ANNO LXXII - N. 2 APRILE - GIUGNO 2020 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Alessandro Belli, Alessandro D’Amico, Gesualdo d’Elia, Gianna Maria De Socio, Beatrice Favero, Michele Gerardo, Andrea Lipari, Gabrile Luzi, Anna Elena Madera, Gaetana Natale, Vincenzo Nunziata, Paola Palmieri, Gianfranco Pignatone, Valentino Ravagnani, Valeria Romano, Giorgio Santini, Fabio Ratto Trabucco, Tito Varrone, Lorenza Vignato. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario In ricordo di Ivo Maria Braguglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Valentino Ravagnani, Le Sezioni Unite avallano la c.d. nullità selettiva degli ordini di investimento. Quali ricadute, sul livello di tutela degli investitori? (Cass. civ., Sez. Un., sent. 4 novembre 2019 n. 28314) . . . . . . Gaetana Natale, Un sentenza storica in tema di contratti derivati stipulati tra banche ed enti locali (Cass. civ., Sez. Un., sent. 12 maggio 2020 n. 8770) Gabriele Luzi, La responsabilità della P.A. per spoils system costituzionalmente illegittimo: la “soggettivazione” dell’Amministrazione e il punto di contatto tra le concezioni privatistica e pubblicistica della revoca delle funzioni dirigenziali (Cass. civ., Sez. VI, ord. 8 ottobre 2019 n. 25189). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Beatrice favero, Sull’interpretazione dell’art. 118, co. 3, vecchio codice appalti (C. app. Trieste, Sez. I civ., sent. 1 ottobre 2020 n. 426) . . . . . . . Anna Elena Madera, Responsabilità per pratiche di adozione non andate a buon fine. Una interessante sentenza del Tribunale di Bologna (Trib. Bologna, Sez. II civ., sent. 28 settembre 2020 n. 1314) . . . . . . . . . . . . . . Alessandro Belli, L’accesso civico generalizzato in materia di appalti alla luce della Plenaria n. 10/2020 (Cons. St., Ad. Plen., sent. 2 aprile 2020 n. 10). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenza Vignato, Il Consiglio di Stato, con adunanza plenaria, n. 23/2020, esclude l’applicabilità della clausola di salvaguardia artt. 92, 94 D.lgs. 159/11 ai finanziamenti pubblici (Cons. St., Ad. Plen., sent. 26 ottobre 2020 n. 23) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally ferrante, Interpretatio abrogans dell’art. 121 TULPS. Il discrimine tra attività di cartomanzia e ciarlataneria (Cons. St., Sez. III, sent. 1 luglio 2020 n. 4189). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally ferrante, Scioglimento di consiglio comunale, declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse ed effetto devolutivo dell’appello (Cons. St., Sez. III, sent. 22 settembre 2020 n. 5548). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Remissione in Corte di Giustizia e sussistenza del “ra-gionevole dubbio” (“soggettività” dell’attività interpretativa) (Cons. St., Sez. VI, ord. 24 settembre 2020 n. 5588). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Sergio fiorentino, Agevolazioni pubbliche contrarie al diritto Ue, la Commissione non impone di recuperare gli aiuti già concessi (i.e. esecuzione dei giudicati?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 38 ›› 53 ›› 61 ›› 72 ›› 80 ›› 123 ›› 141 ›› 152 ›› 180 ›› 187 Gianfranco Pignatone, Gianna Maria De Socio, Sull’istituto della prenotazione a debito del contributo unificato; il caso delle Autorità Indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 194 Gesualdo d’Elia, Sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 529 c.p.p. a seguito di remissione di querela. Rilevanza in sede di formazione delle aliquote di valutazione del personale militare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 210 Giacomo Aiello, Intervento pubblico a favore delle cooperative agricole, l’accollo del debito ex lege da parte dello Stato (art. 1, co. 1 bis, l. 237/1993) a copertura delle garanzie concesse da soci. . . . . . . . . . . . . . ›› 216 Valeria Romano, L’istituto della prelazione c.d. urbana nell’ambito di una procedura di liquidazione coatta amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . ›› 222 Vincenzo Nunziata, Andrea Lipari, Codice dei contratti pubblici, normativa in tema di conflitto di interessi e procedure di aggiudicazione (il progettista e l’appaltatore esecutore dei lavori) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 232 Giorgio Santini, Sul patrocinio erariale (ex art. 43 r.d. 1611/1933) a favore degli enti regionali per il diritto allo studio universitario nella Regione Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 240 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Michele Gerardo, Nozione, regime e vicende dell’ente pubblico. Rapporto con la nozione di pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 249 Alessandro D’Amico, Il Giudice penale e la legge scientifica. Il punto della giurisprudenza penale in materia di causalità ed amianto . . . . . . . ›› 277 COMUNICATO DELL'AVVOCATO GENERALE (*) Con profonda tristezza comunico che nella giornata di ieri è deceduto il Collega e Amico Ivo Maria Braguglia, Avvocato Generale Onorario. Nell’esprimere le più sentite condoglianze alla Famiglia, anche a nome dei Colleghi e di tutto il Personale dell’Avvocatura, desidero ricordare la Sua figura di Avvocato dello Stato e di Uomo che, nel corso della Sua esemplare carriera, ha dato sempre lustro all’Istituto, sia innanzi alle Giurisdizioni nazionali, sia innanzi alla Corte di Giustizia ove ne sono ancora vivi il ricordo, la stima e l’alta considerazione. Gabriella Palmieri Sandulli Un grande giurista, un vero signore, un maestro e un amico Arrivato da poco all’Avvocatura generale, mi capitò di andare a un convegno al Consiglio di Stato. Con leggero ritardo sull’inizio dei lavori arrivò Ivo Braguglia, all’epoca ancora non Vice Avvocato Generale, che si accingeva a prendere posto tra l’uditorio nella Sala di Pompeo. Il Presidente de Roberto, che aveva la parola, si interruppe per salutarlo espressamente e pubblicamente (cosa che non aveva fatto con alcuno degli altri ritardatari). Questa stessa stima e considerazione l’ho percepita sempre, ogni qualvolta, in qualsiasi sede, venisse fatto il nome di Ivo Braguglia. Avendolo poi imparato a conoscere meglio, ho potuto capire quanto fosse meritata. Sergio Fiorentino ... quando i suoi occhi azzurri ti scrutavano, lasciando per un momento le carte in cui era assorto, si provava un momento di ansia nell’attesa della sua opinione, alla quale sarebbe seguito il sollievo dell’indicazione giusta per la soluzione del problema. Insieme a Piergiorgio Ferri, Ignazio Caramazza, Oscar Fiumara ed altri eccellenti colleghi della sua generazione ha aperto la strada, all’epoca quasi pionieristica, della dialettica tra diritto comunitario e diritto interno. Ci ha poi lasciato per una parentesi al MAE come Capo del Contenzioso Diplomatico, occupando una posizione che era stata ad esclusivo appannaggio di Professori universitari. Anche lì ha lasciato un ricordo indelebile. Voglio ricordare anche la sua romanità che ogni tanto gli consentiva una certa ironia capace di incrinare la sua scorza apparentemente severa. .... Giacomo Aiello Ivo era uno di quelli dai quali avevi molto da imparare in tutti i sensi. Ti affascinava parlando di mercato agricolo e di dogane, come di diritto antitrust e delle comunicazioni, materie che fu uno dei primi a trattare, trasmettendoti la sua esperienza con umiltà e naturalezza, (*) E-mail Segreteria Particolare - martedì 27 ottobre 2020. come sanno fare i veri maestri. E con la stessa semplicità ti coinvolgeva in una piacevole ora di distrazione, alla vigilia di una causa complicata e in una serata piovosa e un po’ noiosa a Lussemburgo, chiacchierando davanti a una choucroute e a un buon bicchiere di Riesling. Un indimenticabile collega e un grande esempio di umanità. Danilo Del Gazio Uomo di profonda cultura ed elevatissimo stile, tratto, signorilità, Ivo, schietto e onestissimo Grand Commis de l'état anche come Agente dello Stato presso le Corti sovranazionali, insegnava e persuadeva, senza mai intendere la Sua funzione come di potere. Una perdita che, però, ci lascia l'esempio di come si dovrebbe essere come Avvocato dello Stato, investito di grandi responsabilità.... Roberto De Felice Ivo Braguglia è stato il Presidente della commissione del mio concorso a Procuratore dello Stato, ormai ventinove anni fa. Pensare a me come ad una Sua collega ancora oggi mi è impossibile. E ciò non solo e non tanto perché, nel mio immaginario, Ivo resterà sempre il Presidente della commissione ed io un suo "pesciolino " (pescato nella rete delle prove concorsuali, come ebbe affettuosamente a dire una volta) ma perché Ivo è stato un Maestro, uno degli esponenti della generazione formidabile (Giancarlo Mandò, Giorgio D'Amato, Glauco Nori, Ignazio Caramazza, l'indimenticabile Sergio Laporta, Marcello Conti, Antonio Palatiello per citarne solo alcuni) che hanno reso grande il nostro Istituto, in una stagione che credo irripetibile. Dobbiamo a tutti questi Maestri ciò che siamo adesso e credo che il miglior modo per prendere commiato da Ivo sia ricordare che tutto quanto di buono abbiamo fatto e facciamo lo dobbiamo all'esser nani sulle spalle dei Giganti.... Roberta Guizzi Molto addolorata, non posso non unirmi al ricordo affettuoso tratteggiato da Roberta Guizzi. Ivo è stato il, severo ma sorridente, Presidente di Commissione del nostro concorso da Procuratore dello Stato e da allora ci ha sempre fatti sentire come sue creature. In seguito non mi sono mai mancati, anche a distanza, i suoi consigli e le sue indicazioni, sempre illuminanti e generose. Conserverò il ricordo di un grande giurista, un vero signore, un maestro e un amico. Maria Assunta Mercati Un documento a suo modo storico, per ricordare Ivo. L’AIGE, d’intesa con l’Avvocatura dello Stato e con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, sta organizzando per l’inizio del prossimo anno un nuovo corso sul processo europeo, che pensa ai più giovani e che sarà dedicato alla figura di Ivo. Paolo Gentili ASSOCIAZIONE ITALIANA GIURISTI EUROPEI SEMINARIO SUL PROCESSO COMUNITARIO PROGRAMMA Mercoledì 12 dicembre 1990, ore 16 Francesco CAPOTORTI, presidente dell'AIGE -prof. ord. nell'Università di Roma I, "La Sapienza" La giurisdizione nel diritto comunitario Giovedì 20 dicembre 1990, ore 16 Antonio SAGGIO, giudice al Tribunale di primo grado delle C.E. Gli organi della giustizia comunitaria Lunedì 14 gennaio 1991, ore 16 Antonio TIZZANO, prof. ord. nell'Università dì Napoli -Consigliere giuridico alla Rappresentanza Permanente dell'Italia presso le C.E. Il processo nel diritto comunitario Venerdì 18 gennaio 1991, ore 16 Antonino ABATE, Consigliere giuridico principale al Servizio Giuridico della Commissione delle C.E. Le procedure di infrazione e i loro effetti per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive Mercoledì 23 gennaio 1991, ore 16 Ivo M. BRAGUGLIA, Avvocato dello Stato Le domande di pronuncia pregiudiziale Mercoledì 30 gennaio 1991, ore 16 Emilio CAPPELLI, Avvocato del Foro di Roma Controllo di legittimità, controllo sui comportamenti omissivì e responsabilità extracontrattuale Responsabili del Seminario: avv. Ivo Braguglia avv. Emilio Cappelli Assistente: dr. proc. Andrea Bandini Sede del Seminario: I S P E S , Via di Monte Giordano 36 (Palazzo Taverna) ContenzioSonazionaLe Le Sezioni Unite avallano la c.d. nullità selettiva degli ordini di investimento. Quali ricadute, sul livello di tutela degli investitori? Nota a CassazioNe Civile, sezioNi UNite, seNteNza 4 Novembre 2019 N. 28314 Valentino Ravagnani* sommario: 1. Premessa: il caso concreto, la materia e le ragioni di interesse per il civilista -2. Peculiarità della disciplina dei servizi di investimento: dall’atto all’attività, ipertrofia normativa e precarietà dell’apparato rimediale. Cenni -3. orientamenti e opzioni teoriche per una corretta ricostruzione delle dinamiche negoziali -4. la sentenza: la buona fede come “criterio ordinante” e una soluzione mediana in punto di effetti delle nullità protettive -5. limiti e fisiologiche insufficienze dell’arresto -6. Considerazioni conclusive: electa una via non datur recursus ad alteram. Una diversa (e forse minore) intonazione protettiva delle tutele, tra opacità ricostruttive ed equivoci di fondo. 1. Premessa: il caso concreto, la materia e le ragioni di interesse per il civilista. Con sentenza del 9 aprile -4 novembre 2019, n. 28314, le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla ammissibilità della c.d. nullità selettiva degli ordini di investimento. Precisamente, il custode della nomofilachia è stato investito, dalla Sezione I, della questione circa la latitudine degli effetti dell’azione di nullità indirizzata dall’investitore a specifici ordini di investimento, fondata tuttavia sul difetto di forma del c.d. master agreement (1). (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato (avv. St. Emanuele Manzo). (1) Il termine inglese è volutamente impiegato, in luogo delle comuni espressioni “contratto quadro” o “contratto quadro-normativo” percorrenti la giurisprudenza di legittimità, per la sua neutralità rispetto alle diverse opzioni ricostruttive della fattispecie contrattuale di cui all’art. 23 T.u.f., per le quali si rinvia al par. 3. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 la pronuncia in oggetto interviene a un lustro di distanza dalle note sentenze gemelle nn. 26242 e 26243 del 2014, con le quali veniva redatto un primo fondamentale capitolo dello statuto normativo delle nullità di protezione (2), parametrando minuziosamente i poteri del giudice sulla distinzione tra rilevabilità e dichiarazione dell’invalidità, e un anno dopo la sentenza n. 898/2018 sulla tenuta dei contratti “monofirma” (3). Se i nodi teorici possono quindi dirsi collocati in un retroterra giurisprudenziale parzialmente arato, il pomo della discordia rimane un grande classico: contratti di investimento in obbligazioni argentine. Come supra accennato, il cliente ne chiedeva la dichiarazione di nullità, con conseguenti restituzioni, derivandola dal difetto di forma scritta del master agreement in violazione dell’art. 23, comma 3 del T.u.f.; la banca resistente, per parte sua, proponeva domanda riconvenzionale (riqualificata in secondo grado come eccezione di compensazione) per la restituzione delle cedole riscosse relative agli investimenti andati a buon fine, derivanti dal medesimo contratto. In primo grado, entrambe le domande furono accolte, con condanna dell’investitore al pagamento della differenza residua a debito. la soluzione veniva confermata in grado d’appello, ove si escludeva radicalmente un uso selettivo della nullità relativa. Ancora in esordio, preme evidenziare la rilevanza della materia dei servizi e attività di investimento -già “intermediazione mobiliare” (4) -sul versante propriamente civilistico. Accantonate le regole di governance, la disciplina de qua si è dimostrata uno straordinario laboratorio di indagine e, financo, ripensamento di alcune tra le più classiche categorie dogmatiche, nell’ottica di fornire risposte crescentemente accettabili all’incalzante domanda sociale di giustizia. Molteplici sono stati gli istituti coinvolti, variamente stridenti, nella propria fisionomia tradizionale, con le dinamiche peculiari dei rapporti di intermediazione finanziaria. Tra essi, si segnalano: una «riduzione della “forbice” fra correttezza e diligenza» (5), la natura del master agreement e (2) S. PAGlIAnTInI, le stagioni della nullità selettiva (e del “di protezione”), in Contratti, 2020, I, p. 11. (3) E. ToSI, il contratto asimmetrico bancario e di investimento monofirma: la forma informativa e il problema della sottoscrizione unilaterale alla luce della lettura funzionale delle sezioni Unite della Cassazione, in Contratto e impr., 2019, I, pp. 197 e ss. (4) Sulle ragioni dell’attuale obsolescenza del sintagma “intermediazione mobiliare”, diffusamente, l. EnrIqUES, Dalle attività di intermediazione mobiliare ai servizi di investimento, in riv. soc., 1998, pp. 1013-1038. (5) M. lobUono, la responsabilità degli intermediari finanziari, 1999, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 139. Più in dettaglio, fu osservato dalla dottrina che «sembra (…) poco credibile che, in subjecta materia, la correttezza debba godere soltanto di rilevanza sociale e non anche professionale. trattandosi di una regola a destinatario necessario (l’intermediario autorizzato) corollario (…) è ritenere che la correttezza richiesta sia quella indotta e resa specifica dalla natura dell’attività da esso esercitata. Non vi sarebbe dunque divaricazione, a questo riguardo, tra diligenza e correttezza. (…) tanto il comportamento diligente come quello corretto vanno individuati sulla base del parametro della professionalità»; A. DI MAjo, la correttezza nell’attività di intermediazione mobiliare, in banca borsa e titoli di credito, ConTEnzIoSo nAzIonAlE soprattutto degli ordini di investimento (6), la natura della responsabilità civile degli intermediari e i connotati della responsabilità precontrattuale (7), il rapporto tra regole di condotta e regole di validità (8), gli effetti delle nullità di protezione e i limiti alla ripetizione dell’indebito. ben evidenti appaino, dunque, le ragioni dell’evocato interesse del civilista per l’argomento. in primis, i rapporti di investimento, «chiamano frontalmente in causa problemi, principi e categorie (...) propri della sua disciplina»; in secundis, risulta «forte e netta (...) la tendenza a ricondurre gli specifici obblighi (...) dell’intermediario (...) a più generali principi cari al diritto civile», tra i quali, in apicibus, la buona fede (9). Infine, le ragioni genetiche degli interrogativi teorici richiamati sono le più varie e la vastità del tema non ne consente una ricognizione, neppure sinottica, in questa sede. Possono tuttavia menzionarsi due macro-fattori determinanti: la globalizzazione e l’evoluzione del diritto comunitario ed europeo, vieppiù a partire dai tardi anni ’80 dello scorso secolo. riguardo al primo, tralasciando le ormai note implicazioni di sistema (10), giova tener a mente la lectio magistralis tenuta da Piero Schlesinger in occasione del convegno intitolato “verso un superameno del diritto? il destino del diritto e la volontà di potenza della tecnica”, organizzato nel 2014 dalla fondazione Italiana del notariato: la prima disciplina ad essere propriamente globalizzata fu la finanza, che dall’associazionismo professionale londinese si diffuse a macchia d’olio, perseguendo un indirizzo di semplificazione delle forme e dei procedimenti e prescindendo da qualsiasi sfera di territorialità. Ebbene, il settore finanziario recava seco le sue -pur programmaticamente esili -sovrastrutture giuridiche, i cui modelli circolarono (11), in alcuni casi palesemente, innestandosi con più o meno rigide resistenze nei diversi ordi 1993, pp. 292, 293; cfr. D. MAffEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in i contratti, 2008, p. 407. (6) infra, par. 3. (7) v. roPPo, G. AffErnI, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e responsabilità, 2006. (8) Diffusamente: G. PErlInGIErI, l'inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013. (9) v. roPPo, la tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contratto e impresa, 2005, p. 897. (10) Per le quali si rinvia, ex plurimis, a f. GAlGAno, la globalizzazione nello specchio del diritto, 2005, Il Mulino; G. AzzArITI, il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, 2013, Edizioni laterza, pp. 47 e ss. (11) Sulla circolazione dei modelli giuridici, nonché, a monte, sull’importanza della comparazione giuridica in materia di protezione degli investitori: M.j. bonEll, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in G. AlPA, M.j. bonEll, D. CorAPI, l. MoCCIA, v. zEno-zEnCovICh, A. zoPPInI, Diritto privato comparato. istituti e problemi, 2012, Editori laterza, p. 28; G. AlPA, Comparative law as the Comparison of Cases in the Harmonization Process of european law -Protecting the investors, in G. AlPA, markets and Comparative law, 2010, british institute of international and Comparative law, pp. 97-99. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 namenti. Da qui, le criticità sistematiche, che possono compendiarsi nella felice espressione di luigi Mengoni, secondo cui «probabilmente siamo di fronte a un caso di empirismo legislativo non riducibile a categorie logico-sistematiche » (12). riguardo al secondo macro-fattore di crisi delle tradizionali categorie codicistiche, giova segnalare l’avvertita necessità di abbandono del rigido dogmatismo tradizionale e, per contro, l’inevitabile resa a una concettualizzazione «flessibile» (13), la sola in grado «di far convivere il massimo di efficienza e di effettività con il minimo investimento assiologico» possibile (14). 2. Peculiarità della disciplina dei servizi di investimento: dall’atto all’attività, ipertrofia normativa e debolezza dell’apparato rimediale. Cenni. Si ritiene, esaurite le premesse, di dover porre qualche punto fermo (per sommi capi, beninteso) in merito alle tendenze evolutive della disciplina dei servizi e attività di investimento, limitandosi agli aspetti che si assumono utili per una migliore intellegibilità del presente commento. Il settore in analisi, notoriamente, si caratterizza per la necessaria presenza di un «professionista dell’intermediazione» (15), istituzionalmente deputato a veicolare operazioni di allocazione ottimale del risparmio diffuso. Ebbene, sin dalla legge n. 1/1991 (c.d. “legge Sim”), pur risultando evidente l’intentio legis di collocare l’intermediazione mobiliare in un solido impianto contrattuale, la materia de qua veniva innervata da una dicotomia tra atto e attività. Come è evidente, vieppiù dopo la rivoluzione apportata dal c.d. sistema MifID, la centralità è ormai assunta dai servizi piuttosto che dalle vesti negoziali tramite i quali sono erogati (16), di talché il contratto è parso -e par tutt’ora -ricoprire un ruolo volutamente strumentale, come sede di tutele formali non troppo distanti da quelle presenti in nuce negli artt. 1341 e 1342 c.c. In altri termini, deve osservarsi come, sull’onda di quello che venne definito “neo-formalismo negoziale”, il contratto veniva inteso come sedes elettiva di traduzione degli obblighi informativi in effettivi strumenti di tutela. In un set (12) l. MEnGonI, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del consumatore» nel sistema del codice civile, in studi in onore di rescigno, vol. III, obbligazioni e contratti, 1998, Giuffré editore, p. 541; nello specifico, fu rilevato che «il contratto quadro non [fu] inventato dal regolamento Consob 1998», bensì rappresentò null’altro che la positivizzazione di una prassi risalente ad opera della legge SIM: così di C. bElfIorE, si può fare a meno del contratto quadro nei servizi di investimento?, in Giurisprudenza di merito, 2007, pp. 1916, 1917. (13) S. roDoTà, il Codice civile e il processo costituente europeo, in riv. crit. dir. priv., 2005. (14) S. MAzzAMUTo, il contratto di diritto europeo, Iv ed., 2020, Giappichelli, p. 15. (15) G. AlPA, sub art. 23, in Commentario al testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, diretto da AlPA e CAPrIGlIonE, Padova, 1998, p. 256. (16) A. TUCCI, tipicità dei contratti di investimento e disciplina codicistica, in f. CAPrIGlIonE (a cura di), i contratti dei risparmiatori, 2013, Giuffré editore, p. 87; M. lobUono, i contratti aventi ad oggetto servizi di investimento, in r. boCChInI (a cura di), i contratti di somministrazione di servizi, 2006, Giappichelli, pp. 242, 243. ConTEnzIoSo nAzIonAlE tore dominato dalle asimmetrie informative, la prescrizione della forma scritta ad substantiam (17) e, in alcuni casi, di un contenuto minimo, divenivano il veicolo dei dati informativi necessari per riequilibrare i gap prodotti da un mutato «stato di fisiologia sociale» (18) dei paciscenti, in perfetta consonanza con gli obiettivi di armonizzazione e integrazione nel mercato unico europeo. Si delineava così un tertium genus: una forma ad protectionem (19), ben distinta dalla forma contrattuale tout court per essere null’altro che «l’involucro nel quale sono (...) versati set di obblighi informativi consustanziali ad ogni contratto asimmetrico» (20). la disciplina in esame ha inoltre conosciuto una «ipertrofia normativa» (21), ossia una imponente produzione di regole di condotta crescentemente minuziose, nell’ottica di una vigorosa «procedimentalizzazione dell’agire» degli intermediari (22), asseritamente funzionale tanto all’apparato amministrativo- sanzionatorio quanto alla tutela degli investitori. non si tratta, beninteso, di un indirizzo di politica del diritto isolato, quanto piuttosto di una soluzione di matrice eurounitaria adottata ab origine per il diritto dei consumatori (23). Ciò è debitamente rilevato dai giudici della nomofilachia nella sentenza in commento, che tuttavia, per le specificità del caso concreto, circoscrivono la contiguità tra le due materie alle vulnerabilità della parte debole sul solo versante informativo (24), sì tralasciando l’esame degli obblighi organizzativi, di astensione e dei recentissimi doveri di product governance. Infine, parte della dottrina ha constatato una certa distonia di fondo in subiecta materia: all’echeggiata ipertrofia nella regolazione ex ante, ossia in punto di regole di condotta degli intermediari, si accompagna -specular (17) In queste ipotesi, può parlarsi propriamente di «nullità conformativa», programmaticamente «posta a tutela di norme volte a dare una determinata conformazione al regolamento contrattuale»: A. CATAUDEllA, i contratti. Parte generale, 2019, Giappichelli, p. 331. (18) S. MAzzAMUTo, op. cit., p. 182. (19) l. DI DonnA, remedies for breach of the Duty to inform Consumers, in european business law review, 2012, p. 254. (20) S. PAGlIAnTInI, sub art. 1350 -atti che devono farsi per iscritto, in Commentario del Codice Civile diretto da E. GAbrIEllI, Dei contratti in generale, artt. 1350-1386, 2011, UTET, pp. 18 e ss. (21) v. zEno-zEnCovICh, Profili di uno statuto dell’informazione economica e finanziaria, in il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2005, p. 934. Da ultimo, sulla overregulation dei mercati finanziari, v. r. lEnEr, il paradigma dei settori regolati e la democrazia dell’algoritmo. Note introduttive, in riv. dir. banc., 2020, pp. 193 e ss. (22) f. AnnUnzIATA, la disciplina del mercato mobiliare, 2017, Giappichelli Editore, p. 141. (23) l’ispirazione della disciplina dei servizi di investimento a quella dei contratti dei consumatori rappresenta un trend recente nella regolazione di settore, tanto da portare la più attenta dottrina a parlare di «consumerisation of investor protection regulation»: così n. MolonEy the investor model Underlying the eU’s investor Protection regime: Consumers or investors?, in european business organization law review, 2012, pp. 173, 180. (24) Per una accurata disamina dei profili di vulnerabilità del consumatore, che possono agevolmente riferirsi anche all’investitore, v. P. CArTwrIGhT, Understanding and Protecting vulnerable Financial Consumers, in Journal of Consumer Policy, 2015, pp. 118-138. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 mente -un’opposta «atrofia regolatoria» (25) dell’ordinamento dell’Unione Europea, in materia di rimedi civilistici a tutela degli investitori. In sintesi, tale conclusione pare eccessiva: sebbene il punto nautico dell’approccio eurounitario pare tutt’ora compendiarsi negli approdi della sentenza bankinter (26), ove i giudici del lussemburgo statuirono che «spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno stato membro disciplinare le conseguenze contrattuali del mancato rispetto degli obblighi in materia di valutazione previsti dall’articolo 19, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2004/39 da parte di un’impresa di investimento che propone un servizio di investimento, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività”, il quadro complessivo è più articolato. in primis, autorevole dottrina (27) ammoniva sulla predisposizione, da parte del legislatore europeo, di «rimedi nuovi», tra i quali emergono il c.d. ius poenitendi -nelle sue declinazioni di «recesso, (…) revoca dell’accettazione (…) [o] diritto di risoluzione unilaterale del contratto» che caratterizzano le discipline delle vendite fuori dai locali commerciali, delle vendite a distanza di prodotti finanziari e della promozione e collocamento a distanza di servizi e attività di investimento e strumenti finanziari -e, ovviamente, proprio la nullità di protezione. in secundis, non può trascurarsi l’abbondanza delle soluzioni offerte, in chiave fatalmente suppletiva, dal diritto comune (nullità per vizi di forma o per contrarietà a norme imperative, annullabilità per errore o per dolo, risoluzione per inadempimento, risarcimento del danno) cui tuttavia si accompagna una pericolosa confusione provocata dal loro effettivo impiego da parte di dottrina e giurisprudenza, dimostratesi piuttosto ondivaghe (28). In sostanza, deve concludersi che il nodo gordiano risiede nell’insufficiente grado di uniformazione, a livello europeo, delle discipline della responsabilità civile e del contratto. Ciò, a ben vedere, rappresenta il vero comun denominatore tra le posizioni dei commentatori. Che tale riluttanza a intervenire sia dovuta o meno a fenomeni di lobbying, il divario tra una regolazione ampiamente armonizzata e l’incertezza (nonché l’ingiustizia) derivante dalle persistenti differenze tra gli ordinamenti degli Stati membri, in materie che, indubbiamente, costituiscono i pilastri delle rispettive tradizioni giuridiche, rimane un problema ancora attuale (29). nemmeno con (25) G.A. PAPAConSTAnTInoU, “investment bankers in Conflict: the regime of inducements in miFiD ii and the member states’ struggle for Fairness”, in european review of Contract law, 2016, p. 318. (26) Genil 48 sl e Comercial Hostelera de Grandes vinos sl v. bankinter sa e banco bilbao vizcaya argentaria sa, caso 604/11 del 30 maggio 2013. (27) G. AlPA, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario. Per l’armonizzazione dei modelli regolatori e per l’uniformazione delle regole di diritto comune, in Contratto e impresa, 2008, p. 891. (28) v. roPPo, op. cit., p. 899. ConTEnzIoSo nAzIonAlE le più recenti riforme, infatti, si sono raggiunti, sul punto, traguardi accettabili (30). 3. orientamenti e opzioni teoriche per una corretta ricostruzione delle dinamiche negoziali. Si ritiene che una ricognizione delle diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali intorno alle dinamiche negoziali proprie dei servizi di investimento sia essenziale e non possa omettersi, al fine di cogliere le perduranti deficienze del corredo rimediale disponibile per l’investitore nonché, a fortiori, per contestualizzare debitamente la portata innovativa della sentenza in commento. Con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 23 T.u.f., si è detto che la norma, in un’ottica (prima facie ossimorica) di «paternalismo libertario» (31), impone la forma scritta ad substantiam, accompagnata da un obbligo di consegna al cliente del documento contrattuale (32). Il difetto di forma, cosi come le pattuizioni di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo e degli oneri a carico dell’investitore, è sanzionato dalla nullità relativa che, ai sensi del comma 3 (e in deroga agli artt. 1418 e ss. c.c.) «può essere fatta valere solo dal cliente». la rigidità della norma è temperata, al medesimo comma, dalla possibilità per la Consob, sentita la banca d’Italia, di prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio un appropriato livello di garanzia. A livello regolamentare, la Consob dispone poi obblighi maggiori per le ipotesi oggettivamente o soggettivamente più critiche, prescrivendo un c.d. contenuto minimo, sub specie di informativa minima indefettibile, facendo salvo il contenuto delle obbligazioni (33). (29) o.o. ChErEDnyChEnko, Fundamental rights, Contract law and the Protection of the Weaker Party: a Comparative analysis of the Constitutionalisation of Contract law, with emphasis on risky Financial transactions, seiller european law Publishers, 2007, pp. 496 e ss. (30) n. MolonEy, liability of asset managers: a comment, in Capital markets law Journal, 2012, p. 421: l’A. sottolinea che il “Private enforcement is not, however, significantly enhanced under the miFiD ii reforms”. (31) C.r. SUnSTEIn, r.h. ThAlEr, libertarian Paternalism is Not an oxymoron, in the University of Chicago law review, 2003, pp. 1159 e ss. Ci si limita a indicare come gli Autori si facciano sostenitori di una tesi che, sebbene non rinneghi l’importanza della c.d. freedom of choice di matrice liberale, ritengano inevitabili temperamenti in chiave paternalistica di direzionamento delle scelte, ritenendo dimostrata l’erroneità della teoria secondo cui soggetti del mercato agiscono sempre in maniera razionale. (32) Ad oggi, la previsione è generica e, a differenza del passato, sembra perciò ricomprendere la consulenza in materia di investimenti; tuttavia, l’art. 58 del regolamento UE 565/2017 ne circoscrive la portata solo ai casi in cui il servizio in questione preveda una effettuazione periodica dell’adeguatezza. (33) l’art. 37, comma 3 del regolamento Intermediari prescrive, per i contratti con clienti al dettaglio, di: a) specificare i servizi forniti e le loro caratteristiche, indicando il contenuto delle prestazioni rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Ciò premesso, il primo interrogativo che animò la dottrina fu se, con il T.u.f., si fosse dato vita a un autonomo tipo contrattuale (34), se -più semplicemente -doveva trattarsi di un c.d. “contratto quadro” di programmazione delle operazioni future, ovvero infine se non si fosse difronte a un’inedita manifestazione di figure già note. Dalla letteratura in materia, pare emergere il monito che la riflessione debba muovere anzitutto dalla definizione del suo oggetto come «una categoria tutt’altro che omogenea», con scarse «possibilità di ricondurre a un contratto unico l’attività eseguita dall’intermediario» (35). non sembra dunque potersi rinvenire un particolare tipo contrattuale nell’economia dell’art. 23, nonostante le fattispecie presentino denominatori comuni, dalla più ovvia «destinazione del risparmio a finalità di investimento di natura finanziaria» (36) alla citata presenza di un «professionista dell’intermediazione» (37). Ci si troverebbe, piuttosto, al cospetto di un corpus di norme funzionale alla realizzazione mediata degli obiettivi principiati nell’art. 21 T.u.f.: quello «strumentale, di proteggere una presunta parte debole» e quello «finale, di correggere situazioni di fallimento del mercato» (38). Può così tracciarsi a una prima conclusione: i contratti de quibus costituiscono piuttosto una “categoria”, ossia una figura operante -secondo una tecnica legislativa già impiegata per i contratti del consumatore -su un piano qualitativamente distinto dai tipi negoziali, fisiologicamente idonea a ricomprenderne una pluralità e «sensibile all’operazione economica e al suo concreto atteggiarsi» (39). dovute e delle tipologie di strumenti finanziari e di operazioni interessate; b) stabilire il periodo di efficacia e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso; c) indicare le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni; d) prevedere la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire al cliente, rendiconto dell'attività svolta; e) indicare i corrispettivi spettanti all’intermediario o i criteri oggettivi per la loro determinazione, specificando le relative modalità di percezione e, ove non diversamente comunicati, gli incentivi ricevuti in conformità al Titolo v; f) indicare se e con quali modalità e contenuti in connessione con il servizio di investimento può essere prestata la consulenza in materia di investimenti; g) indicare le altre condizioni contrattuali convenute con l'investitore per la prestazione del servizio; h) indicare le procedure di risoluzione stragiudiziale di controversie, definite ai sensi dell’articolo 32-ter del Testo Unico. Indicazioni aggiuntive devono necessariamente accompagnare il contratto di gestione portafogli ai sensi del- l’art. 38, in continuità con il tipo di informativa da corrispondere in fase pre-negoziale ai sensi dei citati artt. 24-bis T.U.f. e 44, comma 4 del regolamento UE n. 565/2017. (34) A. TUCCI, tipicittà dei contratti di investimento e disciplina codicistica, in f. CAPrIGlIonE (a cura di), op. cit., p. 83; v. roPPo, investimento in valori mobiliari (contratto di), in Contratto e impresa, 1986, pp. 261 e ss. (35) M. lobUono, i contratti aventi ad oggetto servizi di investimento, in r. boCChInI (a cura di), i contratti di somministrazione di servizi, 2006, Giappichelli, p. 245. (36) A. TUCCI, op. cit., p. 84. (37) G. AlPA, sub art. 23, ivi. (38) E. GAbrIEllI, r. lEnEr, mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento dopo la miFiD, in E. GAbrIEllI, r. lEnEr, Contratti del mercato finanziario, 2011, UTET, pp. 40, 41. (39) E. GAbrIEllI, r. lEnEr, ivi, pp. 46, 47; A. TUCCI, ivi, pp. 84, 85. questa soluzione ha il ConTEnzIoSo nAzIonAlE Una decisa risposta ad alcuni degli interrogativi supra tratteggiati è fornita da f. Galgano, secondo cui il T.u.f. non avrebbe introdotto un quid novi, bensì meramente normato una fattispecie già da tempo qualificata dalla giurisprudenza come «contratto misto di conto corrente e di mandato» (40). In particolare, nel contratto di negoziazione (storico contraltare al servizio gestorio) «lo schema causale del contratto regolato dagli artt. 1852-1857 c.c. balzerebbe agli occhi evidente»: si tratterebbe precisamene di un mandato ad acquistare o a vendere strumenti finanziari. questa è la tesi tutt’ora dominante nella giurisprudenza di legittimità, confermata da ultimo dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite nn. 26724 e 25725 del 2007, ove si ammette expressis verbis il contratto di intermediazione finanziaria «può essere accostato al mandato», e dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite in materia di contratti “monofirma” n. 898/2018. Da tali premesse, l’echeggiata dottrina prende le mosse per censurare il richiamo alla figura atipica di un «asserito, e non meglio qualificato, contratto quadro», impropriamente apparentato a un c.d. master agreement, al pari di quello impiegato nelle contrattazioni internazionali per la pianificazione di strategie d’affari comuni a più imprese (41). Per inciso, è probabile che la riconduzione al contratto di mandato discenda da due fattori, uno storico e l’altro propriamente di diritto positivo. Col primo si allude al ruolo assunto da tale figura come archetipo delle fattispecie negoziali di “cooperazione nell’altrui attività giuridica” (ergo, di intermediazione): nato per esigenze di commercio, si sostanziava, dapprima solo sul piano del costume e della morale sociale, in un accordo per l’affidamento di affari determinati a persone di fiducia (42). Il secondo è costituito invece dalla lettera dell’art. 13, comma 10 della legge 1/1991, la quale, nel disciplinare l’onere della prova spettante ai soggetti abilitati, faceva espresso riferimento alla «diligenza del mandatario». Come già annunciato, altre voci si mostrarono decisamente contrarie alla ricostruzione testé illustrata. A.M. Mancini, nell’indagare le difformità del contratto di negoziazione rispetto al mandato, fa anzitutto leva sul «ruolo determinante e attivo del pregio di essere in consonanza con gli approdi di quella dottrina che si vide critica dell’inscindibilità tra tipo e causa, asserendo che «Non è dubbio che il codice del ’42 ha guardato alla sostanza economica della singola operazione tipica, ed ha dettato una disciplina confacente, senza troppe preoccupazioni d’ordine dogmatico»: così G. DE novA, Nuovi contratti, 1990, UTET, pp. 17, 18. (40) Cass. 27 luglio 1972, n. 2545; Trib. napoli, 10 settembre 1996; App. Cagliari, 13 luglio 1984; Trib. Milano, 12 luglio 1984. (41) f. GAlGAno, i contratti di investimento e gli ordini dell’investitore all’intermediario, in Contratto e impresa, 2005, pp. 892-894. la posizione dell’A. è confermata, financo con maggior vigore, in il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle sezioni Unite della Cassazione, in Contratto e impresa, 2008, pp. 1-6. (42) S. SErrAvAllE, i contratti di intermediazione e la garanzia prestata dall’intermediario, Edizioni Scientifiche Italiane, napoli, 2004, pp. 18, 19. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 cliente (…) nella fase di esecuzione», osservando come, prima che questi impartisca ordini specifici in relazione alle singole operazioni, «la prestazione dell’intermediario (…) è del tutto generica e l’oggetto di essa è indeterminato ». In aggiunta, se è vero che in alcune ipotesi il mandatario ha la facoltà o financo l’obbligo di discostarsi dalle istruzioni della controparte -in funzione della fides bona e della correttezza nell’adempimento -«non è consentito all’intermediario discostarsi dall’ordine ricevuto», salvo il caso dell’obbligo di astensione a seguito di un esito negativo del giudizio di adeguatezza. I rilievi suesposti portano alla qualificazione della fattispecie in esame nei termini «contratto quadro», caldeggiandone la vicinanza al concetto di «contratto normativo », concepito come un momento dell’iter negoziale in cui la cooperazione si sublima nella programmazione di un «reticolo normativo volto a disciplinare i futuri rapporti tra l’intermediario e l’investitore» (43). Altra dottrina si mostrava più cauta. M. lobuono, preliminarmente, isolava dalle altre figure negoziali ex art. 1, comma 5 T.u.f. il contratto di gestione di portafogli di investimento, il solo dotato di un oggetto (inteso come «oggetto della prestazione dedotta nel rapporto obbligatorio») determinabile, dunque «riconducibile allo schema del contratto unitario» e, in particolare, al contratto di durata. Meditando quindi sull’opportunità di servirsi della figura del contratto quadro, con riferimento alle altre fattispecie, ne rintracciava il discrimen rispetto al contratto normativo nella immediata determinazione di un «obbligo, unilaterale o bilaterale, di concludere i singoli contratti successivi», laddove il secondo avrebbe il mero scopo di cristallizzare preventivamente il contenuto e a disciplina di negozi giuridici futuri e, soprattutto, eventuali. veniva quindi osservato come il vincolo alla stipulazione di contratti successivi potesse incontrare un ostacolo nell’esito negativo della valutazione di adeguatezza. Infine, rifiutando le posizioni (minoritarie) di chi negava l’efficacia vincolante del contratto normativo, per lo più argomentando in modo dubbio a partire dal menzionato obbligo di astensione (44), si ammoniva che quest’ultima figura dovesse ritenersi la più confacente, sebbene notoriamente ambigua e divisiva (45). Ulteriori lumi sono forniti da una penna autorevole, ancorché più risalente. (43) A.M. MAnCInI, la tutela del risparmiatore nel mercato finanziario tra culpa in contrahendo e vizi del consenso, in rassegna di diritto civile, 2007, pp. 57-60; conformemente, G. CASCEllA, i singoli ordini di acquisto costituiscono contratti autonomi e non atti esecutivi di un unico mandato. tribunale Cuneo, 31 maggio 2012, n. 358, est. Dott. r. bonaudi, p. 14, consultabile all’indirizzo www.comparazionedirittocivile. it.; f. DUrAnTE, intermediari finanziari e tutela dei risparmiatori, 2009, Giuffrè editore, p. 61. Alla figura del contratto normativo fa espresso e convinto riferimento D. MAffEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in i contratti, 2008, p. 406. (44) A. orESTAno, intese prenegoziali a struttura “normativa” e profili di responsabilità precontrattuale, in rivista critica di diritto privato, 1995, pp. 63 e ss. (45) M. lobUono, op. ult. cit., pp. 251, 252. Cfr. App. brescia, sent. n. 739/2007 in www.ilcaso.it. ConTEnzIoSo nAzIonAlE f. Messineo allocava il nodo gordiano, sul piano del diritto positivo, nella compatibilità del contratto normativo con la nozione legale di contratto in senso tecnico, fornita dall’art. 1321 c.c., insistendo sulla diversità di funzioni tra la regola negoziale e la norma giuridica. Avversata la dottrina, di origine germanica, secondo cui all’istituto del contratto andrebbe comunemente assegnata anche una «funzione disciplinare», in quanto «fonte di produzione di norme giuridiche», «precetto (o somma di precetti) dell’autonomia privata», si poneva anzitutto l’accento sulla funzione eminentemente dispositiva dello stesso, il quale «provvede direttamente e concretamente a dare assetto ad interessi patrimoniali delle parti, (…) consumando, così, tutto il proprio effetto». beninteso, al contratto normativo non era negata in toto la cittadinanza nel- l’ordinamento italiano: cionondimeno, se ne ammetteva una configurabilità solo episodica, nelle ipotesi in cui il sistema, mediante «delegazione di potestà », ammetta margini di autodisciplina. In tal senso, pare possa trovarsi un addentellato nell’art. 1322 c.c., il quale attribuirebbe «pur se non esplicitamente, un potere normativo». non si trascurava, poi, il problema terminologico, avanzando la tesi di esser difronte a un quid affatto diverso dal contratto tout court, che «sarebbe preferibile qualificare altrimenti», ed eludendo così le difficoltà di riconduzione a nozioni legali. Era, in conclusione, preferibile la dizione di «accordo normativo», uno «schema di disciplina, (…) soltanto obbligatorio, [che] dà luogo a un sinallagma funzionale», divergendo dal contratto preliminare per non obbligare alla conclusione di un contratto futuro e determinato (46). Per inciso, tra le «figure concrete di contratto normativo» alcune voci menzionano il conto corrente bancario (47), per la sua funzione di regolazione dei futuri rapporti correntista-banca: ciò potrebbe avere il pregio di ridurre la distanza tra l’approdo cui si è testé giunti e l’opposta visione di f. Galgano, nonché della prestigiosa giurisprudenza di legittimità da questi richiamata. All’esito dell’orientamento da ultimo descritto, emergono perplessità, circa la vocazione suppletiva che par sorreggere e financo condizionare l’accoglimento stesso della figura di cui sopra, la quale, sembra dunque relegata in una dimensione interstiziale e riempitiva di aree ignote all’ordinamento. All’opposto, in subiecta materia, l’attenzione del legislatore (italiano e europeo) è massima, con una regolamentazione minuziosa che pervade ogni momento dell’iter negoziale, fin dai primi contatti tra parti anche solo potenziali (e.g. la disciplina dei prospetti informativi). In consonanza con quanto osservato nel paragrafo precedente, deve rite( 46) f. MESSInEo, voce Contratto normativo e contratto-tipo, in enciclopedia del diritto, X, 1962, pp. 116-124. (47) G. SAnTInI, il bancogiro, bologna, 1949, pp. 84 e ss.; f. MArTorAno, il conto corrente bancario, napoli, 1955, pp. 113, 114. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 nersi di essere in presenza di «processo di sostituzione della tradizionale libertà di autodeterminazione caratteristica dell’autonomia privata con un’autonomia funzionale» (48), mediatamente, all’integrità del mercato. Di più. Si assisterebbe a una ricostruzione in via eteronoma dello schema negoziale come «strumento di selezione degli interessi perseguiti attraverso i contratti di investimento » (49). Passando all’analisi degli ordini di investimento, si intendono toccare eminentemente due punti: la natura degli stessi e, a monte, la necessaria derivazione degli stessi da un precedente contratto quadro/normativo. Procedendo a ritroso, occorre constatare come, nonostante la presenza in dottrina di pareri a sostegno della ammissibilità del compimento di singole operazioni di investimento senza alcun previo accordo generale in funzione di retroterra disciplinare (50), l’opinione maggioritaria, confermata in alcune pronunce di merito, ne caldeggiava l’indefettibilità, derivandone di conseguenza la nullità dei singoli ordini per difetto di «fondamento causale» (51). la questione è stata ben aggredita da M. Maggiolo (52), il quale si mostrò in primis critico verso alcune tesi secondo cui, in difetto del master agreement, i singoli ordini sarebbero «destinati a perfezionarsi secondo lo schema della proposta seguita dall’inizio di esecuzione, ai sensi dell’art. 1327 c.c. (…) che però, in assenza di una dichiarazione di accettazione da parte dell’intermediario, non sarebbe compatibile con (…) l’art. 23, comma 1, t.U.F»: nulla impedisce il perfezionarsi delle operazioni secondo il modello del 1326 c.c., perfettamente compatibile con gli oneri formali e contenutistici imposti dalla normativa di settore (53). vi sarebbero, in sostanza, margini per sostenere, come pure la giurisprudenza di merito non mancò di fare (54), che la sequenza negoziale contratto qua (48) f. SArTorI, autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. il problema dell’effettività delle regole di condotta, in rivista di Diritto Civile, 2009, p. 99. (49) ivi, pp. 100-102. (50) «(…) la fattispecie bipartita a formazione progressiva (…) “contratto quadro-ordine di acquisto” non è necessaria ai fini della valida stipulazione di un contratto di compravendita di servizi di investimento, potendo questo risolversi anche in un unico atto negoziale purché in possesso degli elementi previsti per il contratto quadro e per il singolo contratto di acquisto»: così b. InzITArI, v. PICCInInI, la tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, 2008, CEDAM, p. 2, nt. 1. (51) Trib. Cagliari, sent. n. 120/2007, ove pure si sostiene che «il vincolo tra il contratto (…), l’ordine del cliente e l’esecuzione da parte dell’intermediario è (…) per legge indissolubile»; App. Milano, 13 giugno 2003. (52) M. MAGGIolo, servizi ed attività di investimento. Prestatori e prestazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. CICU, f. MESSInEo, l. MEnGonI, continuato da P. SChlESIn- GEr, 2012, Giuffrè editore, p. 486. (53) l. SCoDITTI, intermediazione finanziaria e formalismo protettivo, in Foro.it, 2009, pp. 190 e ss. (54) Trib. Milano, 20 febbraio 1997 in banca, borsa, titoli di credito, 2000, p. 82. ConTEnzIoSo nAzIonAlE dro -ordini di investimento non integri una «bipartizione legalmente necessaria della fattispecie», bensì solo la comune articolazione delle operazioni in questione (55). l’obbligatoria precedenza di un accordo scritto, imposta a livello regolamentare, dovrebbe intendersi come precedenza logico-funzionale (fondata sul ruolo “garantista” dell’art. 23 T.u.f.) e non cronologica, come invece sostenne una giurisprudenza di legittimità (56), per altro di recente superata (57). In conclusione, la legge impone, oggi come ieri, requisiti di forma e di contenuto minimo, normalmente funzionali al contratto quadro, che devono ritenersi soddisfatti anche laddove, per ipotesi, convivano nel medesimo documento con un ordine all’intermediario. In altre parole, «il singolo ordine (…) è salvo anche se il contratto quadro è nullo, purché esso contenga tutti i requisiti (…) prescritti per il contratto di investimento» (58). Il dibattito intorno alla natura degli ordini di investimento è senza dubbio il più complesso, se non altro per la riluttanza della questione a poter essere indagata asetticamente: essa porta con sé inevitabilmente riflessioni sul contratto ex art. 23 T.u.f. e financo sulla stessa struttura giuridica dell’operazione economica di investimento. È comprensibile, perciò, che autori come f. Galgano, fervido sostenitore dell’accostamento del contratto ex art. 23 al mandato, sottolinei «l’erroneità [del] diffuso convincimento (…) secondo il quale gli ordini (…) darebbero luogo ad altrettanti contratti». Si avrebbe dunque, in caso di negoziazione, solo un eventuale distinto contratto di compravendita tra intermediario e terzo, i cui effetti si produrrebbero nella sfera giuridica dell’investitore secondo il comune paradigma del mandato senza rappresentanza, di cui all’art. 1706 c.c. Gli ordini impartiti dal cliente sarebbero null’altro che atti esecutivi -beninteso, di natura negoziale -di un precedente mandato, «privi di una propria causa» e appartenenti alla notoria categoria dei «negozi di attuazione», figura comune anche ad altre fattispecie, quale il contratto di factoring (59). quella letteratura che, all’opposto, qualifica la fattispecie ex art. 23 come contratto normativo o contratto quadro, tende invece ad attribuire agli ordini natura di veri e propri contratti i quali, pur dotati di autonomia, derivano dal master agreement e costituiscono momento attuativo/realizzativo del programma ivi divisato (60). Molte sono le voci in tal senso, che osteggiano du (55) C. bElfIorE, si può fare a meno del contratto quadro nei servizi di investimento?, in Giurisprudenza di merito, 2007, pp. 1916, 1917. (56) Per un’ampia rassegna, si rinvia a G. Gobbo, C.E. SAloDInI, i servizi di investimento nella giurisprudenza più recente, in Giurisprudenza commerciale, 2006, pp. 5 e ss. (57) Cass., sent. n. 3261/2018. (58) ibidem. (59) f. GAlGAno, i contratti, cit., pp. 893, 894; ID., il contratto di intermediazione, cit., pp. 4-6. (60) v. roPPo, op. cit., pp. 896, 897. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 ramente la tesi sulla natura di mere «istruzioni» del cliente-mandante ex art. 1711 c.c. degli ordini di investimento, o di semplici dichiarazioni di volontà non negoziale con funzione esclusivamente determinativa di mezzi e modalità di esecuzione della prestazione. Alcune ne hanno caldeggiato la riconduzione ai c.d. «contratti nucleo» (61), ossia collegati a un precedente rapporto contrattuale (tra intermediario e cliente), e.g. un deposito o un conto corrente bancario (62). Più precisamente, se ne è offerta la qualificazione di «dichiarazioni negoziali (unilaterali), poste a fondamento di autonomi contratti consensuali, ad effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive, tra cliente e intermediario da ritenersi conclusi secondo lo schema dell’art. 1327 c.c.» (63). questo orientamento descrive poi il rapporto di intermediazione finanziaria come fattispecie -solo normalmente, secondo l’id quod plerumque accidit -«bifasica» o «bipartita», ove gli ordini si porrebbero come momenti contrattuali attuativi del programma negoziale assunto a cornice col contratto quadro (64). Esse, premono sulla già indagata differenza tra mandato e contratto ex art. 23 T.u.f., riguardo il quantum di determinazione del programma negoziale. Per quanto generica possa ammettersi essere la prestazione secondo il modello codicistico degli artt. 1703 e ss. c.c., «i servizi di investimento si rivelano lungi dall’essere elencati analiticamente, (…) di guisa che dal contratto quadro non è possibile evincere, neppure in via di approssimazione, quali sono gli investimenti che il risparmiatore concretamente andrà ad eseguire» (65). nelle ipotesi in questione, gli ordini del cliente integrerebbero perciò manifestazioni volitive determinanti la stessa venuta ad esistenza delle singole prestazioni (66). In particolare, si tratterebbe, secondo alcuni, di una ipotesi di collegamento negoziale tra un contratto di cooperazione (a effetti solo obbligatori) e uno o più contratti di mandato o di commissione (67). A voler essere ancor più precisi, dovrebbero distinguersi le ipotesi di negoziazione “per proprio conto” e “per conto terzi” (art. 1, comma 5, lett. rispettivamente a) e b) T.u.f.): «nel primo caso il tipo contrattuale di riferimento è la compravendita; nel secondo, il mandato. In entrambe le fattispecie, il contratto produrrebbe effetti reali» (68). (61) v. SAnGIovAnnI, inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità, in i contratti, 2008; A. lUMInoSo, Contratti di investimeno, mala gestio dell’intermediario e rimedi esperibili dal risparmiatore, in responsabilità civile e previdenza, 2007, pp. 1426, 1427, ove l’A. non manca di sottolineare come, a livello regolamentare, siano previsti «doveri informativi relativi alla fase di attuazione dell’operazione esecutiva e di svolgimento dell’attività di negoziazione». (62) G. CASCEllA, op. cit., p. 9. (63) f. DUrAnTE, op. cit., p. 57. (64) b. MEolI, i contratti di prestazione di servizi di investimento, in la tutela del consumatore, trattato di diritto privato, diretto da M. bESSonE, 2009, Giappichelli editore, vol. XXX, pp. 471-473. (65) G. CASCEllA, op. cit., p. 13. (66) A.M. MAnCInI, op.cit., pp. 56 e ss. (67) G. CASCEllA, op. cit., p. 9; M. lobUono, la responsabilità, cit., pp. 106 e ss. (68) M. DEllACASA, Collocamento di prodotti finanziari e regole di informazione: la scelta del rimedio applicabile, in Danno e responsabilità, 2005, p. 1242. ConTEnzIoSo nAzIonAlE Come già accennato, la giurisprudenza prevalente è di diverso avviso. Un’indicazione forte, invero preceduta (69) da qualche pronuncia di merito, proviene dalle celebri sentenze delle Sezioni Unite n. 26724 e n. 26725 del 2007, richiamate dalla sentenza della Sezione I n. 3773/2009, ove si affermava che: «le successive operazioni (…), benché possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d’intermediazione (…)». Pur ammettendone il collegio, in alcune ipotesi, la «natura bicefala (negoziale ed esecutiva)» (70), è senza dubbio la seconda (quella esecutiva) a prevalere. non sono mancate tuttavia, prima e dopo l’intervento in questione, posizioni contrarie, massimamente incarnate da alcuni giudici di merito riluttanti ad adeguarsi a un sì autorevole precedente (71). 4. la sentenza: la buona fede come “criterio ordinante” e una soluzione mediana in punto di effetti delle nullità protettive. Sondato il retroterra disciplinare e dogmatico, può procedersi con l’analisi dell’arresto oggetto di commento, evidenziandone i profili di interesse in chiave diacronica e debitamente contestualizzata. Preliminarmente, giova ricordare che le Sezioni Unite sono state investite della questione di cui al secondo motivo di ricorso, «relativa all’esatta determinazione degli effetti e delle conseguenze giuridiche dell'azione di nullità proposta dal cliente in relazione a specifici ordini di acquisto di titoli che derivi, tuttavia, dall'accertamento del difetto di forma del contratto quadro». nello specifico, «il punto controverso riguarda l'estensione degli effetti della dichiarazione di nullità anche alle operazioni che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente ed, eventualmente, i limiti di tale estensione». Procedendo con ordine, le ragioni decisorie si aprono con una notazione di forte importanza, in merito alla fisionomia degli ordini di investimento. Come si evince dal panorama delle opzioni teoriche illustrate in precedenza, la questione richiede la preventivamente risoluzione dell’interrogativo circa (69) Trib. Catania, 22 novembre 2005, secondo cui: «l’ordine (…) costituisce solo momento esecutivo e non un accordo»; Trib. rovereto, 18 gennaio 2006, secondo cui: «né l’ordine, né l’atto di negoziazione dei titoli, nemmeno se considerati unitariamente, possono, invero, essere riguardati come atti di autonomia contrattuale». (70) f. DUrAnTE, op. cit., p. 58. (71) Cass., sez. I, sent. n. 28260/2005 ove, seppure con riferimento ad appositi ordini di borsa di acquisto a premio semplice, denominato «dont», espressamente si discorre di distinti contratti di mandato; Trib. Cagliari, 2 gennaio 2006, visionabile su www.ilcaso.it, ove si afferma che: «le violazioni ai doveri informativi e di diligenza, pur avendo luogo nella fase successiva alla stipulazione del contratto quadro, intervengono nella fase genetica dell’ulteriore e diverso contratto di mandato ad acquisire gli specifici prodotti finanziari oggetto di negoziazione»; Trib. Torino, 1 febbraio 2008, ove si ravvisa «un duplice momento contrattuale»; Trib. napoli, sent n. 13184/2010; Trib. Cuneo, sent. n. 358/2012, ove si sostiene la tesi secondo cui l’indubbia finalità esecutiva o attuativa degli ordini non sia in alcun modo ostativa a una loro qualifica negoziale. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 la corretta qualificazione del contratto ex art. 23 T.u.f., essendo a quest’ultimo intimamente legata in un binomio concettuale pressoché inscindibile. Il termine di paragone rimane attualmente rappresentato, in giurisprudenza, dalle statuizioni delle cc.dd. sentenze “rordord” del 2007 (supra), giacché la pronuncia del 2018 in materia di contratti “monofirma” vi rinvia in toto e le citate sentenze gemelle del 2014 sono, sul punto, inconferenti, e in dottrina, dalle descritte posizioni di f. Galgano. in primis, occorre premettere che, con riferimento al master agreement, la sentenza in commento impiega diffusamente il sintagma «contratto quadro », accompagnandovi espressamente, accanto alla funzione dispositiva, quella «normativa». Inoltre, un espresso riferimento allo schema del mandato compare solo in sede di ricostruzione dei fatti di causa, nell’illustrazione del- l’iter argomentativo seguito dal giudice d’appello. rispetto alla valenza degli ordini, invece, le Sezioni Unite paiono porsi in decisa avversione del consolidato orientamento precedente, che configurava quest’ultimi come fattispecie attuative di un contratto riconducibile allo schema tipico del mandato, statuendone la natura esecutiva e, solo sporadicamente, negoziale ed escludendo radicalmente qualsivoglia autonomia sul piano strutturale. In aperto dissenso, il par. 6 della pronuncia si apre con l’espressa amissione, per gli ordini di investimento, di «una propria autonoma valenza negoziale che postula la formazione di un consenso ad hoc per la loro esecuzione mediante la prestazione dell'intermediario». A corroborazione di tale ricostruzione -o, meglio, in negativo, a riprova dell’inaccettabilità della soluzione contraria -vengono addotte anche argomentazioni di carattere eminentemente processuale, fondate sull’assunto che il requisito dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., quale regola attuativa del cardinale principio di economia degli atti e delle decisioni, integrerebbe una circostanza ostativa all’allocazione, in capo all’investitore, di un onere di censura globale delle operazioni svolte con la cooperazione del singolo intermediario. la tesi avversa produrrebbe, in altri termini, la pericolosa conseguenza di disinnescare la portata (ergo, di tradire la vocazione) protettiva della nullità in questione, subordinando l’azionabilità del rimedio de quo a una previa, meditata, analisi del trade-off tra il valore dei singoli investimenti effettuati. Andando oltre, può osservarsi come l’iter argomentativo muova da una prospettiva metodologica di tipo comparatistico: la Suprema Corte analizza sì l’art. 23 T.u.f., ma ne dà una lettura sistematica, estesa alle «aree contigue» di cui agli artt. 117 T.u.b. e 36, comma 3 del Codice del Consumo. In sostanza, quindi, oggetto di scrutinio è il rimedio caducatorio per come esso si presenta (rectius, deve presentarsi) nel prisma delle discipline di tutela della parte astrattamente debole. Dal mero confronto delle invocate disposizioni, si evince una non perfetta corrispondenza delle espressioni: da un lato, i Testi Unici, parlano di nullità che «può essere fatta valere solo dal cliente»; dall’altro, il d.lgs. n. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 206/2005 prevede un rimedio che «opera soltanto a vantaggio del consumatore » (72). Se si optasse per un’interpretazione letterale e asettica, dovrebbe ammettersi di esser difronte a una differenza di non poco conto. A una prima lettura, le prescrizioni de quibus sembrerebbero infatti porsi su piani distinti, logicamente e cronologicamente: nel primo caso, l’azionabilità del rimedio, e in specie, la latitudine della legittimazione attiva; nel secondo, la portata degli effetti e la platea dei beneficiari. Sebbene le espressioni «nullità relativa» e«nullità di protezione» siano generalmente intese come equipollenti (tanto da congiungersi, sovente, nell’endiadi «nullità relativa di protezione»), si potrebbe essere portati a pensare, prima facie, che la prima vada riferita a quelle norme che paiono esaurire il tratto differenziale del regime speciale nella sola compressione del novero dei legittimati (le sole parti deboli, artt. 23 T.u.f. e 117 T.u.b), mentre la seconda -ove l’aggettivazione indubbiamente richiama un più forte indirizzo di politica del diritto, imprimendovi una precisa direttiva funzionale -si adatti meglio all’art. 36, comma 3 del Codice del Consumo, che ne prescrive invece un’esplicita unidirezionalità operativa. nondimeno, una interpretazione condotta «in modo costituzionalmente orientato e coerente con i principi del diritto eurounitario» consente di ricondurre ad unità l’echeggiata disciplina, individuandone il quid proprium nella «vocazione funzionale, ancorché non esclusiva, alla correzione parziale del contratto». Ancora, si è già insistito (73) sulla intima connessione tra ricostruzione della fattispecie negoziale complessa e dinamiche dell’apparato rimediale. Ciò è espressamente ammesso dalla sentenza in commento, che tuttavia persevera nel considerare strutturalmente fisiologica la «conformazione bifasica dell’impegno negoziale». Il cuore della ratio decidendi, deve rinvenirsi nella centralità assunta dal principio di buona fede che, in aperta continuità con gli approdi della sentenza n. 898/2018, viene assunta a criterio guida per «verificare se può configurarsi un esercizio del diritto a far valere, da parte dell'esclusivo legittimato, le nul( 72) Trattandosi di discipline di derivazione europea o -se si preferisce, di «existing european private law» -non appare peregrino avanzare il sospetto che la disarmonia terminologica interna integri null’altro che l’ennesimo capitolo delle annose problematiche della traduzione giuridica. Sul punto, la letteratura è vastissima: inter alia, v. G. AlPA, la responsabilità degli “intermediari” nel diritto comune, nel diritto speciale e nel diritto comunitario, in Corr. merito, 2005, pp. 11 e ss.; ID., Decreto eurosim: la tutela dei consumatori, in società, 1996, pp. 1062 e ss.; r. SACCo, riflessioni di un giurista sulla lingua (la lingua del diritto uniforme, e il diritto al servizio di una lingua uniforme), in riv. crit. dir. priv., 1996, pp. 57 e ss.; G. bEnEDETTI, l’elogio dell’interpretazione traducente nell’orizzonte del diritto europeo, in europa dir. priv., 2010, pp. 413 e ss.; D. MEMMo, la lingua nel diritto. il rischio linguistico nella dichiarazione contrattuale, in Contr. impr., 1985, p. 468; C. CASTronovo, Profili della disciplina nuova delle clausole c.d. vessatorie cioè abusive, in europa dir. priv., 1998, p. 7. (73) supra, par. 3. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 lità di protezione in un modo selettivo». Di più: se dottrina e giurisprudenza (74), non senza qualche voce contraria, pacificamente riconducono le regole di condotta al «nucleo normativo della buona fede» (75), tradizionalmente assunta -nella sua accezione correttiva -ad archetipo delle clausole di governo dell’agire delle parti (76), la Suprema Corte sembra di fatto conferire alla clausola generale il mandato di realizzare una actio finium regundorum dell’intero perimetro disciplinare di tutela dell’investitore. nel delineare il corretto statuto di tale peculiare nullità, il giudice della nomofilachia passa in rassegna le divergenti posizioni della Sezione I, origine del contrasto interpretativo, rappresentate nelle pronunce nn. 6664/2018 e 8395/2016. Il primo orientamento, in sintesi, esaurisce la specialità della nullità de qua nella restrizione del novero dei legittimati, allocandone il quid proprium interamente sul piano pregiudiziale dell’accesso al rimedio. Esperito quest’ultimo, «gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano possono essere fatti valere da entrambe le parti», versandosi nella disciplina classica della ripetizione dell’indebito. la seconda tesi, all’opposto, estende la portata derogatoria dell’istituto sul piano degli effetti, che ne diventano il terreno elettivo, nel senso dell’idoneità degli stessi a prodursi solo a vantaggio del cliente. In negativo, potrebbe dirsi che la più volte evocata intonazione protettiva si pone come elemento ostativo, a livello genetico, della produzione di qualsivoglia conseguenza pregiudizievole, per la parte debole connaturata al ricorso all’invalidità. E ciò, espressamente, «anche ove l’invalidità riguardi l’intero contratto». Ciò, come già si annunciava, si riverbera sensibilmente sulla disciplina della ripetizione dell’indebito, cui è affidata la regolazione delle restituzioni, che “si colora” di accessorietà, per essere «direttamente incisa dallo “statuto” speciale della nullità cui si riferisce». In altri termini, i confini dell’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 2033 e ss. c.c. sono tracciati, da lato dell’intermediario, dalle norme imperative di settore, che verrebbero all’opposto eluse ove si accedesse all’orientamento precedente. le Sezioni Unite non accolgono alcuna delle opzioni di cui sopra, ma ne raccolgono le istanze, nell’elaborazione di una terza via mediana sotto l’egida del principio di buona fede, strumento elettivo per bilanciare l’unilateralità del (74) in apicibus, Cass. Sez. Un., nn. 26724 e 26725 del 2007. (75) M. bArCEllonA, mercato mobiliare e tutela del risparmio. l’intermediazione mobiliare e la responsabilità di banche e Consob, 2009, Giuffré editore, p. 48. l’A., piuttosto critico, ammonisce che: «in realtà, l’ascrizione di questo nuovo genere di norme imperative al nucleo normativo della buona fede risponde solo ad un senso comune che ha fondamento esclusivamente nell’impropria e fuorviante dilatazione cui questa veneranda clausola generale viene sottoposta e che, comunque, ha scarso riscontro nei dispositivi normativi da queste discipline realmente introdotti». (76) A. DI MAjo, la buona fede correttiva di regole contrattuali, in Corriere Giuridico, 2000, p. 1486. ConTEnzIoSo nAzIonAlE rimedio protettivo con l’equilibrio contrattuale effettivo. Ebbene, la lettura in chiave solidaristica della nullità di protezione, sotto la lente della buona fede, non è -com’è ovvio -neutra e, anzi, conduce a risultati tutt’altro che scontati. la menzionata unidirezionalità operativa del rimedio, astrattamente posto ad esclusivo vantaggio dell’investitore, viene in fatti temperata dall’«ambito di operatività trasversale» della clausola generale, che dunque si assume espressamente «non limitata soltanto alla definizione del sistema di protezione del cliente» e non sconfessanti «un obbligo di lealtà dell’investitore». Tuttavia, anche le soluzioni, dottrinali e pretorie, informate al canone della buona fede non si sono poste come univoche, assumendo diverse nuances e rigidità. vale la pena, dunque, darne brevemente conto. Un primo orientamento stigmatizzava fortemente l’uso selettivo delle nullità di protezione, ritenuto abusivo ex se, in quanto percorso da un palese intento opportunistico. ne conseguiva il riconoscimento automatico del ricorso alla exceptio doli generalis (77) in capo all’intermediario, tuttavia con funzione «esclusivamente paralizzante», ergo senza aprire la via alla ripetizione dell’indebito. le criticità di questa tesi sono evidenti: se non è negata l’astratta operatività della nullità di protezione, nella sua unidirezionalità, se ne rifiuta in toto qualsivoglia uso selettivo, con ciò trascurando i principi costituzionali sottostanti alla disciplina (solidarietà, eguaglianza, tutela del risparmio). Un diverso orientamento, meno rigido, ammette la exceptio doli generalis nei solo casi concreti in cui l’uso selettivo del rimedio sia effettivamente avvenuto in malafede, da accertare sulla base di diversi parametri, assumendo i connotati dell’abuso del diritto. In assonanza con le critiche da ultimo avanzate, la salvaguardia della vocazione protettiva della nullità (e della relativa tutela giurisdizionale) osta a un’automatica legittimazione dell’intermediario ad opporre l’exceptio doli. quest’ultima sarà invece invocabile ove il cliente abbia tenuto, in violazione del menzionato obbligo di lealtà, una condotta «soggettivamente connotata da malafede o frode». In altri termini, la trasversalità della clausola di buona fede impone all’investitore un autocontrollo del proprio agire e non consente che il regime protettivo si risolva in sostanziale irresponsabilità. Il dissenso delle Sezioni Unite, qui, si incentra sulla considerazione della buona fede in senso soggettivo, negando peso alla «oggettiva determinazione di un ingiustificato e sproporzionato sacrificio di una sola controparte contrattuale». Inoltre, non può ritenersi abusivo l’impiego di uno strumento imperativo di tutela sol perché diretto a conseguire un vantaggio economico, essendo piuttosto (77) Cosa debba precisamente intendersi per «dolo generale» è chiarito dalla ordinanza n. 23927 del 2018: si tratta dello «strumento volto ad ottenere la disapplicazione delle norme positive nei casi in cui la rigorosa applicazione delle stesse risulterebbe -in ragione di una condotta abusiva -sostanzialmente iniqua». rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 necessaria una incoerenza tra il fine legale e quello concretamente perseguito dal cliente, ovvero una sproporzione inaccettabile, sul piano delle conseguenze giuridiche. Mantenendo fermo l’impiego del principio di buona fede quale criterio direttivo, le Sezioni Unite risolvono la questione di legittimità muovendo da un secco rifiuto della declinazione della clausola de qua sia come exceptio doli generalis sia come abuso del diritto. la conclusione del Supremo Collegio, quindi, individua alcuni punti fermi, assunti a premessa delle statuizioni. in primis, giova rimarcarlo, i giudici confermano la doppia anima dell’istanza protettiva, comprensiva della legittimazione esclusiva, sul piano processuale, e dell’operatività ad esclusivo vantaggio dell’investitore, sul piano sostanziale. Da ciò, ne viene derivato il corollario che una radicale disapprovazione dell’impiego selettivo della nullità contrasta con le rationes della disciplina di settore precisamente in quanto implica una inaccettabile «equivalenza (…) tra uso selettivo delle nullità e violazione del canone di buona fede». Il vero nodo interpretativo risiede però nell’individuazione di un parametro univoco e coerente di modulazione dell’impiego del canone della buona fede nelle fattispecie concrete. A tal fine, rifiutati gli indicatori soggettivi, si prescrive un esame olistico degli investimenti effettuati, procedendo poi alla comparazione tra le operazioni colpite dall’azione di nullità -beninteso, per vizio di forma del master agreement -e quelle non aggredite. Più precisamente, il metodo per saggiare la coerenza dell’uso selettivo della nullità con la ratio protettiva della disciplina consiste in null’altro che in un calcolo algebrico: se, sottratti gli investimenti “salvati” a quelli “colpiti”, il risultato è di segno negativo per il cliente, nel senso della permanenza in capo a quest’ultimo di un pregiudizio patrimoniale, l’azione è pienamente ammissibile. In caso contrario, è riconosciuta all’intermediario una eccezione di buona fede (78), «al solo effetto di paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati» e al precipuo «fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all’intermediario stesso». Si ritiene di dover concludere con un ultimo chiarimento. Il paragrafo 22.3 della sentenza, vieppiù in raffronto al quadro sinottico tracciato nel successivo (par. 23), ma anche singolarmente preso, può rivelarsi fuorviante. Si consideri il seguente passo: «Può accertarsi che gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum. in tale ipotesi, può essere opposta (…) l’eccezione di buona fede». Ad una prima lettura, potrebbe intendersi l’ipotesi de qua non solo, come (78) Che la pronuncia chiarisce non potersi tecnicamente qualificare come eccezione tout court, «non agendo sui fatti costitutivi dell'azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti». ConTEnzIoSo nAzIonAlE supra accennato, come condizione di esperibilità del rimedio in modo selettivo ma pure -sul versante opposto -come condizione di opponibilità dell’eccezione di buona fede. In realtà, è presto chiarito dalle Sezioni Unite che la predetta eccezione è sempre disponibile per l’intermediario, mentre a variarne è la portata “paralizzante”: nel caso in cui i rendimenti degli investimenti relativi a ordini non aggrediti sia superiore a quelli oggetto di nullità selettiva, la neutralizzazione è totale; nell’ipotesi opposta, è limitata al «vantaggio ingiustificato conseguito ». In altre parole, la latitudine operativa della nullità in questione è circoscritta «entro il limite del pregiudizio per l’investitore accertato in giudizio », determinato all’esito di una valutazione olistica delle operazioni effettuate nel contesto del singolo master agreement; oltre, interviene la clausola di buona fede, in chiave correttivo-riequilibratrice, consegnando all’intermediario una eccezione dalla incisività variabile (nel senso supra illustrato). 5. limiti e fisiologiche insufficienze dell’arresto. Si è già parlato della necessità di contestualizzare la portata effettiva della sentenza in commento, collocandola nell’iter diacronico delle conquiste giurisprudenziali in subiecta materia. Un limite fisiologico (79) deriva propriamente dalla fattispecie concreta all’origine dell’intervento nomofilattico: un’ipotesi di nullità testuale del contratto di cui all’art. 23 T.u.f. per vizio di forma prescritta ad substantiam actum. Come la dottrina non ha mancato di osservare, tale circostanza, in una con l’avallo del contratto “monofirma”, confina il valore di precedente dell’arresto in commento in una dimensione assolutamente interstiziale, quella dei «contratti non sottoscritti dal cliente o con sottoscrizione non autentica o mai stipulati» (80). È solo in questi ristretti limiti che va collocandosi il pur commendevole completamento dello “statuto normativo” delle nullità di protezione, pur nella piena consapevolezza del ruolo del master agreement come sedes elettiva di traduzione degli obblighi informativi in effettivi strumenti di tutela. 6. Considerazioni conclusive: electa una via, non datur recursus ad alteram. Una diversa (e forse minore) intonazione protettiva delle tutele, tra opacità ricostruttive ed equivoci di fondo. volendo tirar le fila del discorso, in via di conclusione, si ritiene di concentrarsi su due punti. (79) n. IrTI, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Calcolabilità giuridica, a cura di A. CArlEo, bologna, 2017, p. 24. (80) D. MAffEIS, Nullità selettive: la "particolare importanza" di selezionare i rimedi calcolando i probabili vantaggi e il processo civile come contesa fra opportunisti, in Corriere Giur., 2019, p. 173, ove l’A. usa un’espressione di straordinaria efficacia, sostenendo che si stia «frustando un cavallo morto, o moribondo»; ancor più severo pare C. SCoGnAMIGlIo, le sezioni unite e le nullità selettive: un nuovo spazio di operatività per la clausola generale di buona fede, in Corriere Giur., 2020, pp. 5 e ss. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 In prima istanza, deve darsi conto dell’avvenuto giusto temperamento, in subiecta materia, del rigore disciplinare della restitutio in integrum, in uno nondimeno -col fatale disvelamento del «deficit di deterrenza che si annida in un diritto comune delle restituzioni». Pur condividendosi, sul piano teorico, il redress settoriale del regime della ripetizione dell’indebito, vien tuttavia da chiedersi quanto questo possa tradursi, a valle, in un consistente risultato di giustizia. Il contenimento del ricorso alla clausola generale di buona fede, in una dimensione esclusivamente paralizzante, ha certamente evitato agli investitori l’inconveniente di vedersi tradotto il diritto dell’intermediario alla ripetizione in un loro «obbligo di dover restituire la differenza residua a debito», ove il volume dei rendimenti (delle operazioni nascenti dal contratto quadro) avesse superato le passività (81). Sul piano delle ricadute pratiche, si tratta, tuttavia, di un salvavita destinato ai soli clienti che avessero incontrato resistenze pretorie all’uso selettivo della nullità conformativa -eventualità scongiurata per il futuro proprio dal decisum in commento. Codesto primo rilievo, al netto di quanto si dirà a breve, è sufficiente per testimoniare l’insufficienza del ricorso, in via suppletiva, alle categorie civilistiche di diritto comune, per rimediare alle carenze della menzionata atrofia normativa di settore. Giova rammentare, peraltro, che elementi di deterrence non sono estranei al diritto dei consumatori, di cui sovente si paventa l’ultrattività nell’intero universo del «contratto con asimmetria di potere contrattuale » (82): come acutamente segnalato dalla migliore dottrina (83), l’art. 7, par. 1 della direttiva 93/13/CEE disvela un obiettivo dissuasivo di lungo periodo, imponendo agli Stati membri di «fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» (84). In seconda battuta, le considerazioni muovono dal rilievo preliminare che, con l’arresto delle Sezioni Unite, la clausola di buona fede conquista nuove aree delle invalidità negoziali. A riguardo, può avanzarsi il timore che il “prezzo” dell’uniformità interpretativa raggiunta con riferimento alla nullità di protezione sia in realtà quello di una deminutio di tutela, per l’investitore. vien da chiedersi, infatti, se le già illustrate critiche a una dilazione eccessiva del principio in questione, con ri (81) S. PAGlIAnTInI, op. cit. Diffusamente, ID., la nullità selettiva quale epifania di una deroga all'integralità delle restituzioni: l'investitore è come il contraente incapace?, in Persona e mercato, 2019, pp. 123 e ss. (82) S. MAzzAMUTo, op. cit., p. 183; v. roPPo, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in riv. dir. priv., 2007, pp. 669 e ss. (83) G. AlPA, Diritto Privato europeo, 2016, Giuffré editore, p. 266. (84) Proprio la citata disposizione è stata invocata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per impedire alle corti nazionali di rimodellare il contenuto delle clausole abusive, invece di dichiararne l’espunzione dal regolamento contrattuale: Corte Giust. UE, Prima sezione, 14 giugno 2012, causa banco español de Crédito (C-618/10). ConTEnzIoSo nAzIonAlE ferimento alle discipline preventive (conduct of business rules) (85), possano valere altresì per il corredo rimediale. In altri termini, ci si può domandare se la declinazione solidaristica di un principio informativo di vicende di rapporto giuridico obbligatorio tra parti astrattamente paritetiche -e che si traduce in invalidità che intervengono in ipotesi di asimmetrie patologiche (ci si riferisce all’annullabilità del contratto per errore o per dolo (86)) -sia pienamente trasferibile nell’universo del contratto asimmetrico. Al di là di ciò, anche a voler condividere siffatto impiego del canone della buona fede, essa si insinua nel terreno della nullità in maniera inadeguata, innalzando cioè lo sgradito vessillo di una «impropria» compensatio lucri cum damno, con ciò consegnando portata dirimente all’«inappagante pragmatismo » (87) della c.d. teoria differenziale (88), nell’intento realizzativo di una crasi tra tutela caducatoria e tutela restitutoria (89). Se così è, ben si comprende la reazione di quei commentatori che hanno auspicato un “ritorno” alle statuizioni delle più volte citate sentenze “rordorf” del 2007, che negavano cittadinanza alla nullità e, a fortiori, delle restituzioni per imprimere il dominio in subiecta materia della risoluzione e del risarcimento del danno (90). questo, vieppiù, ove si abbia cura di notare che, nel caso di specie, il vulnus è di fatto allocato in un classico deficit informativo causato dall’intermediario, con riferimento a taluni ordini: la mancata firma del master agreement da parte dell’investitore ha perciò rappresentato un mero espediente per deviare la strategia difensiva sul più agile terreno dei difetti strutturali, aggredendo la forma piuttosto che la costanza del rapporto. Ciò testimonia la perdurante propensione dei clienti a ricorrere, ove possibile, al rimedio demolitorio, evidentemente più confacente alle di loro esigenze, al netto delle agevolazioni probatorie di cui all’art. 23, comma 6 T.u.f. Sulla scorta di quanto illustrato, può quindi concludersi avanzando l’opportunità di promuovere una più appagante propagazione della clausola generale di buona fede nel terreno delle invalidità negoziali, ricusando definitivamente il tralatizio principio di non interferenza tra regole di condotta (85) supra, nt. 79. (86) G. D’AMICo, regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in rivista di diritto civile, 2002, p. 45; A. jAnnArEllI, la disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in n. lIPArI (a cura di), Diritto privato europeo, II, 1997, pp. 509, 510. (87) C. SCoGnAMIGlIo, le sezioni Unite e le nullità selettive tra statuto normativo delle nullità di protezione ed eccezione di buona fede, in Nuova giur. civ. comm., 2020, pp. 176 e ss. (88) S. MonTICEllI, la nullità selettiva secondo il canone delle sezioni unite: un responso fuori partitura, in Nuova giur. civ. comm., 2020, pp. 163 e ss. (89) S. PAGlIAnTInI, op. cit. (90) M. GIrolAMI, l'uso selettivo della nullità di protezione: un falso problema?, in Nuova giur. civ. comm., 2020, pp. 154 e ss. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 e regole di validità e ammettendo che le conclamate violazioni, da parte degli intermediari, delle discipline preventive possano condurre alla -più canonica -nullità virtuale del contratto per contrarietà a norme imperativa di cui all’art. 1418, comma 1 c.c., eventualmente accompagnata dal rimedio risarcitorio. E ciò dando conto delle ormai diffusamente segnalate «parziali interferenze e commistioni tra i due campi di regole» (91) e, beninteso, previa qualificazione degli ordini di investimento come autonome fattispecie negoziali, aggredibili individualmente senza il necessario tramite del master agreement, onde evitare una ritrosia del livello di tutela finora conquistato. Interverrebbe in soccorso quella dottrina secondo cui un’osmosi tra regole di condotta e regole di validità (che invece si vorrebbero stagne) sarebbe rinvenibile nello stesso codice civile, agli artt. 1338 e 1431, essendo i criteri di verificazione della conoscibilità della causa di invalidità i medesimi che informano il giudizio di riconoscibilità dell’errore. Inoltre, torna in soccorso la disciplina delle clausole abusive (art. 33 Cod. Cons.), secondo alcuni realizzativa di un «trascinamento del principio di buona fede», la quale assurge, in qualità di metro dell’agere privatistico, a criterio «per predicare la vessatorietà (…) sul terreno del giudizio di validità del contratto» (92). In sostanza, delle due l’una: o si ritiene che la disciplina di settore sia informata al canone della buona fede, e allora a quest’ultimo deve consentirsi l’ingresso nei rimedi caducatori nei termini supra descritti; oppure si sostiene che essa sia innervata da logiche altre, ammettendo giocoforza l’incompatibilità del carattere trasversale del principio de quo con l’unidirezionalità della tutela della parte contrattualmente debole. Cassazione civile, Sezione Unite, sentenza 4 novembre 2019 n. 28314 -Primo Pres. f.f. G. Mammone, rel. M. Acierno -r.f. (avv.ti A. Antonucci e r. vassalle) c. bAnCA AnTonIAnA vEnETA S.P.A. (ora bAnCA MonTE DEI PASChI DI SIEnA S.P.A.). fATTI DI CAUSA 1. Il Tribunale di Mantova ha accolto la domanda proposta da r.f., volta a far dichiarare la nullità di due contratti d'investimento in obbligazioni argentine stipulati il 4 maggio 1999 e il 26 agosto 1999 con condanna della intermediaria banca Antoniana Popolare veneta alle restituzioni dovute in relazione a tali investimenti. la nullità degli ordini di acquisto era derivata dal difetto di forma scritta del contratto quadro stipulato tra le parti del giudizio. Il Tribunale, (91) v. roPPo, la tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento, in f. GAlGAno, G. vISInTInI, trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, XlIII, 2006, CEDAM, pp. 133 e ss. (92) ID., il contratto del 2000, II ed., 2005, Giappichelli, pp. 47-51; f. GrECo, verso la contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale, in rassegna di diritto civile, 2007, pp. 1148, 1149. ConTEnzIoSo nAzIonAlE peraltro, ha accolto anche la domanda riconvenzionale proposta dalla banca convenuta, avente ad oggetto la restituzione di cedole riscosse in forza di operazioni in esecuzione del contratto quadro ritenuto affetto da radicale nullità. All'esito dell'operata compensazione l'investitore è stato condannato al pagamento della differenza residua a debito. 2. la Corte d'Appello, investita dell'impugnazione dal r., in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha affermato, in primo luogo che sussiste il difetto di legittimazione dell'appellante r. in relazione all'ordine del 4/5/99 relativo a 35000 obbligazioni Argentina-08 Tr% DEM del controvalore di 35.840.668, formulato dalla madre dell'appellante dal momento che la stessa ha agito in nome proprio e non in rappresentanza del figlio. Al riguardo è stata esclusa la prova della "contemplatio domini" con la conseguenza che unica obbligata verso l'intermediaria deve ritenersi la mandataria senza rappresentanza. Il mandante non ha il potere in questa ipotesi di esercitare azioni contrattuali quali quella di risoluzione del contratto che rimangono in capo al mandatario. Deve escludersi anche che vi sia stata una ratifica valida desumibile dallo "attestato di eseguito" proveniente dalla banca che trova giustificazione per l'esclusiva titolarità del c/c in capo all'appellante. 2.1. nel merito, è vero che la nullità D.lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, comma 3, può essere fatta valere soltanto dal cliente, ma una volta dichiarata, si ripercuote su tutte le operazioni eseguite in attuazione dell'atto negoziale viziato. la nullità di protezione non determina anche il potere dell'investitore di limitazione degli effetti della nullità soltanto ad alcuni degli ordini secondo la sua scelta. l'invalidità si espande sull'intero rapporto ed investe tutti gli ordini di acquisto. Pertanto, in forza, della normativa in materia d'indebito, il cliente è tenuto a restituire alla banca i titoli acquistati, le cedole riscosse ed ogni altra utilità, così come la intermediaria è tenuta a restituire alla banca l'importo erogato per l'acquisto dei titoli. Tuttavia, nella specie la Corte ha escluso che fosse stata proposta una domanda riconvenzionale di restituzione, ritenendo validamente introdotta in giudizio esclusivamente un'eccezione di compensazione, idonea, di conseguenza, esclusivamente a paralizzare la domanda restitutoria dell'attore. 2.2. È stato inoltre precisato che alla soluzione adottata non è di ostacolo il fatto che la banca abbia acquistato titoli da un collocatore terzo. Il venire meno del mandato ha mantenuto in capo all'intermediario la proprietà dei titoli acquistati sul mercato dal momento che la nullità del contratto di negoziazione non incide sull'acquisto tra la banca ed il terzo ma solo sull'effetto di cui all'art. 1706 c.c. del ritrasferimento automatico al mandante. le cedole, sebbene erogate da un soggetto terzo, (nella specie lo Stato emittente) in virtù della nullità del contratto quadro originario, rimangono di proprietà della banca, non essendosi perfezionato l'acquisto dei titoli nella sfera giuridica del cliente. 2.3. È stata dichiarata inammissibile perchè proposta per la prima volta in appello la domanda del r., volta ad ottenere il danno da mancata rendita riguardante sia gli utili e i dividendi sulle cedole la cui restituzione era stata disposta dal Tribunale, sia quelli maturandi nel periodo successivo all'incasso dell'ultima cedola. 2.4. È stata confermata la statuizione del Tribunale riguardante la decorrenza degli interessi dovuti all'investitore con decorrenza dalla domanda, non essendovi prova della malafede della intermediaria. l'indebito sorge dalla mancata sottoscrizione del contratto quadro da parte della banca, nella copia dimessa in causa (non oggetto d'impugnazione) e tale mancanza non può che ritenersi frutto di mero errore. 3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione r.f. affidato a sei motivi. non ha svolto difese la parte intimata. la parte ricorrente ha depositato memoria. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 4. la prima sezione civile ha rimesso alle S.U. di questa Corte la questione sollevata nel secondo motivo di ricorso relativa all'esatta determinazione degli effetti e delle conseguenze giuridiche dell'azione di nullità proposta dal cliente in relazione a specifici ordini di acquisto di titoli che derivi, tuttavia, dall'accertamento del difetto di forma del contratto quadro. Il punto controverso riguarda l'estensione degli effetti della dichiarazione di nullità anche alle operazioni che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente ed, eventualmente, i limiti di tale estensione. rAGIonI DEllA DECISIonE 5. nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 1292, 1388, 1704 e 1705 c.c. e art. 61 reg. Consob n. 11522 del 1998 in relazione alla ritenuta carenza di legittimazione attiva del ricorrente in relazione all'operazione del 4/5/99. Afferma il ricorrente che il contratto d'intermediazione e quello di conto corrente erano cointestati a lui ed a sua madre. Ciascuno di essi, secondo quanto stabilito nel contratto poteva impartire ordini di acquisto titoli. Da ciò conseguiva che essi, anche singolarmente, agivano anche in rappresentanza dell'altro cointestatario ed avevano entrambi legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei propri investimenti. Inoltre l'attestato di eseguito recava l'espressa dizione "vi informiamo di avere eseguito (...) la seguente operazione da voi disposta". Secondo quanto stabilito nell'art. 61 reg. Consob tale informazione viene fornita all'investitore e non ad altri. Doveva pertanto trovare applicazione l'art. 1704 c.c. in relazione alla ratifica e non l'art. 1705 c.c. oltre che l'art. 1399 c.c. Infine, anche applicando l'art. 1705 c.c. il credito derivante dall'azione di nullità poteva essere esercitato dal mandante. 6. nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 23 T.U.f. in relazione all'accoglimento dell'eccezione riconvenzionale di compensazione formulata dalla intermediaria. In primo luogo il ricorrente rileva che l'accertamento della nullità dell'intero contratto quadro è stata richiesta in via meramente incidentale e strumentale alla declaratoria di nullità dei due ordini sopra identificati. Tale limitazione risulta legittima in quanto gli ordini hanno una propria autonoma valenza negoziale che postula la formazione di un consenso ad hoc per la loro esecuzione mediante la prestazione dell'intermediario. Al riguardo non può pretendersi, in violazione patente dell'art. 100 c.p.c., che l'investitore debba denunziare la nullità di operazioni, eseguite in perfetta buona fede e che hanno comportato un utile, con ciò aggravando il danno già subito. ove l'investitore dovesse scegliere tra il far valere la nullità dell'intero rapporto o subire, per evitare un maggior danno, la violazione dell'intermediario, ciò farebbe venire meno il carattere protettivo della nullità ed anche la funzione di tutelare l'integrità e la correttezza del mercato. 7. nel terzo motivo viene dedotto il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, per essere stata accertata con valore di giudicato la nullità del contratto quadro laddove ne era stato chiesto l'accertamento soltanto incidenter tantum. 8. nel quarto motivo viene dedotta la violazione del D.lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 2 bis, per l'erronea affermazione contenuta nella sentenza impugnata riguardante la asserita non contestazione dell'entità delle cedole incassate dalla intermediaria in relazione agli ordini di acquisti scaturenti dal contratto quadro nullo. I documenti da cui si desume il fatto non contestato sono gli estratti conto prodotti dalla banca che riportano genericamente accrediti ed addebiti senza alcuna distinzione tra le operazioni disposte dai singoli cointestatari o cedole o dividendi provenienti da operazioni diverse. Il ricorrente, peraltro, riportando ampi stralci del quarto motivo d'appello, precisa di aver contestato anche in relazione alla legittimazione ConTEnzIoSo nAzIonAlE attiva della banca la riconduzione dell'importo complessivo a titolo di cedole nel rapporto giustificato dal contratto quadro. l'effetto probante della non contestazione non può prodursi se è necessario che i fatti accertati siano integrati da ulteriori prove e se abbia ad oggetto solo fatti secondari. l'applicazione illegittima del principio di non contestazione ha determinato nella specie l'alterazione della regola di giudizio fissata nell'art. 2697 c.c. 9. nel quinto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 820, 1148 e 2033 c.c. in relazione al dedotto obbligo dell'investitore di restituire le cedole riscosse in buona fede nel corso del rapporto. Il ricorrente aveva già prospettato il rilievo in questione precisando che le cedole nella specie erano state pagate dagli emittenti dei titoli e non dalla banca con la conseguenza che la stessa difettava di legittimazione. l'affermazione, secondo la quale, con la declaratoria di nullità i titoli restavano di proprietà della banca non faceva venire meno la conseguenza che il pagamento delle cedole era stato effettuato in buona fede al soggetto che in virtù del possesso del titolo figurava esserne il proprietario. le norme sopra indicate stabiliscono il principio secondo il quale il possesso di buona fede fa sì che i frutti riscossi siano dovuti solo dal giorno della domanda e non dal momento della loro materializzazione. Il giudice d'appello ha errato nel dare rilievo invece che al possesso di buona fede alla titolarità delle obbligazioni. Essendo stata esclusa la malafede della banca doveva a maggior ragione essere esclusa la malafede del cliente. la corte d'Appello ha erroneamente ritenuto la banca legittimata alla ripetizione di indebito oggettivo. 10. nel sesto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1147, 1338 e 2033 c.c. nonchè del D.lgs. n. 59 del 1998, art. 23 in relazione al rigetto della domanda attorea di pagamento degli interessi sulla somma investita dalla data degli investimenti anzichè dalla domanda. Il difetto di sottoscrizione del contratto quadro da parte della banca porta a ritenere accertato che la stessa fosse a conoscenza dell'invalidità dello stesso e degli ordini relativi ai titoli argentini con la conseguenza dell'indebito originario in relazione ai pagamenti per i loro acquisti. l'obbligo di forma è posto ad esclusiva tutela del cliente e costituisce il primo livello di tutela del- l'asimmetria informativa. ne consegue la presunzione di consapevolezza della banca che a colmare tale squilibrio è tenuta. 11. la questione di cui sono state investite le Sezioni Unite è affrontata nel secondo motivo di ricorso. Il contrasto che si è determinato all'interno della prima sezione riguarda, come già rilevato, la legittimità della limitazione degli effetti derivanti dall'accertamento della nullità del contratto quadro ai soli ordini oggetto della domanda proposta dall'investitore, contrapponendosi a tale impostazione, quella, ad essa alternativa, che si fonda sull'estensione degli effetti di tale dichiarazione di nullità anche alle operazioni di acquisto che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente, con le conseguenze compensative e restitutorie che ne possono derivare ove trovino ingresso nel processo come eccezioni o domande riconvenzionali. 12. Prima di esaminare il secondo motivo di ricorso è necessario affrontare il terzo motivo relativo al vizio di ultrapetizione, nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'accertamento della nullità del contratto quadro avesse valore di giudicato. Al riguardo deve osservarsi che la parte ricorrente ha affermato che l'accertamento della nullità del contratto quadro era stata richiesta soltanto "incidenter tantum", ed esclusivamente al fine di far valere l'invalidità degli ordini di acquisto indicati nella domanda. Secondo questa prospettazione, l'eccezione di compensazione, accolta dalla Corte d'Appello, è viziata da extra- petizione perchè fondata sull'accertamento con valore di giudicato, della nullità del contratto quadro, e sulla conseguente invalidità di tutti gli ordini di acquisto con efficacia ex tunc. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 13. la censura non è fondata. In primo luogo deve rilevarsi che l'accertamento "incidenter tantum" può riguardare soltanto un rapporto diverso da quello dedotto in giudizio che si ponga come mero antecedente logico della decisione da adottare. la giurisprudenza di legittimità ha individuato le caratteristiche distintive di tale accertamento, ad efficacia esclusivamente endoprocessuale, rispetto a quello con valore di giudicato, attraverso gli orientamenti relativi al regolamento di competenza sui provvedimenti di sospensione del processo, la cui legittimità è stata limitata agli accertamenti giurisdizionali che si pongano in relazione di pregiudizialità tecnica o giuridica con quello o quelli inerenti il processo sospeso. Alla luce dei principi indicati, l'accertamento ha valore di giudicato quando riguarda un presupposto giuridico eziologicamente collegato con la domanda tanto da costituirne premessa ineludibile. Ulteriore caratteristica distintiva è l'attitudine ad avere rilievo autonomo ed efficacia che può propagarsi oltre il perimetro endoprocessuale. (Cass.14578 del 2005, nella quale è stato escluso che l'accertamento della proprietà di un muro in una causa di risarcimento dei danni dovuta al suo crollo potesse essere idonea alla formazione giudicato, trattandosi di rapporto diverso da quello dedotto in giudizio e 16995 del 2007). nella fattispecie dedotta nel presente giudizio l'accertamento della nullità del contratto quadro costituisce il presupposto non solo logico ma tecnico-giuridico della domanda oltre ad essere stato posto a base da parte dell'intermediario, dell'eccezione riconvenzionale di compensazione. 13.1 l'attitudine al giudicato dell'accertamento relativo alla nullità del contratto quadro e la conseguente infondatezza della censura prospettata nel terzo motivo, non esclude, tuttavia, la necessità di affrontare la correlata questione, relativa alla legittimazione ad agire dell'intermediario, in via di azione o di eccezione, al fine di far valere gli effetti della nullità del contratto quadro anche in relazione ad ordini di acquisto diversi di quelli indicati nella domanda. Tale profilo costituisce parte integrante della censura formulata nel secondo motivo e della questione sottoposto all'esame delle Sezioni Unite, dovendo essere affrontata alla luce del peculiare regime delle nullità di protezione, all'interno delle quali si colloca, incontestatamente, la nullità per difetto di forma del contratto quadro, stabilita nell'art. 23 del t.u. n. 58 del 1998. 14. l'esame del secondo motivo richiede una precisazione preliminare. nel giudizio di merito si è formato il giudicato sulla nullità del contratto quadro per difetto di forma, nonostante emerga dal ricorso (pag. 8), e dalla sentenza impugnata (pag. 7 in fine) che il predetto contratto (quello del 25/8/98) sia stato sottoscritto dagli investitori (il ricorrente e sua madre). l'esistenza di un testo completo e sottoscritto da uno dei contraenti, ancorchè costituisca circostanza irrilevante, in relazione all'accertamento della nullità, perchè coperta da giudicato, non può essere del tutto ignorata, in relazione alla valutazione della legittimità delle diverse forme di tutela dell'intermediario determinate dall'uso selettivo delle nullità di protezione. 14.1 in particolare, deve escludersi l'applicabilità, nel caso di specie, dei principi contenuti nell'ordinanza della prima sezione civile, n. 10116 del 2018, secondo i quali l'intermediario non può legittimamente opporsi ad un'azione fondata sull'uso selettivo della nullità ex art. 23 T.U.f. quando un contratto quadro manchi del tutto, nè attraverso l'exceptio doli (di cui si tratterà nei par. 18,19,20) nè, in ragione della protrazione nel tempo del rapporto, per effetto della sopravvenuta sanatoria del negozio nullo per rinuncia a valersi della nullità o per convalida di esso, l'una e l'altra essendo prospettabili solo in relazione ad un contratto quadro formalmente esistente. 15. Si ritiene necessaria, in primo luogo, la ricognizione del quadro legislativo delle nullità di protezione non limitando l'esame soltanto alle norme del T.U.f ratione temporis applicabili, ConTEnzIoSo nAzIonAlE ma estendendo l'indagine ad aree contigue, in modo da avere un prospetto comparativo della peculiarità del regime giuridico di tale tipologia di nullità. 15.1 Al rapporto dedotto in giudizio si applica il D.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 nella sua formulazione originaria. Il testo normativo è, infatti, entrato in vigore il 1/7/1998 ed il contratto quadro è stato stipulato nell'agosto del 1998. Gli ordini di cui si chiede la dichiarazione di nullità sono stati emessi nel 1999. Il testo normativo ratione temporis applicabile è il seguente: 1. i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. la CoNsob, sentita la banca d'italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo. 2. È nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. in tal casi nulla è dovuto. 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente. Il comma 3 non è mutato nella versione della norma attualmente vigente. Analogo sistema di tutela del cliente si rinviene nel D.lgs. n. 385 del 1993 (d'ora in avanti denominato T.U. bancario), sia in relazione alla previsione della nullità del contratto per difetto di forma (art. 117, commi 1 e 3, rimasti immutati), sia in relazione all'applicazione delle nullità di protezione disciplinate nell'art. 127, così formulato: "1. le disposizioni del presente titolo sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente. 2. le nullità previste dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente". Con la modifica introdotta dal D.lgs. n. 141 del 2010, art. 4, comma 3, l'attuale formulazione dell'art. 127, comma 4, si è conformata al regime giuridico del Codice del Consumo (D.lgs. n. 206 del 2005) ed è la seguente: "le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d'ufficio dal giudice". Deve, infatti rilevarsi, che le nullità di protezione sono state introdotte nel codice civile in relazione all'inefficacia delle clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori. Al riguardo nell'art. 1469 quinquies c.c., ratione temporis applicabile, è stato previsto che "l'inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice". Con l'introduzione del Codice del Consumo (D.lgs. n. 206 del 2005), e l'abrogazione delle norme codicistiche in tema di clausole vessatorie, l'art. 36, comma 3, ha esteso la tutela prevista per le clausole vessatorie alla nullità, stabilendo che: "la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice". 15.2. Il confronto tra le norme sopra illustrate pone in luce come, pur in presenza di differenze testuali non prive di rilievo, il tratto unificante del regime giuridico delle nullità di protezione sia la legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio. le conseguenze sostanziali di questo regime peculiare di legittimazione sono espresse nella regola normativa: "la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice", che, tuttavia, non è testualmente riprodotta nell'art. 23 T.U.f. Al riguardo deve osservarsi che il rilievo officioso delle nullità di protezione deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le tipologie di contratti nei quali è previsto in favore del cliente tale regime di protezione in considerazione dei principi stabiliti nella sentenza delle S.U. n. 26642 del 2014 così massimati: "la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una "species" del più ampio "genus" rappresentato rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali -quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) -che trascendono quelli del singolo", (cfr. anche la più recente Cass. 26614 del 2018, nella quale si precisa che il rilievo d'ufficio è, tuttavia, subordinato ad una manifestazione d'interesse del legittimato). Il testo, immutato, dell'art. 23, comma 3, deve, pertanto, essere interpretato in modo costituzionalmente orientato e coerentemente con i principi del diritto eurounitario, così da non escluderne nè il rilievo d'ufficio nè l'operatività a vantaggio esclusivo del cliente. Deve, tuttavia, rilevarsi che la configurazione normativa e l'elaborazione giurisprudenziale relativa alle nullità di protezione ne evidenziano la vocazione funzionale, ancorchè non esclusiva, alla correzione parziale del contratto, limitatamente alle parti che pregiudicano la parte contraente che in via esclusiva può farle valere. Tale carattere è stato largamente sottolineato dalla dottrina che più autorevolmente si è occupata della loro collocazione nel sistema dei rimedi e delle disfunzioni del contratto. l'originaria destinazione all'eliminazione delle clausole inefficaci ne sottolinea tale profilo ed evidenzia le difficoltà di adattamento dello strumento in relazione alla produzione dell'effetto dell'invalidità dell'intero contratto. questo ampliamento dell'ambito di applicazione delle nullità di protezione costituisce il nucleo problematico della questione sottoposta all'esame delle S.U. Può, infatti, rilevarsi che l'incidenza diretta sui requisiti di forma ad substantiam è prevista in particolare per i contratti bancari e per i contratti d'investimento. Per questi ultimi si pone in concreto l'interrogativo della legittimità e liceità dello strumento delle nullità cd. selettive. È la conformazione bifasica dell'impegno negoziale assunto dalle parti a determinare l'insorgenza delle criticità applicative del regime delle nullità di protezione. Il contratto quadro ha una funzione conformativa e normativa. Deve a pena d'invalidità, essere redatto per iscritto, contenendo la definizione specifica della tipologia d'investimenti da eseguire, il range di rischio coerente con il profilo del cliente e la determinazione degli obblighi che l'intermediario è tenuto ad adempiere (Cass. 12937 del 2017). Il suo perfezionamento, tuttavia, costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perchè si realizzino tutti gli effetti scaturenti dal vincolo negoziale assunto dalle parti. Ad esso deve seguire l'effettuazione degli investimenti finanziari, attraverso l'esecuzione degli ordini di acquisto da parte dell'intermediario. nonostante l'impegno economico per il cliente si determini con la trasmissione degli ordini, la forma scritta, in linea generale, è imposta soltanto per il contratto quadro, salvo diversa disposizione contrattuale voluta dalle parti, perchè in questo testo negoziale si cristallizzano gli obblighi dell'intermediario che il legislatore ha inteso rendere trasparenti, in primo luogo, con la predisposizione di un regolamento scritto. Tale obbligo, come specificato nella recente sentenza delle S.U. n. 898 del 2018 ha natura e contenuto funzionali e costituisce il primo, (ma non l'unico) ineliminabile strumento di superamento dello squilibrio contrattuale e dell'asimmetria informativa delle parti. l'obbligo della forma scritta, nell'impostazione funzionale prescelta dalle S.U., deve ritenersi assolto anche se il contratto quadro è sottoscritto soltanto dall'investitore, essendo destinato alla protezione effettiva del cliente senza tuttavia legittimare l'esercizio dell'azione di nullità in forma abusiva, in modo da trarne ingiusti vantaggi. Deve, pertanto, rilevarsi, come già nella sentenza delle S.U. n. 898 del 2018, siano state adombrate le criticità applicative che possono derivare dall'adozione del regime giuridico delle nullità di protezione per forme d'invalidità che colpiscano l'intero testo contrattuale. l'opzione, fortemente funzionalistica, adottata dalle S.U. nella conformazione dell'obbligo della forma scritta, contenuto nell'art. 23 T.U. n. 58 del 1998, è determinata dall'esigenza di non trascurare l'appli ConTEnzIoSo nAzIonAlE cazione dei principi di buona fede e correttezza anche nell'esercizio dei diritti in sede giurisdizionale. nell'affrontare il quesito posto dall'ordinanza di rimessione, il Collegio ritiene di dover dare continuità al richiamo contenuto nei principi elaborati nella sentenza n. 898 del 2018, al fine di verificare se può configurarsi un esercizio del diritto a far valere, da parte dell'esclusivo legittimato, le nullità di protezione in un modo selettivo o se tale esercizio possa ed in quali limiti qualificarsi abusivo o contrario al canone, costituzionalmente fondato, della buona fede. 15.3. Per poter svolgere l'indagine sopra delineata occorre in primo luogo definire l'ambito effettivo della deroga ai principi generali riguardanti il regime d'invalidità dei contratti desumibile dal peculiare regime giuridico delle nullità protettive. Sarà necessario, inoltre, verificare se possa configurarsi una disciplina generale comune a tutte le nullità di protezione, salvo differenze di dettaglio ove previste da una normativa specifica di settore o se vi sia la coesistenza di differenziate forme di nullità di protezione, ciascuna dotata di un proprio statuto giuridico autonomo eventualmente anche in relazione all'esercizio selettivo dell'azione di nullità. 16. Il regime giuridico della legittimazione a far valere tale forma di nullità contrasta con il disposto dell'art. 1421 c.c.: le nullità di protezione, sia che investano singole clausole sia che riguardino l'intero contratto non possono essere fatte valere che da una sola parte, salvo il rilievo d'ufficio del giudice nei limiti indicati dalle S.U. nella pronuncia n. 26442 del 2014, proprio in applicazione del principio solidaristico e costituzionalmente fondato, della buona fede. la legittimazione dell'altra parte è radicalmente esclusa, trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un equilibrio quanto meno formale (S.U. 26442 del 2014) tra le parti. Tale esclusione è il frutto della predeterminazione legislativa della posizione di squilibrio contrattuale tra le parti in relazione ad alcune tipologie contrattuali. Con riferimento ai contratti d'investimento, lo squilibrio che viene ad emersione giuridica ha carattere prevalentemente conoscitivo-informativo, fondandosi sull'elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell'ambito degli investimenti finanziari. I rimedi volti a limitare od a colmare l'asimmetria informativa, riconosciuta come elemento caratterizzante l'intervento correttivo del legislatore, non sono riconducibili soltanto alle nullità di protezione. Proprio in funzione dell'effettiva attuazione del principio di buona fede, la nullità di protezione, applicata in via generale ed indifferenziata ad esclusivo vantaggio del cliente, opera sul requisito della forma (peraltro in chiave funzionale, come chiarito da S.U. 898 del 2018) del contratto quadro ma non in relazione a tutti gli obblighi informativi dell'intermediario, essendo la gran parte di essi conformati sul profilo del cliente e sul grado di rischiosità contrattualmente assunto. ristabilito l'equilibrio formale con il testo contrattuale scritto, la condizione soggettiva dell'investitore e le scelte d'investimento connotano peculiarmente gli obblighi informativi dell'intermediario ed incidono sullo scrutinio dell'adempimento dell'intermediario ai fini del risarcimento del danno o della risoluzione del contratto, tenendo conto in concreto della buona fede del cliente al momento della discovery delle sue caratteristiche d'investitore e del suo grado di conoscenza delle dinamiche degli investimenti finanziari (S.U. 26724 del 2007). Deve, pertanto, ritenersi che il principio di buona fede e correttezza contrattuale, così come sostenuto dai principi solidaristici di matrice costituzionale, operi, in relazione agli interessi dell'investitore, mediante la predeterminazione legislativa delle nullità di protezione predisposte a suo esclusivo vantaggio, in funzione di riequilibrio generale ed astratto delle condizioni negoziali garantite dalla conoscenza del testo del contratto quadro, nonchè in concreto mediante la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell'intermediario. Tuttavia, non può escludersi la configurabilità di un obbligo di lealtà dell'investitore in funzione di garanzia per l'intermediario che abbia correttamente assunto le informazioni neces rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 sarie a determinare il profilo soggettivo del cliente al fine di conformare gli investimenti alle sue caratteristiche, alle sue capacità economiche e alla sua propensione al rischio. Può, pertanto, rilevarsi che anche nei contratti, quali quello dedotto nel presente giudizio, caratterizzati da uno statuto di norme non derogabili dall'autonomia contrattuale volte a proteggere il contraente che strutturalmente è in una posizione di squilibrio rispetto all'altro, il principio di buona fede possa avere un ambito di operatività trasversale non limitata soltanto alla definizione del sistema di protezione del cliente, in particolare se gli strumenti normativi di riequilibrio possono essere utilizzati, anche in sede giurisdizionale, non soltanto per rimuovere le condizioni di svantaggio di una parte derivanti dalla violazione delle regole imposte al contraente "forte" ma anche per arrecare un ingiustificato pregiudizio all'altra, pur se applicate conformemente al paradigma legale. 17. ritiene, pertanto, il Collegio, che la questione della legittimità dell'uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi d'investimento debba essere affrontata assumendo come criterio ordinante l'applicazione del principio di buona fede, al fine di accertare se sia necessario alterare il regime giuridico peculiare di tale tipologia di nullità, sotto il profilo della legittimazione e degli effetti, per evitare che l'esercizio dell'azione in sede giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi ed estranei alla ratio riequilibratrice in funzione della quale lo strumento di tutela è stato introdotto. 17.1. Per svolgere in modo esauriente tale indagine è necessario, in primo luogo, illustrare le opzioni alternative che si confrontano in dottrina e sono rappresentate in due pronunce della prima sezione civile, la n. 8395 del 2016 e la n. 6664 del 2018. 17.1.1. Il nucleo centrale della divergenza risiede proprio nella diversa declinazione dell'ambito di operatività delle nullità di protezione, in relazione alla correlazione tra legittimazione e propalazione degli effetti. ove si ritenga che il regime di protezione si esaurisca nella legittimazione esclusiva del cliente (o nella rilevabilità d'ufficio, nei limiti precisati nel par.15.2) a far valere la nullità per difetto di forma, una volta dichiarata l'invalidità del contratto quadro, gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano possono essere fatti valere da entrambe le parti. Il principio, posto a base dell'accurata requisitoria dell'Avvocato Generale, è stato così espresso in Cass. n. 6664 del 2018: "una volta che sia privo di effetti il contratto d'intermediazione finanziaria destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti in quanto esso sia dichiarato nullo, operano le regole comuni dell'indebito (art. 2033 c.c.) non altrimenti derogate. la disciplina del pagamento dell'indebito è invero richiamata dall'art. 1422 c.c.: accertata la mancanza di una causa adquirendi -in caso di nullità (...) l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione dello stesso è quella di ripetizione dell'indebito oggettivo; la pronuncia del giudice è l'evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del solvens di restituzione della prestazione rimasta senza causa". 17.1.2. l'opinione radicalmente contraria si fonda invece sull'operatività piena, processuale e sostanziale, del regime giuridico delle nullità di protezione esclusivamente a vantaggio del cliente (nella specie dell'investitore), anche ove l'invalidità riguardi l'intero contratto. l'intermediario non può avvalersi della dichiarazione di nullità in relazione alle conseguenze, in particolare restitutorie, che ne possono scaturire a suo vantaggio, dal momento che il regime delle nullità di protezione opera esclusivamente in favore dell'investitore. Il contraente privo della legittimazione a far valere le nullità di protezione può, di conseguenza, subire soltanto gli effetti della dichiarazione di nullità selettivamente definiti nell'azione proposta dalla parte esclusiva legittimata, non potendo far valere qualsiasi effetto "vantaggioso" che consegua a ConTEnzIoSo nAzIonAlE tale declaratoria. l'indebito, così come previsto nell'art. 1422 c.c., può operare solo ove la legge non limiti con norma inderogabile la facoltà di far valere la nullità ed i suoi effetti in capo ad uno dei contraenti, essendo direttamente inciso dallo "statuto" speciale della nullità cui si riferisce. le nullità di protezione sono poste a presidio esclusivo del cliente. Egli ex lege ne può trarre i vantaggi (leciti) che ritiene convenienti. la selezione degli ordini sui quali dirigere la nullità è una conseguenza dell'esercizio di un diritto predisposto esclusivamente in suo favore. Una diversa interpretazione del sistema delle nullità di protezione condurrebbe all'effetto, certamente non voluto dal legislatore, della sostanziale abrogazione dello speciale regime d'intangibilità ed impermeabilità proprio delle nullità di protezione (Cass. 8395 del 2016). In particolare, con riferimento alla tipologia contrattuale oggetto del presente giudizio, l'investitore, ove fosse consentito all'intermediario di agire ex art. 2033 c.c., non potrebbe mai far valere il difetto di forma di alcuni ordini in relazione ad un rapporto di lunga durata che abbia avuto parziale esecuzione, perchè le conseguenze economico patrimoniali sarebbero per lui verosimilmente quasi sempre pregiudizievoli, così vanificandosi la previsione legale di un regime di protezione destinato ad operare a suo esclusivo vantaggio. 18. vi è una terza opzione che rinviene nel principio della buona fede, variamene declinato, lo strumento più adeguato, per affrontare il tema dell'uso eventualmente distorsivo dello strumento delle nullità di protezione in funzione selettiva, perchè, senza alterarne il regime giuridico ed in particolare l'unilateralità dello strumento di tutela legislativamente previsto, consente, per la sua adattabilità al caso concreto, di ricostituire l'equilibrio effettivo della posizione contrattuale delle parti, impedendo effetti di azioni esercitate in modo arbitrario o nelle quali può cogliersi l'abuso dello strumento di "protezione" ad esclusivo detrimento del- l'altra parte. Già nelle ordinanze interlocutorie n. 12388, 12389 e 12390 del 2017, nelle quali la questione della legittimità dell'uso selettivo della nullità era subordinata a quella principale relativa alla validità, sotto il profilo del requisito di forma, del contratto quadro sottoscritto dal solo investitore, era stata prospettata l'esperibilità dell'exceptio doli generalis, al fine di paralizzare l'uso selettivo della nullità, ritenendo centrale nell'esaminare la questione, il rilievo della buona fede "come criterio valutativo della regola contrattuale". nell'ordinanza interlocutoria n. 23927 del 2018, dalla quale è scaturito il presente giudizio, anche alla luce degli orientamenti, ancorchè non univoci che sono intervenuti medio tempore (Cass. 6664 e 10116 del 2018) è stata posta in evidenza la questione della compatibilità tra il peculiare regime delle nullità protettive nei contratti d'intermediazione finanziaria e l'opponibilità della "eccezione di correttezza e di buona fede", in funzione della individuazione di un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia degli investimenti dei privati in relazione alla collocazione dei propri risparmi (art. 47 Cost.) e la tutela dell'intermediario anche in funzione della certezza dei mercati in materia d'investimenti finanziari. 19. la dottrina non ha prospettato soluzioni univoche, formulando indicazioni variamente assimilabili a quelle che hanno caratterizzato gli orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati. Come riscontrato anche nel confronto tra le due ordinanze interlocutorie che hanno posto alle S.U. la questione della legittimità dell'uso selettivo delle nullità di protezione, il principio di buona fede non è stato preso in considerazione in modo univoco. Si è affermato che attraverso la formulazione dell'exceptio doli generalis si possa impedire in via generale l'uso selettivo delle nullità di protezione, in quanto dettato esclusivamente dall'intento di colpire gli investimenti non redditizi (la tesi viene prospettata seppure in via ipotetica nelle ordinanze interlocutorie nn. 12388, 12389, 12390 del 2017). In questa lettura l'azione di nullità, ove sia diretta a colpire alcuni soltanto degli ordini eseguiti, viene ritenuta intrinsecamente connotata da un rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 intento opportunistico che va oltre la funzione di protezione voluta dal legislatore. rispetto alla tesi illustrata nel par. 17.1.1, la differenza si può cogliere nell'effetto esclusivamente paralizzante conseguente alla formulazione dell'eccezione, rimanendo preclusa all'intermediario l'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito. la tesi esposta postula che l'uso selettivo delle nullità di protezione determini sempre la violazione del canone di buona fede. l'investitore, ove intraprenda l'azione, si pone nella condizione di produrre un pregiudizio economico ingiustificato all'altra parte dovuto alla natura potestativa ed unilaterale della selezione operata. l'exceptio doli, così configurata, ricorrerebbe sempre in via generale ed astratta e deriverebbe dall'uso della nullità selettiva, ancorchè astrattamente lecito. la tesi viene criticata per la sua assolutezza perchè, pur non escludendo la formale applicazione dello statuto normativo delle nullità di protezione, ne trascura la funzione di reintegrazione di una preesistente condizione di squilibrio strutturale che permea le fattispecie contrattuali nelle quali trova applicazione e d'inveramento del sistema assiologico fondato sui principi di uguaglianza, solidarietà e tutela del risparmiatore ritraibili dalla Costituzione. Inoltre, con tale impostazione, si trascura la strutturale vocazione delle nullità protettive ad un uso selettivo, ancorchè non arbitrario, in quanto correlato alla operatività a vantaggio esclusivo di uno dei contraenti. 20. nel solco dell'applicazione in chiave riequilibratrice del principio di buona fede si collocano posizioni intermedie che, partendo dalla legittimità dell'azione di nullità cd. selettiva da parte del cliente, ovvero di una domanda formulata in relazione ad alcuni ordini d'investimento, ritengono che da parte dell'intermediario possa essere fatta valere l'exceptio doli generalis ove l'esercizio del diritto da parte dell'investitore sia avvenuto in malafede attraverso una valutazione che deve essere svolta in concreto secondo parametri oggettivi e soggettivi sui quali, tuttavia, non si riscontra unitarietà di vedute. viene escluso, al riguardo, che il possibile conflitto tra la specifica istanza di solidarietà costituita dal regime peculiare delle nullità di protezione e quella che scaturisce dal principio di affidamento, possa trovare una soluzione, stabilendo un criterio di prevalenza applicabile in ogni ipotesi, tenuto conto che la dinamica selettiva è ipotizzabile esclusivamente nelle nullità di protezione. l'affidamento, che costituisce il nucleo costitutivo della nozione di buona fede, ha un sicuro ancoraggio costituzionale nell'art. 2 Cost. le nullità di protezione, come evidenziato da S.U. 26242 del 2014, fondano l'inderogabilità del loro statuto, contrassegnato dal- l'operatività a "vantaggio" del cliente, non solo sull'art. 2 ma anche sull'art. 3 (essendo finalizzate a rimuovere il primo grado dell'asimmetria informativa) e sull'art. 41 cui si aggiunge, per l'intermediazione finanziaria, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.). Poichè le nullità di protezione costituiscono, dunque, una diretta attuazione di principi costituzionali, tale qualificazione non è priva di conseguenze in relazione alla concorrente operatività del principio di buona fede come criterio arginante l'uso arbitrario dello strumento di tutela. ne consegue che la mera invocazione di effetti selettivi da parte del cliente non può giustificare di per sè -pena lo svuotamento e la vanificazione della funzione delle nullità di protezione e della connessa tutela giurisdizionale, -l'automatica opponibilità da parte dell'intermediario dell'exceptio doli generalis. l'eccezione, secondo una delle tesi in campo, può essere proposta per paralizzare l'azione volta a far valere le nullità di protezione in funzione selettiva, tutte le volte che l'investitore ponga in essere una condotta soggettivamente connotata da malafede o frode ovvero preordinata alla produzione di un pregiudizio per l'intermediario, non ravvisandosi alcuna incompatibilità tra l'esercizio dell'azione di nullità e la predetta eccezione ma solo la necessità di un adeguato bilanciamento da svolgersi secondo il paradigma contenuto nell'art. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 1993 c.c., comma 2, e art. 2384 c.c., comma 2, individuabile nel non potere agire, neanche attraverso l'esercizio di un proprio diritto, arrecando intenzionalmente danno all'altra parte. lo statuto protettivo dell'investitore non può determinare a suo vantaggio, un regime di sostanziale irresponsabilità ed esonerarlo dal controllo della conformità del suo agire, in quanto la regola di buona fede, assiologicamente espressiva del dovere di solidarietà costituzionale e costituente il tessuto connettivo dei rapporti contrattuali, impone tale verifica di conformità purchè svolta in concreto. In conclusione, secondo questa prospettazione, occorre verificare se l'azione è stata preordinata alla produzione di un pregiudizio per l'altro contraente. 21. la tesi sopra illustrata si espone a rilievi critici per aver limitato l'opponibilità dell'exceptio doli alla valutazione della buona fede soggettiva così da escludere ogni rilevanza alla oggettiva determinazione di un ingiustificato e sproporzionato sacrificio di una sola controparte contrattuale. Al fine di poter svolgere un giudizio comparativo che tenga conto anche della eventuale violazione della buona fede sotto il profilo oggettivo del pregiudizio arrecabile ad una sola delle parti, si è fatto ricorso alla categoria dell'abuso del diritto, in relazione al quale non è sufficiente che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorchè il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (Cass. 15885 del 2013; 10568 del 2018). non è configurabile un abuso che derivi soltanto dall'aver voluto conseguire un proprio vantaggio economico mediante uno strumento di tutela previsto dall'ordinamento che, peraltro, deriva, dall'attivazione di uno statuto di tutela inderogabile, essendo necessario che il fine dell'azione sia incoerente rispetto a quello legale in funzione del quale è stato attribuito il diritto di agire (Cass. 29792 del 2017, in relazione alla configurabilità dell'abuso del diritto potestativo dei soci di una società di capitali che rappresentino un terzo del capitale sociale, di chiedere il differimento dell'assemblea ove dichiarino di non essere stati sufficientemente informati) o determini effetti del tutto sproporzionati rispetto al fine di tutela per cui si è agito. 22. Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio, in risposta al quesito formulato nel par. 17, di dovere, preliminarmente, escludere entrambe le opzioni che prescindono del tutto dalla considerazione del principio di buona fede o perchè negano la legittimità dell'uso selettivo delle nullità di protezione fino al riconoscimento del diritto a richiedere la ripetizione dell'indebito in relazione agli investimenti non selezionati dall'investitore ma travolti dalla nullità del contratto quadro, o perchè ne considerano legittima l'azione senza alcun limitazione, ritenendo tale soluzione l'unica coerente con l'operatività ad esclusivo vantaggio del cliente delle nullità di protezione. In contrasto con le tesi criticate, il Collegio reputa che la questione della legittimità dell'uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi d'investimento, possa essere risolta ricorrendo, come criterio ordinante, al principio di buona fede, da assumere, tuttavia, in modo non del tutto coincidente con le illustrate declinazioni dell'exceptio doli generalis e dell'abuso del diritto. 22.1. Al riguardo si ritiene di dover ribadire che, in relazione ai contratti d'investimento che costituiscono l'oggetto del presente giudizio, della dichiarata invalidità del contratto quadro, ancorchè accertata con valore di giudicato, come già rilevato nei par.13 e 13.1, può avvalersi soltanto l'investitore, sia sul piano sostanziale della legittimazione esclusiva che su quello sostanziale dell'operatività ad esclusivo vantaggio di esso. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 22.2 l'uso selettivo del rilievo della nullità del contratto quadro non contrasta, in via generale, con lo statuto normativo delle nullità di protezione ma la sua operatività deve essere modulata e conformata dal principio di buona fede secondo un parametro da assumersi in modo univoco e coerente. ove si ritenga che l'uso selettivo delle nullità di protezione sia da stigmatizzare ex se, come contrario alla buona fede, solo perchè limitato ad alcuni ordini di acquisto, si determinerà un effetto sostanzialmente abrogativo del regime giuridico delle nullità di protezione, dal momento che si stabilisce un'equivalenza, senza alcuna verifica di effettività, tra uso selettivo delle nullità e violazione del canone di buona fede. Deve rilevarsi, tuttavia, l'insufficienza anche della esclusiva valorizzazione della buona fede soggettiva, ove ravvisabile solo se si dimostri un intento dolosamente preordinato a determinare effetti pregiudizievoli per l'altra parte. 22.3 Al fine di modulare correttamente il meccanismo di riequilibrio effettivo delle parti contrattuali di fronte all'uso selettivo delle nullità di protezione, non può mancare un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell'azione di nullità, derivata dal vizio di forma del contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare se permanga un pregiudizio per l'investitore corrispondente al petitum azionato. In questa ultima ipotesi deve ritenersi che l'investitore abbia agito coerentemente con la funzione tipica delle nullità protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi le fa valere. Pertanto, per accertare se l'uso selettivo della nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all'intermediario, si deve verificare l'esito degli ordini non colpiti dall'azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l'investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità. Può accertarsi che gli ordini non colpiti dall'azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum. In tale ipotesi, può essere opposta, ed al solo effetto di paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati, l'eccezione di buona fede, al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all'intermediario stesso. Può, tuttavia, accertarsi che un danno per l'investitore, anche al netto dei rendimenti degli investimenti relativi agli ordini non colpiti dall'azione di nullità, si sia comunque determinato. Entro il limite del pregiudizio per l'investitore accertato in giudizio, l'azione di nullità non contrasta con il principio di buona fede. oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di allegazione, l'effetto paralizzante dell'eccezione di buona fede. ne consegue che, se, come nel caso di specie, i rendimenti degli investimenti non colpiti dall'azione di nullità superino il petitum, l'effetto impeditivo è integrale, ove invece si determini un danno per l'investitore, anche all'esito della comparazione con gli altri investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l'effetto paralizzante dell'eccezione opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato conseguito. 23. la soluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio può, in conclusione, così essere sintetizzata. Anche in relazione al D.