, non possa essere rimproverato ai giudici di aver omesso lĠesame di questa (non meritata) opzione. In realtˆ, questi rilievi osservati sembrano omissioni piuttosto importanti nei procedimenti davanti ai giudici nazionali, poichŽ proprio in questi processi deve essere data la massima rilevanza allĠinteresse superiore del minore. Pertanto, si concorda con i giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev nel ritenere che le Autoritˆ italiane non abbiano tenuto sufficientemente conto dellĠimpatto che la separazione cos“ come il proseguimento della relazione genitoriale con la coppia avrebbero potuto avere sul benessere del bambino. Infatti, il superiore interesse del minore ҏ, con certezza, diritto fondamentale che gode sia di una prospettiva sostanziale, direttamente rivolta a garantire le relazioni familiari del minore che di unĠulteriore dimensione di natura processuale. QuestĠultima costituisce la garanzia prima della protezione effettiva di quella sostanziale, di guisa che in tanto il preminente interesse del minore pu˜ dirsi salvaguardato, in quanto Ònel processoÓ venga garantita unĠadeguata ponderazione di tutti gli interessi in gioco e, fra questi, di quello del minoreÓ (71). Superiore interesse che si delinea poi anche parametro interpretativo delle norme legislative (72) e che in generale opera come clausola generale con ÒunĠaccentuata vocazione a fungere da valvola di sicu (70) Ò214. moreover, apart from the illegality of the applicantsĠconduct, the Government pointed out that they had exceeded the age limit for adoption laid down in section 6 of the adoption act, namely a maximum difference in age of forty-five years in respect of one adopting parent and fifty-five years in respect of the second. the Court observes that the law authorises the courts to make exceptions from these age-limits. In the circumstances of the present case, the domestic courts cannot be reproached for failing to consider that optionÓ Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. (71) CoNTI R., alla ricerca degli anelli di una catena, in Dirittoequestionipubbliche.it, 2015 consultabile sul sito http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2015_n15-1/01_mono_06-Conti.pdf. Sul carattere fondamentale di tale diritto, insistono, dĠaltra parte, tanto le giurisdizioni sovranazionali v. Corte dir. Uomo, Grande Camera, 6 luglio 2010, Neulinger e shuruk c. svizzera -che quelle nazionali (Corte cost. n. 7/2013). (72) Corte cost. n. 308/2008, in tema di assegnazione della casa coniugale. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE rezza elastica capace di impedire che, nelle fattispecie concrete, lĠapplicazione di una disposizione normativa o di un provvedimento giurisdizionale possano determinare un nocumento al minoreÓ (73). Conclusioni. Quanto emerso in questa sede, conferma lĠopinione giˆ espressa in merito alla valutazione fatta dalla seconda sezione della Corte EDU con la sentenza del 2015 (74), condividendo, in particolare, che gli elementi sui cui i giudici italiani hanno fondato la decisione di allontanare il bambino dai coniugi non fossero sufficienti, per ritenere questa misura proporzionata (75). Tuttavia, non si pu˜ non tenere conto che non  sicuramente agevole valutare la proporzionalitˆ delle misure adottate dalle Autoritˆ nazionali, in un contesto come quello in oggetto in cui sussiste, oltre ad una diversitˆ di discipline nei diversi ordinamenti nazionali, spesso anche una divergenza di tempi tra il diritto giurisprudenziale e il diritto politico (o meglio legislativo) (76). Si vedano, ad esempio, proprio le tematiche della gestazione per altri, del riconoscimento del certificato di nascita prodotto allĠestero a seguito di ricorso a tale pratica o allĠadozione del minore da parte del compagno del genitore biologico per le coppie omosessuali e alla rilevanza dei legami familiari ÒsocialiÓ. Inoltre, ogni fattispecie presenta peculiaritˆ (e questa ne presenta senza dubbio) che possono avere come conseguenza quella di portare a soluzioni diverse, pur applicando quegli stessi principi che anche la Grande Camera man (73) CoNTI R., alla ricerca degli anelli di una catena, in Dirittoequestionipubbliche.it, 2015, cit. (74) BRUGIoTTI E., maternitˆ surrogata. Il rifiuto di registrazione dellĠatto di nascita nella giurisprudenza della Corte edu e alcune conseguenze applicative nellĠordinamento italiano (e non solo), cit. (75) Ò86. tenuto conto di questi fattori, la Corte non  convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autoritˆ si sono basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali. Ne deriva che le autoritˆ italiane non hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve sussistere tra gli interessi in giocoÓ, Paradiso Campanelli c. Italia, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, cit. Medesima conclusione anche quella dei giudici Lazarova Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens e Grozev nellĠopinione dissenziente: ÒIn our opinion, it has not been shown that the Italian authorities struck the fair balance that had to be maintained between the competing interests at stakeÓ, opinione dissenziente, Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. (76) In un ambiente segnato cio da forti ritardi ed evidenti carenze del legislatore nel farsi carico di una efficace tutela dei diritti fondamentali (non solo dei ÒnuoviÓ, specie di quelli maggiormente legati allo sviluppo scientifico e tecnologico, ma anche dei vecchi, pure bisognosi di rinnovate regolazioni al passo coi tempi), si assiste allĠemersione dei giudici quali operatori istituzionali specificamente preposti ad offrire quella tutela, pur nei limiti del ruolo che  loro proprio. Cos“ RUGGERI A., Dialogo tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali, I Quaderni europei, n. 56, dicembre 2013, consultabile sul sito http://www.cde.unict.it/sites/default/files/Quaderno%20europeo_ 59_dicembre_2013.pdf; dello stesso autore, linguaggio del legislatore e linguaggio dei giudici, a garanzia dei diritti fondamentali, Consulta online, Fasc. III, 2015 cit.; ancora si veda AA.vv., la tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: Òcasi difficiliÓ alla prova, a cura di CAvINo M., TRIPoDINA C., Milano 2012; RoMBoLI R., del quale v., tra i molti suoi contributi, I diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale, in Quad. 21/seminario 2010, a cura del- lĠAssociazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Torino 2012, p. 131 ss. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 tiene in ogni caso fermi. Peraltro, lĠinsistenza con cui nella pronuncia la Corte EDU ha voluto sottolineare di volersi attenere strettamente al caso concreto ed alle misure adottate dalle Autoritˆ, cos“ come il volerlo differenziare rispetto ai leading case in materia (es. i casi mennesonn c. Francia (77) e labassee c. Francia (78)) fanno ragionevolmente supporre che, in altre condizioni, probabilmente la soluzione sarebbe stata diversa. In questi termini, tra lĠaltro, pare essere stata recepita anche dalla prima giurisprudenza italiana (79), anche se indubbiamente saranno necessarie altre pronunce sia della Corte di Strasburgo sia dei giudici italiani (e non) per valutare lĠeffettiva portata di questa decisione. Ad ogni modo, in questa sede si  cercato di evidenziare alcuni profili critici che la sentenza della Grande Camera  sembrata presentare. Cos“, ad esempio, non si  condivisa lĠapplicazione ristretta della nozione di vita familiare adottata in questo caso. Sebbene, infatti, la Corte EDU non abbia inserito la considerazione dellĠorigine (se legale o meno e se biologica o meno) dellĠinstaurazione della convivenza fra i criteri per valutare la sussistenza di una vita familiare, come invece suggerito dai giudici Spano e Raimondi (80), questi parametri sono parsi avere fin troppa rilevanza nella valutazione sostanziale fatta dalla Grande Camera. é un dato evidente, come giˆ evidenziato, che la genitorialitˆ non  pi solo ed esclusivamente quella fondata sul legame genetico. La scissione tra filiazione genetica e filiazione giuridica, prima riscontrabile solo nellĠistituto dellĠadozione,  diventata il risultato di un pi ampio processo evolutivo, al quale contribuiscono anche le nuove tecniche di riproduzione assistita. Da un lato, attraverso la procreazione assistita di tipo eterologo - ora consentita nel nostro ordinamento in seguito allĠintervento della Corte costituzionale (81) che ha dichiarato illegittimo il divieto - nei casi di infertilitˆ si pu˜ divenire genitori senza aver dato il proprio contributo genetico, ma con lĠapporto di un donatore esterno alla coppia. DĠaltro lato, si  affermato, specialmente nelle attuali famiglie allargate o ricomposte, e trova riconoscimento da parte della giurisprudenza (82) la figura del Ògenitore socialeÓ, che si prende cura del minore in senso morale e materiale, svolgendo un ruolo genitoriale e costituendo un riferimento significativo affettivo ed educativo. (77) mennesson c. Francia, Corte EDU Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65941/11, cit. (78) labassee c. Francia, Corte EDU Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, cit. (79) Corte dĠAppello di Trento, 23 febbraio 2017, cit. (80) NellĠopinione parzialmente dissenziente allegata alla sentenza Corte EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, consultabile in inglese sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22languageisocode%22:[%22eNG%22],%22appno%22:[%2225358/ 12%22],%22documentcollectionid2%22:[%22CHamBer%22],%22itemid%22:[%22001151056% 22]}. (81) Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, consultabile sul sito www.cortecostituzionale.it/actionschedaPronuncia. do?anno=2014&numero=162. (82) Ma si  visto anche nella normativa, si veda la l. n. 175/2015 cit. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE La decisione giudiziale - che sia lĠadozione da parte del partner del genitore biologico o il riconoscimento dello status di figlio conseguito allĠestero o, anche, la semplice continuazione di un rapporto preesistente basato sugli affetti - deve essere guidata esclusivamente dal raggiungimento dellĠinteresse del minore (83). Non importa, quindi, se questo sia nato da un progetto voluto e attuato insieme dalla coppia, allĠestero, attraverso lĠutilizzazione delle tecniche di procreazione assistita, o che sia nato da una precedente relazione; ci˜ che rileva  che la persona che si comporta come genitore dia piena realizzazione ai diritti del minore allĠamore e alla protezione e costituisca per questo una figura fondamentale nella vita del bambino. In questi procedimenti, dunque, la scelta delle misure da adottare nei confronti del minore non dovrebbe fondarsi su politiche volte a scoraggiare/punire condotte tenute dagli adulti. Inoltre,  vero che in materia come quella delle scelte procreative  riconosciuto agli Stati membri un ampio margine di apprezzamento, ma questo si dovrebbe arrestare, come visto, di fronte al superiore interesse del minore (che sia o meno ricorrente in prima persona nel procedimento). Il riferimento al carattere superiore, infatti, sembra porre tale valore per ci˜ stesso al di sopra di altri valori concorrenti che andrebbero posti su un gradino inferiore, dovendosi nel conflitto dare comunque spazio alla prevalenza del primo sul secondo (84). In ogni caso, il riconoscimento del margine di apprezzamento di ciascuno Stato membro non pu˜ arrivare al punto di consentire unĠefficacia extraterritoriale della legge nazionale, configurando illecita lĠattivitˆ della coppia compiuta in un Paese dove tale pratica  perfettamente lecita (85). In questo caso, poi, avrebbe potuto giocare forse un ruolo pi significativo lĠinterpretazione che di quelle norme dˆ la giurisprudenza nazionale, soprattutto le Corti superiori. In particolare, come si  indicato, in tema di definizione di ordine pubblico, di rilevanza dei rapporti parentali di fatto, di scissione tra filiazione genetica e filiazione giuridico sociale (86), di non illiceitˆ di com (83) Per questo fine deve essere preceduta da accurate indagini sociali e psicologiche volte principalmente a verificare lĠidoneitˆ affettiva e la capacitˆ educativa di chi ha svolto e svolgerˆ il ruolo genitoriale, oltre alla situazione personale, economica e familiare. (84) CoNTI R., alla ricerca degli anelli di una catena, in Dirittoequestionipubbliche.it, 2015, cit. A tal riguardo si veda Corte cost. n. 198/1986 in cui viene riconosciuto il potere del giudice di valutare Òil superiore interesse del minore: in vista del quale la legge, in determinate situazioni, abbandona le soluzioni rigide, prevedendo che la valutazione [...] sia effettuata in concreto dal giudice nellĠesclusivo interesse del minoreÓ, consultabile sul sito http://www.giurcost.org/decisioni/1986/0198s-86.html (85) Corte di Cassazione, sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016, cit. (86) ÒNel quadro legislativo attuale, il concetto di discendenza non ha, dunque, riguardo soltanto ad un fatto genetico, ma assume una connotazione giuridico-sociale, dal momento che, oltre al legame biologico fra genitori e figlio, viene conferita dignitˆ anche ad un legame di genitorialitˆ in assenza di una relazione genetica, in quanto conseguente al ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale (omologa o eterologa) secondo la disciplina fissata dalla citata l. n. 40, come modificata dal Giudice costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014. Il nostro ordinamento riconosce dunque, in parallelo al concetto di genitorialitˆ biologica, anche un concetto di genitorialitˆ legaleÓ, Corte di Cassazione, se RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 portamenti praticati allĠestero, di bilanciamento degli interessi in materia di gestazione per altri quando  coinvolto lĠinteresse di un minore (87), ci sono stati rilevanti mutamenti in questi ultimi anni. Questi si sono mostrati non solo a livello di Tribunali ordinari, ma anche come si  visto da parte della Corte Costituzionale e soprattutto della Corte di Cassazione (88). Tuttavia, gli stessi rimangono sullo sfondo rispetto alle interpretazioni date nelle singole sentenze che hanno deciso il caso concreto e alle osservazioni presentate dal Governo; mentre avrebbero potuto essere rilevanti nel valutare soprattutto la proporzionalitˆ delle misure adottate dalle Autoritˆ, in base agli elementi posti da queste a fondamento dei provvedimenti adottati. Infine, non pu˜ non sottolinearsi che questi cambiamenti nella giurisprudenza nazionale sono stati spesso la conseguenza proprio del recepimento di principi sanciti dai Giudici di Strasburgo. Si deve ribadire, infatti, che senza le previsioni della CEDU (ed in generale delle Carte di origine sovranazionale) e, soprattutto, dellĠopera dei giudici non nazionali, molti diritti non avrebbero ottenuto pieno riconoscimento e tutela o quantomeno lĠavrebbero avuto con tempi molto diversi. Si condivide, quindi, quanto osservato da autorevole dottrina secondo cui molte conquiste di civiltˆ si devono a questĠopera che si  estesa a moltissimi campi, specialmente riguardo ai nuovi diritti. ÒNon vĠ questione eticamente sensibile in cui la mano dei giudici extranazionali non zione vI penale, sentenza 17 novembre 2016, n. 48696, cit. Non si ignora poi una precedente sentenza della Corte di Cassazione 24001/14, che ha confermato la decisione dei giudici di merito di dare in adozione un bambino nato da gestazione per altri allĠestero e privo di alcun legame biologico con la coppia. Tuttavia, in quel caso i ricorrenti erano ricorsi a tale pratica senza utilizzare volontariamente il proprio materiale genetico, cosa che aveva anche reso non legale il procedimento di gestazione per altri nel paese estero (Ucraina, la quale ammetterebbe le tecniche di surrogazione di maternitˆ a condizione che almeno il 50% del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente). Inoltre, in Italia la coppia era stata dichiarata per tre volte non idonea allĠadozione per Ògrosse difficoltˆ nella elaborazione di una sana genitorialitˆ adottivaÓ. Il che non pu˜ che confermare come il superiore interesse del minore deve essere sempre accertato in concreto. La sentenza  consultabile sul sito http://www.biodiritto. org/index.php/item/571-cassazione-surrogata. (87) Soggetto che non ha partecipato a quella scelta e non pu˜ quindi subirne in alcun modo gli effetti, anche se questi sono finalizzati a scoraggiare la pratica allĠestero di quello che  vietato in Italia. (88) Si vedano le citate Corte di Cassazione, III sezione civile, sentenza 19405/2013; Corte di Cassazione sentenza 19599/2016; Corte costituzionale con la sentenza 5 ottobre 2016, n. 225; per i giudici di merito fra le tante la Corte dĠAppello di Trento, 23 febbraio 2017 (cit.) e ancora i due recentissimi decreti del 7 e 8 marzo 2017 del Trib. min. Firenze di riconoscimento di due sentenze straniere di adozione di minori residenti in quegli Stati da parte di due coppie di uomini, aventi la cittadinanza italiana e residenti da tempo nello stato estero, consultabili rispettivamente sul sito http://www.articolo29. it/wp-content/uploads/2017/03/trib-min-fi-1.pdf e http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/ 2017/03/trib-min-fi-2.pdf; ancora, ordinanza CdA Napoli, 30 marzo 2016, consultabile sul sito http://www.articolo29.it/corte-dappello-di-napoli-sentenza-del-30-marzo-2016/; sentenza CdA Roma, Sez. min., 23 dicembre 2015, n. 7127, consultabile sul sito http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/ 2015/12/seNteNza-Corte-aPPello-roma-23-12-15.pdf; Trib. Palermo decr., 13 aprile 2015 (cit); Sentenza Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, n. 299, consultabile sul sito http://www.articolo29.it/wpcontent/ uploads/2014/08/trib-min-roma-30-7-2014.pdf. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE abbia avuto modo di lasciare un segno marcato, che ha incoraggiato e sovente orientato ed influenzato, anche in significativa misura, lĠintraprendenza dei giudici nazionaliÓ (89). Pertanto, al di lˆ del singolo caso concreto oggetto di queste note, non pu˜ che guardarsi positivamente nel complesso al Òbenefico dinamismo giurisprudenzialeÓ (90), frutto di un dialogo intergiurisprudenziale (91) che si spera si sviluppi in modo costruttivo da entrambi le parti, per diventare sempre pi un valore aggiunto nella tutela effettiva dei diritti (92). (89) Cos“ RUGGERI A., linguaggio del legislatore e linguaggio dei giudici, a garanzia dei diritti fondamentali, Consulta online, Fasc. III, 2015, Estratto pag. 783, a cui si rinvia anche per indicazioni sullĠampia letteratura in argomento, consultabile sul sito http://www.giurcost.org/studi/ruggeri52.pdf; tra cui si veda CoNTI R. I giudici ed il biodiritto. Un esame concreto dei casi difficili e del ruolo del giudice di merito, della Cassazione e delle Corti europee, Aracne, Roma 2014; DĠAMICo M., opportunitˆ e limiti del diritto giurisprudenziale in relazione alle problematiche dellĠinizio della vita (i casi della procreazione medicalmente assistita e dellĠinterruzione volontaria di gravidanza), in www.forumcostituzionale.it, 20 luglio 2015, e, della stessa, pure ivi, ora, le questioni Òeticamente sensibiliÓ fra scienza, giudici e legislatore; CoNTI R., alla ricerca del ruolo dellĠart. 8 della Convenzione europea dei diritti dellĠuomo, in Pol. dir., 2013,127 ss.; dello stesso autore sulle unioni e adozioni per le coppie omosessuali, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dellĠuomo e dei giudici di merito, consultabile sul sito http://www.cde.unict.it/sites/default/files/files/r_%20Conti_la%20giurisprudenza%20della %20Corte%20europea%20dei%20diritti%20dell%27uomo%20e%20dei%20giudici%20di%20merito.pdf (90) CARTABIA M., I diritti in europa: la prospettiva della giurisprudenza costituzionale italiana, in riv. trim. dir. pubbl., 1/2015, pag. 30. (91) Cfr. AA.vv., Crisi dello stato nazionale, dialogo intergiurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali, a cura di DĠANDREA L., MoSCHELLA G., RUGGERI A., SAITTA A., Giappichelli, Torino 2015; RUGGERI A., Crisi dello stato nazionale, dialogo intergiurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali: notazioni introduttive, nel vol. coll. da ultimo cit., nonchŽ in Consulta online, 2014, 24 novembre 2014. La questione del dialogo fra le Corti e i giudizi nazionali  oggetto da tempo di inteso confronto dottrinale, del quale non pu˜ rendersene conto in queste note a margine della sentenza della Corte EDU. Per un inquadramento generale si rinvia a MALFATTI E., I ''livelli'' di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Giappichelli, sec. ed., 2015; RUGGERI A. Dialogo tra Corti europee e giudici nazionali, alla ricerca della tutela pi intensa dei diritti fondamentali (con specifico riguardo alla materia penale e processuale), in Dirittifondamentali.it, 2013, consultabile sul sito http://www.di- rittifondamentali.it/unicas_df/attachments/article/148/ruggeri_%e2%80%9CDialogo%e2%80%9D% 20tra%20Corti%20europee%20e%20giudici%20nazionali.pdf ; Il diritto europeo nel dialogo delle Corti, a cura di CoSIo R., FoGLIA R., Milano 2013; GIovANNETTI T., PASSAGLIA P., la Corte ed i rapporti tra diritto interno e diritto sovranazionale, in AA.vv., aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2011-2013), a cura di RoMBoLI R., Giappichelli, Torino 2014, 389 ss.; RUGGERI A., sei tesi in tema di diritti fondamentali e della loro tutela attraverso il ÒdialogoÓ tra Corti europee e Corti nazionali, in www.federalismi.it, 18/2014; per unĠanalisi critica sullĠimpatto che la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo ha sulle modalitˆ e sui risultati della protezione dei diritti negli ordinamenti e, in particolare in quello italiano, sostenendo che tale impatto costituisca una delle cause dellĠattuale crisi dei diritti, non dando per scontata lĠequazione Òpi diritti = pi giustiziaÓ, si rinvia a TEGA D., I diritti in crisi - tra Corti nazionali e Corte europea di strasburgo, GiuffrŽ, 2012. (92) In tal senso potranno avere un ruolo rilevante gli strumenti operanti con il Protocollo dĠintesa e con la richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle pi alte giurisdizioni nazionali, previsti nel Protocollo n. 16 alla CEDU. Quanto al primo  stato firmato lĠ11 dicembre 2015 dal Primo Presidente della Corte di Cassazione ed il Presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo (iniziativa intrapresa poco prima anche con la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato francesi). Nella circolare del Segretario generale della Corte di Cassazione in attuazione del Protocollo dĠintesa RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Corte Europea dei diritti dell'Uomo, Grande Camera, sentenza 24 gennaio 2017 (*) -ricorso n. 25358/12 -Causa Paradiso e Campanelli c. italia -Pres. Luis L—pez Guerra, Giudici Guido Raimondi, Mirjana Lazarova Trajkovska, Angelika Nu§berger, vincent A. De Gaetano, Khanlar Hajiyev, Ledi Bianku, Julia Laffranque, Paulo Pinto de Albuquerque, AndrŽ Potocki, Paul Lemmens, Helena JŠderblom, Krzysztof Wojtyczek, valeriu Gri.co, Dmitry Dedov, Yonko Grozev, S’ofra oĠLeary. (...) ii. il diritto E la Prassi intErni PErtinEnti a. il diritto italiano 1. la legge sul diritto internazionale privato 57. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 218 del 1995 sul sistema italiano di diritto internazionale privato, la filiazione  determinata dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. 2. la legge per la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile 58. Il decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000 n. 396 (legge per la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile) prevede che le dichiarazioni di nascita relative a cittadini italiani rese all'estero devono essere trasmesse alle autoritˆ consolari (articolo 15). Le autoritˆ consolari trasmettono copia degli atti ai fini della trascrizione allĠufficiale dello stato civile del comune in cui l'interessato intende stabilire la propria residenza (articolo 17). Gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico (articolo 18). AffinchŽ essi producano i loro effetti in Italia, i provvedimenti emessi allĠestero pronunciati in materia di capacitˆ delle persone o di esistenza di rapporti familiari (É) non devono essere contrari all'ordine pubblico (articolo 65). 3. la legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita 59. LĠarticolo 4 di questa legge prevedeva il divieto di ricorrere alla tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Il mancato rispetto di questa norma comportava una sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 EUR a 600.000 EUR. 60. La Corte costituzionale ha dichiarato lĠincostituzionalitˆ di queste disposizioni nella misura in cui il divieto riguardava una coppia eterosessuale cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilitˆ assolute ed irreversibili. 61. In questa stessa sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato che il divieto della surrogazione di maternitˆ, prevista dallĠarticolo 12, comma 6, della legge,  invece legittimo. Tale disposizione punisce chiunque realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gasi legge: Òla possibilitˆ di confronto diretto consentirˆ di accelerare e migliorare i meccanismi di emersione ed inclusione della giurisprudenza della Corte dei diritti umani nellĠordinamento nazionale, offrendo altres“ lĠopportunitˆ di un interscambio sui ÒconflittiÓ giˆ in atto o potenziali, che sono destinati a presentarsi rispetto a casi concreti, favorendo la comprensione piena delle rispettive posizioni, ancora una volta nel pieno rispetto dellĠautonomia delle due Istituzioni giudiziarieÓ. Entrambi sono consultabili su http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1456162578attuazione_del_protocollo_d_intesa-4.pdf. Il protocollo n. 16 alla CEDU, adottato il 2 ottobre 2013,  consultabile sul sito http://www.echr.coe.int/Documents/Protocol_16_Ita.pdf, lo stato delle firme e delle ratifiche pu˜ essere consultato sul sito http://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/214/signatures (*) Traduzione della sentenza a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, con la collaborazione della dott.ssa Daniela Riga, funzionario linguistico. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE meti o di embrioni o la surrogazione di maternitˆ. Le sanzioni previste sono la reclusione (da tre mesi a due anni) e una multa da 600.000 EUR a 1.000.000 EUR. 62. Con la sentenza n. 96 del 5 giugno 2015, la Corte costituzionale si  nuovamente pronunciata sul divieto di ricorrere alle tecniche di procreazione eterologa e ha dichiarato tali disposizioni incostituzionali nei confronti delle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili. 4. le disposizioni pertinenti in materia di adozione 63. Le disposizioni relative alla procedura di adozione sono contenute nella legge n. 184/1983, dal titolo ÇDiritto del minore a una famigliaÈ, come modificata dalla legge n. 149 del 2001. Secondo l'articolo 2, il minore che  rimasto temporaneamente senza un ambiente familiare idoneo pu˜ essere affidato ad un'altra famiglia che abbia, se possibile, altri figli minori, o a una persona singola, o a una comunitˆ di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Nel caso in cui non fosse possibile un affidamento familiare idoneo,  consentito lĠinserimento del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, preferibilmente nel luogo di residenza del minore. L'articolo 5 prevede che la famiglia o la persona alla quale il minore  affidato debbano provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione tenendo conto delle indicazioni del tutore ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autoritˆ giudiziaria. In ogni caso, la famiglia di accoglienza esercita la responsabilitˆ genitoriale in relazione agli ordinari rapporti con la scuola e il servizio sanitario nazionale. La famiglia di accoglienza deve essere sentita nel procedimento di affidamento e in quello che riguarda la dichiarazione di adottabilitˆ. LĠarticolo 6 della legge prevede dei limiti di etˆ per adottare. La differenza fra lĠetˆ del minore e quella degli adottanti deve essere di almeno diciotto anni e al massimo di quarantacinque anni, tale limite pu˜ essere portato a cinquantacinque anni per il secondo adottante. Il tribunale per i minorenni pu˜ derogare a tali limiti di etˆ se ritiene che la mancata adozione del minore sarebbe pregiudizievole per questĠultimo. Peraltro, l'articolo 7 prevede che l'adozione  consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilitˆ. L'articolo 8 prevede che Çpossono essere dichiarati in stato di adottabilitˆ dal tribunale per i minorenni, anche d'ufficio, (É) i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perchŽ privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purchŽ la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio È. ÇLa situazione di abbandono sussisteÈ, prosegue l'articolo 8, Ç(É) anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza (É) o siano in affidamento familiareÈ. Infine, questa disposizione prevede che la causa di forza maggiore non sussista se i genitori o gli altri parenti tenuti a provvedere al minore rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e se tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice. La situazione di abbandono pu˜ essere segnalata allĠautoritˆ pubblica da ogni cittadino e pu˜ essere rilevata d'ufficio dal giudice. D'altra parte, ogni funzionario pubblico, nonchŽ la famiglia del minore, che siano a conoscenza dello stato di abbandono di quest'ultimo, sono obbligati a farne denuncia. Peraltro, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l'autoritˆ giudiziaria della situazione dei minori collocati presso di loro (articolo 9). L'articolo 10 prevede poi che il tribunale possa disporre, fino allĠaffidamento preadottivo del minore alla famiglia di accoglienza, ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, compresa eventualmente la sospensione della potestˆ genitoriale. Gli articoli da 11 a 14 prevedono una indagine volta chiarire la situazione del minore e a stabilire se quest'ultimo si trovi in uno stato di abbandono. In particolare, l'articolo 11 dispone RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 che quando dalle indagini risulta che il minore non ha rapporti con alcun parente entro il quarto grado, il tribunale provvede a dichiarare lo stato di adottabilitˆ salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. Al termine del procedimento previsto da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell'articolo 8 persiste, il tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilitˆ del minore se: a) i genitori o gli altri parenti non si sono presentati nel corso del procedimento; b) la loro audizione ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale nonchŽ la non disponibilitˆ degli interessati ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilitˆ dei genitori (articolo 15). L'articolo 15 prevede anche che la dichiarazione dello stato di adottabilitˆ sia disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con decreto motivato, sentito il pubblico ministero, nonchŽ il rappresentante dell'istituto presso cui il minore  stato ricoverato o la sua eventuale famiglia di accoglienza, il tutore e il minore stesso se abbia compiuto i dodici anni o, se  pi giovane, se sia necessaria la sua audizione. L'articolo 17 prevede che lĠopposizione al provvedimento sullo stato di adottabilitˆ del minore debba essere depositata entro trenta giorni a partire dalla data della comunicazione alla parte ricorrente. L'articolo 19 prevede che durante lo stato di adottabilitˆ sia sospeso lĠesercizio della potestˆ genitoriale. L'articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilitˆ cessi nel momento in cui il minore  adottato o se quest'ultimo diventa maggiorenne. Peraltro, lo stato di adottabilitˆ pu˜ essere revocato, d'ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se le condizioni previste dall'articolo 8 sono state nel frattempo revocate. Tuttavia, se il minore  stato dato in affidamento preadottivo ai sensi degli articoli da 22 a 24, lo stato di adottabilitˆ non pu˜ essere revocato. 64. L'articolo 44 prevede alcuni casi di adozione speciale: l'adozione  possibile per i minori che non sono stati ancora dichiarati adottabili. In particolare, l'articolo 44 d) prevede l'adozione quando  impossibile procedere a un affidamento preadottivo. 65. L'articolo 37bis di questa legge prevede che ai minori stranieri che si trovano in Italia in situazione di abbandono si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza. 66. Le persone che desiderano adottare un bambino straniero devono rivolgersi a enti autorizzati per la ricerca di un minore (articolo 31) e alla Commissione per le adozioni internazionali (articolo 38). QuestĠultima  lĠunico organo competente per autorizzare lĠingresso e la residenza permanente del minore straniero in Italia (articolo 32). Una volta che il minore  arrivato in Italia, il tribunale per i minorenni ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nel registro dello stato civile. 67. Ai sensi dellĠarticolo 72 della legge, chiunque - in violazione delle disposizioni di cui al paragrafo 66 supra - introduce nel territorio dello Stato uno straniero minore di etˆ per procurarsi denaro o altra utilitˆ, e perchŽ il minore sia definitivamente affidato a cittadini italiani, commette un reato punibile con la reclusione da uno a tre anni. Tale pena si applica anche a coloro che, in cambio di denaro o altra utilitˆ, accolgono stranieri minori di etˆ in Çaffidamento È con carattere di definitivitˆ. La condanna per tale violazione comporta lĠinidoneitˆ a ottenere affidamenti e lĠincapacitˆ allĠufficio tutelare. 5. il ricorso per cassazione previsto dallĠarticolo 111 della Costituzione 68. Ai sensi dell'articolo 111, comma 7, della Costituzione italiana,  sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge contro i provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto le restrizioni della libertˆ personale. La Corte di cassazione ha esteso il campo di applicazione di questo rimedio ai procedimenti civili quando la decisione da contestare ha un impatto so CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE stanziale su alcune situazioni (decisoria) e non pu˜ essere modificata o revocata dallo stesso giudice che l'ha pronunciata (definitiva). I provvedimenti con i quali il tribunale per i minorenni dispone misure urgenti nei confronti di un minore in stato di abbandono adottati in base allĠarticolo 10 della legge sullĠadozione (articoli 330 e seguenti del codice civile, 742 del codice di procedura civile) sono modificabili e revocabili e possono essere oggetto di reclamo dinanzi alla corte dĠappello. Trattandosi di provvedimenti che possono essere modificati e revocati in qualsiasi momento, non  ammesso il ricorso per cassazione (Cassazione civile, Sez. I, sentenza del 18.10.2012, n. 17916). 6. la legge che ha istituito i tribunali per i minorenni 69. Il regio decreto n. 1404 del 1934, convertito nella legge n. 835 del 1935, ha istituito i tribunali per i minorenni. Tale legge ha subito ulteriori modifiche in seguito. Ai sensi del suo articolo 2, il tribunale per i minorenni  composto da un magistrato di corte d'appello, che lo presiede, da un magistrato di tribunale e da due cittadini, un uomo ed una donna, benemeriti, dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia. B. la giurisprudenza della Corte di cassazione 1. Giurisprudenza antecedente allĠudienza dinanzi alla Grande Camera 70. La Corte di cassazione (Sezione I, sentenza n. 24001 del 26 settembre 2014) si  pronunciata in una causa civile relativa a due cittadini italiani che si erano recati in Ucraina per avere un figlio mediante una surrogazione di maternitˆ. La Corte di cassazione ha ritenuto che la decisione di disporre lĠaffidamento del minore fosse conforme alla legge. Avendo constatato lĠassenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, ne ha dedotto che la situazione controversa era illegale rispetto al diritto ucraino, in quanto questĠultimo esigeva che vi fosse un legame biologico con uno degli aspiranti genitori. Dopo avere rammentato che il divieto di surrogazione di maternitˆ era sempre vigente in Italia, lĠalta giurisdizione ha spiegato che il divieto di tale pratica nel diritto italiano era di natura penale e aveva lo scopo di proteggere la dignitˆ umana della gestante e lĠistituto dellĠadozione. Essa ha aggiunto che solo unĠadozione regolare, riconosciuta dalla legge, rendeva possibile una genitorialitˆ non fondata sul legame biologico, e ha dichiarato che la valutazione dellĠinteresse del minore veniva operata a monte dalla legge, e che il giudice non dispone in questa materia di alcuna discrezionalitˆ. Ne ha concluso che non poteva esserci conflitto con lĠinteresse del minore quando il giudice applicava la legge nazionale e non teneva conto della filiazione stabilita allĠestero in seguito a una surrogazione di maternitˆ. 2. Giurisprudenza posteriore allĠudienza dinanzi alla Grande Camera 71. La Corte di cassazione (Sezione v, sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016) si  pronunciata nellĠambito di un procedimento penale avviato nei confronti di due cittadini italiani che si erano recati in Ucraina per concepire un figlio ricorrendo a una donatrice di ovuli e a una madre surrogata. La legge ucraina esige che uno dei due genitori sia il genitore biologico. La sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado era stata impugnata in cassazione dal pubblico ministero. LĠalta giurisdizione ha rigettato il ricorso del pubblico ministero, confermando cos“ lĠassoluzione, fondata sulla constatazione che i ricorrenti non avevano violato lĠarticolo 12 c. 6 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita in quanto avevano fatto ricorso a una tecnica di procreazione assistita che era legale nel paese in cui era stata praticata. Inoltre, la Corte di cassazione ha ritenuto che il fatto che gli imputati avessero presentato alle autoritˆ italiane un certificato di nascita straniero non fosse costitutivo del reato di Çfalsa dichiarazione sullĠidentitˆÈ (articolo 495 del codice penale) o di Çalterazione RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 di statoÈ (articolo 567 del codice penale), dal momento che il certificato in questione era legittimo rispetto al diritto del paese che lo aveva rilasciato. 72. La Corte di cassazione (Sezione I, sentenza n. 12962/14 del 22 giugno 2016) si  pronunciata in una causa civile in cui la ricorrente aveva chiesto di poter adottare il figlio della sua compagna. Le due donne si erano recate in Spagna allo scopo di ricorrere a tecniche di procreazione assistita vietate in Italia. Una di loro era la ÇmadreÈ ai sensi del diritto italiano, il liquido seminale proveniva da un donatore ignoto. La ricorrente aveva vinto la causa in primo e secondo grado. Adita dal pubblico ministero, lĠalta giurisdizione ha rigettato il ricorso di questĠultimo ed ha cos“ accettato che un figlio nato grazie a tecniche di procreazione assistita allĠinterno di una coppia di donne fosse adottato da quella che non lĠaveva partorito. Per giungere a tale conclusione la Corte di cassazione ha tenuto conto del legame affettivo stabile esistente tra la ricorrente e il figlio, nonchŽ dellĠinteresse del minore. La Corte ha utilizzato lĠarticolo 44 della legge sullĠadozione, che prevede casi particolari di adozione. C. il diritto russo 73. AllĠepoca dei fatti, ossia fino a febbraio 2011, quando  nato il figlio, lĠunica legge pertinente in vigore era il codice della famiglia del 29 dicembre 1995. QuestĠultimo disponeva che una coppia sposata era riconosciuta come coppia di genitori di un figlio nato da una madre surrogata, quando questĠultima dava il suo consenso scritto (articolo 51 comma 4 del codice della famiglia). Il codice della famiglia non si pronunciava sulla questione di stabilire se, in caso di gestazione per conto terzi, gli aspiranti genitori debbano o meno avere un legame biologico con il minore. Neanche il decreto di applicazione n. 67 adottato nel 2003 e rimasto in vigore fino al 2012 si pronunciava a questo proposito. 74. Successivamente alla nascita del figlio, la legge fondamentale sulla protezione della salute dei cittadini, adottata il 21 novembre 2011 ed entrata in vigore il 1Ħ gennaio 2012, ha introdotto delle disposizioni per regolamentare le attivitˆ mediche, comprese le procreazioni assistite. Nel suo articolo 55, tale legge definisce la maternitˆ surrogata come la gestazione e consegna del figlio sulla base di contratto concluso dalla madre surrogata e dagli aspiranti genitori che hanno fornito il materiale genetico loro appartenente. Il decreto n. 107 adottato il 30 agosto 2012 dal Ministro della Sanitˆ definisce la gestazione per conto terzi come un contratto stipulato tra la madre surrogata e gli aspiranti genitori che hanno utilizzato il loro materiale genetico per il concepimento. iii. diritto E strUmEnti intErnazionali PErtinEnti a. la Convenzione dellĠaja riguardante lĠabolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri 75. La Convenzione dell'Aja riguardante lĠabolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri  stata conclusa il 5 ottobre 1961. Essa si applica agli atti pubblici -cos“ come definiti dall'articolo 1 -che sono stati redatti sul territorio di uno Stato contraente e che devono essere prodotti sul territorio di un altro Stato contraente. Articolo 2 ÇCiascuno Stato contraente dispensa dalla legalizzazione gli atti cui si applica la presente Convenzione e che devono essere prodotti sul suo territorio. La legalizzazione ai sensi della presente Convenzione concerne solo la formalitˆ mediante la quale gli agenti diplomatici o consolari del paese, sul cui territorio lĠatto deve essere prodotto, attestano lĠautenticitˆ della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto lĠatto e, ove occorra, lĠautenticitˆ del sigillo o del bollo apposto a questo atto.È Articolo 3 CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE ÇLĠunica formalitˆ che possa essere richiesta per attestare lĠautenticitˆ della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto lĠatto e, ove occorra, lĠautenticitˆ del sigillo o del bollo apposto a questo atto,  lĠapposizione dellĠapostille di cui allĠarticolo 4, rilasciata dallĠautoritˆ competente dello Stato dal quale emana il documento.È Articolo 5 ÇLĠapostille  apposta su richiesta del firmatario o del portatore dellĠatto. Debitamente compilata, essa attesta lĠautenticitˆ della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto lĠatto e, ove occorra, lĠautenticitˆ del sigillo o del bollo apposto a questo atto. La firma, il sigillo o il bollo che figurano sullĠapostille sono dispensati da qualsiasi attestazioneÈ. Dal rapporto esplicativo della suddetta Convenzione risulta che lĠapostille non attesta la veridicitˆ del contenuto dellĠatto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivanti dalla Convenzione dellĠAja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le proprie regole in materia di conflitti di leggi quando devono decidere sul peso da attribuire al contenuto del documento apostillato. B. la Convenzione delle nazioni Unite sui diritti del fanciullo 76. Le disposizioni pertinenti della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 novembre 1989, recitano: Preambolo ÇGli Stati parte alla presente Convenzione, (...) Convinti che la famiglia, unitˆ fondamentale della societˆ e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l'assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettivitˆ, Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalitˆ deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicitˆ, di amore e di comprensione, (...) Hanno convenuto quanto segue: (...) Articolo 3 1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autoritˆ amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. (...) Articolo 7 1. Il fanciullo  registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto (É) a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. (...) Articolo 9 1. Gli Stati parti vigilano affinchŽ il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontˆ (...). Articolo 20 1. ogni fanciullo il quale  temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non pu˜ essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato. 2. Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformitˆ con la loro legislazione nazionale. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 3. Tale protezione sostitutiva pu˜ in particolare concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, della Kafalah di diritto islamico, dell'adozione o in caso di necessitˆ, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrˆ debitamente conto della necessitˆ di una certa continuitˆ nell'educazione del fanciullo, nonchŽ della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. Articolo 21 Gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l'adozione, si accertano che l'interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia, e: a) vigilano affinchŽ l'adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle Autoritˆ competenti le quali verificano, in conformitˆ con la legge e con le procedure applicabili e in base a tutte le informazioni affidabili relative al caso in esame, che l'adozione pu˜ essere effettuata in considerazione della situazione del bambino in rapporto al padre e alla madre, genitori e tutori legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate hanno dato il loro consenso all'adozione in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari; b) Riconoscono che l'adozione all'estero pu˜ essere presa in considerazione come un altro mezzo per garantire le cure necessarie al fanciullo, qualora quest'ultimo non possa essere affidato a una famiglia affidataria o adottiva oppure essere allevato in maniera adeguata nel paese d'origine; c) vigilano, in caso di adozione all'estero, affinchŽ il fanciullo abbia il beneficio di garanzie e norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali; d) Adottano ogni adeguata misura per vigilare affinchŽ, in caso di adozione all'estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili; e) perseguono le finalitˆ del presente articolo stipulando accordi o intese bilaterali o multilaterali a seconda dei casi, e si sforzano in questo contesto di vigilare affinchŽ le sistemazioni di fanciulli all'estero siano effettuate dalle autoritˆ o dagli organi competenti. (...)È 77. Nel suo Commento generale n. 7 (2005) sullĠattuazione dei diritti del fanciullo nella primissima infanzia, il Comitato sui diritti dellĠinfanzia ha inteso incoraggiare gli Stati parti a riconoscere che i bambini in tenera etˆ godono di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo e che la prima infanzia  un periodo determinante per la realizzazione di tali diritti. Il Comitato evoca in particolare lĠinteresse superiore del minore: Ç13. LĠarticolo 3 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale lĠinteresse superiore del minore  una considerazione fondamentale in tutte le decisioni riguardanti i minori. A causa della loro relativa mancanza di maturitˆ, i bambini in tenera etˆ dipendono dalle autoritˆ competenti che definiscono i loro diritti e il loro interesse superiore e li rappresentano quando prendono decisioni e adottano provvedimenti che pregiudicano il loro benessere, pur tenendo conto del loro parere e dello sviluppo delle loro capacitˆ. Il principio dellĠinteresse superiore del minore  menzionato molte volte nella Convenzione (in particolare negli articoli 9, 18, 20 e 21, che sono i pi pertinenti per quanto concerne la prima infanzia). Questo principio si applica a tutte le decisioni riguardanti i minori e deve essere accompagnato da misure efficaci volte a tutelarne i diritti e a promuoverne la sopravvivenza, la crescita e il benessere, nonchŽ misure volte a sostenere e aiutare i genitori e le altre persone che hanno la responsabilitˆ di concretizzare giorno dopo giorno i diritti del minore: a) Interesse superiore del minore in quanto individuo. In qualsiasi decisione che riguarda in particolare la custodia, la salute o lĠeducazione di un minore, tra cui le decisioni prese dai genitori, dai professionisti che si occupano dei minori e da altre persone che si assumono re CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE sponsabilitˆ nei confronti di questi ultimi, deve essere preso in considerazione il principio dellĠinteresse superiore del minore. Gli Stati parti sono vivamente pregati di adottare disposizioni affinchŽ i minori in tenera etˆ siano rappresentati in maniera indipendente, in tutte le procedure previste dalla legge, da una persona che agisca nel loro interesse e affinchŽ i minori siano sentiti in tutti i casi in cui sono capaci di esprimere le loro opinioni o le loro preferenze; (...)È C. la Convenzione dellĠaja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale 78. Le disposizioni pertinenti della Convenzione sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, conclusa allĠAja il 29 maggio 1993, recitano: Articolo 4 Ç1. Le adozioni contemplate dalla Convenzione possono aver luogo soltanto se le autoritˆ competenti dello Stato d'origine: a) hanno stabilito che il minore  adottabile; b) hanno constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilitˆ di affidamento del minore nello Stato d'origine, che l'adozione internazionale corrisponde al suo superiore interesse; c) si sono assicurate 1) che le persone, istituzioni ed autoritˆ, il cui consenso  richiesto per l'adozione, sono state assistite con la necessaria consulenza e sono state debitamente informate sulle conseguenze del loro consenso, in particolare per quanto riguarda il mantenimento o la cessazione, a causa dell'adozione, dei legami giuridici fra il minore e la sua famiglia d'origine, 2) che tali persone, istituzioni ed autoritˆ hanno prestato il consenso liberamente, nelle forme legalmente stabilite e che questo consenso  stato espresso o attestato per iscritto; 3) che i consensi non sono stati ottenuti mediante pagamento o contropartita di alcun genere e non sono stati revocati; e 4) che il consenso della madre, qualora sia richiesto, sia stato prestato solo successivamente alla nascita del minore; e d - si sono assicurate, tenuto conto dell'etˆ e della maturitˆ del minore, 1) che questi  stato assistito mediante una consulenza e che  stato debitamente informato sulle conseguenze dell'adozione e del suo consenso all'adozione, qualora tale consenso sia richiesto; 2) che i desideri e le opinioni del minore sono stati presi in considerazione; 3) che il consenso del minore all'adozione, quando  richiesto,  stato prestato liberamente, nelle forme legalmente stabilite, ed  stato espresso o constatato per iscritto; e 4) che il consenso non  stato ottenuto mediante pagamento o contropartita di alcun genere.È d. i principi adottati dal comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche del Consiglio dĠEuropa 79. Il comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche costituito in seno al Consiglio dĠEuropa (CAHBI), precursore dellĠattuale comitato direttivo di bioetica, ha pubblicato nel 1989 una serie di principi fra cui il quindicesimo, relativo alle Çmadri surrogateÈ,  cos“ formulato: Ç1. Nessun medico o istituto deve utilizzare le tecniche di procreazione artificiale per il concepimento di un figlio che sarˆ portato in gestazione da una madre surrogata. 2. Nessun contratto o accordo tra una madre surrogata e la persona o la coppia per conto delle quali  portato in gestazione un bambino potrˆ essere invocato in giudizio. 3. Qualsiasi attivitˆ di intermediazione a favore delle persone interessate da una maternitˆ surrogata deve essere vietata, come pure deve essere vietata ogni forma di pubblicitˆ che vi faccia riferimento. 4. Tuttavia, gli Stati possono, in casi eccezionali stabiliti dal loro diritto nazionale, prevedere, RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 senza fare eccezione al paragrafo 2 del presente Principio, che un medico o un istituto possano procedere alla fecondazione di una madre surrogata utilizzando tecniche di procreazione artificiale, a condizione: a. che la madre surrogata non tragga alcun vantaggio materiale dallĠoperazione; e b. che la madre surrogata possa scegliere alla nascita di tenere il bambino.È E. i lavori della Conferenza dellĠaja di diritto internazionale privato 80. La Conferenza dellĠAja di diritto internazionale privato ha esaminato le questioni di diritto internazionale privato relative allo status dei bambini, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della filiazione. In seguito a un vasto processo di consultazione che si  concluso con uno studio comparativo (documenti preliminari nn. 3B e 3C del 2014), nellĠaprile 2014, il Consiglio sugli affari generali e la politica ha convenuto che sarebbe necessario proseguire i lavori al fine di approfondire lo studio di fattibilitˆ per lĠistituzione di uno strumento multilaterale. Il documento preliminare n. 3A di febbraio 2015, intitolato ÇIl progetto Filiazione/Maternitˆ surrogata: nota di aggiornamentoÈ menziona ancora una volta lĠimportanza delle preoccupazioni in materia di diritti umani che suscita lĠattuale situazione relativa alle convenzioni internazionali di maternitˆ surrogata, nonchŽ il fatto che esse sono sempre pi frequenti. In tale documento, la Conferenza dellĠAja ritiene perci˜ che i suoi lavori in questo ambito siano sempre pi giustificati dal punto di vista dei diritti umani, e in particolare di quelli dei bambini. iV. ElEmEnti di diritto ComParato 81. Nelle cause Mennesson c. Francia (n. 65192/11, ¤¤ 40-42, CEDU 2014 (estratti) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, ¤¤ 31-33, 26 giugno 2014), la Corte ha fornito una rassegna dei risultati di una analisi di diritto comparato condotta su 35 Stati parti alla Convenzione diversi dalla Francia. Da tale analisi emerge che la gestazione per conto terzi  espressamente vietata in quattordici di tali Stati; che in altri dieci Stati, nei quali non vi  una normativa relativa alla gestazione per conto terzi, o tale pratica  vietata in virt di disposizioni generali, o non  tollerata, oppure la questione della sua legalitˆ  incerta; e che essa  autorizzata in sette di questi trentacinque Stati (purchŽ sussistano alcune condizioni rigorose). In tredici di questi trentacinque Stati,  possibile per gli aspiranti genitori ottenere il riconoscimento giuridico del legame di filiazione con un bambino nato da una gestazione per conto terzi legalmente praticata in un altro paese. in diritto i. sUllĠoGGEtto dElla ControVErsia dinanzi alla GrandE CamEra 82. Nel procedimento dinanzi alla Grande Camera le due parti hanno sottoposto delle osservazioni rispetto ai motivi di ricorso che la camera ha dichiarato irricevibili. 83. Il Governo afferma che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, nella misura in cui lamentano il mancato riconoscimento del certificato di nascita formato allĠestero. In effetti, gli interessati non hanno presentato ricorso per cassazione avverso la decisione della corte di appello di Campobasso del 3 aprile 2013, con la quale questĠultima ha confermato il rifiuto di registrare detto certificato. 84. La Corte osserva che la camera ha accolto lĠeccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla impossibilitˆ di ottenere la registrazione del certificato di nascita russo. Di conseguenza, questa doglianza  stata dichiarata irricevibile (paragrafo 62 della sentenza della camera). Ne consegue che la stessa non  oggetto della controversia sottoposta allĠesame della Grande Camera poichŽ, se CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE condo la giurisprudenza consolidata, Çla causaÈ rinviata dinanzi alla Grande Camera  il ricorso cos“ come dichiarato ricevibile dalla camera (si veda, tra altre, K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, ¤ 141, CEDU 2001-vII). 85. I ricorrenti chiedono alla Grande Camera di prendere in considerazione le doglianze da loro formulate in nome del minore, che secondo loro presentano un interesse nella fase del- lĠesame sul merito (Azinas c. Cipro [GC], n. 56679/00, ¤ 32, CEDU 2004-III, K. e T. c. Finlandia, sopra citata, ¤ 141). Essi affermano che, in effetti, lĠinteresse superiore del minore  al centro della causa e che le autoritˆ nazionali non ne hanno tenuto conto in alcun modo. 86. A questo proposito, la Corte osserva che la camera ha ritenuto che i ricorrenti non avessero la qualitˆ per agire dinanzi alla Corte in nome del minore e che ha rigettato le doglianze sollevate in nome di questĠultimo in quanto incompatibili ratione personae (paragrafi 48-50 della sentenza della camera). Ne consegue che questa parte del ricorso non  oggetto della controversia sottoposta allĠesame della Grande Camera (K. e T. c. Finlandia, sopra citata, ¤ 141). 87. Nondimeno, la questione di stabilire se lĠinteresse superiore del minore sia da prendere in considerazione nellĠesame delle doglianze che i ricorrenti sollevano in loro nome  una questione che fa parte della controversia dinanzi alla Grande Camera. ii. sUllE ECCEzioni PrEliminari dEl GoVErno a. argomenti delle parti 1. il Governo 88. Il Governo solleva due eccezioni preliminari. 89. In primo luogo, afferma che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, in quanto non hanno contestato la decisione del tribunale per i minorenni del 5 giugno 2013 che negava che essi avessero la qualitˆ per agire nellĠambito della procedura di adozione. A suo parere, i ricorsi disponibili nel diritto italiano erano efficaci. 90. In secondo luogo, il Governo chiede alla Corte di rigettare il ricorso per incompatibilitˆ ratione personae, in quanto i ricorrenti non avrebbero locus standi dinanzi alla Corte. 2. i ricorrenti 91. I ricorrenti rammentano che la camera si  giˆ pronunciata in merito a tali eccezioni e le ha respinte. Per quanto riguarda in particolare lĠeccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne rispetto alla decisione del 5 giugno 2013 che negava che essi avessero la qualitˆ per agire nellĠambito della procedura di adozione, essi sottolineano che, nel momento in cui il tribunale per i minorenni li ha esclusi dalla procedura, erano trascorsi pi di venti mesi dallĠallontanamento del minore, e ritengono che il tempo trascorso avesse reso perfettamente illusorio il ritorno del minore dato che questĠultimo viveva ormai in unĠaltra famiglia. I ricorrenti osservano che, del resto, il Governo non ha fornito alcun precedente giurisprudenziale a sostegno della sua tesi. B. Valutazione della Corte 92. La Corte osserva che le eccezioni sollevate dal Governo sono state giˆ esaminate dalla camera (paragrafi 55-64 della sentenza della camera). 93. La Corte rileva che la camera le ha rigettate (paragrafi 64 e 57 rispettivamente della sentenza della camera) e che il Governo ribadisce queste eccezioni basandosi sugli stessi argomenti. La Corte ritiene che, per quanto riguarda queste due eccezioni, nulla porti a discostarsi dalle conclusioni della camera. 94. In conclusione, le eccezioni del Governo devono essere respinte. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 iii. sUlla dEdotta ViolazionE dEllĠartiColo 8 dElla ConVEnzionE 95. I ricorrenti affermano che i provvedimenti adottati dalle autoritˆ italiane nei confronti del minore e che hanno portato allĠallontanamento definitivo di questĠultimo hanno pregiudicato il loro diritto alla vita privata e famigliare, sancito dallĠarticolo 8 della Convenzione. 96. Il Governo si oppone a questa tesi. 97. LĠarticolo 8 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, recita: Ç1. ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...). 2. Non pu˜ esservi ingerenza di una autoritˆ pubblica nellĠesercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societˆ democratica,  necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dellĠordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertˆ altrui.È a. la sentenza della camera 98. Dopo aver dichiarato irricevibile la doglianza formulata dai ricorrenti in nome del minore nonchŽ la loro doglianza relativa al mancato riconoscimento del certificato di nascita rilasciato in Russia, la camera ha esaminato le misure che hanno comportato lĠallontanamento definitivo del minore. PoichŽ il certificato di nascita non  stato riconosciuto nel diritto italiano, la camera ha ritenuto che tra i ricorrenti e il minore non esistesse per lĠesattezza alcun legame giuridico. La camera ha concluso tuttavia che esisteva una vita famigliare de facto nel senso dellĠarticolo 8. Per giungere a questa conclusione, essa ha tenuto conto del fatto che i ricorrenti avevano passato con il minore le prime tappe importanti della sua giovane vita, e che si erano comportati nei confronti di questĠultimo come genitori. Per di pi, la camera ha ritenuto che anche la vita privata del ricorrente fosse in gioco, dato che, a livello nazionale, egli aveva cercato di verificare lĠesistenza di un legame biologico tra lui e il minore per mezzo di un test del DNA. In conclusione, la camera ha affermato che le misure controverse si traducevano in una ingerenza nella vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore (paragrafi 67-69 della sentenza della camera), e anche nella vita privata del ricorrente (paragrafo 70 della sentenza della camera). 99. Successivamente, constatando che i tribunali interni avevano applicato il diritto italiano per determinare la filiazione del minore e avevano concluso che questĠultimo era in Çstato di abbandono È in assenza di un legame biologico con i ricorrenti, la camera ha ritenuto che i giudici nazionali non avessero adottato un provvedimento irragionevole. Di conseguenza, la camera ha ammesso che lĠingerenza era Çprevista dalla leggeÈ (paragrafo 72 della sentenza della camera). 100. La camera ha ritenuto, inoltre, che le misure adottate nei confronti del minore mirassero alla Çdifesa dellĠordineÈ, in quanto la condotta dei ricorrenti si scontrava con la legge italiana in materia di adozione internazionale e di ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, le misure in questione erano volte alla protezione dei Çdiritti e libertˆÈ del minore (paragrafo 73 della sentenza della camera). 101. Avendo riconosciuto lĠesistenza di una vita famigliare, la camera ha valutato congiuntamente gli interessi privati dei ricorrenti e lĠinteresse superiore del minore, e li ha bilanciati con lĠinteresse pubblico. Non si  convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autoritˆ italiane si erano basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali. Nel suo ragionamento, si  basata sul principio che lĠallontanamento del minore dal contesto famigliare era una misura estrema alla quale si dovrebbe ricorrere solo in ultima ratio, per proteggere il minore che affronti un pericolo immediato per lui, (la camera ha rinviato, a questo proposito, alle sentenze seguenti: Scozzari e Giunta c. Italia [GC], n. 39221/98 e 41963/98, ¤ 148, CEDU 2000 vIII, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, ¤ 136, CEDU 2010, Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE ¤¤ 133-138, 13 marzo 2012, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, ¤¤ 74-80, 10 aprile 2012). Considerati gli elementi del fascicolo, la camera ha ritenuto che i giudici nazionali avessero preso decisioni senza valutare concretamente le condizioni di vita del minore con i ricorrenti e lĠinteresse superiore dello stesso. Di conseguenza, essa ha concluso che vi  stata violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione, in quanto le autoritˆ nazionali non avevano preservato il giusto equilibrio che deve regnare tra lĠinteresse generale e gli interessi privati in gioco (paragrafi 75-87 della sentenza della camera). B. osservazioni delle parti 1. i ricorrenti 102. I ricorrenti dichiarano anzitutto che la Corte non  chiamata a pronunciarsi su nientĠaltro che le misure adottate dalle autoritˆ italiane nei confronti del minore, e questo dal punto di vista dellĠarticolo 8 della Convenzione, per determinare se vi sia stata violazione del loro diritto alla vita privata e famigliare. Secondo loro, considerata la decisione della camera di dichiarare irricevibile la doglianza relativa al rifiuto di trascrivere in Italia lĠatto di nascita russo del minore, la Corte non  chiamata a pronunciarsi sulla convenzionalitˆ della scelta di uno Stato di autorizzare o meno la pratica della gestazione per conto terzi sul suo territorio o sulle condizioni di riconoscimento di un legame di filiazione legittimamente concepito allĠestero. 103. I ricorrenti ritengono che i legami che li univano al minore si traducono in una vita famigliare che rientra nelle previsioni dellĠarticolo 8 della Convenzione. A tale proposito fanno riferimento alla giurisprudenza della Corte. 104. Essi sostengono che la vita famigliare costruitasi tra loro e il minore messo al mondo da una madre surrogata  conforme al diritto russo, cos“ come applicabile allĠepoca dei fatti, e si baserebbe dunque su un legame giuridico di parentela legale attestato dal certificato di nascita rilasciato dalle autoritˆ competenti. La legittimitˆ di questo legame giuridico non sarebbe dunque pregiudicata dal fatto che  risultato che nessun legame biologico di filiazione univa lĠaspirante padre al minore, non essendo allĠepoca richiesta dal diritto russo la presenza di un tale legame biologico. 105. Per i ricorrenti, la potestˆ genitoriale da loro esercitata sul minore - e dunque il legame giuridico di parentela che hanno stabilito con lo stesso -  stata riconosciuta dalle autoritˆ italiane nella misura in cui queste lĠhanno sospesa e revocata. 106. Il minore sarebbe stato il frutto di un progetto genitoriale serio e ben ponderato. La coppia gli avrebbe manifestato il proprio attaccamento ancor prima della sua nascita (Anayo c. Germania, n. 20578/07, ¤ 61, 21 dicembre 2010) e si sarebbe impegnata per permettere una vita famigliare effettiva. I ricorrenti affermano che, alla nascita del minore, la ricorrente lo ha preso rapidamente in carico sistemandosi con lui in un appartamento a Mosca, stabilendo forti legami affettivi. Una volta arrivato in Italia, il minore avrebbe vissuto con i ricorrenti in un contesto accogliente, rassicurante e favorevole al suo sviluppo armonioso sia sul piano affettivo che materiale. I ricorrenti rammentano che la famiglia ha convissuto per otto mesi, sei dei quali in Italia. Pur essendo relativamente breve, questo periodo coinciderebbe con le prime tappe importanti della giovane vita del minore. I ricorrenti rammentano che, del resto, questa brevitˆ non pu˜ essere attribuita alla loro volontˆ, in quanto la fine brutale della convivenza  dipesa esclusivamente dalle misure adottate dalle autoritˆ italiane. 107. I ricorrenti aggiungono che lĠassenza di legame biologico non pu˜ bastare per scartare lĠesistenza di una vita famigliare. Nella fattispecie, essi dichiarano che erano, per di pi, convinti dellĠesistenza di un legame biologico tra il ricorrente e il minore e che non vi sono motivi per dubitare della loro buona fede. In ogni caso, lĠerrore della clinica non avrebbe alcuna conseguenza giuridica sulla legittimitˆ della filiazione stabilita in Russia, poichŽ allĠepoca dei fatti il diritto russo non esigeva che gli aspiranti genitori fornissero il loro proprio materiale biolo RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 gico. Pertanto, rispetto alle norme applicabili allĠepoca dei fatti, la gestazione per conto terzi praticata dai ricorrenti sarebbe stata perfettamente legittima rispetto al diritto russo. Secondo i ricorrenti,  solo dal 1Ħ gennaio 2012, data dellĠentrata in vigore della legge federale n. 323 Fz del 21 novembre 2011, che il ricorso a un donatore di gameti  vietato dagli aspiranti genitori. 108. I ricorrenti ritengono che i provvedimenti adottati dalle autoritˆ italiane costituiscano una ingerenza nella loro vita famigliare. Secondo loro tale ingerenza aveva formalmente una base giuridica, in quanto i provvedimenti erano stati adottati conformemente alla legge italiana sullĠadozione. Tuttavia, tali misure deriverebbero da unĠanalisi arbitraria da parte dei giudici nazionali nella misura in cui questi hanno ritenuto che il minore si trovasse Çin stato di abbandonoÈ. I ricorrenti sostengono inoltre che, se la pratica della gestazione per conto terzi  vietata dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita (articoli 6 e 14), non sono comunque mai stati avviati procedimenti penali nei confronti di madri surrogate o di aspiranti genitori. In effetti, in assenza di una clausola di extraterritorialitˆ, una gestazione per conto terzi realizzata legittimamente in un altro Stato non pu˜, secondo loro, essere perseguita da parte dei giudici italiani. Non potendo perseguire la gestazione per conto terzi in quanto tale, altre disposizioni sarebbero utilizzate per fondare i procedimenti penali. Cos“ sarebbe avvenuto nel caso dei ricorrenti, nei cui confronti si procede dal 5 maggio 2011 per alterazione di stato civile (articolo 567 del codice penale), uso di atto falso (articolo 489 del codice penale) e violazione delle disposizioni in materia di adozione. 109. I ricorrenti contestano la tesi secondo la quale lo scopo legittimo delle misure in questione era quello di proteggere i diritti e le libertˆ del minore. In effetti, i giudici italiani si sarebbero basati esclusivamente sulla illegalitˆ della situazione creata dai ricorrenti e si sarebbero limitati ad affermare - senza minimamente rispettare la legislazione russa - che la maternitˆ surrogata in Russia era contraria al diritto italiano. Perci˜, il tribunale per i minorenni si sarebbe principalmente sforzato di impedire il protrarsi della situazione illegale. I ricorrenti vedono nelle decisioni di questo giudice la volontˆ esclusiva di sanzionarli per il loro comportamento. LĠinteresse del minore sarebbe stato evocato solo per affermare che lĠimpatto dei provvedimenti controversi su questĠultimo sarebbe stato minimo. 110. Per quanto riguarda la necessitˆ di tali misure, i ricorrenti osservano che se il ricorso alla gestazione per conto terzi solleva delicate questioni di ordine etico, questa considerazione non pu˜ legittimare una Çcarta bianca che giustifichi qualsiasi provvedimentoÈ. In effetti, se gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento per autorizzare o meno la pratica della gestazione per conto terzi sul loro territorio, essi ritengono che questo non sia lĠoggetto del presente ricorso. Nel caso di specie, sarebbe la Corte a dover dire se i provvedimenti che hanno comportato lĠallontanamento definitivo del minore abbiano mantenuto il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco, ossia quelli dei ricorrenti, quelli del minore e quelli dellĠordine pubblico. Da questo punto di vista, i ricorrenti ritengono che si debba tenere presente che, in tutte le decisioni che riguardano un minore, lĠinteresse superiore di questĠultimo deve prevalere. Perci˜, essi affermano che una rottura immediata e definitiva dei legami famigliari  stata ritenuta conforme allĠarticolo 8 solo quando i minori interessati erano esposti a rischi gravi e persistenti per la loro salute e il loro benessere. ora, cos“ non era nel caso di specie secondo i ricorrenti, che ritengono che lĠinteresse superiore del minore non sia stato minimamente preso in considerazione dalle autoritˆ nazionali. 111. I ricorrenti affermano che vi era convergenza di interessi tra loro e il minore il giorno in cui sono stati messi in atto i provvedimenti controversi. Tali misure avrebbero spezzato la loro vita famigliare e avrebbero comportato una rottura definitiva dei legami famigliari, con conseguenze irrimediabili, in assenza di condizioni tali da giustificare questa rottura. Il tribunale CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE per i minorenni si sarebbe astenuto dallĠesaminare le condizioni reali di vita del minore, e avrebbe presunto che questĠultimo fosse privo dellĠassistenza materiale e morale dei genitori. Per i ricorrenti, i giudici nazionali hanno messo in dubbio la loro capacitˆ effettiva ed educativa soltanto sulla base dellĠillegalitˆ del loro comportamento e hanno ritenuto che avessero fatto ricorso alla gestazione per conto terzi per narcisismo. I ricorrenti rammentano che erano comunque stati dichiarati idonei a diventare genitori adottivi dalle stesse autoritˆ, e che, inoltre, le assistenti sociali, incaricate dal tribunale per i minorenni, avevano redatto un rapporto molto favorevole alla continuazione della vita comune con il minore. vi sarebbero state delle lacune evidenti nel processo decisionale che aveva condotto ai provvedimenti contestati. Perci˜, i ricorrenti ritengono di essere stati considerati incapaci di educare e amare il figlio unicamente sulla base di presunzioni e deduzioni, e senza che fosse stata ordinata una perizia dai tribunali. 112. I ricorrenti osservano inoltre che le autoritˆ non hanno previsto misure diverse dalla presa in carico definitiva del minore. 113. Essi spiegano che il 20 ottobre 2011 gli agenti dei servizi sociali si sono presentati a casa loro e hanno portato via il minore, nonostante loro non fossero nemmeno stati informati della decisione del tribunale. Questa operazione avrebbe provocato spavento e confusione. Anche nel momento dellĠesecuzione dei provvedimenti vi sarebbe stata dunque sproporzione. 114. Infine, i ricorrenti sottolineano che le autoritˆ italiane non hanno adottato alcun provvedimento per preservare le relazioni tra loro e il minore al fine di mantenere la possibilitˆ di ricostruire la famiglia e, ben al contrario, hanno vietato qualsiasi contatto con il minore mandandolo in un luogo sconosciuto. Per i ricorrenti, lĠimpatto di questi provvedimenti  stato irrimediabile. 115. I ricorrenti chiedono alla Corte di concludere che vi  stata una violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. Pur essendo consapevoli che  trascorso molto tempo da quando il minore  stato preso in carico dai servizi sociali, e che  auspicabile, nellĠinteresse del minore, che la sua situazione famigliare non cambi nuovamente, essi ritengono che una somma accordata a titolo di equa soddisfazione non sia sufficiente. I ricorrenti desiderano infatti riprendere contatto con il minore. 2. il Governo 116. Il Governo afferma che la camera ha interpretato lĠarticolo 8 ¤ 1 della Convenzione in maniera troppo estensiva, e lĠarticolo 8 ¤ 2 in maniera troppo restrittiva. 117. Facendo riferimento al paragrafo 69 della sentenza della camera, nel quale la camera ha concluso che esisteva una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore, il Governo ritiene che lĠaffermazione della camera sarebbe stata valida se il legame tra i ricorrenti e il minore fosse stato un legame famigliare realmente biologico (sebbene soltanto dal lato paterno) e formalizzato da un atto di nascita legale e soprattutto, se il tempo vissuto insieme avesse permesso il realizzarsi di una vera vita famigliare e lĠesercizio effettivo della potestˆ genitoriale. ora, il Governo osserva che nessuno dei ricorrenti ha un legame biologico con il minore. Ne conclude che la vita famigliare, nel caso di specie, non  mai iniziata. 118. LĠatto di nascita controverso sarebbe anche contrario allĠordine pubblico per il fatto che indica che i ricorrenti sono i genitori ÇbiologiciÈ del minore il che, secondo il Governo,  falso. Inoltre, il Governo si oppone allĠargomento dei ricorrenti secondo il quale il certificato di nascita rilasciato dalle autoritˆ russe sarebbe conforme alla legge russa. Esso spiega che questĠultima richiede espressamente lĠesistenza di un legame biologico tra il minore e almeno uno degli aspiranti genitori. Del resto, la corte dĠappello di Campobasso avrebbe giˆ tenuto conto di questo punto nel momento in cui ha deciso di non autorizzare la registrazione del certificato di nascita (sentenza del 3 aprile 2013). RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 119. Peraltro, il Governo afferma che, nel 2011, i ricorrenti non soddisfacevano pi i criteri di etˆ necessari per adottare il minore in questione, e aggiunge che la vita famigliare de facto non pu˜ basarsi su una situazione illegale come quella creata dai ricorrenti, che avrebbero potuto avere un figlio mediante lĠadozione, avendo ottenuto lĠautorizzazione nel 2006. A suo parere, i ricorrenti potevano scegliere di non agire contro la legge. 120. Il Governo rammenta peraltro che, secondo la giurisprudenza della Corte, lĠarticolo 8 non sancisce nŽ il diritto di formare una famiglia nŽ il diritto di adottare. 121. Il Governo rimprovera ai ricorrenti di essersi assunti la responsabilitˆ di condurre in Italia un minore che era loro completamente estraneo, e questo in violazione della legislazione applicabile. A suo parere, la scelta degli interessati era deliberata e il fatto che essi abbiano concluso un contratto per comprare un neonato ha viziato la loro situazione fin dallĠinizio. Il Governo non vede alcuna misura che possa regolarizzare questa situazione. 122. Inoltre, lo Stato gode a suo parere di un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda la maternitˆ surrogata e le tecniche di procreazione assistita. Il trasporto del liquido seminale del ricorrente sarebbe contrario alla legge sulla procreazione assistita e al decreto legislativo n. 191/2007, che recepisce la direttiva europea 2004/23/CE sulla definizione di norme di qualitˆ e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani. Inoltre, considerato il fatto che il minore non ha alcun legame biologico con i ricorrenti, il Governo dubita della validitˆ del consenso della madre surrogata e della regolaritˆ del protocollo seguito in Russia. 123. Il Governo dedica una parte delle sue osservazioni alla questione del mancato riconoscimento del certificato di nascita straniero e osserva che, secondo il codice civile italiano, lĠunica madre biologica possibile  la madre che ha partorito il figlio, cosa che non si  verificata nella presente causa. 124. Per quanto riguarda le misure volte ad allontanare definitivamente il minore, il Governo afferma che queste si fondavano su una base giuridica e conviene con la camera che le stesse rispondevano a uno scopo legittimo. 125. Quanto alla loro necessitˆ, il Governo sottolinea che il diritto italiano riconosce la filiazione soltanto in presenza di un legame biologico o in caso di adozione che rispetti le garanzie previste dalla legge in materia di adozione. A suo parere, non  operando questa scelta - legislativa, politica ed etica - che lo Stato italiano ha deciso di proteggere lĠinteresse dei minori, e di rispondere alle esigenze dellĠarticolo 3 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo. Tale scelta non lascerebbe ai giudici alcun margine di discrezionalitˆ. 126. Il Governo ritiene che i provvedimenti adottati dai tribunali interni si basino su una valutazione attenta della situazione, e rammenta che le giurisdizioni per i minorenni - che prendono le loro decisioni collegialmente -si compongono di due giudici togati e due giudici onorari aventi una formazione specifica in psichiatria, biologia, antropologia criminale, pedagogia o psicologia. Nel caso di specie, il tribunale di Campobasso avrebbe tenuto conto degli aspetti psicosociali del minore nella valutazione dellĠinteresse di questĠultimo e avrebbe dubitato delle capacitˆ dei ricorrenti di amare e educare il minore. 127. Il Governo assicura che le misure controverse sono state adottate affinchŽ il minore possa beneficiare di una vita privata e famigliare in unĠaltra famiglia, in grado di proteggere la sua salute e di assicurare il suo sviluppo sano e sicuro e una identitˆ certa. Le autoritˆ italiane avrebbero ricercato lĠequilibrio tra i diversi interessi, e lĠinteresse superiore del minore sarebbe stato la considerazione principale. Per il Governo, esse hanno rispettato la legislazione nazionale, conformemente al margine di apprezzamento che  stato accordato loro in materia, e hanno reagito CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE di fronte al comportamento dei ricorrenti che avevano violato la legge sulla procreazione assistita. 128. Il Governo fa osservare che la Corte di cassazione  giunta alla stessa conclusione per quanto riguarda delle misure simili che le autoritˆ avevano adottato in un caso analogo a quello del caso di specie, in cui il minore era nato in Ucraina (paragrafo 70 supra), e chiede alla Corte di rispettare il principio di sussidiarietˆ e il margine di apprezzamento lasciato agli Stati e di non sostituire la sua valutazione a quella delle autoritˆ nazionali. 129. Tenuto conto di questi elementi, il Governo ritiene che il ricorso non ponga alcun problema dal punto di vista dellĠarticolo 8 della Convenzione. 130. Infine, il Governo dedica lĠultimo capitolo delle sue osservazioni alla gestazione per conto terzi e alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, che vieta tale pratica, sottolineando che i ricorrenti hanno fatto ricorso a una pratica commerciale eticamente condannabile, a proposito della quale non vi  un consenso europeo. Il Governo critica la sentenza della camera in quanto non contiene un capitolo dedicato al diritto comparato europeo in materia di gestazione per conto terzi. In assenza di regole comuni e visto che alcuni Stati ammettono la pratica della maternitˆ surrogata, il Governo denuncia la crescita del Çturismo procreativoÈ e osserva che i problemi giuridici in questo ambito sono spinosi, a causa della mancanza di armonizzazione tra i sistemi giuridici degli Stati. Esso ritiene che, di fronte a questa mancata armonizzazione e allĠassenza di regolamentazione internazionale, la Corte debba riconoscere agli Stati un ampio margine di apprezzamento. C. Valutazione della Corte 1. Considerazioni preliminari 131. La Corte osserva anzitutto che il minore T.C.  nato da un embrione ottenuto da una donazione di ovociti e da una donazione di sperma effettuata da donatori sconosciuti, ed  stato messo al mondo in Russia, da una donna russa che ha rinunciato ai suoi diritti su di lui. Pertanto non esiste alcun legame biologico tra i ricorrenti e il minore. I ricorrenti hanno pagato circa 50.000 EUR per ricevere il minore. Le autoritˆ russe hanno rilasciato un certificato di nascita che attestava che loro erano i genitori ai sensi dellĠordinamento russo. I ricorrenti hanno quindi deciso di portare il minore in Italia e di vivere in questo paese con lui. Le origini genetiche del minore rimangono sconosciute. Il caso di specie, pertanto, riguarda ricorrenti che, agendo al di fuori di ogni regolare procedura di adozione, hanno portato in Italia dal- lĠestero un minore che non aveva alcun legame biologico con nessuno dei due genitori e che  stato concepito - secondo quanto asserito dai giudici nazionali - attraverso tecniche di procreazione assistita illegali ai sensi dellĠordinamento italiano. 132. La Corte osserva che nelle cause Mennesson c. Francia (n. 65192/11, CEDU 2014 (estratti)) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), due coppie di aspiranti genitori avevano fatto ricorso alla gestazione per conto terzi negli Stati Uniti e si erano stabilite con i loro figli in Francia. In quelle cause era stata dimostrata lĠesistenza di un legame biologico tra il padre e i figli e le autoritˆ francesi non avevano mai contemplato lĠipotesi di separare i figli dai genitori. La questione al centro di quelle cause era il rifiuto di registrare i dati di un certificato di nascita redatto allĠestero in indiscussa conformitˆ con la legislazione del paese di origine e il diritto dei figli di ottenere il riconoscimento della loro filiazione. Sia i genitori che i figli erano tutti ricorrenti dinanzi alla Corte. 133. Contrariamente alle cause Mennesson e Labassee sopra citate, la presente causa non riguarda la registrazione di un certificato di nascita rilasciato allĠestero e il riconoscimento della filiazione rispetto a un minore nato da un accordo di gestazione per conto terzi (paragrafo 84 supra).Al centro del caso di specie vi sono le misure adottate dalle autoritˆ italiane che hanno determinato la sepa RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 razione definitiva del minore dai ricorrenti. Infatti, i giudici nazionali hanno affermato che non si trattava di una surrogazione di maternitˆ ÇtradizionaleÈ, visto che non era stato usato il materiale biologico dei ricorrenti. é stato posto lĠaccento sul mancato rispetto delle procedure previste dalla legislazione sulle adozioni internazionali e sulla violazione del divieto di usare gameti di donatori ai sensi dellĠarticolo 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (si veda il passaggio pertinente del provvedimento del tribunale per i minorenni, paragrafo 37 supra). 134. Pertanto, la questione giuridica al centro della causa  se, date le circostanze sopra esposte, sia applicabile lĠarticolo 8; e, in caso affermativo, se le misure urgenti ordinate dal tribunale per i minorenni -che hanno determinato lĠallontanamento del minore -costituiscano una ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della vita famigliare e/o della vita privata, ai sensi dellĠarticolo 8 ¤ 1 della Convenzione e, in questo caso, se le misure impugnate siano state adottate conformemente allĠarticolo 8 ¤ 2 della Convenzione. 135. Infine, la Corte rammenta che il minore T.C. non  un ricorrente nel procedimento dinanzi ad essa, visto che la camera ha rigettato le doglianze sollevate dai ricorrenti per suo conto (paragrafo 86 supra). La Corte  chiamata a esaminare unicamente le doglianze sollevate dai ricorrenti in loro nome (si vedano, a contrario, Mennesson, sopra citata, ¤¤ 96-102, e Labassee, sopra citata, ¤¤ 75-81)). 2. applicabilitˆ dellĠarticolo 8 della Convenzione 136. La Corte rammenta che la camera  giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore (paragrafo 69 della sentenza della camera). Ha inoltre ritenuto che la situazione lamentata riguardasse anche la vita privata del ricorrente, in quanto la posta in gioco per lui era la determinazione di un legame biologico con il minore (paragrafo 70 della sentenza della camera). Di conseguenza lĠarticolo 8 della Convenzione era applicabile alla presente causa. 137. Il Governo contesta lĠesistenza di una vita famigliare nel caso di specie, basandosi essenzialmente sullĠassenza di un legame biologico tra i ricorrenti e il minore e sullĠillegalitˆ della condotta dei ricorrenti ai sensi dellĠordinamento italiano. Esso sostiene che, visto il comportamento contrario alla legge adottato dai ricorrenti, tra loro e il minore non pu˜ esistere alcun legame tutelato dallĠarticolo 8 della Convenzione. Afferma inoltre che i ricorrenti hanno vissuto con il minore per soli otto mesi. 138. I ricorrenti chiedono alla Corte di riconoscere lĠesistenza di una vita famigliare nonostante lĠassenza di un legame biologico con il minore e del riconoscimento della filiazione nellĠordinamento italiano. Sostanzialmente, affermano che nel diritto russo  riconosciuto un legame giuridico di filiazione e che essi hanno instaurato dei legami affettivi stretti con il minore durante i suoi primi otto mesi di vita. 139. La Corte deve quindi pronunciarsi sulla questione della possibilitˆ che i fatti di causa riguardino la vita famigliare e/o privata dei ricorrenti. a) Vita famigliare i. Principi pertinenti 140. La questione dellĠesistenza o dellĠassenza di una vita famigliare  essenzialmente una questione di fatto, che dipende dallĠesistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, ¤ 31, serieAn. 31; e K. e T. c. Finlandia sopra citata, ¤ 150). Il concetto di ÇfamigliaÈ di cui allĠarticolo 8 riguarda le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami ÇfamigliariÈ de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio o in cui altri fattori dimostrano che la relazione  sufficientemente stabile (Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, ¤ 30, serie A n. 297-C; Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, ¤ 55, serie A n. 112; Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994, ¤ 44, serie A n. 290; e X, Y e z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, ¤ 36, Recueil 1997 II). 141. Le disposizioni dellĠarticolo 8 non garantiscono nŽ il diritto di costituire una famiglia CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE nŽ il diritto di adottare (E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, ¤ 41, 22 gennaio 2008). Il diritto al rispetto di una Çvita famigliareÈ non tutela il semplice desiderio di costituire una famiglia; esso presuppone lĠesistenza di una famiglia (Marckx, sopra citata, ¤ 31), o almeno di una relazione potenziale, che si sia potuta costituire, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-vI), o di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se non era ancora pienamente stabilita una vita famigliare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, ¤ 62, serie A n. 94), o ancora della relazione tra un padre e il figlio legittimo, anche quando si sia dimostrato, anni dopo, che non era basata su un legame biologico (Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, ¤ 58, CEDU 2015 (estratti)) o dalla relazione nata da unĠadozione legale e non fittizia (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, ¤ 148, CEDU 2004-v (estratti)). ii. applicazione al caso di specie 142. Pur se  indubbio che non vi sia un legame biologico tra i ricorrenti e il minore, le parti hanno proposto argomenti diversi in merito alla legittimitˆ del vincolo genitoriale, riconosciuto dallĠordinamento russo, che legava i ricorrenti al minore (paragrafi 107 e 118 supra). 143. é vero che, come il Governo indica nelle sue osservazioni (paragrafo 118 supra), la questione della conformitˆ del certificato di nascita allĠordinamento russo  stata effettivamente esaminata dalla corte dĠappello di Campobasso, che ha confermato il rifiuto di registrare il certificato in questione, ritenendo che violasse la legislazione russa (paragrafo 47 supra). I ricorrenti non hanno contestato questa tesi dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafo 84 supra). 144. Tuttavia, la formulazione delle disposizioni della legislazione russa applicabili il 27 febbraio 2011, data di nascita del minore, e il 10 marzo 2011, data in cui i ricorrenti sono stati registrati come genitori a Mosca, sembra confermare lĠargomento proposto dai ricorrenti dinanzi alla Corte, secondo il quale allĠepoca dei fatti lĠesistenza di un legame biologico tra il minore e gli aspiranti genitori non era esplicitamente richiesto dalla legislazione russa (paragrafi 7374 e 107 supra). Inoltre, il certificato in questione riportava semplicemente che i ricorrenti erano i ÇgenitoriÈ, senza specificare se fossero i genitori biologici (paragrafo 16 supra). 145. La Corte osserva che la questione della conformitˆ del certificato di nascita alla legislazione russa non  stata esaminata dal tribunale per i minorenni nellĠambito delle misure urgenti adottate nei confronti del minore. 146. Dinanzi ai giudici italiani, la potestˆ genitoriale esercitata dai ricorrenti sul minore  stata riconosciuta implicitamente, nella misura in cui ne era stata richiesta la sospensione (paragrafo 23 supra). Tuttavia, la potestˆ genitoriale in questione era dubbia per i seguenti motivi. 147. La situazione dei ricorrenti era in conflitto con lĠordinamento nazionale. Secondo il Tribunale per i minorenni di Campobasso (paragrafo 37 supra), e indipendentemente dagli aspetti di diritto penale, vi era una situazione di illegalitˆ, che consisteva in primo luogo nel fatto di aver portato in Italia un minore straniero che non aveva legami biologici con nessuno dei genitori, in violazione delle norme in materia di adozioni internazionali e, in secondo luogo, nellĠavere sottoscritto un accordo che prevedeva la consegna del liquido seminale del ricorrente al fine della fecondazione degli ovociti di unĠaltra donna in violazione del divieto, operato dalla legislazione italiana, della procreazione assistita eterologa. 148. La Corte deve accertare se, nelle circostanze di causa, la relazione tra i ricorrenti e il minore rientri nella sfera della vita famigliare ai sensi dellĠarticolo 8. La Corte accetta, in determinate situazioni, lĠesistenza di una vita famigliare de facto tra un adulto o degli adulti e un minore in assenza di legami biologici o di un legame riconosciuto giuridicamente, a condizione che vi siano legami personali effettivi. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 149. Nonostante lĠassenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte ha ritenuto che esistesse un vita famigliare tra i genitori affidatari che si erano presi cura di un minore temporaneamente e il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del minore e del tempo trascorso insieme (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, ¤ 48, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, ¤ 37, 17 gennaio 2012). Nella causa Moretti e Benedetti, la Corte ha attribuito importanza al fatto che il minore era arrivato nella famiglia allĠetˆ di un mese e che, per diciannove mesi, i ricorrenti avevano condiviso con lui le prime importanti tappe della sua giovane vita. Ha anche rilevato che le perizie condotte sulla famiglia per ordine del tribunale avevano evidenziato che il minore era ben integrato nella famiglia e profondamente attaccato ai ricorrenti e ai loro figli. Inoltre, i ricorrenti si erano anche occupati dello sviluppo sociale del minore. Tali elementi sono stati sufficienti perchŽ la Corte ritenesse che esistevano tra i ricorrenti e il minore legami interpersonali stretti e che i ricorrenti si erano comportati sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori, e che pertanto esistevano tra loro Çlegami famigliariÈ de facto (Moretti e Benedetti, sopra citata, ¤¤ 49-50). La causa Kopf e Liberda riguardava una famiglia affidataria che si era presa cura, per un periodo di circa quarantasei mesi, di un minore che era arrivato nella loro casa allĠetˆ di due anni. Anche in questo caso, la Corte  giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare, visto che i ricorrenti avevano sinceramente a cuore il benessere del minore e che un legame affettivo si era stabilito tra le persone interessate (Kopf e Liberda, sopra citata, ¤ 37). 150. Inoltre, nella causa Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo (n. 76240/01, ¤ 117, 28 giugno 2007) -che riguardava lĠimpossibilitˆ di ottenere il riconoscimento giuridico in Lussemburgo di una decisione giudiziaria peruviana con cui era stata pronunciata lĠadozione piena della seconda ricorrente a vantaggio della prima ricorrente - la Corte ha riconosciuto lĠesistenza di una vita famigliare nonostante il mancato riconoscimento giuridico dellĠadozione, sulla base del fatto che dei legami famigliari de facto esistevano da pi di dieci anni tra le ricorrenti e che la sig.ra Wagner si comportava a tutti gli effetti come la madre della minore. 151. é pertanto necessario, nel caso di specie, esaminare la qualitˆ dei legami, il ruolo rivestito dai ricorrenti nei confronti del minore e la durata della convivenza tra loro. La Corte ritiene che i ricorrenti abbiano concepito un progetto genitoriale e si siano assunti il loro ruolo di genitori nei confronti del minore (si veda, a contrario, Giusto, Bornacin e v. c. Italia (dec.), n. 38972/06, 15 maggio 2007). Hanno intessuto stretti legami affettivi con lui nelle prime tappe della sua vita, come efficacemente riferito, del resto, nelle perizie redatte dallĠequipe di assistenti sociali su incarico del tribunale per i minorenni (paragrafo 25 supra). 152. Per quanto riguarda la durata della convivenza tra i ricorrenti e il minore nel caso di specie, la Corte osserva che questi ultimi hanno vissuto insieme per sei mesi in Italia, preceduti da un periodo di circa due mesi di convivenza della ricorrente con il minore in Russia. 153. Sarebbe certamente poco opportuno definire una durata minima della convivenza necessaria per costituire una vita famigliare de facto, visto che la valutazione di ogni situazione deve tenere conto della ÇqualitˆÈ del legame e delle circostanze di ciascun caso. Tuttavia, la durata della relazione con il minore  un fattore chiave affinchŽ la Corte riconosca lĠesistenza di una vita famigliare. Nella causa Wagner e J.M.W.L. sopra citata, la convivenza era durata per oltre dieci anni. Analogamente, nella causa Nazarenko (sopra citata, ¤ 58), nella quale un uomo sposato aveva assunto il ruolo genitoriale prima di scoprire di non essere il padre biologico del minore, il periodo trascorso insieme era durato oltre cinque anni. 154. é vero che, nel caso di specie, la durata della convivenza con il minore  stata maggiore CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE di quella della causa D. e altri c. Belgio, ((dec.), n. 29176/13, ¤ 49, 8 luglio 2014), nella quale la Corte ha ritenuto che vi fosse vita famigliare, tutelata dallĠarticolo 8, per una convivenza durata solamente due mesi prima della separazione temporanea di una coppia belga e di un minore nato in Ucraina da una madre surrogata. In quel caso, tuttavia, vi era un legame biologico tra il minore e almeno uno dei genitori e la convivenza era ripresa successivamente. 155. Per quanto riguarda lĠargomento proposto dal ricorrente secondo il quale egli era convinto di essere il padre biologico del minore, visto che aveva consegnato il suo liquido seminale alla clinica, la Corte ritiene che tale convinzione - smentita nellĠagosto 2011 dallĠesito del test del DNA -non possa compensare la breve durata del periodo in cui ha vissuto insieme al minore (si veda, a contrario, Nazarenko, sopra citata, ¤ 58) e non sia pertanto sufficiente per determinare una vita famigliare de facto. 156. Sebbene la fine della loro relazione con il minore non sia direttamente imputabile ai ricorrenti nel caso di specie, nondimeno essa  la conseguenza dellĠincertezza giuridica che essi stessi hanno determinato rispetto ai legami in questione, adottando una condotta contraria allĠordinamento italiano e venendo a stabilirsi in Italia con il minore. Le autoritˆ italiane hanno reagito rapidamente a questa situazione chiedendo la sospensione della potestˆ genitoriale e avviando la procedura per lĠadottabilitˆ (paragrafi 22-23 supra). Il caso di specie differisce dalle cause Kopf, Moretti e Benedetti, e Wagner sopra citate, in cui lĠaffidamento del minore ai ricorrenti era, rispettivamente, riconosciuto o tollerato dalle autoritˆ. 157. In considerazione dei fattori sopra esposti, vale a dire lĠassenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e lĠincertezza dei legami dal punto di vista giuridico e malgrado lĠesistenza di un progetto genitoriale e la qualitˆ dei legami affettivi, la Corte ritiene che le condizioni per poter concludere che esiste una vita famigliare de facto non siano soddisfatte. 158. Pertanto, la Corte conclude che, nel caso di specie, non sussiste una vita famigliare. b) Vita privata i. Principi pertinenti 159. La Corte rammenta che il concetto di Çvita privataÈ ai sensi dellĠarticolo 8 della Convenzione  un concetto ampio, che non si presta a una definizione esaustiva. Comprende lĠintegritˆ fisica e psicologica di una persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, ¤ 22, serie A n. 91) e, entro certi limiti, il diritto di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, ¤ 29, serie A n. 251-B). Pu˜ a volte comprendere aspetti dellĠidentitˆ fisica e sociale di una persona (Mikuli. c. Croazia, n. 53176/99, ¤ 53, CEDU 2002-I). Il concetto di vita privata include anche il diritto alla realizzazione personale o il diritto allĠautodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, ¤ 61, CEDU 2002 III), e il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, ¤ 71, CEDU 2007-I, e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, ¤ 212, CEDU 2010). 160. Nella sentenza pronunciata nella causa Dickson c. Regno Unito ([GC], n. 44362/04, ¤ 66, CEDU 2007-v), relativa al rifiuto di concedere ai ricorrenti - un detenuto e sua moglie la possibilitˆ di praticare lĠinseminazione artificiale, la Corte  giunta alla conclusione che lĠarticolo 8 fosse applicabile in quanto il rifiuto delle pratiche di inseminazione artificiale in questione riguardava la loro vita privata e famigliare, specificando che tali concetti comprendono il diritto al rispetto della loro decisione di diventare genitori genetici. Nella causa S.H. e altri c. Austria ([GC], n. 57813/00, ¤ 82, CEDU 2011) - che riguardava delle coppie che volevano avere un figlio usando gameti di donatori - la Corte ha ritenuto che anche il diritto di una coppia di concepire un figlio utilizzando a tal fine la procreazione medicalmente assistita RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017  tutelato dallĠarticolo 8, poichŽ tale scelta  unĠespressione della vita privata e famigliare. ii. applicazione al caso di specie 161. La Corte osserva che non vi  alcun motivo valido per ritenere che il concetto di Çvita privataÈ escluda i legami affettivi che si instaurano e si sviluppano tra un adulto e un minore in situazioni diverse dalla classica situazione di parentela. Anche questo tipo di legame appartiene alla vita e alla identitˆ sociale delle persone. In alcuni casi, aventi ad oggetto una relazione tra adulti e minore tra i quali non vi sono legami nŽ biologici nŽ giuridici, i fatti possono nondimeno rientrare nella sfera della Çvita privataÈ (X. c. Svizzera, n. 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978, DŽcisions et rapports 5; si veda anche, mutatis mutandis, Niemietz, sopra citata, ¤ 29). 162. In particolare, nella causa X. c. Svizzera sopra citata, la Commissione ha esaminato la situazione di una persona a cui degli amici avevano affidato il loro figlio, compito che era stato assolto. Quando, anni dopo, le autoritˆ avevano deciso che il minore non poteva pi rimanere con la persona in questione, visto che i genitori avevano chiesto di riprenderlo con loro, la ricorrente aveva presentato un ricorso per poter continuare a tenere con sŽ il minore, invocando lĠarticolo 8 della Convenzione. La Commissione aveva ritenuto che fosse coinvolta la vita privata della ricorrente, in quanto la stessa era profondamente legata al minore. 163. Nel caso di specie, la Corte osserva che i ricorrenti avevano la sincera intenzione di diventare genitori, inizialmente tentando la fecondazione in vitro, quindi richiedendo e ottenendo lĠidoneitˆ allĠadozione, e, infine, rivolgendosi alla donazione di ovuli e ricorrendo a una madre surrogata. Una gran parte della loro vita  stata concentrata sulla realizzazione del loro progetto di diventare genitori, per amare e crescere un figlio. Di conseguenza, lĠargomento in questione  il diritto al rispetto della decisione dei ricorrenti di diventare genitori (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 82), e la realizzazione personale degli interessati attraverso il ruolo di genitori che era loro desiderio assumere nei confronti del minore. Infine, dato che il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni riguardava la questione dellĠesistenza di legami biologici tra il minore e il ricorrente, tale procedimento e lĠaccertamento dei dati genetici hanno avuto un impatto sullĠidentitˆ di questĠultimo e sul rapporto tra i due ricorrenti. 164. Alla luce delle considerazioni precedenti, la Corte conclude che i fatti di causa rientrano nella sfera della vita privata dei ricorrenti. c) Conclusione 165. In considerazione di quanto sopra, la Corte conclude che non vi  stata vita famigliare tra i ricorrenti e il minore, e ritiene invece che le misure contestate riguardino la vita privata dei ricorrenti. Ne consegue che lĠarticolo 8 della Convenzione si applica a questo titolo. 3. sul rispetto dellĠarticolo 8 della Convenzione 166. Nella fattispecie, i ricorrenti sono stati danneggiati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato allĠallontanamento del minore e alla presa in carico di questĠultimo da parte dei servizi sociali ai fini della sua adozione. La Corte ritiene che le misure adottate nei confronti del minore - allontanamento, affido famigliare senza contatto con i ricorrenti, nomina di un tutore si traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti. 167. Tale ingerenza  contraria allĠarticolo 8 a meno che non sia giustificabile dal punto di vista del paragrafo 2 di questa disposizione, cio a meno che non sia Çprevista dalla leggeÈ, non persegua uno o pi scopi legittimi tra quelli elencati in tale disposizione e non sia Çnecessaria in una societˆ democraticaÈ per raggiungere tali scopi. a) ÇPrevista dalla leggeÈ 168. I ricorrenti affermano che lĠapplicazione del diritto italiano e, in particolare, dellĠarticolo 8 della legge sullĠadozione - che definisce il minore in stato di abbandono come un minore CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE privo di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei famigliari tenuti a provvedervi - dipende da una scelta arbitraria da parte dei giudici italiani. 169. La Corte rammenta la sua giurisprudenza costante secondo la quale le parole Çprevista dalla leggeÈ impongono non solo che la misura contestata abbia una base giuridica nel diritto interno, ma riguardano anche la qualitˆ della legge in causa: perci˜, questa deve essere accessibile alle persone sottoposte alla giustizia, e i suoi effetti devono essere prevedibili (Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, ¤ 52, CEDU 2000-v e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], n. 38433/09, ¤ 140, CEDU 2012). Tuttavia, spetta alle autoritˆ nazionali, in particolare ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, ¤ 29, serie A n. 176A, Kopp c. Svizzera, 25 marzo 1998, ¤ 59, Recueil 1998-II, e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, ¤ 140; si veda anche Delfi AS c. Estonia [GC], n. 64569/09, ¤ 127, CEDU 2015). 170. Come la camera (paragrafo 72 della sentenza della camera), la Grande Camera ritiene che la scelta dei tribunali nazionali di applicare il diritto italiano per quanto riguarda la filiazione e di non basarsi sul certificato di nascita rilasciato dalle autoritˆ russe e apostillato sia compatibile con la Convenzione dellĠAja del 1961 (paragrafo 75 supra). In effetti, ai sensi dellĠarticolo 5 di tale Convenzione, lĠunico effetto dellĠapostille  quello di certificare lĠautenticitˆ della firma, la qualitˆ nella quale il firmatario dellĠatto ha agito e, se del caso, lĠidentitˆ del timbro apposto nello stesso. Dal rapporto esplicativo di detta Convenzione risulta che lĠapostille non attesta la veridicitˆ del contenuto dellĠatto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivante dalla Convenzione dellĠAja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le loro norme in materia di conflitti di leggi quando devono decidere quale peso attribuire al contenuto del documento apostillato. 171. Nella fattispecie, il tribunale per i minorenni ha applicato la norma italiana in materia di conflitti di leggi, che prevede che la filiazione  determinata dalla legge nazionale del minore al momento della nascita (legge sul diritto internazionale privato, paragrafo 57 supra). Tuttavia, poichŽ il minore  nato da gameti di donatori sconosciuti, secondo i giudici italiani la sua nazionalitˆ non era accertata. 172. LĠarticolo 37bis della legge sullĠadozione prevede che ai minori stranieri che sono in Italia si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza (paragrafi 63 e 65 supra). La situazione del minore T.C., la cui nazionalitˆ non  conosciuta e che  nato allĠestero da genitori biologici sconosciuti,  stata assimilata a quella di un minore straniero. 173. In queste circostanze, la Corte ritiene che fosse prevedibile che lĠapplicazione del diritto italiano da parte dei giudici nazionali portasse alla constatazione che il minore si trovava in stato di abbandono. 174. Ne consegue che lĠingerenza nella vita privata dei ricorrenti era Çprevista dalla leggeÈ. b) scopo legittimo 175. Il Governo si dichiara dĠaccordo con la sentenza della camera che ha accettato che le misure in questione miravano alla Çdifesa dellĠordineÈ e alla protezione dei Çdiritti e delle libertˆ È del minore. 176. Da parte loro, i ricorrenti contestano che tali misure servissero a proteggere i Çdiritti e le libertˆÈ del minore. 177. Nella misura in cui la condotta dei ricorrenti contravveniva alla legge sullĠadozione e al divieto nel diritto italiano delle tecniche di procreazione assistita eterologa, la Grande Camera ammette il punto di vista della camera secondo il quale le misure adottate nei confronti del minore tendevano alla Çdifesa dellĠordineÈ. Peraltro, essa ammette che tali misure miravano RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 anche alla protezione dei Çdiritti e delle libertˆÈ altrui. In effetti, la Corte giudica legittima, rispetto allĠarticolo 8 ¤ 2, la volontˆ delle autoritˆ italiane di riaffermare la competenza esclusiva dello Stato per riconoscere un legame di filiazione - e ci˜ unicamente in caso di legame biologico o di adozione regolare - allo scopo di tutelare i minori. 178. Pertanto le misure controverse rispondevano a scopi legittimi. c) necessitˆ in una societˆ democratica i. Principi pertinenti 179. La Corte rammenta che, per valutare la ÇnecessitˆÈ delle misure controverse Çin una societˆ democraticaÈ, deve esaminare, alla luce della causa nel suo complesso, se i motivi addotti per giustificarle sono pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dellĠarticolo 8 (si vedano, tra molte altre, Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, ¤ 168, CEDU 2015, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 91, e K. e T. c. Finlandia, sopra citata, ¤ 154). 180. In una causa derivante da un ricorso individuale, la Corte non ha il compito di controllare in astratto una legislazione o una pratica contestata, ma deve per quanto possibile limitarsi, senza perdere di vista il contesto generale, a trattare le questioni sollevate dal caso concreto di cui  investita (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 92, e olsson c. Svezia (n. 1), 24 marzo 1988, ¤ 54, serie A n. 130). Essa non deve, pertanto, sostituire la propria valutazione a quella delle autoritˆ nazionali competenti quando si tratta di determinare il mezzo migliore per regolare la questione -complessa e delicata -del rapporto tra aspiranti genitori e un minore nato allĠestero nellĠambito di un accordo commerciale di gestazione per conto terzi e attraverso un metodo di procreazione medicalmente assistita che siano entrambi vietati nello Stato convenuto. 181. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la nozione di necessitˆ implica che lĠingerenza corrisponda a un bisogno sociale imperioso e, in particolare, che sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito tenuto conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concomitanti in gioco (A, B e C c. Irlanda, sopra citata, ¤ 229). Per determinare se una ingerenza sia Çnecessaria in una societˆ democraticaÈ, si deve tenere conto del fatto che un margine di apprezzamento viene lasciato alle autoritˆ nazionali, la cui decisione rimane soggetta al controllo della Corte, competente per verificarne la conformitˆ alle esigenze della Convenzione (X, Y e z c. Regno Unito, sopra citata, ¤ 41). 182. La Corte rammenta che, per pronunciarsi sullĠampiezza del margine di apprezzamento che deve essere riconosciuto allo Stato in una causa che solleva questioni rispetto allĠarticolo 8, si deve tenere conto di un certo numero di fattori (si vedano, tra molti esempi, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 94, e HŠmŠlŠinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, ¤ 67, CEDU 2014). Quando  in gioco un aspetto particolarmente importante dellĠesistenza o dellĠidentitˆ di un individuo, il margine lasciato allo Stato  normalmente ristretto (Evans, sopra citata, ¤ 77). Invece, quando non vi  un consenso tra gli Stati membri del Consiglio dĠEuropa, che sia sullĠimportanza relativa dellĠinteresse in gioco o sui mezzi pi appropriati per proteggerlo, in particolare quando la causa solleva questioni morali o etiche delicate, il margine di apprezzamento  pi ampio (Evans, sopra citata, ¤ 77, e A, B e C c. Irlanda, sopra citata, ¤ 232). Il margine di apprezzamento,  generalmente ampio anche quando lo Stato deve garantire un equilibrio tra interessi privati e pubblici concomitanti o diritti diversi tutelati dalla Convenzione (Evans, sopra citata, ¤ 77 e Dickson, sopra citata, ¤ 78). 183. Se le autoritˆ godono di ampia libertˆ in materia di adozione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, ¤ 128) o per valutare la necessitˆ di prendere in carico un minore (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, ¤ 67, CEDU 2002 I), in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque avere acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistevano circostanze tali da giu CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE stificare il fatto di allontanare il minore (zhou c. Italia, n. 33773/11, ¤ 55, 21 gennaio 2014). 184. Quanto al riconoscimento da parte della Corte del fatto che agli Stati in linea di principio deve essere riconosciuto un ampio margine di apprezzamento nei casi che sollevano delicate questioni di ordine etico per le quali non esiste un consenso su scala europea, la Corte rinvia allĠapproccio moderato adottato sulla questione della fecondazione assistita eterologa nella causa S.H. e altri (sopra citata, ¤¤ 95-118), e alla sua analisi riguardante la maternitˆ surrogata e il riconoscimento giuridico del legame di filiazione tra gli aspiranti genitori e i minori legittimamente concepiti allĠestero nella sentenza Mennesson (sopra citata, ¤¤ 78-79). ii. applicazione al caso di specie 185. I ricorrenti affermano che lĠallontanamento del minore non era nŽ necessario nŽ fondato su motivi pertinenti e sufficienti, e che i giudici nazionali hanno deciso basandosi unicamente sulla difesa dellĠordine pubblico, senza procedere alla valutazione degli interessi in gioco. A questo proposito, osservano che i rapporti redatti dai servizi sociali e dalla psicologa consulente nominata da questi ultimi - che erano estremamente positivi per quanto riguarda la loro capacitˆ di amare il minore e di prendersene cura - non sono stati in alcun modo presi in considerazione dai tribunali. 186. Il Governo afferma che i provvedimenti dei tribunali erano necessari per ripristinare la legalitˆ e hanno tenuto conto dellĠinteresse del minore. 187. La Corte deve pertanto valutare le misure volte allĠallontanamento immediato e definitivo del minore e il loro impatto sulla vita privata dei ricorrenti. 188. A questo proposito, la Corte osserva che i giudici nazionali hanno fondato i provvedimenti adottati sullĠassenza di legame genetico tra i ricorrenti e il minore e sulla violazione della legislazione nazionale relativa allĠadozione internazionale e alla procreazione medicalmente assistita. I provvedimenti adottati dalle autoritˆ miravano alla interruzione immediata e definitiva di ogni contatto tra i ricorrenti e il minore, nonchŽ allĠaffidamento famigliare di questĠultimo e alla nomina di un tutore. 