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, il regime giuridico delle nullità di protezione opera sul piano della legittimazione processuale e degli effetti sostanziali esclusivamente a favore dell'investitore, in deroga agli artt. 1421 e 1422 c.c. l'azione rivolta a far valere la nullità di alcuni ordini di acquisto richiede l'accertamento dell'invalidità del contratto quadro. Tale accertamento ha valore di giudicato ma l'intermediario, alla luce del peculiare regime giuridico delle nullità di protezione, non può avvalersi degli effetti diretti di tale nullità e non è conseguentemente legittimato ad agire in via riconvenzionale od in via autonoma ex artt. 1422 e 2033 c.c. I principi di solidarietà ed uguaglianza sostanziale, di derivazione co ConTEnzIoSo nAzIonAlE stituzionale (artt. 2, 3, 41 e 47 Cost., quest'ultimo con specifico riferimento ai contratti d'investimento) sui quali le S.U., con la pronuncia n. 26642 del 2014, hanno riposto il fondamento e la ratio delle nullità di protezione operano, tuttavia, anche in funzione di riequilibrio effettivo endocontrattuale quando l'azione di nullità, utilizzata, come nella specie, in forma selettiva, determini esclusivamente un sacrificio economico sproporzionato nell'altra parte. limitatamente a tali ipotesi, l'intermediario può opporre all'investitore un'eccezione, qualificabile come di buona fede, idonea a paralizzare gli effetti restitutori dell'azione di nullità selettiva proposta soltanto in relazione ad alcuni ordini. l'eccezione sarà opponibile, nei limiti del petitum azionato, come conseguenza dell'azione di nullità, ove gli investimenti, relativi agli ordini non coinvolti dall'azione, abbiano prodotto vantaggi economici per l'investitore. ove il petitum sia pari od inferiore ai vantaggi conseguiti, l'effetto impeditivo dell'azione restitutoria promossa dall'investitore sarà integrale. l'effetto impeditivo sarà, invece, parziale, ove gli investimenti non colpiti dall'azione di nullità abbiano prodotto risultati positivi ma questi siano di entità inferiore al pregiudizio determinato nel petitum. l'eccezione di buona fede operando su un piano diverso da quello dell'estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è configurabile come eccezione in senso stretto non agendo sui fatti costitutivi dell'azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti. Deve essere, tuttavia, oggetto di specifica allegazione. 24. la soluzione della questione di massima di particolare importanza rimessa all'esame delle S.U. può essere risolta alla luce del seguente principio di diritto: "la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nel D.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dall'investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell'accertamento operano soltanto a suo vantaggio. l'intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l'eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro". 25. ne consegue, in relazione al secondo motivo di ricorso, che deve essere confermata, con correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c., u.c., la statuizione contenuta nella pronuncia impugnata, alla luce del principio di diritto di cui al par. 24. rigettati il secondo e terzo motivo, è rimesso all'esame della prima sezione civile l'esame dei rimanenti e la statuizione sulle spese processuali del presente procedimento. P.q.M. rigetta il secondo e terzo motivo. rimette l'esame degli altri alla sezione semplice, anche in relazione alle spese del presente procedimento. Così deciso in roma, nella Camera di Consiglio, il 9 aprile 2019. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Una sentenza storica in tema di contratti derivati stipulati tra banche ed enti locali CassazioNe Civile, sezioNi UNite, seNteNza 12 maGGio 2020 N. 8770 lo scorso 12 maggio la Cassazione ha pronunciato una sentenza storica in tema di contratti derivati stipulati tra banche ed enti locali. Chiamata a decidere su un contenzioso tra bnl e il Comune di Cattolica per tre "interest rate swap" conclusi tra il 2003 e il 2004, la Suprema Corte, nell'accogliere le ragioni del Comune, ha affermato che, fino al divieto subentrato nel 2013, gli enti potevano stipulare derivati solo in presenza dell'informativa sul valore di mercato (c.d. mark to market o MTM), gli scenari probabilistici e i costi occulti del contratto. In quanto scommesse finanziarie -osserva la Cassazione -i derivati hanno una spiccata aleatorietà che si pone in forte disarmonia con la certezza degli impegni di spesa richiesta dalla contabilità pubblica. Pertanto, questi contratti sono leciti solo se le parti trovano un accordo sull'alea che, quindi, deve essere esplicitata ex ante anche attraverso gli scenari probabilistici, poiché solo il MTM "comunica poco in ordine alla consistenza dell'alea". Attirate dalla possibilità di un incasso immediato (upfront) e sprovviste delle informazioni su probabilistici scenari e MTM, le pubbliche amministrazioni hanno sovente stipulato contratti capaci di compromettere l'equilibrio finanziario futuro. I dati della banca d'Italia sulle operazioni in derivati delle amministrazioni, soprattutto locali, con banche operanti in Italia indicano un mark to market costantemente negativo per gli enti a livello aggregato, in media oltre un miliardo di euro dal 2008 in poi. Tale sentenza della Cassazione sarà fondamentale per dirimere le questioni relative ai derivati dello Stato. le informazioni contenute negli scenari probabilistici potrebbero evidentemente supportare le decisioni delle amministrazioni centrali in sede di stipula di nuovi derivati e di rinegoziazione di quelli esistenti sulla base dei principi della trasparenza e del caveat emptor. Gaetana Natale* Cassazione, Sezione Unite Civili, sentenza 12 maggio 2020 n. 8770 -Primo Pres. f.f. S. Petitti, rel. Pres. di sez. f.A. Genovese -bnl -banca nazionale del lavoro S.P.A. (avv.ti G. Graziadei, f. Trotta, A. Clarizia e G. Alpa) c. Comune di Cattolica (avv. ti G. Cedrini, l. zamagni e D. Maffeis). fATTI DI CAUSA 1. -Il Tribunale di bologna ha respinto le domande che il Comune di Cattolica aveva proposto (*) Avvocato dello Stato, Consigliere Giuridico del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno. ConTEnzIoSo nAzIonAlE nei confronti di banca nazionale del lavoro S.p.A. (d'ora in avanti, semplicemente: bnl o banca) in riferimento ad alcuni contratti (formalmente, contenuti in quattro scritture) di interest rate swap, conclusi fra le menzionate parti in tre diverse date (il 15 maggio 2003, il 1° dicembre 2003 e il 22 ottobre 2004), e rivolte alla declaratoria della nullità, all'annullamento, o all'accertamento dell'inefficacia sopravvenuta ex D.M. 1° dicembre 2003, n. 389, dei predetti negozi, oltre che alla condanna della convenuta alla restituzione dei pagamenti ex art. 2033 c.c. e, in subordine, al risarcimento del danno, quantificabile in relazione ai "differenziali negativi attesi". 2. -la Corte di appello di bologna, accogliendo il gravame dell'Ente ed in riforma dell'anzidetta decisione, ha dichiarato la nullità e l'inefficacia dei contratti menzionati, che pure ha annullato, e ha disposto, poi, la ripetizione degli importi, di tempo in tempo, corrisposti dalla banca al Comune fino al 30 gennaio 2010 (Euro 555.738,76) e da quest'ultimo alla prima (Euro 1.031.393,17), "oltre ad eventuali reciproci pagamenti successivi intercorsi fra le parti per gli stessi titoli", con gli interessi legali dal giorno della domanda. 2.1. -Per quanto di interesse in questa sede, ed in estrema sintesi, la Corte emiliana ha: a) ritenuto fondato il rilievo del Comune per il quale il contratto di swap ed in particolare ma non solo -quello che prevede una clausola di iniziale upfront, costituisse, proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale; b) aggiunto che in nessuno dei contratti al suo esame figurava la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (cd. mark to market), che un'attenta e condivisibile giurisprudenza di merito riteneva "elemento essenziale dello stesso ed integrativo della sua causa tipica (un'alea razionale e quindi misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (hedging) o speculativa"; c) osservato che la potenziale passività insita in ogni contratto di swap trova una sua evidenza concreta ed attuale nella clausola di upfront, in fatto presente in due dei tre rapporti sostanziali oggetto di giudizio. 2.2. -Per la Corte di merito, inoltre, il fatto che la norma che qualifica l'upfront come indebitamento fosse entrata in vigore successivamente ad uno o più dei contratti in questione non significava che gli stessi non potessero essere anche precedentemente interpretati in quel senso. 2.3. -la stessa Corte ha reputato non sussistere "incompatibilità alcuna, nè astratta nè concreta, fra le norme civilistiche ed amministrative disciplinanti lo swap "puro" rispetto a quelle in ipotesi regolatrici di una enucleabile sottocategoria di swaps connotati da una specifica forma di indebitamento possibilmente individuabile nella clausola di upfront, con conseguente integrazione della relativa disciplina, se anche più restrittiva per la sottocategoria individuata". 2.4. -ha ritenuto poi fondato il rilievo del Comune per il quale, ex art. 42, comma 2, lett. i), T.u.e.l. (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con D.lgs. n. 267 del 2000), le delibere di accensione degli swap dovessero essere assunte dal consiglio comunale, in quanto prevedevano spese che impegnano i bilanci per gli esercizi successivi. E, a tale ultimo proposito, ha rilevato che la speciale Delib. Consiliare 27 marzo 2003, prevedeva una mera "linea di indirizzo", successivamente posta in atto dalla giunta e dal dirigente, quanto al primo contratto; e solo da determinazione dirigenziale, per i successivi. 2.5. -la Corte ha riconosciuto, inoltre, come fondato il rilievo per il quale i contratti in questione violerebbero, oltre che l'art. 119 Cost., u.c., anche la l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15 e l'art. 202 T.u.e.l., in quanto non sarebbe risultato che l'indebitamento insito, implicito e prevedibile nei contratti in questione (esplicito quanto alle clausole di upfront) fosse stato contratto "per finanziare spese di investimento" (la documentazione prodotta dal Comune attestando, anzi, una diversa destinazione). rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 2.6. -ha affermato, infine, che in nessuno dei tre contratti (contenuti nelle quattro scritture) vi fosse un puntuale riferimento ai mutui sottostanti in relazione ai quali i negozi sarebbero stati stipulati, facendo discendere da ciò la mancata emersione della causa concreta delle singole operazioni, della quale non era quindi dimostrata l'esistenza; allo stesso modo, secondo la Corte di appello, non poteva dirsi che i contratti fossero muniti di un oggetto avente i requisiti di cui all'art. 1346 c.c.: con la conseguenza che i negozi in questione dovevano reputarsi tutti affetti da nullità. 3. -Contro la sentenza, la banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, contro cui ha resistito il Comune che, a sua volta, ha spiegato ricorso incidentale condizionato, basato su di un motivo. 4. -la prima sezione civile di questa Corte, investita dell'esame del ricorso, ha ritenuto di dover esaminare congiuntamente, per ragioni di connessione, i primi tre motivi del ricorso principale. 4.1. -ha osservato la sezione che il ricorso, nei primi tre motivi, pone due questioni, strettamente connesse e cruciali per vagliare la validità dei contratti di swap conclusi, in generale, dai Comuni: a) quella relativa alla possibilità di qualificare l'assunzione dell'impegno dell'ente locale che stipuli il contratto, avente ad oggetto il nominato derivato, come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall'investimento; b) quella concernente l'individuazione dell'organo chiamato a deliberare un'operazione siffatta (che nel caso in esame è stata disciplinata dal consiglio comunale attraverso delle mere "linee di indirizzo"). 4.2. -E, in relazione a tali problematiche, la Prima sezione civile (con ordinanza n. 493 del 10 gennaio 2019) ha rimesso la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2, delle questioni così sintetizzate: a) "se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront -e non sia disciplinato ratione temporis dalla l. n. 133 del 2008, di conversione del D.l. n. 112 del 2008 -, costituisca per l'ente locale un'operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma della l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15"; b) "se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio comunale, implicando una Delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l'art. 42, comma 2, lett. i), T.u.e.l.". 4.3. -A tal uopo, ha richiamato le diverse norme che assumono rilievo, nel quadro delle censure svolte: i) anzitutto, l'art. 119 Cost., comma 6, il quale prevede che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le regioni possano ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento; ii) l'art. 202 T.u.e.l., per il quale il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti; iii) la l. n. 448 del 2001, art. 41, comma 1, ove è previsto che, con decreto del Ministero del- l'economia e delle finanze, siano approvate le norme relative all'ammortamento del debito e all'utilizzo degli strumenti derivati da parte dei detti enti; nonchè il comma 2 dello stesso articolo, che contempla inoltre la facoltà, di tali enti, di emettere titoli obbligazionari o contrarre mutui "previa costituzione, al momento dell'emissione o dell'accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l'ammortamento del debito"; iv) la l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, ove si commina la nullità degli atti e dei contratti con cui gli enti territoriali ricorrono all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell'art. 119 Cost.; ConTEnzIoSo nAzIonAlE v) il D.M. n. 389 del 2003, emanato in attuazione della l. 448 del 2001, art. 41 cit., che disponeva espressamente, all'art. 3, comma 1, la regola secondo cui gli enti locali potessero concludere operazioni derivate consistenti in swap di tasso di interesse e, in termini più generali, operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito (qualora esse non prevedessero una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività e ove i flussi con esse ricevuti dagli enti interessati fossero uguali a quelli pagati nella sottostante passività e non implicassero, al momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei singoli flussi di pagamento, "ad eccezione di un eventuale sconto o premio da regolare al momento del perfezionamento delle operazioni non superiore a 1% del nozionale della sottostante passività"). 4.3.1. -ha però chiarito che quest'ultima disposizione (non applicabile ratione temporis ai due contratti con previsione di upfront, conclusi tra le parti in causa) è stata successivamente superata con le modifiche apportate alla l. n. 350 del 2003, art. 3, comma 17, l. n. 133 del 2008 (con cui è stato convertito il D.l. n. 112 del 2008): per effetto di tale intervento legislativo è stato infatti previsto, per la prima volta, che costituisca indebitamento, ai sensi dell'art. 119 Cost., comma 6, "sulla base dei criteri definiti in sede europea dall'Ufficio statistico delle Comunità europee (eUrostat), l'eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate" (E il detto approdo è rimarcato nelle successiva versione dell'art. 3, comma 17, cit., come risultante dal D.lgs. n. 118 del 2011, art. 75, comma 1, lett. a), secondo cui integra indebitamento "l'eventuale somma incassata al momento del perfezionamento delle operazioni derivate di swap (cosiddetto upfront)"). 4.3.2. -ha poi osservato che, in forza della l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 572, è venuta meno, in via generale (e salve eccezioni specificamente previste) la possibilità, da parte degli enti locali, di stipulare i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti dall'art. 1, comma 3, del T.u.f. (D.lgs. n. 58 del 1998). 4.4. -Con riguardo alle competenze in materia di spesa nell'ambito del Comune, ha richiamato infine l'art. 42 T.u.e.l. che, al comma 2, lett. i), assegna al consiglio comunale il compito di deliberare in ordine alle spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo. 5. -questo essendo il quadro normativo di riferimento, la Corte si è chiesta se, nel periodo che interessa, fosse consentita la conclusione di contratti derivati da parte degli enti locali; anche considerato che, nella fattispecie, i due contratti conclusi nel 2003, a differenza del terzo, perfezionato nel 2004, contemplavano altrettante clausole di upfront (rispettivamente per Euro 315.000,00 e per Euro 655.000,00). 5.1. -Essa ha osservato che, se è vero che il legislatore ha definito per la prima volta l'upfront come "indebitamento", con il D.l. n. 112 del 2008, art. 62, comma 9, che ha novellato la l. n. 350 del 2003, art. 3, comma 17, ciò tuttavia non implicherebbe che le somme siano state versate legittimamente a quel titolo, in epoca precedente all'entrata in vigore della nuova disciplina. 5.2. -ha, perciò, ricordato che, avendo riguardo ai contratti conclusi dagli enti locali, si registrano responsi non univoci da parte della stessa Corte dei Conti, richiamando i relativi precedenti. 5.3. -E, con riferimento alla seconda questione, correlata all'altra (e attinente alla contestata validità dei contratti conclusi, siccome preceduti da una Delibera del consiglio comunale che conteneva una mera linea di indirizzo), si è chiesta se la conclusione di contratti swap (specie se prevedano un upfront: quindi una somma suscettibile di rimborso nel corso del rapporto) rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 possa essere sottratta alla competenza che a quell'organo è riservata in caso di "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi", a norma dell'art. 42, comma 2, lett. i), T.u.e.l. 6. -la causa è stata perciò fissata per la discussione delle parti, all'odierna udienza. 6.1. -Con memoria ex art. 378 c.p.c., la banca, ha riproposto ed illustrato le sue ragioni di doglianza e, a sua volta, il Comune le sue eccezioni e le conclusioni svolte nel controricorso. 6.2. -Il P.G., nella persona dell'Avv. Gen. renato finocchi Ghersi, ha depositato requisitoria scritta, concludendo affinchè la Corte respinga il ricorso principale e dichiari assorbito quello incidentale. rAGIonI DEllA DECISIonE 1. -Il ricorso principale della banca è articolato in cinque mezzi di cassazione: 1.1. -Il primo motivo (che ipotizza una violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, l. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3, l. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, commi 16 e 17 e successive modifiche; della l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 739, D.l. n. 112 del 2008, art. 62, convertito dalla l. n. 133 del 2008, a sua volta modificato dall'art. 3 della l. n. 203 del 2008, nonchè dell'art. 11 preleggi), ha ad oggetto l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui il contratto di swap, in specie se con previsione di una clausola iniziale di upfront, costituisce, per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale. 1.2. -Il secondo (intitolato: violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.lgs. n. 267 del 2000, artt. 42, 107, 192 e 202, l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, l. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3), è incentrato sull'affermazione, pure contenuta nella sentenza impugnata, per cui le delibere di accensione degli swap debbano essere adottate dal consiglio comunale, in quanto vertenti su "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi". 1.3. -Il terzo (con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, D.lgs. n. 267 del 2000, art. 202, l. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3), è svolto in rapporto all'assunto per cui l'upfront avrebbe dovuto essere esplicitamente destinato ab origine (ossia, sin dal 2003-2004) a spese di investimento. Il mezzo censura altresì il principio, perchè -a dire della ricorrente totalmente privo di base normativa positiva, secondo cui occorresse indicare, negli atti amministrativi approvativi delle operazioni, una presunta destinazione a spese di investimento, atteso che, come diffusamente dedotto con il primo motivo, lo swap non ha una funzione di investimento, ma di riequilibrio del debito sottostante, con conseguente inapplicabilità della causa di nullità di cui alla l. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15. 1.4. -Il quarto (deducente la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, l. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3 e degli artt. 1346, 1367, 1418, 1419, 2729 e 2697 c.c.), è posto in relazione alla necessità, risultante dalla decisione impugnata, di indicare specificamente i mutui sottostanti nei contratti di swap, a pena di nullità di questi ultimi, per difetto di causa e di oggetto. 1.5. -Il quinto (che lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1418, 1467 e 1469 c.c., nonchè del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, comma 2, lett. δ) art. 21 e art. 23, comma 5, l. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3) investe l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la previsione esplicita del valore attuale dei derivati al momento della stipulazione costituirebbe elemento essenziale dell'interest rate swap, previsto a pena di nullità. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 2. -l'unico mezzo di ricorso incidentale condizionato del Comune (che deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, e dell'art. 30, commi 6 e 7, T.u.f.), infine, riguarda la dichiarata non applicazione della disciplina del ius poenitendi alla fattispecie decisa (in quanto applicabile al solo consumatore sprovveduto colto di sorpresa dall'intermediario) e investe un aspetto della vicenda che la Corte di appello ha espressamente qualificato assorbito. 3. -la prima sezione civile ha già rilevato che il ricorso pone due questioni, strettamente connesse, che sono centrali per vagliare la validità dei contratti di swap conclusi, in generale, dai Comuni: quella relativa alla possibilità di qualificare l'assunzione dell'impegno dell'ente locale che stipuli il contratto avente ad oggetto il nominato derivato come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall'investimento; quella concernente l'individuazione dell'organo chiamato a deliberare un'operazione siffatta (che nel caso in esame è stata disciplinata dal consiglio comunale solo attraverso "linee di indirizzo"); e che, con riguardo al primo dei temi indicati, ci si deve chiedere se, nel periodo che interessa, fosse consentita la conclusione di contratti derivati da parte degli enti locali. 3.1. -Si pone, perciò, la necessità -prima di mettere a fuoco i temi oggetto di rimessione da parte della sezione semplice -di allargare lo sguardo al fenomeno sottostante alla odierna controversia. 4. -la materia dei derivati, che interessa varie branche del diritto, è oggetto dell'attenzione di dottrina e giurisprudenza da anni, risultando controversa anche l'esistenza di una definizione unificante del fenomeno dei derivati. Infatti, la mancanza nel nostro ordinamento di una definizione generale di "contratto derivato" si spiega con la circostanza che i derivati sono stati creati dalla prassi finanziaria e, solo in seguito, sono stati in qualche misura recepiti dalla regolazione del sistema giuridico. la notevole varietà delle fattispecie che concorrono a formare la categoria dei derivati rende, però, complessa l'individuazione della ricercata nozione unitaria, dovendosi tenere conto che il fenomeno è forse comprensibile in maniera globale solo in un'ottica economica. 4.1. -Ciò giustifica, quindi, la previsione dell'art. 1, comma 2 bis, T.u.f., che contiene una delega al Ministro dell'Economia e finanze per identificare nuovi potenziali contratti derivati: nella sostanza il legislatore italiano ha seguito quello Eurounitario, optando per una elencazione di molteplici figure e lasciando all'interprete il compito della reductio ad unum, laddove possibile. 4.2. -il caso che ci occupa vede al centro dell'indagine lo swap e, in particolare, quello più diffuso di tutti, il cd. interest rate swap (altrimenti, IrS, specie nella sua forma più diffusa o di base: il cd. plain vanilla), ossia quel contratto di scambio (swap) di obbligazioni pecuniarie future che, in sostanza, si traduce nel dovere di un Tale di dare all'Altro la cifra δ (dove δ è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse W) a fronte dell'impegno assunto dell'Altro di versare al Tale la cifra y (dove y è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse z). 4.3. -l'interest rate swap è perciò definito come un derivato cd. over the counter (oTC) ossia un contratto: a) in cui gli aspetti fondamentali sono dati dalle parti e il contenuto non è etero- regolamentato come, invece, accade per gli altri derivati, cd. standardizzati o uniformi, essendo elaborato in funzione delle specifiche esigenze del cliente (per questo, detto bespoke); b) perciò non standardizzato e, quindi, non destinato alla circolazione; c) consistente in uno strumento finanziario rispetto al quale l'intermediario è tendenzialmente controparte diretta del proprio cliente. 4.4. -Come per molti derivati, soprattutto quelli oTC, lo swap, per quanto appena detto, non ha le caratteristiche intrinseche degli strumenti finanziari, e particolarmente non ha la cd. ne rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 goziabilità, cioè quella capacità di rappresentare una posizione contrattuale in forme idonee alla circolazione, in quanto esso tende a non divenire autonomo rispetto al negozio che lo ha generato. Inoltre, benchè siano stipulati nell'ambito della prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio, ex art. 23, comma 5, Tuf, nei derivati oTC l'intermediario stipula un contratto (con il cliente) ponendosi quale sua controparte. 4.5. -Posto che l'interest rate swap è il contratto derivato che prevede l'impegno reciproco delle parti di pagare l'una all'altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominato nozionale, per un dato periodo di tempo, gli elementi essenziali di un interest rate swap sono stati individuati, dalla stessa giurisprudenza di merito, ne: a) la data di stipulazione del contratto (trade date); b) il capitale di riferimento, detto nozionale (notional principal amount), che non viene scambiato tra le parti, e serve unicamente per il calcolo degli interessi; c) la data di inizio (effective date), dalla quale cominciano a maturare gli interessi (normalmente due giorni lavorativi dopo la trade date); d) la data di scadenza (maturity date o termination date) del contratto; e) le date di pagamento (payment dates), cioè quelle in cui sono scambiati i flussi di interessi; f) i diversi tassi di interesse (interest rate) da applicare al detto capitale. 4.6. -va, peraltro, ancora precisato che se lo swap stipulato dalle parti è non par, con riferimento alle condizioni corrispettive iniziali, lo squilibrio così emergente esplicitamente dal negozio può essere riequilibrato con il pagamento, al momento della stipulazione, di una somma di denaro al soggetto che accetta le pattuizioni deteriori: questo importo è chiamato upfront (e i contratti non par che non prevedano la clausola di upfront hanno nel valore iniziale negativo dello strumento il costo dell'operazione: nella prassi, il compenso dell'intermediario per il servizio fornito). 4.7. -Invero, l'IrS può atteggiarsi ad operazione non par non solo in punto di partenza, ma può divenir tale anche con il tempo. In un dato momento lo squilibrio futuro (sopravvenuto) fra i flussi di cassa, che sia attualizzato al presente, può essere oggetto di nuove prognosi ed indurre le parti a sciogliere il contratto. Per compiere queste operazioni assume rilievo il cd. mark to market (MTM) o costo di sostituzione (meglio, il suo metodo di stima), ossia il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all'operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato: così da divenire, in pratica, il valore corrente di mercato dello swap (il metodo de quo consiste, insomma, in una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti). 4.7.1. -nei fatti, per MTM s'intende principalmente la stima del valore effettivo del contratto ad una certa data (anche se, in astratto, il mark to market non esprime un valore concreto ed attuale, ma una proiezione finanziaria). Il mark to market è, dunque, tecnicamente un valore e non un prezzo, una grandezza monetaria teorica calcolata per l'ipotesi di cessazione del contratto prima del termine naturale. Più precisamente è un metodo di valutazione delle attività finanziarie che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante indici di aggiornamento monetario, che consiste nel conferire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della scadenza naturale. 5. -In un tale quadro di illustrazioni del fenomeno che va sotto il nome di IrS è assai discussa la questione della causa dello swap. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 5.1. -Una giurisprudenza, con l'appoggio di parte della dottrina, tende a vedere nello swap la causa della scommessa. Ma è difficile accogliere l'idea che un'operazione di interest rate swap, destinata a regolare una pluralità di rapporti per molti anni, muovendo ingentissimi capitali su importanti mercati internazionali, sia da considerare come una qualsiasi lotteria, apparendo palese come lo swap abbia ben poco in comune con lo schema della scommessa di cui agli artt. da 1933 a 1935 c.c., della natura contrattuale della quale vi è pure stata discussione in dottrina. 5.2. -Ciò che distingue l'IrS dalla comune scommessa è proprio la complessità della vicenda e la professionalità dei soggetti coinvolti, sicchè l'impostazione più attenta rinviene la causa dell'IrS nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio, atteso che quello strumento contrattuale: -si forma nel mercato finanziario, con regole sue proprie; di frequente consuetudinarie e tipiche della comunità degli investitori; riguarda un rischio finanziario che può essere delle parti, ma può pure non appartenere loro; -concerne dei differenziali calcolati su dei flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo; -è espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un'entità specificamente ed esattamente determinata; - è il risultato di una tradizione giuridica diversa dalla nostra. 5.3. -A fini puramente descrittivi e semplificativi, si potrebbe dire che l'IrS consiste in una sorta di scommessa finanziaria differenziale (in quest'ultimo aggettivo essendo presente un riferimento alla determinazione solo probabilistica dei suoi effetti ed alla durata nel tempo del rapporto). 6. -Sicchè si pone con immediatezza un primo problema, riguardante la validità dello strumento contrattuale che abbia al suo interno questo particolare atteggiarsi della causa dello swap. 6.1. -In particolare, ci si pone il problema -che è preliminare ad ogni altro pure sollevato dalla sezione semplice -se tali tipi di contratti perseguano interessi meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c. e siano muniti di una valida causa in concreto. 6.2. -Infatti, appare necessario verificare -ai fini della liceità dei contratti -se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perchè il legislatore autorizza questo genere di "scommesse razionali" sul presupposto dell'utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità. E tale accordo non deve limitarsi al mark to market, ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poichè il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell'alea. Esso dovrebbe concernere la misura qualitativa e quantitativa dell'alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti. 6.3. -Sotto tale ultimo profilo, va rilevato che le obbligazioni pecuniarie nascenti dal derivato non sono mere obbligazioni omogenee di dare somme di denaro fungibile, perchè in relazione alla loro quantificazione va data la giusta rilevanza ai parametri di calcolo delle stesse, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse (nell'IrS) e di cambio nel tempo. Sicchè l'importanza dei menzionati parametri di calcolo consegue alla circostanza che tramite essi si può realizzare la funzione di gestione del rischio finanziario, con la particolarità che il parametro scelto assume alla scadenza l'effetto di una molteplicità di variabili. 6.4. -A tale proposito, va richiamato l'art. 23, comma 5, del TUf, il quale dispone che "Nel rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 l'ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonchè a quelli analoghi individuati ai sensi dell'art. 18, comma 5, lett. a), non si applica l'art. 1933 c.c.". Ma tale previsione non intende autorizzare sic et simpliciter una scommessa, ma delimitare, con un criterio soggettivo, la causa dello swap, ricollegandola espressamente al settore finanziario. In questo modo, è disegnato un modello, ponendosi al massimo ancora il problema se tutti i derivati rispondano ad un unico tipo o se la distinzione tra tali tipi riguardi le classi di derivati o i singoli swaps. 6.5. -Infatti, l'intermediario finanziario è un mandatario dell'investitore, tenuto a fornire raccomandazioni personalizzate al suo assistito; sicchè ove l'intermediario, nella prestazione del servizio, compia l'operazione quando doveva astenersi o senza il consenso dell'investitore, gli atti compiuti non possono avere efficacia, a prescindere dal fatto che la condotta dell'agente sia qualificata in termini di inadempimento o di nullità, con conseguente risarcimento del danno. 6.6. -In tale quadro di corretto adempimento dell'attività d'intermediazione occorre rilevare anche la deduzione dei cd. costi impliciti, riconducendosi ad essi lo squilibrio iniziale dell'alea, misurato in termini probabilistici. 6.6.1. -Assume rilievo, perciò, la questione del conflitto di interessi fra intermediario e cliente, poichè nei derivati oTC, a differenza che in quelli uniformi, tale conflitto è naturale, discendendo dall'assommarsi nel medesimo soggetto delle qualità di offerente e consulente. va escluso il rilievo, ai fini della individuazione della causa tipica, delle funzioni, di speculazione o di copertura, dei derivati oTC perseguite dalle parti, anche se dà ad esse peso, ad esempio, per il giudizio di conformità all'interesse ex art. 21 TUf e per quello di adeguatezza ed appropriatezza. 6.7. -Appare perciò utile considerare gli swap come negozi a causa variabile, perchè suscettibili di rispondere ora ad una finalità assicurativa ora di copertura di rischi sottostanti; così che la funzione che l'affare persegue va individuata esaminando il caso concreto e che, perciò, in mancanza di una adeguata caratterizzazione causale, detto affare sarà connotato da una irresolutezza di fondo che renderà nullo il relativo contratto perchè non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito (o definibile). 7. -Dopo aver fatto queste necessarie premesse può passarsi ad esaminare la questione (che è la base dei quesiti posti dalla sezione semplice) relativa alla stipulazione dei derivati, swap ed IrS, da parte degli enti pubblici in generale e degli enti locali, in particolare. 7.1. -va innanzitutto compiuto una disamina del quadro normativo. 7.1.1. -Il primo richiamo è alla l. n. 724 del 1994, art. 35, che ha stabilito espressamente la possibilità per gli enti territoriali di ricorrere al mercato dei capitali attraverso l'emissione di prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti, e all'art. 2 del regolamento di attuazione n. 420 del 1996, nella parte in cui ha previsto il ricorso a strumenti derivati mediante l'attivazione di un currency swap come copertura obbligatoria del rischio di cambio nel caso di emissioni obbligazionarie in valuta, la cui finalità è quella di evitare l'esposizione al rischio di cambio, con precipua attenzione, come espressamente evidenziato dal legislatore, a non "introdurre elementi di rischio". 7.1.2. -la prima parte dell'art. 2 del regolamento n. 420 del 1996 disponeva che "Per la copertura del rischio di cambio tutti i prestiti in valuta estera devono essere accompagnati, al momento dell'emissione, da una corrispondente operazione di swap. l'operazione di swap dovrà trasformare, per l'emittente, l'obbligazione in valuta in un'obbligazione in lire, senza introdurre elementi di rischio". ConTEnzIoSo nAzIonAlE 7.1.3. -In tale contesto, un cambiamento avviene con la l. n. 448 del 2001, art. 41 (finanziaria per il 2002), con il quale, al fine di contenere il costo dell'indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica (comma 1), è stata estesa agli enti locali la facoltà di emettere titoli obbligazionari (e di contrarre mutui) con rimborso del capitale in un'unica soluzione alla scadenza -cd. titoli bullet -previa costituzione di un fondo di ammortamento del debito o conclusione di swaps per l'ammortamento del debito (comma 2, previsione poi abrogata dal D.l. n. 112 del 2008, art. 62, comma 10, come modificato dalla l. n. 203 del 2008, art. 3), il tutto sottoposto ad un potere di coordinamento finanziario in capo al Ministero dell'economia e delle finanze. 7.1.4. -risulta evidente come il legislatore del 2001 abbia cercato di impedire il moral hazard di emettere debito, imponendo un fondo di ammortamento o un amortizing swap, cioè uno swap che costringesse l'ente pubblico ad effettuare pagamenti alla controparte dello swap in una misura per cd. equivalente ad un ipotetico piano di ammortamento del debito contratto dall'ente medesimo [lo swap appena descritto ha finalità certamente non speculative (ammortamento del debito) e, comunque, richiede, contestualmente, la convenienza economica dell'operazione. Si è fatto notare come il legislatore abbia in fatto prescritto all'ente pubblico di guadagnare senza rischiare, il tutto all'interno del mercato dell'intermediazione finanziaria dove, connaturata all'operazione, è l'alea di rischio]. 7.1.5. -la maggior parte delle operazioni in esame sono state realizzate dagli enti locali proprio nella vigenza della l. n. 448 del 2001, art. 41. Successivamente, il D.M. n. 389 del 2003 e la circolare del 27 maggio 2004 del Ministero dell'economia e delle finanze hanno regolato l'accesso al mercato dei capitali da parte degli enti territoriali relativamente alle operazioni derivate effettuate e agli ammortamenti costituiti dopo il 4 febbraio 2004, elencando le operazioni di finanza derivata vietate e consentite (unicamente nella forma plain vanilla) agli enti pubblici, i quali dovevano trattare solo con intermediari titolari di un rating non inferiore a quello indicato. 7.1.6. -la l. n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008) ha chiarito la necessità che le modalità contrattuali, gli oneri e gli impegni finanziari in derivati siano espressamente dichiarati in una nota allegata al bilancio e che gli enti locali attestino di essere a conoscenza dei rischi e delle caratteristiche degli strumenti finanziari utilizzati. Tale ultima legge ha rafforzato il regime dei poteri di verifica esterni con un richiamo ad un obbligo di trasparenza, con disposizioni poi abrogate del D.l. n. 112 del 2008, art. 62, comma 10 (intitolato "Contenimento dell'uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali"), per essere riformulate in termini più stringenti dalla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 572 (legge di stabilità per il 2014), che ha modificato l'art. 62, vietando definitivamente, salvo nei casi individuati dalla stessa norma, alle Province autonome di Trento e di bolzano e agli enti locali di "3. (...) a) stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati (...); b) procedere alla rinegoziazione dei contratti derivati in essere alla data di entrata in vigore della presente disposizione; c) stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate". 7.2. -Esaminando la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62 (Contenimento dell'uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali) del D.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, la Corte costituzionale -con la sentenza n. 52 del 2010 -l'ha ritenuta non fondata in relazione ai due parametri evocati (gli artt. 70 e 77 Cost.) ed ha dato chiarimenti valevoli anche per il futuro. 7.2.1. -Secondo il Giudice delle leggi, infatti, la disciplina introdotta con le disposizioni del richiamato art. 62, era diretta a contenere l'esposizione delle regioni e degli altri enti locali rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 territoriali a indebitamenti che, per il rischio che comportano, possono esporre le rispettive finanze ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all'atto della stipulazione dei relativi contratti aventi ad oggetto i cosiddetti derivati finanziari (così che, nel caso specificamente esaminato, sussistevano oggettivamente quelle ragioni di straordinarietà e urgenza che giustificavano il ricorso al Decreto legge, volto, da un lato, alla disciplina a regime del fenomeno e, dall'altro, al divieto immediato per gli enti stessi di ricorrere ai predetti strumenti finanziari). 7.3. -Considerato tale basilare insegnamento, la l. n. 147 del 2013 (la cd. legge di stabilità per il 2014) ha, quindi, stabilito che, salvo eccezioni, l'accesso ai derivati è precluso (a pena di nullità eccepibile dal solo ente) agli enti locali. 7.3.1. -Si tratta di una normativa primaria di grande importanza la cui ratio, sul presupposto della spiccata aleatorietà delle negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari in esame (come espressa dalla Corte costituzionale, con la menzionata decisione n. 52 del 2010, nel- l'esigenza di "evitare che possa essere messa in pericolo la disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività"), ha portato il legislatore, con l'art. 1, comma 572, lett. d), di tale legge, a prevedere, a pena di nullità rilevabile unicamente dall'ente, la necessità di un'attestazione scritta dell'organo pubblico, competente a firmare tali tipi di contratti, di avere una specifica conoscenza dei rischi e delle caratteristiche del derivato, nonchè delle variazioni intervenute nella copertura del sottostante indebitamento. 7.3.2. -non si mostrerà stupore, perciò, riguardo al fatto che l'attuale regolamentazione sia ritenuta, in dottrina, un valido punto di equilibrio; infatti, le problematiche discusse permangono rispetto ai contratti stipulati in passato dalla P.A. 8. -osserva la Corte che il menzionato percorso normativo, per quanto tormentato e non sempre lineare, consente di poter concludere che, anche per il periodo di vigenza dell'art. 41 della legge finanziaria per il 2002 e, quindi, fino al 2008 (anno in cui il legislatore ha inserito limiti più stringenti alla capacità degli enti di concludere derivati) il potere contrattuale degli enti locali incontrava sicuri limiti. 8.1. -Innanzitutto, il derivato per essere ammissibile, doveva essere economicamente conveniente essendo vietato concludere derivati speculativi. la Corte costituzionale, infatti, ha chiarito, con la decisione n. 52 del 2010 (che si ricollega a quella n. 376 del 2003), che il divieto di concludere contratti speculativi può essere ricondotto, in prima battuta, dell'art. 119 Cost., commi 4 e 6, che rispettivamente enunciano il vincolo dell'equilibrio finanziario e la necessaria finalizzazione dell'indebitamento alle spese di investimento (conclusione che è stata rafforzata con l'ulteriore richiamo all'esistenza della materia di legislazione concorrente del "coordinamento della finanza pubblica" di cui all'art. 117 Cost., comma 3). 8.2. -Infatti, i contratti derivati, in quanto aleatori, sarebbero già di per sè non stipulabili dalla P.A., poichè l'aleatorietà costituisce una forte disarmonia nell'ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introducendo variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa. Perciò bisogna concludere che, le disposizioni normative sopra passate in rassegna, che tali possibilità prevedevano, consentivano solo ciò che, normalmente, sarebbe stato vietato, con la conseguenza che dette previsioni erano anzitutto di natura eccezionale e di stretta interpretazione, avendo reso i derivati stipulati dalle pubbliche amministrazioni come contratti tipici, diversamente da quelli innominati conclusi dai privati (per quanto appartenenti all'amplissimo e medesimo genus). 8.3. -Sicchè, alla luce del quadro normativo e assiologico così delineato, può già formularsi una prima conclusione, secondo la quale: ConTEnzIoSo nAzIonAlE il riconoscimento della legittimazione dell'Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente fino al 2013 (quando la l. n. 147 del 2013, ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l'ente locale potesse dirsi legittimato a procedere alla loro stipula. 9. -E però, tanto non esaurisce il problema portato all'esame di queste Sezioni unite, dovendosi -pur nell'ambito del percorso astrattamente ammissibile -verificare se non siano riscontrabili altri limiti alla liceità di siffatti tipi contrattuali per la PA. 9.1. -restano infatti aperti i problemi generali relativi alla determinatezza (o determinabilità) dell'oggetto del contratto; quelli secondo i quali la validità dell'accordo va verificato in presenza di un negozio (tra intermediario ed ente pubblico o investitore) che indichi (o meno) la misura dell'alea, calcolata secondo criteri riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perchè il legislatore autorizza solo questo genere di scommesse sul presupposto dell'utilità sociale di quelle razionali, intese come specie evoluta delle scommesse di pura abilità. 9.2. -E tale accordo sulla misurabilità/determinazione dell'oggetto non deve limitarsi al criterio del mark to market, ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poichè il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell'alea. Esso deve concernere la misura qualitativa e quantitativa dell'alea e, dunque, la stessa misura dei costi, pur se impliciti. 9.3. -Infatti, l'importanza dei menzionati parametri di calcolo consegue alla circostanza che tramite essi si può realizzare la funzione di gestione del rischio finanziario, con la particolarità che il parametro scelto assume alla scadenza l'effetto di una molteplicità di variabili. 9.4. -Si è già richiamato l'art. 23, comma 5, del TUf, il quale dispone che "Nell'ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonchè a quelli analoghi individuati ai sensi dell'art. 18, comma 5, lett. a), non si applica l'art. 1933 c.c.", così autorizzandosi non sic et simpliciter una scommessa, ma delimitando, con un criterio soggettivo, la causa dello swap, ricollegata espressamente al settore finanziario. 9.5. -Del resto, l'intermediario finanziario è tenuto a fornire raccomandazioni personalizzate al suo assistito; anche attraverso la deduzione dei cd. costi impliciti, altrimenti riconducendosi ad essi lo squilibrio iniziale dell'alea, misurato in termini probabilistici, sull'assunto che ciò costituisca un incentivo affinchè l'intermediario raccomandi all'investitore strumenti oTC, nei quali la remunerazione è occultata, piuttosto che strumenti da acquisire sul mercato, presso cui il compenso ha la forma della commissione da concordare. 9.6. -Con la possibilità di riconoscere una ipotesi di conflitto di interessi fra intermediario e cliente, poichè nei derivati oTC, a differenza che in quelli uniformi, tale conflitto è naturale, discendendo dall'assommarsi nel medesimo soggetto delle qualità di offerente e consulente. 9.7. -Appare perciò corretto l'esame condotto caso per caso, attraverso un approccio concreto; quell'approccio che ha portato il giudice di merito ad affermare le conseguenze sanzionatorie in quei rapporti contrattuali, considerato che: a) in nessuno dei contratti al suo esame figurava la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (cd. mark to market), che un'attenta e condivisibile giurisprudenza di merito riteneva "elemento essenziale dello stesso ed integrativo della sua causa tipica (un'alea razionale e quindi misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (hedging) o speculativa"; b) la potenziale passività insita in ogni contratto di swap trova una sua evidenza concreta ed attuale nella clausola di upfront, in fatto presente in due dei tre rapporti sostanziali oggetto di giudizio. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 9.8. -In relazione, a tali profili, pertanto i mezzi di ricorso n. 3, 4 e 5 sono infondati e devono essere respinti dovendosi affermare la regula iuris, secondo la quale: in tema di contratti derivati, stipulati dai Comuni italiani sulla base della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la l. n. 147 del 2013, ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, pur potendo l'ente locale procedere alla stipula dei primi con qualificati intermediari finanziari nondimeno esso poteva utilmente ed efficacemente procedervi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l'ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell'ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio. 10. -E però, tanto non esaurisce il problema portato all'esame di queste Sezioni, in ragione dei restanti motivi (1 e 2) di ricorso, aventi ad oggetto il problema dell'indebitamento degli enti pubblici e della competenza a deliberare in ordine ad esso. 10.1. -Al fine di considerare risolto tale problema, non basta, infatti, una mera riduzione del tasso d'interesse nell'esercizio finanziario, dovendosi tenere conto, altresì, dei rischi connessi alle diverse condizioni di indebitamento, alla durata del debito e alle modalità di estinzione della passività. In questa ottica, si è affermato che una rinegoziazione non può essere uno strumento da utilizzare immediatamente per fare fronte alla spesa corrente, soprattutto qualora il suo esito sia di allungare i termini di pagamento del debito originario. 10.1.1. -Preliminarmente, però, bisogna prendere posizione sul concetto di indebitamento e su quello stesso di upfront. 10.1.2. -In ordine a tale ultima clausola, un condivisibile orientamento (sia dottrinale che giurisprudenziale) qualifica le somme così percepite quale finanziamento. 10.1.3. -Gli importi ricevuti a titolo di upfront costituiscono indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell'art. 119 Cost., anche per il periodo antecedente l'approvazione del D.l. n. 112 del 2008, art. 62, comma 9, come modificato dalla l. n. 133 del 2008, in sede di conversione e, successivamente, sostituito dalla l. n. 203 del 2008, art. 3 (finanziaria per il 2009), il quale ha stabilito che "sulla base dei criteri definiti in sede europea dall'Ufficio statistico delle Comunità europee (eUrostat), l'eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate costituisce indebitamento dell'ente". la normativa del 2008 ha perciò preso atto della natura di indebitamento di quanto conseguito con l'upfront, senza innovare l'ordinamento. 10.1.4. -Peraltro, se il denaro ottenuto con l'upfront è da considerare indebitamento, lo stesso non può dirsi degli IrS conclusi dagli enti pubblici, i quali, eventualmente, possono presupporre un indebitamento. Infatti, l'operazione di swap va guardata nel complesso, perchè il suo effetto può, sostanzialmente, consistere in un indebitamento, com'è dimostrato da quegli enti locali che sono stati capaci di utilizzare gli IrS alla stregua di mutui e, tramite essi, in concreto, modificare e gestire il livello dell'indebitamento (Senza dire che detti IrS si fondavano tendenzialmente, per legge, su un precedente indebitamento). 10.2. -In ordine all'organo comunale tenuto ad autorizzare il ricorso agli IrS, la dottrina e la giurisprudenza perciò attribuiscono, in grande prevalenza e condivisibilmente, la relativa competenza al Consiglio comunale. 10.3. -Più in generale, si tratta di valutare sia il caso della ristrutturazione dei debiti da parte ConTEnzIoSo nAzIonAlE dei Comuni e sia quello del loro finanziamento mediante la previsione di una clausola di up- front: se in entrambi i casi si tratti o meno di una forma d'indebitamento e, quindi, di materia di competenza consiliare. Poichè, com'è noto, l'art. 42, comma 2, lett. i), TUEl, stabiliva che "il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (...) -spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo". 10.4. -A favore della scelta consiliare, oltre che le condizioni sostanziali di tali forme di finanziamento, depone anche la necessità di assicurare il coinvolgimento degli schieramenti assembleari di minoranza, i quali sono chiamati ad esercitare un controllo sull'operazione finanziaria. Infatti, la possibilità che i contratti derivati oggetto del contendere, seppur pattuiti da un Comune con lo scopo di rinegoziare in termini più favorevoli i mutui precedenti, comportino spese per l'amministrazione che li stipula e che tali spese gravino a carico degli esercizi successivi a quello di sottoscrizione del contratto è un'eventualità non remota, ma connaturata alla natura aleatoria del negozio. 10.4.1. -l'organo consiliare deve valutare la convenienza di operazioni che porranno vincoli all'utilizzo di risorse future, precisando che l'attività negoziale dell'ente territoriale deve avvenire secondo le regole della contabilità pubblica che disciplinano lo svolgimento dei compiti propri dell'ente che utilizza risorse della collettività. Pertanto, ove il Comune intenda procedere ad un'operazione di ristrutturazione del debito, deve individuare le principali caratteristiche e le modalità attuative di essa e, poi, selezionare con una gara la migliore offerta in relazione non solo allo scopo che mira a raggiungere, ma anche alle modalità che vuole seguire, dovendo la P.A. conformare la sua azione ai principi di economicità e convenienza economica. 10.4.2. -Deve tenersi conto che gli enti locali erano obbligati a concludere swaps con fini di copertura dichiarati. Ciò significa che era presente un collegamento negoziale ex lege e che tale circostanza rendeva necessario l'intervento del Consiglio comunale, poichè il contratto precedente era comunemente un mutuo e, dunque, il collegamento de quo riguardava atti che costituivano indebitamento. 10.5. -Peraltro, la conclusione degli IrS si traduceva sovente nell'estinzione dei precedenti rapporti. ne derivava che, venendo meno un contratto che costituiva indebitamento, l'IrS doveva essere approvato dal Consiglio comunale. Se, invece, il precedente mutuo fosse rimasto in vita, ma, nella sostanza, il rapporto fosse stato modificato (ad esempio, allungando nel tempo l'esposizione debitoria), l'intervento consiliare sarebbe stato, in ogni caso, necessario, perchè le condizioni dell'indebitamento sarebbero mutate, incidendo sui costi pluriennali di bilancio. 10.6. -Deve perciò affermarsi che, ove l'IrS negoziato dal Comune incida sull'entità globale dell'indebitamento dell'ente, l'operazione economica debba, a pena di nullità della pattuizione conclusa, essere autorizzata dal Consiglio comunale, tenendo presente che la ristrutturazione del debito va accertata considerando l'operazione nel suo complesso, comprendendo -per il principio di trasparenza della contabilità pubblica -anche i costi occulti che gravano sulla concreta disciplina del rapporto di swap. 10.7. -ne deriva che non è censurabile la sentenza impugnata che ha ritenuto pienamente fondato il rilievo del Comune per il quale il contratto di swap ed in particolare -ma non solo -quello che prevedeva una clausola di iniziale upfront, costituisse, proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale. 10.8. -In conclusione, anche tali ulteriori motivi devono essere respinti, in ossequio alla regula iuris secondo cui: rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 l'autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi in cui la sua negoziazione si traduce comunque nell'estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. i), TUEl di cui al D.lgs. n. 267 del 2000 (laddove stabilisce che "il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (...) "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (...)"); non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell'indebitamento dell'ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, stesso Testo Unico. 11. -Il ricorso principale, complessivamente infondato deve essere respinto, con assorbimento dell'unico motivo del ricorso incidentale condizionato, del Comune. 11.1. -le spese processuali sono compensate per la novità e controvertibilità delle questioni ora decise. P.q.M. la Corte, a Sezioni Unite; rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale. Spese compensate. Ai sensi del D.P.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Così deciso in roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, l’8 ottobre 2019. ConTEnzIoSo nAzIonAlE La responsabilità della P.a. per spoils system costituzionalmente illegittimo: la “soggettivizzazione” dell’amministrazione e il punto di contatto tra le concezioni privatistica e pubblicistica della revoca delle funzioni dirigenziali Nota a CassazioNe, sesta sezioNe Civile, orDiNaNza 8 ottobre 2019 N. 25189 Gabriele Luzi* in caso di illegittima risoluzione anticipata d’un incarico dirigenziale in base a norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima, al dirigente spetta il risarcimento del danno; tale danno, considerato che la colpa dell’agente è elemento essenziale dell’illecito, è risarcibile solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, ove l’amministrazione non si sia conformata alla sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale e a condizione che a detta data non fosse già decorso anche il termine finale previsto nel contratto di conferimento dell’incarico. sommario: 1. Premessa -2. il caso -3. la soluzione della suprema Corte -4. spunti di riflessione. Conclusioni. 1. Premessa. nell’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ritorna su un tema di particolare importanza e frequenza: la configurabilità di un illecito da parte della Pubblica Amministrazione nel caso di sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità della disciplina sul c.d. spoils system. Con tale ultimo termine si indica, come noto, una fattispecie di decadenza automatica dagli incarichi dirigenziali, connessa al cambio dell’esecutivo (1). l’interrogativo che si pone è il seguente: dato che la sentenza di accoglimento del Giudice delle leggi è destinata a produrre effetti ex tunc, eliminando la norma incostituzionale dal momento della sua entrata in vigore, potrebbe configurarsi un comportamento dell’Amministrazione -che comunica la scadenza dall’incarico al dirigente -anch’esso illecito ex tunc, in quanto sin dal- l’inizio non più conforme ad alcuna norma dell’ordinamento? 2. il caso. la pronuncia in questione prende le mosse da un contenzioso decennale (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. St. verdiana fedeli). (1) Si veda anche la corrispondente voce in treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/spoilssystem. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 afferente all’Avvocatura Generale dello Stato, relativo a una fattispecie di spoils system verificatasi con il passaggio dalla Xv alla XvI legislatura della repubblica. A un dirigente dell’Istat, che aveva ottenuto l’incarico quinquennale per il coordinamento della Direzione generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali del Ministero per la solidarietà (l’odierno Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali) il 31 luglio 2007, veniva comunicata la scadenza ope legis del suo incarico il 13 agosto 2008 in base alla disposizione dell’art. 19 comma 8 d.lgs. 165/2001. Tale articolo, nella formulazione anteriore alla modifica intervenuta con l’art. 40 d.lgs. 150/2009, prevedeva che venissero dichiarati decaduti decorsi 90 giorni dal voto di fiducia alla nuova compagine governativa (2) non solo gli incarichi dirigenziali di carattere apicale (quindi inevitabilmente connessi con il potere politico, come ad esempio il “segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente” (3)), ma anche quelli attribuiti a soggetti “esterni” non incardinati nei ruoli dirigenziali previsti dalla stessa amministrazione di appartenenza -fossero soggetti comunque inquadrati nelle Amministrazioni pubbliche, come il dirigente dell’Istat nel caso in analisi, o selezionati tra coloro con esperienza di almeno cinque anni in funzioni analoghe nel settore privato oppure con particolare formazione professionale. l’ormai ex dirigente per il coordinamento della Direzione generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali ricorreva al Tribunale di roma per ottenere l’annullamento della revoca dell’incarico, con conseguente reintegrazione anche in una funzione equivalente e la condanna del Ministero alla corresponsione delle differenze retributive tra il compenso per la mansione svolta presso il Ministero e quanto percepito presso l’Istat fino alla reintegra, oltre al risarcimento del danno professionale subito. Con il ricorso chiedeva anche al giudice di rilevare una questione di legittimità costituzionale del citato art. 19 comma 8, in quanto applicabile alla fattispecie in causa. nel frattempo, il legislatore interveniva sull’art. 19 con il d.lgs. 150/2009, espungendo dal comma 8 il riferimento ai soggetti che non rivestissero posizioni dirigenziali di tipo apicale. Stante la mancanza di una espressa clausola di retroattività, il problema continuava a porsi per i soggetti che fossero stati dichiarati decaduti antecedentemente alla riforma, come l’ex dirigente del caso di specie. Il Tribunale di roma, nel frattempo, riteneva la questione rilevante e non manifestamente infondata, rimettendola alla Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi, con sentenza dell’11 aprile 2011, n. 124 dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 19 comma 8 precedente versione, nella parte in cui (2) Sulla ricostruzione dell’evoluzione normativa di tale disposizione, per la verità piuttosto travagliata, si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 124/2011. (3) Art. 19 comma 3 d.lgs. 165/2001. ConTEnzIoSo nAzIonAlE disponeva che gli incarichi di funzione dirigenziale generale (limitatamente al personale non appartenente ai ruoli della stessa amministrazione) cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. la Corte rilevava che “questa Corte ha più volte affermato l'illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l'esercizio di compiti di gestione, cioè di «funzioni amministrative di esecuzione dell'indirizzo politico» (sentenze n. 224 e n. 34 del 2010, n. 390 e 351 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007), ritenendo, di converso, costituzionalmente legittimo lo spoils system quando riferito a posizioni apicali (…) Non vi è dubbio che la disposizione censurata si riferisca ad incarichi che comportano esercizio di funzioni di gestione amministrativa”. D’altra parte, il Giudice delle leggi aveva precedentemente affermato che “la natura esterna dell'incarico non costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie”, concludendo che “anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve … assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione” (4). la pronuncia n. 124/2011 traeva dunque le fila del discorso osservando che, vista la precedente dichiarazione di incostituzionalità dello spoils system transitorio per gli incarichi dirigenziali dello stesso tipo di quello svolto dall’ex dirigente, la disposizione in esame era da considerarsi illegittima (5). Il ricorrente riassumeva quindi il giudizio e il Tribunale, con sentenza n. 18287/2011, condannava il Ministero alla reintegra nell’incarico del dirigente fino alla scadenza originariamente prevista per il 31 luglio 2012, nonché al risarcimento del danno in misura pari alla differenza tra il trattamento retributivo percepito a seguito del conferimento dell’incarico, poi cessato per effetto dello spoils system, e quello percepito presso l’Istat in seguito alla nuova immissione nei ruoli. Il Ministero e lo stesso dirigente impugnavano la sentenza per profili diversi di fronte alla Corte d’Appello di roma che, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dal privato, condannava l’Amministrazione al risarcimento del danno in misura pari alle differenze stipendiali e sin dalla data di messa in mora del 28 ottobre 2008, fino all’effettiva reintegrazione dell’incarico o, in mancanza, fino al 31 luglio 2012. (4) C. Cost., sent. n. 161/2008. (5) È da rilevare che il Giudice delle leggi sarebbe tornato sul punto pochi mesi dopo (sent. 25 luglio 2011, n. 246), dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 19 comma 8 d.lgs. 165/2001 anche nella parte in cui disponeva l’operatività dello spoils system per i dirigenti provenienti dal settore privato oppure con particolare formazione professionale (art. 19 comma 6 d.lgs. cit.). rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Contro tale assunto proponeva ricorso per cassazione il Ministero del lavoro, sostenendo che il momento iniziale per il calcolo del risarcimento del danno dovuto dall’Amministrazione fosse da individuare nel giorno successivo a quello della pubblicazione della pronuncia della Corte Costituzionale (e dunque il 12 aprile 2011) e non prima, stante l’effettiva vigenza fino a quel tempo della disposizione di cui all’art. 19 comma 8 d.lgs. 165/2001, seppure intrinsecamente illegittima. 3. la soluzione della suprema Corte. la questione arrivata all’analisi della Cassazione imponeva un aut-aut: la prima possibilità era ritenere perfezionato l’illecito del Ministero sostanzialmente fin dal momento della risoluzione anticipata del rapporto lavorativo, in quanto la pronuncia del Giudice delle leggi avrebbe reso illegittimo l’art. 19 comma 8 d.lgs. citato ex tunc, in ossequio alla costante ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale dell’efficacia delle sentenze della Corte Costituzionale; l’altro esito era, fermo restando l’effetto caducatorio della sentenza della Corte Costituzionale sulla norma, ritenere verificato l’illecito dal momento in cui veniva proclamata l’illegittimità del sopra menzionato articolo. la scelta della Suprema Corte è stata in questo secondo senso, traendo spunto da un orientamento già espresso dalle Sezioni Unite negli anni ’70 e più recentemente ripreso proprio in tema di decadenza automatica dalle funzioni dirigenziali successivamente dichiarata incostituzionale (Cass. civ, sez. lav., n. 29169/2018; Cass. civ, sez. lav., n. 20100/2015; Cass. civ., sez. lav., n. 355/2013). Gli effetti retroattivi della pronuncia di incostituzionalità riguardano la sola illegittimità delle norme, ma non l’eventuale configurabilità della colpa in capo ai soggetti, requisito soggettivo dell’illecito. Proprio perché la colpa è uno stato soggettivo meritevole di un effettivo accertamento, che non può essere sostituito da una mera fictio juris, la responsabilità dell’Amministrazione è stata configurata dalla pronuncia di incostituzionalità (rectius, dal giorno successivo alla pubblicazione della stessa, ex art. 136 Cost.). Da quel momento, infatti, l’Amministrazione era resa edotta dell’invalidità della norma ed aveva la possibilità di immettere nuovamente nelle sue funzioni l’ex dirigente, il cui incarico non era scaduto. 