189. Nel provvedimento del 20 ottobre 2011, il tribunale per i minorenni di Campobasso ha tenuto conto degli elementi seguenti (paragrafo 37 supra). La ricorrente aveva dichiarato di non essere la madre genetica; gli ovuli provenivano da una donatrice sconosciuta; il test del DNA effettuato sul ricorrente e sul minore aveva dimostrato che non esisteva alcun legame genetico tra loro; i ricorrenti avevano versato una somma di denaro importante; contrariamente a quanto affermava, nulla dimostrava che il materiale genetico del ricorrente fosse stato realmente trasportato in Russia. Ci˜ premesso, non si trattava di un caso di maternitˆ surrogata tradizionale, in quanto il minore non aveva alcun legame genetico con i ricorrenti. LĠunica certezza riguardava lĠidentitˆ della madre surrogata, che non era la madre genetica e aveva rinunciato ai suoi diritti sul minore dopo averlo messo al mondo. I genitori genetici rimanevano sconosciuti. I ricorrenti si trovavano in situazione illegale in quanto, in primo luogo, avevano condotto un minore in Italia senza rispettare la legge sullĠadozione. ora, ai sensi di questĠultima, prima di condurre un minore straniero in Italia, i candidati allĠadozione internazionale devono in effetti rivolgersi a un organismo autorizzato per cercare un minore, poi chiedere lĠintervento della commissione per le adozioni internazionali, unico organo competente per autorizzare lĠingresso e la residenza permanente di un minore straniero in Italia. LĠarticolo 72 di questa legge sanziona i comportamenti che contravvengono a queste norme, ma la valutazione dellĠaspetto penale della situazione non era di competenza del tribunale per i minorenni. In secondo luogo, lĠaccordo concluso dai ricorrenti con la societˆ Rosjurconsulting era contrario alla legge sulla procreazione medicalmente assistita che, nel suo articolo 4, RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 vietava la fecondazione assistita eterologa. Si doveva mettere fine a questa situazione illegale e lĠunico modo di farlo era allontanare il minore dai ricorrenti. 190. Pur riconoscendo che il minore avrebbe subito un pregiudizio a causa della separazione, il tribunale per i minorenni ha ritenuto che, visto il breve periodo trascorso con i ricorrenti e la sua tenera etˆ, tale trauma non sarebbe stato irreparabile, e questo contrariamente al parere della psicologa nominata dai ricorrenti. Il tribunale ha dichiarato che la ricerca di unĠaltra coppia che potesse prendere in carico il minore e attutire le conseguenze del trauma avrebbe dovuto essere avviata immediatamente. Ha aggiunto che, considerato che i ricorrenti avevano preferito aggirare la legge sullĠadozione malgrado avessero ottenuto lĠautorizzazione, si poteva pensare che il minore fosse il risultato di un desiderio narcisistico della coppia o che fosse destinato a risolvere i problemi di questĠultima. Di conseguenza, il tribunale ha espresso dei dubbi sulla reale capacitˆ affettiva ed educativa dei ricorrenti. 191. Peraltro, la corte dĠappello di Campobasso ha confermato il provvedimento del tribunale per i minorenni, ritenendo anchĠessa che il minore fosse in Çstato di abbandonoÈ ai sensi della legge sullĠadozione. Essa ha sottolineato lĠurgenza di adottare dei provvedimenti nei suoi confronti, senza attendere lĠesito della procedura relativa alla registrazione del certificato di nascita (paragrafo 40 supra). .. margine di apprezzamento 192. La Corte deve esaminare se questi motivi siano pertinenti e sufficienti e se i giudici nazionali abbiano trovato un giusto equilibrio tra gli interessi privati e pubblici coesistenti. A tale scopo, essa deve prima determinare lĠampiezza del margine di apprezzamento da accordare allo Stato in materia. 193. Secondo i ricorrenti, il margine di apprezzamento  ristretto, dato che lĠoggetto della presente causa  il provvedimento di allontanamento definitivo del minore e che lĠinteresse superiore di questĠultimo deve prevalere (paragrafo 110 supra). Per il Governo, le autoritˆ dispongono di un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda la surrogazione di maternitˆ e le tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 122 supra). 194. La Corte osserva che i fatti di causa riguardano argomenti eticamente sensibili - adozione, presa in carico di un minore da parte dello Stato, procreazione medicalmente assistita e gestazione per conto terzi - per i quali gli Stati membri godono di un ampio margine di apprezzamento (paragrafo 182 supra). 195. Contrariamente alla situazione della causa Mennesson (sopra citata ¤¤ 80 e 96 97), la questione dellĠidentitˆ del minore e del riconoscimento della sua filiazione genetica non si pone nel caso di specie poichŽ, da una parte, un eventuale rifiuto da parte dello Stato di dare una identitˆ al minore non pu˜ essere contestato dai ricorrenti, che non lo rappresentano dinanzi alla Corte e, dallĠaltra, non esiste alcun legame biologico tra il minore e i ricorrenti. Inoltre, la presente causa non riguarda la scelta di divenire genitori genetici, ambito nel quale il margine di apprezzamento degli Stati  ristretto (Dickson, sopra citata, ¤ 78). Tuttavia, le scelte operate dallo Stato, anche nei casi in cui, come nella fattispecie, esso gode di un ampio margine di apprezzamento, non sfuggono al controllo della Corte. Spetta a questĠultima esaminare attentamente gli argomenti di cui si  tenuto conto per giungere alla soluzione adottata e cercare di stabilire se sia stato trovato un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui direttamente interessati da questa soluzione (si veda, mutatis mutandis, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 97). .. motivi pertinenti e sufficienti 196. Per quanto riguarda i motivi addotti dalle autoritˆ interne, la Corte osserva che queste ultime si sono fondate in particolare su due serie di argomenti: in primo luogo, hanno avuto CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE riguardo alla illegalitˆ della condotta dei ricorrenti e, in secondo luogo, allĠurgenza di adottare provvedimenti riguardanti il minore, che esse consideravano Çin stato di abbandonoÈ ai sensi dellĠarticolo 8 della legge sullĠadozione. 197. La Corte non dubita della pertinenza dei motivi invocati dai giudici interni. Tali motivi sono direttamente legati allo scopo legittimo della difesa dellĠordine e anche della protezione del minore - non solo di quello di cui trattasi nel caso di specie ma dei minori in generale considerata la prerogativa dello Stato di stabilire la filiazione mediante lĠadozione e mediante il divieto di alcune tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 177 supra). 198. Quanto al punto di stabilire se i motivi addotti dai giudici nazionali fossero anche sufficienti, la Grande Camera rammenta che, contrariamente alla camera, essa ritiene che i fatti di causa non rientrino nella nozione di vita famigliare, ma unicamente in quella di vita privata. Perci˜,  opportuno esaminare la causa non dal punto di vista del mantenimento di una unitˆ famigliare, ma piuttosto sotto il profilo del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata, dal momento che ci˜ che  in gioco nel caso di specie  il loro diritto allo sviluppo personale attraverso la loro relazione con il minore. 199. Nelle circostanze particolari della causa, la Corte ritiene che i motivi addotti dai giudici nazionali, che erano centrati sulla situazione del minore e sullĠillegalitˆ della condotta dei ricorrenti, fossero sufficienti. .. Proporzionalitˆ 200. Resta da esaminare se le misure controverse fossero proporzionate allo scopo legittimo perseguito, in particolare se i giudici nazionali, agendo nellĠambito dellĠampio margine di apprezzamento che era loro accordato nel caso di specie, abbiano assicurato un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati concomitanti in gioco. 201. I giudici nazionali hanno attribuito una grande importanza allĠinosservanza da parte dei ricorrenti della legge sullĠadozione e alla circostanza secondo la quale essi hanno fatto ricorso allĠestero a metodi di procreazione medicalmente assistita vietati in Italia. NellĠambito del procedimento interno, i tribunali, che si sono concentrati sulla necessitˆ di adottare misure urgenti, non si sono dilungati sugli interessi generali in gioco nŽ hanno affrontato espressamente le questioni eticamente sensibili sottese alle disposizioni giuridiche cui i ricorrenti hanno contravvenuto. 202. Nel procedimento dinanzi alla Corte, il governo convenuto ha spiegato che, nel diritto italiano, la filiazione pu˜ essere accertata sia mediante lĠesistenza di un legame biologico sia mediante unĠadozione che rispetti le norme stabilite dalla legge. A suo parere, il legislatore italiano, con questa scelta, cercava di proteggere lĠinteresse superiore del minore, come richiede lĠarticolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. La Corte ammette che, vietando lĠadozione privata fondata su una relazione contrattuale tra gli individui e limitando il diritto dei genitori adottivi di far entrare dei minori stranieri in Italia nei casi in cui le norme in materia di adozione internazionale siano rispettate, il legislatore nazionale si sforza di proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere definite traffico di esseri umani. 203. Peraltro, il Governo si  fondato sullĠargomento secondo il quale le soluzioni adottate dovevano essere esaminate nel contesto del divieto nel diritto italiano degli accordi di gestazione per conto terzi. Non vi sono dubbi che il ricorso a tali accordi solleva questioni etiche delicate sulle quali non esiste alcun consenso tra gli Stati contraenti (Mennesson, sopra citata, ¤ 79). vietando la gestazione per conto terzi, lo Stato italiano ritiene di perseguire lĠinteresse generale della protezione delle donne e dei minori potenzialmente interessati da pratiche che esso percepisce come estremamente problematiche da un punto di vista etico. Come sottolinea il Governo, questa politica diventa tanto pi importante quando, come nel caso di specie, sono RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 in gioco contratti commerciali di gestazione per conto terzi. Questo interesse generale entra in gioco anche nel caso di misure adottate dallo Stato per dissuadere i propri cittadini dal fare ricorso allĠestero a pratiche vietate nel proprio territorio. 204. In definitiva, i giudici nazionali avevano come principale preoccupazione quella di porre fine a una situazione illegale. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte ammette che le leggi che sono state violate dai ricorrenti e i provvedimenti adottati in risposta alla loro condotta perseguivano lo scopo di proteggere degli interessi generali importanti. 205. Per quanto riguarda gli interessi privati in gioco, vi sono quelli del minore da una parte e quelli dei ricorrenti dallĠaltra. 206. Per quanto riguarda gli interessi del minore, la Corte rammenta che il tribunale per i minorenni di Campobasso ha tenuto conto dellĠassenza di legame biologico tra i ricorrenti e il minore, e ha dichiarato che era necessario trovare quanto prima una coppia che potesse prendersi cura di lui. Tenuto conto della tenera etˆ del minore e del breve periodo che aveva trascorso con i ricorrenti, il tribunale non ha aderito alla perizia di una psicologa presentata dai ricorrenti, secondo la quale la separazione avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. Rinviando alla letteratura in materia, il tribunale ha ritenuto che il semplice fatto di essere separato dalle persone che si prendevano cura di lui non avrebbe comportato una condizione psicopatologica nel minore in assenza di altri fattori di causalitˆ. Ha concluso che il trauma causato dalla separazione non sarebbe stato irreparabile. 207. Quanto allĠinteresse dei ricorrenti a proseguire la loro relazione con il minore, il tribunale per i minorenni ha osservato che nessun elemento del fascicolo confermava le dichiarazioni degli interessati secondo le quali essi avevano consegnato alla clinica russa il materiale genetico del ricorrente. Il tribunale ha aggiunto che, dopo aver ottenuto il consenso allĠadozione internazionale, avevano aggirato la legge sullĠadozione riportando il minore in Italia senza lĠapprovazione dellĠorgano competente, ossia la commissione per le adozioni internazionali. Alla luce di questa condotta, il tribunale per i minorenni ha dichiarato di temere che il minore fosse uno strumento per realizzare un desiderio narcisistico della coppia o esorcizzare un problema individuale o di coppia. Inoltre, ha ritenuto che la condotta dei ricorrenti gettasse ÇunĠombra importante sullĠesistenza di reali capacitˆ affettive ed educative e di un istinto di solidarietˆ umana, che devono essere presenti in coloro che desiderano integrare i figli di altre persone nella loro vita come se fossero propri figliÈ (paragrafo 37 supra). 208. Prima di esaminare la questione di stabilire se le autoritˆ italiane abbiano debitamente valutato i diversi interessi in gioco, la Corte rammenta che il minore non  ricorrente nella presente causa e, per di pi, non era un membro della famiglia dei ricorrenti nel senso del- lĠarticolo 8 della Convenzione. Ci˜ premesso, non risulta che lĠinteresse superiore del minore e il modo in cui tale interesse  stato valutato dai giudici nazionali non rivestano alcuna importanza. A questo proposito, la Corte osserva che lĠarticolo 3 della Convenzione sui diritti del minore esige che Çin tutte le decisioni che riguardano i minori, (...) lĠinteresse superiore del minore deve essere una considerazione fondamentaleÈ, senza tuttavia precisare la nozione di Çinteresse superiore del minoreÈ. 209. Il caso di specie si distingue dalle cause che riguardano la scissione di una famiglia mediante la separazione di un minore dai suoi genitori nelle quali, in linea di principio, la separazione  una misura che pu˜ essere ordinata soltanto se lĠintegritˆ fisica o psichica del minore sia in pericolo (si vedano, tra altre, Scozzari e Giunta, sopra citata, ¤¤ 148-151, Kutzner, sopra citata, ¤¤ 69 82). Nel caso di specie, invece, la Corte ritiene che i giudici interni non fossero tenuti a dare la prioritˆ al mantenimento della relazione tra i ricorrenti e il minore, e si trovassero piuttosto di CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE fronte a una scelta delicata: permettere ai ricorrenti di continuare la loro relazione con il minore, e in tal modo legalizzare la situazione che questi avevano imposto come un fatto compiuto, o adottare misure volte a dare al minore una famiglia conformemente alla legge sullĠadozione. 210. La Corte ha giˆ rilevato lĠimportanza degli interessi generali in gioco. Inoltre, essa ritiene che il ragionamento dei giudici italiani riguardante lĠinteresse del minore non rivestisse un carattere automatico o stereotipato (si veda, mutatis mutandis, X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, ¤ 107, CEDU 2013). I tribunali, nellĠambito della loro valutazione della situazione specifica del minore, hanno ritenuto auspicabile darlo in affidamento ad una coppia idonea ai fini dellĠadozione ma hanno anche valutato lĠimpatto che avrebbe avuto su di lui la separazione dai ricorrenti, concludendo sostanzialmente che la separazione non avrebbe causato al minore un pregiudizio grave o irreparabile. 211. Al contrario, i giudici italiani non hanno attribuito molta importanza allĠinteresse dei ricorrenti a continuare a sviluppare delle relazioni con un minore di cui desideravano essere i genitori. Non hanno espressamente esaminato lĠimpatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore avrebbe avuto sulla loro vita privata. Tuttavia, la causa deve essere esaminata dal punto di vista della illegalitˆ della condotta dei ricorrenti e del fatto che la loro relazione con il minore era precaria dal momento stesso in cui hanno deciso di risiedere con lui in Italia. Il legame  divenuto ancora pi tenue quando, una volta conosciuto lĠesito del test del DNA,  risultato che non vi era alcun legame biologico tra il secondo ricorrente e il minore. 212. I ricorrenti affermano che la procedura  stata viziata da varie lacune. Per quanto riguarda lĠidea che non sarebbe stato consultato alcun perito, la Corte osserva che il tribunale per i minorenni ha preso in esame il rapporto redatto da una psicologa prodotto dai ricorrenti, senza tuttavia aderire alla conclusione di cui al rapporto in questione, secondo la quale la separazione dai ricorrenti avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. A questo proposito, la Corte attribuisce una certa importanza allĠosservazione del Governo secondo la quale il tribunale per i minorenni  composto da due magistrati togati e da due specialisti (paragrafo 69 supra). 213. Per quanto riguarda lĠargomentazione dei ricorrenti secondo la quale i tribunali non hanno esaminato soluzioni alternative alla separazione immediata e irreversibile dal minore, la Corte osserva che, dinanzi al tribunale per i minorenni gli interessati hanno chiesto anzitutto che il minore fosse affidato a loro in via provvisoria, in attesa di una successiva adozione. Secondo la Corte, si deve tenere in mente che la procedura rivestiva un carattere di urgenza. Qualsiasi misura di natura tale da prolungare il soggiorno del minore presso i ricorrenti, come il suo affidamento provvisorio presso di loro, avrebbe comportato il rischio che il semplice trascorrere del tempo non portasse a una risoluzione della causa. 214. Peraltro, oltre allĠillegalitˆ della condotta dei ricorrenti, il Governo sottolinea che essi hanno superato il limite di etˆ per lĠadozione previsto allĠarticolo 6 della legge sullĠadozione, ossia una differenza di etˆ di massimo 45 anni per uno dei genitori adottivi e di 55 anni per il secondo. La Corte rileva che la legge autorizza i tribunali a fare delle eccezioni a questi limiti di etˆ. Nelle circostanze della presente causa, non si pu˜ rimproverare ai tribunali nazionali di avere omesso di esaminare questa opzione. .. Conclusione 215. La Corte non sottovaluta lĠimpatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore deve aver avuto sulla vita privata dei ricorrenti. Se la Convenzione non sancisce alcun diritto di diventare genitore, la Corte non pu˜ comunque ignorare il dolore morale che sentono coloro il cui desiderio di genitorialitˆ non  stato o non pu˜ essere soddisfatto. Tuttavia, lĠinteresse generale in gioco ha un grande peso sul piatto della bilancia mentre, in confronto, si deve accordare una importanza minore allĠinteresse dei ricorrenti ad assicurare il proprio svi RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 luppo personale proseguendo la loro relazione con il minore. Accettare di lasciare il minore con i ricorrenti, forse nella prospettiva che questi diventassero i suoi genitori adottivi, sarebbe equivalso a legalizzare la situazione da essi creata in violazione di norme importanti del diritto italiano. La Corte ammette dunque che i giudici italiani, avendo concluso che il minore non avrebbe subito un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, hanno garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, rimanendo nei limiti dellĠampio margine di apprezzamento di cui disponevano nel caso di specie. 216. Pertanto, non vi  stata violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. PEr QUEsti motiVi, la CortE, Rigetta, allĠunanimitˆ, le eccezioni preliminari del Governo; Dichiara, con undici voti contro sei, che non vi  stata violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. (...) oPinionE ConCordantE dEl GiUdiCE raimondi 1. Condivido pienamente le conclusioni cui perviene la Grande Camera in questa importante sentenza, conclusioni, peraltro, di cui sostenevo lĠopportunitˆ nella mia opinione dissenziente, presentata congiuntamente al giudice Spano e allegata alla sentenza della camera, vale a dire che nel caso di specie non si pu˜ ravvisare una violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. 2. Se sento il bisogno di esprimermi tramite unĠopinione separata,  solo perchŽ tengo a notare che la scelta della Grande Camera di esaminare questa causa dal punto di vista della protezione della vita privata dei ricorrenti e non dal punto di vista della loro vita familiare , a mio avviso, particolarmente appropriata. 3. Il giudice Spano ed io stesso avevamo osservato nella nostra opinione dissenziente comune che Çpossiamo accettare, ma con una certa esitazione e con riserva delle seguenti osservazioni, le conclusioni della maggioranza secondo le quali nel caso di specie  applicabile lĠarticolo 8 della Convenzione (É) e vi  stata ingerenza nei diritti dei ricorrenti. (...) In effetti, la vita famigliare (o vita privata) de facto dei ricorrenti con il minore si basava su un legame debole, in particolare se si tiene conto del periodo molto breve durante il quale ne avrebbero avuto la custodia. Riteniamo che la Corte, in situazioni come quella che ha dovuto esaminare nella presente causa, debba tenere conto delle circostanze nelle quali il minore  stato dato in custodia alle persone interessate nel momento in cui deve stabilire se si sia o meno realizzata una vita famigliare de facto. Sottolineiamo che lĠarticolo 8 ¤ 1 non pu˜, secondo noi, essere interpretato nel senso di sancire una Çvita famigliareÈ tra un minore e delle persone prive di qualsiasi legame biologico con lo stesso quando i fatti, ragionevolmente chiariti, suggeriscono che alla base della custodia vi  un atto illegale con cui si  contravvenuto allĠordine pubblico. In ogni caso, riteniamo che, nellĠanalisi della proporzionalitˆ che si impone nel contesto del- lĠarticolo 8, si debba tenere conto delle considerazioni legate ad una eventuale illegalitˆ sulle quali  fondato lĠaccertamento di una vita famigliare de facto.È 4. Sottoscrivo quindi lĠanalisi della Grande Camera (paragrafi 142-158) che nel caso di specie esclude qualsiasi riconoscimento di una Çvita familiareÈ, in particolare sulla base della mancanza di qualsiasi legame biologico tra il minore e gli aspiranti genitori, della breve durata del rapporto con il bambino e della precarietˆ dei legami dal punto di vista giuridico, e sottoscrivo la sua conclusione secondo la quale, nonostante lĠesistenza di un progetto ge CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE nitoriale e la qualitˆ dei legami affettivi, non sono soddisfatte le condizioni che consentono di concludere che vi  stata una vita famigliare de facto. 5. Sono pienamente convinto, per contro, dal ragionamento della Grande Camera, che giunge a configurare le misure controverse come unĠingerenza nella Çvita privataÈ dei ricorrenti (si vedano, in particolare, i paragrafi 161-165 della sentenza), nonostante i dubbi che avevo espresso anche da questo punto di vista. oPinionE ConCordantE ComUnE ai GiUdiCi dE GaEtano, Pinto dE alBUQUErQUE, WoJtYCzEK E dEdoV 1. Pur condividendo pienamente la conclusione cui perveniamo nel caso di specie, esprimiamo serie riserve per quanto riguarda la motivazione della sentenza, la quale, a nostro avviso, mette in evidenza tutte le carenze e le incoerenze nellĠapproccio adottato finora dalla Corte nei casi in cui si applica lĠarticolo 8. 2. LĠattuazione dellĠarticolo 8 richiede una definizione scrupolosa del suo campo di applicazione. Secondo la sentenza, lĠesistenza o lĠassenza di una vita familiare  in primo luogo una questione di fatto, che dipende dallĠesistenza di legami personali stretti e stabili (si veda, in particolare, il paragrafo 140 della sentenza). A nostro avviso, la formula proposta  troppo vaga e al tempo stesso troppo ampia. Questo approccio sembra fondato sulla premessa implicita che i legami interpersonali esistenti dovrebbero beneficiare di una protezione, almeno prima facie, contro le ingerenze dello Stato. Al riguardo rileviamo che possono esistere dei rapporti interpersonali stretti e stabili anche al di fuori della sfera della vita familiare. Il ragionamento esposto nella sentenza non spiega la natura dei legami interpersonali che costituiscono la vita familiare. Allo stesso tempo, sembra attribuire grande importanza ai legami affettivi (paragrafi 149, 150, 151 e 157 della sentenza). Tuttavia, i legami affettivi non possono da soli creare una vita familiare. 3. Le diverse disposizioni della Convenzione devono essere interpretate alla luce dellĠinsieme del suo testo e di altri trattati internazionali pertinenti. Ne consegue che lĠarticolo 8 deve essere letto alla luce dellĠarticolo 12, che garantisce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Questi due articoli devono anche essere collocati nel contesto dellĠarticolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dellĠuomo e dellĠarticolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. QuestĠultima disposizione, ampiamente ispirata dal- lĠarticolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dellĠuomo,  cos“ formulata: 1. La famiglia  il nucleo naturale e fondamentale della societˆ e ha diritto ad essere protetta dalla societˆ e dallo Stato. 2. Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia  riconosciuto allĠuomo e alla donna in etˆ per contrarre matrimonio. 3. Nessun matrimonio pu˜ essere concluso senza il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 4. Gli Stati parte al presente Patto adotteranno le misure adeguate per garantire la paritˆ di diritti e responsabilitˆ dei coniugi riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e allĠatto del suo scioglimento. In caso di scioglimento, saranno adottate disposizioni per garantire ai minori la protezione necessaria. occorre prendere nota dellĠapproccio del Comitato dei diritti dellĠuomo adottato nellĠosservazione generale n. 19: articolo 23 (Protezione della famiglia), ¤ 2). La famiglia  giustamente intesa in questo testo come un elemento che beneficia di un riconoscimento giuridico o sociale nello Stato interessato. La nozione stessa di ÇelementoÈ che figura nella Dichiarazione universale dei diritti del RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 lĠuomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (articolo 10) presuppone la soggettivitˆ della famiglia nel suo insieme (vale a dire il riconoscimento di tutta la famiglia come titolare di diritti) nonchŽ la stabilitˆ dei legami interpersonali nellĠambito della famiglia. LĠaccento posto nella Dichiarazione universale dei diritti dellĠuomo e nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sul carattere naturale e fondamentale della famiglia colloca questĠultima tra le pi importanti istituzioni e valori che necessitano di una protezione in una societˆ democratica. Inoltre, la formulazione e la struttura dellĠarticolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e la formulazione dellĠarticolo 12 della Convenzione stabiliscono un chiaro collegamento tra la nozione di famiglia e quella di matrimonio. Alla luce di tutte le disposizioni di cui sopra, la famiglia deve essere intesa come un elemento naturale e fondamentale della societˆ istituito essenzialmente dal matrimonio tra un uomo e una donna. La vita familiare comprende, in primo luogo, i legami tra i coniugi e quelli tra genitori e figli. Tramite il matrimonio, i coniugi non solo assumono determinati obblighi giuridici ma scelgono anche di tutelare giuridicamente la loro vita familiare. La Convenzione offre una solida protezione della famiglia fondata sul matrimonio. Come giˆ menzionato, la nozione di famiglia di cui agli articoli 8 e 12 della Convenzione si basa principalmente sulle relazioni interpersonali formalizzate in diritto nonchŽ sui legami di parentela biologica. Tale approccio non esclude di estendere la protezione dellĠarticolo 8 alle relazioni interpersonali con parenti meno prossimi, come le relazioni tra nonni e nipoti. Anche alcuni legami familiari de facto possono richiedere una protezione (si vedano, ad esempio, Mu–oz D’az c. Spagna, n. 49151/07, CEDU 2009; e Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, CEDU 2015 (estratti)). La portata e gli strumenti di protezione in tali situazioni rientrano nellĠambito del potere discrezionale dello Stato, sotto il controllo della Corte. Nei casi riguardanti dei legami interpersonali de facto non formalizzati, in diritto interno,  necessario prendere in considerazione vari elementi al fine di determinare se sussista una vita familiare. In primo luogo, poichŽ la nozione di famiglia presuppone lĠesistenza di legami stabili, occorre esaminare la natura e la stabilitˆ dei legami interpersonali. In secondo luogo,  impossibile, a nostro avviso, accertare che esiste una vita familiare senza considerare il modo in cui i legami interpersonali sono stati stabiliti. Tale elemento deve essere valutato da un punto di vista giuridico e morale. Nemo auditur propriam turpitudinem allegans. La legge non pu˜ offrire una protezione alle situazioni di fatto compiuto sorte da una violazione di norme giuridiche o di principi morali fondamentali. Nel caso di specie, i legami tra i ricorrenti e il minore sono stati stabiliti in violazione del diritto italiano. Sono stati inoltre stabiliti in violazione del diritto internazionale sullĠadozione. I ricorrenti hanno concluso un contratto avente ad oggetto il concepimento di un bambino e la gestazione tramite maternitˆ surrogata. Il minore  stato separato dalla madre surrogata con la quale aveva iniziato a sviluppare un legame unico (si veda infra). Inoltre, gli eventuali effetti sul minore dellĠinevitabile separazione dalle persone che avevano avuto cura di lui durante un certo periodo devono essere imputati ai ricorrenti stessi. Non  accettabile brandire le conseguenze pregiudizievoli delle proprie azioni illegali come scudo contro lĠingerenza dello Stato. ex iniuria ius non oritur. 4. La sentenza sottolinea come argomento a favore dei ricorrenti il fatto che questi ultimi abbiano messo a punto un Çprogetto genitorialeÈ (paragrafi 151 e 157 della sentenza). Questo argomento richiede tre osservazioni. In primo luogo, la genitorialitˆ che non si basa su dei legami biologici si fonda necessariamente su un progetto ed  il risultato di lunghi sforzi. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE LĠesistenza di un Çprogetto genitorialeÈ non differenzia questa causa da altri casi di genitorialitˆ non fondata su legami biologici. In secondo luogo, come sopra indicato il legame de facto tra i ricorrenti e il minore  stato stabilito illegalmente. LĠapproccio adottato dalla maggioranza non  convincente poichŽ essa considera lĠesistenza di un progetto genitoriale come un argomento a favore della protezione, indipendentemente dalla natura illegale, riconosciuta nel ragionamento, del progetto concreto. Il fatto che i ricorrenti abbiano agito con premeditazione al fine di aggirare la legislazione nazionale pu˜ solo volgere a loro sfavore. Nelle circostanze del caso di specie, lĠesistenza di un Çprogetto genitorialeÈ  in realtˆ una circostanza aggravante. In terzo luogo, la genitorialitˆ richiede una tutela a prescindere dal fatto che rientri o meno in un progetto pi generale. Non vi  alcun motivo per ritenere che lĠarticolo 8 offra una protezione pi forte agli atti premeditati. 5. Una protezione effettiva in materia di diritti umani richiede che si definiscano chiaramente il contenuto e la portata dei diritti tutelati, nonchŽ la nozione di ingerenza contro la quale uno specifico diritto offre uno scudo. Rileviamo, al riguardo, che secondo la maggioranza, Çi fatti di causa rientrano nella sfera della vita privata dei ricorrentiÈ (paragrafo 164 della sentenza). Inoltre, Ǐ in questione (...) il diritto al rispetto della decisione dei ricorrenti di diventare genitori (S.H. e altri c. Austria, sopra citata, ¤ 82), nonchŽ la realizzazione personale degli interessati attraverso il ruolo di genitori che era loro desiderio assumere nei confronti del minoreÈ (paragrafo 163 della sentenza). Il ragionamento contiene anche le seguenti considerazioni: ÇNella fattispecie, i ricorrenti sono stati danneggiati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato allĠallontanamento del minore e alla presa in carico di questĠultimo da parte dei servizi sociali ai fini della sua adozione. La Corte ritiene che le misure adottate nei confronti del minore -allontanamento, affido famigliare senza contatto con i ricorrenti, nomina di un tutore - si traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrentiÈ (paragrafo 166 della sentenza). é difficile condividere lĠapproccio della maggioranza espresso nei passaggi citati sopra. In primo luogo, la nozione di Çfatti di causaÈ  necessariamente molto pi ampia dellĠingerenza stessa anche se questĠultima deve essere collocata in un contesto pi generale. Questi ÇfattiÈ, possono rientrare nellĠambito di numerosi diritti riconosciuti dalla Convenzione. La Corte deve valutare la compatibilitˆ con la Convenzione non dei fatti di causa ma dellĠingerenza controversa, vista in un contesto pi generale. Ci˜ che importa non  se i Çfatti di causaÈ rientrino nella sfera della vita privata dei ricorrenti, ma solo se lĠingerenza controversa ricada nellĠambito del diritto dei ricorrenti alla protezione della loro vita privata. In secondo luogo, non si pu˜ sostenere che la questione riguardi il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro decisione di diventare genitori. Non  in gioco la decisione in sŽ, ma il modo in cui i ricorrenti hanno cercato di raggiungere il loro obiettivo. Lo Stato non ha commesso alcuna ingerenza nella decisione dei ricorrenti di diventare genitori ma soltanto nellĠattuazione, contraria alla legge, di questa decisione. In terzo luogo, non vi  alcun dubbio che i ricorrenti siano stati interessati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato allĠallontanamento del minore e alla sua presa in carico da parte dei servizi sociali in vista della sua adozione. Ci˜ non giustifica affatto la conclusione secondo cui le misure prese nei confronti del minore hanno necessariamente comportato unĠingerenza nella vita privata dei ricorrenti. LĠarticolo 8 non riguarda la protezione della persona da qualsiasi atto che la colpisca, ma da tipi specifici di atti che si configurano come unĠingerenza ai sensi di questa disposizione. Per stabilire che vi  stata ingerenza nellĠeser RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 cizio di un diritto,  necessario in primo luogo stabilire il contenuto del diritto e i tipi di ingerenza da cui esso protegge. In conclusione, il ragionamento adottato dalla maggioranza non dice chiaramente che cosa comprenda la vita privata, quale sia la portata della protezione del diritto riconosciuto dal- lĠarticolo 8, e cosa costituisca unĠingerenza ai sensi di questa disposizione. Deploriamo che queste nozioni non siano state chiarite nel ragionamento della sentenza. 6. La Corte ammette giustamente (al paragrafo 202 della sentenza) che, Çvietando lĠadozione privata fondata su una relazione contrattuale tra gli individui e limitando il diritto dei genitori adottivi di far entrare dei minori stranieri in Italia nei casi in cui le norme in materia di adozione internazionale siano rispettate, il legislatore nazionale si sforza di proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere definite traffico di esseri umaniÈ. Nel caso di specie il minore  stato effettivamente vittima di un traffico di esseri umani. é stato commissionato e acquistato dai ricorrenti. A tale proposito va osservato che i Çfatti di causaÈ rientrano nelle previsioni di vari strumenti internazionali. In primo luogo,  necessario menzionare la Convenzione dellĠAja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. In base a questo trattato, lĠadozione prevista da questo strumento avrˆ luogo solo se le autorizzazioni non sono state ottenute mediante pagamento o corrispettivo di alcun tipo e se non sono state revocate. In secondo luogo, lĠarticolo 35 della Convenzione sui diritti del fanciullo  pertinente nel caso di specie. Tale disposizione recita: ÇGli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma.È Questa disposizione  stata completata dal Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini. Ci rammarichiamo che questo protocollo sia stato omesso nella parte del ragionamento che elenca gli strumenti internazionali pertinenti. Esso contiene le seguenti disposizioni: ÇArticolo primo Gli Stati parti vietano la vendita di bambini, la prostituzione di bambini e la pornografia con bambini, in conformitˆ alle norme del presente Protocollo. Articolo 2 Ai fini del presente Protocollo: a) per vendita di bambini si intende qualsiasi atto o transazione in cui un bambino  presentato da qualsiasi persona o gruppo di persone a unĠaltra persona o un altro gruppo dietro compenso o altro vantaggio; (...)È Notiamo la definizione molto ampia della vendita di bambini, che si estende a tutte le transazioni indipendentemente dal loro scopo, e pertanto si applica ai contratti conclusi al fine di acquisire dei diritti genitoriali. I trattati internazionali sopra menzionati mostrano una dichiarata tendenza internazionale verso la limitazione della libertˆ contrattuale attuale vietando qualsiasi tipo di contratto avente ad oggetto il trasferimento di minori o il trasferimento di diritti genitoriali su minori. In terzo luogo, le disposizioni pertinenti di soft law trattano anche della questione della maternitˆ surrogata. In virt dei principi adottati dal comitato ad hoc di esperti sui progressi delle scienze biomediche costituito in seno al Consiglio dĠEuropa (documento richiamato al paragrafo 79 della sentenza): CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE ÇNessun medico o istituto deve utilizzare le tecniche di procreazione artificiale per il concepimento di un figlio che sarˆ portato in gestazione da una madre surrogata.È é inoltre importante rilevare a questo proposito che la Dichiarazione sui diritti del fanciullo stabilisce pi in generale che: ÇIl fanciullo, per lo sviluppo armonico della sua personalitˆ, ha bisogno di amore e di comprensione. Egli, nei limiti del possibile, deve crescere sotto la custodia e la responsabilitˆ dei genitori e, in ogni caso, in una atmosfera di affetto e di sicurezza morale e materiale; nella prima infanzia, salvo casi eccezionali, non deve essere separato dalla madre. (Principio 6, in principio).È 7. La presente causa verte sulla questione della surrogazione di maternitˆ. Ai fini di questa opinione, intendiamo per surrogazione di maternitˆ una situazione in cui una donna (la madre surrogata) porta in gestazione un feto che  stato impiantato nel suo utero nonostante le sia geneticamente estraneo, essendo stato concepito a partire da un ovulo fornito da unĠaltra donna (la madre biologica). La madre surrogata porta in gestazione il bambino impegnandosi a darlo a terze persone che hanno commissionato la gravidanza, le quali possono essere i donatori di gameti (i genitori biologici) ma non necessariamente. vorremmo qui presentare brevemente il nostro punto di vista su questa questione, sollevando solo alcuni punti tra i molti aspetti di questo complesso problema. Secondo il Comitato per i diritti del fanciullo, la maternitˆ surrogata retribuita, in assenza di regolamentazione, rientra nella vendita di bambini (si vedano le osservazioni finali concernenti il secondo rapporto periodico degli Stati Uniti dĠAmerica, presentato in applicazione dellĠarticolo 12 del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, CRC/C/oPSC/USA/Co/2, ¤ 29; osservazioni finali concernenti il terzo e quarto rapporto periodico dellĠIndia, CRC/C/IND/Co/3-4, ¤ ¤ 57-58). A nostro avviso, la maternitˆ surrogata a fini commerciali, che sia o meno regolamentata, costituisce una situazione contemplata dallĠarticolo 1 del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo, ed  pertanto illegale ai sensi del diritto internazionale. Noi vorremmo sottolineare a tale riguardo che attualmente quasi tutti gli Stati europei vietano la maternitˆ surrogata a fini commerciali (si vedano i documenti di diritto comparato citati al paragrafo 81 della sentenza). Pi in generale, riteniamo che la maternitˆ surrogata, anche se non retribuita, non sia compatibile con la dignitˆ umana. Essa costituisce un trattamento degradante non solo per il bambino, ma anche per la madre surrogata. La medicina moderna offre sempre pi elementi che dimostrano lĠimpatto determinante del periodo prenatale della vita umana per il successivo sviluppo dellĠessere umano. La gravidanza con le sue preoccupazioni, i suoi limiti e le sue gioie, nonchŽ la prova e lo stress della nascita, crea un legame unico tra la madre biologica e il figlio. La maternitˆ surrogata  a priori orientata verso una rottura radicale di questo legame. La madre surrogata deve rinunciare a sviluppare una relazione di amore e di assistenza per tutta la vita. Il nascituro non solo  forzatamente posto in un ambiente biologico estraneo, ma  anche privato di quello che avrebbe dovuto essere lĠamore senza limiti della madre nella fase prenatale. La maternitˆ surrogata impedisce anche lo sviluppo di questo legame particolarmente forte tra il bambino e il padre che accompagna la madre e il bambino durante la gravidanza. Sia il minore che la madre surrogata non sono trattati come finalitˆ in sŽ, ma come mezzi per soddisfare i desideri di altre persone. Tale pratica non  compatibile con i valori sottesi alla Convenzione. La maternitˆ surrogata  partico RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 larmente inaccettabile se la madre surrogata  remunerata. Deploriamo che la Corte non abbia adottato una posizione chiara contro tali pratiche. oPinionE ConCordantE dEl GiUdiCE dEdoV Per la prima volta, sebbene si pronunci a favore dello Stato convenuto, la Corte insiste pi sui valori che sul margine di apprezzamento formale. Essa presume che il divieto di unĠadozione privata sia volto a proteggere i minori da pratiche illecite, alcune delle quali possono essere assimilate a un traffico di esseri umani. In effetti, il traffico di esseri umani  strettamente collegato agli accordi di maternitˆ surrogata. I fatti del caso di specie dimostrano chiaramente quanto sarebbe facile che un traffico di esseri umani venga formalmente rappresentato (e coperto) da accordi di questo tipo. Tuttavia, il fenomeno della maternitˆ surrogata  di per sŽ molto pericoloso per il benessere della societˆ. Mi riferisco non solo alla maternitˆ surrogata a fini commerciali, ma a tutte le forme di surrogazione di maternitˆ. In una societˆ che si sviluppa armoniosamente, tutti i suoi membri apportano il proprio contributo mediante i propri talenti, la propria energia e la propria intelligenza. ovviamente, essi hanno anche bisogno di beni, capitali e risorse, ma questi ultimi sono necessari soltanto come strumenti materiali che permettono di applicare i primi. Pertanto, anche se lĠunica risorsa valida di cui dispone un individuo  un corpo bello o sano, lĠargomento non  sufficiente per poter giustificare che egli tragga un reddito dalla prostituzione, dalla pornografia o dalla surrogazione di maternitˆ. La Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione europea sancisce il divieto di fare del corpo umano in quanto tale una fonte di profitti; questa disposizione mira a proteggere il diritto di ogni persona alla propria integritˆ fisica e mentale (articolo 3). Tuttavia, tale dichiarazione inequivocabile  stata oggetto di discussioni tra gli esperti, che non hanno potuto trovare dei motivi comuni per sostenerla e giungere a conclusioni definitive, a causa della complessitˆ dellĠargomento e della diversitˆ degli approcci da parte degli Stati in merito a tali questioni. Si potrebbero esporre molti argomenti a favore della surrogazione di maternitˆ, fondati, ad esempio, sulle nozioni di economia di mercato, di diversitˆ e di solidarietˆ. Non tutte le persone sono in grado di utilizzare il proprio cervello poichŽ ci˜ richiede sforzi intellettuali considerevoli e un apprendimento permanente, ed  questo un compito molto difficile. é molto pi facile guadagnare denaro utilizzando il proprio corpo, avuto riguardo soprattutto al fatto che vi  una forte richiesta di corpi ai fini della surrogazione di maternitˆ, richiesta relativamente stabile da secoli. Ci˜ potrebbe contribuire a risolvere i problemi di disoccupazione e a ridurre le tensioni sociali. La partecipazione del corpo umano allĠeconomia in quanto risorsa economica di valore non significa un arresto del progresso. Coloro che preferiscono utilizzare la propria materia grigia continueranno a sviluppare nuove tecnologie e nuove scienze. In un contesto in cui la popolazione mondiale aumenta in maniera esponenziale, lo sfruttamento del corpo potrebbe essere considerato ragionevole dal punto di vista economico. Tuttavia, ci troviamo qui di fronte a un dilemma millenario: o gli esseri umani sopravvivono attraverso un processo di adattamento naturale, che richiede un compromesso con la dignitˆ e lĠintegritˆ umane, o cercano di conseguire una nuova qualitˆ della vita sociale, in grado di superare la necessitˆ di un tale compromesso. La nozione di diritti e libertˆ fondamentali richiede lĠattuazione della seconda opzione. La nostra sopravvivenza e il nostro sviluppo lo esigono. Qualsiasi compromesso con i diritti umani e i valori fondamentali comporta la fine di ogni civiltˆ. Naturalmente ci˜  avvenuto pi volte, sia nellĠantichitˆ che nella storia moderna. Di fatto, vi sono due ragioni che giustificano che i beneficiari sostengano la surrogazione di ma CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE ternitˆ: sottrarsi ai problemi fisici causati dalla gravidanza o avere un figlio in una situazione di infertilitˆ. Entrambe le richieste sarebbero soddisfatte, a meno che non sia attuata una strategia sociale. Tale strategia sociale (basata sulla protezione della dignitˆ) pu˜ cambiare il modo di rispondere alla domanda: lĠadozione (la via pi semplice per risolvere problemi sociali), lo sviluppo dellĠembrione fuori dallĠutero (che non  possibile, ma potrebbe diventarlo in futuro con lĠaiuto delle nuove biotecnologie), lo sviluppo delle biotecnologie esistenti di riproduzione assistita che consentirebbero a ogni donna di rimanere incinta, la promozione dellĠidea che una vita pu˜ essere piena anche senza figli, la promozione di una cultura di educazione e la creazione di nuovi lavori. Spetta alla societˆ decidere come intende avanzare: verso il progresso sociale e lo sviluppo o verso la stagnazione e il degrado. Ma, soprattutto, la societˆ deve stabilire il valore dei diritti fondamentali, in funzione dei quali questo approccio alla vita privata non pu˜ essere rispettato a scapito della stagnazione e del degrado della societˆ. La surrogazione di maternitˆ non costituirebbe un problema se fosse utilizzata in rare occasioni, ma sappiamo anche che  diventata unĠimportante attivitˆ commerciale e lucrativa per il Çterzo mondoÈ. Per quanto riguarda la solidarietˆ, non credo nella maternitˆ surrogata come forma di assistenza volontaria e liberamente fornita a coloro che non possono avere figli; non posso credere che questa sia una dichiarazione onesta e leale. La solidarietˆ mira ad aiutare coloro la cui vita  in gioco, ma non quelli che hanno solo il desiderio di avere una vita privata o familiare pienamente soddisfatta. I donatori dovrebbero essere pronti a condividere la loro energia o i loro beni (o un surplus o una parte rilevante di questi ultimi), ma preferibilmente senza mettere a repentaglio la propria salute e la propria vita (salvo in situazioni di emergenza, come un incendio o altri casi di forza maggiore). Questi fattori hanno svolto un ruolo fondamentale nella recente crisi migratoria in Europa, quando i popoli hanno inviato un chiaro messaggio ai loro governanti: siamo pronti ad accogliere i migranti sulla base della solidarietˆ, ma non siamo pronti a mettere le nostre vite in pericolo. Un donatore pu˜ condividere alcune parti del proprio corpo con dei beneficiari in un solo caso: immediatamente dopo la sua morte, a seguito di un consenso informato o di altre garanzie procedurali. La gravidanza e la nascita di un bambino sono estremamente stressanti per la madre surrogata sia in termini fisici che emotivi. Le conseguenze sono imprevedibili, e, in assenza di situazioni di emergenza, la surrogazione di maternitˆ non pu˜ essere considerata un mezzo adeguato per favorire la solidarietˆ sociale. Non intendo dilungarmi sulle questioni etiche e morali, in quanto queste ultime non dovrebbero essere utilizzate per unĠanalisi sistemica. Attualmente, esse non aiutano a risolvere il problema, data lĠenorme diversitˆ delle convinzioni etiche e morali esistenti. é meglio partire dalla realtˆ. Secondo lo studio di diritto comparato, il numero di Stati che vietano la maternitˆ surrogata  praticamente pari al numero di quelli che tollerano esplicitamente le maternitˆ surrogate effettuate allĠestero. Si potrebbe anche concludere che la surrogazione di maternitˆ esce Çvincente È da tale studio, dato che solo un terzo degli Stati membri lĠhanno espressamente vietata. Le statistiche e i fatti delle cause di surrogazione di maternitˆ esaminate dalla Corte dimostrano che le gestazioni per conto terzi sono portate avanti da persone povere o nei paesi poveri. I beneficiari sono generalmente ricchi e affascinanti e, inoltre, spesso fanno parte del parlamento nazionale o esercitano su di esso unĠinfluenza decisiva. Peraltro,  estremamente ipocrita vietare la surrogazione di maternitˆ nel proprio paese per proteggere le donne che vi abitano, ma permettere di ricorrere a questo tipo di operazioni allĠestero. Ancora una volta, questa  unĠaltra sfida contemporanea per la nozione di diritti umani: o crediamo una societˆ che  divisa tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori, o creiamo RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 una base per una solidarietˆ mondiale; o creiamo una societˆ che  divisa tra le nazioni sviluppate e le nazioni meno sviluppate, o creiamo una base per lo sviluppo solidale e lĠautorealizzazione; o creiamo una base per lĠuguaglianza o non la creiamo. La risposta  chiara. Lo Stato convenuto ha preso una posizione molto onesta e senza compromessi in merito al divieto di qualsiasi tipo di surrogazione di maternitˆ. Ci˜ risulta chiaramente dalla posizione del Governo e della Corte costituzionale italiana. Ritengo che tale posizione sia stata sviluppata sulla base di valori cristiani (Lautsi e altri c. Italia [GC], n. 30814/06, CEDU 2011 (estratti)). In Russia, la situazione  completamente diversa. La Corte costituzionale russa ha inizialmente (nel 2012) rifiutato di esaminare i problemi sollevati nei casi di maternitˆ surrogata quando la madre surrogata esprimeva il desiderio di tenere il bambino al momento della nascita. Questo problema  stato rapidamente risolto nel 2013 nel codice della famiglia, in favore della madre surrogata. Questa  stata la prima iniziativa legislativa per disciplinare gli accordi di maternitˆ surrogata. Non ho sentito levarsi alcuna voce per vietare la surrogazione di maternitˆ sulla base di valori fondamentali. Nel frattempo, questo metodo per acquistare un neonato  diventato molto popolare tra le persone ricche e famose. Quanto al legame biologico tra il minore e i genitori adottivi (cio i beneficiari della maternitˆ surrogata), il giudice Knyazev della Corte costituzionale russa, nella sua opinione separata, ha sollevato un problema, vale a dire che il diritto della madre surrogata di tenere il bambino viola i diritti costituzionali dei beneficiari della maternitˆ surrogata in quanto sono stati loro ad aver fornito il materiale genetico. A mio avviso, questo non  il problema pi grande, perchŽ tali genitori possono essere considerati come donatori. Un problema pi serio risiede nel fatto che, fin dallĠinizio, la maternitˆ surrogata viola i valori fondamentali della civiltˆ umana e nuoce a tutti i partecipanti: la madre surrogata, i genitori adottivi e il minore. Alcuni dei genitori adottivi non sono sposati o vivono da soli. Se il codice della famiglia permette di concludere accordi di maternitˆ surrogata solo alle coppie sposate, i giudici russi hanno assunto una posizione ancora pi ÇliberaleÈ e hanno autorizzato qualsiasi persona, anche una donna fertile, ad avere un figlio in questo modo. Ci˜ comporta, a mio avviso, un grave problema di traffico di esseri umani autorizzato dallo Stato. Credo che, per impedire il degrado morale ed etico della societˆ, la Corte dovrebbe sostenere delle azioni basate sui valori e non nascondersi dietro il margine di apprezzamento. Tali valori (dignitˆ, integritˆ, uguaglianza, solidarietˆ, curiositˆ, autorealizzazione, creativitˆ, conoscenza e cultura) non sono in conflitto con il rispetto della vita privata e familiare. Il rispetto della vita familiare, attraverso lĠesistenza di un legame biologico, ha costituito un criterio decisivo in precedenti cause contro la Francia, vale a dire Mennesson c. Francia (n. 65192/11, CEDU 2014 (estratti)) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), che sono state decise in favore dei ricorrenti. LĠassenza di un legame biologico  un punto centrale anche nella sentenza del caso che stiamo trattando; tuttavia, se la surrogazione di maternitˆ  in linea di principio incompatibile con la nozione di diritti fondamentali, essa dovrebbe essere controbilanciata da una sanzione individuale e da un dibattito pubblico per prevenire tali pratiche in futuro. Ritengo che nel caso di specie la Corte abbia fatto un primo passo facendo prevalere i valori sul margine di apprezzamento in una causa ÇeticaÈ (dovrei menzionare unĠaltra recente causa esaminata dalla Grande Camera, vale a dire Dubsk‡ e Krejzov‡ c. Repubblica ceca ([GC], nn. 28859/11 e 28473/12, 15 novembre 2016)). Non lo aveva fatto nella causa Lautsi e altri sopra citata o nella causa Parrillo c. Italia ([GC], n. 46470/11, CEDU 2015). ora,  realmente una nuova Corte. é molto difficile scegliere tra il diritto al rispetto della vita privata e lĠingerenza nellĠesercizio di tale diritto per tutelare la morale, in quanto le categorie morali non sono chiare. Tuttavia, CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE quando le norme morali sono legate ai valori umani, la decisione  pi avvalorata in una prospettiva a lungo termine, perchŽ il progresso sociale deve assolutamente fondarsi su dei valori. Infine, la maternitˆ surrogata rappresenta una di queste sfide che ci obbligano a chiederci chi siamo -una civiltˆ o una biomassa? -per quanto riguarda la sopravvivenza della razza umana nel suo insieme. Lo studio di diritto comparato sulla surrogazione di maternitˆ mostra che tale fenomeno  tollerato nella maggior parte degli Stati membri ed  per questo che non  stato nemmeno interpretato secondo il punto di vista sopra esposto. Presumo che la vera risposta stia da qualche parte nel mezzo: le nazioni civilizzate costituiscono la base del diritto internazionale, e la surrogazione di maternitˆ non ostacola lo sviluppo civile delle nazioni. Tuttavia, se si considera il numero delle persone coinvolte, direttamente o indirettamente, in una forma o in unĠaltra in questo modo antisociale di realizzare profitti, legalmente o meno, la portata reale del problema  impressionante. Quando la solidarietˆ sociale non  incentivata o effettivamente protetta in pratica dalle autoritˆ (che si limitano a fare dichiarazioni in documenti ufficiali), ci˜ solleva problemi di discriminazione o di disparitˆ sociali che possono portare a una destabilizzazione o a un degrado della societˆ; questa minaccia non deve essere sottovalutata. oPinionE dissEnziEntE ComUnE dEi GiUdiCi lazaroVa traJKoVsKa, BianKU, laFFran- QUE, lEmmEns E GrozEV 1. Ci rammarichiamo di non poter condividere lĠopinione della maggioranza secondo cui non vi  stata violazione dellĠarticolo 8 della Convenzione. Riteniamo difatti che vi sia stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare. Inoltre, siamo del- lĠavviso che, nelle circostanze specifiche del caso di specie, tale diritto sia stato violato. sullĠesistenza di una vita familiare 2. La maggioranza esamina il motivo di ricorso dei ricorrenti dal punto di vista del diritto al rispetto della loro vita privata dichiarando esplicitamente che non vi era alcuna vita familiare (paragrafi 140-158 della sentenza). Preferiamo lĠapproccio adottato dalla camera, che conclude che vi  stata ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare. 3. Come la maggioranza, partiamo dal principio (paragrafo 140 della sentenza) che lĠesistenza o meno di una Çvita familiareÈ  in primo luogo una questione di fatto che dipende della realtˆ pratica di legami personali stretti (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, ¤ 150, CEDU 2001 - vII, e .erife Yi.it c. Turchia [GC], n. 3976/05, ¤ 93, 2 novembre 2010). LĠarticolo 8 della Convenzione non distingue tra famiglia ÇlegittimaÈ e famiglia Çnaturale È (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, ¤ 31, serie A n. 31). La nozione di Çvita familiare È di cui allĠarticolo 8 non si limita dunque, ad esempio, unicamente alle relazioni basate sul matrimonio ma pu˜ comprendere altri Çlegami familiariÈ de facto quando le persone convivono al di fuori del matrimonio o quando una relazione  sufficientemente stabile (si vedano, fra altre, Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, ¤ 30, serie A n. 297-C, e Mikuli. c. Croazia, n. 53176/99, ¤ 51, CEDU 2002 I). Se i legami biologici tra coloro che agiscono in qualitˆ di genitori e un minore possono essere unĠindicazione molto importante quanto allĠesistenza di una vita familiare, lĠassenza di tali legami non necessariamente significa che non ve ne sia. La Corte ha cos“ riconosciuto, ad esempio, che la relazione tra un uomo e una minore che intrattenevano rapporti affettivi molto stretti e che per anni avevano creduto di essere padre e figlia, fino a quando si scopr“ che il ricorrente non era il padre biologico della minore, costituiva una vita familiare (Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, ¤ 58, CEDU 2015 (estratti)). RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 La maggioranza fa inoltre riferimento, assai giustamente, a vari altri casi che illustrano il fatto che  lĠesistenza di significativi legami personali ad essere importante, e non lĠesistenza di legami biologici o di un rapporto giuridico riconosciuto (paragrafi 148-150 della sentenza, che rinviano a Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, ¤ 117, 28 giugno 2007, Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, ¤¤ 49-52, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, ¤ 37, 17 gennaio 2012). 4. Quanto ai legami familiari de facto nel caso di specie, rileviamo, come la maggioranza, che i ricorrenti e il minore hanno vissuto insieme per sei mesi in Italia, dopo un periodo di convivenza di circa due mesi tra la prima ricorrente e il minore in Russia (paragrafo 152 della sentenza). Inoltre, e soprattutto, i ricorrenti hanno stretto forti legami affettivi con questĠultimo nelle prime fasi della sua vita, la cui qualitˆ  stata riconosciuta da una equipe di assistenti sociali (paragrafo 151 della sentenza). In breve, esisteva un vero progetto genitoriale, fondato sui dei legami affettivi di alta qualitˆ (paragrafo 157 della sentenza). La maggioranza ritiene tuttavia che la durata della convivenza tra i ricorrenti e il minore fosse troppo breve per essere sufficiente per costituire una vita familiare de facto (paragrafi 152-154 della sentenza). Con tutto il rispetto che dobbiamo ai nostri colleghi, non possiamo concordare con tale conclusione. Attribuiamo infatti importanza alla circostanza che la convivenza  iniziata il giorno stesso della nascita del bambino ed  durata fino a quando il bambino fu tolto ai ricorrenti, e al fatto che sarebbe proseguita a tempo indeterminato se le autoritˆ non fossero intervenute per porvi fine. La maggioranza respinge questo argomento in quanto lĠintervento era la conseguenza dellĠincertezza giuridica creata dai ricorrenti stessi Çadottando una condotta contraria al diritto italiano e trasferendosi in Italia con il minoreÈ (paragrafo 156 della sentenza). Temiamo che la maggioranza non faccia quindi una distinzione tra famiglia ÇlegittimaÈ e famiglia ÇnaturaleÈ, distinzione che  stata respinta dalla Corte molti anni fa (paragrafo 3 supra), e che non concede tutta lĠimportanza che merita al principio consolidato secondo il quale lĠesistenza o meno di una Çvita familiareÈ,  essenzialmente una questione di fatto (ibidem). 5. Anche se il periodo di convivenza in quanto tale  relativamente breve, riteniamo che i ricorrenti si siano comportati nei confronti del minore come dei genitori e concludiamo che, nel caso di specie, esiste di una vita familiare de facto tra i ricorrenti e il minore (si veda sentenza della camera, ¤ 69). sul punto di stabilire se lĠingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare fosse giustificata 6. vorremmo anzitutto ricordare alcuni principi generali derivanti dalla giurisprudenza della Corte. Nelle cause riguardanti lĠaffidamento preadottivo di un minore, che comporta la rottura permanente dei legami familiari, lĠinteresse superiore del fanciullo deve essere prioritario (Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, ¤ 78, Recueil des arrts et dŽcisions 1996 -III, Kearns c. Francia, n. 35991/04, ¤ 79, 10 gennaio 2008, R. e H. c. Regno Unito, n. 35348/06, ¤ ¤ 73 e 81, 31 maggio 2011, e Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, ¤ 134, 13 marzo 2012). Per individuare lĠinteresse superiore del minore in una causa particolare, occorre tenere presente due considerazioni: in primo luogo,  nellĠinteresse del minore che i legami tra lui e la sua famiglia siano mantenuti, tranne nei casi in cui questĠultima si sia mostrata particolarmente indegna; e in secondo luogo,  nellĠinteresse del minore assicurargli unĠevoluzione in un ambiente sano (Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, ¤ 136, CEDU 2010, e R. e H. c. Regno Unito, sopra citata, ¤¤ 73-74). CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Se non spetta alla Corte sostituire la propria valutazione a quella dei giudici nazionali per quanto riguarda i provvedimenti relativi ai minori, essa deve comunque assicurarsi che il processo decisionale che ha portato i giudici nazionali ad adottare la misura controversa sia stato equo e che abbia consentito agli interessati di esercitare pienamente i loro diritti, nel rispetto dellĠinteresse superiore del minore (Neulinger e Shuruk, sopra citata, ¤ 139, e X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, ¤ 102, CEDU 2013). Riteniamo che, nellĠesaminare una domanda di affidamento preadottivo di un minore, i giudici non soltanto debbano esaminare se la separazione del minore dalle persone che si comportano come sui genitori sia nel suo interesse, ma devono anche pronunciarsi al riguardo con una decisione specificamente motivata alla luce delle circostanze del caso di specie (si veda, mutatis mutandis, riguardo ad una decisione su una domanda di ritorno di un minore ai sensi della Convenzione dellĠAja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, X. c. Lettonia, sopra citata, ¤ 107). 7. Al fine di verificare se lĠingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare, cio il fatto di togliere loro il minore, sia compatibile con lĠarticolo 8 della Convenzione, occorre rilevare quale giustificazione sia stata in realtˆ data dalle autoritˆ nazionali allĠingerenza in questione. A tale riguardo, rileviamo una notevole differenza tra le ragioni addotte dal tribunale per i minorenni di Campobasso e quelle esposte dalla corte dĠappello di Campobasso. Il tribunale per i minorenni, adito dal pubblico ministero con una domanda di provvedimenti urgenti, ha fondato il suo provvedimento del 20 ottobre 2011 sulla necessitˆ di impedire il perdurare di una situazione illegale. Secondo il tribunale, lĠillegalitˆ derivava dalla violazione di due leggi. Da un lato, portando un neonato in Italia e facendolo passare per il proprio figlio, i ricorrenti avrebbero violato in modo palese le disposizioni della legge sullĠadozione (legge n. 184 del 4 maggio 1983) che disciplina lĠadozione internazionale di minori; in ogni caso, essi avrebbero deliberatamente eluso le disposizioni di questa legge che prevedevano non soltanto lĠobbligo per le persone che desideravano adottare di rivolgersi ad un ente riconosciuto (articolo 31), ma anche lĠintervento della Commissione per le adozioni internazionali (articolo 38). DallĠaltro, dal momento che lĠaccordo concluso tra la prima ricorrente e la societˆ Rosjurconsulting prevedeva la consegna del materiale genetico del secondo ricorrente per la fecondazione degli ovuli di unĠaltra donna, contravveniva, secondo il tribunale, al divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, previsto dallĠarticolo 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (legge n. 40 del 19 febbraio 2004). La reazione a questa situazione illegale ha preso la forma di una duplice decisione: allontanare il minore dai ricorrenti e collocarlo in una struttura adeguata in attesa di trovare una coppia appropriata al quale affidarlo (paragrafo 37 della sentenza). La corte dĠappello ha respinto lĠappello dei ricorrenti il 28 febbraio 2012, ma con un diverso ragionamento. Essa non ha dichiarato che i ricorrenti erano in una situazione illegale e che era necessario porvi fine, ma ha spiegato che il bambino era in Çstato di abbandono È ai sensi dellĠarticolo 8 della legge n. 184 del 4 maggio 1983, dato che non beneficiava di unĠassistenza morale e materiale da parte della sua Çfamiglia naturaleÈ. Secondo la corte dĠappello, questo stato di abbandono giustificava le misure adottate dal tribunale per i minorenni, che erano di natura cautelare e urgente. La corte dĠappello ha rilevato che queste misure erano compatibili con lĠesito probabile del procedimento nel merito sulla domanda del pubblico ministero, vale a dire una dichiarazione di adottabilitˆ (paragrafo 40 della sentenza). A nostro avviso,  essenzialmente, se non esclusivamente, il ragionamento della corte dĠap RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 pello che deve essere preso in considerazione per valutare le ragioni che giustificano lĠallontanamento del minore dai ricorrenti. Infatti,  la corte dĠappello che ha statuito in ultima istanza, sostituendo in tal modo la propria motivazione a quella del tribunale per i minorenni. Inoltre, mentre il tribunale per i minorenni ha prima di tutto espresso la sua disapprovazione per la condotta dei ricorrenti e di conseguenza li ha sanzionati, la corte dĠappello ha iniziato la sua analisi sulla base di una valutazione dellĠinteresse del minore, il che  di per sŽ lĠapproccio corretto nelle cause quali quella del caso di specie (paragrafo 6 supra). Infine, osserviamo che la maggioranza, quando esamina la giustificazione dellĠingerenza, non si riferisce esplicitamente alle decisioni adottate dai tribunali nella procedura relativa alla contestazione da parte dei ricorrenti del rifiuto dellĠufficio di stato civile di inserire il certificato di nascita nel registro dello stato civile, in particolare alla sentenza della corte dĠappello di Campobasso del 3 aprile 2013 (paragrafi 47-48 della sentenza). Per questo motivo, omettiamo anche di includere il ragionamento di questĠultima autoritˆ giudiziaria nella nostra analisi. 8. La prima questione da esaminare  se lĠingerenza, ossia lĠallontanamento del minore dai ricorrenti, fosse prevista dalla legge. Alla luce dei motivi esposti dalla corte di appello nella sua sentenza del 28 febbraio 2012, concludiamo che lĠallontanamento si basava sullĠarticolo 8 della legge sullĠadozione, che prevede che possa essere dichiarato in stato di adottabilitˆ il minore in situazione di abbandono, cio privo di qualsiasi assistenza morale o materiale da parte dei suoi genitori o dei suoi familiari. PoichŽ i giudici si sono rifiutati di considerare i ricorrenti come i suoi genitori, il minore  stato considerato in situazione di abbandono ed  stato quindi dichiarato adottabile. Siamo consapevoli che spetta ai giudici nazionali interpretare ed applicare il diritto interno (paragrafo 169 della sentenza). Tuttavia, non possiamo che esprimere la nostra sorpresa per quanto riguarda la conclusione per la quale il minore, di cui una coppia che aveva pienamente assunto il ruolo di genitori si prendeva cura, si trovava in stato di Çabbandono È. Se tale conclusione si basa unicamente sul fatto che i ricorrenti non erano i suoi genitori sul piano giuridico, ci chiediamo se il ragionamento dei giudici nazionali non avesse un carattere eccessivamente formale, e non fosse pertanto incompatibile con le esigenze derivanti dallĠarticolo 8 della Convenzione in questo caso (paragrafo 6 supra). Tuttavia, non mi dilungher˜ su tale argomento. Infatti, anche supponendo che fosse stata prevista dalla legge, lĠingerenza non pu˜, a nostro parere, essere giustificata per i motivi qui di seguito illustrati. 9. La questione successiva  se lĠingerenza perseguisse uno scopo legittimo. Rileviamo che la corte dĠappello ha fondato la sua decisione relativa allĠallontanamento del minore sullo stato di abbandono in cui questĠultimo si sarebbe trovato. Si pu˜ pertanto sostenere che essa ha adottato la misura controversa al fine di tutelare i Çdiritti e le libertˆ altruiÈ, ossia i diritti del minore. La maggioranza riconosce che le misure perseguivano anche un altro scopo, quello della Çdifesa dellĠordineÈ. Come la camera, essa rammenta che la condotta dei ricorrenti contravveniva alla legge sullĠadozione e al divieto, nel diritto italiano, delle tecniche di procreazione assistita eterologa (paragrafo 177 della sentenza). Con tutto il rispetto che dobbiamo ai nostri colleghi della maggioranza, non possiamo concordare con questo parere. Soltanto il tribunale per i minorenni, ossia il giudice di primo grado, si  fondato sulla condotta illegale dei genitori; la corte dĠappello si  astenuta dallĠutilizzare la possibilitˆ di dichiarare il minore adottabile come una sanzione nei confronti dei ricorrenti. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 10. Infine, occorre esaminare se lĠingerenza fosse necessaria in una societˆ democratica, per raggiungere lo scopo perseguito. Come la maggioranza, riteniamo che questa condizione implichi, in primo luogo, che i motivi addotti per giustificare la misura controversa siano pertinenti e sufficienti (paragrafo 179 della sentenza), e, in secondo luogo, che la misura sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito tenuto conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concomitanti in gioco (paragrafo 181 della sentenza). 11. Il nostro disaccordo con la maggioranza attiene allĠapplicazione dei principi al caso di specie. In modo evidente, la valutazione della condizione di necessitˆ dipende, in gran parte, dalla questione di conoscere quali siano gli scopi legittimi specifici che sono definiti come quelli che le autoritˆ competenti perseguivano. Come indicato in precedenza, riteniamo che la corte dĠappello abbia giustificato lĠallontanamento del minore sulla base della situazione di questĠultimo. Al contrario, la maggioranza non solo prende in considerazione i motivi esposti dal tribunale per i minorenni (la situazione illegale creata dai ricorrenti), ma arriva al punto di considerare, seguendo lĠargomentazione del Governo, il contesto pi ampio del divieto nel diritto italiano degli accordi di gestazione per conto terzi (su questĠultimo punto, si veda il paragrafo 203 della sentenza). Riteniamo che le particolari circostanze della fattispecie, e soprattutto le decisioni adottate dalle autoritˆ nazionali, non richiedano un approccio cos“ ampio, in cui delle considerazioni delicate di politica generale possono svolgere un ruolo importante. Non abbiamo intenzione di esprimere una qualsiasi opinione sul divieto degli accordi di maternitˆ surrogata in diritto italiano. Spetta al legislatore italiano stabilire quale sia la politica dellĠItalia in materia. Tuttavia, il diritto italiano non ha effetti extraterritoriali. Quando una coppia  riuscita a sottoscrive allĠestero un accordo di maternitˆ surrogata e a ottenere da una madre residente in un altro paese un neonato che successivamente ha portato legalmente in Italia,  la situazione fattuale in Italia derivante da tali eventi che si sono svolti precedentemente in un altro paese a dover guidare le autoritˆ italiane competenti nella loro reazione a tale situazione. A questo riguardo, abbiamo difficoltˆ a comprendere il punto di vista della maggioranza che ritiene pertinenti le motivazioni del legislatore che giustificano il divieto di accordi di maternitˆ surrogata trattandosi di misure adottate per scoraggiare i cittadini italiani dal ricorrere allĠestero a pratiche che sono vietate in Italia (paragrafo 203 della sentenza). A nostro parere, la pertinenza di tali motivi diventa meno evidente quando si tratta di una situazione sorta allĠestero che, di per sŽ, non pu˜ aver violato il diritto italiano. A tale proposito,  importante rilevare che la situazione creata dai ricorrenti in Russia  stata in origine riconosciuta e formalizzata dalle autoritˆ italiane, tramite il consolato italiano di Mosca (paragrafo 17 della sentenza). 12. Quali che siano le ragioni addotte per giustificare la separazione del minore dai ricorrenti, non possiamo condividere la conclusione della maggioranza secondo la quale i giudici italiani hanno mantenuto un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco. Per quanto riguarda gli interessi generali in causa, abbiamo giˆ spiegato che, a nostro avviso,  stata attribuita troppa importanza alla necessitˆ di porre fine a una situazione illegale (con riguardo alle leggi sullĠadozione internazionale e sullĠuso delle tecniche di riproduzione assistita) e allĠesigenza di dissuadere i cittadini italiani dal ricorrere allĠestero a pratiche che sono vietate in Italia. Tali interessi non erano assolutamente quelli che la corte dĠappello ha cercato di proteggere. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Per quanto riguarda lĠinteresse del minore, abbiamo giˆ espresso il nostro stupore per la qualificazione data alla situazione di questĠultimo considerato Çin stato di abbandonoÈ. In nessun momento i giudici si sono chiesti se fosse nellĠinteresse del minore rimanere con persone che si comportavano come suoi genitori. LĠallontanamento si basava su motivi puramente giuridici. I fatti sono entrati in gioco solo per valutare se le conseguenze dellĠallontanamento, una volta deciso, non sarebbero state troppo dure per il minore. Riteniamo che, in tali circostanze, non si possa sostenere che i giudici nazionali abbiano tenuto sufficientemente conto dellĠimpatto che lĠallonta namento avrebbe avuto sul benessere del minore. Si tratta di una grave omissione, dato che qualsiasi misura di questo tipo deve prendere in considerazione lĠinteresse superiore del minore (paragrafo 6 supra). Per quanto riguarda gli interessi dei ricorrenti, pensiamo che il loro interesse a continuare a sviluppare la relazione con un minore di cui desideravano essere i genitori (paragrafo 211 della sentenza) non sia stato sufficientemente tenuto in considerazione, in particolare dal tri bunale per i minorenni. Non possiamo condividere il riferimento compiacente della maggio ranza al suggerimento di questo giudice secondo cui i ricorrenti cercavano di soddisfare un Çdesiderio narcisisticoÈ o di Çesorcizzare un problema individuale o di coppiaÈ, o ai suoi dubbi in merito allĠesistenza nei ricorrenti di Çreali capacitˆ affettive ed educativeÈ e Çdi un istinto di solidarietˆ umanaÈ (paragrafo 207 della sentenza). Riteniamo che tali valutazioni fossero di carattere speculativo e non avrebbero dovuto guidare il tribunale per i minorenni nellĠesame della domanda di provvedimenti urgenti presentata dal pubblico ministero. oltre a queste considerazioni del tribunale per i minorenni, che sembrano essere state corrette dallĠapproccio pi neutrale assunto dalla corte dĠappello, vorremmo ricordare che i ricorrenti sono stati ritenuti idonei allĠadozione il 7 dicembre 2006, quando hanno ottenuto lĠautorizzazione del tribunale per i minorenni (paragrafo 10 della sentenza), e che un equipe di assistenti sociali designata da un tribunale ha dichiarato, in una relazione del 18 maggio 2011, che i ricorrenti si erano fatti carico del bambino Çin maniera otti maleÈ (paragrafo 25 della sentenza). Tali valutazioni positive non sono state contraddette da una seria valutazione dellĠinteresse superiore del minore, ma sono state oscurate da considerazioni pi generali e astratte. Inoltre, come riconosce la maggioranza, i tribunali non hanno affrontato lĠimpatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore avrebbe avuto sui ricorrenti (paragrafo 211 della sentenza). Riteniamo si tratti di una lacuna grave, che non pu˜ essere giustificata dalle considerazioni della maggioranza circa lĠillegalitˆ della condotta dei ricorrenti e la precarietˆ della loro relazione con il minore (ibidem). Il semplice fatto che i giudici nazio nali non abbiano ritenuto necessario discutere dellĠimpatto sui ricorrenti dellĠallontana mento di un minore che era al centro del loro progetto genitoriale dimostra, a nostro avviso, che i giudici non hanno realmente cercato di trovare un giusto equilibrio tra gli interessi dei ricorrenti e qualsiasi altro interesse concomitante, quale che fosse questĠultimo. 13. Alla luce di quanto precede, riteniamo pertanto, al pari della camera, che gli elementi sui quali i giudici si sono basati per decidere che il minore doveva essere tolto ai ricorrenti e doveva essere preso in carico dai servizi sociali non siano sufficienti per concludere che tali misure non erano sproporzionate (si veda la sentenza della camera, ¤ 86). Per noi, non  stato dimostrato che le autoritˆ italiane hanno garantito il giusto equilibrio che occorreva mantenere tra gli interessi concorrenti in gioco. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE la Corte di Giustizia ÒsalvaÓ il meccanismo italiano pro-rata per il calcolo dellĠiVa detraibile Corte DI GIUstIzIa Ue, sez. terza, seNteNza 14 DICemBre 2016, CaUsa C-378/15 Gianni De Bellis* Con la sentenza del 14 dicembre 2016 la Corte ha dichiarato che la normativa comunitaria di cui agli articoli 17, par. 5, terzo comma lett. d) e 19 della direttiva 77/388/CEE, non osta al meccanismo previsto negli articoli 19 comma 5 e 19-bis del D.P.R. n. 633/1972 per la determinazione dellĠIvA detraibile nelle ipotesi in cui il soggetto passivo pone in essere attivitˆ sia imponibili che non imponibili (pi precisamente, che conferiscono o meno il diritto alla detrazione dell'IvA). Trattasi del meccanismo del c.d. pro-rata; in sostanza poichŽ la detrazione dellĠIvA assolta a monte  consentita solo se afferisce ad operazioni imponibili, si pone il problema di come calcolare la percentuale di detrazione nei casi in cui l'imposta assolta afferisca ad operazioni ÒmisteÓ (cio sia imponibili che non). Davanti alla Corte di Lussemburgo si fronteggiavano due tesi: a) quella della Mercedes Benz Italia (inizialmente condivisa dalla Commissione europea), secondo cui la regola del pro-rata era applicabile ai soli beni ÒmistiÓ, cio utilizzati per operazioni sia imponibili che non. Da ci˜ la non compatibilitˆ comunitaria del sistema italiano, che calcolava invece la percentuale di detraibilitˆ su tutto il fatturato (cio su tutte le operazioni imponibili e non); b) quella del Governo Italiano (inizialmente isolata, alla quale per˜ in udienza si  poi associata la Commissione europea) secondo cui lĠarticolo 17, par. 5 terzo comma lett. d) della direttiva 77/388/CEE, consentiva agli Stati membri anche lĠadozione di un sistema (indubbiamente di pi semplice applicazione) come quello italiano, che determina la percentuale di detraibilitˆ di tutta lĠIvA Òa monteÓ sul totale delle operazioni (imponibili e non), anzichŽ soltanto sui beni ad uso misto. E proprio sulla interpretazione della citata disposizione si  concentrata anche la discussione in udienza (con oltre unĠora di domande formulate dalla Corte alle parti), a cui hanno fatto seguito le conclusioni dellĠAvvocato Generale, che condividevano le tesi di Mercedes Benz Italia. La Corte  andata per˜ di diverso avviso rispetto allĠAvvocato Generale (cosa non frequente, ma che giˆ si verific˜ anche sul pi noto caso IRAP, lĠimposta italiana valutata dalla Corte nella causa C-475/03 con la sentenza 3 ot (*) vice Avvocato Generale. Si pubblicano in allegato ed in calce alla presente nota gli atti defensionali del Governo italiano: le Osservazioni e lĠIntervento orale. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 tobre 2006, in questa rass., 2007, I, 84 ss.), ritenendo il sistema italiano perfettamente in linea con la citata disposizione comunitaria. Una decisione nel senso opposto avrebbe creato notevoli problemi; non soltantoperla ÒsostituzioneÓ delmeccanismonazionaledelpro-ratacheil legislatore avrebbe dovuto adottare, ma soprattutto per gli effetti retroattivi della sentenza, che avrebbero provocato un complesso (e oneroso) contenzioso, derivante da richieste di rimborso da parte di soggetti IvA, come la Mercedes Benz Italia. Ct. 32314/15 CortE di GiUstizia dEllĠUnionE EUroPEa ossErVazioni del GoVErno dElla rEPUBBliCa italiana, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia nella causa C-378/15 Mercedes-Benz Italia S.p.A. contro Agenzia delle Entrate promossa ai sensi dell'art. 267 TFUE dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma (Italia), con ordinanza depositata in data 6 maggio 2015. * * * 1. La Commissione Tributaria Regionale di Roma ha formulato alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dellĠart. 267 TFUE. 2. La questione  sorta nellĠambito di un giudizio tributario che vede contrapposte la societˆ Mercedes-Benz Italia S.p.A. (in seguito Çla societˆÈ) e lĠAgenzia delle Entrate (in seguito ÇlĠagenziaÈ). 3. A quanto consta dal provvedimento di rimessione lĠAgenzia indirizzava alla Societˆ un avviso di accertamento, emesso ai fini IvA, per lĠanno di imposta 2004, recuperando a tassazione la somma di Euro 1.755.882,00 oltre sanzioni e interessi. 4. A sostegno dellĠatto di accertamento lĠAgenzia rilevava che la Societˆ aveva indicato nella dichiarazione IvA, per lĠanno 2004, operazioni esenti (per circa 41 milioni di Euro) relative ad interessi maturati su finanziamenti erogati alle societˆ controllate, qualificandole come attivitˆ accessorie ad operazioni imponibili ed escludendole, pertanto, dal calcolo pro rata ai sensi dellĠart. 19 e 19 bis del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (1). 5. La Societˆ si opponeva allĠavviso di accertamento proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma ed eccependone lĠillegittimitˆ a causa del non corretto calcolo del prorata da parte dallĠUfficio impositore; inoltre metteva in risalto lĠeffetto distorsivo che si era verificato attraverso tale calcolo, effettuato in conseguenza della scelta del legislatore italiano di applicare il prorata sulla base di un criterio esclusivamente for( 1) Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, recante ÒIstituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiuntoÓ, pubblicato nella GURI 11 novembre 1972, n. 292, S.o. e pi volte modificato. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE male e matematico (composizione del volume dĠaffari e quantificazione delle operazioni esenti rispetto a questĠultimo), anzichŽ sostanziale (composizione degli acquisti). 6. Per sostenere la propria tesi la Societˆ depositava in giudizio due perizie giurate nelle quali venivano analizzati i beni e servizi acquistati a monte e utilizzati per la produzione di operazioni esenti mettendo in rilievo come tali acquisti avessero unĠincidenza marginale rispetto al totale dei costi. 7. LĠAgenzia si  difesa nel giudizio ribadendo la legittimitˆ del calcolo operato nellĠavviso di accertamento e del conseguente recupero dellĠIvA a carico della Societˆ. Essa faceva presente che dallĠanalisi dellĠattivitˆ di erogazione di finanziamenti esercitata dalla Societˆ a favore delle proprie societˆ controllate emergeva un volume dĠaffari molto elevato (pari al 71,64% del totale), il che consentiva di qualificare tale attivitˆ come Òattivitˆ propriaÓ dellĠimpresa o, comunque, le operazioni ad essa riconducibili, come non accessorie rispetto alle attivitˆ imponibili poste in essere. 8. Il giudice di primo condivideva la tesi dellĠAgenzia respingendo il ricorso della Societˆ la quale si rivolgeva al giudice di appello (Commissione Tributaria Regionale di Roma) per riproporre le proprie tesi difensive ed ottenere lĠannullamento dellĠavviso di accertamento. 9. Specificava la Societˆ che, qualora si fosse applicato il diverso metodo di calcolo dalla stessa suggerito (fondato sulla composizione degli acquisti) la ÒlimitazioneÓ del diritto alla detrazione dellĠIvA assolta a monte si sarebbe attenuata, consentendo il diritto alla detrazione sulla quota reale degli acquisti di beni o servizi destinati allĠattivitˆ imponibile. 10. La Societˆ invitava inoltre il giudice a proporre alla Corte, ai sensi dellĠart. 267 TFUE, un quesito pregiudiziale relativo allĠinterpretazione delle norme europee relative al sistema del prorata IvA. 11. Il giudice del procedimento principale ha accolto tale richiesta sollevando la seguente questione pregiudiziale se, ai fini dell'esercizio del diritto di detrazione, ostino all'interpretazione degli art. 168, 173, 174 e 175 della Direttiva n. 2006/112/Ce, orientata secondo i principi di proporzionalitˆ, effettivitˆ e neutralitˆ, siccome individuati nel diritto comunitario, la legislazione nazionale (segnatamente, gli artt. 19, 5Ħ comma e 19-bis, del D.P.r. 633/1972) e la prassi dell'amministrazione fiscale nazionale che impongano il riferimento alla composizione del volume d'affari dell'operatore, anche per l'individuazione delle operazioni cosiddette accessorie, senza prevedere un metodo di calcolo fondato sulla composizione e destinazione effettiva degli acquisti, e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attivitˆ -tassate e non tassate -esercitate dal contribuente. * * * 12. Il Governo italiano interviene nel giudizio osservando quanto segue. 13. II prorata  il meccanismo ideato per consentire un corretto esercizio del diritto a detrazione (2) nel caso in cui un operatore effettui sia operazioni imponibili che operazioni non soggette ad imposta. (2) La Corte ha chiarito che il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell'IvA, che, in linea di principio, non pu˜ essere soggetto a limitazioni e che va esercitato per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni imponibili effettuate a monte, in quanto  inteso ad esonerare lĠimprenditore dallĠIvA dovuta o pagata nellĠambito di tutte le sue attivitˆ economiche imponibili. Il sistema comune dellĠIvA garantisce, di conseguenza la neutralitˆ dellĠimposizione fiscale (cfr. la sentenza del 13 marzo 2008, C-437/06, securenta, punti 24 e 25 e giurisprudenza ivi citata). RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 14. Tale meccanismo  oggi disciplinato dagli articoli 173, 174 e 175 della Direttiva 2006/112/CE. 15. LĠart. 173, paragrafo 1 prevede, in particolare che, per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione (di cui agli articoli 168, 169 e 170 della stessa direttiva), sia per operazioni che non danno tale diritto, Òla detrazione  ammessa soltanto per il prorata dell'IVa relativo alla prima categoria di operazioni. Il prorata di detrazione  determinato, conformemente agli articoli 174 e 175, per il complesso delle operazioni effettuate dal soggetto passivoÓ. 16. LĠart. 173, paragrafo 2 autorizza espressamente gli Stati membri ad adottare le misure seguenti: a) autorizzare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ, se vengono tenute contabilitˆ distinte per ciascun settore; b) obbligare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ ed a tenere contabilitˆ distinte per ciascuno di questi settori; c) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione in base all'utilizzazione della totalitˆ o di una parte dei beni e servizi; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione secondo la norma di cui al paragrafo 1, primo comma, relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dell'IVa che non pu˜ essere detratta dal soggetto passivo quando essa sia insignificante. 17. Lo Stato italiano, nel dare attuazione alla normativa comunitaria (nel testo, sovrapponibile sul punto, previsto dallĠart. 17, paragrafo 5 della Sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 388 (3)) ha previsto, allĠart. 19, comma 5 D.P.R. 633/72 ai contribuenti che esercitano sia attivitˆ che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attivitˆ che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi del- l'articolo 10, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare  determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all'articolo 19-bis. (3) Art. 17, paragrafo 5 della direttiva 1977/388/CEE Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a deduzione di cui ai paragrafi 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la deduzione  ammessa soltanto per il prorata dell'imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni. Detto prorata  determinato ai sensi dell'articolo 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo. tuttavia, gli stati membri possono: a) autorizzare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ, se vengono tenute contabilitˆ distinte per ciascun settore; b) obbligare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ ed a tenere contabilitˆ distinte per ciascuno di questi settori; c) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione in base all'utilizzazione della totalitˆ o di una parte dei beni e servizi; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dell'imposta sul valore aggiunto che non pu˜ essere dedotta dal soggetto passivo quando essa sia insignificante. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 18. Lo Stato italiano ha pertanto esercitato la facoltˆ prevista dallĠart. 173, paragrafo 2 lettera d) - giˆ art. 17, paragrafo 5 lettera d) della Sesta direttiva - di calcolare il prorata di detrazione per tutti i beni e servizi utilizzati dal soggetto passivo per compiere sia operazioni che danno diritto a deduzione, sia operazioni che non conferiscono tale diritto, calcolando tale percentuale in base ai criteri di cui allĠart. 174 (4) della direttiva 112/2006/CE, il cui testo  sostanzialmente riprodotto allĠart. 19-bis D.P.R. 633/72 (recante ÒPercentuale di detrazioneÓ) che cos“ dispone: 1. la percentuale di detrazione di cui all'articolo 19, comma 5,  determinata in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nel- l'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell'anno medesimo. la percentuale di detrazione  arrotondata all'unitˆ superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi. 2. Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto delle cessioni di beni ammortizzabili, dei passaggi di cui all'articolo 36, ultimo comma, e delle operazioni di cui all'articolo 2, terzo comma, lettere a), b), d) e f), delle operazioni esenti di cui all'articolo 10, primo comma, numero 27-quinquies), e, quando non formano oggetto dell'attivitˆ propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del predetto articolo 10, ferma restando la indetraibilitˆ dell'imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni. 19. La giurisprudenza della Corte  costante nellĠaffermare che, nei limiti in cui il calcolo del prorata di detrazione costituisce un elemento del regime delle detrazioni, le modalitˆ secondo cui tale calcolo deve essere effettuato rientrano, unitamente a detto regime di detrazioni, nella sfera di applicazione della normativa nazionale in materia di IvA cui un'attivitˆ o un'operazione deve essere fiscalmente collegata: Spetta, infatti, alle autoritˆ tributarie di ogni Stato membro stabilire, come consente loro l'articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva, nell'autorizzarle a prevedere la fissazione di un prorata distinto per ogni settore d'attivitˆ oppure la detrazione secondo la destinazione della totalitˆ o di parte dei beni e servizi ad un'attivitˆ precisa, (4) LĠart. 174 della direttiva 112/2006/CE cos“ dispone: 1. Il prorata di detrazione risulta da una frazione che presenta i seguenti importi: a) al numeratore, l'importo totale del volume d'affari annuo, al netto dell'IVa, relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione a norma degli articoli 168 e 169; b) al denominatore, l'importo totale del volume d'affari annuo, al netto dell'IVa, relativo alle operazioni che figurano al numeratore e a quelle che non danno diritto a detrazione. Gli stati membri possono includere nel denominatore l'importo delle sovvenzioni diverse da quelle direttamente connesse al prezzo delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi di cui all'articolo 73. 2. In deroga al paragrafo 1, per il calcolo del prorata di detrazione, non si tiene conto degli importi seguenti: a) l'importo del volume d'affari relativo alle cessioni di beni d'investimento utilizzati dal soggetto passivo nella sua impresa; b) l'importo del volume d'affari relativo alle operazioni accessorie immobiliari e finanziarie; c) l'importo del volume d'affari relativo alle operazioni di cui all'articolo 135, paragrafo 1, lettere da b) a g), quando si tratta di operazioni accessorie. 3. Qualora si avvalgano della facoltˆ prevista all'articolo 191 di non richiedere la rettifica per i beni di investimento, gli stati membri possono includere i proventi della cessione di tali beni nel calcolo del prorata di detrazione. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 oppure anche a prevedere l'esclusione del diritto a detrazione al ricorrere di determinate condizioni, il metodo di determinazione del diritto alla detrazione (sentenza 18 dicembre 2008 in causa C-488/07, royal Bank of scotland, punto 19; sentenza 12 settembre 2013, in causa C-388/11, le CrŽdit lyonnais punto 31). 20. Il sistema italiano prevede, pertanto, in via generale, il diritto alla detrazione dell'imposta per tutti i beni e servizi acquistati nell'esercizio d'impresa. Secondo tale principio i contribuenti hanno diritto ad una detrazione totale dell'imposta assolta sui loro acquisti ed importazioni di beni e servizi, se svolgono unicamente attivitˆ soggette ad IvA o ad esse assimilate ai fini delle detrazioni e non hanno diritto ad alcuna detrazione, se svolgono soltanto attivitˆ esenti o escluse dal campo di applicazione dell'Iva. 21. Hanno, infine, diritto ad una detrazione parziale (secondo il metodo del prorata) quando svolgono sia attivitˆ imponibili od assimilate, sia attivitˆ esenti o escluse dall'imposta. 22. In questĠultima ipotesi, per rapportare la detrazione alla sola attivitˆ imponibile ed assimilata, il diritto alla detrazione dell'IvA a monte consiste in una percentuale (prorata), data dal rapporto tra l'ammontare delle operazioni imponibili ed assimilate nell'arco del- lĠanno (al numeratore) e l'importo complessivo di tutte le operazioni, imponibili, assimilate ed esenti, effettuate nell'anno stesso (al denominatore), con lĠeccezione delle deroghe contemplate dal comma 2 dellĠart. 19 bis D.P.R. 633/72 (in linea con quanto previsto dal paragrafo 2 dellĠart. 174 della direttiva 2006/112/CE). 23. Da ci˜ consegue che l'aumento del denominatore (per effetto della inclusione di operazioni esenti) determina una diminuzione della percentuale di detraibilitˆ. 24. Per tale ragione il comma 2 dellĠart. 19 bis D.P.R. 633/72 (in linea con il paragrafo 2 del- lĠart. 174 della direttiva 2006/112/CE) prevede che non vengano incluse in detto denominatore, al fine di non alterare il prorata e renderlo cos“ maggiormente aderente alla realtˆ economica dellĠimpresa, alcune operazioni non soggette ad imposizione che, invece, laddove calcolate puramente e semplicemente, darebbero luogo ad una riduzione eccessiva dellĠIvA detraibile incidendo negativamente sul conseguimento dellĠobiettivo di neutralitˆ garantito dal sistema comune IvA (5). 25. Per quanto riguarda la presente causa viene in rilievo, in particolare, la previsione in base alla quale le operazioni esenti ÒaccessorieÓ non vengano incluse nel denominatore della frazione utilizzata per il calcolo del prorata di deduzione. Tale disposizione, come si  detto,  volta ad evitare che attivitˆ esenti che siano solo ÒaccessorieÓ, alterino il calcolo del pro- rata ed incidano negativamente sul conseguimento dellĠobiettivo di neutralitˆ garantito dal sistema comune IvA (cfr. sentenza 29 aprile 2004 in causa C-77/01 citata in nota 5). 26. Nella causa principale si trattava di stabilire se le attivitˆ finanziarie esenti ex art. 10 n. 1 DPR 633/72 (finanziamenti infragruppo erogati alle societˆ controllate dalla Mercedes( 5) Sul punto cfr. la sentenza 29 aprile 2004 in causa C-77/01 empresa de Desenvolvimento mineiro sGPs sa - eDm, punto 75: ÜÜa tal riguardo va osservato che, in sede di applicazione dellĠart. 19, n. 1, della sesta direttiva, un aumento dellĠimporto del fatturato relativo alle operazioni che non danno diritto a deduzione determina la diminuzione dellĠimporto di IVa deducibile da parte del soggetto passivo. La non inclusione di alcune operazioni accessorie nel denominatore della frazione utilizzata per il calcolo del prorata di deduzione, ai sensi dellĠart. 19, n. 2, seconda frase, della sesta direttiva, serve a neutralizzare gli effetti negativi, per il soggetto passivo, di tale conseguenza inerente al detto calcolo, al fine di evitare che queste operazioni lo alterino e di garantire, in tal modo, il conseguimento dellĠobiettivo di neutralitˆ garantito dal sistema comune IVAŬŬ. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Benz Italia S.p.A.) costituissero o meno operazioni ÒaccessorieÓ ai sensi dell'art. 19 bis D.P.R. 633/1972 e, di conseguenza, se nel calcolo del prorata di deduzione, occorresse prescindere da tali operazioni. 27. Tuttavia nel suo quesito il giudice a quo non sembra avere chiesto espressamente alla Corte di pronunciarsi sulla questione della natura accessoria o meno delle operazioni poste in essere dalla Societˆ. Per completezza si ritiene comunque opportuno trattare, ancorch brevemente, la relativa questione. 28. Secondo la normativa italiana i criteri da tenere presenti ai fine di stabilire la rilevanza o meno delle attivitˆ esenti nel calcolo della percentuale di detrazione sono i seguenti: - occorre valutare se le operazioni esenti formano o meno Òoggetto dell'attivitˆ propria del soggetto passivoÓ (perchŽ in caso positivo vanno sicuramente incluse nel calcolo del prorata al denominatore); -occorre valutare se tali operazioni esenti siano solo ÒaccessorieÓ ad operazioni imponibili (ed in caso positivo vanno sicuramente escluse nel calcolo del prorata al denominatore). 29. In questĠultimo caso la norma dispone l'indetraibilitˆ per i costi relativi ad operazioni utilizzate ÒesclusivamenteÓ per effettuare quelle particolari operazioni esenti, che non sono incluse nel denominatore (lĠart. 19 bis dispone infatti al comma 2 che Òferma restando la indetraibilitˆ dell'imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioniÓ) (tale aspetto non viene in rilievo nel caso in esame). 30. La Corte si  soffermata su entrambi i suesposti concetti. In ordine al carattere ÒstabileÓ e non occasionale dellĠattivitˆ -con riferimento ad una societˆ che effettuava attivitˆ di amministrazione di immobili e che investiva le somme ricevute dai proprietari degli stessi in attivitˆ di carattere finanziario ritraendone proventi esenti -ha affermato l'incidenza della predetta attivitˆ nel calcolo del prorata in quanto lĠattivitˆ originaria si configura come stabile, permanente e, quindi, rilevante ai fini dellĠindividuazione della percentuale di indetraibilitˆ del prorata (sentenza 11 luglio 1996 in causa C-306/94 rŽgie dauphinoise). 31. In ordine alla condizione della ÒaccessorietˆÓ, ricorrendo la quale l'attivitˆ esente non va considerata nel calcolo della percentuale di detrazione, la Corte nella citata sentenza 29 aprile 2004 in causa C-77/01 EDM, ha avuto modo di affermare i seguenti principi: -la concessione annua, da parte di una holding, di prestiti a titolo oneroso alle societˆ partecipate nonchŽ gli investimenti della medesima in depositi bancari ovvero in titoli, quali buoni del tesoro o certificati di deposito, costituiscono attivitˆ economiche compiute da un soggetto passivo che agisce in quanto tale ..; -allĠatto del calcolo del prorata di deduzione ... tali operazioni devono essere considerate operazioni ÒaccessorieÓ ... qualora implichino solamente un uso estremamente limitato di beni o di servizi per i quali lĠimposta sul valore aggiunto  dovuta. 32. Aggiunge ancora la Corte che lĠentitˆ dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della sesta direttiva pu˜ Òcostituire un indizio nel senso che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie ai sensi della detta disposizioneÓ, ancorch detta circostanza non possa, di per sŽ sola, escludere la qualificazione di queste ultime quali Òoperazioni accessorieÓ. 33. Nella causa principale, sulla base dei criteri appena esposti, lĠattivitˆ di finanziamento da parte della Societˆ non pu˜ essere considerata unĠattivitˆ meramente accessoria rispetto allĠoggetto sociale (che  molto ampio ed  rappresentato dall'assunzione e detenzione di partecipazioni sociali; dal coordinamento a favore delle societˆ italiane del gruppo, delle attivitˆ finanziarie, di vendita e di distribuzione relative al settore automobilistico; dalla RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 centralizzazione delle funzioni di tesoreria e di altre funzioni organizzativo-gestionali). 34. L'attivitˆ di finanziamento, oltre ad essere contemplata in modo autonomo nell'oggetto sociale della Societˆ, risulta essere strutturata e svolta in modo continuo ed abituale ed ha generato un volume d'affari nellĠanno in considerazione (2004) che, rispetto al totale, presenta una incidenza percentuale pari al 71,64% (entitˆ che, come visto, rileva alla luce della citata sentenza 29 aprile 2004 in causa C-77/01 EDM). 35. Da ci˜ consegue che, in una situazione come quella che si  verificata nella causa principale, lĠattivitˆ di finanziamento andava necessariamente inclusa nel calcolo del prorata (ai sensi dellĠart. 19 bis D.P.R. 633/72), mentre tale attivitˆ avrebbe potuto essere esclusa dal calcolo solo ove accessoria perchŽ collaterale e strumentale a quella principale svolta dallĠoperatore, ipotesi non ricorrente nel caso di specie. 36. Ci˜ premesso, non pu˜ dubitarsi della conformitˆ alla direttiva 2006/112/CE della scelta del legislatore italiano di prevedere che il calcolo del prorata prenda in considerazione tutti i beni e servizi utilizzati per operazioni che danno diritto alla detrazione e che non danno tale diritto (art. 173, paragrafo 2, lett. d) direttiva 2006/112/CE) e che da tale calcolo siano escluse solo le operazioni finanziarie di natura accessoria (come previsto dallĠart. 174, paragrafo 2, lett. b) direttiva 2006/112/CE). 37. occorre al riguardo rilevare come la non inclusione al denominatore nel calcolo delle operazioni accessorie costituisce ai sensi della direttiva una ÒderogaÓ al metodo di calcolo di cui allĠart. 174, paragrafo 1 e spetta al giudice nazionale stabilire, sulla base delle concrete circostanze, quando ricorrono le condizioni per lĠapplicazione della deroga stessa. 38. Il diritto dellĠUnione consente pienamente agli Stati membri di optare per un sistema di calcolo del prorata come quello adottato dallĠItalia e tale sistema  da ritenersi legittimo anche laddove dovesse verificarsi unĠipotesi specifica in cui lĠoperatore dimostrasse che, prendendo in considerazione singoli acquisti di beni e servizi e la loro destinazione effettiva a ciascuna delle attivitˆ (imponibili e non imponibili), lo stesso avrebbe avuto diritto a detrarre una maggiore percentuale dellĠIvA assolta a monte rispetto a quella che pu˜ detrarre sulla base del calcolo del prorata. 39. ƒ, infatti, il sistema stesso del prorata, come disciplinato dalla direttiva, che prevede un criterio puramente matematico che semplifica il calcolo della detrazione, soprattutto nei casi in cui sia impossibile o difficoltoso verificare quanta parte degli acquisti siano impiegati per le operazioni imponibili (con diritto, perci˜ a detrazione) e quanta parte degli stessi siano impiegati per operazioni che non danno diritto a detrazione. 40. Si osserva, inoltre, che, proprio al fine di salvaguardare i principi che sono alla base del sistema IvA e le caratteristiche neutrali dellĠimposta, il legislatore italiano consente agli operatori nazionali di separare le proprie diverse attivitˆ svolte, sulla base di unĠopzione che pu˜ essere legittimamente esercitata ai sensi dellĠart. 36 comma 3 D.P.R. 633/72 (6). (6) Art. 36 D.P.R. 633/1972 (Esercizio di pi attivitˆ) dispone: ÜÜ [1] Nei confronti dei soggetti che esercitano pi attivitˆ l'imposta si applica unitariamente e cumulativamente per tutte le attivitˆ, con riferimento al volume di affari complessivo, salvo quanto stabilito nei successivi commi. [2] se il soggetto esercita contemporaneamente imprese e arti o professioni l'imposta si applica separatamente per l'esercizio di imprese e per l'esercizio di arti o professioni, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume d'affari. [3] I soggetti che esercitano pi imprese o pi attivitˆ nell'ambito della stessa impresa ovvero pi arti CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 41. Di conseguenza il soggetto passivo ha facoltˆ di separare le attivitˆ e, dunque, anche le attivitˆ imponibili da quelle esenti, di modo che, esercitando tale opzione avrˆ diritto di detrarre integralmente lĠIvA assolta sugli acquisti relativi a attivitˆ imponibili, mentre non potrˆ detrarre lĠIvA assolta sugli acquisti relativi a beni o servizi impiegati per attivitˆ esenti o non imponibili. 42. Nei confronti di soggetti come la Societˆ che svolgono sia operazioni imponibili che non imponibili, lo Stato italiano dˆ, quindi, anche la possibilitˆ di optare per la separazione delle attivitˆ (ai sensi del citato art. 36 del D.P.R. 633/72), con imputazione specifica a ciascuna di esse dell'IvA relativa agli acquisti. 43. Non avendo la Societˆ optato per tale separazione, essa  assoggettata al calcolo del pro- rata previsto dallĠart. 174 della direttiva 2006/112/CE e non pu˜ quindi lamentare lĠimpossibilitˆ di provvedere ad una diversa imputazione dei costi in relazione al loro effettivo o professioni, hanno facoltˆ di optare per l'applicazione separata dell'imposta relativamente ad alcuna delle attivitˆ esercitate, dandone comunicazione all'Ufficio nella dichiarazione relativa all'anno precedente o nella dichiarazione di inizio dell'attivitˆ. In tal caso la detrazione di cui all'art. 19 spetta a condizione che l'attivitˆ sia gestita con contabilitˆ separata ed  esclusa, in deroga a quanto stabilito nell'ultimo comma, per l'imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente. l'opzione ha effetto fino a quando non sia revocata e in ogni caso per almeno un triennio. se nel corso di un anno sono acquistati beni ammortizzabili la revoca non  ammessa fino al termine del periodo di rettifica della detrazione di cui all'art. 19-bis. la revoca deve essere comunicata all'Ufficio nella dichiarazione annuale ed ha effetto dall'anno in corso. le disposizioni del presente comma si applicano anche ai soggetti che effettuano sia locazioni, o cessioni, esenti da imposta, di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell'articolo 19, comma 5, e dell'articolo 19-bis, sia locazioni o cessioni di altri fabbricati o di altri immobili, con riferimento a ciascuno di tali settori di attivitˆ. Le disposizioni del presente comma si applicano, altres“, ai soggetti che svolgono sia il servizio di gestione individuale di portafogli, ovvero prestazioni di mandato, mediazione o intermediazione relative al predetto servizio, sia attivitˆ esenti dall'imposta ai sensi dell'articolo 10, primo comma. [4] l'imposta si applica in ogni caso separatamente, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al volume d'affari di ciascuna di esse, per le attivitˆ di commercio al minuto di cui al terzo comma del- l'art. 24, comprese le attivitˆ ad esse accessorie e quelle non rientranti nell'attivitˆ propria dell'impresa, nonchŽ per le attivitˆ di cui all'art. 34, fermo restando il disposto dei commi secondo e terzo dello stesso articolo e per quelle di cui all'art. 74, sesto comma, per le quali la detrazione prevista dall'art. 19 sia applicata forfettariamente e per quelle di cui al comma 5 dell'articolo 74-quater (372) . [5] In tutti i casi nei quali l'imposta  applicata separatamente per una determinata attivitˆ la detrazione di cui all'art. 19, se ridotta ai sensi del terzo comma dello stesso articolo ovvero se applicata forfettariamente,  ammessa per l'imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile all'esercizio dell'attivitˆ stessa; i passaggi di servizi all'attivitˆ soggetta a detrazione ridotta o forfettaria costituiscono prestazioni di servizio ai sensi dell'art. 3 e si considerano effettuati, in base al loro valore normale, nel momento in cui sono resi. Per i passaggi interni dei beni tra attivitˆ separate si applicano le disposizioni degli artt. 21 e seguenti, con riferimento al loro valore normale, e le annotazioni di cui agli artt. 23 e 25 devono essere eseguite nello stesso mese. Per i passaggi dei beni all'attivitˆ di commercio al minuto di cui al terzo comma dell'art. 24 e per quelli da questa ad altra attivitˆ, l'imposta non  dovuta, ma i passaggi stessi devono essere annotati in base al corrispettivo di acquisto dei beni, entro il giorno non festivo successivo a quello del passaggio. le annotazioni devono essere eseguite, distintamente in base all'aliquota applicabile per le relative cessioni, nei registri di cui agli artt. 23, 24 e 25, ovvero in apposito registro tenuto a norma dell'art. 39. la dichiarazione annuale deve essere presentata su un unico modello per tutte le attivitˆ secondo le modalitˆ stabilite nel decreto di cui al primo comma dell'art. 28 e i versamenti di cui agli artt. 27, 30 e 33 devono essere eseguiti per l'ammontare complessivo dovuto, al netto delle eccedenze detraibili RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 utilizzo (in misura maggiore per le attivitˆ imponibili rispetto a quelle non imponibili). 44. LĠeventualitˆ che, in un caso specifico, anche a causa del mancato esercizio dellĠopzione per la separazione, lĠoperatore nazionale possa sopportare un carico ÒmaggioreÓ di IvA indetraibile rispetto a quello che avrebbe sopportato sulla base di un calcolo puntuale,  una conseguenza dellĠapplicazione del metodo prorata previsto dalla direttiva e della legittima scelta dello Stato italiano sopra evidenziata. 45. Un singolo eventuale e potenziale effetto come quello lamentato dalla Societˆ nella causa principale, sarebbe comunque conseguenza anche della scelta della Societˆ di non esercitare lĠopzione per la separazione delle attivitˆ. In conclusione il Governo italiano ritiene che al quesito posto dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma nella causa principale la Corte debba cos“ rispondere: gli articoli 168, 173, 174 e 175 della direttiva 2006/112/CE (e gli art. 17 e 19 della sesta direttiva 1977/388/CEE) non ostano ad una normativa nazionale (quale quella contenuta negli articoli 19, 5Ħ comma e 19-bis del D.P.R. 633/1972) la quale preveda un calcolo del prorata che prenda in considerazione la totalitˆ dei beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni che danno diritto alla detrazione e per quelle che non danno tale diritto, con esclusione dal calcolo delle operazioni finanziarie di natura accessoria, senza consentire (in mancanza di una specifica opzione da parte dellĠoperatore per la separazione delle attivitˆ) di operare la detrazione - caso per caso - in base alla destinazione effettiva degli acquisti dei beni ad attivitˆ imponibili oppure ad attivitˆ che non danno diritto a detrazione. Roma, 3 novembre 2015 Gianni de Bellis avvocato dello stato Eugenio de Bonis avvocato dello stato Ct. 32314/15 CortE di GiUstizia dEllĠUnionE EUroPEa causa C-378/15 intErVEnto oralE dEl GoVErno italiano Signor Presidente, Signori della Corte, signor Avvocato Generale 1. Il Governo italiano nelle sue osservazioni ha evidenziato come la sua legislazione interna si fondi sullĠarticolo 17 paragrafo 5 della sesta Direttiva (ora articolo 173 della Direttiva 112/2006, di contenuto identico) ed in particolare sul comma 3 il quale alla lettera d) consente agli Stati membri di ÜÜautorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplateŬŬ. 2. Nelle sue osservazioni la Commissione ritiene nella sostanza che lĠItalia non abbia correttamente applicato il meccanismo del prorata. 3. Tale metodo, sostiene la Commissione al punto 18 delle sue osservazioni, ÜÜnon si riferisce CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE ad un'attivitˆ mista (e pertanto non  volto a determinare l'incidenza dell'attivitˆ - principale o accessoria - che dˆ diritto a detrazione) ma si riferisce a beni e servizi destinati ad un uso misto (per attivitˆ che danno diritto a detrazione e per attivitˆ che non danno diritto a detrazione), e pertanto  volto a determinare l'imputabilitˆ dei costi relativi all'acquisto di beni e servizi a monte nel prezzo del bene o del servizio prestato a valleŬŬ. 4. PoichŽ il sistema italiano invece applica il prorata nei casi di attivitˆ miste svolte dal soggetto IvA, estendendolo a tutti gli acquisti a monte, quale che sia lĠuso a cui sono destinati, sostiene la Commissione che in tal modo si sarebbe violato il principio di neutralitˆ del sistema. 5. A conferma della correttezza della sua interpretazione, la Commissione richiama la sentenza Portugal telecom in causa C-426/11 dove tali principi sarebbero stati espressi. 6. Il Governo italiano dubita per˜ del fatto che questa sia la corretta interpretazione della norma. 7. La Commissione non considera che lĠarticolo 17 par. 5 al comma 3 lascia agli Stati membri unĠampia discrezionalitˆ. 8. Come precisato dalla Corte al punto 23 della sentenza Royal Bank Òmentre il secondo comma del detto art. 17, n. 5, della direttiva prevede, per il calcolo dellĠimporto detraibile, che lĠapplicazione del detto art. 19 costituisce la regola, il suo terzo comma, che inizia con lĠespressione ÇtuttaviaÈ, autorizza gli Stati membri a prevedere deroghe di maggiore o minore portata a questa regola, che possono comportare anche lĠesclusione del diritto a detrazioneÓ. 9. Ne consegue che, per scelta del legislatore,  possibile nellĠUnione la coesistenza di sistemi diversi di applicazione del prorata. 10. Nel primo quesito a cui la Corte ha invitato le parti a rispondere in questa sede, credo che si colga precisamente il punto centrale della questione. 11. Mi riferisco al comma 3 dellĠarticolo 17 p. 5 ed in particolare alla lettera d) in base alla quale gli Stati membri possono ÜÜautorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplateŬŬ. 