4. spunti di riflessione. Conclusioni. Come si è avuto modo di analizzare sub punto 3, la soluzione dei Giudici di legittimità non si caratterizza per innovatività rispetto ai precedenti orientamenti, ma fornisce l’occasione per fare un’osservazione sulla responsabilità dell’Amministrazione. l’atto di revoca dalle funzioni dirigenziali è stato considerato, nel caso di specie, avente natura privatistica (6) e ciò ha legittimato il richiamo ai ConTEnzIoSo nAzIonAlE concetti di responsabilità disciplinati dal codice civile. Quid juris se, accedendo alla tesi opposta esistente sul tema (7), si volesse considerare la revoca come un provvedimento amministrativo? Il cambiamento della disciplina a cui l’atto è sottoposto avrebbe fondato una responsabilità dell’Amministrazione indipendentemente dall’elemento soggettivo (in questo caso, la colpa)? Si ritiene che i risultati a cui la Suprema Corte perviene non sarebbero affatto cambiati. In dottrina (8) e in giurisprudenza (9), successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 500/99, si è ritenuto che la responsabilità dell’Amministrazione necessariamente integrasse un momento oggettivo ed uno soggettivo. In particolar modo, è stata ricostruita la colpa come violazione dei parametri dell’imparzialità, della correttezza e del buon andamento, ovvero come inescusabile negligenza, omissione o errore interpretativo di norme, non potendo ritenersi (generalmente) in re ipsa nell’adozione di un provvedimento invalido. nonostante permangano orientamenti contrari (10), l’illegittimità dell’atto adottato è solamente un indizio della colpa, la quale deve però essere apprezzata come vero e proprio status soggettivo. fondamentale a questo proposito è la distinzione tra le categorie dell’illegittimità e dell’illiceità dell’atto amministrativo. Con il termine illegittimità (o invalidità) si indica l’atto in contrasto con lo schema legale: si tratta di una ampia categoria, che comprende le patologie della nullità, dell’annullabilità e (per chi ne ammette la separata esistenza rispetto alla nullità) dell’inesistenza. Con illiceità si intende invece il comportamento dell’Amministrazione, lesivo di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento. le due situazioni possono coesistere nella prassi, come anche rimanere distinte (11). Il caso qui in esame costituirebbe un esempio di entrambe le ipotesi. Si deve ritenere che, in un primo momento, l’Amministrazione non avrebbe compiuto un illecito per difetto dell’elemento soggettivo, pur avendo adottato un (6) In adesione all’orientamento prevalente nella giurisprudenza ordinaria: Cass. civ., SS.UU., n. 21671/2013; Cass. civ., SS.UU., n. 6330/2012. (7) Che privilegia la distinzione tra atto che conferisce l’incarico (e la speculare revoca) e contratto che regolamenta l’incarico, nonché l’espressa definizione di “provvedimento” usata dal legislatore per il primo atto nell’art. 19 comma 2 d.lgs. 165/2001. (8) r. GArofolI (a cura di), Compendio di Diritto amministrativo. Parte Generale e speciale, Molfetta 2019, p. 791. (9) Cass. civ., sez. III, n. 31567/2018; Cass. Civ., sez. I, n. 16196/2018; Cons. St., sez. III, n. 3134/2018. (10) Di matrice eurounitaria, che ravvisano nell’illegittimità “grave” dell’atto (considerati i vizi dell’atto, il margine di discrezionalità della P.A., i precedenti giurisprudenziali) riprova della colpa della P.A. (11) In giurisprudenza, sostanzialmente conforme (pur in relazione alla sola culpa in eligendo/in vigilando), Cons. St., sez. Iv, n. 1808/2016, che afferma la responsabilità per colpa della P.A. pur in assenza di un atto illegittimo. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 atto illegittimo in quanto contrastante con i dettami costituzionali (12). Successivamente alla pronuncia della Corte Costituzionale, con il mancato reintegro nel posto di lavoro dell’ex dirigente, all’illegittimità dell’atto si sarebbe raccordata l’illiceità del comportamento dell’Amministrazione. Il risarcimento al privato spetterebbe solamente in quest’ultimo momento, e ciò costituisce esattamente la stessa conclusione alla quale si addiviene considerando l’atto di revoca come atto avente natura privatistica. Da quanto precede discende che, a prescindere dall’opzione per la tesi della natura privatistica o pubblicistica della revoca dell’incarico dirigenziale, le conclusioni in tema di responsabilità della P.A. sono le medesime. Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, ordinanza 8 ottobre 2019 n. 25189 -Pres. P. Curzio, rel. A. Doronzo -Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali (avv. gen. Stato) c. n.z. (avv. T. Di nitto) e nei confronti di S.G.M. Rilevato che: n. z., dirigente di ricerca di primo livello professionale, in organico nei ruoli dell’Istat, aveva ottenuto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 31/7/2007, ai sensi dell’art. 19, commi 4 e 5 bis, del d.lgs. n. 165/2001, l’incarico dirigenziale della durata di cinque anni per il coordinamento della Direzione generale per il volontariato, l’associazionismo e le formazioni sociali del Ministero per la solidarietà (attualmente Ministero del lavoro e delle politiche sociali); a seguito dell’insediamento del nuovo governo, con nota del 21/7/2008 il Capo di gabinetto del Ministro in carica pro tempore aveva comunicato che l’incarico al dottor z. sarebbe venuto a scadenza ope legis il 13/8/2008 ai sensi dell’art. 19, comma 8, d.lgs. cit., e, con successiva nota del 24/7/2008, la revoca era stata comunicata all’Istat e all’interessato; lo z. adiva pertanto il Tribunale di roma per ottenere l’annullamento della revoca, con conseguente reintegrazione nell’incarico o in una funzione equivalente, e la condanna del Ministero alla corresponsione delle differenze retributive tra quanto spettantegli come dirigente e quanto percepito presso la amministrazione di appartenenza fino alla reintegra, oltre al risarcimento del danno professionale subito; il Tribunale sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 8, del decreto legislativo n. 165/2001; con sentenza n. 124/2011 la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità della norma; riassunto il giudizio, il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il Ministero alla riassegnazione dell’incarico allo z. fino alla sua naturale scadenza (31/7/2012), nonché al risarcimento del danno, pari al pagamento dell’importo medio mensile della differenza tra il trattamento retributivo percepito a seguito del conferimento dell’incarico poi revocato e quello percepito presso l’amministrazione di appartenenza dal 5/11/2008 al 9/4/2009, mentre rigettava la domanda di risarcimento danni per la lesione della dignità professionale; (12) In dottrina è concorde GArofolI (op. cit., p. 792) che, relativamente ad atti adottati seguendo disposizioni successivamente dichiarate incostituzionali, ha affermato che si sarebbe di fronte ad un errore scusabile da parte dell’Amministrazione. ConTEnzIoSo nAzIonAlE la Corte d’appello di roma, con sentenza pubblicata il 29/4/2016, rigettava l’impugnazione del Ministero e, in accoglimento dell’appello incidentale dello z., condannava il Ministero alle differenze stipendiali dalla data di messa in mora, contenuta nell’istanza del tentativo di conciliazione del 28/10/2008, fino all’effettiva reintegrazione dell’incarico, o, in mancanza, fino al 31/7/2012; contro la sentenza ricorre il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali e articola un unico motivo, illustrato da memoria, al quale resiste con controricorso lo z.; è rimasto invece intimato il S.; la proposta del relatore sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. è stata notificata, alle parti unitamente al decreto presidenziale di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata alle parti. Considerato che: con l’unico motivo di ricorso il Ministero denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1256 cod. civ., in relazione all’art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001, e censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illecita la condotta dell’amministrazione, che pure si era conformata al disposto della norma citata, anche per il periodo precedente alla declaratoria della sua illegittimità costituzionale; precisa al riguardo che solo con la sentenza della Corte costituzionale dell’11/4/2011, n. 124, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 40 del d.lgs. 27/10/2009, n. 150, la sua condotta poteva ritenersi contra ius e richiama il precedente delle Sezioni Unite del 21/8/1972, n. 2697 (oltre a Cass. Sez. Un. 37 due 1993, n. 8478); il motivo è fondato alla luce dei principi più volte affermati da questa Corte (Cass. 07/10/2015, n. 20100; Cass. 13/11/2018, n. 29169 e, prima ancora, Cass. 9/1/2013, n. 355) secondo cui la retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale riguarda l'antigiuridicità delle norme investite, non più applicabili neanche ai rapporti pregressi non ancora esauriti, ma non consente di configurare retroattivamente e fittiziamente una colpa del soggetto che, prima della declaratoria di incostituzionalità, abbia conformato il proprio comportamento alle norme solo successivamente invalidate dalla Corte costituzionale; si tratta di un indirizzo giurisprudenziale che ha origini remote, atteso che già con la sentenza n. 2697/72 le S.U. di questa Corte avevano sostenuto che, se può riconoscersi efficacia retroattiva alla cosiddetta antigiuridicità, non può ammettersi che si configuri retroattivamente la colpa intesa quale atteggiamento psichico del soggetto, che non può ravvisarsi, neppure sotto forma di una sorta di fìctio iuris, riguardo ad un comportamento imposto da una norma cogente, anche se incostituzionale, fino a che essa sia in vigore; applicando questi principi alle domande aventi ad oggetto pretese risarcitorie in caso di illegittima risoluzione anticipata d'un incarico dirigenziale in base a norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima, al dirigente spetta il risarcimento del danno, ma tale danno, considerato che la colpa dell’agente è elemento essenziale dell’illecito, è risarcibile solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale -e non dalla data di cessazione del rapporto -ove l’amministrazione non si sia conformata alla sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale e a condizione che a detta data non fosse già decorso anche il termine finale originariamente previsto nel contratto di conferimento dell'incarico (in tal senso, Cass. n. 29169/2018); a questi principi la corte territoriale non si è attenuta, avendo riconosciuto il risarcimento del danno dal momento della costituzione in mora, ovvero dalla richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione del 28/10/2008, mentre la sentenza della Corte costituzionale risulta pubblicata in data 11/4/2011; rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 nel controricorso lo z. assume che la revoca dell’incarico dirigenziale era già di per sé illegittima, e che pertanto sussisteva una colpa dell’amministrazione a prescindere dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 19 cit.; ciò sul presupposto che vi erano state altre pronunce della Corte costituzionale che avevano dichiarato illegittimo il meccanismo dello spoils system previsto da altre norme, nonché per vizi che inficiavano l’atto di revoca (mancanza di valutazioni negative sul suo operato, mancato rispetto di norme procedimentali); si tratta di affermazioni che non trovano riscontro nella sentenza impugnata, la quale ha confermato la sentenza del tribunale che -dopo aver ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 e sollevato la stessa dinanzi alla Corte costituzionale (ove infatti avesse ritenuto il provvedimento già viziato la questione di legittimità costituzionale non sarebbe stata rilevante) -ha ritenuto illegittima la revoca per l’unica ragione data dalla intervenuta caducazione dell’art. 19, comma 8, d.lgs. cit.; né il ricorrente specifica quando, in che termini e con quale atto gli altri profili di colpa nel- l’amministrazione o gli altri vizi di legittimità del provvedimento sarebbero stati dedotti in giudizio, le ragioni del loro eventuale rigetto da parte del tribunale e la riproposizione degli stessi dinanzi al giudice d’appello, e ciò al fine di evitare una statuizione di inammissibilità delle questioni in quanto nuove (Cass. 09/08/2018, n. 20694); in conclusione il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d'Appello di roma, in diversa composizione, che si uniformerà al principio di diritto su indicato e alla quale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di roma, in diversa composizione. Così deciso in roma, nell’adunanza camerale del 8 maggio 2019. ConTEnzIoSo nAzIonAlE Sull’interpretazione dell’art. 118, co. 3, vecchio codice appalti Corte aPPello Di trieste, sezioNe i Civile, seNteNza 1 ottobre 2020 N. 426 In tema di possibilità per l’impresa subappaltatrice di agire direttamente nei confronti della stazione appaltante per ottenere il pagamento delle proprie fatture relative a prestazioni svolte a titolo di fornitura e a titolo di subappalto, la decisione favorevole sull’interpretazione dell’art. 118, comma III, d.lgs. 163/2006, ancora ratione temporis applicabile per numerose fattispecie, nonché dell’art. 13, comma 2, lett. a), legge 180/2011, è stata confermata in appello con un sempre utile chiarimento preliminare sul principio di sussidiarietà delle azioni e sull’inesperibilità (tanto meno in fase di gravame, ove si sia formato giudicato interno sulla domanda di merito) dell’azione residuale di ingiusto arricchimento in caso di esito negativo dell’azione contrattuale tipica, non per carenza del titolo o per inefficacia dell’accordo, ma per infondatezza nel merito della domanda. In allegato l’atto difensivo in appello. Beatrice Favero* CT 392/2018/fA CorTE D’APPEllo DI TrIESTE Sezione Civile Ud. cit. 6 febbraio 2020 CoMPArSA DI rISPoSTA per l’Università degli Studi di Udine, C.f. 80014550307, in persona del rettore in carica, con sede in Udine, via Palladio n. 8, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, C.f. 80025500325, con sede in Trieste, Piazza Dalmazia n. 3, presso cui è per legge domiciliata e presso cui andranno inviate le comunicazioni di Cancelleria, giusta il disposto di cui all’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 176 c.p.c., al numero di telefax 040-361109, ovvero all’indirizzo PEC: ads@mailcert.avvocaturatato.it, appellata avverso GAETA CoSTrUzIonI S.r.l., P.Iva 03237180352, n. rEA SA 280484, in persona del legale rappresentante pro tempore (omissis), rappresentata e difesa dall’Avvocato Pierluigi vicidomini del foro di Salerno ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Salerno, alla via Paolo de Granita n. 14, appellante nel giudizio d’impugnazione della sentenza n. 1060/2019 emessa dal Tribunale di Udine, Giudice dott.ssa Antonini a conclusione del procedimento rG n. 1491/2018 e pubblicata il 17.9.2019. (*) Procuratore dello Stato, che ne ha curato il contenzioso unitamente, in primo grado, alla proc. St. laura zoppo. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 * l’Università si costituisce nel giudizio d’appello chiedendo il rigetto del gravame e la conferma integrale della sentenza impugnata, che appare corretta in fatto e in diritto e non efficacemente contrastata dai motivi d’appello, per i seguenti motivi di fATTo l’Impresa GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. assumeva la qualità di impresa subappaltatrice della società lIbrA S.p.A., la quale risultava aggiudicataria della procedura di appalto indetta dal- l’Università di Udine con bando di gara di data 27.3.2014 ed avente ad oggetto lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale del complesso denominato “ex scuola bianchini corpo C” a Udine (doc. 1 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). In particolare, in ossequio al dettato di cui all’art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, con provvedimento dirigenziale n. 453 di data 12.11.2015, l’Università appaltante autorizzava l’impresa lIbrA S.p.A. a subappaltare alla GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. la realizzazione della fondazione in cemento armato, tamponature esterne e interne, massetti per pavimenti, intonaci per un importo presunto pari ad euro 100.000,00 (doc. 2 e 3 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). A seguito di comunicazioni di GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. aventi ad oggetto il mancato pagamento delle loro spettanze, la stazione appaltante richiedeva all’impresa appaltatrice contezza di un tanto, comunicando che avrebbe dato corso ai pagamenti solo a seguito di inoltro delle fatture quietanzate dei subappaltatori (doc. 4 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). l’Impresa lIbrA S.p.A. rispondeva a tale richiesta con una nota nella quale si limitava ad inoltrare solo due fatture quietanzate, omettendo l’invio delle ulteriori fatture che avrebbero dovuto essere quietanzate (fattura n. 7 dd. 06.05.2016 pari ad euro 44.415,00 e fattura n. 10 dd. 29.06.2016 pari ad euro 15.000. 00), espressamente dichiarando di non aver alcun ulteriore rapporto contrattuale con fornitori o subfornitori e che pertanto sarebbe stata da ritenersi illegittima ogni altra richiesta da parte di questi ultimi (doc. 5 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). Ad ogni buon conto e in virtù delle diffide inoltrate da GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. (doc. 6 fascicolo di parte di primo grado, doc. a), l’Università provvedeva in via cautelativa a trattenere parte delle somme di presunta spettanza dell’Impresa subappaltatrice (doc. 7 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). In data 21.6.2017 veniva comunicato all’Università che, con sentenza n. 76 del Tribunale di firenze, depositata in data 23.5.2017, era stato dichiarato il fallimento di lIbrA S.p.A., nelle more trasformata in lIbrA S.r.l. in liquidazione (doc. 8 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). Con ricorso per ingiunzione di pagamento di data 2.12.2017 (doc. 9 fascicolo di parte di primo grado, doc. a), GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. rappresentava: -che tra la società stessa e la lIbrA S.p.A. erano intercorsi: il contratto di fornitura del 11.5.2016 e contratto di subappalto relativo ai lavori per ristrutturazione e adeguamento funzionale del complesso denominato “ex scuola blanchini”; -che in esecuzione dei suddetti contratti la società aveva eseguito opere e fornito materiali per la complessiva somma di euro 197.153,00; - che la lIbrA S.p.A. si rendeva inadempiente al pagamento del dovuto. Su tali basi, chiedeva a Codesto Ill.mo Tribunale di emettere ingiunzione di pagamento a carico dell’Università degli Studi di Udine per la capital somma di euro 197.153,00 oltre agli interessi e alle spese legali, invocando l’applicazione della nuova disciplina del subappalto dettata dal D.lgs. n. 50/2016. ConTEnzIoSo nAzIonAlE In accoglimento, il Tribunale emetteva il decreto n. 72/2018, r.G. 5503/2017, in data 17.1.2018 (doc. 10 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). l’Università di Udine, a mezzo dello scrivente patrocinio, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo (doc. 11 fascicolo di parte di primo grado, doc. a). Si costituiva nel giudizio di opposizione la società ingiungente, ribadendo la sua domanda di pagamento diretto delle opere e delle forniture da essa eseguite come impresa subappaltatrice da parte della stazione appaltante e, in subordine, chiedendo di essere indennizzata per ingiusto arricchimento ex art. 2041 c.c. o di essere risarcita ex art. 2043 c.c. Alla prima udienza del 17.9.2018 il Giudice rigettando l’istanza di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto concedeva alle parti i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice fissava udienza di precisazione delle conclusioni, che si teneva il 17.9.2019. All’esito il Tribunale pronunciava la sentenza n. 1060/2019 (doc. b) con cui: -rigettava la domanda principale dell’attrice sostanziale, ritenendo correttamente e testualmente che “non sussiste un diritto di Gaeta Costruzioni srl in qualità di impresa subappaltatrice ad ottenere il pagamento diretto da parte dell’Università degli Studi di Udine, quale committente. Ne consegue che quest’ultima potrà legittimamente eseguire il versamento di quanto dovuto nelle mani del curatore fallimentare dell’impresa appaltatrice libra srl. la subappaltatrice, odierna convenuta opposta, potrà trovare eventuale soddisfazione del proprio credito presentando istanza di ammissione al passivo (come invero ha già provveduto a fare)” (capo i della sentenza); -specificava poi che gli importi azionati da Gaeta Costruzioni srl a titolo di forniture esulassero completamente dalla disciplina richiamata dalla società, limitata ai soli rapporti di subappalto, e che dunque a maggior ragione “nessun diritto può essere vantato dalla convenuta opposta nei confronti della stazione appaltante in ragione delle mere forniture” (capo ii della sentenza); -rigettava la domanda subordinata di pagamento ex art. 1676 c.c., ritenendola correttamente riservata ai dipendenti dell’impresa supappaltatrice (capo iii della sentenza); -rigettava altresì la domanda di indennizzo per ingiusto arricchimento ex art. 2041 c.c., sulla semplice e ineccepibile constatazione che non sia in questione la debenza del corrispettivo per le opere svolte, ma soltanto il soggetto a cui pagarlo (capo iV della sentenza); -rigettava infine la domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., ritenendo correttamente insussistente qualunque elemento oggettivo e soggettivo, avendo agito l’Università di Udine optimo jure (capo V della sentenza). Con atto di citazione in appello notificato nei confronti dell’Università degli Studi di Udine presso l’Avvocatura dello Stato in data 24.10.2019 (doc. c), la società Gaeta Costruzioni srl impugnava la sentenza n. 1060/2019 articolando il gravame in tre motivi: I) presunto erroneo rigetto della domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.; II) presunto erroneo rigetto della domanda di pagamento del corrispettivo dovuto per le forniture eseguite in favore della stazione appaltante; III) presunto erroneo rigetto della domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c. Ebbene, come anticipato, l’impugnazione andrà dichiarata inammissibile e comunque rigettata nel merito per essere la sentenza di primo grado corretta sotto ogni profilo e meritevole di piena conferma per i seguenti motivi di DIrITTo 1. Inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Corre l’obbligo di eccepire in via assolutamente preliminare che l’impugnazione, così come formulata, appare ictu oculi infondata, al punto da risultare anche inammissibile ai sensi del- l’art. 348 bis c.p.c. Controparte totalmente soccombente nel merito in primo grado, infatti, non impugna il capo i della sentenza (rigetto della domanda principale di pagamento diretto della subappaltatrice da parte della stazione appaltante), che dunque dovrà ritenersi passato il giudicato, limitandosi invece a contestare il rigetto delle domande subordinate (salvo poi in conclusioni chiedere, genericamente e senza alcun collegamento con i motivi enucleati nel corpo dell’atto, il rigetto dell’originaria opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Università di Udine!, con domanda che non potrà nemmeno essere esaminata, vista la non attinenza con i motivi d’appello ex art. 342 cpc). Tuttavia, nel caso di specie, la statuizione (capo i della sentenza impugnata) che esclude il diritto di Gaeta Costruzioni srl di ottenere dall’appaltante Università di Udine il pagamento diretto del corrispettivo per le opere svolte, essendo divenuta definitiva e inattaccabile e ormai facendo stato tra le parti, esplica i suoi effetti anche nei confronti delle domande di arricchimento sine causa e di risarcimento dei danni, che vengono così private di sostanza. nel momento in cui, infatti, sia stata confermata, a seguito dell’esperimento dell’azione ex contractu, la non debenza alla subappaltatrice del pagamento richiesto né per le opere né tanto meno per le forniture, non residuano margini per chiedere (e ottenere) da parte dell’impresa somme a titolo di indennizzo o di risarcimento che trovino la loro causa nel medesimo titolo (mancato pagamento del corrispettivo dall’Università appaltante all’impresa subappaltatrice). In altri termini, come esplicitato anche dalla giurisprudenza di merito: “va dichiarata inammissibile la domanda subordinata dell’appellante di ingiustificato arricchimento, una volta che quella medesima pretesa, fatta valere ex contractu, è stata rigettata per difetto di titolarità passiva delle dedotta obbligazione in capo alla convenuta, e non già sotto il profilo della carenza ab origine dell’azione stessa, per difetto del titolo posto a suo fondamento” (Corte d’appello di Venezia, sentenza n. 1608 del 13.4.2019). Tant’è vero che nel giudizio di primo grado la domanda principale (decisa sub capo I di sentenza) non veniva rigettata nel rito per inammissibilità o comunque per impossibilità in astratto per la subappaltatrice di agire verso la stazione appaltante, ma veniva rigettata proprio nel merito per infondatezza, non essendo dovuto il pagamento diretto da parte dell’Università a Gaeta costruzioni srl. Del resto, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità: “l’azione di ingiustificato arricchimento è contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l’inammissibilità ogni qual volta il danneggiato per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l’arricchito che nei confronti di una diversa persona, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo quindi dal relativo esito” (Corte di cassazione, sentenza n. 29988 del 20.11.2018). ovvero, la circostanza che la società subappaltatrice Gaeta Costruzioni srl abbia visto rigettata nel merito la sua domanda principale, azionata ex contractu con azione esistente e ammissibile non fa rivivere la possibilità di agire ex art. 2041 c.c., perché l’azione residuale di ingiusto arricchimento è concessa soltanto se in astratto, a priori non vi sia azione, non se quell’azione vi sia ma sia stata infruttuosamente esperita. E un tanto emerge già dalla sola lettura dell’atto di gravame, ragion per cui si chiede in via preliminare che l’appello venga rigettato in rito per palese infondatezza e dunque per inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. ConTEnzIoSo nAzIonAlE In via tuzioristica, ad ogni modo, si replica punto per punto alle doglienze avverse, seguendo l’ordine dei motivi articolati. 2. Sull’infondatezza del primo motivo d’appello. fermo quanto detto sull’inammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. quando, come nel caso di specie, vi sia un’azione tipica per ottenere ristoro del pregiudizio asseritamente subito, essa sia stata esercitata, ma sia stata dichiarata infondata, si eccepisce anche l’infondatezza nel merito del primo motivo d’appello, che censura il capo Iv di sentenza, che a sua volta rigettava la domanda ex art. 2041 c.c. Controparte appellante poggia il suo motivo d’impugnazione sull’assunto che l’Università appellante non avrebbe adempiuto o non avrebbe adempiuto integralmente alle sue obbligazioni nei confronti della società appaltatrice (la libra spa, ovvero alla sua curatela fallimentare), con ciò ingiustamente arricchendosi ai danni della subappaltatrice che avrebbe invece eseguito i lavori per il totale. Tuttavia, se la subappaltatrice (Gaeta Costruzioni srl) avesse voluto surrogarsi nei diritti vantati dalla sua diretta dante causa (libra spa) verso il debitor debitoris (l’Università appaltante) avrebbe dovuto appunto esperire azione surrogatoria ex art. 2900 c.c.: non solo non consta che tale azione sia stata esercitata, essendo peraltro dubbio che la subappaltatrice sia ancora in termini per farlo, ma l’esistenza stessa del rimedio, in astratto, priva di fondatezza l’odierna reieterata domanda di indennizzo per presunto arricchimento senza causa. Di più. l’eventuale azione surrogatoria proposta dalla subappaltatrice sarebbe (stata) comunque destinata all’insuccesso, in quanto medio tempore la società appaltatrice libra spa veniva dichiarata fallita: l’apertura della procedura concorsuale impedisce oggi in astratto prima ancora che in concreto a Gaeta Costruzioni srl di agire vantando crediti in assunto di titolarità dell’appaltatrice “surrogata” verso la stazione appaltante, proprio perché quest’ultima potrebbe onorare tali crediti solo e soltanto all’interno della cornice fallimentare, pena la violazione della par condicio creditorum per illecita sottrazione di un cespite dall’attivo fallimentare. Ad ogni modo, al di fuori di un’ipotetica (e ormai come detto impossibile) azione surrogatoria, non si vede quale sia il titolo di legittimazione della subappaltatrice -che per statuizione passata in giudicato non può vantare in via diretta alcun diritto verso la stazione appaltante -nella domanda di adempimento totale di crediti riferibili soggettivamente soltanto all’impresa appaltatrice (libra spa). In via meramente tuzioristica si rileva ad ogni modo la totale assenza di riscontri probatori da parte dell’appellante sul fatto che l’Università non abbia adempiuto o non abbia adempiuto totalmente nei confronti della sua diretta avente causa libra spa, ma si ribadisce con decisione come tale questione esuli completamente dall’oggetto del presente giudizio. 3. Sull’infondatezza del secondo motivo d’appello. Con il secondo motivo, in sostanza, l’appellante ribadisce che si sarebbe verificato ingiusto arricchimento dell’Università appaltante ex art. 2041 c.c. anche sotto il profilo della fruizione di subforniture provenienti dalla subappaltatrice, non pagate o non pagate integralmente al- l’appaltatrice libra spa. Sul punto, a confutazione del motivo d’appello che si ritiene infondato, si richiamano in tutto e per tutto le argomentazioni testé svolte sub paragrafo 2 con riferimento all’inammissibilità e comunque all’infondatezza di una domanda presentata ex art. 2041 c.c. in presenza di azioni contrattuali tipiche esperite infruttuosamente (domanda di pagamento diretto di opere e forniture rigettata con sentenza n. 1060/2019) o addirittura non esperite (azione rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 surrogatoria ex art. 2900 c.c.) e comunque non più esperibili in presenza di una procedura fallimentare in atto. Si constata peraltro che anche il capo ii della sentenza impugnata, che statuiva che “nessun diritto può essere vantato dalla convenuta opposta nei confronti della stazione appaltante in ragione delle mere forniture” non è stato impugnato nel merito e dunque è passato in giudicato, essendo divenuto pertanto accertamento definitivo il fatto che alla subappaltatrice nulla è dovuto in via diretta da parte della stazione appaltante nemmeno in corrispettivo delle forniture. Il secondo motivo d’appello risulta pertanto infondato e dovrà essere rigettato, a nulla rilevando le considerazioni sul presunto “approfittamento” da parte della stazione appaltante delle forniture ricevute, che avrebbero appunto dovuto essere semmai fatte valere da altro soggetto legittimato (l’appaltatrice libra spa) o comunque in altro contesto (in ipotesi in via surrogatoria), pur sempre al di fuori di una procedura concorsuale che invece è in corso. * In via meramente prudenziale, qualora codesta Ecc.ma Corte ritenesse che mediante le argomentazioni svolte incidentalmente dall’appellante nel corpo del secondo motivo d’appello che pure indica come “parte di sentenza censurata” unicamente quella relativa al rigetto della domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c. relativamente alle forniture -controparte abbia inteso impugnare anche il capo II della sentenza, che rigettava nel merito la domanda escludendo l’obbligo di pagamento diretto delle forniture da parte dell’appaltante in favore della subappaltatrice, si contesta espressamente il motivo e si ribadisce la bontà della decisione del Tribunale di Udine sul punto, per i motivi già puntualmente espressi in primo grado e che qui di seguito si ribadiscono Ebbene, l’Università di Udine è del tutto estranea alle prestazioni inerenti le fatture relative a forniture (fattura n. 8 dd. 13.05.2016 pari ad euro 42.700,00, fattura n. 9 dd. 29.06.2016 pari ad euro 54.900,00, fattura n. 24 dd. 06.12.2016 pari ad euro 40.138,00). l’allora vigente art. 118, comma 11, D.lgs. 163/2006 stabiliva espressamente che: “ai fini del presente articolo è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell'importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l'incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell'importo del contratto da affidare”. Appare chiaro come con tale disposizione il legislatore abbia inteso far assumere rilevanza non alle mere forniture di materiale, bensì al cosiddetto “subappalto di fornitura”, dove a rilevare sono sia il peculiare valore della prestazione richiesta (maggiore del 2% del valore complessivo dell’appalto e/o comunque superiore a euro 100.000), sia la tipologia delle prestazioni che, in termini di fare, devono acquistare un rilievo economico superiore alla metà dell’ammontare complessivo riconosciuto alla prestazione da affidare in subappalto. Tuttavia, nessuna delle prestazioni poste in essere da GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. e collegate alle fatture sopracitate rientrano nell’ambito di applicazione del richiamato comma 11 dell’art. 118. nel caso di specie, inoltre, non è nemmeno necessario affrontare il problema interpretativo di cosa si intenda per “subappalto di fornitura” e se le prestazioni per le quali la ricorrente agisce vi rientrino, posto che l’affidatario ha disatteso l’obbligo di comunicazione sancito dal medesimo comma 11 dell’art. 118, ultimo periodo (“È fatto obbligo all'affidatario di comunicare alla stazione appaltante, per tutti i sub-contratti stipulati per l'esecuzione dell'appalto, il nome ConTEnzIoSo nAzIonAlE del sub-contraente, l'importo del contratto, l'oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati”). l’Impresa lIbrA S.p.A., infatti, non ha comunicato alcuna fornitura relativa al cantiere bianchini affidata all’Impresa GAETA CoSTrUzIonI, pertanto, all’Università nulla consta in merito a forniture effettuate dalla controparte alla lIbrA S.p.A. Un tanto è stato più volte comunicato a GAETA dall’opponente (v. doc. 7). Anzi, come già sopra esposto, l’appaltatrice ha negato espressamente di avere ulteriori pendenze contrattuali nei confronti di fornitori o subfornitori (v. doc. 5). In conclusione, dei pagamenti relativi al contratto di fornitura stipulato tra lIbrA S.p.A. e GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. non può in alcun modo essere chiamata a rispondere l’Università di Udine, che quel contratto (ulteriore e diverso rispetto al contratto di subappalto e in alcun modo riconducibile alla nozione di subappalto dettata dalla legge) non solo mai ha autorizzato ma di cui neppure è stata messa a conoscenza. Del resto, il fatto che l’art. 118 consenta il ricorso al subappalto entro determinati e stringenti limiti si spiega sia con la necessità di tutelare l’interesse della P.A. committente all’immutabilità dell’affidatario, sia con l’esigenza di evitare che, nella fase esecutiva del contratto, si pervenga, attraverso modifiche sostanziali dell’assetto di interessi scaturito dalla gara selettiva, a vanificare proprio quell’interesse pubblico fondamentale alla scelta dell’offerta più idonea in vista della soddisfazione delle esigenze della collettività cui l’appalto è preordinato. Pertanto, non ogni contratto stipulato tra l’appaltatrice e un’impresa terza può, di per sé e al di fuori dell’ambito di applicazione della suddetta norma, essere qualificato come subappalto e dar luogo alle relative conseguenze, pena la vanificazione delle indicate fondamentali esigenze. Si chiede pertanto la conferma della sentenza impugnata ex adverso anche sotto questo profilo. 4. Sull’infondatezza del terzo motivo d’appello. Pure l’ultimo motivo di appello, con cui si censura il rigetto della domanda risarcitoria presentata in via subordinata in primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c., appare palesemente infondato. Il Tribunale di Udine, infatti, ha correttamente motivato il rigetto per relationem, sulla base della comprovata non antigiuridicità oggettiva della condotta omissiva serbata dall’Università di Udine, che non ha pagato in via diretta la subappaltatrice, non sussistendo per legge o per lex specialis (bando di gara) alcun obbligo in tal senso, come riconosciuto dalla statuizione passata in giudicato (capo i della sentenza, non impugnato), ed escludendo altresì la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo in capo all’Università, proprio per essersi la stazione appaltante uniformata alle previsioni testuali del bando. non si comprende dunque la pertinenza delle doglianze avversarie, che pretendono di configurare un diritto risarcitorio derivante ora dalla presunta violazione dell’art. 118, comma 3, D.lgs. n. 163/2006 (p. 23 appello), che però prevede soltanto una facoltà di adempimento diretto da parte della stazione appaltante nei confronti della subappaltatrice e non certo un obbligo, la cui violazione comporti (peraltro!) una lesione aquiliana e non una normale azione contrattuale, ora dalla presunta preesistenza di una procedura di concordato preventivo (p. 24 appello) durante la quale sarebbero stati individuati dei diritti creditori diretti della subappaltatrice: tuttavia da un lato nessuna domanda può oggi trovare titolo in tale concordato preventivo, che non ha avuto alcun esito ed è stato poi superato dal fallimento sopravvenuto della società libra spa, dall’altro lato tutte le norme citate da controparte che avrebbero disciplinato la procedura parlano ancora una volta solo e soltanto di una facoltà per la stazione appaltante di adempimento diretto e mai di un obbligo. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Sotto qualunque profilo si consideri la vicenda, risulta inconfigurabile una lesione antigiuridica e colpevole di pretesi diritti dell’appellante da parte dell’Università di Udine, ragion per cui si chiede il rigetto anche del terzo motivo d’appello. * In via meramente prudenziale, qualora codesta Ecc.ma Corte ritenesse che mediante le argomentazioni svolte incidentalmente dall’appellante nel corpo del terzo motivo d’appello -che pure indica come “parte di sentenza censurata” unicamente quella relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. -controparte abbia inteso impugnare anche il capo I della sentenza, che rigettava nel merito la domanda principale escludendo l’obbligo di pagamento diretto da parte dell’appaltante in favore della subappaltatrice, si contesta espressamente il motivo e si ribadisce la bontà della decisione del Tribunale di Udine sul punto, per i motivi già puntualmente espressi in primo grado e che qui di seguito si ribadiscono. Atteso che il bando relativo all’appalto di cui trattasi è stato pubblicato prima del 19 aprile 2016 (data di entrata in vigore del nuovo codice dei Contratti pubblici), tutte le vicende scaturenti dalla procedura di appalto de qua sono pacificamente soggette alla previgente disciplina normativa. Un tanto per l’effetto del disposto di cui all’art. 216 D.lgs. 50/2016, il quale racchiude il generale principio del tempus regit actum. Pertanto, è pacificamente applicabile al caso che ci occupa l’art. 118, comma 3, del D.lgs. 163/2006, il quale prevede il pagamento diretto dalla stazione appaltante al subappaltatore solo e unicamente se previsto dal bando. Ma nel caso di specie il bando di gara esclude espressamente tale pagamento diretto laddove si legge, a pag. 8, con riferimento all’indicazione nella domanda dei lavori da subappaltare: “obbligo di indicazione dei lavori di categoria os£= che, eventualmente, si deve in parte e/o totalmente subappaltare per assenza dei requisiti, nonché delle parti di lavori della categoria os28 che, eventualmente, si deve parzialmente subappaltare (nell’ambito del 30% della categoria medesima) per insufficienza dei requisiti. La stazione appaltante non provvede al pagamento diretto dei subappaltatori” (v. doc. 1). quindi nella presente fattispecie non vi era e non vi è il diritto della GAETA CoSTrUzIonI S.r.l. ad ottenere dall’Università appaltante il pagamento diretto delle opere e delle forniture effettuate. non in virtù dell’art. 105 D.lgs. 50/2016, non applicabile alla procedura in questione, né in virtù della previgente normativa, essendo stata la corresponsione diretta degli importi dovuti per le prestazioni eseguite dai subappaltatori espressamente esclusa dal bando di gara. Si insiste dunque per la conferma della decisione di primo grado che ha escluso la sussistenza di un obbligo per la stazione appaltante di eseguire il pagamento in via diretta in favore della subappaltatrice. 5. Sulle istanze istruttorie. Si chiede infine il rigetto di tutte le istanze di assunzione di prove testimoniali, di celebrazione di interrogatorio formale e di espletamento di ctu avanzate da controparte, essendo le prove orali inammissibili perché tutte vertenti su circostanze provate o provabili documentalmente oltre che irrilevanti ai fini della dimostrazione dell’assunto attoreo (si ricorda che parte appellante intende fare oggetto del presente giudizio soltanto il presunto arricchimento senza causa e il presunto danno extracontrattuale, rimanendo pertanto del tutto estranee le valutazioni sulla corretta esecuzione dei lavori, che riguardano semmai il titolo contrattuale che legava Gaeta Costruzioni srl a libra spa e non può riguardare, per statuizione passata in giudicato, rapporti tra Gaeta e l’Università di Udine) e la prova tecnica inammissibile e comunque inutile perché, ancora una volta, tesa a dimostrare il valore di lavori (e forniture) eseguiti e non pagati ConTEnzIoSo nAzIonAlE da una parte estranea al giudizio (libra spa) nel contesto di un inadempimento contrattuale che non può essere fatto valere nella presente sede nei confronti della stazione appaltante, per statuizione passata in giudicato. *** Alla luce di quanto precede, l’Università degli Studi di Udine, come sopra rappresentata e difesa, rassegna le seguenti ConClUSIonI voglia l’Ecc.ma Corte d’appello adita -in via preliminare, dichiarare inammissibile l’appello per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 348 bis cpc; -in subordine, nel merito, rigettare l’appello per infondatezza di ciascuno dei motivi proposti e confermare la sentenza n. 1060/2019 del Tribunale di Udine in ogni sua parte; - in ogni caso, rigettare tutte le istanze istruttorie avanzate da parte appellante. Con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. (...) Trieste, 16 gennaio 2020 beatrice Favero Procuratore dello stato Corte di appello di trieste, Sezione prima civile, sentenza 1 ottobre 2020 n. 426 -Pres. est. G. de rosa -Gaeta Costruzioni S.r.l. (avv. P. vicidomini) c. Università degli Studi di Udine (avv. distr. St. Trieste). svolgimento del processo Con atto di citazione 28.3.2018 l’Università degli Studi di Udine, premesso che Gaeta Costruzioni S.r.l. era stata l’impresa autorizzata al sub appalto dei lavori assunti da libra S.p.a. (aggiudicataria dell’appalto indetto dall’Università il 27.3.2014 per opere di ristrutturazione edilizia) per eseguire lavori pari ad un valore di euro 100.000, che il sub appaltatore aveva lamentato mancati pagamenti, che libra S.p.a, in sede di chiarimenti, aveva trasmesso due sole fatture quietanzate (nn. 7/2016 per euro 44.415 e nn. 10/2016 per euro15.000) negando vi fossero altre pendenze, che, comunque, erano state trattenute somme a garanzia del sub appaltatore, che il 23.5.2017 era stato dichiarato il fallimento di libra S.p.a., che il 2.12.2017 Gaeta Costruzioni S.r.l. aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per euro 197.153 perché libra S.p.a. era rimasta inadempiente, che il decreto era da considerarsi nullo e di nessun effetto posto che non vi erano le condizioni per ottenere il pagamento diretto da parte del sub appaltatore (applicazione dell’art. 118, comma III, d.lgs. 163/2006), poiché il bando non lo prevedeva, che, in ogni caso, alcune delle fatture allegate al decreto ingiuntivo riguardavano forniture cui l’Università era estranea, che, inoltre, l’eventuale pagamento diretto al sub appaltatore avrebbe violato la par condicio creditorum, citata Gaeta Costruzioni S.r.l., chiedeva che il decreto venisse dichiarato nullo e di nessun effetto. ritualmente citata si costituiva Gaeta Costruzioni S.r.l. contestando le affermazioni attoree e, in particolare, rilevato che al caso andava applicato il disposto dell’art. 105 d.lgs. 50 del 2016, oppure quello degli artt. 1641 cc. o 2041 cc., chiedeva il rigetto dell’opposizione e la condanna dell’opponente al risarcimento del danno. Con sentenza n. 1060/2019 del 17.9.2019 il Tribunale di Udine, ritenuto applicabile al caso il d.lgs. n. 163/2006 convertito in legge n. 9/2014, in particolare l’art. 118, comma III, e la rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 norma dell’art. 13, comma II, lett. a) legge n. 180/2011 in tema di piccole e medie imprese e ritenuto che nessun diritto avesse la sub appaltatrice di ottenere il pagamento diretto dal committente, in quanto il bando non l’aveva previsto, che le domande formulate ex artt. 1676, 2041 e 2043 cc. erano infondate in quanto la norma dell’art. 1676 cc. riguardava i dipendenti dell’appaltatore, quella di cui all’art. 2041 cc. era inapplicabile perchè non vi era stato alcun arricchimento dell’appaltatore stesso e, infine, quella dell’art. 2043 cc. egualmente inapplicabile perché difettava l’elemento soggettivo e quello oggettivo dell’illecito, revocava il decreto opposto e condannava Greta Costruzioni S.r.l. al pagamento delle spese di lite. Con atto di citazione 24.10.2019 Greta Costruzioni S.r.l. impugnava la decisione, chiedendone la riforma per i motivi già sollevati avanti il Tribunale. ritualmente citata si costituiva l’Università degli Studi di Udine chiedendo il rigetto dell’impugnazione. la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti all’udienza del 12.5.2020 motivi della decisione risulta passato in giudicato per acquiescenza (cfr., oltre la mancanza espressa di un motivo di impugnazione sul punto, ad esempio, anche l’affermazione fatta a pag. 19 dell’atto d’appello) l’accertamento compiuto dal Tribunale di Udine relativo alla normativa applicabile all’appalto di cui si discute (d.lgs n. 163/2006 convertito in legge n. 9/2014, art. 118, comma III), con la conseguente definitiva statuizione della mancanza di qualunque obbligo da parte dell’Università di effettuare pagamenti diretti a favore della sub appaltatrice, poiché non previsti nel bando. Ciò premesso risultano infondate le domande formulate ex artt. 2041 e 2043 cc. nel primo caso, infatti, l’azione, di per sé residuale, non può essere esercitata sostenendo che l’Università si è arricchita a causa delle opere acquisite e delle forniture avute, perché non vi è prova che abbia pagato tutto quanto dovuto all’appaltatore. Giova ricordare che “…se è vero che il requisito della sussidiarietà della tutela di cui all'art. 2041 c.c. non è escluso dalla proposizione, anche in via contestuale e con esito negativo, di altra azione tipica, ciò vale solo quando tale domanda sia stata respinta per carenza ab origine dell’azione stessa, per difetto del titolo posto a suo fondamento (Cass. 5.3.1991 n. 2283; 26.11.1986 n. 6981), ma non anche quando, come nel caso in esame, la domanda tipica contrattuale sia stata respinta nel merito perché infondata” (tra le tante, a titolo d’esempio, cfr. Cass. 20.3.1995 n. 3228; Cass. 2.4.2009 n. 8020). E, ancora “…va osservato, infatti, che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, l’azione di arricchimento può essere proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale proposta in via principale soltanto qualora l’azione tipica dia esito negativo per carenza “ab origine” dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui il contratto dedotto in giudizio, validamente stipulato tra le parti, si sia rivelato improduttivo di effetti nel senso divisato dall’attore, con il conseguente rigetto nel merito della domanda di adempimento proposta sulla base del contratto medesimo” (Cass. 7.2.2017 n. 3188). ne viene che Gaeta Costruzioni S.r.l. avendo esercitato l’azione tipica ed avendo subito il rigetto della stessa non per carenza del titolo (ad esempio, per ragioni di nullità) o per inefficacia dell’accordo, ma per l’infondatezza nel merito della domanda, non può sostenere il diritto all’indennizzo per l’evidente motivo per cui, una volta ritenuto insussistente il diritto avanzato, non può essere ristorato l’attore per indebito arricchimento del convenuto, perché ciò violerebbe il canone della sussidiarietà (vi sarebbe alternatività fra le azioni) rendendo inutile l’accertamento giudiziale sul motivo principale di azione. ovvero la causa contrattuale. ConTEnzIoSo nAzIonAlE quanto alla domanda formulata ex art. 2043 cc., la stessa è ugualmente infondata, posto che non avendo alcun obbligo l’Università di effettuare il pagamento diretto, la stessa non può essere imputata di comportamento antigiuridico e lesivo della sfera patrimoniale dell’appellante. Sotto questo profilo ed anche a voler tacere il complesso problema dei limiti dell’intervenuto giudicato endoprocessuale, questione sulla quale le parti nulla hanno dedotto, non è pertinente il richiamo fatto dall’appellante all’art. 118 (comma III, seconda parte e III bis) del d.lgs n. 163/2006, posto che anche il pagamento diretto, previsto in caso di crisi di liquidità o in pendenza di procedura concordataria con continuità aziendale (per libra S.p.a. prima della dichiarazione dei fallimento), conservava natura discrezionale, ove non fosse stato previsto dal bando. lo stesso va detto per quanto riguarda l’applicazione (pur invocata) dell’art. 13, comma II, legge n. 180 del 2011 (riportata in sentenza). non ignora la Corte che l’interpretazione della norma, ampiamente discussa, non ha consentito di giungere ad alcuna posizione definitiva, tuttavia appare preferibile, nell’ambito di una lettura sistematica della disciplina sul pagamento del compenso al sub appaltatore, nella cornice normativa di riferimento ratione temporis applicabile e prima delle modifiche che il pagamento diretto hanno disposto, condividere la tesi di coloro che ritengono che anche per la norma in commento il pagamento diretto dovesse essere espressamente previsto dal bando (cfr., ad esempio la tesi secondo cui “…se anche il legislatore del 2011 ha lasciato sopravvivere la trasmissione delle fatture quietanzate (estendendone l’obbligo ai subcontratti di fornitura e posa in opera) significa che ha lasciato sopravvivere il pagamento all’appaltatore delle prestazioni subappaltate”). Che, cioè, la norma già richiamata dell’art. 118 d.lgs n. 163/2016 non sia stata derogata. Infine, le prove richieste oltre ad essere superflue sono inammissibili, perché mai riproposte in sede di precisazione delle conclusioni avanti il Tribunale. le spese seguono la soccombenza. p.q.m. la Corte d’Appello di Trieste, Sezione I^ civile, definitivamente pronunciando nella causa come indicata in epigrafe così provvede: - rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza 17.9.2019 Tribunale di Udine; -condanna Gaeta Costruzioni S.r.l. al pagamento delle spese del grado liquidate in complessivi euro 7.600 di cui euro 230 per spese oltre spese generali ed accessori di legge; -dà atto che sussistono in capo a Gaeta Costruzioni S.r.l. le condizioni per il pagamento nel doppio del contributo unificato- Trieste, lì 14 settembre 2020. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 Responsabilità per pratiche di adozione non andate a buon fine. Una interessante sentenza del tribunale di Bologna tribUNale Di boloGNa, seCoNDa sezioNe Civile, seNteNza 28 settembre 2020 N. 1314 l’interessante ed importante sentenza resa dal Tribunale di bologna concerne una causa di responsabilità per pratiche di adozione internazionale non andate a buon fine. In particolare il Tribunale di bologna, nel condividere e fare proprie le argomentazioni svolte da parte convenuta, Presidenza del Consiglio dei Ministri -Commissione Adozioni Internazionali, concernenti la qualificazione ed i contenuti dell'obbligazione gravante nel caso di specie sull'ente non lucrativo gestore della pratica di adozione internazionale per conto della coppia di aspiranti genitori, ha significativamente statuito che "occorre, infatti, considerare che, nel caso di specie, l’obbligazione gravante sul mandatario è rappresentata principalmente dalla messa in atto di tutte le attività necessarie per curare per conto dei mandanti la pratica di adozione, ma non può spingersi fino a pretendere il buon esito della stessa, come previsto nella clausola negoziale che regola l’oggetto ed il contenuto dell’incarico, posto che è considerata determinante “in merito, la volontà delle autorità straniere”. Dunque, a voler prendere in prestito delle note categorie dottrinali, molto efficaci, e astraendo dalle indubbie peculiarità del caso di specie, l'obbligazione gravante sull'ente gestore è, e resta, una "obbligazione di mezzi", senza poter arrivare ad assumere i caratteri di una più pregnante "obbligazione di risultato" (i.e. l'effettiva adozione di un minore). E il "fattore geopolitico" rappresenta condizione eziologicamente rilevante, anche in maniera decisiva, sull'esito della pratica di adozione. In altri termini, i pur legittimi desideri della coppia di aspiranti genitori adottivi devono inevitabilmente relazionarsi e confrontarsi con la (altrettanto legittima) ineliminabile discrezionalità di cui godono, in materia, le Autorità Pubbliche competenti dello Stato di provenienza del minore adottando. Ed infatti l'organo Giudicante richiama espressamente l'attenzione sulla consapevolezza che la coppia di aspiranti genitori doveva ben avere sulla circostanza per cui "la responsabilità della onlus era esclusa, come pattiziamente convenuto, nel caso di allungamento dei tempi, previsti o prevedibili per il perfezionamento dell’adozione, ovvero, interruzione del procedimento adottivo, causata da: eventi politici, revoca dell’adottabilità dell’adottato, modifiche normative / legislative, calamità, guerre o altre circostanze impreviste e imprevedibili”. nel caso di specie sono state dunque valorizzate, in maniera decisiva, la ratifica della Convenzione dell’Aja da parte dello Stato di provenienza dell'adottando, il mutamento del giudice competente in materia e la stessa ConTEnzIoSo nAzIonAlE revoca dell’adottabilità dell’adottato affidato in via preferenziale ad una coppia locale. Inoltre la sentenza richiama l'attenzione anche sull'onere gravante sulla coppia di aspiranti genitori adottivi di farsi comunque sempre parte attiva e diligente nell'acquisire informazioni sullo stato della loro pratica, affermando significativamente che "inoltre l’art. 22 l. adozioni al comma secondo stabilisce che “in ogni momento a coloro che intendono adottare devono essere fornite, se richieste, notizie sullo stato del procedimento”; sebbene tale norma sia collocata nella parte che disciplina l’affidamento preadottivo, e non direttamente i rapporti con le organizzazioni che si occupano di adozioni, è evidente che nel corso dei periodici incontri con le coppie tali informazioni potevano essere richieste" (le sottolineature sono nostre). Si tratta, a mio avviso, di un pronunciamento importante, le cui statuizioni, pur con le indubbie peculiarità del caso concreto, oltre che condivisibili, paiono utilmente spendibili nelle difese dell'Amministrazione interessata in casi similari. Anna Elena Madera* tribunale di Bologna, Seconda Sezione Civile, sentenza 28 settembre 2020 n. 1314 -Giud. C. Gentili -(omissis) (avv. M. bianchi) c. la Primogenita International Adoption onlus (avv. A. barbieri, D. Piccolo, f. Montalto); Commissione per le Adozioni Internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. St. bologna). Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con citazione notificata il 30 maggio 2018 i coniugi (omissis) hanno convenuto in giudizio l’associazione "la Primogenita International Adoption onlUS” (d’ora in poi solo la Primogenita o la onlus) e la Commissione per le Adozioni Internazionali, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (d’ora in poi solo CAI), esponendo in fatto quanto segue: -nel novembre 2011 essi si rivolgevano all’associazione "la Primogenita International Adoption onlUS", sede di brescia, per incaricarla di svolgere la pratica di adozione internazionale per bimbi provenienti da Africa e, specificamente, Senegal; -nel gennaio 2012 la convenuta proponeva l'adozione di un bimbo nella città di fatik, per cui gli attori predisponevano e inviavano tutta la documentazione necessaria; -nel settembre 2013 apprendevano che la richiesta era stata dirottata al Tribunale di Dakar e nel mese di novembre dello stesso anno venivano avvisati dal sig. (omissis), presidente del- l’associazione, di prepararsi alle vaccinazioni; -che tali comunicazioni si protraevano per i successivi due anni, senza che venisse mai fornita alcuna indicazione scritta a giustificazione della mancata conclusione delle pratiche in loco; -solo nel novembre 2015 veniva comunicato l'abbinamento con un bimbo di circa un anno e (*) Procuratrice dello Stato, la quale ha gestito la fase conclusiva del giudizio, precedentemente curato, tra gli altri, dalla proc. St. Michela Manente. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 veniva formulata la richiesta di pagamento di € 5.400,00, che venivano immediatamente versati, senza ottenere alcun risultato; -nel dicembre 2016 veniva indicato un nuovo abbinamento con una bambina, ma anche in questo caso non vi era stato alcun seguito; -nell'ottobre 2017 veniva mandata una missiva da parte del legale attoreo sia alla Primogenita sia alla CAI, a cui quest’ultima rispondeva, dichiarando che in Senegal sin dalla fine del 2011 si era creata una situazione di stallo nelle adozioni internazionali a causa dell'istituzione di un'autorità centrale per effetto della Convenzione dell'Aja del 1993 e che sarebbero state portate a conclusione solamente le procedure depositate prima del 1 dicembre 2011; - gli attori nel mese di marzo 2018 revocano quindi il mandato conferito a la Primogenita. In diritto hanno dedotto la sussistenza, a carico della onlus, della violazione delle norme in materia di adozione (l. 184/1983) e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del mandato, in specie con riferimento al dovere di informare i coniugi (omissis), che dal 1 dicembre 2011 le adozioni in Senegal erano sospese, illudendoli fino all’ottobre 2017, allorquando essi avevano ricevuto la missiva da parte di CAI sopra citata; stigmatizzava altresì il comportamento tenuto dalla onlus, che, da un lato, aveva continuato a richiedere somme asseritamente necessarie per le procedure in Italia ed all’estero, per i percorsi formativi e altro, inducendoli a sostenere costi rivelatisi inutili (vaccinazioni, etc.) ed illudendoli del buon esito delle procedure, dall’altro, gli aveva impedito di valutare alternative di adozione. quanto alla responsabilità in capo alla CAI, la carenza di controllo e la vigilanza sulla condotta de la Primogenita appariva evidente e gli inadempimenti verificatisi avrebbero dovuto comportare la revoca dell’autorizzazione; di conseguenza essa doveva ritenersi responsabile solidalmente con l’associazione. Il danno patito era rappresentato a titolo di danno patrimoniale dall’importo complessivamente versato pari ad € 17.700,00, oltre al costo delle vaccinazioni per € 403,00 nonché per una nuova pratica di adozione ed il pregiudizio non patrimoniale, rappresentato dalla lesione del- l’affidamento riposto nella onlus di poter adottare un bambino, perdendo così la chance di averne uno in prospettiva per via del tempo ormai trascorso e dell’età avanzata, essendo stabilito che l’età dei coniugi incideva sull’età dell’adottando. Gli attori hanno quindi chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento e la restituzione di quanto versato (€ 17.700,00, oltre ai costi per le vaccinazioni pari ad € 403,00), dal momento che la controparte era perfettamente a conoscenza della normativa italiana e straniera; nonché il risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in € 100.000,00, sia nei confronti della Primogenita sia della Commissione Adozioni Internazionali (CAI), in quanto aveva omesso la vigilanza dovuta. la convenuta CAI nel costituirsi ha evidenziato che il Senegal aveva ratificato la Convenzione dell'Aja del 1993 soltanto il 24/08/2011 e da allora le adozioni erano state fortemente ridotte, ma non erano cessate completamente; infatti dal dicembre 2011 per l'adottabilità era necessario che il minore fosse stato dichiarato abbandonato o che i genitori o il consiglio di famiglia avessero prestato consenso all'adozione; essa si era interessata alle adozioni in tale Paese, inviando la missiva del 14.3.2012, per sollecitare tutte le associazioni che si occupavano di adozioni ed operavano a livello locale a fornire le indicazioni sulle adozioni pendenti e con missive successive a non accettare altre richieste riguardanti bambini senegalesi; la commissione aveva sempre vigilato sull'operato della Primogenita, che aveva compiuto tutto quanto era nelle sue possibilità, portando a termine altre procedure (6) di adozione in Senegal pendenti al settembre 2012, per cui l'allungamento dei tempi procedimentali era dovuto alle autorità ConTEnzIoSo nAzIonAlE senegalesi, che avevano poteri discrezionali nelle procedure; in particolare, dopo la segnalazione degli attori nell'ottobre 2017, aveva operato i dovuti controlli e chiesto chiarimenti alla Primogenita, la quale con nota del 24.10.2017 aveva dichiarato essere in corso di conclusione la procedura adottiva presentata dagli attori, in quanto in attesa della ordinanza di abbinamento; inoltre la sussistenza di un eventuale inadempimento in capo a la Primogenita non implicava automaticamente la propria responsabilità per omissione in vigilando, avendo controllato sulle procedure attive e concluse, interpellando tutti gli enti autorizzati ad operare in Senegal circa l’andamento delle procedure ivi pendenti, riscontrando le informazioni fornite con quelle tratte dal paese africano in questione, con la conseguenza che non era rinvenibile alcun comportamento negligente dell’associazione. CAI ha, inoltre, contestato l'an del danno subito dagli attori, per avere costoro concorso nella tardiva segnalazione dell'asserito inadempimento di la Primogenita, e anche il quantum, rappresentato dal danno per mancato coronamento del desiderio di genitorialità, trattandosi di mero interesse legittimo, conseguente alla dichiarazione di idoneità all'adozione, non tutelato né costituzionalmente, né dalle Convenzioni internazionali, che proteggono solo l'interesse del minore ad essere cresciuto in una famiglia. la CAI ha pertanto concluso per il rigetto delle avverse pretese e, in subordine, per l’applicazione dell'art. 1227 c.c. con riguardo al danno patrimoniale ed il rigetto per quello non patrimoniale, non potendo trovare tutela costituzionale il mancato coronamento del desiderio di genitorialità adottiva. A sua volta la Primogenita, premesso di essere presente in Senegal da oltre 15 anni, durante i quali si era conquistata la fiducia delle autorità locali e giudiziarie, avendo realizzato, quasi interamente a proprie spese, numerosi progetti (costruzione di un ospedale a kaolack, sistemazione e realizzazione di orfanatrofio a Dakar, la realizzazione di asilo/orfanatrofio a Diourbel, acquisti e rifornimenti di attrezzature e materiale didattico per diverse scuole materne di varie regioni del Senegal) e svolgendo in generale attività umanitaria e di assistenza alle popolazioni locali, ha evidenziato che per i coniugi (omissis) la provenienza dell’adottando dal suddetto Paese costituiva una condizione necessaria per l’adozione ed era il motivo per cui si erano ad essa rivolti; di aver subito informato i coniugi che era più prudente presentare la domanda anche presso un altro Tribunale dei minori, pendendo davanti a quello di Dakar altre 6 domande, conclusesi tra settembre 2012 ed agosto 2014; per tale ragione dall’ottobre 2014 aveva preso contatto con l’autorità giudiziaria ed alla fine di novembre 2015 aveva ottenuto l’abbinamento di un bambino; tuttavia il nuovo presidente dell’ufficio, da poco insediatosi, aveva revocato l’abbinamento, affidando il bambino ad una coppia locale; per tale ragione i coniugi erano stati informati e consigliati di presentare domanda presso altro tribunale, nella specie Djourbel, dove, a seguito di numerosi viaggi e lunghe trattative con l’autorità locale, nel mese di luglio 2016 veniva proposto un abbinamento degli attori ad una bambina, ma i tempi si erano dilatati a causa di rinvii continui dell’udienza da parte del Presidente del Tribunale, fino a quando era pervenuta la revoca dell’incarico da parte degli attori, per cui la bambina veniva abbinata ad altra coppia italiana con cui si stava concludendo l’adozione. In diritto ha sostenuto l’assenza di inadempimento, spiegando difese analoghe alla CAI per quando riguardava la situazione delle adozioni in Senegal; con riguardo al proprio operato ha evidenziato di aver concluso procedure di adozione depositate dalla medesima anche dopo il 2011, nonostante i rallentamenti subiti, e che, quanto alle obbligazioni negoziali, la clausola riguardante l’oggetto ed il contenuto dell’incarico precisava espressamente che “l’ente non può garantire il buon esito della pratica di adozione internazionale essendo determinante, in rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 merito, la volontà delle autorità straniere” e che era esclusa la responsabilità della stessa nei casi “di allungamento dei tempi previsti o prevedibili per il perfezionamento dell’adozione, ovvero, interruzione del procedimento adottivo causata da eventi politici, revoca dell’adottabilità dell’adottando, modifiche normative/legislative, calamità, guerre o altre circostanza impreviste e imprevedibili”; infine ha rilevato che la prova dell’adempimento dell’incarico era costituita dalla conclusione della pratica con l’abbinamento della bambina Diara agli attori e rimanendo la restante attività in capo a questi ultimi. In punto quantum debeatur, sotto l’aspetto patrimoniale, ha contestato che costituisse danno -come tale rimborsabile -i contributi volontari, le quote associative e le spese di vaccinazione, mentre sotto l’aspetto non patrimoniale la richiesta era infondata e comunque spropositata, concludendo per il rigetto di ogni pretesa ex adverso formulata. la causa veniva istruita documentalmente e mediante assunzione di prove orali per interpello del legale rappresentante de la Primogenita e per testi dedotti da parte attrice e la onlus; veniva quindi trattenuta in decisione all’udienza del 13 febbraio 2020, previa concessione dei termini ex art.190 c.p.c. 1. la prima domanda proposta dai coniugi (omissis) è diretta alla risoluzione del contratto di mandato concluso in data 18 dicembre 2011 con la Primogenita (doc. 2 attoreo) con condanna di quest’ultima alla restituzione delle somme ricevute nell’ambito dell’incarico conferitole, il tutto per complessivi € 18.103,00, ed al risarcimento del danno patrimoniale e non patito, quantificato in € 100.000,00. Il contratto stabiliva i costi dell’adozione, disciplinati nell’allegato A, di cui € 5000,00 per il costo per l’espletamento della procedura amministrativa in Italia, ed un costo variabile nei paesi esteri (€ 9.000.00 per il Senegal) per la preparazione dei documenti e le relazioni di aggiornamento, l’invio dei documenti, traduzioni, deposito presso autorità straniera, assistenza professionale in loco, spostamenti interni, mantenimento del minore e preparazione documenti del predetto; non sono contestate da la Primogenita le somme versate dagli attori, seppure a vario titolo. Assumono gli attori che l’ente, abilitato dalla CAI, abbia violato tutti i doveri che gli sono imposti per legge, tra cui in particolare quello di informare i mandanti della circostanza che a far data dal 1 dicembre del 2011 le adozioni in Senegal fossero sostanzialmente sospese, avendo ricevuto a partire dal marzo 2012 plurime comunicazione di CAI in tal senso (doc.1 CAI) in ragione della situazione del predetto Paese, che avrebbe “deciso di sospendere l’accettazione di nuove istanze di adozione internazionale fino all’avvenuta implementazione della Convenzione de l’Aja recentemente ratificata”, con richiesta di riferire in merito alle attività in corso in Senegal, precisando quali procedure fossero “attualmente pendenti e con quali prospettive di definizione”. Ciò avrebbe loro impedito di valutare un differente paese di origine per il bimbo da adottare, come risultava dall’incarico conferito, in cui essi avevano indicato, oltre al Senegal, altri due paesi, India e kirghzistan, secondo quanto risultante dall’estratto del sito CAI (doc. 14 attoreo). I testi di parte Primogenita hanno tuttavia riferito che la coppia aveva sin da subito manifestato una netta preferenza per il Senegal, anche se non in via esclusiva, come riferito dal teste (omissis) di parte attrice, ed è evidente che la onlus non potesse presentare domande in paesi diversi contemporaneamente. Premesso che costituisce circostanza pacifica, che il Senegal avesse ratificato la Convenzione dell’Aja soltanto in data 24.8.2011 e che la stessa fosse entrata in vigore in data 1.12.2011, per cui il paese doveva procedere all’adeguamento del quadro istituzionale e procedurale ai ConTEnzIoSo nAzIonAlE principi dettati dalla convenzione medesima, la documentazione acquisita soprattutto da parte di CAI comprova che le adozioni in tale paese sono state molto rallentate, ma non sono del tutto cessate. Inoltre è emerso dalle deposizioni testimoniali (teste (omissis)) che, in una riunione organizzata da la Primogenita in data 7 dicembre 2015 con tutte le coppie interessate alle adozioni in Senegal, l’ente avesse informato dei rallentamenti, anche se non che la CAI avesse sconsigliato le adozioni in tale Paese. Sussiste quindi effettivamente a partire dalla fine del 2012 la violazione da parte dell’organizzazione dell’obbligo informativo, stabilito dall’art.1710 c.c.: “Il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato”. Infatti il mandatario è tenuto ad osservare tale obbligazione, al fine di rendere edotto il mandante delle circostanze che siano non solo sopravvenute, tale intendendosi anche quelle preesistenti delle quali il mandatario abbia avuto conoscenza successivamente al conferimento del mandato, ma anche le circostanze conosciute prima del mandato ovvero assunte contestualmente, che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato, ai sensi dell’art. 1710 c.c. (Cass. 1929 del 24/02/1987). Infatti grava sul mandatario l’obbligo di compiere gli atti giuridici previsti dal contratto con la diligenza del buon padre di famiglia (Cass. 11419 del 18/05/2009 e 19778 del 23/12/2003 sul fatto del terzo per liberarlo da responsabilità). Anche la stessa circostanza dell’allungamento dei tempi, conseguenti al cambio dei riferimenti normativi dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja da parte del Senegal, non risulta chiaramente comunicata alla coppia in esame, la quale è stata al contrario sempre illusa, verosimilmente in buona fede, della possibilità del buon fine della pratica, quantomeno fino alla riunione del 7 dicembre 2015 (cui si riferisce il capitolo 9 della prova per testi attorea), allorquando le coppie in attesa di adozione in Senegal furono informate dell’incertezza dei tempi per via del cambiamento dei giudici che si occupavano di adozione. Se quindi sotto l’aspetto fattuale risulta incontestata la presentazione della domanda di adozione presso il Tribunale di fatik in data 10 dicembre 2012, seppur non sia stata rilasciata alcuna ricevuta, e che sia stata in seguito depositata domanda presso il Tribunale di Dakar nel mese di maggio 2014 (come da relativa ricevuta, doc. 23), così come l’espletamento delle attività compiute in seguito, relativamente alla proposta di abbinamento della coppia ad un bambino, che poi venne affidato ad una coppia senegalese, come pure della proposta di abbinamento di una bambina nel 2017, nonché di quelle a latere necessarie per preparare il terreno per l’accoglimento delle stesse (mediante la realizzazione delle opere previste dal mandato tipo piccoli ospedali, orfanatrofi, asili, assistenza di vario tipo), non può affermarsi che il dovere di comunicazione sia stato adempiuto con diligenza. Al contrario la scarsa trasparenza nella gestione della procedura di adozione, specialmente per quanto riguarda l’aspetto degli obblighi informativi, che contemplavano anche l’onere di proporre altre soluzioni con riferimento ai due Stati indicati nella scheda (doc.14), rappresenta indubitabilmente un inadempimento. È tuttavia difficile configurare una violazione di tale gravità da giustificare la domanda risolutoria, potendo ciò rilevare al fine di fondare la legittimità della revoca del mandato e la conseguente riduzione dei compensi spettanti alla onlus, come disciplinati dalla clausola che recita: “qualora il rapporto tra Ente e la coppia si interrompa, a fronte di somme versate, l’Ente tratterrà l’importo di competenza (vedi allegato A punto 6)”. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 occorre, infatti, considerare che, nel caso di specie, l’obbligazione gravante sul mandatario è rappresentata principalmente dalla messa in atto di tutte le attività necessarie per curare per conto dei mandanti la pratica di adozione, ma non può spingersi fino a pretendere il buon esito della stessa, come previsto nella clausola negoziale che regola l’oggetto ed il contenuto dell’incarico, posto che è considerata determinante “in merito, la volontà delle Autorità straniere”. Gli stessi coniugi (omissis) dovevano essere consapevoli che la responsabilità della onlus era esclusa, come pattiziamente convenuto, nel caso di allungamento dei tempi previsti o prevedibili per il perfezionamento dell’adozione, ovvero, interruzione del procedimento adottivo, causata da: eventi politici, revoca dell’adottabilità dell’adottato, modifiche normative/ legislative, calamità, guerre o altre circostanze impreviste e imprevedibili”. orbene, rappresenta circostanza non imputabile alla condotta della onlus la modifica della procedura di adozione a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja proprio nell’anno 2011 da parte dello stato senegalese, come pure il cambio del giudice competente in materia presso il Tribunale di Dakar, come pure la revoca dell’adottabilità dell’adottato affidato ad una coppia locale avvenuta con il minore Eduard Alì keyta nel novembre 2015. Ciò che si imputa a la Primogenita è, come già detto, la poca trasparenza e comunicazione di tutti questi elementi, che avrebbero magari indotto la coppia a revocare prima l’incarico oppure dirottare le energie per la presentazione della domanda nei residui paesi individuati al momento del conferimento dell’incarico. Inoltre l’art. 22 l. Adozioni al comma secondo stabilisce che “in ogni momento a coloro che intendono adottare devono essere fornite, se richieste, notizie sullo stato del procedimento”; sebbene tale norma sia collocata nella parte che disciplina l’affidamento preadottivo, e non direttamente i rapporti con le organizzazioni che si occupano di adozioni, è evidente che nel corso dei periodici incontri con le coppie tali informazioni potevano essere richieste. nulla di tutto ciò è stato provato dagli attori, che non risultano aver richiesto notizie o chiarimenti fino alla missiva inviata a mezzo PEC dall’Avv.to bianchi alla CAI ed a la favorita nel mese di ottobre 2017 (doc. 5 attoreo). A ciò si aggiunga che rappresenta fatto notorio che, nell’ambiente delle coppie che aspirano ad adottare minori stranieri, siano in atto iniziative di vario tipo per consentire lo scambio di informazioni in maniera costante e continuativa, per cui è verosimile che ben prima della riunione del dicembre 2015 i coniugi (omissis) fossero a conoscenza della situazione creatasi in Senegal, del rallentamento delle pratiche di adozione in tale Paese, come riferito dal teste bastoni Simone: “tuttavia la procedura in senegal aveva avuto dei rallentamenti per problemi burocratici; abbiamo atteso quasi un anno ad aspettare la ratifica della Convenzione dell’aja da parte del senegal, circostanza che ci fu detta subito”. D’altra parte è documentato che le adozioni in tale Paese fossero diminuite a causa del rallentamento delle procedure e della limitazione degli spazi a seguito della ratifica della Convenzione de l’Aja, ma non fossero completamente bloccate, come dichiarato alla CAI dalle autorità senegalesi e come confermato dalla circostanza che dal 2011 le procedure di adozione in tale Stato sono state 34, di cui la maggior parte hanno riguardato minori nati dopo il 2011. Essendo la pratica degli attori stata presentata presso il Tribunale di fatik in data 10.12.2012 e non avendo la CAI mai vietato o sospeso le procedure di adozione in corso, tra cui quella dei coniugi (omissis), comunicata in data 10.5.2013 da la Primogenita, essa ha continuato la procedura, nella speranza di portarla avanti in altri tribunali del paese, come poi fece adoperandosi per ottenere un abbinamento presso il Tribunale di Djourbel, avendo nel frattempo definito altre procedure di adozione. ConTEnzIoSo nAzIonAlE Del resto il doc. 9 prodotto dalla CAI, che rappresenta l’elenco delle procedure di adozione conclusesi in Senegal tramite varie organizzazioni, tra cui la stessa la Primogenita, seppur contestato da parte attrice in quanto unilateralmente formato, dimostra che negli anni dal 2012 al 2015 le adozioni sono state portate a termine; trattandosi di procedimenti per i quali vige riservatezza assoluta, la scrivente non ha ritenuto di dover richiedere ulteriori informazioni ai sensi dell’art. 213 c.p.c. Del resto il teste senegalese ha riferito che alla coppia degli attori vennero proposti due abbinamenti, il primo revocato dal Tribunale di Dakar nell’anno 2015, come confermato dalla dichiarazione (resa in data 20 febbraio 2019) dal Presidente del Tribunale regionale di Dakar all’epoca dei fatti, Aminata ly ndiaye (doc. 42 la Primogenita), ed il secondo nel luglio 2016 presso il Tribunale di Djourbel, che gli stessi non hanno portato avanti, avendo revocato l’incarico. la domanda nei confronti di la Primogenita va quindi respinta e ciò comporta l’assorbimento delle questioni riguardanti la CAI. le spese di lite vanno poste a carico degli attori in considerazione della loro soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i valori medi delle cause di valore compreso tra lo scaglione da € 52.001,00 ad € 260.000,00, posta la lunghezza degli accertamenti istruttori e la particolare singolarità della vicenda. P.q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: rigetta le domande tutte formulate da parte degli attori; condanna gli attori in solido tra loro a rimborsare alle parti convenute le spese di lite, che si liquidano in € 13.000,00 per compenso, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali; bologna, 17 settembre 2020. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 L’accesso civico generalizzato in materia di appalti alla luce della Plenaria n. 10/2020 Nota a CoNsiGlio Di stato, aDUNaNza PleNaria, seNteNza 2 aPrile 2020 N. 10 Alessandro Belli* Con l’adunanza Plenaria n. 10/2020, il Consiglio di stato risolve il contrasto interpretativo relativo all’applicabilità dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. 33/2013 in materia di appalti, offrendo spunti di riflessione sulla dibattuta questione della natura giuridica di tale strumento di accesso. sommario: 1. la vicenda -2. l’accesso civico generalizzato -3. l’accesso in materia di appalti ex art. 53 d.lgs. 50/2016 -4. il contrasto interpretativo -5. la soluzione dell’adunanza Plenaria -6. sulla natura giuridica del diritto di accesso civico alla luce dell’adunanza Plenaria. 1. la vicenda. Una società impugna innanzi al TAr Toscana la nota della Pubblica Amministrazione che nega l’istanza di accesso ai documenti relativi all’esecuzione del “servizio integrato energia per le Pubbliche amministrazioni”. l’appellante contesta il diniego alla richiesta di accesso ai documenti di gara ai sensi della l. 241/1990 esponendo di essere titolare di un interesse, qualificato e differenziato, come partecipante alla gara per l’affidamento del servizio in oggetto, classificatosi al secondo posto in graduatoria. lamenta inoltre l’erroneità del rifiuto della P.A. alla richiesta di accesso civico generalizzato in quanto, uti civis, avrebbe diritto di accedere ai dati e documenti detenuti dalla P.A. Il Tar Toscana con sentenza 577/2019 respinge il ricorso ritenendo l’istanza meramente esplorativa. Avverso tale sentenza la società ricorre al Consiglio di Stato per violazione della l. 241/1990 in materia di accesso e del d.lgs. 33/2013 in materia di accesso civico generalizzato. Con l’ordinanza 16 dicembre 2019, n. 8501, la III Sezione del Consiglio di Stato, ravvisando un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto del giudizio, rimette all’Adunanza Plenaria tre quesiti: a) se sia configurabile o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giu(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. St. Antonio Grumetto). ConTEnzIoSo nAzIonAlE ridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore ed il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regola dello scorrimento della graduatoria; b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice; c) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d.lgs. n. 33/2013; e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere- dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. Tra le questioni sollevate suscita particolare interesse la seconda in quanto: -interviene a risolvere il contrasto giurisprudenziale relativo all’applicabilità dell’accesso civico generalizzato alle informazioni e documenti che, in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ineriscono al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva; -stimola una riflessione sulla natura giuridica del diritto di accesso generalizzato. Per comprendere appieno le radici del problema che la Plenaria risolve, è bene tratteggiare brevemente la disciplina dell’accesso civico generalizzato nonché quella dettata dall’art. 53, d.lgs 50/2016. 2. l’accesso civico generalizzato. l’accesso civico generalizzato, introdotto con il d.lgs. 97/2016, si ispira al modello statunitense del foIA (Freedom of information act) (1). questo (1) Per una disamina del modello statunitense, ispiratore dei sistemi di accesso generalizzato europeo e degli Stati nazionali, si veda DIAnA UrAnIA GAlETTA, la trasparenza, per un nuovo rapporto rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 istituto segna il passaggio dal c.d. need to know al c.d. right to know: dal bisogno di conoscere, soddisfatto mediante il diritto di accesso ex 241/1990, strumentale alla protezione di un interesse individuale, al diritto di conoscere, volto a garantire la massima trasparenza dell’attività amministrativa (2). l’accesso civico generalizzato implica la possibilità per chiunque di accedere a documenti dati e informazioni posseduti dalla P.A., a prescindere dalla titolarità di un interesse personale, concreto e attuale riferito alla tutela di una situazione giuridica differenziata, richiesto invece in materia di accesso documentale dall’art. 22, legge 241/1990 (3). l’accesso di terza generazione, introdotto dopo l’accesso documentale e l’accesso civico semplice, è definito reattivo perché, a differenza dell’accesso civico semplice, definito invece proattivo (4), non tende all’adempimento da parte della P.A. degli obblighi di pubblicazione ma mira a soddisfare la richiesta del singolo cittadino ad informarsi sull’attività della P.A. (5). l’accesso civico generalizzato può avere ad oggetto oltre a documenti, anche dati e informazioni di cui la P.A. sia in possesso (6). C’è quindi una maggiore estensione quantitativa rispetto all’accesso documentale sia soggettivamente, in quanto qualsiasi cittadino è legittimato a presentare istanza di accesso civico, che tra cittadino e pubblica amministrazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo, in rivista italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fascicolo 5, pp. 1019 e ss. (2) v. il Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016 che ha evidenziato come «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.o.i.a.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine (…) della Pubblica amministrazione trasparente come una “casa di vetro”». la tematica della trasparenza della pubblica amministrazione è stata diffusamente affrontata in dottrina si vedano GIUSEPPE AnTonIo ArEnA, trasparenza amministrativa, in SAbIno CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 5945 e ss.; AlDo MAzzInI SAnDUllI, la trasparenza amministrativa e l'informazione ai cittadini, in GIUlIo nAPolITAno (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Milano, 2007, pp. 158 e ss. (3) v. sui presupposti del diritto di accesso documentale Consiglio di Stato, sez. III, n. 1578/2018; in dottrina per una diffusa ricostruzione dell’istituto si rinvia a SArA SErGIo, l’azione amministrativa: partecipazione, trasparenza e accesso, napoli, 2019, pp. 167 e ss. (4) Sull’accesso civico semplice si veda SArA SErGIo, l’azione amministrativa: partecipazione, trasparenza e accesso, napoli, 2019, p. 150, secondo la quale con il d.lgs. 33/2013 viene ideata una nuova concezione di trasparenza amministrativa, nella misura in cui le informazioni in possesso delle Amministrazioni non sono più accessibili soltanto su richiesta dell’interessato ma, grazie ad un’azione positiva della P.A., sono pubblicate sui siti istituzionali e messe a disposizione di chiunque abbia interesse. (5) v. Corte cost., n. 155/2002, secondo la quale la visibilità del potere garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica; v. anche di recente Corte Cost., sentenza n. 20/2019 che rimarca come il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della P.A., risponde a principi di pubblicità e trasparenza riferiti al principio democratico espresso dall’art. 1 Costituzione nonché ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. ai sensi dell’art. 97 Costituzione. (6) Sul concetto di informazioni si vedano le linee guida Foia, allegate alla delibera Anac del 28.12.2016, n. 1309 che le qualificano come “le rielaborazioni di dati detenuti dalle amministrazioni effettuate per propri fini contenuti in distinti documenti”. ConTEnzIoSo nAzIonAlE oggettivamente, in quanto la richiesta può avere ad oggetto non solo documenti ma anche dati e informazioni. A questa maggiore estensione corrisponde però rispetto all’accesso della 241/1990 una minore profondità nel senso che i limiti che la P.A. può opporre all’accesso sono maggiori (7). Chiunque ha quindi diritto di accedere ma nel rispetto dei limiti posti per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dal decreto (8). Ci sono pertanto i c.d. interessi limite, cioè interessi la cui tutela giustifica il diniego della richiesta di accesso generalizzato. Esistono due tipologie di eccezioni: -Eccezioni assolute, rispetto alle quali il legislatore prevede che vi sono una serie di documenti ex se esclusi dall’accesso perché coperti dal segreto di Stato o sussistono specifici divieti di divulgazione (9). le eccezioni assolute del diritto di accesso, disciplinate dall’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013, escludono l’accesso nei casi di Segreto di Stato, negli altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge «ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni/modalità o limiti inclusi quelli di cui all’art. 24 comma 1 della 241 del 90». Il senso di quest’ultimo inciso è all’origine della questione risolta dalla Plenaria e perciò sarà esaminato più approfonditamente in seguito; -Eccezioni relative, la cui individuazione è demandata ad una valutazione discrezionale della P.A. che può negare l’accesso con considerazioni da fare (7) v. in tal senso AlfrEDo MolITErnI, la natura giuridica dell’accesso civico generalizzato nel sistema di trasparenza nei confronti dei pubblici poteri, in Diritto amministrativo, fascicolo 3, 2019, pp. 577 e ss. (8) Sulla importanza delle eccezioni nel sistema informativo dettato dal d.lgs. 33/2013, v. MArIo fIlICE, i limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Diritto amministrativo, fascicolo 4, 2019, p. 861 ove afferma che «le eccezioni (…) rappresentano un punto cruciale del- l’architettura normativa della libertà di accesso in italia come in tutti i sistemi Foia; giacchè servono a garantire quel difficile equilibrio fra la conoscibilità delle informazioni pubbliche e la tutela di alcuni interessi qualificati». (9) v. Consiglio di Stato, Sezione Iv, n. 2496/2020 la quale sulla funzione delle eccezioni assolute, afferma che «le eccezioni assolute sono state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di stato, sicchè il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi » e aggiunge che «in questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e dalla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione»; nello stesso senso si esprime in dottrina MArIo fIlICE, i limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Diritto amministrativo, fascicolo 4, 2019, p. 862 il quale afferma che la natura vincolata del potere in caso di eccezioni assolute non esima la P.A. dalla necessaria verifica che il dato o documento rientri nella tipologia oggetto dell’eccezione assoluta, curando esaustivamente le ragioni alla base del diniego. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 volta per volta e in concreto, tra l’esigenza di trasparenza sottesa all’accesso civico generalizzato e la riservatezza o la tutela degli interessi che in vario modo giustificano il diniego (10). Infine, alla luce del principio di proporzionalità, i successivi commi 4 e 5 dell’art. 5-bis prevedono la possibilità per la P.A. di escludere l’accesso solo rispetto ad alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, o di fare ricorso al potere di differimento ove sufficiente a garantire la tutela dei suddetti interessi. 3. l’accesso in materia di appalti ex art. 53 d.lgs. 50/2016. l’accesso in materia di appalti si caratterizza per la sua specialità rispetto alla disciplina generale, vista la rilevanza degli interessi economici e commerciali che devono essere garantiti in questa materia (11). la norma di riferimento è l’art. 53 del Codice dei Contratti Pubblici che richiama la disciplina generale in materia di accesso documentale ai sensi della 241/1990, salvo quanto espressamente previsto dal Codice stesso in materia di accesso agli atti. questo prevede che, fatta salva la disciplina per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, cui non si applica la disciplina dell’accesso documentale nè quello dell’accesso civico generalizzato, sussiste un differimento temporale: -nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato l’offerta, fino alla scadenza del termine. -nelle procedure ristrette e negoziate, in relazione ai soggetti che hanno fatto richiesta di essere invitati o hanno manifestato il loro interesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime. - in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione; -in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione. rispetto a tali documenti quindi non c’è un’esclusione in assoluto ma un (10) Sono elencate dall’art. 5-bis, comma 1 che individua gli interessi pubblici che possono escludere l’accesso civico generalizzato ovvero la sicurezza pubblica, le questioni internazionali, le questioni militari, la stabilità finanziaria, le indagini sui reati, il regolare svolgimento delle attività ispettive. Il secondo comma in materia di interessi privati afferma che l’accesso può essere escluso se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla riservatezza, alla libertà e segretezza della corrispondenza, agli interessi economici e commerciali di una persona fisica e giuridica compresa la tutela della proprietà intellettuale, del diritto d’autore e dei segreti commerciali. Sulla struttura del processo valutativo che la P.A. deve compiere si veda ancora MArIo fIlICE, i limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Diritto amministrativo, fascicolo 4, 2019, p. 870 il quale afferma che le amministrazioni sono chiamate a valutare comparativamente se la diffusione di quanto richiesto soddisfi meglio l’interesse generale rispetto al diniego dell’accesso; nello stesso senso si veda AnnA CorrADo, Conoscere per partecipare: la strada tracciata dalla trasparenza amministrativa, napoli, 2018, pp. 178-180. (11) Per una analisi più approfondita della disciplina speciale sull’accesso nel settore dei contratti pubblici si rimanda a lUCIA MInErvInI, accesso agli atti e procedure di affidamento ed esecuzione di contratti pubblici, in Foro ammministrativo, fascicolo 5, 2019, pp. 949 e ss. ConTEnzIoSo nAzIonAlE differimento nell’accesso. le ragioni di tale differimento sono evidenti: un accesso immediato creerebbe il rischio di alterare il regolare svolgimento della gara. Si prevede quindi o che la gara sia conclusa (lett. c) e d) comma 2) oppure che sia scaduto il termine per presentare le offerte (laddove l’accesso riguardi l’offerta medesima, o meglio il nominativo del soggetto che ha presentato l’offerta nella procedura aperta oppure ha chiesto di essere invitato in quella ristretta). la ratio è quella di preservare la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della procedura di gara da indebite influenze, intromissioni e turbamenti prima della conclusione della gara (o prima che si sia perlomeno esaurita una certa fase della gara) nei confronti di chiunque, sia che agisca uti singolus sia che agisca uti civis. Altre eccezioni rispetto al diritto d’accesso sono contenute nel comma 5, che prevede un’esclusione assoluta del diritto di accesso in relazione ad una serie di atti che sono: -ai sensi della lett. a) le «informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». la ratio è di tutela della riservatezza commerciale dell’impresa. Si vuole evitare che l’accesso possa rappresentare un mezzo per carpire segreti commerciali e tecnici, ad esempio il know how produttivo; -ai sensi della lett. d) le «soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale». Anche qui c’è un’esigenza di tutela della proprietà intellettuale sulla soluzione tecnica e sul software utilizzato; -le eccezioni di cui alle lett. b) e c) prevedono invece la non accessibilità rispettivamente: «ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici »; «alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto». Si tratta di atti che potrebbero essere rilevanti in un contenzioso già pendente o comunque potenziale tra la stazione appaltante e colui che ha partecipato alla gara o che sta eseguendo il contratto. C’è quindi l’esigenza di preservare il diritto di difesa dell’amministrazione. Infine, dal combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 53, si evince che la tutela del segreto tecnico e commerciale è recessiva rispetto al diritto di accesso quando questo sia strumentale alla tutela in giudizio del richiedente. In tal caso, per giustificare il rifiuto è necessaria una specifica motivazione che rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 evidenzi le ragioni di “concreta segretezza commerciale” dell’offerta da parte dell’offerente e la stazione appaltante dovrà escludere l’effettiva utilità e/o pertinenza della documentazione richiesta ai fini della difesa in giudizio (12). 4. il contrasto interpretativo. Esaminate brevemente la disciplina sull’accesso in materia di appalti e quella relativa all’accesso pubblico generalizzato, è possibile delineare i termini del contrasto risolto dall’Adunanza Plenaria. l’ordinanza di rimessione offre un quadro esaustivo del dibattito giurisprudenziale che si declina in due posizioni che emergono rispettivamente dalla sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato, 5 giugno 2019, n. 3780 e dalle sentenze gemelle della Sezione v, 2 agosto 2019, nn. 5502 e 5503. Secondo il primo orientamento (13), espresso dalla prima delle sentenze indicate, l’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, nel rinviare agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990, non implica l’esclusione totale dell’accesso pubblico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti (14), si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso generalizzato, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni. Secondo la III Sezione è da privilegiare un’interpretazione conforme al principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione ex art. 97 Costituzione e tendente a valorizzare l’impatto “orizzontale” del- l’accesso civico generalizzato, non limitabile da norme preesistenti ma solo da norme speciali, da interpretare restrittivamente. Il secondo orientamento (15), espresso dalla v Sezione del Consiglio di Stato (16), valorizzando il principio di specialità, afferma che l’eccezione as (12) v. sul punto lUCIA MInErvInI, accesso agli atti e procedure di affidamento ed esecuzione di contratti pubblici, in Foro ammministrativo, fascicolo 5, 2019, pp. 949 e ss. (13) In dottrina si veda per un commento alla sentenza robErTo SChnEIDEr, il Consiglio di stato riconosce l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato agli atti di una procedura di gara, in l’amministrativista, 2019. nella giurisprudenza di primo grado tale orientamento era già emerso, si veda per tutti Tar napoli n. 5837/2019 che sottolinea l’importanza dell’applicazione della disciplina dell’accesso civico in materia di appalti, ove il rischio di corruzione è maggiore. Pertanto una volta che la gara si sia conclusa e sia venuta meno l’esigenza di tutelare la par condicio dei concorrenti, la possibilità di accesso civico risponde proprio ai canoni generali di controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sul- l’utilizzo delle risorse pubbliche, di cui all’art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013. (14) l’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013 afferma infatti che il diritto accesso civico generalizzato «è escluso nei casi di segreto di stato e negli altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della legge 241/1990». (15) Si vedano nella Giurisprudenza di primo grado Tar Emilia romagna, Parma, n. 197/2018; Tar lombardia, Milano, n. 630/2019. (16) Per una più approfondita analisi della sentenza si rinvia a MArGIoTTA GIUSI, accesso civico generalizzato in materia di affidamento e di esecuzione di contratti pubblici, in lamministrativista.it, ConTEnzIoSo nAzIonAlE soluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013 possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina speciale regolante il diritto di accesso in riferimento a determinati ambiti o materie. In materia di contratti pubblici la specialità della disciplina escluderebbe l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato in modo da soddisfare la trasparenza nel necessario bilanciamento con altri interessi sia pubblici che privati, attuando «specifiche direttive europee di settore che, tra l’altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principi di rilevanza eurounitaria, in primo luogo di concorrenza, oltre che di economicità, efficacia e imparzialità» (17). Secondo questo orientamento, l’accesso civico generalizzato non sarebbe nemmeno necessario in tale settore in quanto le finalità di trasparenza sono già soddisfatte dal ruolo di vigilanza svolto sui contratti pubblici dall’AnAC e dall’accesso civico semplice previsto dagli artt. 3 e 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, vista l’ampiezza degli obblighi di pubblicazione previsti in capo alla pubblica amministrazione in tale contesto ordinamentale. Sulla base di queste considerazioni la v Sezione esclude l’applicazione dell’accesso civico generalizzato nel settore degli appalti. 5. la soluzione dell’adunanza Plenaria. la Plenaria nell’ambito di una ricostruzione sistematica di ampio respiro in materia di accesso civico generalizzato (18), giunge ad elevarlo al rango di diritto fondamentale. l’accesso civico, ad avviso della Plenaria, è infatti espressione della libertà di manifestazione del pensiero intesa non solo come libertà di informare ma anche di informarsi per manifestare il pensiero, per diffondere notizie veritiere e costituisce una sorta di requisito necessario al buon funzionamento della democrazia che presuppone la trasparenza e la conoscibilità dei documenti, dei dati e delle informazioni (19). 2019 e a PATrIzIo rUbEChInI, appalti pubblici e diritto di accesso, in Giornale di Diritto amministrativo, fascicolo 2, 2020, pp. 232 e ss. (17) Così Consiglio di Stato, Sezione v, n. 5503/2019. (18) Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ancora infatti il diritto di accesso civico generalizzato non solo agli artt. 1, 2, 97, 117 Cost. ma anche all’art. 42 della Carta di nizza e 10 della CEDU; v. anche Consiglio di Stato, Sezione Iv, sentenza n. 2496/2020 che nel fornire una prima applicazione del principio di diritto dell’Adunanza Plenaria, afferma che «la disciplina delle eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato è coperta da una riserva di legge, desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CeDU, secondo il quale la libertà di espressione include “la libertà di ricevere (…) informazioni (…) senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche”, e l’esercizio delle libertà garantite “può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica” alla tutela di una serie di interessi, pubblici e privati -quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost., e la loro interpretazione non può che essere stretta, tassativizzante». (19) v. Adunanza Plenaria 10/2020 la quale afferma che «bene si è osservato che il diritto di ac rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 quanto alla questione che qui si analizza l’Adunanza Plenaria, rinvenendo le origini del contrasto interpretativo nella “infelice formulazione della disposizione” di cui all’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013, supera l’interpretazione offerta dalla v Sezione che perviene a «spezzare l’indubbio nesso sistematico, già evidente nella formulazione del comma (“ivi compresi… inclusi”) fra i tre casi di eccezioni assolute al diritto di accesso previste da codesta norma». Il Consiglio di Stato giunge infatti a ritenere preferibile una «lettura unitaria a partire dall’endiadi “segreti e altri divieti di divulgazione”-evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, convenzionalmente e costituzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante». Prosegue poi il Consiglio di Stato affermando che «la disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. 241/1990, perché se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato». quindi l’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013 disciplina eccezioni assolute come quelle del segreto di Stato o altri previsti dalle varie leggi settoriali (20). Per tali casi il rispetto della disciplina speciale, in virtù della ratio ad essa sottesa, preclude l’accessibilità totale di dati e documenti che è incompatibile con la tipologia di documento. Al di là di tali casi però il rapporto tra le due discipline dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato non può essere risolto in base al criterio di specialità ma «secondo un canone ermeneutico di completamento/ inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla relazione tra le discipline non è quella della separazione; ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline». Sarà quindi compito dell’interprete indagare caso per caso -l’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013 parla infatti di «altri casi cesso civico è precondizione, in questo senso, per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà». (20) v. a titolo esemplificativo il segreto statistico ex art. 9 d.lgs. n. 322 del 1989; il segreto militare disciplinato dal r.D. 161/1941; il segreto bancario previsto dall’art. 7, d.lgs. n. 385/1993; il segreto scientifico e il segreto industriale di cui all’art. 623 c.p. ConTEnzIoSo nAzIonAlE di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge» -se il «filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato». quanto al rapporto tra la disciplina dell’accesso generalizzato e quella dell’accesso in materia di contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria afferma che nell’art. 53 del d.lgs. 50/2016 non possa rinvenirsi una eccezione assoluta alla prima in quanto la limitazione temporale all’accesso prevista per alcuni documenti (art. 53, comma 2, d.lgs. 50/2016) e il divieto di pubblicazione previsto per altri (art. 53, comma 5, d.lgs. 50/2016) non può comportare l’esclusione dell’intera materia dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato «che riacquista la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso». Al di fuori di questi casi l’accesso è consentito ed è rimesso, come accade per l’accesso civico generalizzato, alla valutazione discrezionale dell’amministrazione. la norma rilevante è in particolare l’art. 5 bis, comma 2, d.lgs. 33/2013 in tema di eccezioni relative all’accesso civico generalizzato a tutela di interessi privati. l’accesso in tali casi può essere negato motivatamente quando sono in gioco gli interessi economici e commerciali della persona fisica e giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale (21). non c’è dubbio quindi che in materia di appalti, al momento dell’accesso, operi questo limite. l’amministrazione potrà, sulla base di quello che la Plenaria chiama il “test di proporzionalità”, respingere la richiesta di accesso civico generalizzato. Si tratta però di un’esclusione in concreto in quanto la materia non è esclusa in astratto (22). quindi l’accesso civico generalizzato è ammissibile anche in materia di appalti salvo i limiti giustificati dai particolari interessi tutelati dalla relativa disciplina speciale. questo chiarisce anche il senso della disposizione che esclude l’accesso civico generalizzato nel caso di segreto e nel caso in cui la disciplina vigente subordini l’accesso al rispetto di particolari limiti, definita di “infelice formu (21) Sul punto la Plenaria afferma che «questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 33/2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il knowhow industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari». (22) v. Consiglio di Stato, sez. Iv, 20 aprile 2020 n. 2496, ove si afferma che se il giudice non ravvisa la presenza di eccezioni assolute -previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, «procede con approccio restrittivo a valutare il pregiudizio per il c.d. interesse-limite contrapposto, nell’ottica del riscontro del pregiudizio concreto che connota le c.d. eccezioni relative». rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 lazione” dall’Adunanza Plenaria. la disposizione esprime il principio in base al quale, data la struttura dell’accesso civico generalizzato e dell’accesso documentale, non possono essere conosciuti con il primo, documenti cui non si potrebbe accedere con il secondo. In altre parole, se un documento non può essere conosciuto neanche se l’istante ha un interesse attuale e concreto collegato ad una situazione giuridica, a maggior ragione non lo si potrà ottenere con l’accesso civico generalizzato, vista la minore profondità offerta dallo strumento dell’accesso civico generalizzato (23). 6. sulla natura del diritto di accesso civico alla luce dell’adunanza Plenaria. In materia di accesso documentale di cui alla l. 241 del 1990 la P.A. è chiamata ad una attività di accertamento quasi vincolata in cui a fronte di una richiesta di accesso deve accertare se ci sono le condizioni di legge, non spendendo normalmente discrezionalità. l’esito del giudizio di bilanciamento tra l’interesse alla conoscenza del documento e la protezione dei dati personali del controinteressato (24), è già predeterminato dal legislatore che all’art. 24 stabilisce già ciò che è e ciò che non è accessibile se contiene dati personali, se non a certe condizioni. nell’accesso civico generalizzato invece, oltre alle eccezioni assolute in cui l’acceso non opera, sono disciplinate le eccezioni relative. In tale seconda ipotesi, di fronte ad una richiesta di accesso civico generalizzato, l’amministrazione è chiamata ad una sorta di test di proporzionalità ed a vedere di volta in volta se la tutela di un determinato interesse giustifica il non accoglimento o l’accoglimento solo parziale della richiesta di accesso. Emerge quindi un potere di bilanciamento che sembra evocare i tratti tipici della discrezionalità amministrativa il cui tratto caratteristico consiste nel bilanciamento di interessi. Se la Plenaria n. 6/2006 qualifica l’accesso documentale come una situazione strumentale, un mezzo di tutela di situazioni giuridiche che possono avere la consistenza di diritti e interessi giuridicamente rilevanti che non assurgono al rango nè di diritti soggettivi nè di interessi legittimi, l’accesso civico generalizzato invece viene qualificato dalla Plenaria che si esamina come (23) v. in tale senso MArIo fIlICE, i limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Diritto amministrativo, fascicolo 4, 2019 p. 864 secondo il quale il senso dell’ultimo inciso dell’art. 5-bis, comma 3, d.lgs. 33/2013 che in tema di eccezioni assolute al diritto di accesso civico generalizzato, rinvia alle ipotesi di esclusione previste dall’art. 24, comma 1, l. 241/1990 è quello di evitare «la situazione paradossale per cui uno stesso soggetto, utilizzando l’accesso civico generalizzato -quindi senza motivare l’istanza né dimostrare uno specifico interesse -riesca a ottenere il rilascio di atti, precluso invece a fronte di una richiesta di accesso procedimentale suffragata dalla dimostrazione di un interesse qualificato». (24) Ai sensi dell’art. 22, legge 241/1990, “controinteressato” in materia di accesso è il soggetto, individuato o facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza. ConTEnzIoSo nAzIonAlE un diritto fondamentale, addirittura come una sorta di precondizione per l’esercizio di tutti i diritti fondamentali, sul presupposto che l’accesso significa conoscenza e la conoscenza è alla base di tutto, anche dei diritti fondamentali della persona (25). la constata esistenza del potere discrezionale in capo alla P.A. porta qualcuno a ritenere che lo schema sia quello tipico dell’interesse legittimo in cui per accedere al bene della vita, cioè al documento o all’informazione, sia necessario l’esercizio di un potere amministrativo che va a bilanciare l’interesse del richiedente con altri interessi limite (26) che vanno a giustificare l’accoglimento dell’istanza. Se di diritto fondamentale si può parlare, sarebbe più corretto qualificare tale situazione come “interesse legittimo fondamentale” perché viene in rilievo una situazione di interesse legittimo, considerato che, l’esito positivo dell’istanza, soggiace ad un potere di bilanciamento della P.A. che può decidere che l’interesse dell’istante sia sacrificabile sull’altare di altri interessi limite (27). Consiglio di Stato, adunanza Plenaria, sentenza 2 aprile 2020 n. 10 -Pres. f. Patroni Griffi, est. M. noccelli -Diddi s.r.l. (avv. P. Adami) c. Azienda U.S.l. Toscana Centro, (avv.ti G.P. Mosca e M. foglia); C.n.S. Consorzio nazionale Servizi Società Cooperativa (avv.ti G.r. notarnicola, A. Police e f. Cintioli); Comune di Chiaramonte Gulfi (avv. A. Cariola). fATTo e DIrITTo 1. l’odierna appellante, Diddi s.r.l., ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo (25) Parlano di un nuovo diritto costituzionale “emergente” da far rientrare “nel patrimonio irretrattabile della persona umana”, da ricondurre tra i diritti inviolabili dell’individuo CArlo ColAPIETro, MArCo rUoTolo, Diritti e libertà, in Diritto pubblico, a cura di frAnCo MoDUGno, Torino, 2017, pp. 592 e ss. (26) In alcuni casi addirittura di merito politico: v. Consiglio di Stato n. 1121/2020 che, nel rifiutare l’accesso ai documenti relativi alle operazioni SAr, evidenzia che «(…) il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere -ratione materiae -profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza. il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale. Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto». (27) Sul concetto di interesse pubblico fondamentale si veda MArCo MAzzAMUTo, la discrezionalità come criterio di riparto della giurisdizione e gli interessi legittimi fondamentali, in giustizia amministrativa. it, gennaio 2020 il quale nel definirli afferma che «se proprio si vogliono poi declinare, in chiave processuale, i diritti fondamentali ai fini del riparto, ben potrà affermarsi che tali posizioni soggettive, ogni qual volta si incuneino in rapporti di diritto pubblico, diano luogo a “interessi legittimi fondamentali”». rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 regionale per la Toscana avverso la nota dall’Azienda USl Toscana Centro del 2 gennaio 2019 (di qui in avanti, per brevità, l’Azienda), che reca il diniego dell’istanza di accesso agli atti, presentata il 6 dicembre 2018, avente ad oggetto i documenti relativi all’esecuzione del «servizio integrato energia per le Pubbliche amministrazioni», svolto dal r.t.i. composto dal CnS -Consorzio nazionale Servizi Società Cooperativa (di seguito, per brevità, CnS) e dalle società Prima vera - Exitone -Termotecnia Sebina - Sof. 1.1. A supporto di tale richiesta, l’appellante ha esposto di essere titolare di uno specifico interesse, qualificato e differenziato, avendo partecipato alla gara per l’affidamento del servizio in oggetto, nella qualità di mandante del r.t.i. costituito con altre società, classificatosi al secondo posto della graduatoria, relativa al lotto n. 5, concernente la regione Toscana. 1.2. la dichiarata finalità dell’accesso era quella di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa presentata dal- l’aggiudicataria, poiché l’accertamento di eventuali inadempienze dell’appaltatore avrebbe determinato l’obbligo della pubblica amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto e al conseguente affidamento del servizio alla stessa appellante, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria di cui all’art. 140 del d. lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis alla vicenda in esame. 1.3. l’istanza non si è richiamata espressamente ed esclusivamente alla disciplina dell’accesso documentale, prevista dalla l. n. 241 del 1990, o a quello dell’accesso civico generalizzato, introdotto dal d. lgs. n. 97 del 2016. 1.4. l’atto di diniego di accesso, opposto dalla pubblica amministrazione, è incentrato sulla motivazione per la quale «la documentazione richiesta concerne una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito dalla gara in oggetto, e perciò ricompresi nel concetto più generale di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», con la conseguente applicazione dei limiti, stabiliti dalla l. n. 241 del 1990, tra i quali connessi alla necessaria titolarità, in capo al richiedente l’accesso, di un interesse qualificato. 1.5. Secondo l’Azienda, Diddi s.r.l. non avrebbe dimostrato la concreta esistenza di una posizione qualificata, idonea a giustificare l’istanza di accesso. 1.6. In ogni caso, a parere dell’Azienda, l’istanza di accesso non può essere accolta nemmeno in base alla disciplina dell’accesso civico generalizzato, poiché tale normativa non trova applicazione nel settore dei contratti pubblici. 2. l’odierna appellante, come si è premesso (par. 1), ha impugnato ai sensi dell’art. 116 c.p.a. avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana il diniego di accesso, articolando due motivi, e ne ha chiesto l’annullamento. 2.1. Diddi s.r.l. ha dedotto in prime cure, con un primo motivo, l’illegittimità del diniego perché, a suo dire, essa aveva un interesse qualificato e concreto, ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, a conoscere eventuali inadempienze verificatesi nell’esecuzione dell’appalto. 2.2. Con un secondo motivo, poi, la ricorrente ha lamentato comunque l’erroneità del diniego opposto dall’Azienda anche con riferimento all’art. 5 del d. lgs. n. 33 del 2013 perché, secondo a sua tesi, con il nuovo accesso civico generalizzato avrebbe comunque diritto, uti civis, ad accedere ai documenti e ai dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni. 2.3. nel primo grado del giudizio si sono costituite l’Azienda resistente, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo essa priva della qualità di stazione appaltante, e comunque nel merito l’infondatezza della domanda di accesso proposta nonché S.n.C., controinteressata, che ha evidenziato come il Tribunale amministrativo regionale per il lazio, ConTEnzIoSo nAzIonAlE sede di roma, con la sentenza n. 425 del 14 gennaio 2019, avesse già respinto il ricorso avverso il diniego oppostole da Consip s.p.a. per l’accesso agli atti relativi alla fase di realizzazione della gara, ed ha comunque anch’essa concluso per l’infondatezza del ricorso. 2.4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con la sentenza n. 577 del 17 aprile 2019, ha respinto il ricorso. 2.5. Secondo il primo giudice, infatti, l’istanza di Diddi s.r.l., per il modo in cui è formulata, si tradurrebbe in una indagine esplorativa tesa alla ricerca di una qualche condotta inadempiente dell’attuale aggiudicataria, di per sé inammissibile, non risultando da alcuna fonte di provenienza delle amministrazioni interessate né avendo la ricorrente altrimenti fornito alcun elemento o indicato concrete circostanza in tal senso. 2.6. quanto alla controversa applicabilità dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici, poi, il primo giudice, nel dare atto di un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha ritenuto che debba trovarsi il necessario punto di equilibrio risultante dall’applicazione dell’art. 53 del d. lgs. 50 del 2016, che rinvia alla disciplina di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013. 2.7. ne deriverebbe, a suo giudizio, una «disciplina complessa», risultante dall’applicazione dei diversi istituti dell’accesso ordinario e di quello civico, che hanno un diverso ambito di operatività e un diverso grado di profondità. 2.8. In particolare, per quanto riguarda gli atti e i documenti della fase pubblicistica del procedimento, oltre all’accesso ordinario è consentito anche l’accesso civico generalizzato, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche nonché per promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, mentre, per quanto attiene agli atti e ai documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale, l’accesso ordinario è consentito, ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza, che nel caso di specie non sarebbero stati rispettati. 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Diddi s.r.l. che, nell’articolare due distinti motivi di censura rispettivamente incentrati sulla violazione, da parte del primo giudice, delle disposizioni della l. n. 241 del 1990 e di quelle dettate dal d. lgs. n. 33 del 2013, ha ribadito le tesi esposte nel ricorso di prime cure e ha affermato la propria legittimazione a chiedere sia l’accesso documentale che quello civico generalizzato, e ha chiesto così la riforma della sentenza, con il conseguente accoglimento del ricorso originario e l’ostensione dei documenti richiesti. 3.1. Si sono costituite l’Azienda appellata, che ha riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva e nel merito ha contestato la legittimazione di Diddi s.r.l. a richiedere sia l’accesso procedimentale che quello generalizzato, e il C.n.S., che ha anche contestato la fondatezza del ricorso. 3.2. Con l’ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019 la III Sezione di questo Consiglio di Stato, nel ravvisare un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto del giudizio, ha rimesso a questa Adunanza plenaria tre quesiti: a) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria; rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice; c) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013; e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. 3.3. quanto al primo quesito, anzitutto, l’ordinanza di rimessione, nel valorizzare l’orientamento più recente della Corte di Giustizia UE, che ha ripetutamente sottolineato la rilevanza dell’interesse strumentale dell’operatore economico che aspiri all’affidamento di un operatore pubblico, prospetta il dubbio che detto operatore, secondo classificato, non potrebbe essere assimilato al quisque de populo, ai fini dell’attivazione dell’istanza ostensiva, perché la sua posizione funge da presupposto attributivo di un “fascio” di situazioni giuridiche, di carattere oppositivo o sollecitatorio, finalizzate alla salvaguardia di un interesse tutt’altro che emulativo, in quanto radicato sulla valida, anche se non pienamente satisfattiva, partecipazione alla gara. 3.4. quanto secondo quesito, la Sezione rimettente, nell’esporre le ragioni del contrasto tra l’orientamento, fatto proprio dalla stessa Sezione, incline a riconoscere l’applicazione del- l’accesso civico generalizzato ai contratti pubblici e quello, seguito invece dalla v Sezione (v., in particolare, le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019), contrario a tale applicazione, suggerisce una soluzione che operi una reductio ad unitatem delle due discipline, quella dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato, negando comunque che l’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016 abbia inteso dettare una disciplina esaustiva ed esclusiva dell’accesso in questa materia, con la conseguente impossibilità di consentire l’accesso civico generalizzato agli atti di gara per via della preclusione assoluta di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, e proponendo una lettura fondata sul rapporto di coordinamento-integrazione tra le suddette discipline. 3.5. quanto al terzo quesito, infine, la Sezione rimettente, pur avendo premesso, correttamente, che l’istanza di accesso, proposta da Diddi s.r.l., non è stata univocamente formulata ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 e che la connoterebbe il solo fine ostensivo perseguito, ha domandato a questa Adunanza plenaria di chiarire se sia consentito al giudice di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’accesso civico qualora il richiedente abbia speso una sua eventuale qualità differenziata e questa, tuttavia, non attinga i requisiti di legittimazione delineati dalla l. n. 241 del 1990, con particolare riguardo all’ipotesi in cui la pubblica amministrazione, nella motivazione dell’atto negativo, si sia espressa in senso sfavorevole per il cittadino, anche in ordine al primo profilo. 3.6. le parti, in vista dell’udienza pubblica del 19 febbraio 2020 fissata avanti a questa Adunanza, hanno depositato le loro memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 3.7. Il 18 febbraio 2020 è intervenuto ad opponendum nella presente fase del giudizio anche il Comune di Chiaramonte Gulfi (rG). 3.8. nella pubblica udienza del 19 febbraio 2020 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, che hanno esposto le loro tesi, ha trattenuto la causa in decisione. 4. In via preliminare deve essere esaminata l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato nella fase del giudizio avanti a questa Adunanza plenaria da parte del Comune di Chiaramonte Gulfi (rG). 4.1.1. questo deduce di essere parte in un giudizio, pendente al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana, nel quale si controverte dell’accesso documentale richiesto dall’Impresa Ecologica busso Sebastiano s.r.l. agli atti relativi all’esecuzione dell’appalto del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani e speciali e dei servizi di igiene urbana nell’ambito di detto Comune, appalto aggiudicato a MECo GEST s.r.l. 4.1.2. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020, ha rinviato la trattazione della vicenda alla camera di consiglio dell’8 aprile 2020, in attesa della decisione di questa Adunanza plenaria sulla medesima questione di diritto. 4.1.3. Sulla base di questo presupposto il Comune interveniente assume di essere titolare di un interesse a partecipare alla sede giurisdizionale in cui si definisce la regola di diritto da applicare successivamente alla risoluzione della controversia di cui è parte. 4.1.4. Ad avviso del Comune, la funzione nomofilattica esercitata da questa Adunanza giustificherebbe l’intervento, nel giudizio che si celebra davanti ad essa, di tutti i soggetti interessati dalla risoluzione di analoghe controversie sulla medesima questione di diritto, non dissimilmente dall’intervento, ora ammesso dalle Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale adottate l’8 gennaio 2020, da parte di soggetti «titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio» (art. 4, comma 7) o, addirittura, da parte di «formazioni sociali senza scopo di lucro» e di «soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità» (art. 4-ter). 4.2. l’intervento volontario ad opponendum del Comune di Chiaramonte Gulfi, proposto ai sensi dell’art. 28, comma 2, c.p.a., è inammissibile. 4.2.1. Trovano infatti applicazione anche al caso di specie i principî affermati dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio e, in particolare, da questa stessa Adunanza plenaria nella sentenza n. 23 del 4 novembre 2016. 4.2.2. la domanda di intervento non è ascrivibile a nessuna delle figure tipicamente riconducibili all’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, per come da ultimo disciplinato dall’articolo 28 c.p.a. nonché - per il grado di appello - dall’art. 97 c.p.a. 4.2.3. In particolare, come ha affermato questa Adunanza plenaria nella pronuncia n. 23 del 2016 sopra richiamata, non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire. 4.2.4. osta al riconoscimento di una situazione che lo legittimi a intervenire l’obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem. 4.2.5. Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di ini rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 ziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce. 4.3. non a caso, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (v. ex plurimis, sul punto, Cons. St., sez. Iv, 29 febbraio 2016, n. 853; Cons. St., sez. v, 2 agosto 2011, n. 4557). 4.4. Si tratta, come è del tutto evidente, di un presupposto che non ricorre nel caso in esame, pacifica essendo in tale ipotesi l’assoluta estraneità fra la posizione del Comune interventore e quella dell’odierna appellante, Diddi s.r.l. 4.5. Ed è appena il caso di ricordare, come ha già chiarito questa Adunanza nella sentenza n. 23 del 4 novembre 2016, che risulterebbe peraltro sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi, come quella qui esaminata, che si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art. 25, comma primo, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività dell’interesse all’intervento (e, con essa, la concreta rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi, solo a mo’ di esempio, alla necessaria verifica che il giudice ad quem sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza, circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo. 4.6. non giova al Comune interventore richiamare le recenti Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, adottate dalla stessa Corte l’8 gennaio 2020, poiché esse ammettono l’intervento di soggetti titolari di un interesse qualificato, che sia appunto inerente in modo diretto e immediato al concreto rapporto dedotto in giudizio e non semplicemente alle stesse o simili, astratte, questioni di diritto, o al più a tutti quei soggetti privati, senza scopo di lucro, portatori di interessi collettivi e diffusi, attinenti alla questione di costituzionalità, che rivestano il ruolo di c.d. amicus curiae. 4.7. In nessuna di tali figure rientra, anche a volere ammettere per ipotesi la totale assimilazione delle regole vigenti per il giudizio incidentale di costituzionalità a quelle previste per il processo amministrativo, quella dell’odierno Comune interventore. 4.8. ne discende l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dal Comune di Chiaramonte Gulfi. 5. venendo all’esame delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione, questa Adunanza plenaria ritiene che, per un più chiaro e corretto esame di queste secondo un rigoroso ordine di consecuzione logico-giuridica, sia imprescindibile anzitutto, sul piano processuale, inquadrare i fatti rilevanti ai fini del presente giudizio e quindi, anzitutto, individuarne l’esatto oggetto, delimitato dall’originaria istanza di accesso, presentata il 6 novembre 2018 da Diddi s.r.l., e dal provvedimento di diniego, adottato il 2 gennaio 2019 dall’Azienda. 6. Diddi s.r.l., nel premettere che il suo intento è di «mera collaborazione con le amministrazioni », si è rivolta all’Azienda con la propria istanza di accesso perché ha inteso verificare se l’esecuzione del servizio integrato di energia per le pubbliche amministrazioni, per il lotto 5, si svolga nel pieno rispetto di quanto richiesto dal capitolato tecnico, e in particolare di quelle concernenti lo standard qualitativo delle prestazioni, nonché di quanto offerto in sede di gara dall’a.t.i. guidata da C.n.S., risultata aggiudicataria del lotto n. 5, e attuale gestrice del servizio. 6.1 «eventuali inadempienze -si legge nell’istanza, a p. 2 -rispetto ai suddetti obblighi comporterebbero con ogni probabilità la risoluzione del contratto per inadempimento, ed il conseguente affidamento del servizio alla scrivente società, nella sua qualità di mandante dell’ati ConTEnzIoSo nAzIonAlE seconda in graduatoria», sicché ne conseguirebbe «l’interesse della Diddi s.r.l. a sapere se in concreto il servizio viene attualmente svolto nel rispetto della disciplina di gara e dell’offerta ritenuta migliore» e a tal fine «si rende indispensabile concedere l’accesso alla relativa documentazione […] che attesa (documentalmente) la corretta esecuzione delle prestazioni». 6.2. l’istanza elenca poi, punto per punto, i singoli documenti richiesti per ogni previsione e/o prestazione del capitolato tecnico e si conclude con la richiesta, riassuntiva di accesso alla documentazione relativa al contratto, attestante l’esecuzione delle prestazioni promesse. 6.3. l’Azienda, con la nota prot. n. 340 del 2 gennaio 2019, anche in seguito all’opposizione manifestata da C.n.S, ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza formulata in quanto: a) Diddi s.r.l. non avrebbe alcun interesse diretto, specifico, concreto, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, che giustifichi l’accesso documentale, che non è funzionale ad un controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione; b) parimenti, anche ove Diddi s.r.l. avesse inteso esercitare con la sua istanza un accesso civico generalizzato, la materia dei contratti pubblici sarebbe sottratta all’applicabilità di tale forma di accesso per l’eccezione assoluta prevista dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, il quale esclude tale forma di accesso laddove l’accesso sia subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti, nel caso di specie stabiliti dall’art. 13 dell’abrogato d. lgs. n. 163 del 2006 e, ora, dall’art. 53 del vigente d. lgs. n. 50 del 2016. 6.4. questi sono, in essenziale sintesi, i fatti salienti, che delimitano il thema decidendum del presente giudizio, promosso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. da Diddi s.r.l. per ottenere l’accesso alla documentazione richiesta. 6.5. Il provvedimento impugnato, a fronte di una istanza, come subito si vedrà, duplice o, per meglio dire, ancipite, oppone un diniego motivato con riferimento sia all’accesso documentale che a quello civico generalizzato. 7. la corretta delimitazione della questione controversa consente all’Adunanza di muovere all’esame delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione, non senza però la preventiva disposizione delle stesse secondo il loro corretto ordine logico-giuridico. 7.1. la terza questione, posta dall’ordinanza, è logicamente antecedente alle altre, in quanto, se, per ipotesi, l’istanza sia stata richiesta e respinta solo per una specifica tipologia di accesso (procedimentale o civico generalizzato), il tema controverso dovrebbe essere limitato all’esistenza dei presupposti del solo accesso richiesto, giacché, come si vedrà, sarebbe precluso al giudice riconoscere o negare in sede giurisdizionale i presupposti dell’altro, se questi non siano stati nemmeno rappresentati in sede procedimentale ab initio dall’istante. 7.2. l’ordine delle questioni deve essere affrontato nel modo seguente: a) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal d. lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. b) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria; c) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice. 8. Così impostato l’ordo quaestionum, secondo la loro necessaria consecuzione logica, occorre anzitutto esaminare il terzo quesito, posto dall’ordinanza, divenuto primo. 8.1. l’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso. 8.2. l’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo v della legge 7 agosto 1990, n. 241». 8.3. la giurisprudenza di questo Consiglio è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso» (v., sul punto, Cons. St., sez. v, 2 agosto 2019, n. 5503). 8.4. Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto. 8.5. Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame. 8.6. Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione. 8.7. la coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’AnAC nelle linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) -di qui in avanti, per brevità, linee guida -l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un «evidente aggravio per l’amministrazione (del quale ConTEnzIoSo nAzIonAlE l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti» (Cons. St., sez. v, 2 agosto 2019, n. 5503). 9. Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà. 9.1. Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni. 9.2. l’AnAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta. 9.3. Con ciò essa ha inteso «dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti». 9.4. Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, come è nel caso presente, fermi restando i limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d. lgs. n. 33 del 2013, limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su questo punto, anche Cons. St., sez. v, 20 marzo 2019, n. 1817). 9.5. Correttamente l’Azienda appellata, come del resto rileva l’ordinanza di rimessione, ha qualificato ed esaminato l’istanza di Diddi s.r.l. anche sotto il profilo dell’aspetto civico generalizzato, per quanto sia poi giunta ad escludere l’applicazione della relativa disciplina al caso di specie sulla base di argomenti non condivisibili. 9.6. A fronte di una istanza, come quella dell’odierna appellante, che non fa riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza. 9.7. A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappre rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 sentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test. 9.8. In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 6 giugno 2017 sull’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. Foia) -di qui in avanti, per brevità, Circolare foIA n. 2/2017 laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato». 10. Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato. 10.1. Ma non è questo il caso in esame ove, a fronte di una istanza formulata in modo indistinto, duplice o, se si preferisce, “ancipite” nella quale Diddi s.r.l. sembra rappresentare ora un proprio interesse specifico, quale seconda classificata, e ora un più generale interesse collaborativo con la pubblica amministrazione nell’interesse pubblico, l’Azienda ha vagliato l’esistenza dei presupposti per consentire sia l’una che l’altra forma di accesso. né si pongono problemi di garanzia del contraddittorio, in quanto l’Azienda ha interpellato la controinteressata C.n.S., che ha manifestato la sua opposizione all’istanza. 10.2. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione, dunque, non attiene propriamente al caso di specie, come del resto riconosce la stessa ordinanza, perché l’istanza di Diddi s.r.l. si presenta indistinta, ancipite, e una corretta applicazione del principio di tutela preferenziale del- l’interesse conoscitivo nella sua più ampia estensione, oltre che di non aggravamento procedimentale, ha indotto l’Azienda ad esaminare l’istanza sotto il duplice profilo e a dare una risposta “onnicomprensiva” per quanto, lo si è detto, non satisfattiva sul piano sostanziale per Diddi s.r.l. 10.3. la reiezione dell’istanza sotto il duplice profilo dell’accesso documentale e di quello civico generalizzato individua correttamente il thema decidendum del presente giudizio, proposto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., sicché non si pone alcun problema di conversione o di pronuncia ultra petita da parte del giudice nella presente controversia. 11. Il quesito posto dall’ordinanza pone tuttavia una questione di interesse generale, al di là della specifica vicenda, che questa Adunanza plenaria ritiene di esaminare, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a. 11.1. Al riguardo, deve ritenersi che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 11.2. Diversamente, infatti, la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo “in prevenzione”, su una istanza, quella di accesso civico generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990. 11.3. ne discende che al giudice amministrativo, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, è precluso di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire, in sede di ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente rappresentato all’amministrazione sotto l’uno o l’altro profilo. 