12. orbene, se lĠinterpretazione corretta della lettera d) fosse quella suggerita dalla Commissione, e cio che la norma si riferisce solo ai beni ad uso misto, la conseguenza sarebbe la totale inutilitˆ della stessa lettera d). 13. PoichŽ il comma 1 giˆ prevede lĠobbligo del prorata per i beni ad uso misto, la lettera d) si limiterebbe a ribadire che gli Stati membri possono autorizzare o obbligare i soggetti passivi ad applicare il comma 1 per i beni ad uso misto. 14. In sostanza la lettera d) sarebbe del tutto priva di significato, in quanto non farebbe altro che ripetere ci˜ che giˆ impone in via generale il comma 1. 15. In realtˆ la corretta portata della lettera d)  unĠaltra, e cio quella di consentire agli Stati membri di imporre il prorata per tutti gli acquisti, sulla base del solo presupposto che il soggetto passivo sia un soggetto misto, che compia cio attivitˆ imponibili ed esenti. 16. Ne consegue che, il consentire (o imporre) lĠapplicazione del prorata Òrelativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioniÓ contemplate nel comma 1, cio sia per le imponibili che non, significa esattamente consentire la scelta fatta dal Governo italiano. 17. Questa scelta ha evidenti finalitˆ di semplificazione: ogni anno si calcola il prorata e la detrazione  concessa nella misura prevista per tutti gli acquisti, indipendentemente dal- lĠuso misto o meno degli stessi. 18. LĠobbligo di tale sistema -indubbiamente di semplice applicazione - temperato dal fatto che il soggetto passivo pu˜ tenere contabilitˆ separate per i diversi settori di attivitˆ e cos“ RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 rispettare con maggiore precisione la regola del prorata. Su tale punto lĠItalia si  avvalsa della possibilitˆ prevista dalla lettera a). 19. Ma se tale scelta il soggetto passivo non opera, dovrˆ attenersi al prorata obbligatorio per tutti i suoi acquisti. 20. Il che lo potrˆ svantaggiare in relazione allĠIvA assolta sugli acquisti finalizzati ad operazioni imponibili, ma lo potrˆ invece avvantaggiare per lĠIvA assolta sugli acquisti finalizzati ad operazioni esenti (o meglio, non imponibili). Ma questa  una conseguenza della semplificazione. 21. Ci˜ che  certo per˜,  che il legislatore non vieta, anzi espressamente consente, una tale modalitˆ. 22. Credo di avere cos“ dato risposta al primo quesito. 23. Con il secondo quesito la Corte chiede di Òprecisare il senso che occorra dare al rinvioÓ contenuto nella lettera d) Òalla norma prevista nel primo comma dell'articolo 17, paragrafo 5, della sesta direttiva piuttosto che alle disposizioni contenute nel suo secondo commaÓ. 24. In altri termini, perchŽ la lettera d) richiama il comma 1 e non invece il comma 2? 25. La risposta  semplice. é il comma 1 che definisce il prorata e il suo ambito di applicazione, mentre il comma 2 ne costituisce solo una specificazione, limitandosi a prevederne il metodo di calcolo. 26. Riteniamo quindi che il richiamo al comma 1 sia il pi corretto. La lettera d) consente di dare applicazione alla regola del prorata contenuta nel comma 1, imponendo (o autorizzando) ad un soggetto passivo di applicare la percentuale di prorata Òrelativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplateÓ. 27. Il riferimento a tutti i beni e servizi e a tutte le operazioni contemplate nel comma 1, non pu˜ che essere rivolto al complesso delle operazioni, imponibili e non. E ci˜ in quanto nel comma 1 vengono indicate appunto entrambe le categorie di operazioni. 28. In conclusione, riteniamo che la Corte non possa che ritenere corretto il meccanismo del prorata vigente in Italia, in quanto coerente con la lettera d) del comma 3, che se interpretata come vorrebbe la Commissione, priverebbe la norma di ogni effetto utile. 29. Un accenno soltanto alla sentenza Portugal sulla quale si basa la posizione della Commissione. 30. Se si esamina attentamente il contenuto di tale decisione, si vede come lĠoggetto di quella causa era del tutto diverso da quello di oggi. In quel caso infatti si discuteva solo di come rilevasse lĠattivitˆ della Holding non economica, cio non rilevante ai fini IvA, ed i suoi riflessi sulla detraibilitˆ dellĠIvA a monte. Grazie Gianni dE BEllis aVVoCato dEllo stato CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 89 Corte di Giustizia dellĠUnione europea, sez. terza, sentenza 14 dicembre 2016 nella causa C-378/15 -Pres. L. Bay Larsen, rel. J. Malenovsk. - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria regionale di Roma (Italia) con ordinanza del 6 maggio 2015 - Mercedes Benz Italia SpA c. Agenzia delle Entrate. ÇRinvio pregiudiziale Fiscalitˆ Imposta sul valore aggiunto Direttiva 77/388/CEE Articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d) Ambito di applicazione Applicazione di un pro rata di detrazione allĠimposta sul valore aggiunto che ha gravato lĠacquisto della totalitˆ dei beni e dei servizi utilizzati da un soggetto passivo operazioni accessorie Utilizzo della cifra dĠaffari come indizioÈ 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullĠinterpretazione dellĠarticolo 17, paragrafo 5, e dellĠarticolo 19 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari -Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1), nella versione in vigore allĠepoca dei fatti controversi (in prosieguo: la Çsesta direttivaÈ). 2 Tale domanda  stata presentata nellĠambito di una controversia tra la Mercedes Benz Italia Spa (in prosieguo: la ÇMercedes BenzÈ) e lĠAgenzia delle Entrate Direzione Provinciale Roma 3 (in prosieguo: lĠÇAgenzia delle EntrateÈ) in merito a detrazioni dellĠimposta sul valore aggiunto (IvA) operate dalla Mercedes Benz nellĠanno dĠimposta 2004. Contesto normativo Diritto dellĠUnione 3 Il diciassettesimo considerando della sesta direttiva cos“ prevedeva: Çconsiderando che  opportuno che, entro certi limiti e a certe condizioni, gli Stati membri possano adottare o mantenere misure particolari derogative alla presente direttiva, al fine di semplificare la riscossione dellĠimposta e di evitare talune frodi ed evasioni fiscali; (...)È. 4 LĠarticolo 13, B, di tale direttiva cos“ disponeva: ÇFatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano (...): d) le operazioni seguenti: 1. la concessione e la negoziazione di crediti nonchŽ la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi; (...)È. 5 Ai sensi dellĠarticolo 17, paragrafi 2 e 5, di detta direttiva: Ç2. Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo  autorizzato a [detrarre] dallĠimposta di cui  debitore: a) lĠimposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo debitore dellĠimposta allĠinterno del paese; (...) 5. Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a [detrazione] di cui ai paragrafi 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la [detrazione]  ammessa soltanto per il prorata dellĠimposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni. Detto prorata  determinato ai sensi dellĠarticolo 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 Tuttavia, gli Stati membri possono: a) autorizzare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ, se vengono tenute contabilitˆ distinte per ciascun settore; b) obbligare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attivitˆ ed a tenere contabilitˆ distinte per ciascuno di questi settori; c) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la [detrazione] in base allĠutilizzazione della totalitˆ o di una parte dei beni e servizi; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la [detrazione] secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dellĠimposta sul valore aggiunto che non pu˜ essere [detratta] dal soggetto passivo quando essa sia insignificanteÈ. 6 LĠarticolo 19, paragrafi 1 e 2, della medesima direttiva, intitolato ÇCalcolo del prorata di [detrazione]È, era redatto come segue: Ç1. Il prorata di [detrazione] previsto dallĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, risulta da una frazione avente: -al numeratore lĠimporto totale della cifra dĠaffari annua, al netto dellĠimposta [sul] valore aggiunto, relativo alle operazioni che danno diritto a [detrazione] (...), -al denominatore lĠimporto totale della cifra dĠaffari annua, al netto dellĠimposta sul valore aggiunto, relativo alle operazioni che figurano al numeratore e a quelle che non danno diritto a [detrazione]. (...) Il prorata viene determinato su base annuale, in percentuale e viene arrotondato allĠunitˆ superiore. 2. In deroga alle disposizioni del paragrafo 1, per il calcolo del prorata di [detrazione], non si tiene conto (...) dellĠimporto della cifra dĠaffari relativa alle operazioni accessorie, immobiliari o finanziarie (...)È. 7 La sesta direttiva  stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dĠimposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), entrata in vigore il 1Ħ gennaio 2007. Diritto italiano 8 LĠarticolo 10, numero 1), del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 - Istituzione e disciplina dellĠimposta sul valore aggiunto, (GURI n. 292, dellĠ11 novembre 1972), nella sua versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il ÇDPR n. 633/72È), cos“ dispone: ÇSono esenti dallĠimposta: le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento (...)È. 9 LĠarticolo 19, comma 5, del DPR n. 633/72, prevede quanto segue: ÇAi contribuenti che esercitano sia attivitˆ che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attivitˆ che danno luogo ad operazioni esenti (É), il diritto alla detrazione dellĠimposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare  determinato applicando la percentuale di detrazione di cui allĠarticolo 19-bisÈ. 10 Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che il metodo di determinazione del diritto a detrazione, previsto allĠarticolo 19, comma 5, del DPR n. 633/72, si applica in relazione al complesso dei beni e dei servizi acquistati da soggetti passivi che effettuano operazioni che danno diritto a detrazione e operazioni esenti. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 91 11 Secondo lĠarticolo 19-bis del DPR n. 633/72: Ç1. La percentuale di detrazione di cui allĠarticolo 19, comma 5,  determinata in base al rapporto tra lĠammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nel- lĠanno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nellĠanno medesimo. La percentuale di detrazione  arrotondata allĠunitˆ superiore o inferiore, a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi. 2. Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto (...), quando non formano oggetto dellĠattivitˆ propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle (É) operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del[lĠ] (É) articolo 10 [del DPR n. 633/72], ferma restando la indetraibilitˆ dellĠimposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioniÈ. 12 LĠarticolo 36 del DPR n. 633/72  redatto nei termini seguenti: Ç(1) Nei confronti dei soggetti che esercitano pi attivitˆ lĠimposta si applica unitariamente e cumulativamente per tutte le attivitˆ, con riferimento al volume di affari complessivo, salvo quanto stabilito nei successivi commi. (2) Se il soggetto esercita contemporaneamente imprese e arti o professioni lĠimposta si applica separatamente per lĠesercizio di imprese e per lĠesercizio di arti o professioni, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume dĠaffari. (3) I soggetti che esercitano pi imprese o pi attivitˆ nellĠambito della stessa impresa, ovvero pi arti o professioni, hanno facoltˆ di optare per lĠapplicazione separata dellĠimposta relativamente ad alcune delle attivitˆ esercitate, dandone comunicazione allĠufficio nella dichiarazione relativa allĠanno precedente o nella dichiarazione di inizio dellĠattivitˆ. In tal caso la detrazione di cui allĠart. 19 spetta a condizione che lĠattivitˆ sia gestita con contabilitˆ separata ed  esclusa, in deroga a quanto stabilito nellĠultimo comma, per lĠimposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente. LĠopzione ha effetto fino a quando non sia revocata e in ogni caso per almeno un triennio. (...) Le disposizioni del presente comma si applicano, altres“, ai soggetti che svolgono (...) attivitˆ esenti dal- lĠimposta ai sensi dellĠarticolo 10, primo comma. (4) LĠimposta si applica in ogni caso separatamente, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al volume di affari di ciascuna di esse, (...). (5) In tutti i casi nei quali lĠimposta  applicata separatamente per una determinata attivitˆ la detrazione di cui allĠart. 19, se ridotta ai sensi del terzo comma dello stesso articolo ovvero se applicata forfettariamente,  ammessa per lĠimposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile allĠesercizio dellĠattivitˆ stessa; i passaggi di servizi allĠattivitˆ soggetta a detrazione ridotta o forfettaria costituiscono prestazioni di servizio ai sensi dellĠart. 3 e si considerano effettuati, in base al loro valore normale, nel momento in cui sono rese (...)È. Procedimento principale e questione pregiudiziale 13 La Mercedes Benz  responsabile della direzione strategica della commercializzazione dei marchi del gruppo Daimler-Chrysler in Italia. 14 Nella sua dichiarazione IvA per lĠanno dĠimposta 2004, la Mercedes Benz ha qualificato le proprie attivitˆ finanziarie, ossia lĠerogazione di finanziamenti alle societˆ controllate, come ÇaccessorieÈ rispetto alle proprie attivitˆ imponibili, circostanza che lĠha portata a escludere gli interessi maturati su tali finanziamenti dal calcolo del denominatore della frazione che serve a stabilire la percentuale di detrazione di cui allĠarticolo 19-bis del DPR n. 633/72. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 15 A seguito di un controllo fiscale effettuato nel corso del 2008 e riguardante lĠanno dĠimposta 2004, la Mercedes Benz  stata sottoposta, con decisione dellĠAgenzia delle Entrate, a un avviso di accertamento IvA di EUR 1 755 882, per il motivo che gli interessi percepiti su tali finanziamenti erano stati indebitamente esclusi dal denominatore della frazione che era servita a stabilire la percentuale di detrazione, considerato che lĠerogazione di tali finanziamenti era una delle principali attivitˆ della Mercedes Benz, poichŽ gli interessi maturati su di essi rappresentavano il 71,64% della sua cifra dĠaffari complessiva. 16 La Mercedes Benz ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma (Italia), che lo ha respinto. Successivamente, la Mercedes Benz ha interposto appello avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, la Commissione tributaria regionale di Roma (Italia). 17 In occasione di tale controversia, la Mercedes Benz ha sostenuto che era legittimata ad escludere gli interessi maturati sui finanziamenti erogati dal denominatore della frazione che era servita a stabilire la percentuale di detrazione dellĠIvA e ha fatto valere in particolare che, comunque, il legislatore nazionale non aveva trasposto correttamente gli articoli 168 e da 173 a 175 della direttiva 2006/112 prevedendo che il prorata di detrazione di cui allĠarticolo 19-bis del DPR n. 633/72 si applichi indistintamente al complesso dei beni e dei servizi acquistati da un soggetto passivo, senza distinzione a seconda che tali beni e tali servizi siano destinati a operazioni che danno diritto a detrazione, a operazioni che non conferiscono tale diritto o a entrambi i tipi di operazioni. 18 In tali circostanze, la Commissione tributaria regionale di Roma ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: ÇDica la Corte se, ai fini dellĠesercizio del diritto di detrazione, ostino allĠinterpretazione degli art[icoli] 168, 173, 174 e 175 della direttiva n. 2006/112/CE, orientata secondo i principi di proporzionalitˆ, effettivitˆ e neutralitˆ, siccome individuati nel diritto comunitario, la legislazione nazionale (segnatamente, gli articoli 19, 5ĵ comma e 19-bis, del D.P.R. 633/1972) e la prassi dellĠAmministrazione fiscale nazionale che impongano il riferimento alla composizione del volume dĠaffari dellĠoperatore, anche per lĠindividuazione delle operazioni cosiddette accessorie, senza prevedere un metodo di calcolo fondato sulla composizione e destinazione effettiva degli acquisti, e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attivitˆ -tassate e non tassate - esercitate dal contribuenteÈ. sulla questione pregiudiziale osservazioni preliminari 19 In primo luogo, sebbene il giudice del rinvio si sia formalmente riferito, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, agli articoli 168 e da 173 a 175 della direttiva 2006/112, si deve rilevare che nellĠanno dĠimposta di cui trattasi nel procedimento principale il diritto a detrazione dei soggetti passivi era principalmente disciplinato dagli articoli 17 e 19 della sesta direttiva. 20 In secondo luogo, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, adottando lĠarticolo 19, comma 5, e lĠarticolo 19-bis del DPR n. 633/72, il legislatore nazionale ha inteso fare uso del metodo derogatorio previsto allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva. 21 In tali circostanze occorre ritenere che, con la sua questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), e lĠarticolo 19 della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa e a CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 93 una prassi nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: -di applicare alla totalitˆ dei beni e dei servizi da esso acquistati un prorata di detrazione basato sulla cifra dĠaffari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attivitˆ tassate e non tassate; e -di riferirsi alla composizione della sua cifra dĠaffari per lĠindividuazione delle operazioni qualificabili come ÇaccessorieÈ. risposta della Corte 22 occorre anzitutto ricordare che, in forza dellĠarticolo 17, paragrafo 2, della sesta direttiva, i soggetti passivi hanno la possibilitˆ di detrarre lĠimposta che ha gravato lĠacquisto o la fornitura di beni o di servizi destinati a essere utilizzati esclusivamente per la realizzazione delle operazioni soggette ad imposta. 23 Per quanto riguarda i beni e i servizi destinati a essere utilizzati ai fini sia delle operazioni che danno diritto a detrazione sia delle operazioni che non conferiscono tale diritto, lĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, di tale direttiva prevede che la detrazione sia ammessa soltanto per il prorata dellĠIvA relativo alla prima categoria di operazioni. 24 Tuttavia, lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva consente agli Stati membri di ricorrere a metodi di determinazione del diritto a detrazione specifici, a carattere derogatorio, tra i quali figura quello enunciato al punto d) di tale disposizione (v., in tal senso, sentenza dellĠ8 novembre 2012, BLC Baumarkt, C.511/10, EU:C:2012:689, punto 24). 25 Conformemente allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, uno Stato membro pu˜ autorizzare od obbligare un soggetto passivo ad operare la detrazione, secondo la norma di cui allĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, di tale direttiva, relativamente a tutti i beni e i servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate. 26 In primo luogo, occorre esaminare se lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, letto nel suo contesto, debba essere interpretato nel senso che il metodo di calcolo del diritto a detrazione dellĠIvA da esso previsto implichi il ricorso a un prorata di detrazione fondato sulla cifra dĠaffari. 27 A tale riguardo, va rilevato che, contrariamente agli altri metodi di calcolo derogatori enunciati allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva, quello previsto al suo punto d) prevede espressamente che tale metodo sia applicato secondo la norma di cui allĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, di tale direttiva. 28 orbene, come risulta dal punto 23 della presente sentenza, la norma di cui allĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, della sesta direttiva non precisa come il prorata dellĠIvA relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione debba essere concretamente determinato. 29 Ci˜ detto, il secondo comma dellĠarticolo 17, paragrafo 5, della sesta direttiva, che segue immediatamente il primo comma e inizia con i termini Çdetto prorataÈ, riferendosi cos“ al prorata di detrazione previsto al primo comma, precisa che detto prorata deve essere determinato conformemente allĠarticolo 19 di tale direttiva. 30 orbene, lĠarticolo 19, paragrafo 1, della sesta direttiva dispone che il prorata di detrazione previsto allĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, della medesima direttiva deve essere stabilito sulla base di una frazione avente, al numeratore, la cifra dĠaffari relativa alle operazioni che danno diritto a detrazione e, al denominatore, la cifra dĠaffari relativa a tali operazioni e alle operazioni che non danno diritto a detrazione. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 31 Pertanto, si deve intendere il riferimento, figurante allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, alla conformitˆ alla norma di cui al primo comma di tale paragrafo, come implicante lĠutilizzo di un prorata di detrazione fondato sulla cifra dĠaffari nellĠattuazione di tale disposizione. 32 Ne deriva che lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, letto in combinato disposto con lĠarticolo 17, paragrafo 5, primo e secondo comma nonchŽ con lĠarticolo 19, paragrafo 1, di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che il metodo di calcolo del diritto a detrazione dellĠIvA che esso prevede implica il ricorso a un prorata fondato sulla cifra dĠaffari. 33 In secondo luogo, occorre esaminare se lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva osti a che uno Stato membro imponga a un soggetto passivo di applicare al complesso dei beni e dei servizi da esso acquistati un prorata di detrazione fondato sulla cifra dĠaffari, e ci˜ senza tener conto della natura e della destinazione effettiva di ciascuno di tali beni e di tali servizi. 34 A tale riguardo, da un lato, dalla formulazione stessa dellĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, della sesta direttiva risulta che il calcolo di un prorata di detrazione per determinare lĠimporto dellĠIvA detraibile , in linea di principio, riservato unicamente ai beni e servizi utilizzati da un soggetto passivo per effettuare nel contempo operazioni economiche che danno diritto a detrazione e operazioni economiche che non conferiscono diritto a detrazione (v., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2012, Portugal Telecom, C.496/11, EU:C:2012:557, punto 40, e del 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey GrundstŸcksgemeinschaft, C.332/14, EU:C:2016:417, punto 25). 35 DallĠaltro lato, in forza dellĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva,  consentito agli Stati membri autorizzare o obbligare un soggetto passivo ad operare la detrazione Çsecondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplateÈ. 36 Dato che lĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, della sesta direttiva, richiamato espressamente allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), di tale direttiva, si riferisce sia alle operazioni che danno diritto a detrazione sia a quelle che non conferiscono tale diritto, si devono intendere i termini Çtutte le operazioni ivi contemplateÈ come comprendenti entrambi i tipi di operazioni menzionati allĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, di detta direttiva. 37 orbene, contrariamente al primo comma dellĠarticolo 17, paragrafo 5, della sesta direttiva, il terzo comma, lettera d), del medesimo articolo 17, paragrafo 5, non utilizza i termini Çsia...siaÈ. 38 In mancanza di una siffatta precisazione, lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva deve essere inteso nel senso che si riferisce al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo al fine di realizzare tanto le operazioni che danno diritto a detrazione quanto quelle che non conferiscono tale diritto, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia lĠuno sia lĠaltro tipo di operazioni. 39 occorre infatti ricordare che, allorchŽ una disposizione di diritto dellĠUnione pu˜ avere diverse interpretazioni, occorre dare prioritˆ a quella che  idonea a salvaguardare il suo effetto utile (v., in particolare, sentenza del 9 marzo 2000, EKW e Wein & Co, C.437/97, EU:C:2000:110, punto 41). 40 orbene, interpretare lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva nel senso che esso si applichi unicamente con riferimento ai beni e ai servizi utilizzati CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE per realizzare ÇsiaÈ operazioni che danno diritto a detrazione ÇsiaÈ operazioni che non conferiscono tale diritto condurrebbe ad attribuire a tale disposizione la medesima portata dellĠarticolo 17, paragrafo 5, primo comma, di tale direttiva, alla quale si suppone che tale disposizione debba invece derogare. 41 Certamente, il giudice del rinvio sembra nutrire dubbi riguardo alla compatibilitˆ dellĠinterpretazione esposta al punto 38 della presente sentenza con i principi di proporzionalitˆ delle detrazioni, di effettivitˆ del diritto a detrazione e di neutralitˆ dellĠIvA. 42 Tuttavia, senza dover esaminare quale sia lĠincidenza precisa di tali principi sullĠinterpretazione dellĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva, va constatato che la presa in considerazione di questi principi, che informano il sistema dellĠIvA, ma ai quali il legislatore pu˜ validamente derogare, non pu˜ comunque giustificare unĠinterpretazione che privi detta deroga, voluta espressamente dal legislatore, di qualsiasi effetto utile. 43 Le considerazioni svolte al punto 38 della presente sentenza sono, inoltre, avvalorate da uno degli obiettivi perseguiti dalla sesta direttiva consistente, come risulta dal suo diciassettesimo considerando, nellĠautorizzare il ricorso a regole di applicazione relativamente semplici (v., in tal senso, sentenza dellĠ8 marzo 2012, Commissione/Portogallo, C.524/10, EU:C:2012:129, punto 35). 44 Infatti, applicando la regola di calcolo prevista allĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, i soggetti passivi non hanno lĠobbligo di imputare i beni e i servizi che acquistano o alle operazioni che danno diritto a detrazione, o a quelle che non conferiscono un tale diritto, o a entrambi i tipi di operazioni e, di conseguenza, le amministrazioni fiscali nazionali non sono tenute a verificare se tale imputazione sia stata correttamente effettuata. 45 In terzo luogo, occorre determinare se a uno Stato membro sia consentito, tenuto conto dellĠarticolo 19, paragrafo 2, della sesta direttiva, imporre che tale soggetto passivo si riferisca parimenti alla composizione della sua cifra dĠaffari al fine di identificare, tra le operazioni realizzate, quelle che sono qualificabili come ÇaccessorieÈ. 46 A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dellĠarticolo 19, paragrafo 2, della sesta direttiva, per stabilire il prorata di cui al paragrafo 1 di tale articolo, non si deve tener conto dellĠimporto della cifra dĠaffari relativa alle Çoperazioni accessorie, immobiliari o finanziarieÈ. orbene, questĠultima nozione non  definita dalla sesta direttiva. 47 Tuttavia, la Corte ha giˆ precisato che, se  pur vero che lĠentitˆ dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della sesta direttiva pu˜ costituire un indizio del fatto che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie, ai sensi dellĠarticolo 19, paragrafo 2, di tale direttiva, la circostanza che redditi superiori a quelli prodotti dallĠattivitˆ indicata come principale dallĠimpresa interessata provengano da tali operazioni non pu˜, di per sŽ, escludere la qualificazione di queste ultime quali Çoperazioni accessorieÈ ai sensi della disposizione medesima (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2004, EDM, C.77/01, EU:C:2004:243, punto 77). 48 Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che unĠattivitˆ economica deve essere qualificata come ÇaccessoriaÈ, ai sensi dellĠarticolo 19, paragrafo 2, della sesta direttiva qualora essa non costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dellĠattivitˆ imponibile dellĠimpresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per i quali lĠIvA  dovuta (v., in tal senso, sentenze dellĠ11 luglio 1996, RŽgie dauphinoise, C.306/94, EU:C:1996:290, punto 22; del 29 aprile 2004, EDM, C.77/01, EU:C:2004:243, punto 76, e del 29 ottobre 2009, NCC Construction Danmark, C.174/08, EU:C:2009:669, punto 31). RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo - N. 1/2017 49 Pertanto, si deve constatare che la composizione della cifra dĠaffari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come ÇaccessorieÈ, ai sensi dellĠarticolo 19, paragrafo 2, seconda frase, della sesta direttiva, ma che si deve altres“ tener conto, a tal fine, del rapporto tra dette operazioni e le attivitˆ imponibili di tale soggetto passivo nonchŽ, eventualmente, dellĠimpiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali lĠIvA  dovuta. 50 DallĠinsieme delle considerazioni che precedono risulta che lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), e lĠarticolo 19 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa e a una prassi nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: -di applicare alla totalitˆ dei beni e dei servizi da esso acquistati un prorata di detrazione basato sulla cifra dĠaffari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attivitˆ tassate e non tassate; e -di riferirsi alla composizione della sua cifra dĠaffari per lĠindividuazione delle operazioni qualificabili come ÇaccessorieÈ, a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altres“ del rapporto tra dette operazioni e le attivitˆ imponibili di tale soggetto passivo nonchŽ, eventualmente, dellĠimpiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali lĠIvA  dovuta. sulle spese 51 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: lĠarticolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), e lĠarticolo 19 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari -sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa e a una prassi nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: - di applicare alla totalitˆ dei beni e dei servizi da esso acquistati un prorata di detrazione basato sulla cifra dĠaffari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attivitˆ tassate e non tassate; e - di riferirsi alla composizione della sua cifra dĠaffari per lĠindividuazione delle operazioni qualificabili come ÇaccessorieÈ, a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altres“ del rapporto tra dette operazioni e le attivitˆ imponibili di tale soggetto passivo nonchŽ, eventualmente, dellĠimpiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali lĠimposta sul valore aggiunto  dovuta. Cos“ deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 dicembre 2016. CONTENZIOSONAZIONALE Brevi note sulla trasmissibilitˆ alla nascita del cognome materno dopo la sentenza della Corte EDU Cusan e Fazzo c. Italia del 7 gennaio 2014, n. 77. Nota a Corte Costituzionale n. 286 del 21 dicembre 2016 Giulia Fabrizi* Va dichiarata l'illegittimitˆ costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., 72, comma 1, del R.D. n. 1238 del 1939 e artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 3 novembre 2000, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, atteso che siffatta preclusione pregiudica il diritto all'identitˆ personale del minore e, al contempo, costituisce un'irragionevole disparitˆ di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalitˆ di salvaguardia dell'unitˆ familiare. Di conseguenza, ai sensi dell'art. 27 della l. n. 87 del 1953 va dichiarata l'illegittimitˆ costituzionale dell'art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno e dell'art. 299, comma 3, c.c., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. con la sentenza in epigrafe (1), la corte costituzionale ha operato un primo intervento sul delicato tema dellĠattribuzione alla prole anche del cognome materno, al momento della nascita. Il Giudice delle leggi, preso atto della lacunositˆ del vigente sistema norma (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura Generale dello Stato. In tema si rinvia a RobeRto De FelIce, Che cosa  un nome? Brevi appunti sul diritto al nome, in questa Rass., p. 229 ss. (1) http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do, pubblicata in GU 1a Serie Speciale Corte Costituzionale, n. 52 del 28 dicembre 2016. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 tivo in subiecta materia, pi volte denunciata sia in sede comunitaria che nazionale (infra), ha iniziato a muoversi in direzione pi conforme ai principi ivi sanciti. la soluzione adottata, invero, nella sua pur pregevole innovazione, non ha avuto quella portata dirompente che avrebbe potuto prospettarsi, configurandosi, piuttosto, come un ÒponteÓ tra vecchio e, auspicabilmente, nuovo. Il giudizio a quo. Il giudizio di costituzionalitˆ ha preso avvio da unĠordinanza di remissione emessa dalla corte di Appello di Genova (2). Nel caso di specie, le parti reclamanti -di nazionalitˆ brasiliana -avevano proposto ricorso innanzi al tribunale di Genova (3), in composizione collegiale, avverso il rifiuto opposto dallĠUfficiale dello stato civile del comune di Genova di attribuire al figlio anche il cognome materno. Il tribunale rigettava il gravame motivando il provvedimento sullĠassunto che nellĠordinamento italiano lĠattribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, seppur non prevista da alcuna specifica disposizione di legge,  desunta da una serie di disposizioni regolatrici diverse, quali gli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., lĠart. 72 del R.D. n. 1238 del 1939 e gli artt. 33 e 34 del d.P.R. 396 del 2000. Il tribunale richiamava la sentenza n. 61 del 2006 (4) con la quale la consulta aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimitˆ costituzionale relativa alle norme predette, e ribadiva che la richiesta avanzata dalle parti non sarebbe stata conforme neppure alla legislazione brasiliana, nella quale sarebbe stato il cognome paterno a posporsi a quello materno (5). Avverso il provvedimento del tribunale le parti proponevano reclamo, contestando tutte le motivazioni addotte e precisando che la richiamata sentenza della corte costituzionale, pur avendo dichiarato inammissibile la questione di costituzionalitˆ, aveva qualificato lĠattuale sistema di attribuzione del solo cognome paterno Òun retaggio del passato, lesivo dei valori costituzionali dellĠuguaglianza tra uomo e donnaÓ. (2) ordinanza del 26 novembre 2013, n. 31, pubblicata in G.U 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale, n. 13 del 19 marzo 2014. (3) trattasi di ricorso ex art. 95 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, previsto per la rettificazione di atti dello stato civile, ai sensi del quale, ÒChi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale  registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento. Il procuratore della Repubblica pu˜ in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1. L'interessato pu˜ comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identitˆ personaleÓ. (4) V. infra nota 13. (5) Il sistema brasiliano di trasmissione del cognome trova la sua disciplina nella Lei de Registros Pœblicos, n. 6015 del 31 dicembre 1973 e ss.mm.ii., in specie, nellĠart. 60, secondo cui ÒO registro conter‡ o nome do pai ou da m‹e, ainda que ileg’timos, quando qualquer deles for o declarante.Ó coNteNzIoSo NAzIoNAle la corte di Appello, recependo le doglianze dei reclamanti, formulava lĠordinanza di remissione al Giudice delle leggi (6) sollevando la questione di costituzionalitˆ degli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonchŽ dellĠart. 72 del R.D. n. 1238 del 1939 e degli artt. 33 e 34 del d.P.R. 396 del 2000, in relazione agli artt. 2, 3, 29, comma 2 e 117 della costituzione. Il remittente ribadiva che lĠattribuzione automatica del cognome paterno al figlio, pur non prevista da una norma specifica, si desumeva dal sistema normativo, in quanto presupposta dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonchŽ dallĠart. 72 del R.D. n. 1238 del 1939 e dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. 396 del 2000. la citata pronuncia della corte costituzionale n. 61 del 2006, pur avendo dichiarato inammissibile la questione relativa alle norme predette, aveva affermato che ÒlĠattuale sistema di attribuzione del cognome  retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestˆ maritale, non pi coerente con i principi dellĠordinamento e con il valore costituzionale dellĠuguaglianza tra uomo e donnaÓ. Nel caso di specie, la consulta aveva ritenuto la questione ÒesorbitanteÓ rispetto alle sue funzioni, auspicando un intervento risolutore del legislatore. Si riscontrava, inoltre, una reiterata violazione degli obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna del 18 dicembre 1979, resa esecutiva in Italia con la legge 14 marzo 1985, n. 132 (7). Il giudice a quo richiamava le due sentenze n. 348 e 349 del 2007 (8) della stessa corte costituzionale, nelle quali era stato affrontato il tema concernente lĠobbligo del legislatore ordinario, in forza del nuovo art. 117 cost., comma 1, di rispettare le norme comunitarie di natura convenzionale, qualificate come Ònorme interposteÓ, con conseguente violazione dellĠart. 117 della norma nazionale con le stesse incompatibile. Di tale meccanismo non avrebbe potuto avvalersi la consulta nel 2006, in quanto la possibilitˆ di utilizzare le norme convenzionali come norme interposte e quindi come parametro di costituzionalitˆ della norma interna sullĠattribuzione automatica del cognome paterno al momento della nascita, era sorta solamente a seguito dellĠapprovazione del nuovo art. 117, comma 1, e della citata interpretazione elaborata dalla corte costituzionale. (6) V. supra nota 2. (7) http://www.un.org/womenwatch/daw/cedaw/text/econvention.htm in specie, lĠart. 16, comma 1, lettera g), ai sensi del quale, ÒStates Parties shall take all appropriate measures to eliminate discrimination against women in all matters relating to marriage and family relations and in particular shall ensure, on a basis of equality of men and women (..). The same personal rights as husband and wife, including the right to choose a family name, a profession and an occupationÓ. (8) Sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007, pubblicate in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 42 del 31 novembre 2007. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Il remittente ribadiva che, a seguito della ratifica del trattato di lisbona nel 2008, si era aperta la via allĠapplicazione diretta delle norme del trattato stesso e al controllo di costituzionalitˆ delle norme interne in relazione a quelle comunitarie. Segnatamente, si menzionavano gli artt. 1-bis e 2, in tema di paritˆ tra donne e uomini e di promozione della paritˆ, lĠart. 6 in tema di riconoscimento di diritti, libertˆ e principi sanciti dalla carta dei diritti fondamentali dellĠUnione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000, che prevedeva, inoltre, lĠadesione alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo, i cui diritti fondamentali costituiscono principi generali del diritto dellĠUnione. Alla luce delle considerazioni suesposte, il giudice a quo ribadiva il palese contrasto della disciplina in tema di automatica attribuzione del cognome paterno al momento della nascita con lĠart. 2 della costituzione, in quanto violazione del diritto allĠidentitˆ personale, che trova il primo ed immediato riscontro nel nome e che identifica il singolo in seno alla collettivitˆ, che si estrinseca nel diritto del singolo di vedersi riconosciuti i segni identificativi di entrambi i rami genitoriali, nonchŽ nel diritto della madre di poter trasmettere al figlio il proprio cognome. In secundis, si riscontrava la violazione dellĠart. 3 della costituzione, quale diritto di uguaglianza e pari dignitˆ sociale dei genitori nei confronti dei figli, dellĠart. 29, quale diritto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, menomato innegabilmente dallĠobbligatoria prevalenza del cognome paterno, nonchŽ dellĠart. 117, comma 1 - alla luce dellĠinterpretazione della consulta nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 -, avendo le norme convenzionali richiamate natura di norme interposte e dunque di parametro di costituzionalitˆ delle norme interne. LĠoggetto del giudizio. con la sentenza in epigrafe (9) la corte costituzionale ha accolto le doglianze ÒlimitateÓ del giudice a quo, pervenendo ad una declaratoria di illegittimitˆ costituzionale degli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠarticolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127) nella parte in cui non prevedono la possibilitˆ per i coniugi, di comune accordo, di attribuire alla prole anche il cognome materno al momento della nascita, recependo, infine, i risalenti e reiterati moniti provenienti sia dalla giurisprudenza comunitaria (10), che da quella nazionale. (9) V. supra nota 1. (10) Vengono, inoltre, richiamate le raccomandazioni del consiglio dĠeuropa 28 aprile 1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362, nonchŽ la risoluzione 27 settembre 1978, n. 37, relative alla piena realizzazione della uguaglianza tra madre e padre nellĠattribuzione del cognome dei figli, nonchŽ alcune coNteNzIoSo NAzIoNAle lĠattribuzione ipso jure alla prole del cognome paterno,  una regola non enunciata expressis verbis in alcuna disposizione legislativa, ma espressione di un principio che, oltre ad essere saldamente penetrato nella coscienza sociale, affonda le proprie radici nel sistema (11), tanto da poter agevolmente, seppur implicitamente, essere colto in numerose disposizioni legislative (12), tra cui quelle poste allĠesame della consulta. I precedenti costituzionali. la corte richiama due pregresse pronunce (13) in cui analoga questione era stata prospettata e, sebbene non risolta in ragione della inammissibilitˆ dei rispettivi ricorsi, aveva in essi svolto alcune considerazioni sul favor verso un criterio di attribuzione del nome distintivo dei membri della famiglia che fosse pi rispettoso della uguaglianza morale e dellĠautonomia dei coniugi. Giˆ nellĠordinanza n. 176 del 1988, la corte auspicava che il legislatore elaborasse un criterio di attribuzione ÒoriginariaÓ del cognome alla nascita che meglio garantisse e tutelasse il dettato dellĠart. 29 cost., posto a presidio del- lĠuguaglianza morale e giuridica dei coniugi, affermando che ÒSarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all'evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, pi rispettoso dell'autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall'art. 29 Cost., anzichŽ avvalersi dell'autorizzazione a limitare l'uno in funzione dell'altro; che, peraltro, siffatta innovazione normativa, per la quale e stato presentato giˆ nelle passate legislature e riproposto in quella in corso un disegno di legge di iniziativa parlamentare, e una questione di politica e di tecnica legislativa di competenza esclusiva del "conditor iuris" (14). pronunce della corte europea dei diritti dellĠuomo, che vanno nella direzione della eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere nella scelta del cognome: sentenze 16 febbraio 2005, Unal Tekeli contro Turchia; 24 ottobre 1994, Stjerna contro Finlandia; 24 gennaio 1994, Burghartz contro Svizzera, (vedi infra). (11) PAcINI, Una consuetudine secolare da rivedere, in Giur. merito, 1985, 1243 ss., nel senso di una consuetudine ormai contra legem; nello stesso senso, PRoSPeRI, LĠeguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli, in Rass. dir. civ., 1996, 841 ss. Di contro, cARRARo, Della filiazione naturale e della legittimazione, sub art. 262, in Commentario al diritto italiano della famiglia, vol. IV, 686, rileva che una tale ÒconsuetudineÓ sia invece conforme al dettato dellĠart. 29 cost. (12) Secondo parte della dottrina, SANtoRo PASSARellI, Diritti e doveri dei coniugi, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di cIAN, oPPo, tRAbUcchI, 1992 la regola dellĠattribuzione ipso jure alla prole del cognome paterno risponde allĠesigenza di assicurare lĠunitˆ del nucleo familiare: ÒLĠassunzione del cognome dei figli legittimi  parsa cos“ inerente al principio dellĠunitˆ, che non si trova disposta testualmente nel codiceÓ. Nello stesso senso, cAttANeo, Il cognome della moglie e dei figli, in Riv. Dir. Civ. 1997, 1, pag. 63 e ss. (13) corte cost. ord. n. 176 dellĠ11 febbraio 1988, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 8 del 24 febbraio 1988; corte cost. sent. n. 61 del 16 febbraio 2006 pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 8 del 22 febbraio 2006. (14) Nel caso di specie, nel corso di un procedimento di rettificazione di un atto di nascita, in RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 A distanza di ben diciotto anni, nella sentenza n. 61 del 2006, si rilevava, alla luce dellĠimmutato quadro normativo, come il sistema vigente costituisse ormai retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, per nulla confacente allĠevoluzione dellĠordinamento vigente e del rapporto tra coniugi allĠinterno del nucleo familiare: ÒTuttavia, l'intervento che si invoca con la ordinanza di rimessione richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte. Ed infatti, nonostante l'attenzione prestata dal collegio rimettente a circoscrivere il petitum, limitato alla richiesta di esclusione del- l'automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nelle sole ipotesi in cui i coniugi abbiano manifestato una concorde diversa volontˆ, viene comunque lasciata aperta tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente a detta volontˆ -con la conseguente necessitˆ di stabilire i criteri cui l'ufficiale dello stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo -ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all'atto della nascita di ciascuno di essi. Del resto, la stessa eterogeneitˆ delle soluzioni offerte dai diversi disegni di legge presentati in materia nel corso della XIV legislatura (v., tra gli altri, disegno di legge n. 1739-S., che prevede che ai figli legittimi nati in costanza di matrimonio sia attribuito il cognome di entrambi i genitori, e che sia riportato per primo quello del padre, ed inoltre che il figlio naturale assuma il doppio cognome di chi lo ha riconosciuto; disegno di legge n. 1454S., secondo il quale, all'atto della registrazione del figlio, l'ufficiale di stato civile, sentiti i genitori, attribuisca al neonato il cognome del padre, ovvero quello della madre, ovvero entrambi nell'ordine determinato di comune accordo tra i genitori stessi, e, in caso di mancato accordo, i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico; disegno di legge n. 3133-S., che, dopo aver disposto che il cognome parentale  composto dal primo cognome di ciascuno dei genitori, prevede, quanto all'ordine dei cognomi stessi, che, nel staurato dai coniugi X e Y in conseguenza del rifiuto opposto dall'ufficiale di stato civile di Mezzolombardo alla loro richiesta congiunta di imporre al figlio z. entrambi i loro cognomi, il tribunale di trento, con ordinanza del 7 maggio 1987 (ord. n. 311 del 1987), aveva sollevato questione di legittimitˆ costituzionale dell'art. 71 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, dell'art. 72, ultimo comma, del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 e dell'art. 73 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 sull'ordinamento dello stato civile, nella parte in cui "non prevedono e consentono ai genitori la facoltˆ di determinare anche il cognome da attribuire al proprio figlio legittimo mediante l'imposizione di entrambi i loro cognomi, e in quanto non prevedono il diritto di quest'ultimo di assumere anche il cognome materno". Si deduceva che le disposizioni denunziate, in quanto presupponevano una norma - implicita nel sistema del codice civile - che attribuiva ai figli legittimi esclusivamente il cognome paterno, erano reputate dal giudice remittente in contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., perchŽ avrebbero violato il diritto del figlio all'identitˆ personale, il principio di uguaglianza dei cittadini in generale e il principio di uguaglianza dei coniugi in particolare, nonchŽ, infine, anche i diritti dei membri della famiglia legittima in rapporto al trattamento previsto per i figli naturali dall'art. 262, comma secondo, cod. civ. coNteNzIoSo NAzIoNAle corso della celebrazione del matrimonio, gli sposi, con dichiarazione resa davanti all'ufficiale dello stato civile, stabiliscono se il primo cognome della madre preceda quello del padre o viceversa, e che, in assenza di manifestazioni di volontˆ, il cognome parentale  composto dal primo cognome del padre e dal primo cognome della madre) testimonia la pluralitˆ delle opzioni prospettabili, la scelta tra le quali non pu˜ che essere rimessa al legislatore. Per tali ragioni, e tenuto conto del vuoto di regole che determinerebbe una caducazione della disciplina denunciata, non  ipotizzabile, come adombrato nella ordinanza di rimessione, nemmeno una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalitˆ, demandi ad un futuro intervento del legislatore la successiva regolamentazione organica della materiaÓ (15). In quella sede il Giudice della leggi, pur non potendo entrare nel merito della questione, in quanto avrebbe posto in essere unĠoperazione esorbitante le sue funzioni che avrebbe parimenti lasciato un vuoto di tutela colmabile unicamente dallĠattivitˆ normativa, assumeva indubbiamente un atteggiamento pi critico nei confronti di un sistema che, conforme allĠideologia a cui era ispirato il codice civile nel 1942, si prestava ormai a censure di anacronismo e di non rispondenza allĠevoluzione dellĠordinamento. Nella sentenza in commento la corte redarguisce lĠoperato, anzi il non operato del legislatore, evidenziando come, anche a distanza di un notevole lasso temporale, alcun intervento legislativo sullĠattribuzione originaria del cognome al momento della nascita fosse stato attuato (16). lĠunico risultato concreto, rappresentato dalla disciplina sul cambiamento di cognome - abrogazione degli artt. 84, 85, 86, 87, 88 del d.P.R n. 396 del 2000 e modifica del- lĠart. 89 ad opera del d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54 -non aveva attinto la disciplina dellĠattribuzione originaria del cognome (17), considerato uno dei (15) Nel caso di specie, la corte di cassazione, I Sez. civile, chiamata a decidere sul ricorso proposto nei confronti della sentenza della corte d'appello di Milano con la quale si confermava la decisione del tribunale di Milano di rigetto della domanda dei coniugi c.A. e F.l. diretta ad ottenere la rettificazione dell'atto di nascita della propria figlia minore nel senso che le fosse imposto il cognome materno in luogo di quello paterno, risultante dall'atto formato dall'ufficiale dello stato civile, in contrasto con la volontˆ espressa dal padre al momento della dichiarazione di nascita, con ordinanza del 17 luglio 2004, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, della costituzione, questione di legittimitˆ costituzionale degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, del codice civile, 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell' art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre anche quando vi sia in proposito una diversa volontˆ dei coniugi, legittimamente manifestata. (16) Neppure il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dellĠarticolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con cui il legislatore aveva posto le basi per la completa equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo lĠunicitˆ dello status di figlio, era riuscito a scalfire la norma censurata. (17) lĠart. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, modificato dallĠart. 2, comma 1, del d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, cos“ recita: ÒSalvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perchŽ ridicolo o ver RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 corollari del diritto alla identitˆ personale nonchŽ segno distintivo della personalitˆ, tanto del minore, quanto della madre (18). La rilevanza costituzionale del diritto al nome. Violazione dellĠarticolo 2 Cost. Il primo profilo di illegittimitˆ costituzionale viene rinvenuto dalla consulta in una totale distonia delle norme de quibus rispetto alla piena garanzia del diritto allĠidentitˆ personale (19) come aspetto della rilevanza costituzionale che la persona vede garantito dallĠart. 2 della costituzione (20). gognoso o perchŽ rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione  situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta. 2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere. 3. In nessun caso pu˜ essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenzaÓ. (18) V. nota 27 (19) Una delle prime teorie dottrinali in materia, StolFI, I segni di distinzione personale, 1905, 85 ss., costruiva il diritto al nome secondo lo schema del diritto di proprietˆ (sul nome), al fine di affermarne lĠinviolabilitˆ, inalienabilitˆ e imprescrittibilitˆ. Per altri, SANtoRo PASSARellI, Dottrine generali del diritto civile, 1977, 50-51, il diritto al nome doveva essere inquadrato in uno schema prettamente pubblicistico, al fine di distinguere i consociati lĠuno dallĠaltro, per esigenze di ordine pubblico. la dottrina dominante ha da tempo superato sia la concezione del dominium, che quella pubblicistica, mettendo in luce come il diritto al nome ex art. 6 cod. civ. avesse natura di diritto soggettivo personale, espressivo dellĠidentitˆ personale del singolo individuo e come tale essenziale, imprescrittibile, irrinunciabile, indisponibile. beSSoNe e FeRRANDo, voce Persona fisica (dir. priv.) in Enc. dir., XXXIII, 1983, 193-223; MAcIoce, Tutela civile della persona e identitˆ personale, 1984, 46-51, secondo cui Òvi sono diritti a struttura complessa, che presentano caratteri tali da sfuggire a qualsiasi elementare classificazione in termini di ci˜ che  fisico e di ci˜ che  morale. E il diritto al nome ne costituisce un chiaro esempio. Esso infatti designa la persona umana nel suo complessoÓ. De cUPIS, I diritti della personalitˆ, in Tratt. Dir. Civ. e comm. 1982, ÒIl nome  strettamente inerente alla persona che appresenta ed individua in sŽ medesima e nelle sue azioni (..) Per mezzo di quel segno distintivo che  il nome, si realizza il bene del- lĠidentitˆ, consistente nel distinguersi nei rapporti sociali dalle altre persone, risultando per chi si  realmente (..). bIANcA, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti. 1990, 175, secondo cui ÒIl diritto al nome tutela un interesse che  reputato essenziale della personaÓ. NIVARRA l., RIccIUto V. e Sco- GNAMIGlIo c., Diritto privato, I diritti della persona, in Foro Italiano, ÒInteso come diritto della persona, il nome non ha pi finalitˆ meramente identificativa ispirata ad unĠelementare esigenza di ordine pubblico: esso assume la qualitˆ di attributo fondamentale del soggetto;  espressione in grado di riassumere e riferire qualitˆ e caratteri a quel determinato soggetto; diviene elemento attraverso il quale il singolo pu˜ agire e distinguersi dalla massa indefinita degli altri consociatiÓ. (20) In dottrina si sono fronteggiati due opposti orientamenti sullĠoggetto dei diritti della personalitˆ. I fautori della concezione monista, FRANceSchellI, Il diritto alla riservatezza, 1960, Napoli, sostengono la sussistenza di un unico diritto della personalitˆ, che sintetizza tutte le diverse forme e gli interessi in cui lo stesso pu˜ manifestarsi; per contro, i sostenitori della concezione pluralista, De cUPIS, I diritti della personalitˆ, in Tratt. Dir. Civ. e comm. 1982, affermano che il nostro ordinamento tutela la persona nella misura in cui sia possibile determinare distinte situazioni giuridiche meritevoli di tutela, ossia diversi diritti della personalitˆ. la Suprema corte, in un primo tempo oscillante tra le due opposte teorie, ha da tempo aderito alla tesi monista, affermando in cass. civ., 9 febbraio 1996, n. 978, che ÒLĠidentitˆ personale  venuta emergendo, nella pi recente elaborazione giurisprudenziale, come bene -valore costituito dalla proiezione sociale della personalitˆ dell'individuo, cui si correla un interesse coNteNzIoSo NAzIoNAle In accordo a precedenti pronunce (21), la corte ribadisce che il diritto al nome, al quale  accordata una valenza sia privatistica -ex art. 6 cod. civ. -che pubblicistica, rappresenta una delle estrinsecazioni del valore dellĠidentitˆ della persona (22), proiettato, in subiecta materia, nellĠappartenenza del singolo ad un gruppo familiare. orbene, i criteri attributivi del cognome al minore non possono non influire sullĠampiezza riconosciuta dallĠordinamento al valore de quo. tale legame indissolubile, invero, era stato riconosciuto nella sentenza n. 297 del 1996, ove la consulta, dichiarando lĠillegittimitˆ costituzionale del- lĠart. 262 cod. civ. laddove non prevedeva che il figlio naturale, nellĠassumere il cognome del genitore che lo aveva riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o aggiungendolo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, aveva qualificato il diritto al nome come Òsegno distintivo della identitˆ personaleÓ idoneo a determinare una corrispondenza tra soggetto e nome (23). del soggetto ad essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identitˆ, a non vedere quindi, all'esterno, modificato, offuscato o comunque alterato il proprio patrimonio intellettuale, ideologico, etico, professionale (ecc.) quale giˆ estrinsecatosi o destinato, comunque, ad estrinsecarsi, nel- l'ambiente sociale, secondo indici di previsione costituiti da circostanze obiettive ed univoche. La specificitˆ di tale interesse ("ad essere se stesso")  stata anche colta in parallelo od in contrappunto ad altri interessi ad esso contermini o collegati come l'interesse ai segni distintivi (nome, pseudonimo), che identificano nell'attuale ordinamento il soggetto sul piano dell'esistenza materiale e della condizione civile; (..) Quest'ultima puntualizzazione che presuppone l'adesione ad una concezione "monistica" dei diritti della personalitˆ (da questa Corte, del resto, giˆ sostanzialmente anticipata nella citata sent. n. 990 del 1963) aiuta anche a definire, senza perplessitˆ, in termini di diritto soggettivo perfetto, la struttura della situazione soggettiva considerata. E consente, nel contempo, di individuare con maggiore risolutezza (superando le riserve affioranti in qualche tratto della motivazione della pure giˆ citata sentenza n. 3769 del 1985) il correlativo fondamento giuridico, ancorandolo direttamente all'art. 2 della Costituzione (Cfr., implicitamente su questa linea, anche Corte Cost. n. 13 del 1994); inteso tale precetto nella sua pi ampia dimensione di clausola generale, "aperta" all'evoluzione dell'ordinamento e suscettibile, per ci˜ appunto, di apprestare copertura costituzionale ai nuovi valori emergenti della personalitˆ in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela del "pieno sviluppo della persona umana", di cui al successivo art. 3 della CostituzioneÓ. (21) corte cost. n. 297 del 23 luglio 1996, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 31 del 31 luglio 1996; corte cost. 268 del 24 giugno 2002, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 26 del 3 luglio 2002. (22) Secondo De cUPIS, Nome e cognome, in Noviss. Dig. It., XI, 1965, 300, Òil nome  strettamente inerente alla persona che appresenta ed individua in se medesima e nelle sue azioni (..) Per mezzo di quel segno distintivo che  il nome, si realizza il bene dellĠidentitˆ, consistente nel distinguersi nei rapporti sociali dalle altre persone, risultando per chi si  realmente (..)Ó. (23) Nel caso di specie con ordinanza del 15 gennaio 1996 il tribunale di Salerno - adito con ricorso diretto ad ottenere l'accertamento del diritto di un figlio naturale di anteporre al cognome, derivatogli dall'(unico) riconoscimento della madre naturale intervenuto oltre quaranta anni dopo il parto, il precedente cognome attribuito dall'ufficiale di stato civile - aveva sollevato questione incidentale di legittimitˆ costituzionale dell'art. 262 del codice civile in riferimento all'art. 2 della costituzione, nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, assumendo il cognome del genitore che per primo lo aveva riconosciuto, avesse diritto di mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo fosse ormai da ritenersi segno distintivo della sua identitˆ personale. In particolare il tribunale rimettente osservava che, tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Analogamente, nella sentenza n. 268 del 2002, si ribadiva che Òcostituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa corte quello per cui il cognome  una "parte essenziale ed irrinunciabile della personalitˆ" che, per tale ragione, gode di tutela di rilievo costituzionale in quanto "costituisce il primo ed immediato elemento che caratterizza l'identitˆ personale"; esso  quindi riconosciuto come un "bene oggetto di autonomo diritto dall'art. 2 cost." e costituisce oggetto di un "tipico diritto fondamentale della persona umana" -sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo, sentenza n. 120 del 2001Ó (24). Nel caso di specie, la corte aveva ritenuto non fondata la questione di legittimitˆ costituzionale dell'art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 -Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori -, nella parte in cui, rinviando all'art. 299 del codice civile per l'attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari, non consentiva che il minore, o i suoi legali rappresentanti, o gli adottanti potessero ottenere, sempre nell'interesse del minore, che questi mantenesse il suo precedente cognome, ovvero lo anteponesse o lo aggiungesse a quello dell'adottante, o ancora sostituisse il cognome dell'adottante al suo (25). Si riteneva, invero, che si trattasse di una disposizione rispettosa della personalitˆ del minore e non discriminatoria; l'attribuzione del doppio cognome era idonea a significare l'avvenuto inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare, senza che nel contempo venisse imposta la perdita del cognome con il quale egli era conosciuto nei diversi ambienti che frequentava e dei legami con la famiglia di origine. la conclusione raggiunta dalla corte nella sentenza in commento rappre della persona umana, l'art. 2 della costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all'identitˆ personale, primo e pi immediato elemento della quale  proprio il nome, sicchŽ sussisteva un'autonoma esigenza di protezione dell'interesse alla conservazione del cognome, attribuito con atto formalmente legittimo, in presenza di una situazione nella quale con quel cognome la persona sia ormai individuata e conosciuta nell'ambiente ove vive. (24) corte cost. n. 13 del 3 febbraio 1994, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 7 del 9 febbraio 1994; corte cost. n. 297 del 18 luglio 1996, pubblicata in GU 1a Serie Speciale -Corte Costituzionale n. 31 del 31 luglio 1996; corte cost. n. 120 dellĠ11 maggio 2001, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 19 del 16 maggio 2001. (25) Nel caso di specie, la corte d'appello di torino -sezione per i minorenni, con ordinanza emessa il 20 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma, della costituzione, questione di legittimitˆ costituzionale dell'art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, rinviando all'art. 299 del codice civile per l'attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari, non consente che il minore, o i suoi legali rappresentanti, o gli adottanti possano ottenere, sempre nell'interesse del minore, che questi mantenga il suo precedente cognome, ovvero lo anteponga o lo aggiunga a quello dell'adottante, o ancora sostituisca il cognome dell'adottante al suo. la corte rimettente era investita dell'esame di un reclamo avverso un provvedimento del tribunale per i minorenni che aveva dichiarato inammissibile un'istanza con la quale si chiedeva l'attribuzione ad un minore, adottato ai sensi dell'art. 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983, del solo cognome dell'adottante (nella fattispecie, il coniuge della madre), con la conseguente sostituzione del suo cognome originario. coNteNzIoSo NAzIoNAle senta, dunque, lĠesito naturale di un processo argomentativo che da tempo aveva preso piede. Ad avvalorare le suesposte considerazioni, si richiama la recente pronuncia della corte europea dei diritti dellĠuomo, Cusan e Fazzo contro Italia del 7 gennaio 2014, n. 77/07 (26), in cui, in un caso analogo a quello del giudizio a quo, lĠimpossibilitˆ per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, mediante apposita richiesta di iscrizione nei registri dello stato civile, anzichŽ quello del padre, veniva ritenuta lesiva dellĠart. 14 in combinato disposto con lĠart. 8 della ceDU. la corte condannava e ammoniva, pertanto, lĠordinamento italiano a colmare tale lacuna legislativa che, da un lato impediva la piena ed effettiva realizzazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso lĠattribuzione del cognome di entrambi i genitori, e dallĠaltro impediva il riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identitˆ personale. Anzi, la corte eDU riteneva la disciplina in esame fortemente discriminatoria nei confronti della madre, alla quale era preclusa in ogni modo, anche con lĠassenso del coniuge, la possibilitˆ di trasmettere ab origine al figlio il segno distintivo del proprio gruppo familiare. Si affermava che ÒLa regola secondo la quale i Çfigli legittimiÈ si vedono attribuire alla nascita il cognome del padre risulta, mediante adeguata interpretazione, dal combinato disposto di un certo numero di articoli del codice civile. La legislazione interna non prevede alcuna eccezione a tale regola. é vero, come sottolinea il Governo, che lĠarticolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 prevede la possibilitˆ di un cambiamento del cognome e che, nel caso di specie, il prefetto di Milano ha autorizzato i ricorrenti a completare il cognome di Maddalena con lĠaggiunta di un altro cognome (quello della madre). Tuttavia, occorre distinguere la determinazione del cognome alla nascita dalla possibilitˆ di cambiare il cognome nel corso della vita. Al riguardo, la Corte rinvia alle considerazioni da essa esposte nellĠambito dellĠeccezione del Governo relativa alla perdita, da parte dei ricorrenti, della qualitˆ di vittime. Alla luce di quanto precede, la Corte  del parere che, nellĠambito della determinazione del cognome da attribuire al Çfiglio legittimoÈ, persone che si trovavano in situazioni simili, vale a dire il ricorrente e la ricorrente, rispettivamente padre e madre del bambino, siano stati trattati in maniera diversa. Infatti, a differenza del padre, la madre non ha potuto ottenere lĠattribuzione del suo cognome al neonato, e ci˜ nonostante il consenso del coniugeÓ (27). (26) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-122470. (27) Nel caso di specie, i ricorrenti presentarono dinanzi al tribunale di Milano un ricorso contro il rifiuto dellĠufficiale di stato civile di iscrizione della figlia con il nome della madre, sostenendo che RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 non vi fosse alcuna disposizione del diritto italiano che lo impedisse. Il tribunale di Milano respinse il ricorso dei ricorrenti osservando che, benchŽ nessuna disposizione di legge imponesse di iscrivere un figlio nato da una coppia sposata con il cognome del padre, tale regola corrispondeva a un principio ben radicato nella coscienza sociale e nella storia italiana. Il tribunale riteneva inoltre superflua la questione dellĠesistenza o meno di una disposizione di legge esplicita, osservando in effetti che, ai sensi del vecchio articolo 144 del codice civile (Çil ccÈ), la donna sposata adottava il cognome del marito, e che i figli potevano essere iscritti solo con tale cognome; esso era di fatto comune ai coniugi, anche se, successivamente, lĠarticolo 143 bis del cc aveva previsto che il cognome del marito potesse essere semplicemente aggiunto a quello della moglie. I ricorrenti proposero appello, ma la corte dĠappello di Milano conferm˜ la sentenza di primo grado osservando che la corte costituzionale aveva affermato pi volte (ordinanze nn. 176 del 28 gennaio 1988 e 586 dellĠ11 maggio 1988) che la mancata previsione della possibilitˆ, per la madre, di trasmettere il proprio cognome ai Çfigli legittimiÈ non violava lĠarticolo 29 (matrimonio ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi) nŽ lĠarticolo 3 (eguaglianza dei cittadini davanti alla legge) della costituzione. essa osserv˜ che la corte costituzionale aveva indicato che spettava al legislatore decidere sullĠopportunitˆ di introdurre un sistema diverso di attribuzione del cognome e che almeno sei disegni o proposte di legge erano allĠepoca allĠesame del Parlamento. ci˜ dimostrava a suo avviso che la regola non scritta di attribuzione del cognome era ancora in vigore; la giurisprudenza del resto non ne aveva messo in dubbio lĠesistenza. I ricorrenti presentarono ricorso per cassazione, la quale, con ordinanza del 26 febbraio 2004, depositata in cancelleria il 17 luglio 2004, ritenne la questione incidentale della legittimitˆ costituzionale della regola che attribuisce ai Çfigli legittimi È il cognome del padre rilevante e non manifestamente infondata; di conseguenza, sospese il procedimento e ordin˜ la trasmissione del fascicolo alla corte costituzionale. Nella motivazione dellĠordinanza, la corte di cassazione precis˜ che la regola in questione non era una norma consuetudinaria, ma risultava dallĠinterpretazione di alcuni articoli del cc. con sentenza (n. 6) del 16 febbraio 2006, la corte costituzionale dichiar˜ inammissibile la questione di legittimitˆ costituzionale. Nella motivazione, la corte costituzionale ritenne che il sistema in vigore di attribuzione del cognome fosse retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e della potestˆ maritale che affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e non era pi coerente con il valore costituzionale del- lĠuguaglianza tra uomo e donna. Inoltre, la corte rilev˜ che lĠarticolo 16, comma 1, lettera g), della convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132) impegnava gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti famigliari e, in particolare, ad assicurare gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome. essa rilev˜ in effetti che veniva lasciata aperta tutta una serie di opzioni, ossia: 1) se la scelta del cognome dipendesse esclusivamente dalla volontˆ dei coniugi; 2) se ai coniugi fosse consentito derogare alla regola; 3) se la scelta dei coniugi dovesse avvenire una sola volta con effetto per tutti i loro figli o dovesse essere espressa all'atto della nascita di ciascuno di essi. la corte costituzionale osserv˜ che i disegni di legge (nn. 1739-S, 1454 S e 3133-S) presentati nel corso della XIV legislatura testimoniavano la pluralitˆ delle opzioni prospettabili, la scelta tra le quali non poteva che essere rimessa al legislatore. Ritenne anche che una dichiarazione di incostituzionalitˆ delle disposizioni interne pertinenti avrebbe determinato un vuoto giuridico. con sentenza del 29 maggio 2006, depositata in cancelleria il 16 luglio 2006, la corte di cassazione prese atto della decisione della corte costituzionale e respinse il ricorso dei ricorrenti. Nella motivazione essa sottoline˜ che la norma denunciata dai ricorrenti era retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non in sintonia con le fonti sopranazionali, ma che spettava comunque al legislatore ridisegnarla in senso costituzionalmente adeguato. Successivamente i ricorrenti domandarono al Ministro dellĠInterno di essere autorizzati a far completare il cognome dei loro Çfigli legittimiÈ aggiungendo il cognome ÇcusanÈ. essi spiegavano che con ci˜ desideravano permettere ai figli di identificarsi nel patrimonio morale del loro nonno materno - deceduto nel 2011 - che, secondo loro, era stato un filantropo; poichŽ il fratello della ricorrente non aveva avuto discendenti, essi precisavano che il cognome ÇcusanÈ poteva perpetuarsi soltanto passando ai figli di Alessandra cusan. Il prefetto di Milano li autorizz˜ al cambiamento di cognome. Nonostante lĠassenso prefettizio i ricorrenti hanno deciso di proseguire il loro ricorso dinanzi alla corte, osservando che il coNteNzIoSo NAzIoNAle la disciplina vigente nel sistema giuridico priva, dunque, il minore del diritto ad essere identificato, sin dalla nascita anche attraverso il cognome materno, a nulla rilevando, proprio perchŽ afferente ad ambiti differenti, la possibilitˆ per lo stesso di cambiare il proprio cognome durante il corso della vita (28). Violazione degli artt. 3 e 29 Cost. Accogliendo le ulteriori doglianze avanzate dal giudice remittente (29), il Giudice delle leggi rileva come il criterio della prevalenza del cognome paterno, comporti inevitabilmente una ingiustificata violazione del principio di uguaglianza dei coniugi, non trovando fondamento nŽ nellĠart. 3 della costituzione, nŽ nella Òfinalitˆ di salvaguardia dellĠunitˆ familiareÓ, sancita nellĠart. 29. Anzi, la corte evidenzia come proprio tale finalitˆ di salvaguardia, sebbene possa giustificare talune ipotesi di disparitˆ di trattamento dei coniugi, non faccia che essere cos“ ripetutamente mortificata dalla disciplina vigente, che, impedendo che la madre possa alla nascita trasmettere il proprio cognome al figlio, spezza quellĠunitˆ familiare che, sia il dettato costituzionale, che la disciplina del codice civile intendono tutelare (30). Giˆ in una risalente pronuncia - corte cost. n. 133 del 1970 (31) - si era, invero, affermato lo stretto legame tra uguaglianza tra i coniugi e unitˆ familiare, evidenziando come la prima fosse posta a garanzia della seconda. la decreto del Prefetto  stato emesso allĠesito di un procedimento amministrativo, e non giudiziario, e che non sono stati autorizzati a dare alla loro figlia soltanto il cognome della madre, come avevano domandato al tribunale di Milano. (28) Dopo questa condanna dell'Italia, alla camera dei deputati sono stati presentati alcuni disegni di legge (A.c. 360 e A.c. 1943) tra cui uno di iniziativa del Governo dell'epoca, firmato dal Presidente del consiglio dei Ministri e dai Ministri della giustizia e degli esteri nel febbraio 2014 (A.c. 2123 del 21 febbraio 2014) in materia di cognomi dei figli. Al termine di vivaci discussioni, unificato il testo del disegno di legge, la camera propose l'introduzione, nel vigente codice civile, dell'art. 144 quater in cui si afferma che i genitori coniugati possono attribuire all'atto della dichiarazione di nascita il cognome del padre o quello della madre o di entrambi nell'ordine concordato, o in caso di mancato accordo in ordine alfabetico. Il figlio con entrambi i cognomi, divenuto padre pu˜ trasmetterne al proprio figlio soltanto uno a sua scelta. la camera approv˜ il disegno di legge il 24 settembre 2014 e il 26 settembre 2014 lo trasmise al Senato dove divent˜ il D.D.l. S. 1628 e si aggiunse ad un precedente D.D.l. n. 1363 del 12 marzo 2014 presentato subito dopo la sentenza della cedu. Purtroppo al Senato, come si evince dal "fascicolo iter" aggiornato al 19 dicembre 2016, il testo  fermo da oltre due anni, anche se la commissione permanente Giustizia si  riunita pi volte (maggio, giugno, settembre, ottobre e novembre 2016). l'ultima riunione si  tenuta il 2 novembre 2016. (29) NellĠordinanza di remissione della corte dĠAppello di Genova, n. 31 del 2014, si affermava quanto segue: ÒTale disciplina si trova in palese contrasto con lĠart. 3, come violazione del diritto di uguaglianza e pari dignitˆ sociale dei genitori nei confronti dei figli, con lĠart. 29 comma 2, come violazione del diritto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, che non si pone in contrasto con lĠesigenza di tutela dellĠunitˆ familiare, non potendosi ragionevolmente giustificare con questĠultima lĠobbligatoria prevalenza del cognome paternoÓ. (30) lĠart. 143, 1 co., cod. civ. dispone che ÒCon il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveriÓ. (31) corte cost. n. 133 del 24 giugno 1970, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 177 del 15 luglio 1970. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 corte ritenne Òche siffatta disparitˆ di trattamento non trovi giustificazione in funzione dell'unitˆ familiare. Si pu˜, anzi, affermare che, quando si tratti dei rapporti patrimoniali fra i coniugi,  proprio l'eguaglianza che garantisce quella unitˆ e, viceversa,  la diseguaglianza a metterla in pericolo. Certo , in veritˆ, che, per quanti sforzi si facciano, l'obbligo del marito di mantenere la moglie se questa disponga di mezzi sufficienti o pi che sufficienti in nessun modo riesce ad apparire come strumento necessario all'unitˆ della famiglia: la quale, al contrario, si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietˆ e dalla paritˆÓ (32). le parole della corte risultano ancor di maggior pregio se si considera che, allĠepoca della pronuncia, la riforma del diritto di famiglia era ancora inattuata, ma desta, al contrario, notevoli perplessitˆ la circostanza per la quale ad oggi, quasi 50 anni dopo, a fronte di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti tra coniugi, esse perdurino nella loro attualitˆ. Rilievi critici e problematiche aperte. Seppur conclusiva della sentenza in commento, non pu˜ tralasciarsi lĠultima incisiva, anzi lapidaria, affermazione della corte che, nel delimitare nuovamente la quaestio affrontata, ribadisce, quasi ad abudantiam, che la dichiarazione di incostituzionalitˆ delle norme de quibus investe unicamente la trasmissibilitˆ anche del cognome materno al momento della nascita - le modalitˆ attuative dovranno, peraltro, essere accuratamente disciplinate -in presenza di accordo dei genitori: in assenza di tale comune volontˆ residuerebbe, pertanto, la generale previsione dellĠattribuzione ipso jure del solo cognome paterno, destinata a disciplinare organicamente la materia fino a quando non interverrˆ una nuova regolamentazione normativa onnicomprensiva (33). (32) Quattro ordinanze del tribunale di Udine (17 ottobre 1968), della corte di appello di Roma (21 dicembre 1968 e 8 gennaio 1969) e della corte di appello di Genova (9 gennaio 1969) proponevano una questione di legittimitˆ costituzionale concernente l'art. 156, primo comma, in relazione all'art. 145 del codice civile, nella parte relativa agli obblighi patrimoniali che nei confronti del coniuge incolpevole gravavano sul coniuge per colpa del quale fosse stata pronunziata la separazione personale. le ordinanze mettevano in rilievo che dalla disposizione impugnata derivava un trattamento pi sfavorevole per il marito colpevole della separazione, tenuto a somministrare alla moglie incolpevole tutto ci˜ che fosse necessario ai bisogni della vita indipendentemente dalle condizioni economiche di lei, e pi favorevole per la moglie in colpa, che al mantenimento del marito incolpevole era tenuta solo se egli non avesse mezzi sufficienti: siffatta disparitˆ - concludevano le ordinanze avrebbe violato gli artt. 3 e 29 della costituzione, non essendo possibile giustificarla in funzione di quella unitˆ della famiglia che con la separazione era venuta meno. (33) critiche alla pronuncia sono svolte da cASARUbI, ÒLa corte costituzionale apre al cognome materno, ma restano molte questioni irrisolte (Nota a corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, M.M., in Foro it., Rep. 2017, secondo cui ÒQual  il cognome che, su accordo dei coniugi/genitori, si pu˜ imporre al figlio? Solo quello della madre, invece di quello del padre, ovvero quello della madre in aggiunta a quello del padre, ed in quale ordine? La sentenza  ambigua, richiamando, anche in dispositivo, la possibilitˆ di trasmettere ÇancheÈ il cognome materno, parola che sembra avere il valore di congiunzione. Se cos“ fosse, tuttavia, la portata della decisione ne risulterebbe diminuita (non senza profili discrimi coNteNzIoSo NAzIoNAle Si rileva, altres“, come la sentenza in epigrafe abbia tuttĠaltro che recepito il dictum della corte europea del 2014. Invero, avrebbe potuto dichiarare incostituzionale il complesso di norme (34) per violazione dellĠart. 46 della ceDU (35) e 117, 1 co. cost., in forza di Cusan e Fazzo, in cui il consenso del coniuge  un obiter che rafforza il principio di diritto ivi affermato che non lice discriminare la madre nella trasmissione del cognome (36). lĠespres natori), in quanto - a tutto voler concedere, e sempre che vi sia accordo tra i genitori - il cognome materno pu˜ essere s“ imposto, ma mai da solo (a differenza di quello paterno) e, piuttosto, in aggiunta (anticipato o posticipato) allĠaltro. La motivazione, sul punto, non  di aiuto; nondimeno, ritengo - proprio perchŽ la pronuncia si fonda sullĠeguaglianza dei coniugi/genitori (art. 3 e 29 Cost.) - che, in caso di accordo, pu˜ scegliersi il cognome materno anche in via esclusiva ovvero in aggiunta a quello paterno, nellĠordine prescelto dai genitori stessi. Quale  il momento in cui la scelta del cognome va effettuata, ovvero oltre il quale non  pi possibile (con imposizione, quindi, del cognome paterno)? Le principali disposizioni di riferimento, gli art. 29 e 30 d.p.r. 396/00, sono del tutto inadeguate; in particolare, si ricordi che, alla stregua della seconda, la dichiarazione di nascita, propedeutica alla formazione dellĠatto di nascita, pu˜ essere effettuata anche da uno solo dei genitori. é comunque verosimile che - nel termine per la dichiarazione in oggetto (dieci giorni dalla nascita) -i genitori dovranno contestualmente dichiarare allĠufficiale di stato civile la loro concorde scelta per il cognome materno (nel senso sopra indicato), in deroga al criterio legale di attribuzione del cognome paterno. La scelta dei coniugi/genitori deve avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero deve essere espressa allĠatto della nascita di ciascuno di essi? Si tratta di una delle possibili opzioni richiamate da Corte cost. 61/06, che, infatti -a fronte di questa e di altre fattispecie suscettibili di soluzioni alternative -dichiar˜ inammissibile il medesimo incidente di costituzionalitˆ ora accolto. La sentenza in rassegna, del tutto incongruamente, ha evitato anche solo di riferirsi a questa parte, pur decisiva, della prima pronunciaÓ; secondo cARboNe, Per la Corte Costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono dĠaccordo, in Corriere Giur., 2017, 2, 165 (nota a sentenza), in assenza di comune volontˆ dei genitori, ma volendo ugualmente la madre apporre il proprio cognome, quid juris? ÒSe la decisione della Corte  da accogliere positivamente, essa per˜ non risolve il problema alla radice. Occorre perci˜ che il legislatore si decida ed intervenga sia per dare veste normativa alla predetta decisione, sia per regolare i casi - speriamo sporadici o eccezionali - nei quali non sussista l'accordo dei coniugi e la madre insista ugualmente per l'aggiunta del proprio cognome in ordine alfabetico (art. 143 quater del disegno di legge 1628 pendente in Senato), tenendo conto quanto la stessa Corte costituzionale afferm˜, in relazione al solo patronimico, considerato "un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia... e di una tramontata potestˆ maritale, non pi coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'eguaglianza tra uomo e donna". (34) Per una completa analisi delle stesse si rinvia al successivo articolo di de Felice (infra). (35) Ai sensi dellĠart. 46 ceDU, ÒLe Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. La sentenza definitiva della Corte  trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla lĠesecuzione. Se il Comitato dei Ministri ritiene che il controllo dellĠesecuzione di una sentenza definitiva sia ostacolato da una difficoltˆ di interpretazione di tale sentenza, esso pu˜ adire la Corte affinchŽ questa si pronunci su tale questione di interpretazione. La decisione di adire la Corte  presa con un voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato. Se il Comitato dei Ministri ritiene che unĠAlta Parte contraente rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia cui essa  parte, pu˜, dopo aver messo in mora tale Parte e con una decisione adottata con voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato, adire la Corte sulla questione dellĠadempimento degli obblighi assunti dalla Parte ai sensi del paragrafo 1Ó. (36) A seguito della sentenza della corte eDU del 2009 Scoppola c. Italia, la corte costituzionale, nella sentenza n. 210 del 18 luglio 2013, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - corte costituzionale n. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 sione Ònonostante il consenso del coniugeÓ, veniva ivi impiegata per evidenziare lĠinadeguatezza del sistema italiano di attribuzione del cognome, lesivo dellĠuguaglianza dei genitori, tale che, persino in presenza di una concorde e unanime volontˆ degli stessi, la madre non avrebbe potuto trasmettere il proprio cognome alla prole (37). Per contro, nel sistema oggi delineato dalla consulta, lĠelemento del consenso dei genitori  lĠunico espediente, peraltro di assai difficile e scarsa operativitˆ, in grado di adeguare il sistema italiano al monito della corte europea (38). con ci˜ pare quasi che la corte, auspicando inoltre un rapido intervento legislativo e dichiarando assorbita la questione di legittimitˆ costituzionale relativa allĠart. 117, comma 1, cost., abbia implicitamente ridotto la portata innovativa della sua pronuncia (39), estromettendosi da unĠoperazione manipolativa esorbitante le sue funzioni nel caso di specie ma ammonendo il legislatore a provvedere in tempi brevi per portare a compimento il processo innovativo da essa intrapreso (40). 30 del 24 luglio 2013, affermava che, ÒDeve rilevarsi che le modalitˆ attraverso le quali lo Stato membro si adegua con misure strutturali alle sentenze della Corte di Strasburgo non sempre sono puntualmente determinate nel loro contenuto da tali pronunce, ma ben possono essere individuate con un ragionevole margine di apprezzamento. Perci˜ non  necessario che le sentenze della Corte EDU specifichino le Òmisure generaliÓ da adottare per ritenere che esse, pur discrezionalmente configurabili, costituiscono comunque una necessaria conseguenza della violazione strutturale della CEDU da parte della legge nazionale. Quando ci˜ accade  fatto obbligo ai poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinchŽ gli effetti normativi lesivi della CEDU cessinoÓ. (37) Invero, la corte affermava che ÒAlla luce di quanto precede, la Corte  del parere che, nel- lĠambito della determinazione del cognome da attribuire al Çfiglio legittimoÈ, persone che si trovavano in situazioni simili, vale a dire il ricorrente e la ricorrente, rispettivamente padre e madre del bambino, siano stati trattati in maniera diversa. Infatti, a differenza del padre, la madre non ha potuto ottenere lĠattribuzione del suo cognome al neonato, e ci˜ nonostante il consenso del coniugeÓ. (38) Si rileva, altres“, che i rimedi ex artt. 144 e 316, 2 co., cod. civ., fondati sullĠaccordo tra i genitori, sono di non pronta spedizione e incompatibili con la necessitˆ della sollecita formazione dellĠatto di nascita. Ibidem dicasi in caso di accordo tra i genitori prima della nascita, in quanto per ogni eventuale contrasto, gli stessi saranno obbligati ad adire ugualmente lĠautoritˆ giudiziaria, con sensibili ripercussioni sulla effettivitˆ della disciplina de qua. (39) Sulla ridotta portata della sentenza, MAlFAttI, Illegittimitˆ dellĠautomatismo, nellĠattribuzione del cognome paterno: la cornice giurisprudenziale europea non fa il quadro, in Forum di quaderni costituzionali -Rassegna,(http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/ 2016/01/nota_286_2016_malfatti.pdf), secondo la quale, ÒNella sent. n. 286/2016, invece, lo stesso assorbimento della censura relativa allĠart. 117, comma 1, Cost. arriva un poĠa sorpresa, seguendo lĠandamento della motivazione -la Corte non trova di meglio che distinguere de facto la richiesta portata in Europa (attribuire il cognome materno anzichŽ quello paterno) da quella che ha determinato la nuova questione di costituzionalitˆ (attribuire anche il cognome materno) -e ingenera il dubbio che a prevalere su una diversa linea interpretativa siano stati i timori di ridimensionamento di ruolo della stessa Corte, di apparire allĠesterno come una sorta di semplice Òterminale perifericoÓ della condanna fioccata a Strasburgo (con ci˜ sottovalutando forse lĠimportanza, e lĠinfungibilitˆ, del dispositivo di accoglimento)Ó. (40) Si segnala la circolare del Ministero dellĠInterno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali - n. 1/ 2017, del 23 gennaio 2017, recante lĠinvito ai Prefetti di sollecitare le opportune direttive agli uffici di stato civile per la puntuale applicazione dei principi di diritto affermati nella sentenza della corte costituzionale citata (http://servizidemografici.interno.it/it/content/circolare-n-12017). coNteNzIoSo NAzIoNAle Il legislatore invero, proprio per ottemperare alla condanna europea, potrebbe prevedere, come nel codice spagnolo (41), lĠattribuzione automatica di due cognomi e, alla nascita dei figli di coloro cos“ nominati, la formazione di un nuovo, doppio cognome, utilizzando solo quello paterno o solo quello materno, o lĠassoluta libertˆ di scelta, per ciascuno dei figli, della formazione di pi cognomi o lo stesso per tutti come in Francia (42). Va indubbiamente salutata con favore questa prima e attesa recezione dei moniti internazionali, comunitari e nazionali, ma non pu˜ non considerarsi che andrˆ ad attingere un marginale, seppur rilevante, aspetto della questione. Corte costituzionale, sentenza 21 dicembre 2016 n. 286 -Pres. P. Grossi, Red. G. Amato Giudizio di legittimitˆ costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., 72, primo comma, del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione del- lĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠarticolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127), promosso dalla corte di appello di Genova con ordinanza del 28 novembre 2013. PeRSoNA FISIcA e DIRIttI DellA PeRSoNAlItË - DIRItto Al NoMe - FIlIAzIoNe - coGNoMe - coGNoMe PAteRNo -AttRIbUzIoNe AUtoMAtIcA -IMPoSSIbIlItË DI tRASMISSIoNe Del coGNoMe MAteRNo -VIolAzIoNe Del DIRItto AllĠIDeNtItË PeRSoNAle Del FIGlIo -VIolAzIoNe Del DIRItto DI UGUAGlIANzA GIURIDIcA e MoRAle DeI coNIUGI - INcoStItUzIoNAlItË (41) In Spagna, la normativa sul cognome dei figli  contenuta nell'art. 109 del codice civile, modificato dalla legge n. 40 del 1999, Disposizioni di dettaglio sono contenute negli artt. 49-57 della legge sul Registro civile del 2011 (ley 20/2011, de 21 de julio, del Registro civil), che  entrato in vigore il 22 luglio 2014, abrogando la precedente normativa del 1957. NellĠordinamento spagnolo, vige la regola del "doppio cognome", per cui ogni individuo porta il primo cognome di entrambi i genitori, nell'ordine deciso in accordo tra di essi. In caso di disaccordo,  attribuito al figlio il primo cognome del padre insieme al primo cognome della madre. Una volta maggiorenne, si pu˜ proporre istanza per invertire l'ordine dei cognomi. (42) In Francia, lĠart. 311-21 del Code Civil prevede che nella trasmissione del cognome non esiste pi distinzione tra la madre o il padre ed il figlio pu˜ ricevere il cognome di uno o dell'altro genitore o entrambi i cognomi affiancati. In caso di riconoscimento simultaneo del figlio, l'attribuzione viene decisa di comune accordo dai genitori che possono scegliere il cognome di uno o dell'altro o entrambi i nomi affiancati secondo l'ordine di loro scelta (per un massimo di un cognome per genitore). I genitori devono presentare una dichiarazione congiunta davanti all'ufficiale di stato civile. In assenza di una dichiarazione congiunta il bambino prende il cognome del padre. ÒLorsque la filiation d'un enfant est Žtablie ˆ l'Žgard de ses deux parents au plus tard le jour de la dŽclaration de sa naissance ou par la suite mais simultanŽment, ces derniers choisissent le nom de famille qui lui est dŽvolu : soit le nom du pre, soit le nom de la mre, soit leurs deux noms accolŽs dans l'ordre choisi par eux dans la limite d'un nom de famille pour chacun d'eux. En l'absence de dŽclaration conjointe ˆ l'officier de l'Žtat civil mentionnant le choix du nom de l'enfant, celui-ci prend le nom de celui de ses parents ˆ l'Žgard duquel sa filiation est Žtablie en premier lieu et le nom de son pre si sa filiation est Žtablie simultanŽment ˆ l'Žgard de l'un et de l'autre. En cas de dŽsaccord entre les parents, signalŽ par l'un d'eux ˆ l'officier de l'Žtat civil, au plus tard au jour de la dŽclaration de naissance ou aprs la naissance, lors de l'Žtablissement simultanŽ de la filiation, l'enfant prend leurs deux noms, dans la limite du premier nom de famille pour chacun d'eux, accolŽs selon l'ordre alphabŽtiqueÓ. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 (...) Ritenuto in fatto 1. con ordinanza emessa il 28 novembre 2013, la corte dĠappello di Genova ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 117, primo comma, della costituzione questione di legittimitˆ costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠarticolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede ÇlĠautomatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontˆ dei genitoriÈ. 2. Il giudizio a quo ha per oggetto il reclamo avverso il provvedimento del tribunale ordinario di Genova che ha respinto il ricorso avverso il rigetto, da parte dallĠufficiale dello stato civile, della richiesta di attribuire al figlio dei ricorrenti il cognome materno, in aggiunta a quello paterno. la corte dĠappello di Genova osserva che, sebbene la norma sullĠautomatica attribuzione del cognome paterno, anche in presenza di una diversa volontˆ dei genitori, non sia prevista da alcuna specifica norma di legge, essa  desumibile dal sistema normativo, in quanto presupposta dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonchŽ dallĠart. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, e dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000. Il rimettente evidenzia che molti Stati europei si sono giˆ adeguati al vincolo posto dalle fonti convenzionali e, in particolare, dallĠart. 16, comma 1, lettera g), della convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132. essa impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare tale discriminazione in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare Çgli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognomeÈ. Vengono, inoltre, richiamate le raccomandazioni del consiglio dĠeuropa 28 aprile 1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362, nonchŽ la risoluzione 27 settembre 1978, n. 37, relative alla piena realizzazione della uguaglianza tra madre e padre nellĠattribuzione del cognome dei figli, nonchŽ alcune pronunce della corte europea dei diritti dellĠuomo, che vanno nella direzione della eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere nella scelta del cognome (sentenze 16 febbraio 2005, Unal tekeli contro turchia; 24 ottobre 1994, Stjerna contro Finlandia; 24 gennaio 1994, burghartz contro Svizzera). Viene, in particolare, richiamata la sentenza di questa corte in cui si afferma che ÇlĠattuale sistema di attribuzione del cognome  retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestˆ maritale, non pi coerente con i principi dellĠordinamento e con il valore costituzionale dellĠuguaglianza tra uomo e donnaÈ (sentenza n. 61 del 2006). In quella occasione, osserva il rimettente, la corte costituzionale ritenne che la questione esorbitasse dalle proprie prerogative, in quanto lĠintervento invocato avrebbe comportato unĠoperazione manipolativa eccedente dai suoi poteri. Il giudice a quo evidenzia, tuttavia, la necessitˆ di una rivalutazione della medesima questione, alla luce degli argomenti sviluppati dalla corte di cassazione nellĠordinanza n. 23934 del 22 settembre 2008, con la quale -ai sensi dellĠart. 374, secondo comma, del codice di procedura civile - veniva disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente ai fini della ri coNteNzIoSo NAzIoNAle messione alle sezioni unite, per valutare la possibilitˆ di unĠinterpretazione costituzionalmente orientata delle norme che regolano lĠattribuzione del cognome ai figli. Il rimettente ritiene che la distonia rispetto ai principi sanciti dallĠart. 29 cost., giˆ rilevata nella sentenza n. 61 del 2006, imponga - alla luce dei due eventi normativi consistenti, da un lato, nella modifica dellĠart. 117 cost. e, dallĠaltro, nella ratifica del trattato di lisbona - la riproposizione della questione relativa alla norma implicita che prevede lĠautomatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontˆ dei genitori. tale disciplina si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con lĠart. 2 cost., per la violazione del diritto allĠidentitˆ personale, che trova il primo ed immediato riscontro proprio nel nome e che, nellĠambito del consesso sociale, identifica le origini di ogni persona. Da ci˜ discenderebbe il diritto del singolo individuo di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali. Viene, inoltre, denunciata la violazione dellĠart. 3 e dellĠart. 29, secondo comma, cost., sotto il profilo del diritto di uguaglianza e pari dignitˆ dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro. DĠaltra parte, ad avviso del rimettente, lĠesigenza di tutela dellĠunitˆ familiare non sarebbe idonea a giustificare lĠobbligatoria prevalenza del cognome paterno. Viene, infine, denunciata la violazione dellĠart. 117, primo comma, cost., Çcome interpretato nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della corte costituzionale [É], costituendo le norme di natura convenzionale giˆ citate parametri del giudizio di costituzionalitˆ delle norme interneÈ. 3. Nel giudizio dinanzi alla corte si sono costituite le parti reclamanti nel giudizio principale, chiedendo lĠaccoglimento della questione di legittimitˆ costituzionale sollevata dal giudice a quo. 3.1. In punto di fatto, esse evidenziano che il proprio figlio minore, nato in costanza di matrimonio,  titolare di doppia cittadinanza e tuttavia - per effetto del rifiuto opposto dal- lĠufficiale dello stato civile di procedere allĠiscrizione del minore con il cognome di entrambi i genitori -egli viene identificato diversamente nei due Stati dei quali  cittadino: in Italia con il solo cognome del padre ed in brasile con il doppio cognome, paterno e materno. Dopo avere illustrato lĠevoluzione normativa e giurisprudenziale successiva alla sentenza n. 61 del 2006, la difesa delle parti ricorrenti evidenzia che, nelle more del presente giudizio, la corte europea dei diritti dellĠuomo ha affermato che lĠimpossibilitˆ per i genitori di far iscrivere il figlio ÒlegittimoÓ nei registri dello stato civile attribuendogli alla nascita il cognome della madre, anzichŽ quello del padre, integra violazione dellĠart. 14 (divieto di discriminazione), in combinato disposto con lĠart. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (ceDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e deriva da una lacuna del sistema giuridico italiano, per superare la quale Çdovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nelle prassi italianeÈ (sentenza 7 gennaio 2014, cusan e Fazzo contro Italia). Ad avviso delle parti reclamanti, tale decisione, vertente su un caso sostanzialmente identico a quello allĠesame di questa corte, rafforza gli argomenti a sostegno della fondatezza della questione. 3.2. con riferimento alla denunciata violazione dellĠart. 2 cost., la difesa delle parti private richiama i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale sul diritto al nome come segno distintivo dellĠidentitˆ personale, anche in riferimento alla posizione del figlio adottivo (sentenze n. 268 del 2002; n. 120 del 2001; n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994). Pur riconoscendo che permangono delle differenze in materia di attribuzione del co RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 gnome tra la posizione del figlio di una coppia non unita in matrimonio o adottato e la posizione del figlio di una coppia coniugata, le parti ricorrenti ritengono che la rigiditˆ della norma che impone in ogni caso lĠattribuzione del cognome paterno sacrifichi il diritto al- lĠidentitˆ del minore, che si vede negata la possibilitˆ di aggiungere il cognome materno, qualora tale scelta sia espressione di unĠesigenza connessa allĠesercizio del diritto allĠidentitˆ personale. Ad avviso delle parti private, se il diritto al nome e, pi in particolare, al cognome, costituisce la manifestazione esterna e ÒtangibileÓ del diritto allĠidentitˆ personale, lĠattribuzione automatica al figlio di una coppia coniugata del solo cognome paterno determina lĠirrimediabile compromissione di tale diritto, precludendo al singolo individuo di essere identificato attraverso il cognome che meglio corrisponda alla propria identitˆ personale. 3.3. con riferimento alla dedotta violazione dellĠart. 3, primo comma, e dellĠart. 29, secondo comma, cost., sotto il profilo dellĠuguaglianza e pari dignitˆ dei genitori e dei coniugi, vengono richiamate le pronunce con le quali, sin dal 1960, la giurisprudenza costituzionale ha affermato lĠillegittimitˆ di norme che prevedevano un trattamento irragionevolmente differenziato dei coniugi (sentenze n. 33 del 1960; n. 126 e n. 127 del 1968; n. 147 del 1969; n. 128 del 1970; n. 87 del 1975; n. 477 del 1987; n. 254 del 2006; in tema di eguaglianza nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, vengono, inoltre, citate le sentenze n. 46 del 1966; n. 133 del 1970; n. 6 del 1980 e n. 116 del 1990). 3.4. Quanto alla denunciata violazione dellĠart. 117, primo comma, cost., la difesa delle parti private richiama i principi affermati a livello internazionale, e recepiti dallĠordinamento italiano, sulla protezione dei diritti del fanciullo e sulla paritˆ di genere. Vengono richiamati, in particolare, lĠart. 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato dallĠAssemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881); lĠart. 7 della convenzione sui diritti del fanciullo (fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176); lĠart. 16, lettera g), della convenzione sullĠeliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (convention on the elimination of all forms of Discrimination Against Women - ceDAW), adottata il 18 dicembre 1979 dallĠAssemblea generale delle Nazioni Unite, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132. Da tale quadro normativo emergerebbe la non conformitˆ ai principi sopra richiamati della norma che impone lĠattribuzione automatica ed esclusiva del solo cognome paterno. essa sarebbe lesiva sia dei principi che garantiscono la tutela del diritto al nome, sia di quelli in tema di eguaglianza e di non discriminazione tra uomo e donna nella trasmissione del cognome al figlio, sia esso legittimo o naturale. la difesa delle parti reclamanti evidenzia, in particolare, che sebbene la ceDU non contenga alcun riferimento espresso al diritto al nome del singolo individuo, la corte di Strasburgo, in molteplici pronunce, ne ha ricondotto la tutela entro lĠambito applicativo del diritto al rispetto della vita privata, sancito dallĠart. 8 della ceDU. In queste decisioni la corte europea -pronunciandosi su casi analoghi a quello successivamente deciso dalla citata sentenza nel caso cusan e Fazzo - ha accertato la violazione dellĠart. 8 ceDU, in combinato disposto con lĠart. 14, in ragione della disparitˆ di trattamento fondata sul genere. 3.5. le parti private deducono, inoltre, che la pronuncia richiesta alla corte non sarebbe tale da invadere la sfera di discrezionalitˆ del legislatore, trattandosi, viceversa, di un intervento costituzionalmente imposto, limitato allĠapposizione, alla norma impugnata, delle Òrime obbligateÓ. la corte potrebbe, infatti, limitarsi a dichiarare lĠillegittimitˆ costituzionale delle coNteNzIoSo NAzIoNAle norme invocate, nella parte in cui non consentono ai genitori di scegliere, di comune accordo, il cognome da trasmettere ai figli. DĠaltra parte, non sarebbe ravvisabile alcun vuoto normativo derivante dallĠinvocato intervento caducatorio. Al riguardo, sono richiamate le pronunce che affermano che, a fronte di Çun vulnus costituzionale, non sanabile in via interpretativa - tanto pi se attinente a diritti fondamentali -la corte  tenuta comunque a porvi rimedio: e ci˜, indipendentemente dal fatto che la lesione dipenda da quello che la norma prevede o, al contrario, da quanto la norma (o, meglio, la norma maggiormente pertinente alla fattispecie in discussione) omette di prevedere. [É] Spetterˆ, infatti, da un lato, ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione; e, dallĠaltro, al legislatore provvedere eventualmente a disciplinare, nel modo pi sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero bisognevoli di apposita regolamentazioneÈ (sentenza n. 113 del 2011; nello stesso senso, sentenze n. 78 del 1992 e n. 59 del 1958). 4. (...) 5.. lĠordinanza di rimessione  stata ritualmente notificata al Presidente del consiglio dei ministri, il quale ha omesso di intervenire in giudizio. Considerato in diritto 1. con ordinanza emessa il 28 novembre 2013, la corte dĠappello di Genova ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 117, primo comma, della costituzione questione di legittimitˆ costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠarticolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede ÇlĠautomatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontˆ dei genitoriÈ. é denunciata, in primo luogo, la violazione dellĠart. 2 cost., in quanto verrebbe compresso il diritto allĠidentitˆ personale, il quale comporta il diritto del singolo individuo di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali. Viene, inoltre, evidenziato il contrasto con gli artt. 3 e 29, secondo comma, cost., poichŽ sarebbe leso il diritto di uguaglianza e pari dignitˆ dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro. Viene, infine, ravvisata la violazione dellĠart. 117, primo comma, cost., in riferimento allĠart. 16, comma 1, lettera g), della convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, alle raccomandazioni del consiglio dĠeuropa 28 aprile 1995, n. 1271 e 18 marzo 1998, n. 1362, nonchŽ alla risoluzione 27 settembre 1978, n. 37, relative alla piena realizzazione dellĠuguaglianza dei genitori nellĠattribuzione del cognome dei figli. 2. (...) 3. la questione sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 cost.  fondata. 3.1. é denunciata lĠillegittimitˆ costituzionale della norma - desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ. e dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000 - che prevede lĠautomatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio, in presenza di una diversa contraria volontˆ dei genitori. Va rilevato, preliminarmente, che tra le disposizioni individuate dal rimettente compare, altres“, lĠart. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, il quale, tuttavia,  stato abrogato dallĠart. 110 del d.P.R. n. 396 del 2000. Dal tenore complessivo degli argomenti sviluppati RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 nellĠordinanza di rinvio si evince, peraltro, che tale disposizione rientra nel fuoco delle censure del rimettente al solo fine di esplicitare la norma - da essa presupposta - che prevede lĠautomatica attribuzione del solo cognome paterno. lĠesistenza della norma censurata e la sua perdurante immanenza nel sistema, desumibili dalle disposizioni che implicitamente la presuppongono,  stata giˆ riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, nelle precedenti occasioni in cui ne  stata denunciata lĠillegittimitˆ (sentenze n. 61 del 2006 e n. 176 del 1988; ordinanze n. 145 del 2007 e n. 586 del 1988). In queste pronunce, la corte ha riconosciuto lĠesistenza di tale norma, in quanto presupposta dalle medesime disposizioni, regolatrici di fattispecie diverse, individuate dallĠodierno rimettente (artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonchŽ artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000). Sebbene essa non abbia trovato corpo in una disposizione espressa, ancora una volta, non vi  ragione di dubitare dellĠattuale vigenza e forza imperativa della norma, in base alla quale il cognome del padre si estende ipso iure al figlio. Nello stesso senso si  espressa anche la giurisprudenza di legittimitˆ, sia precedente, sia successiva alle richiamate pronunce di questa corte, laddove ha riconosciuto che - da tali pur eterogenee previsioni - si desume lĠesistenza di una norma che, sebbene non prevista testualmente nellĠambito di alcuna disposizione,  ugualmente presente nel sistema e Çcertamente si configura come traduzione in regola dello Stato di unĠusanza consolidata nel tempoÈ (cass., sez. I, 17 luglio 2004, n. 13298; v. anche cass., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23934). Nel caso in esame, la norma sullĠautomatica attribuzione del cognome paterno  oggetto di censura per la sola parte in cui non consente ai genitori - i quali ne facciano concorde richiesta al momento della nascita - di attribuire al figlio anche il cognome materno. 3.2. cos“ ricostruito lĠoggetto della presente questione, va rilevato che giˆ in precedenti occasioni questa corte ha esaminato la disciplina della prevalenza del cognome paterno, al momento della sua attribuzione al figlio, ma ha dichiarato inammissibili le relative questioni, ritenendole riservate alla discrezionalitˆ del legislatore, nellĠambito di una rinnovata disciplina. tuttavia, giˆ nellĠordinanza n. 176 del 1988,  stato espressamente riconosciuto che Çsarebbe possibile, e probabilmente consentaneo allĠevoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, pi rispettoso dellĠautonomia dei coniugi, il quale concilii i due principi sanciti dallĠart. 29 cost., anzichŽ avvalersi dellĠautorizzazione a limitare lĠuno in funzione dellĠaltroÈ (v. anche ordinanza n. 586 del 1988). Diciotto anni dopo, con ancora maggiore fermezza, nella sentenza n. 61 del 2006, in considerazione dellĠimmutato quadro normativo, questa corte ha espressamente rilevato lĠincompatibilitˆ della norma in esame con i valori costituzionali della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. tale sistema di attribuzione del cognome, infatti,  definito come il Çretaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestˆ maritale, non pi coerente con i principi del- lĠordinamento e con il valore costituzionale dellĠuguaglianza tra uomo e donnaÈ. 3.3. A distanza di molti anni da queste pronunce, un Çcriterio diverso, pi rispettoso del- lĠautonomia dei coniugiÈ, non  ancora stato introdotto. Neppure il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dellĠarticolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con cui il legislatore ha posto le basi per la completa equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo lĠunicitˆ dello status di figlio, ha scalfito la norma oggi censurata. coNteNzIoSo NAzIoNAle Pur essendo stata modificata la disciplina del cambiamento di cognome -con lĠabrogazione degli artt. 84, 85, 86, 87 e 88 del d.P.R. n. 396 del 2000 e lĠintroduzione del nuovo testo del- lĠart. 89, ad opera del d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠart. 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127) - le modifiche non hanno attinto la disciplina dellĠattribuzione ÒoriginariaÓ del cognome, effettuata al momento della nascita. Va, dĠaltro canto, rilevata unĠintensa attivitˆ preparatoria di interventi legislativi volti a disciplinare secondo nuovi criteri la materia dellĠattribuzione del cognome ai figli. Allo stato, tuttavia, essi risultano ancora in itinere. Nella famiglia fondata sul matrimonio rimane cos“ tuttora preclusa la possibilitˆ per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonchŽ la possibilitˆ per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre. 3.4. la corte ritiene che siffatta preclusione pregiudichi il diritto allĠidentitˆ personale del minore e, al contempo, costituisca unĠirragionevole disparitˆ di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalitˆ di salvaguardia dellĠunitˆ familiare. 3.4.1. Quanto al primo profilo di illegittimitˆ, va rilevato che la distonia di tale norma rispetto alla garanzia della piena realizzazione del diritto allĠidentitˆ personale, avente copertura costituzionale assoluta, ai sensi dellĠart. 2 cost., risulta avvalorata nellĠattuale quadro ordinamentale. Il valore dellĠidentitˆ della persona, nella pienezza e complessitˆ delle sue espressioni, e la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dellĠappartenenza del singolo ad un gruppo familiare, portano ad individuare nei criteri di attribuzione del cognome del minore profili determinanti della sua identitˆ personale, che si proietta nella sua personalitˆ sociale, ai sensi dellĠart. 2 cost. é proprio in tale prospettiva che questa corte aveva, da tempo, riconosciuto il diritto al mantenimento dellĠoriginario cognome del figlio, anche in caso di modificazioni del suo status derivanti da successivo riconoscimento o da adozione. tale originario cognome si qualifica, infatti, come autonomo segno distintivo della sua identitˆ personale (sentenza n. 297 del 1996), nonchŽ Çtratto essenziale della sua personalitˆÈ (sentenza n. 268 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 120 del 2001). Il processo di valorizzazione del diritto allĠidentitˆ personale  culminato nella recente affermazione, da parte di questa corte, del diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale, quale Çelemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della personaÈ (sentenza n. 278 del 2013). In questa stessa cornice si inserisce anche la giurisprudenza della corte europea dei diritti dellĠuomo, che ha ricondotto il diritto al nome nellĠambito della tutela offerta dallĠart. 8 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali (ceDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. In particolare, nella sentenza cusan Fazzo contro Italia, del 7 gennaio 2014, successiva allĠordinanza di rimessione in esame, la corte di Strasburgo ha affermato che lĠimpossibilitˆ per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, anzichŽ quello del padre, integra violazione dellĠart. 14 (divieto di discriminazione), in combinato disposto con lĠart. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della ceDU, e deriva da una lacuna del sistema giuridico italiano, per superare la quale Çdovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nelle prassi italianeÈ. la corte eDU ha, altres“, ritenuto che tale impossibilitˆ non sia compensata dalla successiva autorizzazione amministrativa a cambiare il cognome dei figli minorenni aggiungendo a quello paterno il cognome della madre. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 la piena ed effettiva realizzazione del diritto allĠidentitˆ personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identitˆ personale, impone lĠaffermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso lĠattribuzione del cognome di entrambi i genitori. Viceversa, la previsione dellĠinderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto allĠidentitˆ del minore, negandogli la possibilitˆ di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno. 3.4.2. Quanto al concorrente profilo di illegittimitˆ, che risiede nella violazione del principio di uguaglianza dei coniugi, va rilevato che il criterio della prevalenza del cognome paterno, e la conseguente disparitˆ di trattamento dei coniugi, non trovano alcuna giustificazione nŽ nellĠart. 3 cost., nŽ nella finalitˆ di salvaguardia dellĠunitˆ familiare, di cui allĠart. 29, secondo comma, cost. come giˆ osservato da questa corte sin da epoca risalente, Ǐ proprio lĠeguaglianza che garantisce quella unitˆ e, viceversa,  la diseguaglianza a metterla in pericoloÈ, poichŽ lĠunitˆ Çsi rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietˆ e dalla paritˆÈ (sentenza n. 133 del 1970). la perdurante violazione del principio di uguaglianza Òmorale e giuridicaÓ dei coniugi, realizzata attraverso la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome, contraddice, ora come allora, quella finalitˆ di garanzia dellĠunitˆ familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla paritˆ dei coniugi, ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno. tale diversitˆ di trattamento dei coniugi nellĠattribuzione del cognome ai figli, in quanto espressione di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti fra coniugi, non  compatibile nŽ con il principio di uguaglianza, nŽ con il principio della loro pari dignitˆ morale e giuridica. 4. con la presente decisione, questa corte , peraltro, chiamata a risolvere la questione formulata dal rimettente e riferita alla norma sullĠattribuzione del cognome paterno nella sola parte in cui, anche in presenza di una diversa e comune volontˆ dei coniugi, i figli acquistano automaticamente il cognome del padre. lĠaccertamento della illegittimitˆ , pertanto, limitato alla sola parte di essa in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. 4.1 Rimane assorbita la censura relativa allĠart. 117, primo comma, cost. 5. Ai sensi dellĠart. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimitˆ costituzionale va estesa, in via consequenziale, alla disposizione dellĠart. 262, primo comma, cod. civ., la quale contiene tuttora - con riferimento alla fattispecie del riconoscimento del figlio naturale effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori - una norma identica a quella dichiarata in contrasto con la costituzione dalla presente sentenza. Anche tale disposizione va, pertanto, dichiarata illegittima, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno. 5.1. Per le medesime ragioni, la dichiarazione di illegittimitˆ costituzionale, ai sensi del- lĠart. 27 della legge n. 87 del 1953, va estesa, infine, allĠart. 299, terzo comma, cod. civ., per la parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dellĠadozione. coNteNzIoSo NAzIoNAle 6. Va, infine, rilevato che, in assenza dellĠaccordo dei genitori, residua la generale previsione dellĠattribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di paritˆ. PeR QUeStI MotIVI lA coRte coStItUzIoNAle 1) dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dellĠordinamento dello stato civile, a norma dellĠarticolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; 2) dichiara in via consequenziale, ai sensi dellĠart. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della corte costituzionale), lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno; 3) dichiara in via consequenziale, ai sensi dellĠart. 27 della legge n. 87 del 1953, lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dellĠadozione. cos“ deciso in Roma, nella sede della corte costituzionale, Palazzo della consulta, lĠ8 novembre 2016. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Sulla qualifica di P.G. per gli operatori ARPA: considerazioni sulle due recenti pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale NOTA A CASSAzIONE PENALE, SEz. III, SENTENzA 28 NOVEMBRE 2016 N. 50352 E CORTE COSTITUzIONALE, SENTENzA 13 GENNAIO 2017 N. 8 Antonio Pugliese* la corte di cassazione e la consulta, a stretto giro lĠuna dallĠaltra, tornano ad affrontare il tema della qualifica attribuibile agli operatori ARPA. la questione, pi volte al centro di (anche accesi) dibattiti, pare aver trovato, per bocca delle due Alte corti, una soluzione che ambisce ad essere definitiva. oltre che per la risoluzione offerta alla singola questione, le due sentenze si contraddistinguono per lĠaver offerto, soprattutto se lette congiuntamente, degli utili criteri spendibili in ogni successivo dibattito che dovesse prender piede circa lĠattribuzione di qualifica e di funzioni di Polizia giudiziaria. Anche per questa ragione le due statuizioni assumono un sicuro rilievo. Premesse. le sentenze in commento affrontano il difficile tema dellĠattribuzione di qualifica al personale ARPA nellĠesercizio delle proprie funzioni di vigilanza. Il tema, invero,  stato a lungo vittima di incertezze applicative e in altre circostanze la giurisprudenza, anche di recente (1), ha avuto occasione di misurarsi col tema, s“ giungendo, in veritˆ, a soluzioni spesso discordanti. lĠincertezza applicativa, cos“ come rileva anche la corte costituzionale nella sentenza in commento,  figlia di una legislazione statuale confusa che, prima della riforma (2) avvenuta per il tramite della l. n. 132/2016 (art. 14, co. 7), ben si prestava a differenti interpretazioni in ordine allĠesistenza di una fonte (3) che giustificasse lĠattribuzione al personale ARPA della qualifica di polizia giudiziaria. cos“, nel 2012, il consiglio di Stato, adunanza del 23 maggio, sezione seconda consultiva, si esprimeva in termini negativi in ordine alla riconduci (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura distrettuale dello Stato di bologna. (1) Per ultimo, in ordine di tempo, corte cass. pen., sez. 3, 3-28 novembre 2016, n. 50352. Sulla questione era giˆ intervenuto il consiglio di Stato, sezione seconda consultiva, il 23 maggio del 2012. Su queste ultime due pronunce torneremo in corso trattazione. (2) lĠ art. 14, rubricato ÒDisposizioni sul personale ispettivoÓ, al suo co. 7, della l. n. 132/2016, afferma ÒIl presidente dell'ISPRA e i legali rappresentanti delle agenzie possono individuare e nominare, tra il personale di cui al presente articolo, i dipendenti che, nell'esercizio delle loro funzioni, operano con la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. A tale personale sono garantite adeguata assistenza legale e copertura assicurativa a carico dell'ente di appartenenzaÓ. (3) come si dirˆ a breve, statale. coNteNzIoSo NAzIoNAle bilitˆ al detto personale della qualifica in discussione, mentre, molto pi di recente, la cassazione (4) si  espressa in maniera diametralmente opposta:  riuscita a ricondurre la qualifica agli operatori ARPA. Su queste ultime pronunce si tornerˆ a breve ma  parso opportuno farne immediato accenno, a riprova delle difficoltˆ interpretative. Prima di procedere, invece, par bene ripercorrere, seppur brevemente, le ragioni che si pongono alla base del presente giudizio di legittimitˆ costituzionale. la legge regionale della basilicata n. 37 del 2015, contenente norme per la disciplina dellĠAgenzia regionale per la protezione ambientale della basilicata (dĠora innanzi, ARPAb), stabiliva, al suo art. 31 co. 4, che ÇnellĠesercizio delle funzioni di vigilanza tale personale [ARPAb] riveste anche la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziariaÈ. la censura di ordine costituzionale mossa dal Presidente del consiglio dei Ministri riguarda lo sconfinamento, ad opera di detta legge, in una materia riservata allo Stato a norma dellĠart. 117 cost. Per essere pi precisi, lĠart. 117, secondo comma, lettera l), riserva alla potestˆ legislativa esclusiva dello Stato ci˜ che ricade nella Çgiurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale (...)È. Preannunciando, in parte, le finali determinazioni della consulta, solo si noti che, al di lˆ del singolo caso, ed anche oltre lo stretto conflitto dĠattribuzione, il quesito posto ai giudici, in realtˆ, sconfina in un ambito, ci sia consentito dire, pi delicato ancora: quello del rispetto dei principi fondamentali dei singoli e delle garanzie, anche di ordine processuale, che debbono essere riconosciute. la questione sarˆ oggetto di successive riflessione ma, sin dĠora, si osservi solo che il dibattito attorno allĠattribuzione di qualifica di polizia giudiziaria inevitabilmente si riflette sui diritti dei singoli. In merito a ci˜, si rammenti, inoltre, come lĠAmministrazione, in virt dei poteri di cui dispone e degli ambiti in cui  chiamata ad operare, pu˜, delle volte, assumere iniziative che finiscono per collocarsi tra lĠistruttoria amministrativa e le indagini penali, una sorta di terra di mezzo (5). Intuitivi i rischi: le attivitˆ poste in essere dallĠAmministrazione potrebbero far gola agli organi dĠAccusa. In questĠottica, possedere o meno poteri di p.g. finisce per rilevare in ordine allĠincisivitˆ degli atti che questi soggetti possono porre in essere: pi incisivi se potessero godere della qualifica di cui si discute, il che, ovviamente, non  vietato; purchŽ sia chiaro. Quanto detto vale, per quanto qui interessa, per il settore ambientale, ove, di frequente, la P.A.  chiamata ad effettuare attivitˆ istruttorie che, delle volte, (4) Supra, v. nota Ò1Ó. (5) In questo senso si pu˜ fare riferimento agli atti a finalitˆ c.d. mista, ossia quegli atti posti in essere dallĠamministrazione ed in grado di recare conoscenze spendibili anche in campo penale. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 rischiano di essere particolarmente incisive e, perchŽ no (?), anche dal contenuto, come si diceva, spendibile in sede penale (6). DĠaltronde questa preoccupazione risulta certamente presente nel caso oggetto dĠesame, cos“ come emerge dalle parole spese dallĠAvvocatura Generale dello Stato nellĠambito della memoria depositata prima dellĠudienza pubblica. A tal proposito, si deve evidenziare come la Regione basilicata, anche con lĠobiettivo di rispondere alle critiche mossegli, dopo la promozione del giudizio di legittimitˆ aveva proceduto, con legge n. 5 del 2016 (art. 10), al- lĠabrogazione dellĠart. 31, co. 4 della legge n. 37 del 2015; ciononostante lĠAvvocatura Generale riteneva, trovando dĠaccordo i giudici, che la materia del contendere non potesse ritenersi cessata, la ragione? Per il tempo in cui quella disposizione  rimasta in vigore potrebbero essere stati posti in essere dal personale ARPA, nellĠerronea convinzione di possedere la qualifica di p.g., atti incidenti sulla libertˆ dei cittadini o, pi in generale, in grado di ledere i loro diritti, anche di ordine processuale. Per questa ragione non ci si  potuti accontentare della legge abrogativa della basilicata: si rendeva necessaria una pronuncia che travolgesse, anche con efficacia retroattiva, gli effetti eventualmente prodottisi dalla disposizione incriminata. ecco, in definitiva, la questione con la quale ha dovuto cimentarsi la consulta. Prima di procedere, solo qualche breve annotazione introduttiva circa la sentenza della cassazione in commento. Ai giudici di legittimitˆ era stato posto proprio un quesito inerente alla qualifica da assegnare al personale ARPA (toscana) nel corso delle loro funzioni di vigilanza. ora, al di lˆ del fatto che la cassazione  riuscita, partendo dal D.M. 57/1997, a trovare una legislazione di matrice statale che giustificasse una simile attribuzione di funzione -comunque oggetto privilegiato delle attenzioni della sentenza (in commento) della corte costituzionale, cui si rimanda -la pronuncia dei giudici del Palazzaccio si contraddistingue anche e soprattutto perchŽ fornisce alcuni criteri di ordine generale, spendibili anche in futuri confronti, in merito allĠattribuzione di funzioni di P.g. Solo per completezza, si deve rilevare come il tema sia ricco di molte altre implicazioni e sarebbero molteplici le riflessioni che potrebbero essere sviluppate. Per la maggior parte, per˜, rischierebbero di risultare eccentriche rispetto alle finalitˆ del presente approfondimento (7). Per questa ragione si circoscriverˆ il pi possibile il campo dĠazione. (6) come si intuisce dalle parole spese, il tema affrontato nel presente approfondimento potrebbe facilmente aprire un pi amplio confronto sul tema della spendibilitˆ, o meglio, utilizzabilitˆ degli atti amministrativi nel processo penale. Il tema, benchŽ di certo interesse, rischierebbe, per˜, di risultare eccentrico rispetto alla questione che abbiamo scelto di affrontare e, anche per questa ragione, ne faremo, in seguito, solo un breve cenno. Per un approfondito esame, si veda R. oRlANDI, Atti e informazioni della autoritˆ amministrativa nel processo penale, Giuffr, 1992. (7) Si potrebbe intraprendere una riflessione sui tipi di atti che il personale ARPA pu˜ porre in essere, ed ancora, si potrebbe approfondire il tema degli atti a finalitˆ c.d. mista, ossia quelli posti in essere coNteNzIoSo NAzIoNAle I precedenti dibattiti e le attuali determinazioni. é opportuno evidenziare come, in veritˆ, sulla questione si siano cimentati in molti negli anni, a riprova della centralitˆ del tema. cos“, a titolo esemplificativo, oltrechŽ per la luciditˆ delle determinazioni assunte - in anticipo rispetto a quanto molto pi di recente ha affermato la consulta -, si pu˜ fare riferimento al parere espresso dalla Procura Generale presso la corte dĠAppello di Ancona del 2007, alla quale era sta sottoposta la questione se potesse essere attribuita alle guardie ecologiche e volontarie zoofile della Provincia di Pesaro e Urbino la qualifica e le funzioni di polizia giudiziaria. Il parere appare particolarmente istruttivo. In maniera molto lucida espone le ragioni di chi, giˆ al tempo, riteneva potesse esservi tale attribuzione e, al contempo, mostra i limiti di una simile impostazione. Sinteticamente, come si dirˆ anche in seguito, si pu˜ affermare che gli orientamenti favorevoli al riconoscimento della qualifica, a prescindere da una formale e statuale investitura, si fondavano sulla circostanza che alcuni dei soggetti chiamati ad effettuare unĠattivitˆ di controllo e di vigilanza, Çsvolgono in tutto o in parte compiti riconducibili allĠart. 55 c.p.p. In altri termini, lĠattribuzione della qualifica sarebbe conseguenza diretta non giˆ di una formale investitura (É), bens“ delle funzioni che il personale  chiamato a svolgere (É)È (8). Sin dĠora, preme evidenziare come argomenti di questo tipo si pongono in contrasto con sovraordinati principi di rango costituzionale; nella sostanza, cos“ come con vigore affermato dai Giudici delle leggi (9), rischiano di tradursi in una (troppo facile) elusione della riserva di legge. lo si  giˆ accennato ma pare comunque opportuno tornare rapidamente sulla questione. Non solo non si rispetterebbe la distribuzione delle materie fra Stato e Regioni ma, elemento tuttĠaltro che secondario, si finirebbe per interferire con i diritti fondamentali tutelati dalla carta costituzionale (artt. 13 ss.). Anche per questa ragione -non pare inutile ripeterlo -deve ritenersi non praticabile ogni soluzione -come  stato per il caso che ci interessa, cos“ per quelli che potrebbero nascere -che pretenda di adottare interpretazioni analogiche o estensive. Una simile possibilitˆ deve ritenersi preclusa anche perchŽ rischierebbe di incidere sui diritti dei singoli (oltrechŽ sulla inflessibile riserva di legge). Si  giˆ accennato in precedenza al parere del consiglio di Stato del 2012, ma  opportuno tornare rapidamente sul punto, coerentemente con le problematiche appena esposte. dalla Pubblica Amministrazione ma in grado di portare conoscenze utili al procedimento penale. Si potrebbe, in definitiva, proporre unĠanalisi sugli artt. 220 e 223 disp. att. c.p.p. Nelle conclusioni, solo marginalmente, in maniera tuttĠaltro che esaustiva, lambiremo questi ultimi temi. Sul tema, per la completezza dellĠindagine, si veda R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit. (8) Parere espresso dalla Procura Generale presso la corte dĠAppello di Ancona del 27 febbraio 2007, p. 1. (9) Sentenza corte costituzionale n. 8 del 2017. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Ai giudici era stato posto proprio un quesito (10) circa lĠesistenza di una normativa statale da cui far discendere, in via generale, la qualifica di u.p.g. al personale ARPA. testualmente, allĠepoca, il consiglio di Stato rispose affermando che Òin relazione al quesito posto, dunque, non pu˜ che concludersi rilevando, in linea con la prospettazione dellĠAmministrazione regionale richiedente, lĠassenza, allo stato, nellĠordinamento di norme di livello statale che attribuiscano in via generale la qualifica di u.p.g. al personale ARPA e che individuino lĠautoritˆ competente ad attribuire espressamente tale incaricoÓ. la pronuncia del consiglio di Stato, in veritˆ, ha generato un esteso dibattito, diffusosi soprattutto negli ambiti ove si sperava nel riconoscimento della qualifica (11). Sintetizzando le ragioni del disappunto, in molti ritenevano che i giudici avessero finito per proporre una visione limitativa delle funzioni di controllo ambientale posto in essere dal personale ARPA (12). In pratica, visto il valore delle attivitˆ di vigilanza, da pi parti si domandava il riconoscimento delle competenze messe a disposizione. le preoccupazioni e, con esse, le argomentazioni espresse trovano sfogo nel dibattito immediatamente successivo al parere del consiglio di Stato (13), ove in diversi rilevavano come le violazioni della materia ambientale, giˆ nel 2013, potevano condurre il trasgressore verso sanzioni oltrechŽ amministrative, penali. Per questa ragione, letteralmente, Çi soggetti preposti alle attivitˆ di vigilanza e controllo debb[o]no essere in possesso della qualifica di Polizia Giudiziaria e, nel caso delle ARPA, tale qualifica pu˜ essere propriamente ricoperta dal tecnico di PrevenzioneÈ (14). In realtˆ, quanto detto, benchŽ giustificabile nelle intenzioni, come si  giˆ segnalato, rischia di sovrapporre esigenze o, perchŽ no (?), ambizioni di singoli gruppi alle prerogative statuali e, con esse, si pongono a rischio anche le prerogative dei singoli quando questi ultimi, ad esempio, siano chiamati a fare i conti con la legge penale. A tal proposito, appare utile fare un cenno al pur diverso e amplio tema degli atti a finalitˆ c.d. mista e circa la loro spendibilitˆ in sede penale. Seppur consci dei limiti di cui soffre una trattazione cos“ rapida - e dunque senza nessuna pretesa di esaustivitˆ - , si sappia solo che delle volte gli organi amministrativi possono porre in essere atti che potrebbero avere anche un certo valore (10) Il parere riguarda il quesito della Regione lombardia in merito alla non attribuzione della qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria al personale dellĠAgenzia Regionale per la Protezione Ambientale. (11) A tal proposito si veda la lettera dellĠUNPISI (Unione Nazionale Personale Ispettivo Sanitario Italiano) al Ministro dellĠAmbiente e della tutela del territorio e del Mare del 18 gennaio 2013. (12) lettera dellĠUNPISI, cit., p. 3. (13) Supra, nota Ò5Ó. (14) lettera dellĠUNPISI, cit., p. 3. coNteNzIoSo NAzIoNAle allĠinterno di un procedimento penale (15). NellĠambito del rapporto e del confine (alle volte fumoso) tra procedimento amministrativo e penale assume una certa importanza lĠart. 220 dip. att. c.p.p. la norma, avendo il compito di segnare il confine tra i due procedimenti, afferma che Òquando nel corso di attivitˆ ispettive e di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari ad assicurarle fonti di prova (É) sono compiuti nellĠosservanza della legge penaleÓ. ebbene, al di lˆ delle discussioni e dibattiti (16), anche giurisprudenziali (17), sul concetto di indizio di reato (18), ci˜ che per noi rileva  che comunque vi  un limite, un confine oltre il quale  necessario passare ad altro rito: quello penale. ebbene, a prima vista questa rapida digressione potrebbe apparire estranea allĠoggetto dellĠapprofondimento ma, in realtˆ, consente unĠutile precisazione. come  intuibile,  tuttĠaltro che indifferente per un organo amministrativo essere in grado di cumulare la qualifica di P.g. Facciamo un esempio. Nel caso in cui lĠAmministrazione stesse conducendo proprie investigazioni (per restare in tema, immaginiamo) ai fini della verifica del rispetto delle norme in materia ambientale, potrebbe capitare che gli organi ispettivi vengano a conoscenza di un possibile reato; ebbene, in questa circostanza, possedere o meno la qualifica di P.g. pu˜ fare una sicura differenza in merito allĠincisivitˆ delle loro azioni (19). cos“, semplificando, se il soggetto ÒispettoreÓ non potesse accedere alla diversa qualifica, le sue indagini dovrebbero rimanere confinate nel (pi ristretto) ambito delle attivitˆ ispettive amministrativo (20); per contro, se si (15) Il tema  quello degli atti a finalitˆ c.d. mista che, per veritˆ, resterˆ quasi del tutto estraneo allĠapprofondimento. Per lĠindagine esaustiva si rimanda a R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit. (16) Si vedano, G. bIScARDI, Atti a finalitˆ mista, indizi di reato e garanzie difensive: una sintesi difficile, Processo penale e giustizia, n. 6 del 2015, p. 159; P. SoRbello, La valutazione di sospetti, indizi e notizie di reato nel passaggio (incerto) dalle attivitˆ ispettive alle funzioni di polizia giudiziaria, Diritto penale contemporaneo, 2/2016, p. 128; per la completezza dellĠindagine, R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit; e ancora R.e. KoStoRIS, Sub art. 220, in e. AMoDIo, o. DoMINIoNI, Commentario del nuovo codice di procedura penale, Appendice, Milano, 1990, p. 74. (17) Fra le pi importanti, cass. Pen., Sez. Un., n. 45477 del 2001; pi di recente, cass. Pen., sez. III, n. 1973 del 2015 e cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 2015. Fra le pronunce della consulta, che hanno aperto il dibattito sul tema, corte cost. nn. 148 e 149 del 1969. (18) Seppur molto brevemente, si sappia che il concetto che sia in dottrina sia in giurisprudenza sembra si sia fatto strada  quello di Òmera possibilitˆ di reatoÓ. Dunque, quando nel corso delle attivitˆ ispettive e di vigilanza condotte in sede amministrativa, dovesse palesarsi questa possibilitˆ di reato di cui si  detto, sarˆ il tempo di passare al rito penale. In dottrina, R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit. In giurisprudenza si rimanda, fra le tante, a cass. SS.UU., 45477 del 2001. (19) Viste le brevi considerazioni che si sono anticipate a norma dellĠart. 220 disp. att. c.p.p., infatti, Òquando nel corso di attivitˆ ispettive e di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari ad assicurarle fonti di prova (É) sono compiuti nellĠosservanza della legge penaleÓ. (20) In maniera esemplificativa, si pu˜ citare la recente cass. Pen., sez. II, 10 giugno 2015, n. 35099, ÒA norma dell'art. 57, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., gli agenti della polizia municipale hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, quando sono in servizio nell'ambito territoriale del RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 producesse in indagini penali gli atti da questi prodotti dovrebbero esser ritenuti inutilizzabili nellĠipotetico successivo giudizio penale (21). ed infine, visto il recentissimo riconoscimento, quando pu˜ accedere alla qualifica, seppur nei limiti e nel rispetto della legge processuale, potrˆ continuare le sue indagini anche in ambito penale. ed allora, venendo al contenuto pi significativo delle sentenze in commento, ed anche in forza delle argomentazioni esposte, si pu˜ certamente affermare come le precisazioni effettuate dalle due corti hanno il pregio di fissare una volta di pi i criteri spendibili ai fini di una corretta ricerca della qualifica attribuibile ad un organo, lato sensu, investigativo. le due pronunce, invero, avviandoci alla conclusione, hanno il merito, soprattutto se lette congiuntamente, di specificare quali debbono essere i criteri ermeneutici utilizzabili ai fini dellĠattribuzione di funzione. UnĠanalisi critica svela come per un corretto inquadramento della questione, debbono utilizzarsi criteri sia di matrice sostanziale sia di natura processuale. Sul punto, si esprime in maniera particolarmente lucida la sentenza della cassazione (22). Difatti, come emerge dalle parole spese dai giudici di legittimitˆ, una let l'ente di appartenenza; ne consegue che tale qualifica  limitata nel tempo e nello spazio, a differenza di altri corpi di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, ecc.) i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto illegittimo l'arresto operato da agenti della polizia municipale al di fuori del territorio di propria competenza, sebbene l“ avesse avuto inizio l'inseguimento dell'indagato)Ó. (21) In questo senso, a titolo esemplificativo, si collocano, fra le altre, cass. Pen., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 13502, ÒI dipendenti dell'Agenzia delle Entrate non rivestono la qualitˆ di soggetti legittimati a svolgere attivitˆ di polizia giudiziaria, con la conseguenza che  affetto da nullitˆ l'interrogatorio, richiesto dall'indagato ex art. 415 bis, comma terzo, cod. proc. pen., che sia stato agli stessi delegato dal P.M. (In motivazione, la Corte ha escluso l'applicabilitˆ alle attuali Agenzie fiscali delle norme concernenti i preesistenti uffici delle imposte ovvero di quelle relative alle funzioni di P.G. svolte della Guardia di Finanza, altres“ rilevando che l'Agenzia delle Entrate aveva, nella specie, la qualitˆ di persona offesa dal reato)Ó; ed ancora, in termini pi prossimi allĠoggetto della nostra indagine, si veda, cass. Pen., sez. VI, n. 37491 del 2010 ÒLe guardie zoofile dell'E.N.P.A. (Ente nazionale protezione animali) non rivestono in alcun caso la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria e non possono procedere pertanto al sequestro probatorioÓ, o ancora quanto affermato da cass. Pen., sez. III, n. 15074 del 2007 ÒOrbene alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente (come il WWF) non risulta riconosciuta la qualifica di polizia giudiziaria nŽ dalla L. n. 157 del 1992, nŽ da altra normativa speciale (É). Stante la mancanza della qualifica di Agente o Ufficiale di P.G. nei confronti delle guardie volontarie che hanno operato in concreto il sequestro probatorio, consegue la illegittimitˆ dello stesso, perchŽ eseguito in violazione delle norme di cui agli artt. 354 e 355 c.p.pÓ. (22) cass. Pen., sez. III, n. 50352/2016, afferma che ÒIl tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, operante nei servizi con compiti ispettivi di vigilanza (nella specie, si trattava di personale in servizio presso un'agenzia regionale per l'ambiente: Arpa) , nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudiziaria, in ragione delle specifiche competenze attribuitegli e alla rilevanza -anche costituzionale -del bene (l'ambiente) al quale le stesse attengono. Ci˜, del resto, dovendolo desumere, con riferimento al disposto generale dell'art. 57, comma 3, c.p.p, dal d.l. 4 dicembre 1993 n. 496, conv. dalla l. 21 gennaio 1994 n. 61, istitutivo dell'agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e delle agenzie regionali e provinciali, nonchŽ dal d.m. 17 gennaio 1997 n. 58, di disciplina del profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoroÓ. coNteNzIoSo NAzIoNAle tura che si basasse solamente sugli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale si mostrerebbe insufficiente. Gli articoli da ultimo richiamati, infatti, indicano ÒsolamenteÓ le attivitˆ che la P.g. deve svolgere e individuano chi, astrattamente,  chiamato a svolgere quelle funzioni. Una corretta ÒindagineÓ, per˜, come emerge chiaramente dalla sentenza della cassazione n. 50352/2016, pretende una riflessione che investa anche la materia di volta in volta oggetto delle investigazioni, latamente intese: la materia  presidiata dalla legge penale? (23). ovviamente, come accennato, la risposta al quesito non potrˆ che avvenire per ogni singolo ambito; qui, per rimanere in tema con lĠoggetto delle riflessioni proposte, ci si pu˜ limitare al quesito se la materia ambientale  presidiata dalla legge penale (?). ora, in veritˆ, in merito a ci˜ la risposta appare quasi immediata: la materia ambientale  presidiata dalla legge penale. A riprova si consideri solamente la riforma intercorsa nel 2015 (24), volta ad inasprire la risposta repressiva dello Stato contro comportamenti in grado di impattare negativamente sullĠambiente. DĠaltronde, il tutto appare in piena linea di coerenza logica con i numerosi dibattiti politici diffusisi sia in ambito nazionale sia in contesti internazionali (25), che hanno avuto ad oggetto il tema. oramai il diritto ambientale costituisce un modernissimo terreno di confronto e di dialogo:  presidiato dalla legge penale. ci˜ ha reso ancor pi attuale questo rinnovato confronto in merito alla qualifica attribuibile agli operatori ARPA. Note conclusive. Dunque, in conclusione, le Alte corti hanno dato risposta ai quesiti ed alle istanze che provenivano da pi parti e nel far ci˜, hanno fornito criteri, di certa utilitˆ, spendibili anche in altri e futuri casi, qualora si aprisse un nuovo dibattito. In ultima istanza, solo si nota che, se da un lato le due pronunce, riconoscendo la qualifica P.g. al personale ARPA, hanno reso pi incisive le loro attivitˆ di vigilanza; dallĠaltro, seppur in maniera apparentemente mediata, hanno comunque fornito tutela ai cittadini. ci˜ perchŽ la sentenza della consulta, ad esempio, finisce con lĠessere un monito a future iniziative regionali sul tema e poi, visto anche la (corposa) giurisprudenza di legittimitˆ sulla questione, tengono accesi i riflettori sulle attivitˆ di P.g. e sullĠimportanza che queste siano sempre legittime. Infine, si segnala come la corte costituzionale, rilevata la violazione del- lĠart. 117 cost., ha dichiarato lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 31, co. 4, (23) Questo  uno dei quesiti cui deve dar risposta lĠinterprete. (24) legge n. 68 del 2015. (25) Si pensi, per ultimo, alla conferenza di Parigi del 2016. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 della legge della Regione basilicata n. 37 del 2015, nella parte in cui riteneva di poter attribuire al personale ARPAb, nellĠesercizio delle proprie funzioni di vigilanza, la qualifica e le funzioni di Polizia giudiziaria; e ci˜ (al tempo della legge incriminata) senza che vi fosse una fonte di provenienza statale. Corte costituzionale, sentenza 13 gennaio 2017 n. 8 -Pres. P. Grossi, Red. N. zanon - Giudizio di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 31, comma 4, della legge della Regione basilicata 14 settembre 2015, n. 37 (avv. St. P.G. Marrone per il Presidente del consiglio dei ministri). Ritenuto in fatto 1. con ricorso notificato il 12-17 novembre 2015, depositato il 17 novembre 2015 e iscritto al n. 100 del registro ricorsi 2015, il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallĠAvvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimitˆ costituzionale in via principale dellĠart. 31, comma 4, della legge della Regione basilicata 14 settembre 2015, n. 37, recante ÇRiforma Agenzia Regionale per lĠAmbiente di basilicata (A.R.P.A.b.)È, per violazione dellĠart. 117, secondo comma, lettera l), della costituzione. 1.1. Ricorda, anzitutto, il ricorrente che la legge reg. basilicata n. 37 del 2015 disciplina lĠAgenzia regionale per la protezione ambientale della basilicata (dĠora in avanti: ARPAb), ente che era giˆ stato istituito dalla legge della Regione basilicata 19 maggio 1997, n. 27 (Istituzione dellĠAgenzia regionale per lĠambiente della basilicata. A.R.P.A.b.); che tra le attivitˆ istituzionali obbligatorie svolte dallĠAgenzia vi sono quelle di prevenzione, di monitoraggio e di controllo ambientale (elencate allĠart. 6 della legge reg. basilicata n. 37 del 2015); e che il personale addetto a tali attivitˆ  individuato, con proprio atto, dal direttore generale del- lĠARPAb (art. 31, comma 1, legge reg. basilicata n. 37 del 2015). In tale quadro normativo, il Presidente del consiglio dei ministri lamenta lĠillegittimitˆ costituzionale del comma 4 dellĠart. 31 della legge reg. basilicata n. 37 del 2015, il quale, dopo aver stabilito che Ç[a]l personale dellĠA.R.P.A.b., incaricato dellĠespletamento delle funzioni di vigilanza e controllo si applicano le disposizioni sul personale ispettivo di cui allĠarticolo 2-bis del D.l. 4 dicembre 1993, n. 496 convertito con modificazioni nella legge 21 gennaio 1994, n. 61È, prevede che Ç[n]ellĠesercizio delle funzioni di vigilanza tale personale riveste anche la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziariaÈ. Secondo il ricorrente tale disposizione, nella parte in cui attribuisce al personale dellĠARPAb, nello svolgimento delle funzioni di vigilanza, Çla qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziariaÈ, sconfinerebbe in ambiti riservati alla potestˆ legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dellĠart. 117, secondo comma, lettera l), cost., il quale affida alla legge statale la materia Çgiurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penaleÈ. Sono richiamate la sentenza della corte costituzionale n. 313 del 2003, nella quale sarebbe stato affermato che lĠattribuzione di funzioni di polizia giudiziaria spetta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale, e le successive sentenze n. 167 del 2010 e n. 35 del 2011, con cui sono state dichiarate costituzionalmente illegittime norme regionali che attribuivano agli addetti della polizia locale la qualifica di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria. la corte costituzionale avrebbe, dunque, in pi occasioni affermato che il codice di procedura penale, agli artt. 55 e 57, concepisce la polizia giudiziaria quale Çsoggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdi coNteNzIoSo NAzIoNAle zionale (il pubblico ministero)È proprio nellĠesercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale disposta dalla lettera l) del secondo comma dellĠart. 117 cost., con lĠinevitabile conseguenza di sottrarre al legislatore regionale qualsiasi possibilitˆ di attribuire la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. osserva, quindi, il ricorrente che la possibilitˆ da ultimo ricordata non potrebbe trovare fondamento nella potestˆ legislativa residuale riconosciuta alle Regioni a statuto ordinario in ordine alla polizia amministrativa locale, nŽ la disposizione impugnata potrebbe Çtrovare emendaÈ nel richiamo, contenuto nellĠart. 31, comma 4, della legge reg. basilicata n. 37 del 2015, allĠart. 2-bis del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496 (Disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione della Agenzia nazionale per la protezione dellĠambiente), convertito in legge, con modificazioni, dallĠart. 1, comma 1, della legge 21 gennaio 1994, n. 61, il quale detta disposizioni sul personale ispettivo dellĠAgenzia nazionale per la protezione dellĠambiente. lĠAvvocatura generale dello Stato conclude ricordando quanto affermato dalla corte costituzionale nella giˆ menzionata sentenza n. 35 del 2011, ossia che il problema in discussione non  stabilire se la legge regionale impugnata sia o non sia conforme a quella statale, ma, ancora prima, se essa sia competente a disporre il riconoscimento delle qualifiche di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. (...) 3. con memoria depositata in prossimitˆ dellĠudienza pubblica, lĠAvvocatura generale dello Stato dˆ atto dellĠavvenuta abrogazione dellĠart. 31, comma 4, della legge reg. basilicata n. 37 del 2015 da parte dellĠart. 10 della legge della Regione basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (collegato alla legge di stabilitˆ regionale 2016). essa ritiene, tuttavia, che non sussistano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Mentre la novella sarebbe certamente satisfattiva delle ragioni del ricorrente, non vi sarebbe invece prova della mancata applicazione della norma abrogata. lĠAvvocatura generale dello Stato, sul punto, osserva che, nonostante la disposizione censurata sia rimasta in vigore per un lasso temporale Çnon eccessivo in termini assolutiÈ, essa  di immediata applicazione e -anche in difetto di contrarie allegazioni da parte della Regione basilicata, ... - presumibile che abbia prodotto effetti. Non potrebbe, dunque, escludersi -secondo lĠAvvocatura generale dello Stato -che al personale dellĠARPAb, nellĠesercizio delle funzioni di vigilanza, sia stata attribuita la qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria giˆ allĠindomani dellĠentrata in vigore della disposizione impugnata, e che, dunque, sulla base di essa siano stati adottati atti incidenti sulla libertˆ o sui beni dei cittadini, i quali, in difetto di una pronuncia di illegittimitˆ costituzionale, non sarebbero travolti dalla sopravvenuta abrogazione, che non ha efficacia retroattiva. Considerato in diritto 1. Il Presidente del consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimitˆ costituzionale dellĠart. 31, comma 4, della legge della Regione basilicata 14 settembre 2015, n. 37, recante ÇRiforma Agenzia Regionale per lĠAmbiente di basilicata (A.R.P.A.b.)È, nella parte in cui prevede che il personale dellĠARPAb, nellĠesercizio delle funzioni di vigilanza, riveste anche la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, per violazione dellĠart. 117, secondo comma, lettera l), della costituzione. Secondo il ricorrente la disposizione costituzionale da ultimo citata, affidando alla legge statale la materia Çgiurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penaleÈ, sottrarrebbe al legislatore regionale qualsiasi possibilitˆ di attribuire ai funzionari dellĠAgenzia regionale la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 2. Successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione basilicata ha approvato la legge regionale 4 marzo 2016, n. 5 (collegato alla legge di stabilitˆ regionale 2016), nella quale  disposta, allĠart. 10, comma 2, lĠabrogazione della disposizione impugnata (art. 31, comma 4, ultimo periodo, della legge reg. basilicata n. 37 del 2015). come rilevato dallĠAvvocatura generale dello Stato, non sussistono, tuttavia, le condizioni per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Secondo la costante giurisprudenza di questa corte,  a tal fine necessario il concorso di due requisiti: lo ius superveniens deve avere carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e le disposizioni censurate non devono avere avuto medio tempore applicazione (ex multis, sentenze n. 257, n. 253, n. 242, n. 199, n. 185, n. 155, n. 147, n. 101 e n. 39 del 2016). Nel caso ora in esame, lĠabrogazione dellĠintera disposizione impugnata risulta satisfattiva delle ragioni del ricorrente. Non sussistono, invece, elementi che dimostrino la sua mancata applicazione medio tempore o che ragionevolmente possano indurre ad escluderla. essa  rimasta in vigore per un lasso di tempo relativamente contenuto (dal 1Ħ ottobre 2015 al 5 marzo 2016), ma, indipendentemente da ci˜, rileva, in primo luogo, la sua natura auto-applicativa (ex multis, sentenze n. 149 e n. 16 del 2015) e, in secondo luogo, la circostanza che la disposizione impugnata si pone in parziale continuitˆ normativa con quanto previsto dalla precedente legge reg. basilicata 19 maggio 1997, n. 27 (Istituzione dellĠAgenzia regionale per lĠambiente della basilicata. A.R.P.A.b.), la quale -allĠart. 3, comma 2, ultimo periodo -prevedeva che Ç[i]l Direttore dellĠA.R.P.A.b. con proprio atto individua il personale che ai fini dellĠespletamento delle attivitˆ di istituto deve disporre della qualifica di ufficiale di polizia giudiziariaÈ. Pur se le due disposizioni recano formulazioni non coincidenti, esse mirano allo stesso obbiettivo, cio attribuire al personale dellĠARPAb la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. e anche tale parziale continuitˆ normativa induce a non escludere che la disposizione ora impugnata abbia trovato applicazione nel territorio regionale. 3. Nel merito, la questione  fondata. Accanto a quella effettivamente impugnata, altre leggi regionali hanno affrontato il problema qui in discussione, con formulazioni diverse ma convergenti nel disporre che al personale delle agenzie sia possibile attribuire la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria (con attribuzione diretta ex lege, ovvero affidando ad una autoritˆ amministrativa la concreta individuazione dei funzionari muniti della qualifica). tale scelta si spiega con lĠobiettivo di rendere maggiormente efficace lĠattivitˆ ispettiva in materia ambientale, in un contesto normativo statale che, anteriormente alla riforma recata dallĠart. 14, comma 7, della legge 28 giugno 2016, n. 132 (Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dellĠambiente e disciplina dellĠIstituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), si prestava ad opposte interpretazioni in ordine allĠesistenza di una fonte (appunto, statale) idonea ad attribuire al personale ispettivo delle agenzie la qualifica in questione (si vedano, da un lato, consiglio di Stato -sezione seconda consultiva, adunanza di sezione del 23 maggio 2012; dallĠaltro, corte di cassazione, sezione terza penale, 3-28 novembre 2016, n. 50352, che offrono contrastanti soluzioni sulla possibilitˆ di fondare lĠattribuzione in parola sullĠart. 21 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante ÇIstituzione del servizio sanitario nazionaleÈ, sugli artt. 03, 2-bis, e 5 del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, recante ÇDisposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione della Agenzia nazionale per la protezione dellĠambienteÈ, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, e, infine, sul decreto del Ministro della sanitˆ 17 gennaio 1997, n. 58, recante ÇRegola coNteNzIoSo NAzIoNAle mento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nellĠambiente e nei luoghi di lavoroÈ). Attualmente, il delicato problema  stato risolto dal ricordato art. 14, comma 7, della legge statale n. 132 del 2016, che autorizza i legali rappresentanti delle agenzie regionali per la protezione ambientale a individuare e nominare, tra il personale ispettivo, i dipendenti che, nellĠesercizio delle loro funzioni, operano con la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. Anche a prescindere dallĠopportuna soluzione ora introdotta dal legislatore competente, la disposizione impugnata  in contrasto con la costante giurisprudenza di questa corte (sentenze n. 35 del 2011, n. 167 del 2010 e n. 313 del 2003), elaborata in relazione a disposizioni di leggi regionali che attribuivano la qualifica in discussione al personale della polizia locale o del corpo forestale regionale. essa ha sempre affermato che ufficiali o agenti di polizia giudiziaria possono essere solo i soggetti indicati allĠart. 57, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, nonchŽ quelli ai quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dallĠart. 55 del medesimo codice, aggiungendo che le fonti da ultimo richiamate non possono che essere statali. ci˜ perchŽ le funzioni in esame ineriscono allĠordinamento processuale penale, che configura la polizia giudiziaria Çcome soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero)È (cos“, in particolare, la sentenza n. 35 del 2011). Gli stessi principi vanno affermati in relazione allĠattribuzione della qualifica in questione, operata da legge regionale, al personale ispettivo dellĠAgenzia regionale per la protezione ambientale della Regione basilicata. Ne consegue lĠillegittimitˆ costituzionale, per violazione dellĠart. 117, secondo comma, lettera l), cost. della disposizione impugnata, in quanto invasiva della competenza esclusiva statale in materia di giurisdizione penale. PeR QUeStI MotIVI lA coRte coStItUzIoNAle dichiara lĠillegittimitˆ costituzionale dellĠart. 31, comma 4, della legge della Regione basilicata 14 settembre 2015, n. 37, recante ÇRiforma Agenzia Regionale per lĠAmbiente di basilicata (A.R.P.A.b.)È, nella parte in cui prevede che Ç[n]ellĠesercizio delle funzioni di vigilanza tale personale riveste anche la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziariaÈ. cos“ deciso in Roma, nella sede della corte costituzionale, Palazzo della consulta, il 6 dicembre 2016. Cassazione penale, Sezione 3, sentenza 28 novembre 2016 n. 50352 -Pres. A. Fiale, Rel. e. Mengoni -Ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze nel procedimento nei confronti di I.t., avverso la sentenza del 14 agosto 2015 del tribunale di Firenze. RIteNUto IN FAtto 1. con sentenza del 14 agosto 2015, il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Firenze dichiarava non luogo a procedere nei confronti di t.I. - indagato per il reato di cui agli artt. 192, 256, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - perchŽ il fatto non sussiste; rilevava, al riguardo, che l'accusa si fondava esclusivamente su atti di indagine compiuti da personale del- l'A.r.pa.t., al quale non pu˜ esser riconosciuta la qualifica di polizia giudiziaria, s“ da risultare gli atti medesimi Çradicalmente inutilizzabiliÈ. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze, deducendo - con unico motivo - la violazione dell'art. 57 cod. proc. pen. e del d.m. n. 58 del 1997. Premesso il carattere oggettivamente controverso della questione, specie in ordine all'individuazione dell'autoritˆ competente ad assegnare la qualifica in oggetto, e richiamata la legge Regione toscana n. 12 del 2013 (che la stessa qualifica ha espressamente riconosciuto, cos“ per˜ inducendo dubbi di incostituzionalitˆ), si afferma che la soluzione affermativa non potrebbe, tuttavia, esser negata in forza di una lettura congiunta ed armonica degli articoli citati (e delle disposizioni contrattuali del personale de quo); a mente dei quali, infatti, tali soggetti -addetti a funzioni di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale, presidiate dalla legge penale -ricoprirebbero senza dubbio la qualifica di cui trattasi, senza peraltro rendere necessario il conferimento della stessa attraverso espressa previsione normativa. 3. con requisitoria scritta del 7 marzo 2016, il Procuratore generale presso questa corte ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato, condividendo le tesi del ricorrente. coNSIDeRAto IN DIRItto 3. Il ricorso merita accoglimento. Rileva innanzitutto il collegio che la sentenza impugnata -lungi dall'affermare con motivata sicurezza un principio di diritto, per poi porlo a fondamento della decisione - ha sottolineato in primo luogo il carattere controverso della questione, Ça pi riprese e a pi livelli dibattuta e nel tempo si sono cos“ susseguiti vari pronunciamenti e pareri, di segno opposto tra loro, che hanno prima affermato e poi negato che il personale Arpa abbia ricevuto, da norme di rango statale, la qualifica di u.p.g.È; mossa questa premessa, il Giudice ha quindi ritenuto opportuno Çprendere atto dell'orientamento che, certamente nel circondario fiorentino, si  affermato, e che fa discendere da ci˜ l'assenza della qualificaÈ in oggetto. orientamento, subito dopo, argomentato con il richiamo al d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) ed al d.m. 17 gennaio 1997, n. 58 (Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro), cos“ poi concludendo che la disciplina di quest'ultimo non pu˜ trovare applicazione nei confronti del personale A.r.p.a.t., non concernendo - in parte qua - il settore della tutela delle acque e della corretta gestione dei rifiuti. 4. orbene, ritiene il collegio che questa conclusione non possa esser condivisa, in uno con la premessa argomentativa che la sostiene, in forza delle considerazioni di cui al ricorso, che si apprezzano per la particolare luciditˆ e fondatezza. 5. In tal senso, quindi, occorre muovere dall'art. 57 cod. proc. pen., a mente del cui comma 3 "sono altres“ ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55"; da individuarsi, queste ultime, nel "prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale", nonchŽ nello svolgere "ogni indagine e attivitˆ disposta o delegata dall'autoritˆ giudiziaria". Di seguito, occorre richiamare la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la quale -all'art. 21 (Organizzazione dei servizi di prevenzione) -stabilisce che "in applicazione di quanto disposto nell'ultimo comma dell'art. 27, D.P.R. 24 luglio 1977, coNteNzIoSo NAzIoNAle n. 616 (12/b), spetta al prefetto stabilire, su proposta del presidente della regione, quali addetti ai servizi di ciascuna unitˆ sanitaria locale, nonchŽ ai presidi e servizi di cui al successivo articolo 22 assumano ai sensi delle leggi vigenti la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in relazione alle funzioni ispettive e di controllo da essi esercitate relativamente all'applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro (comma 3). Al personale di cui al comma precedente  esteso il potere d'accesso attribuito agli ispettori del lavoro dall'art. 8, secondo comma, nonchŽ la facoltˆ di diffida prevista dall'art. 9, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520" (comma 4). tale disposizione, sia pur direttamente non riferibile al caso di specie (poichŽ attinente soltanto alla materia della sicurezza del lavoro), deve per˜ esser letta in combinato disposto con il d.l. 4 dicembre 1993, n. 496 (Disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente), convertito nella l. 21 gennaio 1994, n. 61, il cui art. 03 stabilisce che "Per lo svolgimento delle attivitˆ di interesse regionale di cui all'articolo 01 e delle ulteriori attivitˆ tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale, eventualmente individuate dalle regioni e dalle province autonome di trento e di bolzano, le medesime regioni e province autonome con proprie leggi, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, istituiscono rispettivamente Agenzie regionali e provinciali, attribuendo ad esse o alle loro articolazioni territoriali le funzioni, il personale, i beni mobili e immobili, le attrezzature e la dotazione finanziaria dei presidi rnultizonali di prevenzione, nonchŽ il personale, l'attrezzatura e la dotazione finanziaria dei servizi delle unitˆ sanitarie locali adibiti alle attivitˆ di cui all'articolo 01". lo stesso decreto, al successivo art. 2-bis, prescrive poi che, "nell'espletamento delle funzioni di controllo e di vigilanza di cui al presente decreto, il personale ispettivo dell'ANPA, per l'esercizio delle attivitˆ di cui all'articolo 1, comma 1, e delle Agenzie di cui all'articolo 03 pu˜ accedere agli impianti e alle sedi di attivitˆ e richiedere i dati, le informazioni e i documenti necessari per l'espletamento delle proprie funzioni. tale personale  munito di documento di riconoscimento rilasciato dall'Agenzia di appartenenza. Il segreto industriale non pu˜ essere opposto per evitare od ostacolare le attivitˆ di verifica o di controllo". Da ultimo, e soltanto per via cronologica, occorre qui richiamare il giˆ citato decreto ministeriale 17 gennaio 1997, n. 58 (Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro), con il quale il Ministro della Sanitˆ, prima ancora di elencare le competenze spettanti al tecnico medesimo, afferma (art. 1, comma 2) che "Il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, operante nei servizi con compiti ispettivi e di vigilanza , nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudiziaria; svolge attivitˆ istruttoria, finalizzata al rilascio di autorizzazioni o di nulla osta tecnico sanitari per attivitˆ soggette a controllo". orbene, cos“ richiamata la normativa di riferimento, occorre innanzitutto evidenziare che la stessa - di natura legislativa e regolamentare - riveste indubbio carattere generale, relativo cio all'intero territorio nazionale, come (implicitamente) richiesto dal citato art. 57 cod. pen. proprio in tema di attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria; dal che, l'irrilevanza, nel caso di specie, della l. Regione toscana 22 giugno 2009, n. 30, novellata sul punto dalla l. r. 2 aprile 2013, n. 12, che ha comunque, parimenti, attribuito al direttore generale del- l'Arpat (in luogo del prefetto, come sopra indicato) la competenza ad individuare - peraltro, "con atto di natura ricognitiva" - il personale che, nell'ambito delle attivitˆ di ispezione e vigilanza, svolge funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. Di seguito, ed in adesione alla prospettazione del Procuratore ricorrente, sottolinea il RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 collegio che tale disciplina - e, in particolare, il citato decreto ministeriale n. 58 del 1997, in uno con il d. l. n. 496 del 1993 - costituisce un imprescindibile e chiaro supporto normativo per affermare la qualifica di cui trattasi in capo al personale in esame, proprio in ragione delle specifiche competenze allo stesso attribuite ed alla rilevanza - anche costituzionale - del bene al quale le stesse attengono, oggetto di tutela penale; in particolare, il decreto medesimo emanato in attuazione del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ripreso nell'ordinanza impugnata -stabilisce (art. 1, comma 1) che "il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro  l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante,  responsabile, nell'ambito delle proprie competenze, di tutte le attivitˆ di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene di sanitˆ pubblica e veterinaria". Una competenza ampia, quindi, diffusamente descritta al comma 3 dell'art. 1, a mente del quale il tecnico medesimo: a) istruisce, determina, contesta e notifica le irregolaritˆ rilevate e formula pareri nell'ambito delle proprie competenze; b) vigila e controlla gli ambienti di vita e di lavoro e valuta la necessitˆ di effettuare accertamenti ed inchieste per infortuni e malattie professionali; c) vigila e controlla la rispondenza delle strutture e degli ambienti in relazione alle attivitˆ ad esse connesse; d) vigila e controlla le condizioni di sicurezza degli impianti; e) vigila e controlla la qualitˆ degli alimenti e bevande destinati all'alimentazione dalla produzione al consumo e valuta la necessitˆ di procedere a successive indagini specialistiche; f) vigila e controlla l'igiene e sanitˆ veterinaria, nell'ambito delle proprie competenze, e valuta la necessitˆ di procedere a successive indagini; g) vigila e controlla i prodotti cosmetici; h) collabora con l'amministrazione giudiziaria per indagini sui reati contro il patrimonio ambientale, sulle condizioni di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e sugli alimenti. Fino a stabilirsi, quale disposizione di chiusura, che lo stesso tecnico della prevenzione dell'ambiente "vigila e controlla quant'altro previsto da leggi e regolamenti in materia di prevenzione sanitaria e ambientale, nell'ambito delle proprie competenze" (art. 1, comma 3, lett. i). competenze per le quali -si ribadisce -lo stesso decreto n. 58/1997 riconosce la qualifica di polizia giudiziaria anche al personale dell'A.r.p.a.t. che ha compiuto gli accertamenti di cui al giudizio in esame; s“ da condividere l'assunto del Procuratore ricorrente in forza del quale, ÇpoichŽ la tutela dell'ambiente  materia presidiata dalla legge penale, le funzioni di vigilanza e controllo che la citata normativa statale riconosce (e, quanto alla Regione toscana, anche la conforme e successiva legislazione regionale) ai tecnici delle Agenzie Regionali non possono non essere ricondotte nell'alveo della previsione di cui all'art. 55 c.p.p. e, quanto alla qualifica spettante ai soggetti che ne sono titolari, alla generale previsione di cui al citato terzo comma del successivo art. 57 c.p.p.È. e s“, ancora, da imporre l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Firenze, per l'ulteriore esame del procedimento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Firenze. cos“ deciso in Roma, il 3 novembre 2016. coNteNzIoSo NAzIoNAle Il Òrito ForneroÓ e le controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti instaurate dai pubblici dipendenti ÒcontrattualizzatiÓ NOTA A TRIBUNALE DI NAPOLI, SEz. LAV., ORDINANzA 8 FEBBRAIO 2017 Anna Andolfi* SOMMARIO: 1. La Òriforma ForneroÓ e il licenziamento del pubblico dipendente - 2. La controversia questione dellĠapplicabilitˆ dellĠart. 18 dello Statuto dei Lavoratori, novellato dalla Òriforma ForneroÓ, al pubblico impiego -3. La controversia questione dellĠapplicabilitˆ del Òrito ForneroÓ al pubblico impiego - 4. Brevi cenni sulla qualitˆ della cognizione nella prima fase del Òrito ForneroÓ - 5. Considerazioni conclusive. 1. La Òriforma ForneroÓ e il licenziamento del pubblico dipendente. lĠordinanza che si annota prende posizione su una delle questioni pi controverse sorte con lĠentrata in vigore della legge 28 giugno 2012, n. 92, vale a dire lĠapplicabilitˆ (o meno) del rito per lĠimpugnativa dei licenziamenti, disciplinato dallĠart. 1, commi 47 ss., della citata legge, alle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti instaurate dai pubblici dipendenti ÒcontrattualizzatiÓ. Infatti, sin dallĠentrata in vigore della legge n. 92/2012, dottrina e giurisprudenza hanno nutrito dubbi in ordine allĠambito di applicazione della riforma. I maggiori dubbi sono sorti soprattutto a causa dellĠequivoca formulazione dei commi 7 e 8 dellĠart. 1, l. n. 92/2012, concernenti la disciplina transitoria (1). Il problema posto allĠinterprete  stabilire se lĠapplicazione al dipendente presso le pubbliche amministrazioni delle disposizioni di cui alla legge n. 92 del 2012 sia condizionata al soddisfacimento delle iniziative, di cui al comma 8, da parte del Ministero per la Pubblica Amministrazione. lĠincertezza interpretativa posta dalle predette disposizioni  ulteriormente aggravata dalle previsioni di cui agli artt. 2 e 51 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le quali prevedono una estensione generalizzata delle regole vigenti nel settore privato, ivi inclusa la legge 20 maggio 1970, n. 300, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (2). (*) Dottore in Giurisprudenza, giˆ praticante forense presso lĠAvvocatura distrettuale di Napoli. (1) Mentre il comma 7 prevede che Çle disposizioni della presente legge, per quanto ad esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni [É]È, il comma 8 dispone che ÇAi fini dellĠapplicazione del comma 7 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalitˆ e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubblicheÈ. (2) coSMAI P., La questione dellĠapplicabilitˆ del rito Fornero al pubblico impiego, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2014, 790. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Su queste basi in dottrina e in giurisprudenza sono emerse diverse opzioni ermeneutiche circa i confini applicativi della riforma ÒForneroÓ, con riferimento sia ai profili sostanziali che a quelli processuali della predetta riforma. 2. La controversa questione dellĠapplicabilitˆ dellĠart. 18 dello Statuto dei Lavoratori, novellato dalla Òriforma ForneroÓ, al pubblico impiego. la tesi favorevole allĠapplicazione dellĠart. 18, come modificato dalla legge n. 92/2012 al pubblico impiego, fa leva sulla assimilazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti presso le pubbliche amministrazioni ai lavoratori del settore privato (3), assimilazione confermata dal Òrinvio mobileÓ di cui allĠart. 51, comma 2, D.lgs. n. 165/2001, il quale imporrebbe lĠapplicazione del novellato art. 18 anche ai rapporti di lavoro pubblico (4). la tesi contraria si fonda sulla incompatibilitˆ con il pubblico impiego degli obiettivi della riforma -vale a dire lĠincremento occupazionale, agevolando la c.d. flessibilitˆ in uscita -atteso che lĠimpiego presso le Amministrazioni ha un sistema di accesso diverso da quello privato e basato esclusivamente sul pubblico concorso (5). Inoltre, come evidenziato dai sostenitori della tesi in esame, posto che il rinvio di cui allĠart. 2, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, ha lĠeffetto di estendere al pubblico impiego tutte le norme sul lavoro privato, i commi 7 e 8 dellĠart. 1, della l. n. 92/2012 avrebbero lo scopo specifico di paralizzare lĠefficacia del predetto rinvio, rendendo inapplicabili le disposizioni di cui alla Òriforma ForneroÓ (6). la tesi in ultimo esaminata ha il pregio di offrire una soluzione che tenga conto delle diversitˆ ontologiche tra il settore pubblico e quello privato, con particolare riferimento alle disposizioni in tema di licenziamento individuale. Si consideri, infatti, che lĠart. 55 del D.lgs. n. 165/2001 prevede che le disposizioni dettate in tema di procedura disciplinare del pubblico dipendente, nonchŽ in tema di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, sono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1418, comma 2, c.c., la cui violazione dovrebbe comportare la nullitˆ del recesso. Viceversa, la disci (3) cAVAllARo l., Pubblico Impiego e (nuovo) art. 18 St. lav.: Òdifficile convivenzaÓ o Òcoesistenza pacificaÓ?, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT - 176/2013; ID., PerchŽ il nuovo art. 18 St. lav. si applica al pubbligo impiego, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2013, 6, 927 ss.; cURzIo P., Il nuovo rito per i licenziamenti, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ. IT - 258/2012. (4) GRAzIA M.A., La disciplina del licenziamento nel pubblico impiego dopo la riforma Fornero, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 77 ss. (5) cARINcI F., Ripensando il nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in Argomenti di Diritto del Lavoro, 2013, 3, 461 ss.; ID., é applicabile il novellato art. 18 St. al pubblico impiego privatizzato? (una domanda ancora in cerca di risposta), in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2013, 6, 913 ss.; bARbeRI M., La nuova disciplina del licenziamento individuale: profili sostanziali e questioni controverse, in bARbeRI M., DAlFINo D., Il licenziamento individuale, 2013, cacucci editore, bari, 49. (6) bARbeRI M., La nuova disciplina del licenziamento individuale: profili sostanziali e questioni controverse, cit., 49. coNteNzIoSo NAzIoNAle plina introdotta dalla legge n. 92/2012 ha generalizzato la tutela risarcitoria, sancendo la nullitˆ del recesso datoriale nei soli casi tassativamente indicati nel comma 1 dellĠart. 18, legge n. 300/1970 (7). Il limite della tesi in ultimo citata pu˜ individuarsi nella difficoltˆ di ipotizzare la coesistenza di due diversi articoli 18 dello Statuto dei lavoratori, posto che, come testualmente previsto dallĠart. 1, comma 42, della legge n. 92/2012, il vecchio testo dellĠart. 18 sarebbe stato sostituito dalla formulazione di nuovo conio. Si registra, infine, una tesi intermedia (8), la quale sussume tutte le ipotesi di illegittimitˆ del licenziamento del pubblico dipendente alla tutela reintegratoria piena di cui al primo comma dellĠart. 18 dello St. lav., lasciando i restanti tre regimi sanzionatori di cui ai commi successivi (9) al solo impiego privato. lĠopzione ermeneutica in esame si fonda sul carattere imperativo delle disposizioni contenute negli artt. 55 ss. del D.lgs. n. 165/2001 e sulla impossibilitˆ di configurare, in capo al lavoratore pubblico illegittimamente licenziato, una tutela meramente risarcitoria (10), in considerazione delle maggiori difficoltˆ di accesso al pubblico impiego. la tesi in ultimo menzionata ha ispirato la prima pronuncia di legittimitˆ sulla tematica della applicabilitˆ al pubblico dipendente della novellata disciplina di cui allĠart. 18 della legge n. 300/1970. la corte di cassazione infatti, con la sentenza 26 novembre 2015, n. 24157 (11), sul presupposto dellĠapplicabilitˆ del novellato art. 18, ha sancito che le violazioni formali della procedura disciplinare promossa nei confronti del pubblico dipendente danno vita alla tutela reintegratoria piena di cui al primo comma della predetta disposizione (12). Il dibattito sulla tormentata questione del perimetro applicativo della Òriforma ForneroÓ ha assunto nuovo vigore con il D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (13), il quale opta per una netta esclusione delle pubbliche amministrazioni dallĠambito di applicazione della riforma. lĠart. 1, comma 1, del richiamato decreto le (7) GRAzIA M.A., La disciplina del licenziamento nel pubblico impiego dopo la riforma Fornero, cit., 77. (8) De lUcA M., Riforma della tutela reale contro il licenziamento illegittimo e rapporto di lavoro privatizzato alla dipendenza di amministrazioni pubbliche: problemi e prospettive di coordinamento, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT - 178/2013. (9) Vale a dire la tutela reintegratoria attenuata di cui ai commi 4 e 7 dellĠart. 18, la tutela indennitaria piena di cui al comma 5 del novellato art. 18 e la tutela indennitaria attenuata o debole di cui al comma 6 dellĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori (bARbeRI M., La nuova disciplina del licenziamento individuale: profili sostanziali e questioni controverse, cit., 18 ss.). (10) GIoRGI e., Art. 18 Stat. Lav. e impiego pubblico contrattualizzato: brevi riflessioni su un revirement giurisprudenziale, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 7, 679. (11) In Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2015, 3-4, 510 ss., con nota di tAMPIeRI A. (12) GRAzIA M.A., La disciplina del licenziamento nel pubblico impiego dopo la riforma Fornero, cit., 83. (13) Recante Çdisposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183È. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 gislativo, infatti, definendo il campo di applicazione nella normativa, identifica come destinatari le categorie dei lavoratori privati definiti dallĠart. 2095 c.c. (14). Un ultimo importante arresto, nel dibattito relativo ambito di applicazione del novellato art. 18 St. lav., si  avuto con la sentenza della corte di cassazione, n. 11868 del 9 giugno 2016 (15). la Suprema corte, dopo aver illustrato gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali formatisi sul tema, mutando il precedente orientamento, ha escluso lĠapplicabilitˆ, ai dipendenti pubblici ÒcontrattualizzatiÓ, della disciplina di cui allĠart. 18 della legge n. 300/1970. Secondo il giudice di legittimitˆ, sino allĠintervento normativo di cui al comma 8, art. 1, legge n. 92/2012, Ònon si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate allĠart. 18 dello Statuto, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della normaÓ (16). la corte, al fine di salvaguardare la specialitˆ della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, propende per la perdurante vigenza dellĠart. 18 della legge n. 300/1970 nel testo antecedente alla legge n. 92/2012 limitatamente ai rapporti di lavoro di cui allĠart. 2 del D.lgs. n. 165/2001. tale opzione ermeneutica, tuttavia, suscita qualche perplessitˆ in quanto, valorizzando eccessivamente la disposizione transitoria di cui al comma 8, art. 1, legge n. 92/2012, finisce per scavalcare il dato letterale del- lĠart. 1, comma 42, della predetta legge, il quale ha sic et simpliciter sostituito la precedente formulazione dellĠart. 18 con quella di nuovo conio. 3. La controversa questione dellĠapplicabilitˆ del Òrito ForneroÓ al pubblico impiego. Il dibattito in ordine allĠambito di applicazione della legge n. 92/2012 ha investito non soltanto i profili sostanziali, ma anche quelli processuali della riforma. comĠ noto, il legislatore, con la legge 28 giugno 2012, n. 92, in evidente controtendenza rispetto alla scelta operata con il D.lgs. 1Ħ settembre 2011, n. 150 (17), ripropone la tecnica della tutela giurisdizionale differenziata (18), introducendo un rito ad hoc per la trattazione delle controversie aventi ad og (14) Secondo una parte della dottrina, lĠintervento normativo in ultimo citato, in sostanziale continuitˆ con la Òriforma ForneroÓ, testimonierebbe la tendenza alla progressiva disgregazione del principio della privatizzazione del lavoro pubblico (MAINARDI S., Il campo di applicazione del d.lgs. 23/2015: licenziamenti illegittimi, tutele crescenti e dipendenti pubblici, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2015, 1, 37 ss.; sulla c.d. Òriforma ForneroÓ, RoMeo c., La Òlegge ForneroÓ e il rapporto di impiego pubblico, in Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2012, 721). con riferimento ai profili processuali del D.lgs. n. 23/2015 si rinvia a boRGheSI D., Aspetti processuali del contratto a tutele crescenti, in www.judicium.it; De ANGelIS l., Il contratto a tutele crescenti. Il giudizio, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT - 250/2015. (15) In Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 7, 674 ss., con nota di GIoRGI e. (16) Sul punto anche PUccettI e., Il nuovo articolo 18 si applica al pubblico impiego, anzi no, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2016, 6, 949 ss. coNteNzIoSo NAzIoNAle getto lĠimpugnativa dei licenziamenti, nelle quali si chieda lĠapplicazione di una o pi delle tutele previste nel novellato art. 18 della legge n. 300 del 1970. la disciplina di riferimento  contenuta nei commi da 47 a 69 dellĠart. 1, l. n. 92 del 2012, i quali disegnano un rito strutturato in quattro fasi: primo grado di giudizio a struttura bifasica (prima fase, sommaria, da concludersi, in tempi brevi, con ordinanza Çimmediatamente esecutivaÈ, che si svolge dinanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro; fase, eventuale, di opposizione, avverso lĠordinanza, che si svolge dinanzi al medesimo tribunale e che sarˆ definita con sentenza); secondo grado di giudizio, eventuale, da proporsi, mediante ÒreclamoÓ, dinanzi alla corte dĠAppello; terzo ed eventuale grado di giudizio, dinanzi alla corte di cassazione avverso la sentenza pronunciata dal giudice dĠappello (19). Il rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti - in particolare nella prima fase sommaria, strutturata in modo da consentire di pervenire, nel pi breve tempo possibile, ad un accertamento circa la legittimitˆ o meno del licenziamento - risponde senzĠaltro alle esigenze celeritˆ e di certezza ampiamente espresse dal legislatore con la l. n. 92/2012 (20). (17) Recante Çdisposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dellĠart. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69È. tale riforma mira a ricondurre i molteplici riti civili, previsti da leggi speciali, ai tre riti previsti nel codice di procedura civile: rito ordinario di cognizione, rito del lavoro, procedimento sommario di cognizione. (18) PRoto PISANI A., Le tutele giurisdizionali dei diritti, Jovene, Napoli 2003, spec. Problemi della cd. tutela giurisdizionale differenziata, 227 ss.; ID., Verso la residualitˆ del processo a cognizione piena?, in Il Foro Italiano, 2006, 53. (19) Per una dettagliata analisi del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti si rinvia a coN- Solo c., RIzzARDo D., Vere o presunte novitˆ, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Il Corriere Giuridico, 2012, 6, 735 ss.; cURzIo P., Il nuovo rito per i licenziamenti, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT -158/2012; DAlFINo D., Il nuovo procedimento in materia di impugnativa del licenziamento (nella l. 28 giugno 2012 n. 92), in Il Giusto Processo Civile, 2012, 3, 759 ss.; ID., Il rito Fornero nella giurisprudenza: prime applicazioni, in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2013, 2, 159 ss.; ID., Il rito Fornero nella giurisprudenza: aggiornamento, ivi, 2014, 1, 3 ss.; ID., Il rito Fornero nella giurispudenza: le questioni ancora aperte, ivi, 3, 397 ss.; ID., LĠimpugnativa del licenziamento secondo il cd. rito ÒForneroÓ: questioni interpretative, in Il Foro Italiano, 2013, 1, 6 ss.; De lUcA M., La disciplina dei licenziamenti tra tradizione e innovazione: per una lettura conforme a costituzione, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT -175/2013; De cRISotFARo M., GIoIA G., Il nuovo rito dei licenziamenti: lĠanelito alla celeritˆ per una tutela sostanziale dimidiata, in ceSteR c. (a cura di), I licenziamenti dopo la legge 92 del 2012, cedam, Padova 2013, 379 ss.; FIcARellA G., Il rito ÒForneroÓ a due anni dallĠentrata in vigore: dottrina e giurisprudenza a confronto, in Il Giusto Processo Civile, 2014, 4, 1211 ss.; lUISo F.P., La disciplina processuale speciale della legge n. 92 del 2012 nellĠambito del processo civile: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, in www.judicium.it; PAGNI I., I correttivi alla durata del processo nella l. 28 giugno 2012, n. 92: note brevi sul nuovo rito in materia di licenziamenti, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2013, 1, 339 ss.; VeRDe G., Note sul processo nelle controversie in seguito a licenziamenti regolati dallĠart. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Rivista di diritto processuale, 2013, 1, 299 ss. (20) la legge, infatti, detta una serie di disposizioni dirette a ridurre il grado di incertezza derivante dallĠimpugnativa del licenziamento, incertezza che pu˜ volgere a danno del datore di lavoro e del lavoratore, ponendoli in una situazione di attesa per tutta la durata del processo. Rispondono senzĠaltro a questa esigenza: lĠintroduzione di un tetto massimo allĠindennitˆ risarcitoria, nonchŽ la riduzione del secondo termine per lĠimpugnativa giudiziale del licenziamento, da 270 a 180 giorni. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Il nuovo rito si applica, come dispone il comma 47, art. 1, l. 92/2012 Çalle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dallĠarticolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoroÈ. Il criterio scelto dal legislatore fa perno, dunque, sulla disciplina sostanziale dei licenziamenti: quando, impugnando il licenziamento, il lavoratore chieda una (o pi) delle tutele previste dallĠart. 18 St. lav., la domanda dovrˆ essere proposta nelle forme di cui al comma 48, art. 1, l. n. 92/2012. lĠentrata in vigore del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti ha posto allĠinterprete numerose questioni interpretative, di cui solo alcune di queste hanno trovato soluzione in sede giurisprudenziale (21). tra le principali questioni ermeneutiche vi  quella relativa allĠattrazione (o meno) delle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti dei dipendenti presso le pubbliche amministrazioni allĠambito di applicazione del rito speciale, questione affrontata dal giudice di merito nellĠordinanza che si annota. Fermo quanto sopra esposto con riferimento alla questione dellĠ(in)applicabilitˆ del novellato art. 18 dello St. lav. al pubblico impiego, per quanto riguarda i profili processuali della riforma ÒForneroÓ si potrebbe ritenere non applicabile la disciplina transitoria di cui ai pi volte citati commi 7 e 8, art. 1, legge n. 92/2012, soprattutto perchŽ non sembra possa riconoscersi, nella (21) tra le numerose questioni controverse si segnalano: la fruibilitˆ del rito speciale da parte del datore di lavoro (DAlFINo D., Obbligatorietˆ del cd. rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisione di questioni nella fase sommaria, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2014, 2, 396 ss.; Izzo S., La legittimazione del datore di lavoro nel nuovo rito per lĠimpugnativa dei licenziamenti, in Diritti Lavori Mercati, 2013, 2, 406 ss.; ID., La legittimazione del datore di lavoro e la complessitˆ della fase sommaria del c.d. rito Fornero alle sezioni unite, in Il Foro Italiano, 2014, 6, 1858 ss.; ID., Le sezioni unite, il c.d. rito Fornero e lĠammissibilitˆ della domanda del datore di lavoro, Çsi parva non liquetÈ, ivi, 9, 2760 ss.; PIccININI A., Richiesta di accertamento della legittimitˆ del licenziamento ex rito Fornero da parte del datore di lavoro, in Il lavoro nella Giurisprudenza, 2013, 4, 376 ss.), le domande proponibili con il rito speciale e la connessa questione delle conseguenze in caso di erronea individuazione del rito applicabile (bUoNcRIStIANI D., La conversione del rito Fornero in rito laburistico, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2014, 2, 610 ss., MUtARellI M.M., é davvero ÒimproponibileÓ nel rito Fornero la domanda di tutela ex art. 8, l. n. 604/1966?, in Rivista giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2016, 2, 241 ss.), il rapporto tra la prima fase sommaria e la tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. (cAPoNettI S., Rito Fornero e ricorso al provvedimento cautelare dĠurgenza: un caso di delicata ÒchirurgiaÓ processuale, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2014, 12, 1102 ss.; RUScIANo S., Procedimento di impugnativa di licenziamento: il complicato ricorso alla tutela dĠurgenza ex art. 700 c.p.c., in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2013, 1, 653 ss.), la natura del giudizio di opposizione (GIoRGI F.M., La consulta si pronuncia sulla legittimitˆ costituzionale dellĠart. 1, comma 51, del rito Fornero, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2015, 8, 788 ss.; MINAFRA N., Brevi note sullĠincompatibilitˆ tra il giudice della fase sommaria e il giudice dellĠopposizione nel procedimento per lĠimpugnativa del licenziamento, in Il Giusto Processo Civile, 2014, 3, 811 ss.; PANzARolA A., Incompatibilitˆ del giudice e impugnativa del licenziamento alla luce della nuova disciplina della legge Fornero, in Giurisprudenza di Merito, 2013, 8, 1540 ss.), lĠapplicabilitˆ al reclamo di cui ai commi 58 a 61, art. 1, legge n. 92/2012, del c.d. Òfiltro in appelloÓ (De lUcA M., Reclamo contro la sentenza di primo grado nel procedimento specifico in materia di licenziamenti (art. 1, commi 58 ss., legge 92 del 2012): natura, forma e filtro in appello, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2013, 2, 847 ss). coNteNzIoSo NAzIoNAle materia processuale, uno spazio di intervento e di armonizzazione al Ministero per la Pubblica Amministrazione (22). Si consideri, inoltre, che con riferimento alle controversie in esame il perimetro applicativo del Òrito ForneroÓ potrebbe essere pi ampio, posta la esclusione dei pubblici dipendenti dallĠambito di applicazione del D.lgs. n. 23/2015 e, dunque, dallĠart. 11 ivi previsto, il quale dispone la non applicabilitˆ del rito speciale ai licenziamenti soggetti al regime di tutele crescenti. la dottrina allo stato prevalente (23) ha espresso opinione favorevole al- lĠapplicabilitˆ del rito in esame alle controversie promosse dai pubblici dipendenti, facendo ricorso ad una serie di argomentazioni. Anzitutto, si pone lĠaccento sulla finalitˆ del rito speciale, volto a dare certezza ai rapporti di lavoro, finalitˆ il cui raggiungimento va favorito anche nei rapporti di lavoro presso la pubblica amministrazione (24). In secondo luogo, si fa leva sulla Çnatura tendenzialmente uniformeÈ della disciplina processualcivilistica, Çper tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti contrattuali della stessa naturaÈ (25): mentre  comprensibile, infatti, una diversa disciplina dei regimi sanzionatori tra rapporti di lavoro pubblici e privati, altrettanto non pu˜ dirsi per le norme di natura processuale, richiedendosi, pertanto, una disciplina uniforme. QuestĠultima argomentazione  quella alla quale fa ricorso anche una parte della giurisprudenza di merito per riconoscere lĠapplicabilitˆ del nuovo rito al pubblico dipendente, anche laddove si esclude lĠapplicabilitˆ della disciplina sostanziale (26). Non mancano, tuttavia, pronunce di senso contrario, tendenti ad escludere dal perimetro applicativo del rito speciale le controversie instaurate dai dipendenti presso le Pubbliche Amministrazioni (27). (22) GeRARDo M., MUtARellI A., Il licenziamento nel pubblico impiego dopo la riforma Fornero (ovvero il cubo di Rubrik), in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2013, 1, 191 ss. (23) cURzIo P., Il nuovo rito per i licenziamenti, cit., 7 s.; SoRDI P., LĠambito di applicazione del nuovo rito per lĠimpugnazione dei licenziamenti e disciplina della fase di tutela urgente, in www.giuslavoristi.it, 9 s.; DAlFINo D., Il licenziamento dopo la l. n. 92 del 2012: profili processuali, in bARbeRI M., DAlFINo D., Il licenziamento individuale, cit., 71 s.; GeRARDo M., MUtARellI A., Il licenziamento nel pubblico impiego dopo la riforma Fornero (ovvero il cubo di Rubrik), cit., 199 ss. In senso contrario, De cRIStoFARo M., GIoIA G., Il nuovo rito dei licenziamenti: lĠanelito alla celeritˆ per una tutela sostanziale dimidiata, cit., 382, nota 10. (24) In tal senso, cURzIo P., Il nuovo rito per i licenziamenti, cit., 7. (25) In tal senso, SoRDI P., LĠambito di applicazione del nuovo rito per lĠimpugnazione dei licenziamenti e disciplina della fase di tutela urgente, cit., 9. (26) trib. Reggio calabria, ord. 21 aprile 2013 (in www.personaedanno.it); trib. di Napoli, ord. 9 gennaio 2014 (in Il lavoro nella Giurisprudenza, 2014, fasc. 8-9, pag. 787 e ss. con commento di co- SMAI P.). Si segnala, inoltre, trib. di Perugia, ord. 9 novembre 2012 (inedita); trib. di trento, ord. 24 marzo 2013 (inedita); trib. di Napoli, ord. 24 giugno 2015 (inedita); trib. di bari, ord. del 14 gennaio 2013 (in bARbeRI M., DAlFINo D., Il licenziamento individuale nellĠinterpretazione della legge Fornero, cit., pag. 118 ss.); trib. di Perugia, ord. 15 gennaio 2013 (in www.filodiritto.com, ÒRito ForneroÓ e licenziamento nel pubblico impiego contrattualizzato). (27) trib. di Modena, ord. 26 febbraio 2015 (inedita), trib. di Frosinone, ord. 12 dicembre 2013, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2014, II, pag. 881 e ss., con nota di commento di AVAlloNe F.; RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 lĠordinanza che si annota si colloca nel primo dei predetti orientamenti, ritenendo applicabile il rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti alla specifica controversia sottoposta alla cognizione del tribunale di Napoli ed avente ad oggetto lĠimpugnativa del licenziamento disciplinare intimato dal Ministero della Difesa nei confronti di un proprio dipendente. 4. Brevi cenni sulla qualitˆ della cognizione nella prima fase del Òrito ForneroÓ. NellĠordinanza che si annota il tribunale di Napoli affronta anche la questione della natura della cognizione, delimitando lĠoggetto ed i confini istruttori della prima fase di giudizio di cui allĠart. 1, commi 47 e ss., legge 28 giugno 2012, n. 92. comĠ noto, il nostro ordinamento conosce diverse nozioni di sommarietˆ, e dunque diversi modelli processuali sommari: lĠelemento in comune tra tutti  la riduzione dei tempi del processo, riduzione ottenuta attraverso lĠimpiego di mezzi diversi (28). esistono modelli deformalizzati, idonei tuttavia a conseguire un accertamento pieno e definitivo sui fatti di causa (riti sommari quanto allo svolgimento ma non anche sommari quanto allĠoggetto (29)), ed esistono modelli sommari in punto di ritualitˆ procedimentali ed anche sommari in punto di accertamento del thema decidendum (riti sommari quanto allo svolgimento e sommari quanto allĠoggetto). Nel rito di cui allĠart. 1, commi 48 ss., legge 92 del 2012, la fase introduttiva  regolata dalla legge, e gli spazi di direzione del giudice sono ridotti, soprattutto dal necessario rispetto dei termini previsti nel comma 48, mentre le fasi successive (fase preparatoria, fase istruttoria e fase decisoria) sono totalmente rimesse alla direzione del giudice. é il giudice che stabilisce il modus procedendi, in base alle esigenze del caso concreto posto al suo esame, e nel rispetto del principio del contraddittorio. Il comma 49, infatti, proponendo, sia pure in parte, la formula utilizzata dal legislatore nellĠart. 669 sexies del codice di rito civile, relativo al procedimento cautelare uniforme, stabilisce che Çil giudice, sentite le parti e omessa ogni formalitˆ non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene pi opportuno agli atti di istruzione indispensabiliÈ. come si legge dalla formula, dunque, altissimo  il tasso di flessibilitˆ processuale: il legislatore supera la rigida predeterminazione legale delle forme e dei termini, nelle fasi successive a quella introduttiva, previste questĠultima pronuncia esclude lĠapplicabilitˆ del nuovo rito al rapporto di lavoro presso la pubblica amministrazione Çalla luce del disposto dei commi 7 e 8 della succitata legge, non si pu˜ ritenere che il legislatore abbia voluto riferire lĠapplicabilitˆ alla pubblica amministrazioneÈ; tribunale di Milano, ord. 23 giugno 2016, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2016, 4, 855 ss., con nota di AVoGARo M. (28) tIScINI R., LĠaccertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, in www.judicium.it, 3. (29) Secondo la terminologia offerta da DellA PIetRA G., Il procedimento possessorio. Contributo allo studio della tutela del possesso, Giappichelli, 2003, 221 ss. coNteNzIoSo NAzIoNAle per le controversie di lavoro dagli artt. da 420 a 429 c.p.c., lasciando al giudice la gestione del processo. la prima fase del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti pu˜ essere senzĠaltro definita sommaria quanto allo svolgimento: posto che anche un procedimento non rigidamente regolato dalla legge pu˜ essere idoneo a far conseguire un accertamento pieno e definitivo sui fatti di causa (30), occorre verificare se alla prima fase in esame possa attribuirsi natura sommaria anche in punto di accertamento del thema decidendum. con riferimento alla natura della cognizione, la giurisprudenza di merito, soprattutto nel periodo immediatamente successivo allĠentrata in vigore della legge n. 92 del 2012, ha aderito alla tesi della sommarietˆ della cognizione, parlando di Çgiudizio di mera verosimiglianzaÈ (31) circa lĠesistenza o meno dei vizi nel licenziamento, o di Çfumus di fondatezza della domandaÈ (32), soprattutto perchŽ, ragionando diversamente, la fase sommaria rischierebbe di diventare Çuna duplicazione della fase di opposizioneÈ (33). la tesi opposta, che riconosce alla fase sommaria lĠidoneitˆ a far conseguire un accertamento pieno sui fatti di causa, si  assestata come prevalente in seno alla giurisprudenza di merito (34), soprattutto dopo lĠordinanza della corte di cassazione, Sezioni Unite, 18 settembre 2014, n. 19674 (35), la quale rappresenta la prima pronuncia in cui la Suprema corte offre un quadro ricostruttivo complessivo del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti. Nella citata pronuncia, la Suprema corte esclude la sommarietˆ in punto di cognizione del thema decidendum (sommarietˆ quanto allĠoggetto), sulla base della equiparabilitˆ della prima fase del nuovo rito per lĠimpugnativa dei licenziamenti con il primo grado di giudizio nel procedimento sommario di cognizione (36). occorre rilevare, tuttavia, che la predetta tesi non  a perfetta (30) PRoto PISANI A., Tutela sommaria, in Il Foro Italiano, 2007, 1, 241. (31) trib. Piacenza, ord. 12 novembre 2012 (inedita, lĠestratto dellĠordinanza pu˜ essere letto in DAlFINo D., Il rito Fornero nella giurisprudenza: prime applicazioni, cit., pag. 163); trib. Roma, ord. 29 gennaio 2013 (in bARbeRI M., DAlFINo D., Il licenziamento individuale nellĠinterpretazione della legge Fornero, cit., 207 ss.). (32) trib. Napoli, ord. 16 ottobre 2012 (inedita, lĠestratto dellĠordinanza pu˜ essere letto in DAl- FINo D., Il rito Fornero nella giurisprudenza: prime applicazioni, cit., 163). (33) trib. Pavia, ord. 16 novembre 2012 (inedita); trib. Roma, ord. 13 novembre 2012 (inedita). Secondo il trib. di Milano, ord. 18 settembre 2012 (inedita), dando corso ad unĠattivitˆ istruttoria piena Çverrebbe meno il significato di un procedimento ridisegnato secondo modalitˆ e contenuti [É] che appaiono viceversa finalizzati a una definizione pi rapida possibile della controversiaÈ. lĠestratto delle ordinanze citate pu˜ essere letto in DAlFINo D., Il rito Fornero nella giurisprudenza: prime applicazioni, cit., 162 ss. (34) Propende per la pienezza della cognizione il trib. Napoli, ord. 24 aprile 2013 (in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2014, II, 623 ss., con nota di commento di teReSI M.), secondo cui ÇlĠesigenza di accelerare i tempi del processo incide [É] sulla selezione degli atti istruttori da espletare, ma non sul tipo di cognizione e sulla tipologia dellĠaccertamento dei fatti rilevanti, che deve essere comunque tesa allĠaccertamento della sussistenza del diritto azionatoÈ. (35) In Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2015, 3, 269 ss., con nota di GIoRGI F.M., e in Il Foro Italiano, 2015, 3, 540 ss., con nota di DAlFINo D. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 tenuta, posto che il primo grado di giudizio del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti ha struttura ÒbifasicaÓ, diversamente dal primo grado di giudizio del procedimento sommario di cognizione. In considerazione della struttura del primo grado di giudizio, la prima fase del rito in esame dovrebbe ospitare un giudizio di natura sommaria, di mera ÒverosimiglianzaÓ circa la legittimitˆ/illegittimitˆ del licenziamento, al fine di riconoscere alle parti una tutela rapida, con possibilitˆ di instaurare il giudizio a cognizione piena mediate opposizione avverso lĠordinanza, ai sensi dei commi 51 ss., art. 1, legge n. 92/2012. Il tribunale di Napoli, nella ordinanza che si annota, propende per la natura sommaria della cognizione della prima fase del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti (37). 5. Considerazioni conclusive. Il rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti ha senzĠaltro contribuito ad accelerare la trattazione e la definizione delle cause aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti ove sia applicabile lĠarticolo 18 St. lav.: si consideri che i primi licenziamenti, impugnati successivamente allĠentrata in vigore della legge n. 92/2012, sono stati decisi in cassazione, dopo il giudizio di primo grado e il reclamo, in poco pi di due anni (38). Al tempo stesso, tuttavia, ha dato luogo, sin dallĠimmediatezza della sua entrata in vigore, a molteplici questioni interpretative (39), alcune di fondamentale importanza sotto il profilo della effettivitˆ della tutela giurisdizionale e della certezza del diritto, tanto da far avanzare una proposta abrogativa da parte degli operatori, giˆ nel- lĠimmediatezza della vigenza del rito (40). Il legislatore, interprete delle suddette istanze, dopo nenache tre anni di vigenza del rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamenti, con lĠarticolo 11 del (36) Si legge nellĠordinanza che ÇlĠistruttoria, essendo limitata agli Òatti di istruzione indispensabiliÓ,  semplificata o sommaria quale quella cos“ qualificata nel procedimento di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c.È, ed ancora Çla sommarietˆ riguarda le caratteristiche dellĠistruttoria, senza che ad essa si ricolleghi una sommarietˆ della cognizione del giudice, nŽ lĠinstabilitˆ del provvedimento finaleÈ. In dottrina propendono per la pienezza della cognizione nella fase sommaria PAGNI I., I correttivi alla durata del processo nella L. 28 giugno 2012, n. 92: brevi note sul nuovo rito in materia di licenziamenti, cit., spec. 342 ss.; RIzzARDo D., Rito Fornero: lĠordinanza che chiude la fase sommaria passa in giudicato, in Il Corriere Giuridico, 2015, 3, 381 ss., spec. 383 ss.; lUISo F.P., La disciplina processuale speciale della legge n. 92 del 2012 nellĠambito del processo civile: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, cit., 3; DIttRIch l., Rito speciale dei licenziamenti e qualitˆ della cognizione, in Rivista di diritto processuale, 2014, I, 111 ss. (37) come si legge nellĠordinanza in commento Òtrattasi di una fase a cognizione sommaria basata su una istruttoria che investe necessariamente solo il fumus di fondatezza della domanda e tale da garantire una definizione pressochŽ immediata della fase stessaÓ. (38) PIccINI A., Forum/Giustizia del lavoro (1/5), in www.questionegiustizia.it. (39) Si rinvia alla nota n. 21. (40) la proposta  stata elaborata congiuntamente da AGI (Avvocati giuslavoristi italiani) e ANM (associazione nazionale magistrati), il cui testo pu˜ essere letto in www.giuslavoristi.it . Sul punto anche MelIS V., Avvocati e giudici contro il rito Fornero, in www.ilsole24ore.com, 23 aprile 2014. coNteNzIoSo NAzIoNAle decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, ha scelto di non estendere alle controversie aventi ad oggetto lĠimpugnativa dei licenziamenti dei nuovi assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, il rito speciale introdotto nel 2012 (41), riconducendo le stesse al modello del lavoro di cui agli artt. 413 ss. c.p.c. (42). In ultimo, il disegno di legge n. 2953 di Çdelega al Governo recante disposizioni per lĠefficienza del processo civileÈ, in esame al Senato, prevede, allĠart. 2, lĠabrogazione delle disposizioni di cui allĠart. 1, commi da 48 a 68 della legge n. 92/2012, facendo salvo il rito speciale solo per le controversie giˆ introdotte con ricorso depositato entro la data di entrata in vigore della legge. Tribunale di Napoli, Sezione lavoro, ordinanza 8 febbraio 2017 -Giud. Alessandra lucarino - D.A. M. (avv.ti o. Pannone e F. eboli) c. Ministero difesa (avv. St. G. Arpaia). con ricorso ex art. 1, comma 48, l. n. 92/2012, depositato in data 7.11.2016, M. D.A, premesso di essere stato dipendente del Ministero della Difesa, prima n.q. di caporal maggiore, poi trasferito nelle aree funzionali del personale civile - centro Documentale di Napoli, a decorrere dall'1.9.2011, in qualitˆ di assistente amministrativo, profilo professionale SA3I -Area 2^ - fascia retributiva F2, ha impugnato il licenziamento senza preavviso, intimato con provvedimento in data 18.5.2016, in quanto nullo, illegittimo ed inefficace, ed ha chiesto al Giudice adito di ordinare all'Amministrazione convenuta di reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato ai sensi dell'art. 18 l. 300/1970; per l'effetto, di condannare parte convenuta al risarcimento del danno pari ad una indennitˆ commisurata alla retribuzione globale di fatto calcolata dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegra, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; di condannare parte convenuta al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali. A sostegno della domanda ha dedotto l'illegittimitˆ del procedimento disciplinare e della conseguente sanzione espulsiva per i seguenti motivi: 1) omessa, generica, incompleta contestazione; 2) tardivitˆ nell'inizio e nella conclusione del procedimento disciplinare; 3) insussistenza del fatto contestato. (41) Dispone, infatti, lĠart. 11 del citato decreto che ÇAi licenziamenti di cui al presente decreto non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dellĠarticolo 1 della legge n. 92 del 2012È. (42) De lUcA M., Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovo sistema sanzionatorio contro i licenziamenti illegittimi: tra legge delega e legge delegata, cit., 34. I primi commentatori individuano, nella scelta compiuta dal legislatore con il predetto articolo 11 del decreto legislativo n. 23 del 2015, lĠinizio di un percorso a ritroso nel Çcammino iniziato con lĠistituzione nel 2012 di un rito speciale per lĠimpugnativa dei licenziamentiÈ, in ragione dei limiti che presenta tale rito, il quale Çcosta, in termini di complicazioni procedurali, pi di quanto rende in termini di riduzione dei tempi necessari per avere una pronuncia definitivaÈ (boRGheSI D., Aspetti processuali del contratto a tutele crescenti, cit., pag. 5. In questi termini anche De ANGelIS l., Il contratto a tutele crescenti. Il giudizio, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT - 250/2015, 2; PISANI c., Il licenziamento disciplinare: novitˆ legislative e giurisprudenziali sul regime sanzionatorio, in Argomenti di diritto del lavoro, 2015, 1, 97 ss.; zoPPolI A., Legittimitˆ costituzionale del contratto di lavoro a tutele crescenti, tutela reale per il licenziamento ingiustificato, tecnica del bilanciamento, in WP C.S.D.L.E. ÒMassimo DĠAntonaÓ.IT 260/ 2015, 20; VIDIRI G., Il licenziamento disciplinare nel primo decreto attuativo del jobs act tra luci e (non poche) ombre, in Argomenti di diritto del lavoro, 2015, 3, 357 ss.). RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Si  costituito in giudizio il Ministero della Difesa contestando la domanda e chiedendone il rigetto, per tutti i motivi di cui alla memoria di costituzione e risposta. In particolare, ha dedotto la tempestivitˆ del procedimento disciplinare nonchŽ la gravitˆ degli addebiti mossi al ricorrente e, conseguentemente, la legittimitˆ del licenziamento. Acquisiti i documenti in atti il Giudice si  riservato di decidere. 1. la nuova disciplina del rito dei licenziamenti  contenuta nell'art. 1, commi 47-69, l. n. 92/2012, e si applica -recita il comma 47 -Òalle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoroÓ. Per intendere correttamente il significato di questa disposizione e, dunque, l'ambito delle controversie da trattare con il rito speciale, bisogna considerare che il comma 42 del medesimo art. 1 della l. n. 92/2012 ha completamente riscritto l'art. 18 St. lav., che -sotto la rubrica ÒTutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimoÓ -disciplina adesso non solo le conseguenze del licenziamento intimato alle dipendenze di datori di lavoro che occupino pi di 15 dipendenti in ciascuna unitˆ produttiva (o pi di 60 sul territorio nazionale), ma anche taluni casi di licenziamento intimati alle dipendenze di datori di lavoro che non posseggano tali requisiti dimensionali. la legge ha inteso assicurare una corsia preferenziale ed un rito celere e sommario per le controversie che potrebbero concludersi, almeno astrattamente, con un provvedimento reintegra- torio, che dichiari la prosecuzione o il ripristino del rapporto illegittimamente cessato. come espressamente disposto dalla l. n. 92/2012, il procedimento da essa previsto ex art. I commi 48 e ss. si applica dalla data di entrata in vigore della legge medesima (18.7.2012) e trova, quindi, applicazione al presente procedimento; anche la normativa sostanziale, prevista dall'art. 1, comma 42, trova applicazione nel caso di specie, in quanto il licenziamento  stato intimato dopo la data di entrata in vigore della legge. 2. Prima di affrontare l'esame del merito della questione proposta  necessario delimitare l'oggetto ed i confini istruttori di questa prima fase di giudizio prevista dall'art. 1, commi 47 e ss., della legge 92/2012 (c.d. rito Fornero). Quest'ultima, come  noto, ha previsto al comma 49 dell'art. 1 che: ÒIl giudice, sentite le parti e omessa ogni formalitˆ non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene pi opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, ai sensi dellĠart. 421 cpc, e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domandaÓ. Dunque, trattasi di una fase a cognizione sommaria basata su una istruttoria che investe necessariamente solo il fumus di fondatezza della domanda e tale da garantire una definizione pressochŽ immediata della fase stessa. 3. ci˜ premesso e passando all'esame della fattispecie in oggetto, si osserva quanto segue. Il ricorrente  stato licenziato, senza preavviso, ai sensi dell'art. 24, comma 1, lett. g) del ccNl comparto Ministeri, con Decreto del Direttore Generale del Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale civile, in data 18.5.2016, e decorrenza dal 5.12.2015 (all. 12 di parte ricorrente e all. 1 di parte convenuta). Il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente ha avuto inizio con la contestazione di addebiti datata 8.3.2016, contenente anche la convocazione del ricorrente a difesa per il giorno 14.4.2016 (all. 9 di parte ricorrente e all. 2 di parte convenuta), proveniente dal Direttore del Servizio Disciplina della Direzione Generale per il Personale civile del Ministero della Difesa, nella quale si legge: coNteNzIoSo NAzIoNAle "Ai sensi dell'art. 24 CCNL 16.5.1995 e s.m.i. e dell'art. 55 bis D.lgs. 165/2001 e successive modificazioni, si contesta quanto segue: dalle comunicazioni del suo Ente di appartenenza risulta che il suo Legale Avv. Eboli ha precisato che nei suoi confronti in data 11.11.2014  stata emessa una sentenza di condanna alla pena complessiva di 3 anni e 6 mesi, per la quale si trova ristretto nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, dopo aver scontato parte della condanna presso la Comunitˆ di San Patrignano, avendo ottenuto il beneficio della pena esterna. Al riguardo, dal carteggio trasmesso dall'Ente,  risultato, invece, che in data 29.1.2015 aveva chiesto di essere posto in aspettativa ai sensi dell'art. 11 del C.C.N.L. del 16.5.2001 al fine di entrare nella predetta Comunitˆ Terapeutica, per il programma di recupero, senza rendere nota la circostanza della condanna alla pena esterna. Risulta inoltre che, in data 5.12.2015, abbandonava la predetta struttura, cagionando l'interruzione volontaria del programma di recuperoÓ. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di licenziamento per una molteplicitˆ di motivi attinenti sia al procedimento disciplinare che ha preceduto il provvedimento espulsivo sia alla legittimitˆ dello stesso provvedimento. é necessario, pertanto, analizzare singolarmente le varie ragioni di doglianza. Il primo motivo di censura (omessa, generica, incompleta contestazione)  infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimitˆ, in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificitˆ, senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purchŽ siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialitˆ, il fatto o i fatti addebitati (cass. Sez. l, n. 10662/2014). Appare chiara l'esigenza avvertita dal legislatore di approntare un sistema di garanzie formali e sostanziali a favore del lavoratore il quale, nel momento patologico del rapporto, deve essere previamente e tempestivamente messo in grado di cogliere le ragioni del provvedimento sanzionatorio per poter esercitare efficacemente le proprie difese. Se  vero, allora, che la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l'illecito (rectius inadempimento), , tuttavia, necessario che il dipendente, con la lettura dell'addebito, sia posto in grado di cogliere la portata del fatto che gli viene contestato. Nel caso di specie, dalla semplice lettura della lettera di contestazioni, sopra riportata, emerge che la stessa contiene in modo preciso e dettagliato gli addebiti mossi al ricorrente. In particolare, l'Amministrazione datrice di lavoro ha specificato le circostanze di tempo e di luogo in cui i fatti contestati sarebbero stati commessi dal ricorrente. Pertanto, ritiene il giudice che non vi sia stata alcuna violazione del diritto di difesa del lavoratore, garantito dall'art. 7 della l. n. 300/1970, il quale  stato posto in grado di esercitare, per il tramite del suo avvocato, una compiuta difesa in sede di giustificazioni. con riferimento al secondo motivo di censura (tardivitˆ nell'inizio e nella conclusione del procedimento disciplinare) si osserva quanto segue. Nel caso di specie non vi  stata alcuna decadenza dell'Amministrazione convenuta dall'azione disciplinare, ai sensi dell'art. 55 bis del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall'art. 69 del D.lgs. n. 150/2009 (c.d. riforma brunetta), pacificamente applicabile alla fattispecie ratione temporis. come  noto, il D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 ha incisivamente innovato la disciplina del procedimento disciplinare e delle sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro pubblico, sostituendo l'art. 55 del D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (art. 68), introducendo nel medesimo corpus normativo gli artt. 55 bis-55 novies (art. 69) e abrogando l'art. 56 (art. 72). RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Il fondamento della nuova disciplina in tema di responsabilitˆ disciplinare deve ravvisarsi, da un lato - per quanto riguarda le norme attributive del potere disciplinare - nell'esigenza di assicurare il perseguimento dell'obiettivo del buon andamento ed efficienza dell'amministrazione e, dall'altro lato - per quanto riguarda le norme regolanti il provvedimento disciplinare - nell'esigenza di assicurare il diritto di difesa del pubblico dipendente. In tale ottica, 1' art. 55 bis, rubricato ÒForme e termini del procedimento disciplinareÓ prevede testualmente: 1. Per le infrazioni di minore gravitˆ, per le quali  prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per pi di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni pi gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali  previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo. 2. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma I, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, pu˜ inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attivitˆ istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento  prorogato in misura corrispondente. Il differimento pu˜ essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta. per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa. 3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare  pi grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all'ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all'interessato". 4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo guanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare  pi grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55-ter. Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine coNteNzIoSo NAzIoNAle per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesaÓ. 5. ...(omissis) il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento.. (omissis). Dal combinato disposto dei commi 1, 2 e 4 dell'art. 55 bis, come novellato, si evince, quindi, che nell'ipotesi di irrogazione di sanzione disciplinare pi grave della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per pi di dieci giorni, come nel caso di specie, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.P.D.) deve contestare l'addebito al dipendente entro il termine di 40 giorni dalla ricezione degli atti trasmessi dal responsabile della struttura o dalla data (anteriore) in cui l'ufficio abbia, comunque, avuto notizia dell'infrazione; deve, poi, convocare il lavoratore con un preavviso di almeno 20 giorni ed emettere il provvedimento finale nei 120 giorni decorrenti dalla data della prima acquisizione della notizia del- l'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura cui il dipendente  addetto. In sostanza i termini sono raddoppiati (art. 55 bis, comma 4, d.lgs. cit.) rispetto alle ipotesi in cui siano irrogate sanzioni disciplinari pi lievi. Il tenore letterale delle disposizioni citate non lascia dubbi sulla natura decadenziale di detti termini, collegando, il legislatore, al mancato rispetto dei termini ivi fissati, la perdita del potere di esercitare il diritto dalla stessa previsto. Pu˜ affermarsi, quindi, che il termine per la contestazione, il termine a difesa per la convocazione e quello per la conclusione del procedimento disciplinare sono termini perentori previsti a pena di decadenza dall'azione disciplinare; viceversa, poichŽ non  prevista alcuna conseguenza per il mancato rispetto del termine di 5 giorni fissato per l'invio degli atti al collegio di disciplina (comma 3), deve affermarsi la natura ordinatoria del detto termine. ci˜ posto, essendo in presenza, nel caso di specie, di infrazione punibile con una sanzione pi grave della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un periodo superiore a 10 giorni, i termini perentori di cui al comma 2 sono raddoppiati, e gli stessi sono stati rispettati dall'Amministrazione convenuta. In particolare, ai sensi del comma 4 dell'art. 55 bis sopra indicato, il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3, ossia dalla data di ricezione degli atti da parte dell'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari; mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento  fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. Risulta documentalmente provato che il comando Forze di Difesa Interregionale Sud di Napoli, presso cui era addetto il ricorrente, ha inoltrato all'Ufficio Procedimenti Disciplinari competente la pec dell'Avv.to eboli, datata 23.1.2015, contenete i chiarimenti sulla vicenda giudiziaria nella quale il D.A. era rimasto coinvolto, con nota prot. n. M_D e25990/0003313 del 5.2.2016, pervenuta in data 8.2.2016 (all. 4 di parte convenuta); che I'UPD competente ha contestato al ricorrente gli addebiti con nota prot. n. M_D GcIV ReG20I6 0015078 dell'8.3.20l6 (nel rispetto del termine di 40 giorni), e lo ha convocato a difesa per il giorno 14.4.2016 (nel rispetto del termine di 20 giorni di preavviso) (all. 2 di parte convenuta); che il procedimento disciplinare si  concluso con il decreto del Direttore Generale dell'UPD datato 18.5.2016 (nel rispetto del termine di 120 giorni dalla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione). RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Ritiene il giudice, alla luce degli addebiti mossi al ricorrente e fondanti il provvedimento espulsivo, che solo con la pec dell'Avv.to eboli del 23.1.2016 l'Amministrazione datrice di lavoro  venuta a conoscenza della sentenza penale di condanna emessa nei confronti del ricorrente e che la sua assegnazione alla comunitˆ terapeutica di San Patrignano non era giustificata da un programma di recupero, come dal D.A. evidenziato nella richiesta di aspettativa presentata in data 29.1.20 15 ai sensi dell'art. 11 del ccNl comparto ministeri, ma per l'espiazione della pena esterna, ai sensi dell'art. 94 del DPR n. 309/1990, essendo costui tossicodipendente. Alla luce delle considerazioni che precedono, anche il secondo motivo di censura  infondato. Il ricorrente ha, infine, allegato l'insussistenza del fatto contestato. Preliminarmente, deve stabilirsi cosa si intenda per "fatto" ai sensi dell'art. 18, comma 4, St. lav. e individuare il criterio sulla base del quale fondare la valutazione di insussistenza. In assenza di parametri normativi di riferimento, si discute se il fatto vada inteso come "fatto materiale", quale mero accadimento naturalistico, oppure come "fatto giuridico". evidentemente, il primo passaggio del percorso di valutazione e decisione che il giudice  chiamato a compiere consiste nel verificare se il fatto contestato dal datore di lavoro e posto a base del provvedimento espulsivo si sia verificato sul piano storico e naturalistico: laddove si accerti che il fatto non si  affatto verificato il giudizio di insussistenza sarˆ, senz'altro, positivo senza necessitˆ di effettuare ulteriori valutazioni. Nell'ipotesi in cui l'addebito mosso al lavoratore corrisponda ad una condotta o ad un evento storicamente e naturalisticamente avvenuti, l'accertamento giudiziale non pu˜ ritenersi esaurito, ma deve procedere per verificare se quel fatto (condotta attiva o omissiva/evento) abbia un rilievo disciplinare, perchŽ il "fatto" contestato al lavoratore sussiste, ai fini del giudizio in corso, nella misura in cui abbia una consistenza di inadempimento rispetto alle obbligazioni poste a carico del lavoratore. PoichŽ il licenziamento disciplinare  ontologicamente un licenziamento fondato sulla colpa del lavoratore, perchŽ possa essere integrato l'illecito disciplinare il fatto deve configurare un inadempimento contrattuale. e tale valutazione spetta, necessariamente, al giudice. ed invero, interpretando il fatto quale mero accadimento materiale, privo di una connotazione giuridica nel senso sopra delineato, si rischierebbe di ritenere "fatto sussistente" qualsiasi comportamento, anche lecito e non integrante alcun profilo di inadempimento, compiuto dal lavoratore e addotto a motivo del licenziamento dal datore di lavoro. la nozione di fatto rilevante ai fini della operativitˆ del comma 4 dell'art. 18 deve, quindi, comprendere tutti i suoi elementi costitutivi nella loro pienezza (elemento oggettivo e elemento soggettivo, ove richiesto dalla concreta ipotesi sanzionatoria richiamata). A sostegno dell'opzione ermeneutica qui proposta, si osserva che lo stesso art. 18, comma 4, l 300/1970 chiede al giudice di valutare se il "fatto rientri tra le condotte punibili solo con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ", giudizio che implica necessariamente una qualificazione (non meramente fattuale ma) giuridica del fatto oggetto di contestazione ed un suo raffronto con le previsioni sanzionatorie contrattuali. Negli stessi termini si  espressa la corte di cassazione, motivando che Òcon la legge n. 92 del 2012  stato introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimitˆ del recesso a valutazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimitˆ ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovrˆ applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) che ha determinato il provvedimento espulsivoÓ (cass. 10550/2013). coNteNzIoSo NAzIoNAle ed ancora ha affermato la Suprema corte che "l'insussistenza de/fatto di cui all'art. 18 l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, comprende anche l'ipotesi in cui il fatto sussista ma sia privo di illiceitˆ, poichŽ la completa irrilevanza giuridica del fatto contestato equivale alla sua insussistenza materiale ed , pertanto, suscettibile di dare luogo alla tutela reintegratoriaÓ (cass. 20540/2015; 18418/2016). Nel caso di specie, tenuto conto della contestazione mossa al ricorrente, l'indagine giudiziale deve effettuarsi accertando la sussistenza, nel caso concreto, del profilo oggettivo ed anche soggettivo della condotta, ovvero l'elemento psicologico dell'intenzionalitˆ quale elemento essenziale e connotante la condotta contestata e presupposto necessario affinchŽ l'azione possa assumere rilevanza disciplinare. osserva il giudice che il ricorrente, alla data del 29.1.2015, ossia quando ha trasmesso al comando Forze di Difesa Interregionale Sud di Napoli la domanda di aspettativa ai sensi dell'art. 11 del ccNl 16.5.2001, era a conoscenza della sentenza penale di condanna, emessa nei suoi confronti in data 9.10.2014 e divenuta irrevocabile l'11.11.2014, e della concessione del beneficio dell'espiazione della pena esterna presso la comunitˆ di San Patrignano, ed ha ritenuto non solo di non darne comunicazione all'Amministrazione datrice di lavoro, ma anzi di richiedere un periodo di aspettativa per un motivo diverso (programma di recupero). Inoltre, il ricorrente in data 5.12.2015 si  allontanato volontariamente dalla comunitˆ terapeutica e, ben potendolo fare, non avendo pi il divieto di comunicare con l'esterno, non ne ha dato comunicazione all'Amministrazione convenuta. Risulta, pertanto, provato che le condotte imputate al ricorrente (omessa comunicazione alla datrice di lavoro della sentenza penale di condanna emessa nei suoi confronti e della interruzione del programma terapeutico) sono state da lui commesse almeno con colpa, se non addirittura volontariamente, e che le stesse configurano un inadempimento contrattuale, ossia una violazione delle obbligazioni poste a suo carico. Resta, quindi, da valutare se vi sia proporzione tra la condotta ascritta e la sanzione comminata. Ai sensi dell'art. 13, comma 6, del ccNl applicato al rapporto si applica la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso in caso di Òcondanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravitˆÓ. ebbene, il ricorrente, con sentenza n. 4234/2014, divenuta irrevocabile l'11.11.2014,  stato condannato, ex art. 444 c.p.p., alla pena complessiva di anni 3 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui all'art. 629, comma 2, art. 628, comma 3, n. 1, art. 4 l. 110/1975. Si tratta, quindi, di una condanna per reati gravi, quali la rapina e l'estorsione aggravati dall'uso delle armi, sicuramente idonea a ledere il vincolo fiduciario intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro. Da quanto precede deriva che il provvedimento espulsivo  legittimo, avuto riguardo alla gravitˆ dei fatti contestati e alle norme contrattuali e di legge violate dal lavoratore. Il ricorso, per le ragioni che precedono, deve essere respinto. la natura delle parti e la complessitˆ delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese del giudizio. PQM - rigetta il ricorso; - spese compensate. Si comunichi. Napoli, 8 febbraio 2017 RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Informativa antimafia e autorizzazioni: art. 89 bis del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) un presunto eccesso di delega? Uno scambio di email su Consiglio di Stato, Sez. Terza, sentenza 7 marzo 2017 n. 1080 Da: Wally Ferrante [mailto:wally.ferrante@avvocaturastato.it] Inviato: venerd“ 24 marzo 2017 17:19 A: 'Avvocati_tutti' oggetto: informativa antimafia e autorizzazioni Vi allego unĠimportante sentenza del cDS, sez. III, Pres. Frattini, 7 marzo 2017, n. 1080 che, nel richiamare un principio affermato da altra sentenza della stessa sezione nella medesima camera di consiglio (Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565) nonchŽ un parere del cDS, Sezione Prima, del 17 novembre 2015, n. 3088, ha precisato che lĠinformazione antimafia produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia ai sensi dellĠart. 89 bis del codice antimafia anche nelle ipotesi in cui manchi un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione e quindi non solo in materia di appalti e concessioni ma anche in caso di svolgimento di attivitˆ imprenditoriale privata soggetta a mera autorizzazione. Non so chi abbia a Roma la questione in corte costituzionale sollevata dal tAR Sicilia - catania con lĠordinanza 28 settembre 2016, n. 2337 sullĠart. 89 bis del d.lgs. n. 159/2011 ma la sentenza offre anche argomentati e motivati spunti a sostegno della costituzionalitˆ della norma. Wally Ferrante (Avvocatura Generale Stato) Da: zito Mario Inviato: venerd“ 24 marzo 2017 17:42 A: Ferrante Wally; Avvocati_tutti oggetto: Re: informativa antimafia e autorizzazioni Avevo visto la precedente che se non sbaglio dovrebbe essere nata da un contenzioso del nostro tar. Sono perplesso sul futuro delle informative interdittive. Noi le stiamo vincendo quasi tutte, ma perchŽ teniamo il profilo basso sostenendo che l'esclusione Ž solo dagli appalti pubblici e non significa un giudizio di valore sull'Impresa ma solo di pericolo, astratto e in estrema prevenzione, di infiltrazioni. con questa giurisprudenza che di fatto parifica il potenziale infiltrato al soggetto colpito da misura di prevenzione, temo che i tar vorranno in futuro delle motivazioni molto rafforzate. coNteNzIoSo NAzIoNAle Spero di non sbagliarmi ma a volte il meglio Ž nemico del bene ... Mario zito (Avvocatura dello Stato di bologna) Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 7 marzo 2017 n. 1080 -Pres. Franco Frattini, Est. Manfredo Atzeni. (...) Questo consiglio di Stato ha giˆ espresso il proprio orientamento al riguardo con la sentenza n. 565 in data 9 febbraio 2017, deliberata alla stessa odierna camera di consiglio, i cui principi sono ovviamente applicabili anche per risolvere la presente controversia. In quella sentenza  stato affermato che la disciplina dettata dal d. lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) consente lĠapplicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio. ÒLa tendenza del legislatore muove, in questa materia, verso il superamento della rigida bipartizione tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.Ó ÒQuesto tradizionale riparto dei rispettivi ambiti di applicazione, tipico della legislazione anteriore al nuovo codice delle leggi antimafia (d. lgs. n. 159 del 2011), si  rilevato inadeguato ed  entrato in crisi a fronte della sempre pi frequente constatazione empirica che la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attivitˆ economiche, anche quelle soggette a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.), e che unĠefficace risposta da parte dello Stato alla pervasivitˆ di tale fenomeno criminale rimane lacunosa, e finanche illusoria nello stesso settore dei contratti pubblici, delle concessioni e delle sovvenzioni, se la prevenzione del fenomeno mafioso non si estende al controllo e allĠeventuale interdizione di ambiti economici nei quali, pi frequentemente, la mafia si fa, direttamente o indirettamente, imprenditrice ed espleta la propria attivitˆ economica.Ó ÒLĠesperienza ha mostrato, infatti, che in molti di tali settori, strategici per lĠeconomia nazionale (lĠedilizia, le grandi opere pubbliche, lo sfruttamento di nuove fonti energetiche, gli scarichi delle sostanze reflue industriali, come appunto nel caso di specie, relativo allĠAUA, e persino la ricostruzione dopo i gravi eventi sismici che funestano il territorio italiano), le associazioni di stampo mafioso hanno impiegato, diretto o controllato ingenti capitali e risorse umane per investimenti particolarmente redditizi finalizzati non solo ad ottenere pubbliche commesse o sovvenzioni, ma in generale a colonizzare lĠintero mercato secondo un disegno, di pi vasto respiro, del quale lĠaggiudicazione degli appalti o il conseguimento di concessioni ed elargizioni costituisce una parte certo cospicua, ma non esclusiva nŽ satisfattiva per le mire egemoniche RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 della criminalitˆ; disegno, quello mafioso, talvolta agevolato dallĠomertˆ, se non persino dalla collusione o dalla corruzione, dei pubblici amministratori.Ó ÒLa tradizionale reciproca impermeabilitˆ tra le comunicazioni antimafia, richieste per le autorizzazioni, e le informazioni antimafia, rilasciate per i contratti, le concessioni e le agevolazioni, ha fatto s“ che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attivitˆ economiche, in vasti settori dellĠeconomia privata, senza che lĠordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, al di fuori delle ipotesi di comunicazioni antimafia emesse per misure di prevenzione definitive con effetto interdittivo ai sensi dellĠart. 67 del d. lgs. n. 159 del 2011, anche quando, paradossalmente, a dette imprese fosse stata comunque interdetta la stipulazione dei contratti pubblici per effetto di una informativa antimafia.Ó ÒCi˜ non di rado ha condotto allo stesso aggiramento della normativa antimafia, nel suo complesso, perchŽ lĠorganizzazione mafiosa, anche dopo lĠinterdizione di una impresa mediante una informativa, poteva (e pu˜) servirsi di una nuova, creata ad hoc, per avviare, intanto e comunque, una nuova attivitˆ economica privata, soggetta solo al regime della comunicazione antimafia, e nuovamente concorrere alle pubbliche gare, fintantochŽ non venga emessa una informazione antimafia anche a carico di questĠultima.Ó ÒIl riordino della materia, impresso dalla legge delega, ha posto fine a molte delle gravi lacune evidenziatasi nel sistema precedente della prevenzione antimafia.Ó ÒLa l. n. 136 del 13 agosto 2010, intitolata ÇPiano straordinario contro le mafie, nonchŽ delega al Governo in materia di normativa antimafiaÈ, ha introdotto, nellĠart. 2 che reca la specifica Delega al Governo per lĠemanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, il comma 1, lett. c), il quale ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e Çcon riferimento a tutti i rapporti, anche giˆ in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata allĠaccelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dellĠattivitˆ di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nellĠattivitˆ di impresaÈ.Ó Òé evidente che lĠart. 2, comma 1, lett. c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lett. a) e b); dunque, la lettera c) si riferisce anche a quei rapporti -come nel caso di specie lĠAUA -che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o lĠesercizio di attivitˆ pericolose per la salute e per lĠambiente.Ó ÒNŽ giova replicare, come fa il primo giudice, che lĠespressione ÇrapportiÈ si riferisca solo ai contratti e alle concessioni, ma non alle autorizzazioni, che secondo una classica concezione degli atti autorizzatori non costituirebbero un ÒrapportoÓ con lĠAmministrazione.Ó coNteNzIoSo NAzIoNAle ÒTale conclusione non solo  smentita dal tenore letterale dellĠart. 2, comma 1, lett. c), che non differenzia le une dalle altre come fanno, invece, la lett. a) e la lett. b) (che richiama la lett. a), ma anche a livello sistematico contrasta con una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nellĠevoluzione dellĠordinamento, che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui lĠattivitˆ economica sia sottoposta ad attivitˆ provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a., come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine allĠattuazione del d. lgs. n. 124 del 2015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere n. 839 del 30 marzo 2016 sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.).Ó ÒDi qui la legittimitˆ, anche prima dellĠintroduzione dellĠart. 89-bis - di cui ora si dirˆ - con il decreto correttivo n. 153 del 2014, delle originarie previsioni contenute nel d. lgs. n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia) attuative dei fondamentali princip” giˆ contenuti in nuce nellĠart. 2 della legge delega e, in particolare: -dellĠart. 83, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui allĠart. 84, prima di rilasciare o consentire i provvedimenti di cui allĠart. 67 (tra cui rientrano, appunto, le autorizzazioni di cui alla lett. f); -dellĠart. 91, comma 1, laddove prevede che detti soggetti devono acquisire lĠinformativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nellĠart. 67; -dellĠart. 91, comma 7, che prevede che con regolamento, adottato con decreto del Ministro dellĠInterno -di concerto con quello della Giustizia, con quello delle Infrastrutture e con quello dello Sviluppo Economico ai sensi dellĠart. 17, comma 3, della l. n. 400 del 1988 -siano individuate Çle diverse tipologie di attivitˆ suscettibili di infiltrazione mafiosa nellĠattivitˆ di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore di impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa,  sempre obbligatoria lĠacquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui allĠart. 67È, dovendosi ricordare che lĠart. 67 tra lĠaltro prevede, alla lett. f), proprio le Çaltre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attivitˆ imprenditoriali, comunque denominateÈ;Ó ÒLĠintroduzione dellĠart. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 ad opera del d. lgs. n. 153 del 2014, dunque, non rappresenta una novitˆ nŽ, ancor meno, una distonia nel sistema, ma  anzi coerente con esso, secondo la chiara tendenza legislativa di cui si  detto, avviata dalla legge delega, che aveva giˆ trovato parziale attuazione, sul piano sostanziale, nelle richiamate disposizioni del codice delle leggi antimafia.Ó RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 ÒTale disposizione prevede, nel comma 1, che Çquando in esito alle verifiche di cui allĠarticolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque unĠinformazione interdittiva antimafia e ne dˆ comunicazione ai soggetti richiedenti di cui allĠarticolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafiaÈ e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, ÇlĠinformazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiestaÈ.Ó ÒCon questa previsione, che non ha natura attributiva di un nuovo potere sostanziale, invero giˆ rinvenibile nei dati di diritto positivo sopra evidenziati, ma ha al pi carattere specificativo e procedimentale, il codice delle leggi antimafia ha inteso chiarire e disciplinare lĠipotesi nella quale il Prefetto, nel- lĠeseguire la consultazione della Banca dati nazionale unica per il rilascio della comunicazione antimafia, appuri che vi sia il pericolo di infiltrazione mafiosa allĠinterno dellĠimpresa.Ó ÒLĠart. 98, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, come  noto, prevede che nella Banca dati nazionale unica, ora operativa, Çsono contenute le comunicazioni e le informazioni antimafia, liberatorie ed interdittiveÈ e, dunque, tutti i provvedimenti che riguardano la posizione ÒantimafiaÓ dellĠimpresa; tale Banca consente, ai sensi del comma 2, la consultazione dei dati acquisiti nel corso degli accessi nei cantieri delle imprese interessate allĠesecuzione di lavori pubblici, disposti dal Prefetto, e tramite il collegamento ad altre banche dati, ai sensi del comma 3, anche la cognizione di eventuali ulteriori dati anche provenienti dallĠestero.Ó ÒSi tratta di disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo ed espansivo, a livello economico, e la dimensione sovente transnazionale delle attivitˆ imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose.Ó ÒVa qui ricordato che il Prefetto, richiesto di rilasciare la documentazione antimafia, pu˜ emettere la comunicazione antimafia liberatoria, attestando che la stessa  stata emessa utilizzando il collegamento alla Banca dati, in due ipotesi: a) quando non emerge, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui allĠart. 67 (art. 88, comma 1: c.d. comunicazione de plano); b) quando, emersa la sussistenza di una di dette cause ed effettuate le necessarie verifiche, di cui allĠart. 88, comma 2, per accertare la Çcorrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamentiÈ, queste abbiano dato un esito negativo e non sussista pi, nellĠattualitˆ, alcuna causa di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).Ó ÒNel corso di tali verifiche, quando emerga dalla Banca dati la presenza di provvedimenti definitivi di prevenzione, ai sensi dellĠart. 67, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, o comunque di dati che, ai sensi del richiamato art. 98, impongano una necessaria attivitˆ di verifica nellĠimpossibilitˆ di emettere coNteNzIoSo NAzIoNAle la comunicazione antimafia de plano, il Prefetto pu˜ riscontrare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in base allĠart. 89-bis, ed emettere informazione antimafia, sostitutiva della comunicazione richiesta.Ó ÒCi˜ pu˜ verificarsi, ad esempio, quando il Prefetto, nellĠeseguire il collegamento alla Banca dati e le verifiche di cui allĠart. 88, comma 2, constati lĠesistenza di Çuna documentazione antimafia interdittiva in corso di validitˆ a carico dellĠimpresa È, come ad esempio una pregressa informativa emessa in rapporto ad un contratto pubblico, secondo quanto prevede espressamente lĠart. 24, comma 2, del d.P.C.M. n. 193 del 2014 (regolamento recante le modalitˆ di funzionamento, tra lĠaltro, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dellĠart. 96 del d. lgs. n. 159 del 2011), o acquisisca dati risultanti da precedenti accessi in cantiere, ai sensi dellĠart. 98, comma 2, o informazioni provenienti dallĠestero, ai sensi dellĠart. 98, comma 3.Ó ÒLĠistituzione della Banca dati nazionale unica, prevista dallĠart. 2 della legge delega sopra ricordato e resa operativa con il d.P.C.M. n. 193 del 2014, consente ora al Ministero dellĠInterno, e per esso ai Prefetti competenti, di monitorare, e di ÒmappareÓ, le imprese sullĠintero territorio nazionale -o, addirittura, anche nelle loro attivitˆ svolte allĠesterno - e nello svolgimento di qualsivoglia attivitˆ economica, che essa sia soggetta a comunicazione o a informazione antimafia, sicchŽ lĠautoritˆ prefettizia, richiesta di emettere una comunicazione antimafia liberatoria, ben pu˜ venire a conoscenza, nel collegarsi alla Banca dati, che a carico dellĠimpresa sussista una informativa antimafia o ulteriori elementi di apprezzabile significativitˆ, provvedendo ad emettere, ai sensi dellĠart. 89-bis, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, una informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.Ó ÒE ci˜ perfettamente in linea con la richiamata previsione dellĠart. 2, comma 1, lett. c) della legge delega che, giova ripeterlo, ha istituto una Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, testualmente, con Çimmediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale È e Çcon riferimento a tutti i rapporti, anche giˆ in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata allĠaccelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dellĠattivitˆ di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nellĠattivitˆ di impresaÈ.Ó ÒTale ultima finalitˆ, chiaramente enunciata dal legislatore, pienamente giustifica, ad avviso di questo Consiglio, il potere prefettizio di emettere una informativa antimafia, ricorrendone i presupposti dellĠart. 84, comma 4, e dellĠart. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011 in luogo e con lĠeffetto della richiesta comunicazione antimafia.Ó ÒAl riguardo questo stesso Consiglio di Stato, sez. I, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015 ha giˆ evidenziato che Çle perplessitˆ di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine allĠapplicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale - appalti o concessioni RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 -con la pubblica amministrazione non hanno ragion dĠessere, posto che anche in ipotesi di attivitˆ soggette a mera autorizzazione lĠesistenza di infiltrazioni mafiose inquina lĠeconomia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per lĠordine e la sicurezza pubblicheÈ.Ó ÒLa prevenzione contro lĠinquinamento dellĠeconomia legale ad opera della mafia ha costituito e costituisce, tuttora, una prioritˆ per la legislazione del settore, che ha indotto il legislatore delegante e, di seguito, quello delegato, nelle previsioni originarie del codice delle leggi antimafia e dei successivi correttivi, ad estendere la portata delle informazioni antimafia anche ad ambiti tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei.Ó ÒQuesto Collegio non ignora che, con lĠordinanza n. 2337 del 28 settembre 2016, il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rimesso alla Corte costituzione la questione di compatibilitˆ dellĠart. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 in relazione ad un presunto eccesso di delega ai sensi degli art. 76, 77, primo comma, e 3 della Cost.Ó ÒAlla Corte competerˆ, ovviamente, decidere di tale delicata questione quanto al sollevato vizio inerente al presunto eccesso di delega.Ó ÒRitiene tuttavia questo Collegio che tale questione, anche al di lˆ della sua manifesta infondatezza per le ragioni sopra vedute, sia comunque irrilevante nel presente giudizio, perchŽ lĠapplicazione dellĠinformativa antimafia alle autorizzazioni si fonda sullĠapplicazione della stessa legge delega e di disposizioni del codice delle leggi antimafia anche diverse dal richiamato art. 89-bis, che pure costituisce indice significativo ed ulteriore riconferma, sul piano procedimentale, della innovativa impostazione del legislatore in questa materia.Ó ÒDeve questo Collegio solo qui aggiungere, per completezza, che non ritiene che la nuova disciplina contrasti con gli artt. 3, 24, 27, comma secondo, 41 e 42 Cost.Ó ÒLo Stato non riconosce dignitˆ e statuto di operatori economici, e non pi soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.Ó ÒQuesta valutazione, che ha natura preventiva e non sanzionatoria ed , dunque, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato sensu punitiva (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2013, n. 1743), costituisce un severo limite allĠiniziativa economica privata, che tuttavia  giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un Çdanno alla sicurezza, alla libertˆ, alla dignitˆ umanaÈ (art. 41, comma secondo, Cost.), giˆ sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con lĠutilitˆ sociale, limite, questĠultimo, allo stesso esercizio della proprietˆ privata.Ó ÒIl metodo mafioso  e resta tale, per un essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica.Ó coNteNzIoSo NAzIoNAle ÒNon si pu˜ ignorare, e la legislazione antimafia pi recente non ha di certo ignorato, che tra economia pubblica ed economia privata sussista un intreccio tanto profondo, anche nellĠattuale contesto di una economia globalizzata, che non  pensabile e possibile contrastare lĠinfiltrazione della mafia ÒimprenditriceÓ e i suoi interessi nellĠuna senza colpire anche gli altri e che tale distinzione, se poteva avere una giustificazione nella societˆ meno complessa di cui la precedente legislazione antimafia era specchio, viene oggi a perdere ogni valore, ed efficacia deterrente, per entitˆ economiche che, sostenute da ingenti risorse finanziarie di illecita origine ed agevolate, rispetto ad altri operatori, da modalitˆ criminose ed omertose, entrino nel mercato con una aggressivitˆ tale da eliminare ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.Ó ÒLa tutela della trasparenza e della concorrenza, nel libero esercizio di una attivitˆ imprenditoriale rispettosa della sicurezza e della dignitˆ umana,  un valore che deve essere preservato nellĠeconomia sia pubblica che privata.Ó ÒLa stessa Corte di Giustizia UE, in riferimento alla prassi dei cc.dd. protocolli di legalitˆ, ha ribadito di recente che Çva riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nellĠadozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della paritˆ di trattamento e dellĠobbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblicoÈ poichŽ Çil singolo Stato membro  nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dellĠobbligo summenzionatiÈ (Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14).Ó ÒNon a caso proprio per tali considerazioni di ordine storico, giuridico, economico e sociale peculiari del nostro ordinamento, come ha correttamente dedotto la Provincia appellante nel secondo motivo (pp. 9-12 del ricorso), la c.d. legge anticorruzione (l. n. 190 del 2012), nellĠart. 1, commi 52 e 53, ha istituito la c.d. white list, con la creazione di appositi elenchi, presso le Prefetture, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per attivitˆ economiche particolarmente sensibili.Ó ÒAd esempio (e lĠesempio  quanto mai appropriato, per quanto si dirˆ, nel caso di specie, che riguarda impresa operante nel territorio emiliano e non inserita nella c.d. white list), per il terremoto che ha colpito le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e il 29 maggio 2012, lĠart. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 74 del 2012, inserito in sede di conversione dalla l. n. 122 del 1Ħ agosto 2012, ha previsto che i controlli antimafia, relativi alle imprese iscritte in tali elenchi, si estendessero Çsugli interventi di ricostruzione affidati da soggetti privati e finanziati con le erogazioni e le concessioni di provvidenze pubblicheÈ.Ó ÒUlteriore conferma questa, laddove ve ne fosse bisogno, che la distinzione RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 tra economia pubblica ed economia privata, in taluni settori -lĠedilizia, lo smaltimento dei rifiuti, il traporto dei materiali in discarica, i noli a freddo, gli autotrasporti per conto terzi, la fornitura di ferro lavorato, il trasporto terra, etc. -  del tutto inidonea e inefficace a descrivere, e a circoscrivere, la vastitˆ e la pervasivitˆ del pericolo mafioso in esame.Ó ÒSe ne deve concludere, pertanto, che nellĠattuale sistema della documentazione antimafia la suddivisione tra lĠambito applicativo delle comunicazioni antimafia e delle informazioni antimafia, codificata dal d. lgs. n. 159 del 2011, mantiene la sua attualitˆ - del resto ribadita nel codice stesso - se e nella misura in cui essa non si risolva nella impermeabilitˆ dei dati posti a fondamento delle une con quelli posti a fondamento delle altre, soprattutto dopo lĠistituzione, in attuazione dellĠart. 2 della legge delega, della Banca dati nazionale unica, che consente di avere una cognizione ad ampio spettro e aggiornata della posizione antimafia di una impresa.Ó ÒE una simile impermeabilitˆ e incomunicabilitˆ tra i diversi settori economici e i relativi provvedimenti interdittivi, infatti, ha inteso evitare il legislatore con le pi recenti modifiche del codice delle leggi antimafia.Ó ÒIl Prefetto, pertanto, avrˆ lĠobbligo di rilasciare le informazioni antimafia nelle ipotesi di cui allĠart. 91, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011 e avrˆ la facoltˆ, nelle ipotesi di verifiche, procedimentalizzate dallĠart. 88, comma 2, e dallĠart. 89-bis, di emettere una informativa antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, tutte le volte in cui, nel collegamento alla Banca dati nazionale unica, emergano provvedimenti o dati che lo inducano a ritenere non possibile emettere una comunicazione liberatoria de plano, ma impongano pi serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.Ó ÒIl sistema cos“ delineato, che risponde a valori costituzionali ed europei di preminente interesse e di irrinunciabile tutela, non attenua le garanzie che la tradizionale ripartizione tra le comunicazioni e le informazioni antimafia prima assicurava, consentendo alle sole comunicazioni antimafia, emesse sulla base di un provvedimento di prevenzione definitivo adottato dal Tribunale con tutte le garanzie giurisdizionali, di precludere lĠottenimento di licenze, autorizzazioni o di qualsivoglia provvedimento, comunque denominato, per lĠesercizio di attivitˆ imprenditoriali (art. 67, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 159 del 2011).Ó ÒIl timore che, estendendo lĠapplicazione delle informative antimafia alle attivitˆ economiche soggette al regime autorizzatorio, si schiuda la via allĠarbitrio del- lĠautoritˆ prefettizia nella valutazione della permeabilitˆ mafiosa e quindi anche nellĠaccesso alle attivitˆ economiche (solo) private, senza che tale valutazione sia assistita da preventive garanzie procedimentali o, comunque, dalle stesse garanzie delle misure di prevenzione emesse dal Tribunale,  del tutto infondato.Ó ÒLa valutazione prefettizia - questa Sezione deve ancora una volta e con pi convinzione qui ribadirlo - deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della Çlogica del pi probabile che nonÈ, consentano coNteNzIoSo NAzIoNAle di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.Ó ÒGli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per lĠinsidiosa pervasivitˆ e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento (v., sul punto, la giˆ richiamata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), ma essi devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga allĠautoritˆ e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicitˆ dellĠapprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dellĠinformativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.Ó ÒIn tale senso il criterio civilistico del Çpi probabile che nonÈ, seguito costantemente dalla giurisprudenza di questo Consiglio, si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dellĠesperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dellĠinferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilitˆ mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di lˆ di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.Ó ÒQuesta ultima regola, come  stato di recente chiarito, si palesa Çconsentanea alla garanzia fondamentale della Òpresunzione di non colpevolezzaÓ, di cui allĠart. 27 Cost., comma 2, cui  ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDUÈ, sicchŽ  evidente come la vicenda in esame in alcun modo possa essere ricondotta nellĠalveo del principio anzidetto, desunto dalla giurisprudenza di Strasburgo dallĠart. 6 CEDU, in quanto Çnon attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilitˆ penaleÈ,  Çestranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordateÈ (v., in questi significativi termini, Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19430, per la responsabilitˆ civile), ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia.Ó ÒLĠequilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertˆ di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalitˆ sostanziale sopra richiamati, richiedono alla Prefettura unĠattenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nellĠesercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale.Ó ÒLa delicatezza di tale ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta allĠautoritˆ amministrativa, pu˜ comportare anche unĠattenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non  un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, nŽ un bene in sŽ, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma  un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalitˆ sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e pi profondo fondamento del moderno diritto amministrativo.Ó ÒE dĠaltro canto, occorre qui ricordare, il contraddittorio procedimentale non  del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se  vero che lĠart. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011 Çil prefetto competente al rilascio dellĠinformazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utileÈ.Ó ÒInfine deve essere qui anche ribadito, come questa Sezione ha pi volte chiarito, che il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia -lĠesigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalitˆ sostanziale e, dallĠaltro, la libertˆ di impresa -trova nella previsione dellĠaggiornamento, ai sensi dellĠart. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole allĠimpresa, poichŽ impone allĠautoritˆ prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti -se non noti -e consente allĠimpresa stessa di rappresentarli allĠautoritˆ stessa, laddove da questa non conosciuti (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121).Ó ÒLĠordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al cd. ÒCodice antimafiaÓ sino alle pi recenti integrazioni di questĠultimo, ha voluto apprestare, per lĠindividuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nellĠeconomia e nelle imprese, strumenti sempre pi idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.Ó ÒNella ponderazione degli interessi in gioco, tra cui certo quello delle garanzie per lĠinteressato da una misura interdittiva  ben presente, non pu˜ pensarsi che gli organi dello Stato contrastino con Òarmi impariÓ la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale Òragione socialeÓ per tendere al controllo di interi territori.Ó (...) cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017. coNteNzIoSo NAzIoNAle Diritto di accesso e opponibilitˆ della clausola di riservatezza CONSIGLIO DI STATO, SEzIONE TERzA, SENTENzA 17 MARzO 2017 N. 1213 la sentenza afferma il principio per cui clausola di riservatezza, pattuita fra lĠAmministrazione e lĠimpresa privata nellĠambito di una procedura di negoziazione del prezzo di un farmaco da classificare tra quelli a carico del servizio sanitario nazionale, legittima il diniego di accesso agli atti della procedura da parte di unĠazienda concorrente e, particolarmente, ai risultati economici raggiunti attraverso la negoziazione nonchŽ al regime di sconti concessi dallĠazienda allĠistituto. Il diritto di accesso deve tuttavia prevalere qualora determinato da esigenze difensive che, per˜, devono essere adeguatamente circostanziate: infatti nella specie, il consiglio di Stato ha rigettato la domanda di accesso, in difetto di prova del fatto che il concorrente, richiedente lĠaccesso, avesse instaurato giudizi o procedimenti utili per la difesa della posizione giuridica di base. Marina Russo* Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 17 marzo 2017 n. 1213 -Pres. F. Frattini, Est. G. Veltri -Agenzia Italiana del Farmaco -AIFA, (avv. St. M. Russo) c. Abbvie Srl a Socio Unico (avv. A. lirosi, c. Guglielmello) e nei confronti di Gilead Sciences Srl (avv.ti D. Vaiano, c. osti). FAtto lĠ Agenzia Italiana del Farmaco -AIFA -e la Gilead Sciences S.p.A. hanno proposto appello per la riforma della sentenza depositata dal tAR lazio, sez. III quater, in data 25 novembre 2016, n. 11819, con la quale  stato accolto in parte un ricorso proposto dalla AbbVie S.r.l. avverso il diniego opposto dall'AIFA sull'istanza di accesso da essa presentata con riferimento agli atti inerenti al procedimento che ha condotto alla stipula tra l'AIFA e la Gilead sciences, in data 29 gennaio 2015, dell'accordo sulla rimborsabilitˆ e il prezzo relativo ai farmaci Sovaldi e harvoni. Analogo appello  stato proposto dalla AbbVie S.r.l. al fine di ottenere un accesso integrale e non solo parziale agli atti. Questi i fatti: la Gilead sciences s.r.l. produce il farmaco Sovaldi, a base del principio attivo sofosbuvir che  attualmente l'unico prodotto rimborsato in Italia ad essere indicato nel trattamento di tutti i genotipi (da 1 a 6) dell'epatite c cronica; produce altres“ il farmaco harvoni, che aggiunge al principio attivo Sofosbuvir anche il ledipasvir, e che risulta anch'esso indicato nel trattamento dell'epatite c cronica, per i genotipi di tipo 1, 3 e 4. Si tratta di medicinali innovativi in grado di eradicare completamente il virus che genera la grave malattia in questione, precedentemente considerata cronica. (*) Avvocato dello Stato. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Per la cessione dei suddetti farmaci al SSN, la Gilead ha svolto contrattazione con l'AIFA -Agenzia Italiana del Farmaco, ai sensi di quanto previsto dall'art. 48, comma 33, del d.l. n. 269/2003, conv. in legge 326/2003, il quale stabilisce che "i prezzi dei prodotti rimborsati dal SSN sono determinati mediante contrattazione tra Agenzia e Produttori secondo le modalitˆ e i criteri indicati nella Delibera CIPE febbraio 2001, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001", deliberazione questĠultima, che a sua volta disciplina dettagliatamente i "criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci", prevedendo espressamente che, tra le condizioni negoziali di cessione del farmaco alle strutture del SSN, si possa fare riferimento ai "volumi di vendita", si possano pattuire "sconti per le forniture agli ospedali e alle strutture sanitarie pubbliche" e si possa fare riferimento ai "volumi e i prezzi di altri medicinali della stessa impresaÓ. Pertanto l'AIFA e la Gilead hanno concluso in data 29 gennaio 2015 un accordo negoziale per la cessione al SSN dei farmaci Sovaldi e harvoni nel quale hanno inserito -come del resto sovente accade negli accordi sottoscritti tra AIFA e le aziende farmaceutiche ex art. 48, comma 33, del d.l. cit. -un meccanismo di sconto denominato prezzo/volume, in applicazione del quale, in buona sostanza, il prezzo di rimborso dei suddetti medicinali  stato assoggettato a percentuali di sconto sempre crescenti quanti pi pazienti vengono trattati. l'accordo per la rimborsabilitˆ dei suddetti farmaci, scaduto in data 18 giugno 2016, continua allo stato a rimanere operativo nelle more della stipula di un nuovo accordo tra l'AIFA e la Gilead, per il quale  tuttora in corso una formale rinegoziazione, ai sensi di quanto previsto dal punto 7 della citata delibera cIPe n. 3/2001. In data 10 giugno 2016, nel corso dunque della citata rinegoziazione, la ricorrente AbbVie S.r.l. ha presentato all'AIFA un'istanza di accesso "agli atti negoziali che hanno portato alla stipula del suddetto accordo di rimborsabilitˆ a carico del SSN delle specialitˆ medicinali Sovaldi e harvoni" motivandola sulla base di un pretesa legittimazione discendente dall'essere essa un'azienda farmaceutica che commercializza in Italia una terapia per il trattamento del- l'epatite c "concorrente di harvoni", nonchŽ adducendo presunte criticitˆ di natura concorrenziale riscontrabili nell'accordo di rimborsabilitˆ concluso tra l'AIFA e la Gilead. con nota prot. n. Al/68272.P del 30 giugno 2016, tuttavia, l'AIFA ha opposto diniego all'istanza presentata dalla ricorrente, rilevando, in sintesi: 1. Il carattere strettamente riservato dellĠaccordo, in ragione dell'impegno contrattuale assunto dalle parti a non diffonderne i termini dell'accordo in questione (esattamente come avvenuto in occasione della sottoscrizione dellĠaccordo negoziale dei farmaci Viekirax ed exviera di cui  titolare dellĠA.I.c. proprio la societˆ Abbvie); 2. la ricorrenza della condizione ostativa allĠaccesso di cui allĠart. 24, comma 6, della legge n. 241/1990, stante il carattere riservato della documentazione richiesta; 3. il carattere bilaterale e strettamente riservato dellĠaccordo, implicante di per sŽ l'esclusione di terzi estranei dalla partecipazione; 4. la considerazione del fatto che il medicinale Sovaldi  attualmente lĠunico farmaco autorizzato per il trattamento senza interferone di tutti i genotipi di epatite c cronica, ragion per cui la Gilead Sciences s.r.l., avendo sviluppato per prima tale medicinale,  stata anche la prima (ed attualmente lĠunica) ad ÒentrareÓ nel relativo mercato rilevante. Il tAR ha accolto in parte il ricorso ed ha riconosciuto alla AbbVie S.r.l. il diritto ad ottenere solo un parziale accesso agli atti da essa richiesti, cos“ delimitandolo: 1. dovrˆ essere dato accesso solo agli atti relativi al procedimento riguardante l'harvoni e non anche quelli inerenti al Sovaldi, in quanto solo il primo e non anche il secondo  stato riconosciuto essere in concorrenza con i prodotti Viekirax ed exviera di cui la richiedente  titolare dell'AIc; coNteNzIoSo NAzIoNAle 2. non dovrˆ essere dato accesso, in ogni caso, neppure per harvoni a quelle parti dei documenti richiesti nelle quali vi siano riferimenti ai "dati di cui all'art. 6 della delibera cIPe che intervengono nel procedimento di determinazione del prezzo", che sarebbero - si trae sempre dalla sentenza impugnata -tra gli altri, quelli contenuti nelle proposte di prezzo corredate "con adeguate valutazioni economiche del prodotto e del contesto industriale (con riferimento agli investimenti in produzione, ricerca e sviluppo e alle esportazioni) di mercato e di concorrenza nel quale il medesimo prodotto si colloca", poichŽ questi, "siccome si riferiscono alla posizione sul mercato della Gilead e fanno riferimento a strategie di produzione o a know how particolari", ad avviso del tAR "possono rientrare nei casi di esclusione di cui al Regolamento AIFA sull'accesso". Avverso la sentenza, come accennato in premessa, hanno proposto appello tutti i protagonisti della vicenda. tutte le cause sono state trattenute in decisione allĠudienza camerale del 23 febbraio 2017. Per le cause chiamate per la delibazione della domanda cautelare, il collegio ha dato avviso della possibile decisione nel merito, in forma semplificata. DIRItto 1. Per gli appellanti, AIFA e Gilead, la sentenza sarebbe erronea innanzitutto nella parte in cui  concesso Òl'accesso alla documentazione relativa al farmaco Harvoni prodotto da Gilead ... mentre non potrˆ concederlo in relazione al farmaco Sovaldi frutto di un brevetto di cui la stessa  titolare", atteso che: a) lĠesistenza di una protezione brevettuale non sarebbe rilevante ai fini dellĠaccesso ad atti che nulla avrebbero a che vedere con la negoziazione sul prezzo; b) in ogni caso la Gilead  titolare di brevetto anche con riferimento ad harvoni, sicchŽ -se questa  la ragione giustificatrice dell'esclusione dal diritto di accesso - non sarebbe dato comprendere le ragione del discrimen fra i due farmaci ai fini dellĠaccesso. 1.1. Il giudice di prime cure avrebbe altres“ omesso di valutare il tema della riservatezza del documento del quale AbbVie intende ottenere l'esibizione, e di tutti quelli che l'hanno preceduto ai fini della sua formazione. esigenza di riservatezza che, infatti, AIFA aveva posto a base del diniego opposto alla richiesta di accesso, in quanto protetto da apposita clausola del- lĠaccordo stipulato allĠesito della negoziazione. Del resto, secondo gli appellanti, la riservatezza commerciale costituisce legittima causa di esclusione dellĠaccesso ai sensi dell'art. 24, comma 6 della 1. n. 241/1990, ed anche del regolamento AIFA, e la clausola di riservatezza sarebbe proprio lo strumento concordemente utilizzato dalle parti per evidenziare la natura sensibile del documento a tali fini. 1.2. lĠesigenza di riservatezza sarebbe vieppi rinforzata, nel caso di specie, anche dal concomitante interesse pubblico ad ottenere un prezzo pi basso ed a limitare il fenomeno delle esportazioni parallele, che verrebbero certamente favorite dalla conoscenza del prezzo finale di cessione: il farmaco verrebbe infatti acquistato per essere rivenduto allĠestero ad un prezzo maggiore, cos“ consentendo allĠesportatore di lucrare sulla differenza, con lĠulteriore rischio -giˆ concretizzatosi in passato - di determinare indisponibilitˆ del farmaco in Italia, a tutto discapito dei pazienti. 1.3. la sentenza sarebbe, ad ogni modo, erronea anche nella parte in cui ha ritenuto sussistente la situazione legittimante l'esercizio del diritto di accesso agli atti del procedimento di contrattazione del prezzo e delle altre condizioni di rimborso di specialitˆ medicinali commercializzate da altra azienda farmaceutica operante sul mercato italiano, atteso che dallĠaccordo non sarebbe derivato nŽ potrebbe derivare uno svantaggio concorrenziale per AbbVie rispetto alla Gilead. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 2. Per AbbVie S.r.l., per converso, la sentenza sarebbe erronea innanzitutto nella parte in cui ha escluso lĠostensibilitˆ della documentazione relativa al farmaco Sovaldi. Il tAR -nellĠesegesi che della pronuncia ne dˆ lĠappellante -ha inteso fondare l'esclusione dell'accesso sul fatto che, essendo il Sovaldi l'unico farmaco pan-genotipico disponibile sul mercato, e quindi il solo deputato al trattamento di quattro dei sei diversi genotipi di epatite c cronica (segnatamente, i genotipi 2, 3, 5 e 6), non  rinvenibile una situazione di concorrenza diretta con la terapia commercializzata da AbbVie (e indicata per il trattamento dei genotipi 1 e 4). le conclusioni cui giunge il tAR sarebbero tuttavia errate, posto che per effetto del meccanismo di sconti previsto nell'Accordo Gilead -che consente di cumulare le vendite di entrambi i farmaci ai fini del raggiungimento dei successivi scaglioni di pazienti trattati e quindi del- l'applicazione dei crescenti livelli di sconto ad essi collegati -AbbVie, pur avendo anch'essa stipulato con AIFA un accordo prezzo-volume relativo alla propria terapia anti-epatite c, si troverebbe in una situazione di strutturale e insuperabile svantaggio concorrenziale. ci˜ perchŽ, ai fini del raggiungimento dei propri scaglioni di pazienti e quindi dell'incentivo all'acquisto del proprio farmaco da parte delle strutture ospedaliere pubbliche, Gilead potrebbe contare su un effetto di fidelizzazione scaturente dallĠinfungibilitˆ del Sovaldi (unico farmaco attualmente autorizzato e rimborsato per il trattamento dei genotipi 2, 3, 5 e 6), che, gioco forza, trainerebbe anche il secondo farmaco harvoni, con conseguente abuso di posizione dominante. Ne deriverebbe che la struttura dell'Accordo Gilead (applicato attualmente in regime di proroga), sarebbe tale da pregiudicare la posizione sul mercato di AbbVie ledendo la legittima aspirazione della stessa a concorrere in situazioni di paritˆ ed imparzialitˆ. In questo contesto, la circostanza che il trattamento di AbbVie non sia direttamente concorrente di Sovaldi (ma solo di harvoni) sarebbe del tutto indifferente ai fini che interessano, in quanto la legittimazione e l'interesse di AbbVie trarrebbero origine proprio dal fatto che l'AIFA ha incluso all'interno dello stesso meccanismo prezzo-volume due farmaci che invece andavano tenuti nettamente distinti sia perchŽ rivolti a mercati differenti, sia perchŽ l'uno  commercializzato in regime di monopolio e l'altro no. 2.1. la sentenza sarebbe altres“ erronea sia nella parte in cui, pur accordando l'accesso alla documentazione di harvoni, ha rimesso all'AIFA di valutare la sussistenza di eventuali limitazioni "in relazione alla specifica causa di esclusione indicata dall'art. 18, comma 2 del Regolamento sull'accesso", sia nella parte in cui ha ricondotto a tale causa di esclusione "i dati di cui all'art. 6 della delibera cIPe e che intervengono nel procedimento di determinazione del prezzo, siccome riferiti alla posizione sul mercato della Gilead e facenti riferimento a strategie di produzione o a know how particolari". Nel caso di specie, secondo lĠappellante non vi sarebbe alcuna esigenza di riservatezza legata alla produzione ed al know how atteso che il procedimento di negoziazione disciplinato dalla deliberazione cIPe n. 3 del 1Ħ febbraio 2001 ha riferimento alle sole valutazioni economiche del prodotto e del contesto industriale di mercato e di concorrenza nel quale il medesimo prodotto si colloca. 3. le VAlUtAzIoNI Del colleGIo 3.1. ovviamente i ricorsi devono essere riuniti vertendo sulla medesima sentenza. 3.2. Gli appelli di AIFA e di Gilead sono fondati. 3.3. é utile ricostruire il quadro normativo del quale si  fatto sintetico cenno in premessa. l'art. 48, comma 33, del d.l. n. 269/2003, conv. in legge 326/2003, stabilisce che "i prezzi dei prodotti rimborsati dal SSN sono determinati mediante contrattazione tra Agenzia e Produttori secondo le modalitˆ e i criteri indicati nella Delibera CIPE 1 febbraio 2001, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001". coNteNzIoSo NAzIoNAle 3.4. tale ultima delibera, a sua volta, detta analitiche disposizioni aventi ad oggetto i medicinali autorizzati all'immissione in commercio secondo le procedure centralizzate e di mutuo riconoscimento, e riguardanti in particolare il procedimento di contrattazione del prezzo di medicinali idonei all'inclusione nella lista dei medicinali rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale. NellĠambito di tale attivitˆ negoziata procedimentalizzata,  previsto che lĠimpresa farmaceutica proponga un prezzo sulla base di un documentato e circostanziato dossier alla luce di un criterio costo/efficacia per i pazienti; che lĠamministrazione compia speculari valutazioni, anche attraverso lĠausilio di organi interni specializzati, al fine di una controproposta; che la procedura negoziale si concluda con un accordo tra le parti con la fissazione di un prezzo sulla base dei volumi di vendita, della disponibilitˆ del prodotto per il Servizio sanitario, degli sconti per le forniture agli ospedali e alle strutture sanitarie pubbliche; del volumi e dei prezzi di altri medicinali della stessa impresa. é in particolare espressamente previsto che, in sede di definizione contrattuale possa essere definita una relazione funzionale tra prezzo e intervalli di variazione dei volumi di vendita. 3.5. lĠaccordo  un passaggio obbligatorio ed ineludibile, poichŽ, in mancanza, il prodotto  classificato nella fascia c di cui al comma 10, dell'art. 8, della legge del 24 dicembre 1993, n. 537. 3.6. Il prezzo contrattato rappresenta per gli ospedali e le ASl il prezzo massimo di cessione al Servizio sanitario nazionale. Su tale prezzo essi devono, in applicazione di proprie procedure, contrattare gli sconti commerciali. 3.7. Relativamente al segmento di mercato che transita attraverso il canale della distribuzione intermedia e finale, al prezzo ex-fabrica contrattato sono aggiunte, per la definizione del prezzo al pubblico, l'IVA e le quote di spettanza per la distribuzione (si vedano in proposito il comma 5 e seguenti dellĠart. 1 della deliberazione citata). 4. ci˜ chiarito, pu˜ da subito sgombrarsi il campo dai dubbi circa lĠastratta accessibilitˆ degli atti, in quanto formati nellĠambito di procedimento negoziale e non di un procedimento amministrativo. 4.1. A prescindere dalla sussumibilitˆ dellĠaccordo nel quadro degli accordi sostitutivi di provvedimento ex art. 11 l. 241/90, o piuttosto in una vera e propria fattispecie contrattuale, la giurisprudenza di questo consiglio, muovendo dal consolidato approdo secondo il quale la disciplina legale della ostensibilitˆ dei documenti amministrativi pone anzitutto - sul piano oggettivo -un rapporto tra regola deponente per la generale accessibilitˆ, ed eccezioni tassative e non estensibili,  giunta alla conclusione che in base alla disciplina contenuta negli artt. 22 e ss. l. n. 241 del 1990, il diritto di accesso pu˜ esercitarsi anche rispetto a documenti di natura privatistica purchŽ concernenti attivitˆ di pubblico interesse. e del resto l'attivitˆ amministrativa, soggetta all'applicazione dei principi di imparzialitˆ e di buon andamento,  configurabile non solo quando l'Amministrazione esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegue le proprie finalitˆ istituzionali e provvede alla cura concreta di pubblici interessi mediante un'attivitˆ sottoposta alla disciplina dei rapporti tra privati (ex multis, cons. Stato Sez. IV, Sent., 28/01/2016, n. 326). 4.2. Sempre in via generale ed astratta, deve ritenersi sufficiente, ai fini dellĠaccesso, a mente dellĠart. 22 della legge generale sul procedimento, Òun interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale  chiesto l'accessoÓ. Non occorre che sia instaurato, o in via di instaurazione, un giudizio, bastando la dimostrazione del grado di protezione che lĠordinamento accorda alla posizione base, ossia al bene della vita dal quale scaturisce lĠinteresse ostensivo. In altri termini, la legittimazione all'accesso agli atti della P.A. va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto (in tali termini, da ultimo cons. Stato Sez. IV, 20-10-2016, n. 4372). 5. Applicando queste prime coordinate giurisprudenziali alla fattispecie in esame, non vĠ dubbio che: a) AbbVie sia pacificamente legittimata a domandare lĠaccesso, essendo dimostrato che essa compete nel medesimo mercato di Gilead e risente economicamente dei risultati commerciali raggiungibili da questĠultima in forza dellĠaccordo con AIFA ex art. 48, comma 33, del d.l. n. 269/2003. Non occorre indagare sulla possibilitˆ di una effettiva lesione conseguente allĠasserito abuso di una posizione dominante acquisita da Gilead a mezzo dellĠaccordo, poichŽ questa  questione che compete al giudice naturale della situazione giuridica di base. b) gli atti del procedimento negoziale siano oggettivamente accessibili in quanto documenti amministrativi ricompresi nellĠambito di applicazione dellĠart. 22 della legge generale del procedimento, a ci˜ non ostando la bilateralitˆ dellĠaccordo. 5.1. Del resto, lĠordinamento conosce una specifica disciplina dellĠaccesso per i casi in cui lĠattivitˆ dellĠamministrazione si sostanzi nellĠesperimento di una procedura, aperta, ristretta, ma anche negoziata (il superato istituto della Òtrattativa privataÓ), caratterizzata da un rigida inaccessibilitˆ in pendenza della procedura, strumentale alla garanzia della leale competizione, e da una tendenziale accessibilitˆ di tutti gli atti della serie negoziale, ad aggiudicazione avvenuta, salvo che in relazione ad alcuni specifici aspetti per i quali vengano in rilievo, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, Òsegreti tecnici o commercialiÓ (sul punto si veda lĠattuale art. 53 del d.lgs. 50/2016, ma giˆ lĠart. 13 del d.lgs. 163/2006). 6. ci˜ che  peculiare e dirimente nel caso di specie - come condivisibilmente sottolineato da AIFA e da Gilead -  la pattuizione di una clausola di riservatezza. 6.1. Non vĠ dubbio che, dal punto di vista giuridico, essa vincoli le parti dellĠaccordo, sempre che non si ponga in contrasto con norme imperative. é su questĠultimo punto che il collegio ritiene necessario soffermarsi. 6.2. le norme ÒimperativeÓ in tema di accesso qualificato (ossia sorretto da uno specifico interesse) ai documenti amministrativi sono contenute nel capo V della legge generale sul procedimento. la legge, pur chiarendo in via generale che Òl'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalitˆ di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attivitˆ amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialitˆ e la trasparenzaÓ (art. 22 comma 2) e disponendo conseguentemente che Òtutti i documenti amministrativi sono accessibiliÉ..Ó ha cura di individuare alcune eccezioni in cui il diritto di accesso  escluso o pu˜ essere escluso (art. 22 comma 3 ed art. 24 l. cit.) 6.3. Qui rileva, in particolare, lĠart. 24 comma 6 lett. d), a mente del quale, il diritto dĠaccesso pu˜ essere escluso Òquando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorchŽ i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferisconoÓ. 6.4. lĠesigenza di riservatezza delle imprese in ordine allĠinteresse commerciale  dunque idoneo, in astratto, a giustificare esclusioni o limitazioni del diritto dĠaccesso. é evidente che deve trattarsi di esigenza oggettivamente apprezzabile, lecita e meritevole di tutela in quanto collegata a potenziali pregiudizi derivanti dalla divulgazione, secondo un nesso di proporzionalitˆ. coNteNzIoSo NAzIoNAle 7. Un punto di equilibrio tra esigenze di riservatezza e trasparenza nellĠambito delle procedure di evidenza pubblica finalizzata alla stipula di contratti di appalto si rinviene nella disciplina di settore dettata dal dlgs 50/2016, la quale fa prevalere le ovvie esigenze di riservatezza degli offerenti durante la competizione, prevedendo un vero e proprio divieto di divulgazione, salvo ripristinare la fisiologica dinamica dellĠaccesso a procedura conclusa, con espressa eccezione per Òle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commercialiÓ. Il riferimento al ÒsegretoÓ commerciale, contenuto nellĠart. 53, pi rigoroso e stringente del- lĠart. 24 che invece parla di ÒriservatezzaÓ commerciale, si spiega in relazione allo specifico contesto dellĠevidenza pubblica nellĠambito del quale si svolge una vera e proprio competizione governata dal principio di concorrenza e da quello di pari trattamento che ne costituisce il corollario endoconcorsuale. essendo la gara basata sulla convenienza dellĠofferta economica  chiaro che le condizioni alle quali essa  aggiudicata, ed il relativo contratto  stipulato, costituiscono la prova ed il riscontro della corretta conduzione delle competizione fra gli offerenti, ragion per cui nessuna esigenza di riservatezza potrˆ essere tale da sottrarre allĠaccesso i dati economici che non siano cos“ inestricabilmente avvinti a quelli tecnici da costituire parte di un segreto industriale. 8. Il contesto in cui si muovono i contendenti nella causa oggetto dellĠodierno esame  per˜ radicalmente diverso dal procedimento di evidenza pubblica. 8.1. la pubblica amministrazione, nel procedimento di negoziazione per la fissazione del prezzo dei farmaci coperti da brevetto, punta a perseguire contemporaneamente una pluralitˆ di obiettivi, quali, da un lato, la salute della popolazione, il suo accesso effettivo ai farmaci, il contenimento della spesa farmaceutica, dallĠaltro il supporto alle aziende che investono in farmaci innovativi. 8.2. Questi obiettivi possono, e devono, invero, essere raggiunti (per gli acquisti da parte di enti del SSN) attraverso la competizione sui prezzi per il tramite di procedure di evidenza pubblica, qualora il segmento di mercato sia quello comprendente le specialitˆ originali contenenti il principio attivo il cui brevetto  scaduto (i cosiddetti prodotti generici branded) e le specialitˆ vendute con il nome del principio attivo (i cosiddetti generici unbranded). 8.3. le procedure proconcorrenziali per converso non sono applicabili ed utili per il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati, quando il segmento di riferimento  quello dei farmaci coperti da brevetto che hanno giˆ ottenuto lĠautorizzazione alla immissione in commercio e che richiedono di poter essere prescritti a carico del Servizio Sanitario Nazionale, sulla base di un prezzo di rimborso che tenga anche conto del loro potenziale terapeutico innovativo. In tale segmento non cĠ concorrenza fra i produttori perchŽ ci sono situazioni di monopolio, sia pur transitorie, legate alla protezione brevettuale, indi non vĠ il presupposto logico per lĠapplicazione del principio della gara, e non vĠ il presupposto economico per giustificarla, id est la tendenziale uguaglianza tra costo marginale e beneficio marginale per lĠacquirente. Infatti, da una lato il monopolista pu˜ portare il prezzo al di sopra del livello di equilibrio senza con ci˜ subire la sanzione da parte del mercato, come avverrebbe in un sistema competitivo, dallĠaltro il consumatore che ha un problema di salute potenzialmente risolvibile con un farmaco non  interessato a ricercare il punto di ottimo tra benefici e costi, e soprattutto con specifico riferimento ai farmaci in fascia A rimborsabili - non  indotto a cercare il prodotto che minimizza i costi, poich lĠonere finanziario per lĠacquisto  sostenuto dal Sistema sanitario pubblico sulla base di una decisione pubblica di protezione della salute collettiva. 8.2. In tale scenario, la soluzione predisposta da nostro ordinamento, fra le tante opzioni possibili, RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017  stata quella di demandare allĠAgenzia Italiana del Farmaco (AIFA) -una volta che la commissione tecnica e Scientifica (ctS) ha valutato lĠefficacia del farmaco -il compito di negoziare con lĠazienda produttrice il prezzo finale. Il legislatore ha in proposito indicato, attraverso il rinvio statico alla deliberazione cIPe, i quattro parametri che AIFA deve tenere presente nella negoziazione: (i) i prezzi correnti negli altri Stati membri della Ue; (ii) i prezzi dei prodotti simili in Italia; (iii) le previsioni di vendita sul mercato; (iv) il rapporto costo/efficacia. 9. escluso dunque che, nel caso di specie, si tratti di una procedura di evidenza pubblica o di procedura analoga (tale da consentire il ricorso alla analogia legis), si pu˜ concludere per lĠapplicabilitˆ del generale disposto di cui allĠart. 24 comma 6 lett. d) che fornisce tutela alla ÒriservatezzaÓ commerciale, senza ulteriori specificazioni. In altri termini non vĠ una norma che direttamente o indirettamente vieti, chiaramente e nettamente, la stipula di accordi di riservatezza in relazione agli interessi commerciali di unĠimpresa. 10. la conclusione raggiunta in punto di validitˆ della clausola, non esime tuttavia il collegio da un controllo di meritevolezza della stessa, avuto riguardo allĠinteresse al buon andamento ed imparzialitˆ dellĠamministrazione, parte dellĠaccordo. 10.1 .lĠamministrazione, nelle sue difese ha chiarito di aver prestato il consenso alle clausole poichŽ la riservatezza degli esiti della negoziazione sarebbe utile allĠottenimento di risparmi. 10.2. lĠaffermazione  sorretta da argomentazioni plausibili e comunque sufficienti a sorreggere un giudizio di meritevolezza della causa. 10.2.1. In effetti nelle situazioni in cui la concorrenza  rarefatta, la conoscenza delle condizioni economiche offerte dal concorrente attuale o potenziale costituisce elemento, utile per il soggetto che vuole entrare nel mercato, ad orientare la propria azione commerciale in modo da essere competitivo, nei soli e ristretti limiti in cui ci˜ sia utile ad eguagliare o sopravanzare lĠavversario, senza troppo sacrificio per i margini di ricavo. lĠapposizione della clausola di riservatezza operante nei rapporti tra imprese, consente invece al negoziatore pubblico di tenere celati i risultati economici raggiunti nella negoziazione che ovviamente rimangono sempre utilizzabili quale parametro interno - e di ÒspuntareÓ tutti gli sconti che il produttore sia oggettivamente e soggettivamente in grado di concedere in base ai suoi costi ed alle sue aspettative di profitto. cio proprio quegli sconti che il produttore sarebbe restio a concedere se dovesse preparare anche una ÒdifesaÓ successiva rispetto ad altro produttore che venisse a conoscenza dei propri criteri per fissare il prezzo. ovviamente ci˜ pone un problema di controllabilitˆ, che tuttavia esula dai limiti della quaestio iuris oggetto di specifico esame. ci˜ che conta ai fini del giudizio  che la clausola, oltre che rispondere ad un interesse commerciale privato, persegua anche un concomitante interesse pubblico; e si  visto che tale condizione  sostenuta con plausibile argomentazione, in riferimento allĠobiettivo perseguito da AIFA di ottenere prezzi pi bassi per farmaci, di regola assai costosi, il cui onore  a carico del S.S.N. la clausola  dunque da ritenere valida ed efficace. 11. Per quanto, in ragione di quanto sopra detto, la clausola sia valida e risponda ad interessi meritevoli di tutela - nondimeno opportuno precisare che la stessa devĠessere interpretata ed eseguita in modo da non porsi in contrasto con le previsioni di legge, che antepongono lĠesigenza di difesa in giudizio del concorrente, rispetto a quelle di riservatezza del contraente. 11.1. Sul punto  chiarissimo il tenore dellĠart. 24 comma 7 della legge generale sul procedimento: Òdeve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridiciÓ. Ne deriva che la ove la conoscenza dei termini dellĠaccordo sia necessaria per la difesa in coNteNzIoSo NAzIoNAle giudizio in ordine alla situazione giuridica di base, rispetto alla quale lĠaccesso  strumentale, la clausola di riservatezza non  mai opponibile. 11.2. Nel caso di specie, non risulta tuttavia, che Abbvie abbia instaurato giudizi o procedimenti utili per la difesa della posizione giuridica di base al di lˆ di assai generici richiami Òa criticitˆ di natura concorrenzialeÓ formulati ai fini della domanda di accesso. 12. traendo le conclusioni da tutto quanto argomentato, devono essere accolti gli appelli di AIFA e di Gilead tese a confermare la validitˆ del diniego opposto dallĠamministrazione per entrambi i farmaci, in relazione allĠaccesso ad atti in cui vi sia riferimento diretto o indiretto alle condizioni economiche offerte. 13. Per le medesime ragioni deve invece essere respinto lĠappello di Abbvie in quanto finalizzato allĠottenimento senza limitazioni dellĠaccesso alle informazioni economiche per entrambi i farmaci. 14. Avuto riguardo allĠesito ed alla complessitˆ e novitˆ delle questioni, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate. P.Q.M. Il consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione terza) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti e riuniti: Accoglie gli appelli dellĠAgenzia italiana del farmaco, e di Gilead Sciences Srl; respinge lĠappello di Abbvie Srl. Per lĠeffetto, respinge il ricorso introduttivo in primo grado. Spese del doppio grado compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. cos“ deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017. RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 Brevi note sul sistema di regolazione del demanio marittimo NOTA A T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEz. VII, SENTENzA 9 FEBBRAIO 2017 N. 818 Vinca Giannuzzi Savelli* lĠarticolo 49 del codice della navigazione, sulla devoluzione automatica allo Stato delle opere non amovibili, trova applicazione solo a seguito dellĠeffettiva e definitiva cessazione del rapporto concessorio. Pertanto ai fini della determinazione del relativo canone non vanno incluse le pertinenze demaniali costruite successivamente dal concessionario quando il rapporto concessorio non sia mai cessato. SOMMARIO: 1. La nozione di demanio marittimo ed i modi di fruizione dello stesso - 2. Principi ed istituti normativi - 3. Criteri di scelta del concessionario - 4. Durata della concessione - 5. Riparto delle compentenze gestionali tra Stato e Regioni - 6. Competenza dello Stato circa la determinazione e riscossione dei canoni di concessione - 7. Natura dei canoni delle concessioni - 8. Determinazione del canone - 9. LĠintervento della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea - 10. La risposta dellĠItalia: la c.d. legge salva-spiagge. 1. La nozione di demanio marittimo ed i modi di fruizione dello stesso. Rientrano nel c.d. demanio marittimo i beni di origine naturale afferenti a spazi acquei che, in relazione alle loro intrinseche caratteristiche e alla loro destinazione collettiva, non possono che appartenere allo Stato. Se ne rinviene unĠelencazione nel libro terzo del codice civile, dedicato alla proprietˆ, agli artt. 822 e ss., ed in altre norme integrative, in particolare del codice della navigazione. lĠelenco non  tassativo ed  stato nel tempo ampliato dagli apporti dottrinali e giurisprudenziali. Ai beni naturali del demanio marittimo si aggiungono le ÒpertinenzeÓ costituite dalle Òcostruzioni e altre opere appartenenti allo Stato che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territorialeÓ, salvo che non sia diversamente disposto. Anche le opere non amovibili costruite sulla zona demaniale dal concessionario restano acquisite allo Stato quando venga a cessare la concessione, ai sensi dellĠart. 49 del codice della navigazione. Si tratta, quindi, di una categoria molto ampia e variegata per le cui particolari caratteristiche di utilizzo  oggi prevista una regolamentazione specifica: i beni demaniali marittimi sono potenzialmente idonei a soddisfare (*) Avvocato dello Stato. Il presente lavoro  stato redatto con la partecipazione della dr.ssa Sonia catalano, ammessa alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato di Napoli. coNteNzIoSo NAzIoNAle unĠimprecisata serie di interessi pubblici-sociali connessi al mare che risentono dellĠevoluzione storica nonchŽ di quella della realtˆ socio-economica. Se tradizionalmente i Òpubblici usi del mareÓ, riguardavano essenzialmente le attivitˆ di difesa delle coste, la navigazione, il traffico marittimo, la pesca, le attivitˆ cantieristiche, oggi invece il demanio marittimo  prevalentemente diretto ad assolvere finalitˆ commerciali, turistiche, balneari nonchŽ di fruizione del passaggio e del tempo libero. 2. Principi ed istituti normativi. le concessioni demaniali marittime sono state interessate da una notevole evoluzione legislativa in materia di competenze amministrative e gestionali e per quel che concerne i criteri di determinazione dei canoni concessori. Si  passati da una concezione "statica" dei beni demaniali, volta alla loro mera conservazione, ad una "dinamica", che ha posto maggiore attenzione alle opportunitˆ scaturenti dal loro utilizzo e gestione per il raggiungimento di obiettivi di pertinenza statale e di interesse collettivo: il demanio marittimo, viene oggi inteso come ÒstrumentoÓ da valorizzare, alla luce delle sue elevate potenzialitˆ nello sviluppo economico, in quanto fonte di benessere della popolazione nonch oggetto di doverosa preservazione ambientale, paesaggistica e biologica. In questo nuovo contesto, si registra un maggiore ricorso allĠistituto concessorio. QuestĠultimo, da evento eccezionale, stante lĠassoluta preminenza dei valori della proprietˆ e dellĠuso pubblico,  diventato invece del tutto ÒordinarioÓ, a seguito delle utilizzazioni sempre pi numerose e diversificate consentite a favore dei concessionari privati, ma in grado di risolversi in un vantaggio per la collettivitˆ. In particolare, si  diffuso il rilascio di concessioni su beni del demanio marittimo per scopi turistico-balneari e per la nautica. la stessa legge, dĠaltronde, ha esplicitamente disposto che la concessione dei beni demaniali marittimi possa essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e attivitˆ portuali e produttive, per lĠesercizio di tutta una serie di elencate attivitˆ, tra le quali spiccano proprio quelle aventi finalitˆ turistico-ricreative. Se  vero che le utilizzazioni e la fruibilitˆ dei beni sono ormai considerati il loro tratto saliente, pi degli aspetti della proprietˆ pubblica e della demanialitˆ, tale qualitˆ resta comunque determinante per il relativo regime giuridico in quanto il bene deve sempre essere idoneo, in concreto, alla fruizione della generalitˆ e proprio in virt delle attivitˆ ed opere poste in essere dal concessionario: da qui lĠimportanza della regolamentazione, discrezionale, prevista dallĠautoritˆ concedente e dalla compatibilitˆ, da questa garantibile e controllabile, tra uso pubblico ed uso privato. Il procedimento amministrativo di concessione resta disciplinato dal codice della navigazione (art. 36 e ss.) e dal relativo regolamento di esecuzione RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 cos“ come modificati, in particolare, dal D.l. n. 400/1993 convertito nella l. n. 494/1993. Questa scarna disciplina originaria si  nel tempo arricchita grazie ai contributi della giurisprudenza nazionale ed europea. Per cui oggi pu˜ affermarsi che lĠaffidamento dei beni demaniali suscettibili di uno sfruttamento economico deve essere sempre preceduto dal confronto concorrenziale, e le regole dellĠevidenza pubblica, giˆ desumibili dai menzionati art. 37 del codice della navigazione e art. 18 del regolamento di esecuzione, devono essere interpretate in conformitˆ dei principi dellĠUnione. 3. Criteri di scelta del concessionario. circa la scelta del concessionario, questa  sempre discrezionale, ma lĠamministrazione deve necessariamente procedere ad una valutazione comparativa e fornire unĠidonea motivazione in merito. In caso di concorso di pi domande, la normativa nazionale indicava i criteri di preferenza generali, consistenti nellĠofferta di maggiori garanzie di proficua utilizzazione, quali possono desumersi dallĠadeguatezza della capacitˆ economico-aziendale, dallĠaffidabilitˆ finanziaria degli aspiranti, e nel- lĠuso rispondente ad un pi rilevante interesse pubblico, sempre Òa giudizio dellĠamministrazioneÓ. Sono poi previsiti dei criteri di preferenza speciale indicati per le richieste di concessioni demaniali marittime per attivitˆ turistico-ricreative (art. 37, comma 2 codice navigazione). la scelta qui doveva propendere a vantaggio delle attivitˆ che importino Òattrezzature non fisse e completamente amovibiliÓ (ci˜ che comporta un accertamento tecnico-materiale) e, in sede di rinnovo, a favore del precedente concessionario, che nella previsione originaria era dunque titolare del c.d. Òdiritto di insistenzaÓ. tale diritto  peraltro anchĠesso apprezzabile dallĠamministrazione nellĠambito della sua valutazione complessiva. oggi per le le concessioni turistico-ricreative con la legge n. 25/2010 il c.d. diritto dĠinsistenza previsto dallĠart. 37 comma 2 c. n. e, successivamente con la legge n. 217/2011 il c.d. rinnovo automatico stabilito dallĠart. 10 della legge n. 88/2001, non possono pi essere riconosciuti in favore dei concessionari. Il diritto di insistenza non pu˜ pi da solo assurgere ad unico criterio di scelta nŽ lĠamministrazione pu˜ essere vincolata all'obbligo di rinnovo automatico al precedente concessionario. 4. Durata della concessione. la normativa nazionale prevede che la concessione, considerata la natura del bene sul quale viene rilasciata, deve essere necessariamente temporanea e, giunta al termine, si intende cessata di diritto senza che occorra alcuna diffida o costituzione in mora. la scadenza del termine ha dunque un effetto risolutivo automatico, che coNteNzIoSo NAzIoNAle comporta lĠestinzione della concessione e lĠobbligo del concessionario di rilasciare lĠimmobile, senza la necessitˆ di una tempestiva rituale disdetta nŽ di un formale provvedimento di revoca. DĠaltronde, in materia di concessione di beni pubblici lĠordinamento non contempla la fattispecie del silenzio-assenso o del rinnovo tacito, per cui se manca unĠespressa determinazione dellĠamministrazione lĠoccupazione del bene  da ritenersi sine titulo. Ne consegue altres“ che una nuova concessione deve essere sempre rilasciata con lĠosservanza delle procedure prescritte ed  autonoma in toto rispetto alla precedente. la cessazione della concessione comporta la devoluzione allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, delle opere non amovibili costruite sulla zona demaniale. 5. Riparto delle competenze gestionali tra Stato e Regioni. la crescente complessitˆ della regolamentazione dellĠuso del demanio marittimo  stata determinata anche dall'attuazione del c.d. federalismo demaniale che ha frazionato le competenze gestionali nellĠambito. Infatti lĠesercizio delle funzioni di gestione amministrativa delle concessioni demaniali marittime, originariamente attribuite esclusivamente allo Stato,  stato decentrato progressivamente alle Regioni e agli enti locali, ad eccezione di talune competenze rimaste tuttora in capo allĠAmministrazione centrale. Per comprendere a pieno tale trasferimento  necessario un excursus storico. Fino al DPR n. 616 del 24 luglio 1977 (art. 59), di attuazione della delega di cui allĠart. 1 della legge 22 luglio 1975 n. 382, la gestione del demanio marittimo, ed in particolare la materia delle concessioni, unitamente alla proprietˆ dei beni,  stata esclusivamente di competenza dello Stato. A partire dal suddetto decreto del 1977, con successive disposizioni legislative e provvedimenti, sono venute meno le competenze gestionali dello Stato, a favore delle Regioni e, sussidiariamente, degli enti locali. Si  trattato di un processo lungo e complesso, caratterizzato da molteplici difficoltˆ interpretative ed applicative, non ancora del tutto superate, e dallĠintervento della corte costituzionale -chiamata pi volte a pronunciarsi in occasione di conflitti di attribuzione Stato Regioni - nonchŽ, in sede consultiva, dei giudici di Palazzo Spada e, ai fini del controllo, della corte dei conti. la delega alle regioni benchŽ disposta nel 1977, con il DPR n. 616/1977,  restata per˜ di fatto inoperante fino al 1996. Infatti solo per effetto del D.lgs. n. 112/1998,  stato stabilito il conferimento generale alle Regioni, salvo talune eccezioni, delle funzioni amministrative concernenti il demanio marittimo. tale decreto ha quindi il merito di aver prescritto una delega di contenuto ben pi ampio rispetto alla precedente, limitata per specifiche attivitˆ. Infatti, a norma dellĠart. 105, comma 2, lettera l) del suddetto D.lgs., sono state attribuite alle Regioni e agli enti locali le funzioni, purch non attribuite alle Autoritˆ portuali, relative al rilascio delle concessioni dei beni del RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 demanio marittimo e di zone del mare territoriale per tutte le finalitˆ Òdiverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energiaÓ, e quindi non per le sole finalitˆ turistiche e ricreative che erano state previste dalla delega del 1977. Sono rimaste escluse dal trasferimento generale alle Regioni, oltre alle funzioni attribuite alle Autoritˆ portuali ai sensi della legge n. 84/1994, quelle da esercitarsi Ònei porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonchŽ nelle aree di preminente interesse nazionale individuate con il DPcM 21 dicembre 1995Ó. Ai sensi dellĠart. 4 comma 5 della legge n. 59/1997 le Regioni, in relazione alle funzioni loro trasferite, avrebbero dovuto provvedere, entro un termine di sei mesi dallĠemanazione dei decreti legislativi previsti nella medesima legge, allĠindividuazione, mediante legge regionale, delle funzioni da trasferire o delegare agli enti locali e di quelle da mantenere. considerata lĠinadempienza di diverse Regioni, il Governo si  avvalso del potere sostitutivo ed ha adottato il decreto legislativo n. 96 del 1999: ÒIntervento sostitutivo del Governo per la ripartizione di funzioni amministrative tra Regioni ed Enti Locali a norma dell'articolo 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioniÓ. In particolare, lĠart. 42 del citato d. lgs, ha trasferito, a partire dal 1 luglio 1999, ai Comuni le funzioni amministrative previste dallĠart. 105 comma 2 lettere f) ed l) del d. lgs. n. 112/1998Ó, attribuendo agli enti locali la titolaritˆ della gestione del demanio marittimo per finalitˆ diverse dallĠapprovvigionamento di fonti di energia. Spetta quindi alla Regione, e per essa agli enti locali delegati, il rilascio ed il rinnovo delle concessioni, che fanno cos“ capo, dopo il trasferimento, ad un unico centro di imputazione, qualunque sia la durata ed il carattere formale del provvedimento (mentre prima, a seconda del tipo e durata dellĠatto, vi era una diversitˆ di competenza tra pi organi dello Stato). Spettano alle Regioni anche tutte quelle competenze di carattere autorizzatorio connesse alla funzione concessoria, previste dal codice della navigazione e dal regolamento di esecuzione, come il consenso allĠanticipata occupazione di zone demaniali, previa cauzione, e allĠesecuzione di lavori (art. 38); alla costituzione dĠipoteca sulle opere costruite dal concessionario (art. 41); allĠaffidamento ad altri soggetti delle attivitˆ oggetto della concessione (art. 45 bis); allĠesecuzione di nuove opere (art. 55). In conseguenza del trasferimento, compete inoltre alla Regione o allĠente locale a sua volta delegato la regolamentazione e la disciplina delle modalitˆ dellĠesercizio delle attivitˆ relative allĠuso del bene, per quanto concerne pulizie, igiene, tutela sanitaria, orari, ecc. ed intervenire, in sede di autotutela, nei casi in cui ci˜ era prima demandato alle Autoritˆ marittime. la proprietˆ dei cespiti demanaili marittimi, quando non  attribuita coNteNzIoSo NAzIoNAle espressamente alle Regioni appartiene allo Stato che esercita le funzioni dominicali attraverso l' Agenzia del demanio. 6. Competenza dello Stato circa la determinazione e riscossione dei canoni di concessione. I canoni di concessione costituiscono le obbligazioni poste a carico di ciascun concessionario. originariamente la determinazione e la percezione dei canoni, secondo il criterio c.d. dominicale spettava esclusivamente allo Stato e alle altre amministrazioni titolari dei cespiti: Òla potestˆ di imposizione e riscossione del canone demaniale, segue la titolaritˆ dominicale del bene e non quella delle funzioni amministrativeÓ (sent. corte cost. n. 343/1995). la progressiva separazione dei profili gestionali da quelli dominicali ha determinato una compartecipazione ai proventi anche dell'ente gestore. Rimane fermo che non possono rientrare nella gestione conferita ai suddetti enti le attivitˆ ed i provvedimenti che attengono o che comunque influiscono sulla estensione fisica del bene, come la determinazione di alcune zone del demanio marittimo (art. 32 del codice della navigazione), ovvero il suo ampliamento con lĠacquisizione di zone adiacenti di proprietˆ privata (art. 33), nonchŽ la stessa possibile esclusione dal demanio, e quindi la sdemanializzazione (art. 35). Attiene ovviamente ai profili dominicali anche lĠincameramento da parte dello Stato delle opere non amovibili costruite dal concessionario sulla zona demaniale, per effetto della devoluzione prevista, alla cessazione della concessione, ai sensi dellĠart. 49 del codice della navigazione, nonchŽ la decisione di far abbattere costruzioni ed innovazioni abusive (art. 54) e di consentire lĠesecuzione di opere in prossimitˆ del demanio (art. 55). I profili dominicali relativi alla determinazione e riscossione dei canoni e agli aspetti di cui si  fatta menzione sono quindi affidati alla cura, alla vigilanza e al controllo dei componenti organi dello Stato, Ministeri ed Agenzie. 7. Natura dei canoni delle concessioni. I canoni delle concessioni demaniali marittime presentano caratteri che possono avvicinarli ai tributi, o alle tasse, o ad altre indistinte ipotesi di prestazioni patrimoniali imposte, e perci˜ ne  discussa la natura giuridica. lĠassimilazione ai tributi pu˜ ricavarsi dal fatto che lĠimporto del canone viene ormai determinato non pi con valutazioni discrezionali, ma in base a criteri e parametri stabiliti dalla legge, come superficie, tipo di costruzioni, valore di mercato. Inoltre la riscossione coattiva di tali canoni  perseguita con procedure analoghe a quelle dei debiti tributari. Diversamente dalle imposte, per˜, il canone non  dovuto e calcolato in relazione alla capacitˆ contributiva del concessionario o alle manifestazioni di tale sua capacitˆ, essendo invece una RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 sorta di corrispettivo richiestogli, latu sensu sinallagmaticamente, per lĠuso particolare di un bene di proprietˆ collettiva. 8. Determinazione del canone. Il canone viene indicato nellĠatto di concessione (art. 19 del regolamento di esecuzione del codice della navigazione) e viene stabilito, dallĠamministrazione concedente, in base alle prescrizioni legislative e regolamentari vigenti (art. 16, comma 2 del suddetto regolamento). Secondo lĠimpostazione risalente allĠentrata in vigore del citato regolamento (art. 16, comma 4), il canone dovrebbe essere determinato in relazione allĠestensione dellĠarea della concessione, allo scopo della medesima e ai profitti potenziali del concessionario. le misure ed i criteri di determinazione del canone sono diversi a seconda del tipo e della finalitˆ della concessione e quindi esistono pi ÒgruppiÓ di canoni. tra le tipologie di concessioni, e relativi canoni, quelli per le attivitˆ turistico- ricreative hanno particolarmente richiamato, soprattutto negli ultimi anni, lĠattenzione del legislatore. lĠevoluzione dei criteri di determinazione dei canoni  stata caratterizzata da una serie di ÒstepÓ. Nel primo periodo, durato fino al 1989, il canone  stato quantificato con riferimento al caso concreto e con valutazioni di tipo discrezionali, facenti capo alle Autoritˆ marittime, alle Intendenze di finanza e agli Uffici tecnico erariali, in modo da tener conto, in particolare, della utilitˆ economica che poteva essere tratta dalla concessione. la procedura era piuttosto lunga e complessa, tanto che spesso venivano applicati canoni provvisori, salvo conguaglio. con la legge 5 maggio 1989 n. 160 (art. 10), di conversione, con modificazioni, del D.l. 4 marzo 1989 n. 77, e con il decreto interministeriale di attuazione, il criterio della discrezionalitˆ fu nella sostanza abbandonato e sostituito dallĠapplicazione di elementi di quantificazione oggettiva, come lĠestensione delle superfici, le volumetrie delle pertinenze, la natura, di facile o difficile rimozione, delle eventuali costruzioni. la procedura fu cos“ snellita e semplificata, ma la diversitˆ della valenza economica delle varie concessioni risult˜ messa in secondo piano. Dopo poco, tuttavia, furono nuovamente modificati i criteri e le misure dei canoni, in quanto con la legge n. 165 del 26 giugno 1990 (art. 12, comma 6), di conversione, con modificazioni, del D.l. 27 aprile 1990 n. 90, venne stabilito, dal 1990, un adeguamento degli importi, per portarli ad un livello superiore da due a quattro volte quelli del 1988, tenendo conto non solo delle caratteristiche oggettive, ma altres“ Òdelle capacitˆ reddituali dei beni in concessioneÓ e rinviando la concreta attuazione degli aumenti ad un decreto interministeriale del Ministro della marina mercantile, di concerto con quelli delle finanze e del tesoro. Ma anche questa disciplina, contrassegnata da varie difficoltˆ di applica coNteNzIoSo NAzIoNAle zione, fu presto abbandonata. Il decreto interministeriale di attuazione, che era stato emanato in data 18 ottobre 1990, fu infatti annullato dal tAR del lazio, sez. III, n. 1456/1992, del 5 novembre 1992, in conseguenza dellĠaccoglimento di un ricorso di un concessionario contro gli aumenti. Fu quindi introdotta una nuova normativa, a decorrere dal 1 gennaio 1994, con il giˆ ricordato D.l. n. 400/1993, come convertito, con modificazioni, nella l. n. 494/1993. Il relativo regolamento attuativo per le concessioni turistico- ricreative fu peraltro emanato dal Ministero dei trasporti e della navigazione solo dopo pi di cinque anni. con tali provvedimenti la determinazione dei canoni con finalitˆ turistico- ricreative fu differenziata in base alla diversa Òvalenza turisticaÓ del territorio nazionale costiero (alta, media, minore) e, nellĠambito di aree della medesima valenza turistica, con lĠapplicazione di importi a mq., indicati in apposite tabelle, diversi a seconda delle caratteristiche della concessione, e cio se rilasciata per lĠuso di aree scoperte o meno, e/o con impianti di facile o difficile rimozione e/o con pertinenze; per gli specchi dĠacqua, fu applicato il criterio dei canoni decrescenti con lĠaumento della distanza dalla costa. l' individuazione della valenza turistica delle singole aree fu rimessa alle decisioni delle Regioni territorialmente competenti; la maggioranza delle quali, peraltro, evit˜ di deliberare in merito. Per tutte, infine, fu applicato il calcolo, meno oneroso, della valenza ÒminoreÓ. la normativa sopra ricordata, pur essendo stata oggetto, dal 2003, di progetti legislativi di riforma,  invece restata in vigore, nella sostanza, fino al 31 dicembre 2006, allorch  stata modificata, con decorrenza 1 gennaio 2007, dalla legge finanziaria 2007. essa, comunque, ha avuto unĠapplicazione travagliata e controversa, a causa della complessitˆ della disciplina da applicare, in quanto derivante dalla successione di una serie di disposizioni legislative e regolamentari; a ci˜ si aggiungano le non semplici problematiche, di cui si  giˆ fatto cenno, connesse al trasferimento, prima per delega e poi per diretto conferimento, alle Regioni, e da queste ai comuni, delle competenze amministrative in materia di gestione del demanio marittimo. Prima dellĠintervento con la legge n. 292/2006, legge finanziaria per il 2007, art. 1, commi 250-257, il Governo progett˜ una riforma dei criteri e delle misure dei canoni stabiliti per le concessioni turistico-ricreative con i provvedimenti del 1993 e 1998 con lĠobiettivo di realizzare un loro adeguamento. Ne dispose quindi la rivalutazione del 300% dal 1 gennaio 2004 qualora non fosse stato emanato un decreto interministeriale atto ad assicurare entrate erariali ulteriori di almeno 140 milioni annui. tale provvedimento avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 giugno 2004, termine poi prorogato di volta in volta. la tormentata vicenda dellĠaumento del 300% delle tabelle di cui al D.M. n. 342 del 1998, che avrebbe dovuto scattare dal 1 gennaio 2004, ma che non RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 entr˜ mai effettivamente in vigore, ebbe termine con la finanziaria per il 2007 avendo questa disposto, contestualmente allĠintroduzione di una nuova disciplina, lĠapplicazione per gli anni 2004, 2005, 2006 delle precedenti misure stabilite nel 1993 ai sensi della legge n. 494/1993. con la disciplina introdotta dal 1 gennaio 2007 sono stati mantenuti il criterio della suddivisione delle aree costiere a seconda della loro Òvalenza turisticaÓ, ed il criterio della applicazione di tabelle di canoni a mq., differenziati tra: aree scoperte; aree con opere amovibili o di facile rimozione; aree sulle quali insistono opere amovibili o di difficile rimozione; specchi acquei. la novitˆ, in subiecta materia,  costituita dalla previsione del canone Òcommisurato al valore di mercatoÓ. tale criterio  da applicarsi alle concessioni comprensive di Òstrutture permanenti costituenti pertinenze demaniali marittime destinate ad attivitˆ commerciali". la finanziaria del 2007 ha disposto, inoltre, lĠapplicazione dei medesimi criteri di quantificazione dei canoni per le concessioni con finalitˆ turistico- ricreative anche alle strutture dedicate alla nautica da diporto, con lĠabrogazione dellĠart. 10, comma 4 della legge 27 dicembre 1997 n. 449. Valgono pure per queste strutture le distinzioni tra opere amovibili e non e la quantificazione del canone commisurata ai valori di mercato delle pertinenze oggetto di sfruttamento commerciale. la sentenza in epigrafe evidenzia proprio la necessitˆ - ai fini dell'effetto devolutivo in favore del Demanio delle opere inamovibili su suolo in concessione - di una cessazione del rapporto concessorio: la questione diventa dirimente per il calcolo del canone demaniale soprattutto in relazione a concessioni risalenti nel tempo e per le quali sono state realizzati consistenti ampliamenti di volumetrie e cubature. Finch non c' un'apprezzabile interruzione della detenzione delle opere da parte del concessionario esse non sono valutabili come parte del compendio demaniale. Ma a fronte di continui rinnovi e proroghe della concessione diventa estremamente difficile in assenza di un formale atto ricognitivo dell' acquisito (c.d. testimoniale di Stato peraltro non sempre determinante) individuare con esattezza il momento in cui si perfeziona l'effetto devolutivo previsto dall' art. 49 citato. 9. LĠintervento della Corte di Giustizia dellĠUnione Europea. é trascorso quasi un decennio dal momento in cui la crisi del sistema di regolazione del demanio marittimo ha assunto caratteri sempre pi significativi. la problematica del rilascio e del rinnovo delle concessioni demaniali con finalitˆ turistico-ricreative continua ad essere al centro dellĠattenzione nazionale e dellĠUnione. Soltanto con la sentenza del 14 luglio 2016 la corte di Giustizia europea  intervenuta in maniera decisa a chiarire molteplici dubbi. coNteNzIoSo NAzIoNAle I giudici europei hanno anzitutto affermato inequivocabilmente che le concessioni demaniali marittime non possono essere automaticamente rinnovate poich una siffatta procedura contrasterebbe con il principio della libertˆ di stabilimento, di non discriminazione nonchŽ di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56 e 106 del tFUe. Inoltre, l'art. 12 della direttiva 2006/123/ce del Parlamento europeo e del consiglio stabilisce che il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali deve necessariamente avvenire attraverso una gara pubblica che consenta a tutti gli operatori economici di inserirsi nel mercato. Ma vi  di pi. la corte facendo leva proprio sull'art. 49 del tFUe, ha precisato che, ove tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo, una proroga automatica ad un'impresa con sede in uno Stato costituisce una disparitˆ di trattamento nei confronti delle altre imprese collocate in altri Stati ed interessate al settore. Sono queste conclusioni lapidarie che, pur non risolvendo le controversie nazionali, la cui soluzione spetta ai giudici italiani in conformitˆ alle decisioni della corte, sembrano lasciare ben poco spazio di manovra. la corte di giustizia sembra tuttavia consentire alcune ÒapertureÓ ossia consente delle facoltˆ di deroga. In primis, sostiene che l'assegnazione di una concessione in assenza di trasparenza costituisce disparitˆ di trattamento a danno di imprese che potrebbero essere interessate alla medesima concessione solo qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo; e tale interesse dovrˆ essere verificato caso per caso sulla base di elementi quanto pi possibile oggettivi (questa precisazione sembrerebbe escludere ad esempio gli spazi demaniali in localitˆ di scarso interesse turtistico). Inoltre -ricorda la corte -lĠarticolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/ce, fa salva la possibilitˆ degli Stati nazionali di tenere conto - nel- lĠindividuazione delle regole della procedura selettiva preordinata al rilascio delle autorizzazioni - di considerazioni legate a motivi imperativi di interesse generale. In proposito, la corte di Giustizia ha precisato che la facoltˆ contemplata dalla norma pu˜ essere fatta valere unicamente nello stabilire le regole dellĠiter selettivo, ma non pu˜ essere utilizzata per giustificare la legittimitˆ di una proroga automatica e generalizzata delle concessioni, tanto pi quando il rilascio iniziale del provvedimento autorizzativo non sia stato effettuato in base alle necessarie procedure ad evidenza pubblica. Parimenti la cGe ha ribadito che eventuali cause giustificative della proroga delle concessioni vigenti fondate sul principio del legittimo affidamento non sono in grado di sostenere la liceitˆ di una proroga indiscriminata come quella prevista dalla norma nazionale, ma sono adducibili esclusivamente qualora si operino valutazioni caso per caso, al fine di acclarare se lĠinteressato RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 non potesse che attendersi il rinnovo del provvedimento e che, di conseguenza, abbia effettuato investimenti ancora non ammortizzati. 10. La risposta dellĠItalia: la c.d. legge salva-spiagge. A seguito della pronuncia europea il Governo  intervenuto in sede di conversione in legge del D.l. 113/2016, recante ÒMisure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorioÓ introducendo allĠart. 24, il comma 3septies, il quale dispone che: ÒNelle more della revisione e del riordino della materia in conformitˆ ai principi di derivazione europea, per garantire la certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare lĠinteresse pubblico allĠordinata gestione del demanio senza soluzione di continuitˆ, conservano validitˆ i rapporti giˆ instaurati e pendenti in base allĠarticolo 1, comma 18, del de- creto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25Ó. In pratica, viene riconosciuta la validitˆ ex lege dei rapporti concessori giˆ instaurati e pendenti in base allĠart. 1, comma 18, del D.l. 194/2009, che ha prorogato fino al 31 dicembre 2020 la durata delle concessioni demaniali marittime per finalitˆ turistico-ricreative in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto) e in scadenza entro il 31 dicembre 2015. Il comma 9-duodevicies dellĠart. 7 del D.l. 78/2015 (convertito in legge dalla l. 125/2015) ha prorogato le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalitˆ diverse da quelle di cantieristica navale, pesca e acquacoltura, in essere al 31 dicembre 2013, fino alla definizione del procedimento previsto dal precedente comma 9-septiesdecies del medesimo art. 7 (vedi pi avanti), e comunque non oltre il 31 dicembre 2016. Inoltre, l'art. 1, comma 484, della l. 208/2015 (legge di stabilitˆ 2016) ha previsto la sospensione fino al 30 settembre 2016, in attesa del riordino della disciplina dei canoni demaniali marittimi, dei procedimenti pendenti alla data del 15 novembre 2015 per il rilascio, la sospensione, la revoca e la decadenza di concessioni demaniali marittime con finalitˆ turistico-ricreative. Si fa esclusivo riferimento alle concessioni inerenti la conduzione delle pertinenze demaniali, ed ai procedimenti derivanti da procedure di contenzioso connesse allĠapplicazione dei criteri per il calcolo dei canoni. la sospensione non si applica per i beni pertinenziali oggetto di procedimenti giudiziari penali, nonchŽ nei comuni e nei municipi sciolti o commissariati in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. In sede di conversione in legge del D.l. 113/2016  stato introdotto il comma 3-octies allĠart. 24 che, novellando il comma 484 della l. 208/2015, dispone che la sospensione dei procedimenti pendenti relativi alle concessioni demaniali e di quelli su cui sussistono contenziosi relativamente ai canoni sia effettuata fino al complessivo riordino della disciplina dei canoni demaniali marittimi, anzichŽ fino al 30 settembre 2016. Viene, quindi, eliminato il riferimento alla data del 30 coNteNzIoSo NAzIoNAle settembre 2016 come termine previsto per il riordino complessivo della materia in commento. Il 27 gennaio 2017  stato approvato dal consiglio dei Ministri il disegno di legge per la delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni del demanio marittimo e lacuale per finalitˆ ricreative: "Il Governo  delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o pi decreti legislativi per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, nonchŽ lacuali e fluviali, ad uso turistico ricreativo, nel rispetto della normativa europea, secondo i seguenti princ“pi e criteri direttivi: a) prevedere criteri e modalitˆ di affidamento nel rispetto dei principi di concorrenza, di qualitˆ paesaggistica e di sostenibilitˆ ambientale, di valorizzazione delle diverse peculiaritˆ territoriali, di libertˆ di stabilimento, di garanzia dellĠesercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attivitˆ imprenditoriali e di riconoscimento e tutela degli investimenti, dei beni aziendali e del valore commerciale, mediante procedure di selezione che assicurino garanzie di imparzialitˆ e di trasparenza, prevedano unĠadeguata pubblicitˆ dellĠavvio della procedura e del suo svolgimento e tengano conto della professionalitˆ acquisita nellĠesercizio di concessioni di beni demaniali marittimi, nonchŽ lacuali e fluviali, per finalitˆ turistico-ricreative; b) stabilire adeguati limiti minimi e massimi di durata delle concessioni entro i quali le regioni fissano la durata delle stesse in modo da assicurare un uso rispondente allĠinteresse pubblico, nonchŽ prevedere che le regioni possono disporre che un operatore economico pu˜ essere titolare di un numero massimo di concessioni, tale comunque da garantire adeguata pluralitˆ e differenziazione dellĠofferta, nellĠambito territoriale di riferimento; c) stabilire le modalitˆ procedurali per lĠeventuale dichiarazione di decadenza ai sensi della vigente normativa delle concessioni, nonchŽ criteri e modalitˆ per il subingresso in caso di vendita o di affitto delle aziende; d) prevedere, anche in relazione alle innovazioni introdotte dalla presente legge, un adeguato periodo transitorio per lĠapplicazione della disciplina di riordino; e) rideterminare la misura dei canoni concessori con lĠapplicazione di valori tabellari, tenendo conto della tipologia dei beni oggetto di concessione, anche con riguardo alle pertinenze e alle relative situazioni pregresse, e prevedere la classificazione, quanto alla valenza turistica, in differenti categorie dei medesimi beni, applicando a quelli di maggiore valenza un canone pi elevato con lĠattribuzione di una quota, calcolata in percentuale sulle maggiori entrate annue rispetto alle previsioni di bilancio, a favore della regione di riferimento; f) procedere al coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni legislative vigenti in materia, con indicazione esplicita delle norme abrogate; g) aggiornare le procedure, prevedendo lĠestesa e ottimale utilizzazione RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 delle tecnologie digitali dellĠinformazione e della comunicazione, finalizzate al rafforzamento del sistema informativo demanio marittimo, favorendo lĠinterscambio e la condivisione dei dati tra i sistemi informatici delle Amministrazioni competenti in materia, nonchŽ garantendo la trasparenza dei rapporti con i destinatari dellĠazione amministrativa. 2.I decreti di cui al comma 1 sono adottati su proposta dei Ministri dei beni e della attivitˆ culturali e del turismo, delle infrastrutture e dei trasporti, dellĠeconomia e delle finanze e per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri dellĠambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico e per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa da sancire in sede di conferenza unificata ai sensi dellĠarticolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previa acquisizione del parere del consiglio di Stato, da rendere nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto, decorso il quale il Governo pu˜ comunque procedere. Gli schemi di decreto sono successivamente trasmessi alla camera dei deputati e al Senato della Repubblica per lĠespressione dei pareri delle commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati". Nei prossimi mesi si attende quindi una risposta organica a tutte le problematiche emerse in materia di gestione del demanio marittimo e qui solo parzialmente evocate. Se non pu˜ certo ignorarsi che, attualmente, sono pi di trenta mila, le imprese balneari che operano su arenile del demanio in regime Òdi prorogaÓ di concessione e che tale macchina di produzione offre numerosi posti di lavoro,  altrettanto vero che non si pu˜ ÒmonopolizzareÓ tale ambito. ecco quindi che il legislatore de jure condendo dovrˆ fare i conti da una parte con lĠesigenza di garantire e preservare l' equilibrio che con difficoltˆ si  raggiunto, e quindi di tutelare le imprese del turismo balneare per una nazione con oltre 7500 km di litorale; dallĠaltra con lĠesigenza che lo Stato non abdichi ai suoi poteri di controllo garantendo trasparenza e concorsualitˆ nella gestione del demanio marittimo. Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli, Sez. Settima, sentenza 9 febbraio 2017 n. 818 -Pres. A. Pagano, Est. M. Perrelli -la Fontelina di Arcucci A., Gargiulo M., Gargiulo c. s.a.s. (avv. l. Montemitro) c. comune di capri (avv. A. lembo), Agenzia del Demanio (avv. distrett. Stato Napoli), Regione campania (n.c.). FAtto 1. la societˆ ricorrente, titolare della concessione demaniale marittima n. 4 del 26 maggio 2008, avente ad oggetto mq. 1080 + mq. 755 di area scoperta, ha impugnato la nota prot. n. coNteNzIoSo NAzIoNAle 16243 del 25 settembre 2015 e il relativo avviso di pagamento n. A/2015 di euro 28.154,16, emesso dal comune di capri il 23 settembre 2015, deducendone lĠillegittimitˆ per violazione di legge (art. 49 codice della Navigazione; art. 3, comma 1, lett. b) della legge n. 494/1993 e successive modifiche; art. 3 della legge n. 241/1990) e per eccesso di potere sotto molteplici profili e concludendo per lĠannullamento. 2. Il comune di capri, costituito in giudizio con memoria di stile, ha concluso per la reiezione del ricorso. 3. lĠAgenzia del Demanio - filiale della campania ha concluso per la reiezione del ricorso in quanto infondato, mentre la Regione campania, benchŽ ritualmente citata, non si  costituita in giudizio. 4. con ordinanza collegiale n. 1924 del 19 aprile 2016 la Sezione ha ordinato al comune resistente di depositare una dettagliata relazione in ordine ai titoli concessori che hanno riguardato nel corso degli anni lĠarea demaniale in questione, con particolare riguardo alla successione dei titoli nel periodo antecedente alla concessione n. 6 del 2002, corredata della documentazione citata e/o comunque afferente alla detta area. 5. Alla pubblica udienza del 22 novembre 2016, preso atto dellĠavvenuto deposito in data 28 luglio 2016 della relazione richiesta allĠamministrazione comunale e delle memorie ex art. 73 c.p.a., la causa  stata trattenuta in decisione. DIRItto 6. Il ricorso  fondato e va accolto per le seguenti ragioni. 7. Il collegio ritiene dirimente per la decisione della presente controversia stabilire se sia applicabile o meno ai manufatti di 288,70 mq., presenti nellĠarea in concessione, lĠart. 49 del codice della navigazione e se possa, quindi, dirsi avvenuta lĠacquisizione degli stessi da parte del Demanio alla scadenza del titolo concessorio, con conseguente applicazione del canone maggiorato, di cui allĠart. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (che ha modificato la legge n. 94 del 1993) sul presupposto della qualificazione come pertinenze demaniali degli immobili de quibus. 8. con i motivi di ricorso la societˆ ricorrente deduce che nel caso di specie non troverebbe applicazione lĠart. 49 del codice della navigazione sulla devoluzione automatica allo Stato delle opere non amovibili, non essendosi mai verificata la definitiva cessazione della concessione demaniale -che  stata sempre rinnovata dal 1949 senza soluzione di continuitˆ -, mentre il summenzionato istituto presupporrebbe lĠeffettiva e definitiva cessazione del rapporto concessorio. 8.1. Ad avviso della societˆ ricorrente, quindi, lĠamministrazione comunale avrebbe erroneamente considerato una parte delle opere presenti nellĠarea oggetto della concessione demaniale marittima n. 38 del 2008 come pertinenze demaniali marittime, calcolandone il relativo canone secondo il valore di mercato, ai sensi dellĠart. 3, comma 1, lett. b) punto 2.1 della legge n. 494 del 1993 e successive modifiche, mentre al contrario si tratterebbe di opere di proprietˆ esclusiva de Òla Fontelina di Arcucci A., Gargiulo M. Gargiulo c. s.a.s.Ó e come tali assoggettabili al canone tabellare. 9. lĠart. 49 del codice della navigazione prevede che ÒÉquando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltˆ dellĠautoritˆ concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino statoÓ: tale disposizione -che richiama lĠistituto del- lĠaccessione, di cui allĠart. 934 c. c. (con deroga al principio dellĠindennizzo, di cui al successivo art. 936 c.c.) - stata pi volte interpretata nel senso che lĠaccessione si verifica ipso iure, al ter RASSeGNA AVVocAtURA Dello StAto - N. 1/2017 mine del periodo di concessione e, secondo parte della giurisprudenza (cfr. cass. civ, III, 24 marzo 2004, n. 5842) va applicata anche in caso di rinnovo della concessione stessa, implicando il rinnovo -a differenza della proroga -una nuova concessione in senso proprio, dopo lĠestinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, con automatica produzione degli effetti, di cui al predetto art. 49 (cfr. cons. di Stato, VI, 1 febbraio 2013, n. 626). 9.1. Ai fini della decisione della controversia sottoposta a giudizio, occorre inoltre rammentare che lĠart. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha introdotto per le concessioni attinenti ad utilizzazioni Òturistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei, per i quali si applichino le disposizioni relativeÉal demanio marittimoÓ una forte rivalutazione dei canoni, a lungo lasciati a livelli del tutto inadeguati, rispetto agli equilibri di mercato, con disposta decorrenza 1 gennaio 2007, in relazione alle concessioni Òrilasciate e rinnovateÓ (e, dunque, anche con incidenza sui rapporti in corso, secondo una lettura della norma rispondente al dato testuale e alle finalitˆ di interesse pubblico sottese), tenuto conto dei poteri riconosciuti allĠente proprietario nei confronti dei concessionari, nonchŽ dellĠesigenza di trarre dallĠuso dei beni pubblici proventi non irrisori, da porre a servizio della collettivitˆ. 10. ci˜ posto, nel caso di specie il comune di capri, in adempimento degli incombenti istruttori disposti con lĠordinanza n. 1924/2016, ha evidenziato che la societˆ ricorrente detiene il compendio demaniale in forza dellĠatto concessorio n. 4 del 26 maggio 2008, con decorrenza dallĠ1 gennaio 2008 e scadenza al 31 dicembre 2013, successivamente prorogata ex lege al 31 dicembre 2020. lĠamministrazione comunale, premesso di gestire il demanio marittimo a partire dal 2000, ha affermato che lĠatto pi risalente relativo allĠarea in questione esistente nei propri archivi  la concessione n. 179 del 1994, rilasciata dalla capitaneria di Porto di Napoli con durata dallĠ1 gennaio 1994 al 31 diccembre 1997 dalla quale si evince che si tratta di Òmero rinnovo di atto concessorio precedenteÓ. Successivamente a tale atto la Regione campania, divenuta competente a seguito dellĠentrata in vigore del D.lvo n. 112 del 1998, ha rilasciato alla societˆ ricorrente la concessione demaniale n. 136 del 1998 con decorrenza dallĠ1 gennaio 1998 e scadenza al 31 dicembre 2001; quindi il comune di capri, al quale nelle more era passata la competenza in forza della Delibera della Giunta Regionale n. 3744 del 14 luglio 2000, disponeva con atto n. 6 del 2002 il rinnovo automatico del titolo, ai sensi della legge n. 88 del 2001, con decorrenza dallĠ1 gennaio 2002 e scadenza al 31 dicembre 2007. 10.1. Ne discende che dalla documentazione acquisita a seguito della disposta istruttoria non si evince alcuna cessazione del titolo concessorio idonea a determinare lĠeffetto devolutivo previsto dallĠart. 49 del codice della Navigazione, non essendo riscontrabile nessuna cesura temporale tra i titoli concessori succedutisi dal 1994 al 2008. 10.2. NŽ la prova dellĠesistenza dei presupposti per il verificarsi di un simile effetto  stata data dallĠAgenzia del Demanio la quale assume che lĠeffetto devolutivo si sarebbe verificato il 31 dicembre 1989 alla scadenza della concessione n. 305 del 1989 e che le opere insistenti nellĠarea demaniale sarebbero, quindi, passate allo Stato a partire dallĠ1 gennaio 1990. Ad avviso dellĠamministrazione demaniale tale effetto devolutivo discenderebbe dalla clausola contenuta nellĠatto concessorio n. 305 del 1989 in forza della quale Òla societˆ concessionaria accetta, senza alcuna riserva, quanto oggetto del foglio di questa capitaneria n. De/16205 del 29 maggio 1985, diretto alla stessa e in particolare ribadisce, ancora una volta, il proprio consenso allĠacquisizione al demanio marittimo dellĠintero manufatto realizzato abusivamente su di una superficie di mq. 53 anche per la parte ricadente su area di sua proprietˆ non appena coNteNzIoSo NAzIoNAle espletato lĠiter per la indemanializzazione della zona e del manufatto in questione nelle more dellĠespletamento di detta proceduraÓ. 10.3. Al riguardo il collegio rileva che, pur a voler prescindere dalla differente superficie dei manufatti in relazione ai quali  stato applicato il canone maggiorato (288,70 mq.) rispetto a quella del fabbricato abusivo richiamato nella citata clausola (53 mq.), non risulta in alcun modo dimostrato lĠavvenuto esperimento e la conseguente conclusione della procedura volta a far acquisire il carattere demaniale agli immobili oggetto di controversia, nŽ tanto meno dal tenore della citata clausola del titolo concessorio sembra trattarsi del procedimento disciplinato dallĠart. 49 del codice della Navigazione per la devoluzione delle opere non amovibili al patrimonio statale. 10.4. Ne discende che manca nel caso di specie sia la prova dellĠesistenza di un provvedimento con il quale lĠamministrazione abbia accertato la sussistenza dei presupposti di legge per lĠassunzione del bene tra le pertinenze demaniali marittime, ai sensi dellĠart. 49 del codice della navigazione, sia la prova dellĠesistenza di una cesura temporale tra i titoli concessori susseguitisi nel tempo idonea a determinare il predetto effetto devolutivo. Ad avviso del collegio, pertanto, a differenza di altre analoghe fattispecie sottoposte alla sua cognizione, nel caso di specie  condivisibile la prospettazione di parte ricorrente secondo la quale non cĠ soluzione di continuitˆ tra lĠuna e lĠaltra concessione afferente allĠarea in questione e, quindi, spazio per il verificarsi dellĠeffetto devolutivo, poichŽ dallĠesame della documentazione versata in atti tutti i titoli concessori esaminati appaiono essere meri rinnovi dellĠoriginaria concessione. 11. Per tali ragioni, assorbite le restanti censure, il ricorso deve, pertanto, essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati, salvo il potere dellĠamministrazione di rideterminarsi alla luce dei principi enunciati nella presente decisione. 13. Sussistono nondimeno i presupposti di legge, attesa la complessitˆ della normativa applicabile alla vicenda esaminata, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il tribunale Amministrativo Regionale della campania (Sezione Settima), pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per lĠeffetto, annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autoritˆ amministrativa. cos“ deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2016. LEGISLAZIONEEDATTUALITË Il Commissario ad acta per il superamento dellĠemergenza sanitaria nel territorio della Regione Calabria. Analisi ragionata e sistematica delle tipologie di ricorsi esaminati dal T.A.R. Calabria Alfonso Mezzotero, Daniele Sisca* Sommario: 1. il Commissario ad acta per lĠattuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario. Natura e funzioni - 2. il Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria. Natura e scopi - 3. Le tipologie di ricorsi esaminati dal T.a.r. Calabria - 3.1. Sulle limitazioni contrattuali per le strutture sanitarie - 3.2. Sulla riduzione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati - 3.2.1. Sulla determinazione dei tetti di spesa sulla base del c.d. Òcriterio storicoÓ - 3.3. SullĠaccorpamento dei laboratori Òsotto sogliaÓ - 3.4. Sulla riorganizzazione della rete ospedaliera e laboratoristica calabrese pubblica e privata - 3.5. SullĠillegittimitˆ della convenzione stipulata tra il Commissario ad acta e lĠagenzia Nazionale per i Servizi Sanitari regionali (age.na.s.) - 4. i principi enucleati dalla Corte costituzionale in materia di emergenza sanitaria. 1. il Commissario ad acta per lĠattuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario. Natura e funzioni. Nel nostro ordinamento, il potere sostitutivo del Governo (volto a fronteggiare eventi eccezionali che non possono essere gestiti con i normali strumenti operativi a disposizione degli enti a cui il compito  affidato) ha acquisito sempre maggiore rilievo e importanza. Le strutture commissariali che si insediano nei territori locali sono, infatti, un fenomeno sempre pi frequente, vuoi per una cattiva gestione nella risoluzione di problematiche ine (*) Alfonso Mezzotero, avvocato dello Stato. Daniele Sisca, dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura dello Stato di Catanzaro. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 renti i pubblici servizi (si vedano a riguardo i diversi Commissari insediati per il superamento dello stato di emergenza in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani), vuoi per la situazione economica disastrosa che incombe in alcuni settori pubblici (ed  il caso che ci riguarda, ovvero i Commissari per lĠattuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario), o ancora, in casi meno frequenti, per fronteggiare situazioni del tutto particolari (si veda il Commissario delegato per il superamento dellĠemergenza ÒCosta ConcordiaÓ sullĠisola del Giglio (1) o i Commissari nominati a seguito di alluvioni (2), terremoti (3) o altre calamitˆ naturali) (4). Nel settore sanitario, le regioni in deficit - e pertanto sottoposte al Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario -sono ben otto: Lazio (5), Abruzzo (6), Campania (7), Molise (8), Sicilia (9), Calabria (10), Piemonte (11), Puglia (12). Per cinque di esse (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio e Molise)  stato nominato anche un commissario ad acta per lĠattuazione del Piano. LĠorigine della gestione commissariale nel settore sanitario regionale  sicuramente rinvenibile, principalmente, nellĠart. 