11.4. Deve trovare in questo senso conferma l’orientamento, già espresso da questo Consiglio di Stato, secondo cui è preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum (cfr. Cons. St., sez. Iv, 28 marzo 2017, n. 1406; Cons. St., sez. v, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. v, 2 agosto 2019, n. 5503). 11.5. In altri termini, electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa -ancorché su impulso del privato -in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale. 11.6. nemmeno ad opera o a favore del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione tra procedimento e processo che si verifica quando nel processo vengono introdotte pretese o ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede procedimentale. 11.7. Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante. 11.8. È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti» (v., per la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio sul punto anche ante codicem, Cons. Stato, sez. vI, 9 maggio 2002, n. 2542 e, più di recente, Cons. St., sez. v, 19 giugno 2018, n. 3956). 11.9. Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo. 12. Il secondo quesito posto a questa Adunanza plenaria consiste nel chiarire se sia configu rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 rabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria. 12.1. Diversamente da quanto ha ritenuto il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nella sentenza qui impugnata, e nel condividere, invece, le osservazioni esposte dall’ordinanza di rimessione, questa Adunanza plenaria ritiene che gli operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti. 12.2. la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex plurimis, Cons. St., sez. v, 25 febbraio 2009, n. 1115) laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio. 12.3. l’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato. 12.4. questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato di questa stessa Adunanza plenaria (v., sul punto, la fondamentale pronuncia di questo Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999, n. 5, secondo cui «l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica», ma in tal senso v. già Cons. St., sez. Iv, 4 febbraio 1997, n. 42), ha espressamente riconosciuto l’accesso ad atti «concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1, lett. e) della l. n. 241 del 1990). 12.5. non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, della l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza» dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso. 12.6. Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile -applicabili «per ConTEnzIoSo nAzIonAlE quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016) -e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis del d. lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale. 12.7. Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’AnAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, del d. lgs. n. 159 del 2011. 12.8. Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza. 12.9. la trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53. 13. Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara. 13.1. È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza. 13.2. l’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione. 13.3. Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. v, 25 febbraio 2009, n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela. 13.4. la persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 13.5. vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32, comma 12, e 33, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016). 13.6. nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (v., sul punto, Cons. St., comm. spec., 28 novembre 2016, n. 2777, par. 5.6.-5.6.1.). 13.7. Ci si riferisce in particolare, tra le ipotesi che consentono il recesso facoltativo -contemplate, rispettivamente per i contratti e le concessioni, dall’art. 108, comma 1, e dall’art. 176, commi 1 e 2, del codice -alle eventuali modifiche sostanziali del contratto, che avrebbero richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 106 (art. 108, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016); al manifestarsi di una delle cause di esclusione dalla gara, previste dal- l’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, al momento dell’aggiudicazione; alla violazione di gravi obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento di infrazione ai sensi dell’art. 258 TfUE. 13.8. vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016). 13.9. E deve qui ricordarsi, peraltro, che i gravi e persistenti inadempimenti dell’operatore economico nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, costituiscono, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, causa di esclusione dalla gara e tali circostanze assumono particolare rilievo ai fini della partecipazione alla gara. 13.10. Ancora, più radicalmente, peraltro, la rilevanza della vicenda contrattuale anche nella fase di esecuzione è confermata dalle ipotesi di recesso obbligatorio dal rapporto contrattuale, previste dall’art. 110, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, che in realtà configurano forme di autotutela pubblicistica c.d. doverosa (con la conseguente, pacifica, giurisdizione del giudice amministrativo: Cons. St., sez. Iv, 29 aprile 2014, n. 2212), per l’intervenuta decadenza del- l’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci o per il sopraggiungere di un provvedimento definitivo, che dispone l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal d. lgs. n. 159 del 2011, con effetto interdittivo antimafia; o per l’intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per uno dei reati di cui all’art. 80 (art. 108, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016); o, ancora, per il recesso di cui all’art. 88, comma 4-ter, del d. lgs. n. 159 del 2011, in seguito a comunicazione o informazione antimafia adottata dal Prefetto (art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016). 13.11. In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d. lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della gra ConTEnzIoSo nAzIonAlE duatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d. lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1». 14. la circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate -e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna -non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emerse solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico). 14.1. l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara. 14.2. l’interesse legittimo degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali e concessori pubblici ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo strumentale, certo inedita nella sua estensione, ma di sicuro impatto sistematico. 14.3. Ciò si desume non solo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE -che, come è noto, propugna una (sin troppo ampia) concezione dell’interesse strumentale in materia di gara (sentenza della X sezione, 5 settembre 2019, in C-333/18) -ma dalla stessa giurisprudenza di questa Adunanza plenaria (sentenza n. 6 dell’11 maggio 2018) la quale ha ben chiarito che il legislatore può conferire rilievo a determinati interessi strumentali, che assurgono al rango di situazioni giuridiche soggettive giuridicamente tutelate in via autonoma rispetto al bene della vita finale, ancorché ad esso legati. 14.4. Anche la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 271 del 13 dicembre 2019 -respingendo le questioni di costituzionalità sollevate da diversi Tribunali amministrativi regionali sul comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., ora abrogato in seguito all’intervento del d.l. n. 32 del 2019, conv. in l. n. 55 del 2019 -ha chiarito che «se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo». 14.5. la latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale riedizione della gara, quale rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia. 14.6. Applicando le medesime coordinate anche alla fase privatistica del contratto pubblico, il riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente tutelato quantomeno ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale. 14.7. l’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico. 15. Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse -per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria -sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post. 15.1. Diversamente, infatti, l’accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990). 15.2. Invero, la situazione dell’operatore economico che abbia partecipato alla gara, collocandosi in graduatoria, non gli conferisce infatti, nemmeno ai fini dell’accesso, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, laddove egli non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990). 15.3. Se l’accesso documentale soddisfa, come questo Consiglio ha rilevato nel parere n. 515 ConTEnzIoSo nAzIonAlE del 24 febbraio 2016 della Sezione consultiva per gli atti normativi (v., in particolare, par. 11.2), un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica, che peraltro non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa: v. Cons. St., sez. v, 27 giugno 2018, n. 3956, già citata), questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più, motivare l’accesso stesso. 15.4. né giova opporre che l’accesso documentale è proprio finalizzato a fornire la prova di questo riattualizzato interesse, come sembra postulare l’ordinanza di rimessione nel suggerire un’assimilazione tra la posizione di Diddi s.r.l. e quella del concorrente che aspiri a conoscere i documenti dell’offerta dell’aggiudicataria, perché altro è il bisogno di conoscere per tutelare una interesse collegato ad una situazione competitiva già esistente o chiaramente delineatasi, laddove il principio di concorrenza già opera in fase di gara e al fine eventuale di impugnare il provvedimento di aggiudicazione, e altro, evidentemente, il desiderio di conoscere per sapere se questa situazione possa crearsi per l’occasione, del tutto eventuale, di un inadempimento contrattuale. 15.5. E proprio nella distanza che intercorre tra bisogno di conoscenza e desiderio di conoscenza sta del resto il tratto distintivo che, al di là di ulteriori aspetti, connota l’accesso documentale rispetto a quello civico generalizzato, nel quale la conoscenza si atteggia quale diritto fondamentale (c.d. right to know), in sé, che è premessa autonoma e fondamentale per l’esercizio di qualsivoglia altro diritto. 16. Alla luce delle premesse sin qui svolte, nel caso di specie deve però negarsi che sussista un interesse anche solo strumentale, nel senso sopra descritto, alla conoscenza di tali atti in capo a Diddi s.r.l., che nemmeno ha adombrato nella propria istanza, come pure ha rammentato l’ordinanza di rimessione, l’esistenza di un qualsivoglia inadempimento, essendosi limitata ad allegare, nella stessa istanza, che «eventuali inadempienze rispetto ai suddetti obblighi comporterebbero con ogni probabilità la risoluzione del contratto per inadempimento, ed il conseguente affidamento del servizio alla scrivente società, nella sua qualità di mandante dell’ati seconda in graduatoria». 16.1. Una volta chiarito che la posizione sostanziale è la causa e il presupposto dell’accesso documentale e non la sua conseguenza e che la sua esistenza non può quindi essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell’accesso documentale, va rilevato, per contro, che, nel caso di specie, l’istanza di accesso è tesa all’acquisizione di documenti che non impediscono od ostacolano il soddisfacimento di una situazione sostanziale, già delineatasi chiaramente, ed è volta a invocare circostanze, da verificare tramite l’accesso, che in un modo del tutto eventuale, ipotetico, dubitativo potrebbero condurre al subentro nel contratto, nemmeno delineando una seria prospettiva di risoluzione del rapporto, sempre necessaria per radicare un interesse concreto e attuale (Cons. St., sez. v, 11 giugno 2012, n. 3398). 16.2. Si rivela, così, nella fattispecie in esame, un’istanza di accesso con finalità meramente esplorativa, finalizzata ad acclarare se un inadempimento vi sia, che presupporrebbe, in capo agli altri operatori economici, un inammissibile ruolo di vigilanza sulla regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull’adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’aggiudicatario. 16.3. Si avrebbe così una sorta di interesse oggettivo, seppure ai fini dell’accesso, che non può essere accolta pur tenendo conto, come si è detto, della lettura che di questo interesse offrono, in quel dialogo incessante che costituisce l’osmosi tra il diritto interno e quello europeo, le Corti nazionali e quelle sovranazionali. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 16.4. la configurazione di un interesse strumentale così amplificato e dilatato anche in fase esecutiva conferirebbe alle imprese del settore, partecipanti alla gara, una superlegittimazione che, come meglio si chiarirà, le direttive del 2014 in materia di appalti non consentono loro, pur riconoscendo, invece, la facoltà di segnalare eventuali irregolarità, anche nella fase esecutiva, ad un’apposita autorità nazionale (nel caso di specie, come meglio si chiarirà più avanti, l’AnAC). 16.5. Per contro, questa Adunanza plenaria, proprio con riguardo all’accesso documentale, ha precisato che essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è una condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi «diretto, concreto e attuale», poiché è anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento (Cons. St., Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7). 17. Escluso che, almeno nel caso di specie, sia applicabile l’accesso documentale di cui alla l. n. 241 del 1990, occorre esaminare ora conseguentemente l’ultimo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione, e cioè se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso d. lgs. n. 33 del 2013. 18.1. l’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 97 del 2016, prevede testualmente che il diritto di accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 33 del 2013, «è escluso nei casi di segreto di stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990». 18.2. l’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, a sua volta, che «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241». 18.3. Come ben ha rammentato l’ordinanza di rimessione, che ha offerto un esaustivo quadro del dibattito giurisprudenziale, sulla possibilità di ammettere l’accesso civico generalizzato la giurisprudenza stessa di questo Consiglio di Stato, non meno di quella di primo grado, si è attestata su due posizioni, contrastanti, che fanno capo, rispettivamente, alla sentenza della sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780 e alle sentenze gemelle della sez. v, 2 agosto 2019, n. 5502 e n. 5503. 19. Giova ripercorre in sintesi le posizioni e gli argomenti del contrasto. 20. Secondo l’orientamento espresso dalla sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019 (condiviso, anche nella giurisprudenza di primo grado, da numerose pronunce), il richiamo dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui rinvia agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, non può condurre alla generale esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni. 20.1. Ciò non implicherebbe, però, che intere materie siano sottratte all’accesso civico gene ConTEnzIoSo nAzIonAlE ralizzato, se è vero che l’ambito delle materie sottratte deve essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa, dovendosi distinguere, nell’ambito delle eccezioni assolute previste dall’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, tra materie sottratte interamente e singoli casi sottratte nell’ambito di materie altrimenti aperte all’accesso generalizzato. Mentre il riferimento alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 costituirebbe il mero frutto di un mancato coordinamento del legislatore tra le due normative. 20.2. la III sezione di questo Consiglio di Stato ha perciò rifiutato una interpretazione, definita “statica” e non costituzionalmente orientata, che condurrebbe a precludere l’accesso civico generalizzato ogniqualvolta una norma di legge richiami la disciplina dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990; e sostiene che, al contrario, occorre privilegiare una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. e valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico generalizzato, non limitabile da norme preesistenti e non coordinate con il nuovo istituto, ma soltanto dalle prescrizioni speciali, da interpretare restrittivamente, rinvenibili all’interno della disciplina di riferimento. 20.3. Sul piano ordinamentale, richiamando le osservazioni svolte nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016 di questo Consiglio, la III sezione ha sottolineato il fondamentale valore della trasparenza, perseguito dal riconoscimento dell’accesso civico generalizzato anche in questa materia, come strumento fondamentale di prevenzione e contrasto alla corruzione, anche secondo la chiara posizione assunta dalla Commissione europea, la quale ha sottolineato la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza dei processi decisionali in ogni ambito e, particolarmente, nel settore delle pubbliche gare, prima e dopo l’aggiudicazione. 21. Un diverso orientamento, come si è accennato, ha seguito invece la v sezione di questo Consiglio di Stato, insieme con numerose altre pronunce dei giudici di primo grado. 21.1. Anzitutto, sul piano della interpretazione letterale, questo secondo orientamento ritiene che l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2016, ben possa essere riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, e che l’eccezione non riguardi quindi soltanto le ipotesi in cui la disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto o relativo di pubblicazione o di divulgazione «se non altro perché tale ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione» (Cons. St., sez. v, 2 agosto 2019, n. 5503). 21.2. Si tratterebbe, insomma, di effettuare un coordinamento volta per volta, verificando se la disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione ovvero assuma portata derogatoria. 21.3. nella materia dei contratti pubblici, tuttavia, la prevalenza della disciplina speciale sarebbe data dalla sua autosufficienza, anche nel soddisfare le esigenze di trasparenza nel necessario bilanciamento con altri contrapposti interessi, di ordine pubblico e privato, dacché «questa disciplina attua specifiche direttive europee di settore che, tra l’altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principî di rilevanza eurounitaria, in primo luogo il principio di concorrenza, oltre che di economicità, efficacia ed imparzialità», sicché, in tale contesto, la qualificazione del soggetto richiedente l’accesso, al fine di vagliare la meritevolezza della pretesa di accesso individuale, sarebbe ampiamente giustificata. 21.4. Per di più, avuto riguardo allo specifico contesto ordinamentale, il perseguimento delle finalità di trasparenza, proprie dell’accesso civico generalizzato, sarebbe garantito, da un lato, dal ruolo di vigilanza e controllo sui contratti pubblici svolto dall’AnAC e, dall’altro, dal rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 l’accesso civico c.d. semplice, previsto dagli artt. 3 e 5, comma 1, del d. lgs. n. 33 del 2013, dato che molto ampia sarebbe la portata dell’obbligo previsto dalla normativa vigente, in capo alle pubbliche amministrazioni, di pubblicare documenti, informazioni o dati riguardanti proprio i contratti pubblici. 21.5. la soluzione seguita dalla v sezione, quanto ai valori e agli interessi in conflitto, conduce alla conseguenza di escludere qualsivoglia rilevanza diretta al limite relativo, di cui all’art. 5bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013 («gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali» e sottolinea al riguardo che, diversamente ritenendo: a) l’amministrazione che detiene i documenti per i quali è chiesto l’accesso dovrebbe tenere conto, caso per caso, delle ragioni di opposizione degli operatori economici coinvolti, con prevedibile soccombenza, nella maggioranza dei casi, dello stesso principio di trasparenza, che si intende in astratto tutelare, poiché maggiori sono i limiti che si oppongono all’accesso civico generalizzato; b) notevole sarebbe l’incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso da parte delle singole pubbliche amministrazioni coinvolte, del quale si è fatto carico l’interprete, ma che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato a tutti gli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, necessiterebbe di una apposita disposizione di legge; c) l’ammissione dell’accesso generalizzato finirebbe per privare di senso il richiamo dell’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 all’art. 22 della l. n. 241 del 1990 e, comunque, farebbe sì che esso si presti alla soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. 21.6. l’orientamento appena esaminato perviene così alla conclusione che la legge propenda per l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. 21.7. Tale esclusione conseguirebbe «non ad incompatibilità morfologica o funzionale, ma al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell’interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno specifico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore». 22. questa Adunanza plenaria ritiene che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici. 22.1. Come è stato esattamente osservato, l’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d. lgs. n. 33 del 2013 dal d. lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7 della l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013). 22.2. l’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990). ConTEnzIoSo nAzIonAlE 22.3. nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013. 22.4. nel sopra citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016 questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d. lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.o.i.a.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica amministrazione trasparente come una “casa di vetro”». 22.5. Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del foIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155). 22.6. Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24 febbraio 2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione. 22.7. la stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. foIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (v. anche sentt. n. 69 e n. 177 del 2018 nonché sent. n. 212 del 2017). 22.8. la stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel più volte citato parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546)). 23. Il foIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’ac rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 cesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. 23.1. non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona. 23.2. bene si è osservato che il diritto di accesso civico è precondizione, in questo senso, per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà. 23.3. Come questo Consiglio di Stato ha già rilevato nel più volte citato parere n. 515 del 24 febbraio 2016, la trasparenza si pone non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, «destinata sempre più ad assumere i contorni di una “casa di vetro”, nel- l’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri». 23.4. la luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall’altro, anche al soddisfacimento dei diritto fondamentali della persona, se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati, come questo Consiglio di Stato ha già affermato (v., ex plurimis, Cons. St., Ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7 nonché Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), sulla scorta dell’insegnamento secondo cui «non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione» (Corte cost., 27 novembre 1998, n. 383). 23.5. la natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost. e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, deve però collocarsi anche in una prospettiva convenzionale europea, laddove essa rinviene un sicuro fondamento nell’art. 10 CEDU, come hanno rilevato le citate linee guida dell’AnAC, nel par. 2.1, e le Circolari foIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3). 23.6. l’art. 10 CEDU sancisce, al comma 1, che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e che tale diritto include «la libertà di ricevere […] informazioni […] senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», mentre il successivo comma 2 stabilisce che l’esercizio delle libertà garantite «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica» alla tutela di una serie di interessi, pubblici e privati, pressoché corrispondenti alle eccezioni relative previste dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013. 23.7. la riconducibilità dell’accesso ai documenti pubblici alla tutela della libertà d’espressione garantita dall’art. 10 CEDU, inteso non più come una libertà negativa, ma anche come libertà positiva, ha trovato nella sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 novembre 2016, magyar Helsinki bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11, uno storico ancorché travagliato riconoscimento, allorché la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni sia indispensabile per assicurare un esercizio ef ConTEnzIoSo nAzIonAlE fettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale. 23.8. la disciplina delle eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato è coperta, dunque, da una riserva di legge, desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost., e la loro interpretazione non può che essere stretta, tassativizzante. 24. ricostruita così la natura del c.d. accesso civico generalizzato, quale “terza generazione” del diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla l. n. 241 del 1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione del d. lgs. n. 33 del 2013, occorre interrogarsi sulle c.d. eccezioni assolute, previste dal già richiamato art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016, con particolare riferimento alla materia qui controversa. 24.1. nella disciplina delle c.d. eccezioni relative ed assolute, infatti, il nostro ordinamento ha seguito una soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che distingue tra absolute exemptions e qualified exemptions. 24.2. questa disposizione dètta, a ben vedere, tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990. 24.3. le eccezioni assolute sono state previste dal legislatore per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di Stato, sicché il legislatore ha operato già a monte una valutazione assiologica e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi. 24.4. In questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione. 24.5. l’interpretazione letterale propugnata dalla v sezione, pur mossa dal comprensibile intento di ritagliare un raggio applicativo autonomo a ciascuna delle tre ipotesi previste dal comma 3, perviene però a spezzare l’indubbio nesso sistematico, già evidente nella formulazione del comma («ivi compresi…. inclusi») che esiste tra le singole ipotesi. 24.6. questa Adunanza plenaria, pur consapevole della infelice formulazione della disposizione, ne ritiene preferibile una lettura unitaria -a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione » -evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante. 24.7. la disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato. 24.8. verrebbe meno così, radicalmente, il concorso tra le due forme di accesso -documentale e generalizzato -che, per quanto problematico, è fatto salvo dall’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo v della legge 7 agosto 1990, n. 241». rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 24.9. l’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 ha insomma inteso rammentare che vi sono appunto casi di eccezioni assolute, come quello del segreto di Stato, o altri, previsti dalle varie leggi settoriali come, ad esempio, il segreto statistico, regolamentato dall’art. 9 del d. lgs. n. 322 del 1989; il segreto militare disciplinato dal r.D. 11 luglio 1941, n. 161; le classifiche di segretezza di atti e documenti di cui all’art. 42 della l. n. 124 del 2007; il segreto bancario previsto dall’art. 7 del d. lgs. n. 385 del 1993; le disposizioni sui contratti secretati previste dall’art. 162 dello stesso d. lgs. n. 50 del 2016; il segreto scientifico e il segreto industriale di cui all’art. 623 del c.p. (per una più ampia e pressoché esaustiva indicazione dei divieti di accesso e divulgazione v le linee guida AnAC, par. 6.2.). 25. Per tali casi, anche quando dette leggi richiamino i limiti generali dell’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990, il rispetto delle specifiche restrizioni fissate dalla legge all’accesso, per la ratio ad esse sottesa, preclude la conoscibilità generalizzata (ma giammai -va ribadito -per interi ambiti di materie), in quanto l’accessibilità totale di dati e documenti è radicalmente incompatibile o con la tipologia di documento (ad esempio perché coperto da segreto di Stato) o con la particolare sensibilità dell’interesse protetto. 25.1. Ma in linea generale il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali -si pensi, tra le più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 195 del 2005 -non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline. 25.2. occorre, cioè, indagare circa la portata e il senso di tali limiti per verificare, caso per caso (la disposizione, appunto parla di “casi”) e non per interi ambiti di materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato. 25.3. la stessa v sezione ha evidenziato la necessità, in linea di principio, che nei rapporti tra discipline generali e discipline settoriali sull’accesso queste ultime non abbiano sempre e comunque portata derogatoria, «quanto piuttosto che […] occorra, volta a volta, verificare la compatibilità dell’accesso generalizzato con le «condizioni, modalità e limiti» fissati dalla disciplina speciale» (Cons. St., sez. v, 2 agosto 2019, n. 5503). 25.4. Un diverso ragionamento interpretativo, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio, ben avvertito in dottrina, che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza -frutto anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum -ove è risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità del- l’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge. ConTEnzIoSo nAzIonAlE 25.5. Tale interpretazione, peraltro, introdurrebbe un limite -quello di materia -non previsto espressamente dal legislatore e configurerebbe una eccezione assoluta che, per la riserva di legge in materia ai sensi dell’art. 10 CEDU, non può essere rimessa alla discrezionalità della pubblica amministrazione o all’opera dell’esegeta. 26. né una base normativa a tale eccezione assoluta si può rinvenire, a giudizio di questa Adunanza, nell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, disposizione speciale dettata dal codice dei contratti. 27. l’art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede infatti che -fatta salva la disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza (ipotesi straordinarie sicuramente rientranti tra le eccezioni accesso di cui all’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 per il divieto assoluto di divulgazione e accesso) -il diritto di accesso sia semplicemente differito, in relazione al nominativo dei soggetti che nelle procedure aperte hanno presentato offerte o, nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito e che hanno manifestato il loro interesse e in relazione alle offerte stesse, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime offerte; in relazione alle offerte e al procedimento di verifica dell’anomalia, fino all’aggiudicazione. 27.1. questi atti, fino alla scadenza di termini indicati, «non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti» (art. 53, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016) e la trasgressione di tale divieto è presidiata dalla sanzione penale di cui all’art. 326 c.p. 27.2. È questa una esclusione assoluta del diritto di accesso, per quanto temporalmente limitata, incompatibile con il diritto di accesso civico generalizzato, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, perché finalizzata a preservare la regolare competizione tra i concorrenti e il buon andamento della procedura di gara da indebite influenze, intromissioni, e turbamenti, e quindi dalla conoscenza di tali atti, prima della gara, da parte di chiunque, uti singulus ed uti civis. 27.3. viene qui in rilievo una disciplina speciale, il cui nucleo centrale è costituito dalla conoscibilità progressiva della documentazione di gara, regolata da precise scansioni temporali volte a contemperare le ragioni dell’accesso con l’esigenza di assicurare il regolare svolgimento delle procedure selettive. 27.4. l’art. 53, comma 5, del d. lgs. n. 50 del 2016 prevede, parimenti, una esclusione assoluta del diritto di accesso in relazione: a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici per la soluzione delle liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale. 27.5. l’unica deroga a queste eccezioni assolute è prevista, nel comma 6 dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, per l’accesso documentale c.d. difensivo del concorrente in ordine alle informazioni contenute nell’offerta o nelle giustificazioni di altro concorrente per la tutela in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in linea, del resto, con quanto prevede in generale l’art. 23, comma 6, della l. n. 241 del 1990 per la prevalenza dell’accesso documentale c.d. difensivo. rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 27.6. l’eccezione di cui alla lett. a) è posta a tutela della riservatezza aziendale, al fine di evitare che gli operatori economici in diretta concorrenza si servano dell’accesso per acquisire informazioni riservate sul know-how del concorrente, costituenti segreti tecnici e commerciali, e ottenere così un indebito vantaggio e ha una natura assoluta perché, nel bilanciamento tra gli opposti interessi, il legislatore ha privilegiato quello, prevalente, della riservatezza, a tutela di un leale gioco concorrenziale, delle caratteristiche essenziali dell’offerta quali beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa (Cons. St., sez. v, 7 gennaio 2020, n. 64), salva la necessità, per un altro concorrente, di difendersi in giudizio, unica eccezione all’eccezione ammessa (art. 53, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016). 27.7. Analoga ratio di tutela della privativa intellettuale giustifica anche la previsione della lett. d), per le soluzioni tecniche e i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale. 27.8. le eccezioni di cui alla lett. b) e alla lett. c) dell’art. 53 mirano ad impedire la divulgazione di atti che, quando riferibili ad un contenzioso attuale o potenziale con l’appaltatore, sono investiti da specifiche esigenze di riservatezza volte a tutelare le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante, la quale deve negare l’accesso per tutelare se stessa di fronte al privato che intenda accedere «ad atti interni che riguardino la sfera delle libere valutazioni dell’amministrazione in ordine alla convenienza delle scelte da adottare» (Ad. plen., 13 settembre 2007, n. 11). 28. la portata limitata anche temporalmente e motivata di questi casi, peraltro di stretta interpretazione, non può comportare ex se l’esclusione dell’intera materia dall’applicazione del- l’accesso civico generalizzato, che riacquista la sua naturale vis expansiva una volta venute meno le ragioni che giustificano siffatti limiti, condizioni o modalità di accesso. 28.1. Se dunque i limiti previsti per l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e quelli dettati dalle singole discipline settoriali non possono essere superati ricorrendo strumentalmente all’istituto dell’accesso civico generalizzato, deve ritenersi che, una volta venute meno le ragioni di questi limiti, tra cui quelli appena accennati dell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, sul piano sia temporale sia contenutistico, l’accesso civico generalizzato opera di diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività anche in specifiche materie, come quella dei contratti pubblici, con la conseguenza che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, è ammissibile in ordine agli atti della fase esecutiva. 29. le conclusioni sin qui raggiunte si rinvengono sostanzialmente anche nella delibera AnAC n. 317 del 29 marzo 2017 nella quale l’Autorità ha chiarito che, se è esatto che tra i limiti all’accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 ci sono le pertinenti disposizioni del codice dei contratti pubblici, deve per converso ritenersi che, una volta venute meno le condizioni che sorreggevano quei limiti, e quindi successivamente al- l’aggiudicazione della gara, il diritto di accesso debba essere consentito a chiunque, ancorché nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013. 30. Con specifico riferimento alla materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato, assumono, a ben vedere, una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica, in quanto che ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere pubblicamente ConTEnzIoSo nAzIonAlE conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di legge, per le ragioni già esposte. 30.1. È vero che la l. n. 190 del 2012 ha previsto, nel comma 32, numerosi obblighi di pubblicazione degli atti di gara e l’art. 37 del d. lgs. n. 33 del 2013, in attuazione di tale delega, stabilisce un generale regime di pubblicità per tali atti. E l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, come si è già accennato, ha disciplinato in modo analitico la pubblicazione di tali atti. Ma la sussistenza di obblighi di pubblicazione di numerosi atti in materia di gara non può condurre all’esclusione dell’accesso civico generalizzato sul rilievo che gli obblighi “proattivi” di pubblicazione soddisferebbero già, in questa materia, il bisogno o, comunque, il desiderio di conoscenza che contraddistingue il principio di trasparenza. 30.2. Una siffatta lettura, ancora una volta, sconta una logica di separatezza anzi che di integrazione tra le diverse tipologie di accesso che il legislatore ha inteso lasciar coesistere nel nostro ordinamento. Per contro, è proprio questa logica ermeneutica di integrazione che induce a ritenere che la obbligatoria pubblicità di determinati atti (c.d. disclosure proattiva) è solo un aspetto, pur fondamentale, della trasparenza, che tuttavia si manifesta e si completa nell’accessibilità degli atti (c.d. disclosure reattiva) nei termini previsti per l’accesso civico generalizzato. 30.3. Del resto la configurazione di una trasparenza che risponda a “un controllo diffuso” della collettività sull’azione amministrativa è particolarmente avvertita nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni e, in particolare, nell’esecuzione di tali rapporti, dove spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali. 30.4. non è più possibile affermare, in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e convenzionali, che l’accesso agli atti di gara costituisca un microcosmo normativo compiuto (v., in questo senso, Cons. St., sez. v, 9 dicembre 2008, n. 6121) e chiuso. 30.5. la lettura unitaria, armonizzante, integratrice tra le singole discipline, divenuta predominante nella giurisprudenza di questo Consiglio già nel rapporto tra l’accesso agli atti di gara e l’accesso documentale della l. n. 241 del 1990 in termini di complementarietà (v., in particolare, Cons. St., sez. vI, 30 luglio 2010, n. 5062), deve essere estesa a tutte le tipologie di accesso, ivi incluso quello civico, semplice e generalizzato, come suggerisce condivisibilmente l’ordinanza di rimessione, senza peraltro dover fare riferimento alla pur raffinata tecnica del rinvio “mobile” dell’art. 53 alla l. n. 241 del 1990, per le ragioni tutte esplicitate, alle disposizioni della l. n. 241 del 1990 siccome integrate/combinate con il complesso normativo del d. lgs. n. 33 del 2013. 31. l’esigenza di una conoscenza diffusa dei cittadini nell’esecuzione dei contratti pubblici è con forza avvertita nella normativa europea, come ha ben messo in rilievo questo Consiglio di Stato nella sopra richiamata sentenza n. 3780 del 2019. 31.1. Il considerando 126 della Direttiva n. 2014/24/UE ricorda, a tacer d’altro, che la tracciabilità e la trasparenza del processo decisionale nelle procedure di appalto «è essenziale per garantire procedure leali nonché combattere efficacemente la corruzione e le frodi», sicché le pubbliche amministrazioni dovrebbero conservare le copie dei contratti conclusi di valore elevato per garantire alle parti interessate l’accesso a tali documenti, conformemente alle norme applicabili in materia di accesso alla documentazione. 31.2. Ancor più chiaramente e nettamente, poi, il considerando n. 122 della stessa Direttiva osserva che «i cittadini, i soggetti interessati, organizzati o meno, e altre persone od organismi rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla Direttiva 98/665/Ce hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedere di appalto» e «dovrebbero avere la possibilità, con modalità diverse dal sistema di ricorso di cui alla Direttiva 89/665/Ce e senza che ciò comporti necessariamente una loro azione dinanzi a corti e tribunali, di segnalare le eventuali violazioni della presente Direttiva all’autorità o alla struttura competente». 31.3. le sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2 agosto 2019 della v sezione hanno ben richiamato l’essenziale ruolo di vigilanza svolto dall’AnAC in questo settore, ma non va trascurato il ruolo che un controllo generalizzato sull’aggiudicazione e sull’esecuzione del contratto svolge proprio l’accesso civico generalizzato, come ridisegnato dal d. lgs. n. 96 del 2017, con la conseguente possibilità di effettuare segnalazioni documentate da parte di terzi, una volta ottenuta la relativa documentazione con l’accesso, anche all’AnAC, che può esercitare il suo potere di raccomandazione ai sensi dell’art. 213 del d. lgs. n. 50 del 2016 anche nella fase esecutiva. 31.4. Il vigente regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, adottato dall’AnAC e pubblicato sulla G.U. del 16 ottobre 2018, prevede, all’art. 12, comma 1, lett. b), che il procedimento di vigilanza possa concludersi, infatti, con «l’accertamento di atti illegittimi o irregolari della procedura di gara o dell’esecuzione del contratto, eventualmente accompagnato da raccomandazioni, rivolte alle stazioni appaltanti interessate, a rimuovere le illegittimità o irregolarità riscontrate, ovvero ad adottare atti volti a prevenire, per il futuro, il ripetersi di tali illegittimità e irregolarità». E particolare attenzione a sua volta l’art. 24 del regolamento, dedica, sempre in relazione alla fase esecutiva, alle varianti in corso d’opera. 31.5. risulta così confermato che, nel nostro ordinamento, l’esecuzione del contratto non è una terra di nessuno, lasciata all’arbitrio dei contraenti e all’indifferenza dei terzi, ma sottoposta all’attività di vigilanza da parte dell’AnAC, trattandosi di una fase rilevante per l’ordinamento giuridico, come dimostrano le funzioni pubbliche di vigilanza e controllo previste, nella cui cornice trova spazio, in funzione si direbbe complementare e strumentale, anche l’accesso generalizzato dei cittadini. 31.6. questo, invero, non solo non è escluso dall’attività di vigilanza dell’AnAC, ma anzi può ben porsi rispetto alla stessa in funzione, come si è appena ricordato, strumentale; può consentire, infatti, che, tramite l’accesso civico generalizzato, siano valutate «le segnalazioni di violazione della normativa in materia di contratti pubblici presentate da terzi, compatibilmente con le esigenze organizzative e di funzionamento degli uffici, tenendo conto in via prioritaria della gravità della violazione e della rilevanza degli interessi coinvolti dall’appalto» (art. 4, comma 4, del regolamento) e che l’apposito modulo della segnalazione, predisposto dall’AnAC, sia «corredato della eventuale documentazione» (art. 5, comma 2, del regolamento) acquisita in occasione dell’accesso generalizzato, essendo altrimenti di fatto impossibile per il cittadino “contribuente” segnalare eventuali violazioni all’Autorità di settore, come invece auspica il considerando n. 122, in maniera consapevole e documentata. 32. nel parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 la Commissione speciale di questo Consiglio di Stato ha più volte evidenziato questo ruolo di controllo diffuso che ciascun cittadino può esercitare nella materia dei contratti pubblici accanto e, si direbbe, in ausilio al ruolo istituzionale di vigilanza rivestito dall’AnAC, proprio valorizzando le chiare indicazioni provenienti dal considerando n. 122 della Direttiva 2014/24/UE. 32.1. In detto parere, questo Consiglio ha osservato che la possibilità di consentire la segnalazione a qualsivoglia cittadino che ne abbia interesse risponde al principio di vigilanza sulla ConTEnzIoSo nAzIonAlE legittimità degli atti di gara, «quale interesse a carattere generale ed azionabile anche dal cittadino contribuente», e ha rammentato che la via d’elezione per far valere l’interesse alla trasparenza non è la segnalazione, che richiede almeno un fumus di illegittimità di uno o più atti, bensì l’accesso civico di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016. 32.2. l’accesso generalizzato, quale via elettiva della trasparenza, soddisfa dunque ampiamente questo diffuso desiderio conoscitivo finalizzato alla garanzia della legalità nei contratti pubblici, che è per così dire la rinnovata e moderna cifra dell’evidenza pubblica non solo nella tradizionale fase dell’aggiudicazione ma anche nell’esecuzione, dovendo questa, come detto, rispettarne specularmente condizioni, contenuti e limiti. 32.3. le ragioni sin qui esposte spiegano perché l’accesso civico generalizzato non solo sia consentito, in questa materia, ma sia doveroso perché connaturato, per così dire, all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e perché esso operi, in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti. 33. Argomenti di carattere letterale, teleologico e sistematico come quelli esposti depongono, dunque, nel senso di una accessibilità totale degli atti di gara, seppur sempre nel rispetto degli interessi-limite, pubblici e privati, e delle conseguenti eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013. 34. occorre tenere conto, tuttavia, delle ulteriori importanti questioni poste dalla v sezione nelle citate sentenze n. 5502 e n. 5503 del 2019 e sopra ricordate ed esposte nel par. 21.4. 35. quanto alla prima questione, di cui alla lett. a) del 21.5., concernente il delicato bilanciamento tra il valore, fondamentale, dell’accesso e quello, altrettanto fondamentale, della riservatezza, la circostanza che l’accesso possa prevedibilmente soccombere di fronte alle ragioni normativamente connesse alla riservatezza dei dati dei concorrenti non può condurre a un’aprioristica esclusione dell’accesso. 35.1. Tutte le eccezioni relative all’accesso civico generalizzato implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE, sez. I, 7 febbraio 2018, in T-851/16), in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto. 35.2. È vero, infatti, che escludere dall’accesso anche generalizzato la documentazione suscettibile di rivelare gli aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi, costituenti i punti di forza o di debolezza delle offerte nel confronto competitivo, costituisce un obiettivo delle norme in materia di appalti pubblici dell’Unione, e che per conseguire tale obiettivo è necessario che le autorità aggiudicatrici non divulghino informazioni il cui contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza, (Trib. I grado UE, sez. II, 29 gennaio 2013, in T339/ 10 e in T-532/10 nonché Corte Giust UE, sez. III, 14 febbraio 2008, in C-450/06). 35.3. E tuttavia questo obiettivo può e deve essere conseguito appunto, in una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d. lgs. n. 33 del 2013, secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati, e ciò nel- l’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari. 35.4. va ribadito -concludendo sul punto -che ciò che distingue le eccezioni relative dalle eccezioni assolute è proprio il fatto che non sussista a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti. 36. quanto alla seconda questione, di cui alla lett. b) del punto 21.4, sopra ricordata, non persuade nemmeno l’argomento secondo cui notevole sarebbe l’aumento dei costi di gestione del procedimento di accesso, da parte delle singole pubbliche amministrazioni, aumento che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico generalizzato anche ai contratti pubblici, necessiterebbe di apposita disposizione di legge. 36.1. Se il nostro ordinamento ha ormai accolto il c.d. modello foIA non è l’accesso pubblico generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo, fondamento nella legge. 36.2. non deve nemmeno essere drammatizzato l’abuso dell’istituto, che possa condurre a una sorta di eccesso di accesso. 36.3. Innanzi tutto, va rilevato che l’esperienza applicativa del foIA nei primi tre anni dalla sua introduzione, come emerge dai dati pubblicati dal Dipartimento della funzione pubblica, rivela un uso “normale” delle istanze di accesso civico; infatti, le istanze pervenute ai ministeri sono aumentate da 1146 nel 2017 a 1818 nel 2018, con una media, nel secondo anno, di 11 richieste mensili per ministero, assolutamente in linea con la media europea e con un tasso di risposte evase da parte dei ministeri nel termine di legge (trenta giorni), in aumento, dal 74% nel 2017 all’83% nel 2018. 36.4. In secondo luogo, è ovvio che l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.). 36.5. Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso, in modo -come è stato efficacemente detto -da «contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla tendenza […] a manipolare i dati di realtà». 36.6. Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare foIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Cons. St., sez. vI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più ri ConTEnzIoSo nAzIonAlE chiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi. 37. quanto alla terza questione, di cui alla lett. c), nemmeno convince l’argomento secondo cui l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato, in questa materia, verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. 37.1. la circostanza che l’interessato non abbia un interesse diretto, attuale e concreto ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, non per questo rende inammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato, nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso documentale. 37.2. non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede. 37.3. Ciò che va tutelato è l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere negata, anche ai sensi del considerando n. 122 della richiamata direttiva, anche e anzitutto all’operatore economico del settore, come è Diddi s.r.l. 38. l’Adunanza plenaria, conclusivamente, enuncia, sulle questioni postele, i seguenti princìpi di diritto, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.: a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento; b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale; c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza. 39. riassuntivamente e conclusivamente, l’appello della società è in parte infondato, per rASSEGnA AvvoCATUrA DEllo STATo -n. 2/2020 quanto attiene alla richiesta di accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990, sia pure per una motivazione diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata. 40. l’ammissibilità dell’istanza di accesso civico, viceversa, dovrà essere esaminata dalla Sezione rimettente, cui l’affare va restituito per ogni definitiva statuizione, che si uniformerà ai princìpi di diritto su enunciati. P.q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da Diddi s.r.l.: a) dichiara inammissibile l’intervento del Comune di Chiaramonte Gulfi; b) rigetta in parte l’appello e conferma, con diversa motivazione, la sentenza n. 577 del 17 aprile 2019 del Tribunale amministrativo per la Toscana nella parte concernente l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990; c) restituisce, per la restante parte, gli atti alla Sezione per la definizione della controversia secondo i princìpi di diritto enunciati al par. 38 della parte motiva nonché per la statuizione sulle spese. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in roma, nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Il Consiglio di Stato, con adunanza plenaria n. 23/2020, esclude l’applicabilità della clausola di salvaguardia artt. 92, 94 D.lgs. 159/11 ai finanziamenti pubblici Consiglio di stato, adunanza Plenaria, sentenza 26 ottobre 2020 n. 23 (*) L’allegata decisione della adunanza plenaria ha ritenuto che, in caso di adozione di interdittiva antimafia, la clausola di salvezza del pagamento delle opere già eseguite e il rimborso del rimanente “nei limiti delle utilità conseguite”- di cui agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del d. Lgs. n. 159/2011 -sia riferibile solo al recesso dai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, con esclusione, dunque, delle ipotesi connesse alla concessione di finanziamenti pubblici e sovvenzioni. La sentenza supera dunque il recente orientamento estensivo espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia (v. CGA nn. 3 e 19 del 2019) -seguito da numerosi TAR -secondo cui la clausola di salvaguardia si applicherebbe anche ai finanziamenti e sovvenzioni pubbliche consentendo al soggetto destinatario dell’interdittiva, in caso di realizzazione del programma finanziato, di trattenere le somme ottenute. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 26 ottobre 2020 n. 23 -Pres. F. Patroni Griffi, est. O. Forlenza -Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura (avv. gen. St.) c. Azienda Agricola Ofanto, soc agricola a r.l. (avv. G. Iacoviello); Ufficio Territoriale del Governo Potenza (avv. gen. St.). FATTO 1. Con sentenza non definitiva 23 dicembre 2019 n. 8672, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha deferito alla Adunanza Plenaria il seguente quesito: “se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92 comma terzo, sia nell'art. 94 secondo comma del D. Lgs. n. 159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo”. 1.1. La sentenza espone che la vicenda trae origine dalla delibera della Giunta Regionale n. 1014 del 27 luglio 2012 con la quale la Regione Basilicata, nell’ambito del Bando relativo all’attuazione della Misura 121 -Pif Aglianico del Vulture, ha ritenuto finanziabile la domanda di aiuto avanzata dall’Azienda Ofanto s.r.l., finalizzata all’acquisto di attrezzature e macchinari per la costruzione e l’ampliamento di una cantina vinicola aziendale, per la somma di € 251.342,50. A seguito dell’esito positivo dell’istruttoria, l’AGEA ha liquidato alla Ofanto s.r.l. la somma complessiva di € 248.756,99, ripartita in diverse tranches. In previsione dell’erogazione del contributo la Regione aveva richiesto il rilascio dell’informativa antimafia in data 26 dicembre 2012 e successivamente in data 22 dicembre 2014, senza tuttavia ricevere alcuna risposta da parte della Prefettura competente. (*) Segnalazione avv. St. Lorenza Vignato. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Solo con nota prot. n. 87158 del 23 maggio 2017, la Regione Basilicata ha comunicato all’Organismo pagatore che l’azienda finanziata era stata attinta da una informativa antimafia positiva, emessa dalla Prefettura di Potenza in data 10 febbraio 2016. Per l’effetto, in attuazione dell’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011, l’AGEA ha adottato il provvedimento prot. n. 52438 del 21 giugno 2017, con il quale ha disposto la revoca dei contributi concessi per l’attuazione della Misura 121, intimandone la restituzione. Con lo stesso provvedimento, l’AGEA ha altresì revocato e chiesto in restituzione i contributi erogati per la Domanda Unica, relativi alle campagne agrarie 2015 e 2016, dell’importo complessivo di € 1.014,02. L’Azienda Ofanto s.r.l. è stata destinataria di tre interdittive antimafia: - la prima del 10 febbraio 2016; - la seconda del 25 maggio 2017; - la terza (confermativa delle precedenti) emessa nel corso del 2018. Le prime due interdittive sono state impugnate con distinti ricorsi, la terza con ricorso per motivi aggiunti nell’ambito del secondo giudizio. Infine, un terzo giudizio è stato instaurato avverso gli atti di revoca dei finanziamenti. Le tre cause sono state definite dal TAR per la Basilicata, sez. I, con la sentenza n. 707/2018, con la quale sono stati rigettati i primi due ricorsi e accolto il terzo. 1.2. L’AGEA ha proposto appello avverso la sentenza ora citata, contestando l’interpretazione degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. 159/2011 e la conseguente statuizione di illegittimità dei provvedimenti di revoca dei finanziamenti. 2. Questo Consiglio di Stato, con la sentenza parziale che ha disposto anche la rimessione all’Adunanza Plenaria, ha, in particolare: - rigettato l’appello incidentale proposto dalla Azienda Ofanto s.r.l.; -respinto le eccezioni preliminari di inammissibilità sollevate dalla parte appellata avverso l’appello dell’AGEA; - respinto i motivi assorbiti in primo grado e riproposti dalla parte appellata. 2.1. nell’esaminare l’appello principale, la sentenza ha ricordato che, nel corso del giudizio di primo grado, l’Azienda Agricola Ofanto S.r.l. ha impugnato le determinazioni di revoca dei finanziamenti relativi alla Misura 121, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: i) la revoca sarebbe illegittima anzitutto per violazione dell’art. 92, d.lgs. 159/2011, in quanto AGEA non ha tenuto conto delle opere già eseguite e dei benefici collettivi prodottisi attraverso l’impiego dei contributi erogati, così disattendendo il principio, condiviso da ampia parte della giurisprudenza, secondo il quale la clausola di salvaguardia prevista dagli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2 d.lgs. 159/2011, deve ritenersi operante non solo per gli appalti di lavori pubblici ma anche per i finanziamenti pubblici destinati ad aziende private. In entrambi i casi sarebbe infatti rinvenibile quell’elemento dell’utilità pubblicistica che fonda la ratio dell’effetto conservativo avuto di mira dalla norma; ii) la revoca sarebbe illegittima anche per la violazione dell’art. 7, L. 241/1990, non essendo stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento; iii) infine, sarebbe stata resa una falsa applicazione dell’art. 92, d.lgs. 159/2011, poiché AGEA ha revocato anche contributi erogati in data antecedente all’emissione dell’informazione antimafia positiva, ed è intervenuta allorché l’opera oggetto di finanziamento (costruzione ed ampliamento di cantina aziendale per la produzione e commercializzazione dei vini) era stata compiutamente realizzata. 2.2. Il Tar Basilicata ha accolto il ricorso in relazione al primo capo di censura, così motivando: COnTEnzIOSO nAzIOnALE “il Collegio condivide l'orientamento giurisprudenziale, richiamato dall'azienda agricola ricorrente, … TAR napoli Sez. I Sentenze n. 3237 del 13.6.2017 e n. 52 del 3.1.2018, secondo cui gli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, D.Lg.vo n. 159/2011, nella parte in cui fanno "salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite ed il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, vanno applicati, oltre che alle revoche dei contratti di appalto pubblico, le cui utilità sono stabilmente acquisite dalla Pubblica Amministrazione, anche alle revoche dei finanziamenti e/o contributi pubblici, che vengono corrisposti per finalità di interesse collettivo (…)”. A supporto della interpretazione prescelta, il Tar ha inoltre evidenziato la necessità di tenere “conto del bilanciamento tra l’interesse pubblico, di impedire l’erogazione di denaro pubblico in favore di soggetti economici privati, condizionati dall’infiltrazione mafiosa, ed il principio di affidamento, in quanto si tratta di soggetti che non sono indiziati di appartenenza alla criminalità organizzata, che devono essere sanzionati per le loro condotte illecite, ma solo di persone sottoposte al rischio dell’infiltrazione mafiosa, che va prevenuta con la non futura erogazione del pubblico denaro, ma non con la restituzione di quello già speso, come, nella specie, il contributo di € 249.771,01, erogato per l’ammodernamento dell’azienda agricola ricorrente mediante l’acquisto di attrezzature e macchinari per la cantina”. 2.2.1. L’interpretazione del giudice di primo grado è stata censurata dall’attuale appellante, sia perché ritenuta contraria alla ratio della clausola di salvaguardia di cui agli artt. 92 e 94 del d.lgs. 159/2011; sia perché segnalata in evidente contrasto con la recente e più condivisibile lettura delle medesime disposizioni fornita dalla terza sezione del Consiglio di Stato, nella decisione n. 5578 del 28 settembre 2018. Sotto il primo aspetto, l’appellante argomenta circa la necessità di valorizzare canoni di interpretazione restrittiva in tutte le ipotesi in cui vengano in rilievo disposizioni derogatorie ai principi ispiratori della normativa antimafia. Sotto il secondo aspetto, la parte appellante evidenzia come proprio il dato letterale della clausola di salvaguardia, di cui all’art. 92 comma 3 d.lgs. 159/2011, abbia indotto la terza sezione del Consiglio di Stato, nella già citata sentenza n. 5578/18, a farne applicazione limitata al caso della revoca del contratto, escludendo dalla portata della disposizione la diversa ipotesi della revoca del finanziamento. nondimeno, consapevole del fatto che una opposta soluzione interpretativa è stata proposta da altra parte della giurisprudenza (da ultimo nelle pronunce del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia n. 3 e n. 19 del 2019), l’amministrazione appellante ha avanzato istanza di deferimento del ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria, onde pervenire al risultato di una univoca interpretazione delle clausole di cui agli artt. 92 comma 3 e 94 comma 2, d.lgs. 159/2011. 2.2.2. Con un secondo motivo, svolto in via subordinata, l’appellante assume che anche un’interpretazione “estensiva” della clausola di salvaguardia imporrebbe, comunque, una verifica del fatto che le risorse concesse siano state impiegate in modo effettivamente vantaggioso per l’interesse pubblico e rispondente alle finalità sottese al programma di finanziamento; valutazione che, nel caso di specie, sarebbe stata del tutto omessa da parte del primo giudice. La censura viene poi argomentata anche con riferimento al fatto che dalle prove in atti non si desume alcun concreto elemento dimostrativo del riconoscimento, da parte pubblica, di una tale utilità pubblicistica, e che non risulta in alcun modo provato che l’esecuzione della specifica e controversa misura di sostegno abbia fornito un qualche apporto alla realizzazione degli scopi generali che il programma di finanziamento aveva di mira. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 2.2.3. Infine, con un terzo motivo, l’appellante invoca l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato la revoca dei contributi relativi alla campagna 2015 2016, nonostante questa specifica determinazione amministrativa (pure inserita nel medesimo provvedimento controverso) risultasse del tutto estranea al petitum del ricorso intentato dalla società Ofanto. 2.3 L’appellata Azienda Ofanto richiama anche nella presente sede di appello l’orientamento giurisprudenziale espresso, in contrasto con quello della Sezione III, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia con le pronunce nn. 3 e 19 del 2019; e sottolinea i riflessi di utilità collettiva derivanti dal programma di investimento compiutamente realizzato con le risorse erogate in attuazione della Misura 121- Pif Aglianico Del Vulture. 3. Tanto premesso, la sentenza non definitiva, nell’argomentare le ragioni che la inducono a rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, sottolinea come, nel caso di specie: “si tratta di definire l’ambito delle conseguenze connesse all'adozione di una informativa interdittiva in relazione alla pregressa percezione di benefìci economici di fonte pubblica che hanno incentivato un'iniziativa imprenditoriale ormai interamente realizzata. I tratti distintivi del caso oggetto di indagine, dunque, attengono al fatto che: i) il programma finanziato è stato interamente eseguito senza che sia stato mosso alcun rilievo alla sua corretta realizzazione; ii) l'informativa interdittiva è intervenuta soltanto dopo il completamento del- l'opera finanziata (si tratta dell'ipotesi di c.d. "informativa sopravvenuta"). A tali fini, l’art. 92, co. 4 sembrerebbe giustificare sempre e comunque l'adozione del provvedimento di revoca in ragione della sola adozione dell'interdittiva e indipendentemente dai profili temporali della vicenda; il comma 3, a parziale correzione del comma 4, parrebbe connotare in termini di sostanziale “corrispettività” le poste reciproche tra privato e amministrazione, legittimando l'operatore economico attinto da informativa interdittiva ad invocare il pagamento degli importi corrispondenti alla parte del programma che sia stata concretamente realizzata, entro il limite, tuttavia, delle "utilità conseguite". La sentenza rileva come si pongano due opposti orientamenti giurisprudenziali. 3.1. In base a un primo orientamento (cd. estensivo), la norma innanzi richiamata dovrebbe essere intesa nel senso di consentire lo ius ritentionis da parte dell'operatore attinto da informativa interdittiva in tutti i casi in cui il programma beneficiato da finanziamento pubblico sia stato correttamente realizzato e quindi risulti soddisfatto, anche in via indiretta, l'interesse generale sotteso all'erogazione. Si propone, quindi, una nozione ampia e onnicomprensiva del concetto di "utilità conseguite", svincolandone il riferimento dalle utilità economiche direttamente ritraibili dall'amministrazione concedente -come nel caso dei contratti di appalto, in cui è più evidente il nesso di corrispettività fra l'erogazione di risorse pubbliche e l'acquisizione di utilità sotto forma di beni e servizi; ed estendendolo anche a quei vantaggi di ordine generale che sono sottesi a qualunque iniziativa privata finanziata dall'amministrazione e che, per ciò stesso, non possono che mirare al conseguimento di scopi di interesse pubblico. Si assume, in sostanza, che poiché ogni attività della PA che importa erogazione di provvidenze economiche è finalizzata (sia pure di riflesso) a scopi di interesse pubblico e questi ultimi si sostanziano in benefici collettivi, immediatamente o mediatamente riconducibili all’esercizio del potere, la nozione di “utilità conseguite” andrebbe estesa anche a quei vantaggi generali perseguiti attraverso l’esecuzione di programmi oggetto di finanziamento o di contributo pubblico. 3.2. In base ad un secondo orientamento (cd. restrittivo), la nozione di "utilità conseguite" COnTEnzIOSO nAzIOnALE non sarebbe dilatabile sino al punto da ricomprendervi anche l'ipotesi del finanziamento andato a buon fine mercé l'integrale realizzazione del programma finanziato, e ciò in quanto in tale evenienza l'interesse pubblico risulterebbe essere soltanto “indiretto” (Cons. Stato, sez. III, nn. 1108 e 5578 del 2018). In tal senso, si sottolinea la differenza che sussiste tra i rapporti contrattuali, come quelli derivanti dalla stipula di contratti di appalto, in cui è più evidente il nesso di corrispettività sussistente fra le reciproche prestazioni; e le erogazioni di benefìci pubblici derivanti da atti unilaterali, in cui la reciprocità degli impegni e la corrispettività delle prestazioni offerte risulta certamente più attenuata. Ed anche il termine “utilità” deve essere colto in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale, dunque, da applicarsi alle sole opere o ai soli servizi che accrescono il patrimonio dell’Amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile: dal che discende l’applicabilità della disciplina di salvezza di cui all’art. 92 comma 3 ai soli contratti di appalto nei quali la pubblica Amministrazione è parte committente. 