120, comma 2, Cost. (13) e, successiva (1) Con O.P.C.M. n. 3998/2012 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva nominato Commissario delegato per lĠemergenza ÒCosta ConcordiaÓ il Capo Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli. Tra i compiti a lui attribuiti vi erano la coordinazione degli interventi per superare lĠemergenza, il controllo e lĠesecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica da parte dellĠarmatore e la verifica che la rimozione del relitto avvenisse in sicurezza. (2) Con O.C.D.P.C. n. 298 del 17 novembre 2015 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva nominato il Commissario Delegato per lĠemergenza causata dagli eventi alluvionali che avevano colpito il territorio della Regione Campania nei giorni dal 14 al 20 ottobre 2015. (3) LĠ1 settembre 2016, il Consiglio dei Ministri, in una seduta lampo, ha nominato Vasco Errani Commissario straordinario di Governo per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del 24 agosto 2016 nel territorio del Lazio. (4) Per un maggiore approfondimento si veda SiSCA, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del Commissario delegato per lĠemergenza ambientale nel territorio della regione Calabria, in rass. avv. Stato, n. 3/2016, p. 247 ss. (5) Piano di rientro sottoscritto in data 28 febbraio 2007 e approvato con D.G.R. n. 149 del 6 marzo 2007. (6) Piano di rientro sottoscritto in data 6 marzo 2007 e approvato con D.G.R. n. 224 del 13 marzo 2007. (7) Piano di rientro sottoscritto in data 13 marzo 2007 e approvato con D.G.R. n. 460 del 20 marzo 2007. (8) Piano di rientro sottoscritto in data 27 marzo 2007 e approvato con D.G.R. n. 362 del 30 marzo 2007. (9) Piano di rientro sottoscritto in data 31 luglio 2007 e approvato con D.G.R. n. 312 del 1 agosto 2007. (10) Piano di rientro sottoscritto in data 17 dicembre 2009 e approvato con D.G.R. n. 908 del 23 dicembre 2009. (11) Piano di rientro sottoscritto in data 29 luglio 2010 e approvato con D.G.R. n. 1-415 del 2 agosto 2010. (12) Piano di rientro sottoscritto in data 29 novembre 2010 e approvato con D.G.R. n. 2624 del 30 novembre 2010. (13) Òil Governo pu˜ sostituirsi a organi delle regioni, delle Cittˆ metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comuni LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ mente, ha trovato attuazione nel d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 (14), convertito in l. 29 novembre 2007, n. 222 (Òinterventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equitˆ fiscaleÓ) il quale - a seguito delle precedenti disposizioni inerenti il superamento dello stato di emergenza in materia sanitaria e lĠadozione dei Piani di rientro -ha dettato una disciplina uniforme circa la procedura di attuazione del Piano di rientro e le relative conseguenze in caso di inadempimento da parte delle regioni, sino a giungere a quella pi restrittiva inerente, appunto, la nomina di un commissario ad acta (15). Tale disposizione attribuisce, infatti, al Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dellĠEconomia e delle Finanze, di concerto con il Ministro della Salute, sentito il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Locali di nominare - a seguito della diffida prevista dal comma 1 - un commissario ad acta per lĠintero periodo di vigenza del Piano di rientro, stabilendo inoltre che gli eventuali oneri derivanti dalla nomina del commissario, sono a carico della regione interessata. in merito alla natura del commissario ad acta, occorre premettere che la struttura commissariale resta pienamente autonoma e distinta (anche, ovviamente, sul piano della legittimazione processuale) sia dagli enti territoriali competenti che dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri taria oppure di pericolo grave per l'incolumitˆ e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unitˆ giuridica o dell'unitˆ economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietˆ e del principio di leale collaborazioneÓ. (14) in Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2007. (15) il testo completo della disposizione recita: ÒQualora nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, di cui rispettivamente agli articoli 12 e 9 dell'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005, con le modalitˆ previste dagli accordi sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, si prefiguri il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani, in relazione alla realizzabilitˆ degli equilibri finanziari nella dimensione e nei tempi ivi programmati, in funzione degli interventi di risanamento, riequilibrio economico-finanziario e di riorganizzazione del sistema sanitario regionale, anche sotto il profilo amministrativo e contabile, tali da mettere in pericolo la tutela dell'unitˆ economica e dei livelli essenziali delle prestazioni, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, su proposta del ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il ministro della salute, sentito il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano. 2. ove la regione non adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e Comitato, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il ministro della salute, sentito il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, nomina un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo Piano di rientro. Gli eventuali oneri derivanti dalla nomina del commissario ad acta sono a carico della regione interessataÓ. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 competenti. il Commissario ad acta, pertanto, risulta essere un centro dĠimputazione autonomo sia rispetto agli enti locali (i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura commissariale in relazione di mero avvalimento) sia rispetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri interessati, stante lĠautonomia operativa, decisionale ed organizzativa della struttura commissariale, competendo alla Presidenza del Consiglio il solo procedimento di nomina e la prodromica attivitˆ istruttoria relativa allĠaccertamento dei presupposti per disporre lĠintervento sostituivo (16). Tale impostazione  stata, a pi riprese, accolta dal T.A.R. Calabria, che ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri competenti ai quali venivano notificati i ricorsi aventi ad oggetto lĠimpugnazione di provvedimenti del commissario ad acta (17). Riguardo la sua funzione, il Commissario ad acta - quale organo straordinario sostitutivo degli organi regionali nellĠesercizio delle funzioni programmatorie ed organizzative in materia sanitaria -in conformitˆ al disposto dellĠart. 2, comma 3, l. n. 191/2009, Òadotta tutte le misure indicate nel Piano di rientro, nonchŽ gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del Piano stesso, in particolare, del precipuo compito affidatogli inerente il riassetto della rete ospedaliera con adeguati interventi per la dismissione/riconversione dei presidiÓ (18). Le funzioni del Commissario, pertanto, per come delineate nella disposizione sopra citata, ricomprendono non solo atti specifici ed espressamente scaturenti dal Piano di rientro, ma anche tutti gli altri provvedimenti che - anche implicitamente -sono necessari per la corretta attuazione del medesimo Piano, derivandone da ci˜ unĠampissima sfera di azione riguardante una seria indefinita di ambiti e materie inerenti il settore sanitario regionale. in altri termini, al fine di pervenire alla completa, pronta e concreta attuazione del Piano di rientro, il Commissario  investito di ampi e straordinari poteri, implicanti la possibilitˆ di adozione di ÒulterioriÓ atti (quali, ad esempio, la riconversione e/o riorganizzazione delle strutture di assistenza e dei presidi ospedalieri), che non trovano la sua fonte normativa in atti di natura legislativa regionale o nazionale, ma si classificano come atti amministrativi generali di natura programmatoria, suscettibili di essere modificati per il perseguimento degli obiettivi del Piano di rientro. (16) Cos“ in SiSCA, op. cit., pagg. 248-249. (17) Cfr., T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 27 giugno 2016, n. 1313 e n. 1314, in www.giustizia-amministrativa.it, le quali richiamano Cons. St., sez. iii, 10 aprile 2015, n. 1832, in Banca Dati De Jure. (18) Definizione fornita da T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 17 novembre 2016, n. 2238, in www.giustizia-amministrativa.it, la quale richiama Cons. St., sez. iii, 27 aprile 2015, n. 2151, in Foro amm., 2015, 4, 1048. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ 2. il Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria. Natura e scopi. LĠart. 1, comma 180, l. n. 311/2004 (19) ha previsto la possibilitˆ, per le Regioni che presentavano situazioni di squilibrio economico-finanziario e di mancato mantenimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), di elaborare un programma operativo di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale da sottoscrivere, con apposito Accordo, con il Ministero dellĠEconomia e delle Finanze e con il Ministero della Salute. Con tale Accordo venivano individuati gli interventi necessari per il perseguimento dellĠequilibrio economico nel rispetto dei LEA e gli adempimenti previsti dalla successiva intesa fra Governo e Regioni, siglata il 23 marzo 2005 (20). Con tale intesa, infatti, sono stati individuati una serie di adempimenti organizzativi e gestionali in linea con i precedenti provvedimenti e accordi di contenimento della spesa. Tra questi occorre far cenno alle nuove forme di controllo per migliorare il monitoraggio della spesa sanitaria nellĠambito del nuovo sistema informativo (NSiS), la razionalizzazione della rete ospedaliera e tutta una serie di meccanismi procedurali e di controllo da attuare per il contenimento della spesa pubblica (21). Successivamente, lĠart. 1, commi 274 e ss., l. n. 266/2005 (22) ha confermato gli obblighi posti a carico delle Regioni e ha previsto, inoltre, lĠistituzione di un sistema nazionale di verifica e controllo dellĠassistenza sanitaria (SiVEAS) che si avvale delle funzioni svolte dal nucleo di supporto per le analisi delle disfunzioni e la revisione organizzativa (SAR), il quale ha il compito di verificare che i finanziamenti siano tradotti in servizi ai cittadini secondo criteri di efficienza e appropriatezza. LĠintesa del 5 ottobre 2006 ha recepito, poi, il ÒPatto della SaluteÓ, accordo di tipo finanziario per il triennio 2007/2009, con la previsione di un fondo transitorio per le Regioni con elevati disavanzi ed un accordo normativo e programmatico volto alla riorganizzazione del settore sanitario (23). il Piano di rientro, quindi, nasce da una necessitˆ di ristabilire lĠequilibrio economico-finanziario delle Regioni interessate e -sulla base della ricognizione regionale delle cause che hanno determinato strutturalmente lĠemersione (19) Legge Finanziaria del 2005. (20) intesa ai sensi dellĠart. 8, comma 6, l. 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dellĠart. 1, comma 173, l. n. 30 dicembre 2004, n. 311, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 105 del 7 maggio 2005 - Suppl. ordinario n. 83. (21) Punto 2 del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario nel territorio della Regione Calabria. (22) Legge Finanziaria del 2006. (23) LĠintesa  stata recepita dalla Finanziaria 2007 che ha disciplinato i Piani di rientro e lĠattivitˆ di affiancamento da parte dei Ministeri. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 di significativi disavanzi di gestione -individua e affronta selettivamente le diverse problematiche emerse in ambito regionale (24). Tra gli obiettivi pi significativi elencati nel Piano di rientro calabrese figurano lĠadozione del provvedimento di riassetto della rete ospedaliera, quello di riassetto della rete dellĠemergenza urgenza e della rete di assistenza territoriale (in coerenza con quanto specificatamente previsto dal Patto per la salute 2014-2016), la razionalizzazione e il contenimento della spesa per il personale e per lĠacquisto di beni e servizi, interventi sulla spesa farmaceutica convenzionata ed ospedaliera al fine di garantire il rispetto dei vigenti tetti di spesa previsti dalla normativa nazionale, la definizione dei contratti con gli erogatori privati accreditati e dei tetti di spesa delle relative prestazioni con lĠattivazione, in caso di mancata stipulazione del contratto, di quanto prescritto dallĠart. 8quinquies, comma 2-quinquies, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (25) e ridefinizione delle tariffe delle prestazioni sanitarie (nel rispetto di quanto disposto dallĠart. 15, comma 17, decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 135 del 2012 (26)), il completamento del riassetto della rete laboratoristica e di assistenza specialistica ambulatoriale, lĠattuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali. in particolare, tra gli scopi sopra elencati, di particolare rilievo sono quelli la cui attuazione  suscettibile di comportare oneri di vario genere per le strutture sanitarie private; in questo senso, possono citarsi la limitazione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da soggetti privati, la riorganizzazione della rete laboratoristica che prevedeva lĠaccorpamento tra i laboratori che non raggiungevano una soglia minima di prestazioni annue ed anche, pur se rilevante dal punto di vista collettivo e non dei singoli soggetti accreditati, la riorganizzazione della rete ospedaliera, con la chiusura e/o lĠaccorpamento di presidi ospedalieri presenti sul territorio calabrese. Ovviamente, si tratta di limiti che esprimono un impegno delle parti pri (24) SANiT-Forum internazionale della Salute "i Piani di rientro: opportunitˆ e prospettiveÓ, Documento di sintesi attivitˆ SiVeaS-Ministero della Salute Dipartimento qualitˆ, ÒProgrammazione sanitaria, livelli di assistenza e principi etici di sistemaÓ ufficio X ÒSiVeaSÓ. (25) Òin caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, lĠaccreditamento istituzionale di cui allĠarticolo 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati  sospesoÓ. (26) ÒGli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime di cui al presente articolo restano a carico dei bilanci regionali. Tale disposizione si intende comunque rispettata dalle regioni per le quali il Tavolo di verifica degli adempimenti, istituito ai sensi dell'articolo 12 del- l'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 23 marzo 2005, abbia verificato il rispetto dell'equilibrio economico-finanziario del settore sanitario, fatto salvo quanto specificatamente previsto per le regioni che hanno sottoscritto lĠaccordo di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e successive modificazioni su un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, per le quali le tariffe massime costituiscono un limite invalicabileÓ. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ vate contraenti finalizzato al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa derivanti da un contesto emergenziale come quello calabrese. Difatti, non pu˜ tralasciarsi di considerare che il Piano di rientro implica lĠapplicazione di disciplina speciale rispetto a quella ordinaria in materia di sanitˆ, di talch la seconda viene soppiantata dalla prima, con tutte le conseguenze che ne derivano. il che trova conferma in diverse decisioni del T.A.R. Calabria (tutte rifacentesi ai principi espressi da Cons. St., sez. iii, 25 marzo 2016, n. 1244 (27)), secondo cui Òla specialitˆ della normativa emergenziale rispetto alla normativa ordinaria, con la conseguenza che tali norme -volte a ripristinare lĠequilibrio economico finanziario del sistema sanitario regionale -esitano necessariamente nellĠadozione di provvedimenti autoritativi e vincolanti per le strutture sanitarie accreditateÓ (28). Mediante siffatti provvedimenti viene imposto alle stesse strutture un sacrificio giustificato dallĠattuazione del Piano di rientro dai disavanzi, il quale non sarebbe attuabile se non con la rimodulazione e la riorganizzazione delle risorse pubbliche assegnate alle medesime strutture. Ne consegue che la natura ampiamente discrezionale delle scelte operate dal commissario ad acta per il raggiungimento dei suoi obiettivi limita e circoscrive lĠambito del sindacato giurisdizionale ai soli profili di evidente illogicitˆ, contraddittorietˆ, ingiustizia manifesta, arbitrarietˆ o irragionevolezza. 3. Le tipologie di ricorsi esaminati dal T.a.r. Calabria. Ben 80 sono state le sentenze di merito emesse nel 2016 in seguito alla discussione in diverse udienze tematiche fissate dal Presidente del T.A.R. Calabria per la trattazione congiunta di tali ricorsi. Le prime questioni poste allĠesame del Collegio avevano ad oggetto i D.C.A. n. 78 e 92 del 2015, inerenti lĠapprovazione dello schema di accordo contrattuale con gli erogatori privati accreditati oltre che i ricorsi avverso i D.C.A. n. 80 e 85 del 2015 inerenti la determinazione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati (29). Successivamente, particolare attenzione  stata posta ai provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa sulla base del c.d. Òcriterio storicoÓ (a seguito di un ricorso presentato dallĠAutoritˆ Garante per la Concorrenza ed il Mercato) oltre che sulla riorganizzazione della rete laboratoristica e ospedaliera pubblica e privata. (27) in Banca Dati De Jure. (28) Sul punto, si v. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 29 giugno 2016, n. 1324, in www.giustizia-amministrativa.it., nella quale si legge che Òil carattere vincolato dei provvedimenti attuativi del Piano di rientro e la loro natura di provvedimenti generali di programmazione finanziaria, giustificano la prevalenza della normativa emergenziale dalla legislazione regionale e nazionale (cfr. punti 8.8. 8.19 parte motiva sent. Cons. St. 1244/2016)Ó. (29) Di analogo contenuto vi sono i D.C.A. n. 25 e 27 del 2016, i quali si differenziano con quelli appena richiamati in quanto fanno riferimento allĠanno successivo (2016). RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 in tutti questi ricorsi era, principalmente, dedotta la violazione dei principi costituzionali contenuti nellĠart. 32 e nellĠart. 97 Cost. (e in alcuni casi anche dellĠart. 113 Cost.), la violazione del d.lgs. n. 502/1992 (30), di diverse leggi regionali tra cui la l. reg. n. 24/2008 (e il relativo regolamento n. 13/2008) e la l. reg. n. 9/1984, diversi Decreti del Ministro della Salute oltre lĠillegittimitˆ per eccesso di potere nelle pi svariate forme sintomatiche. La lesione lamentata dalle strutture sanitarie ricorrenti era incentrata sulla limitazione della loro attivitˆ derivante, da un lato, da obblighi contrattuali impartiti -a loro dire -in maniera irragionevole e arbitraria (con lĠapposizione di clausole - prime fra tutte la c.d. Òclausola di salvaguardiaÓ di cui allĠart. 14 dello schema contrattuale approvato con D.C.A. n. 92/2015 - che andavano a limitare lĠattivitˆ economica oltre che il diritto di difesa delle medesime), dal- lĠaltro, sulla riduzione dei tetti di spesa per le prestazioni acquistate dal Sistema Sanitario Regionale. Discorso a parte, invece, per i ricorsi avverso i Decreti di riordino della rete ospedaliera pubblica, in tal caso i ricorrenti (Comuni o comitati civici) lamentavano la lesione del diritto alla salute di ogni singolo cittadino, lo sviamento dellĠinteresse pubblico, lĠimpatto devastante per il tessuto sociale di tali scelte e il depotenziamento della rete ospedaliera con grave disagio per le popolazioni interessate dal ridimensionamento. Da ultimo, occorre menzionare un particolare giudizio in cui a ricorrere era la Regione Calabria (ente competente in via ordinaria in materia sanitaria), che, nellĠoccasione, impugnava il decreto del Commissario ad acta n. 46/2016 (successivamente modificato con il D.C.A. n. 58/2016) di approvazione di una convenzione tra il Commissario ad acta e lĠAge.na.s. (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali). in tale giudizio, il T.A.R. calabrese  stato chiamato a pronunciarsi sulla specifica questione se - avendo la gestione commissariale attratto a sŽ tutte le funzioni attribuite allĠente regionale in via ordinaria -poteva o meno configurarsi in capo alla medesima regione lĠinteresse ad agire avverso i provvedimenti commissariali. La trattazione delle pronunce avverso i decreti del Commissario ad acta pu˜ suddividersi, come di seguito si vedrˆ, in cinque filoni principali. 3.1. Sulle limitazioni contrattuali per le strutture sanitarie. La questione qui prospettata prende le mosse dal D.C.A. n. 78/2015 avente ad oggetto Òapprovazione dello schema tipo di accordo contrattuale con gli erogatori privati accreditatiÓ successivamente modificato dal D.C.A. n. 92/2015. (30) La prima legge che riforma in maniera organica il sistema sanitario nazionale e regionale, perseguendo, principalmente, tre principi: lĠaziendalizzazione, lĠorientamento al ÒmercatoÓ, la distribuzione di responsabilitˆ alle regioni. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ inizialmente, la parte impugnata prevedeva che Òsono considerate inammissibili É riserve in ordine alla proposta contrattuale cos“ come formulata dallĠaSP competente per territorioÓ nonchŽ nella parte in cui stabiliva che Òin caso di contestazioni manifestate successivamente alla stipula del contratto, sarˆ avviata nei confronti dellĠerogatore interessato la procedura di sospensione dellĠaccreditamento in applicazione dellĠart. 8, comma 2-quinques, d.lgs. n. 502/1992Ó. Con decreto presidenziale emesso ai sensi dellĠart. 56 c.p.a., a seguito dei primi ricorsi presentati, il D.C.A. n. 78/2015 veniva sospeso nella parte in cui disponeva lĠinammissibilitˆ di riserve in ordine alla proposta contrattuale formulata dallĠASP. A seguito di tale sospensione, il Commissario ad acta emanava il D.C.A. n. 92/2015 con cui disponeva la sostituzione dello schema contratto/accordo e lĠespunzione, nella parte dispositiva del D.C.A. n. 78/2015, dei periodi sopra riportati. Ci˜ nonostante, le strutture che avevano impugnato questĠultimo provvedimento proponevano motivi aggiunti avverso il D.C.A. n. 92/2015 (31), assumendone lĠillegittimitˆ nella parte in cui prevedeva (32) Òin caso di mancata sottoscrizione del presente accordo sarˆ avviata la procedura di sospensione dellĠaccreditamento ai sensi dellĠart. 8, comma 2-quinques, d.lgs. n. 5012/1992Ó, nella parte in cui disponeva (33) che Òcon la sottoscrizione del- lĠaccordo la struttura accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, di determinazione delle tariffe e ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto, in quanto atti che determinano il contenuto del contrattoÓ oltre che nella parte in cui prevedeva che Òcon la sottoscrizione del presente contratto la struttura rinuncia alle azioni giˆ intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai conteziosi instaurabili contro provvedimenti giˆ adottati e conoscibiliÓ. Nei ricorsi per motivi aggiunti le ricorrenti sostenevano che -pur essendo state espunte le clausole oggetto di contestazione -le stesse sarebbero state sostituite con altre altrettanto lesive che, in concreto, conducevano al medesimo obiettivo a cui giungevano quelle sostituite. (31) DĠaltronde, per coloro che volevano giungere ad una pronuncia sulla questione si rendeva necessaria la proposizione di motivi aggiunti in quanto lĠemanazione del D.C.A. n. 92/2015 aveva prodotto la cessazione della materia del contendere nei giudizi avverso il D.C.A. n. 78/2016. A proposito, si veda T.A.R. Calabria, sez. i, 27 giugno 2016, n. 1312, in www.giustizia-amministrativa.it, con cui veniva dichiarata, appunto, la cessazione della materia del contendere ex art. 34, comma 5, c.p.a. Òper effetto del sopravvenuto decreto n. 92/2015 con cui  stato modificato il decreto oggetto di impugnazioni, proprio nelle parti in contestazione ed in senso satisfattivo per gli interessatiÓ. (32) Art. 4, comma 10 dello schema di contratto/accordo. (33) Art. 14, comma 1 ed 1-bis dello schema di contratto/accordo. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 La prima sentenza depositata su questo filone di ricorsi  stata la n. 1039 del 16 maggio 2016 (34) con la quale il T.A.R. ha sostenuto che le clausole oggetto di contestazione, in realtˆ, non vietavano a priori qualunque riserva ma, di contro, individuano in modo definito gli obblighi che il contraente assumeva con la stipula del contratto. Ci˜ soprattutto ove si consideri che, tale statuizione rinviene il proprio fondamento nella circostanza che il rapporto Commissario/Strutture si fonda sul rispetto di un determinato regolamento contrattuale il cui contenuto  stabilito mediante atti autoritativi (quali, appunto, il D.C.A. n. 92/2015), attraverso i quali vengono definite la misura e le modalitˆ di distribuzione delle risorse disponibili; a maggior ragione, nei casi in cui la contrattazione non avviene nellĠambito di un libero mercato ma di un panorama caratterizzato dal- lĠestrema limitatezza delle risorse in relazione sia allĠampiezza dei bisogni cui si deve far fronte, sia allĠesigenza di porre riparo ad uno squilibrio finanziario maturato nel corso degli anni (35). in ogni caso, a prescindere da tali argomentazioni inerenti la necessitˆ e (pi che altro) la ragionevolezza di tali clausole, nelle sentenze in esame il Collegio affronta alcuni argomenti di matrice civilistica riguardanti la disciplina dei rapporti negoziali. in particolare, afferma che ÒlĠinserimento di clausole del genere non  di per sŽ in contrasto con lo strumento contrattuale, restando pur sempre alla scelta dellĠoperatore quella di sottoscrivere o meno il contratto, come avviene del resto, nellĠesperienza quotidiana dei rapporti contrattuali con imprenditori, anche in settori cruciali, quali quello bancario e assicurativoÓ. Difatti, si tratta pur sempre di unĠopzione offerta al contraente privato, il quale, laddove non ritenga opportuna la sua sottoscrizione pu˜ sempre astenersi dal sottoscriverlo e, di conseguenza, decidere di non avere accesso al regime di accreditamento con il Sistema Sanitario Nazionale e Regionale, senza che ulteriori vincoli e pregiudizi possano riservarsi sulla sua attivitˆ economica privata. ulteriore aspetto esaminato dal T.A.R. in tali giudizi  quello concernente la previsione (contenuta nella clausola di cui allĠart. 4, comma 10 dello schema di contratto/accordo) in caso di mancata sottoscrizione dellĠaccordo, dellĠavvio della procedura di sospensione dellĠaccreditamento. (34) A cui hanno fatto seguito T.A.R. Calabria, Catanzaro, 16 maggio 2016, n. 1040; id., 1 giugno 2016, n. 1136; id., 20 luglio 2016, n. 1538; id., 27 giugno 2016, n. 1314 cit.; id., 16 giugno 2016, n. 1251; id., n. 1252; id., 29 giugno 2016, n. 1337; id., 20 luglio 2016, n. 1557, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. (35) Con tale motivazione, riportata anche in tutte le successive sentenze inerenti questo filone, il T.A.R. calabrese ha sottolineato che la situazione emergenziale in cui la Regione Calabra versa implica, necessariamente, lĠimposizione di vincoli e sacrifici per gli erogatori privati accreditati. Vincoli che sono, in ogni caso, funzionali allĠesigenza di garantire una programmazione sanitaria equa ed efficiente e, allo stesso tempo, di perseguire lĠopera di contenimento della spesa pubblica allĠinterno dellĠintero territorio regionale. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ Sul punto, il T.A.R. non si  specificamente intrattenuto, trattandosi di un aspetto giˆ specificamente previsto dalla legge (art. 8-quinques, d.lgs. n. 502/1992 (36), la cui applicazione esclude che tale clausola possa essere considerata illegittima) (37). Particolarmente significative sono le argomentazioni concernenti lĠulteriore clausola contenuta nellĠart. 14 dello schema di contratto/accordo (c.d. Òclausola di salvaguardiaÓ) inerente la rinuncia alle azioni giˆ intraprese avverso i provvedimenti in materia di tetti di spesa oltre che ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti giˆ adottati e conoscibili. Le parti ricorrenti lamentavano lĠillegittimitˆ di tale clausola in quanto la stessa avrebbe limitato la loro tutela giurisdizionale con conseguente violazione dellĠart. 113 Cost. il T.A.R. ha osservato, innanzitutto, che non pu˜ esservi lesione dellĠart. 113 Cost., in quanto non viene esclusa la sottoposizione ad impugnazione di una determinata categoria di atti definita in astratto bens“ ad atti riferibili alla sola sottoscrizione dellĠaccordo. il Collegio, tuttavia, non ha mancato di evidenziare lĠambiguitˆ e lĠimprecisione della clausola nella parte in cui prevede la rinuncia ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti giˆ adottati e conoscibili - la quale potrebbe alludere ad effetti coinvolgenti anche provvedimenti sconosciuti -senza che, tuttavia, ci˜ implichi automaticamente lĠillegittimitˆ del provvedimento, dovendo, in ogni caso, la clausola essere interpretata secondo i consueti canoni ermeneutici. Pertanto, una clausola che implicasse lĠesclusione della tutela giurisdizionale di atti non conosciuti non produrrebbe alcun effetto, in quanto in contrasto con norme imperative e sarebbe, quindi, affetta da nullitˆ ai sensi degli artt. 1418 e 1419 c.c., rilevabile anche dĠufficio in ogni stato e grado del giudizio. infine, in tali sentenze, viene fatto esplicito riferimento ad una pronuncia del Consiglio di Stato (38) la quale, con riferimento ad analoghe clausole im (36) Òin caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, lĠaccreditamento istituzionale di cui all'articolo 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati  sospesoÓ. (37) in realtˆ il T.A.R. calabrese si era giˆ espresso in materia di sospensione dellĠaccreditamento per mancata sottoscrizione degli accordi: cfr., T.A.R. Calabria, Catanzaro, 24 gennaio 2013, n. 72, in www.giustizia-amministrativa.it, nella quale veniva affermato che: ÒLa sospensione dell'accreditamento  una conseguenza automatica della mancata stipula degli accordi, che segue ex lege ad essa, senza che alcuna valutazione discrezionale sia riservata all'amministrazione. Nel sistema dell'accreditamento con il S.s.n. delle strutture private, lĠassenza della sottoscrizione degli accordi di cui all'art. 8-quinquies, d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, a prescindere dall'imputabilitˆ del mancato accordo all'una o all'altra parte, comporta che lĠattivitˆ sanitaria non pu˜ essere esercitata per conto e a carico del S.s.n. LĠart. 8-quinquies, d.lg. n. 502 del 1992, infatti, pone il rapporto di accreditamento su base saldamente negoziale, con la conseguenza che l'acquisto delle prestazioni sanitarie da parte dell'amministrazione presuppone la stipulazione dell'accordo contrattuale: la struttura sanitaria che vuole operare nellĠambito del S.s.n. ha quindi lĠonere, non solo di conseguire l'accreditamento, ma anche di stipulare l'accordo contrattualeÓ. (38) Cons. St., sez. iii, 26 febbraio 2015, ord. n. 906, in www.giustizia-amministrativa.it. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 poste dal Commissario ad acta della Regione Abbruzzo, ha affermato che Òa) si  in presenza di oggettivi vincoli e stati di necessitˆ rigorosamente quantitativi conseguenti al Piano di rientro al cui rispetto la regione  tenuta ai sensi della normativa vigente confermata da una consolidata e univoca giurisprudenza della Corte Costituzionale. b) Gli operatori privati non possono ritenersi estranei a tali vincoli e stati di necessitˆ, che derivano da flussi di spesa che hanno determinato in passato uno stato di disavanzo eccessivo nella regione e che riguardano lĠessenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute alla popolazione della medesima regione per la quale gli stessi operatori sono dichiaratamente impegnati; c) le autoritˆ competenti operano in diretta attuazione delle esigenze cogenti del Piano di rientro e del Programma operativo per tutti gli aspetti quantitativi e pertanto, i medesimi non sono sostanzialmente negoziabili dalle parti come ha riconosciuto lĠamplissima e univoca giurisprudenza di questa Sezione sui tetti di spesa; d) in questo contesto la sottoscrizione della clausola di salvaguardia (art. 20 dello schema negoziale),  imposta dal ministero dellĠEconomia e delle Finanze e dal ministero della Salute per esigenze di programmazione finanziaria, attraverso le prescrizioni elaborate allĠesito della riunione del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali tenutasi il 21 novembre 2013. Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime come quello esistente in abruzzo, sottoposto al Piano di rientro; dĠaltro canto, in caso di mancata sottoscrizione, lĠautoritˆ politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, nŽ potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula, con lĠeffetto che la richiesta sospensione finirebbe per non giovare alla parte ricorrente in primo gradoÓ. 3.2. Sulla riduzione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati. Altra importante questione posta allĠesame del T.A.R. Calabria in materia sanitaria ha riguardato la determinazione dei tetti di spesa per lĠacquisto, da parte del sistema sanitario regionale, di prestazioni da soggetti privati accreditati. i decreti commissariali di interesse sono il n. 80/2015 (inerente le prestazioni di assistenza ospedaliera) e il n. 85 (inerente le prestazioni di assistenza specialistica) entrambi in riferimento allĠanno 2015, mentre, il n. 25 (inerente le prestazioni di assistenza specialistica) e il n. 27 (inerente le prestazioni di assistenza ospedaliera) in riferimento allĠanno 2016. in questo caso, i vizi denunciati dalle ricorrenti riguardavano - oltre che la violazione di legge in riferimento agli artt. 32, 97 Cost. e art. 8-bis, d.lgs. n. 502/1992 (39) - lĠeccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, di motivazione e contraddittorietˆ. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ Dai ricorsi esaminati si evince che: 1) quasi tutte le strutture sostenevano che il Commissario sarebbe incorso in una valutazione verticistica ed autoritaria, imponendo dei limiti, ma senza alcuna giustificazione a riguardo; 2) molte strutture lamentavano lĠassenza del riferimento allĠeffettivo fabbisogno di prestazioni oltre che la violazione del principio di paritˆ tra pubblico e privato in materia sanitaria; 3) alcune strutture lamentavano anche una discriminazione rispetto ad altre che, a differenza loro, avevano ottenuto un aumento di budget. in merito alle valutazioni autoritative poste in essere dal Commissario ad acta, il T.A.R. (40) ha enunciato diversi principi. il primo  quello secondo cui la normativa che disciplina i Piani di rientro  una disciplina emergenziale e, pertanto, che pu˜ derogare la normativa ordinaria (41). Ne consegue che il carattere vincolante dei provvedimenti attua (39) Art. 8-bis, d.lgs. n. 502/1992: ÒLe regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui allĠart. 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unitˆ sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonch di soggetti accreditati ai sensi dell'articolo 8-quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui allĠarticolo 8-quinquies. i cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell'ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali. LĠaccesso ai servizi  subordinato allĠapposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del Servizio sanitario nazionale. La realizzazione di strutture sanitarie e lĠesercizio di attivitˆ sanitarie, lĠesercizio di attivitˆ sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale e l'esercizio di attivitˆ sanitarie a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono subordinate, rispettivamente, al rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 8-ter, dellĠaccreditamento istituzionale di cui allĠart. 8-quater, nonch alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies. La presente disposizione vale anche per le strutture e le attivitˆ sociosanitarieÓ. (40) Cfr. T.A.R. Calabria, sez. i, 29 giugno 2016, n 1324 cit., www.giustizia-amministrativa.it, con la quale si rinviava - ex art. 88, comma 1, lett. d - alla sentenza Cons. St., sez. iii, 25 marzo 2016, n. 1244, ivi. (41) Si rimanda a Cons. St., n. 1244/2016 cit., punti 8.2, 8.3, 8.4 e 8.5, nella quale viene esplicitato in maniera chiara lĠevolversi della disciplina inerente lĠattuazione del Piano di rientro. Si afferma, in particolare, che Òrispetto alla preesistente legislazione la normativa in tema di piano di rientro comporta precisi e ulteriori effetti giuridici nel rendere vincolanti gli obiettivi di contenimento finanziario e nel- lĠimporre alla regione di adottare prioritariamente i provvedimenti adeguati ad ottenere il contenimento delle spese in essere nella misura richiesta, salvo il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e secondo i fondamentali criteri di ragionevolezza, logicitˆ e non travisamento dei fatti nel bilanciamento degli interessi. Di conseguenza cambiano in misura determinante la natura, lĠoggetto e la principale finalitˆ dei provvedimenti. La introduzione di obiettivi prioritari e vincolanti condiziona e orienta verso le finalitˆ indicate lo svolgimento delle preesistenti procedure, modificando anche le modalitˆ istruttorie e il tipo di motivazione che i provvedimenti risultanti richiedono, come di seguito precisato. Va pertanto pregiudizialmente esaminata -per poi trarne successivamente le conseguenze in ordine al caso in esame -la disciplina normativa che regola obiettivi e vincoli del piano di rientro e la giurisprudenza che ne ha ricavato un principio di prevalenza rispetto alle esigenze di mantenimento di volumi di attivitˆ o livelli di tariffe giˆ acquisiti degli operatori privati nei limiti di seguito precisati. 8.4. - La normativa per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario di singole regioni ha la sua origine nel Patto della Salute del 2001 e costituisce un sistema organico di norme costantemente aggiornate fino ad oggi attraverso successivi interventi legislativi per lo pi basati su intese preventive tra Stato e regioni a scadenza triennale seguite dal recepimento nella legislazione statale ovvero suc RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 tivi del Piano di rientro e la loro natura di provvedimenti generali di programmazione finanziaria implicano la derogabilitˆ - per effetto della ÒprevalenteÓ normativa emergenziale -delle procedure previste dalla legislazione regionale e nazionale. Da ci˜ discende la natura ampiamente discrezionale delle scelte poste in essere dal Commissario ad acta e la limitazione del sindacato giurisdizionale ai soli profili di evidente illogicitˆ, contraddittorietˆ, ingiustizia manifesta, arbitrarietˆ e irragionevolezza (42) da valutarsi di volta in volta in maniera concreta e obiettiva, senza che a nulla possa valere la semplice circostanza della riduzione del budget nei confronti di una struttura e lĠaumento nei confronti di unĠaltra, purch ragionevolmente motivata. Le strutture ricorrenti si dolevano, in particolare, della carenza di motivazione e di istruttoria dei provvedimenti di determinazione del budget. La pur succinta motivazione di tali provvedimenti  stata ritenuta sufficiente dal T.A.R. calabrese ai fini della individuazione delle esigenze di volta in volta da soddisfare. in particolare, nella sent. 23 maggio 2016, n. 1075 (43), il T.A.R. calabrese -in relazione alla motivazione contenuta nel D.C.A. n. 80/2015 -afferma che ÒSi tratta di motivazione sintetica e certamente non espressa in bello stile, ma da essa si desumono le ragioni alla base delle assegnazioni dei budget alle strutture ospedaliere accreditateÓ; la sentenza in discorso afferma che ÒdallĠistruttoria effettuata dai competenti uffici del Dipartimento Tutela della Salute relativamente alle proposte delle aziende si rileva una discordanza con cessivamente ratificati da esse. Si richiamano in quanto pro tempore rilevanti ai fini del caso in esame: lĠaccordo Stato-regioni dellĠ8 agosto 2001, recepito dal decreto legge n. 347/2001 e dalla legge finanziaria per lĠanno 2002 (legge n. 448/2001); la successiva introduzione della procedura annuale di verifica dellĠequilibrio dei conti sanitari regionali -che reca tra lĠaltro il meccanismo dellĠincremento automatico delle aliquote fiscali in caso di mancata copertura dellĠeventuale disavanzo - (articolo 1, commi 174 e seguenti, della legge n. 311/2004), confermata dallĠintesa Stato-regioni del 23 marzo 2005; il Patto per la Salute 2007-2009 (intesa Stato-regioni del 5 ottobre 2006) recepito dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per il 2007; lĠart. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2007), che prescrive che Çgli interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dellĠequilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, oggetto degli accordi di cui allĠarticolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, come integrati dagli accordi di cui allĠarticolo 1, commi 278 e 281, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto lĠaccordo (É). il sistema viene ulteriormente precisato e rafforzato negli anni successivi anche grazie alla piena conferma della sua legittimitˆ conseguente alle pronunce in materia della Corte costituzionaleÓ. (42) irragionevolezza che (come affermato in T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 19 dicembre 2016, n. 2511, in www.giustizia-amministartiva.it) non pu˜ desumersi dalla scelta del Commissario di attribuire, per lĠanno 2015, pi risorse alle prestazioni di acuzie anzichŽ a quelle di riabilitazione, nŽ tanto meno dallĠimpossibilitˆ di utilizzare tutti i 30 posti letto accreditati (nella fattispecie esaminata dalla richiamata sentenza). (43) in www.giustizia-amministrativa.it. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ i criteri stabiliti a livello regionale per lĠassegnazione dei budget, rappresentati dal recupero della mobilitˆ passiva (interventi chirurgici ortopedici, oncologici, sulla tiroide) dallĠimplementazione della complessitˆ dei ricoveri, dallĠincremento della neuroriabilitazione, dellĠappropriatezza e della complementarietˆ con le prestazioni erogateÓ. Passando allĠulteriore censura dedotta da diverse strutture concernente la violazione del principio della paritˆ tra presidi pubblici e privati (44), il T.A.R. ha avuto modo di precisare che Òanche se le strutture private accreditate concorrono, al pari delle strutture pubbliche, allĠerogazione delle prestazioni sanitarie, il sistema, si  progressivamente allontanato da una situazione di perfetta paritˆ tra operatore pubblico e privato, essendosi concesso allĠente pubblico un forte potere autoritativo di contenimento della spesa pubblica che trova la sua implicita giustificazione nella possibilitˆ per le imprese private di fruire, pi facilmente delle strutture pubbliche, di economie di scala, potendo attuare opportune iniziative di flessibilitˆ e programmazione, a fronte della contrazione dellĠattivitˆÓ (45). DĠaltronde un motivo di illegittimitˆ basato su tali presupposti sembra alquanto vago e poco rispondente ai principi a cui il nostro ordinamento deve conformarsi soprattutto in tema di tutela della salute e buon andamento della pubblica amministrazione. in merito, poi, allĠultimo motivo di ricorso avanzato da qualche struttura sanitaria ovvero quello inerente la discriminazione di alcune strutture in favore di altre, il Collegio non ha svolto articolate argomentazioni, ritenendo di per sŽ evidente che lĠeventuale aumento di budget a favore di unĠaltra struttura sanitaria non determini lĠillegittimitˆ del provvedimento. Bisognerebbe far riferimento, pi che altro, alle motivazioni della ripartizione ovvero alle tipologie di prestazioni che si intendono incrementare o diminuire, fermo restando che tali scelte sono suscettibili di essere sindacate dal giudice amministrativo solo se ritenute irragionevoli (46). in conclusione, ai fini della determinazione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da privato, lĠorientamento giurisprudenziale (47) si  attestato (44) Le ricorrenti sostenevano lĠillegittimitˆ di tali provvedimenti in quanto le strutture pubbliche non sarebbero state toccate dalla riduzione dei budget. (45) Cos“ in T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 23 maggio 2016, n. 1075, cit., la quale richiama T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 22 luglio 2013, n. 791, in www.giustizia-amministrativa.it, che a sua volta richiama Cons. St., sez. iii, 23 giugno 2012, n. 2418, in Foro amm., Cds, 2012, 6, 1671. (46) in molti ricorsi, infatti, sono state chiamate in causa, in veste di controinteressati, altre strutture sanitarie che avevano beneficiato di un budget maggiore rispetto a quello dellĠanno precedente. Cfr., a riguardo, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 29 giugno 2016, n. 1324; id., 19 dicembre 2016, n. 2511; id., 23 maggio 2016, n. 1072; id., 9 novembre 2016, n. 2134; id., 5 dicembre 2016, n. 2368; id., 15 settembre 2016, n. 1800, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. (47) Giˆ innervatosi da Cons. St., ad. plen., 12 aprile 2012, nn. 3 e 4, in www.giustizia-amministrativa.it, le quali diedero continuitˆ ad una precedente pronuncia ovvero ad. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 nel senso di ritenere legittima la determinazione dei tetti di spesa da cui deriva una perdita per il soggetto privato accreditato, purch lĠesercizio del potere autoritativo (con cui viene effettuata la ripartizione) si dispieghi nellĠalveo di una seria ed effettiva programmazione finanziaria, in funzionamento del fondamentale obiettivo di contenimento della spesa ed entro il corretto svolgimento delle procedure contrattuali previste dalla legge (48). Alla luce di ci˜, tutti i ricorsi avverso i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa esaminati dal T.A.R. Calabria (49) sono stati rigettati in quanto tutte le censure dedotte (per come sopra esaminate) non erano idonee a qualificare come ÒirragionevoleÓ la concreta assegnazione dei budget effettuata dal Commissario ad acta con i D.C.A. nn. 80, 85 (in riferimento al 2015), 25 e 27 (in riferimento al 2016) (50). 3.2.1. Sulla determinazione dei tetti di spesa sulla base del c.d. Òcriterio storicoÓ. Di particolare importanza, risultano le pronunce inerenti la determinazione dei tetti di spesa per lĠacquisto di prestazioni da privato (51) ripartiti utilizzando, quale unico criterio, il c.d. Òcriterio storicoÓ (52). plen., 2 maggio 2006, n. 8, ivi, nelle quali si legge che Òi tetti di spesa sono in via di principio indispensabili, date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica. La matrice autoritativa e vincolante delle determinazioni regionali in tema di limiti alle spese sanitarie si collega alla necessitˆ che lĠattivitˆ dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si dispieghi nell'alveo di una seria ed effettiva pianificazione finanziaria. Ne discende che tale attivitˆ di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l'adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilitˆ stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogateÓ. (48) in questo senso hanno concluso tutte le sentenze aventi ad oggetto lĠimpugnativa avverso i provvedimenti di determinazione dei tetti di spese. in particolare, si vedano T.A.R. Calabria, Catanzaro, 16 giugno 2016, n. 1253, id. n. 1259; id., n. 1261; id., n. 1262; id., n. 1264, id., n. 1264; id., 21 luglio 2016, n. 1569, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. (49) Salvo quanto si vedrˆ infra al punto 3.3. (50) Alcuni ricorsi in materia di determinazione di tetti di spesa venivano accolti ma limitatamente alla parte in cui prevedevano la fissazione dei tetti di spesa su base mensile anzichŽ annuale. in questi casi, il T.A.R. ha ritenuto priva di adeguata giustificazione - oltrechŽ non rispondente ai parametri di logicitˆ e ragionevolezza - la fissazione dei tetti di spesa su base mensile. Ci˜ determinerebbe, infatti, una compressione della libertˆ di iniziativa del privato, non adeguatamente giustificata dal perseguimento dellĠinteresse pubblico sotteso alla programmazione degli interventi sanitari. Tale previsione appare, effettivamente, fin troppo stringente per le strutture private che operano in regime di accreditamento con il sistema sanitario regionale, essendo, di converso, pi adeguata e ragionevole la fissazione di un tetto di spesa su base mensile (cfr., in terminis, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 5 dicembre 2016, n. 2368; id., ord. 29 giugno 2016, n. 263, in www.giustizia-amministrativa.it). (51) Avvenuta con D.C.A. n. 68/2014 avente ad oggetto ÒDeterminazione dei tetti di spesa per le prestazioni di assistenza specialistica da privato. anno 2014. azione 7.7.1.1Ó. (52) Secondo tale criterio, il budget da attribuire alle strutture sanitarie, verrebbe calcolato facendo riferimento a quello giˆ attribuito lĠanno precedente, senza la valutazione di alcun altro criterio sia oggettivo che soggettivo. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ il primo ricorso avente ad oggetto tali doglianze veniva proposto dallĠAutoritˆ Garante della Concorrenza e del Mercato (53) (54), definito con la sentenza n. 1373 del 29 giugno 2016 (55), con la quale il T.A.R., condividendo (53) Ai sensi dellĠart. 21-bis, l. 10 ottobre 1990, n. 287, il quale recita ÒL'autoritˆ garante della concorrenza e del mercato  legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. L'autoritˆ garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'autoritˆ pu˜ presentare, tramite l'avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni. ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro iV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104Ó. (54) in questo giudizio, inoltre, veniva esaminata una interessante questione concernente la rappresentanza in giudizio dellĠAGCOM per mezzo, nellĠoccasione, di un patrocinatore privato. Tale eccezione veniva sollevata dallĠAvvocatura dello Stato di Catanzaro (rappresentante in giudizio ex lege del Commissario ad acta), la quale sosteneva che - facendo esplicito riferimento, il comma 2, art. 21bis, l. n. 287/1990, alla proposizione del ricorso da parte dellĠAGCOM per tramite dellĠAvvocatura dello Stato -la stessa Autoritˆ non avrebbe potuto agire in giudizio avvalendosi di un avvocato del libero foro. La difesa erariale evidenziava che lĠAutoritˆ - se pur dotata di un alto grado di indipendenza - non  un ente distinto dallo Stato, ma  un organismo dello stesso (si veda, in questo senso, Cons. St., sez. Vi, 25 novembre 1994, n. 1716, in Giust. civ., 1995, i, 619 e in riv. it. dir. pubbl. comunit., 1995, 1011, con nota di ANTONiOLi), conseguendone da ci˜ che, in linea di principio, la rappresentanza e la difesa in giudizio della stessa competono allĠAvvocatura dello Stato, ai sensi e per gli effetti dellĠart. 1, R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. Tuttavia, nella vicenda scrutinata dal T.A.R. calabrese, si poneva il problema che entrambe le parti avrebbero dovuto usufruire del patrocinio obbligatorio dellĠAvvocatura dello Stato, il che avrebbe, comunque, causato conflitto nella difesa. Al riguardo, lĠAvvocatura sosteneva che, qualora lĠazione giudiziaria da parte dellĠAutoritˆ devĠessere esercitata nei confronti di unĠaltra Amministrazione Statale (venendosi a configurare, cos“, una situazione di conflitto), lĠonere del ricorso al patrocinatore privato graverebbe in capo allĠAmministrazione resistente, nel caso di specie, quindi, in capo al Commissario ad acta e non allĠAutoritˆ Garante per la Concorrenza ed il Mercato. Si tratta, invero, di un principio affermato in giurisprudenza proprio in riferimento al procedimento attivabile dallĠAGCOM ex art. 21-bis, l. n. 287/1990: cfr., ex pluribus, T.A.R. Lazio, Roma, sez. iii, 15 marzo 2013, n. 2720, in Foro amm.-Tar, 2013, 5, 1587, con nota di CAPPAi, che, in un giudizio soggettivamente identico a quello di cui si discute, ha affermato che: ÒLĠobbligo di patrocinio erariale previsto dallĠart. 21-bis, l. 287/1990 in capo allĠautoritˆ antitrust per la promozione dello speciale ricorso si pone in rapporto di conformitˆ con la previsione di cui allĠart. 1 r.d. n. 1611 del 1933 sul patrocinio obbligatorio dellĠavvocatura per tutte le amministrazioni dello Stato, tra le quali sono annoverate anche le autoritˆ indipendenti. La previsione specifica rispetto al precetto generale menzionato, sembra valere a concretizzare il precetto di cui allĠart. 43 r.d. n. 1611 del 1933 in fattispecie in cui la situazione di conflitto, prevista come eccezionale dallo stesso art. 43, tende ad assumere carattere di ordinarietˆ. La revisione dellĠobbligo specifico dellĠautoritˆ di ricorrere al patrocinio erariale, nonostante lĠazione de qua venga normalmente esercitata nei confronti di amministrazioni statali anchĠesse soggette allĠobbligo generale di rappresentanza e difesa in giudizio per mezzo dellĠavvocatura dello Stato, implica cio che, in simili fattispecie, di potenziale conflitto di interessi, lĠonere del ricorso al patrocinatore privato per la soluzione del conflitto gravi di norma in capo allĠamministrazione resistenteÓ. Sul tema, per ulteriori approfondimenti, si rimanda a MEzzOTERO-ROMEi, il patrocinio della Pubblica amministrazione, pp. 55 e ss. (55) Seguita da altre, tra cui, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i. 12 dicembre 2016, n. 2525, in www.giustizia-amministrativa.it. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 lĠimpostazione dellĠAutoritˆ ricorrente, ha osservato che lĠutilizzo di tale criterio di ripartizione attribuisce ai soggetti privati accreditati indebiti e giustificati vantaggi concorrenziali. Ci˜ in ossequio al dettato dellĠart. 106 T.F.u.E., il quale stabilisce che Ògli Stati membri non emanano nŽ mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati, specialmente quelle contemplate dagli artt. 18 (divieto di discriminazione) e da 101 a 109 inclusi (divieto di intese restrittive della concorrenza; divieto dellĠabuso di posizione dominante; divieto di aiuti di Stato)Ó. Ha osservato, ancora, il T.A.R. che pu˜ ritenersi legittimo il riferimento ad una molteplicitˆ di elementi sia di carattere oggettivo, come la potenzialitˆ dei singoli distretti (determinata dalla popolazione residente e dalle prestazioni richieste) sia di carattere soggettivo, con la ripartizione delle risorse secondo apposite griglie di valutazione che tengono conto di molteplici fattori qualitativi come dotazioni; universitˆ di personale e tipologia del rapporto di lavoro; collegamento al CuP; accessibilitˆ alla struttura; correttezza del rapporto con lĠutenza, rispetto degli istituti contrattuali; ulteriori standard finalizzati allĠaccoglienza quali sale dĠattesa, biglietto elimina code, riscaldamento e climatizzazione, apertura al sabato e misura degli spazi. Di converso, la determinazione in ragione del Òcosto storicoÓ si porrebbe in contrasto con i principi di tutela della concorrenza, se non siano adottati i necessari correttivi o se, quanto meno, non vi siano specifiche ragioni di tutela della sanitˆ che la giustifichino. LĠutilizzo di tale criterio, effettivamente, cristallizzerebbe le posizioni in passato acquisite sul mercato dai singoli operatori sanitari privati, disincentivando il perseguimento dellĠefficienza nellĠerogazione dei servizi sanitari e vanificando la concorrenza tra le varie strutture (56). 3.3. SullĠaccorpamento dei laboratori Òsotto sogliaÓ. ulteriore importante filone di ricorsi  stato quello avente ad oggetto lĠimpugnativa del D.C.A. n. 84/2015 recante Òriequilibrio ospedale-territorio. riorganizzazione della rete dei laboratori pubblici e privatiÓ. Con tale decreto si procedeva alla riorganizzazione della rete laboratoristica attraverso lĠaggregazione dei laboratori privati che non raggiungevano la soglia minima di prestazioni in esso stabilita. in particolare, i laboratori che non erogavano 200.000 prestazioni durante lĠanno avevano lĠobbligo di aggregarsi tra loro in rete, pena la decadenza del- lĠaccreditamento e lĠimpossibilitˆ di sottoscrivere contratti per lĠerogazione di prestazioni a carico del servizio sanitario regionale (57). (56) Tale questione  stata richiamata nella relazione introduttiva in occasione dellĠinaugurazione dellĠanno giudiziario 2017 del T.A.R. Calabria, Catanzaro, in www.giustizia-amministrativa.it. (57) Ci˜ avrebbe determinato, come sostenuto dalle ricorrenti, la conversione dei laboratori medio LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ il T.A.R. si  pronunciato, dapprima, con sentenza non definitiva (58), accogliendo parzialmente il ricorso e annullando il provvedimento impugnato nella parte in cui non prevedeva unĠadeguata fase transitoria e fissava un termine di 90 giorni dalla pubblicazione del decreto di riordino per la costituzione del laboratorio aggregato e per presentare domanda di adesione alla rete di organizzazione. Al riguardo, il Collegio ha ritenuto che Òla scansione temporale ipotizzata dal decreto appare lesiva dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalitˆ, imponendo di fatto alle strutture un obbligo a realizzare determinati risultati per mantenere lĠaccreditamento, senza disciplinare in maniera adeguata la fase transitoriaÓ (59). Con la sentenza definitiva (60) ha ritenuto che la previsione di soglie quantitative minime di produzione analitica, aggiungendosi ai requisiti per lĠautorizzazione allĠesercizio delle attivitˆ sanitarie, finisce con lĠintegrare un ulteriore requisito per lĠaccreditamento, che non ha formato preventiva intesa con la Conferenza Stato-Regioni, contrariamente a quanto disposto dallĠart. 8, comma 4, d.lgs. n. 502/1992 (61). invero - ha rilevato il T.A.R. - con lĠimpugnato D.C.A. n. 84/2015  stato introdotto un nuovo presupposto per lĠaccreditamento senza che venisse seguito lĠiter previsto dalla normativa vigente, discendendone da ci˜ lĠillegittimitˆ del citato decreto -nella parte in cui stabilisce lĠobbligatorietˆ dellĠaggregazione in rete dei laboratori privati che non raggiungono la soglia minima di prestazioni nellĠanno - in quanto privo di adeguato supporto nor- piccoli in meri punti di prelievo oltre che unĠingiusta causa di perdita dellĠaccreditamento non disciplinata da alcuna fonte normativa. Tale circostanza avrebbe leso lĠinteresse pubblico e collettivo in quanto implicava lo smantellamento di un servizio sanitario di prossimitˆ al paziente, capillare ed efficiente su tutto il territorio. (58) Cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 16 maggio 2016, n. 1042, id., 20 giugno 2016, n. 1298; id., 4 luglio 2016, n. 1397, in www.giustizia-amministrativa.it. (59) Tali principi sono stati enunciati anche da T.A.R. Lazio, Roma, sez. iii, 3 febbraio 2016, n. 1538, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si afferma che ÒLĠassenza di una adeguata fase transitoria che garantisca da un lato la posizione di accreditamento o i contratti in essere dei vari Laboratori consente di ritenere irragionevole anche la scansione temporale dettata al punto Xiii del cronoprogramma, per come da parte ricorrente dedotto e nella misura in cui va ad agire retroattivamente per lĠanno 2015 sulle prestazioni giˆ erogate che, laddove in numero inferiore alle 60.000 pur correttamente determinate come soglia di partenza per raggiungere il livello massimo nel triennio, non paiono tutelare adeguatamente il regime di accreditamento in corso di ogni laboratorioÓ. (60) T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 21 novembre 2016, n. 2262, in www.giustizia-amministrativa.it. (61) Ai sensi del quale: ÒFerma restando la competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, a norma dellĠart. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto di indirizzo e coordinamento, emanato dĠintesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sentito il Consiglio superiore di sanitˆ, sono definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per lĠesercizio delle attivitˆ sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicitˆ dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessiÓ. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 mativo, oltrechŽ non rispondente ai parametri di logicitˆ e ragionevolezza previsti dalla normativa in materia. 3.4. Sulla riorganizzazione della rete ospedaliera e laboratoristica calabrese pubblica e privata. Va esaminato, da ultimo, un ulteriore filone di ricorsi, ovvero quello concernente lĠimpugnativa dei provvedimenti di riorganizzazione della rete ospedaliera pubblica. in tal caso, le doglianze lamentate dai ricorrenti impingevano la (sostenuta) lesione di un interesse collettivo, tant che tali ricorsi sono stati proposti dai Comuni o Comitati Civici sorti con la finalitˆ di opporsi al ridimensionamento ospedaliero calabrese. La lesione lamentata, infatti, aveva ad oggetto (a seconda dei casi) il mancato riconoscimento di presidi ospedalieri c.d. di ÒbaseÓ, la cancellazione di reparti, la trasformazione dei nosocomi in ospedali di montagna (e quindi in semplici presidi di pronto soccorso) con la conseguente compromissione, a loro dire, del diritto costituzionalmente garantito alla salute oltre che un rilevante danno per il tessuto sociale e lĠeconomia locale. il provvedimento maggiormente rilevante in tal senso  stato senza dubbio il D.C.A. n. 9/2015, avente ad oggetto Òapprovazione documento di riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza-urgenza e delle reti tempo dipendentiÓ. E proprio a definizione di un giudizio scaturito da un ricorso avverso tale decreto, con una esaustiva sentenza (62), il T.A.R. ha osservato che anche in tema di riordino della rete ospedaliera pubblica il principio della programmazione , comunque, diretto a realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario; ci˜ in considerazione dei limiti che il legislatore ordinario incontra ed anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili. in particolare, in merito alla costituzione dei presidi ospedalieri di base,  stato fatto riferimento al D.M Salute 2 aprile 2015, n. 70 (63), il quale attri (62) T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 20 giugno 2016, n. 1300, in www.giustizia-amministrativa.it, con cui si contestava il depotenziamento degli ospedali di Serra San Bruno e Soveria Mannelli. (63) La riorganizzazione della rete ospedaliera ha previsto tre tipi di presidi. il primo  quello ÒbaseÓ: sono strutture che dispongono di una sede di pronto soccorso, accanto alla quale sono ospitate le specialitˆ di medicina interna, chirurgia generale, anestesia. i pres“di di base, che hanno un bacino dĠutenza compreso tra 80.000 e 150.000 abitanti, dispongono di servizi di guardia attiva e supporto in rete di radiologia, laboratorio ed emoteca. Al gradino superiore dellĠassistenza si trovano gli spoke, struttura designata come centro intermedio. Gli spoke, o centri di primo livello nelle indicazioni del Ministero della Salute, sono ospedali con bacino dĠutenza compreso tra 150.000 e 300.000 persone e dotati di Dipartimenti di Emergenza e Accettazione. Oltre alle prestazioni di base garantite dai pres“di di base svolgono funzioni di osservazione, breve degenza e rianimazione; inoltre dispongono di un numero maggiore di specialitˆ come ortopedia e trau LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ buisce unĠampia discrezionalitˆ in capo alla pubblica amministrazione in ordine al ridimensionamento della rete ospedaliera e laboratoristica regionale, dovendosi rapportare, tali scelte, alle specifiche esigenze territoriali e al contenimento della spesa pubblica (64). Anche in questo caso sono state disattese le doglianze dei ricorrenti inerenti il depotenziamento di un presidio ospedaliero o lĠaccorpamento di esso con altro presidio, avendo il T.A.R. calabrese ritenuto che il Commissario ad acta, con i provvedimenti impugnati, ha posto in essere una serie di interventi volti ad attuare il Piano di rientro, il quale attribuisce a questĠultimo un ampio potere programmatorio, attraverso il quale, lo stesso Commissario, pu˜ individuare - nei limiti di legge e nel limite della ragionevolezza tecnica e della propria discrezionalitˆ - le strutture da potenziare e quelle invece da depotenziare (attenendosi ai criteri impartiti dal Ministero). Si tratterebbe, quindi, anche in questo caso, di provvedimenti insindacabili sul piano giurisdizionale se non per i soli profili di macroscopica o manifesta illogicitˆ o arbitrarietˆ. il T.A.R., pertanto, ha affermato che i poteri del Commissario sono funzionali agli obiettivi a lui attribuiti dalla legge, con la conseguenza che il de- potenziamento di strutture ospedaliere pubbliche appare senza dubbio coerente in una funzione di programmazione generale con le funzioni allo stesso attribuite e con i compiti ad esso spettanti. inoltre, la valutazione svolta dalla pubblica amministrazione non pu˜ essere censurata se la stessa ha adeguatamente contemperato e analizzato i vari matologia, ostetricia e ginecologia, pediatria. Gli spoke dispongono anche di tutti i servizi e i collegamenti necessari per stabilizzare pazienti gravi, come quelli con patologie cardiovascolari complesse o con ictus, e per trasportarli nei centri di livello superiore. il vertice della catena sanitaria  occupato dagli hub, strutture in grado di servire un bacino di utenza da 300.000 a 1.200.000 abitanti. Negli hub hanno sede i Dipartimenti Emergenza e Accettazione di secondo livello, che comprendono tutte le funzioni degli spoke e in pi hanno a disposizione specializzazioni complesse come cardiochirurgia e neurochirurgia, cardiologia con emodinamica interventistica. Negli hub dovrebbe essere sempre presente, secondo il decreto che ne istituisce lĠesistenza, la radiologia con TAC ed ecografia e il servizio immunotrasfusionale, e in generale tutte le discipline ad alta specializzazione la cui presenza non  prevista nelle strutture di primo livello. (64) Lo scopo del D.M. n. 70/2015, infatti,  proprio quello di imporre alle regioni un riordino della rete ospedaliera ai fini del raggiungimento degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera. Si legge, infatti, allĠart. 1, che ÒLe regioni provvedono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (p.l.) per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, nonch i relativi provvedimenti attuativi, garantendo, entro il triennio di attuazione del patto per la salute 2014-2016, il progressivo adeguamento agli standard di cui al presente decreto, in coerenza con le risorse programmate per il Servizio sanitario nazionale (SSN) e nell'ambito della propria autonomia organizzativa nell'erogazione delle prestazioni incluse nei Livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEa), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, e successive modificazioniÓ. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 profili tecnici relativi agli interessi pubblici sottesi, sicch nessuna lesione pu˜ configurarsi in capo al cittadino per il semplice fatto che un presidio ospedaliero  stato ridimensionato dal piano di riorganizzazione posto in essere dalla struttura commissariale. 3.5. SullĠillegittimitˆ della convenzione stipulata tra il Commissario ad acta e lĠagenzia Nazionale per i Servizi Sanitari regionali (age.na.s.) Come accennato in precedenza, una ulteriore questione affrontata dal T.A.R. calabrese ha riguardato lĠimpugnazione proposta avverso il D.C.A. n. 46/2016 (successivamente modificato dal D.C.A. n. 58/2016), con cui il Commissario ad acta approvava una convenzione con lĠAutoritˆ Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.na.s.) (65) per la realizzazione di attivitˆ di supporto tecnico-operativo e di affiancamento ai fini dellĠattuazione del Programma Operativo 2016-2018 con riferimento alla riorganizzazione della rete ospedaliera, rete dellĠemergenza urgenza, reti tempo dipendenti e reti cliniche, giˆ programmate; programmazione delle ulteriori reti cliniche previste dal D.M. Salute n. 70/2015; revisione del documento di programmazione della rete di assistenza territoriale e laboratoristica (pubblica e privata) e relative azioni di riorganizzazione; completamento delle attivitˆ relative alla revisione dei manuali di autorizzazione e accreditamento nonchŽ supporto giuridico per la verifica della conformitˆ degli atti amministrativi inerenti provvedimenti di attuazione del piano di rientro. Tale giudizio  risultato particolarmente interessante in quanto si  trattato di un ÒanomaloÓ conflitto tra amministrazioni (Regione Calabria e Commissario ad acta) competenti - anche se in misura diversa e con ruoli differenti in ambito sanitario regionale. Ad impugnare il decreto citato  stata la Regione Calabria, la quale lamentava in primo luogo la sua estromissione dallĠimportantissima fase di attuazione del Programma Operativo per gli anni 2016-2018 (in quanto tutte le funzioni ad essa attribuite venivano concesse allĠAge.na.s); in secondo luogo, si doleva del fatto che (come si vedrˆ meglio infra) il corrispettivo previsto nella convenzione sarebbe gravato -ingiustamente e contro la sua volontˆ sul bilancio regionale (66). (65) LĠAgenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.na.s)  un Ente pubblico non economico di rilievo nazionale, istituito con d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, il quale svolge funzioni di supporto al Ministero della Salute e alle Regioni per le strategie di sviluppo e innovazione del Servizio sanitario nazionale. Obiettivo prioritario e qualificante dellĠAgenzia  lo svolgimento di attivitˆ di supporto tecnico-operativo alle politiche di governo dei sistemi sanitari di Stato e Regioni, allĠorganizzazione dei servizi e allĠerogazione delle prestazioni sanitarie, in base agli indirizzi della Conferenza unificata (20 settembre 2007). LĠAgenzia realizza tale obiettivo tramite attivitˆ di monitoraggio, di valutazione, di formazione e di ricerca orientate allo sviluppo del sistema salute. informazioni tratte dal www.agenas.it. (66) Difatti, anche se la convenzione veniva sottoscritta dal Commissario ad acta ing. Massimo Scura, lo stesso agiva in rappresentanza della Regione Calabria, come chiaramente espresso nellĠinte LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ Preliminarmente, da parte del Commissario ad acta veniva eccepita lĠinammissibilitˆ del ricorso per carenza originaria di legittimazione e interesse in capo alla Regione Calabria ricorrente. Tale ragionamento prendeva le mosse dalla circostanza secondo cui le funzioni attribuite al Commissario (per come specificate nei programmi operativi) devono restare - fino allĠesaurimento dei compiti commissariali - al riparo da ogni interferenza degli organi regionali. Si tratta, di un principio affermato, in particolare, anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 278 del 12 dicembre 2014 (67), nella quale si legge che ÒLe funzioni amministrative del Commissario, ovviamente fino allĠesaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso lĠunico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionaleÓ (68). Di conseguenza, il grave danno che la ricorrente avrebbe subito -secondo quanto assunto nel ricorso - per la Òtotale estromissione della regione Calabria dallĠimportantissima fase di attuazione del Programma operativo per gli anni 2016.2018Ó non sarebbe giuridicamente ipotizzabile (e, quindi,  inesistente) in quanto la Regione non sarebbe titolare dellĠinteresse che con il ricorso avrebbe inteso tutelare. Sosteneva ancora la difesa del Commissario ad acta che lĠesclusione della Regione dalle funzioni amministrative oggetto dei poteri commissariali rappresentava proprio una delle ragioni fondamentali del Piano di rientro; le delibere del Commissario sono ordinanze emergenziali statali in deroga, ossia misure straordinarie che lo stesso Commissario - nellĠesercizio delle proprie competenze e del suo ruolo di organo statale -  tenuto ad assumere in esecuzione del Piano di rientro. Pertanto, presupponendo il potere dĠazione nel processo amministrativo la titolaritˆ di una situazione giuridica riconducibile a diritto soggettivo o interesse legittimo oltre che un interesse a ricorrere (inteso non come idoneitˆ astratta a conseguire un risultato utile, ma come interesse personale, concreto ed attuale al conseguimento di un vantaggio materiale o morale) il Commissario concludeva per lĠinammissibilitˆ del ricorso proposto dalla Regione Calabria per carenza originaria di legittimazione e interesse in capo alla medesima. stazione dellĠatto in cui si legge: ÒConvenzione tra: la regione Calabria con sede in Catanzaro, Via Sensales (Pal. alemanni), rappresentata dal Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, ing. massimo Scura, (di seguito regione) domiciliato per la carica presso la sede della regione medesima ed avente i poteri per il presente atto ÉÓ, provvedimento reperibile in www.regione.calabria.it. (67) in www.cortecostituzionale.it. (68) in questo senso si vedano, inoltre, Corte Cost. n. 78/2011; id., 104/2013; id., 228/2015, in www.cortecostituzionale.it. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 il T.A.R., allĠesito dellĠudienza camerale -pur non pronunciandosi espressamente sullĠammissibilitˆ o meno del ricorso -accoglieva le argomentazioni svolte dal Commissario ad acta e, con ord. n. 270 del 29 giugno 2016 (69), affermava che Ònon sussistono le condizioni per rendere il provvedimento cautelare invocato dalla parte ricorrente, alla luce del costante insegnamento della Corte costituzionale, richiamato dalla difesa erariale resistente (Corte cost. 11 marzo 2011, n. 78; 29 maggio 2013, n. 104; 12 dicembre 2014, n. 278), per cui: 1) la nomina di un Commissario ad acta per lĠattuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, previamente concordato tra lo Stato e la regione interessata, sopraggiunge allĠesito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti ad unĠattivitˆ che pure  imposta dalle esigenze di finanza pubblica; 2) detta attivitˆ  volta a soddisfare la necessitˆ di assicurare la tutela dellĠunitˆ economica della repubblica, oltre che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.) qual  quello alla salute; 3) in questo quadro, le funzioni amministrative del commissario, ovviamente fino allĠesaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso lĠunico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale; ritenuto, peraltro, che lĠesame dello schema di convenzione non consente di affermare che lĠage.na.s. sia chiamata a svolgere in via esclusiva lĠattivitˆ demandatagliÓ. Prescindendo da tali questioni di rito, il punto principale che ha formato oggetto di contestazione da parte della Regione Calabria si incentrava sulla circostanza secondo cui la convenzione approvata con il D.C.A. n. 46/2016 prevedeva un corrispettivo in favore dellĠAge.na.s. pari a Û 200.000,00 annui (art. 6 della convenzione). La difesa regionale, infatti, riteneva irragionevole e ingiusto attribuire a titolo oneroso funzioni che sarebbero giˆ attribuite ex lege alla stessa Agenzia e, soprattutto, giˆ retribuite dal Ministero della Salute e, quindi, a carico del bilancio dello Stato; riteneva ancora pi illegittimo, come detto sopra, che tale importo sarebbe gravato sul bilancio regionale, producendo cos“ una doppia lesione nei confronti della stessa regione (da un lato, infatti, la sottrazione delle funzioni ad essa attribuite e, dallĠaltro, la concessione a suo carico dellĠimporto di Û 200.000,00 in favore di un altro ente che avrebbe dovuto svolgere proprio le funzioni ad essa sottratte). La difesa del Commissario ad acta, di contro, sosteneva che la centralitˆ del ruolo riconosciuto a questĠultimo (il quale si sostituisce in toto agli enti ordinariamente competenti) prevede che lo stesso goda di amplissimi poteri finalizzati ad una efficace e concreta attuazione del programma, tra cui anche (69) in www.giustizia.amministrativa.it. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ quella di concedere incarichi (non importa se a titolo gratuito o oneroso) per la corretta e sostanziale attuazione del Piano di rientro e, la convenzione in questione, a suo dire, non era altro che esercizio di tali poteri. Avverso lĠordinanza del T.A.R. Calabria n. 270/2016 cit., la Regione Calabria proponeva appello innanzi al Consiglio di Stato, mentre, medio tempore, veniva emanato il D.C.A n. 58/2016, con cui veniva modificato il precedente D.C.A. n. 46/2016 sia nella sua parte motiva (la convenzione veniva integrata con riferimenti legislativi e normativi a sostegno dellĠadozione del provvedimento) oltre che nella sua parte dispositiva (la rubrica dellĠart. 6 veniva modificata da ÒCorrispettivoÓ a ÒContributoÓ). Tali modifiche, per˜, non sono bastate a persuadere il Consiglio di Stato chiamato a pronunciarsi sullĠimpugnazione della predetta ordinanza. Difatti, con ord. 1 settembre 2016, n. 3618 (70), il Cons. St., sez. iii, - capovolgendo lĠimpostazione fornita dal T.A.R. Calabria con lĠordinanza cautelare - ha sospeso il provvedimento impugnato nella parte in cui conteneva la previsione di un corrispettivo a favore di Age.na.s. Tale decisione affonda le sue basi sulla circostanza secondo cui il quadro normativo vigente (Òseppur complesso e di non chiara decifrazioneÓ afferma testualmente il Consiglio di Stato) non sembra attribuire ad Age.na.s. la facoltˆ di stipulare convenzioni a titolo oneroso per lo svolgimento di attivitˆ a supporto delle Regioni sottoposte a Piano di rientro, Òessendo tali attivitˆ ricomprese nel novero delle competenze, dei compiti e degli obblighi assegnatile dalla legislazione relativa ai Piani di rientro dai disavanzi del settore sanitarioÓ. La vicenda si  infatti conclusa con il conferimento dei predetti incarichi allĠAge.na.s., a titolo, per˜, meramente gratuito (71). 4. i principi enucleati dalla Corte costituzionale in materia di emergenza sanitaria. é utile evidenziare, adesso, come i principi sanciti dal T.A.R. Calabria nonch contenuti nella normativa applicabile alle regioni sottoposte a Piano di rientro, siano stati rafforzati da numerose pronunce della Corte Costituzionale. QuestĠultima, ha sempre confermato la piena legittimitˆ delle norme che stabiliscono vincoli e limiti allĠautonomia regionale ai fini del coordinamento (70) in www.giustizia-amministrativa.it. (71) Difatti, con la nota prot. n. 268382 del 6 settembre 2016, il Commissario ad acta (ing. Massimo Scura) comunicava al Direttore dellĠAge.na.s. quanto segue: ÒEgr. Direttore, nellĠapprendere che i'Ecc.mo Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3618 del 30 agosto 2016, ha accolto lĠappello cautelare proposto dalla regione Calabria e, per l'effetto, ha sospeso gli effetti del DCa n. 58/2016 del 24 giugno 2016, siamo qui a chiederLe di voler ugualmente fornire a questa Struttura Commissariale, la preziosa collaborazione dell'agenzia da Lei diretta, a titolo meramente gratuito, senza alcun onere a carico della regione Calabria, per la realizzazione di attivitˆ di supporto tecnico-operativo e di affiancamento per lĠattuazione del Programma operativo 2016-2018Ó. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 della finanza pubblica e della salvaguardia degli obiettivi a cui lo stesso coordinamento  finalizzato. il principio di fondo sancito dalla Consulta attesta il carattere vincolante del Piano di rientro esplicitamente stabilito in via legislativa. Tra le disposizioni sottoposte al vaglio di legittimitˆ costituzionale vi sono diverse disposizioni disciplinanti lo stato di squilibrio economico-finanzario del settore sanitario regionale, tra cui, principalmente, lĠart. 1, comma 796, lettera b), l. 27 dicembre 2006, n. 296 (72) (il quale detta la procedura per la stipula degli accordi tra le regioni interessate ai fini della predisposizione, sottoscrizione e attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario (73)). (72) Legge Finanziaria 2007. (73) il quale dispone che Òé istituito per il triennio 2007-2009, un Fondo transitorio di 1.000 milioni di euro per l'anno 2007, di 850 milioni di euro per l'anno 2008 e di 700 milioni di euro per l'anno 2009, la cui ripartizione tra le regioni interessate da elevati disavanzi  disposta con decreto del ministro della salute, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato. L'accesso alle risorse del Fondo di cui alla presente lettera  subordinato alla sottoscrizione di apposito accordo ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, comprensivo di un Piano di rientro dai disavanzi. il piano di rientro deve contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, per renderlo conforme a quello desumibile dal vigente Piano sanitario nazionale e dal vigente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di fissazione dei medesimi livelli essenziali di assistenza, sia le misure necessarie all'azzeramento del disavanzo entro il 2010, sia gli obblighi e le procedure previsti dall'articolo 8 dell'intesa 23 marzo 2005 sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005. Tale accesso presuppone che sia scattata formalmente in modo automatico o che sia stato attivato l'innalzamento ai livelli massimi dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivitˆ produttive. Qualora nel procedimento di verifica annuale del piano si prefiguri il mancato rispetto di parte degli obiettivi intermedi di riduzione del disavanzo contenuti nel piano di rientro, la regione interessata pu˜ proporre misure equivalenti che devono essere approvate dai ministeri della salute e dell'economia e delle finanze. in ogni caso l'accertato verificarsi del mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi comporta che, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, l'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e lĠaliquota dell'imposta regionale sulle attivitˆ produttive si applicano oltre i livelli massimi previsti dalla legislazione vigente fino all'integrale copertura dei mancati obiettivi. La maggiorazione ha carattere generalizzato e non settoriale e non  suscettibile di differenziazioni per settori di attivitˆ e per categorie di soggetti passivi. Qualora invece sia verificato che il rispetto degli obiettivi intermedi  stato conseguito con risultati ottenuti quantitativamente migliori, la regione interessata pu˜ ridurre, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, l'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e l'aliquota dell'imposta regionale sulle attivitˆ produttive per la quota corrispondente al miglior risultato ottenuto. Gli interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, oggetto degli accordi di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, come integrati dagli accordi di cui all'articolo 1, commi 278 e 281, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto l'accordo e le determinazioni in esso previste possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi giˆ adottati dalla medesima regione in materia di programmazione sanitaria. il ministero della salute, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, assicura lĠattivitˆ di affiancamento delle regioni che hanno sottoscritto l'accordo di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, comprensivo di un Piano di rientro dai disavanzi, sia ai fini del monitoraggio dello LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ in particolare, con riferimento allĠart. 1, comma 796, lettera b), l. n. 296 del 2006 - con una sentenza riassuntiva di tutte le altre pronunce precedentemente emesse in materia (74) (75) - la Consulta ha affermato che tale norma Òpu˜ essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblicaÓ. Pertanto, lĠesplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessitˆ di contenere i disavanzi del settore sanitario determina una situazione nella quale lĠautonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nellĠambito della gestione del servizio sanitario pu˜ incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa. Ci˜ in quanto, afferma ancora la Consulta, Òle norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalitˆ di coordinamento finanziario, per cui il legislatore statale pu˜ legittimamente imporre alle regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare lĠequilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitariÓ. invero, la giurisprudenza amministrativa, ha - conformemente al dettato della Corte - sviluppato e valorizzato tali principi, in primis con le citate sentenze dellĠAdunanza Plenaria. n. 8 del 2006 e nn. 3 e 4 del 2012, e successivamente con numerose sentenze (76). stesso, sia per i provvedimenti regionali da sottoporre a preventiva approvazione da parte del ministero della salute e del ministero dell'economia e delle finanze, sia per i Nuclei da realizzarsi nelle singole regioni con funzioni consultive di supporto tecnico, nellĠambito del Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria di cui all'articolo 1, comma 288, della legge 23 dicembre 2005, n. 266Ó. (74) Corte Cost., 12 maggio 2011, n. 163, in www.cortecostituzionale.it. (75) Riassuntiva dei principi giˆ pressoch enucleati dalla Consulta con le precedenti pronunce Corte Cost., 18 febbraio 2010, n. 52; id., 17 marzo 2010, n. 100; id. 23 aprile 2010, n. 141; id. 11 aprile 2011, n. 123; id. 12 maggio 2011, n. 163; id. 25 aprile 2012, n. 131; id. 19 luglio 2013, n. 219; id. 5 maggio 2014, n. 110, tutte in www.cortecostituzionale.it. (76) Tra le pi recenti ed esaustive, si vedano Cons. St., sez. iii, 1244/2016 cit.; id., 3 febbraio 2016, n. 431, in Foro amm., 2016, 2, 280; id., 7 gennaio 2014, n. 2, ivi, 2014, 1, 29; id., 22 gennaio 2014, n. 296, ivi, 2014, 1, 37; id., 2 aprile 2014, n. 1582, ivi, 2014, 4, 1048; id., 6 febbraio 2015, n. 604, in ragiusan, 2015, 374-376, 159; id., 27 febbraio 2015 n. 982, ivi, 2015, 371-373, 183; id., 7 dicembre 2015, n. 5539, in Foro amm., 2015, 12, 3059; id., 4 febbraio 2016, n. 450, in Banca Dati De Jure; id., 17 dicembre 2015, n. 5731, in www.giustizia-amministrativa.it. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 Il rilievo giuridico dei codici di comportamento nel settore pubblico, con riferimento alle varie forme di responsabilitˆ dei pubblici funzionari Federica Mariniello* Sommario: 1. Premessa -2. ambito di applicabilitˆ del nuovo Codice di comportamento e suoi contenuti - 3. Valenza giuridica del nuovo Codice sul piano della responsabilitˆ dei pubblici funzionari - 4. Considerazioni conclusive. 1. Premessa. La legge 6 novembre 2012, n. 190, recante ÒDisposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dellĠillegalitˆ nella pubblica amministrazioneÓ disegna un articolato quadro di misure dirette al contrasto di fenomeni di corruzione e illegalitˆ nella Pubblica Amministrazione, sia attraverso una strategia di prevenzione che di repressione. A tale contesto -in cui il legislatore ha inteso ridefinire gli standard di condotta nellĠesercizio di funzioni pubbliche - sono riconducibili una serie di prescrizioni che si rivolgono, nel loro complesso, al rafforzamento dellĠintegritˆ del funzionario pubblico come fattore decisivo per il buon andamento e lĠimparzialitˆ della Pubblica Amministrazione, in ossequio al dettato costituzionale di cui agli artt. 97 e 98, questĠultimo recante il principio di esclusivitˆ al servizio della Nazione. Rilevano, altres“, a completamento del quadro costituzionale di riferimento in tema di legalitˆ ed etica pubblica: lĠart. 54 comma 2 -in ordine al dovere, per coloro cui sono affidate funzioni pubbliche, di adempierle con disciplina e onore -che pu˜ fondatamente considerarsi una specificazione del citato principio di imparzialitˆ e buon andamento dellĠorganizzazione amministrativa; lĠart. 28, che prevede la diretta responsabilitˆ, per i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti (1) Tra gli interventi operati dalla legge in parola -afferenti, tra lĠaltro, ai temi della trasparenza, della pubblicitˆ, dellĠincompatibilitˆ di incarichi, della misurazione e valutazione della performance, della formazione e rotazione del (*) Dottoressa in Giurisprudenza - master in management e politiche delle Pubbliche Amministrazioni presso la Luiss Guido Carli in partnership con la Scuola Nazionale dellĠAmministrazione. il presente scritto  la rielaborazione di un testo sviluppato allĠinterno del corso Òprevenzione della corruzione amministrativaÓ tenuto dal Prof. B.G. Mattarella nellĠambito del master di ii livello in management e politiche delle amministrazioni pubbliche, organizzato dalla School of Government della Luiss Guido Carli in collaborazione con la Scuola Nazionale dellĠAmministrazione. (1) F. MERLONi, La nuova autoritˆ nazionale anticorruzione, RAFFAELE CANTONE (a cura di), Giappichelli Editore, 2015, 65. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ personale che opera nellĠambito di attivitˆ pi esposte al rischio di corruzione -assume rilievo centrale, sul piano della prevenzione dei fenomeni corruttivi, la nuova disciplina del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, esito di una completa riformulazione dellĠart. 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad opera del comma 44 dellĠart. 1 della legge n. 190/2012, cui  seguita lĠadozione - con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (2), emanato nelle forme previste per i regolamenti governativi dall'art. 17 comma 1 della legge n. 400/1988 -di un Codice recante una serie di principi comportamentali cui i pubblici dipendenti sono tenuti a uniformarsi sia sul posto di lavoro sia in ambito extra-lavorativo, tradotti in regole di condotta concrete e facilmente applicabili, che vanno a integrare i doveri d'ufficio e le altre ipotesi di responsabilitˆ disciplinare previsti dalle norme di legge, di regolamento e dai contratti collettivi (3). LĠobiettivo del presente elaborato  quello di analizzarne lĠimpianto, focalizzandone un importante profilo innovativo rispetto alla previgente formulazione dellĠart. 54 del d.lgs. n. 165/2001: lĠautonoma valenza giuridica, specificamente ai fini disciplinari. Ci˜ in piena adesione alla rigorosa disciplina prevista dalla citata legge n. 190/2012 che - oltre a prescrivere attivitˆ di formazione con il chiaro scopo di assicurare lĠattualitˆ dellĠinteresse e della rilevanza del Codice con finalitˆ di prevenzione di comportamenti scorretti -rafforza anche il profilo costrittivo del provvedimento (prevedendo allĠart. 16 che la violazione dei doveri in esso contenuti Òintegra comportamenti contrari ai doveri d'ufficioÓ), configurandolo quale Òfonte diretta di responsabilitˆ disciplinareÓ - senza che sia necessaria la mediazione della contrattazione collettiva, cos“ relegata ad un ruolo marginale -e attribuendogli rilevanza ai fini della responsabilitˆ civile, amministrativa e contabile quando le stesse siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi e regolamenti. Con riferimento a tale ultimo aspetto,  bene evidenziare che il rilievo giuridico connesso a responsabilitˆ di carattere soprattutto contabile costituisce il maggior deterrente introdotto dalla norma. Giova anche sottolineare sin dĠora che la ratio sottesa alla nuova e pi rigorosa disciplina si coglie nellĠintento di annettere alla previsione del rilievo disciplinare la finalitˆ di rendere il Codice di comportamento uno strumento efficace nei confronti di coloro che non si adeguino spontaneamente a principi che dovrebbero essere connaturali, conosciuti e seguiti non solo senza alcuna imposizione, ma con fierezza e personale impegno da chi  posto al servizio dei cittadini. (2) http://public.cittametropolitana.ct.it/public/amministrazione-Trasparente/upload/rELa- ZioNE_iLLUSTraTiVa_CoDiCE_PrVCT.pdf. (3) http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaalDiritto/amministrativo/primiPiani/2013/10/dipendenti- pubblici-obblighi-piu-stringenti-con-il-codice-di-comportamento.php. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 2. ambito di applicabilitˆ del nuovo Codice di comportamento e suoi contenuti. LĠambito soggettivo di applicazione del nuovo Codice ricomprende non solo i dipendenti pubblici c.d. contrattualizzati (delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del citato d.lgs. n. 165/2001, il cui rapporto di lavoro  disciplinato in base all'art. 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto (4)) ma  esteso, nei limiti di compatibilitˆ, a coloro che, pur estranei alla P.A., siano ad essa legati da rapporti di collaborazione professionale e di consulenza, rilevando, piuttosto che la natura giuridica del rapporto di lavoro che lega il soggetto alla Pubblica Amministrazione, la funzionalizzazione dellĠattivitˆ al perseguimento di interessi pubblici. A tale scopo le Amministrazioni sono tenute a inserire, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizione delle collaborazioni o dei servizi, clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal Codice. Tale ultimo aspetto costituisce un quid novi rispetto al passato, cos“ come inedita  la specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, in primis quello di aver un comportamento integerrimo improntato a lealtˆ, diligenza e puntualitˆ nellĠadempimento dei propri compiti e nel porre a frutto tutte le risorse umane disponibili per lĠottimale andamento dellĠufficio. é bene precisare inoltre che il Codice non si applica alle Magistrature e allĠAvvocatura dello Stato: esclusione riconducibile alla peculiare posizione di indipendenza e imparzialitˆ ad esse costituzionalmente riconosciuta. Nei confronti, invece, delle altre categorie indicate dallĠart. 3 del d.lgs. n. 165/2001 (carriera prefettizia, diplomatica, forze di polizia, corpo militare, corpo nazionale dei vigili del fuoco) le norme del codice costituiscono principi di comportamento e trovano applicazione solo in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti e, dunque, nel rispetto delle loro peculiaritˆ ordinamentali. Quanto ai contenuti, il riformato strumento, dopo la definizione dellĠambito di applicazione e il richiamo ad alcuni principi ai quali il pubblico dipendente deve informare la propria prestazione lavorativa (che potremmo definire dellĠÒetica del dovereÓ: correttezza, diligenza, imparzialitˆ, legalitˆ ecc; e della ÒresponsabilitˆÓ) e, pi in generale, alle qualitˆ etiche che deve dimostrare nel proprio comportamento (lealtˆ e buona condotta), procede alla tipizzazione delle condotte illecite, necessaria in quanto esse costituiscono fonte diretta di responsabilitˆ disciplinare (eventualmente concorrente con altre forme di responsabilitˆ), come si chiarirˆ ulteriormente in prosieguo. (4) C. BENuSSi, il codice di comportamento dei dipendenti pubblici ha ora natura regolamentare, 18 giugno 2013, in http://www.penalecontemporaneo.it/d/2365-il-codice-di-comportamento-deidipendenti- pubblici-ha-ora-natura-regolamentare. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ AncorchŽ rechi precetti puntuali e indicazioni operative, il suo impianto dispositivo, composto di 17 articoli, si pone come contenuto minimo, caratterizzato da una struttura asciutta, necessariamente e doverosamente suscettibile di integrazione e ulteriore specificazione. Ci˜ attraverso due percorsi distinti: da un lato, con lĠesplicitazione dei doveri connessi allĠattuazione del Piano di prevenzione della corruzione, dei quali la legge n. 190/2012 afferma del pari la valenza a fini disciplinari; dallĠaltro, con i codici adottati dalle singole amministrazioni, in ragione delle specificitˆ dell'organizzazione e delle competenze istituzionali, nonchŽ della rete dei rapporti con i cittadini-utenti. il rinnovato strumento dispositivo, rispondendo a quanto statuito dalla legge n. 190/2012 (come contenuto obbligatorio), contiene, in applicazione del principio di imparzialitˆ dellĠattivitˆ amministrativa, specifiche prescrizioni afferenti al divieto per il dipendente di chiedere, sollecitare o di accettare, per sŽ o per altri e a qualsiasi titolo (quindi, anche sotto forma di sconto), compensi, Çregali o altre utilitˆÈ (fatti salvi quelli d'uso e di modico valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro), ricomprendendo in questo contesto anche un divieto di collaborazioni con soggetti privati Çche abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse significativo in decisioni o attivitˆ inerenti lĠufficio di appartenenzaÈ. Pi in generale, dalla lettura delle previsioni contenute nel Codice emerge in tutta evidenza un rafforzamento dellĠattenzione al tema dei conflitti di interesse, sia reali che apparenti, e in questo senso  palese la coerenza dello strumento con una disciplina volta a prevenire i fenomeni di malcostume. Al riguardo rilevano, in particolare, gli obblighi: -per il dipendente, di astenersi Çdal prendere decisioni o svolgere attivitˆ inerenti le sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi È di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli Çderivanti dal- l'intento di assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchiciÈ; di comunicare, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, Çtutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazioneÈ avuti con soggetti privati negli ultimi tre anni e in qualunque modo retribuiti, oltre che di precisare se con lo stesso (o con il di lui coniuge o convivente o parenti o affini entro il secondo grado) i rapporti finanziari sussistano ancora; -per il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, di rappresentare al- l'amministrazione Çle partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziariÈ che possano porlo in conflitto d'interesse con le funzioni pubbliche che svolge. Strumentali al contenimento di eventuali situazioni di conflitto, tra la funzione pubblica e interessi privati, propri o di terzi, sono altres“ i previsti obblighi di disclosure (la tempestiva comunicazione da parte del dipendente al responsabile dell'ufficio della propria Çadesione o appartenenzaÈ ad associazioni od organizzazioni - esclusi partiti politici e sindacati - i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attivitˆ dell'ufficio). RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 Meritevoli di specifica menzione, tra gli altri, gli ulteriori obblighi fissati nellĠarticolato, rispondenti a principi di imparzialitˆ e di paritˆ di trattamento dei destinatari dellĠazione amministrativa, nonchŽ di utilizzo delle prerogative e poteri pubblici a fini esclusivamente di interesse generale. in tale contesto rileva, in particolare, il dovere: -di assicurare la trasparenza e la tracciabilitˆ dei processi decisionali adottati che dovrˆ Çessere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilitˆÈ; -di Çcomportamento nei rapporti privatiÈ e Çin servizioÈ e all'interno del- l'organizzazione amministrativa. Rileva, in particolare, il dovere, nella trattazione delle pratiche, di rispettare, salvo diverse esigenze di servizio o diversa disposizione di prioritˆ stabilito dall'amministrazione di appartenenza, l'ordine cronologico e di non rifiutare, con motivazioni generiche, le prestazioni a cui sia tenuto; -di Çrispetto dei vincoli posti dall'amministrazioneÈ nell'utilizzo del materiale o delle attrezzature assegnate ai dipendenti per ragioni di ufficio, anche con riferimento ai servizi telematici e alle linee telefoniche dell'ufficioÈ. il Codice dedica infine particolare attenzione al comportamento che il dipendente deve osservare nei rapporti con il pubblico, declinandolo in una pluralitˆ di doveri (di cortesia e precisione; di fornire spiegazioni; di rispetto degli standard di qualitˆ ecc). 3. Valenza giuridica del nuovo Codice sul piano della responsabilitˆ dei pubblici funzionari. Come giˆ accennato, un profilo certamente decisivo del riformato Codice risiede nella sua autonoma valenza a fini disciplinari (5), che prescinde dal collegamento contrattuale con le relative sanzioni: i doveri preesistono e sono indisponibili rispetto alle dinamiche negoziali (6). Depone nel senso anche il tenore letterale del novellato art. 54 del d. lgs. n. 165/2001 e, in particolare, del comma 3, a mente del quale la violazione dei doveri dĠufficio contenuti nel codice di comportamento Ǐ fonte di responsabilitˆ disciplinareÈ, da accertare allĠesito del procedimento disciplinare e nel rispetto dei principi di gradualitˆ e proporzionalitˆ delle sanzioni. Ci˜ ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel Codice, nonchŽ dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, diano luogo anche a responsabilitˆ penale, civile, amministrativa e contabile del pubblico dipendente. (5) Valenza che, alla luce del comma 5 dellĠart. 54 del d. lgs. n. 165/2001, si estende anche ai codici adottati da ciascuna Amministrazione. (6) Cfr. B.G. MATTARELLA, i codici di comportamento, in riv. giur. lav., 1, 1996, 275 ss.; E. CAR- LONi, ruolo e natura dei c.d. Òcodici eticiÓ delle amministrazioni pubbliche, in Diritto Pubblico, n. 1, 2002, 319 ss. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ LĠeventuale, concorrente rilevanza della violazione dei doveri posti dal Codice anche sul piano della responsabilitˆ civile, amministrativa o contabile costituisce una previsione ricognitiva di un fenomeno giˆ esistente, in quanto sono numerose le sentenze della Corte dei conti, dei giudici del lavoro e dei giudici penali che dal rispetto o dalla violazione del Codice di comportamento traggono elementi per affermare o negare l'una o l'altra di quelle forme di responsabilitˆ (7). in sostanza, per effetto della ÒgiuridicizzazioneÓ operata dal Codice vigente, alle regole di comportamento imposte al pubblico dipendente corrisponde il diritto di pretenderne il rispetto da parte dellĠAmministrazione, dei colleghi e degli amministrati, agendo in caso di loro violazione per far valere, in primo luogo, la responsabilitˆ disciplinare del dipendente, ma anche eventualmente concorrenti titoli di responsabilitˆ (cfr. art. 16 del Codice), posto che uno stesso fatto pu˜ assumere rilievo per le leggi amministrative, civili o penali, come recita lĠart. 28 Cost. Esemplificativa, al riguardo,  lĠipotesi della responsabilitˆ amministrativa, avente carattere risarcitorio, per danno erariale connesso alla violazione di prescrizioni del Codice, con condotta caratterizzata da dolo o colpa grave. Orbene, se del precedente Codice del 2000 si osservava la sua scarsa effettivitˆ in ragione dellĠassenza della previsione di alcuna forma di responsabilitˆ e, dunque, di sanzioni (8), la questione parrebbe ormai superata con la scelta operata di contemplare una precisa e complessa dimensione di responsabilitˆ. LĠefficacia del previgente Codice del 2000 era, invero, problematica anche perchŽ, a fronte della codificazione unilaterale dei doveri realizzata tramite decreto governativo, era comunque contemplata unĠaltra determinazione degli obblighi del dipendente, rimessa al codice disciplinare e realizzata attraverso la contrattazione collettiva: per cui la domanda era quale fosse la responsabilitˆ che discendeva dal codice ex art. 54 del d. lgs. n. 165/2001, se la responsabilitˆ disciplinare giˆ scaturiva dal rapporto contrattuale degli impiegati pubblici (9). Nella nuova formulazione del pi volte menzionato art. 54 si coglie chia (7) http://www.sileaspa.it/files/news/relazione_Guida_ii.pdf. (8) Tali erano le osservazioni riportate da B.G. MATTARELLA, Le regole dellĠonestˆ: etica, politica, amministrazione, Bologna, 2007, 164 ss., benchŽ lĠA. ritenesse che lĠassenza di tale previsione fosse assolutamente dovuta ad una sorta di prioritˆ logica: il vecchio art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 impostava lĠintervento di risanamento degli apparati pubblici a partire dallo strumento del codice, con valenza di mero indirizzo dei comportamenti, e il successivo art. 55 demandava ai contratti collettivi la determinazione dei doveri e degli illeciti da cui potevano scaturire sanzioni. (9) G. NOViELLO, V. TENORE, La responsabilitˆ e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato: infrazioni, sanzioni e codice disciplinare, codici di comportamento, procedimento e natura dei relativi termini, responsabilitˆ disciplinare del dirigente, incompatibilitˆ e riflessi disciplinari, rapporti tra illecito penale e disciplinare, sospensione cautelare, (ricorsi amministrativi, ricorso giurisdizionale, conciliazione e arbitrato disciplinare), accesso e privacy, Milano, GiuffrŽ, 2002, 100 ss. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 ramente la significativa innovazione riguardo alla previgente versione, che postulava, invece, un coordinamento dei principi del Codice con le previsioni dei contratti: nel nuovo assetto normativo alla fonte negoziale compete lĠindividuazione delle infrazioni e delle sanzioni, ma ci˜ a valle della definizione dei doveri comportamentali operata con regolamento e fonti unilaterali. La previsione  ulteriormente rafforzata dallĠultimo passaggio del terzo comma, a mente del quale violazioni gravi o reiterate del Codice comportano lĠirrogazione della sanzione del licenziamento ex lege (art. 55-quater, comma 1), a fronte di una serie di ipotesi legate essenzialmente a violazioni, ritenute particolarmente gravi, di doveri di diligenza e prestazione lavorativa (a titolo esemplificativo: falsa attestazione della presenza in servizio; ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dallĠamministrazione per motivate esigenze di servizio; falsitˆ documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dellĠinstaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera; reiterazione nellĠambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dellĠonore e della dignitˆ personale altrui). Va anche precisato sul punto che, al di fuori della dimensione disciplinare, le norme in questione hanno un autonomo rilievo e assumono una propria efficacia in termini anche sanzionatori laddove la violazione dei doveri sia ÒgraveÓ o reiterataÓ (10). Ritenuto, dunque, alla luce di quanto sopra argomentato, superato ogni dubbio residuo sulla natura solo etica o deontologica dei codici (11), non possono, certo, sottacersi una serie di problemi di Òmessa a sistemaÓ posti dalla norma primaria. Tra questi, ad esempio: quali siano le sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni del codice ancorchŽ non Ògravi o reiterateÓ; come si raccordino i doveri del Codice con le sanzioni disciplinari definite dalla contrattazione, laddove potrebbe ipotizzarsi un nuovo assetto in cui a questĠultima risulterebbe rimessa la previsione delle tipologie di sanzioni, ma non anche il raccordo tra queste e i doveri posti unilateralmente attraverso i Codici di comportamento. infatti, secondo il D.P.R. n. 62/2013, ai fini della determinazione del tipo e dellĠentitˆ della sanzione disciplinare la violazione  valutata con riguardo alla gravitˆ del comportamento e allĠentitˆ del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dellĠamministrazione e le sanzioni risultano dunque essere quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi. infine, deve ritenersi che, se una certa violazione non  sanzionata dai (10) E. CARLONi, il nuovo Codice di comportamento ed il rafforzamento dellĠimparzialitˆ dei funzionari pubblici, in Le istituzioni del federalismo: bimestrale di studi giuridici e politici della regione Emilia romagna, n. 2/2013, 377-407, fasc. A. 34. (11) F. MERLONi, Codici di comportamento, in R. GAROFOLi -G. FERRARi -M.A. SANDuLLi (a cura di), Diritto amministrativo, in il libro dellĠanno del diritto, 2014, ist. Enc. Treccani, Roma. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ contratti, prevarrˆ la legge e il procedimento disciplinare dovrˆ comunque essere avviato. in pratica, occorrerˆ ricondurre la violazione, non espressamente prevista, a una delle generiche previsioni normalmente contenute nei contratti. E, dato che la legge non dispone in ordine alla fase transitoria, deve ritenersi che lĠobbligo di attribuire rilievo disciplinare delle violazioni sia immediato, senza bisogno di attendere la prossima tornata contrattuale (12). Ne deriva, evidentemente, una maggiore importanza del Codice di comportamento: di tutte le sue previsioni, anche di quelle finora trascurate dai contratti collettivi e che, quindi, i dipendenti pubblici potevano permettersi di ignorare. Nessuna previsione pu˜ pi essere ignorata, salvo incorrere in responsabilitˆ disciplinare. Ne consegue, ovviamente, come corollario, anche una pi significativa rilevanza dell'attivitˆ di formazione e informazione sul tema e di quella di vigilanza sul rispetto del Codice. 4. Considerazioni conclusive. il nuovo Codice del 2013 non  pi da considerare come mero strumento di prevenzione, partecipando della dimensione repressiva che, come si  visto,  ampiamente presente nella legge n. 190/2012. Si pu˜ fondatamente argomentare che la finalitˆ perseguita dal Codice rimanga primariamente quella di costituire una tavola di riferimento per il dipendente pubblico, che lo aiuti a orientarsi nello svolgimento dei suoi compiti a servizio della collettivitˆ; ma che a questa funzione fondamentale, che si dispiega sul piano preventivo, se ne affianca una nuova, integrata dalla configurazione di specifici profili di responsabilitˆ, in presenza dei quali il dipendente sarˆ evidentemente colpito da un diversificato spettro di sanzioni, ivi compresa quella pi grave, consistente nel licenziamento. La valenza giuridica del testo normativo qui esaminata cambia, pertanto, radicalmente rispetto ai Codici che lĠhanno preceduto, risultando cos“ uno strumento potenzialmente pi efficace nellĠestirpare condotte contrarie e incompatibili con lĠinteresse della collettivitˆ. Si reputa tuttavia che il maggior effetto deterrente introdotto dalla norma non sia tanto il rilievo disciplinare, quanto quello giuridico connesso a responsabilitˆ di carattere soprattutto contabile (oltre che civile e amministrativo), laddove a causa del comportamento scorretto del dipendente si siano prodotti danni (anche da disservizio o anche da lesione di interesse legittimo per eccesso di potere in caso di disparitˆ di trattamento), fonte di responsabilitˆ risarcitoria a carico della P.A., e quindi, in caso di dolo o colpa grave, a sua volta a carico di chi ne  stato lĠautore (ai sensi dellĠart. 1 della legge n. 20/1994) (13). (12) B.G. MATTARELLA, La prevenzione della corruzione in italia. Commento alla legge 6 novembre 2012, n. 190, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/2013. (13) P.M. zERMAN, il nuovo codice di comportamento - i doveri del dirigente pubblico. (DPr 13 aprile 2013, n. 62), Associazione Nazionale Notifiche Atti. RASSEGNA AVVOCATuRA DELLO STATO - N. 1/2017 il Codice di comportamento in parola si colloca in tale logica: benchŽ esso non si qualifichi quale codice etico, indubbiamente risponde allĠesigenza di riaffermare le regole irrinunciabili e fondamentali del pubblico agire, e di indirizzare il personale pubblico verso condotte di integritˆ, se non addirittura di moralitˆ, che complessivamente si possono ricomprendere nella formula dellĠÇetica pubblicaÈ. Formula che definisce il corretto agire dei pubblici agenti al servizio della collettivitˆ e che comprende al suo interno tanto il rispetto della legge quanto la soddisfazione ultima degli interessi protetti, delle giuste aspirazioni dei cittadini utenti, nella tutela della loro dignitˆ (14). é difficile prevedere quale impatto il Codice potrˆ avere nella correzione del fenomeno della maladministration, ma  immaginabile che non basti tale strumento a ri-orientare i comportamenti e le scelte dei Çcittadini cui sono affidate funzioni pubblicheÈ, i cui valori fondamentali e la cui formazione personale -prima ancora che professionale -sono le vere condizioni che determinano un agire di rigore e di coscienziositˆ. O meglio, lo strumento potrˆ bastare a ri-orientare i comportamenti nella misura in cui le regole di questo e di futuri codici di comportamento, o addirittura etici, verranno Çinteriorizzate È dai singoli membri della pubblica amministrazione, e andranno dunque a rappresentare la Çtavola valorialeÈ capace di orientare le loro decisioni. Ma occorre, appunto, che esso si appelli effettivamente alla deontologia di chi svolge pubbliche funzioni e che possa essere da costoro fatto proprio: come  stato osservato in un intervento del presidente della Corte dei conti che risale giˆ al 2011 Çper arginare questo fenomeno, un ruolo fondamentale pu˜ svolgere lĠetica, vale a dire la propria, intima, tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agireÈ. LĠelemento umano rimane dunque centrale ed irrinunciabile, e solo se su di esso il nuovo complesso di regole di comportamento riuscirˆ a svolgere una funzione di rigenerazione di una coscienza etica si potrˆ considerare il codice un mezzo prezioso e produttivo di effetti virtuosi (15). Conclusivamente, ripercorrendo lĠevoluzione dei Codici di comportamento e dei profili di responsabilitˆ correlativamente disciplinati, si pu˜ evidenziare un trend di progressiva riduzione della discrezionalitˆ amministrativa -esercitata nel riempire di contenuto, attraverso un attivo ricorso allo strumento disciplinare, le regole etiche - cui ha corrisposto una progressiva codi (14) Secondo la definizione di V. CERuLLi iRELLi, Per una politica dellĠetica pubblica: controlli e disciplina delle funzioni amministrative, in L. VANDELLi (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione, 28. F. RiVA, Bene comune e lavoro sociale, Roma, Edizioni Lavoro, 2012, 206, sottolinea il ruolo centrale che in un codice etico ha la corrispondenza tra la centralitˆ della persona e la responsabilitˆ in tutto lĠambito del lavoro sociale, quale  quello delle pubbliche amministrazioni: un codice Çvincola alla responsabilitˆ in quanto lavoro per le persone e con le personeÈ. (15) C. BuzzACCHi, il codice di comportamento come strumento preventivo della corruzione: lĠorizzonte di unĠetica pubblica, in amministrazione in Cammino, 22 maggio 2013, 19 ss. LEGiSLAziONE ED ATTuALTiˆ ficazione delle regole etiche accompagnata, per˜, a un minor ricorso allo strumento disciplinare. La fase attuale, infine, vede ancor di pi compressa la discrezionalitˆ amministrativa, non solo nellĠindividuazione delle regole di comportamento, ma anche nellĠan dellĠesercizio dellĠazione disciplinare, tenuto conto dellĠobbligatorietˆ, pi volte richiamata, di questĠultima nei casi di violazione delle norme contenute nei codici. Nelle intenzioni legislative, lĠirrigidimento ora evidenziato ha lo scopo di assicurare una maggior tutela dei diritti dei cittadini, che usufruiscono dei servizi pubblici e appare, purtroppo, il chiaro riflesso della crescente e allarmante sfiducia dei cittadini nellĠoperato delle amministrazioni. ContriButididottrina Che cosa  un nome? (*) Brevi appunti sul diritto al nome Roberto de Felice** 1. operazione fondamentale di ogni comunitˆ umana, dalle pi primitive,  quella di distinguere identificare e in una parola dare un nome ai propri componenti, esseri unici e irripetibili (1). Individuarli  un'operazione quasi sacra, l'antroponimo o pi in generale il nome si rivela, nelle religioni primitive o in leggende pervenuteci, essere qualcosa di primordiale, altamente segreto (2) e a volte sacro da rivelare e pronunziare (3). (*) Romeo and Juliet, Act II, Scene II: "What's in a name? That which we call a rose by any other name would smell as sweet". (**) Avvocato dello Stato. In tema si rinvia a GIulIA FAbrIzI, Brevi note sulla trasmissibilitˆ alla nascita del cognome materno dopo la sentenza della Corte EDU Cusan e Fazzo c. Italia del 7 gennaio 2014, n. 77. Nota a Corte Costituzionale n. 286 del 21 dicembre 2016, in questa Rass., p. 97 ss. (1) STeFAno VISenTIn Potere del nome e potenza del linguaggio. Il Discorso sulla servit volontaria di Etienne de La BoŽtie secondo cui, ÒOgnuno si immedesima nel nome che gli permette di ricostruisce unĠunitˆ immaginaria, mitica, che lo rinvia ad unĠimmagine di sŽ e della societˆ completa, risolta, appunto unitaria: in questo senso il tiranno  il nostro nome, nella misura in cui ciascun individuo desidera - e lo desidera effettivamente - di (tornare a) essere uno - uno in sŽ e uno con gli altriÓ, in http://isonomia.uniurb.it/vecchiaserie/2007visentin.pdf. (2) Turandot, Atto III, scena 1: ÒMa il mio mistero  chiuso in me, il nome mio nessun saprˆÓ. (3) ÒNomen est omenÓ, dicevano i romani, il nome  un presagio, perchŽ in esso  racchiusa la vita di una persona. Ma anche in altre civiltˆ era diffusa la credenza che il nome rappresentasse una predestinazione legata al suo possessore; si pensava persino che sapendo come si chiamava un individuo, si potesse esercitare un influsso su di lui. I nomi dei sovrani egiziani venivano scolpiti sui monumenti per garantire il prolungarsi della loro vita al di lˆ della morte: perci˜ il peggiore castigo era la cancellazione dellĠiscrizione, quella che per i romani era la Òdamnatio memoriaeÓ, cio lĠeliminazione del nome dai documenti e dai monumenti. e dĠaltronde ancora oggi il nome che i genitori danno al loro bimbo rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 2. nella realtˆ giuridica odierna, il diritto al nome  fondamentale (4): dalla tutela di tale attributo fondamentale della persona di cui agli articoli da 6 a 9 cc, come diritto assoluto della stessa alla inconcepibilitˆ di un essere umano senza nome come stabilito dall'art. 24 comma 2 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (5) (approvato dallĠAssemblea Generale onu esprime le aspettative che essi ripongono nel figlio. Quando poi gli uomini entrano in una nuova condizione, hanno bisogno di unĠaltra denominazione: si pensi ai re appena incoronati o alla nomina del Papa. Il cambiamento di nome ha sempre avuto una valenza notevole e la letteratura  ricca di mutamenti, da Shakespeare nel re lear a Pirandello nel Fu Mattia Pascal, dai classici a molti altri autori pi recenti. Si pensi a ulisse, che disse a Polifemo di chiamarsi ÒnessunoÓ e si salv˜ cos“ la vita, o ai Fisici di DŸrrenmatt, che non si sa chi siano davvero, o a Saulo di Tarso che cambi˜ il suo atteggiamento nei confronti dei cristiani e venne chiamato Paolo, oppure ancora agli attori e ai personaggi dello spettacolo, che usano un nome dĠarte. Si pensi al nome di Dio, che per la religione cristiana cattolica non deve essere nominato invano, ÒNon nominare il nome di Dio invanoÓ; o al Corano, che in relazione al nome di Allah afferma, ÒAd Allah appartengono i nomi pi belli: invocatelo con quelliÓ (Corano, Al-A'r‰f, 180); ancora alla titolatura reale dei faraoni, l'insieme dei nomi e degli epiteti con cui nell'antico egitto ci si riferiva al sovrano, l'insieme di tali termini era definita Grandi nomi. Il sovrano era considerato l'incarnazione del dio-falco Horo e disponeva, dalla V dinastia, di una titolatura regale costituita da cinque nomi, detti Grandi nomi di cui due si richiamavano, appunto, a tale divinitˆ: il nome Horo; il nome nebty (o "le Due Signore"); il nome (bik nebu) Horo d'oro; il prenomem (nesut bity) (o nome di trono); il nomen (Sa ra) (o nome personale). (4) Il Code napolŽon e i codici civili preunitari non contemplavano espressamente il diritto al nome. Il cc italiano del 1865, in particolare, vi accennava soltanto nel titolo degli atti dello stato civile, senza alcun riferimento ad esso come a un diritto della personalitˆ. Il codice del 1942, pur dedicando ad esso gli artt. 6 e ss. sembrava comunque ricondurlo ad una logica proprietaria. Infatti, una delle prime teorie dottrinali in materia, SAnToro PASSArellI, Dottrine generali del diritto civile, 1954, 5051, il diritto al nome doveva essere inquadrato in uno schema prettamente pubblicistico, al fine di distinguere i consociati lĠuno dallĠaltro, per esigenze di ordine pubblico. risalente  la concezione di STolFI, I segni di distinzione personale, 1905, 85 ss., costruiva il diritto al nome secondo lo schema del diritto di proprietˆ (sul nome), al fine di affermarne lĠinviolabilitˆ, inalienabilitˆ e imprescrittibilitˆ. la dottrina dominante ha da tempo superato sia la concezione del dominium, che quella pubblicistica, mettendo in luce come il diritto al nome ex art. 6 cc avesse natura di diritto soggettivo personale, espressivo dellĠidentitˆ personale del singolo individuo e come tale essenziale, imprescrittibile, irrinunciabile, indisponibile. beSSone e FerrAnDo, voce Persona fisica (dir. priv.) in Enc. dir., XXXIII, 1983, 193-223; MACIoCe, Tutela civile della persona e identitˆ personale, 1984, 46-51, secondo cui Òvi sono diritti a struttura complessa, che presentano caratteri tali da sfuggire a qualsiasi elementare classificazione in termini di ci˜ che  fisico e di ci˜ che  morale. E il diritto al nome ne costituisce un chiaro esempio. Esso infatti designa la persona umana nel suo complessoÓ. De CuPIS, I diritti della personalitˆ, in Tratt. Dir. Civ. e comm. 1982, ÒIl nome  strettamente inerente alla persona che appresenta ed individua in sŽ medesima e nelle sue azioni (..) Per mezzo di quel segno distintivo che  il nome, si realizza il bene dellĠidentitˆ, consistente nel distinguersi nei rapporti sociali dalle altre persone, risultando per chi si  realmente (..). bIAnCA, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti. 1990, 175, secondo cui ÒIl diritto al nome tutela un interesse che  reputato essenziale della personaÓ. nIVArrA l., rICCIuTo V. e SCoGnAMIGlIo C., Diritto privato, I diritti della persona, in Foro Italiano, ÒInteso come diritto della persona, il nome non ha pi finalitˆ meramente identificativa ispirata ad unĠelementare esigenza di ordine pubblico: esso assume la qualitˆ di attributo fondamentale del soggetto;  espressione in grado di riassumere e riferire qualitˆ e caratteri a quel determinato soggetto; diviene elemento attraverso il quale il singolo pu˜ agire e distinguersi dalla massa indefinita degli altri consociatiÓ. (5) lĠart. 24, 2 co. dispone che ÒOgni fanciullo deve essere registrato subito dopo la nascita ed avere un nomeÓ (https://www.unric.org/html/italian/humanrights/patti2d.html). DoTTrInA 231 a new York il 16 dicembre 1966 e ratificato con legge del 25 ottobre 1977 n. 881, in vigore per l'Italia dal 15 dicembre 1978), dall'art. 7 della Convenzione sui diritti dell'infanzia (6) (fatta a new York il 20 novembre 1989, ratificata con legge del 27 maggio 1991 n. 176, vigente dal 12 giugno 1991 e in vigore per l'Italia dal 5 ottobre 1991). l'antroponimo (oggi in Italia costituito da prenome e cognome) segue precise regole di determinazione e trasmissione all'interno della societˆ (7). Tali regole sono, come si vedrˆ improntate a una marcata preminenza sociale del padre del nominando, il cui cognome  trasmesso nella maggior parte dei casi, e, quindi discriminano la madre rispondendo a superate concezioni patriarcali (8). 3. le regole pertinenti (9) in diritto italiano possono essere riassunte come segue: I.  di competenza dell'ufficiale di stato civile imporre il prenome non scelto dall'avente diritto nella dichiarazione di nascita (10), ovvero anche il cognome nel caso di minore abbandonato (11) o di genitori ignoti (12), - ipotesi da riferirsi ai casi in cui i genitori non abbiano abbandonato il figlio subito dopo la nascita, ma non abbiano dichiarato le proprie generalitˆ ovvero le abbiano declinate in modo falso -; II. i figli nati in costanza di matrimonio (giˆ legittimi) assumono il co( 6) Art. 7: 1. Il fanciullo  registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. 2. Gli Stati parti vigilano affinchŽ questi diritti siano attuati in conformitˆ con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui, se ci˜ non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolideÓ. (7) Segnatamente, le norme oggetto della sentenza in epigrafe, artt. 237, 262 e 299 del cc; 72, primo comma, del regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238 e 33 e 34 del d.P.r. 3 novembre 2000, n. 396. (8) la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 286 del 2016, ha richiamato le precedenti considerazioni svolte nella pregressa pronunzia n. 61 del 2006, definendo il sistema di trasmissione del cognome Òretaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestˆ maritale, non pi coerente con i principi dellĠordinamento e con il valore costituzionale dellĠuguaglianza tra uomo e donnaÓ. (9) Che, in diritto internazionale privato, sono determinate dalla legge nazionale ai sensi della Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, ratificata con legge 19 novembre 1984 n. 950, art. 1, con una significativa eccezione operata dall'art. 5 ove la legge nazionale del neonato non sia determinabile. (10) Art. 29, co. 4. del d.P.r. n. 396 del 2000, ÒSe il dichiarante non dˆ un nome al bambino, vi supplisce l'ufficiale dello stato civileÓ. (11) Art. 38, del d.P.r. citato, ÒChiunque trova un bambino abbandonato deve affidarlo ad un istituto o ad una casa di cura. Il direttore della struttura che accoglie il bambino ne dˆ immediata comunicazione all'ufficiale dello stato civile del comune dove  avvenuto il ritrovamento. L'ufficiale dello stato civile iscrive negli archivi di cui all'art. 10 apposito processo verbale nel quale indica lĠetˆ apparente ed il sesso del bambino, cos“ come risultanti nella comunicazione a lui pervenuta, ed impone un cognome ed un nome, informandone immediatamente il giudice tutelare e il tribunale per i minorenni per l'espletamento delle incombenze di rispettiva competenzaÓ. (12) Art. 29, co. 5 del d.P.r. citato, ÒQuando si tratta di bambini di cui non sono conosciuti i genitori, l'ufficiale dello stato civile impone ad essi il nome ed il cognomeÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 gnome del padre in base a un complesso di norme e principi ben analizzate nella sentenza della Corte Costituzionale n. 286/2016 (13); III. ai figli legittimati (14) veniva attribuita la qualitˆ di figlio legittimo e con essa il cognome paterno, salva la diversa scelta di mantenere il cognome precedente ovvero di anteporre o aggiungere ad esso il cognome paterno, sancita dal d.P.r. 396, giˆ citato; IV. per il figlio nato fuori del matrimonio (giˆ naturale) sussistono ipotesi distinte: .) il figlio riconosciuto dalla sola madre assume il cognome materno, peraltro, salvo il caso della dichiarazione espressa della madre di non volere essere nominata nell'atto di nascita, il riconoscimento della madre  sostanzialmente inutile in quanto il processo verbale redatto dai sanitari che assistono la partoriente la identifica, ove possibile; .) il figlio riconosciuto congiuntamente dai genitori alla nascita o successivamente assume il cognome paterno (15); .) il figlio riconosciuto solo successivamente dal padre per atto unilaterale o il cui legame di filiazione sia stabilito con sentenza dal giudice, pu˜, ai sensi dell'art. 262 cc, assumere il cognome paterno in aggiunta o in sostituzione di quello materno, autonomamente se maggiorenne (16); .) nell'ipotesi di minore la decisione di assumere il cognome paterno viene effettuata dai legali rappresentanti, ove questi sia riconosciuto solo successivamente dal padre deve essere ratificata dall'autoritˆ giudiziaria (17) che deve ascoltare il minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di etˆ inferiore se sufficientemente maturo. Inoltre, l'attuale comma 3 dell'art. 262 del cc, come aggiunto dall'art. 27 comma 1b del d. lgs. n. 154 del 2013 consente di mantenere il cognome originario imposto dall'ufficiale di stato civile al figlio abbandonato o di ignoti solo se  divenuto segno autonomo della sua identitˆ (18). (13) Artt. 237, 262 e 299 del cc; 72, primo comma, del regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238 e 33 e 34 del d.P.r. 3 novembre 2000, n. 396. (14) la legittimazione  stata soppressa dall'art. 1, comma 10 della legge 10 dicembre 2012 n. 219 e conferiva al figlio naturale legittimato dal susseguente matrimonio dei genitori ai sensi dell'art. 283 del cc, ovvero dal provvedimento del giudice ai sensi dellĠart. 284 del cc (a suo tempo per decreto reale o del capo dello Stato) la qualitˆ di figlio legittimo. (15) Art. 262, 1 co., II periodo, cc, ÒSe il riconoscimento  stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padreÓ. (16) Art. 262, 2 e 3 co., cc, ÒSe la filiazione nei confronti del padre  stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio pu˜ assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Se la filiazione nei confronti del genitore  stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte del- l'ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente art.; il figlio pu˜ mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identitˆ personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambiÓ. (17) Ai sensi dell'art. 262 ultimo comma del cc, come aggiunto dall'art. 27 comma 1 del d. lgs. 28 dicembre 2013 n. 154. DoTTrInA 233 .) nel quinto caso, previsto dall'art. 33 comma 2 del citato d.P.r. 396 del 2000  fatta salva la facoltˆ del maggiorenne, il cui cognome sia variato, sia per riconoscimento negoziale o giudiziale da parte di uno o di entrambi i genitori, sia per legittimazione, di conservare il cognome originario attribuito dall'ufficiale di stato civile ovvero di anteporre o aggiungere a tale originario cognome quello nuovo; tale facoltˆ deve essere esercitata entro un anno dalla conoscenza della variazione del proprio cognome, espressa anche nel caso in cui il cognome sia mutato a seguito del cambiamento del nome del genitore che lo abbia trasmesso (19). V. Quanto alla filiazione adottiva, consentita, nella lettera originaria del cc, a tutti i maggiorenni, senza figli legittimi o naturali, nei confronti di adottati minorenni o maggiorenni,  sempre valsa la regola della aggiunta del cognome dell'adottante al cognome dell'adottato (20). lĠadottante poteva essere persona non coniugata o di sesso femminile (21). l'adozione dei minori, inizialmente denominata adozione speciale, venne introdotta dalla legge 5 giugno 1967 n. 831, sicchŽ le norme di cui agli articoli 291 e seguenti del cc sono rimaste riservate alla adozione di persone di maggiore etˆ. é appena il caso di ricordare che a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 19 maggio 1988 n. 537 (22) tale forma di adozione  stata consentita anche in presenza di discendenti legittimi che a ci˜ consentano; previsione estesa ai figli naturali dalla successiva decisione della Consulta del 20 luglio 2004 n. 245 (23). Tanto nella adozione speciale di cui all'art. 314/1 del cc, quanto nell'adozione legittimante di cui agli articoli 6 e ss. della legge 4 maggio 1983 n. 184, istituti entrambi riservati a coppie sposate ex art. 6 della legge 184 ed ex art. 314/2 del cc, lĠadottato assume il cognome degli adottanti (art. 27 della legge 184, art. 314/26 del cc) cio quello del padre adottivo in quanto suo figlio legittimo e coniuge della (18) ÒSe la filiazione nei confronti del genitore  stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente art.; il figlio pu˜ mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identitˆ personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambiÓ. (19) Art. 33, co. 2, del d.P.r. 396 del 2000, ÒIl figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonchŽ il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore etˆ, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, hanno facoltˆ di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitoreÓ. (20) Ai sensi dellĠart. 299, 1 co., cc, ÒL'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprioÓ. (21) Ai sensi del comma 3 dellĠart. 299, cc, ÒSe l'adozione  compiuta da coniugi, l'adottato assume il cognome del maritoÓ, mentre, ai sensi del comma 4, ÒSe l'adozione  compiuta da una donna maritata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di leiÓ. (22) Pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 21 del 25 maggio 1988. (23) Pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 29 del 28 luglio 2004. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 madre adottiva. Per l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44 della legge 184 del 1983, l'art. 55 della stessa legge opera un incongruo rinvio all'art. 299 del cc, cos“ estendendo le stesse norme relative agli adottati maggiorenni che sanciscono il principio dellĠaggiunta del cognome dellĠadottante. VI. nel soppresso istituto dellĠaffiliazione (24), in cui una persona di fiducia, cui fosse stato affidato dall'istituto della pubblica assistenza un minore, poteva essere nominato, come diremmo oggi, affidatario permanente del minore, assumendo i poteri della potestˆ genitoriale e l'obbligo di mantenimento, di istruzione ed educazione, senza creare alcun rapporto di parentela o successorio e con una crudele previsione di revocabilitˆ dellĠaffiliazione in caso di traviamento del minore, il cognome dellĠaffiliante poteva essere attribuito, su richiesta del medesimo, all'affiliato, a meno che l'affiliato non fosse figlio legittimo o naturale, caso in cui il cognome dellĠaffiliato era aggiunto al precedente (25). l'affiliazione, come ricordato da Pietro rescigno, era tipica di una societˆ agricola, aumentava la forza lavoro del capofamiglia senza incidere sulle future aspettative degli eredi dellĠaffiliante. Ci˜ considerato, sarebbe stato quindi un caso affatto eccezionale -anche se possibile -che una donna coniugata affiliasse da sŽ sola un minore. Anche in questo caso poteva essere attribuito un solo cognome, quello dellĠaffiliante (generalmente maschio) e non, ad esempio, quello di sua moglie che ben poteva chiedere al giudice tutelare di affiliare a sua volta il minore, fermo restando l'esercizio esclusivo della patria potestˆ in capo al marito (26) ai sensi dell'art. 409 ultimo comma del cc, che rinviava alle norme sulla filiazione legittima. Dunque, avvenuta l'affiliazione parallela di due coniugi, era possibile solo attribuire il cognome del marito (27). Conclusivamente, salvo il caso di figli abbandonati o privi di genitori i cui nomi fossero noti, in cui lo Stato impone dĠufficio nome e cognome, ai nati nel matrimonio  trasmesso il cognome paterno, per il complesso di norme e principi analizzati infra dalla Consulta, e ben espressi dalle regole III, IV . ed ., e cos“ avviene per i figli equiparati a quelli legittimi, i legittimati, e nel (24) lĠistituto dellĠaffiliazione, previsto dagli artt. 404-413 del codice civile,  stato abrogato dal- lĠart. 77 della legge n. 184 del 1983. (25) lĠart. 408 del cc prevedeva che ÒIl provvedimento che accoglie la domanda attribuisce al minore il cognome dell'affiliante, qualora questi ne abbia fatta richiesta. Se si tratta di un figlio legittimo o di un figlio naturale riconosciuto, il cognome dell'affiliante pu˜ soltanto essere aggiunto a quello del minoreÓ. (26) Ai sensi dell'articolo 409 ultimo comma del codice civile che rinvia alle norme sulla filiazione legittima. (27) Per le affiliazioni pronunciate in vigenza dell'istituto, restano fermi gli effetti, ma anche la possibilitˆ di chiederne la revoca o l'estinzione. Sulla base di ci˜, le indicazioni (vigenti) quando l'istituto dell'affiliazione era norma continuano a trovare applicazione. la l. 20 gennaio 1994, n. 48  stata emanata proprio per queste contingenze, altrimenti l'affiliato, a seguito di revoca / estinzione dell'affiliazione, avrebbe continuato a portare il cognome derivante da tale istituto (abrogato 11 anni prima della l. 48/1994) senza altre possibilitˆ. Dopo tale legge, conserva tale cognome, ma ha la facoltˆ di dismetterlo con la procedura ivi indicata. DoTTrInA 235 caso di adozione legittimante e della soppressa adozione speciale. la stessa regola si applica al figlio naturale riconosciuto da entrambi i genitori, ad eccezione del caso del figlio riconosciuto successivamente dal padre cui per˜ pu˜ spettare la facoltˆ di assumere il cognome paterno anche in sostituzione di quello materno, chiara espressione di una preferenza del legislatore in tal senso. Infine, nell'adozione particolare, a differenza di quella legittimante che vede come adottante una coppia coniugata, si applicano le regole dellĠart. 299 cc richiamate dallĠart. 55 l. 184, per cui, se ad adottare  una coppia, si aggiunge il cognome del marito. nel solo caso di cui allĠart. 44 b l. 184/83 il minore  adottato dal coniuge del suo genitore. le regole sul cognome generano non solo il diritto dovere dei figli di assumere e far valere il cognome del genitore, di solito quello maschio, ma anche il diritto del genitore di trasmettere il proprio cognome. 4. Che il citato d.P.r. 396 del 2000 preveda nell'attuale formulazione degli articoli da 89 a 94, grazie alle modifiche disposte dal d.P.r. del 13 marzo 2012 n. 54, la possibilitˆ di cambiare il cognome o di aggiungerne uno con un procedimento celere e spedito, affidato al Prefetto (28) -una volta riservato ai soli casi di cognomi ridicoli, vergognosi o rivelanti origine illegittima - in cui il provvedimento prefettizio di concessione (29), pu˜ essere accordato per qualsiasi valida ragione (in precedenza, invece, la richiesta di cambiare cognome, per altre ragioni, erano di competenza del Ministro, e, precisamente del Ministro dell'Interno dall'entrata in vigore del d.P.r. 396 (30), in prece( 28) lĠart. 89 del d.P.r. n. 396 del 2000, modificato dall'articolo 2, comma 1, del D.P.r. 13 marzo 2012, n. 54, dispone che Ò1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perchŽ ridicolo o vergognoso o perchŽ rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione Ž situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta. 2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere. 3. In nessun caso pu˜ essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenzaÓ. (29) la disciplina del decreto concessorio prefettizio  disciplinata dallĠart. 91 del citato d.P.r. 396/2000, ad avviso del quale, ÒTrascorso il termine di cui all'articolo 91, il richiedente presenta al prefetto un esemplare dell'avviso con la relazione attestante l'eseguita affissione e la sua durata nonchŽ la documentazione comprovante le avvenute notificazioni, ove prescritte. 2. Il prefetto, accertata la regolaritˆ delle affissioni e delle notificazioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto. 3. Il decreto di concessione di cui al comma 2, nei casi in cui vi  stata opposizione, deve essere notificato, a cura del richiedente, agli opponentiÓ. (30) la disciplina originaria prevedeva allĠart. 84 del d.P.r 396 del 2000 che ÒChiunque vuole cambiare cognome o aggiungere al proprio un altro cognome deve farne richiesta al Ministero dellĠInterno esponendo le ragioni della domandaÓ, e al successivo art. 85 che ÒLa richiesta  presentata al prefetto della provincia dove il richiedente ha la residenza. Il prefetto assume sollecitamente informazioni sulla domanda e la spedisce al Ministero dellĠInterno con il parere e con tutti i documenti necessariÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 denza del Capo dello Stato che provvedeva con decreto su proposta del Ministro della Giustizia, all'esito di unĠistruttoria condotta dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello competente, e doveva fondarsi su serie e gravi ragioni il cui apprezzamento era soggetto a una notevole discrezionalitˆ, come ultimamente ritenuto dal Consiglio di Stato sezione IV nella sentenza n. 106 del 1989) (31), se pu˜ risolvere problemi pratici, osta al riconoscimento del diritto fondamentale della madre a trasmettere il proprio cognome, come posto in luce dalla giurisprudenza di Strasburgo che infra sarˆ analizzata. Tale valida ragione pu˜ ben consistere nella volontˆ di assumere il cognome materno. Anche sotto la previgente disciplina, il Consiglio di Stato, nel parere della sezione I del 17 marzo 2004 n. 515, reso su ricorso straordinario al Presidente della repubblica, ha invece ritenuto applicabile alla predetta, appesantita procedura il caso di sostituzione del cognome paterno con quello materno per il principio che era inaccettabile che il ministro opponesse, dopo il parere favorevole del Procuratore Generale della repubblica, come ragione ostativa, la necessitˆ di identificare il richiedente con il cognome paterno per indicare il suo status di figlio legittimo, status che non era deteriore rispetto a quello di figlio naturale riconosciuto dalla madre. Ci˜ era tanto pi vero se sussisteva la concorde valutazione dei genitori esercenti la potestˆ ai sensi dell'art. 316 del cc, valutazione alla quale la pubblica amministrazione non poteva sostituirsi, potendola disattendere solo in caso di esistenza di ulteriori e superiori interessi attinenti alla sicurezza pubblica o alla necessitˆ di evitare confusione nella identificazione di importanti rapporti sociali. Con una motivazione pi stringata, negli stessi sensi la sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV n. 2572 del 2004 che valorizza le ragioni di carattere affettivo e il parere positivo del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, competente all'istruttoria per conto del Ministro della Giustizia ai sensi del regio Decreto del 9 luglio 1939 n. 1238, articoli 153 e seguenti (32). la Corte di Cassazione, con sentenza n. 27069 del 2011 ha negato, nel caso di riconoscimento successivo del padre, un obbligo del giudice di privilegiare il patronimico a scapito dell'interesse del minore alla tutela della propria (31) Cons. Stato Sez. IV, 25 gennaio 1999, n. 63, ha affermato che ÒIl provvedimento che autorizza o nega l'aggiunta di cognome ha carattere discrezionale, dovendo lo stesso contemperare da un lato l'interesse pubblico (a che i cognomi siano tendenzialmente stabili nel tempo, allo scopo di assolvere alla funzione identificativa degli individui) e dall'altro l'interesse privato (in particolare quello del richiedente -che pu˜ fondarsi su una pluralitˆ di ragioni, di ordine morale, economico, familiare, affettivo ecc. - ma anche di colui che  giˆ portatore di quel cognome); pertanto i criteri seguiti per accogliere o negare l'istanza di aggiunta del cognome sono sindacabili dal giudice amministrativo, sotto il profilo della loro idoneitˆ a perseguire e tutelare gli interessi coinvoltiÓ. (32) lĠart. 154 del decreto citato prevede che ÒLa domanda  presentata al procuratore generale presso la Corte di appello nella cui giurisdizione il richiedente ha la sua residenza. Il procuratore generale assume sollecitamente informazioni sulla domanda e la spedisce al ministro per la grazia e giustizia con il suo parere e con tutti i documenti necessariÓ. DoTTrInA 237 integrale identitˆ, giˆ assicurato dal cognome materno attribuitogli (33). Conclusivamente, pu˜ dirsi che, anche grazie all'intervento del legislatore, dopo le illuminanti pronunzie del Supremo Consesso amministrativo, che ha incluso nella snella procedura prefettizia di cui agli articoli 89 e seguenti del d.P.r. 396 tutti i casi di cambiamento di cognome, salvo casi eccezionali, chiunque possa chiedere l'attribuzione del cognome materno o del doppio cognome. Ci˜ non esaurisce tuttavia la questione che, precisamente, verte sulla attribuzione originaria del cognome materno nell'atto di nascita e non sulla soddisfazione di un interesse affettivo con un provvedimento pur sempre discrezionale e successivo della pubblica amministrazione. Tuttavia la Cassazione con la propria recentissima decisione 19606 del 2016 ha ritenuto interamente soddisfatta la pretesa dei genitori coniugati a trasmettere il doppio cognome o, in subordine, il solo cognome materno con il decreto prefettizio previsto dal citato art. 89, confermando la declaratoria di cessazione della materia del contendere pronunziata in appello e collidendo con i precedenti di Strasburgo: dalla scarna motivazione non  dato comprendere se tale beneficio grazioso della pubblica amministrazione sia intervenuto a breve distanza dalla nascita dei minori o meno (34). Comunque pur se nel rito ex art. 95 del d.P.r. (33) nel caso di specie, la Corte d'Appello di Caltanissetta, con provvedimento del 16 ottobre 2009, reso nei confronti di l.n. e T.A., in riforma del provvedimento del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta del 26-5/11-6-2009, attribuiva ex art. 262 c.c. al minore D., figlio naturale delle parti, riconosciuto prima dalla madre e poi dal padre, il cognome di entrambi i genitori. la Corte di Cassazione affermava che ÒCriterio direttivo deve essere quello di salvaguardare l'identitˆ personale del soggetto. N si potrebbe affermare che l'identitˆ di un minore in tenerissima etˆ non sussista. Il relativo diritto richiama l'esigenza di essere se stessi, nella prospettiva di una compiuta rappresentazione della personalitˆ individuale in tutti i suoi aspetti ed implicazioni, nelle sue qualitˆ ed attribuzioni; diritto alla propria identitˆ, sottoposta ai medesimi mutamenti della personalitˆ individuale (e quindi diritto "alla personalitˆ" e alle condizioni che ne garantiscono lo sviluppo). Si dovrˆ dunque guardare al "vissuto" del minore, alla sua vita trascorsa, ma pure alle eventuali prospettive future. Ovviamente la valutazione concreta del giudice di merito, se sorretta da adeguata motivazione,  incensurabile in questa sede. Chiarisce il giudice a quo che il minore, pur in tenerissima etˆ, fino ad oggi ha vissuto con la madre, e non si prospetta da parte dei genitori il proposito di vivere stabilmente insieme. Pur mantenendo D. rapporti con il padre -continua il provvedimento impugnato - da presumere che egli vivrˆ prevalentemente con la madre e la famiglia di lei. Corrisponde dunque al suo interesse aggiungere il cognome del padre a quello originario della madre, e garantire, anche in prospettiva, la tutela della sua identitˆ personale, in relazione all'instaurato ambiente familiare e sociale di vitaÓ. (34) nel caso di specie, con ordinanza depositata il 13 novembre 2014 la Corte d'appello di Trento aveva dichiarato cessata la materia del contendere, in relazione al reclamo proposto da S.A. e G.M. avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto la loro richiesta di rettifica dell'atto di nascita dei minori K. e S.e. mediante attribuzione agli stessi del doppio cognome, con aggiunta di quello materno a quello paterno o, in subordine, con attribuzione agli stessi del solo cognome materno. la Corte territoriale aveva ritenuto che l'intervento, nel corso del procedimento, del provvedimento del Commissario del Governo, con il quale era stata accolta la richiesta principale di attribuzione del doppio cognome, avesse consentito ai reclamanti di conseguire pienamente il bene della vita al cui ottenimento era diretto il reclamo. la Suprema Corte confermava la declaratoria di cessazione di materia del contendere, affermando che i ricorrenti avessero giˆ conseguito, mediante decreto prefettizio ex art. 89, lĠutilitˆ perseguita con lĠiniziativa giurisdizionale. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 396 del 2000 scelto dalle parti nel caso di specie non pu˜ aver luogo il risarcimento del danno subito dalla madre, come ritenuto dalla Cassazione, nella fattispecie non pare preclusa un'autonoma e successiva azione risarcitoria instaurata con rito ordinario. 5. Diverso problema  quello del diritto di un minore nato da coppia coniugata formata da coniugi di diversa nazionalitˆ e a cui sia trasmessa la cittadinanza di ciascun genitore a mantenere in Italia il doppio cognome che gli spetterebbe secondo una o entrambe tali leggi nazionali. Premessa l'applicabilitˆ del citato art. 89 del d.P.r. n. 396 del 2000, I. nei casi in cui il minore non sia nato in Italia  pacifica la circolazione del doppio cognome acquisito all'estero, perchŽ l'atto di nascita cos“ formato proprio per la possibilitˆ, riconosciuta anche dallo Stato italiano, di ottenere un doppio cognome in via amministrativa, non pu˜ essere considerato contrario all'ordine pubblico internazionale. Va ribadito l'insegnamento della Corte di giustizia dell'unione europea dei casi Garcia Avello contro Belgio sentenza del 2 ottobre 2003 C-148/02 (35) e Grunckin Paul contro Germania, sentenza del 14 ottobre 2008 C-353/2006 (36). Ai sensi degli allora rubricati articoli 17 e 18 del trattato istitutivo dellĠunione europea, ora articoli 20 e 21 del Trattato sul Funzionamento dell'unione europea, il cittadino europeo gode del diritto fondamentale di circolare liberamente tra gli Stati membri, e tale diritto  ostacolato, in quanto reso pi difficile, dalla circostanza che un minore, che come, (35) Con ordinanza 21 dicembre 2001, pervenuta alla Corte il 24 aprile 2002, il Conseil d'ƒtat (Consiglio di Stato) aveva sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 234 Ce, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione degli artt. 17 Ce e 18 Ce. la questione era sorta nell'ambito di una controversia tra il sig. C. Garcia Avello, in qualitˆ di legale rappresentante dei suoi figli, e lo Stato belga in merito a una domanda di cambiamento del cognome di questi ultimi. la Corte afferm˜ che ÒAlla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quelle della causa principale, l'autoritˆ amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorchŽ la domanda  volta a far s“ che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membroÓ. (36) nel caso di specie veniva presentata domanda di pronuncia pregiudiziale vertente verte sullĠinterpretazione degli artt. 12 Ce e 18 Ce, proposta alla Corte, ai sensi dellĠart. 234 Ce, dallĠAmtsgericht Flensburg (Germania) con decisione 16 agosto 2006, pervenuta in cancelleria il 28 agosto 2006, nella quale il sig. Grunkin e la sig.ra Paul, da una parte, e lo Standesamt niebŸll (ufficio dello stato civile della cittˆ di niebŸll), dallĠaltra, in merito al rifiuto, da parte di questĠultimo, di riconoscere il cognome del figlio leonhard Matthias, cos“ come esso  stato determinato e registrato in Danimarca, e di iscrivere questĠultimo nel libretto di famiglia aperto per loro presso il detto servizio. la Corte afferm˜ che occorre risolvere la questione sollevata nel senso che, in circostanze come quelle della causa principale, lĠart. 18 Ce osta a che le autoritˆ di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figlio cos“ come esso  stato determinato e registrato in un altro Stato membro in cui tale figlio - che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro -  nato e risiede sin dalla nascita. DoTTrInA 239 nel primo caso, sia al contempo cittadino spagnolo e belga e sia nato in belgio, si trovi ad avere cognomi diversi in diversi stati membri (37). Anche le norme che ineriscono a materie riservate agli stati, come quelle sui cognomi, non possono porre ostacoli o rendere pi difficile l'esercizio di tale diritto fondamentale. nel caso Garc“a Avello,  noto, il belgio, che aveva formato l'atto di nascita, non aveva attribuito al minore il doppio cognome che gli sarebbe spettato secondo la legge spagnola. la Corte si  espressa nello stesso senso anche nel secondo caso, in cui il minore interessato, figlio di un tedesco e di una danese, divorziati, residente con la madre affidataria in Danimarca e, per inciso soggetto a frequenti spostamenti tra i due Stati per il pacifico esercizio del diritto di visita, fosse in possesso della sola cittadinanza di uno Stato membro, in quel caso la Germania (che non riconosce il doppio cognome), ma il cui atto di nascita era stato redatto in Danimarca, applicando il doppio cognome in ossequio alla legge locale. PoichŽ la Germania aveva rifiutato di trascrivere l'atto di nascita con il doppio cognome perchŽ esso non era previsto dalla propria legge, la Corte aveva cionondimeno dichiarato incompatibile con l'art. 18 del Trattato sulla Comunitˆ europea la normativa tedesca, nella parte in cui rendeva pi difficili i frequenti passaggi di frontiera del minore stesso disconoscendogli il cognome attribuitogli in Danimarca e ivi pacificamente portato. Questa giurisprudenza  immediatamente applicabile all'ufficiale di stato civile italiano, che deve applicare, di preferenza, il diritto comunitario prevalente, (37) lĠart. 20 del TFue dispone che Òé istituita una cittadinanza dell'Unione. é cittadino del- l'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro: a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; b) il diritto di voto e di eleggibilitˆ alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; c) il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non  rappresentato, della tutela delle autoritˆ diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua. Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessiÓ. lĠart. 21 del TFue dispone che ÒOgni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Quando un'azione dell'Unione risulti necessaria per raggiungere questo obiettivo e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare disposizioni intese a facilitare l'esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1. Agli stessi fini enunciati al paragrafo 1 e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, pu˜ adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale. Il Consiglio delibera all'unanimitˆ previa consultazione del Parlamento europeoÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 come deciso dal Tribunale di roma con decreto del 30 gennaio 2006 (38). la pubblica amministrazione si  solo parzialmente adeguata con una circolare del Ministero dellĠInterno la n. 397 del 15 maggio 2008 (39), che vieta di ret (38) Il Tribunale di roma, con decreto 30 gennaio 2006, espressamente richiamando quanto affermato dalla CGue nella sentenza 2 ottobre 2003, in C 148-2002, si  adeguato al principio secondo cui gli Òartt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quelle della causa principale, l'autoritˆ amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorchŽ la domanda  volta a far s“ che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membroÓ ed ha ordinato allĠufficiale di Stato civile di roma di eliminare la correzione con la quale aveva espunto il cognome materno da una registrazione di atto di nascita di un minore figlio legittimo di cittadino italiano e cittadina portoghese, nato in belgio e perci˜ portatore di doppia cittadinanza. (39) A fini di completezza si riporta il testo della circolare del Ministero dellĠInterno, n. 397 del 15 maggio 2008, ÒCome  noto l'articolo 98 del D.P.R. n. 396/2000 prevede che l'ufficiale dello stato civile, al momento di ricevere l'atto di nascita di un cittadino nato all'estero, al quale sia stato imposto un cognome diverso da quello spettante ai sensi della normativa italiana, provvede d'ufficio alla correzione dell'atto di nascita secondo la normativa italiana, attribuendo pertanto, allo stato attuale, il cognome paterno. La prassi amministrativa  stata unanime nell'applicare il predetto principio, con correzione ex ufficio del cognome senza il consenso dell'interessato, sia a) ai casi di soggetti in possesso della sola cittadinanza italiana, ma nati all'estero, sia b) ai casi di soggetti in possesso di doppia cittadinanza. Nessun dubbio vi  circa la necessitˆ di una correzione ex lege nel caso di soggetto in possesso della sola cittadinanza italiana che per˜, essendo nato all'estero, si  visto attribuire un cognome diverso da quello spettante ai sensi della legge italiana (caso sub a). é del tutto evidente che in questi casi l'articolo 98  sicuramente applicabile, al pari dei casi di acquisto della cittadinanza italiana e perdita di quella precedente. Molto pi delicati sono invece i casi (sub b) nei quali al minore  stato attribuito un cognome diverso, secondo la normativa del Paese di cui pure  cittadino. Il caso pi frequente  quello relativo ai minori nati in paesi di tradizione spagnola o portoghese che prevedono l'attribuzione al minore sia del primo cognome paterno sia del primo cognome materno. In tali casi, anche quando il minore  fornito di doppia cittadinanza, si  finora interpretata la legge nel senso d“ far prevalere la legge italiana e procedere pertanto alla correzione dell'atto di nascita, attribuendo al minore il solo cognome paterno. Tale interpretazione deve ora essere necessariamente rivista. In primo luogo, nel caso di minore in possesso di doppia cittadinanza, italiana ed di altro paese facente parte dell'Unione Europea, si ritiene che la modifica, senza il consenso dell'interessato, del cognome originariamente attribuito in un diverso paese UE, si ponga in contrasto con la normativa europea. A tal proposito si richiama quanto indicato dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 2 Ottobre 2003, resa nel caso C-148/02 nei confronti del Belgio, e relativa al caso di un soggetto in possesso della doppia cittadinanza spagnola e belga. In questa sentenza, la Corte di Giustizia UE, pur avendo ribadito che le norme che disciplinano il cognome rientrano nella competenza degli stati membri, ha altres“ statuito che l'ordinamento interno deve consentire all'interessato la possibilitˆ di richiedere alle autoritˆ amministrative competenti un provvedimento che consenta di conservare il cognome acquisito al momento della nascita. Pertanto, tenuto anche conto del parere in tal senso ricevuto dal Consiglio di Stato in sede consultiva, gli ufficiali dello stato civile, nelle ipotesi di soggetti muniti d“ cittadinanza italiana e di cittadinanza di altro paese UE, non potranno, senza il consenso dell'interessato, correggere ex articolo 98 il cognome attribuito nell'altro paese di cittadinanza, secondo le norme ivi vigenti. Alla medesima conclusione si ritiene d“ dover pervenire, anche se per diverse motivazioni giuridiche, per i casi di cittadini italiani in possesso anche della cittadinanza di un paese extraeuropeo. Infatti, sono state emesse ormai numerose decisioni dell'autoritˆ giurisdizionale italiana, di annullamento dei provvedimenti di correzione effettuati dagli ufficiali dello stato civile. La gran parte di tali provvedimenti riguarda cittadini italiani in possesso anche della cittadinanza di un paese sudamericano, dove vige l'uso, di tradizione spagnola e portoghese, di attribuire al minore sia il cognome paterno sia il cognome materno. Le decisioni hanno messo in DoTTrInA 241 tificare ai sensi dell'art. 98 del d.P.r. 396, un doppio cognome legittimamente acquisito all'estero da un minore in possesso la cui legge nazionale ci˜ consenta. la successiva circolare n. 14 del 2012, per il caso di nascita all'estero e di possesso di una sola cittadinanza raccomanda, invece, lĠaccoglimento delle istanze di concessione del doppio cognome presentate ai sensi del citato art. 89, dopo la trascrizione dell'atto di nascita in Italia (40). luce che il testo dell'articolo 98 si riferisce ai soli casi di cittadini italiani nati all'estero e non menziona la diversa ipotesi di soggetti muniti di doppia cittadinanza. In aggiunta a tale argomentazione di carattere testuale, si deve inoltre tener presente che il nome  incontrovertibilmente un diritto della personalitˆ, specificamente tutelato anche a livello costituzionale (articoli 2 e 22), oltre che dalla normativa ordinaria (articolo 6 del Codice Civile). Tenuto conto del rango di tale diritto, una modifica "coattiva" del cognome potrebbe essere consentita solo in presenza di diritti di rango parimenti elevato. Nello stesso senso s“  anche espresso il Consiglio di Stato il quale ha posto in luce come l'articolo 7 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176, prevede la protezione del cognome attribuito al momento della nascita. II Consiglio di Stato, proprio in relazione all'ipotesi di doppio cognome attribuito nei paesi sudamericani, ha pertanto indicato che quando il doppio cognome attribuito all'estero abbia ormai acquisito carattere di autonomo segno distintivo del soggetto, non si debba procedere alla correzione ex articolo 98. Per fini di completezza si fa notare che l'articolo 19 della L. 218/95 non  di ostacolo alla interpretazione sopra ricordata. Infatti, tale norma che prevede la prevalenza, in via generale, della normativa italiana nei casi di doppia nazionalitˆ, nulla dice sulla necessitˆ di modificare il cognome legittimamente attribuito all'estero, al minore fornito di doppia cittadinanza. Sulla base di quanto precede, in caso di soggetti nati all'estero ed in possesso della cittadinanza italiana sia di quella di un paese estero, l'ufficiale di stato civile procederˆ ad iscrivere l'atto di nascita attribuendo al soggetto il cognome indicato nell'atto di nascita. Resta fermo che l'interessato, in qualitˆ di cittadino italiano, al momento della trascrizione dell'atto di nascita, possa richiedere con apposita istanza all'ufficiale dello stato civile, l'applicazione della normativa italiana e quindi l'acquisizione del solo cognome paterno. Si precisa che i princ“pi di cui sopra riguardano il solo cognome attribuito alla nascita. Come  noto in alcuni paesi la donna acquisisce il cognome del marito a seguito del matrimonio ma  importante ribadire che per l'ordinamento italiano il cognome da prendere a riferimento  solo quello attribuito al momento della nascita, per motivi di coerenza con il sistema complessivo ed in coerenza con i principi costituzionali in materia di paritˆ tra i sessi. La correzione ex articolo 98 continua pertanto ad essere applicabile alle ipotesi di attribuzione al cittadino italiano che nasca all'estero, di un cognome diverso da quello che altrimenti spenderebbe (ad esempio, per errore di individuazione del cognome spettante da parte dell'ufficiale dello stato civile estero, dovuto anche alla mancata conoscenza, sempre da parte del medesimo ufficiale dello stato civile, della norma applicabile in Italia, come previsto dall'articolo 5 della Convenzione di Monaco), e nei casi di trascrizione degli atti di nascita di stranieri divenuti cittadini italiani, perdendo la cittadinanza di origine (articolo 1, e. 2 di detta Convenzione)Ó. (http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/com.%20urg.statocivile-bis.pdf). (40) la circolare n. 14 del 21 maggio 2012 del Ministero dellĠInterno dispone quanto segue, ÒIn generale, in relazione alle domande di modifica del cognome, ora assegnate alla competenza decisionale del Prefetto, si ricorda che per costante giurisprudenza l'ordinamento dello stato civile prevede un "ampio riconoscimento della facoltˆ di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di discrezionalitˆ riservata alla Pubblica Amministrazione deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell'interesse privato del soggetto al cambiamento del proprio cognome, ritenuto anch'esso meritevole di tutela dall'ordinamento" (Consiglio di Stato 26 aprile 2006 n. 2320) e che pertanto "il provvedimento ministeriale negativo debba essere specificamente e congruamente motivato" (Consiglio di Stato 26 giugno 2002 n. 3533). Secondo il Consiglio di Stato, il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento del cognome costituisce provvedimento eminentemente discrezionale da cui discende, come logico corollario "che il sindacato giurisdizionale dello stesso pu˜ essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione". Tanto premesso, si evidenzia in primo luogo che le fattispecie di maggiore ricorrenza, tra le istanze ordinariamente presentate, attengono alla richiesta di aggiunta di cognome materno a quello paterno o di sostituzione del cognome materno a quello paterno. Come noto, nel nostro ordinamento, la regola non scritta, ma desumibile da vari elementi ricavabili dall'insieme delle norme e quella di attribuire al figlio il cognome paterno. Alle ragioni tradizionali legate all'interpretazione dell'art. 29 della Costituzione in termini di garanzia dell'unita familiare, si contrappongono oggi con forza sempre crescente diritti come quello alla paritˆ tra i sessi, anche nella scelta del cognome, e di tutela dell'identitˆ di ciascun genitore. A fronte delle considerazioni favorevoli espresse in tema anche dalla Corte Costituzionale con sentenza del 16 febbraio 2006 n. 61, in merito alla quale si rinvia alla circolare n. 21 del 30 maggio 2006, la ponderazione degli interessi in gioco  legata, a norma invariata, a circostanze e motivazioni tali da renderlo meritevole di tutela. Ovviamente il giudizio di meritevolezza delle istanze in parola si dovrˆ muovere con diversa cautela, distinguendo i casi di aggiunta del cognome materno e quelli di sostituzione al cognome paterno esigendo, quest'ultima ipotesi, motivazioni sottese all'istanza particolarmente pregnanti. La giurisprudenza (Consiglio di Stato 25 gennaio 1999 n. 63), infatti, distingue tra aggiunta e sostituzione, rilevando come nella prima ipotesi si introduca un ulteriore elemento identificativo, mentre nella seconda si giunga all'eliminazione di un segno distintivo. Particolare attenzione andrˆ maggiormente posta nei casi di sostituzione del cognome paterno con altro cognome soprattutto se riferito a un minore (in genere cognome del nuovo coniuge o compagno della madre), ove andrˆ valutato nel concreto l'interesse del minore, nonchŽ l'interesse del padre. In tutti i casi su indicati, riferiti a minori, si richiamano in proposito le disposizioni di cui alla citata circolare n. 15 del 12 novembre 2008, circa l'esigenza e l'opportunitˆ di acquisire il consenso comunque di entrambi i genitori a meno che non vi siano peculiari e comprovate circostanze familiari tali da arrecare pregiudizio al minore stesso quale la decadenza della potestˆ genitoriale a carico di uno di loro. Relativamente invece alle numerose istanze volte a variare il cognome per vedersi attribuito il doppio cognome paterno e materno, acquisito nel paese estero di nascita, prevalentemente secondo la tradizione ispanica o portoghese, si ricorda innanzitutto che non  pi necessario, nella maggior parte dei casi, ricorrere al procedimento di cambiamento di cognome. Infatti come indicato con la circolare n. 397 del 15 maggio 2008 e con la circolare n. 4 del 18 febbraio 2010, i soggetti nati all'estero ed in possesso alla nascita di doppia cittadinanza, italiana e del paese straniero di origine, possono rivolgersi direttamente all'ufficiale della stato civile per la modifica del cognome richiesto, senza necessitˆ di avvalersi della procedura del cambio di cognome. Si rinvia, in merito alle citate circolari, a quanto riportato, nel dettaglio, nel testo del Massimario, che ne evidenzia l'ambito di azione con riguardo ai casi dove continua a prevalere l'applicazione dell'art. 98, comma 2, del D.P.R. 396/2000 relativo al mantenimento del cognome paterno secondo la legge italiana. Negli altri casi di richiesta di aggiunta del cognome materno, sempre riferiti al ripristino del cognome di origine, ma modificato in sede di concessione della cittadinanza, sarˆ invece possibile agire per il tramite del procedimento di cambiamento di cognome, senza che al riguardo possano esservi, in linea di massima, preclusioni di sorta anche alla luce degli orientamenti costituzionali in materia, giˆ sopra evidenziati, e ai principi rinvenibili anche nella decisione ultima della Corte di Giustizia UE (C-353-2008 del 21 ottobre 2008) che ha riaffermato il principio generale dell'intangibilitˆ del cognome originario, con riguardo alla precedente nota decisione C148/ 02 del 2 ottobre 2003, in quanta identificativo della persona, statuendo anche che gli ordinamenti interni dei paesi membri devono consentire agli interessati di poter mantenere il cognome di origine secondo le disposizioni interne, in presenza o meno della doppia cittadinanza, a sostegno del valore dell'identitˆ acquisita. Sono infatti numerose le istanze, generalmente definite ad oggi in termini positivi, tendenti al ripristino del doppio cognome, anche richieste a favore del minore, casi che attengono prevalentemente ad uniformare l'identitˆ del soggetto in entrambi i paesi di cui  cittadino, per i quali valgono ovviamente le considerazioni in tema di consenso di entrambi i genitori. In tale ambito rientrano anche le istanze, nel tempo sempre pi ricorrenti, presentate da donne provenienti soprattutto dai paesi dell'Europa dell'est, alle quali una volta acquisita la cittadinanza italiana, viene imposto il cognome paterno, da tempo abbandonato per quello del coniuge secondo l'ordinamento del paese di provenienza. Anche in tali casi, spesso l'esigenza  quella di uniformare il cognome del soggetto in entrambi i paesi di cui  cittadino, esigenza di cui va tenuto conto soprattutto quando l'interesse prevalente  quello di tutelare l'identitˆ acquisita e consolidata nel tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale. Ovvia DoTTrInA 243 II. nei casi di nascita in Italia di bambini con due cittadinanze, una delle quali garantisca il doppio cognome, la dichiarazione di nascita dovrˆ essere resa al consolato di quello Stato, con le intuibili difficoltˆ di ordine pratico che ne conseguono, pena l'attribuzione del solo cognome paterno; la stessa recente decisione della Consulta di cui infra tronca il problema solo nel caso di auspicabile accordo tra i coniugi. la Corte di Cassazione, con sentenza 17642 del 2013, relativa a un minore peruviano cui era stata attribuita in seguito anche la cittadinanza italiana e di conseguenza cassato il cognome materno ai sensi dell'art. 28 comma due del d.P.r. 396, adducendo a pretesto che la Convenzione di Monaco, sopra citata, al comma 2 dell'art. 1 prevede l'applicazione della nuova legge nazionale in caso di cambiamento di cittadinanza, ha accolto il ricorso proposto nell'interesse del minore (41). l'art. 1 comma 2 della citata Convenzione non si applica quando la cittadinanza italiana semplicemente si aggiunge a quella originaria straniera, e quindi il doppio cognome (segno fondamentale dell'identificazione del minore e suo diritto della personalitˆ) non pu˜ essere modificato con riferimento alle situazioni endonazionali. III. In caso di nascita in Italia di minore con cittadinanza straniera che consenta la trasmissione del cognome materno ovvero plurime cittadinanze mente queste considerazioni di attenzione valgono anche per le istanze volte al ripristino del cognome originario sempre modificato con l'assegnazione del cognome paterno in sede di concessione della cittadinanza italiana, secondo l'ordinamento nazionale. Particolare attenzione viene evidenziata con riguardo non solo ai limiti posti dall'ultimo comma dell'art. 89, che  rimasto invariato, relativo alle richieste di attribuzione di cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie illustri, ma anche l'inammissibilitˆ di quelle volte ad ottenere la cognomizzazione di un predicato nobiliare o comunque tendenti ad aggirare l'art. XIV delle Disposizioni finali e transitorie della Costituzione, come nel dettaglio chiarito dalla circolare n. 10 del 3 settembre 2008, in quanto la cognizione di tali domande  di competenza esclusiva dell'autoritˆ giudiziaria ordinaria, come da ultimo anche ribadito dal Consiglio di Stato in data 5 febbraio 2009 n. 668. Si ricorda, inoltre, come indicato nella circolare n. 15 del 21 marzo 2007 e ribadito nella suindicata circolare n. 15/2008, che qualora l'istanza sia riferita ad un comprovato errore riportato nella documentazione di nascita dell'interessato, il cittadino non dovrˆ necessariamente presentare istanza di cambiamento di cognome e dovrˆ essere informato della possibilitˆ di ottenere la rettifica ai sensi dell'art. 98, comma 1 del D.P.R. 396/2000. Parimenti, come riportato anche nel Massimario, nei casi di riconoscimento di figlio naturale maggiorenne, questi potrˆ avvalersi dell'art. 262 del c.c. per poter scegliere nei termini di legge il cognome di sua preferenza, senza doversi avvalere della procedura del cambio di cognome. Trattasi di casistiche che, in risposta alla semplificazione del procedimento amministrativo, possono essere meglio risolte, a vantaggio del cittadino e della stessa pubblica amministrazione, con una linea di azione pi celere e senza comportare alcun onere economico. Si rammenta, infine, che nel caso in cui la richiesta di modifica del cognome sia motivata dall'avere l'istante ottenuto la medesima modifica all'estero, il procedimento amministrativo  necessario solo nel- l'ipotesi in cui il provvedimento straniero abbia carattere amministrativo. Se invece il provvedimento  stato emesso all'estero da un'autoritˆ giurisdizionale, esso potrˆ essere riconosciuto direttamente in Italia, qualora risultino soddisfatte le condizioni di cui agli artt. 64 e seguenti della legge 218/1995Ó. (http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/23/0682_Circolare_210512_n1 4_cambio_cognome.pdf) (41) Art. 1, comma 2, Convenzione di Monaco, ÒIn caso di cambiamento di nazionalitˆ, viene applicata la legge dello Stato della nuova nazionalitˆÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 straniere una delle quali ci˜ preveda, il doppio cognome  attribuito dĠufficio, in applicazione della citata Convenzione (42). IV. In caso di nascita in Italia, con doppia cittadinanza, italiana e straniera, la quale ultima consenta detta trasmissione, occorre redigere l'atto di nascita in consolato: in subordine, ai sensi della recente decisione della Consulta, anche in Comune con l'accordo dei genitori, in estremo subordine procedere in via amministrativa ai sensi dell'art. 89 del decreto 396. In difetto il bambino assume il cognome paterno. V. In caso di nascita all'estero, e di cittadinanza come nel caso II) il doppio cognome viene mantenuto in caso di trascrizione in Italia. VI. In caso di nascita all'estero e di cittadinanza come nel caso III) l'atto di nascita redatto all'estero non pu˜ essere modificato in ossequio della citata circolare. Appare evidente che la prassi applica direttamente proprio i principi di Garcia Avello (dove la nascita del minore era avvenuta in uno stato in cui si attribu“ per tradizione solo il cognome paterno, il belgio, Stato che aveva quindi regole identiche a quelle italiane), ma che le nostre autoritˆ sembrano apprezzare i problemi internazionalprivatistici solo ove la fattispecie sia di origine straniera, mentre ove la stessa sia di origine italiana, l'applicazione uniforme del diritto italiano li oblitera ufficiosamente. Il cognome, giova osservare,  conservato anche se la fattispecie sia concernente un cittadino italiano o extracomunitario, stante la natura assoluta del relativo diritto ai sensi dell'art. 7 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, come riconosciuto dalla circolare 357 del 2008 sopra citata. 6. nel sistema della CeDu, il diritto al nome, sotto i profili della sua attribuzione e mantenimento nonchŽ della tutela nei confronti dei terzi, ricade nelle scelte che attengono alla vita familiare e privata (43). Il godimento dei diritti tutelati dall'art. 8 non pu˜ essere limitato, ossia soggetto a ingerenza da parte di uno Stato membro, se non per legge, e se la limitazione risponda a precisi interessi enumerati dal comma due dell'articolo: quali, la necessitˆ in una societˆ democratica di tutelare la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza o il benessere economico del paese, i beni dell'ordine pub (42) I cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui  cittadino. A questo solo scopo, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi vengono valutate secondo la legge di detto Stato. In caso di cambiamento di nazionalitˆ, viene applicata la legge dello Stato della nuova nazionalitˆ. (43) la tutela del diritto al nome rientra nel campo di azione dellĠart. 8 della CeDu, secondo cui, ÒOgni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non pu˜ esservi ingerenza di una autoritˆ pubblica nellĠesercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societˆ democratica,  necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dellĠordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertˆ altruiÓ. DoTTrInA 245 blico e della tutela della salute e della morale o la protezione dei diritti e delle libertˆ dei terzi. Sgomberato il campo degli interessi che consentono ingerenza da quelli che nulla hanno a che fare con il cognome che si porta, un motivo plausibile per giustificare un'ingerenza nel campo del cognome non pu˜ essere che la protezione dei diritti dei terzi che sarebbe ipotizzabile nel caso di una confusione di identitˆ. Altres“  ipotizzabile la possibilitˆ di tutelare lĠordine pubblico mediante un'ingerenza nella scelta di un cognome -si supponga il cognome di un famoso boss mafioso da poco defunto. Ai sensi dell'art. 8 una legge  qualsiasi norma giuridica anche regolamentare, purchŽ sia accessibile, prevedibile e comprensibile: in tal concetto rientra sicuramente il complesso di principi e norme che giustifica la prassi dell'attribuzione del cognome paterno ai figli legittimi. la necessitˆ di tutelare uno di questi interessi, che non deve confondersi nŽ con l'indispensabilitˆ nŽ con la mera opportunitˆ o utilitˆ di farlo, consente a ciascuno Stato membro un margine di apprezzamento, ma esige, altres“, che lo Stato provveda perchŽ spinto da motivi pertinenti e sufficienti, escluso quindi il mero arbitrio o il richiamo alla tradizione. D'altro canto il richiamo alla societˆ democratica deve implicare il rispetto degli interessi tutelati nella loro ragionevole valutazione in un procedimento equo. Tuttavia ai sensi dell'art. 14 se l'ingerenza avviene in base a una discriminazione fondata sul sesso o ad altro fattore di rischio, essa  di principio vietata (44). l'art. 14 opera solo in combinato disposto con altra disposizione della CeDu o dei suoi protocolli aggiuntivi. nota  la definizione di discriminazione come trattamento deteriore ingiustificato. ora,  innegabile che nell'elisione del cognome materno vi sia un trattamento deteriore della madre e del sesso femminile in generale. In questi casi, lo Stato dovrebbe dimostrare che tale discriminazione non solo non sia giustificata, ma anche che persegua, (44) Ai sensi dellĠart. 14 CeDu, ÒIl godimento dei diritti e delle libertˆ riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, lĠorigine nazionale o sociale, lĠappartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizioneÓ. Si precisa che la norma non ha carattere sostanziale e opera solo in combinato disposto con altre disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli aggiuntivi. Secondo DAnISI, Il principio di non discriminazione dalla CEDU alla Carta di Nizza in Forum Costituzionale: ÒLĠart. 14 della CEDU non ha portata generale e riguarda esclusivamente i diritti in essa enunciati. Al di lˆ del contributo fornito dalla Corte con la sua giurisprudenza, una soluzione potrebbe venire dallĠentrata in vigore del Protocollo n. 12, sebbene gli Stati del Consiglio dĠEuropa non sembrino disposti a procedere con le necessarie ratifiche. Di conseguenza, nellĠordinamento del Consiglio dĠEuropa, potrebbe acquistare sempre pi importanza la Carta Sociale Europea. NellĠUnione europea, invece, il principio solennemente riaffermato nella Carta di Nizza, rientra tra quei diritti fondamentali che lĠordinamento europeo deve tutelare. Nel momento in cui la Carta acquisirˆ piena validitˆ giuridica, i principi in essa contenuti saranno ancor pi di adesso i parametri di legittimitˆ degli atti dellĠUnione e delle normative nazionali che ne danno attuazione. 67 In definitiva, nel principio di uguaglianza e non discriminazione si pu˜ rintracciare quellĠelemento unificante tra Corte Europea dei Diritti dellĠUomo e Corte di Giustizia Europea: entrambe si trovano a garantirne lĠapplicazione in ogni fattispecie che, sulla base delle rispettive competenze, devono giudicareÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 nella proporzionalitˆ tra mezzi e fini, uno scopo legittimo. Anche qui lo Stato, nell'operare tale bilanciamento dĠinteressi, dispone di un margine di apprezzamento variabile in un senso comparativo sia sulla propria prassi interna che su quella degli altri Stati membri del Consiglio d'europa. Il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di Strasburgo  che le violazioni dell'art. 14 siano esaminate solo sussidiariamente quando non sussista una violazione diretta della norma di riferimento. 7. -I. nel caso del cognome giova prendere le mosse dalla decisione †nal Tekeli, ricorso 29865/96 deciso il 16 novembre 2004 (45). la ricorrente, cittadina turca, giˆ nota in ambito professionale forense, aveva perso il proprio cognome a seguito del matrimonio ai sensi dell'art. 163 del cc turco (46). Dopo avere inutilmente percorso tutti i gradi della giurisdizione ordinaria vantando il diritto a mantenere il proprio cognome d'origine, la ricorrente chiese la protezione di tale diritto alla Corte che rilev˜ (47) che la tutela del nome rientra nel campo d'azione dell'art. 8, che comprende il diritto di ogni individuo di porsi in relazione con altri usando il proprio nome. Il caso comportava una flagrante violazione dell'art. 14 essendo la moglie e non il marito a perdere il cognome a seguito delle nozze. Inoltre, la disposizione violava il principio di proporzionalitˆ a fronte del crescente consenso tra la prassi e la legislazione degli Stati membri sulla scelta paritaria dei coniugi in ordine al cognome (48). (45) http://hudoc.echr.coe.int/eng#{"fulltext":["unaltekeli"],"documentcollectionid2":["GRANDCHAMBER"," CHAMBER"],"itemid":["001-67482"]}. (46) lĠarticolo 153 della versione originaria del codice civile turco, applicabile al momento del fatto, disponeva che: ÒLe donne sposate devono assumere il cognome del maritoÓ. lĠart. 153 (modificato dalla l. n. 4248 del 14 maggio 1997), ora articolo 187 del nuovo codice civile in vigore dal 22 novembre 2001, dispone invece che: ÒLe donne sposate devono assumere il cognome del marito. Tuttavia esse possono rendere una dichiarazione scritta al Registro delle nascite, matrimoni e morti al momento del matrimonio oppure in seguito, qualora desiderino mantenere il loro nome da nubili davanti al cognomeÓ. (47) la Corte afferma al paragrafo 42 che: ÒThe Court reiterates that Article 8 of the Convention does not contain any explicit provisions on names, but as a means of personal identification and of linking to a family, a personĠs name nonetheless concerns his or her private and family life. The fact that there may exist a public interest in regulating the use of names is not sufficient to remove the question of a personĠs name from the scope of private and family life, which has been construed as including, to a certain degree, the right to establish relationships with others (see Burghartz, cited above, ¤ 24). The subject-matter of the complaint thus falls within the scope of Article 8 of the ConventionÓ. (48) Cos“ si affermava al paragrafo 61, ÒMoreover, the Court notes the emergence of a consensus among the Contracting States of the Council of Europe in favour of choosing the spousesĠ family name on an equal footing. Of the member states of the Council of Europe Turkey is the only country which legally imposes - even where the couple prefers an alternative arrangement - the husbandĠs name as the coupleĠs surname and thus the automatic loss of the womanĠs own surname on her marriage. Married women in Turkey cannot use their maiden name alone even if both spouses agree to such an arrangement. The possibility made available by the Turkish legislature on 22 November 2001 of putting the maiden name in front of the husbandĠs surname does not alter that position. The interests of married women who do not want their marriage to affect their name have not been taken into considerationÓ. DoTTrInA 247 Ma la disposizione in materia limitava imperiosamente tale diritto, a nulla rilevando le sopravvenute modifiche legislative che garantivano alla moglie turca la scelta della semplice aggiunta del cognome del marito (49). Tale opzione restava comunque discriminatoria non essendo consentito al marito di aggiungere al proprio il cognome della moglie, mentre l'esigenza di assicurare un unico cognome alla famiglia, ivi compresi i suoi futuri membri, i figli della coppia, ben poteva essere garantita anche mediante una scelta concorde, e senza l'imposizione del cognome del marito. Pertanto risultavano violati gli articoli 8 e 14 della Convenzione. II. nella decisione Burghartz, del 22 febbraio 1994 (50) la Corte, con riferimento a una coppia formata da un cittadino svizzero e da una cittadina tedesca, con residenza in Svizzera, che si era vista negare la scelta consentita dalla legge tedesca dei loro due cognomi uniti come cognome familiare, perchŽ l'art. 160 del c.c. elvetico avrebbe imposto di assumere il cognome del marito, salva la facoltˆ della sposa di mantenere in aggiunta il proprio cognome (51), parimenti riteneva consumata la violazione degli artt. 8 e 14 della CeDu, essendo detta scelta legislativa priva di una oggettiva ragionevole giustificazione nel sacrificare eguali diritti della moglie. III. un altro caso di divieto di mutamento imperativo del nome  il caso Dar˜czy (52), sentenza del 1 luglio 2008. la vedova del signor Dar˜czy, cui era stato per oltre quarant'anni attribuito il cognome del marito in conformitˆ della legge ungherese, che prevede che la moglie assuma anche il nome proprio del marito seguito dal suffisso -ne, contestava la correzione del cognome assunto con il matrimonio operato dalle locali Autoritˆ (53). All'epoca delle nozze le Autoritˆ competenti non si erano accorte che il marito aveva un doppio prenome, pur utilizzandone costantemente solo uno, quello che era stato attribuito alla moglie a seguito delle nozze. Anche la mera esigenza di correggere il risalente errore non poteva alterare l'antroponimo con cui, dopo 44 anni, la ricorrente si era identificata, per cui la ingerenza dello Stato ungherese era ritenuta illegittima dalla Corte. IV. Molto peculiare invece il caso Losonci Rose contro Svizzera, deciso (49) Vedi nota 43. (50) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57865. (51) AllĠepoca dei fatti lĠart. 160 del codice civile elvetico, cos“ disponeva, ÒIl cognome coniugale  quello del marito. 2 La sposa pu˜ tuttavia dichiarare allĠufficiale di stato civile di voler mantenere il proprio cognome, anteponendolo a quello coniugale. 3 Se giˆ porta un siffatto doppio cognome, pu˜ anteporre soltanto il primo cognomeÓ. (52) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-8722. (53) Act no. 4 of 1952 on Marriage, Family and Guardianship - Section 25: ÒAfter the marriage, the wife shall bear a) her whole maiden name, or b) the whole name of her husband with the suffix referring to the marriage, to which she may attach her whole maiden name, or c) her husbandĠs family name with the suffix referring to the marriage, to which she attaches her whole name, or d) her husbandĠs family name to which she attaches her first nameÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 con sentenza del 9 novembre 2010 (54). una coppia, formata da un cittadino ungherese e da una cittadina svizzera, entrambi residenti nel cantone di berna, aveva chiesto al competente ufficio di stato civile (prima delle nozze ) ai sensi dell'art. 30 comma 2 del cc (55) l'attribuzione alla coppia di un nome di famiglia formato dal cognome della moglie e, al contempo, ai sensi dell'art. 37 comma 2 della legge federale sul diritto internazionale privato (56), che consente di scegliere la propria legge nazionale per quanto riguarda la determinazione del cognome, di applicare la legge ungherese al signor losonci, futuro marito, che cos“ avrebbe mantenuto il cognome d'origine. la richiesta era respinta perchŽ contraria alla legge, con decisione amministrativa vanamente impugnata in via gerarchica e successivamente con ricorso al Tribunale amministrativo. nelle more della decisione del ricorso, il matrimonio era celebrato, previa la proposizione di una nuova istanza diretta alla mera applicazione dell'art. 30 comma due del cc, sicchŽ i due coniugi assumevano rispettivamente il marito il cognome losonci rose, nato losonci e la moglie il cognome rose. Con istanza successiva al matrimonio, proposta direttamente con ricorso al Tribunale amministrativo del Cantone di berna e poi al Tribunale amministrativo federale in sede di appello, le parti chiedevano che al posto del cognome provvisoriamente loro attribuito fosse attribuito al marito signor losonci rose il solo cognome losonci ai sensi delle disposizioni della legge ungherese. la richiesta era respinta perchŽ in Svizzera sarebbe principio inderogabile che il cognome familiare debba essere unico. Inoltre, la nuova istanza, proposta ai sensi dell'art. 37 comma due della legge federale sul diritto internazionale privato, si trovava preclusa dallĠistanza, immediatamente precedente al matrimonio, di attribuzione del cognome della moglie come cognome familiare. la Corte europea dei Diritti dell'uomo, premessa la riconducibilitˆ all'art. 8 CeDu della fattispecie, riteneva flagrante l'esistenza di una discriminazione basata sul sesso e derivante direttamente dall'art. 160 del c.c. elvetico (57). laddove la signora rose fosse stata ungherese, infatti, avrebbe potuto evitare l'applicazione del cambio di cognome tanto ai sensi dell'art. 160 quanto ai sensi dell'art. 30 comma due del cc svizzero, mediante la semplice richiesta di applicare la legge ungherese che le avrebbe consentito di mantenere il proprio cognome originario. Il ricorso era pertanto accolto. (54) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-101652. (55) ÒArticle 30 - Changement de nom: ÒLe gouvernement du canton de domicile peut, s'il existe de justes motifs, autoriser une personne ˆ changer de nom. Il y a lieu d'autoriser les fiancŽs, ˆ leur requte et s'ils font valoir des intŽrts lŽgitimes, ˆ porter, ds la cŽlŽbration du mariage, le nom de la femme comme nom de famille. Toute personne lŽsŽe par un changement de nom peut l'attaquer en justice dans l'annŽe ˆ compter du jour o elle en a eu connaissanceÓ. (56) Art. 37 della legge federale sul diritto internazionale privato, del 18 dicembre 1987, in vigore dal 1 gennaio 1989, prevede che: ÒToutefois, une personne peut demander que son nom soit rŽgi par son droit nationalÓ. (57) V. nota 48. DoTTrInA 249 V. Per quanto riguarda il diverso problema della scelta dell'antroponimo dei figli, la Corte si  interessata della libertˆ di scelta degli stessi nella decisione Johannson con sentenza del 6 settembre del 2007 contro la Finlandia, Stato che aveva impedito a due genitori di attribuire al proprio figlio il prenome AXl, perchŽ non conforme alle regole finlandesi sulla scelta dei nomi di persona, che impongono la scelta di nomi che si rifacciano alla tradizione onomastica della Finlandia, per quanto arricchita dall'apporto di cognomi derivanti da altre lingue. Applicando il solo art. 8 CeDu, dunque, la Corte si sofferma sui margini di apprezzamento dello Stato, la cui ingerenza non era sorretta da alcun serio interesse, perchŽ altri tre cittadini finlandesi erano stati registrati con lo stesso prenome personale alla nascita, che era un prenome perfettamente pronunciabile in finlandese e non era fantasioso, capriccioso e, soprattutto, lesivo degli interessi del minore. Invero, come deciso nella sentenza del 24 ottobre 1996 Guillot (58), gli Stati possono adottare misure atte a limitare la fantasia dei genitori, che nel caso in questione volevano attribuire alla figlia il nome Fiore di Maria, tratto da un personaggio di Hugo (59). negli stessi ter( 58) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-58069. (59) lĠart. 1 della loi du 11 germinal an XI prevede: ÒLes noms en usage dans les diffŽrents calendriers, et ceux des personnages connus dans l'histoire ancienne pourront seuls tre reus, comme prŽnoms, sur les registres destinŽs ˆ constater la naissance des enfants; et il est interdit aux officiers publics d'en admettre aucun autre dans leurs actes". la circolare ministeriale del 12 aprile modifiant l'instruction gŽnŽrale relative ˆ l'Žtat civil (Journal officiel du 3 mai 1966) prŽvoyait notamment: CHoIX DeS PrenoMS Principes gŽnŽraux - Application pratique a) Il y a cependant lieu d'observer que la force de la coutume, en la matire, a sensiblement Žlargi les limites initialement assignŽes ˆ la recevabilitŽ des prŽnoms par les prescriptions littŽrales de la loi du 11 germinal an XI. Celles-ci prŽsentent certes l'intŽrt pratique d'offrir un rempart aux officiers de l'Žtat civil contre des innovations qui leur para”traient de nature ˆ nuire plus tard aux intŽrts des enfants et seraient ds lors inadmissibles. En fait, on voit mal les officiers de l'Žtat civil, en tant que juges immŽdiats de la recevabilitŽ des prŽnoms, chercher ˆ inventorier les ressources exactes des calendriers et de l'histoire ancienne afin de dŽterminer si tel prŽnom figure ou non parmi ceux de ce patrimoine du passŽ. Il leur appartient, en rŽalitŽ, d'exercer leur pouvoir d'apprŽciation avec bon sens afin d'apporter ˆ l'application de la loi un certain rŽalisme et un certain libŽralisme, autrement dit de faon, d'une part, ˆ ne pas mŽconna”tre l'Žvolution des moeurs lorsque celle-ci a notoirement consacrŽ certains usages, d'autre part, ˆ respecter les particularismes locaux vivaces et mme les traditions familiales dont il peut tre justifiŽ. Ils ne devront pas perdre de vue que le choix des prŽnoms appartient aux parents et que, dans toute la mesure du possible, il convient de tenir compte des dŽsirs qu'ils ont pu exprimer. b) Outre les prŽnoms normalement recevables dans les strictes limites de la loi de germinal, peuvent donc, compte tenu des considŽrations qui prŽcdent et, le cas ŽchŽant, sous rŽserve des justifications appropriŽes, tre Žventuellement admis: 1) Certains prŽnoms tirŽs de la mythologie (tels: Achille, Diane, Hercule, etc.); 2) Certains prŽnoms propres ˆ des idiomes locaux du territoire national (basques, bretons, provenaux, etc.); 3) Certains prŽnoms Žtrangers (tels: Ivan, Nadine, Manfred, James, etc.); 4) Certains prŽnoms qui correspondent ˆ des vocables pourvus d'un sens prŽcis (tels: Olive, Violette, etc.) ou mme ˆ d'anciens noms de famille (tels: Gonzague, RŽgis, Xavier, Chantal, etc.); 5) Les prŽnoms composŽs, ˆ condition qu'ils ne comportent pas plus de deux vocables simples (tels: Jean-Pierre, Marie-France, mais non par exemple: Jean-Paul-Yves, qui accolerait trois prŽnoms). c) Exceptionnellement, les officiers de l'Žtat civil peuvent encore accepter, mais avec une certaine pru rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 mini, la Corte si esprimeva nella decisione, sempre riguardante la Finlandia, del 25 novembre 1994 Stjerna (60) (non era unĠingerenza il rifiuto di mutare il nome del cittadino finlandese sig. Stjerna in Tavatstjerna) come pure nella decisione Salonen della Commissione del 2 luglio 1997 (inammissibilitˆ del ricorso alla Corte per manifesta infondatezza della prospettata ingerenza dello Stato finlandese nel rifiuto di riconoscere il nome ÒlĠunica e Sola MariannaĠĠ). VI. nella decisione Garnaga del 16 maggio 2013 la Corte invece censurava lĠucraina sul problema del cambiamento del patronimico, com' noto tipico delle lingue slave come seconda parte dell'antroponimo (61). Invero, le disposizioni sull'onomastica della legge ucraina, mentre sono estremamente liberali quanto al cambiamento del nome e dello stesso cognome, ossia della prima e terza parte dell'antroponimo, non consentono il cambiamento del patronimico, anzi consentono all'interessato di mantenere il patronimico originario nel caso in cui il proprio padre, a sua volta, avesse cambiato nome (62). nel caso di specie, l'interessato aveva un'importante interesse ad assumere il patronimico del secondo marito della madre, che si era sempre occupato di lui, di cui egli aveva voluto assumere il cognome, al quale solo era legato in una relazione sostanzialmente filiale, con l'interesse non secondario anche di essere identificato come appartenente alla famiglia di costui, come i figli di secondo letto della propria madre cui voleva essere accomunato dal medesimo dence: 1o Certains diminutifs (tels: "Ginette" pour Genevive, "Annie" pour Anne, ou mme "Line", qui est tirŽ des prŽnoms fŽminins prŽsentant cette dŽsinence); 2o Certaines contractions de prŽnoms doubles (tels: "Marianne" pour Marie-Anne, "Marlne" ou "Milne" pour Marie-HŽlne, "Ma•tŽ" pour Marie-ThŽrse, "Sylvianne" pour Sylvie-Anne, etc.); 3o Certaines variations d'orthographe (par exemple Michle ou Michelle, Henri ou Henry, Ghislaine ou Guislaine, Madeleine ou Magdeleine, etc.). d) En dŽfinitive, il appara”t que les officiers de l'Žtat civil ne doivent se refuser ˆ inscrire, parmi les vocables choisis par les parents, que ceux qu'un usage suffisamment rŽpandu n'aurait pas manifestement consacrŽs comme prŽnoms en France. C'est ainsi notamment que devraient tre systŽmatiquement rejetŽs les prŽnoms de pure fantaisie ou les vocables qui, ˆ raison de leur nature, de leur sens ou de leur forme ne peuvent normalement constituer des prŽnoms (noms de famille, de choses, d'animaux ou de qualitŽs, vocables utilisŽs comme noms ou prŽnoms de thŽ‰tre ou pseudonymes, vocables constituant une onomatopŽe ou un rappel de faits politiques). (60) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57912. (61) Ai sensi dellĠart. 28 del cc ucraino: ÒAn individual acquires rights and responsibilities and exercises them under his or her own name. The name of an individual who is a citizen of Ukraine consists of his or her surname, forename and patronymic, unless the law or custom of the national minority to which they belong provides otherwiseÓ. (62) Art. 295 del cc ucraino: ÒAn individual who has reached the age of sixteen has the right to change his or her surname and forename in accordance with the procedure prescribed by law. 3. An individualĠs patronymic can be changed if his or her father changes his forenameÓ. nello stesso senso il Family Code del 2002 prevede allĠarticolo 147: Determining the patronymic of a child: 1. The patronymic of a child shall be determined by the forename of her or his father. 2. The patronymic of a child who was born to an unmarried woman, where the paternity of the child is not recognised, shall be determined by the forename of the person who the childĠs mother called his or her father; allĠarticolo 149 Change of patronymic Ò1. If a father changes his name, the patronymic of his child who has reached the age of fourteen years shall be changed with the latterĠs consentÓ. DoTTrInA 251 patronimico. Anche qui l'ingerenza  stata ritenuta sproporzionata ai sensi del- l'art. 8 comma 2 della Convenzione. VII. Infine la Corte nella decisione Cusan e Fazzo contro lĠItalia resa dalla seconda sezione il 7 gennaio del 2014, divenuta definitiva il 7 aprile del 2014, si occupava della richiesta di due coniugi di attribuire ai propri figli il solo cognome materno (63). l'interesse fatto valere dai ricorrenti era quello di evitare l'estinzione del cognome della madre, dalla cui famiglia i bambini avrebbero ereditato un cospicuo patrimonio. Tale richiesta era stata respinta dall'ufficiale di stato civile italiano e successivamente su ricorso ex art. 95 del d.P.r. 396 del 2000 dal Tribunale di Milano, che osservava che, ai sensi del- l'art. 143 bis del cc, il cognome familiare era da intendersi quello del marito che la moglie aggiungeva al proprio, decisione confermata dalla Corte d'Appello che citava le ordinanze 176 e 586 del 1988 (64) della Corte Costituzionale che aveva ritenuto inammissibili per manifesta infondatezza delle questioni di legittimitˆ costituzionale proposte ai sensi degli articoli 3 e 29 della Costituzione circa l'art. 143 cc e le altre norme che cos“ conformavano la trasmissione del cognome ai figli legittimi, in quanto spettava al legislatore la discrezionalitˆ in materia. la Corte di Cassazione, su impugnazione della decisione della Corte d'Appello, aveva rimesso alla Corte Costituzionale della repubblica italiana la questione di legittimitˆ della norma, certo non preclusa dalle due ordinanze in questione. la Corte, tuttavia, con decisione 61 del 2006 la respingeva (65). Pur criticando la patriarcalitˆ del sistema onomastico italiano, la Consulta osservava che le scelte da adottare per rimediarvi erano molteplici. Quindi solo il legislatore poteva adottarle essendo precluso un intervento manipolativo della Corte (66). In conseguenza di tale decisione la Corte di Cassazione, cui erano stati restituiti gli atti, respingeva il ricorso. I ricorrenti, pertanto, si rivolgevano alla Corte di Strasburgo dolendosi della violazione degli articoli 8 e 14 della CeDu. nella sua pregevole decisione la (63) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-122470. (64) Corte Cost. ord. n. 176 dellĠ11 febbraio 1988, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 8 del 24 febbraio 1988 e Corte Cost. ord. n. 586 del 19 maggio 1988, pubblicata in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 22 del 1 giugno 1988. (65) Corte Cost. sent. n. 61 del 16 febbraio 2006 pubblicata in GU 1a Serie Speciale -Corte Costituzionale n. 8 del 22 febbraio 2006. (66) la Corte affermava che, ÒTuttavia, l'intervento che si invoca con la ordinanza di rimessione richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte. Ed infatti, nonostante l'attenzione prestata dal collegio rimettente a circoscrivere il petitum, limitato alla richiesta di esclusione del- l'automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno nelle sole ipotesi in cui i coniugi abbiano manifestato una concorde diversa volontˆ, viene comunque lasciata aperta tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente a detta volontˆ - con la conseguente necessitˆ di stabilire i criteri cui l'ufficiale dello stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo - ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all'atto della nascita di ciascuno di essiÓ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 Corte ha in primo luogo respinto la eccezione de minimis proposta dallo Stato italiano, per lĠobiettiva importanza dell'interesse dei ricorrenti a conservare un cognome che altrimenti si sarebbe estinto. la Corte respingeva, altres“, lĠeccezione volta alla declaratoria di cessazione della materia del contendere: il Prefetto di Milano, infatti, ai sensi degli articoli 89 e seguenti del d.P.r. n. 396 del 2000, aveva concesso ai minori il doppio cognome. Come giustamente osserva la Corte, la richiesta delle parti riguardava l'attribuzione del solo cognome materno e non, come praticato dal prefetto, del doppio cognome di entrambi i genitori. Inoltre, il decreto di concessione era intervenuto a ben 13 anni di distanza dalla originaria richiesta. nel merito, la Corte ricorda quanto deciso nei suoi precedenti †nal Tekeli e Losonci Rose, individuando una evidente ingerenza dello Stato italiano nell'atto, profondamente attinente alla vita privata e familiare, di scegliere e trasmettere il cognome ai figli, ingerenza che non dipendeva da altro fattore che il sesso della madre, il genitore legittimo che soccombe per legge in questa vicenda esistenziale. non senza ricordare i principi egualitari anche tra coniugi della Carta Costituzionale italiana, la Corte ritiene che una regola rigida e inderogabile di attribuzione del cognome paterno persino in caso di diverso accordo tra i genitori violi gli articoli 8 e14 della CeDu. l'unica opinione dissenziente espressa dal giudice della Serbia, si appunta sulla pretesa soddisfazione in via amministrativa dei ricorrenti mediante la concessione del doppio cognome, ricordando anche la necessitˆ di rispettare il margine di apprezzamento e le tradizioni dei singoli Stati nella materia in questione. Tuttavia, come risulta dalla nota di Fabrizi, in questo stesso numero, la Corte Costituzionale non ha colto lĠopportunitˆ di applicare i principi di Cusan e Fazzo, cos“ sostanzialmente violando lĠart. 46 CeDu e, di converso, lĠart. 117, 1 co. Cost. non resta che affidarsi alla diligenza del legislatore al fine di introdurre nellĠordinamento un sistema di trasmissione del doppio cognome sul modello spagnolo e francese, non senza escludere la facoltˆ per i coniugi di convenire per lĠattribuzione di un unico cognome, sia esso quello paterno o materno. DoTTrInA 253 Considerazioni intorno alle possibili ricadute della misura straordinaria ex art. 32 d.l. 90/2014 (debiti pregressi e rapporti di lavoro) Adolfo Mutarelli* Matteo Maria Mutarelli** SOMMARIO: 1. Natura, funzione e contenuto della misura ex art. 32, lett. b), d.l. n. 90/2014 - 2. Gli effetti della gestione straordinaria e i rapporti con quella ordinaria - 3. Il necessario raccordo tra gestione straordinaria e gestione ordinaria - 4. Gestione del personale e responsabilitˆ patrimoniale verso gli addetti ai servizi amministrati. 1. Natura, funzione e contenuto della misura ex art. 32, lett. b), d.l. n. 90/2014. lĠart. 32 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, contempla distinte ipotesi di intervento straordinario tra loro alternative (1). In particolare: lĠordine di rinnovazione degli organi sociali (comma 1, lett. a); la straordinaria e temporanea gestione dellĠimpresa, limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione (comma 1, lett. b); il sostegno e il monitoraggio dellĠimpresa (comma 8). le misure, applicabili ad appaltatori di opere pubbliche, servizi e forniture, nonchŽ ai concessionari, anche ove destinatari di interdittive antimafia (2) (cfr. comma 10 della richiamata disposizione), hanno in comune il perseguimento degli obiettivi di soddisfacimento dellĠinteresse pubblico allĠesecuzione del contratto, da coniugarsi, in quanto compatibili, con la libertˆ di impresa (art. 41 Cost.; art. 16 Carta dei Diritti Fondamentali dellĠunione europea). Mentre la misura prevista dal primo comma, lett. a), tende, in caso di inottemperanza allĠordine di sostituzione imposto dallĠautoritˆ, alla rinnovazione degli organi sociali con estromissione dalla governance societaria dei soggetti coinvolti nei fatti illeciti, la misura di cui allĠart. 32, co. 1, lett. b), tende a rea (*) Giˆ Avvocato dello Stato. (**) ricercatore confermato di Diritto del lavoro nellĠuniversitˆ degli Studi di napoli ÒFederico IIÓ. (1) lĠart. 1, comma 704 della legge 208/2015 (legge stabilitˆ 2016) ha esteso lĠapplicabilitˆ delle misure straordinarie di cui allĠart. 32 l. 90/2014 anche al settore sanitario. (2) Va in proposito evidenziato che il 1 comma dellĠart. 32, d.l. 90/2014, mentre con riferimento allĠappalto si riferisce espressamente agli appalti lavori, servizi e forniture, rispetto alla concessione non contiene alcun riferimento al concessionario di servizi pubblici (ma solo al concessionario di lavori pubblici). Tuttavia si  in proposito osservato che la dicitura Çappalto di serviziÈ di cui al comma 1 dell'art. 32 cit. deve intendersi comprensiva di tutti i sistemi contrattuali di affidamento di pubblici servizi, anche laddove si sia utilizzato lo strumento concessorio (in tal senso TAr Campania, Sez. I, 8 febbraio 2016, n. 943). In altri termini, ci˜ che rileva ai fini dell'applicabilitˆ della normativa in questione  la presenza di un contratto o convenzione per la disciplina di esercizio del servizio pubblico, indipendentemente dal fatto che l'espletamento di tale servizio sia inquadrabile nello schema dell'appalto in senso stretto o della concessione. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 lizzare direttamente la gestione straordinaria e temporanea realizzandone il commissariamento in parte qua. Giˆ allĠindomani dellĠemanazione della legge predetta, lĠart. 32, co. 1, lett. b) ha posto non agevoli problemi interpretativi, in particolare con riferimento allĠinciso Çlimitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessioneÈ. é, infatti, evidente che ove lĠavverbio ÇlimitatamenteÈ venisse esclusivamente riferito alla misura funzionale ad contractum, ci˜ si tradurrebbe nella mera separazione dellĠassetto gestionale da quello proprietario dellĠimpresa. Quindi, i commissari non sarebbero tenuti ad accollarsi lĠintera attivitˆ sociale ma unicamente ad orientare la propria attivitˆ alla continuitˆ dellĠappalto (o concessione) su cui  caduta la misura straordinaria. é evidente che in tale prospettiva interpretativa tale misura non sarebbe volta allĠestromissione della governance dellĠimpresa e, quindi, la sospensione dei poteri del- lĠimprenditore e degli organi sociali, prevista dallĠart. 32 in esame, andrebbe circoscritta solo ai contratti e alle concessioni oggetto del commissariamento. Partendo da altro angolo ermeneutico si  osservato come la sospensione dellĠesercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dellĠimpresa, ex comma 3 dellĠart. 32, non  collegata nella predetta disposizione ai singoli contratti oggetto di commissariamento, sicchŽ dovrebbe ritenersi che la misura realizzi un commissariamento globale con azzeramento degli organi sociali (3). Si  dellĠavviso che la prima lettura sia quella pi coerente con le finalitˆ della legge anche in quanto maggiormente rispettosa dellĠimpianto complessivo della stessa. Si aggiunga che, seguendo la seconda opzione ermeneutica, si arriverebbe ad una sorta di azzeramento della governance aziendale che, oltre a costituire misura del tutto similare a quella di cui alla lettera a), parrebbe suscitare perplessitˆ costituzionali rispetto alla libertˆ dĠimpresa, tanto pi se si considera che nella ripetuta ipotesi della lett. a), il legislatore dispone lĠazzeramento della governance, con sostituzione dei soggetti coinvolti, solo a seguito di inottemperanza allĠordine di sostituzione impartito allĠimpresa. Deve, pertanto, ritenersi che la corretta interpretazione dellĠart. 32, lett. b), contempli una misura idonea a realizzare una mera gestione separata temporanea circoscritta ai contratti oggetto di commissariamento, con sospensione dei poteri dei titolari dellĠimpresa e dellĠassemblea, per lĠintera durata della misura. Tale misura non , perci˜, idonea a scalfire la titolaritˆ aziendale; gli organi societari rimangono in carica e con pieni poteri rispetto a tutte le attivitˆ che esulano dai contratti oggetto di commissariamento (4). Del resto, in tal senso appare orientata la giurisprudenza amministrativa (5). (3) In tal senso l. GIAMPAolIno, Le misure anticorruzione negli appalti: rimedio adeguato al male?, in http://www.igitalia.it/doc/conv1607-14giamp.pdf. (4) Per la disamina comparativa delle misure ex art. 32 d.l. 90/2014 e quelle di cui al D.lgs. 231/2001  agevole il rinvio a r. GAroFolI, Il contrasto ai reati di impresa nel d.lgs. n. 231 del 2001 e DoTTrInA 255 nella riferita prospettiva appare significativo rammentare come la straordinaria e temporanea gestione sia stata concepita dallĠAnAC quale misura ad contractum sin dalla prima proposta di commissariamento, intervenuta addirittura prima della conversione in legge del d.l. n. 90/2014 (6). le misure di straordinaria e temporanea gestione disciplinate dallĠart. 32 costituiscono una sorta di deroga ai provvedimenti da assumersi a seguito di interdittiva antimafia, ai sensi dellĠart. 94, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (7). In realtˆ, a fronte della regola generale che imporrebbe la caducazione dei contratti in corso, lĠart. 32 (da leggersi in sintonia con il comma 3 dellĠart. 94 del d.lgs. n. 159/2011 (8)) si pone come eccezione laddove ricorra la necessitˆ di garantire la continuitˆ di funzioni e servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, nonchŽ per la salvaguardia dei livelli occupazionali e dellĠintegritˆ dei bilanci pubblici (9). la differenza tra lĠipotesi eccezionale di cui al comma 3 dellĠart. 94, d.lgs. n. 159/2011, e le misure eccezionali previste dallĠart. 32 in esame  data dal rilievo che nel primo caso nel d.l. 90 del 2014: non solo repressione, ma prevenzione e continuitˆ aziendale, in Diritto penale contemporaneo, 30 settembre 2015, www.dirittopenalecontemporaneo.it. (5) Tar lazio roma, Sez. I-ter, 3 febbraio 2016, n. 1519, secondo cui tale misura non incide Çin modo sproporzionato o irreversibile sulla governance complessiva dellĠimpresa, in quanto gli amministratori sono tenuti a realizzare una forma di gestione separata e di carattere temporaneo di un segmento dellĠimpresa (legato alla esecuzione di quello specifico contratto), mentre gli organi sociali restano in carica per lo svolgimento delle attivitˆ di gestioneÈ. (6) Cfr. proposta di commissariamento avente ad oggetto la straordinaria e temporanea gestione dellĠimpresa Maltauro S.p.A., in www.anticorruzione.it, nellĠapposita sezione ÒMisure straordinarie art. 32, d.l. 24 giugno 2014, n. 90Ó. (7) lĠart. 94, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 stabilisce: ÇQualora il prefetto non rilasci l'informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all'articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, ed all'articolo 91 comma 7, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere giˆ eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilitˆ conseguiteÈ. (8) lĠart. 94, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 stabilisce: ÇI soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento del- l'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidiÈ. (9) Con sentenza del 28 aprile 2016, n. 1630, il Consiglio di Stato, Sez. III, ha osservato che fino allĠadozione della misura in questione -finch il Prefetto non ritenga sussistenti i presupposti del- lĠart. 32, comma 10, d.l. n. 90/2014 -lĠinformativa Çmantiene inalterati tutti gli effetti interdittivi di cui allĠart. 94, commi 1 e 2 d.lgs. n. 159/2011 salva lĠeccezionale ipotesi di cui a suo comma III che consente alla stazione appaltante di non procedere a revoche e ai recessi di cui al comma 2 nel caso in cui lĠopera sia in corso di ultimazione ovvero in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dellĠinteresse pubblico. Pertanto la stazione appaltante  vincolata a recedere dal contratto quando sia stata emessa lĠinformativa (e salva lĠeccezionale ipotesi di cui allĠart. 94, comma 3, d.lgs n. 159/2011) se e fino a quando non sopraggiunga lĠeventuale provvedimento di straordinaria e temporanea gestione adottata dal Prefetto per le eccezionali esigenze contemplate dallĠart. 32, comma 10 del d.l. n. 90/2014È. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 la valutazione se continuare il rapporto  rimessa alla stazione appaltante, nel- lĠipotesi di cui allĠart. 32  rimessa al Prefetto (10). Costituendo pertanto lĠadozione delle misure straordinarie di cui allĠart. 32 unĠipotesi di eccezionale inoperativitˆ di taluni degli effetti propri dellĠinterdittiva antimafia sui contratti, appare evidente come le stesse siano preordinate a garantire lĠinteresse pubblico alla realizzazione dellĠopera e alla continuitˆ del servizio, e in tal senso milita dichiaratamente anche il dettato normativo del comma 4 della disposizione qualificando la temporanea e straordinaria gestione dellĠimpresa come attivitˆ Çdi pubblica utilitˆ ad ogni effetto È (11). Ancora di recente lĠAnAC, nella proposta di commissariamento della societˆ Kursal S.r.l., rileva che la misura dellĠart. 32 comporta lĠattrazione della concessione nellĠalveo pubblicistico e Çdetermina la prosecuzione del servizio nellĠesclusivo interesse dellĠamministrazione concedente e non del- lĠimpresa concessionaria, realizzando un presidio di garanziaÈ consentendo Çin unĠottica di prevenzione e massima anticipazione della soglia di difesa sociale, la gestione delle concessioni in un regime di legalitˆ controllataÈ. Da quanto precede, emerge che la misura straordinaria di cui allĠart. 32, lett. b), in caso di interdittiva pu˜ essere assunta solo dopo congrua valutazione che la prosecuzione del rapporto sia idonea a garantire la continuitˆ di funzioni e servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, nonchŽ per la salvaguardia dei livelli occupazionali e dellĠintegritˆ dei bilanci pubblici, e che il provvedimento interdittivo determina lĠaffidamento ai commissari della gestione dei contratti commissariati nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano, comprensivi cio di tutte le situazioni giuridiche attive e passive sino a quel momento realizzatesi, in quanto riferibili ai Òcontratti commissariatiÓ. 2. Gli effetti della gestione straordinaria e i rapporti con quella ordinaria. lĠart. 32 non consente, tuttavia, di evincere con ragionevole certezza come debba svolgersi, allĠinterno dellĠazienda, la dialettica tra amministratori straordinari e titolari dellĠazienda nŽ, invero, fornisce dei principi cui debba ispirarsi la dialettica aziendale tra organi sociali sospesi in parte qua e carenza di potere degli amministratori straordinari rispetto allĠattivitˆ dellĠazienda non oggetto di commissariamento. la norma non chiarisce se tra gestione ordinaria e gestione straordinaria si realizzi una separatezza reale o ideale. Sembra doversi ritenere che in realtˆ tra le gestioni si realizzi una separatezza solo ideale, in quanto normativamente sussiste (comma 7, art. 32) il solo obbligo, a carico degli amministratori straordinari, di accantonare in ap (10) Cfr. TAr Abruzzo-Pescara, Sez. I, 4 gennaio 2016, n. 1. (11) nella relazione annuale AnAC 2015 (pagg. 254-270) in www.anticorruzione.it, si osserva come il commissariamento della CPl Concordia abbia consentito la possibilitˆ di garantire la continuitˆ di circa 1.300 contratti e di contenere gli effetti negativi sul piano occupazionale. DoTTrInA 257 posito fondo lĠutile dĠimpresa, che non pu˜ essere nŽ distribuito nŽ formare oggetto di pignoramento, sino allĠesito dei giudizi penali ovvero, nei casi di cui al comma 10, allĠesito dei giudizi di impugnazione o cautelari riguardanti informative antimafia o interdittive. la lacunositˆ della fonte normativa primaria viene in parte supplita dalle linee guida AnAC (12) che, di lˆ da ogni considerazione circa il loro possibile inquadramento (13), costituiscono Òdi fattoÓ in subiecta materia una sorta di fast law interpretativa, cui deve conformarsi sia lĠattivitˆ amministrativa volta allĠadozione delle misure di cui allĠart. 32 sia la stessa attivitˆ dei commissari straordinari. la carenza di indicazioni nelle previsioni normative e regolative, lĠassenza di giurisprudenza e la novitˆ delle problematiche non consentono di delineare sicuri confini di disciplina in tema di rapporti tra gestione ordinaria e straordinaria e, soprattutto, in che misura il pacifico rilievo pubblicistico del commissariamento determini lĠestensione del perimetro delle norme applicabili e, quindi, il grado di recessione delle norme di stampo pi tipicamente civilistico. ne consegue una inevitabile opinabilitˆ e mobilitˆ degli esisti interpretativi relativi alla disciplina applicabile a seconda se, hinc ed inde, si dia prevalenza allĠaspetto pubblicistico o a quello privatistico. In proposito, recentemente,  stata autorevolmente sottolineata la difficoltˆ di Çdelimitare anche temporalmente, il perimetro delle questioni di competenza dei commissari prefettizi per quanto riguarda le risorse umane e strumentali impiegate [É] sia per quanto concerne, ad esempio, i debiti pregressiÈ (14). Intervenendo in tale aperto dibattito, pu˜ osservarsi che il comma 7 del- lĠart. 32 circoscrive la possibilitˆ dellĠaccantonamento in un apposito fondo solo in relazione agli utili dĠimpresa, prevedendone lĠimpignorabilitˆ temporanea Çnel periodo di applicazione della misura straordinariaÈ e ci˜, eviden (12) V. in proposito le Prime Linee guida per lĠavvio di un circuito collaborativo tra Anac-Prefetture- UTG e enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e lĠattuazione della trasparenza amministrativa, siglate il 15 luglio 2014, in G.u. 18 luglio 2014, n. 165; le Seconde Linee guida per lĠapplicazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nellĠambito della prevenzione anticorruzione e antimafia, siglate il 27 gennaio 2015; le Terze Linee guida per la determinazione dellĠimporto dei compensi da liquidare ai commissari nominati dal prefetto ai sensi dellĠart. 32, commi 1 e 10, d.l. n. 90/2014, nellĠambito della prevenzione anticorruzione e antimafia, siglate il 19 gennaio 2016; le Quarte Linee guida per lĠapplicazione dellĠarticolo 32, commi 2 bis e 10 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, alle imprese che esercitano attivitˆ sanitaria per conto del servizio sanitario nazionale in base agli accordi contrattuali di cui allĠarticolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, in G.u. 20 agosto 2016, n. 194. (13) Con riferimento alla natura e al rilievo ordinamentale delle linee guida AnAC rispetto alla disciplina dei contratti pubblici si rinvia a Cons. St., Commissione speciale, 1 aprile 2016, n. 855 e 2 agosto 2016, n. 1767. (14) Cos“, testualmente, r. CAnTone - b. CoCCAGnA, La prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni mafiose nei contratti di commissariamento per la costituzione di presidi di legalitˆ nelle imprese, in I.A. nICoTrA (a cura di), LĠAutoritˆ Nazionale Anticorruzione, Torino, 2016, pag. 74. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 temente, sia in relazione ai debiti contratti nella gestione straordinaria sia, a maggior ragione, in relazione ai debiti pregressi relativi allĠattivitˆ della societˆ svoltasi in gestione ordinaria. Sembra opportuno, in proposito, evidenziare che gli utili considerati dal legislatore sono gli utili dĠimpresa derivanti dai contratti commissariati, senza alcuna espressa differenziazione tra gli esercizi realizzati prima e dopo la misura interdittiva. Ci˜ depone nel senso che per la definizione di tali utili sia necessario considerare non solo i ricavi e i costi specifici degli esercizi affidati ai commissari, ma anche i ricavi e i costi derivanti da esercizi precedenti che vangano a maturazione nel periodo di applicazione dellĠamministrazione commissariale, ossia tutte le sopravvenienze attive e passive derivanti dai contratti commissariati e dalla loro esecuzione venute ad esistenza nel periodo di applicazione della misura straordinaria indipendentemente dalla circostanza che il momento genetico del debito o del credito sia antecedente al provvedimento interdittivo. Va ancora sottolineato come dal comma 7 dellĠart. 32 non sembra potersi desumere lĠesistenza di un patrimonio separato rispetto a quello dellĠazienda ma una mera gestione con effetti di separatezza normativa unicamente con riferimento agli utili. SicchŽ non sembra giˆ assunta a livello normativo una scelta di perfetta separazione patrimoniale. In senso favorevole alla prospettata ricostruzione sembrano militare le stesse linee-guida dellĠAnAC nella parte in cui precisano, da una parte, che Çla straordinaria e temporanea gestione dˆ vita, dunque, ad una gestione separataÈ, e, dallĠaltra parte, che lĠart. 2447-bis Çconsente di costituire un patrimonio separato destinato alla gestione della commessa pubblicaÈ (15). lĠadozione di misure di separazione patrimoniale , pertanto, solo una facoltˆ rimessa al prudente apprezzamento degli amministratori straordinari (con riferimento ai contratti in gestione straordinaria) che potranno costituire, al fine di realizzare una separazione patrimoniale, un patrimonio destinato alla esecuzione della commessa pubblica attraverso gli strumenti consentiti dal- lĠordinamento, rispetto ai quali le prime e le seconde linee guida dellĠAnAC individuano, per le societˆ per azioni, lĠipotesi dellĠart. 2447-bis c.c. rubricato ÇPatrimonio destinato ad uno specifico affareÈ. Sino a quel momento non sembra potersi ritenere che la separatezza gestionale comporti lĠesistenza di una perfetta separazione patrimoniale per i contratti pubblici ÒcommissariatiÓ rispetto al complesso delle situazioni attive e passive dellĠintera azienda. Del resto appare utile rammentare che nel nostro ordinamento costituisce principio generale quello del carattere universale della responsabilitˆ patrimoniale, desumibile dallĠart. 2740 c.c. secondo cui Çil debitore risponde del (15) Cos“ in Prime linee Guida AnAC, pag. 8, e Seconde linee Guida AnAC, pag. 6 DoTTrInA 259 lĠadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. le limitazioni della responsabilitˆ non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla leggeÈ. Ci˜ anche in quanto lĠuniversalitˆ del patrimonio costituisce ulteriore profilo della tutela dellĠaffidamento (16). Ci˜ chiarito, deve anche precisarsi che a una impignorabilitˆ del patrimonio destinato alla realizzazione della commessa pubblica, pu˜ pervenirsi attraverso indici normativi diversi dallĠart. 32 del d.l. n. 90/2014. Pu˜ infatti fondatamente ritenersi che lĠatto di adozione della misura straordinaria  idoneo a imprimere ai beni individuati e specificati come destinati a pubblico servizio un vincolo di destinazione al soddisfacimento del servizio pubblico con gli effetti desumibili dal combinato disposto di cui agli artt. 826, 828 e 830 c.c. Costituisce, infatti, giurisprudenza pacifica quella secondo cui non sono assoggettabili ad esecuzione forzata i beni facenti parte del patrimonio indisponibile fra cui vanno annoverati (oltre agli edifici destinati a sede di uffici con i loro arredi) anche gli altri beni Çdestinati a pubblico servizio, accertandosi tale destinazione in concreto e con riguardo ai singoli beni colpiti dal- lĠesecuzioneÈ (17). Con specifico riferimento al vincolo di opponibilitˆ di destinazione a servizio pubblico dei beni, in giurisprudenza si  rilevato che esso pu˜ essere impresso da una norma di legge o da un atto amministrativo che trovi fondamento nella legge (18) e, pertanto pu˜ ritenersi che tale vincolo, nella fattispecie in esame, possa trovare la sua fonte costitutiva nel provvedimento amministrativo di adozione della misura straordinaria assunto in virt della previsione normativa dellĠart. 32, lett. b), e pi opportunamente previo specifico atto commissariale di destinazione a pubblico servizio. Da quanto sin qui osservato sembra potersi concludere, sul piano generale, che: -lĠasset dei contratti commissariati, salvo gli utili accantonati, risponde delle passivitˆ pregresse al commissariamento e dei debiti maturati nel periodo della misura interdittiva se e in quanto si tratti di impegni derivanti dai contratti (poi) commissariati, dalla loro esecuzione o comunque strumentali a questĠultima. -nonostante le rilevate ambiguitˆ del dato normativo, deve escludersi invece che lĠasset affidato alla gestione commissariale possa rispondere anche di eventuali debiti aziendali pregressi non derivanti dai contratti (poi) commissariati. Dal momento dellĠassunzione del provvedimento interdittivo (e limitatamente alla sua durata), infatti, i ricavi maturati e maturandi che derivano dai contratti amministrati possono essere impiegati esclusivamente a copertura dei costi derivanti o derivati da quegli stessi contratti, rispetto ai quali lĠeven (16) Del resto la previsione della trascrivibilitˆ degli atti di destinazione, di cui allĠart. 2645-ter c.c., serve proprio a rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione con preclusione dellĠesecuzione forzata dei beni oggetto del vincolo, salvo che per i beni contratti per lo scopo di destinazione. (17) Cass. 10 luglio 1986, n. 4496. (18) Cass. 15 settembre 1995, n. 9727. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 tuale saldo positivo costituisce lĠutile che i commissari sono obbligati ad accantonare ai sensi del comma 7 dellĠart. 32. 3. Il necessario raccordo tra gestione straordinaria e gestione ordinaria. é di solare evidenza che la coesistenza di una gestione ordinaria e di una straordinaria  fonte di problematiche variegate e complesse, anche sotto il profilo della compatibilitˆ costituzionale della misura straordinaria allorchŽ, ad esempio, il commissariamento riguardi contratti che assorbano tutta lĠattivitˆ dellĠimpresa. In questo ipotetico caso il vincolo tendenzialmente ÒconformativoÓ (19) si tradurrebbe in concreto in un vincolo con connotazione anche espropriativa. A prescindere da quanto precede  peraltro evidente che sui commissari grava il delicato compito di individuare il giusto punto di bilanciamento tra interesse pubblico alla prosecuzione dei contratti commissariati e libertˆ del- lĠimpresa. Dovranno, cio, i commissari individuare la linea di confine che separa la gestione ordinaria da quella straordinaria, sia sotto il profilo economico e contabile, sia per quanto riguarda le risorse umane e strumentali impiegate. In proposito le linee guida AnAC si limitano, invero, a individuare una Ògestione separataÓ di quella parte dellĠazienda che dovrˆ eseguire il contratto pubblico secondo un modello di governance che dovrˆ essere definito dagli amministratori nominati dal Prefetto (20), senza, tuttavia, fornire indicazioni di modelli che dovranno essere di volta in volta individuati rispetto allĠassetto aziendale di riferimento. In proposito deve osservarsi che per la durata della misura straordinaria gli amministratori riassumono in sŽ tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dellĠimpresa, con paralisi dellĠesercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari, con sospensione, per le imprese costituite in forma societaria, anche dei poteri riservati allĠassemblea (comma 3, art. 32, d.l. n. 90/2014). ne consegue che, rispetto alle commesse pubbliche commissariate, i titolari dellĠimpresa non solo non hanno poteri di alienazione dei beni, ma neanche di poter disporre degli stessi costituendo diritti reali (come lĠuso) o di godimento (come la locazione) sui beni funzionali alle commesse commissariate e, pi in generale, non possono compiere atti idonei, nemmeno potenzialmente, a ripercuotersi sulla gestione del servizio. In altre parole, rispetto ai poteri di gestione, gli organi ordinari titolari dellĠimpresa non possono, per la durata della misura straordinaria, assumere iniziative gestionali (relative alle risorse umane e strumentali) che entrino in conflitto reale o virtuale con il perseguimento dellĠinteresse pubblico che il commissariamento  tenuto a garantire per lĠintera durata. (19) In tal senso si esprimono le linee guida AnAC. (20) Seconde linee Guida AnAC, pag. 6. DoTTrInA 261 Da parte loro, gli amministratori straordinari, cui compete la somma dei poteri di amministrazione rispetto ai contratti commissariati, non possono assumere iniziative che, in termini di gestione umane e strumentali, possano costituire minaccia alla redditivitˆ dellĠazienda. Del resto il rispetto del valore dellĠazienda viene confermato dal rilievo contenuto nelle seconde linee guida AnAC, allorchŽ viene evidenziato lĠobbligo di restituzione dellĠutile allĠazienda commissariata laddove il giudizio concernente lĠinterdittiva sia consacrato in un giudicato favorevole a questĠultima (21). Il difficile punto di equilibrio tra interesse pubblico e tutela del valore aziendale va, evidentemente, ricercato e realizzato attraverso una articolata attivitˆ dei commissari straordinari, che di volta in volta dovranno individuare i punti di equilibrio tenendo conto e valutando anche le esigenze aziendali rappresentate da parte degli organi di gestione ordinaria. Ci˜ al fine di evitare crisi o pregiudizi di cui potrebbero rispondere patrimonialmente gli stessi commissari dinanzi alla Corte dei Conti per Çeventuali diseconomie dei risultatiÈ, nei soli casi di dolo e colpa grave (comma 4, art. 32). nella riferita prospettiva sembra opportuna misura organizzativa la formalizzazione di momenti di raccordo tra gestione straordinaria e ordinaria per condividere con questĠultima le scelte gestionali di pi significativo rilievo aziendale. nellĠeventualitˆ in cui sorgano conflitti tra i commissari straordinari prefettizi e i titolari dellĠimpresa in relazione allĠadozione di provvedimenti gestori da assumersi in modo concertato alla luce di quanto sin qui osservato, il compito di risolvere lĠimpasse sembra riservato agli amministratori straordinari, considerato che il provvedimento interdittivo  finalizzato a garantire la prosecuzione del servizio a salvaguardia di interessi di matrice pubblicistica ritenuti prevalenti dal legislatore. In casi del genere, ai commissari straordinari resta affidato il delicato compito di operare in ultima analisi la valutazione, nella concreta situazione, circa lĠopportunitˆ dellĠassunzione della misura, bilanciando, da una parte, la rilevanza dellĠadottando provvedimento sullĠesecuzione del servizio considerandone il profilo degli interessi pubblicistici sottesi, e, dallĠaltra parte, la rilevanza delle ripercussioni organizzative e delle conseguenze economiche che esso  idoneo a produrre sullĠazienda complessivamente, assumendo quindi la decisione finale secondo canoni di necessitˆ (della misura) e proporzionalitˆ (del sacrificio imposto agli interessi dĠimpresa). 