3.3. Il Giudice remittente rileva come l’art. 92 comma 3 contenga “indici testuali e sistematici che depongono a favore della seconda delle due tesi sopra illustrate (l’orientamento restrittivo)”. E ciò sia per argomenti di carattere semantico-testuale, sia per argomenti di tipo logico -sistematico. Quanto ai primi: a1) -l’elemento lessicale della “utilità conseguita”, più che alludere all’effetto conseguente alla mera esecuzione di una attività programmata, sembra rinvenire la sua specifica accezione nell’effetto positivo, residuale e incrementale, che ridonda all’esito di tale attività e si riconduce alla sfera giuridica dell’accipiens, singolarmente considerato; a2) -di contro, è lecito ritenere che se la disposizione normativa avesse inteso premiare con lo ius retentionis un impiego delle risorse erogate conforme alla destinazione programmata, essa si sarebbe limitata a rendere testualmente questo concetto, senza introdurre la più stringente (e a questo punto surrettizia) nozione di “utilità conseguite”; a3) -il valore disgiuntivo da attribuire all’espressione “o recedono dai contratti”, contenuta sia nell’art. 92 comma terzo, sia nell’art. 94 secondo comma del codice antimafia, rende poi l’inciso finale dei due commi più verosimilmente riferibile ai soli “contratti” e non anche alle autorizzazioni ed alle concessioni, ovvero ai contributi, ai finanziamenti ed alle agevolazioni (v. Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 5578 del 2018); a4) -anche il concetto di “esecuzione” delle “opere” dal quale l’amministrazione trae “utilità”, sembra riferibile ad una condizione di reciprocità delle prestazioni corrispettive, scarsamente compatibile con l’ipotesi di un’erogazione o di un finanziamento destinato a beneficio riflesso non di uno specifico ente od apparato della P.A, ma della indistinta collettività pubblica”. Quanto ai secondi: b1) “il comma 3 dell’art. 92 . . . riconosce al soggetto attinto dall’informativa antimafia non già il diritto a ritenere l’erogazione nella misura corrispondente al valore dell’investimento realizzato, come sarebbe logico se la sola conformità allo scopo programmato realizzasse la “utilità” pubblica insita nel programma di finanziamento, in quanto tale meritevole di preservazione”; al contrario “ciò che il comma 3 riconosce al soggetto interdetto è, diversamente, il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento (v. Cass., sez. un, n. 28345/2008). L’investimento realizzato “in conformità al programma” di finanziamento non coincide quindi RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 con la “utilità conseguita”, che è nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di “convenienza”, tipica dell’operatore economico-giuridico “individuale”; b2) “l’interpretazione che considera come utilità da preservare l’investimento realizzato “in conformità al programma” di finanziamento, sottende una tacita o implicita abrogazione del- l’art. 92 comma 3 (e della clausola di salvezza ivi contenuta), in quanto il mancato raggiungimento dello scopo pubblico per il quale il finanziamento viene erogato costituisce ragione di per sé sufficiente per farne discendere la revoca, senza alcuna necessità di attingere allo strumentario offerto dalla normativa antimafia (così Cons. Stato, sez. III, n. 5578/2018)”; b3) “sul piano applicativo, lo ius retentionis appare razionalmente giustificabile nel contesto di prestazioni corrispettive, preventivamente concordate dalle parti in quanto rispondenti ai loro specifici interessi. La stabilizzazione dei relativi effetti costituisce, in siffatto contesto, una scelta di minor costo e di sicuro vantaggio rispetto a quella del ripristino dello status quo ante; ed il mantenimento delle prestazioni eseguite preserva l'equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione. nell’ipotesi del contributo pubblico, al contrario, l’utilità riflessa che da tale investimento può refluire a vantaggio della collettività è in molti casi condizionata dall’ampiezza della platea dei soggetti privati che aderiscono ai programmi di finanziamento, dalla reiterazione di analoghe contribuzioni nel tempo e dalla convergente e sistematica esecuzione delle misure facenti capo ad una medesima azione strategica. ne viene che le ricadute positive -apprezzabili ex post sotto forma di benefici generali, indiretti e di lunga durata, poiché riguardanti ampi settori della dimensione collettiva (l’ambiente, l’agricoltura, l’imprenditoria, etc..) -possono essere stimate solo attraverso parametri macroeconomici ad esse congruenti, proporzionati alla tipologia, all’estesa latitudine degli interventi programmati e alla loro distribuzione nel lungo periodo. Si tratta di dati che inevitabilmente eccedono il singolo progetto finanziabile e rendono assai evanescente o difficilmente percepibile il riflesso di “utilità su scala collettiva” che lo stesso è in grado di generare”. b4) inoltre, “anche un’interpretazione “estensiva” della clausola di salvaguardia imporrebbe, in ogni caso, una verifica in concreto del fatto che le risorse concesse siano state impiegate in modo effettivamente vantaggioso per l’interesse pubblico e rispondente alle finalità sottese al programma di finanziamento”. 3.4. Agli argomenti desumibili dall’esegesi dell’art. 92 comma 3, il Giudice remittente aggiunge ulteriori considerazioni. 3.4.1. La prima di queste attiene all’incidenza del fattore “temporale” sul carattere “precario” del beneficio erogato, che tale (cioè precario) rimane sino al definitivo compimento del programma agevolato. “Sul punto, il più restrittivo dei due orientamenti ermeneutici sostiene che la pretesa restituzione delle somme erogate è giustificata proprio dal carattere ontologicamente “provvisorio” del beneficio erogato e dal fatto che tale provvisorietà è destinata a protrarsi sino al momento della definitiva chiusura del programma agevolato (Tar Catania, n. 2132/2017). Il provvedimento di revoca viene infatti adottato in attuazione dell’art. 92, comma 3, d.lgs. 159/2011, stando al quale i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto “condizione risolutiva” di una eventuale informazione antimafia positiva intervenuta successivamente al pagamento. Poiché, quindi, i contributi risultano “concessi in via provvisoria”, l’atto cd. di “revoca” non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento, di secondo COnTEnzIOSO nAzIOnALE grado, adottato in autotutela dall’Amministrazione, nell’esercizio di un potere discrezionale; ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della “condizione risolutiva” afferente al contributo ancora “precario”. Per l’effetto, risulta improprio ogni richiamo agli artt. 21-quinques e 21-nonies L. n. 241/91990 -che riguardano rispettivamente i provvedimenti di revoca (in senso proprio) e di annullamento adottabili giustappunto nell’esercizio di un potere di autotutela; e altresì inappropriato risulta ogni riferimento al principio dell’affidamento, che mai potrebbe sorgere a fronte dell’originario provvedimento di concessione “in via provvisoria” del contributo (Tar Catania, sez. IV, n. 2132/2017). Soltanto rispetto alla produzione in via definitiva degli effetti del provvedimento di concessione e, quindi, solo al compimento di tutte le procedure di contabilizzazione e di chiusura della procedura di finanziamento, potrebbe essere invocato un effetto di “stabilizzazione” del beneficio astrattamente opponibile al potere interdittivo”. A fronte di tali argomentazioni, “il più estensivo orientamento obietta che, anche a voler condividere l'ottica della provvisorietà del beneficio economico, tale condizione iniziale dovrebbe pur sempre avere una durata definita nel tempo, affinché "ciò che nasce provvisorio diventi il prima possibile definitivo; pena, altrimenti, l'impossibilità di qualunque previsione e di qualunque calcolo da parte di cittadini ed imprese". Dunque, il sopraggiungere dell'informativa negativa non potrebbe sortire effetti preclusivi nei confronti di un rapporto di durata che si sia ormai in massima parte dispiegato, raggiungendo gli obiettivi prefissati dalla stessa amministrazione. Questa soluzione viene ritenuta particolarmente calzante al caso dei rapporti cd. “esauriti”, o che tali sarebbero dovuti essere da tempo e non lo siano divenuti per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione. Sottesa all’impostazione in esame è la preoccupazione che i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa vengano premiati e persino incentivati, andando a ledere le garanzie fondamentali delle parti private”. 3.4.2. Una seconda argomentazione riguarda la compatibilità delle diverse opzioni con quanto affermato dall'Adunanza plenaria con la sentenza n. 3 del 2018, secondo la quale il provvedimento di c.d. "interdittiva antimafia' determina, in capo al soggetto (persona fisica o giuridica) che ne è colpito, una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la pubblica amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto stesso è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Il Giudice rimettente si chiede “se l'adesione al più estensivo dei richiamati orientamenti giurisprudenziali (che ammette la ritenzione delle somme percepite in forza di un programma di finanziamento interamente realizzato) risulti compatibile con la linea di estremo rigore che caratterizza oramai la giurisprudenza dell'Adunanza plenaria, la quale riconnette all'adozione dell'informativa interdittiva una sorta di incapacità giuridica parziale a carico del soggetto che ne è colpito”. A tal proposito, la sentenza non definitiva rileva come il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, con sentenza n. 3/2019, “pur non disattendendo in modo espresso le statuizioni rese dall'Adunanza plenaria, ne sterilizza l’effettiva incidenza, giustificando tale soluzione in ragione della peculiarità del caso di specie esaminato” e ciò in quanto i princìpi di diritto di cui alla sentenza n. 3 del 2018 (che prendono le mosse dalla ritenuta incapacità giuridica parziale ad accipiendum in capo all'operatore attinto da un'informativa interdittiva) non potrebbero comunque valere "per i rapporti esauriti o che sarebbero dovuti esserlo da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione". Se così non fosse -si sostiene -il complessivo regime normativo in tema di comunicazioni e informazioni anti RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 mafia determinerebbe inammissibili profili di incertezza e insicurezza nei traffici giuridici; e detta incertezza si protrarrebbe di fatto sine die anche laddove -come nel caso scrutinato dalla sentenza n. 3/2019 -sia decorso un tempo rilevante e la stessa amministrazione abbia adottato nel tempo informative di carattere liberatorio nei confronti dell'operatore economico. Sul punto, il Giudice remittente rileva una contraddizione tra la pronuncia n. 3/2018 di questa Adunanza Plenaria e la citata giurisprudenza del Consiglio di giustizia amministrativa, ed afferma: “da un lato (Adunanza Plenaria), si assume che l'adozione di un'informativa interdittiva nei confronti di un operatore determina sempre e comunque in capo allo stesso uno stato di parziale incapacità giuridica, sì da determinare "la insuscettività .. ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione”. Da parte del giudice d’appello siciliano si osserva, di contro, che la forma di incapacità elaborata dall’Adunanza plenaria conosce taluni limiti di ordine pubblico economico come, ad esempio, quelli conseguenti all'integrale realizzazione del programma beneficiato, al lungo tempo trascorso ovvero al rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio”. Osserva il Collegio remittente che “tali limiti di ordine pubblico non risultano adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa” formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate”. Viene precisato: a) “Quanto al carattere “esaurito” del rapporto giuridico, esso, come si è visto, non è predicabile nel caso in cui le risorse siano state impiegate solo in parte ovvero il programma finanziato sia ancora in corso di conclusione. Peraltro, l’eventuale “esaurimento” del rapporto, anche laddove effettivamente sussistente, non dissolverebbe ogni dubbio interpretativo, se è vero che nel ragionamento svolto dall’Adunanza Plenaria l’effetto inabilitante dell’interdittiva è tale da travolgere retroattivamente qualunque utilità promanante dalla pubblica amministrazione, persino se riconosciuta al privato con sentenza passata in giudicato (di per sé insensibile ad ogni sopravvenienza, eccettuate quelle che non si siano verificate prima della sua notifica)”; b) “gli argomenti di contrasto all’ipotesi di uno ius retentionis esteso anche all’erogazione di contributi pubblici paiono superabili -a giudizio di questo Collegio -solo a condizione di ampliare la portata della clausola di salvezza delle “utilità conseguite” di cui all’art. 92 comma 3, poiché in questa specifica eventualità l’eccezione al generale effetto “inabilitante” del provvedimento antimafia potrebbe giustificarsi sulla base del dettato normativo e non richiederebbe, pertanto, alcun intervento di ortopedia correttiva dei principi affermati dall’Adunanza plenaria”; c) “una siffatta lettura estensiva appare . . . difficilmente coniugabile con il principio secondo il quale le disposizioni che introducono una eccezione o deroga ad un principio generale devono soggiacere ad una regola di stretta interpretazione. nell’ambito della normativa antimafia, l’effetto inabilitante conseguente alla interdittiva è regola generale nei rapporti con la pubblica amministrazione -o come tale si connota nella lettura che ne ha reso nel 2018 l’Adunanza plenaria; mentre la salvezza prevista dall’art. 92 comma 3 d.lgs. 159/2011 è una eccezione a tale effetto inabilitante oltre che alla regola generale della retroattività della revoca del rapporto in essere tra parte pubblica e parte privata. ne viene che detta eccezione è apprezzabile nei ristretti e tassativi limiti delle ipotesi in essa espressamente contemplate”. 4. Sulla base di tutte le argomentazioni esposte -e rilevato il contrasto di giurisprudenza -la COnTEnzIOSO nAzIOnALE Sezione Terza ha deferito il ricorso in appello (per la parte non già decisa con la sentenza non definitiva) all’Adunanza Plenaria perché la stessa possa, in particolare, pronunciarsi sul seguente quesito: “se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92 comma terzo, sia nell'art. 94 secondo comma del D. Lgs. n.159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo”. 4.1. È intervenuta in giudizio la ditta individuale (omissis), che ha precisato come il proprio interesse ad intervenire ad opponendum nel presente giudizio è un interesse diretto e non correlato alla sola circostanza che lo stesso sia parte in un giudizio pendente avanti al Consiglio di giustizia amministrativa”, poiché tale Giudice, dopo avere riservato in decisione la controversia della quale la ditta (omissis) è parte, “ha rimesso la causa sul ruolo motivando che vi è necessità, ai fini della decisione, di attendere la decisione” dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (ord. n. 336/2020). Infine, all’udienza pubblica di discussione, la causa è stata riservata in decisione. DIRITTO 5. L’Adunanza Plenaria deve, innanzi tutto, dichiarare l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum della ditta (omissis). Quest’ultima afferma di spiegare il proprio intervento sulla base dell’art. 28, co. 2, cpa, in base al quale “chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova”. Afferma, in particolare, di avere “certamente un interesse diretto rispetto al giudizio in cui interviene ad opponendum rispetto all’appello proposto dall’appellante AGEA atteso che il proprio giudizio . . . vertente sul medesimo principio di diritto . . . è stato rinviato per la decisione” in attesa della pronuncia di questa Adunanza Plenaria (v. pag. 3 atto di intervento del 30 giugno 2020). Orbene, come questa Adunanza Plenaria ha già avuto modo di affermare (sentenze 27 febbraio 2019 n. 4; 30 agosto 2018 n. 13 e 4 novembre 2016 n. 23), non è sufficiente a consentire l'istanza di intervento la sola circostanza per cui il proponente tale istanza sia parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella divisata nell'ambito del giudizio principale. Osta, infatti, in modo radicale a tale riconoscimento l'obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due procedimenti, sì da non configurarsi in capo al richiedente uno specifico interesse all'intervento nel giudizio ad quem. Si è chiarito (Ad. Plen. n. 23/2016 cit.) che "laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l'intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall'oggetto specifico del giudizio cui l'intervento si riferisce". non a caso, del resto, in base ad un orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, Sez. IV, 30 giugno 2020 n. 4134; Sez. V, 1 aprile 2019 n. 2123; Cons. giust. amm., 1 aprile 2019 n. 301), nel processo amministrativo l'intervento, ad adiuvandum o ad opponendum, può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale. Le considerazioni innanzi esposte non mutano per il solo fatto che il Giudice innanzi al quale pende il giudizio, in cui è parte chi (successivamente) spiega intervento innanzi all’Adunanza RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Plenaria, abbia ritenuto di disporre la sospensione del medesimo, in attesa della enunciazione del principio di diritto, cui conformare la propria successiva pronuncia. Si tratta, in questo caso, di sospensione disposta dal Giudice, ai sensi degli articoli 79, co. 1, cpa e 295 cpc., che, per un verso, è sorretta da ponderate ragioni di opportunità e, per altro verso, non incide direttamente sul thema decidendum, ma consente al medesimo Giudice di vagliare gli approdi cui perviene l’Adunanza Plenaria in funzione nomofilattica. Ciò, per di più, senza che la pronuncia attesa possa inevitabilmente condizionare l’esito del giudizio in cui è parte chi ha spiegato intervento, ben potendo il Giudice di tale controversia non condividere il principio di diritto enunciato e disporre ai sensi dell’art. 97, co. 3 cpa. Per le ragioni esposte, l’intervento deve essere, dunque, giudicato inammissibile. 6. L’Adunanza Plenaria ritiene che la salvezza del “pagamento delle opere già eseguite e il rimborso del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, di cui agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del d. Lgs. n.159/201 (così precisata la questione di diritto ad essa sottoposta) vada riferita solo al recesso dai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, con esclusione, dunque, delle ipotesi riconnesse alla concessione di finanziamenti pubblici o simili. Occorre precisare, preliminarmente, che la questione deferita all’esame dell’Adunanza Plenaria dalla Sezione nei seguenti termini -“se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92 comma terzo, sia nell'art. 94 secondo comma del D. Lgs. n.159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo” -abbisogna di una diversa e più ampia formulazione. Le disposizioni considerate prevedono, in modo sostanzialmente simile, che i soggetti di cui all’art. 83, nel caso di informazione antimafia interdittiva, “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Stabilire, dunque, se “il limite normativo” delle “utilità conseguite” si riferisca solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, oppure anche ai finanziamenti e contributi pubblici, così come richiede il Giudice del deferimento, presuppone innanzi tutto stabilire se la salvezza “del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente” si riferisca solo ai predetti contratti o anche ai finanziamenti. Difatti, è la “salvezza” del pagamento il vero “limite” normativo (ovvero l’eccezione agli effetti della revoca e del recesso dai contratti), contribuendo invece il limite delle “utilità conseguite” solo alla definizione del “quantum” di una salvezza già verificata sussistente. In sostanza, è solo nei casi in cui si riconosce la salvezza del pagamento (“an” dell’eccezione alla revoca e al recesso) che può poi verificarsi il limite (il “quantum”) del pagamento da disporre, di modo che, sul piano logico-giuridico -e proprio per dare compiuta risposta alla questione di diritto deferita - occorre: -in primo luogo, stabilire se la “salvezza” del pagamento, nei termini normativamente previsti, si applichi solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture ovvero anche alle concessioni di finanziamenti e contributi (essendo più propriamente questa la questione da risolvere); -in secondo luogo, e solo in caso di esito positivo della prima verifica, occorre stabilire -al fine di definire il quantum di un pagamento già riconosciuto (salvato) nell’“an” -cosa si intenda per utilità conseguita. Che poi quest’ultimo aspetto possa costituire argomento a sostegno della soluzione ermeneutica è fuor di dubbio, ma si tratta di argomento “di rinforzo” per una o l’altra soluzione, laddove il problema dell’ambito di applicazione della norma di eccezione (e dunque la vera COnTEnzIOSO nAzIOnALE questione oggetto di esame da parte dell’Adunanza Plenaria) riguarda la salvezza del pagamento, e non già, almeno in prima battuta, il significato e la misura delle utilità conseguite dall’amministrazione con riguardo all’interesse pubblico. 7. Tanto precisato in ordine alla questione sottoposta al presente giudizio, occorre ricordare che, con sentenza 6 aprile 2018 n. 3, questa Adunanza Plenaria ha già avuto modo di affermare, formulando il “principio di diritto”, che il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione. Come è stato affermato, si tratta di una incapacità prevista dalla legge a garanzia di valori costituzionalmente garantiti -in equilibrata ponderazione tra libertà di impresa e tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale (Cons. Stato, sez. III, 9 febbraio 2017 n. 565, ricordata anche da Corte cost., n. 27 marzo 2020 n. 57) -e conseguente all’adozione di un provvedimento che giunge all’esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale sono previste indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario. Tale incapacità è: -parziale, in quanto limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione (di modo che può parlarsi di una sorta di “incapacità giuridica pubblica”), ed anche nei confronti di questa limitatamente a quelli di natura contrattuale, ovvero intercorrenti con esercizio di poteri provvedimentali, e comunque limitatamente ai precisi casi espressamente indicati dalla legge (art. 67 d. lgs. n. 159/2011); -tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente (e la temporaneità della misura e dunque delle sue conseguenze in termini di incapacità assume un carattere particolarmente rilevante ai fini della compatibilità costituzionale: Corte cost., n. 57/2020 cit.). 7.1. Il legislatore ha adottato, dunque, un sistema di estremo rigore, onde evitare che le pubbliche amministrazioni (o, più precisamente, i soggetti indicati all’art. 83, co. 1 e 2 del d. lgs. n. 159/2011) possano entrare in contatto con soggetti colpiti da cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67, ovvero che siano destinatari di un tentativo di infiltrazione mafiosa; e ciò al fine di evitare che tali soggetti possano condizionare le scelte e gli indirizzi delle amministrazioni pubbliche, ledendo i principi di legalità, imparzialità e buon andamento riconosciuti dall’art. 97 Cost., ovvero possano incidere sul leale e corretto svolgimento della concorrenza tra imprese ovvero ancora possano appropriarsi a qualunque titolo di risorse pubbliche (beni, danaro o altre utilità). Di qui la costruzione della condizione del soggetto destinatario della informazione antimafia come una forma di incapacità (nei sensi innanzi descritti), il che comporta -alla luce della disciplina speciale di cui al d. lgs. n. 159/2011 -l’insuscettività di avere rapporti, in particolare patrimoniali, con la pubblica amministrazione (nei sensi e limiti innanzi precisati) e la nullità dei negozi eventualmente posti in essere -in violazione dell’interdittiva -da o con il soggetto incapace. 7.2. Tale forma di incapacità, di natura temporanea (che dura, come si è detto, fino all’adozione di un diverso provvedimento da parte dell’autorità competente), non può essere nemmeno esclusa nel caso di rapporti intrattenuti con la pubblica amministrazione che avrebbero dovuto essere esauriti da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla stessa pubblica amministrazione (ad esempio, un ritardo nella rendicontazione e, dunque, nell’emissione del RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 provvedimento di definitiva attribuzione dell’ausilio finanziario, così desumendo dall’ipotesi dell’esclusione l’impossibilità del recupero di somme già erogate ovvero della mancata erogazione di somme a fronte di opere oggetto di finanziamento già eseguite dal privato). Si è affermato (Cons. giust. amm. 4 gennaio 2019 n. 3) che, in difetto di esclusione in tali casi dell’incapacità derivante dall’interdittiva antimafia, “i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa sarebbero premiati e persino incentivati, ledendo le garanzie fondamentali delle parti private . . . e contribuendo a determinare un senso di incertezza ed insicurezza nei traffici commerciali e nella serietà degli impegni giuridici, che concorre a definire il grado di legalità di un Paese”. Con riferimento a tali considerazioni, occorre osservare, innanzi tutto, che la interdittiva antimafia attiene ad una valutazione del soggetto in quanto tale, al di là del singolo rapporto intrattenuto con l’amministrazione pubblica, e che, ove sopravvenuta, riverbera le proprie conseguenze ab externo su tale rapporto. non si tratta, dunque, del riconoscimento alla pubblica amministrazione di un potere autoritativo, unilateralmente e discrezionalmente (se non liberamente) esercitato onde influire sul rapporto instaurato con il privato, bensì dell’accertamento dell’insussistenza della capacità del soggetto (per pericolo di infiltrazioni mafiose) ad essere titolare di rapporti con la pubblica amministrazione. Benché intervenga in occasione di uno specifico rapporto con l’amministrazione, tale accertamento ha per oggetto fenomeni a questo esterni (e non afferenti al contenuto del provvedimento o del negozio giuridico), i quali coinvolgono, più in generale, la persona (fisica o giuridica) del privato, determinando una forma di incapacità del soggetto. ne consegue che l’accertamento del fenomeno di infiltrazione mafiosa, stante la sua descritta natura, non può essere imputato (anche se eventualmente intervenuto al di là del termine previsto) di “determinare un senso di incertezza e di insicurezza nei traffici commerciali e nella serietà degli impegni giuridici”. E ciò in quanto corre una evidente differenza tra l’intervento unilaterale sull’oggetto del rapporto giuridico (che potrebbe determinare, ancor di più ove non temporizzato, una “incertezza e insicurezza nei traffici commerciali e nella serietà degli impegni giuridici”) e la verifica della sussistenza della capacità di chi, anche di quel rapporto, è parte. E in aggiunta a ciò va ricordato come le norme evidenzino in modo chiaro e netto la precarietà del rapporto instaurato con il privato non ancora provvisto di dichiarazione antimafia, e dunque a provvisorietà degli effetti derivanti dagli atti adottati. nel caso considerato, è la pubblica amministrazione a dover essere tutelata da soggetti che presentano le caratteristiche dell’infiltrazione mafiosa. né si tratta di “premiare” o “incentivare” -per il tramite della impossibilità di adempiere le obbligazioni pecuniarie del- l’amministrazione nei confronti del soggetto incapace -“i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa”, bensì di non pregiudicare l’interesse pubblico e valori costituzionalmente tutelati e riconosciuti procedendo o continuando ad attribuire o consentendo di ritenere benefici economici ad un soggetto che si è accertato essere suscettibile di infiltrazioni mafiose. D’altra parte, come è noto, l’ordinamento prevede plurimi strumenti di tutela, amministrativa e giurisdizionale (si pensi, tra gli altri, a quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 241/1990 ovvero all’azione avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione, prevista dagli articoli 31 e 117 cpa), che consentono al privato in rapporto con la pubblica amministrazione di uscire dallo stato di incertezza derivante dal ritardo dell’azione amministrativa. L’affermazione della incapacità conseguente a informativa antimafia interdittiva, nei limiti COnTEnzIOSO nAzIOnALE innanzi ricordati, non può incontrare, dunque, un limite costituito da quei rapporti con la pubblica amministrazione che, ancorché non esauriti, sarebbero dovuti esserlo da tempo ma che non lo sono per causa imputabile ad eventuali ritardi della stessa amministrazione. Fermo quanto innanzi affermato, l’incapacità non può incontrare limiti di ordine pubblico economico (integrale realizzazione del programma beneficiato, lungo tempo trascorso, rilascio in favore della medesima impresa di precedenti informative di carattere liberatorio), posto che -come condivisibilmente affermato dal Giudice remittente -“tali limiti di ordine pubblico non risultano adeguatamente tracciati e motivati nei loro presupposti, ma rimessi ad una valutazione “casistica” ed “equitativa”, formulabile dal giudice in relazione alle singole fattispecie esaminate”. Limiti, dunque, che -oltre a non trovare conforto nelle previsioni normative -contribuirebbero a rendere incerte le conseguenze dell’interdittiva antimafia e, in primis, l’ambito stesso dell’incapacità nei confronti della pubblica amministrazione. 8. Da quanto esposto consegue che -a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) -costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011 n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni. Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” -da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati -deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione. 9. In aggiunta a quanto ora esposto, occorre rilevare che gli articoli più volte citati disciplinano, di per sé, non già la situazione “ordinaria” di particolari rapporti giuridici con le pubbliche amministrazioni, bensì una situazione che costituisce già essa stessa “deroga” all’ordinario procedimento volto alla adozione di atti ovvero alla costituzione di rapporti contrattuali. 9.1. La disciplina ordinaria, infatti, prevede che il rilascio di autorizzazioni, concessioni, ovvero la stipula di contratti o subcontratti (v. art. 91 d. lgs. n. 159/2011), da parte dei soggetti pubblici di cui all’art. 83, deve essere preceduta necessariamente dalla acquisizione dell’informazione antimafia. E ciò proprio al fine di realizzare quelle finalità di tutela di valori costituzionalmente previsti, innanzi ricordate. A fronte di ciò, tuttavia, si è prevista una disciplina (che si è definita “derogatoria”), che consente -nel caso in cui il Prefetto non abbia provveduto a comunicare l’informazione antimafia entro i termini previsti dall’art. 92, co. 2, ovvero nei casi di urgenza (“lavori o forniture di somma urgenza”, come si esprime l’art. 94, co. 2) -ai soggetti pubblici di procedere anche in assenza dell’informazione. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un evidente bilanciamento della tutela degli interessi pubblici approntata dalla disciplina antimafia, e segnatamente da quella relativa all’informazione interdittiva, con altri interessi, anch’essi meritevoli di tutela, quali possono essere sia i differenti interessi pubblici alla immediata acquisizione di lavori o forniture o servizi (per la soddisfazione di ulteriori interessi pubblici cui questi ultimi sono destinati), sia gli stessi interessi del RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 privato che entra in contatto con la pubblica amministrazione, il quale non può ricevere pregiudizio dal ritardo dell’azione amministrativa. Tuttavia, nel caso della disciplina “derogatoria”, proprio perché essa consente di procedere alla instaurazione di rapporti con un privato del quale, allo stato, non si conosce la sussistenza della capacità ad avere tali rapporti con la pubblica amministrazione, viene altresì cautelativamente precisato che: -“i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva” e i soggetti pubblici “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti” (art. 92, co. 3) -“la revoca e il recesso . . . si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto” (art. 92, co. 4). In sostanza, ciò che, in contemperamento della pluralità di esigenze connesse alla tutela di interessi pubblici e privati, viene effettuato dai soggetti di cui all’articolo 83 (rilascio di autorizzazioni o concessioni, erogazione di contributi e simili, stipulazione di contratti) avviene sotto la rigida condizione dell’accertamento della stessa capacità del soggetto privato ad essere parte del rapporto con la pubblica amministrazione, con la ovvia conseguenza che -laddove per il tramite dell’informazione antimafia interdittiva tale capacità venga accertata come insussistente -non possono che manifestarsi in termini di nullità sia i provvedimenti amministrativi rilasciati (per difetto di un elemento essenziale del medesimo, ex art. 21-septies l. n. 241/1990), sia il contratto stipulato con soggetto incapace. Giova precisare che ciò che consegue alla interdittiva antimafia non costituice un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì il (pur tardivo) accertamento della insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica: quella incapacità che -laddove fosse stata, come di regola, previamente accertata -avrebbe escluso in radice sia l’adozione di provvedimenti sia la stipula di contratti. In questo senso, può concordarsi con quanto affermato dalla sentenza parziale che ha disposto il deferimento, laddove la stessa ritiene che “poiché i contributi risultano concessi in via provvisoria, l’atto c.d. di revoca non rappresenta affatto (come farebbe pensare il nomen) un nuovo provvedimento adottato in autotutela dall’amministrazione nell’esercizio di un potere discrezionale, ma un mero atto ricognitivo che constata l’avvenuta verificazione della condizione risolutiva afferente al contributo ancora precario”. E ciò con la sola precisazione che le disposizioni degli articoli 92 e 94 intendono affermare per il tramite del non appropriato riferimento agli istituti della “revoca” (del provvedimento) e del “recesso” (dal contratto), che l’accertamento dell’intervenuta “condizione risolutiva” altro non è che l’accertamento successivo (consentito dalla legge) dell’incapacità giuridica del soggetto ad essere destinatario di provvedimenti amministrativi ovvero ad essere parte del contratto ad evidenza pubblica. A ciò consegue, quanto ai provvedimenti di concessione di benefici economici, comunque denominati, che l’intervenuto accertamento dell’incapacità del soggetto, cui si riconnette la “precarietà” degli effetti dei medesimi, espressamente enunciata dalle norme, esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte del soggetto beneficiario (ma giuridicamente incapace). né è possibile ipotizzare, in presenza di un chiaro riferimento normativo alla “precarietà” dei provvedimenti adottati o del provvedimento stipulato, l’insorgere di un “affidamento” in capo al soggetto privato. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Allo stesso modo, nelle ipotesi di contratto stipulato con la pubblica amministrazione, l’accertamento dell’incapacità comporta l’insuscettività dello stesso ad essere fonte di obbligazioni in capo alla pubblica amministrazione nei confronti del soggetto incapace. 9.2. A tale assetto degli effetti, discendente dai principi generali e dalla specifica normativa antimafia, è la stessa disciplina antimafia a prevedere talune “eccezioni”: -gli articoli 92, co. 4 e 94, co. 2 (oggetto del quesito deferito a questa Adunanza Plenaria), prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”; -l’art. 94, co. 3 dispone che i soggetti di cui all’art. 83 “non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”. Si tratta, come è evidente, di norme “di eccezione” ai principi generali, rese necessarie dai “postumi” dell’applicazione di una disciplina essa stessa “derogatoria” (e dunque essa stessa “eccezionale”) rispetto all’ordinario modus procedendi imposto all’amministrazione (quella, cioè, che ha consentito di emanare i provvedimenti e/o di stipulare i contratti in assenza della tempestiva informativa antimafia). Si tratta, dunque, di norme di strettissima interpretazione: - sia in ossequio all’art. 14 delle cd. preleggi; -sia in considerazione del fatto che esse, in concreto, consentono l’inverarsi di attribuzioni patrimoniali in favore di un soggetto incapace, ed altresì (a voler tacere del dirimente aspetto dell’incapacità) prive di una causa di attribuzione positivamente apprezzata dall’ordinamento (non potendo l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione essere curato e/o realizzato per il tramite di soggetti, oltre che mafiosi, anche solo esposti al rischio di infiltrazione mafiosa); -sia, infine, perché tali attribuzioni intervengono in accertato pericolo per valori primari del- l’ordinamento, costituzionalmente tutelati. 9.2.1. nel primo caso, occorre evidenziare -necessariamente precisando, come si è innanzi anticipato (sub par. 6) l’oggetto del quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria -che la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite” riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla verifica della “utilità conseguita” (dall’amministrazione o, più in generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza. 9.2.2. Fermo quanto innanzi esposto sui limiti afferenti all’interpretazione della normativa in esame, occorre osservare come anche il dato letterale della disposizione si opponga ad una sua estensione dai contratti di appalto ai finanziamenti. La sentenza non definitiva rileva, condivisibilmente, come il valore disgiuntivo da attribuire al- l’espressione “o recedono dai contratti”, contenuta nelle due disposizioni in esame, “rende poi l’inciso finale dei due commi più verosimilmente riferibile ai soli contratti e non anche alle autorizzazioni e alle concessioni, ovvero ai contributi, ai finanziamenti ed alle agevolazioni”. A ciò va aggiunto, sempre sul piano dell’esame letterale, che la locuzione “fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute” non può che essere riferita unicamente al caso di contratti per i quali, stante l’informazione antimafia in RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 terdittiva, si procede al “recesso”. La disposizione parla chiaramente di “opere già eseguite”, ovvero di “spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, con ciò facendo evidente riferimento, per il tramite dei lemmi “opere” ed “esecuzione” ai contratti di appalti di lavori. Occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai contratti di servizi e forniture in quanto il successivo comma 3 dell’art. 94 -nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi (laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”). Ma occorre ancora, e più risolutivamente, aggiungere a quanto esposto che sia le regole che disciplinano la stretta interpretazione delle norme eccezionali, sia la complessa natura delle attribuzioni patrimoniali riconducibili ai “finanziamenti”, escludono che la norma che dispone la possibilità di pagamenti sia riferibile anche alle “concessioni” e, dunque, a questi ultimi. Questa Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 3/2018 (anche a conferma e rafforzamento della propria decisione n. 9/2012), ha affermato (con enunciazione del principio di diritto) in riferimento all’art. 67, co. 1, lett. g), -secondo il quale non possono erogarsi e riceversi “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” - che: “la finalità del legislatore è, in generale, quella di evitare ogni “esborso di matrice pubblicistica” in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali. In sostanza -ed è questa la ratio della norma -il legislatore intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della Pubblica Amministrazione in favore di tali soggetti, di modo che l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A.”. nel caso considerato nella presente sede, l’operazione interpretativa che dovrebbe comportare l’estensione -per il tramite della presenza nel testo del riferimento alle “concessioni” -della salvezza del pagamento di quanto realizzato sulla base di finanziamenti, comporta sul piano ermeneutico un duplice passaggio estensivo dell’interpretazione: -in primo luogo, quello di estendere la salvezza del pagamento dal caso di recesso dal contratto (in aderenza al quale è prevista nel testo la salvezza dei pagamenti) anche alle “concessioni” precedentemente citate e, come si è già detto, non collocate nel testo con immediata aderenza alla “salvezza”; -in secondo luogo, quello di operare una interpretazione “selettiva” del termine “concessioni”, ritagliando nel più ampio ambito proprio di tale genus, quelle di esse (e solo quelle) che hanno per oggetto attribuzioni patrimoniali (contributi, finanziamenti e simili) dalle quali dipende la “esecuzione di opere”. Si tratta, a tutta evidenza, di una operazione ermeneutica per così dire “di doppio grado”, molto lontana dai limiti propri della interpretazione delle norme eccezionali e, dunque, non consentita. 9.2.3. Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia. Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute “sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato COnTEnzIOSO nAzIOnALE contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento. Allo stesso modo, sono ragioni evidenti di opportuno perseguimento dell’interesse pubblico -inerente all’acquisizione di un’opera ormai terminata, ovvero inerente alla prosecuzione di una fornitura o di un servizio per i quali la sostituzione del soggetto prestatore non potrebbe intervenire in tempi rapidi -quelle che sorreggono l’art. 94, co. 3, evitando in via eccezionale “revoche” e “recessi”. Ed in quest’ultimo caso, le ragioni che sorreggono la prosecuzione del contratto, proprio perché questa costituisce una forte eccezione alle normali conseguenze del- l’interdittiva antimafia, devono essere rappresentate dall’amministrazione con atto congruamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dal legislatore. nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione. 9.3. A quanto ricavabile dal dato letterale e finora esposto, la sentenza non definitiva, con contestuale deferimento, aggiunge anche quanto desumibile dall’uso dell’espressione “utilità conseguite”, onde definire il limite cui sottoporre il pagamento delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”. E ciò: -sia sul piano dell’interpretazione letterale, sembrando l’espressione riferirsi “ad una condizione di reciprocità delle prestazioni corrispettive, scarsamente compatibile con l’ipotesi di una erogazione o di un finanziamento destinato a beneficio riflesso non di uno specifico ente o apparato della P.A., ma della indistinta collettività pubblica”; -sia sul piano logico sistematico, poiché con l’espressione “utilità conseguita” si intende riconoscere “al soggetto interdetto . . . il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato al- l’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”. Anche il riferimento alle “utilità conseguite” -come misura del “quantum” dovuto dall’amministrazione al privato colpito da interdittiva -contribuisce ad escludere che la norma di eccezione relativa alla salvezza dei pagamenti possa estendersi anche ai finanziamenti ed ai contributi. L’ “utilità conseguita” non corrisponde all’investimento realizzato in conformità al programma di finanziamento. Essa “è nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di convenienza, tipica dell’operatore economico-giuridico individuale”; pertanto, essa deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile. Al contrario, nel caso del finanziamento, non può parlarsi di una “utilità” per l’amministrazione, soggettivamente intesa, ma più esattamente di un interesse pubblico che trascende la mera (sia pur completa e corretta) realizzazione del programma (che invece, ove non realizzato, comporta ex se conseguenze quali la revoca sanzionatoria del finanziamento, oltre alla possibile configurazione di un illecito penale). Si tratta di un interesse pubblico per il perseguimento del quale il programma realizzato (e che molto spesso consiste in opere che restano in proprietà del privato) costituisce un mezzo e non un fine. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Se è vero che “ogni attività della pubblica amministrazione che importa erogazione di provvidenze economiche è (deve essere) finalizzata a scopi di interesse pubblico e questi ultimi si sostanziano in benefici collettivi, immediatamente o mediatamente riconducibili all’esercizio del potere” (in tal senso, Cgars, n. 3/2019 cit.), appare evidente come non sia possibile ricondurre alla “utilità conseguita”, presente nel testo normativo, anche più generali interessi pubblici, per i quali: -per un verso, l’accertamento appare non rispondere (o non rispondere sempre) a parametri giuridici, bensì a parametri macroeconomici, proporzionati alla tipologia, alla estesa latitudine degli interessi programmati e alla loro distribuzione nel lungo periodo; -per altro verso, essi stessi prescindono da una vera e propria possibilità di “misurazione” in senso giuridico o economico, afferendo alla migliore esplicazione di diritti politici o economici, ovvero ad aspetti di sviluppo sociale o culturale (si pensi alla costruzione di una biblioteca o di un teatro di proprietà privata ma con ausili pubblici, al fine di realizzare la crescita culturale di una comunità). D’altra parte, occorre non dimenticare che il testo normativo (del quale qui si nega l’interpretazione estensiva) prevede “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente”; ciò rende valutabile l’utilità conseguita dall’amministrazione anche attraverso un opera incompiuta -perché al- l’amministrazione resta un bene che comunque ne accresce il patrimonio -ma non rende altrettanto valutabile un interesse pubblico derivante da un programma finanziato ma solo in parte realizzato. Il che comporta ulteriori “distinguo” interpretativi che rendono ancor più evidente l’impossibilità di una lettura estensiva che, già dubbia con queste modalità ermeneutiche per norme ordinarie, è da escludere per norme eccezionali. 10. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto: “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”. 11. L’Adunanza Plenaria dispone la restituzione del giudizio alla sezione remittente, per ogni ulteriore decisione nel merito e sulle spese ed onorari del giudizio, ivi compresi quelli inerenti alla presente fase. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), pronunciando sull’appello proposto da AGEA -Agenzia per le erogazioni in agricoltura (n. 4345/2019 r.g.): - dichiara inammissibile l’intervento ad opponendum; - enuncia il principio di diritto di cui in motivazione al punto 10; - restituice per il resto il giudizio alla sezione remittente. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2020. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Interpretatio abrogans dell’art. 121 TULPS. Il discrimine tra attività di cartomanzia e ciarlataneria Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 1 luglio 2020 n. 4189 La sfavorevole sentenza del Consiglio di Stato n. 4189/2020 fornisce un’interpretatio abrogans dell’art. 121 TULPS (R.D. n. 773/1931) e dell’art. 231 del relativo regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/ 1940) che vietano il mestiere di ciarlatano, nel quale rientra quello di cartomante. La sentenza mi pare interessante e molto ben argomentata nella parte in cui ha ritenuto necessario “interpretare evolutivamente, alla luce delle modificazioni intervenute nel contesto giuridico e socio-economico generale rispetto a quello esistente alla data della loro introduzione, le disposizioni sulle quali fa leva l’amministrazione con il provvedimento interdittivo impugnato in primo grado: norme che, venute in essere in un contesto storico dominato dal mito dello stato etico, devono confrontarsi con la nuova funzione da esso assunta di definitore in “negativo” dei limiti entro i quali i cittadini individuano, in libertà e autonomia, i fini cui tendere nel loro percorso esistenziale ed i mezzi per realizzarli” anche alla luce della normativa sopravvenuta, in particolare l’art. 28 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) recante “rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite” che regolamenta, seppure a specifici fini, l’attività di cartomanzia. Forse la strada maestra avrebbe potuto essere la rimessione della questione di legittimità costituzionale della suddetta normativa alla Corte costituzionale o quanto meno la rimessione all’Adunanza Plenaria in ragione del precedente contrario (Cons. Stato n. 814/2006) in base al quale la normativa richiamata “a) è ancor in vigore e annovera specificamente tra le attività vietate (perché di per sé idonee "a speculare sull'altrui credulità, o a sfruttare od alimentare l'altrui pregiudizio") quella di cartomante, in qualunque luogo essa sia svolta, anche all'interno di una abitazione (Cass. 19 aprile 1951); b) risulta ragionevole, in ragione degli interessi pubblici e privati tutelati, che consistono nell'esigenza di dare tutela ai soggetti che -per ragioni di ordine psicologico o comunque personale -sono potenzialmente esposti agli altrui approfittamenti, al rischio di subire turbamenti della propria sfera personale e di diventare soggetti passivi di reati quali la truffa o l'abuso della credulità popolare”… “in considerazione del suo testo e della sua ratio, il divieto desumibile dall'art. 121 del testo unico e dall'art. 231 del regolamento non si applica soltanto quando l'attività (comunque nel totale rispetto dei valori della persona) non possa essere qualificata come 'mestiere' nei confronti delle persone cui si rivolge, e cioè: quando sia direttamente rivolta al pubblico in totale assenza dello scopo di lucro e di qualunque corrispettivo (ad esempio, per un intrattenimento del tutto saltuario, per gioco o per manifestare la propria abi RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 lità dialettica); quando l'attività sia retribuita da un solo contraente (che persegua un interesse meritevole di tutela, quale quello di consentire uno spettacolo gratuito in favore del pubblico), in totale assenza di qualunque corrispettivo da parte delle persone che abbiano contatti con il cartomante” e ovviamente non era il caso di specie trattandosi di attività a pagamento. Del resto la condanna nel 2009 di una nota teleimbonitrice testimonia che, anche all’attualità, l’attività di cartomanzia può ancora prestarsi allo “sfruttamento della credulità altrui” e sconfinare nel reato di truffa. In allegato il ricorso in appello dell’Avvocatura. Wally Ferrante* CT 7462/18 avv. Ferrante AVVOCATURA GEnERALE DELLO STATO COnSIGLIO DI STATO In SEDE GIURISDIzIOnALE RICORSO In APPELLO COn ISTAnzA DI SOSPEnSIOnE Per il MInISTERO DELL’InTERnO (C.F. 97149560589), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 (per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) C O nT R O (omissis) S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Maurizio Politi e Alessandro Bovari ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Perugia, via Martiri dei Lager, 158 PER L’AnnULLAMEnTO PREVIA SOSPEnSIOnE della sentenza del TAR Umbria del 5 giugno 2019, n. 295 * * * Con ricorso al TAR Umbria ritualmente notificato, la società ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, del decreto di cessazione dell’attività di servizio telefonico di cartomanzia emesso il 5.8.2017 dal Questore di Perugia e di ogni atto presupposto, connesso o conseguenziale. Con ordinanza del 5.12.2017, n. 203, il TAR ha accolto l’istanza cautelare. Successivamente, il TAR, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il ricorso. Avverso tale sentenza, l’amministrazione in epigrafe propone appello, con istanza di sospensione, per i seguenti motivi in FATTO In data 31.07.2017, la Questura di Perugia effettuava, unitamente al personale Aliquota Carabinieri del nucleo Ispettorato del Lavoro di Perugia, una verifica amministrativa presso la Società (omissis), con sede legale ed operativa nel Comune di (omissis), allo scopo di accertare una eventuale attività illecita di cartomanzia. (*) Avvocato dello Stato. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Giunto all’interno della sede, il personale riscontrava la presenza di (omissis), identificata quale Amministratore unico della predetta Società, nonché di (omissis), dipendente della suddetta Società con mansioni di centralinista; il personale si avvedeva che nei locali erano presenti 7 postazioni fisse dotate di telefono che, al momento dell’ingresso, erano libere e quindi senza operatrici. L’amministratrice, escussa a sommarie informazioni, riferiva che l’impresa rendeva servizio di cartomanzia telefonico e che il predetto servizio veniva pubblicizzato sia su internet che alla televisione. Riferiva, inoltre, che il servizio veniva reso tramite una utenza telefonica con numero a radice fissa (omissis), o tramite l’utenza telefonica (omissis). Aggiungeva, inoltre, che se i clienti utilizzavano, per la conversazione con la cartomante, l’utenza fissa, il pagamento del servizio era anticipato e avveniva con bonifico e carta di credito, lasciando i relativi dati alla centralinista; se invece veniva utilizzava l’utenza con radice (omissis) la telefonata veniva direttamente trasferita alla cartomante, ed il cliente si trovava l’addebito sulla sua bolletta telefonica. L’amministratrice rappresentava, infine, che l’attività veniva svolta con l’ausilio di 3 dipendenti centraliniste e 7 collaboratori. Il personale raccoglieva, altresì, spontanee dichiarazioni della dipendente (omissis), la quale dichiarava di svolgere la mansione di cartomante, e la dipendente (omissis), la quale riferiva di lavorare con contratto part-time a tempo determinato, e che “gli operatori svolgevano servizio di cartomanzia”. L’attività di cartomanzia, già evidenziata dalle dichiarazioni rese dalla titolare e dalle altre dipendenti, veniva ulteriormente avvalorata da alcune immagini acquisite dal personale e tratte dal sito web della Società, dove si faceva propaganda di plurimi servizi, quali “Onomanzia”, “Cartomanzia”, “Oroscopo”, “Sviluppo personale”, “Tarocchi online”, “Le Rune”, ... Pertanto alla luce di quanto rilevato, in data 02.08.2017, la Questura di Perugia, notificava alla (omissis) srl verbale di accertamento di violazione amministrativa ai sensi della L. 24.11.1981 nr. 689 per attività illecita di cartomanzia di cui agli artt. 121 T.U.L.P.S. -R.D. 18.06.1931 nr. 773 e 231 Reg. Esec. T.U.L.P.S. -R.D. 06.05.1940 nr. 635 la cui sanzione è prevista dall’art. 17/bis TULP - R.D. 18.06.1931 nr. 773. Successivamente, il Questore, con decreto datato 05.08.2017 e notificato in data 09.08.2017, disponeva l’immediata cessazione dell’attività di cartomanzia. DIRITTO Il TAR, premettendo erroneamente che l’amministrazione intimata “non ha depositato né documentazione, né memorie difensive”, ha accolto il ricorso ritenendo che, pur vietando espressamente l’art. 121 T.U.L.P.S. il mestiere di ciarlatano, l’attività di cartomanzia, nel mutato contesto storico -sociale, “anche se non certo regolata”, è tuttavia presa in considerazione da diverse norme interne idonee “a far ritenere la cartomanzia attività economica non vietata in sé e per sé ma solo laddove venga svolta con modalità idonee ad abusare dell’altrui ignoranza e superstizione”. Innanzitutto, va precisato che l’amministrazione resistente si è costituita in giudizio con atto di costituzione del 24.11.2017 e, successivamente, in data 1.12.2017 ha depositato memoria difensiva e documentazione, come risulta dal mero esame del sito di giustizia amministrativa. L’affermazione del TAR è pertanto frutto di evidente errore e dimostra che il giudice di primo grado ha accolto il ricorso senza nemmeno esaminare le deduzioni difensive dell’amministrazione. Le statuizioni del TAR che hanno condotto all’accoglimento del ricorso non possono essere condivise. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Contrariamente a quanto affermato dal TAR, infatti, devono ritenersi sussistenti i presupposti per l’emanazione del provvedimento impugnato, come disciplinati dall’art. 121 T.U.L.P.S. L’art. 121 del Testo Unico Legge di Pubblica Sicurezza T.U.L.P.S., recita espressamente: “è vietato il mestiere di ciarlatano”. L’art. 231 del relativo regolamento di esecuzione specifica: “sotto la denominazione di mestiere di ciarlatano si comprende ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità o a sfruttare o altrimenti l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi o millantano o affettano il pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”. Il D.L. n. 480 del 13/07/1994 ha aggravato le sanzioni previste “pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 6.000.000” all’art. 3.4. La circolare del Ministero dell’Interno n° 559/lec/200, 112-bis del 03/10/1994, ha invitato, in particolare, Prefetti, Commissari del Governo, Questori ad applicare sanzioni previste “per le infrazioni alle seguenti disposizioni del t.u.l.P.s. tra cui la violazione del divieto d’esercizio del mestiere di ciarlatano e ad ordinare la cessazione dell’attività”. Si tratta di norme imperative di ordine pubblico, ancorché di natura amministrativa a seguito della depenalizzazione avviata a partire della legge nr. 689/81. norme che superano i dubbi sulla dibattuta opportunità della tutela per la parte più debole e sprovveduta della collettività, di fronte a fenomeni del genere e che appaiono chiaramente riferibili anche alla fattispecie in esame, posto che la risonanza mediatica e le odierne tecniche di comunicazione, accentuano e amplificano il pericolo e quindi il rischio del danno che ne costituisce il fondamento e la giustificazione. Il perimetro della disposizione in parola, ovvero dell’art. 121, è stato chiarito dalla Corte di Cassazione secondo cui “l’attività di mago, giuridicamente, s’inquadra nel mestiere di ciarlatano espressamente vietato dall’art. 121, ultimo comma t.u.l.P.s.” (Cassazione Penale, sez. I nr. 5582/95, Pisano). La Suprema Corte ha ricordato come l’attività di “mago” vada riportata all’espresso divieto dell’art. 121 T.U.L.P.S., evidenziando altresì che lo “sfruttamento della credulità altrui, proprio di chi si professi “mago”, porta facilmente a sconfinare nel reato di truffa”. Il Giudice di primo grado ha richiamato l’orientamento del Consiglio di Stato (sentenza 510/2006) secondo il quale l’attività di cartomante (come le altre di chiromante, veggente, occultista) è sanzionata solo quando, a seguito di un’approfondita analisi della fattispecie concreta, costituisce manifestazione di vera e propria ciarlataneria e tale è ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità o a sfruttare o alimentare l’altrui pregiudizio. Sul punto va detto che, secondo altra pronuncia del Consiglio di Stato, l'art. 231 del regolamento approvato col r.d. n. 635 del 1940 “a) è ancor in vigore e annovera specificamente tra le attività vietate (perché di per sé idonee "a speculare sull'altrui credulità, o a sfruttare od alimentare l'altrui pregiudizio") quella di cartomante, in qualunque luogo essa sia svolta, anche all'interno di una abitazione (Cass. 19 aprile 1951); b) risulta ragionevole, in ragione degli interessi pubblici e privati tutelati, che consistono nell'esigenza di dare tutela ai soggetti che -per ragioni di ordine psicologico o comunque personale -sono potenzialmente esposti agli altrui approfittamenti, al rischio di subire turbamenti della propria sfera personale e di diventare soggetti passivi di reati quali la truffa o l'abuso della credulità popolare”. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Il Consiglio di Stato, conclude affermando che “in considerazione del suo testo e della sua ratio, il divieto desumibile dall'art. 121 del testo unico e dall'art. 231 del regolamento non si applica soltanto quando l'attività (comunque nel totale rispetto dei valori della persona) non possa essere qualificata come 'mestiere' nei confronti delle persone cui si rivolge, e cioè: quando sia direttamente rivolta al pubblico in totale assenza dello scopo di lucro e di qualunque corrispettivo (ad esempio, per un intrattenimento del tutto saltuario, per gioco o per manifestare la propria abilità dialettica); quando l'attività sia retribuita da un solo contraente (che persegua un interesse meritevole di tutela, quale quello di consentire uno spettacolo gratuito in favore del pubblico), in totale assenza di qualunque corrispettivo da parte delle persone che abbiano contatti con il cartomante (Consiglio di Stato, n. 814, 2006). Ciò premesso nel caso in questione, va innanzitutto evidenziato che, come ricostruito in fatto, l’amministrazione ha accertato che l’attività di cartomanzia veniva espletata a scopo di lucro, individuando le concrete modalità di versamento del corrispettivo a seconda che la chiamata fosse al numero di rete fissa (bonifico o carta di credito) ovvero al numero con radice (omissis) (tramite addebito sulla bolletta telefonica). Per altro verso, si sottolinea che il provvedimento questorile inibitorio incide esclusivamente sul divieto di esercizio dell’attività di “cartomanzia” e non sugli altri eventuali servizi offerti dalla medesima società, ben potendo la stessa continuare a svolgere la propria attività lavorativa di call center, offrendo altri servizi consentiti dalla legge e dall’ordinamento giuridico, e senza quindi dover necessariamente licenziare i propri dipendenti che, grazie alla società, traggono il sostentamento economico per le loro famiglie. Inoltre, non può condividersi quanto affermato dal TAR in ordine al fatto che l’attività di cartomanzia non può essere considerata ex se esercizio del mestiere di ciarlatano. In merito, soccorre l’orientamento giurisprudenziale da ultimo ribadito con la sentenza nr. 195 del 2015 del CGARS che ha riformato una sentenza del Tar Sicilia relativa ad un provvedimento di ordine di immediata cessazione dell’attività di cartomanzia del Questore di Palermo, che aveva accolto il ricorso del ricorrente ritenendo fondato il motivo di insufficienza della motivazione, in quanto il Questore non doveva limitarsi alla contestazione dell’attività svolta, ma aveva il dovere di valutare in concreto, attraverso apposita istruttoria e conseguente sufficiente motivazione, l’oggettiva idoneità dell’attività ad integrare l’ipotesi di ciarlataneria. Riformando tale sentenza, il CGARS ha sancito, con una valutazione diametralmente opposta, che il semplice richiamo alle norme di cui agli artt. 121 TULPS -R.D 18.06.1931 nr. 773 e 231 reg. esec. T.U.L.P.S. è sufficiente ad escludere la necessità di una puntuale istruttoria per l’adozione dell’ordinanza di cessazione dell’attività. Secondo tale orientamento, infatti, “la normativa vigente vieta lo svolgimento del mestiere di cartomante perché comporta, secondo l’id plerumque accidit, ragionevolmente valutato dall’art. 231 reg esec. tulPs il rischio dell’approfittamento dell’altrui credulità (pregiudizievole sotto il profilo patrimoniale e personale) anche se non sono in concreto commessi reati”. In perfetta armonia a tali principi, il Questore di Perugia ha disposto la cessazione del- l’attività illecita riscontrata da parte della Società (omissis) srl e pertanto, non può che essere riformata la statuizione della sentenza impugnata secondo la quale, non emergendo dal verbale di contestazione che la predetta attività fosse esercitata con modalità truffaldine o comunque idonee ad abusare della credulità popolare, non ricorrerebbero i presupposti per l’applicazione del divieto di cui agli articoli 121 TULPS e 231 del R.D. 635/1940. non v’è chi non veda, del resto, come sia evidente lo sfruttamento lucroso della credulità RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 popolare nel fornire per telefono servizi di lettura delle carte, essendo palese a chiunque l’impossibilità del fornire realmente servizi che possano dare un qualsivoglia effettivo beneficio al destinatario della prestazione. Ad ogni modo, nel caso in questione, l’attività di cartomanzia è stata ampiamente dimostrata, sia in “flagranza” durante il controllo amministrativo effettuato dal personale, sia attraverso le emersioni pubblicitarie rinvenute sul web, sia attraverso l’assunzione di sommarie informazioni della stessa titolare dell’impresa, approfondendo le modalità con cui in concreto l’attività era esercitata e risulta associata non casualmente alle arti divinatorie (vedasi anche pagine web) a comprova ulteriore dell’intento di sfruttare la credulità popolare. né infine può dirsi che la cartomanzia sia ritenuta un’attività sempre lecita sol perché nei suoi confronti viene disposta una maggior tutela a favore del consumatore in base al D.Lvo 206/2005, invocato dal Giudice di primo grado, finalizzato evidentemente non già a rendere lecito ciò che lecito non è ma a non sottrarre dalle maglie della sua applicazione anche quelle situazioni (assai rare a dire il vero) ove la cartomanzia può dirsi legittimamente svolta. né a maggior ragione può darsi qualche rilievo alle altre “fonti” richiamate dal TAR per supportare l’avvenuto recepimento della cartomanzia quale attività sempre lecita, trattandosi all’evidenza di provvedimenti mai da intendere nel senso fatto prospettato da controparte e fatto proprio dal TAR comunque non aventi forza normativa. ISTAnzA DI SOSPEnSIOnE Quanto al periculum in mora, si evidenza che la Società può continuare ad operare con gli altri servizi, come si evince dalla stampa del suo sito web. In ogni caso l’esigenza di assicurare sostentamento nei confronti dei lavoratori non può essere prevalente sul pieno rispetto della legalità e sulla necessità che persone in situazione di debolezza siano salvaguardate dal miraggio di soluzioni taumaturgiche che si risolvono solo con l’indebito arricchimento del prestatore del servizio di cartomanzia. nonostante la crisi economica, infatti, da anni si registra un fenomeno allarmante e in continua crescita: sempre più italiani si rivolgono a maghi e cartomanti con la speranza di trovare una soluzione ai propri problemi o, semplicemente, un po’ di conforto. Disperazione e vulnerabilità vanno ad alimentare un giro d’affari ingente che in molti casi nasconde truffe e manipolazioni psicologiche. Si parla di un business da molti miliardi all’anno, molti dei quali “in nero”. Secondo il rapporto di una delle più note associazioni a tutela dei consumatori, gli italiani che almeno una volta in un anno si sono rivolti a maghi e cartomanti per essere tranquillizzati sul futuro sono passati da 10 milioni nel 2006 a 13 milioni calcolati a fine 2013. Mentre gli operatori telefonici che si improvvisano esperti di magia -con operatori di call center spesso mal retribuiti -crescono a dismisura. Un settore opaco e sommerso che è in continua espansione, anche per via della presenza massiccia sul web. Se una volta, infatti, gli “esperti dell’occulto” venivano contattati soprattutto tramite passaparola e si fissavano incontri di persona, oggi due volte su tre il primo approccio avviene su internet, magari per curiosità. Mentre i sedicenti sensitivi -che spesso fanno parte di organizzazioni ben ramificate -si sono adeguati ai tempi che cambiano e offrono la possibilità di scaricare applicazioni a pagamento su smartphone e tablet. I siti offrono vastissima scelta, anche di personale. I maghi e le cartomanti molto spesso sono presentati con una foto ad effetto accompagnata a una breve biografia che spiega le loro specializzazioni. nella maggior parte dei casi, però, non si tratta di studiosi esperti di esoterismo, ma di COnTEnzIOSO nAzIOnALE operatori di call center che hanno ricevuto come unica direttiva quella di trattenere il cliente al telefono il più a lungo possibile e di creare in lui una sorta di “dipendenza psicologica”. L’anonimato garantito da Internet fa sentire protetto il “cliente” ma allo stesso tempo lo espone a un rischio ancora più alto di finire in balìa di truffatori e ciarlatani. Tutto ciò premesso, l’amministrazione in epigrafe, come sopra rappresentata e difesa, CHIEDE che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in accoglimento del presente appello, voglia annullare, previa sospensione, la sentenza impugnata. Ai fini della prenotazione a debito, ai sensi della l. 488/99, si dichiara che il contributo unificato ammonta ad euro 650,00, a norma dell’art. 13, comma 6-bis, lettera e) del D.P.R. 30.5.2002, n. 115, aumentato della metà ex art. 1, comma 27, l. 24.12.2012, n. 228. Roma, 19 dicembre 2019 Wally Ferrante Avvocato dello Stato (...) Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 1 luglio 2020 n. 4189 -Pres. F. Frattini, est. E. Fedullo - Ministero Interno (avv. gen. St.) c. (omissis) s.r.l. (avv.ti M. Politi e A. Bovari). FATTO e DIRITTO Con la sentenza appellata, il T.A.R. Umbria ha accolto il ricorso proposto dalla (omissis) s.r.l. avverso il decreto emesso in data 5 agosto 2017 dal Questore di Perugia, con il quale veniva ordinata la cessazione dell’attività, da essa svolta presso la sede di (omissis), qualificata “illecita” dall’Amministrazione, siccome consistente in un servizio telefonico di cartomanzia, in affermata violazione dell’art. 121 T.U.L.P.S. Il T.A.R., premesso che “l’art. 121 T.U.L.P.S. vieta espressamente il mestiere di ciarlatano”, per cui “ove la cartomanzia fosse ritenuta attività in se e per sé vietata dall’ordinamento, in quanto ricompresa nell’art. 121, il provvedimento impugnato sarebbe ovviamente del tutto legittimo”, ha rilevato che “tale possibile opzione risulta però nel nostro ordinamento smentita oltre che da una lettura del T.U.L.P.S. adeguata al mutato contesto storico-sociale e compatibile con l’art. 41 Cost. (T.A.R. Piemonte, sez. I, 27 giugno 2014, n. 1138) dall’essere l’attività di cartomanzia, anche se non certo regolata, tuttavia presa espressamente in considerazione da diverse norme interne, nel presupposto dunque della sua liceità. Segnatamente, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), all’art. 28, detta una specifica disciplina in materia di servizi di astrologia, cartomanzia e assimilabili, vietando unicamente quelle comunicazioni che, al pari dell’art. 121 T.U.L.P.S., siano tali da indurre in errore o sfruttare la credulità del consumatore. Anche il Regolamento recante la disciplina dei servizi a sovrapprezzo di cui al D.M. n. 145/2006 contempla, tra gli altri, i servizi di astrologia e cartomanzia, concludendo nel senso che “trattasi di riferimenti normativi idonei a far ritenere la cartomanzia attività economica non vietata in se e per sé ma solo laddove venga svolta con modalità idonee ad abusare dell'altrui ignoranza e superstizione”, laddove “dal provvedimento impugnato e dal presupposto verbale del 31 luglio 2017 non emergono elementi atti a dimostrare che l’attività svolta dalla ricorrente fosse esercitata con modalità truffaldine o comunque idonee ad abusare della credulità popolare”. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 La sentenza suindicata viene contestata, nei sopra sintetizzati presupposti motivazionali e negli esiti dispositivi, dall’appellante Ministero dell’Interno, mentre si oppone all’appello, anche eccependone sotto plurimi profili l’improcedibilità e l’inammissibilità, la società originariamente ricorrente. Tanto premesso, l’appello non è meritevole di accoglimento: il che esime dalla disamina delle eccezioni in rito formulate dalla parte resistente. Come accennato, costituisce oggetto del giudizio l’appartenenza dell’attività di cartomanzia, esercitata nella specie in forma telefonica dalla società appellata, alla sfera della illiceità, come ritenuto dall’Amministrazione appellante con il provvedimento inibitorio impugnato in primo grado, ovvero la sua riconducibilità al novero delle attività economiche lecitamente realizzabili, laddove svolte secondo modalità intese a salvaguardare gli interessi coinvolti dal loro svolgimento: questione che involge, essenzialmente, l’interpretazione dell’art. 121 del Testo Unico Legge di Pubblica Sicurezza (R.D. n. 773/1931), ai sensi del quale “è vietato il mestiere di ciarlatano”, in combinato disposto con l’art. 231 del relativo Regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/1940), a mente del quale “Sotto la denominazione di "mestiere di ciarlatano", ai fini dell'applicazione dell'art. 121, ultimo comma, della Legge, si comprende ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità, o a sfruttare o alimentare l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”. Premesso che il Regolamento approvato con il Regio Decreto n. 635/1940, in virtù della sua funzione esecutiva del T.U.L.P.S., deve essere interpretato ed applicato coerentemente con la posizione gerarchicamente subordinata che riveste nel quadro delle fonti statutarie, ergo senza attribuire alle sue disposizioni contenuti dissonanti rispetto alle corrispondenti norme del Regio Decreto n. 773/1931, la suindicata questione ermeneutica si risolve in quella intesa a verificare se l’attività di cartomanzia sia inquadrabile tout court come espressione di “ciarlataneria”, secondo quanto lascerebbe arguire il tenore letterale dell’art. 231 Reg. esec. del T.U.L.P.S., ovvero se, a tal fine, devono ricorrere attribuiti ulteriori, che lo stesso Regolamento di esecuzione, nell’incipit dell’art. 231, identifica nella “speculazione sull’altrui credulità” ovvero nello “sfruttamento o alimentazione dell’altrui pregiudizio”: attributi che, quindi, concorrerebbero a marcare la distinzione tra la prima (lecita) e la seconda (illecita). Iniziando dalla disposizione primaria, recante come si è visto il divieto di esercitare “il mestiere di ciarlatano”, deve chiarirsi che, sulla base della definizione semantica del termine, dopo averlo opportunamente sfrondato da soverchi relitti storico-letterario (come quello inteso a rievocare la figura romantica del venditore girovago di pozioni miracolose o filtri magici), tale può considerarsi, nel contesto storico attuale, chi non si limita ad offrire al pubblico un servizio o prodotto, per quanto di scientificamente indimostrata ed indimostrabile utilità ed efficacia, ma ne esalta le proprietà e le virtù con il ricorso a tecniche persuasive atte ad indebolire e vincere le capacità critiche e discretive dei possibili acquirenti. Deve invero osservarsi che nell’ambito di un ordinamento giuridico imperniato, come quello vigente, sul principio di libera determinazione degli individui, in cui lo Stato ha pressoché dismesso ogni funzione latamente paternalistico-protettiva e di orientamento etico nei confronti dei consociati, anche le dinamiche di mercato sono tendenzialmente affidate, dal lato della domanda e dell’offerta, alla libera interazione dei suoi protagonisti, i quali, con le loro scelte, determinano l’oggetto dello scambio, ne apprezzano, secondo insindacabili valutazioni di carattere soggettivo, l’utilità e ne determinano, infine, il valore (economico): sempre che, natu COnTEnzIOSO nAzIOnALE ralmente, non vengano compromessi beni e valori di carattere superiore (come l’ordine pubblico, il buon costume, la salute dei cittadini ecc.), di cui lo Stato conserva l’irrinunciabile funzione di tutela. In tale contesto, anche un servizio che, in apparenza, sia oggettivamente privo o comunque di indimostrabile utilità, quale può essere considerata l’attività divinatoria propria del cartomante, in quanto riconducibile alle cd. scienze occulte o esoteriche (per definizione non sottoponibili a prove di verificabilità), può rappresentare un bene “commerciabile”, perché idoneo a rispondere ad una esigenza, per quanto illusoria ed opinabile, meritevole di soddisfacimento e, in quanto tale, suscettibile di generare, in termini mercantili, una corrispondente “domanda”. Tale può essere, appunto, quella di chi cerchi l’alleviamento dei suoi dubbi esistenziali o la rassicurazione delle sue certezze nei “segni” ricavabili, attraverso la mediazione del cartomante, dalla lettura ed interpretazione delle “carte”. Del resto, proprio la complessità del mondo attuale, generatrice di incertezza e smarrimento, fa sì che la cartomanzia, con la sua aspirazione a trovare un ordine invisibile in una realtà frammentata e incoerente, assuma una funzione (non solo non dannosa, ma) anche -socialmente o individualmente -utile, fornendo (o tentando di fornire), a chi non sappia o voglia trovarlo su più affidabili terreni, riparo dalle paure e dalle contraddizioni della modernità. Inoltre, è evidente che se in un contesto sociale di bassa alfabetizzazione, quindi di maggiore esposizione del pubblico alle lusinghe di spregiudicati imbonitori, quale era quello degli inizi del secondo ventesimo, la soglia della difesa sociale era opportunamente fissata ad un livello inferiore, questa non potrebbe che attestarsi ad un punto più avanzato una volta che la stessa società, grazie al processo di diffusione culturale realizzatosi nei decenni successivi (fino a raggiungere l’acme nel tempo attuale), ha generato gli “anticorpi” necessari a proteggere i suoi componenti dalla tentazione di cedere alle fragili quanto illusorie speranze di precognizione del futuro: ciò che induce a ritenere che chi si rivolge al cartomante non è necessariamente mosso da ingenua credulità (ma, ad esempio, da semplice curiosità o desiderio di svago) né fatalmente abdica al proprio spirito critico, abbandonandosi remissivamente alle sue suggestioni. In tale quadro, di cui non può non tenere conto l’interpretazione di disposizioni nate in un diverso e ben più risalente (dal punto di vista socio-economico ed istituzionale) contesto, deve rilevarsi che, come anticipato, la stessa fattispecie regolamentare pone l’accento sulle specifiche modalità di svolgimento dell’attività del cartomante, disponendo che essa, per non tracimare nella sfera operativa del divieto, non debba tradursi nella “speculazione sull’altrui credulità” ovvero nello “sfruttamento o alimentazione dell’altrui pregiudizio”. Ebbene, premesso che anche il servizio cartomantico implica l’impegno di energie (materiali ed intellettuali), e quindi ha una sua concreta tangibilità economica, atta a fungere da elemento corrispettivo del contratto stipulato con il richiedente (sebbene nelle forme semplificate proprie del contatto telefonico o comunque “a distanza”), e che i concetti stessi di “speculazione” e di “sfruttamento” implicano la ricerca ed il conseguimento di un utile sovradimensionato rispetto alle risorse impiegate o all’effettivo valore economico del bene e/o servizio scambiato, ciò che assume non secondario rilievo, per i fini de quibus, è appunto la sussistenza di un rapporto di proporzione tra il “servizio” divinatorio offerto ed il prezzo richiesto e pagato per riceverlo: con la conseguenza che, a segnare il discrimine tra attività di cartomanzia e ciarlataneria, ovvero al fine di identificare la connotazione “speculativa” o “profittatrice” della stessa, sono proprio i mezzi e le modalità impiegate al fine di offrire al pubblico la “prestazione” profetica. Da tale punto di vista, lo sconfinamento nell’area della “ciarlataneria” si verifica appunto RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 quando il “messaggio” commerciale che accompagna l’offerta del servizio tende a rappresentare la prestazione divinatoria non nella sua impalpabile valenza predittiva, ma come strumento realmente efficace ed infallibile per la preveggenza del futuro, con la connessa richiesta di una contropartita commisurata al maggior valore che la prestazione, per come artatamente rappresentata, assumerebbe, ovvero quando, per le modalità e/o le circostanze in cui si svolge la relazione tra cartomante e cliente, essa denota l’approfittamento da parte del primo della eventuale situazione di particolare debolezza psicologica del secondo. In altre parole, finché la prestazione cartomantica viene offerta nella sua reale essenza ed il corrispettivo pattuito conserva un ragionevole equilibrio con la stessa, non è dato discutere di “speculatività” dell’attività del soggetto erogatore; laddove, invece, alla stessa vengano attribuite proprietà prodigiose o taumaturgiche e, facendo leva su di esse, sia richiesto un corrispettivo sproporzionato rispetto alla sua valenza meramente “consolatoria”, potrà dirsi integrata l’ipotesi (vietata) della “ciarlataneria”. A fini ulteriormente esplicativi, è possibile fare riferimento alla fattispecie dei concorsi pronostici o più in generale delle lotterie, in cui la posta, per essere conforme al principio di sinallagmaticità (nella specifica configurazione che esso assume nei contratti con causa aleatoria), deve essere proporzionata alla chance di ottenimento del premio: sì che potrebbe essere tacciato di ciarlataneria anche il bookmaker che, nel promuovere la partecipazione degli scommettitori, vanti una possibilità di successo (o addirittura una certezza) superiore a quella statisticamente effettiva. Deve aggiungersi che la soluzione interpretativa proposta è la sola in grado di coniugare le disposizioni citate con quelle sopravvenute nell’ordinamento (e quindi, rispetto ad esse, dotate di virtuale capacità abrogativa tacita, anche solo parziale), le quali prevedono, quale attività regolamentata a specifici fini e per questo consentita, l’attività appunto di cartomanzia. Viene in rilievo in particolare -come evidenziato dal giudice di primo grado -l’art. 28 d.lvo n. 206 del 6 settembre 2005 (Codice del consumo), il quale introduce il capo intitolato “Rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite” e prevede che “le disposizioni del presente capo si applicano alle televendite, come definite nel regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite, adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001, comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili e di servizi relativi a concorsi o giochi comportanti ovvero strutturati in guisa di pronostici”. Inoltre, non meno significativo, ai fini della delimitazione dell’attività di cartomanzia lecitamente esercitabile, ad ulteriore conferma delle conclusioni precedentemente raggiunte, è il successivo art. 29, ai sensi del quale, per quanto di interesse, “le televendite devono evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura”: ciò a dimostrazione del fatto che non è il mero svolgimento dell’attività di cartomanzia ad integrare una forma di speculazione sulla credulità, ma la sua rappresentazione secondo modalità e con scopi “profittatori” (quali si sono innanzi delineati). nello stesso senso, infine, vale la pena richiamare l’art. 30, comma 2, del Codice, secondo cui “le televendite non devono contenere dichiarazioni o rappresentazioni che possono indurre in errore gli utenti o i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni, in particolare per ciò che riguarda le caratteristiche e gli effetti del servizio…”: indicativo anch’esso del fatto che il fulcro del giudizio di liceità in subiecta materia coincide con la sussistenza di un rapporto di conformità tra il servizio proposto e la rappresentazione che ne viene data, senza alcuna forma di esaltazione delle sue effettive (recte, dimostrabili) utilità. COnTEnzIOSO nAzIOnALE Deve quindi concludersi nel senso della necessità di interpretare evolutivamente, alla luce delle modificazioni intervenute nel contesto giuridico e socio-economico generale rispetto a quello esistente alla data della loro introduzione, le disposizioni sulle quali fa leva l’Amministrazione con il provvedimento interdittivo impugnato in primo grado: norme che, venute in essere in un contesto storico dominato dal mito dello Stato etico, devono confrontarsi con la nuova funzione da esso assunta di definitore in “negativo” dei limiti entro i quali i cittadini individuano, in libertà e autonomia, i fini cui tendere nel loro percorso esistenziale ed i mezzi per realizzarli. Come anticipato, l’infondatezza dell’appello esime dall’esame delle eccezioni di inammissibilità/ improcedibilità dello stesso, diffusamente formulate dalla parte appellata. L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del giudizio di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio, svolta con modalità telematica, del giorno 25 giugno 2020. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Scioglimento di consiglio comunale, declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse ed effetto devolutivo dell’appello Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 22 settembre 2020 n. 5548 La sentenza del Consiglio di Stato del 22 settembre 2020, n. 5548 -pur riformando la sentenza del TAR Lazio nella parte in cui aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse avverso la nomina della commissione straordinaria ex art. 143 TUEL atteso che il consiglio comunale era stato già sciolto ex art. 141 TUEL per dimissioni del sindaco, con conseguente impossibilità per i ricorrenti di riottenere le cariche elettive in precedenza ricoperte e non potendosi configurare nemmeno un loro interesse a ricorrere in qualità di cittadini elettori del Comune -ha respinto nel merito l’appello avversario. In ordine all’interesse a ricorrere degli amministratori cessati, il Consiglio di Stato -decidendo diversamente rispetto ad analogo precedente (Consiglio di Stato, sez. III, 12 novembre 2019, n. 7762 (1)) riguardante la proroga dello scioglimento del consiglio comunale, ha precisato che “lo scioglimento del Consiglio comunale di omissis è stato disposto sull’assunto che l’amministrazione sarebbe stata condizionata da forme di ingerenza della criminalità organizzata, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale. Non può quindi negarsi un interesse, quanto meno morale, a che gli amministratori del disciolto Consiglio facciano dichiarare l’erroneità di tale affermazione e quindi l’inesistenza di forme di pressione e di vicinanza della compagine governativa alla malavita organizzata. È quindi la motivazione sottesa al provvedimento impugnato dinanzi al tar lazio a radicare la persistenza dell’interesse, potendo essere senza dubbio lesa l’immagine degli amministratori locali ricorrenti, ai quali viene addebitato di aver risentito, nelle scelte compiute nell’espletamento del mandato, dell’influenza della criminalità organizzata (Cons. st., sez. iii, n. 4074 del 24 giugno 2020). Affermata la sussistenza dell’interesse a ricorrere, si può procedere ad esaminare il merito, dal momento che l’erronea declaratoria, da parte del Tar, di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse non determina l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice (Cons. St., Ad. Plen., 28 settembre 2018, n. 15). l’erronea decisione in rito adottata dal giudice di primo grado comporta l’assorbimento, per effetto della fondatezza del primo motivo, del secondo motivo di appello, con il quale era stata affermata l’erroneità della sentenza del tar che ha omesso di pronunciare sulla domanda di accertamento degli atti (1) In questa rass., Vol. III, 2019, pp. 186 ss. COnTEnzIOSO nAzIOnALE impugnati ai sensi degli artt. 34, comma 3, e 32, comma 2, c.p.a., nonché del terzo e quarto motivo, con i quali si chiedeva la rimessione della questione alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia ue perché accertassero, secondo le rispettive competenze, l’illegittimità della mancata previsione della legittimazione a proporre ricorso avverso lo scioglimento del Consiglio comunale da parte di amministratori cessati”. Invero, la mancata rimessione della causa al giudice di primo grado sembra aver comportato l’omissione di un grado di giudizio non solo perché il TAR aveva ritenuto assorbiti tutti i motivi attinenti al merito ma anche perché in primo grado erano stati prodotti solo il D.P.R. di scioglimento del consiglio comunale e il verbale del Consiglio dei Ministri e non anche tutta la documentazione classificata RISERVATO che solitamente viene prodotta in analoghi giudizi solo su impulso del giudice amministrativo e con le cautele previste dalla legge per l’ostensibilità di tale documentazione. né di tale documentazione è stata ordinata la produzione in appello. Il che sembra confermare che, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, non sussiste innanzi al Giudice amministrativo il principio del doppio grado di giudizio. La citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 15/2018 afferma infatti sul punto che “la nuova nomenclatura contenuta nel vigente art. 105 c.p.a. non ammette tout court l’erronea declaratoria d’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse quale sussumibile nella categoria della lesione dei diritti di difesa, sol perché su talune questioni di merito non si attua il doppio grado di giudizio”. Si riproduce integralmente la memoria difensiva dell’Avvocatura. Wally Ferrante* CT 1966/20 avv. Ferrante AVVOCATURA GEnERALE DELLO STATO COnSIGLIO DI STATO In SEDE GIURISDIzIOnALE SEz. III - R.G. 2208/20 - UDIEnzA 16.4.2020 MEMORIA DIFEnSIVA Per la PRESIDEnzA DEL COnSIGLIO DEI MInISTRI (C.F. 80188230587), in persona del Presidente pro tempore e il MInISTERO DELL’InTERnO (C.F. 97149560589) in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12 (per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) C O nT R O (omissis) come in atti rappresentati e difesi (*) Avvocato dello Stato. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 E nEI COnFROnTI Del (omissis), in persona della commissione straordinaria e legale rappresentante pro tempore ** ** ** Con ricorso al T.A.R. Lazio, ritualmente notificato, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica del 22 ottobre 2019 con il quale è stato disposto l’affidamento della gestione del comune di (omissis) a una commissione straordinaria ai sensi dell’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana -Serie Generale n. 266 del 13 novembre 2019 (all. 1); della deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 15 ottobre 2019, di cui si produce copia dell’estratto del processo verbale (all. 2); della proposta del Prefetto di Foggia in data 22 luglio 2019; della relazione della commissione di indagine depositata il 9 luglio 2019; dei verbali della seduta in data 19 luglio 2019 del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica; del decreto prefettizio del 7 gennaio 2019 di nomina della commissione di indagine; della nota del successivo 2 aprile con il quale la predetta commissione ha chiesto la proroga del proprio mandato; del decreto prefettizio del 4 aprile 2019 di proroga del mandato della commissione di indagine; del decreto ministeriale del 19 dicembre 2018 adottato dal Ministro dell’interno ai sensi dell’1, comma 4, del decreto- legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 settembre 1982, n. 726; di tutti gli atti e provvedimenti connessi, presupposti, e consequenziali. Le amministrazioni in epigrafe si costituivano in giudizio eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso. Il TAR, con la sentenza del (omissis) ex adverso impugnata, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse avverso la nomina della commissione straordinaria ex art. 143 TUEL atteso che il consiglio comunale di (omissis) era stato sciolto ex art. 141 TUEL per dimissioni del sindaco, con conseguente impossibilità per i ricorrenti di riottenere le cariche elettive in precedenza ricoperte e non potendosi configurare nemmeno un loro interesse a ricorrere in qualità di cittadini elettori del Comune. Avverso tale sentenza i ricorrenti hanno proposto appello. Con decreto del (omissis), codesto Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di misura cautelare monocratica. L’appello è infondato e va respinto per i seguenti motivi in FATTO L’accesso presso il comune di (omissis) è stato disposto con decreto del Prefetto di Foggia del 7 gennaio 2019, successivamente prorogato, a seguito di un attento monitoraggio dal quale sono emersi elementi sintomatici di oggettive ingerenze da parte della criminalità organizzata nell’attività dell’istituzione locale. Dagli accertamenti svolti è risultata evidente la sussistenza di collegamenti diretti ed indiretti degli organi elettivi con le consorterie territorialmente egemoni e forme di condizionamento degli stessi, che hanno sviato il perseguimento dei fini istituzionali con pregiudizio dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza. Pertanto, con relazione del successivo 22 luglio, il Prefetto ha ravvisato i presupposti per l’adozione della misura prevista dal richiamato art. 143 e con successivo decreto del Presidente della Repubblica in data 22 ottobre 2019 è stato disposto l’affidamento della gestione dell’ente a una commissione straordinaria, atteso che l’organo consiliare era stato già sciolto con decreto del Presidente della Repubblica del 21 maggio 2019 ai sensi dell’art. 141, COnTEnzIOSO nAzIOnALE comma 1, lettera b), numero 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, a seguito delle dimissioni rassegnate dal sindaco e divenute irrevocabili a termini di legge. In particolare, con D.M. n. 17102/128/32(6)-Uff.V-Affari Territoriali del 19 dicembre 2018, veniva conferita al Prefetto di Foggia la delega ai fini dell’esercizio dei poteri di accesso nei confronti dell’Amministrazione comunale di (omissis), ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D.L. n. 629/1982, convertito con modificazioni dalla legge n. 726/1982. L’esigenza di avviare accertamenti in ordine all’Amministrazione comunale di (omissis) è scaturita dagli approfondimenti informativi svolti dalle Forze di Polizia, anche sulla base di esposti che segnalavano contiguità tra il Sindaco e altri amministratori con ambienti della criminalità organizzata. Conseguentemente, con decreto prefettizio veniva nominata la Commissione di indagine, incaricata dell’effettuazione degli accertamenti volti a verificare l’eventuale sussistenza di infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata, nell’ambito della gestione del Comune di (omissis). La Commissione si è insediata il 9 gennaio 2019; il termine per l’espletamento delle attività di accertamento, fissato in 3 mesi decorrenti dalla data di insediamento, è stato prorogato, con provvedimento n. 226/O.P.S.(2) del 4 aprile 2019, di ulteriori 3 mesi. La Commissione ha rassegnato la propria Relazione il giorno 8 luglio 2019, protocollata al n. 499/OPS(2) il giorno stesso. Gli esiti dell’accesso sono stati esaminati dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, in data 19 luglio 2019, con la partecipazione del Procuratore Distrettuale Antimafia di Bari e del Procuratore della Repubblica di Foggia. All’esito della predetta riunione, veniva espresso l’avviso che sussistessero le condizioni, previste dall’articolo 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali, per dar luogo all’avvio del procedimento di scioglimento del consiglio comunale di (omissis). In considerazione degli elementi emersi nel corso dell’accesso e tenuto conto delle risultanze della predetta riunione, con nota indirizzata al Ministro dell’Interno, il Prefetto di Foggia ha espresso l’avviso che sussistessero i presupposti per il provvedimento di rigore di cui all’art. 143 del T.U.O.E.L. nei confronti del comune di (omissis). Come si è detto, il Consiglio comunale di (omissis) era stato, nelle more, sciolto ai sensi dell’art. 141 del TUOEL, a seguito delle dimissioni del Sindaco pro tempore, (omissis), odierno ricorrente, con Decreto del Presidente della Repubblica del 21 maggio 2019, pubblicato nella G.U. del 7 giugno 2019, Serie generale n° 132. Contestualmente era stato nominato il commissario straordinario per la provvisoria gestione dell’Ente. Con D.P.R. del 22 ottobre 2019, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2019, la gestione del comune di (omissis) è stata affidata per la durata di 18 mesi alla commissione straordinaria ai sensi dell’art. 143 del TUOEL. Da ultimo, ai fini dell’eventuale applicazione di misure di prevenzione e della dichiarazione di incandidabilità degli amministratori ritenuti responsabili dell’adozione della misura dissolutoria, sono stati attivati i procedimenti di cui ai commi 8 e 11 del più volte citato art. 143 dinanzi al Tribunale di Foggia. DIRITTO 1) Sul primo motivo di appello. Con il primo motivo di appello, viene invocato un “Error in iudicando in merito alla pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse del ricorso di primo grado. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 24, 103, 113 Cost., art. 100 c.p.c., degli artt. 1 e 39, comma 1, c.p.a., dell’art. 143, comma 12, del d.lgs. n. 267/2000. Denegata giustizia”. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 La censura è priva di pregio. 1.1. Correttamente il TAR ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in quanto i ricorrenti rivestono la qualità di ex amministratori del comune di (omissis) il quale -come sopra evidenziato -prima di essere destinatario del provvedimento di cui al più volte citato art. 143 TUEL, era stato sciolto ex art. 141 del medesimo testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Anzitutto tralasciano i ricorrenti i principi generali in materia di condizioni dell’azione in sede giurisdizionale ovvero la possibilità giuridica di ottenere la posizione giuridica sostanziale invocata con l’annullamento del provvedimento da cui si assumono lesi: il diritto al ricorso costituisce una proiezione dell’interesse sostanziale perché volto ad ottenere la tutela di una posizione giuridica sostanziale, giuridicamente configurabile al momento dell’atto introduttivo del giudizio. Orbene, nel caso di specie, la posizione giuridica sostanziale che i ricorrenti intendono tutelare non può essere che lo status di amministratore, che al momento del ricorso in primo grado e, prima ancora, al momento dell’adozione del provvedimento di scioglimento ex art. 143 TUEL del consiglio comunale di (omissis), gli stessi non possedevano più a causa delle dimissioni dalla carica del sindaco pro tempore, che avevano determinato lo scioglimento ex art. 141 del TUOEL del civico consesso di (omissis). Il giudice di prime cure, pertanto, ha confermato l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse a ricorrere in capo agli odierni ricorrenti nella qualità di ex amministratori del Comune di (omissis). Il consiglio comunale di (omissis) è stato sciolto con DPR del 21 maggio 2019, ai sensi dell’art. 141 del TUOEL, a seguito delle dimissioni del Sindaco pro tempore, (omissis), odierno ricorrente, come sopra riferito, e, pertanto, non è ipotizzabile ricollegare agli atti impugnati quantomeno una perdita di status dei ricorrenti -già dismesso con lo scioglimento ex art. 141 TUEL -e all’eventuale annullamento degli atti impugnati un utile effetto ripristinatorio a favore dei ricorrenti, i quali non potrebbero comunque riottenere le cariche elettive ricoperte prima dello scioglimento del civico consesso, disposto per dimissioni del sindaco (ex multis TAR Lazio-Roma, Sez. I, n. 5584 del 3 maggio 2019; Cons. Stato, Sez. III n. 7762 del 12 novembre 2019). In tale direzione, si è espressa la più recente giurisprudenza precisando che il gravame proposto dagli ex amministratori di un comune già sciolto in via ordinaria è inammissibile per carenza di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti, per non essere gli stessi portatori di un interesse diretto, concreto ed attuale all’annullamento del provvedimento con cui è stata disposta la dissoluzione dell’ente per infiltrazioni della criminalità organizzata. Ed invero, «un’eventuale pronuncia favorevole non potrebbe essere di alcuna utilità per i ricorrenti, che non potrebbero reinsediarsi nelle cariche di amministratori locali» (ex multis, T.A.R per il Lazio -Sezione I, sentenza 3 maggio 2019, n. 5584; Id., sentenza 2 marzo 2018, n. 2327; Id., sentenza 29 marzo 2018, n. 3542). 1.2. La sentenza impugnata ha ritenuto il ricorso parimenti inammissibile per difetto di legittimazione attiva degli odierni ricorrenti, nella qualità di cittadini elettori del comune di (omissis), in quanto, come ha confermato la Corte di Cassazione, “l’impugnazione dello scioglimento dell’organo consiliare non è annoverabile tra le azioni proponibili dai singoli elettori ai sensi dell’art. 9 del tuel, e ciò in quanto la misura dissolutoria di cui all’art. 143, mentre incide sulle situazioni soggettive dei componenti degli organi elettivi, i quali, per effetto di essa, vengono a subire una perdita di status, non altrettanto incide sull’ente locale, titolare COnTEnzIOSO nAzIOnALE di posizioni autonome e distinte, che, anzi, nella misura vede uno strumento di tutela e di garanzia dell’amministrazione” (Cass. Civ. Sez. I, 10 giugno 2016, n. 11994). Anche la giurisprudenza amministrativa ha escluso una legittimazione ad agire in qualità di “cittadini elettori” in base alla considerazione che «la misura dissolutoria di cui all’art. 143, mentre incide su situazioni soggettive dei singoli componenti degli organi elettivi, i quali, per effetto di essa, vengono a subire una perdita di status, non altrettanto incide su quella dell’ente locale, titolare di posizioni autonome e distinte, che, anzi, nella misura vede uno strumento di tutela e di garanzia dell’amministrazione”, così che, oltre a non potersi ravvisare in capo ai ricorrenti quella lesione concreta ed attuale della loro posizione giuridica, la quale unica radica l’interesse a ricorrere, non può neppure configurarsi in capo agli stessi una legittimazione ai sensi dell’art. 9 del tuel, non essendo l’azione avverso lo scioglimento del- l’organo consiliare annoverabile tra quelle proponibili dall’ente locale» (cfr. Consiglio di Stato del 12 novembre 2019, n. 7762; T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 20 febbraio 2018, n. 1935; Id., sentenza 29 marzo 2018, n. 3542). 1.3. Il pronunciamento censurato ha, infine, escluso la configurabilità di un interesse “morale” dei ricorrenti all’annullamento degli atti impugnati, in qualità di ex amministratori, in quanto il provvedimento dissolutorio ex art. 143 del TUOEL non ha neppure latamente una funzione sanzionatoria “ma assolve alla diversa funzione di salvaguardare la corretta funzionalità dell'amministrazione pubblica, rivestendo perciò il carattere di atto di alta amministrazione, nella misura in cui resta dotato di forza tale da determinare la prevalenza delle esigenze connesse al contrasto alle mafie rispetto all’interesse (pure costituzionalmente protetto) alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali” (Cons. St. 00748/2016). Dalla ratio, così come sopra evidenziata, del provvedimento di rigore ex art. 143 del TUOEL discende la carenza di interesse a ricorrere degli odierni appellanti anche in relazione alla possibilità di essere sottoposti al giudizio di incandidabilità ex art. 143, comma 11, del TUOEL: la pronuncia di incandidabilità, come configurata dalla norma citata, non è, infatti, conseguenza automatica dello scioglimento del consiglio comunale per condizionamento mafioso ma richiede una valutazione della posizione dei singoli amministratori, con riferimento a condotte attive o omissive che evidenzino un’agevolazione anche indiretta degli interessi della criminalità organizzata attraverso la mala gestio della cosa pubblica (Cass. Civ. Sez. I, 11 gennaio 2017 n. 516; TAR Lazio-Roma, Sez. I, n. 5584 del 3 maggio 2019). La giurisprudenza ha infatti chiarito che, ad evitare la declaratoria di inammissibilità del gravame, non potrebbe valere l’argomentazione che «i ricorrenti conserverebbero un interesse al ricorso, in quanto, in conseguenza dello scioglimento del Consiglio Comunale per presunti condizionamenti mafiosi, gli stessi sono stati sottoposti a giudizio di incandidabilità ex art. 143, comma 11, d.lgs. 18.8.2000 n. 267 … oltre che un interesse di natura morale, atteso che i provvedimenti impugnati fonderebbero lo scioglimento del Consiglio Comunale su valutazioni che attengono anche, ma non solo, all’operato della giunta». Infatti, «lo scioglimento del Consiglio comunale prescinde dall’accertamento di responsabilità di singoli soggetti ed è rimedio attraverso il quale il legislatore ha inteso ovviare ad una condizione patologica dell’ente nel suo complesso. il provvedimento di scioglimento non è quindi la conseguenza di responsabilità del singolo amministratore … l’unico provvedimento al quale si potrebbe quindi semmai riconoscere natura sanzionatoria, è, invece, quello, diverso ex art. 143, co. 11 tuel, con il quale viene decretata l’incandidabilità ed il quale è adottabile nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dello scioglimento». Ma «si tratta di giudizi autonomi che hanno ad oggetto accertamenti distinti, RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 quello di incandidabilità una valutazione delle singole posizioni e dei singoli comportamenti, laddove il presente giudizio verte sulla legittimità del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, il quale, a sua volta, prescinde dall’accertamento di responsabilità dei singoli»(ex multis, Consiglio di Stato del 12 novembre 2019, n. 7762; T.A.R per il Lazio -Sezione I, sentenza 3 maggio 2019, n. 5584; Id., sentenza 2 marzo 2018, n. 2327; Id., sentenza 29 marzo 2018, n. 3542). 2) Sul secondo motivo di appello. Con il secondo motivo di appello, viene invocato l’“Error in iudicando in merito alla domanda di accertamento [dell’illegittimità] degli atti impugnati, proposta -in via subordinata -nel ricorso introduttivo. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 34, comma 3, e 32, comma 2, c.p.a. Denegata giustizia”. Anche tale censura è infondata. In via preliminare, si osserva che l’art. 34, comma 3, del c.p.a., invocato impropriamente dai ricorrenti, prevede che “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento non risulti più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. È evidente che la norma si riferisce all’ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse nel corso di un giudizio instaurato in presenza di tutti i presupposti dell’azione, per il quale il giudice adito ha effettuato la prima delibazione sulle condizioni del ricorso, giudicandolo ammissibile. nel caso di specie, invece, il TAR ha dichiarato la insussistenza dell’interesse e della legittimazione al ricorso, sotto i profili sopra specificati. non è chi non veda, infatti, che i ricorrenti, in evidente contraddizione, dopo aver sostenuto che l’interesse a ricorrere esiste nel caso di specie ab initio, sostengono poi apoditticamente che lo stesso sarebbe venuto meno in corso di causa. La norma suddetta è invocata dai ricorrenti in maniera impropria anche nel merito: la stessa prospettazione dei ricorrenti ricollega l’invocato danno all’immagine non al provvedimento di scioglimento o agli allegati -non sarebbe ipotizzabile nel caso nessun danno all’immagine, poiché gli atti sono oscurati laddove riportano dati sensibili -ma ad un prodotto documentale che è circolato e che non ha alcun crisma di autenticità che lo colleghi al provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di (omissis). Il TAR, pertanto, ha giustamente escluso l’interesse a ricorrere anche in presenza di una domanda risarcitoria, “sia per l’assoluta genericità della sua prospettazione sia perché, quanto al presunto danno all’immagine subito dai ricorrenti a seguito della diffusione di notizie “non filtrate” presso gli organi di stampa, si tratta di una questione che non afferisce alla illegittimità degli atti impugnati o, più in generale, all’esercizio del potere amministrativo, ed è, conseguentemente, irrilevante ai fini dell’ammissibilità del giudizio”. È il caso di ricordare che la “diffusione di notizie “non filtrate” presso gli organi di stampa”, che avrebbe determinato l’invocato danno all’immagine dei ricorrenti, è stata oggetto di denuncia da parte del Prefetto di Foggia alla Procura della Repubblica di Foggia, anche in relazione alle dichiarazioni dell’ex sindaco (omissis), odierno appellante, apparse su un quotidiano, in cui lo stesso dichiara di aver ricevuto la Relazione della Commissione di indagine prima dell’adozione del provvedimento impugnato. Qui è sufficiente soggiungere che pende un procedimento penale in merito alla questione denunciata dal Prefetto di Foggia. Ad ogni modo, non può essere revocato in dubbio che il gravame risulta del tutto carente sotto il profilo dell’allegazione -ancor prima che sul piano della prova -degli elementi richiesti per l’integrazione della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c., ossia la sussistenza di: a) un COnTEnzIOSO nAzIOnALE danno ingiusto; b) il nesso causale tra condotta illecita ed evento; c) la colpa o il dolo del- l’amministrazione. In particolare, la giurisprudenza ha precisato che il danno non patrimoniale non può ritenersi in re ipsa, ma deve essere puntualmente allegato e provato, sia pure mediante presunzioni, trattandosi di un danno-conseguenza (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 15 settembre 2015, n. 4286; T.A.R. per la Calabria -Reggio Calabria, sentenza 13 gennaio 2016, n. 39). 3) Sul terzo e quarto motivo di appello. Con il terzo e quarto motivo di appello, controparte eccepisce l’illegittimità costituzionale e la non conformità al diritto dell’Unione Europea della normativa applicata. Anche tale motivo è manifestamente infondato. Per i motivi più diffusamente esposti sub 1 e 2, non esiste infatti alcuna violazione nell’interpretazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 1 c.p.a. sull’interesse ad agire, né degli articoli 1, 34, comma 3 e 32, comma 2 c.p.a. e dell’art. 143 TUEL -degli agli articoli 3, 11, 24, 103, 113, 117, comma 1 Cost., in relazione agli art. 6 CEDU e 47, comma 1 CDFUE. 4) Sul quinto motivo di appello. Con il quinto motivo di appello, controparte ripropone i motivi del ricorso introduttivo non esaminati dal TAR. Anche tale motivo è infondato. Gli interessati sostanzialmente eccepiscono che nel caso in esame non sarebbero ravvisabili gli elementi concreti, univoci e rilevanti previsti dall’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ai fini dell’adozione del contestato provvedimento di rigore. Al riguardo, si osserva che dall’attività ispettiva è emerso un quid pluris rispetto al mero compimento di atti illegittimi, attestante la presenza di un rapporto di vicinanza tra esponenti politici e burocratici dell’ente, da un lato, e soggetti controindicati, dall’altro. Gli elementi di contatto sono risultati suffragati da obiettive risultanze e tali da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della collettività amministrata il permanere alla sua guida degli organi eletti. In proposito, merita altresì rammentare che, alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale, per l’apparato probatorio preordinato a confermare la ricorrenza di condizionamenti criminali «è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d’individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato “infiltrato”» (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7862). È stato anche precisato che le valutazioni concernenti la legittimità del provvedimento dissolutorio si devono «fondare sulla regola del “più probabile che non”, la quale ha una portata generale … per l’intero diritto della prevenzione, compresa, dunque, anche la fattispecie … dell’art. 143 t.u.e.l. che … ha finalità preventiva e non punitiva» (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 18 luglio 2019, n. 5077). È compito dell’istituzione locale scongiurare il pericolo che l’Amministrazione sia permeabile all’influenza delle consorterie malavitose e ciò non si è verificato per la compagine eletta alle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015. Pertanto, una volta acclarato che la pressione della criminalità non ha consentito il libero e corretto esercizio del mandato elettivo di cui all’art. 51 della Costituzione, si è reso necessario intervenire con il contestato provvedimento di rigore per garantire la fisiologica vita democratica dell’ente. Del resto, il predetto provvedimento si connota quale misura di carattere straordinario RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 e sottende una finalità di prevenzione e salvaguardia della funzionalità dell’ente locale e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità del suo apparato. Ed invero, la misura dissolutoria in argomento deve ritenersi espressione di una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata. In quanto tale, la stessa prescinde dalle rilevanze probatorie proprie di un eventuale processo penale, essendo sufficiente, per la sua emissione, un quadro indiziario che sia reale ed effettivo (ex multis, T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 16 luglio 2019, n. 9381). La misura di rigore interviene, infatti, ancor prima che si determinino i presupposti per il procedimento penale o anche per il solo procedimento di prevenzione. La costante giurisprudenza in materia, confermata dagli orientamenti più recenti, valorizza «il differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale» (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7937). Sulla base delle circostanze raccolte e dei riscontri effettuati sono stati individuati gli elementi di cui all’art. 143, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno portato all’adozione dell’impugnato decreto del Presidente della Repubblica del 22 ottobre 2019. Sul punto, si evidenzia come gli interessati tendano ad atomizzare le varie circostanze che sono state prese in considerazione per evincere il livello intollerabile di condizionamento mafioso sull’attività comunale, estrapolandole dal contesto e in tal modo sminuendone l’effettiva consistenza e significatività. Sennonché, è noto come la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza delle circostanze poste a fondamento del provvedimento dissolutorio vada riferita non atomistica- mente e partitamente ad ogni singolo elemento o accadimento preso in esame dalla Commissione di indagine, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti. E invero, «lo scioglimento del Consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione … che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale … le vicende che costituiscono il presupposto sulla base del quale può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 tuel devono essere, pertanto, considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso”»(ex multis, T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 11 giugno 2019, n. 7575). In definitiva, gli elementi concreti si sostanziano nella presenza di puntuali riscontri fattuali; la caratteristica della univocità è data dalla coerenza di insieme di tutti i dati raccolti che non devono prestarsi ad ambivalenti interpretazioni; la rilevanza consegue al processo elaborativo e valutativo dei fatti accertati e degli elementi riscontrati, i quali possono ritenersi rilevanti se ed in quanto significativi di forme di condizionamento o interferenza (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647). L’attività di indagine ha raccolto circostanze, confluite nella relazione prefettizia ed in quella ministeriale, sintomatiche di anomale cointeressenze degli esponenti politici e burocratici dell’ente, ritenute idonee a suffragare la proposta di adozione della misura di rigore prevista dall’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000, in quanto sono emersi i seguenti elementi, che risultano emblematici e da soli in grado di costituire i presupposti di fatto e di diritto, come tracciati dalla recente giurisprudenza, del provvedimento impugnato: - sostanziale continuità con le pregresse consiliature; COnTEnzIOSO nAzIOnALE -rapporti parentela, di frequentazione e comunanza di interessi tra alcuni amministratori e dipendenti comunali con esponenti di ambienti criminali; -ripetute irregolarità e/o illegittimità nelle procedure poste in essere dall’ente nei settori dell’amministrazione locale maggiormente esposti ai condizionamenti della criminalità organizzata; -carente esercizio dei poteri di controllo e vigilanza da parte degli organi elettivi e burocratici. I rilievi mossi al civico consesso non nascono da mere congetture o ragionamenti di tipo deduttivo, ma da elementi fattuali, da vicende e accadimenti storicamente verificatisi ed accertati, quindi da elementi “concreti”. Uno di tali elementi è rappresentato, come riferito dal Prefetto, dal reticolo di relazioni di parentela, affinità, frequentazione e convergenze di interessi che legano diversi membri degli organi elettivi e dell’apparato burocratico del comune -alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale -a persone controindicate ovvero a personaggi anche di spicco dei sodalizi localmente dominanti. Una vicenda fortemente sintomatica è poi quella concernente le assidue frequentazioni tra un personaggio di primo piano della criminalità organizzata garganica e il vicesindaco, il quale, a seguito delle consultazioni amministrative del 2015, è risultato il candidato che ha conseguito il maggior numero di preferenze. Inoltre, gli esiti delle intercettazioni telefoniche esperite nell’ambito dell’operazione condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bari sulla c.d. strage di San Marco in Lamis, consumatasi ad agosto 2017, hanno disvelato i rapporti di vicinanza tra alcuni componenti dei rispettivi nuclei familiari del citato vicesindaco e del personaggio in questione. Assume altresì rilevanza emblematica la circostanza che, a febbraio 2018, il sindaco dimessosi a marzo 2019 e al suo secondo mandato consecutivo quale organo di vertice del- l’amministrazione comunale, della quale aveva già fatto parte, in qualità di assessore e poi di consigliere, dal 1992 al 2003 -ha reso omaggio alla memoria di un istruttore sportivo, stretto parente di un soggetto di notevole spessore criminale, pubblicando parole di stima e cordoglio su un noto social network. La commissione di indagine ha poi rilevato una sistematica violazione delle regole poste a salvaguardia della legittimità e trasparenza dell’azione amministrativa. Il disordine organizzativo degli uffici e le diffuse irregolarità nonché l’assenza di atti dei vertici politici idonei a ripristinare la legalità hanno favorito la permeabilità dell’ente ai condizionamenti malavitosi. ne costituiscono eloquente esempio: I) le gravi e reiterate anomalie e irregolarità riscontrate nel settore delle concessioni demaniali marittime per l’esercizio di stabilimenti balneari -stigmatizzate anche dalla ragioneria generale dello Stato a seguito di controllo ispettivo effettuato a luglio 2018 -relativamente al quale è altresì emersa la sistematica disapplicazione del protocollo d’intesa sottoscritto con la Prefettura di Foggia a luglio 2017, in base al quale il comune di (omissis) si era impegnato a richiedere le informazioni antimafia in caso di presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività ovvero di una domanda di consenso ai sensi degli artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241; II) la circostanza che in violazione del predetto protocollo d’intesa, soltanto ad agosto 2018 -su sollecitazione della Prefettura -il comune ha provveduto a richiedere le informazioni antimafia con riferimento alla segnalazione certificata di inizio attività presentata, a giugno 2018, da un’impresa -successivamente destinataria di un’infor RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 mativa interdittiva -della quale risulta socio un consigliere comunale e il cui amministratore unico nonché socio di maggioranza è parente convivente di un soggetto considerato al vertice della locale famiglia malavitosa nonché legato da stretti vincoli familiari ad altri esponenti di quella famiglia; III) l’ulteriore circostanza che nel settore delle autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande -anch’esse ricadenti nel- l’ambito di applicazione del richiamato protocollo d’intesa -l’ente ha omesso di richiedere le informazioni antimafia nei confronti di una società titolare di un chiosco bar, pur dopo che l’amministratore unico pro tempore della stessa è stato tratto in arresto il 16 ottobre 2018, in esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure restrittive della libertà personale emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bari, a conclusione della summenzionata operazione condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bari sulla c.d. strage di San Marco in Lamis; IV) l’omessa richiesta di informazioni antimafia in ordine alle concessioni demaniali marittime per impianti di acquicoltura, essendosi riscontrato che il comune si è limitato in alcuni casi ad acquisire una semplice comunicazione antimafia ovvero una mera autocertificazione da parte dei concessionari, in violazione degli artt. 89 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; V) la circostanza che i rappresentanti legali di due delle ditte titolari di concessione demaniale per impianti di acquicoltura annoverano rispettivamente vincoli di affinità ovvero rapporti di frequentazione con esponenti del clan territorialmente egemone e un dipendente di un’altra delle imprese concessionarie è stretto parente di un personaggio di vertice di quel clan; VI) la circostanza che per lo svolgimento del servizio, su disposizione della pubblica autorità, di trasporto di persone decedute, l’amministrazione comunale ha continuato ad avvalersi, tra le altre, di una ditta di onoranze funebri già destinataria di un’informazione interdittiva antimafia, emessa dalla Prefettura di Foggia a gennaio 2019; VII) la riconducibilità a soggetti vicini o intranei alla criminalità organizzata di numerosi manufatti abusi per i quali il comune non ha intrapreso alcuna azione sanzionatoria e tra cui è compreso un impianto sportivo realizzato da un noto capoclan sottoposto a sequestro dal corpo forestale dello Stato e dalla polizia di Stato a febbraio 2013 -rispetto al quale l’ente risulta avere introitato una cospicua somma a titolo di oblazione, pur trattandosi di un abuso edilizio non sanabile; VIII) la circostanza che in forza di un contratto stipulato nel 2007 con scadenza a dicembre 2016, la cui durata è stata poi ripetutamente prorogata in violazione dell’art. 106, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2018, n. 50, il servizio di riscossione dei tributi locali è stato svolto da una società mista -con partecipazione maggioritaria del comune di (omissis)-che annovera tra i propri dipendenti e organi direttivi soggetti vicini per rapporti familiari o di frequentazione a figure apicali dei sodalizi locali; VIII) la circostanza che uno di tali soggetti riveste altresì la carica di amministratore dell’impresa subentrata nella predetta società mista, in luogo dell’originario socio privato, e che soltanto il 30 novembre 2017 -successivamente alla presa d’atto del subentro, avvenuta con determina dirigenziale del 2 ottobre 2017 -l’ente ha inoltrato richiesta di informazioni antimafia nei confronti della impresa subentrante, risultata poi destinataria di interdittiva antimafia. In conseguenza degli effetti prodotti nella gestione comunale dai collegamenti evidenziati, la struttura politica e burocratica dell’ente è risultata compromessa ed inadeguata a garantire gli interessi della collettività. Il descritto contesto generale di diffusa illegalità, messo in luce dall’attività di indagine espletata, denota come la cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferito agli am COnTEnzIOSO nAzIOnALE ministratori sia stata del tutto pretermessa e come l’impegno assunto nei confronti degli elettori non sia stato rispettato. Al riguardo, si rammenta che «la giurisprudenza ha più volte affermato -a tale proposito -che lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria” che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono l’esigenza di intervenire e apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa dell’interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee riconducibili all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 5 febbraio 2019, n. 1433). Si legge inoltre nel gravame che «il provvedimento impugnato e i suoi atti presupposti (proposta del ministro e relazione della Prefettura) hanno completamente omesso di considerare le azioni condotte dagli odierni ricorrenti durante il loro mandato, al fine di contrastare l’illegalità e il fenomeno mafioso». Sennonché, l’Amministrazione procedente non aveva alcun onere di prendere in considerazione eventuali iniziative “legalitarie” poste in essere dall’istituzione locale atteso che «compito dell’organo ispettivo era quello di delineare i fatti ritenuti rilevanti per la dimostrazione del rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’amministrazione dell’ente e del suo apparato burocratico, sicché una volta acquisiti gli elementi fattuali necessari per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nella relazione non si è fatto cenno agli elementi contrari (quali ad esempio gli atti amministrativi regolari, le delibere conformi a legge, e quindi anche le iniziative richiamate dai ricorrenti), in quanto ritenuti insufficienti -in comparazione con la complessità degli elementi negativi emersi in sede istruttoria -a far cadere l’impianto “accusatorio” (Cons. Stato n. 2895/2013). Del resto -se bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di dissoluzione -sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo semplice modo la finalità perseguita dalla norma di cui all’art. 143 (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 24 settembre 2018, n. 9544; Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 31 luglio 2018, n. 4727). E invero, «il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale ex art. 143 t.u.e.l. non richiede alcun giudizio di bilanciamento di circostanze favorevoli e non favorevoli, alla stregua di quanto avviene nel procedimento penale, dato che l’azione amministrativa deve essere sempre ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele che a tali principio non sono conformi» (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 16 luglio 2019, n. 9381; Id., sentenza 3 aprile 2018, n. 3675). Parimenti priva di pregio è la doglianza secondo cui gli atti impugnati «sono inficiati dalla violazione del principio di proporzionalità … posto che al momento della nomina della commissione straordinaria, il Comune di (omissis) era già amministrato (sempre in via straordinaria) da un commissario prefettizio -ai sensi dell’art. 141 tuel. Pertanto … il ministro degli interni non avrebbe dovuto proporre la (sproporzionata) misura della gestione commissariale per diciotto mesi, ma (più proporzionalmente) le misure necessarie, a carico dei soggetti non amministratori, per porre rimedio alla situazione, ai sensi dell’art. 143, comma 5, tuel». Tale argomentazione è palesemente capziosa e infondata, alla luce del chiaro dettato RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 normativo del più volte citato art. 143, il quale, al comma 13, espressamente dispone che «si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi, a norma del presente articolo, quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le condizioni previste dal- l’articolo 141». La norma, pertanto, non esclude affatto che la misura dissolutoria per infiltrazioni della criminalità organizzata sia adottata in un momento cronologicamente successivo all’affidamento della gestione amministrativa dell’ente a un commissario straordinario nominato per altra causa. Del resto, la prevalenza accordata a tale soluzione corrisponde anche alla necessità di evitare che la complessa procedura di scioglimento del consiglio comunale, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di stampo mafioso, possa essere vanificata da una iniziativa strumentale degli stessi consiglieri comunali o del sindaco che, con l’espediente delle dimissioni, potrebbero in qualunque momento impedire l’intervento dell’Amministrazione centrale, volto a contrastare gli anzidetti fenomeni criminali. E invero, come precisato in giurisprudenza, le due misure previste rispettivamente dagli artt. 141 e 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 rispondono a fattispecie ed a finalità diverse e non sono quindi sovrapponibili. Il provvedimento adottato ai sensi dell’art. 143 sostituisce il commissario precedentemente nominato con una commissione straordinaria composta di tre membri, ritenuta dalla vigente normativa maggiormente adeguata a fronteggiare fenomeni di infiltrazione mafiosa nelle istituzioni (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 26 gennaio 2009, n. 447; Id., Sezione I, parere 26 maggio 2010, n. 3811/2009; T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 20 luglio 2015, n. 9873). Per quanto poi riguarda il richiamo alle misure di cui all’art. 143, comma 5 -in disparte ogni considerazione sulla circostanze che la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma da ultimo citato è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione -è sufficiente richiamare il pacifico principio giurisprudenziale in base al quale sulla legittimità della misura dissolutoria «non può incidere la circostanza che il condizionamento mafioso sia esercitato da dipendenti all’insaputa degli amministratori o da alcuni degli amministratori ad insaputa degli altri: non trattandosi, infatti, di una misura sanzionatoria, essa non è finalizzata a punire condotte illecite caratterizzate da coscienza e volontà; ciò che conta, in definitiva, è la constatazione che l’attività dell’ente risulti asservita, anche solo in parte, agli interessi delle consorterie mafiose, giacché tale constatazione denuncia che l’organo politico non è in grado, per complicità, connivenza, timore o mera incompetenza, di prevenire o di contrastare efficacemente il condizionamento mafioso» (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647; Id., sentenza 5 febbraio 2019, n. 1433). Ancora, ad avviso dei ricorrenti «il provvedimento che ha adottato la misura della gestione commissariale straordinaria, quale atto conclusivo dell’iter previsto dall’art. 143 del tuel, è illegittimo anche per ragioni procedimentali: nello specifico, per violazione del termine per la conclusione dei lavori della commissione incaricata dal Prefetto di Foggia a svolgere le indagini di rito presso il Comune di (omissis) … dalla relazione prefettizia risulta che la Commissione di accesso si è insediata in data 9 gennaio 2019 e, su richiesta, ha ottenuto … dal Prefetto di Foggia una proroga di ulteriori tre mesi per concludere i lavori. Pertanto, la Commissione di accesso avrebbe dovuto terminare gli accertamenti e rassegnare le proprie conclusioni entro il 3 luglio 2019, ossia nei successivi tre mesi decorrenti dalla data della concessione della proroga prefettizia (4 aprile 2019) o, in ogni caso, entro l’8 luglio 2019, considerando sei mesi dalla data di insediamento della Commissione di accesso (9 gennaio COnTEnzIOSO nAzIOnALE 2020). in entrambe le ipotesi, il termine di legge per la conclusione dei lavori non risulta rispettato perché la relazione prefettizia attesta che la Commissione di accesso “ha depositato, in data 9 luglio 2019, la propria relazione». Sennonché, anche tale eccezione risulta palesemente infondata. Ed invero, la relazione della commissione di indagine -se pur depositata il 9 luglio 2020 -porta la data dell’8 luglio 2020. Inoltre, per regola generale, il termine a mesi si verifica nel mese di scadenza nel giorno corrispondente al giorno del mese iniziale (cfr. art. 2963 del codice civile). In ogni caso -come è dato evincere dalla giurisprudenza più recente -i termini di cui all’art. 143 devono considerarsi non perentori e manifestano l’intenzione del legislatore a indirizzare l’Amministrazione ad attivarsi nel più breve tempo possibile (cfr. T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 8 giugno 2016, n. 2454, le cui considerazioni -concernenti il termine di 45 giorni previsto dalla norma per la relazione del Prefetto -sono chiaramente estensibili anche al caso in esame). Infine, per mero scrupolo difensivo, si soggiunge che per giurisprudenza pacifica -contrariamente a quanto ipotizzato dai ricorrenti -eventuali errori o inesattezze nella rappresentazione dei fatti posti a fondamento della misura dissolutoria sono del tutto «ininfluenti, in quanto giustificabili alla luce dell’ampiezza e complessità del materiale istruttorio propedeutico all’adozione del provvedimento di rigore» (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, ordinanza 3 ottobre 2013, n. 3891; Id., sentenza 2 luglio 2014, n. 3340). Inoltre, «la declaratoria di illegittimità del provvedimento di scioglimento non può … discendere dall’accertamento dell’insussistenza di qualche elemento, tra i tanti posti a base del provvedimento impugnato, essendo necessario dimostrare la complessiva illogicità della valutazione dell’insieme degli elementi acquisiti in sede istruttoria, valutati in connessione tra loro, come dimostrativi dell’esistenza di collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata, di forme di condizionamento degli amministratori stessi tali da alterare la loro libertà di autodeterminazione compromettendo il buon andamento dell’amministrazione comunale, nonché il regolare svolgimento dei servizi in modo da arrecare un grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica» (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 2 ottobre 2017, n. 4578). Per quanto esposto, si ritiene che il provvedimento impugnato non solo risponda ai criteri individuati dall’orientamento giurisprudenziale che si è formato in materia, ma anche che sia sorretto dalla presenza di quegli elementi concreti, univoci e rilevanti attraverso i quali si articolano e sviluppano gli ambiti di operatività del citato art. 143, essendo emerso un quadro indiziario grave, adeguatamente trasfuso nella motivazione del decreto presidenziale di scioglimento. A supporto della legittimità della misura dissolutoria va infine considerato che «se è vero che gli elementi raccolti devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, come è richiesto dalla “nuova formulazione” dell’art. 143, comma 1, tuel, è solo dall’esame complessivo di tali elementi che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente, potendo essere sufficiente allo scopo anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della “macchina” amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti “controindicati”» (ex multis, T.A.R. per il Lazio -Roma, Sezione I, sentenza 26 luglio 2019, n. 10056). RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 2/2020 Tanto più che «per consolidato orientamento … lo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell’art. 143 t.u.e.l. non si giustifica, necessariamente, solo a fronte del riscontro di una molteplicità di aree di compromissione e, correlativamente, di canali di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata di stampo mafioso nella vita dell’ente, potendo essere sufficiente a tale scopo, a seconda dei casi, anche l’individuazione di alcune situazioni, o anche di una sola, in cui si evidenzia l’asservimento dell’ente a vantaggio di simili sodalizi» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7862). Quanto alla domanda di risarcimento dei presunti danni subiti dagli interessati, la stessa si appalesa del tutto infondata, posto che, da un lato, la palese infondatezza del ricorso -e quindi la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione -esclude che vi sia stata lesione di qualsivoglia situazione soggettiva tutelata dall’ordinamento. D’altro canto, vi è totale carenza nel gravame -sotto il profilo dell’allegazione, ancor prima che sul piano della prova degli elementi richiesti per l’integrazione della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c., ossia la sussistenza di un danno ingiusto, del nesso causale tra condotta illecita ed evento e della colpa o dolo dell’amministrazione. Al riguardo, si rammenta inoltre che recentemente il Consiglio di Stato ha rigettato analoghe richieste risarcitorie, sulla scorta della considerazione che l’eventuale illegittimità del provvedimento di scioglimento non è di per sé sufficiente «al fine della ravvisabilità dell’indispensabile presupposto della colpa dell’amministrazione. e ciò perché, in primo luogo, va tenuto conto delle . ne consegue … che risulta “indubbia”