4. Gestione del personale e responsabilitˆ patrimoniale verso gli addetti ai servizi amministrati. é possibile, sulla base di quanto sin qui osservato, esaminare specificamente la problematica della responsabilitˆ della gestione separata rispetto a (21) Seconde linee Guida AnAC, pagg. 17 e 18. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 obblighi pregressi, anche risarcitori, con particolare riferimento alla gestione delle risorse umane utilizzate nella esecuzione dei contratti commissariati. non sembra revocabile in dubbio che la titolaritˆ dei rapporti di lavoro resti in capo alla societˆ (e ai suoi titolari) come qualunque altro contratto o bene aziendale, mobile e immobile, rispetto ai quali il provvedimento interdittivo non modifica lĠimputazione soggettiva. Al pari di quanto accade in relazione a ogni altro rapporto giuridico di natura reale o obbligatoria, agli amministratori compete la gestione (e dunque lĠesercizio delle facoltˆ e dei poteri che vi sono connessi) di tutti i rapporti di lavoro che siano funzionali alla esecuzione di quei contratti di concessione in relazione ai quali il provvedimento prefettizio trova il proprio campo dĠapplicazione. Ci˜ consente, innanzitutto, di configurare in capo agli amministratori straordinari il potere/dovere di porre in essere in autonomia tutti gli atti di gestione relativi allo svolgimento dei rapporti di lavoro (ad esempio organizzazione dei turni di lavoro, assegnazione dei compiti, definizione degli orari di lavoro) del personale addetto in via esclusiva allĠesecuzione dei contratti commissariati. In proposito, alla luce di quanto supra evidenziato, la gestione autonoma dei commissari straordinari pu˜ tuttavia incontrare dei limiti qualora lĠadozione dei provvedimenti gestori sia idonea a proiettarsi stabilmente sullĠassetto organizzativo dellĠazienda ovvero ne possa intaccare la redditivitˆ. laddove, infatti, lĠadozione di tali provvedimenti, pur necessitata dagli interessi pubblicistici connessi alla prosecuzione dei contratti, possa comportare effetti duraturi idonei a travalicare il periodo di interdittiva ovvero possa realisticamente risolversi in una diminuzione delle redditivitˆ dellĠimpresa, tali provvedimenti andranno assunti con il coinvolgimento degli organi sociali titolari dellĠimpresa (si pensi, ad esempio, allĠattribuzione di inquadramenti superiori, oppure allĠintroduzione di trattamenti retributivi pi elevati rispetto a quelli previsti dal ccnl applicato o, comunque, in atto al momento del provvedimento di interdizione). Per quanto riguarda gli atti di gestione del personale ÒpromiscuoÓ, ossia addetto non solo allĠesecuzione dei contratti commissariati ma anche ad altre attivitˆ aziendali non commissariate, sembra evidente, per quanto giˆ osservato, che tali atti di gestione debbano essere sempre assunti con il coinvolgimento anche dei titolari dellĠimpresa, considerata la loro idoneitˆ ad incidere immediatamente anche su segmenti di attivitˆ che esulano dalle attribuzioni dei commissari. In relazione, poi, allĠeventuale instaurazione o estinzione di rapporti di lavoro di personale da adibire o addetto a funzioni relative, in tutto o in parte, allĠespletamento dei contratti commissariati, anche tali atti dovrebbero sempre essere assunti dai commissari straordinari coinvolgendo gli organismi ordinari dellĠimpresa. le assunzioni e i licenziamenti, infatti, sono atti intrinsecamente destinati a incidere stabilmente sullĠassetto organizzativo e produttivo aziendale, anche in considerazione dellĠelemento fiduciario che contraddistingue i rapporti di lavoro. DoTTrInA 263 PoichŽ, come si  visto supra, il provvedimento interdittivo non sembra comportare una perfetta separazione patrimoniale tra le risorse dellĠimpresa derivanti dai diversi contratti (tra cui quelli amministrati) ma solo lĠimpignorabilitˆ e la separazione, peraltro temporanea, degli utili relativi ai contratti amministrati (oltre alla separazione meramente gestionale), non sembra possibile segregare, salvo che per gli utili accantonati, i debiti riconducibili ai contratti amministrati a seconda che essi siano sorti prima o dopo il provvedimento interdittivo, e ci˜ vale anche per i debiti derivanti dallo svolgimento di rapporti di lavoro. Per quanto attiene, dunque, ai debiti verso lavoratori addetti allĠesecuzione dei contratti amministrati, non sembra possibile operare alcuna distinzione temporale circa il momento della loro insorgenza, apparendo decisiva lĠintrinseca riconducibilitˆ dei rapporti di lavoro in questione allĠesecuzione dei contratti affidati allĠamministrazione commissariale. Del resto, in proposito, vale anche la considerazione che il provvedimento interdittivo determina lĠaffidamento ai commissari della gestione dei contratti di appalto/concessione nello stato in cui si trovano, comprensivi cio di tutte le situazioni giuridiche attive e passive sino a quel momento realizzatesi. eventuali debiti insorti in relazione ai rapporti di lavoro del personale addetto allĠesecuzione dei contratti commissariati, dunque, potranno legittimamente essere estinti dagli amministratori straordinari con i proventi derivanti dallĠesercizio dei servizi oggetto dei contratti amministrati, indipendentemente dal momento (precedente o successivo al provvedimento interdittivo) in cui tali debiti siano sorti. Su un piano pi generale, del resto, pu˜ osservarsi che laddove sussista una responsabilitˆ dellĠazienda, sia di natura contrattuale che extracontrattuale, direttamente derivante dal contratto di concessione (poi) commissariato o dalla sua esecuzione, indipendentemente dal momento in cui essa sia insorta, non pare revocabile in dubbio che di essa debba rispondere lĠazienda anche con il patrimonio e le risorse affidate alla gestione commissariale, dal momento che, come si  visto, dal tenore dellĠart. 32, d.l. n. 90/2014, e dalle stesse linee Guida Anac, non sembra evincersi alcuna separazione patrimoniale e, a maggior ragione, alcuna segregazione dei debiti su base esclusivamente temporale (eccezion fatta, come giˆ rilevato, per lĠimpignorabilitˆ e lĠaccantonamento temporanei degli utili eventualmente risultanti dallĠattivitˆ commissariata e salva lĠadozione di misure ai sensi dellĠart. 2447-bis c.c.). nŽ a conclusioni diverse potrebbe giungersi in considerazione dellĠobbligo dei commissari di agire nellĠinteresse pubblico, che si colloca su un diverso piano. un tale obbligo, infatti, certamente pervade lĠattivitˆ dei commissari che devono ispirare allĠinteresse pubblico (come specificato dal comma 10 dellĠart. 32) le proprie scelte gestionali e, ancor prima, costituisce il criterio guida dellĠamministrazione per lĠadozione del provvedimento interdittivo. esso, tuttavia, se  sicuramente riferibile alla attivitˆ commissariale rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 nel suo complesso, non pu˜ costituire di per sŽ il criterio per distinguere le diverse situazioni debitorie dellĠazienda, le quali, laddove derivino dai contratti (poi) commissariati ovvero dal loro esercizio, rientrano tutte nellĠambito della gestione affidata ai commissari (nellĠinteresse pubblico). la problematicitˆ delle questioni sollevate e il rilievo che le stesse possono evidentemente assumere nelle variegate ipotesi che la realtˆ presenta agli operatori, rende auspicabile lĠintervento di una regolazione normativa che esplicitamente chiarisca se, in che termini e con quali modalitˆ, la separatezza tra gestione ordinaria e gestione straordinaria debba o possa tradursi - nel rispetto di un equo bilanciamento tra lĠevidente rilievo pubblicistico della misura straordinaria, la tutela dellĠaffidamento (22) e la libertˆ dĠimpresa - sul piano della responsabilitˆ della gestione straordinaria per debiti pregressi, contrattuali e non, anteriori al commissariamento. (22) ComĠ noto, il principio del legittimo affidamento trova piena cittadinanza nel diritto europeo grazie allĠopera creativa della giurisprudenza comunitaria, la quale ha da tempo affermato che Çil principio della tutela dellĠaffidamento fa parte dellĠordinamento giuridico comunitarioÈ (Corte di giustizia, 3 maggio 1978, C-112/77, Tšpfer c. Commissione; Corte di Giustizia, 19 settembre 2000, C-177/99 e C-181/99, Ampafrance and Sanofi; Corte di Giustizia, 18 gennaio 2001, C-83/99, Commissione c. Spagna). Sul punto AllA l., Il legittimo affidamento nel diritto europeo e nel diritto interno, in http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2012/11/Alla_legittimo- affidamento.pdf. DoTTrInA 265 atto di provenienza amministrativa e prova penale Antonio Pugliese* lĠattivitˆ amministrativa di vigilanza ha un ruolo da ÒcomprimarioÓ, in chiave preventiva soprattutto, nella lotta alle condotte che possono porsi in conflitto con certi beni tutelati dal sistema. Per˜, come si vedrˆ, non  detto che l'atteggiamento del cittadino rimanga confinato nel solo ambito dell'illecito amministrativo. Questo  vero soprattutto dando uno sguardo ad alcune frontiere del diritto penale sostanziale: reati ambientali e tributari. Settori nei quali, l'Amministrazione spesso si muove quale soggetto privilegiato e, inevitabilmente, spesse volte  chiamata ad assumere diverse iniziative istruttorie. ebbene, sullo stretto confine tra illecito amministrativo e penale, e dunque sui diritti che devono essere tutelati in questa fase lato sensu investigativa, verterˆ l'approfondimento. lo scopo  prettamente ricognitivo, si cercherˆ, in definitiva, di descrivere lo stato dell'arte. SOMMARIO. 1. Il tema - 2. Gli Òindizi di reatoÓ e gli atti a finalitˆ c.d. mista - 3. Rischi connessi ad unĠutilizzazione poco attenta -4. Polizia amministrativa e giudiziaria nellĠambito delle attivitˆ ispettive e di vigilanza - 5. Il progressivo formarsi dellĠorientamento pi garantista - 6. Ultimi approdi giurisprudenziali - 7. Conclusioni. 1. Il tema. Al momento della sua formulazione, l'articolo 220 disp. att. c.p.p. (1), riferito all'emergere di indizi di reato in unĠindagine pubblica extra-penale, sembrava potesse dar compiuta ed espressa risposta alle istanze garantiste che giˆ da anni interrogavano la giurisprudenza (2). la disposizione, regola il caso in cui, nel corso di attivitˆ ispettive o di vigilanza -condotte in sede amministrativa -si scopra lĠesistenza di un possibile reato. Affiorato lĠindizio penalmente rilevante, entrano in gioco le garanzie assicurate dal codice di rito. Atti successivi, posti in essere non osservando quelle garanzie sono pertanto da considerare invalidi. A dispetto della linearitˆ del ragionamento appena illustrato, lĠinterpretazione della norma continua ad essere oggetto di incertezze applicative. In effetti, sulla questione si  formata una corposa giurisprudenza, spesso in disaccordo sulle soluzioni da adottare. un punto di svolta, a favore di soluzioni -vedremo -pi garantiste,  costituito dalla sentenza a Sezioni unite della Cassazione del 2001 (3), dopo che sul punto era giˆ intervenuta la Corte costituzionale (4). (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lĠAvvocatura distrettuale dello Stato di bolgona. (1) r.e. KoSTorIS, Sub art. 220, in e. AMoDIo, o. DoMInIonI, Commentario del nuovo codice di procedura penale, Appendice, Milano, 1990, p. 74. (2) Si vedano, per stare alla sola giurisprudenza costituzionale, Corte Cost., n. 86 del 1968; nn. 148, 149 del 1969; n. 248 del 1983; n. 15 del 1986; n. 330 del 1990. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 Pi recentemente si  registrata unĠoscillazione allĠinterno della Sez. 3 pen. dalla quale  opportuno prendere le mosse nel tentativo di comprendere quali e quante difficoltˆ comporti il quesito in questione. In estrema sintesi, la Cassazione, a distanza di meno di venti giorni, ha sfornato due decisioni dal contenuto diametralmente opposto. In entrambi i casi si eccepiva lĠinutilizzabilitˆ del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, dopo che erano emersi indizi di reato: la prima pronuncia (5) rigettava le tesi difensive; la seconda (6), invece, le accoglieva. nel primo caso, si  ritenuto del tutto legittimo lĠuso probatorio del processo verbale (dĠora in avanti Pvc), e ci˜ in quanto esso costituirebbe atto irripetibile, legittimamente acquisibile al fascicolo per il dibattimento e, pertanto, liberamente valutabile dal giudice ai fini decisori. nella prima sentenza, la Corte non ha inteso effettuare unĠattenta analisi degli elementi critici riconducibili a questo indiscriminato utilizzo (7). Affatto diverso  il percorso argomentativo offerto dai giudici di legittimitˆ nella seconda pronuncia, dove si sono condivise le critiche della difesa che palesavano lĠevidente limite del- lĠargomentazione sviluppata dal giudice di secondo grado. Secondo lĠimpostazione della Corte dĠappello, infatti, non potrebbe essere accolta una questione di inutilizzabilitˆ, fondata sullĠart. 220 disp. att., quando questĠultima si riferisca ad accertamenti fiscali della Guardia di finanza atti ad accertare reati tributari con soglia di punibilitˆ. Il motivo: lĠevidenza dei reati in questione pu˜ esservi solo a seguito dellĠespletamento dellĠattivitˆ dĠaccertamento, quindi, non vi sarebbe nessun indizio prima di quel momento. Senza entrare nel merito della risposta della Corte -comunque contraria a questa impostazione - che sarˆ oggetto delle successive riflessioni, solo si nota che cos“ procedendo si rischia di non dar giusta lettura del termine indizio, il quale, preme dirlo sin dĠora,  molto distante dallĠidea di evidenza di reato. la disposizione in esame non poteva che porre i numerosi interrogativi che ha posto; essa si colloca in uno spazio colmo di significati, incrocio nevralgico del procedimento penale, luogo ove attuare un calibrato bilanciamento tra diritti di difesa, da un lato, ed efficacia repressiva delle agenzie di controllo sociale, dallĠaltro. era, dunque, quasi inevitabile lo scontro dialettico. (3) Cass. Pen., Sez. un., n. 45477 del 2001. (4) V. supra, nota Ò2Ó. (5) Cass. Pen., sez. III, n. 1973 del 2015. (6) Cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 2015. (7) Conviene riportare per intero lo stralcio della motivazione che si riferisce alla questione: ÇA ben vedere, infatti, il giudice di prime cure ha costruito il proprio convincimento anche sulla base di altri elementi tra i quali il processo verbale della GDF che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, ben pu˜ essere utilizzato quale prova ai fini della decisione dibattimentale (ex pluris Cass. sez. III n. 36399/2011 secondo la quale Òcostituisce atto irripetibile, e pu˜ quindi essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza per accertare o riferire violazioni a norme di leggi finanziarie o tributarieÓ)È. DoTTrInA 267 la norma fotografa una situazione processuale ibrida in cui  probabile che alcuni degli atti compiuti dagli organi amministrativi abbiano anche un valore spendibile all'interno del procedimento penale (8). Conoscenze acquisite in sede amministrativa ambiscono a sortire valore probatorio in sede penale (in maniera impropria, considerate le diverse regole di accertamento che caratterizzano rispettivamente lĠistruttoria amministrativa e la formazione della prova penale). In veritˆ, quanto detto potrebbe anche rappresentare lĠapprodo fisiologico di una buona attivitˆ di controllo e vigilanza svolta dai funzionari pubblici, ma ci˜ non rende certo meno rilevante lo studio sui limiti di utilizzabilitˆ di questi atti prodotti al di fuori del rito, dunque - ed  questo l'elemento che pi di ogni altro desta preoccupazioni - al di fuori delle garanzie assicurate dalla legge processuale. Cerchiamo di centrare sin da subito la questione pi ardua: il rapporto fra acquisizione processuale di atti a finalitˆ c.d. mista e rispetto delle garanzie difensive pone il problema dei Çlimiti che l'ammissibilitˆ di tali [atti] incontra nelle regole concernenti il diritto al contraddittorio e la formazione dibattimentale della provaÈ (9). 2. Gli indizi di reato e gli atti a finalitˆ c.d. mista. Gli atti a finalitˆ mista hanno un appiglio normativo nell'art. 220 disp. att. c.p.p. Sono quelli posti in essere da soggetti appartenenti allĠamministrazione pubblica in un contesto particolarissimo, ossia quando la loro attivitˆ si muove sui sottili e non sempre ben visibili confini tra istruzione amministrativa e attivitˆ cognitiva penale. la problematica a ci˜ riconnessa  presto individuata: si deve garantire, con un discreto grado di certezza, che le attivitˆ poste in essere dall'Amministrazione, nella misura in cui le informazioni da essa raccolte rivestano un qualche significato a fini penali, non ledano diritti difensivi tutelati dal codice e, ancor prima, dalla Costituzione (art. 24 comma 2 e art. 111 commi 3, 4). In altre parole, se si vogliono evitare facili aggiramenti della normativa processuale penale, occorre individuare con precisione il momento a partire dal quale lĠaccertamento va condotto secondo le regole imposte dal codice di rito, assai pi rispettose delle garanzie individuali delle regole che presidiano lĠistruttoria amministrativa. Compito del citato articolo 220 disp. att. , per lĠappunto, individuare tale momento. Vi si legge: Òquando nel corso di attivitˆ ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (É) sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del co (8) In questo senso, T. rAFArACI, Reati tributari con soglia di punibilitˆ e applicazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p.: la Cassazione rimarca i diritti della difesa, in Rivista della Guardia di finanza, n. 3 del 2015, p. 674. (9) Per un'interessante ed approfondita analisi sul tema, anche in chiave comparata, r. orlAnDI, Atti e informazioni della autoritˆ amministrativa nel processo penale, Giuffr, 1992, p. 156. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 diceÓ. Subito si affacciano alcuni quesiti: bisogna attendere che si sia mostrato, in maniera compiuta o quasi, un reato? o  sufficiente che sussista una mera possibilitˆ di attribuire rilevanza penale ad un dato fatto? e ancora: si deve essere in grado di attribuire il presunto fatto di reato ad un soggetto determinato? Dalla risposta a tali quesiti discende tutto il sistema delle garanzie che il codice appresta alla difesa, ed  a quest'ultimo collegato a Òdoppio filoÓ il tema della spendibilitˆ in sede processuale di quelle risultanze frutto della fase, lato sensu, investigativa. Procrastinare eccessivamente il momento dal quale si ritiene emersa una notitia criminis, anzi, un indizio di reato, finirebbe con lĠerodere oltre misura lo spazio a legittime aspettative della difesa. Questa  dunque la questione da affrontare prioritariamente. Come giˆ detto, l'art. 220, individua il tempo del rito penale all'emersione degli indizi di reato. Diciamo subito che qui, il termine indizi, ha significato ben diverso da quello che compare nellĠart. 192, comma 2, c.p.p. con riguardo al prudente apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito. Gli indizi di cui si occupa il citato articolo 220 non evocano lĠidea di prova critica o prova logica fondate su ragionamenti probabilistici; alludono, pi semplicemente, allĠinsorgere del personale convincimento dellĠorgano investigativo di essere in presenza di un reato; nulla di pi. Facendo unĠispezione amministrativa, capita di imbattersi occasionalmente in un reato. Tale  la situazione assunta a premessa dellĠart. 220. Per queste ragioni, sembra eccessivo ritenere formato un indizio, contrariamente a quanto detto inizialmente dalla giurisprudenza (anche costituzionale), quando ci sia Çuna sufficiente specificazione sia del fatto che del soggetto cui  attribuibileÈ (10), questa conclusione rischia di spostare troppo in lˆ il momento in cui scattano le garanzie processuali. non bisogna inoltre dimenticare che Çil momento in cui emerge l'indizio di reato non coincide sempre e necessariamente con la scoperta del correlativo indiziato. non v' implicazione necessaria fra questi due terminiÈ (11). é pi conveniente alle esigenze del caso, oltre che pi in linea con la stessa ragion d'essere della norma, fare riferimento ad una concezione quasi embrionale del termine, ad una mera possibilitˆ di reato. é dunque plausibile che l'art. 220 sia destinato ad operare quando la Çpubblica amministrazione -nelle sue molteplici e diversificate attivitˆ di ispezione e vigilanza -venga a conoscenza di un possibile reatoÈ (12). In ci˜ intravedendosi, come  stato segnalato, un parallelismo, in riferimento agli effetti, tra indizio di reato e notitia criminis: Çla notizia di reato -allo stesso modo dell'indizio ex art. 220 - il presupposto al (10) In questo senso, M. GuernellI, Aspetti operativi e processuali dell'attivitˆ di p.g. nel nuovo c.p.p., in Arch. nuova proc. pen., 1991. (11) r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 156. (12) In questo senso, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 156. DoTTrInA 269 cui verificarsi deve seguire l'applicazione della normativa processuale penaleÈ (13). Il fatto che il parallelismo sia effettuato solo in merito agli effetti non  certo questione da poco. Gli indizi Çsi collocano in un momento necessariamente antecedente al manifestarsi degli elementi che integrano la notizia di reatoÈ (14), la quale sarebbe dunque contraddistinta da una maggior determinatezza in ordine agli elementi su cui si fonda. Ci˜ conferisce alla norma un taglio giustamente garantista, molto pi di quanto non si sia disposti a riconoscerle. In definitiva, dando risposta agli interrogativi pocĠanzi esposti (15), si ritiene sufficiente che sussista una mera possibilitˆ di attribuire rilevanza penale ad un dato fatto, perchŽ possa dirsi soddisfatta la condizione di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. Quando si manifesta questa possibilitˆ, sarˆ il tempo del rito penale. 3. I rischi di unĠutilizzazione poco attenta. le premesse poste, rappresentano un accettabile punto di partenza per verificare i limiti entro i quali lĠatto amministrativo possa valere come prova in un giudizio penale di colpevolezza. una considerazione preliminare tuttavia si impone. Gli atti amministrativi (pur formati da unĠautoritˆ pubblica) non sono di per sŽ equiparabili ad atti dĠindagine penale, inoltre, non sono tutti della stessa specie. Completezza espositiva imporrebbe una precisa ÒcatalogazioneÓ dei vari e possibili atti, ma qui, per comprensibili limiti di brevitˆ, si analizzeranno solo quelli a finalitˆ c.d. mista (vale a dire, idonei a recare conoscenze riguardanti fatti penalmente rilevanti). Date queste premesse, si pu˜ procedere ad una rigorosa verifica in merito alle condizioni che questa particolare specie di atti misti debbono rispettare affinchŽ sia ammesso un qualche loro uso nel processo penale (16). Sullo sfondo restano tutte le regole che ispirano l'assunzione probatoria e, in particolare, lĠoralitˆ, lĠimmediatezza, il principio del contraddittorio nella formazione della prova, quello di paritˆ fra le parti e, non ultimo, il principio di legalitˆ. (13) r. orlAnDI, Atti e informazione, cit. p. 156. Ci pare importante rilevare come il parallelismo sia stato effettuato in riferimento agli effetti, e non in merito alla sostanza. In effetti gli ÒindiziÓ che ci interessano, non debbono essere ben formati come sarebbe una notizia di reato, ciononostante sono in grado di produrre i medesimi effetti. Quanto affermato da questa dottrina, a nostro avviso, trova conferma nelle parole che il legislatore spende nellĠambito dellĠart. 220 disp. att. c.p.p., ove, similmente allĠart. 55 c.p.p., ordina a chi ha condotto le attivitˆ investigative, di procedere secondo le norme del codice nei casi in cui Òemergano indizi di reatoÓ, che  ci˜ che sarebbe chiamato a fare un ufficiale di polizia giudiziaria nel caso in cui raccogliesse una notizia di reato. A nostro avviso, dunque, si potrebbe guardare allĠart. 220 come fosse una norma di raccordo del sistema. (14) l. nISCo, Paletti allĠefficacia del Pvc, risultanze non utilizzabili se non si rispetta la procedura, ItaliaOggi7, 23.02.2015. (15) Supra, v. ¤ 2. (16) r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. p. 133. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 l'esame a Çviva voceÈ, innanzi al giudice che sarˆ poi chiamato a decidere, nel contraddittorio fra le parti , innegabilmente, l'elemento maggiormente a rischio se si accogliesse la teoria - qui criticata - che considera per la maggior parte acquisibili gli atti provenienti dall'amministrazione. Il rispetto di questi principi costituisce uno degli obiettivi della legge processuale penale (17). Pare opportuno, allora, illustrare in questa sede le principali problematiche che, in termini molto pratici, possono ricondursi agli atti misti. Prendiamo gli atti a contenuto dichiarativo che documentano informazioni provenienti dalla persona nei cui confronti si svolge lĠattivitˆ ispettiva e consideriamo a parte gli accertamenti tributari, intesi come conclusione di una precedente attivitˆ ispettiva volta a stabilire il quantum di evasione o, comunque, la condotta illecita del contribuente. Queste categorie, anche in virt dei materiali che si passeranno in rassegna, sono fra le pi problematiche, quelle che hanno sollevato la maggior parte delle incertezze in sede applicativa. Iniziamo dagli atti a contenuto dichiarativo e, nel dettaglio, gli atti contenenti le dichiarazioni di chi potrebbe divenire, in una progressione processuale, indagato prima, imputato poi. la situazione  facile da immaginare. nel corso di un'attivitˆ ispettiva, una persona  posta nella condizione di dover ÒcollaborareÓ con l'amministrazione, magari a pena di sanzione amministrativa, ma nel farlo rischierebbe di rendere dichiarazioni auto-indizianti. I dubbi che possono nascere appaiono intuitivi: bisognerˆ sentire quel soggetto affidandosi alle regole codicistiche o si pu˜ legittimamente restarne al di fuori? é qui che affiora la necessitˆ di dare giusta lettura di quegli Òindizi di reatoÓ di cui al 220; tutto pu˜ essere ricondotto a quel momento. Se si ritenesse di attendere l'emersione di un indizio meglio formato, si dovrebbe procedere a prescindere dalle garanzie del codice: varrebbe giˆ qui il principio nemo tenetur se detegere? Sul punto si tornerˆ pi avanti, ma, sin dĠora,  bene evidenziare come sia anche e soprattutto per situazioni come questa che si ritiene pi corretto adoperare una concezione embrionale di indizio, una mera possibilitˆ di reato appunto. non bisognerˆ attendere che il soggetto abbia ÒdepostoÓ per aprire (paradossalmente) le porte del codice di procedura (18). Meno intuitiva, forse, la questione afferente agli accertamenti tributari. In questĠambito, ed ai fini di assicurare la pi alta partecipazione dei con (17) lĠaffermazione  liberamente ispirata a r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., nota Ò7Ó, p. 139. (18) A nostro avviso, se si considerasse questa come unica via percorribile, si giungerebbe ad un ÒinvoluzioneÓ del sistema. Dovremmo sostenere, infatti, che le regole del codice, in riferimento a quel soggetto, si applicheranno solo dopo che vi sia stata la loro impunita violazione. Dal nostro punto di vista ad essere messo in crisi potrebbe essere anche il principio di uguaglianza e ragionevolezza. Pare che vi sia il rischio di dover qualificare gli indagati secondo schemi differenti: i pi e i meno fortunati, ed i pi fortunati sarebbero quelli giˆ inseriti nei procedimenti penali. Si segnala come la questione, qui solo introdotta, sarˆ oggetto di un pi approfondito vaglio in sede di conclusioni. DoTTrInA 271 sociati alle spese pubbliche,  consentito ÇlĠesercizio di poteri istruttori [finalizzati ad] esercitare la funzione di accertamento dei tributi, di riscossione e di irrogazione di sanzioniÈ (19). Il mancato rispetto della normativa tributaria pu˜ condurre il contribuente, o il presunto evasore se si preferisce, verso sanzioni sia amministrative sia penali. Da questo punto di vista,  di grande interesse analizzare il rapporto tra Amministrazione e cittadino, per stabilire se ed entro quali limiti il secondo sia tenuto a collaborare con la prima, anche a costo di nuocere a se stesso (20). Sotto questo aspetto, appare istruttivo soffermarsi sui Pvc redatti dalla Guardia di finanza. la scelta non  casuale, essi rappresentano gli atti su cui di recente si  soffermata una giurisprudenza oscillante fra ragioni repressive e ragioni del garantismo. In effetti i Pvc hanno sollevato e sollevano tuttĠora molte perplessitˆ in merito allĠoperativitˆ dellĠart. 220, ci˜ in quanto si sostiene che gli indizi di reato possono emergere solo al compimento degli atti richiamati, e questo soprattutto per le evasioni tributarie con soglie di punibilitˆ. occorre rilevare, a riprova dellĠoscuritˆ che ha riguardato la tematica, che per lungo tempo la giurisprudenza della Cassazione ha qualificato i Pvc come prove documentali che potevano entrare nel processo per la comoda via dellĠart. 234 c.p.p., con conseguente aggiramento dellĠart. 220. non bisogna calare questo orientamento tanto in lˆ nel tempo, basta volgere lo sguardo al 2015. Si  in parte giˆ detto, ma pare opportuno riprendere la questione. la Cassazione (21), pochi giorni prima di unĠaltra sferzante pronuncia (22), ha annoverato, in maniera anche abbastanza semplicistica per le argomentazioni offerte, i Pvc fra gli atti irripetibili, per questa ragione acquisibili al fascicolo per il dibattimento ed utilizzabili dal giudice nel giudizio di colpevolezza (23). Ci˜, allora, consente a noi di ricordare come le modalitˆ di acquisizione delle prove sono regolate da regole e divieti cogenti nel nostro sistema penale. non sono certo nuove le teorie che sottolineano la centralitˆ del tema nellĠambito di un sistema votato allo schema accusatorio. neppure sembra opinabile il rilievo secondo il quale conferire una simile rilevanza al modus nella formazione della prova muove nel pieno rispetto delle intenzioni del legislatore, la cui aspirazione era quella di costruire un ordinamento processuale che si fondasse sul principio della legalitˆ della prova (24). lo scopo, in con (19) P. Sorbello, La valutazione di sospetti, indizi e notizie di reato nel passaggio (incerto) dalle attivitˆ ispettive alle funzioni di polizia giudiziaria, Diritto penale contemporaneo, 2/2016, p. 128. (20) In merito a questo aspetto si richiamano le considerazioni svolte poche righe pi su. (21) Cass. Pen., sez. III, n. 1973 del 2015. (22) Cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 2015. (23) In quella occasione la Corte non ha inteso effettuare un approfondito vaglio dei principi che ispirano lĠacquisizione probatoria. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 clusione, era quello di Çsottolineare la funzionalitˆ delle relative regole rispetto alla formazione del convincimento del giudiceÈ (25). Se lĠorientamento della passata giurisprudenza ha trascurato i principi richiamati, lĠevoluzione pi recente sembra pi aperta alle istanze garantiste. Merita di essere segnalata, in particolare, una recente pronuncia della Cassazione (26) in cui si  provveduto a prendere una ferma presa di posizione, in chiaro disaccordo con quanto soli pochi giorni prima si era sostenuto. la sentenza sarˆ oggetto di una pi attenta riflessione fra qualche pagina, per ora sarˆ sufficiente sapere che in quella sede  stata affermata lĠinutilizzabilitˆ dei Pvc nella parte in cui questi si fossero formati solo dopo lĠemersione della notitia criminis. Si chiude, invece, questo paragrafo individuando a quale regime di invaliditˆ debbono essere ricondotte le violazioni di cui si  detto. Si condivide qui la tesi, maggioritaria, che vede nellĠinutilizzabilitˆ (27) la giusta sanzione. lĠart. 220 disp. att. vuole garantire il rispetto, per assicurare le fonti di prova -o le prove, se lĠatto  irripetibile -delle regole di cui al codice. Dunque, Çse le forme stabilite non sono rispettate, lĠatto non potrˆ avere (É) valore di provaÈ (28). Questa distinzione non  solamente dogmatica, possiede anche diverse e rilevanti conseguenze pratiche: il regime di rilevabilitˆ del vizio. riconducendo i vizi alla sanzione dellĠinutilizzabilitˆ, non sfugge che il vizio -elemento certo non secondario - potrˆ essere rilevato anche dĠufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento. 4. Polizia amministrativa e giudiziaria nell'ambito delle attivitˆ ispettive e di vigilanza. Quanto si  detto, svela un altro profilo problematico: quello dell'asserita distinzione tra funzione di polizia amministrativa e giudiziaria. ora, in via preliminare, si consideri come, secondo insegnamento tradizionale (29), i concetti di polizia amministrativa e giudiziaria debbono tenersi distinti, perchŽ diversi sono gli interessi che lo Stato intende perseguire. Mentre alla polizia amministrativa sarebbero assegnate per lo pi funzioni preventive o di perseguimento di illeciti posti a tutela di interessi settoriali (24) Molti autori hanno affrontato la questione. Fra molti si vedano M. nobIlI, Principio di legalitˆ, processo, diritto sostanziale, in Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998, p. 182; V. GreVI, Prove, in Compendio di procedura penale, G. ConSo, V. GreVI e M. bArGIS, settima edizione, e, con specifico riguardo alle tematiche qui trattate, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. (25) V. GreVI, Prove, in Compendio di procedura penale, cit., p. 314. (26) Cass. Pen., sez. III, 4919/2015. (27) In giurisprudenza, fra le altre, Cass. Pen., sez. III, n. 12254 del 2014; Cass. Pen, sez. III, n. 28053 del 2011. (28) Cos“, G. bISCArDI, Atti a finalitˆ mista, indizi di reato e garanzie difensiva. Una sintesi difficile, Processo penale e giustizia, n. 6 del 2015, p. 159 ss. (29) Si veda, tra gli altri, S. GIAMbruno, voce Polizia giudiziaria, in Dig. dis. pen., vol. IX, utet, p. 597 ss.; b. bruno, voce Polizia giudiziaria, in Enc. dir., vol XXXIV, Giuffr 1985, p. 159 ss. DoTTrInA 273 dellĠamministrazione pubblica, verificando la corrispondenza del comportamento dei cittadini alle leggi, ai regolamenti e agli atti amministrativi in genere; alla polizia giudiziaria spetterebbero funzioni repressive nel campo penale. Quindi, a seguito della asserita commissione di un reato, essa prenderˆ notizia del reato, impedirˆ che venga portato a conseguenze ulteriori, ricercherˆ gli autori e - per quanto qui interessa - porrˆ in essere le attivitˆ utili per assicurare le fonti di prova (30). Dunque, siccome la polizia amministrativa esprime un potere di vigilanza, mentre quella giudiziaria esprime un potere Çistruttorio o preistruttorio, preordinato ai fini giurisdizionaliÈ (31), le due attivitˆ debbono tenersi su piani diversi. le prime saranno, come ha affermato certa giurisprudenza, neutre rispetto al procedimento penale (32). non sono state poche le critiche a questa distinzione, non  raro imbattersi in contributi in cui si ritiene intollerabile che sulla scorta di una distinzione dogmatica, sconfessata -a volte -dalla pratica del diritto, non si riconoscano, o meglio, si ledano le tutele difensive in ordine alla formazione della prova penale (33). Questo  vero soprattutto - elemento che ha spesso acceso gli animi -, se si considera che l'atteggiamento del cittadino pu˜ di frequente travalicare i confini dell'illecito amministrativo. Si comprende bene, quindi, come la discussione possa facilmente assumere anche un certo rilievo pratico. Qualificare in maniera adeguata i soggetti che compiono attivitˆ d'indagine, ampiamente intesa, e dunque asservirli a certe (pi rigorose) regole piuttosto che altre, pu˜ anche fare la differenza tra la libertˆ o le carceri, tra il candore di un certificato penale bianco o il marchio socialmente (ancora) infamante di una condanna. Molti sono stati gli esempi portati dalla dottrina. ed allora, venendo al pur particolare caso dei prelievi e delle analisi, si  sostenuto che queste attivitˆ siano ÇinconsciamenteÈ (34) tese alla ricerca di prove da spendersi in un processo penale. Ancora pi incisiva l'affermazione secondo cui sarebbe Çutopico ed irrealeÈ (35) sostenere che l'attivitˆ di vigilanza persegua fini meramente amministrativi. Insomma, secondo questo filone interpretativo, pi che a reali differenze, saremmo di fronte ad un ÒgarbuglioÓ (36). (30) V. art. 55 c.p.p. (31) n. FurIn, Polizia amministrativa e polizia giudiziaria; possono le pretese distinzioni tra queste funzioni limitare le garanzie difensive nell'ambito dell'attivitˆ ispettiva e di vigilanza amministrativa?, in Cassazione Penale, Fasc. 7-8, 1999, p. 2441. (32) Fra le tante, Corte cost., n. 69/1968, Corte cost., n. 122/1974. (33) Per un'attenta ed interessante analisi sul tema, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit. (34) V. e. AMoDIo, Modalitˆ di prelevamento di campioni e diritto di difesa nel processo per frodi alimentari, in Riv. it. dir. e proc. Pen., 1970, p. 116 ss. (35) M. nobIlI, Atti di polizia amministrativa utilizzabili nel processo penale e diritto di difesa: una pronuncia marcatamente innovativa, in Foro italiano, 1984, I, p. 375 ss. (36) ÒSe tutto il codice dovessi volgere, se tutto l'indice dovessi leggere, con un equivoco, con un sinonimo qualche garbuglio si troverˆÓ penserebbe bartolo, ne Òle nozze di FigaroÓ, W.A. Mozart. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 Incisiva appare la critica avanzata da chi crede che questa distinzione ÜÜsi risolve in uno strumento artificioso, con il quale si tenta invano di dare fondamento giuridico alla scelta di negare i diritti di difesa (É), privando il cittadino dell'unico mezzo mediante il quale egli pu˜ autogarantirsi nei confronti dello Stato durante l'espletamento di un procedimento che lo pu˜ portare all'incriminazione e al processoŬŬ (37). Si noti solo che, secondo la prima lettura, sarebbe pi facile garantire l'ingresso degli atti nel procedimento penale. Si potrebbe utilizzare, in ipotesi e senza pretese di esaustivitˆ, l'art. 234 c.p.p. aprendo, a questi atti, le porte del processo (38). ovviamente le posizioni che, molto sinteticamente, si sono riportate - e riservandoci di prendere pi puntuale posizione solo in sede di conclusioni manifestano anche due modi diversi di guardare al processo. riaffiora quella dicotomia di cui molto si  giˆ detto: chi sostiene un processo penale efficace, e chi vorrebbe che ad essere efficaci fossero le garanzie individuali. Questo, in estrema sintesi, lĠoggetto della controversia. la questione  tuttĠaltro che sopita e molto di recente  riemersa lĠesigenza di unĠattenta riflessione in riferimento alla qualifica da attribuire ai funzionari ArPA, materia sulla quale sono tornate sia la Cassazione sia la Corte costituzionale (39). DallĠanalisi delle due pronunce si comprende bene quali siano i criteri utili per identificare con precisione quale debba essere la qualifica da attribuire ad un soggetto. lĠambito in cui si muovono i giudici  quello ambientale, oggi al centro di un rinnovato dibattito. negli ultimi due anni, infatti, il legislatore si  mostrato pi sensibile alle tematiche ambientali ed ha cos“ provveduto, nel 2015 (40), ad un corposo rinnovamento della risposta penale a comportamenti ritenuti lesivi del diritto costituzionale ad un ambiente salubre (41). l'intervento legislativo  senz'altro in linea coi tempi moderni, nei quali l'attenzione per la salute, che passa anche ed inevitabilmente per una nuova attenzione verso l'ambiente, occupa buona parte dei dibattiti politici. Assume pertanto un sicuro rilievo lĠinterrogativo in merito alla qualifica soggettiva dellĠoperatore ArPA. ebbene, la strada da seguire, in un'analisi critica circa la corretta qualifica da abbinare ad un soggetto, deve essere una giusta sintesi tra elementi prettamente processuali ed altri sostanziali; bisogna guardare, cio, alle attivitˆ svolte (37) Cos“, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit., p. 2446. (38) Per un'attenta e minuziosa analisi, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 133 ss. (39) Cass. Pen., sez. III, n. 50352 del 2016 e Corte cost. n. 8 del 2017. (40) Il legislatore  intervenuto con la l. n. 68 del 2015. (41) Anche per questa ragione, per la nuova risposta penale, il tema costituisce il pi moderno terreno di dialogo. oggi pi che in passato, infatti, concedere o meno lĠingresso al dibattimento di atti, analisi nello specifico, spesso irripetibili costituisce una maggiore fonte di rischio, e ha riacceso le luci sulla questione che, per la veritˆ,  stata altre volte affrontata. DoTTrInA 275 dagli operatori, ai beni che quell'attivitˆ vuole difendere e alla fonte del loro potere. In pratica bisognerˆ affiancare agli articoli 57 e 55 del codice di rito, che descrivono chi, astrattamente,  chiamato a svolgere certe funzioni e di quali funzioni si tratta, una domanda in merito a cosa deve essere protetto. In definitiva, bisognerˆ chiedersi se la materia in cui si interviene sia presidiata dalla legge penale. Tutto ci˜,  bene ricordarlo, non pu˜ prescindere da unĠanalisi, come detto, circa la fonte del potere di questi soggetti, fonte che deve essere statale. In questo senso si colloca la richiamata sentenza della Consulta, ove si censura la pratica di individuare tramite legge regionale (nel caso di specie, della basilicata) gli operatori (ArPA) cui attribuire la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. Questa pratica si pone in aperto conflitto con lĠart. 117, co. 2, let. l) della Costituzione, che assegna alla legislazione statale, in via esclusiva, lĠattribuzione di funzioni e poteri in capo ai soggetti processuali, ivi compresi gli organi di polizia giudiziaria (42). Si tornerˆ in seguito sullĠargomento, ma sin dĠora preme dire che una simile digressione  tuttĠaltro che estranea al tema proposto, ci˜ in quanto la qualifica soggettiva dellĠoperatore ha chiari riflessi sul regime di utilizzabilitˆ degli atti da questi posti in essere. Si pensi, ad esempio, al caso in cui le indagini siano condotte, dopo lĠemergere degli indizi di reato (dunque quando giˆ si dovrebbe parlare di indagini preliminari penali), da un soggetto cui non pu˜ essere ricondotta la qualifica di polizia giudiziaria, quale la sorte processuale degli atti prodotti? Saranno radicalmente inutilizzabili? (43). 5. Il progressivo formarsi dell'orientamento pi garantista. Sino ai primi anni 2000 la giurisprudenza di legittimitˆ si mostrava non troppo garantista, seguiva una strada che sembrava descrivere i due ambiti, quello amministrativo e quello penale, come nettamente diversi e, seppur innegabili apparivano i punti d'incontro, non pareva preoccuparsi troppo dei rischi o dei pericoli che potevano subentrare ad un incontrollato contatto (44). nel 2001, con una sentenza di notevole impatto, le Sezioni unite della Cassazione (45) analizzarono, nello specifico, l'utilizzabilitˆ della testimonianza di un ispettore del lavoro circa dichiarazioni a lui rese nel corso del (42) Prendendo spunto dalle parole della Consulta,  giusto il caso di segnalare come la scelta del legislatore regionale (ossia la legge della regione basilicata n. 37/2015, il cui art. 31, co. 4, ha subito la declaratoria di incostituzionalitˆ) Çsi spiega con lĠobiettivo di rendere maggiormente efficacie lĠattivitˆ ispettiva in materia ambientale, in un contesto normativo [statale] che, anteriormente alla riforma recata dallĠart. 14, comma 7, della legge 28 giugno 2016, n. 132 (...), si prestava ad opposte interpretazioni in ordine allĠesistenza di una fonte (appunto, statale) idonea ad attribuire al personale ispettivo delle agenzie la qualifica in questioneÈ. (43) Sul punto si tornerˆ in sede di conclusioni. (44) Fra le tante, Cass. Pen., sez. II. 25 giugno 1997, Donciglio; Cass. Pen., sez. II, 27 novembre 1998, ricci; Cass. Pen., sez. II, 18 febbraio 2000, Tornatore. (45) Cassazione, SS.uu. 45477/2001. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 l'inchiesta amministrativa da persona poi sottoposta alle indagini. In quella circostanza, i due primi giudici non reputarono violata nessuna delle disposizioni poste a pena di inutilizzabilitˆ sull'assunto che le dichiarazioni auto - ed etero - accusatorie erano state rese nel corso di un'indagine meramente amministrativa, non toccava il processo penale, sicchŽ non vi era stata la violazione degli articoli 62 e 63 c.p.p. Su questa linea, trincerandosi dietro lĠidea taumaturgica di Òlibero convincimentoÓ (art. 192 c.p.p.), si riteneva ammissibile ed utilizzabile la testimonianza Òin quanto (avrebbe) ad oggetto un fatto storico estraneo al procedimento penale e liberamente valutabile dal giudiceÓ (46). Cos“ facendo per˜, si pu˜ aggiungere, si rischia di non guardare il problema dalla giusta prospettiva. VĠ di pi, Çargomenti di questo tipo rovesciano i termini della questione, in quanto antepongono il potere giudiziale di valutazione della prova alle regole sui limiti di ammissione e utilizzazione della stessa. In realtˆ, sono questi ultimi a circoscrivere lĠambito entro cui pu˜ esercitarsi il convincimento giudizialeÈ (47). e poi, sarebbe troppo facile far leva sul citato art. 192, con unĠinterpretazione cos“ palesemente lesiva del diritto di difesa e del complesso di regole che disciplinano le modalitˆ di formazione della prova a pena di nullitˆ o inutilizzabilitˆ. In quella occasione, il Supremo Collegio colse lĠoccasione (48) per censurare questa linea di pensiero, contraria ai principi della nostra Carta fondamentale, principi sui quali, tra le altre cose, e proprio in relazione alle attivitˆ amministrative, si era espressa anche la Corte costituzionale, sotto la vigenza del vecchio codice di rito (49), sino ad allora inascoltata. nel 2001 le Sezioni uniti, dando finalmente seguito alle risalenti decisioni della Consulta, finirono per affermare la supremazia del diritto di difesa rispetto ad altre esigenze statuali. l'articolo 24 Cost., in effetti, pretende che la difesa sia effettiva e le argomentazioni mosse dai giudici sino ad allora non giustificavano certo la compressione del diritto che, nei fatti, era giˆ in atto. All'epoca la Corte non giunse ad affermarlo, ma oggi, forti di un'interpreta (46) Cassazione, SS.uu. 45477/2001. (47) r. orlAnDI, Atti e informazione, cit., p. 197. le argomentazioni dellĠautore continuano in maniera sempre pi convincente, si afferma ÇDĠaltra parte sarebbe illogico asserire che il convincimento giudiziale possa esercitarsi su un mezzo di prova vietato ai fini del decidereÈ. (48) nel caso esaminato dalla Cassazione, l'ispettore del lavoro, a seguito di una denuncia anonima, intraprese un'attivitˆ istruttoria in merito a tutti i rapporti di lavoro di una piccola colonia agraria nella zona di Alessandria della rocca. In questa sua attivitˆ, raccolse anche le dichiarazioni di una donna, che diverrˆ in seguito indagata (quindi imputato nel successivo processo penale), la quale rese delle dichiarazioni auto-accusatorie. In quel caso, dunque, gli Òindizi di reatoÓ di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. si erano palesati con forza e le indagini non potevano che continuare nel rispetto del rito penale e delle sue garanzie. In definitiva, gli atti prodotti successivamente al momento dell'emersione della notitia criminis erano da considerarsi inutilizzabili. (49) Fra le altre, Corte cost. n. 248/1983; n. 15/1986; n. 330/1990. DoTTrInA 277 zione che nel frattempo si  fatta strada, si pu˜ certamente dire che una simile impostazione, di fatto, gettava nel nulla la disposizione di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p. una chiosa a parte merita la giurisprudenza costituzionale che, senza paura di essere contraddetti, possiamo dire costituisce il sostrato degli odierni sviluppi. In effetti, le radici del problema affondano negli oramai risalenti anni Ô60, Ô80 e Ô90. non sfugg“ che lĠart. 225, del previgente codice di rito, nella parte in cui consentiva, in certi casi, il compimento di veri e propri atti istruttori ad iniziativa degli ufficiali di polizia giudiziaria era in attrito con lĠart. 24 della Costituzione. Anche oggi, ferme le differenze, valgono le considerazioni che ricordavano come ad essere proibite non dovevano intendersi, tout court, le indagini di polizia, ma solo Òquelle che si risolvono in veri e propri atti istruttori da utilizzare nel processoÓ (50). In maniera del tutto conforme, fu corretto opinare che se  lecito che in sede ispettiva siano effettuati dei campionamenti senza preavviso, lo stesso non pu˜ dirsi in merito al momento delle analisi dei campioni prelevati destinate ad essere poi utilizzate in sede penale. Infatti, se il materiale risultasse deteriorabile (rectius irripetibile lĠaccertamento), lĠanticipazione alla fase amministrativa delle garanzie difensive  condizione necessaria per lĠuso probatorio (in sede penale) dei relativi risultati (51). Quando funzionari della P.A. effettuano accertamenti sotto le vesti di ufficiali di polizia giudiziaria, e questi risultino sfavorevoli alle persone interessate, ossia quando possono profilarsi ipotesi delittuose a loro carico, devono trovare spazio i meccanismi idonei a garantire almeno un minimo di contraddittorio e di assistenza e di difesa (52). Difatti, se  vero che il 24, co. 2 Cost., proclama come inviolabile la difesa in ogni stato e grado del procedimento, non vi sono ragioni per non comprendervi anche gli atti di polizia giudiziaria. é chiaro come il disagio fosse giˆ ben radicato presso il Giudice delle leggi. la stessa Consulta si  per veritˆ mostrata, delle volte, titubante. é cos“ capitato che a ferme posizioni di principio seguisse poi una pronuncia, come dire, pi accomodante nei riguardi dell'interpretazione meno garantista (53). Comunque, al di lˆ di questo, si consideri come, all'epoca, la Corte non poteva fare riferimento ad un dato senza il quale, oggi, ogni analisi sui principi che informano la materia penale sarebbe incompleta: l'art. 111 Cost., quale espressione, soprattutto in campo penale, di una concezione avversariale del diritto probatorio. (50) In questo senso, Corte cost. n. 86 del 1968 e 248 del 1983. (51) Corte cost. n. 248 del 1983. (52) In questo senso, fra le altre, Corte cost. n. 149/1969 e n. 15/1986. (53) Si veda, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit. p. 2452. lo stesso n. FurIn, op. cit., p. 2447 ss., porta ad esempio il rapporto fra i principi contenuti nella sentenza n. 86/1968 e la successiva pronuncia n. 149/1969. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 ed allora, appare stridente con il senso del 111 tutta quella giurisprudenza, ancora presente, che, a dispetto dei principi in esso solennemente affermati nei commi 3 e 4, non presta la giusta attenzione al tema dell'utilizzabilitˆ degli atti c.d. misti. Molte prove, o elementi di prova, potrebbero cos“ formarsi al di fuori del contraddittorio, senza che vi sia il consenso dell'imputato, una comprovata condotta illecita o una (reale) accertata impossibilitˆ di natura oggettiva. non pu˜ essere neppure sottaciuta la problematica riconnessa alla ragionevole durata dei processi, soprattutto in seguito alla recente pronuncia della Corte Costituzionale (54). la sentenza da ultimo richiamata, infatti, afferma che il processo penale deve considerarsi iniziato -ai fini della ragionevole durata -quando l'indagato, in seguito ad un atto dell'autoritˆ giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico. Se nel corso del processo dovesse emergere che lĠattivitˆ che si assumeva come amministrativa, in realtˆ fosse da qualificare come di polizia giudiziaria, e dunque dovessero riportarsi indietro le lancette dellĠorologio ad un periodo pi o meno risalente, questo avrebbe riflessi non solo sul regime dellĠutilizzabilitˆ delle prove, ma anche sul rispetto del principio di ragionevole durata. Insomma, rischierebbe di essere un lungo ed ingiusto processo. Sulla scorta di quanto detto, neppure va trascurata la necessitˆ che il processo sia ricondotto ai parametri del fair trial secondo le norme della Cedu cos“ come fatte vivere dalla Corte di Strasburgo (55). D'altronde, nessuna asserita esigenza di giustizia, a nostro avviso, pu˜ dirsi soddisfatta se raggiunta per compromessi. Il fine, sotto questo punto di vista, non pu˜ giustificare i mezzi (56). 6. Ultimi approdi giurisprudenziali. A far data dalla sentenza delle Sezioni uniti, come anticipato, qualcosa  cambiato (57), pare si sia acquisita una consapevolezza maggiore in merito al bisogno di riconoscere agli indagati tutti gli strumenti concessi loro dal sistema per difendersi. Si colloca in questo senso, ad esempio, l'ordinanza con la quale il Tribunale di Vicenza (58) ha escluso l'utilizzabilitˆ dei risultati di accertamenti irripetibili compiuti nel corso della fase di indagini, secondo la dispo (54) Corte cost. n. 184 del 2015. Commento di M. PAPPone, Irragionevole durata del processo, dopo la pronuncia n. 184/2015 della Consulta: il termine decorre anche dalla conoscenza formale del procedimento durante le indagini preliminari, www.dirittopenalecontemporaneo.it. (55) lĠart. 4 della Convenzione, ¤ 1, afferma Òogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevoleÓ. (56) In questo senso, n. FurIn, Diritto di difesa, cit. (57) Si vedano, fra le altre, Cass. 6881/2009 e Cass. 15372/2010. (58) ordinanza del Tribunale di Vicenza del 5 febbraio 2009, nota a cura di n. FurIn ed e. De neGrI, Utilizzabilitˆ nel dibattimento di prelievi, campionamenti, analisi effettuati nelle indagini preliminari, in Ambiente&Sviluppo, 8/2009. DoTTrInA 279 sizione dell'art. 223 disp. att. c.p.p., anzichŽ dell'art. 360 c.p.p., pi aperto alle garanzie difensive (59). ed ancora, proprio negli ultimi anni, questa consapevolezza ha raggiunto nuove frontiere, tuttavia non tutti i dubbi concernenti la materia sembrano siano stati fugati, ed ancora resistono ambiti ai quali il problema pare sconosciuto (60). Marcatamente garantista, come detto,  la recente sentenza della Cassazione (61) con la quale si affronta il problema della difficile relazione tra indizio di reato, spendibile ai fini del 220, e reati con soglie di punibilitˆ (62). la pronuncia ha avuto una certa eco (63) ed in effetti gli elementi in essa contenuti sono per buona parte rassicuranti. Si  scelta la via di una radicale critica ad un modo di operare irrispettoso delle regole codicistiche. In effetti, nellĠaffermare lĠinutilizzabilitˆ del Pvc nella parte in cui questĠultimo si sia formato dopo lĠemergere di indizi di reato, la Cassazione ha manifestato un certo disagio. la sentenza si distingue per il forte invito, rivolto essenzialmente ai soggetti che conducono le indagini, ad effettuare una valutazione onesta, nel senso di schietto e, perchŽ no (?), leale apprezzamento degli elementi raccolti durante la fase di vigilanza amministrativa, di modo che sia consentita l'operativitˆ del rito penale non appena vi sia la Çconcreta probabilitˆ che la soglia possa essere superataÈ senza aspettare, quindi, che i documenti diano la ÒprovaÓ del superamento delle soglie (64). Senza il rispetto di queste indicazioni, il Pvc  inutilizzabile come prova (59) la sentenza tocca un tema delicatissimo, ossia il complesso rapporto tra accertamenti irripetibili ed indizi di reato. Il caso di cui alla pronuncia riguardava un procedimento relativo ad unĠillecita gestione di rifiuti. AllĠepoca lĠArPA effettu˜ delle analisi e dei campionamenti irripetibili a norma del- lĠart. 223 disp. att. nonostante la presenza di persone indagate alle quali, dunque, non fu garantita adeguatamente la difesa. Il Pm chiese lĠacquisizione al fascicolo dibattimentale, ai sensi dellĠart. 431 c.p.p., degli esiti delle analisi, essendo compiute nel corso di unĠinvestigazione meramente amministrativa e secondo le regole di cui allĠart. 223 disp. att. Innanzi alle eccezioni della difesa, per˜, il giudice, ravvisando una lesione dei diritti difensivi, ed affermando che si sarebbe dovuto procedere secondo lĠart. 360 c.p.p., dispose lĠestromissione dal fascicolo dibattimentale dei verbali di prelievo e di analisi. (60) Questo  ancora vero per i casi in cui un curatore fallimentare acquisisca informazioni dal fallito. V. Cass. Pen., Sez. V, n. 41429 del 2016. Si veda anche, G. bISCArDI, Atti a finalitˆ mista, cit., p. 156. (61) Cass. Pen., sez. III, 4919/2015. (62) Il problema  stato affrontato in ordine ai reati tributari, segnatamente quello di cui all'art. 4 del D.lgs. 74/2000, per la cui punibilitˆ  previsto il superamento di certe soglie. (63) Si vedano, T. rAFArACI, Reati tributari con soglia di punibilitˆ, cit., l. nISCo, Paletti allĠefficacia del Pvc, cit., l. AMbroSI - A. IorIo, Indizi di reato, verbali ad utilizzo ridotto, in Sole 24 ore, 16 febbraio 2015. (64) Del tutto onestamente, le ultime parole espresse dalla Cassazione (Òconcreta probabilitˆÓ) lasciano un po' lĠamaro in bocca. Difatti, facendo unĠanalisi grammaticale ancor prima che giuridica, si nota che tra Òmera possibilitˆÓ - tesi qui sostenuta - e Òconcreta probabilitˆÓ, corre un diverso grado di apprezzamento. le nostre preoccupazioni, per˜, possono dirsi diminuite in virt dellĠoggetto di quella sentenza, un atto che tipicamente  stato usato per spostare in lˆ il confine tra amministrativo e penale (il Pvc). Sotto questo punto di vista, la sentenza  molto incisiva. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 nel dibattimento penale. la sentenza, dunque, si colloca nel senso delle cose che abbiamo detto e sconfessa lĠassunto secondo il quale nei reati ÒsogliaÓ, come quelli del caso di cui si occupava la Cassazione, si debba attendere il superamento della stessa. Da ci˜ si desume che il momento valutativo in riferimento allĠemersione degli indizi di reato  certamente importante e merita particolare attenzione: quando  prevedibile, tornando per un attimo sul punto, che le condotte su cui si investiga lasceranno emergere un reato, bisognerˆ procedere nel rispetto delle garanzie difensive assicurate dal codice (65). recentissima e significativa anche lĠordinanza del Tribunale di Paola (66) con la quale si accoglie la questione sollevata dalla difesa in ordine allĠinutilizzabilitˆ degli atti frutto delle analisi di cui allĠart. 223 disp. att. c.p.p. (67). In effetti lĠordinanza effettua una puntuale ricognizione sul tema e specifica quali sono le condizioni che giustificano lĠoperativitˆ dellĠart. 223 e quali, al contrario, prevedono lĠabbandono della fase amministrativa e lĠingresso nel procedimento penale (68). lĠart. 223, distinguendo tra analisi revisionabili e non (quindi irripetibili) giˆ predispone alcuni strumenti di tutela. Cos“, ad esempio,  previsto, per le analisi che non possono essere oggetto di revisione, che gli interessati assistano, anche con un loro tecnico, al compimento delle stesse. Si badi bene per˜: le tutele apprestate dallĠarticolo sono sufficienti solo nel caso in cui si rimanga nello stretto ambito dellĠattivitˆ amministrativa; in pratica anchĠesse (65) Procedendo in senso contrario, e cio ritenendo impossibile lĠapplicazione dellĠart. 220 disp. att. nel caso dei reati con soglia di punibilitˆ, si finirebbe per ignorare Òdel tutto che ben prima del momento di sintesi finale in cui, ÜÜtirando le sommeŬŬ, si prende eventualmente atto dellĠavvenuto superamento delle soglie, possono senzĠaltro profilarsi, e solitamente si profilano, elementi sintomatici indicativi di un probabile sviluppo nel senso della rilevanza penale, tali da imporre lĠapplicazione del- lĠart. 220 disp. att., in ossequio alla ratio di garanzia che gli  propriaÓ, cos“, T. rAFArACI, Reati tributari, cit., pp. 678 e 679. (66) Tribunale Collegiale di Paola, ordinanza del 9 dicembre 2016. (67) Testualmente nellĠordinanza  detto che Òoccorre distinguere tra prelievo inerente ad attivitˆ amministrativa disciplinato dallĠart. 223 e prelievo inerente ad attivitˆ di polizia giudiziaria nellĠambito di unĠindagine preliminare, per il quale  applicabile lĠart. 220 disp. att. poichŽ, per questa ipotesi, operano in via generale le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, mentre per la prima i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso lĠattivitˆ amministrativa non pu˜ definirsi extraprocessum; che  causa di inutilizzabilitˆ (É). Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il presupposto per lĠoperativitˆ dellĠart. 220 disp. att. c.p.p., e dunque per il sorgere dellĠobbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quantĠaltro possa servire ai fini dellĠapplicazione della legge penale,  costituito dalla sussistenza della mera possibilitˆ di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dallĠinchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. un., 28 novembre 20014, n. 45477, raineri)Ó. (68) le brevi considerazioni che seguono, ovviamente, sono tuttĠaltro che esaustive, ma, visto anche le finalitˆ ricognitive che si sono poste,  sembrato opportuno farne menzione. é poi il caso di segnalare come il tema, seppur vicino a quello oggetto della nostra attenzione, in realtˆ, rischia di sfociare nel diverso e complesso campo degli accertamenti, ripetibili e non. Anche per questa ragione, di seguito si tratteranno le questioni che sembrano tangere il presente approfondimento, senza andare oltre. DoTTrInA 281 sono soggette al discrimen di cui allĠart. 220. Quindi, nel caso in cui quelle attivitˆ, in realtˆ, siano da collocarsi entro il diverso ambito delle indagini preliminari, le garanzie offerte dallĠart. 223 risulterebbero insufficienti. Quelle analisi non revisionabili, in realtˆ, costituirebbero accertamenti irripetibili e ci˜ comporta lĠutilizzo di tuttĠaltre precauzioni. ed allora, in questa ipotesi, dovrebbe trovare applicazione lĠart. 360 c.p.p., si dovrˆ dunque provocare lĠintervento del difensore dellĠindagato, al quale deve essere consentito di avanzare riserva di incidente probatorio. Se, invece, non dovessero emergere indizi di reato, e comunque nel rispetto delle regole contenute nellĠart. 223, i risultati degli accertamenti potranno anche confluire direttamente nel fascicolo del dibattimento; se cos“ non fosse quegli atti saranno inutilizzabili come prove dibattimentali, ed il regime di inutilizzabilitˆ che si deve applicare, visto anche il tenore del terzo comma dellĠarticolo (69),  quello dellĠinutilizzabilitˆ c.d. fisiologica (70). 7. Conclusioni. Si  compresa lĠimportanza di attribuire un giusto significato allĠart. 220, per garantirne unĠeffettiva operativitˆ. ora, come emerge dalle parole spese, si ritiene molto pi confacente alla ratio della norma e pi coerente con il nostro sistema processuale, proporre una lettura estensiva del termine indizio. Insomma, come segnalato pi volte, si deve ritenere soddisfatta la condizione di cui allĠart. 220 ogniqualvolta gli organi investigativi abbiano giˆ raccolto elementi che gli consentono, Çanche con un amplissimo margine di dubbioÈ (71), di ritenere astrattamente possibile la rilevanza penale di un fatto. I nostri indizi, e qui si apre la parentesi conclusiva, non solo sono inadeguati a fondare un giudizio di responsabilitˆ (72), ma possono esserlo - ed  qui che emerge (69) Testualmente, lĠart. 223, co. 3, ÒI verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento [art. 431 c.p.p.], sempre che siano state osservate le disposizioni di cui ai commi 1 e 2Ó. (70) Valgono per le analisi di campioni, in termini generali, le considerazioni esposte in merito agli accertamenti tributari: gli indizi di reato in riferimento ai reati ambientali spesse volte si ritengono emersi solo dopo il compimento delle analisi. A differenza degli altri atti che si sono passati in rassegna, le analisi manifestano, per˜, una maggiore preoccupazione del legislatore che dedica a questi ultimi una specifica norma, lĠart. 223 disp. att. le preoccupazioni sono fondate. le attivitˆ di cui al 223 spesso si risolvono in accertamenti irripetibili, le attenzioni debbono essere per forza maggiori. Anche per il 223 vale per˜ lo spartiacque di cui al 220: innanzi agli indizi di reato si deve passare al codice di procedura. lo scopo della disposizione  quello di anticipare alcune delle garanzie difensive giˆ alla fase amministrativa, si consente, nello specifico, allĠinteressato di partecipare alla fase di analisi. le tutele, per˜, sono pur sempre parziali, e neppure lontanamente paragonabili a quelle offerte dalla norma che par fare il controcanto al 223, il 360 c.p.p. QuestĠultimo consentirebbe la partecipazione della difesa non solo durante le analisi, ma anche a quelle di prelevamento e campionamento, oltre che concedere la possibilitˆ di avanzare richiesta di incidente probatorio, il quale, aprendo una parentesi dibattimentale in fase dĠindagine, farebbe salvo il diritto al contraddittorio. (71) n. FurIn, Diritto di difesa, cit., p. 2718. (72) In questo senso si colloca la distanza tra lĠart. 220 e lĠart. 192, co. 2, c.p.p. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 il carattere marcatamente garantista della norma -anche in riferimento ad unĠeventuale rinvio a giudizio. Debbono solo essere in grado di orientare quella che nasce come indagine amministrativa verso i nuovi binari dellĠindagine preliminare. In merito allĠasserita distinzione tra polizia amministrativa e giudiziaria, in termini generali, la distinzione ha senso di esistere; ma ha senso sino a quando non si verifica la condizione di cui al citato art. 220. Vogliamo essere pi chiari: in quel momento lĠattivitˆ di polizia amministrativa  giˆ tesa Ça verificare se il soggetto controllato abbia o meno violato norme di rilievo penale [quindi] essa equivale a tutti gli effetti ad unĠattivitˆ di polizia giudiziariaÈ (73). In merito a ci˜, per˜, si impone una precisazione. non si pu˜ certo affermare che lĠart. 220 disp. att. (74) attribuisca automaticamente la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria al soggetto che compie lĠispezione amministrativa (75); ben pu˜ profilarsi, al contrario, lĠipotesi in cui lĠoperatore di polizia amministrativa sia destinato a restare tale. Sotto questo punto di vista, lĠemergere di indizi di reato farebbe sorgere in capo a costui (76) il dovere di presentare denuncia per iscritto ai sensi dellĠart. 331 c.p.p. Questo vuole anche dire che lĠoperatore di polizia amministrativa cui, in ipotesi, non pu˜ essere attribuita la qualifica di polizia giudiziaria, potrˆ continuare a svolgere legittimamente le sue attivitˆ solo e rigorosamente in ambito amministrativo, se, infatti, si avventurasse in indagini penali, emergerebbe lĠassoluta Òcarenza di potereÓ, e lĠintero esito investigativo dovrebbe essere (patologicamente) inutilizzabile (77). Tutto ci˜ svela un problema di non secondaria importanza: le conoscenze acquisite in sede amministrativa possono confluire indistintamente in sede penale? Come si  avvertito, lĠatto amministrativo - riguardato dal punto di vista del suo ipotizzabile valore probatorio -va esaminato alla stregua del contenuto che lo caratterizza. non  questa la sede per unĠesaustiva trattazione (78): basti (73) n. FurIn, Diritto di difesa, indizi, cit., p. 2726. (74) o meglio, che il solo superamento del confine tra amministrativo e penale. (75) Si rimanda, sul punto, a quanto esposto nel ¤ 4. (76) Quando si tratti di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. (77) la questione  stata pi volte affrontata dalla giurisprudenza in ordine alla qualifica da attribuire alle guardie volontarie venatorie, o alle guardie nazionali e.n.P.A. (ente nazionale protezione animali), ed in merito allĠeventuale potere di procede al sequestro probatorio. Valga, ad esempio, quanto affermato dalla Cass. Pen., sez. VI, n. 37491 del 2010 Òle guardie zoofile dell'e.n.P.A. (ente nazionale protezione animali) non rivestono in alcun caso la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria e non possono procedere pertanto al sequestro probatorioÓ, o ancora quanto affermato da Cass. Pen., sez. III, n. 15074 del 2007 Òorbene alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente (come il WWF) non risulta riconosciuta la qualifica di polizia giudiziaria nŽ dalla l. n. 157 del 1992, nŽ da altra normativa speciale (É). Stante la mancanza della qualifica di Agente o ufficiale di P.G. nei confronti delle guardie volontarie che hanno operato in concreto il sequestro probatorio, consegue la illegittimitˆ dello stesso, perchŽ eseguito in violazione delle norme di cui agli artt. 354 e 355 c.p.pÓ. (78) Si rimanda, per lĠattenta e minuziosa indagine, a r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. DoTTrInA 283 considerare che gli atti amministrativi possono avere contenuto dichiarativo di terzi (potenziali testimoni); possono contenere dichiarazioni compromettenti rese dal futuro imputato; pu˜ contenere un accertamento tecnico; pu˜, infine, esprimere la sintesi conoscitiva nella quale si  complessivamente concretata lĠattivitˆ ispettiva o di vigilanza (come accade, ad esempio, con i Pvc). Il rischio appare evidente: acconsentire a che il contenuto di simili atti confluisca, indiscriminatamente, nel processo penale - e dunque anche nella parte dichiarativa -, si configurerebbe come un sin troppo facile aggiramento delle regole che disciplinano il diritto probatorio. Questo impone una considerazione. I risultati dellĠistruttoria extra-penale non dovrebbero essere ricondotti, in maniera semplicistica, al concetto di prova documentale. Ci˜ rischia di dar eccessivo risalto alla loro provenienza - formati fuori dal procedimento penale - ma non al loro contenuto. Quanto detto vale anche per i Pvc (79), i quali, essendo atti eterogenei, possono contenere delle dichiarazioni raccolte durante lĠattivitˆ investigativa. lĠutilizzo sommario degli stessi rischia di produrre una evidente lesione ai principi che informano lĠaccertamento penale. Cos“, ad esempio, se le dichiarazioni rese alla Guardia di finanza prima dellĠemergere degli indizi di reato, potessero essere indiscriminatamente acquisite in giudizio, ci˜ ÜÜfarˆ s“ che esse acquistino una valenza probatoria invece negata (essendone negata lĠacquisizione) alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria durante lĠindagine penale (nonostante queste ultime possano magari dirsi potenzialmente pi attendibili, in quanto rese in un contesto formalizzato secondo le indicazioni del codice di rito)ŬŬ (80). Quanto agli atti amministrativi contenenti dichiarazioni compromettenti rese da chi, successivamente,  divenuto imputato nel processo penale, vengono in considerazione rilevantissimi principi che ispirano il sistema processuale penale italiano. Su tutti, come giˆ segnalato, il c.d. nemo tenetur. In questo caso pare opportuno considerare separatamente lĠipotesi in cui il soggetto che procede in sede amministrativa possa cumulare funzioni di polizia giudiziaria e il caso in cui, invece, egli non possa accedere alla diversa qualifica. ovviamente lĠanalisi, per quanto qui interessa, deve essere effettuata in relazione al discrimine rappresentato dal 220 disp. att. nel primo caso, invero, il problema appare di pi agevole soluzione. Si potrebbe sostenere che lĠart. 63 c.p.p., in realtˆ, sia comunque destinato ad operare. (79) Si consideri che la giurisprudenza pare univocamente orientata nel ritenerli acquisibili ed utilizzabili in sede penale ai sensi dellĠart. 234 c.p.p. (80) T. rAFArACI, Reati tributari, cit., p. 684. Sempre T. rAFArACI, op. cit., continua con unĠinteressante chiosa: ÜÜeventuali forzature dettate dallĠaspettativa di poter fruire di un (É) largheggiante regime acquisitivo sarebbero [comunque] del tutto frustrate dalla declaratoria giurisdizionale di radicale inutilizzabilitˆ del processo verbale di constatazione nella parte che si riferisce allĠattivitˆ compiuta, senza lĠosservanza delle disposizioni del codice di rito, dopo lĠemersione degli indizi di reatoŬŬ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 Quando emergono gli indizi di reato l'operatore giˆ muoverebbe nelle diverse vesti di ufficiale o agente di P.g. e dovrebbe, quindi, interrompere l'esame, avvisare il dichiarante della possibilitˆ che sul suo conto potrebbero essere condotte altre indagini, e comunque le dichiarazioni giˆ rese non potrebbero essere usate contro il dichiarante. In merito all'ipotesi, invece, in cui il soggetto che riceve le dichiarazioni non possa cumulare funzioni di P.g. il discorso pare pi complesso. In linea di massima, per˜, si potrebbe comunque applicare in via analogica il citato art. 63, che, a ben vedere, fa retroagire la garanzia del nemo tenetur a un momento in cui ancora il dichiarante non ha assunto la qualifica di persona sottoposta alle indagini. Pertanto, nel caso in cui le indagini amministrative si siano protratte ben oltre il limite del 220, si potrebbe sostenere che le dichiarazioni eventualmente rese dall'indagato non possono essere comunque utilizzate, e ci˜ in quanto egli, quando ha deposto, giˆ doveva essere sentito nell'ambito di un procedimento penale (81). In conclusione, un ultimo dilemma: sino a che punto  pensabile anticipare le prerogative del codice? Tutte le analisi, tutti gli accertamenti tributari dovrebbero svolgersi secondo le prerogative del rito? Se questa fosse la via, giungeremmo presto ad una situazione di ingiustizia del tutto paragonabile a quella che ha contraddistinto per decenni la vicenda di cui ci si occupa. Dovremmo, infatti, far gravare il peso di un procedimento penale -fardello innegabilmente pesante -ad un numero crescente di persone e ci˜ costituirebbe comunque, da un lato, un vulnus per il cittadino che si troverˆ sempre nella condizione di doverne uscire -anche quando, in ipotesi, possegga abbondante documentazione per provare, pur in sede amministrativa, la legittimitˆ del suo comportamento (82) -, con tutte le preoccupazioni e gli effetti negativi ad esso connesso, e dallĠaltro, potrebbe ingolfare gli uffici di procura che dovrebbero mettersi in moto per un numero maggiore di casi. Questo aspetto, tra lĠaltro, verrebbe contro le esigenze di giustizia dello Stato, difatti, uffici sovraccarichi (come giˆ sono in maniera patologica) dovranno suddividere le risorse ed il loro tempo in porzioni sempre pi piccole, insomma avrebbero meno tempo da dedicare a questioni che (81) ove il citato art. 63 troverebbe sicura applicazione. Si segnala per il rigore e la completezza dellĠindagine, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. p. 170 ss. (82) Si pu˜ immaginare il caso di reati tributari con soglia di punibilitˆ. Giˆ ad un primissimo controllo tributario il contribuente potrebbe essere in grado di fornire documentazione, in un dialogo si spera proficuo con lĠAmministrazione, dalla quale desumere, ad esempio, la bontˆ del suo comportamento. Potrebbe per˜ accadere che gli organi investigativi ritengano di essere innanzi ad unĠevasione punibile penalmente; ed allora, in questo caso, bisognerebbe attivare le garanzie processuali penali. Potrebbe, infine, anche darsi che un successivo approfondimento dellĠindagine (penale) conduca a una rettifica e che lĠevasione appaia assai meno grave di quanto inizialmente ritenuto e tale da scendere Òsotto sogliaÓ. In ogni caso ha agito correttamente lĠagente o lĠufficiale che - convinto di essere in presenza di un reato - si  attenuto alle regole del codice. DoTTrInA 285 giˆ li occupano, e ne avrebbero comunque poco per accertare nuovi reati. Per questa ragione la risposta deve essere adeguatamente ponderata. Va fatta salva la possibilitˆ di interloquire con la P.A.; purchŽ questo non si risolva in una (patente) violazione del diritto di difesa. Quindi, se dalle prime indagini amministrative dovesse palesarsi quella possibilitˆ di reato di cui diffusamente si  detto, sarˆ il tempo del rito penale. Questa appare la soluzione pi garantista, lĠunica praticabile. Il tema si presterebbe a molte altre considerazioni. Su tutte, lo si potrebbe analizzare da una prospettiva particolarissima, ossia quella extra-dibattimentale (83). Qui ci si  limitati al quesito se e a quali condizioni lĠatto ispettivo o di vigilanza di cui parla lĠart. 220 disp. att. sia utilizzabile come prova in un dibattimento penale. restano molti altri interrogativi riguardanti lĠuso probatorio di tali atti per decisioni diverse da quella dibattimentale di merito: decisioni in ambito cautelare, ad esempio, oppure sentenze che chiudono un giudizio abbreviato. Quali limiti, in questi casi? le regole enucleabili dal citato art. 220 vanno in ogni caso rispettate. é evidente per˜ che, per questi altri tipi di possibile utilizzazione probatoria, non valgono nŽ il principio di oralitˆ nŽ quello del contraddittorio nella formazione della prova. Vi saranno pertanto meno problemi a far valere come prove documentali (art. 234 c.p.p.) le informazioni provenienti dallĠautoritˆ amministrativa (84). Giunti alla fine, quindi, preme tirare le somme. In conclusione, gli atti amministrativi compiuti nella sede propria, prima dellĠemergere di indizi di reato possono essere acquisiti al processo penale (83) Si potrebbe comunque pensare di farne un accenno. lĠanalisi  ricca di implicazioni, la prima riguarda il regime dellĠinutilizzabilitˆ. Si  soliti distinguere tra inutilizzabilitˆ patologica e fisiologica, entrambe operano in presenza di una violazione Òdei divieti stabiliti dalla leggeÓ, ma nella seconda accezione la prova illegittimamente acquisita -tendenzialmente in riferimento al quomodo non pu˜ essere utilizzata in sede processuale; mentre con il termine ÒpatologicaÓ -violazione che si riferisce, senza pretese di esaustivitˆ, ai diritti fondamentali della persona -si individua una prova non spendibile neppure nel procedimento. ebbene, avendo lĠobiettivo di analizzare la fase pre-dibattimentale,  su questa seconda categoria che concentreremo la nostra attenzione. Si pensi solo ad una sentenza nel corso del rito abbreviato. Innegabilmente il rito in esame  rimesso a certi compromessi: si rinuncia a tutto o a buona parte del diritto alla prova e ci si avvantaggia di una condanna ÒscontataÓ. Il fatto, per˜, che lĠimputato rinunci a procedere ad una piena attivitˆ istruttoria non vuol certo dire che quei (magari anche pochi) elementi rimasti al giudice per decidere possono essere illegittimamente acquisiti. Questo non si ricava dalla norma. neppure potrebbe sostenersi una simile deriva appellandosi alla consapevolezza della difesa, quasi come se questa avesse voluto concludere un patto scellerato. Per veritˆ, qui la giurisprudenza si mostra -ora -pi attenta. ricordiamo a tal proposito una recentissima pronuncia della Suprema Corte (Cass. Pen., sez. III, n. 15828/2015), nella quale, ricordando che lĠaccesso al rito in esame non produce alcun effetto sanante rispetto a cause di inutilizzabilitˆ patologica, si  definitivamente affermato che non possono porsi effetti preclusivi alla rilevabilitˆ dĠufficio di tali cause e, dunque, le prove acquisite in violazione dei divieti -assoluti -posti dalla legge non possono essere utilizzate nel giudizio abbreviato. Questa causa  altres“ rilevabile dĠufficio dal giudice di legittimitˆ, dunque anche al di lˆ del devolutum. Se la prova  assolutamente inutilizzabile, quindi, non pu˜ essere spesa in questa sede. (84) Si veda r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit, p 219 ss. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 (85), nei limiti e alle condizioni espresse in precedenza. Atti compiuti in sede amministrativa, quando in realtˆ giˆ ci si trovava in sede penale, non possono valere come prove per accertare la colpevolezza dellĠimputato in un dibattimento ispirato ai valori dellĠoralitˆ e del contraddittorio (nel senso ÒforteÓ dellĠart. 111 comma 4 Cost.). ÜÜDifesa e contraddittorio non integrano solo tributi da pagare sul piano dei principi costituzionali e internazionali. Sono molto di pi: mezzi e metodi che partoriscono veritˆŬŬ (86). (85) Si pensi ancora ai documenti, e dunque allĠart. 234 c.p.p. Questa valutazione, per˜, vale per gli atti che si sono formati nel rispetto delle regole che si sono previste per la fase amministrativa. Cos“, ad esempio, le analisi ex art. 223 disp. att. non sarebbero comunque utilizzabili se acquisite in violazione delle regole appositamente previste, e questo anche nel caso in cui non fossero emersi indizi di reato. (86) M. nobIlI, Diritti difensivi, poteri del pubblico ministero durante la fase preliminare e l. 8 agosto 1996, Cassazione Penale, 1996, p. 347. DoTTrInA 287 Principio di uguaglianza: pregiudizi privati e discriminazione dello straniero nellĠaccesso allĠabitazione Claudio Tric˜* The current housing emergency and the spread of discriminatory conducts against foreigners, consisting of the refusal of owners to bargain with them and to apply the same contract terms applied to non-foreigners, make it necessary to reflect about the historical evolution and the prospects of the relationship between the principle of equality and the contractual freedom of individuals. In light of the constituzionalization of european contract law and considering the new horizontal dimension of the principle of non-discrimination, the paper lastly focuses on the identification of the limits of ownerĠs power of choice and the remedies applicable against possible discriminatory behavior towards the foreigners. SOMMARIO: 1. Crisi abitativa e diffusione del fenomeno discriminatorio nel mercato privato degli alloggi -2. Uguaglianza e libertˆ privata nel dibattito storico ed europeo: la nuova dimensione ÒorizzontaleÓ del principio di non discriminazione -3. Il dibattito nazionale e lĠesigenza di un approccio plurilaterale al fenomeno discriminatorio - 4. Il diritto allĠabitazione alla luce del principio dellĠeffettivitˆ dei rimedi antidiscriminatori. 1. Crisi abitativa e diffusione del fenomeno discriminatorio nel mercato privato degli alloggi. la gravitˆ dellĠodierna crisi abitativa, denunciata dagli operatori di settore, emerge con evidenza nel carattere ambiguo e paradossale della stessa, la quale contrappone da un lato una crescente domanda di abitazioni, conseguenziale alla diffusa difficoltˆ di accedere al bene casa o di sopravvivere alla generalizzata e incalzante crescita dei canoni locatizi, dallĠaltro la presenza di un numero considerevole di immobili sfitti o in disuso, cui si accompagna una non sempre limpida amministrazione dellĠedilizia economica e popolare (1). Tale ambiguitˆ, tuttavia, non deve stupire, perchŽ in essa si riflette la natura duplice e ambivalente dello stesso Òbene casaÓ, il quale si presta, per le sue caratteristiche teleologiche e strutturali, a soddisfare tanto le aspirazioni personalistiche dellĠindividuo, ponendosi quale presupposto essenziale per il (*) Dottore in Giurisprudenza, specializzato nelle Professioni legali, giˆ tirocinante presso la Corte di Cassazione. (1) rileva efficacemente u. breCCIA, Il diritto allĠabitazione, Giuffr, Milano, 1980, p. 19: ÇTra le solenni - e spesso tradite - proclamazioni dei diritti dellĠuomo, quella che ha per contenuto lĠaspirazione al godimento di unĠabitazione realmente degna di un essere umano [É]  ancora smentita dal- lĠassetto reale dei rapporti economico-sociali. non si esagera dicendo che il fenomeno costituisce una sorta di emblematico compendio degli arbitri modernamente perpetrati a danno della convivenza umanaÈ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 soddisfacimento di una serie complessa di diritti fondamentali, quanto anche le aspirazioni egoistiche dello speculatore, rappresentando tuttora il ÒmattoneÓ, non sempre a buona ragione, il pi diffuso tra i cosiddetti Òbeni rifugioÓ (2). la stretta connessione intercorrente tra il bene dellĠalloggio e le sfere pi intime dellĠindividuo rende oggi indifferibile un dibattito vivace e diffuso sul tema assai spinoso del diritto allĠabitazione, il quale, essendo strumentale al soddisfacimento di interessi sia personalistici che economici,  destinato a coinvolgere un insieme di problematiche eterogenee e non del tutto tradizionali, come quella dellĠefficacia orizzontale dei diritti fondamentali e della progressiva ÒcostituzionalizzazioneÓ del diritto privato (3). Il diritto allĠabitazione, infatti, anche alla luce della sua affermazione costituzionale, rappresenta un campo di osservazione ideale per quanti si occupano dello studio dellĠautonomia privata, delle sue metamorfosi concettuali e dei suoi limiti, rappresentando il settore in cui pi vivacemente si esprime la tenzone, del tutto umana, tra i valori icasticamente incarnati nei simulacri dellĠhomo dignus e dellĠhomo oeconomicus (4). Particolarmente esplicativa, sul punto, appare la problematica dellĠaccesso dello straniero al mercato privato delle abitazioni, la quale trae origine dalla diffusa tendenza dei proprietari e dei locatori a marginalizzare potenziali acquirenti e conduttori stranieri, soprattutto extracomunitari, escludendoli dalle contrattazioni o proponendo loro condizioni contrattuali pi svantaggiose, o meno vantaggiose, rispetto a quelle offerte, in condizioni di normalitˆ, a una controparte di lingua e aspetto ÒoccidentaleÓ (5). DevĠessere fin dĠora chiaro che tale comportamento potrebbe trovare giustificazione in una valutazione di stampo prettamente economico, ad esempio legata a una comprovata situazione di insolvibilitˆ dello straniero, la quale costituirebbe senza dubbio piena e legittima espressione della libertˆ contrattuale dellĠindividuo, insindacabile sul piano dellĠopportunitˆ. Tuttavia, in tuttĠaltri casi, il rifiuto o la contrattazione di condizioni sfavorevoli sono conseguenza di pregiudizi connessi a Òfattori di rischioÓ quali la nazionalitˆ, la lingua, il colore della pelle o la religione della controparte, che producono effetti di stampo evidentemente discriminatorio, la cui legittimitˆ deve essere valutata nellĠambito di una pi ampia riconsiderazione del rapporto, solo parzialmente conflittuale, tra libertˆ privata e principio di uguaglianza, per poter definire in che termini questĠultimo possa incidere sulla li (2) Cos“, u. breCCIA, Il diritto allĠabitazione, cit., pp. 73 ss., secondo cui lĠabitazione  favorita dallĠordinamento costituzionale quale Çbene durevole di consumoÈ e non, piuttosto, quale Çbene strumentale dĠinvestimentoÈ. (3) Fenomeni tradizionalmente indicati con lĠespressione tedesca ÒDrittwirkungÓ, sui quali, tra molti, v. A. ColoMbI CIACCI, The Constitutionalization of European Contract Law: Judicial Convergence and Social Justice, in ERCL, 2/2006, pp. 167 ss. (4) S. roDoTˆ, Antropologia dellĠÇhomo dignusÈ, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 4, passim. (5) M. bAlDInI, M. FeDerICI, Non si affitta agli immigrati, disponibile su www.lavoce.info. DoTTrInA 289 bertˆ di scelta del privato, alla luce del dibattito giuridico europeo e del progressivo superamento della ideologia pandettistica del diritto privato quale settore intrinsecamente e inevitabilmente idiosincratico. 2. Uguaglianza e libertˆ privata nel dibattito storico ed europeo: la nuova dimensione ÒorizzontaleÓ del principio di non discriminazione. ÇSocietas nostraÈ, sentenziava efficacemente Seneca, Çlapidum fornicationi simillima estÈ, lasciando intendere che la resistenza di un patto sociale, cos“ come avviene nellĠarchitettura di una volta di pietra, dipende da un equilibrato bilanciamento dei valori che, opponendosi lĠun lĠaltro, ne sostengono la struttura. Tale modello, trovando riflesso, in modo pi o meno consapevole, nellĠagire del nomopoieta, fa s“ che ciascun istituto giuridico rinvenga il proprio fondamento assiologico in un complesso eterogeneo di principi, spesso confliggenti, ma comunque lĠun lĠaltro vincolati da legami di reciprocitˆ. la stessa concezione moderna del contratto, ad esempio, figlia di una rivoluzione liberale ed egalitaria, non  che il risultato dellĠinstabile equilibrio tra i due principi dellĠautonomia privata e dellĠuguaglianza, oscillante nelle evoluzioni della societˆ e della scienza giuridica (6). Con lĠabolizione delle gerarchie dellĠancient rŽgime e lĠaffermarsi di una nuova concezione umanistica del diritto, riassunta nel motto rivoluzionario francese: ÇlibertŽ, ŽgalitŽ, fraternitŽÈ, lĠuguaglianza assunse il ruolo di fondamento e presupposto dellĠautonomia del singolo, livellato, a prescindere dalle sue peculiaritˆ individuali, nella figura neutra del Òsoggetto di dirittoÓ (7). lĠillusione era che lĠindividuo, liberato dal giogo dei privilegi feudali, fosse libero di perseguire i propri interessi, e che pertanto la contrattazione, intesa quale momento dĠincontro degli egoismi individuali, non potesse che condurre al risultato pi conveniente per il singolo e per la comunitˆ, secondo un impianto logico sintetizzabile nel noto brocardo Çqui dit contractuel dit justeÈ. la validitˆ di tale postulato, del tutto razionale su un piano puramente astratto, era tuttavia destinata a scontrarsi con la disarmante complessitˆ del reale, caratterizzata dal permanere di quelle asimmetrie culturali, economiche e sociali che i moti rivoluzionari, pur smantellata la struttura gerarchica del passato, non avevano saputo debellare. Sollevato il velo di Maja che celava le contraddizioni di una paritˆ meramente formale, perchŽ postulata e virtuale, emergeva dunque che lĠillusoria equiparazione del ÒgiustoÓ e del ÒvolutoÓ, piuttosto che assicurare un assetto sociale pi armonico ed equo, aveva invece favorito lĠacutizzarsi delle disparitˆ sociali, legittimando uno stato di perdurante iniquitˆ, a discapito di coloro la cui forza contrattuale era compromessa (6) Amplius, D. lA roCCA, Uguaglianza e libertˆ contrattuale nel diritto europeo. Le discriminazioni nei rapporti di consumo, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 85 ss. (7) V. roDoTˆ, Antropologia dellĠÇhomo dignusÈ, cit., p. 552. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 da un minore disponibilitˆ di beni, servizi o informazioni (8). Si affermava pertanto una nuova dimensione ÒsostanzialeÓ del principio di uguaglianza, non pi solo presupposto, ma anche limite, dellĠautonomia privata, alla luce della quale perdeva la propria assolutezza anche il divieto di ingerenze del legislatore nella sfera degli interessi negoziabili dei contraenti, prima riservata alla libera e insindacabile contrattazione delle parti (9). Tale duplice espressione del principio di uguaglianza, da intendersi comunque in via unitaria, quale fondamento e misura dellĠautonomia del contraente, pur manifestandosi nelle codificazioni nazionali (10), ha trovato pi evidente esplicazione nelle vicende evolutive dellĠunione europea, le cui metamorfosi sono state specchio di una crescente consapevolezza dei legami intercorrenti tra lĠautonomia privata, necessaria al pieno sviluppo della personalitˆ dellĠindividuo, e gli altri diritti fondamentali riconosciuti dallĠordinamento, la cui lesione produce, inevitabilmente, una sensibile compressione delle libertˆ, anche economiche, del singolo. A tal proposito, la dottrina pi sensibile al tema, attraverso valutazioni che, pur riferite allĠordinamento europeo, trovano riflesso anche a livello nazionale, ha ricondotto tali connessioni nella complessa categoria della Òuguaglianza formale in concretoÓ, con la quale si  voluta attenuare, pur mantenendo una terminologia di stampo tradizionale, la storica contrapposizione tra la concezione formale e quella sostanziale del principio di uguaglianza, evidenziando come i pi recenti interventi del legislatore europeo, lungi dal configurare una compressione degli spazi riservati allĠautonomia privata, abbiano invece rappresentato strumenti di garanzia delle libertˆ dei contraenti (11). Difatti, la crescente attenzione dei trattati comunitari per la tutela dei valori della persona, ora formalizzata nelle disposizioni del Trattato di lisbona, non ha distolto lĠattenzione del legislatore dallĠobiettivo della tutela del libero mercato, i cui meccanismi risultano anzi potenziati, e non sviliti, dalle nuove spinte personalistiche del diritto europeo. la tutela degli aspetti pi sensibili dellĠindividuo, non pi inteso quale operatore economico neutro, bens“ come ÒpersonaÓ complessa nelle sue peculiaritˆ, non solo promuove il rispetto di valori solidaristici riconducibili alle tradizionali categorie dei diritti di prima e di seconda generazione, ma allo stesso tempo garantisce il buon andamento del mercato, eliminando quei comportamenti che di fatto costituiscono un esercizio scorretto delle libertˆ economiche garantite dai trattati. (8) Cos“ D. CAruSI, I precedenti, in G. GITTI, G. VIllA (a cura di), Il terzo contratto, Il Mulino, bologna, 2008, pp. 31 ss. (9) D. lA roCCA, Eguaglianza e libertˆ contrattuale nel diritto europeo, cit., p. 98. (10) Ibid., p. 97, secondo cui la disciplina della vendita con riserva di proprietˆ celerebbe Çuna prima rudimentale forma di credito al consumoÈ. (11) Cos“ e. nAVArreTTA, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, in Riv. dir. civ., 2014, III, pp. 547 ss. DoTTrInA 291 Il riferimento va, ovviamente, alle fonti del diritto antidiscriminatorio europeo, espressione di una nuova dimensione ÒorizzontaleÓ del principio di uguaglianza, chiamato a operare non pi solo nei rapporti ÒverticaliÓ tra Stato e cittadini, ma anche nei rapporti contrattuali interprivati. Tale espansione, a dir poco cartesiana, del principio egalitario, recepita a livello pattizio dallĠart. 13 del Trattato di Amsterdam, ha poi trovato disordinata esplicazione nel diritto europeo derivato, attraverso una serie frammentaria di direttive, intervenute in modo puntiforme nel contesto di un discusso Òpatchwork of protectionÓ (12). Tuttavia, ancor pi esplicative appaiono le fonti del diritto privato europeo, le quali, pur dotate di unĠefficacia meramente persuasiva, hanno per la prima volta esplicitato il divieto di discriminazione nel contesto di una normativa dedicata esclusivamente alla materia contrattuale. Difatti, riconosciuta nei Principi Acquis lĠesistenza di un generale divieto di discriminazione nel- lĠambito del diritto comunitario contrattuale, il Draft Common Frame of Reference ha poi dedicato alla materia una serie complessa di norme puntuali (le cosiddette model rules), riconoscendo lĠesistenza di un generale diritto soggettivo a non essere discriminati, espressione di valori di giustizia e libertˆ solo apparentemente contraddittori, perchŽ destinati a risolversi in una pi ampia garanzia delle sfera personale ed economica dellĠindividuo (13). 3. Il dibattito nazionale e lĠesigenza di un approccio plurilaterale al fenomeno discriminatorio. Gli spunti offerti dal sistema multilivello delle fonti rivelano dunque una crescente permeabilitˆ del diritto dei contratti alle istanze sottese al principio di non discriminazione, evidenziando lĠinsostenibilitˆ di una rigida contrapposizione tra i valori dellĠuguaglianza e dellĠautonomia privata. Tuttavia, la ricezione nazionale delle prime direttive antidiscriminatorie ha dato luogo a unĠaspra contestazione, la quale ha raggiunto il proprio culmine nelle resistenze della dottrina tedesca, storicamente pi sensibile al tema (14). In particolare, tali studiosi hanno riconosciuto nei nuovi divieti un mal celato tentativo di moralizzazione del diritto, esercitato attraverso lĠimposizione autoritaria e antisociale di valori morali, destinata a trovare espressione nei capricciosi interventi della giurisprudenza, in piena deroga ai principi fon (12) espressione di M. bell, A Patchwork of Protection: The New Anti-discrimination Law Framework, in Modern Law Review, 2004, passim. (13) Per una pi ampia ricognizione delle fonti del diritto contrattuale antidiscriminatorio, v. G. CArAPezzA FIGlIA, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, eSI, napoli, 2013, pp. 11 ss. (14) Pionieristici gli studi di l. rAISer, Il principio dĠeguaglianza nel diritto privato, in l. rAISer, Il compito del diritto privato, Giuffr, Milano, 1990, ben noti ai primi commentatori italiani degli anni Settanta, tra cui P. reSCIGno, Sul cosiddetto principio dĠuguaglianza nel diritto privato, in Foro it., 1959, I, 1, cc. 664 ss. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 damentali dellĠordinamento nazionale e, in primis, alla libera manifestazione del pensiero di cui allĠart. 5 del Grundgesetz (15). Dietro tali contestazioni, si cela, dichiaratamente, una rinnovata fede nel- lĠideologia liberale dellĠautosufficienza del mercato, nella quale la libertˆ di scelta del contraente, o per meglio dire, i suoi egoismi, divengono polla di benessere per la collettivitˆ, mettendo in moto automaticamente meccanismi economici di repressione della discriminazione. Detto altrimenti, lĠidea  che, nel contesto di un mercato ben equilibrato, alla richiesta di beni e servizi di una fascia, anche minoritaria, della societˆ, faccia sempre riscontro lĠofferta di un operatore economico intenzionato a profittare di quella percentuale, seppur limitata, di domanda inappagata. Al di lˆ dei tradizionali rilievi dellĠirrealizzabilitˆ dellĠequilibrio di mercato perfetto, o dellĠincertezza dei tempi di aggiornamento dellĠofferta, tale ricostruzione non sembra trovare riflesso, sul piano concreto, nei rapporti economici quotidiani, dove lĠelevata concorrenzialitˆ del mercato, lungi dal rendere pi flessibile lĠofferta, impedisce piuttosto alle imprese di adeguare i propri apparati produttivi alle esigenze e alle preferenze delle minoranze, favorendo, in ogni caso, un aumento dei prezzi. Inoltre, gli atteggiamenti discriminatori degli agenti economici, giˆ fecondi delle conseguenze appena descritte, non solo realizzano una lesione diretta della dignitˆ e della libertˆ economica delle vittime, ma ostacolano allo stesso tempo lĠaccesso a beni e servizi strumentali a diritti fondamentali (16). Paradigmatico, in tal senso,  proprio il caso del mercato delle case e degli alloggi, caratterizzato, come anticipato, da profonde discriminazioni nei confronti degli stranieri, oggetto delle prime sporadiche applicazioni della normativa sopra richiamata (17). Del resto, lo stesso legislatore europeo, pur riconoscendo gli effetti positivi di un mercato concorrenziale, ha presto abbandonato lĠoriginaria ideologia della Òmano invisibileÓ e del mercato quale ordo naturalis, capace di reprimere autonomamente le proprie anomalie, configurandolo nel tempo quale ordo legalis, plasmato dalla Òmano visibileÓ del diritto positivo (18). é per questo che lĠart. 3 del nuovo Trattato sullĠunione europea, una volta ribadito lĠobiettivo tradizionale della crescita economica equilibrata e della stabilitˆ dei prezzi, vincola funzionalmente questĠultimo allo sviluppo di ÇunĠeconomia (15) Inter alios, particolarmente esplicativi i toni di V. WInKler, The Planned German Anti-Discrimination Act: Legal Vandalism? A Response to Karl-Heinz Ladeur, German Law Journal (2002), disponibile su www.germanlawjournal.com. (16) Sul punto, l. CIAronI, Autonomia privata e principio di non discriminazione, in Giur. It., 10, 2006, p. 1820. (17) Trib. Milano, ordinanza del 30 marzo 2000, in Quest. giust., n. 3, 2000, con nota di M. bou- CHArD, Discriminazione a Milano: il rifiuto di stipulare contratti di locazione con extracomunitari di colore, pp. 594 ss.; Trib. bologna, decreto del 22 febbraio 2001, in Dir. imm. citt., 2001, pp. 101 ss. (18) Cos“ n. IrTI, Persona e mercato, in Riv. dir. priv., 1995, I, pp. 290 ss. DoTTrInA 293 sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso socialeÈ, nonchŽ a un Çelevato livello di tutela e di miglioramento della qualitˆ dellĠambienteÈ (19). Ci˜ precisato, i rilievi della dottrina tedesca, per quanto eccepibili, sottolineano lĠesigenza di un equo bilanciamento dei valori in gioco nel fenomeno discriminatorio, al fine di evitare che lĠinterpretazione delle formule ambigue della normativa possa concretizzarsi in un sacrificio ingiustificato della libertˆ del contraente. QuestĠultima infatti, nellĠambito di un dialogo equilibrato tra i principi dellĠordinamento, riveste un ruolo fondamentale nella definizione della personalitˆ dellĠindividuo, che mediante lĠaccesso al mercato persegue i propri interessi e le proprie aspirazioni. Si rende dunque necessario valutare entro che termini il principio di non discriminazione, incidendo sullĠautonomia del contraente, agisca quale strumento di consolidamento, e non di svilimento, della libertˆ privata, bilanciando il sacrificio del singolo con una pi ampia tutela delle libertˆ e dei diritti della comunitˆ (20). In tal senso vanno intese le considerazioni di quella parte della dottrina che, pur annoverando il Òsuper-principioÓ della dignitˆ umana tra i valori compromessi dal comportamento discriminatorio del contraente, ha escluso che tale principio possa, di per sŽ solo, costituire il fondamento assiologico della normativa antidiscriminatoria (21). Difatti, una prospettiva ermeneutica unilaterale, disattenta al carattere plurioffensivo della discriminazione, destinata a incidere anche sulle libertˆ economiche del privato, finirebbe per imporre autoritariamente unĠinterpretazione totalizzante del divieto, il quale troverebbe esplicazione nei confronti di qualsiasi lesione, seppur minima, della dignitˆ del discriminato, comprimendo in termini non giustificabili la libertˆ di scelta del discriminatore. é del resto superata lĠillusione che il valore della dignitˆ umana, per la Çformidabile forza retoricaÈ (22) che lo caratterizza, possa essere accolto pacificamente tra i principi del diritto contrattuale, attenuando i contrasti derivanti dallĠespansione orizzontale del principio di uguaglianza (23). In realtˆ tale valore, cos“ come quello dellĠautonomia privata nelle pi pure ricostruzioni liberali, tende a imporsi unilateralmente sulla variegata molte (19) esplicito il richiamo alle tesi di Alfred MŸller Armack, che dedic˜ alla teoria della Òeconomia sociale di mercatoÓ la propria attivitˆ scientifica e politica. (20) In tal senso, e. nAVArreTTA, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, cit., 547 ss. (21) Sul punto, G. CArAPezzA FIGlIA, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, cit., pp. 179 ss. e D. lA roCCA, Uguaglianza e libertˆ contrattuale nel diritto europeo, cit., pp. 177 ss. (22) M.r. MArellA, Il fondamento sociale della dignitˆ umana. Un modello costituzionale per il diritto europeo dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., XXV, 1, 2007, p. 68. (23) Cos“ D. lA roCCA, Uguaglianza e libertˆ contrattuale nel diritto europeo, cit., p. 179, secondo cui  illusorio credere Çche il dilemma tra dignitˆ e libertˆ possa assorbire quello, ancora irrisolto, tra uguaglianza e autonomiaÈ. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 plicitˆ del reale, con effetti evidenti in talune pronunce dei giudici nazionali, nelle quali il riferimento al valore della dignitˆ dellĠindividuo si  tradotto nellĠimposizione ÒdallĠaltoÓ di modelli unici di comportamento, del tutto svincolati dallĠeffettiva volontˆ dei soggetti coinvolti (24). lĠinterprete, pertanto, nel definire lĠeffettiva portata del divieto di discriminazioni contrattuali e il sistema dei rimedi a esso connessi, deve evitare una lettura riduttiva del fenomeno discriminatorio, ora incentrata sul valore della libertˆ contrattuale, ora sul solo valore dellĠuguaglianza o della dignitˆ del- lĠuomo, individuando quel Ògiusto mezzoÓ che garantisca a ambo le parti unĠadeguata tutela dei loro diritti e delle loro libertˆ fondamentali. 4. Il diritto allĠabitazione alla luce del principio dellĠeffettivitˆ dei rimedi antidiscriminatori. Tali considerazioni, applicate al fenomeno della diffusione di condotte discriminatorie nei confronti degli stranieri in cerca di unĠabitazione, impongono di definire i limiti entro cui possa esplicarsi la libertˆ di scelta del proprietario, nonchŽ i rimedi effettivamente applicabili nel caso in cui suddetti limiti siano travalicati. Sul piano della valutabilitˆ del carattere discriminatorio del rifiuto di contrarre, espressione di una selezione idiosincratica della controparte negoziale, particolarmente rilevante  la natura fondamentale del diritto allĠabitazione, il quale, pur non tutelato esplicitamente dalla Costituzione, dopo un primo timoroso disconoscimento,  stato infine ricondotto dal Giudice delle leggi nel novero dei diritti sociali collocabili tra i diritti inviolabili dellĠuomo (25). Difatti, i primi commentatori, focalizzando lĠattenzione sul carattere pubblico o privato delle contrattazioni, avevano limitato il campo di applicazione del divieto di discriminazione, previa una valutazione di ragionevolezza, alle sole proposte negoziali volte a esternare la volontˆ del proponente a un numero indefinito di destinatari, secondo il modello dellĠofferta al pubblico (26). Alla base di tale limitazione vi era lĠidea secondo cui il promittente, rivolgendosi alla comunitˆ con offerte di stampo discriminatorio, avrebbe rinunciato alla tutela della riservatezza delle proprie corrispondenti opinioni personali, esponendo i criteri di selezione cos“ manifestati a un giudizio di conformitˆ rispetto (24) Al riguardo, ampiamente, v. M.r. MArellA, Il fondamento sociale della dignitˆ umana, cit., pp. 70 ss.; F.D. buSnellI, Carta dei diritti fondamentali e autonomia privata, in A.A.V.V., Le fonti del diritto, oggi. Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso, Plus, Pisa, 2006, pp. 416 ss.; P.M. DellA roCCA, Il principio di dignitˆ della persona umana nella societˆ globalizzata, in Dem. e Dir., 2, 2004, pp. 201 ss. (25) ripercorrono lĠevoluzione del diritto sul piano normativo e giurisprudenziale, r. rollI, Il diritto allĠabitazione come diritto fondamentale, bonomo editore, bologna, 2012, passim; G. GuGlIA, Il diritto allĠabitazione nella carta sociale europea: a proposito di una recente condanna dellĠItalia da parte del comitato europeo dei diritti sociali, in AIC telematica, n. 3/2011, passim. (26) Cfr. D. MAFFeIS, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, Giuffr, Milano, 2007. DoTTrInA 295 ai principi dellĠordinamento (27). Tuttavia, rilevata lĠeccessiva semplicitˆ di siffatta ricostruzione alla luce delle peculiaritˆ dei primi casi decisi dalla giurisprudenza, si  fatta strada lĠidea dellĠestensibilitˆ del divieto anche al campo delle contrattazioni individuali, secondo un giudizio sempre improntato al criterio della ragionevolezza, in tutti quei casi in cui la diffusione della discriminazione, in un determinato mercato di riferimento, precluda lĠaccesso a un bene o a un servizio connesso a un diritto inviolabile, quale, per lĠappunto, lĠabitazione (28). le indicate condizioni, da considerarsi comunque in senso relativo, data la natura fondamentale dei diritti compromessi, sono dal medesimo filone dottrinale considerate presupposto per unĠapplicazione estensiva del rimedio dellĠobbligo di contrarre, destinato a trovare applicazione al di lˆ dei singoli casi espressamente previsti dal legislatore (29). Tale forma di tutela, la cui generalizzazione si tradurrebbe in unĠingiustificata menomazione dellĠautonomia privata, appare, nei limiti sopraindicati, idonea a soddisfare quei requisiti di effettivitˆ, proporzionatezza e dissuasivitˆ che la Corte di giustizia europea ha elevato a parametri per la selezione dei rimedi pi adeguati a livello nazionale, nel contesto di una normativa comunitaria che sul punto lascia ampia discrezionalitˆ al legislatore interno, al fine di consentire a ciascun ordinamento di configurare, secondo le proprie peculiaritˆ, un apparato efficace di strumenti preventivi e repressivi del crescente fenomeno discriminatorio (30). A tal proposito, un compendio dei rimedi adottabili dallĠautoritˆ giudiziaria nazionale si rinviene nellĠart. 28 del D.lgs. n. 150 del 2011, relativo alle controversie in materia di discriminazione, a detta del quale il giudice pu˜ condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio, adottando ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti (31). In particolare, il rimedio inibitorio appare idoneo a garantire una tutela effettiva tanto nel caso in cui il contraente discriminatore opponga un rifiuto (27) Amplius, e. nAVArreTTA, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, cit., 547 ss. (28) Ibid. Contra, in senso estensivo, b. CHeCCHInI, Divieto di discriminazione e libertˆ negoziale, in C. SAlVI (a cura di), Diritto civile e principi costituzionali, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 264 ss.; G. CArAPezzA FIGlIA, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, cit., p. 201. (29) Cos“ e. nAVArreTTA, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, cit., 547 ss.; u. breCCIA, Il diritto allĠabitazione, cit., p. 149. (30) Cfr. A. GuArISIo, I provvedimenti del giudice, in M. bArberA (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio, Giuffr, Milano, 2007. (31) la riforma del 2011, difatti, ha opportunamente esteso lĠapplicazione del rito sommario di cognizione anche alle controversie aventi a oggetto i comportamenti di cui agli artt. 43 e 44 del D.lgs. n. 286 del 1998 e 3 e 4 del D.lgs. n. 215 del 2003, i quali qualificano espressamente come discriminatori tanto lĠimposizione di condizioni contrattuali pi svantaggiose per gli stranieri, quanto il rifiuto di fornire lĠaccesso allĠalloggio per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. rASSeGnA AVVoCATurA Dello STATo - n. 1/2017 netto di trattare, quanto nel caso in cui tale rifiuto intervenga a trattative iniziate, laddove la controparte si sia opposta allĠinserimento di condizioni pi svantaggiose nel contratto. Tale strumento, ad esempio, ha trovato concreta applicazione in un caso oggetto di attenzione giurisprudenziale e dottrinale, a soluzione del quale il Tribunale di bologna ha disposto lĠeliminazione, dal sito internet di unĠagenzia immobiliare, di un criterio di selezione dei clienti basato sulla sola nazionalitˆ, ordinando contestualmente la pubblicazione della relativa ordinanza sulla pagina web dellĠintermediario (32). Inoltre, sempre nella fase precontrattuale, il provvedimento inibitorio del giudice pu˜ ordinare la cessazione della condotta discriminatoria consistente nella previsione di condizioni generali di contratto pi svantaggiose, o meno vantaggiose, per la controparte. In tal caso  accentuata la funzione preventiva del rimedio, che pu˜ essere domandato tanto dal soggetto leso, quanto dagli enti collettivi legittimati, a prescindere dalla concreta applicazione delle condizioni discriminatorie e dallĠindividuazione di una vittima discriminata. Sul piano dellĠeffettivitˆ, appare invece meno esaustivo il ricorso al rimedio del risarcimento del danno, il quale, pur prestandosi a una pi diffusa applicazione, data la minore ingerenza nella sfera dellĠautonomia dellĠofferente, opera comunque attraverso un meccanismo di monetizzazione dellĠoffesa, insufficiente, sul piano concreto, a soddisfare lĠaspirazione dello straniero allĠalloggio. I denunciati limiti del rimedio risarcitorio, giˆ evidenti sul piano delle ponderazioni astratte, risultano peraltro accentuati nelle prime applicazioni della giurisprudenza di merito, la quale ha teso a liquidare il danno arrecato alla dignitˆ della vittima discriminata in termini accentuatamente esigui e sproporzionati, pur in presenza di lesioni non riconducibili alla sfera del cosiddetto danno bagatellare. Il modesto ammontare del risarcimento, nel caso pi eclatante fissato nella somma, senza dubbio simbolica, di soli cento euro (33), rivela la tendenza dei giudici a liquidare i danni sulla base del parametro economico del valore delle contrattazioni, e non piuttosto sulla base della gravitˆ delle lesioni subite dalla persona, denunciando cos“ un approccio meramente patrimoniale al fenomeno discriminatorio. Tuttavia, alla scarsa rilevanza economica del rapporto compromesso non corrisponde necessariamente una minore offensivitˆ dellĠillecito, poichŽ ci˜ che pi rileva in tale ambito  il pregiudizio arrecato alla sfera personale e relazionale della vittima discriminata, non quantificabile esclusivamente secondo logiche di mercato (34). la scelta dei giudici, invece, sottovaluta il carattere plurioffensivo della condotta discriminatoria, riducendola implicitamente a una banale infrazione del principio di paritˆ di trattamento, insufficiente, secondo (32) Trib. bologna, decreto del 22 febbraio 2001, cit. (33) V. Trib. Padova, ordinanza del 19 maggio 2005, in Giur. it., 2006, p. 949. (34) D. MAFFeIS, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, cit., pp. 292 ss. DoTTrInA 297 le pi moderne ricostruzioni dottrinali, a cogliere il fenomeno discriminatorio nella sua complessitˆ (35). nel caso in cui invece la condotta discriminatoria non abbia trovato esplicazione nellĠingiusto rifiuto di contrarre, ma piuttosto, come spesso accade, nella stipulazione di condizioni meno vantaggiose, o pi svantaggiose, per la vittima discriminata, unĠefficace forma di tutela per lo straniero va rinvenuta nel controllo della validitˆ del contenuto dellĠaccordo, attuabile a prescindere dalla particolare natura, individuale o pubblica, della contrattazione. lĠeventuale invaliditˆ delle clausole discriminatorie, del resto, promana direttamente dai principi fondamentali dellĠuguaglianza e della dignitˆ umana, i quali rientrano senza dubbio tra i valori di rango costituzionale sintetizzati nella formula dello Òordine pubblicoÓ. Mancando chiare previsioni a livello normativo, sembra dunque potersi prospettare unĠipotesi di nullitˆ virtuale, necessaria e parziale della clausola discriminatoria, cui faccia seguito lĠesclusione della medesima dal regolamento negoziale ed eventualmente lĠapplicazione della corrispondente clausola non discriminatoria, desumibile dal tenore complessivo del contratto (36). Del resto, lĠesigenza di garantire unĠeffettiva tutela del contraente discriminato suggerisce di scartare la soluzione dellĠinvaliditˆ totale del negozio, dato che essa non solo verrebbe a protrarre ulteriormente lo stato discriminatorio di fatto, ma spingerebbe anche la vittima a non rilevare la nullitˆ della clausola svantaggiosa, per timore di essere esclusa completamente dallĠaffare (37). (35) A. GenTIlI, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, in Riv. crit. dir. priv., 2009, 2, p. 221. (36) Cos“ e. nAVArreTTA, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, cit., 547 ss. (37) Sul punto, P. FeMIA, Interessi e conflitti culturali nellĠautonomia privata e nella responsabilitˆ civile, eSI, napoli, 1996, pp. 545 ss. Finito di stampare nel mese di maggio 2017 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma