ANNO LXXIII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2021 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Fausto Capelli, Carla Colelli, Lucrezia Fiandaca, Gabriele Finelli, Michele Gerardo, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Alessandra Parente, Carmela Pluchino, Carlo Russo, Luca Ventrella. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario Comunicato dell’Avvocato Generale, PRoF. GIuSEPPE TESAuRo. . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Giuseppe Albenzio, Il mandato dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi civili, amministrativi ed internazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Luca Ventrella, La tutela dello Stato nel sistema giudiziario italiano nei procedimenti contro le frodi che incidono sul bilancio dell’uE . . . . . . . ›› 54 Carmela Pluchino, Relazione annuale dell’Avvocatura dello Stato sul contenzioso antimafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 64 D.P.C.M. 26 marzo 2021 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’ERSu di Sassari nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, Circolare A.G. 9 giugno 2021 n. 34 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 121 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Carla Colelli, Lucrezia fiandaca, La decisione della Corte di giustizia ue: la normativa sull’assunzione e sulla proroga dei ricercatori universitari è conforme alla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (C. giust. Ue, Sez. VII, sent. 3 giugno 2021, C-326/19) . . . ›› 123 Gaetana Natale, La Grande Sezione della Corte di giustizia ue si pronuncia sui poteri delle Autorità nazionali nell’ambito del RGPD a fronte della gestione dei dati da parte dei colossi del web (C. giust. Ue, Grande Sezione, sent. 15 giugno 2021, C-645/19) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 139 Gaetana Natale, una Strategia Europea per la tutela dei minori . . . . . . ›› 166 CONTENZIOSO NAZIONALE Gabriele finelli, La costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel processo “Eternit-bis” (C. Ass. Novara, ord. 5 luglio 2021, R.G. C.Ass. n. 1/20). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 183 Wally ferrante, Immobili confiscati alla criminalità organizzata: irrilevanza del giudizio pendente innanzi alla Corte di Strasburgo (Cons. St., Sez. III, sent. 7 giugno 2021 n. 4297) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 186 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Michele Gerardo, un diritto per il “dopoguerra”. Aspetti della legislazione emergenziale anti CoVID-19 da rendere stabili. . . . . . . . . . . . . . . ›› 195 Alessandra Parente, Le Graduatorie Provinciali di supplenza: verso un primo bilancio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 216 Gaetana Natale, Accountability . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 230 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gaetana Natale, La nozione complessa della parità di genere. . . . . . . . . ›› 239 Carlo Russo, Annotazione a margine dell’art. 23 quater D.L. 137/2020 alla luce delle rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat . . . . . . ›› 251 RECENSIONI fausto Capelli, Evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie. Impatto della direttiva Ce n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari, Editoriale Scientifica, 2021 . . . . . . . . . . . . . ›› 263 un saluto affettuoso, Gesualdo d’Elia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Con profonda tristezza e viva commozione comunico che nella giornata di ieri è deceduto il Professore Giuseppe Tesauro. Nell’esprimere le più sentite condoglianze alla cara Luciana e alla Famiglia, anche a nome dei Colleghi e di tutto il Personale dell’Avvocatura, desidero ricordare la Sua altissima figura di Accademico, di Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di Avvocato generale presso la Corte di giustizia, di Presidente della Corte costituzionale e di Uomo dotato di eccezionali qualità che, nel corso della Sua lunga carriera, ha dato sempre lustro al Paese anche innanzi alle Istituzioni del- l’Unione europea, dove ne sono ancora vivi il ricordo, la grandissima stima e l’elevatissima considerazione. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail, Segreteria Particolare, mercoledì 7 luglio 2021. TemIISTITuzIonAlI Il mandato dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi civili, amministrativi ed internazionali Cari Colleghi, carissimi Amici, è arrivato il momento di chiudere una stagione e di avviarmi verso una nuova, come i Pastori di D’Annunzio. Dopo oltre quarantasei anni di servizio ho rinnovato la mia verga d’avellano e mi avvio verso quel mare che verde è come i pascoli dei monti, con la certezza di aver svolto il mio lavoro con tutto l’impegno e la professionalità della quale ero capace e con la soddisfazione di aver difeso gli interessi dello Stato dinanzi a tutte le giurisdizioni, nazionali ed europee. Ho bevuto profondamente di quest’acqua e non ho bisogno di altro a conforto del mio cammino che già il sole imbionda. Mi piace terminare questa mia esperienza dedicandovi l’ultima mia opera che riguarda proprio il nostro Istituto e il nostro lavoro. Giuseppe Albenzio* SommaRIo: 1. Il mandato nel giudizio civile ed amministrativo. Cenni -2. Il mandato dell’avvocatura dello Stato. aspetti particolari -2.1 origine -2.2 attestazione -2.3 Poteri 2.4 Intuitus personae -2.5 Delega di funzioni -2.6 autorità giudiziarie -3. mandato obbligatorio, facoltativo e autorizzato -4. Patrocinio dei pubblici funzionari -5. Patrocinio parziale -6. La particolare posizione nei giudizi di costituzionalità ed internazionali -6.1 Giudizi di costituzionalità -6.2 Giudizi dinanzi alle Corti internazionali -7. Un amicus curiae per il giudizio amministrativo? -8. Controllo dell’autorità Giudiziaria sulla legittimità del patrocinio dell’avvocatura. (*) Già Vice Avvocato Generale dello Stato. Il presente scritto è edito nel volume “Il processo civile oggi -in omaggio a Giorgio Costantino” a cura di R. Fuzio, Cacucci editore, Bari, 2021. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 1. Il mandato nel giudizio civile e amministrativo. Cenni. Gli articoli da 82 a 87 del codice di procedura civile regolano il patrocinio nei giudizi civili, così come gli articoli da 22 a 24 del codice del processo amministrativo lo regolano nei giudizi amministrativi. Il rapporto giuridico che si instaura tra il professionista-avvocato del libero foro ed il proprio assistito è inquadrabile nella disciplina generale del mandato con rappresentanza, di cui agli artt. 1703 ss. c.c. Infatti, nel quadro della categoria della rappresentanza tecnica-volontaria, l’Avvocato agisce giuridicamente in nome e per conto del suo cliente (artt. 83 e 84 c.p.c., art. 22 c.p.a.). L’oggetto del mandato può consistere nel mero potere di rappresentare la parte in giudizio ovvero nel più ampio potere di assumerne il patrocinio nei molteplici profili connessi alla vicenda contenziosa e con più ampie capacità dispositive del diritto azionato (1); nel primo caso si parla di procura ad litem conferibile con atto unilaterale, nel secondo caso di mandato di patrocinio contenuto in un contratto bilaterale (2); secondo costante giurisprudenza, c’è completa autonomia fra i due negozi, nel senso che ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem in forma scritta (3), mentre il mandato professionale può essere conferito anche in forma verbale e la procura alle liti è solo un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell'autonomo rapporto di patro (1) Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2019, n. 25045: “Il difensore della parte costituita in giudizio, senza essere munito di procura speciale ai sensi dell'art. 306 c.p.c., 2° comma, può modificare la domanda in sede di precisazione delle conclusioni ma non può rinunciare validamente agli atti del giudizio; qualora il difensore, non munito di procura speciale, rinunzi alla domanda o ad un capo di essa, la rinunzia non è validamente effettuata ed il vizio che si determina qualora il giudice rigetti la domanda, o il detto capo, può essere rilevato, ove sia adeguatamente prospettato e riproposto, nei successivi gradi del giudizio”; Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2009, n. 2501: “La rinuncia può provenire o dalla parte personalmente o dal difensore munito di mandato speciale che includa la facoltà di rinuncia; essa deve essere notificata a controparte o essere formulata in udienza”. (2) Cass. civ. [ord.], sez. III, 8 giugno 2017, n. 14276: “In tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (c.d. contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte; conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell'attività processuale, né rileva il versamento di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, atteso che il mandato può essere anche gratuito e che, in ipotesi di mandato oneroso, il compenso ed il rimborso delle spese possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso”. (3) Per gli enti pubblici non difesi dall’Avvocatura dello Stato, la necessità della forma scritta del contratto è delineata dalla giurisprudenza nei seguenti termini: “In tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della p.a., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell'art. 83 c.p.c., atteso che l'esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l'identificazione del contenuto negoziale e lo svolgimento dei controlli da parte dell'autorità tutoria” (Cass. civ. [ord.], sez. II, 6 agosto 2019, n. 21007). teMI IStItuzIonALI cinio (4); inoltre, la procura alle liti può sopravvivere anche ad un contratto di mandato invalido (5); infatti, la procura alle liti è comunque indipendente dalle vicende del mandato (6) e sopravvive anche alla revoca di quest’ultimo, in quanto trae la sua regolamentazione dall’art. 85 c.p.c. (7). La procura alle liti può essere generale o speciale, a seconda che sia riferita ad una specifica fase del giudizio o a tutto il suo possibile svolgimento o a tutta una serie di procedimenti (8); deve essere rilasciata prima della pro( 4) Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2020, n. 22048: “mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (il contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte; conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa richiesta solo per lo svolgimento del- l'attività processuale; il mandato professionale può essere conferito anche in forma verbale, e la prova di esso può quindi darsi anche per testimoni, oltre che in via presuntiva, attraverso idonei indizi plurimi, precisi e concordanti; la procura alle liti, poi, può certamente essere rivelatrice del conferimento del mandato professionale ma è solo un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell'autonomo rapporto di patrocinio (nella specie la suprema corte afferma che, il ritenuto mancato rilascio della procura ad litem in favore dell'odierno ricorrente non poteva perciò esaurire l'accertamento circa l'esistenza del contratto di patrocinio; il tribunale avrebbe dovuto indagare se tale contratto potesse desumersi da altri elementi)”. (5) Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2019, n. 23335: “La distinzione tra contratto di patrocinio e procura alle liti fa sì che l'invalidità del primo non si riverberi necessariamente sulla seconda e, dunque, non privi il difensore dello ius postulandi per la parte che si difende in un giudizio; la procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è infatti insensibile alla sorte del contratto di patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato; la nullità del contratto di patrocinio, pertanto, non toglie al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura”. (6) Cass. civ. [ord.], sez. II, 11 marzo 2019, n. 6905: “Posto che ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo quest'ultima richiesta solo per lo svolgimento dell'attività processuale, non sussiste una corrispondenza diretta dal punto di vista soggettivo fra la procura alle liti ed il contratto di patrocinio, tale per cui dal mandato processuale rilasciato da un soggetto a favore di un legale debba necessariamente evincersi l'esistenza di un contratto di patrocinio fra le medesime parti, per cui il primo è il cliente del secondo, ben potendo verificarsi che l'incarico sia affidato da un soggetto nell'interesse di un terzo che solo ai fini dell'eventuale attività giudiziale rilascia la procura ad litem; allo stesso modo si deve ritenere che al rilascio della procura ad litem non corrisponda un contratto di patrocinio fra le stesse parti, potendosi verificare che il rilascio della procura avvenga in ragione di un mandato sostanziale da altri rilasciato”. (7) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 15 marzo 2017, n. 6648: “Le vicende della procura alle liti sono disciplinate, dall'art. 85 c.p.c., in modo diverso dalla disciplina della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perchè, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (o chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, invece nè la revoca nè la rinuncia privano -di per sè -il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, atteso che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare; ne consegue che, in base all'art. 85 c.p.c., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per sè soli, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore”. (8) Cass. civ. [ord.], sez. trib., 13 dicembre 2019, n. 32880: “La procura generale ad litem, espressamente prevista dall'art. 83, 2° comma, c.p.c., se proveniente dall'organo della società abilitato a conferirla, resta valida ed imputabile all'ente finché non venga revocata, indipendentemente dalle vicende rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 posizione del giudizio (se in veste di parte attrice) o della costituzione nello stesso (se in veste di parte convenuta) (9), con un contenuto perfettamente congruente con l’attività che si va a compiere, ai fini della valida costituzione del rapporto processuale, senza possibilità di ratifica successiva per vizi originari dell’atto (10). La sottoscrizione della procura alle liti è eseguita, con atto di rilevanza pubblicistica (11), dall’avvocato abilitato nella qualità di procuratore costituito (12). modificative dell'organo che l'ha rilasciata, trattandosi di atto dell'ente e non della persona fisica che lo rappresentava”; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 7 febbraio 2011, n. 122: “Il mandato apposto a margine del ricorso è per sua natura mandato speciale e non occorre per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si ricorre, poiché in tal caso la specialità del mandato è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso al quale essa si riferisce”. (9) Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2019, n. 8933: “Il principio secondo il quale gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l'atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, restando conseguentemente esclusa, in questa ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica”. (10) Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2004, n. 11326: “La procura è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale (quale presupposto per la valida costituzione del rapporto processuale, da valutarsi con esclusivo riferimento all'atto introduttivo del giudizio, non potendo l'eventuale relativo iniziale difetto essere sanato mediante successiva ratifica), che va interpretato -secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui agli art. 1367 c.c. e 159 c.p.c. nel rispetto in particolare del principio di relativa conservazione -in relazione al contesto dell'atto cui essa accede, rimanendo sotto tale profilo censurabile in ordine alle eventuali omissioni ed incongruità argomentative, e non anche mediante la mera denunzia dell'ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto, prospettante invero un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità”; Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2015, n. 4424: “Il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva, salvi i diritti dei terzi, non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dell'art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l'atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica”; Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2013, n. 4166: “È insanabilmente nullo il ricorso sottoscritto da soggetto sfornito del ius postulandi, non potendosi applicare, ratione temporis, la sanatoria di cui all'art. 182, 2º comma, c.p.c., introdotto dalla l. 18 giugno 2009 n. 69”. (11) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 2 settembre 2015, n. 17473: “La funzione del difensore di certificare l'autografia della sottoscrizione della parte, ai sensi degli art. 83 e 125 c.p.c., pur trovando la sua base in un negozio giuridico di diritto privato (mandato), ha natura essenzialmente pubblicistica, atteso che la dichiarazione della parte, con la quale questa assume su di sé gli effetti degli atti processuali che il difensore è legittimato a compiere, è destinata a dispiegare i suoi effetti nell'ambito del processo; ne consegue che il difensore, con la sottoscrizione dell'atto processuale e con l'autentica della procura riferita allo stesso, compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso”. teMI IStItuzIonALI Pur rilevante, l’intuitus personae non è essenziale nell’ambito dello svolgimento del mandato, nel senso che, pur trattandosi di incarico fiduciario basato sulle competenze professionali dell’incaricato, le attività esecutive possono ben essere affidate ad un sostituto appositamente autorizzato (ab origine o caso per caso) (13). In ogni caso, il professionista destinatario della procura ad litem o del mandato di patrocinio è tenuto all’obbligo di diligenza professionale secondo il combinato disposto degli articoli 1176, comma 2, e 2236 cod. civ. (14) ed al fine di conseguire il risultato utile voluto dal mandante (15); i poteri del (12) Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2015, n. 4424: “Il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva, salvi i diritti dei terzi, non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dell'art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l'atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica”; Cons. Stato [ord.], sez. V, 10 febbraio 2010, n. 707: “ai sensi dell'art. 85 c.p.c., l'autenticazione della firma del mandato rilasciato a margine del ricorso in appello deve essere effettuata a pena di inammissibilità dallo stesso avvocato che ha ricevuto il mandato ma a condizione che sia abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, e non da legale non abilitato”; C. Stato, sez. V, 6 febbraio 2008, n. 370: “La certificazione del difensore nel mandato alle liti in calce o a margine di atto processuale riguarda solo l'autografia della sottoscrizione della persona che, conferendo la procura, si fa attrice o della persona che nell'atto si dichiara rappresentante della persona fisica o giuridica che agisce in giudizio, e non altro, con la conseguenza che deve considerarsi essenziale, ai fini della validità della procura stessa, che in essa, o nell'atto processuale al quale accede, risulti indicato il nominativo di colui che ha rilasciato la procura, facendosi attore nel nome proprio o altrui, in modo da rendere possibile alle altre parti e al giudice l'accertamento della sua legittimazione e dello ius postulandi del difensore; in difetto di queste indicazioni, la procura, ove la firma apposta sia illeggibile, deve considerarsi priva di effetti tutte le volte che il vizio formale abbia determinato l'impossibilità di individuazione della sua provenienza e, perciò, di controllo dell'effettiva titolarità dei poteri spesi”. (13) Cass. civ., sez. II, 22 luglio 1999, n. 7888: “Il mandato, pur caratterizzato dall'elemento della fiducia, non è tuttavia necessariamente basato sull'intuitus personae, onde il mandatario può avvalersi dell'opera di un sostituto, salvo che il divieto sia espressamente stabilito, ovvero si tratti di attività rientranti nei limiti di un incarico affidato intuitus personae”. (14) Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14597: “Nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176, 2º comma, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, a richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole; a tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio”. (15) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 23753: “La procura rilasciata al difensore per il giudizio di cognizione deve essere intesa non solo come volta al conseguimento del provvedimento rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 mandatario sono più ampi di quelli del procuratore ad litem in relazione agli atti dispositivi del diritto controverso, delegabili solo al primo (16). Per poter patrocinare dinanzi alle giurisdizioni superiori -quali la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti in sede giurisdizionale, il tribunale supremo miliare, il tribunale superiore delle acque pubbliche gli avvocati debbono iscriversi nell’albo speciale previsto dall’art. 33 del r.D. n. 1578 del 1933 relativo all’ordinamento della professione di avvocato (17). Il patrocinio processuale è obbligatorio, salvo i casi eccezionali previsti per legge, sia per il processo civile che per quello amministrativo, nell’interesse della stessa parte rappresentata, così che questo obbligo non può ritenersi confliggente con il diritto di difesa sancito dalla Costituzione (art. 24), dalla Carta di nizza (art. 47) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6) (18), atteso che questo diritto va inteso essenzialmente come possibilità di tutela processuale mediante difesa tecnica (19). giurisdizionale favorevole, attributivo alla parte vittoriosa dal bene oggetto della controversia, ma anche all'attuazione concreta del comando giudiziale, cioè al conseguimento di quel bene attraverso l'esecuzione forzata, quando manchi la spontanea ottemperanza della controparte”; Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 2019, n. 8745: “La procura, quando sia specificato che i poteri del difensore si estendono ad ogni stato e grado del procedimento, attribuisce lo ius postulandi anche in relazione al processo di esecuzione ed il giudizio di ottemperanza ha natura di processo di esecuzione quando si tratti della domanda di esecuzione di una condanna al pagamento di un predeterminato importo monetario”; t.a.r. umbria, 5 agosto 2013, n. 425: “La proposizione dei c.d. motivi aggiunti non richiede un nuovo mandato alle liti”; Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2011, n. 1965: “La procura alle liti conferita al difensore deve intendersi comprensiva di ogni potere, compreso quello di chiedere la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al presidente della repubblica proposto dal ricorrente”. (16) Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4837: “La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate”. (17) un avvocato del libero foro, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 247 del 2012 sulla disciplina del- l’ordinamento della professione forense, potrà essere autorizzato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, alternativamente, o a seguito del superamento di un apposito esame che potrà essere svolto esclusivamente da un avvocato iscritto da almeno 5 anni all’albo dopo aver svolto un periodo di pratica presso un avvocato che esercita dinanzi alle giurisdizioni superiori, oppure, per coloro che sono iscritti da almeno 8 anni all’albo forense, dopo aver frequentato la Scuola Superiore dell’avvocatura presso il CnF con il superamento del relativo esame finale. (18) Principio pacifico; ex plurimis v. t.a.r. Lombardia, sez. III, 27 febbraio 2013, n. 542: “Secondo l'espressa disposizione dettata dall'art. 22 cod.proc.amm., i ricorsi al giudice amministrativo, salvo casi specifici (ad es. giudizi nelle materie previste dall'art. 23 cod.proc.amm.), richiedono il patrocinio obbligatorio di un avvocato iscritto all'albo professionale, non potendo obiettarsi che il diritto della parte di stare in giudizio personalmente in ogni caso possa trovare fondamento sull'art. 24 cost. e sull'art. 6 n. 3 lett. c) della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”; Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2012, n. 23925: “È inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto personalmente dalla parte interessata, e non da un avvocato iscritto nell'apposito albo munito di procura speciale, a norma degli art. 82, 3º comma, e 365 c.p.c., i quali non possono ritenersi abrogati o modificati dagli art. 14, 3º comma, lett. d), del patto internazionale sui diritti civili e politici, teMI IStItuzIonALI Questi sono i caratteri generali della procura che autorizza i professionisti ad agire nell’interesse dei propri clienti nelle controversie per le quali ne assumono il patrocinio o la semplice rappresentanza processuale; gli stessi ricorrono anche nel mandato dell’Avvocato dello Stato ma in termini del tutto peculiari. 2. Il mandato dell’avvocatura dello Stato. aspetti particolari. Il rapporto giuridico che viene a crearsi tra l’Avvocatura dello Stato e le Amministrazioni patrocinate è disciplinato dal t.u. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato (r.D. 30 ottobre 1933, n. 1611)(20), con le modalità previste dal relativo regolamento approvato con r.D. n. 1612/1933, nonché dalla legge di riforma 3 aprile 1979 n. 103 (21). Il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato è caratterizzato dalle seguenti peculiarità: 2.1 origine. La fonte del mandato è la legge, in particolare l’art. 1 del testo unico di cui al r.d. 1611/1933: “La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla avvocatura dello Stato. Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità”. ratificato con l. 25 ottobre 1977 n. 881, e 6, 3º comma, lett. c) della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con l. 4 agosto 1955 n. 848, riferendosi tali disposizioni al processo penale, senza alcuna incidenza sul patrocinio nel processo civile”; Cons. Stato, sez. IV [ord.], 30 agosto 1994, n. 1009: “Neppure in forza dell'art. 6, lett. c), della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo può ritenersi ammissibile un ricorso al consiglio di stato (nella specie, contro un'ordinanza di rigetto della domanda di tutela cautelare), che non sia stato sottoscritto da un avvocato ammesso al patrocinio davanti alla corte di cassazione”. (19) Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2853: “Va escluso che l'impossibilità di difendersi personalmente nel giudizio di appello violi il diritto di difesa costituzionalmente garantito, atteso che ai sensi dell'art. 24, comma 2, Cost., l'inviolabilità del diritto di difesa si caratterizza in primo luogo come diritto alla difesa tecnica, che si realizza mediante la presenza di un difensore dotato dei necessari requisiti di preparazione tecnico-giuridica, in grado di interloquire con le controparti e con il giudice, di modo che le ipotesi di difesa "personale" devono essere considerate, nel nostro ordinamento, eccezioni, proprio in considerazione della natura inviolabile del diritto di difesa e del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge”. (20) Sono state trasfuse nel testo unico le disposizioni di cui al precedente t.u. approvato con r.D. 24 novembre 1913, n. 1303; D.Lgs. Lgt. 21 aprile 1919, n. 560; r.D. 30 dicembre 1923, n. 2828 e r.D.L. 5 aprile 1925, n. 397. (21) Per uno studio approfondito sul patrocinio dell’Avvocatura dello Stato v. A. BrunI -G. PA- LAtIeLLo, La difesa dello Stato in giudizio, utet, 2011; P. PAVone, Lo Stato in giudizio, editoriale Scientifica, 2002. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 Il mandato è ex lege non solo per il patrocinio obbligatorio ma anche per quello facoltativo/autorizzato (su queste categorie si vedano anche i successivi paragrafi), ai sensi dell’articolo 43 t.u. cit., così come modificato dagli artt. 10 e 11 della Legge n. 103/1979; infatti, se pure alla base di questi ultimi tipi di patrocinio sussiste una manifestazione di volontà degli organi decisionali dell’ente/organismo per l’avvalimento del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, l’origine della facoltà è pur sempre nella legge istitutiva. Da questa prima acquisizione derivano uniformi conseguenze sulla gestione e sulle caratteristiche del mandato, come sarà evidenziato qui di seguito. 2.2 attestazione. essendo ex lege, questo mandato non deve essere esibito in giudizio né in altro modo connesso materialmente agli atti defensionali. Secondo uniforme giurisprudenza, nell'esercizio dell’attività di rappresentanza ed assistenza in giudizio, a differenza degli avvocati del libero foro, gli Avvocati dello Stato non hanno bisogno di alcun mandato, essendo sufficiente che, se richiesti, facciano constare la propria qualità (22); come già detto, tale prerogativa opera sia nella difesa delle amministrazioni statali che in quella delle amministrazioni locali e delle altre ammesse al patrocinio del- l’Avvocatura (23); alcune particolarità emergono nel patrocinio del Governo dinanzi alla Corte Costituzionale (24), come diremo meglio in prosieguo. (22) Cass., sez. V, 7 ottobre 1999, n. 11441: “Gli avvocati dello Stato, per compiere gli atti del loro ministero, non hanno bisogno di una procura dell'amministrazione che essi rappresentano, essendo sufficiente che "consti della loro qualità". Invero, il mandato che è loro conferito dalla legge è sufficiente ad attribuire il potere di costituirsi in giudizio per le amministrazioni pubbliche e di compiere tutti gli atti per i quali la legge richiede un mandato speciale; e ciò, tanto nel giudizio civile, quanto in quello penale, allorché le pretese civili della pubblica amministrazione siano esercitate in tale sede”. (23) Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6189: “Quando, una regione a statuto ordinario decide di avvalersi del patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 107 comma 3, D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, affidando a quest'ultima la propria difesa in un singolo giudizio, si rendono automaticamente applicabili le norme che regolano lo ius postulandi dell'avvocatura dello Stato di cui al R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, ad eccezione di quelle riferibili esclusivamente alla difesa delle amministrazioni statali (come ad esempio l'art. 6 sul c.d. foro erariale) e salve le espresse eccezioni di legge (com'è il caso degli artt. 24 e 144 c.p.c., applicabili anche alle regioni a statuto ordinario che abbiano affidato la propria difesa giudiziale in modo esclusivo e sistematico all'avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 10, L. 3 aprile 1979 n. 103). Ne deriva l'applicabilità dell'art. 1 comma 2, R.D. n. 1611, cit., ai sensi del quale "gli avvocati dello Stato, non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità". (24) Corte cost., 6 febbraio 1969, n. 6: “In base all'art. 25, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, l'iniziativa dell'intervento del Governo nei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale spetta al Presidente del Consiglio, che ne assume la responsabilità politica, e non all'avvocatura dello Stato. La volontà del Presidente del Consiglio di costituirsi o meno in giudizio non deve però manifestarsi in uno specifico atto. Poiché l'avvocatura dello Stato è organicamente posta (dall'art. 17 del testo unico 30 ottobre 1933 n. 1611) alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio, essa esercita davanti alla Corte Costituzionale lo "ius postulandi", in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio (art. 20 della legge n. 87 del 1953) senza che occorra l'esibizione di un mandato (art. 1 del T.U. n. 1611 del 1933)”. teMI IStItuzIonALI 2.3 Poteri. Il mandato dell’Avvocato dello Stato ha contenuti più ampi del semplice jus postulandi, ed è assimilabile al mandato speciale, pur con ulteriori potestà. tanto si deduce sia dal testo dell’art. 1 t.u. 1611/1933, laddove descrive i contenuti del patrocinio [“La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato …”] e le caratteristiche formali del mandato [“gli avvocati dello Stato … non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale”], sia dalla funzione stessa dell’Avvocatura dello Stato che è una pubblica Istituzione, parallela per modalità di accesso, carriera, trattamento giuridico ed economico a quella delle magistrature. È un organo con funzioni latamente giustiziali (25) e di rilevanza costituzionale (26), in quanto menzionato nella legge 11 marzo 1953 n. 87 sul funzionamento della Corte Costituzionale, art. 20, comma 3, il quale così recita: “Il Governo, anche quando intervenga nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro a ciò delegato, è rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto” (27). (25) t.a.r. Piemonte, 16 giugno 1982, n. 402: “Il principio costituzionale, desumibile dal complesso della normativa costituzionale (art. 101-113 e 135 cost.) ed ordinaria (art. 4 e 33 r.d. 27 novembre 1933, n. 1578), dell'assoluta parità di trattamento economico dei magistrati a parità di funzione, può essere correttamente riferito anche agli avvocati dello stato; tale categoria, infatti, pur non esplicando funzioni giurisdizionali, assolve pur sempre ad una funzione di istituto a carattere giustiziale, quale è appunto la tutela legale dei diritti e degli interessi dello stato e di altre p.a., ed è garantita da una notevole autonomia professionale ed indipendenza dal potere esecutivo, rafforzata con la recente l. 3 aprile 1979, n. 103; inoltre, la tradizione storico legislativa in tema di equiparazione del trattamento economico fra gli appartenenti alle diverse magistrature, ha sempre riguardato direttamente anche gli avvocati dello stato, nel senso che è rimasto sempre immutato il principio della equiparazione del sostituto avvocato generale dello stato (attualmente avvocato dello stato alla terza classe di stipendio) con il consigliere di cassazione”. (26) nelle costituzioni di alcuni Paesi esteri (in particolare, del Sudamerica) istituti similari all’Avvocatura dello Stato sono annoverati fra gli organi costituzionali, al livello dei ministeri; così la Costituzione dell’unione del Brasile 5 ottobre 1988, art. 131: “L'avvocatura-Generale dell’Unione è l'istituzione che, direttamente o tramite un organo vincolato, rappresenta l'Unione, in via giudiziaria ed extragiudiziale, e alla quale compete, ai sensi di una legge complementare che ne prevederà l’organizzazione e il funzionamento, esercitare la funzione di consulenza e di patrocinio legale del Potere Esecutivo”; in termini simili, le Costituzioni del Guatemala (art. 252, Procurador General de la Nación), ecuador (art. 235, Sección cuarta -Procuraduría General del Estado), uruguay (art. 314, Capitulo III, Procurador del Estado en lo Contencioso -administrativo), Paraguay (art. 244, De La Procuraduría General De La República). (27) Corte cost., 27 luglio 1972, n. 147: “Nei giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale valgono riguardo alla rappresentanza e difesa del Governo le norme dettate per l'intervento nei giudizi incidentali, e sono applicabili i principi riconosciuti validi dalla Corte riguardo alla non necessarietà di un mandato o di uno specifico atto, rivestito di forma particolare, da cui risulti la volontà del Presidente del Consiglio dei ministri, occorrendo solo che questa si esprima attraverso i canali necessari e sufficienti in relazione al contenuto dell'atto stesso. (Nella specie, il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, con cui era promossa la questione di legittimità costituzionale di una rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 La funzione di patrocinio dell’avvocato dello Stato risente ed è permeata della vocazione all’interesse pubblico dell’attività della pubblica amministrazione; nella misura in cui non è l’avvocato di una parte privata (della quale deve curare l’interesse) ma è l’avvocato della pubblica amministrazione e deve curare anch’esso l’interesse pubblico e può farlo con una significativa sfera di autonomia (28). La chiave di lettura della funzione del patrocinio pubblico e dei poteri spettanti agli avvocati dello Stato è nelle disposizioni dell’art. 13 r.d. 1611/1933 [“L'avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d'accordo con le amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni: prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio”] e dell’art. 12 l. 103/1979 [“Le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell'avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile. Le divergenze di cui al primo comma che insorgano tra l'avvocatura dello Stato e le amministrazioni regionali, ovvero le altre amministrazioni pubbliche non statali o gli enti pubblici, sono definite con la determinazione degli organi delle regioni o delle predette amministrazioni ed enti, competenti a norma dei rispettivi statuti”]. La costante giurisprudenza ha interpretato queste disposizioni come aventi rilevanza interna, nei rapporti fra amministrazione e avvocatura, senza alcuna rilevanza esterna sul processo che procede ed è condotto secondo le determinazioni assunte dall’Avvocatura dello Stato e manifestate in giudizio (29). legge della Regione Lombardia, risultava sottoscritto solo da un avvocato dello Stato e da esso non emergeva se vi fosse stata una formale deliberazione o determinazione del Presidente)”. (28) Secondo G. BeLLI, avvocatura dello Stato, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 670 ss., l’Avvocato dello Stato si trova “in una particolare situazione di collaborazione ai fini dell’attuazione della giustizia, che è tra gli scopi dello Stato di diritto” e le sue funzioni “si avvicinano di più a quelle del magistrato che a quelle del libero professionista”. (29) Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2008, n. 10374: “L'iniziativa giudiziaria dell'avvocatura dello Stato, e quindi anche l'esercizio del diritto d'impugnazione, richiedono il consenso dell'amministrazione rappresentata "ex" art. 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103, ma l'esistenza di tale consenso rileva esclusivamente nel rapporto interno, mentre non condiziona la validità dell'atto processuale, dato che lo "ius postulandi" dell'avvocatura medesima non abbisogna di conferimento di procura”; in termini, fra le tante, con riferimento al patrocinio facoltativo in favore di enti locali, Cass. civ. [ord.], sez. II, 3 settembre teMI IStItuzIonALI Consideriamo, ancora, il principio generale dell’agere pubblico, la separazione fra attività di gestione e attività politica, come sancito dall’art. 4 d.lgs. 165/2001 (30) e regolato nel dettaglio dagli articoli 14-16 dello stesso decreto legislativo; per vero, la separazione tra funzioni di indirizzo politico- amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce un principio di carattere generale che trova il suo fondamento nell'articolo 97 della Costituzione (31). In conclusione, se il potere dell’avvocato dello Stato di gestione del contenzioso è sottratto a qualunque sindacato di merito da parte dell’Autorità Giudiziaria (ordinaria come amministrativa) e -peraltro solo nei rapporti interni fra amministrazione e istituto legale -è soggetto esclusivamente alla decisione dell’Autorità di vertice politico del soggetto pubblico patrocinato, ciò evidenzia che quel potere costituisce esercizio delle massime funzioni di gestione 2018, n. 21557; qualche limitazione, del tutto ingiustificata se non sotto il profilo della conservazione della competenza del collegio nella vertenza, si rinviene nella giurisprudenza dei Collegi arbitrali, come si evince da alcune pronunzie secondo le quali: “La facoltà di deroga alla competenza arbitrale spetta alla p.a. appaltante e non all'avvocatura dello stato, in quanto l'art. 13, t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, attribuisce a quest'ultima, fuori del processo e con riguardo alle controversie che ne saranno oggetto, solamente la funzione di le amministrazioni dello stato , nonché di suggerire ” (Collegio arbitrale, 20 marzo 1989, Soc. impr. Sacic c. anas, in arch. Giur. oo.pp., 1990, 189). (30) t.a.r. Lazio, sez. I, 13 settembre 2018, n. 9328: “Le funzioni di indirizzo politico -amministrativo esercitate dagli organi di governo attengono alla individuazione delle scelte di fondo dell'azione amministrativa attuate attraverso l'adozione dei relativi atti gestori”; Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2014, n. 830: “Nel sistema di cui al D.Lgs. n. 267/2000, esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire) e alla seconda quelli di gestione. ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione” (in termini, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2007, n. 1430; Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2005, n. 127; ecc.); Corte cost., ord., 30 gennaio 2002, n. 11: “L'estensione della privatizzazione anche i dirigenti generali rientra nella discrezionalità del legislatore in materia, il cui ambito consente di escludere che dalla non irragionevolezza di una disciplina originariamente differenziata automaticamente discenda l'ingiustificatezza dell'eventuale successiva assimilazione; i dirigenti generali sono quindi posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, tanto più che il legislatore delegato -nel riformulare gli artt. 3 e 14 del d.lgs. n. 29/1993, con gli artt. 3 e 9 del d.lgs. n. 80/1998, trasfusi ora negli artt. 4 e 14 del d.lgs. n. 165/2001 -ha accentuato il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra l'altro, che il ministro possa revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti”. (31) “L'individuazione dell'esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell'organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta al legislatore. a sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso articolo 97 della Costituzione: nell'identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l'imparzialità della pubblica amministrazione” (Corte cost. 3 maggio 2013, n. 81). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 amministrativa, con capacità di prevalere anche sulle determinazioni dei dirigenti generali apicali (32). ovviamente, si tratta di un potere decisionale connesso e conseguente alla fattispecie contenziosa in atto ma, per quel che qui interessa, di una estensione più ampia e profonda rispetto a quello degli altri patrocinatori legali, ancorché muniti di mandato speciale (33). Si tratta di un potere che comporta una funzione di ausilio e consulenza sin dalle fasi pre-contenziose e, addirittura, extra-contenziose dell’attività amministrativa; infatti, l’Avvocato generale, fra i suoi compiti: “riferisce periodicamente al Presidente del Consiglio dei ministri sull'attività svolta dall'avvocatura dello Stato, presentando apposite relazioni, e segnala anche prontamente le eventuali carenze legislative ed i problemi interpretativi che emergono nel corso dell'attività di istituto” [art. 15 r.d. 1611/1933, come modificato dalla l. 103/1979], gli avvocati e procuratori dello Stato, oltre a poter partecipare direttamente all’attività di indirizzo politico con specifici incarichi (32) Cass. civ., Sez. unite, 6 luglio 2006, n. 15342: “L'art. 16, lett. f), del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nel disporre che i dirigenti di uffici dirigenziali generali (o strutture sovraordinate) "promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dal- l'articolo 12, comma primo, della legge 3 aprile 1979, n. 103", precisa il riparto di competenze tra organi di gestione e organi di governo, ma non modifica certamente il criterio di individuazione del- l'organo che rappresenta legalmente l'amministrazione, rientrando nell'ambito delle competenze dirigenziali i soli poteri sostanziali di gestione delle liti. Lo Stato, infatti, agisce ed è chiamato in giudizio in persona del ministro competente o in persona del Presidente del Consiglio, mentre le strutture interne ai ministeri non sono dotate di soggettività sul piano dei rapporti esterni, come del resto è comprovato dall'espresso disposto dell'art. 11, comma primo, del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (nel testo novellato dall'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260), il quale prescrive che la notifica degli atti giudiziari presso gli uffici dell'avvocatura dello Stato debba essere effettuata nella persona del ministro competente”. (33) Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 936: “Nei giudizi nei quali è parte un'amministrazione statale e che sono stati interrotti per il decesso del ricorrente, l'istanza di fissazione dell'udienza può essere legittimamente proposta dall'avvocatura dello stato, trattandosi dell'organo che espleta istituzionalmente l'attività di patrocinio dello stato senza necessità di procura né di determinazione di stare in giudizio, il che rende non necessario che la riassunzione del giudizio interrotto sia richiesta dal rappresentante legale della amministrazione statale coinvolta nel giudizio, atteso che una diversa conclusione comporterebbe solo un inutile aggravio procedimentale, in assenza di finalità di carattere sostanziale”; Cass., sez. VI, 7 aprile 1987, n. 4298: “È valida l'impugnazione per gli interessi civili proposta con la sola dichiarazione sottoscritta dall'avvocato dello Stato in quanto, a norma dell'art. 1 T.U. 30 ottobre 1933 n. 1611 delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello stato, gli avvocati dello Stato non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, essendo sufficiente la dimostrazione delle loro qualità”; Cass., sez. IV, 7 marzo 1988, n. 3109: “Il difensore del responsabile civile non è, in linea di principio, legittimato a proporre impugnazione. ove, però, responsabile civile sia un'amministrazione Statale il procuratore è abilitato a fare la dichiarazione di ricorso per cassazione a norma del combinato disposto degli artt. 1, 43, 45 del T.U. 30 ottobre 1933 n. 1611 sull'avvocatura dello Stato, cui spetta, senza bisogno di mandato, la rappresentanza processuale delle amministrazioni dello Stato. Il Procuratore dello Stato è, invece, abilitato alla presentazione ed alla sottoscrizione dei motivi di ricorso non essendovi espressamente abilitato da leggi speciali, in deroga alle tassative norme dettate dall'art. 529 cod. proc. pen. e dall'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”. teMI IStItuzIonALI (34), prestano abitualmente attività consultiva ad ampio raggio su tutta l’azione delle pubbliche amministrazioni, assicurando la tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato e provvedendo a consigliarle e dirigerle (art. 13 r.d. 1611/1933 sopra riportato). In chiare parole, mentre l’avvocato privato fa gli interessi del suo cliente, nei limiti del mandato che il cliente ritiene di conferirgli e nell’arco temporale di validità dello stesso, l’avvocato dello Stato persegue la realizzazione degli interessi pubblici, senza limiti di mandato e poteri (nei termini sopra precisati) e senza coercizioni temporali. 2.4 Intuitus personae. Anche questo profilo è risolto dalla legge: all’Avvocatura dello Stato si accede mediante concorso pubblico (artt. 2-5 l. 103/1979), alla stregua di quello che accade per le magistrature e, in generale, per l’accesso al pubblico impiego (35); questo concorso è strutturato su due livelli, quello per il primo ingresso da procuratore dello Stato e quello per il superiore livello di avvocato dello Stato (aperto anche a candidati esterni al ruolo di procuratore); nei ruoli dell’Avvocatura non è prevista la nomina governativa extra concorsuale, come è per il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Si può, quindi, concludere che la “scelta” del patrocinatore pubblico è operata a monte, in via del tutto formale, sulla base delle competenze del candidato ed a prescindere dalla sua persona. Quanto alla distribuzione degli affari all’interno dell’Istituto, gli articoli 15 e 18 della l. 103/1979 prevedono che essa avvenga da parte dell’Avvocato generale (per l’ufficio dell’Avvocatura generale) e degli Avvocati distrettuali (per gli uffici delle Avvocature distrettuali), secondo criteri stabiliti dal Comitato consultivo (art. 25 l. 103/1979); a garanzia dell’indipendenza professionale degli avvocati e procuratori dello Stato, l’art. 19 della l. 103/1979 prevede -da un lato -che: “… in caso di divergenza di opinioni nella trattazione di detti affari con l'avvocato generale, con i vice avvocati generali o con l'avvocato distrettuale, possono chiedere, presentando relazione scritta, la pronuncia (34) L’art. 20 l. 103/1979, così recita: “L'ultimo comma dell'art. 1 del decreto luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 102, è sostituito dai seguenti: «Gli avvocati dello Stato chiamati a far parte dei gabinetti o degli uffici legislativi dipendenti da un ministro della Repubblica o cui sia conferito uno degli incarichi previsti dai decreti del Presidente della Repubblica 30 aprile 1958, n. 571 e 21 aprile 1972, n. 472, o che siano nominati commissari del Governo nelle regioni a statuto ordinario sono collocati fuori ruolo. Gli avvocati dello Stato, la cui collaborazione sia richiesta per compiti di natura giuridica in via continuativa e per una durata superiore ad un anno da altra amministrazione dello Stato anche ad ordinamento autonomo, possono essere collocati fuori ruolo …»". Si veda anche l’art. 14, comma 2, del d.lgs. 165/2001. (35) Il personale togato dell’Avvocatura dello Stato è sottratto alla privatizzazione ed è sottoposto al giudizio del Giudice amministrativo, come il personale delle magistrature, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.lgs. 165/2001. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 del comitato consultivo e, se questa è contraria al loro avviso, di essere sostituiti nella trattazione dell'affare per cui è sorta la divergenza di opinioni;”e -dall’altro lato -che: “possono essere sostituiti nella trattazione degli affari loro affidati in caso di assenza, impedimento o giustificata ragione; quando ricorrano gravi motivi possono essere sostituiti, con provvedimento motivato, dall'avvocato generale o dall'avvocato distrettuale dello Stato. avverso tale provvedimento può essere proposto ricorso entro trenta giorni al consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato”. Queste sono le garanzie di indipendenza professionale dal lato interno dell’ufficio e rispetto ai suoi capi; dal lato esterno, cioè nei confronti delle amministrazioni patrocinate, soccorre la regola generale di cui all’art. 12 l. 103/1979 della quale dianzi abbiamo parlato; nei rapporti inter-istituzionali, vengono in evidenza due principi connessi alla posizione dell’Avvocato generale come posizione di ruolo, sia pure al vertice dell’Istituto (art. 1 l. 103): in primo luogo, la permanenza della funzione per tutta la durata del servizio (fino a collocamento a riposo o dimissioni) e non in relazione alla durata in carica delle Autorità che lo hanno nominato (Presidente della repubblica, su proposta del Governo, ai sensi dell’art. 30 r.d. 1611); in secondo luogo, la provenienza dai ruoli della stessa Avvocatura, con esclusione della possibilità di scelta all’esterno (secondo prassi consolidata, nonché in coerenza con la mancanza di disposizioni che consentano la nomina governativa nei ruoli dell’Avvocatura al di là delle procedure concorsuali). Gli avvocati e procuratori dello Stato sono fra loro fungibili, nel senso che le attività processuali e la firma degli atti defensionali può essere validamente apposta anche da un collega dell’avvocato affidatario della pratica, atteso che il mandato ope legis spetta all’Avvocatura quale Istituto, rappresentato dall’Avvocato generale (36). Secondo la legge istitutiva, gli appartenenti al ruolo dei procuratori assicurano anche il servizio di udienza, ai sensi dell’art. 19 l. 103 (37), secondo le (36) Cass. civ., sez. I, 3 giugno 1988, n. 3788: “Il ricorso per cassazione, proposto dall'avvocatura generale in nome e per conto di un'amministrazione dello stato, è validamente sottoscritto da un avvocato dello stato diverso da quello che lo abbia predisposto, considerato che detti avvocati, nell'esercizio delle loro funzioni di rappresentanza processuale, non abbisognano di mandato e sono fungibili e sostituibili in caso d'impedimento (art. 1 e 19, l. 3 aprile 1979, n. 103)”; Cass., sez. II, 4 novembre 1991, n. 10954: “È ammissibile il ricorso per Cassazione della parte civile, i cui motivi siano stati redatti e presentati da un addetto all'avvocatura distrettuale dello Stato anziché' dall'avvocatura Generale. Ed invero la ripartizione delle attribuzioni, prevista dagli artt. 1 -2 del Regolamento di cui al R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 e 9 legge 3 aprile 1979 n. 103, -secondo cui la rappresentanza e difesa delle amministrazioni avanti alle Corti Superiori sono affidate all'avvocatura Generale dello Stato mentre quelle nei giudizi che si svolgono nelle rispettive circoscrizioni sono affidate alle avvocature distrettuali -può avere effetti sull'abilitazione di queste ultime allo svolgimento delle funzioni di difesa nei procedimenti davanti alla Corte di Cassazione, ma non incide in alcun modo sulla loro legittimazione a produrre i motivi del ricorso”. (37) “I procuratori dello Stato provvedono anche al servizio di procura per la cause trattate dagli teMI IStItuzIonALI disposizioni organizzative del capo dell’ufficio; trattasi di un servizio aggiuntivo a quello di ordinaria trattazione delle pratiche affidate e che non interferisce in alcun modo con l’autonomia della gestione dell’affare contenzioso che spetta a ciascun avvocato o procuratore assegnatario; il ruolo di procuratore continua ad esistere ed operare anche dopo l’eliminazione della figura nella struttura nella libera professione forense, con rilevanza non solo interna all’Istituto ed alle relative carriere per ruoli distinti, ma anche esterna per la capacità di comparire dinanzi alle giurisdizioni superiori. Su quest’ultimo punto non v’è chiarezza. Infatti, in assenza di un riferimento normativo puntuale, la giurisprudenza ha inteso interpretare in via restrittiva il dettato dell’art. 8 della l. n. 103 del 1979 ove si stabilisce che «I procuratori dello Stato possono assumere la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni nei modi di cui al secondo comma dell'art. 1 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611», nel senso che il riferimento al secondo comma dell’art. 1 menzionato riguarderebbe le sole modalità di assunzione della rappresentanza in giudizio, ovverosia la non necessarietà del conferimento di un mandato, e non l’estensione analogica ai procuratori dello Stato della disposizione nella parte in cui enuncia che «gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e in qualunque sede». In tal senso -ma in obiter dictum -si vedano alcune pronunzie della Cassazione ove, in sede di pronunzia sulla correttezza della notifica effettuata da un procuratore dello Stato, è stato argomentato che “il particolare requisito dell'iscrizione nell'albo speciale riguarda l'attività difensiva e non già quella puramente procuratoria, le quali possono non coesistere nello stesso soggetto, e la notificazione è atto dell'ufficiale giudiziario eseguibile ad istanza del procuratore” (38), con ciò lasciando intendere che il procuratore dello Stato non sarebbe titolare di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori. Segni contrari si colgono, invece, nella motivazione di una sentenza della Corte Costituzionale (29 novembre 2017 n. 245) ove, sempre a proposito di notifica effettuata da un procuratore dello Stato, si afferma che “i procuratori dello Stato -a differenza di quanto mostra di ritenere la Regione resistente sono legittimati, al pari degli avvocati dello Stato, ad esercitare il patrocinio innanzi alle magistrature superiori. Infatti, il tenore testuale dell’art. 1, secondo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’avvocatura dello Stato) e del- avvocati e dagli altri procuratori dello Stato, secondo le disposizioni dei dirigenti degli uffici, cui sono addetti”. (38) Cassazione civile, sez. trib., 24 ottobre 2019, n. 27269; sez. VI, 27 aprile 2017, n. 10403; ecc. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 l’art. 8, terzo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103 (modifiche dell’ordinamento dell’avvocatura dello Stato) chiarisce come nessuna limitazione sia prevista per i procuratori dello Stato, i quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso modo degli avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori (ciò è confermato dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 febbraio 2013, n. 769)” (39). nella prassi attuata in Avvocatura in via prudenziale, gli atti dinanzi alle giurisdizioni superiori, ancorché in affari affidati ad un procuratore dello Stato, sono controfirmati anche da un avvocato dello Stato. tuttavia, sulla base delle disposizioni normative dianzi richiamate, si dovrebbe, quanto meno, riconoscere la legittimazione al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori ai procuratori dello Stato con cinque anni di servizio, in applicazione analogica della disciplina di cui all’art. 22 della l. n. 247 del 2012 e in considerazione dell’avvenuto superamento di un concorso pubblico nazionale per l’accesso alla funzione. 2.5 Delega di funzioni. L’avvocato o procuratore dello Stato esercita il proprio mandato in via esclusiva e non delegabile, salvo alcune eccezioni. In primo luogo, l’avvocato o procuratore dello Stato non può essere affiancato nel patrocinio da altro Legale esterno, privato libero professionista o appartenente all’ufficio legale interno dell’ente patrocinato, in ragione delle caratteristiche del patrocinio quali delineate dal r.d. 1611/1933 e dalla l. 103/1979 (in prosieguo esamineremo in dettaglio le caratteristiche del patrocinio obbligatorio e facoltativo o autorizzato), salvo che per i giudizi dinanzi ad alcuni organi giudiziari internazionali. In secondo luogo, l’Avvocatura dello Stato non può essere sostituita nel patrocinio da altro patrocinatore legale se non in casi eccezionali secondo la previsione dell’art. 5 r.d. 1611 [“Nessuna amministrazione dello Stato può richiedere la assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell'avvocato generale dello Stato e (39) nella menzionata sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 769, si afferma che: “L'art. 1, comma 2, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato) stabilisce: «Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità». L'art. 8, comma 3, della 3 aprile 1979, n. 103 (modifiche dell'ordinamento dell'avvocatura dello Stato) dispone: «I procuratori dello Stato possono assumere la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni nei modi di cui al secondo comma dell'art. 1 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611». Dalla lettura combinata di queste disposizioni risulta come nessuna limitazione il sistema vigente preveda al riguardo per i procuratori dello Stato i quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso modo degli avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori”. teMI IStItuzIonALI secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei ministri. L'incarico nei singoli casi dovrà essere conferito con decreto del Capo del Governo di concerto col ministro dal quale dipende l'amministrazione interessata e col ministro delle finanze”] e dell’art. 10, comma 5, l. 103 [“Le regioni che abbiano adottato la deliberazione di cui al primo comma, possono tuttavia, in particolari casi e con provvedimento motivato, avvalersi di avvocati del libero Foro”]. tale regola vale anche per il patrocinio facoltativo regolato dagli artt. 4345 r.d. 1611 (40), secondo quanto esamineremo in dettaglio nei successivi paragrafi. L’esercizio delle funzioni può essere delegato al personale della stessa amministrazione patrocinata o ad avvocati privati, nei casi e con i limiti previsti dalle leggi istitutive o da leggi speciali (per determinate materie o amministrazioni), cioè -in via ordinaria -per le cause che si svolgono fuori della sede dell’Avvocatura (per prassi la scelta fra la delega ad un funzionario del- l’amministrazione o a un avvocato privato è rimessa all’avvocato o procuratore dello Stato titolare della pratica) ovvero -in via eccezionale -anche per le cause in sede ma solo se espressamente concesso dalla legge (quale, ad esempio, l'art. 1, L. 10 maggio 1982, n. 271, in modifica dell’art. 2 r.d. 1611, per gli enti soppressi) (41), sempre limitatamente alle funzioni procuratorie (42); i funzionari delle amministrazioni interessate sono autorizzati a rappresentare la propria amministrazione, senza necessità di delega da parte dell’avvocato dello Stato, nelle cause dinanzi ai Giudici di pace ed ai tribunali nei limiti della competenza di valore delle soppresse Preture (43), in quelle dinanzi ai (40) Vedi art. 43, comma 4, r.d. 1611/1933: “Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi dell'avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. (41) Art. 2, comma 1, r.d. 1611/1933: “Per la rappresentanza delle amministrazioni dello Stato nei giudizi che si svolgono fuori della sede degli uffici dell'avvocatura dello Stato, questa ha facoltà di delegare funzionari dell'amministrazione interessata, esclusi i magistrati dell'ordine giudiziario, ed in casi eccezionali anche procuratori legali, esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio”; ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, come modificato dalla l. 271/1982: “L'avvocatura dello Stato ha facoltà di conferire - in relazione a particolari, accertate esigenze - la delega di cui al primo comma del presente articolo a procuratori legali per quanto concerne lo svolgimento di incombenze di rappresentanza nei giudizi, civili e amministrativi che si svolgono nelle sedi degli uffici dell'avvocatura generale dello Stato o delle avvocature distrettuali, relativi a materie riguardanti enti soppressi”. (42) trib. Pisa, 21 marzo 2002: “L'art. 2 t.u. n. 1611 del 1933 secondo il quale, nei giudizi che si svolgono fuori del luogo in cui ha sede l'avvocatura, questa ha facoltà di delegare funzionari dell'amministrazione interessata, attribuisce una delega valida solo per le attività procuratorie, inerenti alla rappresentanza in lite e non già per quelle defensionali che tecnicamente sono riservate all'avvocatura, ovvero ad un legale del libero foro, nei casi di cui allo stesso art. 2 t.u. n. 1611 del 1933” (in Giur. di merito, 2002, f. 6). (43) Art. 3 r.d. 1611: “Innanzi alle Preture ed agli Uffici di conciliazione le amministrazioni dello Stato possono, intesa l'avvocatura dello Stato, essere rappresentate dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 tribunali per le procedure fallimentari di insinuazione dei crediti e per le cause possessorie, nelle controversie dinanzi alla Corte dei Conti per le cause pensionistiche (44); inoltre, nel primo grado di giudizio per le cause di lavoro, ai sensi dell’art. 417-bis c.p.c. (45), e nei procedimenti per opposizione a sanzioni amministrative di cui all’art. 23 l. 689/1981 (46), nonché per alcune fasi dei procedimenti in materia di immigrazione (d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 18, per le controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non (44) Art. 13 l. 103: “Nei procedimenti di cui all'articolo 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti difesi a norma dell'articolo 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, sono rappresentati dinanzi ai giudici allegati da propri funzionari, che siano per tali riconosciuti, salvo che non debba procedersi alla istruzione della causa. Nei procedimenti di cui agli articoli 2016 e seguenti del codice civile, le amministrazioni indicate nel comma precedente sono rappresentate da propri funzionari che siano per tali riconosciuti, salvo il caso di opposizione da parte del detentore. Nei giudizi in materia di pensioni le amministrazioni statali, comprese quelle ad ordinamento autonomo, nei casi in cui non ritengano di avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, possono delegare un proprio funzionario a sostenere, anche oralmente, nel corso del giudizio, la loro posizione”. (45) Cass. civ., sez. lavoro, 5 settembre 2016, n. 17596: “La previsione di cui all'art. 417 bis c.p.c., secondo cui le P.a., nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, possono stare in giudizio, in primo grado, mediante loro dipendenti, si differenzia da quella di cui all'art. 2 del r.d. n. 1611 del 1933, che consente all'avvocatura dello Stato di delegare per la rappresentanza dell'amministrazione un funzionario o procuratore, in quanto in un caso l'amministrazione assume direttamente la difesa, nell'altro la delega concerne la sola rappresentanza in giudizio, restando l'attività defensionale affidata all'ufficio dell'avvocatura competente per territorio. Ne consegue che nel primo caso la notifica della sentenza di primo grado, ai fini del decorso del termine breve per l'impugnazione, va effettuata allo stesso dipendente, mentre nel secondo la notifica della sentenza al delegato è radicalmente nulla, dovendosi effettuare presso gli uffici dell'avvocatura dello Stato, ex art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933”; Corte d'Appello Genova, 10 dicembre 2001: “Quando l'amministrazione dello Stato sta in causa direttamente a mezzo di propri dipendenti, ai sensi del comma 1 dell'art. 417 bis c.p.c., è ravvisabile una ipotesi di sostituzione processuale della parte secondo le previsioni generali del codice di rito e pertanto la notificazione della sentenza di primo grado, al fine della decorrenza del termine breve per l'impugnazione in appello, deve avvenire in confronto dell'amministrazione stessa ed è irrilevante, a quel fine, la notificazione eseguita presso l'avvocatura dello Stato”. (46) Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2006, n. 20441: “Nelle cause di opposizione a sanzioni amministrative, l'art. 23, comma 4, della legge n. 689 del 1981 abilita a stare in giudizio direttamente l'organo che ha emesso il provvedimento impugnato, in persona del soggetto che è investito della sua titolarità, ovvero di suoi delegati, secondo gli atti amministrativi di investitura, i quali, anche se hanno forma scritta, non sono equiparabili alla procura di cui all'art. 83 cod.proc.civ. Ne consegue che ad essi non sono applicabili la disciplina della procura al difensore e i relativi principi, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini della regolarità della costituzione in giudizio del delegato del Prefetto, la sottoscrizione (non contestata nel caso di specie) della comparsa di risposta e la sua espressa dichiarazione di stare in giudizio in tale sua qualità”; Cass. civ., sez. lavoro, 6 luglio 1991, n. 7506: “In tema di sanzione amministrativa, l'art. 23, 4° comma, l. 24 novembre 1981 n. 689 consente all'autorità che ha emesso l'ordinanza- ingiunzione di stare in giudizio personalmente e di avvalersi anche di un funzionario appositamente delegato, per cui nel giudizio di opposizione all'ingiunzione, qualora si tratti di un'amministrazione dello stato che si sia avvalsa di questa facoltà, si determina una deroga al disposto dell'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, sulla notifica degli atti presso l'avvocatura dello stato, divenendo il funzionario delegato l'unico legittimato a ricevere, per conto della parte rappresentata, le comunicazioni e le notificazioni degli atti concernenti il processo, ivi compreso il ricorso per cassazione avverso la sentenza del pretore secondo le ordinarie norme processuali”. teMI IStItuzIonALI sono membri dell'unione europea (47); d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25: art. 3 per le controversie in materia di riconoscimento e revoca dello status di rifugiato (48); art. 35-bis, per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (49)). nei casi in cui la legge conferisce direttamente ai funzionari dell’amministrazione la potestà di stare in giudizio non è richiesta espressa delega del- l’Avvocatura dello Stato ma quest’ultima è pur sempre autorizzata a comparire in giudizio qualora la stessa amministrazione lo richieda. In tutti i casi nei quali lo jus postulandi è delegato (al funzionario o all’avvocato privato) dall’avvocato dello Stato, l’Avvocatura conserva la rappresentanza in giudizio dell’Amministrazione con il connesso potere di sottoscrivere gli atti, di partecipare direttamente alle udienze, di affiancare il procuratore delegato, di sostituirsi a lui e di sostituirlo o di revocarlo. tale rappresentanza è rigorosamente limitata alle funzioni procuratorie da esplicarsi nella sede dove si svolge il giudizio, nonché subordinata alla pendenza dello stesso giudizio o della sua fase che si svolge nella stessa sede; la delega in questione, inoltre, non è efficace in relazione alle attività processuali successive alle pronunce delle sentenze inerenti allo stesso giudizio. Diversamente, vera e propria portata derogatoria della difesa dell’Avvocatura dello Stato è quella contemplata, con previsione di portata generale dall’art. 3, r.d. 1611/1933, che contiene una disposizione di carattere di massima, applicabile ai giudizi innanzi al tribunale e al giudice di pace quale che sia il tipo di causa [“innanzi ai tribunali ordinari ed ai giudici di pace le amministrazioni dello Stato possono, intesa l’avvocatura dello Stato, essere rappresentate dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti”]. Per l’attivazione del meccanismo previsto da tale disposizione occorre, in ogni caso, un preventivo “accordo” (“intesa l’avvocatura dello Stato”, afferma testualmente il citato art. 3), in mancanza del quale non può esservi delega delle funzioni di rappresentanza a funzionario dell’amministrazione (50). (47) Art. 18: “1. Le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del decreto di espulsione pronunciato dal prefetto ai sensi del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. … 6. L'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato può costituirsi fino alla prima udienza e può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati”. (48) Art. 3: “3-quinquies. Il ricorso è notificato all’autorità che ha adottato il provvedimento a cura della cancelleria. L’autorità può stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti e può depositare, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso, una nota difensiva. Entro lo stesso termine l’autorità deve depositare i documenti da cui risultino gli elementi di prova e le circostanze indiziarie posti a fondamento della decisione di trasferimento”. (49) Art. 35-bis:“7. Il ministero dell'interno, limitatamente al giudizio di primo grado, può stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di un rappresentante designato dal presidente della Commissione che ha adottato l'atto impugnato. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 417bis, secondo comma, del codice di procedura civile. Il ministero dell'interno può depositare, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, una nota difensiva”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 nelle cause tributarie vige un regime particolare, regolato dalla legge: -nel processo tributario disciplinato dal d.lgs. 546/1992, articoli 11 e 12, è disposto che: “2. L'ufficio dell'agenzia delle entrate e dell'agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonché dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato” (art. 11); “1. Le parti, diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. … 8. Le agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, possono essere assistite dall'avvocatura dello Stato” (art. 12). Pertanto, le agenzie fiscali normalmente si difendono per i primi due gradi del giudizio, dinanzi alle Commissioni tributarie, con propri funzionari (esiste, infatti, al loro interno un ufficio contenzioso che cura il servizio) e, sempre per i primi due gradi di giudizio (51), possono chiedere il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (52) ovvero -secondo la giurisprudenza intervenuta dopo (50) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 16 settembre 2011, n. 19027: “In materia di difesa della P.a., qualora l'autorità amministrativa sia rappresentata in giudizio da un funzionario delegato, non sono applicabili la disciplina della procura al difensore e i relativi principi, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini della regolarità della costituzione del delegato, la sottoscrizione del ricorso e la sua espressa dichiarazione di stare in giudizio in tale sua qualità. Ciò in conformità del principio secondo cui la investitura dei pubblici funzionari nei poteri che dichiarano di esercitare nel compimento degli atti inerenti il loro uffici si presume, costituendo un aspetto della presunzione di legittimità degli atti amministrativi. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, cod. proc. civ.)”. (51) Comm. trib. prov. Milano Sez. XXIII, 21 giugno 1999, Enel c. Uff. tecnico erariale milano (in Boll. Trib., 1999, 1143): “Nel processo tributario la posizione degli uffici finanziari non differisce da quella in cui si trovano le amministrazioni statali che, sulla base di specifiche disposizioni di legge, stanno in giudizio direttamente, e tuttavia, all'occorrenza, possono essere rappresentate e difese dal- l'avvocatura dello Stato. In contrario non può valere il richiamo all'art. 12 comma 4 d.lg. n. 546 del 1992, dal quale si vorrebbe desumere "a contrariis" l'impossibilità del ricorso all'assistenza tecnica, in quanto, così opinando si porrebbero gli uffici del ministero delle finanze, in posizione deteriore rispetto a quella degli enti locali, e si precluderebbe quell'attività di coordinamento per la difesa dell'amministrazione che, ai sensi dell'art. 37 d.lg. n. 545 del 1992, è realizzata anche in concorso con l'avvocatura dello Stato. In sostanza nei giudizi tributari di I grado l'amministrazione finanziaria resta in giudizio direttamente e l'avvocatura dello Stato può soltanto discrezionalmente decidere di assumere di volta in volta il patrocinio, mentre nei giudizi di II grado la valutazione dell'opportunità di ricorrere all'assistenza ed alla difesa dell'avvocatura è rimessa direttamente ed esclusivamente all'amministrazione, senza che l'avvocatura stessa possa esimersi dal prestare il proprio patrocinio”. (52) Secondo Cass. [ord.], sez. VI-5, 29 marzo 2021, n. 8671: “In tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui all'art. 12, comma 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che prevede la facoltà per i soli uffici finanziari (agenzia delle Entrate, delle Dogane e dei monopoli) di farsi assistere anche dall'avvocatura delio Stato, non sta ad indicare una facoltà "residuale" quanto, piuttosto, una facoltà "aggiuntiva" per detti uffici finanziari, fermo restando che nessuna norma impedisce che questi o gli agenti della riscossione o gli enti locali possano farsi assistere da difensori abilitati anche privati, posto teMI IStItuzIonALI la riforma di cui al d.l. 193/2016 e il Protocollo d’intesa sottoscritto fra Agenzia e Avvocatura dello Stato -di avvocati del libero foro (53); per il giudizio in Cassazione (ed eventuali giudizi dinanzi alla Corte di Giustizia ue e alla Corte europea dei diritti dell’uomo) scatta il patrocinio obbligatorio ed esclusivo dell’Avvocatura dello Stato (54); che una simile limitazione mal si concilierebbe con l'art. 24, comma 2, Cost.”; in precedenza, prima della riforma di cui al d.l. 193/2016, l’orientamento era contrario, come espresso da Cass. civ., sez. V, 6 settembre 2004, n. 17936: “In tema di contenzioso tributario, né il primo comma dell'art. 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 -che stabilisce, per le parti diverse dall'ufficio del ministero delle finanze o dall'ente locale, l'obbligo dell'assistenza tecnica -, né il successivo comma 4 della norma stessa -che prevede la facoltà, per i soli uffici finanziari, di farsi assistere, nei giudizi di appello, dall'avvocatura dello Stato -, impediscono che gli uffici finanziari o gli enti locali possano farsi assistere in giudizio da difensori abilitati, anche privati, ponendo, peraltro, una diversa interpretazione dubbi di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.” (53) nella sentenza Cass. 8671/2021 citata nella precedente nota, si legge in motivazione: “4. Ciò precisato osserva il Collegio che il motivo in esame è fondato alla stregua delle disposizioni introdotte dalla riforma del settore di cui al D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225 (vigente all'epoca di notifica del ricorso d'appello, effettuata in data 07/11/2017, come risulta dalla stessa sentenza impugnata), cui ha fatto seguito la stipula del Protocollo d'intesa tra avvocatura dello Stato e agenzia delle Entrate-Riscossione n. 36437 del 5 luglio 2017, nonché alla luce della sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 30008 del 2019, che pronunciando al riguardo, hanno affermato (par. 24) il seguente principio di diritto: «impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) del- l'avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all'organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal citato R.D., art. 43, comma 4 -nel rispetto del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 4 e 17, e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del D.L. 193 del 2016, art. 1, comma 5, conv. in L. n. 225 del 2016 -in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all'avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell'avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l'agenzia e l'avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell'agenzia a mezzo dell'una o dell'altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità. (Principio enunciato ai sensi dell'art. 363 c.p.c.)». 5. Il Protocollo d'intesa tra avvocatura dello Stato e agenzia delle Entrate -Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, ha poi previsto espressamente, al punto 3.4.2, in tema di "Contenzioso afferente l'attività di Riscossione", che «L'Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: (...) liti innanzi alle Commissioni Tributarie». 6. Successivamente, Cass. n. 31241 del 2019, esaminando analoga questione, muovendo dalla citata pronuncia delle Sezioni unite, ha espressamente affermato (a pag. 7) che «anche alla luce dello ius superveniens, l'a.d.E.R. in appello ben poteva costituirsi con avvocato del libero foro»". (54) Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2000, n. 657: “Gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria sono legittimati a stare in giudizio soltanto di fronte alle commissioni tributarie provinciali e regionali; pertanto, il ricorso per cassazione deve essere proposto nei confronti del ministero delle finanze, e deve essere notificato presso l'avvocatura generale dello Stato, onde è inammissibile il ricorso proposto nei confronti di un ufficio periferico, e notificato presso il medesimo”; Cass. civ., sez. I, 17 giugno 1998, n. 6034: “La facoltà attribuita, dall'art. 41, ultimo comma, D.P.R. n. 287/1992 e dall'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992, ai singoli Uffici finanziari, di curare, relativamente ai tributi di rispettiva compe rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 -nel processo di riscossione, già curato da equitalia spa e ora dalla nuova Agenzia delle entrate e riscossione-ADer, ai sensi della riforma di cui al d.l. 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), il cui art. 1, comma 8, recita: “8. L'ente è autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato ai sensi del- l'articolo 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, fatte salve le ipotesi di conflitto e comunque su base convenzionale. Lo stesso ente può altresì avvalersi, sulla base di specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo, di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ovvero può avvalersi ed essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente; in ogni caso, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, l'avvocatura dello Stato, sentito l'ente, può assumere direttamente la trattazione della causa. Per il patrocinio davanti alle commissioni tributarie continua ad applicarsi l'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546…”; la detta norma è stata interpretata autenticamente dall’art. 4-novies del d.l. 30 aprile 2019, n. 34 (inserito dalla legge di conversione 28 giugno 2019, n. 58) nei seguenti termini: “1. Il comma 8 del- l'articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell'articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l'agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell'avvocatura dello Stato nei giudizi a quest'ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio” (55). tenza, la rappresentanza e la difesa dell'amministrazione avanti alle Commissioni tributarie e di farsi rappresentare in giudizio dai propri funzionari, si esaurisce con la decisione di secondo grado, non essendo prevista alcuna ulteriore deroga al principio generale di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, riguardante la rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato tramite l'avvocatura dello Stato. Ciò ha rilievo anche ai fini della notifica della decisione di secondo grado, la quale va effettuata all'avvocatura generale dello Stato, affinché decorra il termine breve (sessanta giorni per proporre ricorso in Cassazione)”. (55) Vedi Cass. civ., Sez. unite, 19 novembre 2019, n. 30008, il cui principio di diritto è stato riportato testualmente da Cass. 8671/2021 richiamata nelle precedenti note. teMI IStItuzIonALI 2.6 autorità giudiziarie. Gli avvocati dello Stato esercitano le proprie funzioni dinanzi a tutte le giurisdizioni, nazionali ed internazionali, secondo le prerogative fissate dalle leggi istitutive, come previsto dall’art. 1, comma 2, r.d. 1611 [“Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede”] e dall’art. 9, comma 1, l. 103 [“L'avvocatura generale dello Stato provvede alla rappresentanza e difesa delle amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, alla Corte di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle altre supreme giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o comunitari”]. In tutti i casi si tratta di mandato ex lege che non abbisogna di specifica attribuzione né prova documentale, come fin qui chiarito. Per la Corte Costituzionale la fonte normativa è quella dell’art. 20, comma 3, legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87. Per le Corti europee, la fonte normativa è data dal combinato disposto delle norme dei regolamenti processuali di ciascuna Corte -che prevedono la rappresentanza in giudizio in capo ad un Agente -con le leggi dei singoli Stati che regolano il conferimento dell’incarico di Agente del Governo ed il patrocinio della pubblica amministrazione. Sul punto torneremo nel dettaglio in prosieguo. 3. mandato obbligatorio, facoltativo e autorizzato. La ratio dell’estensione del patrocinio erariale ad enti diversi dallo Stato si rinviene nello stretto collegamento e interdipendenza tra i fini dello Stato e quelli degli enti a patrocinio autorizzato, nonché in esigenze di contenimento della spesa pubblica che l’assunzione della difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato garantisce rispetto al patrocinio degli avvocati del libero foro. L’evoluzione legislativa, dal 1875 ad oggi, che ha portato ad attribuire funzioni “esterne” all’Avvocatura dello Stato, come il patrocinio innanzi alla Corte costituzionale o al di fuori dello stesso ordinamento statale, in sede comunitaria ed internazionale, fornisce riprova di quanto detto dalla Corte di Cassazione: “l’avvocatura dello Stato difende gli interessi unitari della collettività nazionale” (Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 1999, n. 550). Il principio di esclusività del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a favore di tutte le Amministrazioni pubbliche da essa difese ha costantemente garantito, conformemente alla funzione giustiziale propria della difesa erariale, sia il rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa sia, soprattutto, la certezza del diritto processuale per coloro che agiscono in giudizio contro gli enti pubblici sia, ancora, l’uniformità di indirizzo interpretativo per tutte le amministrazioni difese, con conseguente garanzia per i diritti dei cittadini (c.d. funzione nomofilattica dell’Avvocatura dello Stato). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 Le leggi regolatrici dell’Avvocatura distinguono fra patrocinio obbligatorio o facoltativo, riservando il primo all'attività di rappresentanza e difesa in giudizio resa dall'Avvocatura dello Stato in favore delle "amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo" (art. 1 t.u. r.d. 1611), per le quali il patrocinio è, appunto, obbligatorio ed esclusivo, con applicazione delle regole del c.d. foro dello Stato di cui all'art. 6 del t.u. n. 1611/1933, nonché quelle del domicilio ex lege e della notifica degli atti giurisdizionali presso l'Avvocatura ex art. 11 del t.u. n. 1611/1933, in persona dell’organo fornito del potere di rappresentanza processuale secondo i rispettivi statuti e leggi regolatrici e che, per le amministrazioni statali centrali, è costituito dal Ministro preposto al dicastero interessato (56) (ai sensi della l. n. 260/1958 che ha introdotto modifiche importanti al r.d. 1611/1933). L'esclusività e l'obbligatorietà del patrocinio dell'Avvocatura valgono per tutte le controversie in cui sia parte, davanti a qualsiasi giudice -ordinario od amministrativo -un’amministrazione statale, che non potrebbe chiedere l'assistenza di avvocati del libero foro, se non in casi "assolutamente eccezionali" (art. 5 del t.u. n. 1611/1933). Il patrocinio si estende a tutti i poteri dello Stato, con riguardo all’esercizio di attività di natura amministrativa, come la Camera dei deputati ed il Senato (57). un eventuale affidamento del patrocinio ad avvocati privati da parte di amministrazioni patrocinate in via obbligatoria dell’Avvocatura dello Stato sarebbe radicalmente nullo per contrarietà a norme di legge imperative (il t.u. 1611/1933 e le leggi di contabilità di Stato) e tale da non giustificare neppure un legittimo affidamento nell’avvocato affidatario (58). (56) Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 469: “Quando parte in giudizio sia un'amministrazione dello Stato, vale sempre il principio della esclusiva legittimazione del ministero in persona del ministro pro tempore”; Cass. civ. [ord.], sez. lavoro, 20 ottobre 2020, n. 22802: “In base all'art. 4 della legge n. 260 del 1958 la carenza di legittimazione passiva dell'organo dello Stato convenuto nel giudizio di responsabilità costituisce una mera irregolarità sanabile, che deve essere eccepita dall'avvocatura dello Stato nella prima udienza utile, con la contestuale indicazione dell'organo effettivamente legittimato, sicché, in difetto di tempestiva eccezione, resta preclusa la possibilità di far valere l'irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale ed è anche impedito al giudice di rilevare d'ufficio l'erronea individuazione del soggetto da evocare in giudizio”; Cass. civ. [ord.], Sez. VI -2, 6 marzo 2018, n. 5314: “L'art. 4 della legge 25 marzo 1958 n. 260, che consente alla difesa erariale di eccepire solo entro la prima udienza l'errata indicazione della persona cui l'atto introduttivo doveva essere notificato, deve ritenersi applicabile anche quando l'errore d'identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell'avvocatura dello Stato … ma, in forza del principio del- l'effettività del contraddittorio, la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di "stabilizzazione" nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio”. (57) Cass. civ., 23 marzo 1981, n. 1667 e 1668: “Nelle controversie instaurate con soggetti privati o pubblici, purché non statali, legittimamente l'avvocatura dello stato rappresenta e difende in giudizio la camera dei deputati, come ogni altro organo costituzionale, senza necessità di specifico mandato”. teMI IStItuzIonALI Per amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (secondo l’art. 1 r.d. 1611) devono intendersi tutte quelle facenti parte della struttura organica dell’ente-Stato, riconducibili, per creazione, struttura e finalità, al vertice della struttura amministrativa statale, quindi alle sue istituzioni centrali e, in primo luogo, al Governo, ancorché dotate di autonoma personalità giuridica o costituite per un arco di tempo definito o per specifiche necessità transitorie (59), quali le agenzie e autorità variamente denominate (60), gli istituti tecnici scolastici (61), gli enti di riforma fondiaria (ora enti di sviluppo) (62) e le strutture commissariali di nomina governativa (63). (58) Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 780, che in un caso clamoroso di illegittimo affidamento del patrocinio da parte di un Ministero ad avvocati privati, ha statuito, non solo, che “il Testo Unico n. 1611 del 1933 consente alle amministrazioni statali di designare un professionista del libero foro solo nei casi previsti dalla legge e preclude radicalmente che la medesima attività -in luogo del- l'avvocatura dello Stato -sia svolta da liberi professionisti con oneri a carico dello Stato” ma, inoltre, che “la violazione di norme imperative, ben note ai professionisti che hanno partecipato ad un bando, legittima la revoca del bando e non dà luogo ad un alcun risarcimento in mancanza di un ragionevole affidamento giuridicamente tutelato”. (59) Quale l’ufficio Speciale per la ricostruzione dell'Aquila; v. Cons. Stato, sez. IV, 18 settembre 2019, n. 6231: “L'articolo 67 ter comma 3^ del D.L. n. 83 del 2012, per effetto della modifica apportata dall'art. 4 comma 8 octies del D.L. n. 133 del 2014, prevede espressamente che gli Uffici speciali si avvalgano del patrocinio dell'avvocatura dello Stato ai sensi dell'articolo 1 del R.D. n. 1611 del 1933: si tratta pertanto di patrocinio obbligatorio e non facoltativo con conseguente inderogabile necessità di eseguire la notifica presso gli uffici dell'avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933, a pena di nullità”. (60) Quale l’Agenzia naz. beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Cass. pen., sez. I, 19 settembre 2014, n. 21); l’Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno (Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 10 gennaio 1996, n. 4); l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (t.a.r. Calabria, sez. II, 13 febbraio 2007, n. 53). (61) Cass. civ., sez. lavoro, 1 dicembre 2020, n. 27424: “Nella controversia in cui sia parte un ente pubblico che, pur svolgendo funzioni strumentali al perseguimento degli interessi generali e pur inserito nell'organizzazione statale, sia dotato di autonoma personalità giuridica, la notifica della sentenza nei confronti di tale ente deve essere effettuata presso l'ufficio dell'avvocatura erariale individuato ex art. 11, comma 2, della l. n. 1611 del 1933, restando irrilevante che l'ente sia rimasto contumace nel giudizio, atteso che la domiciliazione è prevista per legge e spiega efficacia indipendentemente dalla scelta discrezionale di costituirsi o meno”. (62) Cass. civ., Sez. unite, 16 ottobre 1989, n. 4145: “La rappresentanza e difesa in giudizio degli enti di riforma fondiaria, poi trasformati in enti di sviluppo (nella specie, ente di sviluppo in Puglia e Lucania), come in genere degli enti statali e regionali per i quali siano intervenuti i provvedimenti generali attuativi della facoltà di avvalersi del patrocinio e della assistenza dell'avvocatura dello stato, spetta ex lege alla avvocatura medesima, senza che si richieda una specifica deliberazione, né il conferimento di procura, necessaria solo al fine del ricorso a liberi professionisti (art. 43 segg. r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, come modificati dalla l. 3 aprile 1979 n. 103, resi applicabili dall'art. 3 ultimo comma l. 9 luglio 1957 n. 600)”. (63) tribunale Catanzaro, sez. II, 1 febbraio 2008: “Il commissario delegato per l'emergenza ambientale, quale organo straordinario dell'amministrazione centrale dello Stato, è soggetto alla difesa necessaria dell'avvocatura erariale, di talché eventuali contratti di patrocinio stipulati con avvocati di libero foro sono radicalmente nulli, per contrasto con norma imperativa, ed ai professionisti, ai sensi dell'art. 2231 c.c., non è data alcuna azione per il pagamento delle prestazioni rese”; t.a.r. Calabria Catanzaro, sez. I, 1 marzo 2006, n. 236: “Il Commissario Delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria, benché costituito presso l'Ufficio di Presidenza della Regione Calabria, rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 un discorso a parte va sviluppato per il Sindaco quale ufficiale di Governo: infatti, se è vero che in quelle ipotesi il sindaco agisce con poteri dello Stato a lui delegati ex lege, resta ferma la sua autonomia istituzionale e strutturale, così che -da un lato -deve ritenersi autorizzato ad avvalersi del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato (altrimenti non utilizzabile perché le amministrazioni locali e gli enti da queste controllate sono escluse da quella possibilità, riservata dalla l. 103/1979 solo alle regioni ed ai suoi enti, salvo che per i comuni della regione autonoma trentino-Alto Adige, in forza di espressa disposizione delle disposizioni statutarie (64)) ma -dall’altro lato -facoltizzato anche a difendersi direttamente, a mezzo del proprio ufficio legale o di avvocati privati, previa intesa con l’Avvocatura ed adozione di apposita deliberazione: in proposito, l’orientamento della giurisprudenza non è univoco (65) e la soluzione prospettata deriva da una prassi comportamentale ha veste di organo straordinario della Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento della Protezione Civile) di cui si avvale il competente apparato statale per lo svolgimento dei compiti attribuiti dalla legge n. 225 del 1992 in materia di protezione civile. Ne consegue che trovano piena applicazione le norme del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, nonché delle altre leggi in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, riguardanti il patrocinio dello Stato e la notificazione degli atti alle amministrazioni statali”. (64) D.p.r. 1 febbraio 1973, n. 49 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-alto adige), art. 41, come sostituito dal d.lgs. 106/2004: «La regione, le province, i comuni e gli altri enti locali possono avvalersi del patrocinio legale dell'avvocatura dello Stato». (65) Cass. civ. [ord.], sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3660: “Il ricorso contro il provvedimento del sindaco che dispone il trattamento sanitario obbligatorio dev'essere promosso nei confronti del sindaco quale ufficiale di governo, cioè organo diretto dello stato, e non quale rappresentante del comune, ente estraneo alla procedura, sicché la sua evocazione in giudizio in quest'ultima veste determina un vizio relativo non solo alla notificazione del ricorso, ma all'editio actionis, cioè al contenuto dell'atto introduttivo, che è causa della nullità ex art. 164, 4° comma, c.p.c., sanabile ai sensi del successivo 5° comma mediante la rinnovazione dell'atto da notificarsi presso l'avvocatura generale dello Stato”; Cons. Stato, sez. VI, 28 giugno 2010, n. 4135: “L'atto emesso dal sindaco quale ufficiale di governo rappresenta una fattispecie di imputazione giuridica allo stato degli effetti di provvedimenti adottati da un organo del comune, pur restando detto organo incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale; in caso di impugnativa dei provvedimenti in questione, pertanto, la notifica del ricorso è correttamente effettuata presso la casa comunale, e non presso l'avvocatura dello stato, le cui funzioni di rappresentanza, ex art. 1 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 si riferiscono alle amministrazioni dello stato in senso proprio e non all'esercizio di funzioni statali da parte di organi di altri enti”; t.a.r. Abruzzo, 8 settembre 2011, n. 443: “anche se l'ordinanza contingibile ed urgente viene emessa dal sindaco quale ufficiale del governo si tratta pur sempre di atto imputabile al comune, del quale l'autorità emanante è organo; per tale ragione la legittimazione a resistere spetta al comune ed il ricorso giurisdizionale deve essere notificato presso la sede del comune e non presso l'avvocatura dello Stato”; t.a.r. Lazio roma, sez. II ter, 11 luglio 2005, n. 5607: “La notificazione dell'impugnazione di atti adottati dall'amministrazione comunale deve essere effettuata al sindaco presso la sede del comune, anziché presso l'avvocatura dello Stato, poiché nemmeno l'esercizio da parte del sindaco, organo di vertice di un ente locale territoriale, di funzioni di ufficiale di governo è sufficiente perché risultino applicabili le norme di cui al R.D. n. 1611/1933 (sulla rappresentanza in giudizio dello Stato) e successive modificazioni, che attribuiscono all'avvocatura dello Stato (ai sensi dell'art. 11, del citato R.D., anche domiciliataria ex lege) la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni statali e di quelle ulteriori specificamente indicate da disposizioni di legge (artt. 43 e 44 del citato R.D.); tra queste non rientra, infatti, la figura del sindaco nemmeno quale ufficiale di governo”; t.a.r. emilia-romagna Bologna, sez. II, 25 novembre 2003, n. 2512: “La notificazione eseguita teMI IStItuzIonALI prevalsa nella gestione pratica del contenzioso, di solito con la contestuale costituzione anche per il Ministero cui fanno capo quei poteri e che vigila sul loro corretto esercizio (ad esempio, Ministero dell’Interno per i provvedimenti in materia di ordine pubblico o per i servizi di anagrafe) (66). Alle università, dopo la riforma della l. 9 maggio 1989, n. 168 sull'autonomia universitaria, non compete più la qualità di organi dello Stato, bensì quella di enti pubblici autonomi (67), quindi il patrocinio dell’Avvocatura è al sindaco presso la sede del Comune, in luogo dell'avvocatura distrettuale dello Stato, è considerata rituale, in quanto il sindaco, nonostante rappresenti un organo di vertice di un ente territoriale locale ed eserciti funzioni di ufficiale di Governo, non è soggetto all'applicabilità delle norme relative al R.D. n. 1611 del 30 ottobre 1933 -rappresentanza in giudizio dello Stato -e successive modifiche, che conferiscono all'avvocatura dello Stato, secondo l'art. 11 R.D. cit., anche domiciliataria ex lege, il potere di rappresentare in giudizio le amministrazioni statali e di quelle ulteriori indicate puntualmente da disposizioni di legge , artt. 43 e 44 R.D. cit., tra le quali non è contemplata la figura del sindaco ufficiale di Governo; nel caso di specie, un avvocato di libero foro assisteva in giudizio il sindaco di Forlì”. (66) Costituisce, infatti, principio unanimemente condiviso che: «Nel nostro ordinamento l’esercizio di alcune funzioni di competenza statale è stato affidato al Sindaco, che le esercita non come vertice dell’ente locale, ma nella diversa qualità di ufficiale di governo» (Cons. St., n. 4899/2015); che «sussiste tra il Sindaco ed il ministero dell'Interno una "relazione interorganica" di subordinazione che assoggetta il primo ai poteri di direttiva e vigilanza del secondo, per l'uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale» (Cons. St., n. 5047/2016); che i giudizi in materia di tenuta dei registri anagrafici devono «assicurare anche l'interesse dell'organizzazione pubblica alla uniforme tenuta dei registri dello Stato civile delle persone sicché al suo soddisfacimento non basta la legittimazione del Sindaco concretamente responsabile nel Comune ove la richiesta di annotazione abbia luogo essendo ravvisabile anche uno specifico interesse del ministro dell'Interno, atteso che quest'ultimo, per ovvie ragioni (ossia per la indubbia polverizzazione della figura sindacale nell'ambito del territorio nazionale), ha interesse a dare direttive e a conformare l'altrimenti spontanea iniziativa ed orientamento (variegato) di coloro che rivestono la carica» (Cass. civ. ord. 22 febbraio 2018, n. 4382). (67) Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2020, n. 2556: “alle Università statali, dopo la riforma della L. 9 maggio 1989, n. 168 sull'autonomia universitaria, non compete più la qualità di organi dello Stato, bensì quella di enti pubblici autonomi; ne consegue che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell'avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio degli artt. da 1 a 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, bensì, in virtù dell'art. 56 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il patrocinio c.d. autorizzato (o facoltativo) degli art. 43 (come modificato dall'art. 11 della L. 3 aprile 1979, n. 103) e 45 del R.D. n. 1611 del 1933, con i limitati effetti di una tale forma di assistenza legale, e segnatamente: i) esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell'avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera; ii) inapplicabilità del foro dello Stato (art. 25 cod. proc. civ.) e della domiciliazione presso l'avvocatura dello Stato ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 cod. proc. civ.), previsti per le sole amministrazioni dello Stato”; t.a.r. Lazio roma, sez. III, 1 marzo 2021, n. 2470: “È inammissibile per inesistenza della notifica un ricorso all'Università in quanto effettuata presso l'avvocatura Generale dello Stato. Dopo la riforma introdotta dalla legge n. 168/1989, le Università, non possono essere qualificate come organi dello Stato, dovendo essere inquadrate nella categoria degli enti pubblici autonomi, con la conseguenza che non opera il patrocinio obbligatorio dell'avvocatura dello Stato, disciplinato dagli artt. da 1 a 11 del R.D. n. 1611/1933, bensì, in virtù dell'art. 56 del R.D. n. 1592/1933, il patrocinio facoltativo o autorizzato regolato dagli artt. 43 e 45 del R.D. n. 1611/1933, con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza, ovvero: esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell'avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera; inapplicabilità delle disposizioni sul foro erariale e sulla domiciliazione presso l'avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 del tipo facoltativo (68) e non si applicano le disposizioni di cui all’art. 11 r.d. 1611 (69); è soggetto al regime autorizzato una volta esercitata la facoltà, con conseguente assunzione in via organica ed esclusiva del patrocinio ai sensi dell’art. 43, anche qualora l’università sia dotata di un ufficio legale interno (circostanza, questa, che non autorizza alcuna deroga alla detta disciplina, secondo recente giurisprudenza della Cassazione (70)). Lo stesso dicasi per il Consiglio Superiore della Magistratura (71), per l’AnAS (72) e per le Agenzie fiscali, autorizzate ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dalla legge istitutiva (73). (68) Secondo Cass., 5 ottobre 2018, n. 24545. Lo stesso regime opera per le Aziende ospedaliere universitarie. (69) Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2020, n. 2556: “Nell'ambito di controversie contro le Università Statali, se il ricorso risulta erroneamente notificato presso l'avvocatura Generale dello Stato che, tuttavia, non ne ha la rappresentanza legale, non sussistono i presupposti per accordare il beneficio della rimessione in termini, in quanto l'art. 37 del D.Lgs. n. 104/2010, risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, va considerato norma di stretta interpretazione”. (70) Così Cass. civ., sez. lavoro, 12 maggio 2021, n. 12642: “6.1 I richiamati principi non subiscono deroghe qualora, come nella fattispecie, l'Università, esercitando il potere di autonomia statutaria previsto dall'art. 33 Cost. e dalla legge n. 168/1989, si doti di un'avvocatura interna, perché anche in tal caso non vengono meno gli interessi pubblici che il legislatore ha apprezzato nel dettare la disciplina del patrocinio autorizzato. Infatti, le ragioni per le quali enti diversi dallo Stato sono tendenzialmente obbligati ad avvalersi dell'avvocatura non si esauriscono nella sola necessità di evitare inutile dispendio di denaro pubblico, giacché la difesa unitaria persegue anche l'obiettivo di tutelare, ove non emerga un evidente conflitto, l'interesse del singolo ente in modo armonico rispetto alle esigenze pubbliche perseguite dallo Stato e dalla P.a. nel suo complesso. Va, quindi, escluso che l'Università, seppure in condizione di avvalersi di dipendenti autorizzati all'esercizio della professione legale, debba esplicitare le ragioni per le quali ritenga opportuno affidare la difesa all'avvocatura, perché il potere di rappresentanza è conferito a quest'ultima dalla legge e la delibera motivata è richiesta solo qualora l'ente ritenga di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario”. (71) Cass. civ., Sez. unite, 19 dicembre 2012, n. 23464: “Il Consiglio Superiore della magistratura non è un'amministrazione dello Stato in senso stretto, trattandosi dell'organo di autogoverno di un ordine autonomo e indipendente, nonché del potere dello Stato investito delle funzioni di cui all'art. 105 Cost., sicché esso può ricorrere, per il patrocinio difensivo, al libero foro, non essendo ciò incompatibile con l'ordinario sistema della difesa in giudizio della P.a., affidata all'avvocatura dello Stato dall'art. 5 del r.d. n. 1611 del 1933. La facoltà del Consiglio Superiore della magistratura di ricorrere al foro libero senza attivare la complessa procedura di deroga prevista dall'art. 5 citato consente, inoltre, di evitare che, nei giudizi in cui sia parte anche il ministro della Giustizia (come quello di specie), l'avvocatura dello Stato debba rappresentare entrambe le parti”. (72) Cass. civ., sez. lavoro, 6 novembre 2018, n. 28255: “Le particolari disposizioni in materia di foro erariale (art. 25 c.p.c. e artt. 6 e 10 del r.d. n. 1611 del 1933) e di notifica degli atti introduttivi del giudizio presso gli uffici periferici dell'avvocatura dello Stato (art. 11 del cit. r.d.) si applicano alle sole controversie nelle quali sia parte un'amministrazione dello Stato; dette disposizioni non sono pertanto estensibili alle controversie nelle quali siano parte altri enti che, pur rappresentati e difesi in giudizio dell'avvocatura, abbiano soggettività giuridica formalmente distinta dallo Stato. (Fattispecie relativa all'aNaS che, trasformata con d.lgs. n. 143 del 1994 in Ente nazionale per le strade, ente pubblico economico, con d.l. n. 138 del 2002, conv. con modif. in l. n. 178 del 2002, ha perso la connotazione di amministrazione statale)”. (73) Art. 72 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300: “Le agenzie fiscali possono avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, ai sensi dell'articolo 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni”; in ossequio a questa disposizione, tutte le Agenzie fi teMI IStItuzIonALI Il patrocinio facoltativo, ai sensi dell’art. 43 r.d. 1611/1933, è esteso anche agli organismi di altre nazioni e a quelli internazionali, secondo il d.p.r. 173/1981 (74), nonché alle regioni. Per queste ultime vige un regime particolare, inteso a salvaguardare la loro autonomia costituzionale, basato sul combinato disposto dell'art. 107 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, e dell’art. 10 l. 103/1979, in forza dei quali il patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello Stato in favore delle regioni si inquadra nel- l'ambito del regime delle amministrazioni statali (cioè patrocinio obbligatorio, senza necessità di mandato) ma sempre con la necessità di assumere una deliberazione generale di attribuzione o revoca di tale attribuzione (75); stesso regime vale anche per le regioni a statuto speciale (76). scali -entrate e riscossione, Dogane e monopoli, Demanio -hanno deliberato l’affidamento del patrocinio all’Avvocatura dello Stato e stipulato con la stessa specifici Protocolli d’intesa, come specificato nel testo. (74) D.p.r. 17 febbraio 1981, n. 173 (Conferimento all'avvocatura dello Stato della rappresentanza e della difesa in giudizio degli organismi comunitari): “L'avvocatura dello Stato è autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi davanti alle autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, della Comunità economica europea, della Comunità europea per l'energia atomica e della Banca europea per gli investimenti”; Cass. civ. [ord.], Sez. unite, 2 dicembre 2013, n. 26935: “La Comunità europea che sia parte in una lite può giovarsi dell'assistenza e difesa di un avvocato del libero foro, non avendo l'obbligo, in quanto ente sovranazionale, di avvalersi dell'avvocatura dello Stato, significativamente rivolgendosi il tenore letterale del d.P.R. 17 febbraio 1981, n. 173, non alla Comunità o alla Commissione, bensì all'avvocatura stessa, la quale può assumere il patrocinio legale di un ente soltanto in presenza di un'espressa disposizione legislativa al riguardo”. (75) Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 1984, n. 685: “L'art. 107, d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, per il quale il patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello stato in favore delle regioni si inquadra nell'ambito del regime delle amministrazioni non statali, deve ritenersi integrato dalla l. 3 aprile 1979, n. 103 (contenente modifiche all'ordinamento dell'avvocatura dello stato), la quale ha assunto tale patrocinio nel- l'ambito del regime delle amministrazioni statali; pertanto, il jus postulandi dell'avvocatura dello stato in favore delle regioni deriva direttamente dalla legge, sicché il suo esercizio non richiede che l'affidamento del patrocinio si esteriorizzi con il conferimento di procura formale”; Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 1985, n. 414: “Pur dopo la l. 3 aprile 1979, n. 103, in forza dell'art. 107, d. p. r. 24 luglio 1977, n. 616, che include le regioni a statuto ordinario fra gli enti dei quali l'avvocatura dello stato può assumere la rappresentanza e la difesa secondo il regime di cui agli art. 43, 45 e 47, t. u. 30 ottobre 1933, n. 1611, va escluso che l'avvocatura dello stato abbia bisogno di uno specifico mandato per la proposizione dell'appello in difesa di una regione a statuto ordinario”; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5122: “Si deve ritenere che qualora la Regione scelga di avvalersi, per la difesa in giudizio, non del proprio servizio legale ma dell'avvocatura dello Stato, trovi applicazione la normativa statale sul patrocinio obbligatorio, quindi l'art. 1, comma 2 del R.D. n. 1611/1933 (secondo cui non è richiesto per lo "ius postulandi" dell'avvocato dello Stato, il rilascio del mandato), e l'art. 12 della L. n. 103/1979 (secondo cui l'avvocato dello Stato non è onerato della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio)”. (76) t.a.r. Sicilia Palermo, sez. III, 18 aprile 2006, n. 802: “Le funzioni dell'avvocatura dello Stato nei riguardi delle amministrazioni statali sono estese all'amministrazione regionale siciliana, con conseguente prevista applicazione del Testo unico e del regolamento sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, approvati con il R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e il R.D. 30 ottobre 1933, n. 1612, nonché degli artt. 25, 144 c.p.c. (cfr., Corte Cost. 27 luglio 1989, n. 455; Cons. Giust. amm. Sic., 13 aprile 1990, n. 73; T.a.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 18 novembre 2005, n. 5210)”; t.a.r. Friuli-V. Giulia rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 Per le regioni, quindi, si può affermare che coesistano due concorrenti sistemi di difesa. Il primo prevede la possibilità per esse di avvalersi in via organica ed esclusiva del patrocinio dell'Avvocatura, previa adozione di una deliberazione del Consiglio regionale (art. 10 della legge 103/79). Il secondo consente alle regioni di chiedere la rappresentanza e la difesa in giudizio all'Avvocatura solo saltuariamente, in relazione a singoli casi, senza necessità di una delibera di carattere generale, ai sensi dell'art. 107 d.p.r. 616/77, che prevede la facoltà per le regioni di avvalersi degli "organi tecnici dello Stato". Per le regioni a statuto speciale sono intervenute nel tempo modifiche alle disposizioni statutarie che prevedevano l’obbligatorietà del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, con l’introduzione di un regime di patrocinio facoltativo che oggi è la regola, salvo che per la regione Siciliana che ha conservato il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura (77). Il patrocinio dell’Avvocatura può essere autorizzato per legge o altra disposizione normativa, anche secondaria, ovvero può essere chiesto dal soggetto giuridico che si trovi nelle condizioni previste dall’art. 43 r.d. 1611 (come modificato dalla l. 103), alla Presidenza del Consiglio che lo autorizza con apposito d.p.c.m. un esempio della prima modalità di autorizzazione è nel d.lgs. n. 367/1996 di riforma degli enti lirici, trasformati in fondazioni di diritto privato, ai sensi dell’art. 17, in combinato disposto con l’art. 1, comma 3, d.l. 345/2000, conv. in l. 6/2001 (78); o nell’art. 10, comma 7-bis, d.l. 210/2015, conv. in l. 21/2016 (79); o nell’art. 7-vicies quater, comma 4, d.l. 7/2005, conv. in l. 43/2005 (80); o nell’art. 1, comma 8-bis, d.l. 193/2016, conv. in l. 225/2016 trieste, sez. I, 3 febbraio 2020, n. 65: “La notificazione dei ricorsi introduttivi, nei confronti della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, va necessariamente eseguita presso la competente sede dell'avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege anche dell'ente Regione, e non presso la sede della stessa Regione o presso uffici della medesima, come l'Ufficio legale”. (77) Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2006, n. 13197: “Nelle ipotesi di patrocinio ex lege dell'avvocatura dello stato, inclusa quella di patrocinio in favore dell'amministrazione regionale siciliana ai sensi del- l'art. 1 d.leg. 2 marzo 1948 n. 142, il destinatario della notifica va individuato nella predetta avvocatura, ai sensi dell'art. 11 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, senza che possa opporsi una distinzione tra i vari atti e senza che rilevi l'eventuale contumacia in giudizio dell'amministrazione”. (78) Art. 17, comma 3, d.lgs. 367/1996: “Le fondazioni conservano i diritti, le attribuzioni e le situazioni giuridiche dei quali gli enti originari erano titolari”; art. 1, comma 3, l. 6/2001: “…Essa può continuare ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato”. (79) “La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio dell'Ente strumentale alla Croce Rossa italiana, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, continuano a essere assicurati dall'avvocatura dello Stato ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611”. (80) “L'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato Spa può continuare ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, ai sensi del titolo I del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e con applicazione dell'articolo 417-bis, commi primo e secondo, del codice di procedura civile”. teMI IStItuzIonALI (81); un esempio della seconda modalità è -fra i tanti -nei d.p.c.m. 4 gennaio 2019 per l’autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio della Banca centrale europea-BCe e del 15 ottobre 2018 per il patrocinio di Formez P.A. (82). In tutti i casi di patrocinio facoltativo, una volta esercitata la facoltà di scelta a favore dell’Avvocatura dello Stato, scattano tutte le caratteristiche del patrocinio obbligatorio, sia per l’esclusività della prestazione (salvo che per i casi di conflitto di interessi) (83) sia per la notifica degli atti (che va effettuata presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato territorialmente competente) (84), (81) “Gli enti vigilati dal ministero della salute sono autorizzati ad avvalersi del patrocinio del- l'avvocatura dello Stato ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611”. (82) un elenco delle amministrazioni difese dall’Avvocatura si trova nell’intranet del sito ufficiale (www.avvocaturastato.it), voce Documentazione -Patrocinio. Anche la nuova società che assumerà il servizio della compagnia aerea di bandiera Alitalia è stata autorizzata ad avvalersi del patrocinio del- l’Avvocatura dello Stato dall’art. 79, comma 5-bis, d.l. 18/2020, come inserito dal d.l. 34/2020 (“5-bis. La società di cui al comma 3 può avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, ai sensi dell'articolo 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni”), sempre che la Commissione europea non vi ravvisi un aiuto di Stato non consentito (giusta la precisazione introdotta per l’intera operazione nel precedente comma 3: “L'esercizio dell'attività è subordinato alle valutazioni della Commissione europea”). (83) Cass. civ. [ord.], sez. II, 3 settembre 2018, n. 21557: “In tema di rappresentanza e difesa facoltativa degli enti pubblici da parte dell'avvocatura dello Stato, non è necessario che, in ordine ai singoli giudizi, l'ente rilasci uno specifico mandato all'avvocatura medesima, né che questa produca il provvedimento del competente organo dell'ente recante l'autorizzazione del legale rappresentante ad agire od a resistere in causa, escludendo gli artt. 1 e 45 r.d. n. 1611 del 1933 che l'avvocatura necessiti di alcuna forma di mandato ed essendo eventuali divergenze tra organi sulla opportunità di promuovere la lite o di resistere a lite da altri proposta, impedite o composte "intra moenia" dalla previsione dell'art. 12 l. n. 103 del 1979. Ne consegue che la stessa assunzione di iniziativa giudiziaria, pure nella forma dell'impugnazione, ad opera dell'avvocatura dello Stato con riguardo a tali organi od enti, comporta la presunzione "iuris ed de iure" di esistenza di un valido consenso e di piena validità dell'atto processuale compiuto e lascia nell'ambito del rapporto interno le questioni attinenti alla inosservanza di regole di formazione del consenso medesimo”; Cass. civ., Sez. unite, 16 ottobre 1989, n. 4145: “a seguito delle modifiche apportate con l. 3 aprile 1979, n. 103 all'art. 43, r. d. 30 ottobre 1933, n. 1611, deve in via generale ritenersi che per le amministrazioni pubbliche non statali e per gli enti pubblici statali e regionali autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello stato, questa esercita la rappresentanza in giudizio in via organica ed esclusiva, salvo il caso di conflitto di interessi con lo Stato; ne deriva che, una volta intervenuti i provvedimenti autorizzativi di carattere generale, l'assunzione della rappresentanza e difesa di tali enti da parte dell'avvocatura non richiede specifiche investiture per i singoli giudizi, essendo invece necessari particolari provvedimenti per l'esclusione di una tale rappresentanza e l'affidamento della stessa a privati professionisti”; Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 1986, n. 534: “ai sensi della l. 3 aprile 1979, n. 103, che ha recato integrazioni e modifiche al t. u. 30 ottobre 1933, n. 1611, l'intero sistema del patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello stato, per gli enti e le p. a. non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche alla sola vigilanza dello stato ed autorizzati da disposizioni di legge o di regolamento ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura, ha subito una trasformazione profonda, divenendo patrocinio normale, per derogare al quale occorre l'assunzione di una deliberazione motivata dell'ente interessato”. (84) Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1967: “In base al combinato disposto degli artt. 144, comma 1, c.p.c. e 11, comma 3, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (nel testo introdotto dall'art. 1, L. 25 rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 così che il patrocinio diventa organico ed esclusivo e si identifica anche con il termine autorizzato (85) per evitare equivoci derivanti dall’uso del termine facoltativo che caratterizza solo la fase iniziale della scelta (86); la esclusività del patrocinio comporta anche l’impossibilità di affiancare all’avvocato dello Stato altro avvocato privato per una difesa congiunta dell’ente (87). marzo 1958, n. 260, espressamente richiamato per i giudizi amministrativi dall'art. 10 comma 3, L. 3 aprile 1979, n. 103), tutti gli atti costitutivi di una fase processuale, proposta nei confronti di amministrazioni statali e di enti pubblici patrocinati dall'avvocatura dello Stato, vanno notificati, a pena di nullità, presso l'avvocatura stessa; in particolare la notifica va fatta presso l'ufficio dell'avvocatura nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria adita ovvero, per quanto riguarda il giudizio da instaurare innanzi al Consiglio di Stato, presso l'avvocatura generale dello Stato, con sede a Roma”; Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2019, n. 4815: “Nell'ipotesi in cui la Regione abbia deciso di avvalersi del patrocinio legale dell'avvocatura dello Stato, il ricorso avverso gli atti dalla stessa adottati, in attuazione dell'art. 10 della Legge n. 103/1979, va notificato al presidente della Giunta regionale presso l'avvocatura distrettuale dello Stato”. (85) Cass. civ., 24 settembre 1982, n. 4934: “Nel sistema risultante a seguito delle modificazioni apportate dalla l. 3 aprile 1979, n. 103, al r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (t. u. sull'ordinamento dell'avvocatura dello stato), per gli enti pubblici che per legge (o in base ad apposito documento) sono autorizzati ad usufruire dell'assistenza erariale, il potere di rappresentanza e difesa in giudizio compete all'avvocatura senza che si richieda né una deliberazione dell'ente, necessaria, invece, solo per escludere tale potere, né il conferimento di una formale procura per il concreto esercizio dello ius postulandi; e ciò comporta che il sindacato del giudice della causa rimane circoscritto alla verifica dei presupposti normativi e di fatto legittimanti la difesa erariale”; v. anche A. Mezzotero -M.V. LuMettI, Il patrocinio erariale autorizzato, in Rass. avv. Stato, 2009, II, 7. (86) Degno di menzione è il protocollo di intesa stipulato tra l’Avvocatura dello Stato e l’AnAC in data 9 novembre 2018, con il quale sono state disciplinate le eventuali ipotesi di conflitto tra Amministrazioni ed enti che si avvalgono del patrocinio erariale in sede di applicazione dell’art. 211 del Codice dei Contratti pubblici, disposizione che attribuisce all’AnAC la legittimazione ad impugnare i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici; sul punto si veda t.a.r. Lombardia Milano, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 240: “Le previsioni normative contenute nell'alveo del disposto legale ex art. 211, c 1-bis e 1-ter, del D.Lgs. n. 50/2016 conferiscono all'a.N.a.C. una legittimazione straordinaria ed eccezionale in ragione della funzione (vigilanza e controllo sugli appalti pubblici) che le è assegnata dalla legge. La previsione di cui all'art. 211, c. 1-quater, del D.Lgs. n. 50/2016 onera la stessa a.N.a.C. di individuare con proprio regolamento "i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter". ogni qualvolta l'autorità, nel rispetto delle previsioni di legge e di regolamento, eserciterà in concreto quei poteri di azione eccezionalmente attribuiti dovrà concretamente motivare la relativa decisione. Pertanto, la motivazione espressa dal Consiglio dell'a.N.a.C. costituisce un requisito necessario dell'autorizzazione all'esercizio del potere. Nella prospettiva del Consiglio di Stato, la delibera autorizzativa risulta necessaria al fine di comprendere compiutamente la ragioni a sostegno dell'atto espressivo della legittimazione straordinaria ed eccezionale conferita all'autorità. Simile delibera assume, quindi, precipua rilevanza processuale e, per tali ragioni, non è assimilabile alla deliberazione dell'organo statale competente a promuovere la lite che attiene, invece, al rapporto interno tra l'amministrazione e l'avvocatura dello Stato”. (87) Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2010, n. 647: “Il mandato conferito da una p.a. anche ad un avvocato del libero foro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dall'avvocatura dello stato ai sensi dell'art. 43 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 e del d.p.c.m. 25 giugno 2004, è affetto da nullità che conseguentemente priva il difensore del libero foro dello ius postulandi; tuttavia, la rilevata nullità del mandato e del conseguente esercizio dell'attività difensiva non incide sulla regolare costituzione del- l'autorità portuale, ove ritualmente avvenuta a mezzo dell'avvocatura dello stato”. t.a.r. Calabria reggio teMI IStItuzIonALI L’estensione al patrocinio autorizzato delle regole del patrocinio obbligatorio non vale, però, né per il domicilio ex lege presso gli uffici dell’Avvocatura (con conseguente obbligo di notifica degli atti presso quel domicilio, anziché presso la sede dell’ente patrocinato) né per il foro dello Stato, trattandosi di disposizioni speciali del codice di procedura riservate espressamente ai casi di chiamata in giudizio delle amministrazioni statali e non suscettibili di applicazione analogica, stante la loro natura di norme eccezionali (88). tanto è reso evidente dall’art. 6 r.d. 1611 e dall’art. 25 c.p.c., nella loro lettera, nella loro ratio e nell’applicazione unanime della giurisprudenza, sulla scorta delle pronunzie di costituzionalità intervenute (89); sono fatti salvi i Calabria, sez. I, 25 marzo 2009, n. 190: “In conclusione, tornando ai fatti di causa, il mandato conferito dall'autorità Portuale di Gioia Tauro, senza una previa, motivata rinuncia alla difesa, assicurata dal- l'avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 43 del RD 30 ottobre 1933 n.1611 e del dPCm del 25 giugno 2004, è affetto da nullità che conseguentemente priva il difensore del libero Foro dello ius postulandi. Ciò chiarito in ordine all'eccezione posta dall'avvocatura, occorre in ogni caso dare atto che la rilevata nullità del mandato e del conseguente esercizio dell'attività difensiva non incide sulla regolare costituzione dell'autorità Portuale, ritualmente avvenuta a mezzo dell'avvocatura dello Stato”. (88) Cass. civ. [ord.], sez. VI -3, 2 settembre 2015, n. 17475: “In tema di competenza per territorio, è inapplicabile il foro erariale alle controversie nelle quali sia parte un'agenzia del Territorio, in ragione del carattere facoltativo del patrocinio dell'avvocatura dello Stato ad essa riconosciuto.”; Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30035: “Le particolari disposizioni in materia di foro erariale (artt. 25 cod. proc. civ. e 6, 10 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) e di notifica degli atti introduttivi del giudizio presso gli uffici periferici dell'avvocatura dello Stato (art. 11 del citato regio decreto) si applicano alle sole controversie nelle quali sia parte un'amministrazione dello Stato; dette disposizioni non sono pertanto estensibili alle controversie nelle quali siano parte altri enti che, pur rappresentati e difesi in giudizio dell'avvocatura, abbiano soggettività giuridica formalmente distinta dallo Stato. (Fattispecie relativa alla Cassa per il mezzogiorno)”; Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2006, n. 23005: “L'agenzia del demanio, come le altre agenzie fiscali istituite dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (capo secondo del titolo quinto) e divenute operative a partire dal 1° gennaio 2001 (art. 1 D.m. 28 dicembre 2000), è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico (art. 61 D. Lgs. cit.) distinto dallo Stato; né può essere configurata quale organo dello Stato dotato di personalità giuridica, presupponendo tale configurazione che l'attività dell'ente sia direttamente imputata allo Stato medesimo in base a sicure indicazioni normative, qui, invece, del tutto mancanti. Pertanto, il suo patrocinio da parte dell'avvocatura erariale ha, coerentemente, carattere facoltativo (art. 72 D. Lgs. n. 300 del 1999) e, quindi, non comporta alcuna deroga alle ordinarie regole di determinazione della competenza territoriale, non essendo richiamato, nella disciplina del patrocino facoltativo contenuta negli artt. 43, 44 e 45 r.d. n. 1611 del 1933, l'art. 6 del medesimo r.d.”; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1994, n. 1329: “Le disposizioni dell'art. 25 c.p.c., relative al foro erariale, si riferiscono solo alle controversie nelle quali sia parte un'amministrazione dello Stato e, salvo diversa e specifica previsione normativa, non possono essere applicate, quindi, alle cause con enti pubblici non economici dotati di autonoma personalità giuridica, neppure se amministrativi da un commissario governativo”. (89) Corte cost., 22 dicembre 1964, n. 118: “L'art. 25 cod. proc. civ. e gli artt. 6, 7, 8 e 10 del D.P.R. 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U.), sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, non contrastano col diritto di azione e di difesa garantito dall'art. 24 Cost., né in modo diretto, né indirettamente. Infatti, in primo luogo, il maggior costo del giudizio non può esser considerato tale da sconsigliare chi in mancanza della regola del foro dello Stato la avrebbe esercitata, la difesa in giudizio delle proprie posizioni soggettive; in secondo luogo, esso ha un'adeguata giustificazione in ragioni di interesse generale” (si vedano anche le sentenze n. 87 del 1962, n. 81 del 1963, n. 77 del 1964). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 casi per i quali una norma di legge prevede diverse regole processuali che derogano a quelle del foro speciale (90), ma deve trattarsi di disposizione espressa, dovendosi derogare ad una disciplina di carattere generale (91). ovviamente, una volta instaurato il giudizio, le regole sulla notifica degli atti di cui all’art. 11 r.d. 1611/1933 (e art. 144 c.p.c.) trovano piena applicazione anche per gli enti a patrocinio autorizzato (92). Dopo l’entrata in vigore della riforma del codice di procedura che ha abolito il pretore (d.lgs. 51/1998), il foro dello Stato si applica alle cause che già nella competenza per valore dell’ex pretore sono ora riservate alla competenza del tribunale in funzione monocratica (93), ferma restando l’applicazione del (90) Cass. civ. [ord.], sez. VI -1, 12 gennaio 2021, n. 296: “In materia di condotte discriminatorie, l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011 attribuisce la competenza a conoscere le relative controversie al tribunale del luogo in cui ha domicilio il ricorrente, prevedendo un foro funzionale ed esclusivo, che deve essere preferito agli altri fori, anche inderogabili, compreso quello erariale, trattandosi di disciplina speciale, posta a tutela di un interesse primario del nostro ordinamento, volto a contrastare gli atti e i comportamenti che impediscono il pieno dispiegarsi della persona umana, prevalente rispetto alle esigenze di carattere organizzativo poste a fondamento dell'accentramento della competenza presso un unico ufficio giudiziario, ai sensi dell'art. 6 del r.d. n. 1611 del 1933. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto competente il tribunale del luogo in cui aveva il domicilio un minore disabile, i cui genitori, in rappresentanza del figlio, avevano agito per ottenere il risarcimento del danno conseguente alle asserite condotte discriminatorie dell'amministrazione scolastica)”. (91) Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2020, n. 25440: “Nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento della condizione di apolidia, la competenza va determinata in base al criterio del foro del luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, senza che assuma rilievo il contenuto degli interessi in gioco o la necessità di porre le parti in una situazione di parità, in quanto così facendo si affiderebbe al giudice una valutazione, riservata invece al legislatore, circa la sussistenza o meno di una ragione per agevolare la difesa dello Stato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte d'appello che, reputando ingiustificata la facilitazione della difesa statuale rispetto ai diritti in gioco nel caso concreto, aveva disapplicato il criterio del foro erariale)”. (92) Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2021, n. 651: “Tutti gli atti costitutivi di una fase processuale, proposta nei confronti di amministrazioni statali e di Enti pubblici patrocinati dall'avvocatura dello Stato, vanno notificati a dette amministrazioni ed enti presso l'ufficio dell'avvocatura nel cui distretto abbia sede l'autorità giudiziaria adita (ovvero, per quanto riguarda il giudizio da instaurare innanzi al Consiglio di Stato, presso l'avvocatura Generale, con sede a Roma)”. (93) Cass. civ. [ord.], Sez. unite, 2 luglio 2008, n. 18036, che ha risolto un contrasto delineatosi in giurisprudenza: “Le controversie che, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 51 del 1998, erano attribuite alla competenza del pretore per limiti di valore e che sono, in base al vigente art. 9 cod. proc. civ. ed all'art. 244 del d.lgs. n. 51 del 1998, di competenza del tribunale in composizione monocratica, sono soggette alle regole processuali del c.d. foro erariale di cui agli artt. 25 cod. proc. civ. e 6 del r.d. n. 1611 del 1933, dovendosi ritenere implicitamente abrogato "in parte qua" l'art. 7 del r.d. n. 1611 del 1933 -che stabiliva l'inapplicabilità della regola del foro erariale nelle cause di competenza del pretore -per incompatibilità, non potendosi considerare perdurante la distinzione di competenza tra pretore e tribunale, ormai venuta meno; ciò non esclude che la disciplina del foro erariale sia derogata, per effetto di specifiche disposizioni del legislatore (controversie previdenziali, di opposizione a sanzioni amministrative, di disciplina dell'impugnazione, di convalida di sfratto), ogni volta che sia manifesto l'intento di determinare la competenza per territorio sulla base di elementi diversi ed incompatibili rispetto a quelli risultanti dalla regola del foro erariale e, perciò, destinati a prevalere su questa”; in precedenza, per la posizione contraria, v. Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2006, n. 6992: “Il richiamo posto teMI IStItuzIonALI l’istituto processuale alle cause in appello avverso sentenze del giudice di pace, ai sensi dell’art. 7 r.d. 1611/1933, interpretato evolutivamente (94). Le disposizioni speciali sul domicilio ex lege presso l’Avvocatura dello Stato e sulla notifica presso la stessa degli atti non operano per i giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale (95) né per i giudizi nei quali è chiamata in causa un’amministrazione non statale, in virtù dell'espresso richiamo, nell’art. 45 r.d. 1611, all’art. 1, comma 2 (esclusione della necessità del mandato), e non agli artt. 6 ed 11, con conseguente inapplicabilità del foro dello Stato (art. 25 c.p.c.) e della domiciliazione presso l'Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 c.p.c.), previsti per le sole amministrazioni dello Stato. 4. Patrocinio dei pubblici funzionari. una questione particolare, poi, è quella che concerne rappresentanza e difesa dei pubblici impiegati da parte dell’Avvocatura dello Stato, difesa ammessa dall’art. 44 r.D. n. 1611/1933, nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio, qualora le amministrazioni o gli enti ne dall'art. 7 r.d. n. 1611 del 1933 (sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato) ai "giudizi innanzi ai pretori", in ordine ai quali le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'amministrazione dello Stato, deve intendersi riferito, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 51 del 1998 (istitutivo del giudice unico di primo grado) ed in applicazione della norma di cui all'art. 244 dello stesso decreto, ai "giudizi innanzi ai tribunali in composizione monocratica già attribuiti alla competenza dei pretori", atteso che, in forza di tale disposizione, quando leggi o decreti fanno riferimento ad uffici od organi giudiziari soppressi da detto d.lgs., il riferimento si intende fatto agli uffici od agli organi giudiziari a cui siano state trasferite le relative competenze”. (94) Cass. civ. [ord.], sez. II, 9 agosto 2007, n. 17579: “Sussiste la competenza del foro erariale, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, per le cause di appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace, pur essendo rimasta immutata la originaria formulazione letterale di detta norma di legge a seguito delle riforme ordinamentali e processuali comportanti l'introduzione dell'ufficio del giudice di pace. Tale conclusione è giustificata dall'interpretazione evolutiva della norma, coerente alla sua "ratio legis", consistente nel recupero, in grado di appello, per evidenti esigenze organizzative di concentrazione delle attività dell'avvocatura dello Stato, della speciale competenza del foro erariale di cui all'articolo 6 del predetto regio decreto”; per una dettagliata ed accurata disamina delle problematiche del foro dello Stato e del domicilio ex lege, si veda BrunI -PALAtIeLLo, op. cit., pag. 113 ss. (95) Corte cost., 16 maggio 1997, n. 135: “È inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, proposto dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento al D.m. (Trasporti) 19 gennaio 1996 e notificato soltanto all'avvocatura generale dello Stato, in quanto ai giudizi costituzionali non sono applicabili le norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato prevista dall'art. 1 della legge n. 260 del 1958 e dalla legge n. 103 del 1979, con la conseguenza che è irrituale la notificazione del ricorso per conflitto di attribuzione effettuata soltanto all'avvocatura dello Stato e che tale irritualità non è sanata dalla costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio per mezzo dell'avvocatura dello Stato, quando la costituzione stessa sia avvenuta proprio per eccepire l'inammissibilità del ricorso”; Corte cost., 1 luglio 1993, n. 295: “Le norme sulla rappresentanza in giudizio dello stato, contenute nell'art. 1 l. 25 marzo 1958 n. 260 e nella l. 3 aprile 1979 n. 103, non si applicano ai giudizi avanti alla corte costituzionale; pertanto, è inammissibile il ricorso alla corte costituzionale notificato presso l'avvocatura generale dello stato, anziché direttamente al destinatario”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 facciano richiesta, e l'Avvocato generale dello Stato ne riconosca la opportunità (96). Anche per questo particolare tipo di patrocinio, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso di non ritenere necessario alcun mandato (97), tuttavia è necessario il nulla osta dell’amministrazione di appartenenza del pubblico impiegato che attesti l’assenza di conflitto di interessi, l’attinenza funzionale dell’oggetto della questione controversa all’attività riconducibile all’impiegato e l’interesse dell’amministrazione alla difesa, nonché il provvedimento finale dell’Avvocato Generale che conceda il patrocinio (98). (96) Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 72: “L'art. 44 R.D. n. 1611/1933, costituisce una disposizione ampliativa della porzione di "status" dei pubblici dipendenti interessati, rendendoli indenni, in presenza dei presupposti ivi indicati, dalle conseguenze economiche derivanti dal coinvolgimento in procedimenti di responsabilità civile o penale per fatti connessi allo svolgimento dei compiti d'ufficio; si tratta, dunque, di disposizione che nel caso di responsabilità diretta per fatti di servizio, aumenta le garanzie del diritto di difesa, che è assunta dall'amministrazione avvalendosi dell'avvocatura dello Stato, ma che in nessun modo si sostituisce alla disciplina sulla nomina del difensore nel processo civile e penale quale atto personale ed esclusivo della parte ed espressione di una scelta fiduciaria e selettiva in relazione alla mutevoli esigenze di difesa in ciascun giudizio. Ne consegue che non può dirsi sussistente il contrasto tra l'art. 44 del R.D. n. 1611/1933 e l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, che riconosce l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni grado e stato del giudizio”; Corte cost., 17 luglio 1974, n. 233: “Non è in contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., l'art. 44 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, che accorda la difesa dello Stato ai dipendenti pubblici nei giudizi civili e penali relativi a fatti e cause di servizio, in quanto la posizione dello Stato come tutore dell'ordinamento non esclude che un suo organo tecnico possa intervenire a difesa del dipendente quando l'azione incriminata è da lui compiuta nell'ambito dei suoi poteri e per i fini della Pubblica amministrazione. Ne deriva che, in astratto, non è ipotizzabile alcun conflitto di interessi tra le posizioni dello Stato e quelle del dipendente pubblico; tuttavia, poiché non si può escludere che in concreto possa verificarsi un contrasto, deve ritenersi che esso potrà essere eliminato in sede processuale con l'intervento del giudice ai sensi dell'art. 133, primo comma, c.p.p.”. (97) Cass. civ., sez. lavoro, 24 giugno 1995, n. 7179: “I provvedimenti di richiesta dell'amministrazione e di valutazione dell'avvocato generale dello Stato circa l'opportunità dell'assunzione da parte dell'avvocatura dello Stato della rappresentanza e difesa degli impiegati ed agenti delle amministrazioni dello Stato nei giudizi civili e penali che li interessano per cause di servizio, adottati ai sensi dell'art. 44 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, non formano (neppure in controversia disciplinata dal rito del lavoro) oggetto di alcun onere di tempestiva indicazione da parte dell'avvocatura dello Stato al momento della costituzione in giudizio nè di dimostrazione della sussistenza dei presupposti di legittimità ai fini del- l'assunzione della rappresentanza e difesa del pubblico impiegato, sia perché un siffatto onere non è stabilito dal citato art. 44, sia perché la richiesta dell'amministrazione e l'apprezzamento da parte del- l'avvocatura dello Stato hanno carattere di meri atti interni, restando inoltre escluso che il suddetto apprezzamento rientrante nella piena discrezionalità dell'avvocatura, richieda specifica motivazione e sia in alcun modo sindacabile dal giudice investito della controversia”; tribunale reggio emilia, sez. II, 1 aprile 2014: “Lo jus postulandi degli avvocati dello Stato deriva direttamente dalla legge e non richiede il conferimento di un mandato ad litem, non soltanto nel caso di rappresentanza delle amministrazioni dello Stato, delle amministrazioni pubbliche non statali e degli enti pubblici soggetti a vigilanza o tutela dello Stato, ma anche nel caso di rappresentanza e difesa degli impiegati ed agenti delle amministrazioni dello Stato”. (98) t.a.r. Veneto, sez. II, 25 maggio 1999, n. 725: “ai sensi dell'art. 44 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611, presupposto perché l'avvocatura dello Stato assuma la rappresentanza e la difesa di un dipendente di un'amministrazione dello Stato in un giudizio penale che lo interessa per fatti e cause di servizio, è la piena coincidenza fra la posizione del dipendente e quella dell'amministrazione; pertanto, in difetto della verifica del preliminare requisito rappresentato dall'assenza di qualsivoglia conflitto d'interesse teMI IStItuzIonALI Gli avvocati dello Stato esercitano le proprie prerogative come per ogni altra difesa assunta dall’Istituto, senza limitazioni o condizioni; tuttavia, qualche difformità può sorgere con riguardo alla formulazione di eccezioni di incostituzionalità o di contrarietà ai principi eurounitari. Per vero, quanto all’eccezione di incostituzionalità, se appare pacifica e giustificata la preclusione per l’Avvocatura dello Stato della proposizione della eccezione dal momento che l’Avvocato generale (o un suo sostituto) è chiamato per legge (citata legge n. 87/1953) a difendere la costituzionalità delle leggi se officiato dalla Presidenza del Consiglio, non altrettanto pacifica e giustificata sembra tale preclusione nel caso l’avvocato dello Stato sia officiato della difesa di un pubblico impiegato in un processo penale, atteso che -da un lato -il diritto di difesa dell’imputato costituisce diritto inviolabile garantito dalla Costituzione, tale da non dover subire limitazioni di sorta, e -dall’altro lato -l’attribuzione della difesa dell’Avvocatura è fatta pur sempre nell’interesse primario dell’imputato e non dell’amministrazione di appartenenza (legittimata solo ad esprimere una valutazione di assenza di conflitto in interessi), così che si deve ritenere che, nel caso di difesa di imputato, l’avvocato dello Stato goda di tutti i diritti e doveri di ogni altro patrocinatore a tutela della posizione dell’assistito (anche, per esempio, con l’accettazione dell’estinzione del reato per prescrizione) (99). Quanto alla questione di compatibilità comunitaria, il problema sembra porsi astrattamente negli stessi termini, attesa la funzione istituzionale del- l’Avvocatura dello Stato dinanzi alla Corte di Giustizia; tuttavia, la prevalenza della normativa europea sulla legislazione nazionale, fino all’obbligo della sua disapplicazione gravante su tutti i magistrati ed i pubblici funzionari, oltre che le funzioni nomofilattiche della Corte di Lussemburgo (che si esprimono anche in forma di interpretazione delle leggi nazionali in conformità dei principi europei), potrebbero autorizzare l’avvocato dello Stato a formulare direttamente la richiesta di rimessione alla CGue di una questione controversa. nei processi penali, l’Avvocatura dello Stato partecipa a difesa dell’amministrazione chiamata quale responsabile civile ovvero in veste di parte civile; l'art. 1, comma 4, l. n. 3/1991 prescrive che la costituzione di parte civile di una amministrazione statale nei procedimenti penali debba essere previamente autorizzata da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri; tale autorizzazione non riguarda gli altri enti pubblici difesi dall’Avvocatura per i quali le relative determine sono assunte dagli organi cui spetta la potestà de- fra dipendente e amministrazione non sono ipotizzabili né l'obbligo di assunzione della difesa del dipendente nè, a maggior ragione, un onere di rimborso delle spese legali sostenute da quest'ultimo”. (99) nella prassi, il problema viene risolto sollecitando il giudice perché proponga d’ufficio la questione di costituzionalità. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 cisionale; le prerogative e le potestà degli avvocati dello Stato sono le stesse sopra esaminate (100). 5. Patrocinio parziale. Vi sono anche casi di attribuzione parziale del patrocinio all’Avvocatura per determinate materie di spettanza dell’ente autorizzato. oltre alle disposizioni sul patrocinio dell’ADer dianzi esaminate, ricordiamo fra le ipotesi più rilevanti, l’art. 1, comma 771, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, il quale prevede che la Consip spa si avvale del patrocinio del- l’Avvocatura dello Stato per le attività svolte nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti della P.A.; l’art. 5, comma 15, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 326/2003, il quale dispone che la Cassa Depositi e Prestiti-CDP spa si avvale dell’Avvocatura dello Stato per la gestione separata di cui al precedente comma 8 (101). La espressa previsione di legge non pone problemi rispetto al regime generale dell’esclusività ed organicità del patrocinio dell’Avvocatura dettato dal r.d. 1611 e dalla l. 103, derogabile da leggi successive di pari rango. Problemi, invece, si pongono allorché la limitazione delle materie affidate al patrocinio dell’Avvocatura dall’ente autorizzato deriva da protocolli di intesa stipulati fra l’ente stesso e l’Istituto per disciplinare l’esercizio del patrocinio. tali protocolli (stipulati, ad esempio, con l’AnAS e con alcune Fondazioni lirico-sinfoniche) consentono all’ente patrocinato di gestire direttamente (con il proprio ufficio legale o con avvocati privati) alcune materie di scarso rilievo generale e, nel contempo, all’Avvocatura di dedicare le limitate risorse disponibili alle questioni più importanti (per i contenuti e per i riflessi sull’assetto organizzativo-gestionale); questo sistema convenzionale evita un eccesso di formalità (la necessità di assumere volta a volta specifiche deliberazioni) e salvaguarda, nel contempo, l’esigenza di unicità e coerenza di indirizzi che potrebbe venir compromessa dall’eventualità o di approntare, di volta in volta, (100) Cass. pen., sez. V, 27 marzo 1999, n. 11441: “Gli avvocati dello Stato, per compiere gli atti del loro ministero, non hanno bisogno di una procura dell'amministrazione che essi rappresentano, essendo sufficiente che "consti della loro qualità". Invero, il mandato che è loro conferito dalla legge è sufficiente ad attribuire il potere di costituirsi in giudizio per le amministrazioni pubbliche e di compiere tutti gli atti per i quali la legge richiede un mandato speciale; e ciò, tanto nel giudizio civile, quanto in quello penale, allorché le pretese civili della p.a. siano esercitate in tale sede”. (101) “8. La CDP S.p.a. assume partecipazioni e svolge le attività, strumentali, connesse e accessorie; per l'attuazione di quanto previsto al comma 7, lettera a), la CDP S.p.a. istituisce un sistema separato ai soli fini contabili ed organizzativi, la cui gestione è uniformata a criteri di trasparenza e di salvaguardia dell'equilibrio economico. Sono assegnate alla gestione separata le partecipazioni e le attività ad essa strumentali, connesse e accessorie, e le attività di assistenza e di consulenza in favore dei soggetti di cui al comma 7, lettera a). Il decreto ministeriale di cui al comma 3 può prevedere forme di razionalizzazione e concentrazione delle partecipazioni detenute dalla Cassa depositi e prestiti alla data di trasformazione in società per azioni”. teMI IStItuzIonALI per svolgere scelte di gestione processuale, specifiche direttive ovvero di svolgere difese non coerenti con gli indirizzi generali di istituto, conformi alla tutela generale dei pubblici interessi, necessariamente informata a criteri di uniformità interpretativa ed applicativa della legalità. La legittimità di questa prassi non risulta sia stata formalmente censurata, ma nei rari casi in cui si è posto il problema della legittimità dell’affidamento del patrocinio ad avvocati privati in deroga a quello dell’Avvocatura dello Stato la giurisprudenza si è espressa ricorrendo ad una interpretazione basata sulla lettera della legge e sulla tradizionale interpretazione della caratteristica di esclusività del patrocinio dell’Avvocatura. Il problema si è posto per la nuova Agenzia delle entrate e riscossione, come già riferito in precedenza, e per le Fondazioni lirico-sinfoniche che in gran numero hanno sottoscritto con l’Avvocatura dello Stato specifici protocolli d’intesa. Per la Fondazione teatro Carlo Felice di Genova, con sentenza 21 novembre 2018, n. 30118, la Corte di Cassazione ha dichiarato nulla la costituzione in giudizio della Fondazione a mezzo di avvocati privati anziché dell’Avvocatura dello Stato (102), rilevando la mancanza della delibera formale di affidamento dell’incarico professionale, in deroga al patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato concesso con la richiamata normativa di trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato (d.lgs. n. 134 del 1998, art. 1; d.l. n. 345 del 2000, art. 1, comma 3, convertito in l. n. 21 del 2001); nel dettaglio, la Corte ha ritenuto insufficiente una delibera presa ad hoc dal Sovrintendente in forza dei suoi poteri di gestione del contenzioso, ritenendo necessaria una deliberazione degli organi decisionali con specifica indicazione delle ragioni della decisione. In vero, a differenza dell’ADer (103), non vi è un supporto normativo (102) Con le argomentazioni che si ritiene opportuno qui riportare testualmente: «In sostanza, come evidenziato dalla sentenza impugnata, il D.L. n. 345 del 2000, art. 1, comma 3, (conv. con modificazioni in L. n. 62 del 2001), inerente la trasformazione in fondazioni di diritto privato degli enti lirici ed istituzioni concertistiche, prevedendo espressamente che "la fondazione può continuare ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato", configura una ipotesi di patrocinio autorizzato R.D. n. 1611 del 1943, ex art. 43, con la conseguenza che (art. 43 cit., comma 2) "ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi dell'avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza". a tal riguardo, come parimenti notato dalla sentenza impugnata, non può ritenersi idonea allo scopo la delibera 14.3.11 con cui si attribuiva al sovrintendente P. il potere di istituire procedimenti giudiziari contro soggetti terzi e di nominare avvocati per attività difensive giudiziarie, trattandosi di facoltà attribuita in via generale al sovrintendente e certamente non di specifica ed "apposita" delibera inerente il conferimento di un mandato alle liti ad avvocato del libero foro per la presente controversia. Trattasi peraltro di apprezzamento di fatto logico e giuridicamente corretto, sicché sfugge al presente vaglio di legittimità». (103) Si veda il già richiamato art. 4-novies, comma 1, d.l. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 giugno 2019, n. 58: “…la disposizione dell'articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica esclusivamente nei casi in cui rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 specifico che autorizzi l’ente a rivolgersi anche ad avvocati privati per il patrocinio giudiziale; tuttavia, la disposizione generale di cui all’art. 43 r.d. 1611/1933 prevede pur sempre la possibilità di deroga sia per casi di conflitto di interesse con le amministrazioni statali a patrocinio obbligatorio (104) (comma 3: “eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni”) sia per altri casi speciali, cioè per oggettive e inderogabili esigenze e con adeguata motivazione (comma 4: “ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”). In forza di tale disposizione generale, pertanto, l’ente ammesso al patrocinio facoltativo-autorizzato dell’Avvocatura dello Stato potrà derogarvi anche per una serie di casi e materie, oltre che per casi singoli, qualora si verifichino esigenze particolari che siano individuate di comune accordo con l’Avvocatura (in sede di Protocollo d’intesa sottoscritto per la regolazione dell’esercizio del patrocinio (105)) e giustifichino l’affidamento del patrocinio ad avvocati privati: in tal caso, la deliberazione formalmente assunta dagli organi dell’ente in approvazione del Protocollo d’intesa può valere ad integrare le condizioni richieste dall’art. 43, con motivazione che andrà riferita al detto protocollo sottoscritto, senza la necessità dell’assunzione di apposita delibera per ogni singolo caso di affidamento ad avvocato privato (al quale il Sovrintendente potrà affidare direttamente l’incarico se rientrante nei limiti di quanto consentito dal Protocollo) (106). l'agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell'avvocatura dello Stato nei giudizi a quest'ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio”. (104) Si veda il contenzioso deciso dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza del 31 ottobre 2017, n. 5026, ove alla Fondazione teatro San Carlo di napoli era contrapposta l’IStAt, amministrazione statale a patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura. (105) tale Protocollo d’intesa non era stato ancora sottoscritto all’epoca della vertenza conclusa con la sentenza della Cassazione n. 30118/2018 che sopra abbiamo menzionato. (106) Il Comitato consultivo dell’Avvocatura Generale dello Stato si è di espresso in argomento in data 20 ottobre 2011, affermando che lo strumento della delibera di “carattere generale” può essere attivato laddove, in considerazione dell’Autorità giudiziaria dinanzi alla quale i giudizi pendono (natura del Giudice; sua ubicazione), dell’oggetto delle cause (non particolare rilevanza economica e/o giuridica; ripetitività), dei tempi del giudizio, il ricorso a patrocinatore privato assicuri in determinati casi e in presenza di peculiari circostanze di fatto (a titolo meramente esemplificativo, la contiguità con l’Amministrazione e con il Foro, tali da rendere più celere e agevole l’istruttoria e più facile la presenza in udienza) una più pratica difesa della parte pubblica e si risolva, in ultima analisi, in una soluzione pienamente conforme all’interesse pubblico. Come in quella sede è stato anche sottolineato, una simile scelta -da intendersi sempre eccezionale, come l’art. 43 prescrive -non potrebbe che essere concordata con l’Avvocatura dello Stato (ed eventualmente sottoposta, ove previsto, all’organo di vigilanza) a seguito di un attento e scrupoloso esame, ferma restando in singoli casi la possibilità di eccezione a contrario per particolari ragioni che rendano invece preferibile il ricorso all’Avvocatura (ad esempio, per le implicazioni del contenzioso sull’assetto organizzativo o finanziario dell’ente). teMI IStItuzIonALI 6. La particolare posizione nei giudizi di costituzionalità ed internazionali. A differenza dei sistemi adottati in altri ordinamenti, come abbiamo già visto, l’Avvocatura dello Stato provvede, nell'esercizio del suo patrocinio, non tanto e non solo alla tutela diretta degli interessi delle singole amministrazioni od enti patrocinati, quanto al perseguimento degli interessi generali ed esclusivi dello Stato nella sua unità, i quali possono anche trascendere quelli peculiari costituiti dalla soccombenza o dalla vittoria nelle singole cause. essa acquista e potenzia, poi, una dimensione diversa e più squisitamente pubblicistica in particolare nei giudizi di costituzionalità (in cui opera più come amicus curiae che come avvocato) e nei giudizi dinanzi alle corti internazionali e sovranazionali in cui rappresenta non già lo Stato‐amministrazione ma, piuttosto, lo Stato come personificazione anche esterna di tutta la Comunità nazionale. 6.1 Giudizi di costituzionalità. Previa deliberazione del Consiglio dei ministri (art. 23, lett. g, della legge 23 aprile 1988, n. 400), l'Avvocatura Generale dello Stato partecipa, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Ministro a ciò delegato, ai giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale aventi per oggetto la risoluzione di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato o tra Stato e regioni, dove pure l’Avvocatura sostiene le ragioni “di parte” del Governo ma sempre in funzione dell’interesse unitario dello Stato‐ordinamento a una corretta dialettica fra soggetti istituzionali e fra poteri. L'Avvocatura dello Stato non è, invece, presente dinanzi alla Corte costituzionale nei giudizi di accusa promossi nei confronti del Presidente della repubblica, nei quali non è prevista la possibilità per lo Stato di costituirsi parte civile. nei giudizi di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale l’avvocato dello Stato riveste una posizione diversa rispetto a quella normalmente assunta nei giudizi ordinari. Questa posizione peculiare è resa evidente dalle circostanze che caratterizzano l’affidamento e l’esercizio del patrocinio nel processo costituzionale. In primo luogo, è necessaria una volontà politica del Presidente del Consiglio (assunta previa determinazione del Consiglio dei Ministri) di difendere la legittimità della legge statale oggetto della questione di costituzionalità o di impugnare la legge regionale oggetto della valutazione di censura, nel superiore fine della conservazione della integrità dell’ordinamento giuridico nell’ambito dei principi della Costituzione; in secondo luogo, il patrocinio dell’Avvocatura è strettamente delimitato dalle ragioni poste dalla Presidenza a base della determinazione adottata. La scelta governativa di non intervenire in un giudizio di costituzionalità rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 è, essa stessa, una scelta politica, quella di non difenderne la legittimità costituzionale (107); così pure la scelta di non impugnare una legge regionale. Per questo motivo, la difesa dell’Avvocatura deve esprimersi entro i confini indicati nella relazione di accompagnamento alla determinazione della Presidenza del Consiglio, a pena di inammissibilità, come delineato da una giurisprudenza costante della Corte (108), salvo che non si tratti di indicazioni più puntuali, nel- l’ambito della migliore esplicazione della dialettica difensiva, dei parametri di costituzionalità evocati nella determina della Presidenza del Consiglio (109). Peraltro, non mancano casi nei quali l’Avvocatura dello Stato sia stata investita dalla Presidenza del Consiglio del compito di concludere, nel giudizio (107) Per una indicazione dei rari casi nei quali questa scelta è stata effettuata, per lo più per leggi adottate in passato secondo principi contrari a quelli della nostra Costituzione, mi sia consentito di rinviare a G. ALBenzIo, Corte e avvocatura dello Stato, in Foro it., 2006, V, 328; a quei casi possiamo aggiungere, di recente, la questione di legittimità dell’articolo 22, comma 8, del decreto-legge n. 50 del 2017, rimessa alla Corte Costituzionale dall’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8191 del 2020, in causa Nuovo Sistina s.r.l. e al./ mef, mIBaCT, Eliseo s.r.l. et al. (108) Corte cost., 3 marzo 2021, n. 29: “…la pretesa violazione del principio di leale collaborazione, evocata soltanto nella memoria depositata a ridosso dell'udienza pubblica e non nel ricorso introduttivo del giudizio, è estranea al thema decidendum e la tardività della deduzione ne comporta l'inammissibilità, in quanto -secondo il costante orientamento di questa Corte -«nei giudizi in via principale il thema decidendum è fissato dal ricorso introduttivo, in conformità alla delibera dell'organo politico, e non può essere esteso ad ulteriori profili, né con le memorie presentate in prossimità del- l'udienza, né tanto meno nel corso dell'udienza» (sentenza n. 74 del 2012; in senso analogo, fra le molte, anche sentenza n. 272 del 2016)”. (109) Corte cost., 21 dicembre 2020, n. 272: “L’eccezione è fondata, perché questa Corte ha costantemente affermato che la questione proposta in via principale, rispetto alla quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 199 del 2020, n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016). La delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso rinvia, infatti, alla relazione del ministro per gli affari regionali, ove si osserva che «[l]a disposizione regionale in esame, surrettiziamente, ripropone dunque il medesimo divieto generalizzato già censurato» con la sentenza n. 142 del 2019. Benché l’art. 136 Cost. non sia espressamente menzionato, è evidente la volontà dell’organo politico, titolare del potere di impugnativa, di porre a questa Corte, a mezzo della intermediazione tecnica del- l’avvocatura generale, la questione di costituzionalità concernente la violazione del giudicato costituzionale. In presenza di tale volontà, questa Corte ha già affermato che «spetta alla parte ricorrente “la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio”, giacché la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura […]» (sentenza n. 128 del 2018)”; Corte cost., 13 giugno 2018, n. 128: “Secondo il costante orientamento di questa Corte, nei giudizi in via principale deve sussistere «una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione» (sentenze n. 154 del 2017 e n. 110 del 2016; nello stesso senso sentenze n. 46 del 2015, n. 198 del 2012), poiché «l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso» (sentenza n. 239 del 2016). In proposito questa Corte, seppur con riferimento alla difesa svolta dall’avvocatura generale dello Stato, ha affermato che spetta alla parte ricorrente «la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio, giacché la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura (sentenze n. 365 e n. 98 del 2007, e n. 533 del 2002)» (sentenza n. 290 del 2009; nello stesso senso sentenze n. 270 e n. 228 del 2017)”. teMI IStItuzIonALI di costituzionalità ove è stato dispiegato l’intervento, per la declaratoria di incostituzionalità della legge censurata (110) ovvero per una sua interpretazione costituzionalmente orientata (111). 6.2 Giudizi dinanzi alle Corti internazionali. Per le Corti europee, come già detto, la fonte normativa è data dal combinato disposto delle norme dei regolamenti processuali di ciascuna Corte che prevedono la rappresentanza in giudizio in capo ad un Agente (112) -con le leggi dei singoli Stati che regolano il conferimento dell’incarico di Agente del Governo ed il patrocinio della pubblica amministrazione. Gli statuti e le regole procedurali delle Corti europee, infatti, regolano la rappresentanza «sostanziale» nei giudizi, prevedendo -come già detto -che ogni Stato deve essere rappresentato da un «agente» (scelto secondo disposizioni interne agli Stati sulle quali l’istituzione europea non interferisce); gli Stati sono liberi di organizzare la rappresentanza «processuale», attribuendo lo jus postulandi allo stesso agente o ad avvocati liberi o all’avvocatura dello Stato (quando esistente); questa distinzione è evidenziata nel parere del Consiglio di Stato (sez. I, 30 aprile 1982 n. 332/82) che si è occupato del problema e che ci sembra opportuno riportare perché inquadra con assoluta chiarezza i rapporti fra le disposizioni europee e quelle nazionali: “L'art. 9 1° comma l. 3 aprile 1979, n. 103, che ha riconosciuto all'avvocatura generale dello Stato il potere di disporre direttamente, in modo procuratorio, degli interessi del- l'amministrazione dello stato dinanzi a tutte le giurisdizioni, senza bisogno di apposito conferimento di incarico, va coordinato, in caso di intervento in sedi (110) Si veda il giudizio concluso con la sentenza Corte cost. 8 luglio 1967 n. 101, avente ad oggetto leggi costituenti l’ordinamento araldico; quello concluso con la sentenza 28 febbraio 1996 n. 60, sul caso Priebke, sull’art. 270 del codice penale militare di pace. Per una disamina più completa si rinvia alle già citate opere di BrunI - PALAtIeLLo e ALBenzIo. (111) Si veda, fra i tanti, il giudizio concluso con sent. Corte cost. 13 aprile 2021, n. 63. (112) L’articolo 19 dello Statuto della Corte di Giustizia dell’unione europea così recita: “Tanto gli Stati membri quanto le istituzioni dell’Unione sono rappresentati davanti alla Corte di giustizia da un agente nominato per ciascuna causa; l’agente può essere assistito da un consulente o da un avvocato. allo stesso modo sono rappresentati gli Stati parti contraenti dell’accordo sullo Spazio economico europeo diversi dagli Stati membri e l’autorità di vigilanza aELS (EFTa) prevista da detto accordo. Le altre parti devono essere rappresentate da un avvocato. Solo un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno Stato membro o di un altro Stato parte contraente dell’accordo sullo Spazio economico europeo può rappresentare o assistere una parte dinanzi alla Corte. Gli agenti, i consulenti e gli avvocati che compaiano davanti alla Corte godono dei diritti e delle garanzie necessarie per l’esercizio indipendente delle loro funzioni, alle condizioni che saranno determinate dal regolamento di procedura. La Corte gode, nei confronti dei consulenti e degli avvocati che si presentano davanti ad essa, dei poteri normalmente riconosciuti in materia alle corti e ai tribunali, alle condizioni che saranno determinate dallo stesso regolamento. I professori cittadini degli Stati membri la cui legislazione riconosce loro il diritto di patrocinare godono davanti alla Corte dei diritti riconosciuti agli avvocati dal presente articolo”. L’articolo 35 del regolamento CeDu, rubricato “Rappresentanza delle Parti contraenti”, così recita: “Le Parti contraenti sono rappresentate da agenti, che possono farsi assistere da avvocati o consulenti”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 arbitrali, internazionali e comunitarie, con le norme dei trattati istitutivi di organi di giustizia operanti a livello internazionale o comunitario; pertanto, quando i trattati internazionali (come i trattati comunitari e la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) prevedono che la rappresentanza sostanziale e processuale nei giudizi internazionali competa ad un agente nominato dallo stato interessato, non è possibile applicare alla figura di diritto internazionale dell'agente la disciplina interna relativa alla rappresentanza in giudizio dell'avvocatura dello Stato”; continua il Collegio, in riferimento alla disposizione dell’art. 9 l. 103 che dianzi abbiamo esaminato: “L'affidamento all'avvocatura dello stato della rappresentanza e difesa delle amministrazioni statali nei «procedimenti innanzi ai collegi internazionali o comunitari» previsto dall'art. 9, 1° comma, l. 3 aprile 1979, n. 103, non implica la soppressione della figura dell'agente, quale organo impersonante lo stato in detti procedimenti, prevista da norme internazionali convenzionali, cui l'Italia si è adeguata, come l'art. 42 dello statuto della corte internazionale di giustizia (reso esecutivo con l. 17 agosto 1957, n. 848), l'art. 17 del protocollo sullo statuto della corte di giustizia della Cee (reso esecutivo con l. 13 marzo 1958, n. 204) ed altre simili». Per vero, dinanzi ad ambedue le Corti europee le funzioni di Agente dello Stato italiano sono assunte dall’Avvocatura dello Stato: -legge 24 dicembre 2012 n. 234, art. 42: “3. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli affari europei e il ministro degli affari esteri nominano, quale agente del Governo italiano previsto dall'articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, un avvocato dello Stato, sentito l'avvocato generale dello Stato”. -d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, conv. in legge 1 dicembre 2018 n. 132, art. 15: “01. Le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo [ai sensi dell’art. 35 regolamento della Corte 14 novembre 2016] sono svolte dall'avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato” (113). La differenza fra i due sistemi è che, l’Agente dinanzi alla Corte di Giustizia ue è nominato dal Governo, sia pure vincolato alla scelta fra gli avvocati dello Stato, mentre l’Agente dinanzi alla CeDu è indicato dalla legge, nella (113) L’art. 1, comma 172, legge n. 160 del 2019 prevede: “al fine di supportare l'agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, possono essere nominati esperti, nel numero massimo di otto, individuati tra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, professori universitari, ricercatori a tempo determinato, assegnisti di ricerca, dottori di ricerca e dirigenti dell'amministrazione dello Stato. Gli esperti sono nominati dall'avvocato generale dello Stato per un periodo non superiore a un triennio, rinnovabile, e sono collocati in posizione di comando o fuori ruolo, salvo che l'incarico sia a tempo parziale e consenta il normale espletamento delle funzioni del- l'ufficio di appartenenza. Per l'espletamento degli incarichi di cui al presente comma spetta, secondo i rispettivi ordinamenti, un compenso da determinare all'atto del conferimento dell'incarico, commisurato alla prestazione e proporzionato al tipo di attività, comunque non superiore ad euro 40.000 lordi annui”. teMI IStItuzIonALI figura dell’Avvocato generale che può a sua discrezione indicare un sostituto. Questa distinzione fra potere di rappresentanza sostanziale e processuale ha comportato, per quel che interessa il nostro Stato, come già accennato, che le leggi in materia si sono preoccupate di dettare criteri di massima per la designazione dell’agente, lasciando alle disposizioni interne in vigore la determinazione di affidamento dello jus postulandi. Queste disposizioni interne sono individuabili nelle leggi sull’Avvocatura dello Stato che abbiamo sopra riportato, in forza delle quali spetta agli avvocati dello Stato la potestà esclusiva di rappresentare le amministrazioni statali dinanzi a tutte le Corti, nazionali e internazionali. La distinzione di figure e funzioni della quale stiamo parlando è chiarissima nell’art. 42 della l. 234/2012, ove il terzo comma è destinato alla designazione dell’agente del Governo dinanzi alla Corte di Giustizia, mentre il primo e secondo comma regolano l’assunzione delle decisioni sostanziali in merito alla posizione da assumere in giudizio per la tutela degli interessi dello Stato che sono coinvolti (114). Lo stesso non avviene per la partecipazione ai giudizi dinanzi alla CeDu, per i quali il Legislatore si è occupato solo della designazione dell’agente ma, certamente, non si può dubitare che, in forza dei principi generali, l’assunzione delle decisioni sostanziali spetta al Presidente del Consiglio ed al Consiglio dei ministri. Il patrocinio dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e sovranazionali permette all’Avvocatura dello Stato di essere «testimone privilegiato di quel dialogo tra le alte Corti che costituisce strumento fondamentale affinché l’integrazione tra l’ordinamento interno e quelli sovranazionali avvenga senza pregiudizio per le nostre tradizioni costituzionali e per i principi supremi che ne sono alla base»; è un dialogo al quale l’Avvocatura dello Stato contribuisce con il peculiare obiettivo di tutelare l’interesse pubblico generale e non solo quello della parte difesa coinvolta nel giudizio: solamente per mezzo dell’attività svolta dall’Avvocatura dello Stato -che garantisce una complessiva coerenza delle posizioni sostenute nelle diverse materie affrontate -è possibile perseguire e raggiungere una «visione d’insieme delle questioni giuridiche che caratterizzano un determinano momento storico», e ciò grazie sia alla costante presenza davanti al giudice ordinario, contabile e amministrativo, che davanti alla Corte costituzionale e alle Corti sovranazionali (115). (114) “1. Le decisioni riguardanti i ricorsi alla Corte di giustizia dell'Unione europea o gli interventi in procedimenti in corso davanti alla stessa Corte, a tutela di situazioni di rilevante interesse nazionale, sono adottate dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal ministro per gli affari europei, in raccordo con il ministro degli affari esteri e d'intesa con i ministri interessati. ove necessario, il Presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli affari europei ne riferisce preventivamente al Consiglio dei ministri. 2. ai fini del comma 1, le richieste di ricorso o di intervento davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea sono trasmesse dalle amministrazioni proponenti alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche europee e al ministero degli affari esteri”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 nei giudizi dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, istituita presso le nazioni unite (v. art. 92 (116) dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, reso esecutivo con la legge 17 agosto 1957, n. 848), l’art. 42 dello Statuto (allegato a quello delle nazioni unite e reso esecutivo unitamente allo stesso) dispone che: “1. Les parties sont représentées par des agents. 2. Elles peuvent se faire assister devant la Cour par des conseil ou des avocats. 3. Les agents, conseils et avocats des parties devant la Cour jouiront des privilèges et immunités nécéssaires à l'exercice indépendant de leurs fonctions”; pertanto, si deve considerare vigente il regime processuale descritto per i giudizi dinanzi alle Corti europee, anche se, nella prassi si riscontrano casi nei quali lo Stato italiano ha affiancato all’avvocato dello Stato alcuni esperti nella materia trattata. Lo stesso può dirsi per gli altri tribunali internazionali, costituiti in via stabile (come il tribunale Internazionale del diritto del mare-ItLoS (117); il tribunale unificato dei brevetti (118); ecc.) oppure ad hoc per la cognizione di specifici casi: lo Stato italiano è rappresentato -per la difesa dei suoi interessi, qualora coinvolti nella controversia -da un agente o funzionario incaricato ad hoc, con l’eventuale assistenza di un avvocato dello Stato o di un esperto della materia, di solito in collegio fra di loro. 7. Un amicus curiae per il giudizio amministrativo? un amicus curiae per il processo amministrativo? Può sembrare una provocazione o una mera fantasia ma, in realtà, potrebbe essere un’idea per migliorare l’efficienza e l’efficacia del processo dinanzi al Giudice amministrativo e delle sue decisioni, nel rispetto dei principi dell’art. 97 della Costituzione. Come è noto, con l’espressione amicus curiae si è soliti far riferimento a quel soggetto che, per espressa richiesta della corte o per propria iniziativa, collabora -fornendo il proprio sapere in qualità, per l’appunto, di «amico» con l’autorità giudiziaria, con il preciso fine di garantire la miglior risoluzione (115) Sul punto, si veda il Discorso di insediamento dell’Avvocato Generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, in data 22 novembre 2019, pubblicato nel sito ufficiale dell’Avvocatura. (116) «92. La Cour internationale de justice constitue l'organe judiciaire principal des Nations Unies. Elle fonctionne conformément à un Statut établi sur la base du Statut de la Cour permanente de justice internationale et annexé à la présente Charte dont il fait partie intégrante». (117) Accordo sui privilegi e le immunità del tribunale internazionale del diritto del mare, adottato a new York il 23 maggio 1997, art. 16: “agenti, consulenti legali e avvocati. 1. Gli agenti, i consulenti legali e gli avvocati presso il Tribunale godono, durante la durata della loro missione, ivi compreso in occasione di viaggi effettuati nell'àmbito di missioni, dei privilegi, immunità ed agevolazioni richieste dell'esercizio indipendente delle loro funzioni …”. (118) Acc. Int. 19 febbraio 2013 -accordo su un tribunale unificato dei brevetti, art. 48 dello Statuto, “Rappresentanza. 1. Le parti sono rappresentate da avvocati abilitati al patrocinio dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno Stato membro contraente”. teMI IStItuzIonALI di una determinata controversia, rimanendo, però, terzo ed imparziale rispetto agli specifici interessi delle parti in causa; sovente, attraverso tale figura, vengono introdotti nel giudizio interessi di carattere pubblico, generale, di cui l’amicus curiae si fa garante, svolgendo così una funzione lato sensu giuspubblicistica (119). La sopra descritta funzione dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, di difensore della integrità dell’ordinamento giuridico generale, potrebbe essere utilmente riproposta anche nei giudizi amministrativi a difesa dell’integrità dell’ordinamento amministrativo. Infatti, capita spesso che sia impugnato dinanzi al Giudice amministrativo un provvedimento generale di regolazione di un particolare settore o plesso amministrativo, del quale si chiede l’annullamento solo per una parte ma che verrebbe inevitabilmente travolto da un annullamento parziale; del resto -da un lato -il Giudice non ha il potere di modificare utilmente la disposizione censurata qualora ne riscontri l’illegittimità, al fine di consentire l’operatività dell’intero provvedimento nel quale è inserita, e -dall’altro lato -l’amministrazione non ha la elasticità o la disponibilità a rivedere l’atto prima e in assenza di una pronunzia giudiziale che la obblighi ad intervenire. Il fermo dell’attività amministrativa che consegue ad una pronunzia di annullamento dell’atto generale (eventualmente anticipata in sede di sospensiva cautelare) è certamente contrario al principio costituzionale di efficienza della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. ecco perché potrebbe essere utile prevedere nei giudizi amministrativi, aventi ad oggetto un atto o provvedimento emesso da una amministrazione statale, la possibilità di intervento della Presidenza del Consiglio, patrocinata dall’Avvocatura dello Stato, in funzione super partes e di amicus curiae. Questa figura che qui ipotizziamo costituirebbe -da un lato -una proiezione nel giudizio amministrativo della figura e della funzione dell’intervento del Presidente nel Consiglio nei giudizi di legittimità costituzionale, con il patrocinio dell’Avvocato generale dello Stato, e -dall’altro lato -completerebbe il paradigma tradizionale del contraddittorio nel processo con una parte che sarebbe più vicina a quella dell’Avvocato generale dinanzi alla Corte di Giustizia ue e a quella del Commissario per i diritti umani dinanzi alla CeDu (120), piuttosto che a quella individuata nella recente riforma del processo co (119) Già nella tradizione giuridica dell’antica roma l’istituto dell’amicus curiae trovava una sua collocazione attraverso il ruolo del consulente indipendente del tribunale, da quest’ultimo nominato al fine di fornire assistenza e supporto all’autorità giudiziaria (C. DeLLA GIuStInA, amicus curiae: dalle origini alle modifiche delle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, in osservatorio Costituzionale, Fasc. 3/2020, 2 giugno 2020). (120) L’ultimo paragrafo dell’art. 36 del regolamento della Corte riconosce il diritto al deposito di atti scritti e alla partecipazione al contraddittorio al Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’europa, il cui intervento, dunque, è sempre ammesso, con la disciplina dettata dal successivo art. 44. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 stituzionale delle norme innovative approvate con delibera dell’otto gennaio 2020 (121). Per vero, questo nuovo amicus curiae si presenta come portatore di voci esterne, seppur contigue, alla questione di costituzionalità in discussione (122) ma senza alcuna forza propositiva o influenza diretta sulla decisione da assumere e addirittura senza poter partecipare all’udienza di discussione (123). Anche l’Avvocato generale dinanzi alla CGue non ha forza propositiva diretta sulla questione all’esame della Corte ma ha certamente una notevole influenza sulla emananda decisione, nel superiore interesse della corretta applicazione dei principi europei, come è attestato dalla prassi che viene in evidenza nella motivazione. La nuova ipotizzata figura del processo amministrativo avrebbe proprio questa capacità di influenza sull’esito del giudizio perché sarebbe finalizzata a proporre una soluzione della questione controversa che si ponga come un superamento delle posizioni controverse fra le parti in causa e sia ispirata alla ricerca di una soluzione che persegua la piena attuazione dei principi costituzionali. Questo intervento non verrebbe a sovrapporsi alla costituzione in giudizio dell’amministrazione statale convenuta perché la posizione della stessa sarebbe assorbita da quella della Presidenza interveniente, al superiore fine di salvaguardare l’integrità dell’organizzazione amministrativa e non solo (e non tanto) la legittimità della singola disposizione impugnata. L’interveniente avrebbe la potestà di suggerire una modifica della parte dell’atto generale suscettibile di annullamento in modo da riportare a legalità l’intero e consentire al Giudice di pronunziarsi nel merito dell’esercizio del- l’attività amministrativa con potestà che, altrimenti, gli sarebbe preclusa. non è questa la sede per scendere nei dettagli dell’ipotesi di riforma ma potrebbe essere utile aver lanciato la proposta. (121) Il nuovo art. 4-ter, stabilisce che le opinioni amicus curiae possono essere presentate da «formazioni sociali senza scopo di lucro» e da «soggetti istituzionali» «portatori di interessi collettivi o diffusi»«attinenti alla questione di costituzionalità» (1° comma), che la rappresentatività dell'ente dovrà essere apprezzata in specifica aderenza alla questione di legittimità costituzionale e che l'opinione scritta sarà ammessa purché offra «elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della complessità del medesimo» (3° comma). (122) G. BAttAGLIA, Il nuovo istituto dell'amicus curiae, in Foro it., 2020, V, 388; G.P. DoLSo, Recenti interventi sul processo costituzionale, in Diritto pubblico, fasc. 2, 2020. (123) La prima pronuncia della Corte costituzionale italiana che ha dato luogo all’applicazione delle nuove disposizioni di legge è stata l’ordinanza n. 37/2020, con la quale la Consulta ha ritenuto ammissibile la richiesta di intervento del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti nel giudizio in via incidentale sulla legittimità costituzionale del reato di diffamazione a mezzo stampa, per via della sussistenza di un nesso con lo specifico rapporto giuridico dedotto in giudizio in relazione alla competenza disciplinare attribuita al CnoG dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69. teMI IStItuzIonALI 8. Controllo dell’autorità Giudiziaria sulla legittimità del patrocinio dell’avvocatura. occorre, anzitutto, rilevare che, pacificamente, il potere di verificare e rilevare d’ufficio l’eventuale sussistenza di conflitti d’interesse, ai fini dell’assunzione del patrocinio, spetta sempre al giudice quando si tratta di parti private, ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (124). Abbandonato il ricorso all'applicazione analogica della disciplina processualpenalistica (art. 133 c.p.p. previgente; art. 106 c.p.p. vigente) in passato sostenuta (Cass. n. 2493/1983, e già, in epoca remota, Corte cost. n. 59/1959), la fonte del menzionato principio, ora codificato nell’art. 182 c.p.c. (introdotto dalla l. 18 giugno 2009, n. 69), la cui violazione può dar luogo ad illecito disciplinare e perfino penale (Cass. S.u., n. 14619/2002), è oggi fatta discendere dagli artt. 24 e 111 Cost. in cui sono consacrati il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, donde la rilevabilità d’ufficio del vizio della procura anche in appello (125). non sempre agevole, in dipendenza delle implicazioni del caso concreto, è l'individuazione della linea di demarcazione tra il conflitto di interessi non soltanto attuale, ma anche potenziale, giuridicamente rilevante, ed il conflitto di interessi meramente eventuale, irrilevante. Così, si trova affermato che nel rapporto fideiussorio, non sussiste conflitto d'interessi tra debitore principale e fideiussore, assistiti dal medesimo difensore, quando in concreto emerga il comune interesse a contestare l'esistenza della pretesa del creditore, non essendo sufficiente la mera eventualità di una contrapposizione processuale dovuta alla contestazione dell'esistenza del rapporto di garanzia ma dovendosi ritenere necessaria l'esistenza di un conflitto attuale o quanto meno virtuale (Cass. n. 23056/2007). Al contrario, nel caso di controversia di lavoro instaurata contro un ente (124) Così la giurisprudenza sul punto: Cass. civ., Sez. unite, 12 marzo 2021, n. 7030: “Il conflitto di interessi tra avvocato e cliente non sussiste solo nel caso in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza di un consenso da parte di quest'ultimo, poiché il conflitto si evidenzia in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, ci si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito; sussiste conflitto quando in una procedura esecutiva si chiede l'attribuzione di somme del proprio assistito senza sostanzialmente cessare la difesa di quest'ultimo, potendo essere il conflitto anche solo potenziale”; Cass. civ., sez. VI, 20 gennaio 2020, n. 1143: “Va ribadito il principio di diritto per cui nel caso in cui tra due o più parti sussista un conflitto di interessi, è inammissibile la difesa in giudizio a mezzo dello stesso procuratore, e la violazione di tale limite, investendo i valori costituzionali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, è rilevabile d’ufficio (Cass., 25/09/2018, n. 22772)”. (125) Conseguenza del conflitto di interessi è, secondo l'opinione prevalente, la nullità della procura rilasciata per seconda; così, nel caso di conferimento al medesimo procuratore della procura alle liti da parte di madre e figlio nel giudizio di disconoscimento della paternità, la parte che abbia conferito per seconda la procura al procuratore nominato dall'altra deve ritenersi non costituita in giudizio (Cass. n. 14634/2015; Cass. n. 1860/1984); talora, tuttavia, si ipotizza anche la nullità di tutte le procure conferite (Cass. n. 2779/1968). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 pubblico, di cui sia rappresentante legale una persona avente con l'attore un rapporto di stretta parentela (nella specie, il fratello), la S.C. ha ritenuto sussistente una situazione di conflitto di interessi che, comportando l'invalidità della rappresentanza processuale dell'ente, è ostativa alla costituzione di un valido rapporto processuale tra lo stesso ente ed il lavoratore che lo ha convenuto in giudizio: tale situazione, ancorché solo potenziale, va rimossa, secondo la S.C., in via preventiva, indipendentemente dalla sussistenza o no di sintomi indicativi dell'effettività del conflitto stesso (Cass. n. 618/1990). Problematica è la piena applicazione dell’art. 182 c.p.c. nei confronti di una pubblica amministrazione, sotto il profilo della potestà dell’Autorità Giudiziaria di delibarne le scelte e di adottare provvedimenti autoritativi, in prospettiva del rispetto della separazione dei poteri che informa il nostro ordinamento. In effetti, il provvedimento adottato dall’Autorità Giudiziaria che rilevi d’ufficio il conflitto d’interessi con riguardo al patrocinio obbligatorio del- l’Avvocatura dello Stato nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni statali, potrebbe essere censurato sia sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale sia sotto quello dell’abnormità, in quanto potenzialmente in contrasto con il principio dell’autonomia del potere esecutivo-amministrativo rispetto a quello giudiziario. La criticità del sistema non si manifesta tanto nel caso del controllo sulla validità del singolo mandato concesso al patrocinatore legale, in applicazione del disposto dell’art. 43 r.d. 1611/1933 (126), trattandosi in definitiva di verifica della corretta applicazione di una norma di legge (che prevede espressamente il conflitto di interesse) da parte dell’ente autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura ma pur sempre in posizione subordinata rispetto al patrocinio obbligatorio per le amministrazioni statali ex art. 1 stesso regio (126) Cass. civ., Sez. unite, 20 ottobre 2017, n. 24876: “ai sensi dell'art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933 -come modificato dall'art. 11 della l. 3 aprile 1979 n. 103 -la facoltà per le Università statali di derogare, "in casi speciali" al "patrocinio autorizzato" spettante per legge all'avvocatura dello Stato, per avvalersi dell'opera di liberi professionisti, è subordinata all'adozione di una specifica e motivata deliberazione dell'ente (ossia del rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza (consiglio di amministrazione) per un controllo di legittimità. In via generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal regolamento o dallo statuto dell'Università, fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. Tuttavia, nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell'art. 12 del R.D. n. 1592 del 1933, il rettore, quale presidente del consiglio d'amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell'incarico all'avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal consiglio, così sanando l'originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del rettore, non seguito dal vaglio del consiglio, nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici parti nel medesimo giudizio, rendendo un simile conflitto di interessi che deve essere reale, non meramente ipotetico e documentato -rende non ipotizzabile il patrocinio del- l'avvocatura dello Stato in favore dell'Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione”. teMI IStItuzIonALI decreto; la criticità si presenta allorché si tratti di verificare il corretto esercizio della potestà discrezionale spettante ad una pubblica amministrazione statale, munita del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura, declinabile solo ai sensi dell’art. 5. Allorché siano costituite nel processo due amministrazioni statali, la valutazione sul potenziale conflitto di interessi e sulla ricorrenza delle ragioni assolutamente speciali per l’adozione della deliberazione di cui all’art. 5 r.d. 1611 spetta alla stessa pubblica amministrazione, con l’osservanza della procedura ivi regolata, e non può essere imposta dal Giudice che, per principio universale, non può ordinare un facere a un altro potere pubblico. Si tratterebbe di un eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile ai sensi dell'art. 111, comma 3, della Costituzione perché il Giudice si sostituisce alla pubblica amministrazione procedendo alla diretta e concreta valutazione del- l'opportunità e convenienza dell'atto, assumendo la decisione finale in espressione di una volontà dell'organo giudicante che si sostituisce a quella dell'amministrazione e che, procedendo ad un sindacato di merito, si estrinseca in una pronunzia autoesecutiva (intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l'esecutorietà stessa del provvedimento sostituito) senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa (Cass. S.u. n. 9443 del 28 aprile 2011; n. 16165 del 25 luglio 2011; n. 2312 del 17 febbraio 2012). Si è presentato nella pratica il caso di un giudizio promosso congiuntamente dal Ministero dell’economia e delle Finanze e dall’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità organizzata (127), sulla base di legittimazione surrogatoria ex artt. 2476, co. 3, e 2407, co. 2, c.c., contro gli amministratori ed i sindaci di società confiscata; alla domanda di manleva di questi ultimi, che chiamavano in giudizio come responsabili gli stessi soggetti pubblici attori, le due amministrazioni statali che avevano promosso il giudizio si sono dovute ri-costituire per resistere alle dette domande di manleva, ribadendo la posizione assunta nel- l’atto introduttivo del giudizio. tuttavia, il Giudice unico del tribunale di Palermo con ordinanza 28-29 gennaio 2020, ritenuto che “la condizione di conflitto tra l’interesse della società e quello dei convenuti in regresso -questi ultimi interessati a dare una rappresentazione dei fatti che escluda la loro responsabilità rispetto ai danni che si assume aver sofferto la società -determin[erebbe] una situazione di in (127) A norma dell’art. 69, ult. co., del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 (t.u. sulla contabilità generale dello Stato), aggiunto dal comma 5-decies dell’art. 3, d.l. 9 settembre 2005, n. 182, “tra le amministrazioni dello Stato devono intendersi le agenzie da esso istituite, anche quando dotate di personalità giuridica”. tant’è che, ai sensi dell’art. 114, co. 2, del d.lgs. n. 159/2011 e s.m.i. (codice antimafia), “all’agenzia si applica l’articolo 1 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa dello Stato (…)”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 compatibilità dell’avvocatura dello Stato a difendere l’aNaBC e mEF quali parti formali da un lato e quali parti sostanziali dall’altro”, assegnava termine per rimuovere tale asserita situazione di incompatibilità “attraverso l’assunzione della difesa dei convenuti aNaBC e mEF, relativamente alle pretese contro di loro svolte in regresso dai sindaci e amministratori, da parte di difensore proveniente dal libero foro (con applicazione analogica dell’art. 43, co. 3 [rectius, co. 4] del Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611) o attraverso la costituzione della società affinché la stessa coltivi le pretese svolte nel suo interesse dagli attori”; l’ordinanza era confermata in sede di reclamo e, quindi, impugnata in Cassazione ex art. 111 Cost. (ove il processo è ancora pendente). L’impossibilità per l’Autorità Giudiziaria di intervenire nel procedimento amministrativo di affidamento del patrocinio all’Avvocatura dello Stato regolato ex lege dal r.d. 1611/1933 e dalla l. 103/1979 non comporta, peraltro, che un potenziale conflitto di interessi o di posizioni sostanziali fra amministrazioni statali sia insuscettibile di essere composto; anzi, la necessità di assicurare l’unità dell’ordinamento e l’armonia della sua azione impone la ricerca di una posizione comune ma questa attività resta nell’ambito dell’alta amministrazione e non può essere demandata ad altro potere dello Stato. A parte specifiche normative che prevedono norme di composizione dei conflitti fra le pubbliche amministrazioni in particolari settori (ambiente, territorio, ecc.), presso la Presidenza del Consiglio è istituito il Dipartimento del Coordinamento Amministrativo che ha fra le sue funzioni quella della composizione delle divergenze che sorgono fra amministrazioni statali e che, appunto, sono risolte al più alto livello amministrativo centrale, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio. Anche sotto questo profilo, quindi, l’Autorità Giudiziaria non può sindacare l’affidamento del patrocinio ex lege all’Avvocatura dello Stato da parte di un’amministrazione statale, neppure ai sensi dell’art. 182 c.p.c. A chiusura dell’argomento, può ricordarsi un episodio peculiare accaduto nell’ambito della problematica qui esaminata, ove il conflitto di interessi, presente sin dall’inizio dell’azione promossa con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, è stato risolto d’intesa fra le parti. trattasi della contrapposizione tra il Presidente della repubblica e il Ministro della Giustizia, in relazione alla titolarità del potere di grazia, che ha dato origine ad un conflitto di attribuzione tra questi due poteri dello Stato. Il ricorso introduttivo del conflitto è stato predisposto, con atto di pro- movimento n. 6/2005, dall’Avvocatura Generale dello Stato su incarico e per conto del Presidente della repubblica; l’antagonista Ministero della Giustizia -che pure avrebbe avuto il diritto di essere difeso dall’Avvocatura, in quanto trattasi di organo del potere esecutivo che per definizione rientra nel concetto di Amministrazione dello Stato -ha affidato la difesa ad avvocato privato, valendosi della facoltà di deroga per casi assolutamente eccezionali prevista teMI IStItuzIonALI dall’art. 5 r.d. 1611/1933, con provvedimento assunto in autonomia e senza seguire la procedura ivi prevista (un decreto del Presidente del Consiglio previo parere dell’Avvocato generale), stante la posizione di vertice del Ministro nell’ambito del potere esecutivo e la non soggezione ad altro potere o organo consultivo (128). (128) Sul punto, si veda Presidente della Repubblica, conflitto di attribuzioni e patrocinio del- l’avvocatura dello Stato: spunti e problemi di A. De VItA, in www.forumcostituzionale.it rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 la tutela dello Stato nel sistema giudiziario italiano nei procedimenti contro le frodi che incidono sul bilancio dell’ue Luca Ventrella* Signor Presidente, innanzitutto i miei più sentiti ringraziamenti alla Corte dei Conti, alla Procura Generale e in particolare al Procuratore Generale, per questo prestigioso invito davanti ad un uditorio così autorevole e su un tema di così grande interesse e di scottante attualità. non posso non cominciare il mio intervento -anche per raccordarmi a ciò che è stato detto nella interessantissima tavola rotonda che mi ha preceduto -con un cenno al principio del ne bis in idem, alla luce degli approdi giurisprudenziali sovranazionali: mi riferisco in particolare alla sentenza CeDu “a and B c/ Norvegia” del 15 novembre 2016 (poi ripresa anche dalla Corte di Giustizia, proprio a proposito dell'ordinamento italiano in materia di repressione delle frodi IVA, realizzandosi così una convergenza), laddove il divieto di ne bis in idem sostanziale a livello sovranazionale è concepito soltanto in caso di perfetta coincidenza materiale tra i fatti contestati (cd. “idem factum”), e non impedisce invece la punibilità del soggetto in forza di titoli diversi e di autonome procedure di controllo, che siano penali, amministrative, civili, contabili e simili. ebbene, in quasi tutti questi procedimenti paralleli, in questi “doppi o tripli binari”, l'Avvocatura dello Stato gioca un ruolo, una parte importante; in questo sì l'Avvocatura certamente è un osservatorio privilegiato. Quindi -dicevamo -a livello di diritto europeo, in una situazione dell'ordinamento norvegese analoga a quella prevista nell'ordinamento italiano in tema di violazioni di norme fiscali sull’IVA, non osta alla previsione di un “doppio binario sanzionatorio” in materia di evasione fiscale e alla possibilità che sanzioni penali e tributarie trovino applicazione in procedimenti separati e/o “paralleli”; chiaramente al ricorrere di determinati requisiti, ad esempio purché risultino sufficientemente connessi per oggetto e sul piano temporale, (*) Avvocato dello Stato. Costituisce il presente scritto l’intervento dell’Autore al Convegno internazionale “Progetto Catone” (Progetto “Cooperation Agreements and Training on Objectives and New Experiences” C.A.T.O.N.E) per il contrasto alle frodi a danno degli interessi finanziari dell’Unione Europea. Convegno organizzato dalla Procura Generale della Corte dei Conti con la collaborazione del Comitato per la lotta contro le frodi nei confronti dell’UE della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Colaf); 25-28 maggio 2021, modalità on line. teMI IStItuzIonALI nonchè vi sia a monte la prevedibilità da parte del privato della duplice risposta sanzionatoria e il carattere proporzionato delle sanzioni in concreto inflitte. Questi procedimenti “paralleli” dovrebbero inoltre perseguire finalità complementari e mirare anche in concreto a stigmatizzare aspetti diversi della condotta illecita del privato; possibilmente devono essere tali da evitare, nei limiti del possibile, ogni duplicazione di attività istruttoria, mediante un’adeguata interazione tra le autorità competenti, tale da rendere i fatti accertati in uno dei procedimenti utilizzabili pure nell'altro, evitando anche che la sanzione complessivamente intesa risulti sproporzionata, così da prevenire -si dice a livello di giurisprudenza sovranazionale -un accanimento persecutorio nei confronti del privato. In ogni caso sappiamo -sempre alla luce della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale -che il principio del ne bis in idem riemerge, potremmo dire carsicamente, in executivis, onde evitare che il privato paghi due volte per la stessa sanzione; si pensi ad esempio al caso (peraltro tratto dall'esperienza pratica dell'Avvocatura) di condanna dell'imputato alle statuizioni civili in un processo penale in caso di costituzione di parte civile nell’interesse della P.A., e d'altra parte di condanna del medesimo soggetto nel giudizio dinanzi alla Corte dei Conti (dove pure l'Avvocatura dello Stato può spiegare un intervento adesivo), o ancora nel giudizio tributario davanti alla Corte di Cassazione. Si avverte quindi la necessità, in tema di grandi frodi fiscali -perché appunto non osti il principio del ne bis in idem -da un lato, di un coordinamento “interno” all’Avvocatura dello Stato, perché (svolgendo la stessa, come detto, diverse “parti in commedia” nei vari procedimenti) è bene che tante volte coordini le proprie difese, ad esempio dinanzi al giudice penale così come davanti alla Cassazione tributaria; e, d'altra parte, di un coordinamento anche “esterno” con le difese nei gradi di merito svolti dall'Agenzia delle entrate (sappiamo che davanti alle Commissioni tributarie provinciali e regionali si difende direttamente l'Amministrazione finanziaria con i propri funzionari, mentre all'Avvocatura spetta il compito di difenderla nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione tributaria). ebbene, in tali casi, acquisire le difese dei gradi di merito dall'Agenzia delle entrate, nonchè i documenti -vere e proprie “tabelle di danno” -ed anche le prove documentali richiamate nei processi verbali di contestazione della Guardia di Finanza, e produrli magari con un indice ragionato in maniera selezionata nel giudizio penale, consente tante volte di ricostruire ed illustrare in modo schematico ed efficace anche complessi aspetti tecnici (cui il giudice penale non sempre è avvezzo) in ordine al significato tributario delle condotte. Può accadere a volte, in taluni casi, che il processo penale possa concludersi con un insuccesso, o per la detta difficoltà delle questioni tecniche, o per lo spirare dei termini prescrizionali, proprio per le garanzie costituzionali del rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 nostro ordinamento in materia penale (ora riconosciute anche a livello sovranazionale dall'ultima pronuncia Taricco della Corte di Giustizia). non è il caso ora, in questa sede, di ripercorrere la saga delle varie sentenze Taricco, però ciò che rileva segnalare è che io stesso ho discusso personalmente la prima causa Taricco, quella che vide l'Italia soccombente, ma vide soprattutto, possiamo dire, i principi costituzionali di garanzia fondamentali di ogni civile convivenza democratica avanzata un po' compressi in nome di un’asserita preminenza della tutela degli interessi finanziari, del bilancio europeo; ebbene, noi abbiamo cercato già nella prima discussione di sostenere come anche un sistema di prescrizione dei reati (che in Italia non è poi così ristretta, perché alla fine sono sette anni e mezzo) fosse compatibile con il perseguimento degli illeciti, sia dal punto di vista penale ma anche tributario, e delle grandi frodi che vanno ad incidere pesantemente sul bilancio europeo (mi riferisco segnatamente a quelle in materia di IVA), proprio perché ci sono gli altri cd. “binari paralleli”, quali la leva tributaria, il procedimento tributario e il processo davanti alla Corte dei Conti, che consentono in ogni caso un’efficace tutela degli interessi finanziari europei (e non solo). Come sappiamo, la Corte costituzionale ha in seguito fatto valere in maniera ferma e decisa e riaffermato fondamentali principi costituzionali di garanzia in materia penale (quali ad es. riserva di legge, determinatezza, prevedibilità, peraltro accolti a livello costituzionale in molti altri Stati membri), esercitando quindi i cd. “controlimiti nazionali al diritto europeo”, che alla fine sono stati accettati dalla stessa Corte di Giustizia con l’ultima pronuncia Taricco. Ma appunto, come dicevamo, può darsi che il processo penale -o per la difficoltà e complessità delle questioni tecniche (cui magari il giudice penale non sempre è avvezzo) o per lo spirare dei termini prescrizionali, o anche per il rigoroso regime di prova che giustamente, per le garanzie tipiche di tale procedimento, caratterizza il processo penale -possa concludersi anche con un insuccesso; ma l'esperienza maturata lì dall’Avvocatura dello Stato come parte civile tante volte ha poi portato ad un successo nell'esito dei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione tributaria, agevolato anche dalla comprensione dei meccanismi evasivi posti in essere, acquisita nella trattazione del giudizio penale, che ha consentito poi di rappresentare adeguatamente l'antigiuridicità di tali meccanismi evasivi dinanzi alla Cassazione tributaria, laddove le ragioni dell'Amministrazione finanziaria sono state infine pienamente accolte, e quindi, indirettamente, anche le ragioni del bilancio europeo. Si verifica quindi in molti casi, per così dire, una sorta di “osmosi virtuosa” (o almeno dovrebbe verificarsi come obiettivo auspicabile, ma comunque, ripeto, tante volte accade), tratta proprio dall'esperienza pratica tra i procedimenti del cosiddetto “doppio binario” o dei “binari paralleli”, anche grazie a questo “coordinamento interno ed esterno” di cui ho parlato, speri teMI IStItuzIonALI mentato e collaudato come metodo di lavoro proprio dall'Avvocatura dello Stato. Com' è noto, l'Avvocatura dello Stato ha anche il compito di intervenire quale “amicus curiae” nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale a difesa della costituzionalità delle leggi, e ciò è avvenuto di recente, ad esempio, in materia di soglie di punibilità, previste in particolare dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 74/2000, che ha introdotto un primo corpo di norme (“Nuova disciplina dei reati in materia di IVa”). Il citato articolo 3 punisce chi, al fine di evadere l'IVA, utilizza delle “dichiarazioni fraudolente mediante altri artifizi” (diversi dall'uso di fatture per operazioni inesistenti, previsto dalla fattispecie per così dire principale dell'art. 2 dello stesso decreto legislativo 74/2000) soltanto se l'imposta evasa è superiore a 30.000 euro (soglia di punibilità non prevista invece dal testè citato art. 2). Veniamo qui ad una costante che connota le diverse branche della repressione penale delle grandi frodi, appunto le cd. “soglie di punibilità”: cioè, al di sotto di una determinata soglia si preferisce -anzi si impone -che si applichi soltanto la sanzione amministrativa. Il Legislatore inserisce quindi un principio di equilibrio nel sistema penale di repressione delle grandi frodi: in questo caso la soglia di punibilità è di 30.000 euro, che invece -come detto -non è prevista dall'articolo 2, che sanziona penalmente chi, al fine di evadere l’IVA, utilizza fatture o altri documenti equipollenti per prestazioni inesistenti. ebbene, in questo caso, di recente la Corte costituzionale, con sentenza n. 95/2019, ha recepito e seguito le indicazioni contenute nell'intervento del- l'Avvocatura dello Stato, riconoscendo non fondata la questione della sospettata incostituzionalità per asserita irragionevole disparità di trattamento ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione tra le due fattispecie criminose, in ragione proprio del particolare valore probatorio della fattura, che assume un ruolo fondamentale nel sistema di applicazione dell'IVA (che, come noto, è un tributo armonizzato a livello di diritto dell'unione europea che incide in misura notevole sul bilancio dell'unione stessa), in quanto la fattura medesima costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'IVA. È stato affermato più volte dalla Corte di Giustizia che tale diritto non può essere di regola limitato, purché però il tributo venga pagato! ebbene, di fronte ad un sistema fraudolento in cui si utilizzino delle fatture per prestazioni inesistenti, in concreto nel giudizio viene imposto all'Amministrazione finanziaria difesa dall'Avvocatura (o nei primi gradi del giudizio di merito dall'Amministrazione stessa) un rigoroso e particolarmente gravoso onere probatorio qualora si abbia ragione di ritenere che le fatture concernano operazioni inesistenti, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo; e questo rappresenta un meccanismo particolarmente frequente ed insidioso che si presta ad essere strumentalizzato per frodare il fisco. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 In altri termini, la falsità commessa mediante fatture per prestazioni inesistenti è caratterizzata da una particolare insidiosità e da una maggiore capacità decettiva, proprio per il particolare valore probatorio e la peculiare affidabilità che ha appunto la fattura rispetto ad altri artifici che riguardano operazioni simulate che non impongono un onere probatorio così gravoso; ragion per cui, a parità di sanzione penale (quindi, stessa dosimetria della pena), nell'un caso è però prevista una soglia di punibilità (30.000 euro) al di sotto della quale si ha soltanto la sanzione amministrativa. e la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 95/2019, ha affermato che ciò è assolutamente ragionevole e non può concretare un’irragionevole disparità di trattamento. non è infrequente imbattersi in concreto nel meccanismo delle cosiddette “frodi carosello”, realizzate mediante la creazione di crediti IVA fittizi che vengono trasferiti a varie società del gruppo, che figurano “cartolarmente” come fornitrici di beni o di servizi alle altre società, ma in realtà sono soltanto meri intermediari fittizi al solo scopo di procurare indebiti vantaggi fiscali, mentre l'IVA non viene in realtà mai versata. e ciò contrasta con i principi anche comunitari cui accennavo prima, per cui la detrazione dell'IVA deve essere consentita e non può essere di regola limitata (principio fondamentale ripetutamente affermato dalla Corte di Lussemburgo), ma solo purchè si sia provveduto al pagamento dell'imposta (che, come sappiamo, incide in misura rilevante sul bilancio dell'unione europea), eliminando così il pericolo di perdita di entrate fiscali. tra le tante sentenze che vedono l'Avvocatura dello Stato difendere l'Amministrazione finanziaria in materia di evasione di IVA, cito, per tutte, la recente Cassazione civile sezione tributaria n. 31639/2019, che illustra bene, in un caso di specie, questo meccanismo delle cd. “frodi carosello”. Ma le frodi che incidono sul bilancio dell'unione europea non si limitano certamente alle sole entrate, derivanti o non derivanti da IVA (di queste ultime si occupa appunto il decreto legislativo n. 74/2000 di cui abbiamo parlato prima), ma riguardano anche le spese, che siano relative o non ad appalti; in particolare, questa “tetrapartizione” è stata di recente compiuta dalla cosiddetta direttiva PIF n. 1371 del 2017, che in realtà come perimetro di tutela non si discosta grandemente dallo strumento convenzionale della Convenzione di Bruxelles del 1995, anch'essa conosciuta come Convenzione PIF sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee. ebbene, in particolare, il fenomeno delle cosiddette frodi nelle sovvenzioni pubbliche è oggi disciplinato in Italia dagli articoli 640 bis e 316 bis (introdotti a distanza di pochi mesi nel 1990) e dal nuovo articolo 316 ter, introdotto dall'articolo 4 della legge n. 300/2000 di ratifica ed esecuzione proprio della Convenzione di Bruxelles del 1995 che citavo prima, la cosiddetta Convenzione PIF. teMI IStItuzIonALI tale ultimo articolo è stato poi, proprio di recente, modificato dal decreto legislativo n. 75/2020, che ha inserito un comma che prevede l'aggravio di pena da 6 mesi a 4 anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'unione europea. Quindi, si va sempre più a colmare questa lacuna ed a perseguire espressamente la tutela degli interessi finanziari dell'unione europea anche all'interno del sistema italiano; mentre prima ci si arrivava in maniera implicita, interpretando l’espressione “altri enti pubblici” come organismi anche sovranazionali, adesso invece, con progressive modifiche, tale tutela viene esplicitata (e, per così dire, “rafforzata”): dunque, se il fatto offende gli interessi finanziari dell'unione europea e il danno e il profitto sono superiori a 100.000 euro, si prevede appunto un'aggravante introdotta di recente dal decreto legislativo n. 75/2020. Anche qui ritroviamo il meccanismo di cui ho parlato prima delle soglie di punibilità, già incontrato nell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 74/2000 a proposito delle frodi che riguardano l'IVA attuate non mediante fatture per prestazioni inesistenti. Come accennavo, il perimetro di tutela disegnato dalla cd. direttiva PIF non si discosta più di tanto dallo strumento convenzionale del 1995 (Convenzione PIF), attribuendo agli interessi economici eurounitari il rango di bene giuridico meritevole di presidio penalistico ad opera degli Stati membri. Per l’IVA diciamo questo: la direttiva PIF è applicabile unicamente ai “reati gravi contro il sistema comune dell’IVa”, con pregiudizio erariale non inferiore ai 10 milioni di euro. In particolare, venendo al sistema italiano che ha recepito questi strumenti convenzionali (ovvero la direttiva PIF in materia di tutela degli interessi finanziari dell'unione), ne è testimonianza proprio la cennata introduzione dell'articolo 316 ter, che ha la chiara funzione di completamento del quadro sanzionatorio, volta a reprimere tutte le possibili frodi relative alla sovvenzioni pubbliche o comunitarie nella prospettiva dell'indebito conseguimento di fondi, segnatamente per colpire le frodi commesse nella fase propedeutica alla concessione delle erogazioni pubbliche, nel momento che precede l’erogazione vera e propria, anche in assenza di induzione in errore dell'ente erogatore. Quest’ultimo aspetto è importante e va a colmare una lacuna, perché chiaramente sappiamo bene che nella truffa -anche nella fattispecie aggravata dell’art. 640 bis di cui poi parlerò -tipico elemento costitutivo caratterizzante sono gli “artifici e raggiri” che comportano l'induzione in errore, mentre invece tante volte (come meglio vedremo in seguito) nell'erogazione di fondi comunitari (ad es. finanziamenti, sovvenzioni, contributi all'agricoltura, ecc.) non c'è una verifica dei presupposti da parte dell'ente erogatore, e pertanto non c'è neanche un induzione in errore dell’ente medesimo. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 Si è posto il problema dei rapporti con l'articolo 640 bis del codice penale in forza della clausola di riserva (o di sussidiarietà espressa) contenuta nell'incipit dell’art. 316 ter, che rende quest'ultima disposizione applicabile solo se la fattispecie concreta non ricade già sotto la previsione normativa del 640 bis c.p. Va detto che l’art. 640 bis è stato introdotto dalla legge n. 55 del 1990 con un duplice obiettivo: da un lato l'inasprimento della pena rispetto all'ipotesi base, truffa classica ordinaria (portando il massimo a sei anni), e dall' altro ciò che più rileva ai nostri fini -la possibilità di estendere la fattispecie della truffa prevista dall’art. 640 anche ad organismi sovranazionali che non sempre sono stati fatti rientrare in precedenza nel concetto di “altri enti pubblici” ai sensi dell'articolo 640, comma secondo, numero 1, del codice penale. ebbene, la truffa aggravata ex art. 640 bis è considerata dalla giurisprudenza ormai dominante una circostanza aggravante della truffa, e non invece un'ipotesi autonoma di reato (come sosteneva parte della dottrina), presentando tutti gli elementi del reato-base con la sola introduzione di un oggetto materiale specifico, riguardando la condotta truffaldina “contributi, finanziamenti ovvero altre erogazioni dello stesso tipo”; si dice cioè che le due fattispecie (quella base e quella aggravata) siano legate da un “rapporto di specialità unilaterale per aggiunta”, appunto l'aggiunta di questo oggetto materiale specifico. Come dicevo, si discute invece del rapporto tra il 640 bis ed il 316 ter del codice penale. Parte della dottrina sostiene che, attesa l'asserita coincidenza dei comportamenti puniti, riguardanti in entrambi i casi erogazioni pubbliche, l’art. 316 ter finirebbe per essere una “obiettiva duplicazione del 640 bis”, e per rimanere sostanzialmente inapplicato per mancanza di spazio normativo. In realtà così non è, e lo vedremo subito. V'è poi chi ritiene (in particolare alcune pronunce di giurisprudenza di merito) che, almeno per quanto concerne le condotte commissive, le due fattispecie criminose sarebbero legate da un “rapporto di specialità per specificazione”, distinguendosi tra loro solo per il maggior tasso di specificità con cui il 316 ter descrive le condotte commissive di frode. In realtà, è prevalsa poi alla fine la tesi della “sussidiarietà” che è stata accolta dalle Sezioni unite della Cassazione che hanno risolto questo contrasto: segnatamente, da Sezioni unite n. 16568 del 2007, successivamente ribadita da Sez. un. n. 7537 del 2011, secondo le quali l’articolo 316 ter è stato inserito nel nostro ordinamento proprio per poter estendere la punibilità a quelle condotte decettive o truffaldine non incluse nella fattispecie della truffa, quale, ad esempio, quella del mero silenzio antidoveroso. Infatti, la truffa tipicamente non si realizza mediante omissione: è difficile immaginare un raggiro posto in essere mediante omissione; mentre invece attraverso il 316 ter si punisce anche il mero silenzio antidoveroso, quindi l'omissione di dire delle cose, di informare quando si è obbligati a farlo. teMI IStItuzIonALI Ancora, il 316 ter estende la punibilità anche a quelle condotte che non inducono effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale o l'ente erogatore. In effetti -come accennavo prima -in molti casi il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'ente erogatore dei presupposti del singolo contributo, salvo poi riservare eventualmente ad una fase successiva le opportune verifiche. Si pensi ad esempio al meccanismo di erogazione degli aiuti all'agricoltura mediante i cd. fondi FeoGA ed alle successive procedure di ispezione (anche mediante aerofotogrammetrie), puntuali o a campione, poste in essere dalla Commissione, che possono portare a delle falcidie anche pesanti dei finanziamenti stessi nella misura del 2, del 5 o del 10% nei casi più gravi di verificata assenza totale di controlli nella destinazione effettiva dei fondi. In questi casi non c'è un accertamento a monte dei presupposti; si fanno dei controlli successivi, delle ispezioni, e se i fondi non sono andati a buon fine si opera questa falcidia. Questi provvedimenti della Commissione possono poi essere impugnati dallo Stato italiano (cosi come dagli altri Stati membri) dinanzi al tribunale di primo grado di Lussemburgo (e anche questo è uno dei compiti dell'Avvocatura), qualora si sostenga che invece i controlli sono stati fatti a dovere. Si pensi anche, in materia di contributi o fondi europei all’agricoltura, alle cd. “truffe AGeA”, frequenti soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, laddove (facendo sempre riferimento all'esperienza concreta dell'Avvocatura dello Stato) i colleghi delle Avvocature distrettuali meridionali si costituiscono parte civile nei relativi processi penali, che poi vengono a roma all'attenzione del- l'Avvocatura Generale soltanto nella fase di Cassazione. Dice ancora la Cassazione che l'accertamento in concreto dell'esistenza di un'induzione in errore (elemento costitutivo della truffa) ovvero della sua mancanza (con conseguente configurazione dell'ipotesi delittuosa residuale prevista dall’art. 316 ter) è questione di fatto riservata al giudice di merito. Del resto, va ricordato che anche la Corte costituzionale, con ordinanza n. 95/2004, ha rilevato che “il carattere sussidiario e residuale dell'articolo 316 ter rispetto al 640 bis costituisce dato normativo assolutamente inequivoco”. Invero il Legislatore, con l'introduzione con legge n. 300/2000 dell’art. 316 ter c.p., si è soltanto premurato di non lasciare, rispetto alla specifica definizione del concetto di “frode” contenuta nella Convenzione PIF del ’95, alcuna area di possibile assenza di sanzione penale. La ratio e l'obiettivo perseguiti dal Legislatore sono pertanto identificabili nella necessità di reprimere fatti non contemplati dalla normativa vigente, così da garantire che nessuna condotta (benché residuale e/o marginale, come il mendacio o il mero silenzio antidoveroso non rientranti tra gli artifici e raggiri e perciò previsti dal 316 ter), comunque mirante ad ottenere indebite perce rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 zioni di erogazioni pubbliche, possa sfuggire alla sfera di illiceità penale, che risulta dunque per questa via ampliata. Va però detto che anche in tal caso opera comunque la soglia di punibilità di 4.000 euro, al di sotto della quale si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro che non può comunque superare il triplo del beneficio indebitamente conseguito; ciò a denotare, ancora una volta, il particolare equilibrio del nostro sistema sanzionatorio, per quanto complesso. Mi avvio alla conclusione, Presidente. Sia l'articolo 316 ter che il 640 bis fanno riferimento, dopo avere elencato diversi tipi di contributi pubblici, ad una formula finale di chiusura: “altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominate”. Anche qui le Sezioni unite -sempre con la già citata sentenza n. 16568 del 2007 -hanno risolto il contrasto giurisprudenziale tra l'orientamento che escludeva le erogazioni di natura assistenziale (non aventi finalità economico- produttive) dall'ambito di operatività della norma, e quello che invece le includeva, anche facendo leva sulla previsione della detta “soglia minima di punibilità” di 4.000 euro, che non sarebbe razionalmente giustificabile se la fattispecie dovesse riferirsi alle sole erogazioni di sostegno alle attività economiche e produttive. ebbene, le Sezioni unite n. 16568/2007 hanno affermato che i delitti previsti dagli articoli 316 ter e 640 bis devono ritenersi configurabili anche in caso di erogazione di contributi di natura assistenziale, e ciò sia sulla base del- l'analisi letterale delle due norme incriminatrici, sia in considerazione del fatto che solo nell'articolo 316 bis (cui accennerò tra breve in conclusione) i contributi sono connotati da un vincolo di destinazione, e non v’è quindi ragione -in assenza di esplicito richiamo -per estendere tale requisito anche nelle fattispecie del 316 ter e del 640 bis, entrambe destinate a reprimere la percezione di per sé indebita dei contributi, indipendentemente dalla loro successiva destinazione funzionale (come appunto i contributi assistenziali). Quanto poi infine ai rapporti tra il 316 bis (malversazione a danno dello Stato o delle Comunità europee) e il 640 bis, di recente le Sezioni unite con sentenza n. 20664 del 2017 -ragionando anche alla luce degli approdi della giurisprudenza convenzionale della CeDu e comunitaria della Corte di Giustizia in tema di ne bis in idem sostanziale, cui accennavo all'inizio del mio intervento -hanno affermato il principio assai importante per cui nell'ipotesi in cui il soggetto, dopo aver fraudolentemente captato il finanziamento pubblico, lo distragga dalla finalità collettiva cui era vincolato, si è in presenza di un concorso materiale di reati e non già di un concorso solo apparente di norme. Le Sezioni unite si sono dunque poste il problema se ciò non configurasse un ne bis in idem (sulla base appunto del concetto di “idem factum” che citavo teMI IStItuzIonALI all’inizio: esattamente lo stesso fatto nella sua oggettività), giungendo però a conclusione opposta; proprio perché si tratta di fattispecie strutturalmente autonome, fisiologicamente destinate a perfezionarsi in tempi diversi e che richiedono una pianificazione separata, non legate da alcun rapporto di continenza strutturale da leggersi al lume del principio di specialità, che è l'unico canone ermeneutico (a parte ovviamente le clausole espresse di riserva, “fuori dai casi di” e simili) sulla scorta del quale è possibile individuare il concorso solo apparente di norme. Le Sezioni unite hanno pertanto affermato nella citata pronuncia che in questi casi, quando un soggetto, dopo aver fraudolentemente captato (sia nella fase propedeutica sia successivamente) il finanziamento pubblico, lo distoglie poi dalle finalità collettive, siamo in presenza di un concorso materiale di reati e non di un concorso solo apparente di norme. In conclusione, posso dire che sarebbe forse auspicabile ed opportuno, visto l'ampio ed articolato ventaglio di campi in cui l'Avvocatura dello Stato si trova in concreto ad operare a tutela dello Stato -ma anche, come illustrato, fattivamente e in misura rilevante, a tutela del bilancio dell'unione europea sarebbe forse auspicabile, dicevo, una formalizzazione del metodo di lavoro sperimentato e collaudato dall'Avvocatura, con quel sinergico ed efficace “coordinamento interno ed esterno” di cui parlavo prima. Avvocatura dello Stato che istituzionalmente rappresenta il naturale punto di contatto tra il potere giudiziario e quello amministrativo per assicurare la coerenza dell'azione delle istituzioni nazionali a fronte delle grandi frodi, mentre sul piano europeo è sempre più viva l'esigenza di coordinamento operativo nel contrasto alle grandi frodi, peraltro attribuito di recente alla competenza della neocostituita PeD. Vi ringrazio. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 AvvocATurA dello STATo relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2020 a cura di Carmela Pluchino* SommaRIo: 1. modalità di gestione e coordinamento del contenzioso antimafia -2. Tipologie di contenzioso (interdittive, white list, annotazioni nel Casellario informatico del- l’aNaC, misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione ex art. 32 D.l. n. 90/2014 conv. con L. n. 114/2014, scioglimenti dei Comuni per mafia) -3. Comitato di Coordinamento per l’alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (CCaSIIP) e Struttura di missione antimafia Sisma 2016 -4. Interventi dell’aNaC -5. orientamenti giurisprudenziali -6. Questioni rimesse alla Corte di Giustizia e alla Corte Costituzionale -7. Pareri di massima e proposte normative de iure condendo -8. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 20162020. 1. modalità di gestione e coordinamento del contenzioso antimafia. Con la Circolare n. 2/2020 l’Avvocato Generale ha adottato “Disposizioni organizzative urgenti relative al contenzioso in materia di interdittive antimafia”, integrando la precedente Circolare n. 8/2019 in materia. Allo scopo di garantire una proficua gestione del contenzioso antimafia si è stabilito, innanzitutto, un raccordo con le Avvocature Distrettuali, che prevede l’invio tempestivo di ogni atto introduttivo del giudizio di primo grado all’Avvocatura Generale, che provvede all’impianto di un affare d’ordine ed alla relativa assegnazione agli Avvocati affidatari del suddetto contenzioso. nell’ambito della Sezione IV è stato costituito un gruppo di sei Avvocati (Wally Ferrante, Ilia Massarelli, Lorenzo D’Ascia, Bruno Dettori, Carmela Pluchino, Isabella Piracci) specializzato nella trattazione del contenzioso antimafia. In particolare, la Circolare da ultimo adottata ha previsto che le comunicazioni relative ad affari non ancora impiantati vengano inviate all’indirizzo di posta elettronica del Vice Avvocato Generale della Sezione IV (Avv. Giuseppe Albenzio), del Coordinatore della Sezione (Avv. Ilia Massarelli) e del referente della Sezione per la materia dell’antimafia, Avv. Carmela Pluchino, oltre che all’indirizzo pec della Sezione IV. L’Avvocato della Sede distrettuale incaricato della trattazione dell’affare trasmette, successivamente, al Collega dell’Avvocatura Generale assegnatario (*) Avvocato dello Stato. La relazione è stata presentata nel corso del Convegno webinar “Misure interdittive antimafia e Recovery Plan. Garanzie di legalità nella gestione degli appalti”, Avvocatura dello Stato, 25 maggio 2021. teMI IStItuzIonALI del medesimo contenzioso (anche con una comunicazione via mail, oltre che a mezzo pec) ogni provvedimento ed ogni utile comunicazione per gli eventuali successivi gradi di giudizio. tale modalità consente una più rapida conoscenza degli affari pendenti ed un monitoraggio degli stessi, nonché un più efficiente raccordo ai fini difensivi. In alcuni casi si è rilevato che le Prefetture interessate trasmettono anche all’Avvocatura Generale, per conoscenza, le relazioni con i documenti allegati inviati all’Avvocatura Distrettuale competente per la difesa innanzi al tAr: in tal modo viene immediatamente integrato il fascicolo telematico, agevolando l’espletamento dell’attività difensiva innanzi al Consiglio di Stato, nel caso di impugnazione delle relative ordinanze cautelari o sentenze. occorre considerare che normalmente la fissazione delle udienze per la discussione delle istanze cautelari e per la definizione del merito è molto rapida, essendo riservata particolare attenzione a tale tipologia di contenzioso, per la delicatezza dello stesso e la rilevanza dell’interesse pubblico al contrasto della criminalità organizzata. Sono stati individuati, con l’ausilio del Gabinetto del Ministero dell’Interno, i referenti della materia antimafia per ogni Prefettura (il cui elenco è stato diramato), creando un canale di comunicazione con gli stessi, al fine di assicurare una migliore collaborazione tra le Prefetture e le Avvocature interessate e di garantire una proficua e uniforme gestione del contenzioso in oggetto, nonché di segnalare le pronunce di particolare rilevanza e le questioni di massima. 2. Tipologie di contenzoso (interdittive, white list, annotazioni nel Casellario informatico dell’aNaC, misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione ex art. 32 D.l. n. 90/2014 conv. con L. n. 114/2014, scioglimenti dei Comuni per mafia). Il contenzioso in materia di antimafia concerne in misura preponderante i provvedimenti interdittivi ei dinieghi di iscrizione (o rinnovo) nella cd. “white list”. Il sistema della documentazione antimafia, previsto dal Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011) si fonda sulla distinzione tra le “comunicazioni antimafia” e le “informazioni antimafia” (art. 84), che costituiscono le fondamentali misure di prevenzione. Come noto, le “comunicazioni antimafia” si caratterizzano per il loro contenuto vincolato, poiché il loro presupposto consiste nell’attestazione che a carico di determinati soggetti, individuati dall’art. 85, non siano state emesse misure di prevenzione personali definitive. Le “informazioni antimafia”, invece, si distinguono per una spiccata au rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 tonomia da parte del Prefetto, nel valutare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa, con una maggiore discrezionalità, potendo prescindere dagli esiti di indagini preliminari o di giudizi penali. Il sistema rappresenta una forma di tutela avanzata contro il fenomeno della penetrazione della mafia nell’economia legale e comporta l’esclusione di un operatore economico dalla titolarità di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni, determinando a suo carico una particolare forma di incapacità giuridica ex lege, che consegue ad un provvedimento adottato all’esito di un procedimento normativamente tipizzato. nel quadro delle misure volte a contrastare la presenza delle organizzazioni criminali nelle attività economiche, per garantire una maggiore efficienza del sistema di verifica preventiva rispetto alle prescrizioni dei Protocolli di legalità sottoscritti da molte Amministrazioni, la legge n. 190 del 2012 (art. 1, commi 52 e ss.) ha istituito presso ogni Prefettura l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (cd. “white list”) al fine di rendere più efficaci i controlli antimafia nei comparti maggiormente a rischio (sul carattere tassativo di tale elenco cfr. tAr Milano, sentenza n. 170/2017). In attuazione dell’art. 1 co. 56 della legge n. 190/2012 è stato adottato il DPCM del 18 aprile 2013, che disciplina le modalità relative all’istituzione ed all’aggiornamento presso ogni Prefettura dell’apposito elenco e le attività da svolgersi per l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione. La logica che ispira tale misura (come anche quella dell’interdittiva antimafia) è preventiva, non punitiva di un condotta penalmente rilevante. Proprio la natura cautelare e la funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, giustifica l’assenza di una preventiva instaurazione di un contraddittorio pieno con il soggetto destinatario (al riguardo, come si indicherà nel prosieguo, è stata sollevata questione pregiudiziale sull’omessa comunicazione di avvio del procedimento -che sarebbe in contrasto con il carattere riservato ed urgente dell’attività di verifica dei tentativi di infiltrazione mafiosa -decisa con ordinanza della Corte di Giustizia del 28 maggio 2020). In proposito, è utile evidenziare che, con riferimento alla normativa italiana in materia di antimafia, la Corte di Giustizia, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia ue, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37). L’iscrizione nella “white list” equivale a certificazione dell’insussistenza teMI IStItuzIonALI delle cause ostative alla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici ed alla stipula dei relativi contratti. Le imprese sono tenute a comunicare tutte le variazioni dell’assetto proprietario e dei propri organi sociali, ai fini delle conseguenti attività di verifica da parte della Prefettura (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 492/2018). Il legislatore, con l’art. 29, comma 1, del D.L. n. 90/2014 conv. con L. n. 114/2014, è intervenuto sul sistema delle “white list”, il cui provvedimento negativo si fonda sugli stessi elementi che devono essere posti a base dell’informazione antimafia, in quanto la Prefettura “effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco”. In particolare, è stata prevista l’obbligatoria iscrizione delle imprese che operano nei settori a rischio di infiltrazioni mafiose (individuati dall’art. 1, co. 53, della L. n. 190/2012) negli elenchi delle imprese tenuti dalle Prefetture e periodicamente verificati per confermare il mantenimento del possesso dei requisiti originari. Per le imprese che operano nei settori a rischio di infiltrazioni mafiose l’iscrizione assorbe dunque i contenuti della comunicazione e dell’informazione antimafia, consentendo alle imprese di non dovere richiedere e farsi rilasciare dalla Prefettura la certificazione antimafia: a) per l’esercizio delle attività per cui ha conseguito l’autorizzazione; b) ai fini della stipula dei contratti o subcontratti relativi ad attività diverse. Alla luce di tali modifiche è stato emanato il DPCM del 24 novembre 2016 con lo scopo di aggiornare le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento dell’elenco contenute nel precedente DPCM del 18 aprile 2013. Il potenziamento delle “white list” e l’“accreditamento” antimafia degli operatori economici in appositi elenchi tenuti dalle Prefetture marginalizza la problematica dei Protocolli di legalità e del sistema pattizio delle misure antimafia, che comunque mantiene una sua attualità, in quanto contribuisce a scongiurare, a priori, il rischio di infiltrazioni mafiose. Successivamente, sono state introdotte disposizioni sull’Anagrafe delle imprese che operano nei territori colpiti dagli eventi sismici del 2016 (cfr. Legge n. 229/2016). L’iscrizione nella “white list”, oltre a rendere più efficaci i controlli antimafia nei confronti degli operatori economici, presenta anche il vantaggio per questi ultimi di velocizzare il rilascio di provvedimenti ad es. nel settore degli appalti pubblici. In particolare, le stazioni appaltanti non dovranno chiedere la documentazione antimafia per le imprese iscritte nelle white list. I requisiti necessari per l’iscrizione negli elenchi sono: a) attività lavorativa nei settori a rischio; b) sede legale, secondaria con rappresentanza stabile in Italia o essere imprese straniere prive di sede secondaria; rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 c) assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 del Codice antimafia; d) assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, di cui all’art. 84, comma 3, del Codice antimafia. La Prefettura, esperite con esito favorevole le verifiche volte ad accertare l’insussistenza delle condizioni ostative, dispone l’iscrizione dell’impresa nell’elenco pubblicato sul sito, dandone contestuale comunicazione all’interessato. nel caso in cui l’impresa risulti censita nella Banca dati nazionale unica è possibile rilasciare immediatamente l’informazione antimafia liberatoria e la Prefettura comunica il provvedimento di iscrizione, per via telematica, ed aggiorna l’elenco pubblicato sul proprio sito istituzionale. nel caso in cui, a seguito delle verifiche disposte, emergano condizioni ostative, il Prefetto rigetta l’istanza di iscrizione, dandone notizia all’interessato. Inoltre, l’impresa è tenuta a comunicare alla Prefettura competente le modifiche dei propri assetti proprietari e degli organi sociali, intervenuti successivamente all’iscrizione, entro 30 giorni dalla data della modifica (anche le società di capitali quotate in mercati regolamentati sono tenute a comunicare le variazioni rilevanti). L’inosservanza di tale adempimento determina la cancellazione dell’impresa dall’elenco prefettizio, previo preavviso ai sensi del- l’art. 10 bis della L. n. 241/1990. L’iscrizione è valida per 12 mesi dalla data in cui è disposta, salvi gli esiti delle verifiche periodiche. Al fine di mantenere la validità dell’iscrizione nella “white list”, l’operatore economico ha l’obbligo di inoltrare, almeno 30 giorni prima della data di scadenza, un’apposita comunicazione alla Prefettura competente. L’impresa può richiedere di permanere nell’elenco anche per settori di attività ulteriori o diversi. L’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego della iscrizione nella “white list” con quelli riguardanti l’interdittiva antimafia comporta una sostanziale equiparazione, con la differenza che il primo consegue ad un procedimento su iniziativa del privato interessato, la seconda ad un procedimento avviato d’ufficio. Con la sentenza n. 2211 del 3 aprile 2019 il Consiglio di Stato ha chiarito che, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, non occorre provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatici- presuntivi dai quali -secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale -sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicchè ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con altri. ne consegue che, in relazione al diniego di iscrizione nella cd. “white list” -iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla crimi teMI IStItuzIonALI nalità organizzata -è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (Fattispecie in cui l’Amministrazione ha rigettato l’istanza di iscrizione nella “white list” nei confronti di un soggetto che si accompagnava a persone orbitanti o riconducibili ad un’associazione di tipo mafioso). Il Consiglio di Stato ha, preliminarmente, statuito che il diniego di iscrizione nella white list è disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta in entrambi i casi di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della P.A. Alla luce dell’impostazione del Supremo Consesso amministrativo l’unicità del sistema normativo antimafia impedisce una lettura atomistica, frammentaria dei due sottosistemi. D’altra parte, si pone la questione se il diniego di iscrizione in una delle “white list” presupponga sempre l’emissione di un’informazione interdittiva ovvero possa essere adottato anche in assenza di tale informazione. Il problema si pone perché non sempre vi è coincidenza della Prefettura competente. Può accadere che la Prefettura competente al rilascio della certificazione antimafia sia diversa da quella a cui viene presentata la domanda di iscrizione nella “white list”. Il DPCM del 18 ottobre 2011, alla cui disciplina rinvia l’art. 5-bis del D.L. n. 74/2012 dispone che le verifiche circa la sussistenza di situazioni ostative ai sensi della normativa antimafia vengono condotte dalla Prefettura ove ha sede l’impresa interessata all’iscrizione nelle “white list” (art. 3, comma 2) e che, se l’impresa ha sede in un’altra provincia, occorre attivare il Prefetto competente (art. 4, comma 2) ad eseguire le predette verifiche antimafia. Inoltre, nel caso in cui emergano situazioni di controindicazione, il Prefetto che ha ricevuto la domanda di iscrizione ne dispone il rigetto, dandone “contestualmente” comunicazione al Prefetto competente (art. 4 co. 4). Il sistema prevede, quindi, un tempestivo collegamento tra le due Autorità prefettizie, anche al fine di assicurare un esito coerente dei due distinti procedimenti. Inoltre, si rende necessario un coordinamento delle attività istruttorie anche nel caso di presentazione di una pluralità di domande d’iscrizione presso diverse Prefetture, considerato che il DPCM non prevede forme di unificazione dei vari procedimenti, che permangono distinti. L’attività di verifica è affidata alle Prefetture, individuate come l’organismo più idoneo a svolgere un’istruttoria così complessa, avvalendosi del supporto della Direzione Investigativa Antimafia. Le Amministrazioni hanno l’obbligo di adeguarsi alle risultanze delle interdittive, senza potere svolgere alcuna autonoma attività discrezionale. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 un ruolo essenziale ai fini delle attività delle Prefetture è svolto dalla Banca dati nazionale unica della documentazione amministrativa (art. 96 ss. del D.Lgs. n. 159/2011), che consente all’autorità prefettizia di avere una cognizione ad ampio raggio della posizione antimafia di un’impresa (cfr. sentenza n. 565/2017 del Consiglio di Stato) e costituisce senz’altro il punto più incisivo della riforma in materia di antimafia. Anche la Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 4/2018), con riferimento all’art. 3 Cost., ha valorizzato il fondamentale rilievo informativo della Banca dati. L’esperienza concreta di applicazione della disciplina sulla certificazione antimafia e sulla “white list” si è rilevata utile a contrastare le infiltrazioni mafiose nell’economia, nel caso dell’eXPo 2015, che ha visto la collaborazione tra la DIA, le Prefetture, l’AnAC (con l’unità operativa Speciale), il Commissario per l’eXPo e le Forze di polizia, nel verificare in tempi stretti gli appalti. L’esperienza acquisita e il sistema sperimentato sono stati impiegati anche con riferimento alla ricostruzione nelle zone terremotate del Centro Italia. un problema emerso riguarda la limitata pubblicità delle informazioni contenute nelle Banche dati riguardanti le imprese colpite da interdittiva antimafia, essendo attualmente accessibili solo gli elenchi di cui alle “white list”. Si pone un problema di tutela della privacy che vale anche per i provvedimenti adottati in sede giudiziale per i quali, in attuazione del D.Lgs. n. 196/2003, si procede all’oscuramento delle generalità nonché di ogni altro dato idoneo ad identificare le parti interessate. Altra tipologia di contenzioso a latere dei provvedimenti antimafia riguarda le relative annotazioni dell’AnAc nel casellario informatico. normalmente tali annotazioni vengono impugnate contestualmente ai provvedimenti prefettizi; nei casi di impugnazione con ricorso autonomo innanzi al tAr Lazio, l’Avvocatura eccepisce l’incompetenza territoriale del tAr adito nelle fattispecie in cui il provvedimento interdittivo sia stato adottato dal Prefetto di altra sede. ed invero, l’annotazione che l’Autorità inserisce nel Casellario informatico degli operatori economici, oltre a caratterizzarsi per la sua natura di atto dovuto e obbligatorio, assume, senza dubbio, carattere conseguenziale rispetto al provvedimento principale prefettizio. In tal senso, appare utile richiamare l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 17 del 31 luglio 2014, ha chiarito che: “ l’impugnativa degli atti consequenziali all’informativa antimafia (negli effetti analoga al diniego di iscrizione nelle white list, come si vedrà nel prosieguo della motivazione della presente sentenza) deve avvenire con motivi aggiunti avanti al T.a.R., già adito, competente territorialmente a giudicare dell’informativa (e, cioè, quello del luogo in cui ha sede la Prefettura che ha emesso il prov teMI IStItuzIonALI vedimento interdittivo), senza moltiplicare avanti a diversi TT.aa.RR. i giudizi relativi agli atti applicativi adottati dalle diverse stazioni appaltanti sul territorio nazionale, per le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di realizzazione del simultaneus processus, anche al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale secondo i principi di cui all’art. 24 e 111 Cost. ed i principi comunitari ed evitare, in questa materia, il ben noto fenomeno del c.d. forum shopping”. Il tar Campania ha inoltre espressamente chiarito che: “Considerando che il provvedimento di rigetto della richiesta di iscrizione nella white list è stato emesso dalla Prefettura di Caserta, i provvedimenti conseguenziali a quest’ultimo, come il provvedimento emesso dal ministero dell’Interno Struttura missione Prevenzione e Contrasto antimafia Sisma, nonché le note emesse dall’anac, vanno attribuite alla competenza territoriale di questo Tar” (Sentenza tar Campania n. 4235/2019). In ogni caso, in sede difensiva, nel merito si rileva che l’inserzione nel Casellario informatico dell’informativa antimafia interdittiva costituisce, per AnAC, un atto dovuto ex art. 213 comma 10 d.lgs. 50/2016 (Consiglio di Stato, sez. III, 13 aprile 2018, n. 2234; t.A.r. Sicilia, Catania, sez. I, 30 agosto 2019, n. 2102; t.A.r. Catanzaro, Calabria, sez. I, 1 agosto 2018, n. 1472; t.A.r. Bari, Puglia, sez. I, 21 settembre 2017, n. 979). Il comma 10 dell’articolo 213 del d.lgs. 50 del 2016 prevede che: “L'Autorità gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l'osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall'articolo 80. Garantisce altresì, il collegamento con la banca dati di cui all'articolo 81”. La doverosità di tale comportamento, inoltre, è espressamente prevista dall’art. 91, co. 7 bis, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che dispone: «Ai fini dell'adozione degli ulteriori provvedimenti di competenza di altre amministrazioni, l'informazione antimafia interdittiva, anche emessa in esito all'esercizio dei poteri di accesso, è tempestivamente comunicata anche in via telematica: […] f) all'osservatorio dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture istituito presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ai fini dell'inserimento nel casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82». Al riguardo, si osserva che la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’emanazione dell’informazione interdittiva appartiene alla competenza esclusiva della Prefettura interessata, che l’Autorità non può che rispettare. È fatta salva, ovviamente, la facoltà per l’operatore economico coinvolto di impugnare l’informativa presso i competenti organi giurisdizionali. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 A tale riguardo, il tAr Lazio ha chiarito quanto segue: “La non annotazione, in altri termini, ove lasciata alla discrezionalità dell’autorità, oltre ad essere in concreto difficilmente motivabile o giustificabile (se non in casi limite, per esempio ove si ravvisi un “error in persona” o altro travisamento di fatto presente “ictu oculi” nell’informativa) si porrebbe in contrasto con la stessa funzione di pubblicità notiziale fondamentalmente svolta dal casellario informatico ex art. 8 D.P.R. n. 207 del 2010, privando l’universo delle stazioni appaltanti di informazioni certamente rilevanti in funzione della stipula e della conservazione di contratti pubblici” (t.A.r. Lazio, sez. III, sentenza 11 marzo 2015, n. 4949; e, in termini, t.A.r. Calabria, sez. I, ordinanza 20 febbraio 2015, n. 81; Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza 7 maggio 2015, n. 1993). L’AnAC, stante la precisa indicazione del legislatore e l’indubbia rilevanza per il mercato dell’informazione prefettizia interdittiva, è tenuta, in conclusione, ad inserire tempestivamente la notizia nel Casellario informatico di cui all’articolo 213 del Codice ponendosi, tale inserimento, come atto necessario e dovuto rispetto al quale nessun tipo di discrezionalità sussiste da parte dell’Autorità. L’iscrizione nel Casellario informatico delle informazioni ricevute, salvi i casi di manifesta infondatezza o palese inconferenza della notizia, costituisce, peraltro, l’unico rimedio previsto dal legislatore per consentire alle stazioni appaltanti di conoscere in modo esauriente gli elementi necessari alle valutazioni da effettuare in sede di gara. La legittimità dell’annotazione è, dunque, incontestabile, provvedendo con essa l’Autorità ad un proprio dovere istituzionale (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5331/2017). Altra tipologia di contenziosi che vede come parti convenute il Ministero dell’Interno/Prefetture e l’AnAC riguarda le misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione ex art. 32 d.l. n. 90/2014 conv. con l. n. 114/2014, a mente del quale: “1. nell'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui agli articoli 317 c.p., 318 c.p., 319 c.p., 319-bis c.p., 319-ter c.p., 319-quater c.p., 320 c.p., 322 c.p., 322-bis c.p., 346-bis c.p., 353 c.p. e 353-bis c.p., ovvero, in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un'impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture, nonché ad una impresa che esercita attività sanitaria per conto del Servizio sanitario nazionale in base agli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ovvero ad un concessionario di lavori pubblici o ad un contraente generale, il Presidente dell'AnAC ne informa il procuratore della repubblica e, in presenza di fatti gravi e accertati anche ai teMI IStItuzIonALI sensi dell'articolo 19, comma 5, lett. a) del presente decreto, propone al Prefetto competente in relazione al luogo in cui ha sede la stazione appaltante, alternativamente: a) di ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto e, ove l'impresa non si adegui nei termini stabiliti, di provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell'impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto d'appalto ovvero dell'accordo contrattuale o della concessione; b) di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell'impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto ovvero dell'accordo contrattuale o della concessione. 2. Il Prefetto, previo accertamento dei presupposti indicati al comma 1 e valutata la particolare gravità dei fatti oggetto dell'indagine, intima all'impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali sostituendo il soggetto coinvolto e ove l'impresa non si adegui nel termine di trenta giorni ovvero nei casi più gravi, provvede nei dieci giorni successivi con decreto alla nomina di uno o più amministratori, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità di cui al regolamento adottato ai sensi dell'articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270. Il predetto decreto stabilisce la durata della misura in ragione delle esigenze funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, al servizio o alla fornitura oggetto del contratto ovvero dell'accordo contrattuale e comunque non oltre il collaudo. 2-bis. nell'ipotesi di impresa che esercita attività sanitaria per conto del Servizio sanitario nazionale in base agli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, il decreto del Prefetto di cui al comma 2 è adottato d'intesa con il Ministro della salute e la nomina è conferita a soggetti in possesso di curricula che evidenzino qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria. 3. Per la durata della straordinaria e temporanea gestione dell'impresa, sono attribuiti agli amministratori tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell'impresa ed è sospeso l'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa. nel caso di impresa costituita in forma societaria, i poteri dell'assemblea sono sospesi per l'intera durata della misura. 4. L'attività di temporanea e straordinaria gestione dell'impresa è considerata di pubblica utilità ad ogni effetto e gli amministratori rispondono delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave. 5. Le misure di cui al comma 2 sono revocate e cessano comunque di produrre effetti in caso di provvedimento che dispone la confisca, il sequestro o l'amministrazione giudiziaria dell'impresa nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione ovvero dispone l'archiviazione rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 del procedimento. L'autorità giudiziaria conferma, ove possibile, gli amministratori nominati dal Prefetto. 6. Agli amministratori di cui al comma 2 spetta un compenso quantificato con il decreto di nomina sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010 n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell'impresa. 7. nel periodo di applicazione della misura di straordinaria e temporanea gestione di cui al comma 2, i pagamenti all'impresa sono corrisposti al netto del compenso riconosciuto agli amministratori di cui al comma 2 e l'utile d'impresa derivante dalla conclusione dei contratti d'appalto di cui al comma 1, determinato anche in via presuntiva dagli amministratori, è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento, sino all'esito dei giudizi in sede penale ovvero, nei casi di cui al comma 10, dei giudizi di impugnazione o cautelari riguardanti l'informazione antimafia interdittiva. 8. nel caso in cui le indagini di cui al comma 1 riguardino componenti di organi societari diversi da quelli di cui al medesimo comma è disposta la misura di sostegno e monitoraggio dell'impresa. Il Prefetto provvede, con decreto, adottato secondo le modalità di cui al comma 2, alla nomina di uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità di cui al regolamento adottato ai sensi dell'articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, con il compito di svolgere funzioni di sostegno e monitoraggio dell'impresa. A tal fine, gli esperti forniscono all'impresa prescrizioni operative, elaborate secondo riconosciuti indicatori e modelli di trasparenza, riferite agli ambiti organizzativi, al sistema di controllo interno e agli organi amministrativi e di controllo. 9. Agli esperti di cui al comma 8 spetta un compenso, quantificato con il decreto di nomina, non superiore al cinquanta per cento di quello liquidabile sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010 n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell'impresa. 10. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un'informazione antimafia interdittiva e sussista l'urgente necessità di assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto ovvero dell'accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell'integrità dei bilanci pubblici, ancorché ricorrano i presupposti di cui all'articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. In tal caso, le misure sono disposte di propria iniziativa dal Prefetto che ne informa il Presidente dell'AnAC. nei casi di cui al comma 2-bis, le misure sono disposte con decreto del Prefetto, di intesa con il Ministro della salute. Le stesse misure teMI IStItuzIonALI sono revocate e cessano comunque di produrre effetti in caso di passaggio in giudicato di sentenza di annullamento dell'informazione antimafia interdittiva, di ordinanza che dispone, in via definitiva, l'accoglimento dell'istanza cautelare eventualmente proposta ovvero di aggiornamento dell'esito della predetta informazione ai sensi dell'articolo 91, comma 5, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni, anche a seguito dell'adeguamento dell'impresa alle indicazioni degli esperti. 10-bis. Le misure di cui al presente articolo, nel caso di accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, si applicano ad ogni soggetto privato titolare dell'accordo, anche nei casi di soggetto diverso dall'impresa, e con riferimento a condotte illecite o eventi criminosi posti in essere ai danni del Servizio sanitario nazionale”. In particolare, nel contenzioso in oggetto viene in rilievo il caso previsto dal comma 10, che ha come presupposto l’adozione di un provvedimento interdittivo. In sede difensiva si eccepisce la carenza di legittimazione passiva dell’AnAC -ove convenuta -alla quale dall’art. 32 è attribuito un potere di proposta, considerato che la stessa è destinataria di una informativa da parte del Prefetto competente all’adozione della misura. Infine, un contenzioso particolarmente delicato (per cui è previsto anche il rito abbreviato: cfr. art. 119 c.p.a.) è quello riguardante gli scioglimenti dei comuni per mafia, che vede coinvolti la Presidenza del Consiglio dei Ministri (che adotta la delibera di scioglimento), il Ministero dell’Interno e le Prefetture competenti (per quanto concerne le relative relazioni). nei casi in cui il ricorso viene proposto e notificato anche nei confronti della Presidenza della repubblica, si eccepisce il difetto di legittimazione passiva. Infatti, il decreto presidenziale viene assunto nell’esercizio di poteri non riconducibili a quelli amministrativi e “politici” non liberi nei fini e, per l’esattezza, nell’esercizio di un potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale (sul punto si è soffermato, con motivazione diffusa, il tAr Lazio nella sentenza n. 10455/2016); potere di garanzia e di controllo avente ad oggetto la delibera del Consiglio dei Ministri di accoglimento della proposta del Ministro dell’Interno, cosicchè è solo ed esclusivamente quest’ultima ad essere giustiziabile (unitamente agli atti e provvedimenti che ne costituiscono presupposto) e la legittimazione passiva rispetto alla domanda di annullamento dell’una e degli altri non può che spettare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Interno (cfr. sentenza 16 febbraio 2017 n. 2485 del tAr Lazio, pronunciata con riferimento all’impugnativa dello scioglimento ex art. 143 del D.Lgs. n. 267/2020 di un Comune situato in provincia di Vibo Valentia). In relazione al contenzioso riguardante gli scioglimenti per mafia, merita evidenziare che, alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale, per rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 l’apparato probatorio preordinato a confermare la ricorrenza di condizionamenti criminali «è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d’individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato “infiltrato”» (cfr. t.A.r. per il Lazio -roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7862). È stato anche precisato che le valutazioni concernenti la legittimità del provvedimento dissolutorio si devono «fondare sulla regola del “più probabile che non”, la quale ha una portata generale … per l’intero diritto della prevenzione, compresa, dunque, anche la fattispecie … dell’art. 143 T.U.E.L. che … ha finalità preventiva e non punitiva» (ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 18 luglio 2019, n. 5077). Il predetto provvedimento si connota, infatti, quale misura di carattere straordinario e sottende una finalità di prevenzione e salvaguardia della funzionalità dell’ente locale e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità del suo apparato. e invero, la misura dissolutoria in argomento deve ritenersi espressione di una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata. In quanto tale, la stessa prescinde dalle rilevanze probatorie proprie di un eventuale processo penale, essendo sufficiente, per la sua emissione, un quadro indiziario che sia reale ed effettivo (ex multis, t.A.r. Lazio, sentenza 16 luglio 2019, n. 9381). La misura di rigore interviene, infatti, ancor prima che si determinino i presupposti per il procedimento penale o anche per il solo procedimento di prevenzione. La costante giurisprudenza in materia, confermata dagli orientamenti più recenti, valorizza «il differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale » (cfr. t.A.r. Lazio, sentenza 18 giugno 2019, n. 7937). ed invero, il Consiglio di Stato ha precisato che «I motivi che danno luogo allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali sono indicati al comma 1 dell’art. 141 del D.Lgs. n. 267/2000. Tali motivi, ai sensi del comma VII dello stesso articolo, costituiscono il presupposto, una volta iniziata la procedura di scioglimento ed in presenza di “motivi di grave e urgente necessità” per consentire al prefetto anche la “sospensione” dei consigli comunali e provinciali e la nomina di un commissario per la provvisoria amministrazione dell’ente. (omissis) La valutazione dei motivi di “grave e urgente necessità” posti a fondamento del decreto del prefetto assume rilievo, pertanto, con riferimento a situazioni di fatto in ordine alle quali l’ordinamento ha già espresso un giudizio di disvalore, prevedendo la procedura di scioglimento con decreto del Capo dello Stato. Tali due procedure (quella di scioglimento e quella di sospensione) hanno, pertanto, un comune presupposto, consistente nel verificarsi di una delle fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 141, ma la seconda teMI IStItuzIonALI procedura ha lo scopo specifico di garantire la salvaguardia dell’interesse pubblico nelle more dell’emanazione del decreto di scioglimento del consiglio comunale o provinciale. I motivi che giustificano la sospensione (e che già, in parte, trovano giustificazione nei motivi di scioglimento stabiliti dalla norma stessa), non necessitano, di conseguenza, di una estesa e penetrante motivazione, avendo un contenuto di ampia discrezionalità, sindacabile soltanto per palese illogicità» (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 28 luglio 2005, n. 4062; Id., sentenza 12 agosto 2009, n. 4936; Id., sentenza 27 aprile 2012, n. 2444). D’altro canto, il giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del “più probabile che non” è applicabile anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e non sanzionatoria (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 11 settembre 2017, n. 4285; Id., sentenza 20 gennaio 2016, n. 196; Id. sentenza 20 gennaio 2016, n. 197). È stato anche precisato che, per fare luogo allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, sono sufficienti semplici “elementi” (e, quindi, circostanze di fatto anche non assurgenti a prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l’Amministrazione ed i sodalizi criminali ovvero è sufficiente che gli elementi raccolti e valutati siano “indicativi” di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 6 marzo 2012, n. 1266). La misura in argomento deve infatti ritenersi espressione di una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata. In quanto tale, la stessa prescinde dalle rilevanze probatorie proprie di un eventuale processo penale, essendo sufficiente, per la sua emissione, un quadro indiziario che sia reale ed effettivo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 24 aprile 2015, n. 2054). La costante giurisprudenza in materia, confermata dagli orientamenti più recenti, valorizza «il differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale»(ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 9 luglio 2012, n. 3998; tAr Lazio sentenza 16 ottobre 2017, n. 10361; Id., sentenza 20 luglio 2015, n. 9873). È noto infatti come la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza delle circostanze poste a fondamento del provvedimento dissolutorio vada riferita non atomisticamente e partitamente a ogni singolo elemento o accadimento preso in esame dalla Commissione di indagine, ma a una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti. elementi che ove, nel loro complesso, siano riferibili a fatti di cui non è in discussione l’accadimento storico (requisito della concretezza) e, in base al rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 prudente apprezzamento dell’Amministrazione, esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma ha inteso prevenire (requisito dell’univocità), non possono non ritenersi rilevanti, sul piano causale, agli effetti predetti (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 24 aprile 2015, n. 2054; tAr Lazio, sentenza 21 marzo 2016, n. 3419; Id., sentenza 8 gennaio 2015, n. 165). In definitiva, gli elementi concreti si sostanziano nella presenza di puntuali riscontri fattuali; la caratteristica della univocità è data dalla coerenza di insieme di tutti i dati raccolti, che non devono prestarsi ad ambivalenti interpretazioni; la rilevanza consegue al processo elaborativo e valutativo dei fatti accertati e degli elementi riscontrati, i quali possono ritenersi rilevanti se e in quanto significativi di forme di condizionamento o interferenza (ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 15 marzo 2016, n. 1038; tAr Lazio, sentenza 20 luglio 2015, n. 9874; Id., 18 giugno 2012, n. 5606). Al riguardo, si sottolinea che gli organi di vertice politico-amministrativo hanno compiti pregnanti di pianificazione, di direttiva, di impulso, di vigilanza e di verifica, che impongono l’esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa del- l’interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee (cfr. Consiglio di Stato, parere 12 ottobre 2010, n. 4554; tAr Campania -napoli, sentenza 11 gennaio 2007, n. 246). Inoltre, l’Amministrazione procedente, come ormai pacificamente ammesso, gode di ampi margini di discrezionalità nella valutazione degli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori e/o dipendenti alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni, ecc.), e ciò, pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (ex multis, Consiglio di Stato, sentenza 28 giugno 2017, n. 33164; tAr Lazio, sentenza 22 marzo 2017, n. 3749). Sebbene in linea generale i ricorrenti, in sede giudiziale, tendono ad “atomizzare” gli elementi emersi, tuttavia, è noto come la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza delle circostanze poste a fondamento del provvedimento dissolutorio vada riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento o accadimento preso in esame dalla Commissione di indagine, ma a una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti. e invero, «lo scioglimento del Consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione … che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale … Le vicende che teMI IStItuzIonALI costituiscono il presupposto sulla base del quale può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 TUEL devono essere, pertanto, considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso”» (ex multis, tAr Lazio, sentenza 11 giugno 2019, n. 7575; Id., sentenza 14 ottobre 2019, n. 11810). In definitiva, gli elementi concreti si sostanziano nella presenza di puntuali riscontri fattuali; la caratteristica della univocità è data dalla coerenza di insieme di tutti i dati raccolti che non devono prestarsi ad ambivalenti interpretazioni; la rilevanza consegue al processo elaborativo e valutativo dei fatti accertati e degli elementi riscontrati, i quali possono ritenersi rilevanti se e in quanto significativi di forme di condizionamento o interferenza (cfr. tAr Lazio, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647). 3. Comitato di Coordinamento per l’alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (CCaSIIP) e Struttura di missione antimafia Sisma 2016. Il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (CCASIIP) costituisce lo snodo centrale del sistema di monitoraggio antimafia nel settore delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, articolato in forma di “rete”, considerata la complessità dell’attività e l’estensione territoriale. Ha composizione multidisciplinare e si articola a livello centrale e periferico. A livello centrale è composto dai rappresentanti delle Amministrazioni interessate, dell’Avvocatura dello Stato, della Direzione nazionale Antimafia (DnA), della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), dell’AnAC. A livello periferico coinvolge Prefetture -uffici territoriali del Governo e gruppi interforze (composti da rappresentanti territoriali delle Forze di polizia e dei centri operativi della DIA, nonché da rappresentanti degli Ispettorati del lavoro e delle strutture periferiche del Ministero del Lavoro e dell’Inps, per quanto concerne il contrasto al lavoro nero e la vigilanza sulla sicurezza nei luoghi di lavoro). Il CCASIIP ha una funzione di contrasto e prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, che il legislatore ha previsto sin dal 2000 e, da ultimo, recepito con Decreto ministeriale 21 marzo 2017, ai sensi dell’art. 203 del D.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). Il quadro delle competenze antimafia, a partire dai primi anni del 2000, si è ampliato a seguito di successivi interventi normativi (inizialmente il Comitato era denominato CCASGo), con competenze estese in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, quali quelli dell’Abruzzo nel 2009, delle rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 Province di Bologna, Modena, Ferrara, reggio emilia, Mantova e rovigo nel 2012, dell’isola di Ischia nel 2016, dei Comuni etnei nel 2018 e della Provincia di Campobasso nello stesso anno. A ciò aggiungasi la bonifica della terra dei fuochi (cfr. D.L. 10 dicembre 2013, n. 136, conv. dalla L. n. 6 febbraio 2014, n. 6) e le infrastrutture di rilievo internazionale, tra cui le opere connesse a eXPo 2015 Milano, la realizzazione del piano Carceri (cfr. art. 16 del D.L. n. 39/2019, conv. dalla L. n. 77/2009), le universiadi (cfr. D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, conv. dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172), la realizzazione di nuovi padiglioni all’interno del piano Infrastrutture Penitenziarie; la partecipazione al monitoraggio finanziario del “Grande Progetto Pompei”. L’attività del CCASIIP si è sostanziata anche nell’emanazione di apposite Linee guida riguardanti i settori di riferimento, oltre che in plurime delibere anche riguardanti i Protocolli di legalità. In particolare, i nuovi schemi dei Protocolli di legalità sono stati approvati dal CIPe, con delibera n. 62/2020, pubblicata nella G.u., Serie generale, n. 23 del 29 gennaio 2021, su proposta del Comitato e costituiscono un strumento di lavoro rilevante anche per l’attuazione del progetto “Monitoraggio ai fini antimafia nel settore delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari” (MASIIP), che coinvolge lo stesso Comitato di coordinamento. Il contenzioso registrato in questi ultimi anni ha riguardato essenzialmente la Struttura di Missione Antimafia Sisma 2016, istituita (cfr. art. 30 del D.L. n. 189 del 17 ottobre 2016, conv. dalla L. n. 229 del 15 dicembre 2016) per garantire la legalità delle attività di ricostruzione nei territori del Centro Italia colpiti dal sisma del 2016, con il compito di verificare la documentazione antimafia degli operatori economici impegnati nei lavori. Al riguardo è richiesta alle imprese interessate l’iscrizione nell’apposita “Anagrafe antimafia degli esecutori”, un elenco gestito dalla Struttura di Missione in raccordo con le Prefetture delle Province interessate dal Sisma. La Struttura svolge attività di prevenzione e di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori, nella gestione dei servizi e nel reperimento delle forniture necessarie alla ricostruzione dei Comuni del Centro Italia colpiti dagli eventi sismici del 2016. 4. Interventi dell’aNaC. La “rassegna ragionata degli atti dell’Autorità in tema di riflessi dell’interdittiva antimafia sulla partecipazione alle gare e sull’esecuzione dei contratti pubblici 2015-2019”, pubblicata a gennaio 2020 sul sito www.anticorruzione.it, inquadra gli obblighi dichiarativi di cui all’art. 80, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016, l’“affidamento, esecuzione dei contratti pubblici e interdittiva antimafia”, l’annotazione dell’interdittiva nel Casellario informatico, affrontando le questioni emerse in concreto e su cui l’AnAC si è espressa. teMI IStItuzIonALI Sono state adottate, negli ultimi anni, anche apposite “Linee guida per l’avvio di un circuito collaborativo tra AnAC -Prefetture-utG ed enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa”. Per quanto concerne nello specifico le “white list”, l’AnAC ha evidenziato che la disposizione dell’art. 1, comma 52 della L. n. 190/2012 non prevedeva alcun obbligo di utilizzare gli elenchi ai fini delle verifiche antimafia, riconoscendo quindi carattere “volontario” all’iscrizione. Solo a seguito della modifica apportata dall’art. 29 del D.L. n. 90/2014 si è disposto che, per le attività imprenditoriali di cui al successivo comma 53, la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria è obbligatoriamente acquisita attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. L’iscrizione nell’elenco tiene luogo, dunque, della comunicazione e del- l’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta. Con apposito “Atto di segnalazione del 21 gennaio 2015 n. 1”, l’AnAC, tenuto conto della modifica normativa, ha evidenziato che è esplicitamente sancito l’obbligo per le stazioni appaltanti di consultare gli elenchi in questione, ma non quello degli operatori economici, che svolgono attività maggiormente esposta a rischio di infiltrazione mafiosa, di iscriversi negli elenchi. tale obbligo, tuttavia, è ricavabile in via interpretativa dal comma 2, dell’art. 29 del D.L. n. 90/2014. L’Autorità ha quindi segnalato che, tenuto conto della “ratio legis” e della necessità di rendere il sistema delle verifiche antimafia coerente, sarebbe stato opportuno modificare il DPCM del 18 aprile 2013, nel senso di prevedere espressamente l’obbligatorietà dell’iscrizione negli elenchi. Coerentemente con tale indirizzo interpretativo, nella “nota illustrativa” che accompagna il “Bando-tipo” n. 1, approvato con la delibera n. 1228/2017, l’Autorità ha chiarito che, nell’ipotesi di servizi o forniture rientranti in una delle attività a maggior rischio di infiltrazione mafiosa, è stata prevista la necessità di richiedere, a pena di esclusione dalla gara, l’iscrizione del concorrente nell’elenco istituito presso la Prefettura della provincia in cui l’operatore economico ha la propria sede, oppure l’intervenuta presentazione della domanda di iscrizione, secondo le indicazioni fornite dalla Circolare del Ministero dell’Interno del 23 marzo 2016. L’AnAC è poi tornata sul punto, nel parere di precontenzioso (cfr. delibera n. 1297/2017) con cui si è pronunciata sull’illegittimità dell’esclusione di un concorrente che, pur avendo dichiarato di aver presentato regolare domanda di iscrizione nella “white list” della Prefettura di appartenenza, era stato rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 escluso dalla gara in quanto quest’ultima era ancora in istruttoria e, quindi, l’operatore economico non risultava iscritto nella “white list”, come invece richiesto dal disciplinare di gara (in tal senso cfr. anche delibere n. 1071 e n. 1072 del 2018). Con la successiva delibera n. 48/2019, l’Autorità ha rimarcato che l’iscrizione rientra tra i requisiti soggettivi e la sua carenza determina l’incapacità di contrattare con la pubblica Amministrazione. Con la delibera n. 356/2020 l’AnAC ha affrontato le tematiche dei rapporti tra controllo giudiziario, interdittiva antimafia e iscrizione nella “white list”. 5. orientamenti giurisprudenziali. Di seguito si segnalano alcune pronunce di interesse pubblicate nel 2020, rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. Con la sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020 il Consiglio di Stato ha statuito che “Nei rapporti tra privati non sussiste alcuna limitazione contrattuale per l’impresa soggetta ad interdittiva antimafia poiché, in caso contrario, si finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori, che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica” (massima). In particolare, ha motivato nel senso che segue: “Una corretta lettura del- l’art. 83, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 porta infatti a concludere nel senso prospettato dall’appellante. Il comma 1, infatti, ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonchè i concessionari di lavori o di servizi pubblici. a tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice dei contratti pubblici. Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata. aggiungasi, ed il rilievo è assorbente di qualsiasi altra considerazione, che tale documentazione può essere utilizzata solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il privato e non, come nella specie, nei rapporti tra privati. È ben vero che la Sezione (2 settembre 2019, n. 6057; 2017, n. 565 e 2017, n. 1109 del 2017) ha affermato che le informazioni antimafia si applicano anche ai provvedimenti autorizzatori e alle attività soggette a s.c.i.a. teMI IStItuzIonALI L’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione”. La Sezione ha quindi ritenuto che, per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia, e che il Comune ben possa, e anzi debba, verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto. Si tratta però, pur sempre, di un potere di controllo o di un legame, prefigurato dalla legge, tra la Pubblica amministrazione e il privato. Nel motivare le conclusioni alle quali è pervenuta, la Sezione ha affermato che una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a., come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine all’attuazione della l. n. 124 del 1015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere n. 839 del 30 marzo 2016 del Consiglio di Stato sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.). Il Legislatore ha quindi previsto il potere del Perfetto che interviene quando il privato entra in rapporto con l’amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere di verifica al Prefetto. Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede. Tale vuoto normativo non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l'adunanza plenaria, addirittura "incapacitanti"), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica. Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, d.lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta dall’art. 4, d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato. Della debolezza di una diversa conclusione, nell’attuale sistema normativo, sembra essere convinta la stessa amministrazione che si è costituita nel presente giudizio con mero atto di stile, senza depositare alcuno scritto difensivo. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 4. Preme peraltro al Collegio sottolineare che la conclusione qui indicata discende dalla doverosa applicazione di una disciplina normativa che non offre diversa lettura, pena la violazione -allo stato della legislazione vigente -del diritto alla attività economica tra privati, costituzionalmente garantita dall’art. 41, che definisce l’iniziativa economica privata come, appunto, “libera”. Ciò però non esime il Collegio dal riflettere, alla luce dell’esperienza maturata dal Consiglio di Stato nella materia delle interdittive antimafia, sulle possibili conseguenze della novella del 2012 che -come doverosamente va applicata e interpretata -lascia alle imprese “più probabilmente che non” colluse o in contatto con le mafie la possibilità di operare nel settore privato, nel quale probabilmente è ancora più forte la capacità “persuasiva” delle minacce e della violenza fisica o psicologica, tipica della mafia, cosicché il potere fondato sulla forza economica tende a consolidarsi. Sembra, in altri termini, che il d.lgs. n. 218 del 2012 abbia aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi antimafia, il cui complesso di norme mira ad isolare le imprese vicine agli ambienti della criminalità organizzata, togliendo loro la linfa data dai guadagni, con l’esclusione dal settore economico pubblico, in particolare nella contrattualistica, e dai finanziamenti pubblici. occorre dunque interrogarsi -e nulla più che un interrogativo “aperto” può provenire da questo Giudice -se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo tangibile i suoi risultati -non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati. Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che non a caso questo Consiglio ritiene pietra angolare del sistema normativo antimafia (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), in presenza di una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente. In tal modo si riuscirebbe -chiudendo gli spazi che oggi esistono -da un lato ad emarginare completamente tali soggetti rendendoli vulnerabili nel loro effettivo punto di forza e, dall’altro, lasciare il mercato economico agli operatori che svolgono l’attività affidandosi esclusivamente al proprio lavoro nel rispetto delle regole. L’interrogativo che la Sezione sta ponendo si fonda sulla considerazione che le condotte infiltrative mafiose nel tessuto economico non solo sono un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè, quel “fon teMI IStItuzIonALI damentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la dignità e il valore della persona” (v., per tutte, Corte cost. 7 dicembre 2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari” stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato. E, su questo terreno, non vi è dubbio che il devastante impatto della infiltrazione mafiosa si manifesta nei rapporti tra privati come in quelli tra privati e P.a. Sempre, infatti, chi contratta e collabora con la mafia, per convenienza o connivenza, non è soggetto, ma solo oggetto di contrattazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione antimafia, esso davvero riposa, come accennato, nella dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale -e non a caso opera come limite alla stessa attività di impresa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o -secondo un clima assiologico di tipo ascendente -in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, potrebbe allora essere valutata dal Legislatore allo scopo di restituire compiutezza piena ad un aspetto del Codice su cui certo non può intervenire il Giudice in via interpretativa. Secondo la legge vigente, come già rilevato, l’impossibilità per un soggetto privato -quale è Confindustria -di chiedere al Prefetto la documentazione antimafia assume carattere assorbente di ogni altra considerazione, dovendosi condividere il primo motivo dell’appello…”. Con la sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020 il Consiglio di Stato ha delineato il rapporto tra informativa antimafia e contraddittorio procedimentale, chiarendo che “La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi. Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta al rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 l’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo” (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565)”. Con la successiva sentenza n. 4979 del 10 agosto 2020 in argomento, ha statuito quanto segue: “Sul piano generale non sfugge a questo Collegio, peraltro, che la Corte di Giustizia UE, nel § 28 della propria ordinanza del 26 maggio 2020 in C-17/20, ha affermato, con un significativo obiter dictum, che il rispetto dei diritti di difesa, quale principio generale del diritto del- l’Unione, trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio e che, in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. 33.1. Questo Consiglio di Stato, nelle sentenze n. 820 del 31 gennaio 2020 e n. 2854 del 26 maggio 2020, ha già chiarito che, ferma rimanendo ogni competenza della Corte di Giustizia UE sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto eurounitario al cospetto di una questione che abbia rilevanza transfrontaliera, rilevanza nel caso di specie -come detto assente e nemmeno dedotta dagli appellanti, il procedimento finalizzato al- l’emissione dell’informazione antimafia non sconta una totale assenza di contraddittorio, nel nostro ordinamento, ma conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile. 33.2. L’audizione del soggetto interessato e l’invito a fornire informazioni o documenti presuppongono una valutazione discrezionale dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza pubblica in ordine all’utilità di detto contraddittorio procedimentale in seno ad un procedimento informato da speditezza, riservatezza ed urgenza, per evidenti ragioni di ordine pubblico, e finalizzato, per espressa previsione legislativa (art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011), a prevenire eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a con teMI IStItuzIonALI dizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758, Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105 e, ora, Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57). 33.3. La sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020 di questo Consiglio di Stato ha osservato che la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi. 33.4. Soprattutto nei casi di maggiore gravità, dove più radicato, ed evidente, è l’inquinamento delinquenziale nel contesto di talune realtà imprenditoriali, non di rado a base familiare, fortemente contigue o compromesse con logiche e interessi mafiosi, la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe vulnerare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, «con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia» (art. 84, comma 4, lett. f), del d.lgs. n. 159 del 2011). 33.5. Si tratta di tecniche frequenti nella prassi e ben note all’esperienza giurisprudenziale dello stesso Consiglio di Stato, il quale riscontra forme sempre nuove con le quali le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. 33.6. Per questo nell’attuale legislazione il codice antimafia, senza escludere a priori e del tutto la partecipazione procedimentale (del resto ammessa per gli analoghi provvedimenti di iscrizione nella c.d. white list, emessi, però, su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1, comma 52, della l. n. 190 del 2012: v., sul punto, Cons. St., sez. III, 20 settembre 2016, n. 3913), ne rimette, con l’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, la prudente ammissione alla rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 valutazione dell’autorità preposta all'emissione del provvedimento interdittivo in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito. 33.7. Il principio del giusto procedimento, del resto, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico, come quella in esame, e proporzionate alla necessità del caso che, come si è detto, è qui assai grave per l’altissimo pericoloso infiltrativo che connota la società appellante. 34. Si obietta tuttavia che la partecipazione procedimentale, prima ancora che doverosa in base al principio del giusto procedimento, sarebbe utile per l’autorità prefettizia, nei termini di una più efficiente azione amministrativa rispondente al principio di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), perché le consentirebbe di acquisire, in un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad evitare l’emissione di un provvedimento tanto incisivo sulla libertà d’impresa, ma si trascura di considerare che, di fronte ai penetranti poteri di accesso e accertamento riconosciuti al Prefetto anche avvalendosi dei gruppi interforze, l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero, per altro verso e nei casi che richiedono un’azione di contrasto immediata ed efficace, rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale. 35. Il legislatore ha così dovuto operare, nel vigente codice antimafia, una scelta tra i due valori in gioco, la tutela dell’ordine pubblico e quello della libertà d’impresa, e lo ha fatto nei termini, sopra visti, di un contraddittorio eventuale ai sensi dell’art. 91, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, riconoscendo una prevalenza al primo che non sacrifica del tutto il secondo. 36. L’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, che deve essere necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105). 37. Se queste sono le coordinate dell’attuale diritto positivo, non può tut teMI IStItuzIonALI tavia questo Collegio esimersi dal rilevare che un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento, sarebbe auspicabile, de iure condendo, in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale. 37.1. In tutte queste ipotesi dunque, laddove la partecipazione procedi- mentale non frustri l’urgenza del provvedere e le particolari esigenze di celerità del procedimento -art. 7 della l. n. 241 del 1990 -per bloccare un grave, incontrollabile o imminente pericolo di infiltrazione mafiosa e, dunque, non ostacoli la ratio stessa dell’informazione antimafia quale strumento di massima tutela preventiva nella lotta contro la mafia, la partecipazione procedi- mentale, prima di adottare un provvedimento interdittivo, potrebbe e dovrebbe essere ammessa in via generale perché: a) consentirebbe all’impresa di esercitare in sede procedimentale i propri diritti di difesa e di spiegare le ragioni alternative di determinati atti o condotte, ritenuti dalla Prefettura sintomatici di infiltrazione mafiosa, nonché di adottare, eventualmente su proposta e sotto la supervisione della stessa Prefettura, misure di self cleaning, che lo stesso legislatore potrebbe introdurre già in sede procedimentale con un’apposita rivisitazione delle misure straordinarie, ad esempio, dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014, da ammettersi, ove la situazione lo consenta, prima e al fine di evitare che si adotti la misura più incisiva dell’informazione antimafia; b) consentirebbe allo stesso Prefetto di intervenire con il provvedimento interdittivo quale extrema ratio solo a fronte di situazioni gravi, chiare, inequivocabili, non altrimenti giustificabili e giustificate dall’impresa, secondo la logica della probabilità cruciale, di infiltrazione mafiosa, all’esito di una istruttoria più completa, approfondita, meditata, che si rifletta in un apparato motivazionale del provvedimento amministrativo, fondamento e presidio della legalità sostanziale in un ordinamento democratico, che sia il più possibile esaustivo ed argomentato; c) consentirebbe infine al giudice amministrativo di esercitare con maggiore pienezza il proprio sindacato giurisdizionale sugli elementi già valutati dalla Prefettura in sede procedimentale, anche previo approfondimento istruttorio nel contraddittorio con l’impresa, nonché sul conseguente corredo motivazionale del provvedimento prefettizio, e di affinare così ulteriormente, nell’ottica della full jurisdiction, i propri poteri cognitori e istruttori in questa delicata materia, crocevia di fondamentali valori costituzionali, eurounitari e convenzionali in gioco. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 37.2. Tutto ciò, si aggiunga da ultimo ma non per ultimo, potrebbe far ritenere la stessa questione della determinatezza delle situazioni indicative di infiltrazione mafiosa, nell’ottica della c.d. tassatività sostanziale, meno assillante o persino superata perché, per rammentare le parole della Corte di Giustizia UE nell’ordinanza sopra citata del 26 maggio 2020 in C-17/20, il soggetto destinatario dell’informazione, già in sede procedimentale, potrebbe acquisire conoscenza e manifestare utilmente il proprio punto di vista «in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione », anche quelli che, per la natura preventiva della misura, hanno un naturale, ineliminabile, margine di elasticità, e correggere così con le opportune misure, ove possibile, comportamenti o prassi che possono avvalorare il rischio di infiltrazione mafiosa. 37.3. L’incisività delle misure interdittive, come mostra anche l’aumento dei provvedimenti prefettizi negli ultimi anni, richiede che la lotta della mafia avvenga senza un sacrificio sproporzionato dei diritti di difesa, anzitutto, e della libertà di impresa, perché solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa ed evita che la normativa di contrasto all’infiltrazione mafiosa purtroppo endemica nel nostro ordinamento, come ogni altro tipo di legislazione emergenziale, si trasformi in un diritto della paura, secondo quanto questa Sezione ha già affermato nella sentenza n. 6105 del 2019. 37.4. Spetterà alla saggezza del legislatore, anche nell’ottica di un delicato bilanciamento tra i valori in gioco che hanno una rilevanza, ormai, non solo nazionale, valutare simili o altri percorsi normativi, che evitino un sacrificio del diritto di difesa sproporzionato, in talune ipotesi che non siano contrassegnate dall’urgenza e dalle «particolari esigenze di celerità del procedimento » (le quali, come noto, possono comportare l’omissione delle garanzie partecipative, secondo quanto prevede in generale l’art. 7 della l. n. 241 del 1990), rispetto alla pure irrinunciabile, fondamentale, finalità del contrasto preventivo alla mafia. 37.5. Come questo Consiglio di Stato ha già chiarito nella sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020, la stessa Corte di Giustizia UE ha infatti affermato che il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte di Giustizia UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti teMI IStItuzIonALI pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, 37). 37.6. Competerà al legislatore individuare quanto prima un proporzionato punto di equilibrio, senza che la normativa italiana venga a collidere con il diritto eurounitario”. nella sentenza n. 3641 dell’8 giugno 2020 il Supremo Consesso Amministrativo ha definito la funzione di “frontiera avanzata” dell’interdittiva antimafia, chiarendo quanto segue: “Il rischio di inquinamento mafioso deve essere, infatti, valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Cons. St., sez. III, 13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743). Come chiarito dalla Sezione (30 gennaio 2019, n. 759), l’art. 84, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, potendo essere anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo -anche quello di infiltrazione mafiosa -è per definizione la probabilità di un evento. L’introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata dunque la risposta cardine dell’ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata. Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia. La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). 4. a supportare l’interdittiva, proprio in ragione della ratio ad essa sottesa, possono essere anche fatti non penalmente rilevanti o che non costituiscono oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707). In questo senso diventa dunque irrilevante la circostanza, affermata in appello (pag. 7), che a carico del signor -omISSIS-“non sussistono …. fattispecie di reato, né risulta alcunché dal certificato del Casellario giudiziale”. 5. Contrariamente a quanto afferma l’appellante società, pertinente è stato, da parte del giudice di primo grado, il richiamo ai legami familiari che hanno caratterizzato la gestione della società -omISSIS-e dunque della società -omISSIS-. Le decisioni del responsabile di una società e la sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza -su un’area più o meno estesa -del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (Cons. St., sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651)… . Le società vicine ai sodalizi criminali, infatti, precostituiscono una congerie di dati fattuali che potrebbero essere ex post utilizzati per dimostrare la cesura con il passato. Sempre più spesso le associazioni a delinquere di stampo mafioso fanno ricorso a tecniche volte a paralizzare il potere prefettizio di adottare misure cautelari (Cons St., sez. III, 6 maggio 2020, n. 2854). Di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto in quale modo notizia o sentore, reagiscono mutando sede legale, assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, cercando comunque di controllare i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni (Cons. St., sez. III, 13 maggio 2020, n. 3030). teMI IStItuzIonALI ... 8. In conclusione, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Reggio Calabria sufficiente ad evidenziare la persistenza del pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010)”. nella sentenza n. 4091 del 20 giugno 2020 il Consiglio di Stato, nel decidere una causa risarcitoria, ha chiarito che “La già evidenziata necessità logica prima ancora che giuridica -di segnare un discrimen tra mera illegittimità del provvedimento interdittivo e concorso dello stesso nella integrazione di una fattispecie illecita suscettibile di produrre riflessi risarcitori a carico dell’amministrazione impone di individuare un criterio al quale ancorare la relativa (distinta) valutazione. Tale criterio non può quindi essere individuato nella (mera) mancata rigorosa osservanza da parte dell’amministrazione prefettizia dei principi giurisprudenziali che hanno contribuito ad attribuire concretezza alla fattispecie, indubbiamente connotata da una certa dose di elasticità, degli “elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate” di cui agli artt. 10, comma 2, d.P.R. n. 252/1998 e 3, comma 2, d.P.R. n 150/2010, vigenti ratione temporis: criteri di cui quindi sarebbe ridondante illustrare in questa sede il contenuto, anche al fine di porre in evidenza eventuali profili di distonia evolutiva tra l’applicazione fattane nella fattispecie in esame dai giudici amministrativi che hanno esaminato (in senso favorevole alla società appellante) la domanda di annullamento dei provvedimenti interdittivi emessi nei suoi confronti e quella derivante dalle più recenti indicazioni giurisprudenziali. maggiormente pertinente risulta invece la considerazione secondo la quale può ritenersi integrato l’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano qualora la condotta dell’amministrazione palesi una attività istruttoria gravemente carente, tale da escludere in radice che la valutazione interdittiva si fondi su un quadro fattuale dotato dei requisiti minimi di attendibilità probatoria, ovvero laddove il quadro indiziario da cui l’amministrazione abbia inteso ricavare la prognosi di permeabilità mafiosa dell’attività imprenditoriale sia inficiato da elementi di incertezza, evidente incoerenza o contraddittorietà, patente inverosimiglianza. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 La necessità di circoscrivere nei termini innanzi indicati gli spazi di espressione del sindacato risarcitorio si collega, oltre che alla già evidenziata distinzione sistematica tra giudizio di legittimità e giudizio risarcitorio, alla peculiarità del potere rimesso alla Prefettura, connotato da spiccata discrezionalità tecnica, ed all’esigenza di non frapporre ostacoli eccessivi all’esercizio di una funzione essenziale per il corretto funzionamento del mercato dei pubblici appalti, e delle relazioni economiche in generale, quali non potrebbero non derivare da una proliferazione delle cause risarcitorie innescate dall’adozione di provvedimenti interdittivi non perfettamente conformi alle regole elaborate in sede giurisprudenziale”. Con la sentenza n. 5416 del 9 settembre 2020 il Supremo Consesso amministrativo, con riferimento al provvedimento interdittivo e al potere discrezionale del Prefetto, ha statuito che “Giova infatti ricordare che, ai sensi di una granitica giurisprudenza di questa Sezione, ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali -secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale -sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483). L’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa. Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore -art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 -ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese teMI IStItuzIonALI interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). Ciò che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento (Corte cost. n. 57 del 26 marzo 2020). È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta dalla giurisprudenza natura “cautelare e preventiva” (Cons. St., a.P., 6 aprile 2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa. Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legittimità sostanziale. Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 La corte di cassazione, Prima Sezione penale, nella sentenza n. 8084 del 30 gennaio 2020, ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, il ricorso proposto nell’interesse della Prefettura di Lecce avverso ordinanza di ammissione al controllo giudiziario disposta dal tribunale di Lecce, statuendo che, stante la vigenza del principio di tassatività delle impugnazioni con riferimento alle sole parti processuali del procedimento di prevenzione ex art. 568, comma 3 c.p.p., “[G]li interessi pubblici sono espressamente e unicamente affidati dal legislatore alla cura del Procuratore distrettuale competente e l'eventuale ammissione al controllo su domanda non si risolve certo in un esame dei contenuti del provvedimento amministrativo, posto che ciò dipende da una complessiva disamina -da parte del Tribunale -della tipologia e della graduazione del condizionamento portato verso l'impresa dai soggetti individuati come portatori di pericolosità (su tali aspetti v. Sez. 1, n. 29487 del 7 maggio 2019, Rv. 276303) al fine di realizzare, con l'ammissione al controllo, per stare alle parole utilizzate dalle Sezioni unite di questa Corte, lì dove possibile «un recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo»”. neppure, ha chiarito la Corte, gli effetti discendenti sulla sorte del provvedimento prefettizio sono idonei a determinare il sorgere di “ragionevole interesse della amministrazione alla critica del provvedimento di ammissione”, atteso che tali effetti sospensivi derivano direttamente dalla voluntas legis di cui al comma 7 dell’art. 34 bis in commento e sono, comunque, condizionati dal riconoscimento in campo al tribunale competente di ‘penetranti poteri di controllo’ . 6. Questioni rimesse alla Corte di giustizia e alla Corte costituzionale. La Corte di Giustizia europea, chiamata a pronunciarsi, a seguito di ordinanza di rimessione del tAr per la Puglia -Bari n. 28 del 13 gennaio 2020, sulla compatibilità con il diritto comunitario del Codice antimafia, nella parte in cui non prevede un contraddittorio preventivo alla emissione della informativa antimafia, con l’ordinanza del 28 maggio 2020, ha dichiarato la domanda pregiudiziale manifestamente irricevibile, non essendo stata dimostrata dal Giudice di rinvio l’esistenza di un criterio di collegamento tra il diritto dell’unione e l’informativa adottata dalla Prefettura nel caso di specie. Sulla questione si segnala anche la recente sentenza del consiglio di Stato n. 2854 del 6 maggio 2020 secondo cui “la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe frustrare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia... La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e teMI IStItuzIonALI agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi…. ll principio del giusto procedimento, del resto, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico, come quella in esame, e proporzionate alla necessità del caso che è qui assai grave per l’altissimo pericoloso infiltrativo…”. Inoltre -come sopra evidenziato -il Supremo Consesso, già con la sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020, aveva affermato che l’informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, essendo quest’ultimo un momento meramente eventuale, come si evince dal tenore letterale dall’art. 93, comma 7, d.lgs. 159 del 2011. In sede difensiva, in merito alla ricorrente eccezione avversaria, la Difesa erariale rileva che il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non può essere considerato una prerogativa assoluta, ma ben può soggiacere a restrizioni che, comunque, non costituiscono un vulnus al principio di buona amministrazione. Precisa però la giurisprudenza europea che queste restrizioni devono rispondere “effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti” (Corte di Giustizia ue, sentenza del 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35) e, difatti, la stessa Corte ue ha di recente ribadito che “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici” (Corte di Giustizia ue, sentenza del 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37). e ciò, anche in ragione del fatto che la discovery in sede procedimentale di elementi contenuti in atti connessi ad inchieste della Magistratura inquirente contro la criminalità organizzata “potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita della legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e ‘travestimenti’ sempre più insidiosi”. Si fa altresì presente che, anche qualora dovessero ritenersi applicabili le garanzie partecipative per il procedimento di adozione o riesame dell’informazione antimafia, il provvedimento de quo non sarebbe comunque annullabile, in considerazione del disposto di cui all’art. 21 octies, comma 2, secondo capoverso, Legge n. 241/1990, secondo cui “il provvedimento am rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 ministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione del- l’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. La violazione del principio del contraddittorio non potrebbe discendere neppure dalla mancata applicazione dell’art. 93, commi 4 e 7, d.lgs. n. 159/2011. nello specifico, infatti, la norma in questione disciplina il peculiare caso degli accessi e degli accertamenti nei cantieri delle imprese interessate dall’esecuzione di lavori pubblici, disposti dal prefetto avvalendosi dei gruppi interforze. Pertanto, l’eventuale audizione cui fa riferimento la disposizione in commento riguarda esclusivamente i soggetti interessati dagli accessi e non si estende, in via assoluta, all’intero procedimento di adozione dell’interdittiva, rimanendo, in ogni caso, un momento meramente discrezionale dell’iter procedimentale. Per quanto concerne le questioni rimesse alla Corte Costituzionale in materia, si segnala che è stato promosso giudizio di legittimità costituzionale, con ordinanza pubblicata il 26 maggio 2020 dal TAr per il Friuli venezia Giulia, Sezione 1^, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, Serie speciale -Corte costituzionale, n. 38 del 16 settembre 2020, pronunciata nella causa iscritta al n. 238/2019 del registro generale dei ricorsi dell’ufficio giudiziario a quo, in punto di legittimità, in relazione agli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 della costituzione, anche in relazione agli artt. 6 e 7 cedu, dell’art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, introdotto dall’art. 24, comma 1, lettera d) del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018 n. 132. Il Giudice rimettente ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti i presupposti per sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, del D.lgs. n. 159 del 2011, in relazione: -ai principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’articolo 3 Costituzione, condividendo il Giudice rimettente le valutazioni espresse dal Consiglio di Stato, nell’ordinanza n. 5281/2019, nel senso che occorre verificare, di volta in volta, se la previsione di un effetto interdittivo automatico, conseguente a determinate condanne penali, persegua la finalità di completare il trattamento sanzionatorio correlato al reato o si colleghi all’interesse pubblico primario del contrasto alle organizzazioni mafiose, nell’ambito dell’ampia discrezionalità valutativa riconosciuta al legislatore nelle scelte delle misure ritenute idonee allo scopo. In tale prospettiva, il Giudice a quo ha ritenuto dubbia la ragionevolezza della norma nella misura in cui parifica -ai fini della determinazione degli automatici effetti interdittivi -, alla situazione della definitiva adozione di una misura di prevenzione tipica e alla situazione della condanna di gravissimi teMI IStItuzIonALI reati a struttura associativa, la diversa ipotesi di condanna per il reato di cui all’art. 640-bis c.p., che non presenta struttura associativa, risulta punito con sanzioni molto inferiori e non è necessariamente correlato ad attività della criminalità organizzata. Inoltre, il dubbio sulla ragionevolezza di tale previsione deriverebbe “dalla circostanza che la condanna per il reato di cui all’art. 640-bis (insieme alle ipotesi di condanna per altri titoli di reato, previsti 353, 353-bis, 603-bis, 603-bis, 629, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) nello stesso codice antimafia, all’art. 84, comma 4, lettera a), è opportunamente considerato come elemento da cui è possibile inferire (senza, però, alcun automatismo probatorio) la sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, ai fini dell’adozione di un’informativa interdittiva; in tal senso, nel contesto dell’art. 84, risulta perfettamente coerente la collocazione dell’art. 640-bis tra i significativamente indicativi della capacità di penetrazione nell’economia legale da parte della criminalità organizzata”. Ad avviso del Giudice rimettente il predetto effetto interdittivo automatico della condanna per il reato di cui all’art. 640-bis c.p. “potrebbe risultare, allo stato, irragionevolmente sproporzionato rispetto alla finalità preventiva perseguita dal legislatore, il che alimenta anche l’ulteriore dubbio sulla legittimità della sua applicabilità retroattiva, potendosi ipotizzare che la sua finalità sia sostanzialmente punitiva e non preventiva, con la conseguente applicazione dei principi costituzionali e convenzionali in materia id irretroattività delle norme penali”. D’altra parte, nessun utile elemento, che possa giustificare l’inserimento del reato in questione tra quelli aventi immediata e automatica valenza ostativa, è evincibile dagli atti preparatori della legge (relazione di accompagnamento del D.l. n. 113 del 2018 - Atto Senato n. 840, p. 21). -ai principi di cui agli articoli 25 e 27 Costituzione, poiché l’irragionevole equiparazione, nel contesto della norma, del reato di cui all’art. 640-bis c.p. a quelli più gravi di cui all’art. 51, c. 3-bis, c.p.p., si tradurrebbe “in un inasprimento, peraltro in assenza di una previa ed equa valutazione giudiziale e del legittimo e compiuto esercizio di tutte le prerogative difensive, del regime sanzionatorio previsto per il reato che assume rilievo, che si scontra inevitabilmente con i “principi di cui agli artt. 25 e 27 Cost., anche in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, in particolare laddove, come nel caso di specie, siffatti effetti pregiudizievoli vengono fatti derivare anche da sentenze pronunciate antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 24, c. 1, lettera d), del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla l. 1 dicembre 2018, n. 132, che ha inserito l’art. 640-bis c.p.p. all’interno dell’art. 67, c. 8, d.lgs. 159/2011”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 -ai principi di cui agli articoli 38 e 41 Costituzione, in quanto ritiene il Giudice a quo che “l’automatismo previsto nel caso specifico non sia direttamente e immediatamente correlato all’interesse pubblico generale a preservare l’integrità del tessuto economico sociale di mercato libero e competitivo e che piuttosto elida, in spregio ai principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., la libertà di iniziativa economica privata assicurata dall’art. 41 Cost. e la possibilità di svolgere qualsivoglia attività lavorativa, professionale ed economica soggetta a “iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo”. Nel caso di specie -pur non essendovi (o, comunque, non essendo stata data alcuna evidenza) della sussistenza di effettive correlazioni alla “mafia” della condotta posta in essere dal ricorrente e sanzionata con la condanna da cui in sede amministrativa sono state fatte derivare nei confronti del ricorrente conseguenze così gravemente pregiudizievoli in forza della norma di legge di cui viene messa in dubbio la costituzionalità -il provvedimento impugnato incide, invero, compromettendola, sull’intera attività imprenditoriale del medesimo, soggetta a regime autorizzatorio, quali l’iscrizione alla camera di commercio e all’albo professionale degli ingegneri”. È stato espletato “Atto di intervento” per il Presidente del Consiglio dei Ministri in tale giudizio, attualmente pendente. Per quanto concerne le pronunce della corte costituzionale intervenute nell’anno 2020 in materia di antimafia, si ritiene utile richiamare la sentenza n. 57/2020, pubblicata il 26 marzo 2020, che, sia pure resa all’esito del giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 159/2011 -in cui il Giudice rimettente ha affermato che è irragionevole ricomprendere nella sfera d’incidenza dell’inibitoria, ma soprattutto nella sfera della decadenza, tutti i provvedimenti previsti dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011, senza escludere quelli che sono il presupposto dell’esercizio dell’attività imprenditoriale privata che non comporti alcun rapporto con la pubblica Amministrazione e alcun impatto su beni e interessi pubblici -ha statuito che “Il dato normativo arricchito dall’articolato quadro giurisprudenziale, esclude, dunque, la fondatezza dei dubbi di costituzionalità avanzati dal rimettente in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà d’impresa che ne deriva. In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, la risposta amministrativa, non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo quel fenomeno mafioso, sulla cui gravità e persistenza -malgrado il costante e talvolta eroico impegno delle Forze dell’ordine e della magistratura penale -non è necessario soffermarsi ulteriormente”. teMI IStItuzIonALI 7. Pareri di massima e proposte normative de iure condendo. In sede consultiva sono state affrontate alcune problematiche emerse in sede di applicazione della disciplina dettata dal Codice antimafia e dei recenti orientamenti giurisprudenziali. 1. A seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 452/2020, che ha annullato un’informazione interdittiva antimafia, adottata sulla base del Protocollo nazionale quadro di legalità sottoscritto tra il Ministero dell’Interno e Confindustria, è stato posto il quesito sugli effetti di tale pronuncia, evidenziandosi anche la portata generale della questione, ove si considerino i numerosi documenti pattizi che le Prefetture stipulano con soggetti che hanno natura pubblicistica. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha ritenuto che il provvedimento interdittivo -nella fattispecie sottoposta al suo vaglio -non avrebbe potuto essere adottato, “e ciò perché il soggetto che ha chiesto la verifica alla Prefettura non è incluso tra gli enti indicati dall’art. 83, d.lgs. n. 159 del 2011. Nella specie la richiesta di rilasciare una comunicazione antimafia, rivolta il 15 dicembre 2016 alla Prefettura di Brescia, è stata effettuata da Confindustria Venezia, associazione privata, per la conclusione di contratti di rilevanza solo privatistica, in alcun modo connessi all’uso di poteri, procedimenti o risorse pubbliche”. Il Supremo Consesso amministrativo ha rilevato che “Il comma 1, infatti, ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e sub- contratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici. a tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice dei contratti pubblici. Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta della Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata. aggiungasi, ed il rilievo è assorbente di qualsiasi altra considerazione, che tale documentazione può essere utilizzata solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il privato e non, come nella specie, nei rapporti tra privati”. Ha quindi argomentato, con riferimento ai rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede, nel senso che “Tale vuoto normativo non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il ministero dell’Interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l’adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica. Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, d.lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta dall’art. 4, d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato”. Concludendo nel senso che “occorre dunque interrogarsi -e nulla più che un interrogativo “aperto” può provenire da questo Giudice -se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo tangibile i suoi risultati -non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati. Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che non a caso questo Consiglio ritiene pietra angolare del sistema normativo antimafia (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), in presenza di una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2019), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente”. tanto considerato, l’Avvocatura ha innanzitutto condiviso l’interrogativo posto e l’auspicio manifestato dal Consiglio di Stato, nel senso del ripristino della originaria formulazione normativa del Codice antimafia, anche al fine di evitare l’insorgenza di contenzioso in materia. La questione risulta attualmente chiarita, in quanto il quadro normativo è di recente mutato per effetto dell’introduzione dell’art. 83-bis (Protocolli di legalità) nel D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ad opera dell'art. 3, comma 7, D.L. 16 luglio 2020, n. 76. La norma dispone : “1. Il Ministero dell'Interno può sottoscrivere protocolli, o altre intese comunque denominate, per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia di cui all'articolo 84. I protocolli di cui al presente articolo possono essere sottoscritti anche con imprese di rilevanza strategica per l'economia nazionale nonché con associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale di categorie produttive, economiche o imprenditoriali, e possono prevedere modalità per il rilascio della documentazione antimafia anche su richiesta di soggetti privati, nonché determinare le soglie di valore al di sopra delle quali è prevista l'attivazione degli obblighi previsti dai protocolli medesimi. I protocolli possono prevedere l'ap teMI IStItuzIonALI plicabilità delle previsioni del presente decreto anche nei rapporti tra contraenti, pubblici o privati, e terzi, nonché tra aderenti alle associazioni contraenti e terzi. 2. L'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui all'articolo 1, commi 52 e seguenti, della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonché l'iscrizione nell'anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall'articolo 30 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, equivale al rilascio dell'informazione antimafia. 3. Le stazioni appaltanti prevedono negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto”. Sempre in sede consultiva, con successivo parere, si è chiarito che, se il soggetto giuridico interessato è riconducibile nel perimetro tracciato dal comma 1 dell’art. 83 del d.lgs. n. 159/2011, con conseguente legittimazione a richiedere la documentazione antimafia, una volta rilasciata una informazione interdittiva nei confronti di una determinata società, non sembrano sussistere, per ciò solo, in astratto ostacoli giuridici all’applicabilità dell’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90/2014. In concreto occorrerà, ai fini del ricorso alla misura straordinaria, verificare la ricorrenza di tutti i presupposti tassativamente previsti dalla norma, che dispone nel senso che segue: “10. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare completamento dell’esecuzione del contratto ovvero dell’accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici. Ancorchè ricorrano i presupposti di cui all’articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159….”. 2. È stato reso parere anche in materia di straordinaria e temporanea gestione ai sensi dell’art. 32, comma 1 lett. b) e comma 10, d.l. n. 90/2014. In particolare, la Prefettura di roma ha chiesto parere all’Avvocatura in merito all’istanza di restituzione degli importi presenti sui conti correnti vincolati, avanzata da una società con riferimento ai contratti oggetto della misura di straordinaria e temporanea gestione disposta, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 190/2014, (e successivamente prorogata) dalla Prefettura di napoli, a seguito di informazione interdittiva antimafia oggetto di impugnativa, conclusasi con la sfavorevole sentenza del Consiglio di Stato n. 3030/20 del 13 maggio 2020, che ha ravvisato l’incompetenza della Prefettura di napoli a favore della Prefettura di roma. È stato rappresentato che, con successivo decreto, è stata adottata dalla Prefettura di roma informazione interdittiva antimafia nei confronti della me rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 desima società e, successivamente, è stata disposta la straordinaria e temporanea gestione (poi prorogata) con esclusivo riferimento ad un contratto. La società coinvolta ha avanzato alle Prefetture di roma e di napoli istanza di restituzione delle somme presenti sui conti correnti vincolati ai contratti non più oggetto di misura straordinaria e temporanea. La Prefettura di roma, nel richiedere l’avviso dell’organo erariale, ha posto dei dubbi, preliminarmente, sulla competenza della stessa in ordine alla eventuale restituzione delle predette somme e sulla sussistenza, nel merito, dei presupposti per riscontrare positivamente la richiesta avanzata dalla società, considerato che la stessa attualmente risulta interdetta, a seguito del provvedimento adottato in sostanziale continuità rispetto a quello della Prefettura di napoli, annullato per vizio di incompetenza. tanto considerato, in ordine alle questioni prospettate, l’Avvocatura si è espressa nel senso che segue. Per quanto concerne la questione della competenza, giova al riguardo richiamare le “Quinte Linee Guida per la gestione degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d’appalto o di concessione sottoposti alla misura di straordinaria gestione ai sensi dell’art. 32 del decreto legge 90/2014” sottoscritte dall’AnAC e dal Ministero dell’Interno in data 16 ottobre 2018, che al punto 2.2.-Termine della straordinaria gestione e adempimenti conclusivi prevedono quanto segue: “al termine della misura, gli amministratori straordinari dovranno presentare alla Prefettura di riferimento un rendiconto analitico della loro gestione, evidenziando, per ciascuna commessa, i relativi flussi finanziari e contabili nonché l’importo accantonato a titolo di utile…. Il Prefetto, preso atto della rendicontazione, adotterà i provvedimenti conseguenti e necessari alla chiusura definitiva della gestione commissariale, dandone comunicazione all’operatore economico…”. Considerato che i contratti a cui si riferisce la richiesta restitutoria della società in argomento hanno costituito oggetto esclusivamente della misura della straordinaria e temporanea gestione disposta dalla Prefettura di napoli con appositi decreti, anche di proroga della durata, si è ritenuto che quest’ultima -ferme restando le valutazioni di merito -fosse competente per l’adozione dei “provvedimenti conseguenti e necessari alla chiusura definitiva della gestione commissariale”, con riferimento ai suddetti contratti, la cui esecuzione risultava espletata nella vigenza della precedente interdittiva e considerato che le somme in questione “sono state accantonate a titolo di utile in appositi conti correnti aperti per la gestione separata dei contratti commissariati dalla Prefettura di Napoli” ; mentre spettava alla Prefettura di roma la competenza in relazione all’unico contratto oggetto del decreto dalla stessa adottato (e del successivo decreto di proroga), ferma restando l’opportunità di ogni utile coordinamento e raccordo tra le Prefetture coinvolte. Per quanto concerne il merito della richiesta di restituzione delle somme teMI IStItuzIonALI accantonate, a titolo di utile, negli appositi conti correnti aperti per la gestione separata dei contratti commissariati in discussione, si sono esposte le seguenti osservazioni. La Prefettura di roma ha premesso che il nuovo provvedimento interdittivo si pone in sostanziale continuità rispetto a quello a suo tempo adottato dal Prefetto di napoli, richiamando le motivazioni della succitata sentenza del Consiglio di Stato che, nell’acclarare l’incompetenza territoriale, ha comunque ritenuto “evidenti gli indizi che supportavano la misura interdittiva adottata a tutela di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie”, confermando la corretta ricostruzione delle cointeressenze criminali e della permeabilità della società ad interferenze illecite. Sulla possibilità o meno di provvedere all’immediato svincolo delle somme accantonate a titolo di utile con riferimento ai contratti già conclusi, disponendo la restituzione alla società tuttora interdetta, si è richiamata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 3/2018) che, nel valutare la questione sottoposta al suo vaglio, ha espresso la definizione in termini di “incapacità ex lege” dell’effetto derivante dalla interdittiva antimafia sulla persona (fisica o giuridica) da essa considerata, richiamando la ratio della disciplina delle interdittive antimafia e le finalità di tali misure, come enucleate dalla giurisprudenza in materia, per concludere nel senso che “il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247)”. L’Adunanza Plenaria ha statuito, nello specifico, che la formulazione della norma di cui all’art. 67, comma 1, lett. g) (del seguente tenore: “Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere:… g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”) debba interpretarsi nel senso dell’impossibilità di percepire anche somme dovute a titolo di risarcimento del danno, richiamando la precedente Adunanza Plenaria n. 9/2012 e sottolineando che, se è pur vero che “si riferisce specificatamente ad erogazioni di matrice “indennitaria” e non “risarcitoria”… è altrettanto vero che si è ivi affermato (e si intende ribadire nella presente sede) come la finalità del legislatore è, in generale, quella di evitare ogni “esborso di matrice pubblicistica” in favore di imprese rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 soggette ad infiltrazioni criminali. In sostanza -ed è questa la ratio della norma -il legislatore intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della Pubblica amministrazione in favore di tali soggetti, di modo che l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia non può che essere interpretato se non nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.a…. Gli istituti espressamente contemplati dal legislatore (contributi, finanziamenti, mutui agevolati) rientrano tutti nella più ampia categoria delle obbligazioni pecuniarie pubbliche, di modo che lo “stesso tipo” entro il quale rientrano le “altre erogazioni” interdette, ben può essere inteso come il genus delle obbligazioni pecuniarie poste a carico della Pubblica amministrazione, quale che ne sia la fonte e la causa”. Dall’inquadramento dell’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia in termini di “incapacità” discende l’impossibilità di effettuare qualsivoglia erogazione nei confronti della società attualmente interdetta, essendo irrilevante ai fini della richiesta restitutoria, anche ammesso che ne ricorrano i presupposti oggettivi -che il precedente provvedimento interdittivo sia stato travolto (peraltro solo per profili di incompetenza) dalla pronuncia del Consiglio di Stato, e ciò perché, come statuito dal Supremo Consesso, l’interdittiva antimafia non incide sull’obbligazione dell’Amministrazione, bensì sulla “idoneità” dell’imprenditore ed essere titolare (ovvero a persistere nella titolarità) dei diritto di credito. L’inidoneità ad essere (temporaneamente) titolare del diritto non può che comportare anche l’impossibilità di farlo valere nei confronti del debitore, in particolare postulando la tutela del credito in sede giurisdizionale. Alla luce dell’attuale orientamento giurisprudenziale e della ratio della normativa in questione va anche interpretato il disposto dell’art. 94 del Codice delle Leggi antimafia che prescrive che “1. Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni. 2. Qualora il prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91, comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dal contratto fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. teMI IStItuzIonALI Infine, si è richiamata la recente sentenza n. 23/2020 dell’Adunanza Plenaria del consiglio di Stato che, nel delimitare la portata del comma 2 dell’art. 94 (nel senso che la clausola di salvezza del pagamento del valore delle opere eseguite e il rimborso delle spese per l’esecuzione del rimanente si applica solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture), ha ribadito i principi espressi dalla precedente n. 3/2018, nel senso della incapacità giuridica derivante dall’informazione interdittiva, che “non può essere nemmeno esclusa nel caso di rapporti intrattenuti con la pubblica amministrazione che avrebbero dovuto essere esauriti da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla stessa amministrazione…. (al fine) di non pregiudicare l’interesse pubblico e valori costituzionalmente tutelati e riconosciuti procedendo o continuando ad attribuire o consentendo di ritenere benefici economici ad un soggetto che si è accertato essere suscettibile di infiltrazioni mafiose”. Pertanto, si è concluso nel senso che la richiesta della società di restituzione delle somme accantonate non possa trovare accoglimento, anche considerato che la disciplina di cui all’art. 32, commi 7 e 10 del D.L. n. 90/2014 ed alle Quinte Linee Guida (in particolare, cfr. punto 2.2 pag. 16) implica che, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento interdittivo -presupposto dalla misura straordinaria e temporanea -, il soggetto interessato sia tornato “in bonis”, diversamente dal caso di specie in cui la società è stata attinta da un ulteriore provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura ritenuta competente dal Consiglio di Stato. Il parere dell’Avvocatura ha trovato conferma anche in sede giudiziale. Il TAr lazio, con ordinanza n. 448/21 del 25 gennaio 2021 ha infatti statuito nel senso che segue: “Rilevato che le somme di cui si tratta e di cui si chiede la restituzione sono maturate sotto la vigenza della misura straordinaria disposta dalla Prefettura di Napoli, a nulla rileva l’incompetenza della suddetta Prefettura per l’adozione della informativa a seguito del trasferimento della sede legale della società ricorrente, come statuito nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 3030/2020; che la suddetta sentenza si limita ad auspicare la trasmissione degli elementi istruttori raccolti dalla Prefettura di Napoli alla Prefettura di Roma, nulla statuendo in ordine alla gestione delle somme trattenute in forza della misura di straordinaria gestione disposta dal Prefetto di Napoli ai sensi del- l’art. 32 d.l. 90/2014; che la normativa invocata dal ricorrente non appare, ad una sommaria delibazione, propria di questa fase del giudizio, applicarsi al caso di specie, nel quale l’annullamento giurisdizionale della informativa è limitata al profilo della competenza del Prefetto di Napoli, restando fermo “e doveroso -il potere della Prefettura di Roma, di verificare l’esistenza dei presupposti per adottare la nuova interdittiva antimafia alla luce degli elementi raccolti dalla Prefettura di Napoli” (così CdS III rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 3030/2020); che non risultano impugnati e/o revocati i provvedimenti con cui il Prefetto di Napoli ha disposto la misura di cui all’art. 32, comma 10, d.l. 90/2014 e le successive proroghe; che con l’informativa del 22 maggio 2020 il Prefetto di Roma informa che procederà alla verifica dei presupposti per l’adozione delle misure straordinarie senza fare riferimento alcuno dalle misure già adottate in tal senso dalla Prefettura di Napoli; che ai sensi del punto 2.2 delle “Quinte Linee Guida per la gestione degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d’appalto o di concessione sottoposti alla misura di straordinaria gestione ai sensi dell’art. 32 del decreto legge 90/2014”, sottoscritte dall’aNaC e dal ministero dell’interno, è il Prefetto di riferimento degli amministratori straordinari ovvero, nella specie, il Prefetto di Napoli, che acquisisce la rendicontazione predisposta da questi ultimi e adotta i provvedimenti conseguenti; che, per quanto osservato, anche l’istanza istruttoria va respinta in quanto appare irrilevante ai fini della trattazione dell’odierno ricorso, non essendo la Prefettura di Roma, allo stato degli atti, competente per le richieste restituzioni ai sensi della normativa sopra richiamata”. 3. È stato, inoltre, chiesto un parere in ordine all’Autorità giudiziaria da adire per eventuali diseconomie dei risultati della gestione tali da ingenerare la responsabilità degli amministratori straordinari nominati dal Prefetto ai sensi dell’art. 32, decreto legge n. 90/2014, su cui l’Avvocatura si è espressa nel senso che segue. Come osservato anche dall’AnAC, l’interdittiva antimafia, seguita dalla misura straordinaria del commissariamento dei contratti di appalto e di concessione, determina una incapacità giuridica ad contractum dell’impresa interdetta e pone in capo agli amministratori di nomina prefettizia un munus per pubblica utilità, nella specie costituita dalla finalità di assicurare la prosecuzione dei contratti di appalto e la piena esecuzione di prestazioni di interesse pubblico. L’esecuzione del contratto è assicurata attraverso un regime di legalità controllata, volto a scongiurare che l’impresa interdetta percepisca un utile in danno della pubblica amministrazione e che si concretizzi il rischio di indebito arricchimento per la criminalità organizzata per effetto della infiltrazione mafiosa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 27 novembre 2017, n. 5565; Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2016, n. 1630; Cons. Stato, sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653). Il commissariamento riguarda solo il contratto di appalto o la concessione, non anche la governance dell’impresa (Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere n. 706/2018). Gli ordinari organi amministrativi e gestori del- l’impresa non vengono autoritativamente esautorati dalla residua attività della stessa, ma affiancati da una “gestione separata di quella parte dell’azienda che dovrà eseguire l’appalto pubblico” (Seconde linee guida AnAC -Ministero dell’Interno, 27 gennaio 2015). teMI IStItuzIonALI Quanto alla destinazione dell’utile d’impresa, l’art. 32, comma 7, decreto legge n. 90/2014 si limita a disporre quanto segue: “Nel periodo di applicazione della misura di straordinaria e temporanea gestione di cui al comma 2, i pagamenti sono corrisposti al netto del compenso riconosciuto agli amministratori di cui al comma 2 e l'utile d'impresa derivante dalla conclusione dei contratti d'appalto di cui al comma 1, determinato anche in via presuntiva dagli amministratori, è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento, sino all'esito dei giudizi in sede penale ovvero, nei casi di cui al comma 10, dei giudizi di impugnazione o cautelari riguardanti l'informazione antimafia interdittiva”. Il legislatore non precisa come debba essere distribuito l’utile di impresa accantonato nell’apposito fondo, una volta definiti gli eventuali giudizi impugnatori riguardanti l’informazione antimafia interdittiva. nella circolare 23 novembre 2018 del Ministero dell’Interno (“Quinte linee guida per la gestione degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d'appalto o di concessione sottoposti alla misura di straordinaria gestione ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 90/2014”) si affronta il tema della destinazione del pagamento del compenso previsto dal contratto di appalto o dalla concessione. Partendo dalla ratio sottesa alla previsione legislativa di detta misura straordinaria, con effetto autoritativo sul rapporto contrattuale, la circolare rileva che la stessa misura straordinaria si traduce nel “dovere di completamento delle prestazioni negoziali in capo all'impresa gestita dagli amministratori straordinari di nomina prefettizia” e nel diritto dell’impresa a percepire esclusivamente il “rimborso dei costi e delle spese sostenute per l'attività prestata, con conseguente sottrazione definitiva del profitto d'impresa, strumentalmente accantonato”. Il meccanismo così costituito comporta, in definitiva, un’alternativa all’effetto risolutivo automatico del contratto (normalmente derivante dalla misura interdittiva antimafia) e la configurazione di una prestazione “imposta” di pubblica utilità (ex art. 23, Cost.) prevista dal legislatore nell’interesse della stazione appaltante e non dell’impresa appaltatrice, rispetto alla quale si impone, in una logica puramente compensativa e non retributiva, il (solo) rimborso delle spese sostenute e dei costi sopportati (v. Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere n. 706/2018). In caso di consolidamento del provvedimento antimafia interdittivo, gli utili accantonati nell’apposito fondo andranno devoluti alla Amministrazione appaltante o, qualora vi sia un finanziamento esterno da parte di un soggetto diverso, a quest’ultimo. Il commissariamento del contratto di appalto o della concessione determina, quindi, un risparmio di spesa (nella misura dell’utile d’impresa) per il soggetto beneficiario (stazione appaltante/soggetto finanziatore). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 1/2021 rispetto a questo utile, eventuali diseconomie derivanti da comportamenti degli amministratori straordinari possono determinare un danno erariale, come tale rimesso alla competenza della Corte dei Conti. una cattiva gestione del contratto può comportare infatti maggiori costi e spese per la realizzazione della prestazione, da cui consegue un minor utile da accantonare nel fondo appositamente costituito e, poi, da destinare al soggetto beneficiario. L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori straordinari (ove si configuri dolo o colpa grave, come previsto dall’art. 32, comma 4, cit.) dinanzi alla Corte dei Conti pare esercitabile solo dal momento in cui il provvedimento interdittivo si sia consolidato definitivamente. ove il giudizio di impugnazione della misura interdittiva sia ancora pendente, non è infatti ancora configurabile con certezza la destinazione dell’utile accantonato, e quindi la natura erariale del danno cagionato dall’operato degli amministratori straordinari. 8. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2016-2020. Si allegano di seguito i dati relativi ai contenziosi antimafia, distinti per sedi dell’Avvocatura e riguardanti l’arco temporale 2016-2020. temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2016 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 100 Ancona 0 Bari 6 Bologna 11 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 2 Catanzaro 45 Firenze 5 Genova 7 L’Aquila 3 Lecce 1 Messina 0 Milano 15 Napoli 60 Palermo 68 Perugia 2 Potenza 0 Torino 4 Trento 0 Trieste 2 Venezia 1 Salerno 2 Campobasso 1 Reggio Calabria 54 Totale 389 rassegnaavvocaturadellostato- n. 1/ 2021 Contenziosi Antimafia Anno 2017 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 75 Ancona 5 Bari 12 Bologna 21 Brescia 1 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 31 Catanzaro 72 Firenze 4 Genova 2 L’Aquila 2 Lecce 8 Messina 1 Milano 21 Napoli 82 Palermo 89 Perugia 1 Potenza 4 Torino 9 Trento 0 Trieste 0 Venezia 9 Salerno 1 Campobasso 2 Reggio Calabria 72 Totale 524 temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2018 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 143 Ancona 3 Bari 18 Bologna 25 Brescia 8 Cagliari 1 Caltanissetta 1 Catania 14 Catanzaro 73 Firenze 4 Genova 3 L’Aquila 0 Lecce 2 Messina 0 Milano 21 Napoli 85 Palermo 72 Perugia 0 Potenza 4 Torino 7 Trento 0 Trieste 2 Venezia 3 Salerno 10 Campobasso 1 Reggio Calabria 52 Totale 552 rassegnaavvocaturadellostato- n. 1/ 2021 Contenziosi Antimafia Anno 2019 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 221 Ancona 0 Bari 19 Bologna 17 Brescia 6 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 38 Catanzaro 52 Firenze 5 Genova 8 L’Aquila 2 Lecce 9 Messina 0 Milano 25 Napoli 60 Palermo 96 Perugia 2 Potenza 15 Torino 10 Trento 0 Trieste 0 Venezia 2 Salerno 0 Campobasso 3 Reggio Calabria 63 Totale 653 temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2020 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 365 Ancona 0 Bari 34 Bologna 29 Brescia 7 Cagliari 1 Caltanissetta 0 Catania 39 Catanzaro 68 Firenze 9 Genova 2 L’Aquila 4 Lecce 23 Messina 1 Milano 35 Napoli 101 Palermo 53 Perugia 7 Potenza 16 Torino 18 Trento 0 Trieste 2 Venezia 4 Salerno 8 Campobasso 2 Reggio Calabria 78 Totale 906 rassegnaavvocaturadellostato- n. 1/ 2021 Contenziosi Antimafia Anno 2016 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 4 Ancona 0 Bari 0 Bologna 0 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 0 Catanzaro 1 Firenze 0 Genova 0 L’Aquila 0 Lecce 0 Messina 0 Milano 0 Napoli 0 Palermo 0 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 1 Salerno 0 Campobasso 0 Reggio Calabria 0 Totale 6 temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2017 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 13 Ancona 0 Bari 0 Bologna 0 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 0 Catanzaro 1 Firenze 0 Genova 1 L’Aquila 0 Lecce 2 Messina 0 Milano 0 Napoli 0 Palermo 2 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 0 Salerno 0 Campobasso 0 Reggio Calabria 0 Totale 19 rassegnaavvocaturadellostato- n. 1/ 2021 Contenziosi Antimafia Anno 2018 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 17 Ancona 0 Bari 0 Bologna 0 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 1 Catania 0 Catanzaro 1 Firenze 0 Genova 0 L’Aquila 0 Lecce 1 Messina 0 Milano 0 Napoli 0 Palermo 1 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 0 Salerno 0 Campobasso 0 Reggio Calabria 2 Totale 23 temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2019 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 9 Ancona 0 Bari 3 Bologna 0 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 1 Catania 0 Catanzaro 1 Firenze 0 Genova 0 L’Aquila 0 Lecce 0 Messina 0 Milano 0 Napoli 1 Palermo 2 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 0 Salerno 0 Campobasso 0 Reggio Calabria 0 Totale 17 rassegnaavvocaturadellostato- n. 1/ 2021 Contenziosi Antimafia Anno 2020 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 14 Ancona 0 Bari 0 Bologna 1 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 0 Catanzaro 3 Firenze 0 Genova 0 L’Aquila 0 Lecce 0 Messina 0 Milano 0 Napoli 2 Palermo 1 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 0 Salerno 0 Campobasso 0 Reggio Calabria 0 Totale 21 TEMI ISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 34/2021 oggetto: D.P.C.M. 26 marzo 2021 recante "autorizzazione all'avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'erSU di Sassari nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali".. Si comunica che con D:P.C.M. del 26 marzo u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l'Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'ERSU di Sassari nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L'AVVOCATO GENERALE Avv. Gabriella Palmieri Sandulli ContenziosoComUnitarioedinternazionaLe La decisione della Corte di giustizia Ue: la normativa sull’assunzione e sulla proroga dei ricercatori universitari è conforme alla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato Corte di giustizia dell’unione europea, sezione settima, sentenza 3 giugno 2021, Causa C-326/19 La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale concernente la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, in relazione alla normativa sull’assunzione e sulla proroga dei ricercatori universitari di cui all’art. 24, lett. a), della legge del 30 dicembre 2010, n. 240. Trattasi di un contenzioso divenuto seriale e anche di un certo impatto, per la rilevanza della materia, per la recente sentenza n. 165/2020 della Corte costituzionale e per la contestuale pendenza di ulteriori due questioni pregiudiziali riunite (C-40/20 e C-173/20). La sentenza è totalmente favorevole. La Corte afferma che “la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, uniCe e Ceep sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine”. Sembrano interessanti anche questi due passaggi della motivazione: 1. la clausola 5 si applica solo in caso di successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato di modo che un contratto che è il primo o l’unico contratto di lavoro a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (punto 53); 2. essa si applica in caso di rinnovo. Tuttavia l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi (punto 60). La Corte ha così colto il nucleo essenziale delle difese svolte nell’interesse del Governo italiano. Carla Colelli e Lucrezia Fiandaca* Corte di giustizia dell’Unione europea, settima sezione, sentenza del 3 giugno 2021, causa C-326/19 -pres. sez., rel. A. Kumin -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia), EB / Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca -MIUR, Università degli Studi Roma Tre. «Rinvio pregiudiziale -Politica sociale -Direttiva 1999/70/CE -Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato -Clausola 5 -Successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato -Utilizzo abusivo -Misure di prevenzione -Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico - Ricercatori universitari» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 5 del- l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone EB, ricercatore universitario, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia), al Ministero del- l’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Italia) e all’Università degli Studi «Roma Tre» (in prosieguo: l’«Università»), in merito al rifiuto di prorogare il suo contratto di lavoro a tempo determinato oltre il periodo previsto dalla legge, trasformandolo, in tal (*) Avvocate dello Stato affidatarie della causa. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 125 modo, in contratto a tempo indeterminato, o di ammetterlo alla valutazione ai fini della sua chiamata nel ruolo dei professori associati. Contesto normativo Diritto dell’Unione 3 Il considerando 14 della direttiva 1999/70 è del seguente tenore: «le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato». 4 Il secondo comma del preambolo dell’accordo quadro stabilisce che le parti di tale accordo «riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori [e] che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori». 5 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro: «[Il suo] obiettivo è: a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato». 6 La clausola 3 di tale accordo quadro, intitolata «Definizioni», prevede quanto segue: «1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico. (...)». 7 La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», al punto 1 così dispone: «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive». 8 La clausola 5 di detto accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», così recita: «1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato». 9 La clausola 8 del medesimo accordo quadro, intitolata «Disposizioni di attuazione», è del seguente tenore: «1. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente [accordo quadro]. (...)». Diritto italiano 10 L’articolo 24 della legge del 30 dicembre 2010, n. 240 -Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario (supplemento ordinario alla GURI n. 10, del 14 gennaio 2011; in prosieguo: la «legge n. 240/2010»), rubricato «Ricercatori a tempo determinato», prevede quanto segue: «1. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il contratto stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti nonché delle attività di ricerca. 2. I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con regolamento ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005 (...) 3. I contratti hanno le seguenti tipologie: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro; i predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; b) contratti triennali, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia di cui all’articolo 16 della presente legge, ovvero che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, o di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della presente legge, o di borse post‑dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. (...) 5. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità agli standard CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 127 qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro. La programmazione di cui all’articolo 18, comma 2, assicura la disponibilità delle risorse necessarie in caso di esito positivo della procedura di valutazione. Alla procedura è data pubblicità sul sito dell’ateneo. (...)». 11 L’articolo 20 del decreto legislativo del 25 maggio 2017, n. 75 -Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (GURI n. 130, del 7 giugno 2017), rubricato «Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni» (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 75/2015»), così dispone: «1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018‑2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. 2. Nello stesso triennio 2018‑2020, le amministrazioni possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso. (...) 8. Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2, fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del decreto‑legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 9. Il presente articolo non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 statali. (...) Il presente articolo non si applica altresì ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni». 12 L’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368 -Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235, del 9 ottobre 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 368/2001»), che ha trasposto la direttiva 1999/70 nell’ordinamento giuridico italiano, così recitava: «Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. (...)». 13 La disposizione citata è stata riprodotta, in sostanza, e mantenuta in vigore dall’articolo 19 del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81 -Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (supplemento ordinario alla GURI n. 144, del 24 giugno 2015; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 81/2015»), rubricato «Apposizione del termine e durata massima», in vigore dal 25 giugno 2015. In forza di tale disposizione, qualora il limite dei 36 mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, «il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento ». 14 Tuttavia, conformemente all’articolo 10, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, l’articolo 5, comma 4 bis, del medesimo decreto legislativo non si applica in taluni casi. Il contratto di cui trattasi nel procedimento principale rientra in tali casi, in forza dell’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015, disposizione che prevede espressamente, tra le esclusioni dall’ambito di applicazione dell’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge n. 240/2010. 15 Inoltre, l’articolo 29, comma 4, del decreto legislativo n. 81/2015 dispone che resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165 -Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 165/2001»). 16 L’articolo 36 del decreto legislativo n. 165/2001, come modificato dal decreto legislativo n. 75/2017, rubricato «Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile », prevede quanto segue: «1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (...) (...) 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 129 ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. (...)». (...) 5‑quater I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 17 Il 1o dicembre 2012, EB è stato assunto dall’Università in qualità di ricercatore, per una durata di tre anni, sulla base di un contratto concluso ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 (in prosieguo: il «contratto di tipo A»). Un tale contratto può essere prorogato una sola volta per un massimo di due anni. 18 Nell’ottobre 2014, EB ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia, ai sensi dell’articolo 16 della legge citata, abilitazione che attesta che il suo titolare dispone delle qualifiche scientifiche necessarie per partecipare a determinati concorsi universitari. 19 È pacifico che, quando EB era ancora in servizio, l’Università, conformemente all’articolo 24, comma 6, della legge n. 240/2010 -che consente, per un periodo di otto anni a decorrere dall’entrata in vigore di tale legge, la chiamata nel ruolo dei professori di seconda fascia di ricercatori assunti sulla base di un contratto a tempo indeterminato, in servizio presso l’università e che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale -, ha bandito una tale procedura di chiamata in ruolo di cui hanno beneficiato due ricercatori nello stesso settore di EB assunti in forza di un siffatto contratto. Tuttavia, EB non ha avuto il diritto di partecipare a tale procedura per il motivo che era assunto in forza di un contratto a tempo determinato, benché disponesse dell’abilitazione scientifica. 20 Sei mesi prima della relativa scadenza, prevista per il 1o dicembre 2015, EB ha chiesto la proroga del suo contratto, il quale è stato prorogato, il 24 novembre 2015, con effetto dal 1o dicembre 2015 per un periodo di due anni. 21 L’8 novembre 2017, prima della scadenza del suo contratto prorogato, EB ha chiesto la proroga del suo contratto ai sensi dell’articolo 20, comma 8, del decreto legislativo n. 75/2017 al fine di ottenere la trasformazione del suo rapporto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Egli ha sostenuto, al riguardo, che tale disposizione si applica anche al personale docente delle università. Inoltre, EB ha chiesto l’attivazione, dal 2018, della procedura di stabilizzazione dell’impiego prevista all’articolo 20, comma 1, dello stesso decreto legislativo. 22 Con nota del 21 novembre 2017, l’Università ha respinto le istanze di EB adducendo, da un lato, che l’articolo 20, comma 8, del decreto legislativo n. 75/2017 non si applicava ai ricercatori universitari assunti in forza di un contratto a tempo determinato e, dall’altro, che l’articolo 29 del decreto legislativo n. 81/2015 non consentiva di far ricorso a una procedura prevista per l’assunzione di ricercatori assunti con un contratto a tempo indeterminato. 23 EB ha proposto dinanzi al giudice del rinvio un ricorso diretto all’annullamento non solo di tale decisione, ma anche della circolare n. 3/2017, adottata dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, secondo la quale il decreto legislativo n. 75/2017 non si applicava ai ricercatori assunti in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato. Inoltre, egli ha chiesto l’accertamento del suo diritto di essere assunto a tempo in RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 determinato o di essere ammesso alla procedura di valutazione per essere assunto come professore associato ai sensi dell’articolo 24, comma 5, della legge n. 240/2010. 24 A sostegno del ricorso, EB deduce, in particolare, che l’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017 dovrebbe essere interpretato nel senso che esso si applica anche ai rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico e, pertanto, al rapporto di lavoro di ricercatore di tipo A, considerato che l’accordo quadro osta a un’interpretazione diversa, come quella propugnata dalla circolare n. 3/2017. 25 EB sostiene, inoltre, che l’esclusione del suo contratto dalla norma che prevede la conversione automatica di un contratto a tempo determinato prorogato oltre i 36 mesi in contratto a tempo indeterminato -esclusione sancita dall’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015 -sarebbe incompatibile con l’accordo quadro, in quanto non esisterebbero ragioni oggettive per cui il ricercatore universitario debba essere assunto a tempo determinato, specie ove tale rapporto di lavoro superi, come è avvenuto nel caso del ricorrente nel procedimento principale, il termine di tre anni. 26 EB afferma altresì che, non consentendo a ricercatori assunti in forza di un contratto a tempo determinato -i quali, come lui stesso, hanno conseguito le qualifiche universitarie richieste per poter essere nominati in qualità di «professori associati» -di essere sottoposti a una valutazione ai fini della loro nomina a un posto di professore associato, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contrasterebbe con il principio di non discriminazione enunciato alla clausola 4 dell’accordo quadro. 27 Infine, EB invoca il principio di equivalenza, in forza del quale, in assenza di una norma nazionale più favorevole alla categoria di ricercatori cui egli appartiene, si dovrebbero applicare le disposizioni relative al settore privato -come quelle che prevedono la conversione automatica del contratto di lavoro a tempo determinato prorogato oltre i 36 mesi in contratto a tempo indeterminato -nonché le disposizioni applicabili a categorie di lavoratori a tempo determinato del settore pubblico che, come gli insegnanti delle scuole, possono beneficiare di una certa forma di stabilizzazione del loro rapporto di lavoro grazie a procedure adeguate, conformemente all’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017. 28 L’Università, dal canto suo, sottolinea che l’articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017 non si applicherebbe ai ricercatori universitari, in forza del disposto dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001. Essa sostiene, al riguardo, che tale disposizione non darebbe luogo a una discriminazione rispetto agli altri ricercatori che non rientrano nella categoria del personale in regime di diritto pubblico. 29 L’Università ricorda, inoltre, che la differenza di trattamento tra le categorie di cui all’articolo 24, comma 3, lettere a) e b), della legge n. 240/2010 sarebbe giustificata, tenuto conto del fatto che i ricercatori cui si riferisce tale disposizione alla lettera b) possiedono una maggiore esperienza. 30 Il giudice del rinvio ritiene che, per quanto riguarda i ricercatori assunti in forza di un contratto di tipo A di cui all’articolo 24, commi 1 e 3, lettera a), della legge n. 240/2010, il ricorso a simili contratti a tempo determinato possa essere abusivo e si interroga sulla compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro dell’esclusione -derivante dall’articolo 29, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 81/2015 -della possibilità di convertire un contratto come quello concluso tra EB e l’Università in contratto a tempo indeterminato. Esso richiama, a tale proposito, in particolare, la sentenza del 14 settembre 2016, Martínez Andrés e Castrejana López (C‑184/15 e C‑197/15, EU:C:2016:680), nella CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 131 quale la Corte ha stabilito che il divieto di trasformare un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato è conforme all’accordo quadro solo se è possibile ricorrere a un’altra misura effettiva per sanzionare adeguatamente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. 31 Secondo il giudice del rinvio, non esiste una simile misura alternativa, giacché il risarcimento del danno che il ricorrente nel procedimento principale potrebbe ottenere si limita al pagamento di una somma forfettaria che non è proporzionata all’entità reale del danno subìto. Stanti tali circostanze, EB si troverebbe in una situazione in cui l’ordinamento giuridico interno non prevede alcuna forma di sanzione per il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato, come avveniva nella causa che ha dato origine alla sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto (C‑331/17, EU:C:2018:859). 32 Inoltre, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità dell’articolo 24, commi 1 e 3, lettera a), della legge n. 240/2010 con l’accordo quadro, nella parte in cui tale disposizione limita la durata dei contratti dei ricercatori a tre anni, con eventuale proroga di due anni, consentendo così di ricorrere in maniera indiscriminata al contratto a tempo determinato, quando invece il rinnovo di un simile contratto dovrebbe essere giustificato da ragioni oggettive. 33 Alla luce di quanto precede, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (...), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 29, comma 2, lettera d), e comma 4, del decreto legislativo [n. 81/2015] e 36, comma 2 e comma 5, del decreto legislativo [n. 165/2001], precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge [n. 240/2010], la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato. 2) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (...), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli articoli 29, comma 2, lettera d), e comma 4, del decreto legislativo [n. 81/2015] e 36, comma 2 e comma 5, del decreto legislativo [n. 165/2001], sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori. 3) Se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro (...), intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a (…) una normativa nazionale, quale quella di RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 cui all’articolo 24, commi 1 e 3, della legge [n. 240/2010], che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi cinque anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed Università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro». sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilità 34 L’Università sostiene che le questioni pregiudiziali sarebbero manifestamente irricevibili. Da un lato, esse sarebbero puramente ipotetiche e manifestamente irrilevanti ai fini della soluzione della controversia principale, poiché dall’ordinanza di rinvio risulterebbe che il giudice del rinvio non nutre alcun dubbio sull’interpretazione da dare alla normativa nazionale di cui al procedimento principale. Dall’altro lato, tale giudice non avrebbe esposto le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione, il che contrasterebbe non solo con l’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, cosicché tali questioni dovrebbero essere considerate, anche a tale titolo, irricevibili, ma violerebbe altresì i diritti della difesa dell’Università. 35 A tale proposito, occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del caso, sia la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria pronuncia, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, ove le questioni poste riguardino l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire (sentenza del 25 novembre 2020, Sociálna poisťovňa, C‑799/19, EU:C:2020:960, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 36 Tali questioni poste dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione o l’esame della validità di quest’ultimo non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, o anche quando il problema sia di natura ipotetica, oppure la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte, nonché per comprendere le ragioni per le quali il giudice nazionale ritiene di aver bisogno delle risposte a tali questioni per dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente (sentenza del 2 febbraio 2021, Consob, C‑481/19, UE:C:2021:84, paragrafo 29 e giurisprudenza ivi citata). 37 Nel caso di specie, occorre rilevare, da un lato, che la domanda di pronuncia pregiudiziale soddisfa i criteri prescritti all’articolo 94 del regolamento di procedura. Tale domanda fornisce infatti le precisazioni necessarie per quanto riguarda i fatti rilevanti e l’oggetto CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 133 della controversia principale. Essa fa altresì riferimento al tenore delle disposizioni di diritto nazionale che, secondo il giudice del rinvio, possono applicarsi alla controversia principale. Il giudice del rinvio indica parimenti, da un lato, le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione e, dall’altro, il collegamento che esso stabilisce tra questa e la legislazione nazionale eventualmente applicabile alla controversia principale. Tali informazioni hanno inoltre dato al governo italiano e agli altri interessati la possibilità di presentare osservazioni conformemente all’articolo 23 dello Statuto della Corte, come dimostrano, in particolare, le osservazioni presentate dall’Università. 38 Dall’altro lato, da tali informazioni risulta che il giudice del rinvio ha dimostrato il rapporto esistente tra la richiesta interpretazione dell’accordo quadro e la realtà e l’oggetto della controversia principale. Inoltre, alla luce di dette informazioni, si deve ritenere che le questioni pregiudiziali poste alla Corte non rivestano carattere ipotetico e che la Corte disponga di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle stesse questioni. 39 Alla luce di tutto ciò, le questioni pregiudiziali poste sono ricevibili. Nel merito 40 In via preliminare, occorre rilevare che, con le prime due questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede se l’assenza di misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato come quello di cui trattasi nel procedimento principale sia compatibile con la clausola 5 dell’accordo quadro. Con la terza questione pregiudiziale, esso chiede, invece, se tale disposizione osti al ricorso a simili contratti a tempo determinato per il motivo che esso sarebbe abusivo. 41 Poiché l’esame della necessità di misure volte a sanzionare un ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato presuppone l’esistenza di un simile abuso, occorre esaminare la terza questione pregiudiziale per prima. sulla terza questione 42 Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di contratti a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza tuttavia stabilire i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine. 43 Questa terza questione verte quindi su due aspetti: uno riguardante la stipulazione del contratto di cui al procedimento principale e l’altro la proroga di tale contratto. 44 A tale riguardo, occorre ricordare che l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 prevede due tipi di contratti per i ricercatori universitari -sostituendo in tal modo la normativa precedente che aveva accordato a tali soggetti un posto permanente dopo il superamento di un periodo iniziale di prova di tre anni -ossia, da un lato, i contratti di tipo A e, dall’altro, i contratti di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240/2010 RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 (in prosieguo: il «contratto di tipo B»). Anche questi ultimi contratti sono stipulati per una durata di tre anni. 45 Se è vero che la procedura di selezione conduce, per entrambe le categorie di ricercatori universitari, alla stipulazione di un contratto a tempo determinato, ossia della durata di tre anni, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che sussistono, nondimeno, differenze tra questi tipi di contratti. 46 La stipulazione di un contratto di tipo A dipende infatti dall’esistenza di risorse disponibili per svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti. Un contratto di tal genere può essere prorogato una sola volta per un periodo di due anni, previa valutazione positiva dell’attività scientifica effettuata dall’interessato. Un contratto di tipo B, invece, non può essere prorogato, ma il ricercatore interessato ha la possibilità, al termine di tale periodo e a seconda del risultato di un’adeguata valutazione, di conseguire un posto di professore associato, cui è collegato un contratto a tempo indeterminato. 47 Le condizioni di accesso al contratto di ricercatore universitario sono anch’esse diverse. Per i contratti di tipo A, è sufficiente essere in possesso del titolo di dottore di ricerca, di un titolo universitario equivalente o del diploma di specializzazione medica. Per i contratti di tipo B, è necessario aver lavorato come ricercatore conformemente all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010, aver conseguito l’abilitazione come professore di prima o di seconda fascia, aver completato un periodo di formazione medica o, ancora, aver trascorso almeno tre anni in diverse università usufruendo di assegni di ricerca o di borse di studio. 48 Pertanto, il fatto di aver stipulato un contratto di tipo A consente di avere accesso a un contratto di tipo B. Un ricercatore universitario può quindi proseguire la sua carriera accademica, passando da un contratto di tipo A a un contratto di tipo B, il che gli darà poi la possibilità di essere nominato professore associato. Una simile nomina dipende, tuttavia, dal risultato di un’adeguata valutazione e non è quindi automatica. 49 Ne consegue che la differenza essenziale tra le due categorie di ricercatori universitari attualmente previste risiede nel fatto che i ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 non hanno direttamente accesso, nell’ambito della loro carriera, al posto di professore associato, mentre quelli di cui alla lettera b) della stessa disposizione vi hanno direttamente accesso. 50 Nel caso di specie, EB è stato assunto in quanto vincitore di una procedura di selezione organizzata ai sensi dell’articolo 24 della legge n. 240/2010 e, quindi, in seguito a una valutazione positiva che tiene conto delle «risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», come richiesto dal comma 3, lettera a), del medesimo articolo. 51 Si deve ricordare che, secondo la clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. 52 Tuttavia, dal tenore letterale della clausola 5 dell’accordo quadro nonché da una giurisprudenza costante risulta che tale clausola si applica solo in caso di successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (sentenze del 22 gennaio 2020, Baldonedo Martín, C‑177/18, EU:C:2020:26, punto 70, e del 19 marzo 2020, Sánchez Ruiz e a., CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 135 C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219, punto 56 e giurisprudenza ivi citata), di modo che un contratto che è il primo o l’unico contratto di lavoro a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 38 e giurisprudenza ivi citata]. A tale proposito, la Corte ha altresì sottolineato che l’accordo quadro non impone agli Stati membri di adottare una misura che imponga di giustificare ogni primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con una ragione oggettiva (sentenza del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 57). 53 Pertanto, la stipulazione di un contratto a tempo determinato, quale il contratto di tipo A, non è disciplinata, in quanto tale, dalla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro e non rientra quindi nell’ambito di applicazione di tale disposizione. 54 La disposizione in parola è invece applicabile qualora un contratto di tipo A sia prorogato per un periodo massimo di due anni, come previsto all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010, giacché si tratta, in tal caso, di una successione di due contratti a tempo determinato. 55 A tale riguardo, occorre ricordare che il punto 1 della suddetta clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti da tale accordo quadro, vale a dire limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte a evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 36 e giurisprudenza ivi citata]. 56 Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure da essa elencate, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, sono relative, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro successivi e al numero di rinnovi di questi [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 54 e giurisprudenza ivi citata]. 57 Gli Stati membri dispongono al riguardo di discrezionalità, dal momento che possono scegliere di far ricorso a una o più delle misure elencate nella clausola 5, punto 1, lettere da a) a c), dell’accordo quadro oppure a norme esistenti equivalenti, e ciò tenendo conto, al contempo, delle esigenze di settori specifici e/o di categorie di lavoratori [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 55 e giurisprudenza ivi citata]. 58 In tal modo, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di tali abusi, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguirlo, purché essi non rimettano in discussione lo scopo o l’effetto utile dell’accordo quadro [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 56 e giurisprudenza ivi citata]. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 59 Nel caso di specie, occorre constatare che l’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 stabilisce non solo un limite per quanto riguarda la durata massima del contratto a tempo determinato dei ricercatori universitari rientranti nella categoria cui appartiene EB, ma anche per quanto riguarda il numero possibile di rinnovi di tale contratto. Più precisamente, relativamente al contratto di tipo A, tale legge fissa la durata massima del contratto a tre anni e autorizza una sola proroga limitata a una durata di due anni. 60 Pertanto, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi. Il giudice del rinvio non ha menzionato elementi che potrebbero suggerire che tali misure non siano sufficienti per prevenire efficacemente il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato nel caso dei contratti di tipo A. 61 È vero che il giudice del rinvio riferisce, basandosi sulle sentenze del 14 settembre 2016, Martínez Andrés e Castrejana López (C‑184/15 e C‑197/15, EU:C:2016:680), e del 25 ottobre 2018, Sciotto (C‑331/17, EU:C:2018:859), che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non contiene criteri obiettivi e trasparenti che consentano di stabilire, da un lato, se la stipulazione e la proroga di contratti di tipo A siano giustificate da esigenze reali di carattere provvisorio e, dall’altro, se essi siano idonei a soddisfare tali esigenze, e se siano attuati in maniera proporzionata. 62 A tale riguardo, occorre tuttavia constatare, in primo luogo, che, contrariamente alle circostanze di cui alle cause che hanno dato origine alle sentenze del 14 settembre 2016, Martínez Andrés e Castrejana López (C‑184/15 e C‑197/15, EU:C:2016:680), e del 25 ottobre 2018, Sciotto (C‑331/17, EU:C:2018:859), la normativa nazionale applicabile alla controversia principale contiene misure che corrispondono a quelle previste alla clausola 5, punto 1, lettere b) e c), dell’accordo quadro. 63 Infatti, nelle sentenze citate, il problema consistente nello stabilire se il rinnovo dei contratti a tempo determinato oggetto di tali cause fosse giustificato da ragioni obiettive ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro -tra cui la necessità di soddisfare esigenze reali e provvisorie -si è posto unicamente a causa dell’assenza di misure rientranti nelle due categorie di misure citate al punto 59 della presente sentenza, le quali sono invece previste all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010. Pertanto, il fatto che la legislazione nazionale di cui al procedimento principale non contenga precisazioni quanto al carattere reale e provvisorio delle esigenze da soddisfare mediante il ricorso a contratti a tempo determinato, invocato dal giudice del rinvio, è irrilevante. 64 In secondo luogo, occorre tener presente che, nelle sentenze citate, i lavoratori interessati si trovavano in una situazione di assoluta incertezza quanto alla durata del loro rapporto di lavoro. Nel caso di specie, invece, i soggetti che stipulano un contratto di tipo A, come quello stipulato tra EB e l’Università, sono informati, ancor prima di sottoscrivere il contratto, che il rapporto di lavoro non potrà durare più di cinque anni. 65 Per quanto riguarda il beneficio, per un lavoratore, della stabilità dell’impiego, esso, come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro, è senz’altro inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, laddove soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori [sentenza dell’11 febbraio 2021, M.v. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 66 orbene, la cessazione degli effetti di un contratto di ricercatore a tempo determinato, come quello di EB, assunto in forza di un contratto di lavoro di tipo A, non comporta necessariamente un’instabilità dell’impiego, in quanto essa consente al lavoratore interessato di acquisire le qualifiche necessarie per conseguire un contratto di tipo B, il quale può, a sua volta, portare a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in qualità di professore associato. 67 In terzo luogo, occorre constatare che il fatto che le università abbiano un’esigenza permanente di assumere ricercatori universitari, come sembra emergere dalla normativa nazionale di cui trattasi, non significa che tale esigenza non possa essere soddisfatta facendo ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato. 68 Il posto di ricercatore sembra infatti concepito come la prima tappa nella carriera di un accademico, essendo tale ricercatore destinato, in ogni caso, a evolvere verso un altro posto, vale a dire un posto di docente, in qualità di professore associato in un primo tempo e in qualità di professore ordinario in un secondo tempo. 69 Inoltre, quanto al fatto che la proroga di due anni dei contratti di tipo A è subordinata alla positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca effettuate, le «esigenze particolari» del settore interessato possono ragionevolmente consistere, per quanto riguarda il settore della ricerca scientifica, nella necessità di garantire l’evoluzione della carriera dei diversi ricercatori in funzione dei loro rispettivi meriti, i quali devono di conseguenza essere valutati. Pertanto, una disposizione che obblighi un’università a stipulare un contratto a tempo indeterminato con un ricercatore, indipendentemente dalla valutazione dei risultati delle sue attività scientifiche, non soddisfarebbe i requisiti summenzionati. 70 Infine, relativamente al principio di equivalenza, più volte invocato dal giudice del rinvio nella sua ordinanza nonché da EB stesso, esso fa riferimento alla necessità di garantire una tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione che non sia meno favorevole di quella prevista per i diritti analoghi che traggono origine unicamente dal diritto nazionale. Pertanto, tale principio non è applicabile nel caso di specie, poiché tale necessità riguarda solo le disposizioni che hanno ad oggetto diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2018, Santoro, C‑494/16, EU:C:2018:166, punti 39 e 40). 71 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti », e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine. sulle questioni prima e seconda 72 Come menzionato al punto 40 della presente sentenza, le questioni pregiudiziali prima e seconda si riferiscono alle misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 73 Come risulta dalla risposta fornita alla terza questione pregiudiziale, poiché la clausola 5 dell’accordo quadro non osta alla normativa nazionale di cui al procedimento principale e questa non comporta pertanto un rischio di ricorso abusivo a contratti a tempo determinato, non è necessario rispondere alle questioni pregiudiziali prima e seconda. sulle spese 74 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara: La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, UniCe e CeeP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 139 La Grande sezione della Corte di giustizia Ue si pronuncia sui poteri delle autorità nazionali nell’ambito del rGPd a fronte della gestione dei dati da parte dei colossi del web Corte di giustizia ue, grande sezione, sentenza 15 giugno 2021, Causa C-645/19 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una causa pregiudiziale Belga (Facebook Ireland Limited, Facebook INC, Facebook Belgium BvBA / Gegevensbeschermingsautoriteit) in cui l’Italia è intervenuta con osservazioni scritte, ammette per la prima volta che si possa derogare al principio “one stop shop” e al meccanismo di cooperation and consistency, consentendo non solo all’Autorità capofila, ma anche all’Autorità nazionale di poter agire contro il colosso di Facebook in materia di Privacy. La tutela dei diritti fondamentali sembra prevalere sulle rigorose forme procedurali, lasciando spazio agli Stati membri di poter svolgere attività di controllo sul trattamento dei Big Data da parte delle piattaforrme. gaetana natale* Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, sentenza 15 giugno 2021 in causa C-645/19 -pres. K. Lenaerts, rel. L.S. Rossi -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hof van beroep te Brussel (Belgio) il 30 agosto 2019 -Facebook Ireland Limited, Facebook INC, Facebook Belgium BvBA / Gegevensbeschermingsautoriteit. «Rinvio pregiudiziale -Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali -Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea -Articoli 7, 8 e 47 -Regolamento (UE) 2016/679 -Trattamento transfrontaliero di dati personali -Meccanismo dello “sportello unico” -Cooperazione leale ed efficace tra le autorità di controllo -Competenze e poteri Potere di agire in sede giudiziale» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 55, paragrafo 1, degli articoli da 56 a 58 e da 60 a 66 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1 e rettifiche in GU 2016, L 314, pag. 72, GU 2018, L 127, pag. 2 e GU 2021, L 74, pag. 35) in combinato disposto con gli articoli 7, 8 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra Facebook Ireland Ltd, Facebook Inc. e Facebook Belgium BvBA, da un lato, e la Gegevensbeschermingsautoriteit (autorità per la protezione dei dati, Belgio) (in prosieguo: l’«APD»), succeduta (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno, Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 alla Commissie ter bescherming van de persoonlijke levenssfeer (Commissione per la tutela della vita privata, Belgio) (in prosieguo: la «CPvP»), dall’altro, in merito ad un’azione inibitoria intentata dal presidente di quest’ultima e diretta a far cessare il trattamento di dati personali degli internauti nel territorio belga, effettuato dal social network Facebook, per mezzo di cookie, social plugin e pixel. Contesto normativo Diritto dell’Unione I considerando 1, 4, 10, 11, 13, 22, 123, 141 e 145 del regolamento 2016/679 così recitano: «(1) La protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale. L’articolo 8, paragrafo 1, della [Carta] e l’articolo 16, paragrafo 1, [TFUE] stabiliscono che ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. (...) (4) Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Il presente regolamento rispetta tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta, sanciti dai trattati, in particolare il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’informazione, la libertà d’impresa, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché la diversità culturale, religiosa e linguistica. (...) (10) Al fine di assicurare un livello coerente ed elevato di protezione delle persone fisiche e rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione [europea], il livello di protezione dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati dovrebbe essere equivalente in tutti gli Stati membri. È opportuno assicurare un’applicazione coerente e omogenea delle norme a protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali in tutta l’Unione. (...) (11) Un’efficace protezione dei dati personali in tutta l’Unione presuppone il rafforzamento e la disciplina dettagliata dei diritti degli interessati e degli obblighi di coloro che effettuano e determinano il trattamento dei dati personali, nonché poteri equivalenti per controllare e assicurare il rispetto delle norme di protezione dei dati personali e sanzioni equivalenti per le violazioni negli Stati membri. (...) (13) Per assicurare un livello coerente di protezione delle persone fisiche in tutta l’Unione e prevenire disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei dati personali nel mercato interno, è necessario un regolamento che garantisca certezza del diritto e trasparenza agli operatori economici, comprese le micro, piccole e medie imprese, offra alle persone fisiche in tutti gli Stati membri il medesimo livello di diritti azionabili e di obblighi e responsabilità dei titolari del trattamento e dei responsabili del trattamento e assicuri un controllo coerente del trattamento dei dati personali, sanzioni equivalenti in tutti gli Stati membri e una cooperazione efficace tra le autorità di controllo dei diversi Stati membri. (…) (...) CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 141 (22) Qualsiasi trattamento di dati personali effettuato nell’ambito delle attività di uno stabilimento di un titolare del trattamento o responsabile del trattamento nel territorio del- l’Unione dovrebbe essere conforme al presente regolamento, indipendentemente dal fatto che il trattamento avvenga all’interno dell’Unione. Lo stabilimento implica l’effettivo e reale svolgimento di attività nel quadro di un’organizzazione stabile. A tale riguardo, non è determinante la forma giuridica assunta, sia essa una succursale o una filiale dotata di personalità giuridica. (...) (123) Le autorità di controllo dovrebbero controllare l’applicazione delle disposizioni del presente regolamento e contribuire alla sua coerente applicazione in tutta l’Unione, così da tutelare le persone fisiche in relazione al trattamento dei loro dati personali e facilitare la libera circolazione di tali dati nel mercato interno. A tal fine, le autorità di controllo dovrebbero cooperare tra loro e con la Commissione [europea], senza che siano necessari accordi tra gli Stati membri sulla mutua assistenza o su tale tipo di cooperazione. (...) (141) Ciascun interessato dovrebbe avere il diritto di proporre reclamo a un’unica autorità di controllo, in particolare nello Stato membro in cui risiede abitualmente, e il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo a norma dell’articolo 47 della Carta qualora ritenga che siano stati violati i diritti di cui gode a norma del presente regolamento o se l’autorità di controllo non dà seguito a un reclamo, lo respinge in tutto o in parte o lo archivia o non agisce quando è necessario intervenire per proteggere i diritti dell’interessato. (...) (...) (145) Nelle azioni contro un titolare del trattamento o responsabile del trattamento, il ricorrente dovrebbe poter avviare un’azione legale dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento ha uno stabilimento o in cui risiede l’interessato, salvo che il titolare del trattamento sia un’autorità pubblica di uno Stato membro che agisce nell’esercizio dei suoi poteri pubblici». 4 L’articolo 3 di tale regolamento, intitolato «Ambito di applicazione territoriale», al suo paragrafo 1, prevede quanto segue: «Il presente regolamento si applica al trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito delle attività di uno stabilimento da parte di un titolare del trattamento o di un responsabile del trattamento nell’Unione, indipendentemente dal fatto che il trattamento sia effettuato o meno nell’Unione». 5 L’articolo 4 di detto regolamento definisce, al suo punto 16, la nozione di «stabilimento principale» e, al suo punto 23, quella di «trattamento transfrontaliero» nei seguenti termini: «16) “stabilimento principale”, a) per quanto riguarda un titolare del trattamento con stabilimenti in più di uno Stato membro, il luogo della sua amministrazione centrale nell’Unione, salvo che le decisioni sulle finalità e i mezzi del trattamento di dati personali siano adottate in un altro stabilimento del titolare del trattamento nell’Unione e che quest’ultimo stabilimento abbia facoltà di ordinare l’esecuzione di tali decisioni, nel qual caso lo stabilimento che ha adottato siffatte decisioni è considerato essere lo stabilimento principale; b) con riferimento a un responsabile del trattamento con stabilimenti in più di uno Stato membro, il luogo in cui ha sede la sua amministrazione centrale nell’Unione o, se il responsabile del trattamento non ha un’amministrazione centrale nell’Unione, lo stabili RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 mento del responsabile del trattamento nell’Unione in cui sono condotte le principali attività di trattamento nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile del trattamento nella misura in cui tale responsabile è soggetto a obblighi specifici ai sensi del presente regolamento; (...) 23) “trattamento transfrontaliero”, a) trattamento di dati personali che ha luogo nell’ambito delle attività di stabilimenti in più di uno Stato membro di un titolare del trattamento o responsabile del trattamento nell’Unione ove il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento siano stabiliti in più di uno Stato membro; oppure b) trattamento di dati personali che ha luogo nell’ambito delle attività di un unico stabilimento di un titolare del trattamento o responsabile del trattamento nell’Unione, ma che incide o probabilmente incide in modo sostanziale su interessati in più di uno Stato membro». 6 L’articolo 51 del medesimo regolamento, intitolato «Autorità di controllo», prevede quanto segue: «1. ogni Stato membro dispone che una o più autorità pubbliche indipendenti siano incaricate di sorvegliare l’applicazione del presente regolamento al fine di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento e di agevolare la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione (…). 2. ogni autorità di controllo contribuisce alla coerente applicazione del presente regolamento in tutta l’Unione. A tale scopo, le autorità di controllo cooperano tra loro e con la Commissione, conformemente al capo vII. (...)». 7 L’articolo 55 del regolamento 2016/679, intitolato «Competenza», che fa parte del capo vI di tale regolamento, a sua volta intitolato «Autorità di controllo indipendenti», prevede quanto segue: «1. ogni autorità di controllo è competente a eseguire i compiti assegnati e a esercitare i poteri a essa conferiti a norma del presente regolamento nel territorio del rispettivo Stato membro. 2. Se il trattamento è effettuato da autorità pubbliche o organismi privati che agiscono sulla base dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c) o e), è competente l’autorità di controllo dello Stato membro interessato. In tal caso, non si applica l’articolo 56». 8 L’articolo 56 del regolamento di cui trattasi, intitolato «Competenza dell’autorità di controllo capofila», è del seguente tenore: «1. Fatto salvo l’articolo 55, l’autorità di controllo dello stabilimento principale o dello stabilimento unico del titolare del trattamento o responsabile del trattamento è competente ad agire in qualità di autorità di controllo capofila per i trattamenti transfrontalieri effettuati dal suddetto titolare del trattamento o responsabile del trattamento, secondo la procedura di cui all’articolo 60. 2. In deroga al paragrafo 1, ogni autorità di controllo è competente per la gestione dei reclami a essa proposti o di eventuali violazioni del presente regolamento se l’oggetto riguarda unicamente uno stabilimento nel suo Stato membro o incide in modo sostanziale sugli interessati unicamente nel suo Stato membro. 3. Nei casi indicati al paragrafo 2 del presente articolo, l’autorità di controllo informa senza ritardo l’autorità di controllo capofila in merito alla questione. Entro un termine di tre settimane da quando è stata informata, l’autorità di controllo capofila decide se intende CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 143 o meno trattare il caso secondo la procedura di cui all’articolo 60, tenendo conto dell’esistenza o meno di uno stabilimento del titolare del trattamento o responsabile del trattamento nello Stato membro dell’autorità di controllo che l’ha informata. 4. Qualora l’autorità di controllo capofila decida di trattare il caso, si applica la procedura di cui all’articolo 60. L’autorità di controllo che ha informato l’autorità di controllo capofila può presentare a quest’ultima un progetto di decisione. L’autorità di controllo capofila tiene nella massima considerazione tale progetto nella predisposizione del progetto di decisione di cui all’articolo 60, paragrafo 3. 5. Nel caso in cui l’autorità di controllo capofila decida di non trattarlo, l’autorità di controllo che ha informato l’autorità di controllo capofila tratta il caso conformemente agli articoli 61 e 62. 6. L’autorità di controllo capofila è l’unico interlocutore del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento in merito al trattamento transfrontaliero effettuato da tale titolare del trattamento o responsabile del trattamento». 9 L’articolo 57 del regolamento 2016/679, intitolato «Compiti», al suo paragrafo 1, è così formulato: «1. Fatti salvi gli altri compiti indicati nel presente regolamento, sul proprio territorio ogni autorità di controllo: a) sorveglia e assicura l’applicazione del presente regolamento; (...) g) collabora, anche tramite scambi di informazioni, con le altre autorità di controllo e presta assistenza reciproca al fine di garantire l’applicazione e l’attuazione coerente del presente regolamento; (...)». 10 L’articolo 58 dello stesso regolamento, intitolato «Poteri», ai suoi paragrafi 1, 4 e 5, prevede quanto segue: «1. ogni autorità di controllo ha tutti i poteri di indagine seguenti: a) ingiungere al titolare del trattamento e al responsabile del trattamento e, ove applicabile, al rappresentante del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento, di fornirle ogni informazione di cui necessiti per l’esecuzione dei suoi compiti; (...) d) notificare al titolare del trattamento o al responsabile del trattamento le presunte violazioni del presente regolamento; (...) 4. L’esercizio da parte di un’autorità di controllo dei poteri attribuitile dal presente articolo è soggetto a garanzie adeguate, inclusi il ricorso giurisdizionale effettivo e il giusto processo, previste dal diritto dell’Unione e degli Stati membri conformemente alla Carta. 5. ogni Stato membro dispone per legge che la sua autorità di controllo abbia il potere di intentare un’azione o di agire in sede giudiziale o, ove del caso, stragiudiziale in caso di violazione del presente regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso». 11 Nel capo vII del regolamento 2016/679, intitolato «Cooperazione e coerenza», la sezione I, intitolata «Cooperazione», comprende gli articoli da 60 a 62 del regolamento in esame. Il suddetto articolo 60, intitolato «Cooperazione tra l’autorità di controllo capofila e le altre autorità di controllo interessate», così dispone: «1. L’autorità di controllo capofila coopera con le altre autorità di controllo interessate conformemente al presente articolo nell’adoperarsi per raggiungere un consenso. L’au RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 torità di controllo capofila e le autorità di controllo interessate si scambiano tutte le informazioni utili. 2. L’autorità di controllo capofila può chiedere in qualunque momento alle altre autorità di controllo interessate di fornire assistenza reciproca a norma dell’articolo 61 e può condurre operazioni congiunte a norma dell’articolo 62, in particolare per lo svolgimento di indagini o il controllo dell’attuazione di una misura riguardante un titolare del trattamento o responsabile del trattamento stabilito in un altro Stato membro. 3. L’autorità di controllo capofila comunica senza ritardo le informazioni utili sulla questione alle altre autorità di controllo interessate. Trasmette senza indugio alle altre autorità di controllo interessate un progetto di decisione per ottenere il loro parere e tiene debitamente conto delle loro opinioni. 4. Se una delle altre autorità di controllo interessate solleva un’obiezione pertinente e motivata al progetto di decisione entro un termine di quattro settimane dopo essere stata consultata conformemente al paragrafo 3 del presente articolo, l’autorità di controllo capofila, ove non dia seguito all’obiezione pertinente e motivata o ritenga l’obiezione non pertinente o non motivata, sottopone la questione al meccanismo di coerenza di cui all’articolo 63. 5. L’autorità di controllo capofila, qualora intenda dare seguito all’obiezione pertinente e motivata sollevata, trasmette un progetto di decisione riveduto alle altre autorità di controllo interessate per ottenere il loro parere. Tale progetto di decisione riveduto è soggetto alla procedura di cui al paragrafo 4 entro un termine di due settimane. 6. Se nessuna delle altre autorità di controllo interessate ha sollevato obiezioni al progetto di decisione trasmesso dall’autorità di controllo capofila entro il termine di cui ai paragrafi 4 e 5, si deve considerare che l’autorità di controllo capofila e le autorità di controllo interessate concordano su tale progetto di decisione e sono da esso vincolate. 7. L’autorità di controllo capofila adotta la decisione e la notifica allo stabilimento principale o allo stabilimento unico del titolare del trattamento o responsabile del trattamento, a seconda dei casi, e informa le altre autorità di controllo interessate e il comitato [del]la decisione in questione, compresa una sintesi dei fatti e delle motivazioni pertinenti. L’autorità di controllo cui è stato proposto un reclamo informa il reclamante riguardo alla decisione. 8. In deroga al paragrafo 7, in caso di archiviazione o di rigetto di un reclamo, l’autorità di controllo cui è stato proposto il reclamo adotta la decisione e la notifica al reclamante e ne informa il titolare del trattamento. 9. Se l’autorità di controllo capofila e le autorità di controllo interessate convengono di archiviare o rigettare parti di un reclamo e di intervenire su altre parti di tale reclamo, è adottata una decisione separata per ciascuna di tali parti della questione. (...) 10. Dopo aver ricevuto la notifica della decisione dell’autorità di controllo capofila a norma dei paragrafi 7 e 9, il titolare del trattamento o responsabile del trattamento adotta le misure necessarie per garantire la conformità alla decisione per quanto riguarda le attività di trattamento nel contesto di tutti i suoi stabilimenti nell’Unione. Il titolare del trattamento o responsabile del trattamento notifica le misure adottate per conformarsi alla decisione all’autorità di controllo capofila, che ne informa le altre autorità di controllo interessate. 11. Qualora, in circostanze eccezionali, un’autorità di controllo interessata abbia motivo di ritenere che urga intervenire per tutelare gli interessi degli interessati, si applica la procedura d’urgenza di cui all’articolo 66. (...)». CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 145 12 L’articolo 61 di detto regolamento, intitolato «Assistenza reciproca», al suo paragrafo 1, così recita: «Le autorità di controllo si scambiano le informazioni utili e si prestano assistenza reciproca al fine di attuare e applicare il presente regolamento in maniera coerente, e mettono in atto misure per cooperare efficacemente tra loro. L’assistenza reciproca comprende, in particolare, le richieste di informazioni e le misure di controllo, quali le richieste di autorizzazioni e consultazioni preventive e le richieste di effettuare ispezioni e indagini». 13 L’articolo 62 del medesimo regolamento, intitolato «operazioni congiunte delle autorità di controllo», è del seguente tenore: «1. Se del caso, le autorità di controllo conducono operazioni congiunte, incluse indagini congiunte e misure di contrasto congiunte, cui partecipano membri o personale di autorità di controllo di altri Stati membri. 2. Qualora il titolare del trattamento o responsabile del trattamento abbia stabilimenti in vari Stati membri o qualora esista la probabilità che il trattamento abbia su un numero significativo di interessati in più di uno Stato membro un impatto negativo sostanziale, un’autorità di controllo di ogni Stato membro in questione ha il diritto di partecipare alle operazioni congiunte. (...) (…)». 14 La sezione 2 del capo vII del regolamento 2016/679, intitolata «Coerenza», comprende gli articoli da 63 a 67 del regolamento medesimo. L’articolo 63, intitolato «Meccanismo di coerenza», è formulato come segue: «Al fine di contribuire all’applicazione coerente del presente regolamento in tutta l’Unione, le autorità di controllo cooperano tra loro e, se del caso, con la Commissione mediante il meccanismo di coerenza stabilito nella presente sezione». 15 Ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 2, del suddetto regolamento: «Qualsiasi autorità di controllo, il presidente del comitato [europeo per la protezione dei dati] o la Commissione può richiedere che le questioni di applicazione generale o che producono effetti in più di uno Stato membro siano esaminate dal comitato [europeo per la protezione dei dati] al fine di ottenere un parere, in particolare se un’autorità di controllo competente non si conforma agli obblighi relativi all’assistenza reciproca ai sensi del- l’articolo 61 o alle operazioni congiunte ai sensi dell’articolo 62». 16 L’articolo 65 dello stesso regolamento, intitolato «Composizione delle controversie da parte del comitato», al suo paragrafo 1, così dispone: «Al fine di assicurare l’applicazione corretta e coerente del presente regolamento nei singoli casi, il comitato [europeo per la protezione dei dati] adotta una decisione vincolante nei seguenti casi: a) se, in un caso di cui all’articolo 60, paragrafo 4, un’autorità di controllo interessata ha sollevato un’obiezione pertinente e motivata a un progetto di decisione dell’autorità capofila e l’autorità capofila di controllo non abbia dato seguito all’obiezione o l’autorità capofila abbia rigettato tale obiezione in quanto non pertinente o non motivata. La decisione vincolante riguarda tutte le questioni oggetto dell’obiezione pertinente e motivata, in particolare se sussista una violazione del presente regolamento; b) se vi sono opinioni contrastanti in merito alla competenza delle autorità di controllo interessate per lo stabilimento principale; (...)». RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 17 L’articolo 66 del regolamento 2016/679, intitolato «Procedura d’urgenza», ai suoi paragrafi 1 e 2, stabilisce quanto segue: «1. In circostanze eccezionali, qualora ritenga che urga intervenire per proteggere i diritti e le libertà degli interessati, un’autorità di controllo interessata può, in deroga al meccanismo di coerenza di cui agli articoli 63, 64 e 65, o alla procedura di cui all’articolo 60, adottare immediatamente misure provvisorie intese a produrre effetti giuridici nel proprio territorio, con un periodo di validità determinato che non supera i tre mesi. L’autorità di controllo comunica senza ritardo tali misure e la motivazione della loro adozione alle altre autorità di controllo interessate, al comitato [europeo per la protezione dei dati] e alla Commissione. 2. Qualora abbia adottato una misura ai sensi del paragrafo 1 e ritenga che urga adottare misure definitive, l’autorità di controllo può chiedere un parere d’urgenza o una decisione vincolante d’urgenza del comitato [europeo per la protezione dei dati], motivando tale richiesta ». 18 L’articolo 77 del predetto regolamento, intitolato «Diritto di proporre reclamo all’autorità di controllo», è del seguente tenore: «1. Fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o giurisdizionale, l’interessato che ritenga che il trattamento che lo riguarda violi il presente regolamento ha il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo, segnatamente nello Stato membro in cui risiede abitualmente, lavora oppure del luogo ove si è verificata la presunta violazione. 2. L’autorità di controllo a cui è stato proposto il reclamo informa il reclamante dello stato o dell’esito del reclamo, compresa la possibilità di un ricorso giurisdizionale ai sensi del- l’articolo 78». 19 L’articolo 78 di tale regolamento, intitolato «Diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo nei confronti dell’autorità di controllo», così dispone: «1. Fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o extragiudiziale, ogni persona fisica o giuridica ha il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo avverso una decisione giuridicamente vincolante dell’autorità di controllo che la riguarda. 2. Fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o extragiudiziale, ciascun interessato ha il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo qualora l’autorità di controllo che sia competente ai sensi degli articoli 55 e 56 non tratti un reclamo o non lo informi entro tre mesi dello stato o dell’esito del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 77. 3. Le azioni nei confronti dell’autorità di controllo sono promosse dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui l’autorità di controllo è stabilita. 4. Qualora siano promosse azioni avverso una decisione di un’autorità di controllo che era stata preceduta da un parere o da una decisione del comitato [europeo per la protezione dei dati] nell’ambito del meccanismo di coerenza, l’autorità di controllo trasmette tale parere o decisione all’autorità giurisdizionale». 20 L’articolo 79 dello stesso regolamento, intitolato «Diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento», così recita: «1. Fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o extragiudiziale disponibile, compreso il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo ai sensi dell’articolo 77, ogni interessato ha il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo qualora ritenga che i diritti di cui gode a norma del presente regolamento siano stati violati a seguito di un trattamento. 2. Le azioni nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 147 sono promosse dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento ha uno stabilimento. In alternativa, tali azioni possono essere promosse dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui l’interessato risiede abitualmente, salvo che il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento sia un’autorità pubblica di uno Stato membro nell’esercizio dei pubblici poteri». Diritto belga 21 La wet tot bescherming van de persoonlijke levenssfeer ten opzichte van de verwerking van persoonsgegevens (legge relativa alla tutela della vita privata con riguardo ai trattamenti di dati personali), dell’8 dicembre 1992 (Belgisch staatsblad, 18 marzo 1993, pag. 5801), come modificata dalla legge dell’11 dicembre 1998 (Belgisch staatsblad, 3 febbraio 1999, pag. 3049) (in prosieguo: la «legge dell’8 dicembre 1992»), ha recepito nel diritto belga la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31). 22 La legge dell’8 dicembre 1992 ha istituito la CPvP, un organismo indipendente incaricato di garantire che i dati personali siano trattati nel rispetto di tale legge, in modo da salvaguardare la vita privata dei cittadini. 23 L’articolo 32, paragrafo 3, della legge dell’8 dicembre 1992 così disponeva: «Fatta salva la competenza dei giudici ordinari per l’applicazione dei principi generali in materia di tutela della vita privata, il presidente della [CPvP] può sottoporre al giudice di primo grado qualsiasi controversia relativa all’applicazione della presente legge e delle sue misure di esecuzione». 24 La wet tot oprichting van de Gegevensbeschermingsautoriteit (legge che istituisce l’autorità per la protezione dei dati), del 3 dicembre 2017 (Belgisch staatsblad, 10 gennaio 2018, pag. 989; in prosieguo: la «legge del 3 dicembre 2017»), entrata in vigore il 25 maggio 2018, ha istituito l’APD quale autorità di controllo, ai sensi del regolamento 2016/679. 25 L’articolo 3 della legge del 3 dicembre 2017 prevede quanto segue: «Presso la Camera dei rappresentanti è istituita un’“Autorità per la protezione dei dati”. Essa succede alla [CPvP]». 26 L’articolo 6 della legge del 3 dicembre 2017 così dispone: «L’[APD] è competente a intentare un’azione dinanzi alle autorità giudiziarie in caso di violazioni dei principi fondamentali della protezione dei dati personali, nel quadro della presente legge e delle leggi recanti disposizioni sulla tutela del trattamento dei dati personali e, se del caso, ad agire in sede giudiziale per far rispettare detti principi fondamentali ». 27 Nessuna disposizione specifica è prevista per i procedimenti giurisdizionali già avviati dal presidente della CPvP alla data del 25 maggio 2018 sulla base dell’articolo 32, paragrafo 3, della legge dell’8 dicembre 1992. Per quanto riguarda unicamente le denunce o le domande presentate all’APD stessa, l’articolo 112 della legge del 3 dicembre 2017 così recita: «Il capo vI non si applica alle denunce o alle domande ancora pendenti presso l’[APD] al momento dell’entrata in vigore della presente legge. Le denunce o le domande di cui al comma 1 sono trattate dall’[APD], in qualità di successore legale della [CPvP], secondo la procedura applicabile prima dell’entrata in vigore della presente legge». RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 28 La legge dell’8 dicembre 1992 è stata abrogata dalla wet betreffende de bescherming van natuurlijke personen met betrekking tot de verwerking van persoonsgegevens (legge relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali), del 30 luglio 2018 (Belgisch Staatsblad, 5 settembre 2018, pag. 68616; in prosieguo: la «legge del 30 luglio 2018»). Quest’ultima legge mira ad attuare nel diritto belga le disposizioni del regolamento 2016/679 che impongono o consentono agli Stati membri di adottare norme più dettagliate, ad integrazione di tale regolamento. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 29 L’11 settembre 2015, il presidente della CPvP ha intentato un’azione inibitoria nei confronti delle società Facebook Ireland, Facebook Inc. e Facebook Belgium dinanzi al Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio). Poiché la CPvP non era dotata di personalità giuridica, spettava al suo presidente proporre ricorsi al fine di garantire il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. Tuttavia, la CPvP stessa ha chiesto l’intervento volontario nel procedimento avviato dal suo presidente. 30 Tale azione inibitoria mirava a porre fine a quanto descritto dalla CPvP, segnatamente, come una «violazione grave e su larga scala, da parte di Facebook, della normativa in materia di tutela della vita privata» consistente nella raccolta, da parte di tale social network, di informazioni sul comportamento di navigazione sia dei titolari di un account Facebook sia dei non utenti dei servizi Facebook mediante diverse tecnologie, quali i cookie, i social plugin (ad esempio, i pulsanti «Mi piace» o «Condividi») o anche i pixel. Tali elementi consentono a detto social network di ottenere taluni dati di un internauta che consulti una pagina di un sito Internet che li contiene, come l’indirizzo di tale pagina, l’«indirizzo IP» del visitatore di detta pagina nonché la data e l’ora della consultazione di cui trattasi. 31 Con sentenza del 16 febbraio 2018, il Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese) si è dichiarato competente a statuire su detta azione inibitoria, nella parte in cui riguardava Facebook Ireland, Facebook Inc. e Facebook Belgium, e ha dichiarato irricevibile la domanda di intervento volontario presentata dalla CPvP. 32 Nel merito, tale giudice ha dichiarato che il social network in questione non informava sufficientemente gli internauti belgi relativamente alla raccolta delle informazioni di cui trattasi e all’uso di tali informazioni. Peraltro, non è stato ritenuto valido il consenso prestato dagli internauti alla raccolta e al trattamento di dette informazioni. Di conseguenza, è stato ingiunto a Facebook Ireland, a Facebook Inc. e a Facebook Belgium, in primo luogo, di cessare, nei confronti di qualsiasi internauta stabilito nel territorio belga, di inserire, senza il consenso dell’utente, cookie che rimangono attivi per due anni sul dispositivo da esso utilizzato quando naviga su una pagina Internet del nome di dominio Facebook.com o quando giunge sul sito di un terzo, nonché di inserire cookie e di raccogliere dati mediante social plugin, pixel o mezzi tecnologici analoghi sui siti Internet di terzi, in misura eccessiva rispetto agli obiettivi in tal modo perseguiti dal social network Facebook; in secondo luogo, di fornire informazioni che potrebbero ragionevolmente indurre in errore le persone considerate quanto alla portata reale dei meccanismi messi a disposizione da tale social network per l’utilizzo di cookie e, in terzo luogo, di distruggere tutti i dati personali ottenuti per mezzo di cookie e social plugin. 33 Il 2 marzo 2018, Facebook Ireland, Facebook Inc. e Facebook Belgium hanno interposto CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 149 appello avverso tale sentenza dinanzi allo hof van beroep te Brussel (Corte di appello di Bruxelles, Belgio). Dinanzi a tale giudice, l’APD agisce in qualità di successore legale sia del presidente della CPvP, che aveva promosso l’azione inibitoria, sia della stessa CPvP. 34 Il giudice del rinvio si è dichiarato competente a statuire sull’appello interposto unicamente nella parte riguardante Facebook Belgium. Per contro, esso si è dichiarato incompetente a conoscere di tale appello per quanto riguarda Facebook Ireland e Facebook Inc. 35 Prima di pronunciarsi sul merito della controversia di cui al procedimento principale, il giudice del rinvio si pone la questione se l’APD disponga della legittimazione e dell’interesse ad agire richiesti. Secondo Facebook Belgium, l’azione inibitoria proposta sarebbe irricevibile per quanto riguarda i fatti anteriori al 25 maggio 2018, in quanto, a seguito dell’entrata in vigore della legge del 3 dicembre 2017 e del regolamento 2016/679, sarebbe stato abrogato l’articolo 32, paragrafo 3, della legge dell’8 dicembre 1992, che costituisce la base giuridica che consente di intentare un’azione siffatta. Per quanto riguarda i fatti successivi al 25 maggio 2018, Facebook Belgium fa valere che l’APD non avrebbe competenza e non disporrebbe del diritto di intentare tale azione tenuto conto del meccanismo dello «sportello unico» ora previsto in applicazione delle disposizioni del regolamento 2016/679. Sulla base di tali disposizioni, infatti, solo il Data Protection Commissioner (Commissario per la protezione dei dati, Irlanda) sarebbe competente ad intentare un’azione inibitoria nei confronti della Facebook Ireland, essendo quest’ultima l’unica titolare del trattamento dei dati personali degli utenti del social network in questione nell’Unione. 36 Il giudice del rinvio ha dichiarato che l’APD non aveva dimostrato di avere l’interesse ad agire richiesto per intentare tale azione inibitoria nei limiti in cui quest’ultima verteva su fatti anteriori al 25 maggio 2018. Per quanto riguarda i fatti successivi a tale data, il giudice del rinvio nutre nondimeno dubbi in merito all’incidenza dell’entrata in vigore del regolamento 2016/679, in particolare dell’applicazione del meccanismo dello «sportello unico» che tale regolamento prevede, sulle competenze dell’APD nonché sul potere di quest’ultima di intentare una siffatta azione inibitoria. 37 In particolare, secondo il giudice del rinvio, la questione che si pone ora è se, per i fatti successivi al 25 maggio 2018, l’APD possa agire nei confronti della società Facebook Belgium, dal momento che Facebook Ireland è stata individuata come titolare del trattamento dei dati in questione. Dopo tale data e in forza del principio dello «sportello unico», sembrerebbe che, ai sensi dell’articolo 56 del regolamento 2016/679, sia competente unicamente il Commissario per la protezione dei dati, sotto il controllo dei soli giudici irlandesi. 38 Il giudice del rinvio ricorda che, nella sentenza del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein (C‑210/16, EU:C:2018:388), la Corte ha dichiarato che l’«autorità di controllo tedesca» era competente a pronunciarsi su una controversia in materia di protezione dei dati personali, sebbene il titolare del trattamento dei dati in questione avesse sede in Irlanda e la sua controllata con sede in Germania, ossia la Facebook Germany GmbH, si occupasse soltanto della vendita di spazi pubblicitari e di altre attività di marketing nel territorio tedesco. 39 Tuttavia, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, la Corte era investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 95/46, che è stata abrogata dal regolamento 2016/679. Il giudice del rinvio si chiede in quale misura l’interpretazione che la Corte ha fornito in detta sentenza sia ancora pertinente per quanto riguarda l’applicazione del regolamento 2016/679. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 40 II giudice del rinvio richiama anche una decisione del «Bundeskartellamt» (Autorità federale garante della concorrenza, Germania) del 6 febbraio 2019 (la cosiddetta decisione «Facebook») in cui tale autorità garante della concorrenza ha dichiarato, in sostanza, che l’impresa interessata abusava della propria posizione concentrando dati provenienti da fonti diverse, il che, in futuro avrebbe potuto aver luogo soltanto con il consenso esplicito degli utenti, fermo restando che l’utente che non vi acconsente non può essere escluso dai servizi Facebook. Il giudice del rinvio rileva che, manifestamente, detta autorità garante della concorrenza si è ritenuta competente, nonostante il meccanismo dello «sportello unico». 41 Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che l’articolo 6 della legge del 3 dicembre 2017, che consente, in linea di principio, all’APD, se del caso, di agire in sede giudiziale, non implichi che la sua azione possa, in ogni caso, essere intentata dinanzi ai giudici belgi, poiché il meccanismo dello «sportello unico» sembrerebbe imporre che una siffatta azione sia intentata dinanzi al giudice del luogo in cui viene effettuato il trattamento dei dati. 42 Ciò premesso, lo hof van beroep te Brussel (Corte di appello di Bruxelles) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se gli articoli [55, paragrafo 1], da 56 a 58 e da 60 a 66 del [regolamento 2016/679], in combinato disposto con gli articoli 7, 8 e 47, della [Carta], debbano essere interpretati nel senso che un’autorità di controllo, che, in forza della normativa nazionale adottata in esecuzione dell’articolo [58, paragrafo 5], di tale regolamento, abbia il potere di agire in sede giudiziale dinanzi a un giudice del suo Stato membro contro le violazioni di detto regolamento, non può esercitare tale potere con riguardo a un trattamento transfrontaliero se essa non è l’autorità di controllo capofila per il trattamento transfrontaliero di cui trattasi. 2) Se, a tal riguardo, assuma rilevanza la circostanza che il titolare di detto trattamento transfrontaliero non abbia in tale Stato membro lo stabilimento principale, ma solo un altro stabilimento. 3) Se, a tal riguardo, assuma rilevanza la circostanza che l’autorità nazionale di controllo intenti l’azione nei confronti dello stabilimento principale del titolare del trattamento o nei confronti dello stabilimento nel proprio Stato membro. 4) Se, a tal riguardo, assuma rilevanza la circostanza che l’autorità nazionale di controllo abbia già intentato l’azione prima della data di entrata in vigore (il 25 maggio 2018) del regolamento [2016/679]. 5) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo [58, paragrafo 5], del regolamento 2016/679 abbia effetto diretto, cosicché un’autorità nazionale di controllo può invocare detto articolo per intentare o proseguire un’azione nei confronti di privati, anche se l’articolo [58, paragrafo 5], del regolamento 2016/679 non sia stato specificamente trasposto nella normativa degli Stati membri, pur essendo la trasposizione obbligatoria. 6) In caso di risposta affermativa alle questioni che precedono, se l’esito di siffatti procedimenti possa ostare ad una conclusione opposta dell’autorità di controllo capofila nel caso in cui tale autorità capofila esamini le medesime attività di trattamento transfrontaliero o attività analoghe, conformemente al meccanismo previsto agli articoli 56 e 60 del regolamento 2016/679». Sulla prima questione 43 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 55, paragrafo 1 e gli articoli da 56 a 58 nonché da 60 a 66 del regolamento 2016/679, in combinato disposto con gli articoli 7, 8 e 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 151 che un’autorità di controllo di uno Stato membro – che, in forza della normativa nazionale adottata in esecuzione dell’articolo 58, paragrafo 5, di tale regolamento, abbia il potere di intentare un’azione dinanzi a un giudice di tale Stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di presunta violazione di detto regolamento – può esercitare tale potere per quanto riguarda un trattamento di dati transfrontaliero, sebbene non sia l’«autorità di controllo capofila», a norma dell’articolo 56, paragrafo 1, del medesimo regolamento, per quanto riguarda un siffatto trattamento di dati. 44 A tal riguardo, occorre ricordare, in via preliminare, che, da un lato, a differenza della direttiva 95/46, che era stata adottata sul fondamento dell’articolo 100 A del Trattato CE, relativo all’armonizzazione del mercato comune, la base giuridica del regolamento 2016/679 è l’articolo 16 TFUE, il quale sancisce il diritto di ogni persona alla tutela dei dati personali e autorizza il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea a fissare norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione, nonché da parte degli Stati membri, nell’esercizio di attività che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto del- l’Unione, e norme relative alla libera circolazione di detti dati. D’altro lato, il considerando 1 di tale regolamento afferma che «[l]a protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale» e ricorda che l’articolo 8, paragrafo 1, della Carta nonché l’articolo 16, paragrafo 1, TFUE stabiliscono che ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. 45 Di conseguenza, come risulta dall’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento 2016/679, in combinato disposto con i considerando 10, 11 e 13 di tale regolamento, quest’ultimo affida alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione, nonché alle autorità competenti degli Stati membri, il compito di assicurare un livello elevato di tutela dei diritti garantiti dall’articolo 16 TFUE e dall’articolo 8 della Carta. 46 Inoltre, come enunciato dal considerando 4 del regolamento in parola, quest’ultimo rispetta tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti nella Carta. 47 È in questo contesto che l’articolo 55, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 stabilisce la competenza di principio di ogni autorità di controllo ad eseguire i compiti ed esercitare i poteri a essa conferiti, a norma di tale regolamento, nel territorio del rispettivo Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems, C‑311/18, EU:C:2020:559, punto 147). 48 Tra i compiti conferiti a tali autorità di controllo figurano, in particolare, il compito di sorvegliare l’applicazione del regolamento 2016/679 e di vigilare sul rispetto di quest’ultimo, previsto all’articolo 57, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, nonché il compito di collaborare, anche tramite scambi di informazioni, con le altre autorità di controllo e prestare assistenza reciproca al fine di garantire l’applicazione coerente di detto regolamento e delle misure adottate per garantirne il rispetto, previsto all’articolo 57, paragrafo 1, lettera g), del medesimo regolamento. Tra i poteri conferiti a tali autorità di controllo al fine di assolvere detti compiti figurano diversi poteri di indagine, previsti all’articolo 58, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, nonché il potere di intentare un’azione dinanzi alle autorità giudiziarie e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di violazione di tale regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso, previsto all’articolo 58, paragrafo 5, di detto regolamento. 49 L’esercizio di tali compiti e poteri presuppone tuttavia che un’autorità di controllo disponga della competenza per quanto riguarda un determinato trattamento di dati. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 50 A tal riguardo, fatta salva la norma sulla competenza di cui all’articolo 55, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, l’articolo 56, paragrafo 1, di tale regolamento prevede, per i «trattamenti transfrontalieri» ai sensi del suo articolo 4, punto 23, il meccanismo dello «sportello unico», basato su una ripartizione delle competenze tra un’«autorità di controllo capofila» e le altre autorità di controllo interessate. In forza di siffatto meccanismo, l’autorità di controllo dello stabilimento principale o dello stabilimento unico del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento è competente ad agire in qualità di autorità di controllo capofila per quanto attiene al trattamento transfrontaliero effettuato da detto titolare del trattamento o responsabile del trattamento, secondo la procedura di cui all’articolo 60 del regolamento in parola. 51 Quest’ultimo articolo stabilisce la procedura di cooperazione tra l’autorità di controllo capofila e le altre autorità di controllo interessate. Nell’ambito di tale procedura, l’autorità di controllo capofila è tenuta, in particolare, a cercare di raggiungere un consenso. A tal fine, conformemente all’articolo 60, paragrafo 3, del regolamento 2016/679, essa trasmette senza indugio un progetto di decisione alle altre autorità di controllo interessate per ottenere il loro parere e tiene debitamente conto delle loro opinioni. 52 In particolare, dagli articoli 56 e 60 del regolamento 2016/679 risulta che, per i «trattamenti transfrontalieri», ai sensi dell’articolo 4, punto 23, di tale regolamento, e fatto salvo l’articolo 56, paragrafo 2, di quest’ultimo, le varie autorità di controllo nazionali interessate devono cooperare, secondo la procedura prevista da tali disposizioni, al fine di raggiungere un consenso e una decisione unica che vincoli tutte le suddette autorità, il cui rispetto deve essere garantito dal titolare del trattamento per quanto riguarda le attività di trattamento effettuate nell’ambito di tutti i suoi stabilimenti nell’Unione. Inoltre, l’articolo 61, paragrafo 1, di detto regolamento obbliga le autorità di controllo, in particolare, a comunicarsi le informazioni utili nonché a prestarsi reciproca assistenza al fine di attuare e applicare il medesimo regolamento in modo coerente in tutta l’Unione. L’articolo 63 del regolamento 2016/679 precisa che è a tal fine previsto il meccanismo di coerenza, stabilito agli articoli 64 e 65 di quest’ultimo [sentenza del 24 settembre 2019, Google (Portata territoriale della deindicizzazione), C‑507/17, EU:C:2019:772, punto 68]. 53 L’applicazione del meccanismo dello «sportello unico» richiede pertanto, come confermato dal considerando 13 del regolamento 2016/679, una leale ed efficace cooperazione tra l’autorità di controllo capofila e le altre autorità di controllo interessate. Di conseguenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 111 delle sue conclusioni, l’autorità di controllo capofila non può ignorare le opinioni delle altre autorità di controllo interessate e qualsiasi obiezione pertinente e motivata formulata da una di queste ultime autorità ha l’effetto di bloccare, almeno temporaneamente, l’adozione del progetto di decisione dell’autorità di controllo capofila. 54 Pertanto, conformemente all’articolo 60, paragrafo 4, del regolamento 2016/679, qualora una delle altre autorità di controllo interessate formuli, entro un termine di quattro settimane dopo essere stata consultata, una siffatta obiezione pertinente e motivata in merito al progetto di decisione, l’autorità di controllo capofila, qualora non segua l’obiezione pertinente e motivata o ritenga che tale obiezione non sia pertinente o motivata, sottopone la questione al meccanismo di coerenza di cui all’articolo 63 di tale regolamento, al fine di ottenere dal comitato europeo per la protezione dei dati una decisione vincolante, adottata in base all’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento. 55 Ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, quando l’autorità di con CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 153 trollo capofila intende invece seguire l’obiezione pertinente e motivata formulata, essa sottopone alle altre autorità di controllo interessate un progetto di decisione riveduto al fine di ottenere il loro parere. Tale progetto di decisione riveduto è soggetto alla procedura di cui all’articolo 60, paragrafo 4, del medesimo regolamento entro un termine di due settimane. 56 Conformemente all’articolo 60, paragrafo 7, di detto regolamento, in linea di principio, spetta all’autorità di controllo capofila adottare una decisione riguardo al trattamento transfrontaliero di cui trattasi, notificarla allo stabilimento principale o allo stabilimento unico del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento, a seconda dei casi, e informare le altre autorità di controllo interessate e il comitato europeo per la protezione dei dati della decisione in questione, comunicando anche una sintesi dei fatti e dei motivi pertinenti. 57 Ciò premesso, occorre sottolineare che il regolamento 2016/679 prevede eccezioni al principio della competenza decisionale dell’autorità di controllo capofila nell’ambito del meccanismo dello «sportello unico» previsto all’articolo 56, paragrafo 1, di detto regolamento. 58 Tra tali eccezioni figura, in primo luogo, l’articolo 56, paragrafo 2, del regolamento 2016/679, il quale prevede che un’autorità di controllo che non è l’autorità di controllo capofila sia competente per la gestione dei reclami a essa proposti e riguardanti un trattamento transfrontaliero di dati personali o un’eventuale violazione di tale regolamento, se l’oggetto riguarda unicamente uno stabilimento nel suo Stato membro o incide in modo sostanziale sugli interessati unicamente in tale Stato membro. 59 In secondo luogo, l’articolo 66 del regolamento 2016/679 prevede, in deroga ai meccanismi di coerenza di cui agli articoli 60 e da 63 a 65 di tale regolamento, una procedura d’urgenza. Tale procedura d’urgenza consente, in circostanze eccezionali, qualora l’autorità di controllo interessata ritenga che urga intervenire per proteggere i diritti e le libertà degli interessati, di adottare immediatamente misure provvisorie intese a produrre effetti giuridici nel proprio territorio, con un periodo di validità determinato che non superi i tre mesi, in quanto l’articolo 66, paragrafo 2, del regolamento 2016/679 prevede inoltre che, qualora un’autorità di controllo abbia adottato una misura in forza del paragrafo 1 e ritenga che debbano essere adottate misure definitive, essa può chiedere un parere d’urgenza o una decisione vincolante d’urgenza del comitato europeo per la protezione dei dati, motivando tale richiesta. 60 Tuttavia, tale competenza delle autorità di controllo deve essere esercitata nel rispetto di una leale ed efficace cooperazione con l’autorità di controllo capofila, conformemente alla procedura di cui all’articolo 56, paragrafi da 3 a 5, del regolamento 2016/679. Infatti, in tale ipotesi, in applicazione dell’articolo 56, paragrafo 3, di detto regolamento, l’autorità di controllo interessata deve informare senza ritardo l’autorità di controllo capofila, la quale, entro tre settimane dal momento in cui è stata informata, decide se tratterà o meno il caso. 61 orbene, in forza dell’articolo 56, paragrafo 4, del regolamento 2016/679, se l’autorità di controllo capofila decide di trattare il caso, si applica la procedura di cooperazione prevista all’articolo 60 del regolamento in parola. In tale contesto, l’autorità di controllo che ha informato l’autorità di controllo capofila può sottoporle un progetto di decisione e quest’ultima deve tenere nella massima considerazione tale progetto quando elabora il progetto di decisione di cui all’articolo 60, paragrafo 3, di detto regolamento. 62 Per contro, in applicazione dell’articolo 56, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, se l’autorità di controllo capofila decide di non trattare il caso, l’autorità di controllo che RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 l’ha informata lo tratta conformemente agli articoli 61 e 62 di tale regolamento, i quali richiedono alle autorità di controllo il rispetto delle regole di reciproca assistenza e di cooperazione nell’ambito di operazioni congiunte, al fine di garantire una cooperazione efficace tra le autorità interessate. 63 Da quanto precede deriva che, da un lato, in materia di trattamento transfrontaliero di dati personali, la competenza dell’autorità di controllo capofila ad adottare una decisione che constati che un siffatto trattamento viola le norme relative alla tutela dei diritti delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali contenute nel regolamento 2016/679 costituisce la regola, mentre la competenza delle altre autorità di controllo interessate ad adottare una tale decisione, anche in via provvisoria, costituisce l’eccezione. D’altro lato, pur se la competenza di principio dell’autorità di controllo capofila è confermata all’articolo 56, paragrafo 6, del regolamento 2016/679, ai sensi del quale l’autorità di controllo capofila è l’«unico interlocutore» del titolare del trattamento o del responsabile per il trattamento transfrontaliero effettuato da tale titolare del trattamento o responsabile del trattamento, tale autorità deve esercitare siffatta competenza nell’ambito di una stretta cooperazione con le altre autorità di controllo interessate. In particolare, l’autorità di controllo capofila non può sottrarsi, nell’esercizio delle sue competenze, come rilevato al punto 53 della presente sentenza, a un dialogo indispensabile nonché a una cooperazione leale ed efficace con le altre autorità di controllo interessate. 64 A tal riguardo, dal considerando 10 del regolamento 2016/679 risulta che quest’ultimo mira, in particolare, a garantire un’applicazione coerente ed omogenea delle norme in materia di protezione delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali in tutta l’Unione e a rimuovere gli ostacoli ai flussi di dati personali all’interno di quest’ultima. 65 orbene, siffatto obiettivo e l’effetto utile del meccanismo dello «sportello unico», potrebbero essere compromessi se un’autorità di controllo, che, riguardo a un trattamento di dati transfrontaliero, non è l’autorità di controllo capofila, potesse esercitare il potere previsto all’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 al di fuori dei casi in cui essa è competente ad adottare una decisione come quella di cui al punto 63 della presente sentenza. Infatti, l’esercizio di un potere siffatto mira a giungere ad una decisione giurisdizionale vincolante, la quale è altrettanto idonea a pregiudicare detto obiettivo nonché detto meccanismo quanto una decisione adottata da un’autorità di controllo che non è l’autorità di controllo capofila. 66 Contrariamente a quanto sostiene l’APD, la circostanza che un’autorità di controllo di uno Stato membro che non è l’autorità di controllo capofila possa esercitare il potere previsto all’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 solo nel rispetto delle norme sulla ripartizione delle competenze decisionali previste, in particolare, dagli articoli 55 e 56 di tale regolamento, in combinato disposto con l’articolo 60 di quest’ultimo, è conforme agli articoli 7, 8 e 47 della Carta. 67 Da un lato, per quanto riguarda l’argomento vertente su una presunta violazione degli articoli 7 e 8 della Carta, occorre ricordare che detto articolo 7 garantisce a ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, mentre l’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, così come l’articolo 16, paragrafo 1, TFUE, riconosce espressamente a ogni persona il diritto alla protezione dei dati personali che la riguardano. orbene, discende in particolare dall’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 che le autorità di controllo sono incaricate di sorvegliare CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 155 l’applicazione di tale regolamento, in particolare, al fine di tutelare i diritti fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei loro dati personali. Ne consegue che, conformemente a quanto esposto al punto 45 della presente sentenza, le norme sulla ripartizione delle competenze decisionali tra l’autorità di controllo capofila e le altre autorità di controllo, previste in detto regolamento, lasciano impregiudicata la responsabilità gravante su ciascuna di tali autorità di contribuire ad un livello elevato di protezione di detti diritti, nel rispetto di tali norme nonché dei requisiti di cooperazione e di assistenza reciproca ricordati al punto 52 della presente sentenza. 68 Ciò significa, in particolare, che il meccanismo dello «sportello unico» non può in alcun caso comportare che un’autorità nazionale di controllo, in particolare l’autorità di controllo capofila, non assuma la responsabilità, che le incombe in forza del regolamento 2016/679, di contribuire ad un’efficace tutela delle persone fisiche contro violazioni dei loro diritti fondamentali ricordati al punto precedente della presente sentenza, pena l’incoraggiare una pratica di forum shopping, in particolare da parte dei titolari del trattamento, al fine di eludere tali diritti fondamentali e l’applicazione effettiva delle disposizioni di detto regolamento che vi danno attuazione. 69 D’altro lato, per quanto riguarda l’argomento vertente su una presunta violazione del diritto a un ricorso effettivo, garantito dall’articolo 47 della Carta, neppure esso può essere accolto. Infatti, la delimitazione, esposta ai punti 64 e 65 della presente sentenza, della possibilità per un’autorità di controllo diversa dall’autorità di controllo capofila di esercitare il potere previsto all’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, per quanto riguarda un trattamento transfrontaliero di dati personali, lascia impregiudicato il diritto riconosciuto ad ogni persona, all’articolo 78, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo, in particolare, avverso una decisione giuridicamente vincolante di un’autorità di controllo che lo riguarda o contro il mancato trattamento di un reclamo da parte dell’autorità di controllo che dispone della competenza decisionale in forza degli articoli 55 e 56 di detto regolamento, letti congiuntamente con l’articolo 60 di quest’ultimo. 70 Ciò avviene, in particolare, nell’ipotesi di cui all’articolo 56, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, secondo la quale, come rilevato al punto 62 della presente sentenza, l’autorità di controllo che ha fornito l’informazione sulla base dell’articolo 56, paragrafo 3, di tale regolamento, può trattare il caso conformemente agli articoli 61 e 62 di quest’ultimo, se l’autorità di controllo capofila decide, dopo esserne stata informata, che non lo tratterà essa stessa. Nell’ambito di un siffatto trattamento, non si può peraltro escludere che l’autorità di controllo considerata possa, se del caso, decidere di esercitare il potere conferitole dall’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679. 71 Ciò precisato, occorre sottolineare che non può essere escluso l’esercizio del potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro di rivolgersi ai giudici del suo Stato qualora, dopo aver richiesto la reciproca assistenza dell’autorità di controllo capofila, in forza dell’articolo 61 del regolamento 2016/679, quest’ultima non le fornisca le informazioni richieste. In tale ipotesi, in forza dell’articolo 61, paragrafo 8, del regolamento in esame, l’autorità di controllo interessata può adottare una misura provvisoria nel territorio del suo Stato membro e, se ritiene che sia urgente adottare misure definitive, tale autorità può, conformemente all’articolo 66, paragrafo 2, di detto regolamento, chiedere al comitato europeo per la protezione dei dati un parere d’urgenza o una decisione vincolante d’urgenza. Inoltre, ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 2, del medesimo regolamento, RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 un’autorità di controllo può chiedere che qualsiasi questione di applicazione generale o produttiva di effetti in più Stati membri sia esaminata dal comitato europeo per la protezione dei dati al fine di ottenere un parere, in particolare qualora un’autorità di controllo competente non si conformi agli obblighi relativi all’assistenza reciproca posti a suo carico dall’articolo 61 di quest’ultimo. orbene, a seguito dell’adozione di un siffatto parere o di una siffatta decisione, e purché il comitato europeo per la protezione dei dati vi sia favorevole dopo aver preso in considerazione tutte le circostanze pertinenti, l’autorità di controllo considerata deve poter adottare le misure necessarie al fine di garantire il rispetto delle norme relative alla tutela dei diritti delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali contenute nel regolamento 2016/679 e, a tale titolo, esercitare il potere conferitole dall’articolo 58, paragrafo 5, del predetto regolamento. 72 La ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra le autorità di controllo, infatti, si basa necessariamente sulla premessa di una cooperazione leale ed efficace tra tali autorità nonché con la Commissione, al fine di garantire l’applicazione corretta e coerente del suddetto regolamento, come confermato dall’articolo 51, paragrafo 2, di quest’ultimo. 73 Nel caso di specie, spetterà al giudice del rinvio stabilire se le norme sulla ripartizione delle competenze nonché le procedure e i meccanismi pertinenti previsti dal regolamento 2016/679 siano stati correttamente applicati nell’ambito del procedimento principale. In particolare, sarà suo compito verificare se, benché l’APD non sia l’autorità di controllo capofila in tale causa, il trattamento in questione, nella misura in cui riguarda comportamenti del social network Facebook successivi al 25 maggio 2018, rientri segnatamente nella situazione descritta al punto 71 della presente sentenza. 74 A tal riguardo, la Corte osserva che, nel suo parere 5/2019 del 12 marzo 2019, sull’interazione tra la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche e il regolamento generale sulla protezione dei dati, in particolare per quanto concerne competenze, compiti e poteri delle autorità per la protezione dei dati, il comitato europeo per la protezione dei dati ha dichiarato che la memorizzazione e la lettura di dati personali mediante cookie rientravano nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37) e non nel meccanismo dello «sportello unico». Per contro, tutte le operazioni precedenti e le successive attività di trattamento di tali dati personali mediante altre tecnologie rientrano effettivamente nell’ambito di applicazione del regolamento 2016/679 e, di conseguenza, nel meccanismo dello «sportello unico». Dato che la sua domanda di assistenza reciproca riguardava tali successive operazioni di trattamento dei dati personali, nel mese di aprile 2019 l’APD ha chiesto al Commissario per la protezione dei dati di dar seguito alla sua domanda il più rapidamente possibile, richiesta che sarebbe rimasta senza riscontro. 75 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione posta dichiarando che l’articolo 55, paragrafo 1 e gli articoli da 56 a 58 nonché da 60 a 66 del regolamento 2016/679, in combinato disposto con gli articoli 7, 8 e 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che un’autorità di controllo di uno Stato membro, la quale, in forza della normativa nazionale adottata in esecuzione dell’articolo 58, paragrafo 5, di tale regolamento, abbia il potere di intentare un’azione dinanzi a un giudice di tale Stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di presunta violazione di detto regolamento, può esercitare tale potere con riguardo al trattamento transfrontaliero CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 157 di dati, pur non essendo l’«autorità di controllo capofila» ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, dello stesso regolamento con riguardo a siffatto trattamento di dati, purché ciò avvenga in una delle situazioni in cui il regolamento 2016/679 conferisce a tale autorità di controllo la competenza ad adottare una decisione che accerti che il trattamento in questione viola le norme in esso contenute, nonché nel rispetto delle procedure di cooperazione e di coerenza previste da tale regolamento. Sulla seconda questione 76 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che, in caso di trattamento transfrontaliero di dati, l’esercizio del potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di agire in sede giudiziale, ai sensi di tale disposizione, richieda che il titolare del trattamento transfrontaliero di dati personali, nei cui confronti tale azione è intentata, disponga di uno «stabilimento principale », a norma dell’articolo 4, punto 16, del regolamento 2016/679, nel territorio di tale Stato membro oppure di un altro stabilimento in tale territorio. 77 A tal riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, ciascuna autorità di controllo è competente ad eseguire i compiti e ad esercitare i poteri ad essa conferiti a norma di tale regolamento nel territorio dello Stato membro di appartenenza. 78 L’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 prevede, inoltre, il potere di ciascuna autorità di controllo di intentare un’azione dinanzi a un giudice dello Stato membro di appartenenza e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di presunta violazione di tale regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso. 79 orbene, occorre rilevare che l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 è formulato in termini generali e che il legislatore dell’Unione non ha subordinato l’esercizio di tale potere da parte di un’autorità di controllo di uno Stato membro alla condizione che l’azione di quest’ultima sia intentata nei confronti di un titolare del trattamento che disponga di uno «stabilimento principale», ai sensi dell’articolo 4, punto 16, di tale regolamento, o di un altro stabilimento nel territorio di tale Stato membro. 80 Tuttavia, un’autorità di controllo di uno Stato membro può esercitare il potere conferitole dall’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 solo se è dimostrato che tale potere rientra nell’ambito di applicazione territoriale di tale regolamento. 81 L’articolo 3 del regolamento 2016/679, che disciplina l’ambito di applicazione territoriale del predetto regolamento, al suo paragrafo 1, prevede al riguardo che quest’ultimo si applichi al trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito delle attività di uno stabilimento di un titolare del trattamento o di un responsabile del trattamento nel territorio dell’Unione, indipendentemente dal fatto che il trattamento abbia luogo o meno nell’Unione. 82 A tale titolo, il considerando 22 del regolamento 2016/679 precisa che detto stabilimento implica l’effettivo e reale svolgimento di un’attività nel quadro di un’organizzazione stabile e che la forma giuridica adottata per tale organizzazione, che si tratti di una succursale o di una filiale dotata di personalità giuridica, non è determinante al riguardo. 83 Ne consegue che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, l’ambito di applicazione territoriale di tale regolamento è determinato, fatte salve le ipotesi di cui ai paragrafi 2 e 3 di tale articolo, dalla condizione che il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento transfrontaliero disponga di uno stabilimento nel territorio dell’Unione. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 84 occorre pertanto rispondere alla seconda questione posta dichiarando che l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che, in caso di trattamento transfrontaliero di dati, l’esercizio del potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di intentare un’azione giudiziaria, ai sensi di tale disposizione, non esige che il titolare del trattamento o il responsabile per il trattamento transfrontaliero di dati personali, nei cui confronti tale azione viene intentata, disponga di uno stabilimento principale o di un altro stabilimento nel territorio di detto Stato membro. Sulla terza questione 85 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che, in caso di trattamento transfrontaliero di dati, l’esercizio del potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di intentare un’azione dinanzi a un giudice di tale Stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di presunta violazione del predetto regolamento ai sensi di tale disposizione, esige che l’autorità di controllo interessata diriga la propria azione giudiziaria contro lo stabilimento principale del titolare del trattamento oppure contro lo stabilimento che si trova nel proprio Stato membro. 86 Dalla decisione di rinvio risulta che tale questione è sollevata nell’ambito di una discussione tra le parti sulla questione se il giudice del rinvio sia competente ad esaminare l’azione inibitoria nei limiti in cui essa è intentata contro Facebook Belgium, tenuto conto del fatto che, da una parte, all’interno dell’Unione, la sede sociale del gruppo Facebook è situata in Irlanda e che Facebook Ireland è l’unica responsabile della raccolta e del trattamento dei dati personali per tutto il territorio dell’Unione e, dall’altra, che, secondo una ripartizione interna a tale gruppo, lo stabilimento situato in Belgio sarebbe stato creato, in via principale, per consentire a tale gruppo di mantenere relazioni con le istituzioni dell’Unione e, in via accessoria, per promuovere le attività pubblicitarie e di marketing dello stesso gruppo destinate a persone residenti in Belgio. 87 Come rilevato al punto 47 della presente sentenza, l’articolo 55, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 stabilisce la competenza di principio di ciascuna autorità di controllo ad eseguire i compiti e ad esercitare i poteri ad essa conferiti, conformemente a tale regolamento, nel territorio del rispettivo Stato membro. 88 Per quanto riguarda il potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro di intentare un’azione giudiziaria, ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, occorre ricordare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 150 delle sue conclusioni, che tale disposizione è formulata in termini generali e non precisa gli enti nei confronti dei quali le autorità di controllo debbano o possano agire in giudizio in relazione a qualsiasi violazione di tale regolamento. 89 Di conseguenza, detta disposizione non limita l’esercizio del potere di agire in sede giudiziale nel senso che un’azione siffatta possa essere intentata unicamente nei confronti di uno «stabilimento principale» oppure nei confronti di un altro «stabilimento» del titolare del trattamento. Al contrario, in forza della medesima disposizione, qualora l’autorità di controllo di uno Stato membro disponga della competenza necessaria a tal fine, in applicazione degli articoli 55 e 56 del regolamento 2016/679, essa può esercitare i poteri conferitile da tale regolamento nel suo territorio nazionale, indipendentemente dallo Stato membro in cui è stabilito il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 159 90 Tuttavia, l’esercizio del potere conferito a ciascuna autorità di controllo dall’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 presuppone che tale regolamento sia applicabile. A tal riguardo, e come sottolineato al punto 81 della presente sentenza, l’articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento prevede che quest’ultimo si applichi al trattamento dei dati personali effettuato «nell’ambito delle attività di uno stabilimento da parte di un titolare del trattamento o di un responsabile del trattamento nell’Unione, indipendentemente dal fatto che il trattamento sia effettuato o meno nell’Unione». 91 Alla luce dell’obiettivo perseguito dal regolamento 2016/679, consistente nel garantire una tutela efficace delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, segnatamente del diritto alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali, la condizione secondo cui il trattamento di dati personali deve essere effettuato «nell’ambito delle attività» dello stabilimento considerato non può ricevere un’interpretazione restrittiva (v., per analogia, sentenza del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein, C‑210/16, EU:C:2018:388, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). 92 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni scritte presentate da Facebook Belgium risulta che quest’ultima è incaricata, in via principale, di intrattenere relazioni con le istituzioni dell’Unione e, in via accessoria, di promuovere le attività pubblicitarie e di marketing del suo gruppo destinate alle persone residenti in Belgio. 93 Il trattamento di dati personali di cui trattasi nel procedimento principale, che nel territorio dell’Unione è effettuato esclusivamente da Facebook Ireland e che consiste nella raccolta di informazioni sul comportamento di navigazione tanto dei titolari di un account Facebook quanto dei non utenti dei servizi Facebook mediante tecnologie diverse, quali, in particolare, i social plugin e i pixel, ha proprio lo scopo di consentire al social network di cui trattasi di rendere più efficiente il proprio sistema pubblicitario, diffondendo le comunicazioni in modo mirato. 94 orbene, occorre rilevare che, da un lato, un social network come Facebook genera una parte sostanziale dei suoi redditi grazie, in particolare, alla pubblicità ivi diffusa e che l’attività svolta dallo stabilimento situato in Belgio è diretta a garantire, in tale Stato membro, anche se solo in via accessoria, la promozione e la vendita di spazi pubblicitari che servono a rendere redditizi i servizi Facebook. D’altro lato, l’attività svolta in via principale da Facebook Belgium, consistente nell’intrattenere relazioni con le istituzioni dell’Unione e nel costituire un punto di contatto con queste ultime, mira, in particolare, a determinare la politica di trattamento dei dati personali da parte di Facebook Ireland. 95 Ciò posto, le attività dello stabilimento del gruppo Facebook situato in Belgio devono essere considerate inscindibilmente connesse al trattamento dei dati personali di cui trattasi nel procedimento principale, per il quale il titolare del trattamento è Facebook Ireland per quanto riguarda il territorio dell’Unione. Pertanto, un trattamento siffatto deve essere considerato effettuato «nell’ambito delle attività di uno stabilimento da parte di un titolare del trattamento», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento 2016/679. 96 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione posta dichiarando che l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che il potere di un’autorità di controllo di uno Stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di intentare un’azione dinanzi ad un giudice di tale Stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale, ai sensi di tale disposizione, in caso di presunta violazione di detto regolamento può essere esercitato tanto nei confronti RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 dello stabilimento principale del titolare del trattamento che si trovi nello Stato membro di appartenenza di tale autorità quanto nei confronti di un altro stabilimento di tale titolare, purché l’azione giudiziaria riguardi un trattamento di dati effettuato nell’ambito delle attività di detto stabilimento e l’autorità di cui trattasi sia competente ad esercitare siffatto potere, conformemente a quanto esposto in risposta alla prima questione posta. sulla quarta questione 97 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che, nel caso in cui un’autorità di controllo di uno Stato membro che non è l’«autorità di controllo capofila », ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, di tale regolamento, abbia intentato un’azione giudiziaria relativa a un trattamento transfrontaliero di dati personali prima del 25 maggio 2018, ossia prima della data in cui detto regolamento è divenuto applicabile, tale circostanza è idonea ad influire sulle condizioni in cui detta autorità di controllo di uno Stato membro può esercitare il potere di agire in sede giudiziale conferitole dal suddetto articolo 58, paragrafo 5. 98 Dinanzi a tale giudice, le società Facebook Ireland, Facebook Inc. e Facebook Belgium sostengono infatti che l’applicazione del regolamento 2016/679 a partire dal 25 maggio 2018 avrebbe come conseguenza che il mantenimento di un’azione intentata prima di tale data è irricevibile o addirittura infondato. 99 occorre rilevare, in via preliminare, che l’articolo 99, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 prevede che quest’ultimo entri in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’unione europea. Poiché tale regolamento è stato pubblicato nella suddetta Gazzetta ufficiale il 4 maggio 2016, esso è quindi entrato in vigore il 25 maggio successivo. Inoltre, l’articolo 99, paragrafo 2, di detto regolamento prevede che quest’ultimo si applichi a decorrere dal 25 maggio 2018. 100 A tal riguardo, va ricordato che una nuova norma giuridica si applica a decorrere dall’entrata in vigore dell’atto che la istituisce e che, sebbene non si applichi alle situazioni giuridiche sorte e definitivamente acquisite in vigenza della precedente norma, essa si applica agli effetti futuri delle medesime, nonché alle situazioni giuridiche nuove, a meno che la nuova norma, fatto salvo il principio di irretroattività degli atti giuridici, sia accompagnata da disposizioni particolari che determinano specificamente le sue condizioni di applicazione nel tempo. In particolare, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili alla data in cui esse entrano in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, secondo la comune interpretazione, riguardano situazioni consolidatesi anteriormente alla loro entrata in vigore solo se dalla loro formulazione, dalla loro finalità o dal loro impianto sistematico risulti chiaramente che va loro attribuito tale effetto [sentenza del 25 febbraio 2021, Caisse pour l’avenir des enfants (Impiego alla nascita), C‑129/20, EU:C:2021:140, punto 31 e giurisprudenza ivi citata]. 101 Il regolamento 2016/679 non contiene alcuna norma transitoria né alcuna altra norma che disciplini lo status dei procedimenti giurisdizionali avviati prima che esso fosse applicabile e che erano ancora in corso alla data in cui è divenuto applicabile. In particolare, nessuna disposizione di tale regolamento prevede che esso abbia l’effetto di porre fine a tutti i procedimenti giurisdizionali pendenti alla data del 25 maggio 2018 che riguardano presunte violazioni di norme che disciplinano il trattamento di dati personali previste dalla direttiva 95/46, e ciò anche se i comportamenti costitutivi di tali presunte violazioni perdurano oltre tale data. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 102 Nel caso di specie, l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 prevede norme che disciplinano il potere di un’autorità di controllo di intentare un’azione o di agire in sede giudiziale o, ove del caso, stragiudiziale in caso di violazione di tale regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso. 103 Ciò posto, occorre distinguere tra le azioni intentate da un’autorità di controllo di uno Stato membro per violazioni delle norme sulla protezione dei dati personali commesse da titolari del trattamento o dai responsabili prima della data in cui il regolamento 2016/679 è divenuto applicabile e quelle intentate per violazioni commesse dopo tale data. 104 Nella prima ipotesi, dal punto di vista del diritto dell’Unione, un’azione giudiziaria, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, può essere mantenuta sulla base delle disposizioni della direttiva 95/46, la quale rimane applicabile per quanto riguarda le violazioni commesse fino alla data della sua abrogazione, ossia il 25 maggio 2018. Nella seconda ipotesi, un’azione siffatta può essere intentata, in forza dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, unicamente a condizione che, come è stato sottolineato nell’ambito della risposta alla prima questione posta, tale azione rientri in una situazione in cui, a titolo di eccezione, tale regolamento conferisce a un’autorità di controllo di uno Stato membro, che non sia l’«autorità di controllo capofila», una competenza ad adottare una decisione che accerti che il trattamento di dati di cui trattasi viola le norme contenute in detto regolamento per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e nel rispetto delle procedure previste dal medesimo regolamento. 105 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione posta dichiarando che l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che, qualora un’autorità di controllo di uno Stato membro, che non sia l’«autorità di controllo capofila» ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, di tale regolamento, abbia intentato un’azione giudiziaria riguardante un trattamento transfrontaliero di dati personali prima del 25 maggio 2018, ossia prima della data in cui detto regolamento è divenuto applicabile, detta azione può, dal punto di vista del diritto dell’Unione, essere mantenuta in base alle disposizioni della direttiva 95/46, la quale rimane applicabile per quanto riguarda le violazioni delle norme in essa contenute commesse fino alla data di abrogazione di detta direttiva. Tale azione può, inoltre, essere intentata da detta autorità per violazioni commesse dopo tale data sulla base dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, purché ciò avvenga in una delle situazioni in cui, a titolo di eccezione, tale regolamento conferisce a un’autorità di controllo di uno Stato membro, che non sia l’«autorità di controllo capofila», una competenza ad adottare una decisione che accerti che il trattamento di dati di cui trattasi viola le norme contenute in detto regolamento per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali e nel rispetto delle procedure di cooperazione e di coerenza previste dal medesimo regolamento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. sulla quinta questione 106 Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, in caso di risposta affermativa alla prima questione posta, se l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che tale disposizione ha effetto diretto, cosicché un’autorità nazionale di controllo può invocare detta disposizione per intentare o proseguire un’azione nei confronti di privati, anche se la medesima disposizione non sia stata specificamente attuata nella legislazione dello Stato membro interessato. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 107 A norma dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 ogni Stato membro dispone per legge che la sua autorità di controllo abbia il potere di intentare un’azione o di agire in sede giudiziale o, ove del caso, stragiudiziale in caso di violazione di tale regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso. 108 In via preliminare, occorre rilevare che, come sostiene il governo belga, l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 è stato attuato nell’ordinamento giuridico belga dall’articolo 6 della legge del 3 dicembre 2017. Infatti, ai sensi di tale articolo 6, che presenta una formulazione sostanzialmente identica a quella dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, l’APD ha il potere di intentare un’azione dinanzi alle autorità giudiziarie, in caso di violazioni dei principi fondamentali della protezione dei dati personali, nel quadro della suddetta legge e delle leggi recanti disposizioni sulla protezione del trattamento dei dati personali e, se del caso, ad agire in sede giudiziale per far rispettare detti principi fondamentali. Di conseguenza, si deve ritenere che l’APD possa fondarsi su una disposizione del diritto nazionale, come l’articolo 6 della legge del 3 dicembre 2017, che attua l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 nel diritto belga, per agire in sede giudiziale al fine di far rispettare tale regolamento. 109 Inoltre, e a fini di completezza, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE, un regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, cosicché le sue disposizioni non necessitano, in linea di principio, di alcuna misura di applicazione degli Stati membri. 110 In proposito, si deve ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza della Corte, in forza dell’articolo 288 TFUE e per la natura stessa dei regolamenti e della loro funzione nel sistema delle fonti del diritto dell’Unione, le disposizioni dei regolamenti producono, in via generale, effetti immediati negli ordinamenti giuridici nazionali, senza che le autorità nazionali debbano adottare misure di applicazione. Tuttavia, talune di tali disposizioni possono richiedere, per la loro attuazione, l’adozione di misure di applicazione da parte degli Stati membri (sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor, C‑528/15, EU:C:2017:213, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). 111 orbene, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 167 delle sue conclusioni, l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 prevede una norma specifica e direttamente applicabile in forza della quale le autorità di controllo devono avere la legittimazione ad agire dinanzi ai giudici nazionali e la capacità di stare in giudizio in forza del diritto nazionale. 112 Dall’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 non risulta che gli Stati membri debbano stabilire con un’esplicita disposizione quali siano le circostanze in cui le autorità di controllo nazionali possono agire in sede giudiziale ai sensi della disposizione in esame. È sufficiente che l’autorità di controllo abbia la possibilità, conformemente alla normativa nazionale, di intentare un’azione dinanzi alle autorità giudiziarie e, se del caso, di agire in sede giudiziale o di avviare, in altro modo, un procedimento diretto a far rispettare le disposizioni di detto regolamento. 113 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione posta dichiarando che l’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che tale disposizione ha effetto diretto, cosicché un’autorità di controllo nazionale può invocarla per intentare o proseguire un’azione nei confronti di privati, anche qualora detta disposizione non sia stata specificamente attuata nella normativa dello Stato membro interessato. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE sulla sesta questione 114 Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, in caso di risposta affermativa alle questioni dalla prima alla quinta, se l’esito di un procedimento giudiziario, avviato da un’autorità di controllo di uno Stato membro, vertente su un trattamento transfrontaliero di dati personali possa ostare a che l’autorità di controllo capofila adotti una decisione in cui giunge ad un accertamento in senso contrario, nel caso in cui essa indaghi sulle stesse attività di trattamento transfrontaliero o su attività analoghe, conformemente al meccanismo previsto agli articoli 56 e 60 del regolamento 2016/679. 115 A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, le questioni relative al diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale posta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica o anche laddove la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenze del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 25, e del 7 febbraio 2018, American Express, C‑304/16, EU:C:2018:66, punto 32). 116 Inoltre, conformemente a una giurisprudenza parimenti costante, la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia (sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). 117 Nel caso di specie, occorre sottolineare che, come osservato dal governo belga, la sesta questione posta si basa su circostanze le quali non è stato affatto dimostrato siano presenti nell’ambito del procedimento principale, vale a dire che, per il trattamento transfrontaliero oggetto di tale controversia, vi sia un’autorità di controllo capofila che non solo indaghi sulle stesse attività di trattamento transfrontaliero di dati personali che sono oggetto del procedimento giudiziario avviato dall’autorità di controllo dello Stato membro interessato, o su attività analoghe, ma intenda altresì adottare una decisione che giunga ad un accertamento in senso contrario. 118 Ciò premesso, occorre rilevare che la sesta questione posta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale e riguarda un problema ipotetico. Di conseguenza, tale questione deve essere dichiarata irricevibile. sulle spese 119 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) L’articolo 55, paragrafo 1, e gli articoli da 56 a 58 nonché da 60 a 66 del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/Ce (regolamento generale sulla protezione dei dati), in combinato disposto con gli articoli 7, 8 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, de RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 vono essere interpretati nel senso che un’autorità di controllo di uno stato membro, la quale, in forza della normativa nazionale adottata in esecuzione dell’articolo 58, paragrafo 5, di tale regolamento, abbia il potere di intentare un’azione dinanzi ad un giudice di tale stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale in caso di presunta violazione di detto regolamento, può esercitare tale potere con riguardo al trattamento transfrontaliero di dati, pur non essendo l’«autorità di controllo capofila » ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, dello stesso regolamento con riguardo a siffatto trattamento di dati, purché ciò avvenga in una delle situazioni in cui il regolamento 2016/679 conferisce a tale autorità di controllo la competenza ad adottare una decisione che accerti che il trattamento in questione viola le norme in esso contenute, nonché nel rispetto delle procedure di cooperazione e di coerenza previste da tale regolamento. 2) L’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che, in caso di trattamento transfrontaliero di dati, l’esercizio del potere di un’autorità di controllo di uno stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di intentare un’azione giudiziaria, ai sensi di tale disposizione, non esige che il titolare del trattamento o il responsabile per il trattamento transfrontaliero di dati personali, nei cui confronti tale azione viene intentata, disponga di uno stabilimento principale o di un altro stabilimento nel territorio di detto stato membro. 3) L’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che il potere di un’autorità di controllo di uno stato membro, diversa dall’autorità di controllo capofila, di intentare un’azione dinanzi ad un giudice di tale stato membro e, se del caso, di agire in sede giudiziale, ai sensi di tale disposizione, in caso di presunta violazione di detto regolamento può essere esercitato tanto nei confronti dello stabilimento principale del titolare del trattamento che si trovi nello stato membro di appartenenza di tale autorità quanto nei confronti di un altro stabilimento di tale titolare, purché l’azione giudiziaria riguardi un trattamento di dati effettuato nell’ambito delle attività di detto stabilimento e l’autorità di cui trattasi sia competente ad esercitare siffatto potere, conformemente a quanto esposto in risposta alla prima questione pregiudiziale posta. 4) L’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che, qualora un’autorità di controllo di uno stato membro, che non sia l’«autorità di controllo capofila» ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, di tale regolamento, abbia intentato un’azione giudiziaria riguardante un trattamento transfrontaliero di dati personali prima del 25 maggio 2018, ossia prima della data in cui detto regolamento è divenuto applicabile, detta azione può, dal punto di vista del diritto del- l’Unione, essere mantenuta in base alle disposizioni della direttiva 95/46/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, la quale rimane applicabile per quanto riguarda le violazioni delle norme in essa contenute commesse fino alla data di abrogazione di detta direttiva. tale azione può, inoltre, essere intentata da detta autorità per violazioni commesse dopo tale data sulla base dell’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, purché ciò avvenga in una delle situazioni in cui, a titolo di eccezione, tale regolamento conferisce a un’autorità di controllo di uno stato membro, che non sia l’«autorità di controllo capofila», una competenza ad adottare una decisione che ac CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE certi che il trattamento di dati di cui trattasi viola le norme contenute in detto regolamento per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone fisiche con riguardo al trattamento di dati personali e nel rispetto delle procedure di cooperazione e di coerenza previste dal medesimo regolamento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. 5) L’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che tale disposizione ha effetto diretto, cosicché un’autorità di controllo nazionale può invocarla per intentare o proseguire un’azione nei confronti di privati, anche qualora detta disposizione non sia stata specificamente attuata nella normativa dello stato membro interessato. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 Una strategia europea per la tutela dei minori La Commissione Europea ed il Parlamento Europeo propongono una Strategia Europea per la tutela dei minori. Il paidocentrismo entra nell’azione congiunta europea con la visione di un Patto Educativo Globale che pone il minore come agente attivo di cambiamento della vita democratica, il minore come soggetto di diritto nel mondo da tutelare e da preservare da abusi, violenze e dalla povertà educativa. Le sei aree tematiche indicate da tale strategia realizzano una tutela integrata del minore anche in relazione all’ecosistema digitale, in relazione alla sua capacità di autodeterminazione e discernimento con la consapevolezza che l’evoluzione qualitativa dello Stato di diritto passa attraverso l’esatta individuazione ed effettiva realizzazione del Best interest of Child, cosi come invocato dalle Convenzioni internazionali. In allegato: a) Comunicato stampa della Commissione europea “La Commissione propone iniziative per tutelare i diritti dei minori e proteggere i minori in stato di necessità”, Bruxelles, 24 marzo 2021; b) “Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2021 sui diritti dei minori alla luce della strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori”. gaetana natale* (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno, Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Commissione europea - Comunicato stampa La Commissione propone iniziative per tutelare i diritti dei minori e proteggere i minori in stato di necessità Bruxelles, 24 marzo 2021 La Commissione ha adottato oggi la prima strategia generale dell'UE sui diritti dei minori, nonché una proposta di raccomandazione del Consiglio che istituisce una garanzia europea per l'infanzia, al fine di promuovere pari opportunità per i minori a rischio di povertà o di esclusione sociale. Per preparare entrambe le iniziative la Commissione, in associazione con le principali organizzazioni globali per i diritti dei minori, ha raccolto il parere di oltre 10 000 minori. strategia dell'Ue: le sei aree tematiche e l'azione proposta 1. i minori come agenti di cambiamento nella vita democratica: la Commissione propone una serie di azioni, dalla produzione di testi giuridici adatti ai minori all'organizzazione di consultazioni con i minori nel contesto della conferenza sul futuro dell'Europa e del- l'attuazione del patto per il clima e del Green Deal. Gli Stati membri dovrebbero da parte loro consentire la partecipazione dei minori alla vita civica e democratica. 2. il diritto dei minori di realizzare pienamente il loro potenziale indipendentemente dal loro contesto sociale: la Commissione intende istituire una garanzia europea per l'infanzia per combattere la povertà e l'esclusione sociale dei minori. Si occuperà, ad esempio, anche della salute mentale dei minori e aiuterà a sostenere un'alimentazione sana e sostenibile nelle scuole dell'UE. Si impegnerà inoltre per migliorare le norme sull'educazione e la cura della prima infanzia in tutta l'UE e per assicurare un'istruzione inclusiva di qualità. 3. il diritto dei minori di essere liberi dalla violenza: la Commissione proporrà testi legislativi volti a combattere la violenza di genere e la violenza domestica e formulerà raccomandazioni per prevenire le pratiche dannose nei confronti delle donne e delle ragazze. Gli Stati membri sono invitati a creare sistemi integrati di protezione dei minori e migliorarne il funzionamento, rafforzare la risposta nazionale alla violenza nelle scuole e adottare atti legislativi nazionali per porre fine alle punizioni corporali in tutti i contesti. 4. il diritto dei minori a una giustizia a misura di minore in quanto vittime, testimoni, indagati o imputati per la commissione di un reato, o parti in qualsiasi procedimento giudiziario. La Commissione contribuirà, ad esempio, alla formazione giuridica specializzata e collaborerà con il Consiglio d'Europa per attuare le linee guida del 2010 per una giustizia a misura di minore; gli Stati membri sono invitati a sostenere, fra l'altro, la formazione, e a sviluppare solide alternative all'azione giudiziaria, quali le alternative alla detenzione o la mediazione nei casi civili. 5. il diritto dei minori di navigare in sicurezza nell'ambiente digitale e di sfruttarne le opportunità: la Commissione aggiornerà la strategia europea per un internet migliore per i ragazzi; la proposta di legge sui servizi digitali mira a rendere sicura l'esperienza online. La Commissione invita gli Stati membri ad attuare efficacemente le norme sulla protezione dei minori contenute nella direttiva riveduta sui servizi di media audiovisivi e a favorire lo sviluppo delle competenze digitali di base dei minori. La Commissione esorta inoltre le imprese del settore delle TIC a lottare contro i comportamenti nocivi online e a rimuovere i contenuti illegali. 6. i diritti dei minori nel mondo: i diritti dei minori sono universali e l'UE ribadisce il suo RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 impegno a proteggerli, promuoverli e rispettarli in tutto il mondo e nei contesti multilaterali. Ad esempio, assegnerà il 10 % dei finanziamenti per gli aiuti umanitari all'istruzione nelle situazioni di emergenza e nelle crisi prolungate. La Commissione intende elaborare un piano d'azione per i giovani entro il 2022 per promuovere la partecipazione dei giovani e dei bambini a livello mondiale, e rafforzare le capacità di protezione dei minori nelle delegazioni dell'UE. La Commissione applica inoltre una politica di tolleranza zero nei confronti del lavoro minorile. La nuova garanzia europea per l'infanzia Nel 2019 quasi 18 milioni di minori nell'UE (il 22,2 % dei minori) vivevano in famiglie a rischio di povertà o di esclusione sociale. Questa situazione genera un ciclo intergenerazionale di svantaggio, con effetti profondi e a lungo termine sui minori. La garanzia europea per l'infanzia mira a spezzare questo circolo vizioso e a promuovere le pari opportunità garantendo l'accesso a una serie di servizi fondamentali per i minori in stato di necessità (persone di età inferiore a 18 anni a rischio di povertà o di esclusione sociale). Nell'ambito della garanzia europea per l'infanzia, si raccomanda agli Stati membri di permettere ai minori bisognosi di accedere gratuitamente ed efficacemente a: ⦁ educazione e cura della prima infanzia, ad esempio evitando la segregazione scolastica; ⦁ istruzione e attività scolastiche, ad esempio fornendo attrezzature adeguate per l'inse gnamento a distanza e organizzando gite scolastiche; ⦁ almeno un pasto sano per ogni giornata scolastica; e ⦁ assistenza sanitaria, ad esempio agevolando l'accesso a esami medici e programmi di screening sanitario. Tali servizi dovrebbero essere gratuiti e facilmente accessibili ai minori in stato di necessità. La Commissione raccomanda inoltre che gli Stati membri forniscano ai minori bisognosi un accesso effettivo a un'alimentazione sana e a un alloggio adeguato: ad esempio, i minori dovrebbero ricevere pasti sani anche al di fuori della scuola e i minori senza fissa dimora e le loro famiglie dovrebbero avere accesso a un alloggio adeguato. Nell'individuare i minori in stato di necessità e nel formulare le misure nazionali, gli Stati membri dovrebbero tenere conto delle esigenze specifiche dei minori che provengono da contesti svantaggiati, come quelli senza fissa dimora, con disabilità, con situazioni familiari precarie, provenienti da contesti migratori, appartenenti a una minoranza etnica o che ricevono assistenza alternativa. L'UE mette a disposizione finanziamenti a sostegno di tali azioni nell'ambito del Fondo sociale europeo Plus (FSE+), che finanzia progetti destinati a promuovere l'inclusione sociale, lottare contro la povertà e investire nelle persone, nonché del Fondo europeo di sviluppo regionale, di InvestEU e del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Dichiarazioni di alcuni membri del Collegio dubravka Šuica, vicepresidente per la Democrazia e la demografia, ha dichiarato: "Questa nuova strategia generale dell’ue sui diritti dei minori è una tappa fondamentale ne/la nostra attività per e con i minori. ringraziamo tutti i minori per i contributi offerti a questa importante iniziativa, che rappresenta un messaggio di speranza e un invito all'azione in tutta l'unione e nel resto del mondo. Con questa strategia rinnoviamo il nostro impegno a costruire società più sane, resilienti ed eque per tutti, nelle quali ogni minore si senta incluso, protetto e autonomo. le politiche di oggi e di domani sono formulate per i nostri ragazzi e insieme a loro. e così che possiamo rafforzare le nostre democrazie". CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Nicolas schmit, Commissario per il Lavoro e i diritti sociali, ha dichiarato: "ancor prima della pandemia, il 22 % dei minori nell’ue era a rischio di povertà o di esclusione sociale: una situazione che dovrebbe essere inconcepibile in europa. nel corso dell'ultimo anno le disuguaglianze già esistenti sono diventate ancora più profonde. dobbiamo rompere questo circolo vizioso e fare in modo che i minori che ne hanno bisogno abbiano accesso a un pasto sano, all'istruzione, a un'assistenza sanitaria e a un alloggio adeguato, indipendentemente dal loro contesto. la Commissione è pronta a sostenere gli stati membri con tutti i mezzi a sua disposizione per cambiare realmente le vite dei minori". Didier reynders, Commissario per la Giustizia, ha dichiarato: "ogni minore nell'ue ha diritto alla stessa protezione e allo stesso accesso ai servizi fondamentali, da qualunque contesto provenga. eppure, un minore su tre nell'ue ha subito qualche forma di trattamento differenziato. dalla disparità di accesso alla tecnologia digitale o al sostegno socioeconomico, alla mancanza di protezione dagli abusi in ambiente domestico, troppi minori hanno bisogno di ulteriore aiuto. la nuova strategia che presentiamo oggi è un piano per offrire loro questo aiuto". Prossime tappe L'attuazione della strategia dell'UE sarà monitorata a livello nazionale e dell'Unione, e la Commissione riferirà sui progressi compiuti in occasione della riunione annuale del Forum europeo per i diritti dei minori. Alla fine del 2024 sarà svolta una valutazione della strategia, con la partecipazione di minori. La Commissione invita gli Stati membri ad adottare rapidamente la proposta di raccomandazione del Consiglio che istituisce una garanzia europea per l'infanzia. Entro sei mesi dalla sua adozione, i governi sono invitati a presentare alla Commissione piani d'azione nazionali sulle modalità di attuazione. La Commissione monitorerà i progressi compiuti attraverso il semestre europeo e pubblicherà, ove necessario, raccomandazioni specifiche per paese. Contesto Come indicano oltre 10 000 minori nel loro contributo alla preparazione del pacchetto odierno, sia nell'UE che fuori dall'UE i minori continuano a essere vittime di esclusione socioeconomica e discriminazione a causa della loro origine, del loro status, del genere o dell'orientamento sessuale, o di quelli dei loro genitori. Non sempre le voci dei minori sono ascoltate e non sempre le loro opinioni sono prese in considerazione nelle questioni che li riguardano. Queste difficoltà sono state aggravate dalla pandemia di CovID-19. La Commissione risponde con una strategia generale per i prossimi quattro anni che mira a sviluppare tutte le azioni dell'UE volte a tutelare e promuovere i diritti dei minori, con chiare iniziative di miglioramento. Dovrebbe inoltre aiutare gli Stati membri a utilizzare al meglio i fondi dell'UE. La presidente von der Leyen ha annunciato la garanzia europea per l'infanzia nei suoi orientamenti politici per il periodo 2019-2024. La garanzia europea per l'infanzia completa il secondo pilastro della strategia sui diritti dei minori. E inoltre uno dei principali obiettivi del piano d'azione sul pilastro europeo dei diritti sociali adottato il 4 marzo 2021, e si ispira direttamente al suo undicesimo principio: assistenza all'infanzia e sostegno ai minori. Il piano d'azione propone l'obiettivo di ridurre di almeno 15 milioni, di cui almeno 5 milioni di minori, il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE entro il 2030. (...) RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 Parlamento europeo 2019-2024 testi aPProVati P9_ta(2021)0090 diritti dei minori risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2021 sui diritti dei minori alla luce della strategia dell'Unione europea sui diritti dei minori (2021/2523(rsP)) il parlamento europeo, -vista la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989, -viste le osservazioni generali del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia (1): -visti gli orientamenti delle Nazioni Unite sull'assistenza alternativa ai minori (2), -visto lo studio globale delle Nazioni Unite sui minori privati della libertà del luglio 2019, -visti il documento strategico delle Nazioni Unite del 15 aprile 2020 dal titolo "The impact of CovID-l9 on children" (L'impatto della CovID-19 sui minori) e la risposta positiva condotta congiuntamente dall'UE e dal gruppo dei paesi dell'America latina e dei Caraibi (GRULAC) e firmata da 173 paesi, -vista la risposta strategica dell'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (oCSE) in data 19 ottobre 2020 dal titolo "What is the impact of the CovID-19 pandemic on immigrants and their children?" (Qual è l'impatto della pandemia di CovID-19 sugli immigrati e i loro figli?), -vista la dichiarazione del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 1° febbraio 2012 sulla recrudescenza dell'antiziganismo e della violenza razzista nei confronti dei rom in Europa, -visto l'articolo 3, paragrafi 3 e 5, del trattato sull'Unione europea, -vista la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la "Carta"), -vista la direttiva n. 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (3) ("direttiva sulla lotta contro l'abuso sessuale dei minori"), -visti gli orientamenti dell'UE in materia di diritti procedurali (4), (1) In particolare, l'osservazione generale n. 5 sulle misure generali di attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo; n. 6 sul trattamento dei minori non accompagnati e separati dalle famiglie al di fuori del loro paese di origine; n. 10 sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in materia di giustizia minorile; n. 12 sul diritto del minore a essere ascoltato; n. 13 sul diritto del minore alla libertà da ogni forma di violenza; n. 14 sul diritto del minore a che il suo interesse superiore sia considerato preminente; n. 15 sul diritto del minore al miglior stato di salute possibile e n. 16 sugli obblighi dello Stato per quanto riguarda l'impatto del settore imprenditoriale sui diritti dei minori. (2) Come sancito nella risoluzione dell'Assemblea generale dell'oNU A/RES/64/142 del 24 febbraio 2010. (3) GU L 335 del 17.12.2011, pag. 1. (4) In particolare la direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (GU L 132 del 21.5.2016, pag. 1), la direttiva n. 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (GU L 280 del 26.10.2010, pag. 1) e la direttiva n. 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali (GU L 142 del 1.6.2012, pag. 1). CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE -vista la raccomandazione della Commissione, del 20 febbraio 2013, intitolata "Investirenell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale " (1), -visti l'Anno internazionale dell'eliminazione del lavoro minorile 2021 e l'approccio di tolleranza zero nei confronti del lavoro minorile adottato dalla Commissione, -vista la comunicazione della Commissione del 12 aprile 2017 sulla protezione dei minori migranti (2), -viste le conclusioni del Consiglio dell'8 giugno 2017 sulla protezione dei minori migranti, -viste le comunicazioni della Commissione adottate allo scopo di creare un'Unione per l'uguaglianza, in linea con gli orientamenti politici per la prossima Commissione europea 2019-2024 (3), -vista la comunicazione della Commissione, del 24 giugno 2020, dal titolo "Strategia del- l'UE sui diritti delle vittime (2020-2025)" (4), -vista la sua risoluzione del 26 novembre 2019 sui diritti del bambino in occasione del 30° anniversario della Convenzione sui diritti del fanciullo (5), -vista la sua risoluzione del 3 maggio 2018 sulla protezione dei minori migranti (6), -vista la sua risoluzione del 12 febbraio 2019 sulla necessità di rafforzare il quadro strategico dell'UE per il periodo successivo al 2020 per le strategie nazionali di integrazione dei Rom e intensificare la lotta contro l'antiziganismo (7), -vista la sua risoluzione del 17 settembre 2020 sull'attuazione delle strategie nazionali di integrazione dei rom: combattere gli atteggiamenti negativi nei confronti delle persone di origine romanì in Europa (8), -vista l'interrogazione alla Commissione sui diritti dei minori alla luce della strategia del- l'unione europea sui diritti dei minori (o-000007/2021 - B9-0007/2021), -visti l'articolo 136, paragrafo 5, e l'articolo 132, paragrafo 2, del suo regolamento, -vista la proposta di risoluzione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli af fari interni, A. considerando che un minore è innanzitutto tale, indipendentemente dalla sua origine etnica, dal suo genere, dalla sua nazionalità o dal suo contesto sociale ed economico, dalla sua abilità, dal suo status in termini di cittadinanza o residenza, necessita di una protezione speciale e gli spettano tutti i diritti sanciti nella convenzione delle Nazioni Unite dei diritti del fanciullo; B. considerando che l'interesse superiore del minore deve sempre essere considerato preminente in tutte le misure e decisioni che lo riguardano come pure il suo benessere psicofisico; (1) GU L 59 del 2.3.2013, pag. 5. (2) CoM(2017)021l. (3) In particolare le comunicazioni del 24 novembre 2020 dal titolo "Piano d'azione per l'integrazione e l'inclusione 2021-2027" (CoM(2020)0758), del 18 settembre 2020 dal titolo "Un'Unione dell'uguaglianza: il piano d'azione dell'UE contro il razzismo 2020- 2025" (CoM(2020)0565), del 5 marzo 2020 dal titolo "Un'Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025" (CoM(2020)0 152) e del 12 novembre 2020 dal titolo "Unione dell'uguaglianza: strategia per l'uguaglianza LGBTIQ 2020-2025" (CoM(2020)0698). (4) CoM(2020)0258. (5) Testi approvati, P9_TA(2019)0066. (6) GU C 41 del 6.2.2020, pag. 41. (7) GU C 449 del 23.12.2020, pag. 2. (8) Testi approvati, P9_TA(2020)0229. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 C. considerando che i bambini hanno diritto a un'istruzione della prima infanzia inclusiva e a prezzi accessibili, a un'assistenza di buona qualità e al tempo libero; che i minori, in particolare quelli provenienti da contesti svantaggiati, hanno diritto alla protezione dalla povertà e a misure specifiche per migliorare la parità di opportunità e combattere la discriminazione e la segregazione nell'istruzione; che gli investimenti nello sviluppo della prima infanzia generano rendimenti elevati da un punto di vista economico e sociale; D. considerando che, prima della pandemia di CovID-19, i minori avevano il doppio delle probabilità, rispetto agli adulti, di vivere in condizioni di estrema povertà (1); che, come conseguenza della pandemia, si stima che il numero di bambini che vivono al di sotto delle rispettive soglie di povertà nazionale potrebbe crescere di ben 117 milioni, mentre il numero di bambini che vivono in condizioni di povertà multidimensionalc è aumentato di circa 150 milioni (2); che l'attuale pandemia ha acuito ulteriormente le disuguaglianze, e ha aumentato il rischio per i minori di ritrovarsi in una condizione di povertà estrema rispetto al periodo precedente alla pandemia di CovID-19, quando in Europa già un minore su quattro era a rischio di povertà; E. considerando che, in tutto il mondo, fino a 1,6 miliardi di minori sono stati interessati dalla chiusura delle scuole a causa dell'attuale pandemia di CovID-19 e che si stima che i conseguenti abbandoni scolastici potrebbero essere almeno 24 milioni (3); che 370 milioni di bambini nel mondo, molti dei quali dipendono dall'alimentazione scolastica quale principale fonte nutritiva della giornata, hanno perso in media il 40 % dei pasti scolastici da quando le restrizioni legate alla CovID-19 hanno causato la chiusura delle scuole (4); che i bambini, in particolare le ragazze e i bambini con disabilità, provenienti da contesti svantaggiati dal punto di vista socioeconomico sono particolarmente colpiti dall'impatto delle chiusure scolastiche e delle misure che hanno limitato l'accesso all'istruzione, sia nelle scuole che con l'apprendimento a distanza; F. considerando che il diritto all'istruzione ha risentito fortemente a causa della pandemia di CovID-19; che, sebbene la politica dell'istruzione rimanga competenza degli Stati membri, la pandemia di CovID-19 e le disparità nell'istruzione che essa ha causato rappresentano una sfida comune che richiede un approccio, politiche e strumenti comuni a livello dell'Unione; G. considerando che, secondo le ricerche di Eurostat (5), nel 2018 l'88,3 % dei bambini nel- l'UE di età compresa tra i tre anni e l'età minima dell'obbligo scolastico ha usufruito di servizi formali di assistenza all'infanzia, il che dimostra la crescente necessità di creare più strutture di assistenza diurna per i bambini quale importante strumento per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini fin dalla più tenera età; H. considerando che la didattica a distanza non è ancora un'opzione per più di due terzi dei (1) Eurostat news, "EU children at risk of poverty or social exclusion" (I minori dell'UE a rischio di povertà o esclusione sociale), 5 marzo 2020. (2) opuscolo dell'Unicef, "Impact of CovID-l9 on multidimensional child poverty" (Impatto della CovID-19 sulla povertà multidimensionale infantile), settembre 2020; https://data.unicef.org/resources/ impact-of-covid-19-on-multidimensional-child-povertv/ (3) https://data.unicef.org/topic/education/covid-19/ (4) Documento di lavoro dell'Unicef office of Research -Innocenti e del Programma alimentare mondiale dal titolo: "CovID-19: Missing More than a Classroom. The impact of school closures on children's nutrition" (CovID-19: perdere più di una lezione. L'impatto della chiusura delle scuole sull'alimentazione infantile), gennaio 2021. (5) Eurostat, "Living conditions in Europe" (Condizioni di vita in Europa), 2018. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE bambini in tutto il mondo a causa della mancanza di accesso a Internet; che la didattica a distanza ha evidenziato il divario educativo e digitale esistente in molti Stati membri dell'unione europea così come a livello mondiale, che si ripercuote sulle opportunità di vita dei minori e sulla loro salute fisica e mentale, e che le ragazze e i giovani in situazioni vulnerabili e appartenenti a gruppi razziali sono particolarmente interessati dal divario digitale; I. considerando che, a livello mondiale, una ragazza su quattro di età compresa tra i 15 e i 19 anni non lavora e non partecipa ad alcun ciclo di istruzione o formazione, mentre solo un ragazzo su 10 si trova in tale situazione; che la promozione dell'uguaglianza di genere e dell'emancipazione delle ragazze è fondamentale per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile (1); J. considerando che i bambini sembra siano stati risparmiati dagli effetti più gravi sulla salute dell'attuale pandemia mondiale; che la crisi della CovID-19, tuttavia, sta avendo un costo enorme per i minori e rappresenta una minaccia crescente e diretta per il loro benessere e il loro sviluppo, anche per quanto riguarda la loro salute mentale; che sono particolarmente colpiti i minori provenienti da contesti svantaggiati, i minori non accompagnati e i minori appartenenti a minoranze come i bambini rom; che ad oggi si stima che 1,2 milioni di bambini e 56 700 madri potrebbero morire entro 6 mesi a causa dell'interruzione di prestazioni di base come la copertura dei servizi sanitari di routine; che un accesso insufficiente ai servizi sanitari può avere ripercussioni in tutti gli ambiti della vita (2); K. considerando che in molti Stati membri dell'Unione europea si è registrato un aumento del tasso di suicidi; che quasi uno su cinque dei partecipanti a un recente sondaggio tra i giovani di tutta l'unione ha indicato di soffrire di problemi di salute mentale o di sintomi quali depressione o ansia (3); che le Nazioni Unite hanno lanciato l'allarme paventando una crisi globale per la salute mentale e indicando che la mancanza di misure potrebbe avere un costo sociale ed economico a lungo termine devastante per la società, con i bambini e gli adolescenti tra le categorie più a rischio (4); L. considerando che le carenze nei sistemi nazionali di protezione dei minori e la mancanza di meccanismi di cooperazione transnazionale tra gli Stati membri possono contribuire ulteriormente all'esclusione sociale e allo sfruttamento dei minori, in particolare dei minori in transito; che sono state segnalate alcune discriminazioni a seguito delle procedure e delle pratiche adottate dalle autorità nelle controversie familiari transfrontaliere che coinvolgono minori (5); che le linee telefoniche di pronto intervento segnalano inoltre un aumento del numero di chiamate relative a casi di sottrazione di minori, soprattutto negli ultimi mesi, a causa dell'aggravarsi dei conflitti familiari internazionali esistenti; M. considerando che, secondo l'ultima relazione della Commissione sui progressi compiuti nella lotta contro la tratta di esseri umani (6), i minori rappresentano quasi un quarto di tutte le vittime registrate in tutti gli Stati membri; (1) Unicef, "Global annual results report 2019: Gender equality" (Relazione annuale sui risultati a livello mondiale 2019: uguaglianza di genere). (2) FAo, IFAD, UNICEF, PAM e oMS, "The State of Food Security and Nutrition in the World 2020" (Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo), 2020. (3) ChildFund Alliance, Eurochild, Save the Children, UNICEF e World vision, "our Europe. our Rights. our Future (La nostra Europa. I nostri diritti. Il nostro futuro), gennaio 2021. (4) https://news.un.org/en/storv/2020/05/1063882 (5) Risoluzione del Parlamento europeo del 29 novembre 2018 sul ruolo dell'ente tedesco per la tutela dei minori (Jugendamt) nelle controversie familiari transfrontaliere (GU C 363 del 28.10.2020, pag. 107). (6) CoM(2020)0661. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 N. considerando che il fenomeno del lavoro minorile interessa, a livello mondiale, 152 milioni di minori e che circa 73 milioni di tali minori sono soggetti a una delle forme peggiori di lavoro minorile: schiavitù, lavoro coatto, lavoro pericoloso o sfruttamento sessuale (1); che la Commissione ha dichiarato una "tolleranza zero nei confronti del lavoro minorile" una priorità politica che deve essere rispettata; o. considerando che una ragazza su tre è vittima di mutilazioni genitali femminili e una su cinque si sposa ancora bambina; che la mutilazione genitale femminile è riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani; che il matrimonio infantile è ancora un problema in alcuni Stati membri e ha un impatto devastante sui diritti e sulla salute delle ragazze e delle donne, tra cui un grave rischio di complicazioni durante la gravidanza, nonché l'esposizione delle ragazze ad abusi sessuali, violenze domestiche e persino delitti d'onore; P. considerando che a seguito delle misure di confinamento la violenza domestica e di genere e, secondo l'ultima relazione dell'Europol (2), gli abusi sessuali e lo sfruttamento dei minori online sia sul web visibile che sul dark web sono aumentati nell'Unione europea; che una percentuale compresa tra il 70 % e l'85 % dei minori vittime di abusi conosce il proprio aggressore e la stragrande maggioranza è vittima di persone di cui ha fiducia (3); che anche altri rischi legati all'aumento del tempo trascorso online, come il cyberbullismo, sono aumentati a causa di tali misure; Q. considerando che i minori con disabilità sono vulnerabili e possono essere vittime di esclusione sociale, emarginazione, discriminazione e accesso ridotto ai servizi; che è più probabile che siano trascurati, sfruttati o vittime di abusi sessuali; che i minori con disabilità hanno maggiori necessità di assistenza sanitaria e una maggiore dipendenza dai servizi di prossimità (4); R. considerando che nel 2019 il 30 % dei richiedenti asilo era costituito da minori, il che corrispondeva a 207 215 minori nell'UE; che il 7,1 % di tali minori erano non accompagnati (5); che molti minori sono esposti a situazioni umanitarie inaccettabili alle frontiere esterne dell'UE o al di fuori dell'UE; che i minori non accompagnati rappresentano un gruppo estremamente vulnerabile e vanno incontro a vari rischi, tra cui il rischio di essere vittime di reti criminali, violenza, abuso e sfruttamento, lungo le rotte migratorie verso l'UE e al suo interno (6); che ai minori migranti è spesso negato l'accesso alle misure di integrazione e inclusione, alla protezione e alla sicurezza sociale; che i minori non accompagnati richiedenti asilo che compiono 18 anni si trovano ad affrontare sfide particolari, dal momento che spesso devono lasciare il loro alloggio specifico per minori; che i minori che presentano domanda di protezione internazionale potrebbero subire ritardi nell'adozione della decisione finale; (1) oIL, Global estimates of child labour: Results and trend, 2012-2016. (Stime globali del lavoro minorile: risultati e tendenze, 2012-2016), 2017. (2) https://www.europol.europa.eu/publications-documents/exploiting-isolation-offenders‑and-victims-ofonline- child-sexual-abuse-during-covid-19-pandemic (3) https://www.coe.int/en/web/human-rights-channel/stop-child-sexual-abuse-in-sport (4) https://data.unicef.org/resources/children-with-disabilities-ensuring-inclusion-in-covid-19-response/ (5) https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/asylum_statistics# number_of_asylumapplicants:_ increase_in_2019 (6) Quarta relazione annuale di attività del Centro europeo sul traffico di migranti. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE S. considerando che vi sono notevoli lacune e carenze nell'attuazione delle garanzie speciali e delle garanzie procedurali per i minori stabilite nel sistema europeo comune di asilo, con differenze tra gli Stati membri, ad esempio per quanto riguarda la possibilità per i minori di rimanere con i loro familiari e/o tutori in un contesto non detentivo, e in particolare nel ricongiungimento familiare in linea con la direttiva 2003/86/CE del Consiglio (1), le condizioni di accoglienza, la nomina di rappresentanti legali e tutori e l'accesso a informazioni a misura di minore, servizi sanitari e sociali e istruzione; T. considerando che vi sono ancora bambini apolidi alla nascita, anche all'interno dell'UE, i quali continuano ad essere esclusi dall'accesso ai diritti di base; che, secondo le stime, 200 milioni di bambini nel mondo non dispongono di un certificato di nascita, il che aumenta il rischio di apolidia e li mette in grave svantaggio nell'accesso ai diritti e ai servizi; che il diritto del minore di acquisire una cittadinanza e di essere registrato immediatamente dopo la nascita è sancito dall'articolo 7 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo; U. considerando che i bambini sono tra i più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, che incidono sulla loro speranza di vita, sulla loro salute, sul loro diritto all'istruzione e sul diritto di essere protetti, e stanno causando spostamenti nelle regioni soggette a catastrofi naturali; che una su quattro morti infantili è da ricondurre ai rischi ambientali (2); v. considerando che la partecipazione dei minori all'elaborazione delle politiche interne ed esterne dell'UE è ancora scarsa; che dovrebbero essere attuate modalità sistemiche per integrare la partecipazione dei minori basata sui diritti nell'elaborazione delle politiche a livello unionale, nazionale e locale; che i minori hanno il diritto di partecipare alla vita democratica e alle decisioni che li riguardano direttamente o indirettamente; che i gruppi più emarginati ed esclusi hanno ancora meno opportunità di partecipare ai processi politici e decisionali; W. considerando che un numero significativo di minori è ancora detenuto nell'UE; che il comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia ha chiarito che i minori non dovrebbero mai essere detenuti per motivi di immigrazione e che la detenzione non può mai essere giustificata in quanto nell'interesse superiore del minore, in linea con la dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti del 19 settembre 2016; che gli Stati membri devono fornire alternative adeguate, umane e non privative della libertà alla detenzione, anche garantendo che le misure relative alla Covid- 19 non conducano mai alla detenzione dei minori; che gli Stati membri dovrebbero raccogliere sistematicamente dati disaggregati sulla detenzione di minori nel contesto della migrazione, mentre la Commissione dovrebbe incoraggiare la comparabilità di tali dati tramite Eurostat; X. considerando che i bambini collocati in strutture chiuse sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia; che le misure di confinamento aggravano la vulnerabilità dei minori che vivono in istituti psichiatrici e sociali, orfanotrofi, campi profughi, centri di detenzione e altre strutture chiuse; che è probabile che i casi di violenza contro i minori confinati in tali luoghi non vengano scoperti e che i servizi sociali di assistenza ai minori e alle famiglie siano sovraccarichi e le loro attività siano perturbate; Y. considerando che il regolamento generale sulla protezione dei dati (3) riconosce che i mi( 1) Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251 del 3.10.2003, pag. 12). (2) UNICEF, "Reimagining our Future: Building Back Better from CovID-19" (Rimmaginare il nostro futuro: ricostruire in modo migliore dopo la CovID-19), giugno 2020. (3) Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 nori meritano una protezione specifica per quanto riguarda i loro dati personali e che richiedono che le informazioni sui loro dati siano loro presentate in un linguaggio a misura di minore; che l'accesso dei minori alle piattaforme dei social media deve andare di pari passo con una migliore comprensione delle tecnologie digitali; che la promozione del- l'istruzione, dell'alfabetizzazione e delle competenze digitali è fondamentale per contrastare la scorretta utilizzazione dei social media, in particolare nel caso di utenti minorenni che accedano a piattaforme che non richiedono una verifica dell'età, al fine di proteggere i gruppi vulnerabili, in particolare i minori; 1. accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di elaborare una nuova strategia globale sui diritti dei minori, dieci anni dopo il programma UE per i diritti dei minori, del 2011; chiede adeguate proposte legislative e non legislative e strumenti dell'UE vincolanti e non vincolanti per affrontare le sfide che i minori devono affrontare; 2. sottolinea che un minore è innanzitutto tale, indipendentemente dalla sua origine etnica, dal suo genere, dalla sua nazionalità o dal suo contesto sociale ed economico, dalle sue attitudini, dal suo status in termini di migrazione o residenza, e che tutte le politiche, le procedure e le azioni dell'UE relative ai minori devono essere improntate all'interesse superiore del minore; 3. invita nuovamente la Commissione a includere nella strategia dell'UE sui diritti dei minori tutte le disposizioni contemplate nella risoluzione del Parlamento europeo del 26 novembre 2019 sui diritti del bambino in occasione del 30° anniversario della Convenzione sui diritti del fanciullo; 4. sottolinea che la strategia dell'UE deve adottare un approccio equilibrato sotto il profilo del genere, che integri una prospettiva di genere in tutti i settori di programmazione, miri al benessere e all'emancipazione delle ragazze, affronti le loro esigenze specifiche e riconosca i loro diritti; 5. sottolinea che la strategia dovrebbe invitare gli Stati membri a stanziare tutte le risorse necessarie per l'efficace attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo; invita, inoltre, gli Stati membri ad affrontare le disuguaglianze strutturali e a dare la priorità agli investimenti pubblici nell'istruzione, nell'assistenza sanitaria, negli alloggi, nel sostegno alle famiglie e nell'assistenza all'infanzia, nonché ad investire in servizi universali di alta qualità che raggiungano tutti i bambini; invita gli Stati membri a rafforzare le capacità della forza lavoro dei servizi sociali al fine di sostenere i bambini e le famiglie che affrontano sfide particolari e sostenere gli operatori in prima linea nei servizi di protezione dei minori; 6. invita gli Stati membri a garantire a ogni minore il diritto all'istruzione e ad istituire misure volte a contrastare e a prevenire l'abbandono scolastico precoce e a garantire un accesso equo in termini di genere a un'istruzione di qualità e inclusiva, dalla prima infanzia all'adolescenza, anche per i bambini rom, i minori con disabilità, i minori apolidi e migranti e quelli che vivono in aree colpite da emergenze umanitarie; 7. sottolinea che l'istruzione digitale non dovrebbe mai sostituire in modo permanente l'apprendimento in presenza, in particolare quando l'accesso alle tecnologie è limitato, e do- alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1). CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE vrebbe essere utilizzata solo in periodi di grande difficoltà come le pandemie o in modo complementare all'apprendimento in presenza; invita la Commissione ad effettuare una valutazione approfondita del modo in cui la crisi ha colpito il diritto all'istruzione e a proporre raccomandazioni agli Stati membri sulla base dei risultati di tale analisi; 8. invita gli Stati membri ad avviare operazioni ad hoc "scuole sicure" comprendenti la fornitura di dispositivi igienici e la diffusione di informazioni a misura di bambino sul lavaggio delle mani e sulle altre misure igieniche durante la pandemia di CovID-19; 9. invita gli Stati membri a garantire il diritto a un'istruzione inclusiva e a garantire l'accesso a informazioni complete e adeguate all'età in merito al sesso e alla sessualità, nonché l'accesso all'assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e all'educazione affettiva; ricorda che l'istruzione in questo settore è necessaria per garantire la piena istruzione e protezione dei minori, conformemente all'ultima relazione della Commissione; 10. ribadisce il suo invito all'UE a intensificare la sua azione per porre fine a tutte le forme di violenza e discriminazione nei confronti dei minori, comprese la violenza fisica, sessuale, economica e psicologica, le lesioni, gli abusi, l'abbandono, i maltrattamenti e lo sfruttamento perpetrati online e offline, i matrimoni forzati, la tratta, l'abuso e lo sfruttamento dei minori migranti, la tortura, i delitti d'onore, le mutilazioni genitali femminili, l'incesto, l'abbandono scolastico forzato e l'uso di bambini come soldati; sottolinea che, a fini di coerenza per quanto riguarda la protezione dei minori dalla violenza, dalla tratta e dallo sfruttamento, è necessario che tutte le iniziative legislative e non legislative concernenti i diritti dei minori tengano conto della strategia dell'UE sui diritti dei minori; invita la Commissione a pubblicare un calendario relativo a tali proposte, garantendo nel contempo l'attuazione delle sue raccomandazioni attraverso un meccanismo di monitoraggio adeguato ed efficiente; 11. invita la Commissione e gli Stati membri a porre fine, nel diritto e nei fatti, a tutto il lavoro minorile e a tutte le altre forme di lavoro che possano nuocere alla salute e alla sicurezza dei bambini; sottolinea l'urgente necessità di affrontare tale questione, considerando l'impatto della crisi della Covid-19 sulle persone più vulnerabili che sono state colpite da shock di reddito e dalla mancanza di accesso alla protezione sociale, con la conseguenza che un maggior numero di minori è costretto a lavorare; invita pertanto la Commissione a integrare i diritti dei minori nel prossimo quadro di governance sostenibile dell'UE, compresi i requisiti obbligatori dell'UE in materia di dovere di diligenza, e a sostenere i paesi terzi nell'eliminazione del lavoro minorile attraverso programmi di cooperazione; raccomanda di adottare un dovere di diligenza intersettoriale obbligatorio e di garantire che tutte le politiche dell'UE siano a misura di minore, impegnandosi a effettuare controlli ex ante ed ex post in materia di diritti umani; 12. invita la Commissione e il vicepresidente della Commissione/alto rappresentante del- l'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (vP/AR) ad intensificare gli sforzi per prevenire e far cessare le gravi violazioni a danno dei minori coinvolti in conflitti armati; è profondamente preoccupato per il fatto che l'associazione di minori con gruppi armati e il loro reclutamento negli stessi avvengano spesso quando i bambini non hanno altre opzioni; sottolinea l'importanza di portare avanti l'agenda dei bambini nei conflitti armati (CAAC) nell'azione esterna dell'UE e nelle politiche antiterrorismo e di sicurezza, in linea con il piano d'azione dell'UE sui diritti umani e la democrazia, integrandola nei dialoghi politici, nelle missioni e operazioni della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), nelle riforme del settore della sicurezza e nella mediazione; invita la Commis RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 sione e il vP/AR a prevedere nelle delegazioni dell'UE funzionari e unità specializzati nella protezione dell'infanzia; invita gli Stati membri a proteggere i cittadini minori che possono essere detenuti per reati in materia di sicurezza o per associazione a gruppi armati, e a facilitarne il ritorno nel paese di origine per la riabilitazione, il reinserimento e/o il perseguimento, se del caso, nel pieno rispetto del diritto internazionale; 13. sottolinea che la protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali è essenziale; deplora il fatto che la direttiva sulla lotta contro l'abuso sessuale dei minori non sia ancora stata attuata da 23 Stati membri, prende atto dell'accento posto dal Consiglio d'Europa sulla cooperazione multilaterale quale base per la risposta all'abuso sessuale su minori online, che comprende le autorità di contrasto, le autorità nazionali, i meccanismi di segnalazione e i fornitori/industria dei servizi; accoglie con favore l'intenzione della Commissione di proporre un quadro legislativo più duraturo per combattere l'abuso sessuale sui minori nel primo semestre del 2021; ribadisce il proprio sostegno alla creazione di un centro europeo per la prevenzione e il contrasto degli abusi sessuali sui minori, possibilità attualmente in fase di valutazione da parte della Commissione; accoglie con favore il lavoro di prevenzione svolto da Europol, in particolare le sue campagne di sensibilizzazione volte a prevenire lo sfruttamento sessuale dei minori online (1) (2); 14. sottolinea che la violenza e gli abusi contro i minori sono aumentati in misura preoccupante, mentre i servizi sociali e le istituzioni di protezione sono diventati estremamente inaccessibili durante la pandemia di Covid-19; sottolinea l'importanza di sviluppare politiche preventive per contrastare la violenza contro i minori a livello di UE; sottolinea il ruolo delle agenzie e degli organismi dell'UE nell'attuazione del quadro legislativo dell'UE in materia di diritti dei minori; invita la Commissione a integrare, nella strategia, un piano d'azione dell'UE contenente norme e parametri di riferimento per i fornitori di servizi online e le imprese tecnologiche al fine di garantire la sicurezza dei minori online, oltre a proteggerli dall'essere oggetto di contenuti illegali e a tutelarli dai contenuti nocivi; invita pertanto gli Stati membri che non lo abbiano ancora fatto a criminalizzare l'adescamento online e lo stalking online; 15. invita la Commissione a garantire che la strategia dell'UE sia coerente con le priorità e le proposte legislative enunciate nella recente strategia dell'UE per una lotta più efficace contro gli abusi sessuali sui minori, il quadro strategico dell'UE per l'uguaglianza, l'inclusione e la partecipazione dei Rom, la strategia dell'UE per la parità di genere e la strategia dell'UE per l'uguaglianza LGBTIQ 2020-2025; 16. ritiene fondamentale integrare nella strategia dell'UE misure concrete per investire nei bambini, al fine di eradicare la povertà infantile, anche mediante l'istituzione di una garanzia europea per l'infanzia dotata di risorse adeguate; invita la Commissione a presentare la sua proposta per l'istituzione di una garanzia europea per l'infanzia nel primo trimestre del 2021, in linea con il suo impegno, e invita gli Stati membri ad accelerarne l'attuazione e ad investire tutte le risorse possibili, compresi i fondi dell'UE, quali il Fondo sociale europeo Plus (FSE +), l'assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d'Europa (ReactEU), il dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Fondo europeo di sviluppo regionale (1) https://www.europol.europa.eu/activities-services/public-awareness-and-prevention-guides/onlinesexual- coercion-and-extortion-crime (2) https://www.europol.europa.eu/stopchildabuse CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE (FESR), InvestEU, Erasmus + e il Fondo Asilo e migrazione (AMF) nella lotta contro la povertà minorile e l'esclusione sociale; sottolinea che gli Stati membri dovrebbero stabilire sia strategie nazionali pluriennali per affrontare la povertà e l'esclusione sociale infantile che piani d'azione nazionali relativi alla garanzia per l'infanzia; 17. è preoccupato per il fatto che, nel contesto della ripresa dalla crisi Covid-19, aumenterà la necessità di affrontare la povertà minorile e che la povertà avrà un impatto sempre maggiore sui minori in quanto gruppo più vulnerabile tra i più svantaggiati; chiede che la strategia dell'UE sia integrata da una strategia globale anti-povertà comprendente misure che garantiscano alloggi dignitosi e a prezzi accessibili e che affrontino il problema dei senzatetto; ricorda che qualsiasi strategia per eliminare la povertà infantile deve tener conto della realtà dei genitori soli e delle famiglie con numerosi figli, dato che le famiglie monoparentali e quelle con numerosi figli rientrano tra i gruppi vulnerabili; 18. sottolinea l'importanza che la strategia dell'UE introduca misure per garantire un buon accesso all'assistenza sanitaria per i minori e le famiglie, in linea con il programma EU4Health, tenendo conto delle difficoltà che i minori hanno nell'accedere a questo diritto; 19. sottolinea che è importante che la strategia dell'UE introduca misure per aggiornare l'attuale quadro d'azione dell'UE in materia di salute e benessere mentale, che dovrebbe essere pienamente inclusivo, al fine di soddisfare anche le esigenze dei minori in situazioni vulnerabili e provenienti da gruppi emarginati e razzializzati; invita la Commissione e gli Stati membri ad aumentare gli investimenti nella salute mentale e nei servizi psicosociali per i minori e le famiglie, in particolare nei paesi a basso e medio reddito e in contesti umanitari fragili; invita gli Stati membri a mettere in atto meccanismi per l'individuazione precoce dei problemi di salute mentale; chiede la piena integrazione del sostegno psicosociale e per la salute mentale nei sistemi nazionali e transnazionali di protezione dell'infanzia, nonché la formazione dei professionisti sui bisogni specifici dei minori; 20. ribadisce la sua richiesta di garantire un sistema giudiziario a misura di minore con procedimenti adeguati e inclusivi che tengano conto delle esigenze di tutti i minori; sottolinea l'importanza di garantire il diritto dei minori di essere ascoltati e pienamente informati in modo consono alla loro età in tutte le fasi dei procedimenti in ambito giudiziario, conformemente agli articoli 4 e 16 della direttiva (UE) 2016/800 e agli articoli 22 e 24 della direttiva 2012/29/UE (1), anche per i minori migranti, con particolare attenzione ai minori non accompagnati; invita gli Stati membri a recepire e applicare rapidamente le direttive; invita gli Stati membri a garantire che i tribunali per l'infanzia e la famiglia funzionino come un servizio essenziale, continuando a tenere udienze di emergenza e a eseguire le ordinanze del tribunale per la cura e la protezione dei minori che sono a rischio immediato di trascuratezza o abuso; ricorda che dovrebbero essere messe in atto garanzie specifiche per i minori che entrano in contatto con qualsiasi procedimento giudiziario o connesso e sottolinea la necessità di formare personale specializzato; 21. osserva con rammarico che 11 Stati membri su 27 non hanno fornito l'accesso a informazioni mirate online per i minori in merito al sistema giudiziario, come l'educazione interattiva sui diritti legali, e invita tutti gli Stati membri a garantire che i minori siano in (1) Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU L 315 del 14.11.2012, pag. 57). RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 grado di accedere a tali informazioni in un modo consono alla loro età, tenendo conto di eventuali disabilità che potrebbero impedire l'accesso (1); 22. sottolinea l'importanza dell'interesse superiore del minore nelle controversie familiari transfrontaliere; invita gli Stati membri a garantire l'adempimento degli obblighi previsti dal regolamento Bruxelles II bis (2) e invita le autorità nazionali a riconoscere ed eseguire le sentenze emesse in un altro Stato membro nei casi relativi ai minori, come le sentenze di custodia, i diritti di visita e le obbligazioni alimentari; sottolinea l'importanza di una stretta cooperazione e di una comunicazione efficace tra le diverse autorità nazionali e locali coinvolte nei procedimenti relativi ai minori; invita gli Stati membri a rispettare il diritto dei minori a vedere i loro genitori nonostante le misure restrittive legate alla pandemia, purché ciò non metta in pericolo la loro sicurezza e la loro salute; 23. invita l'UE, le sue agenzie e gli Stati membri a porre fine all'apolidia infantile sia all'interno che all'esterno dell'UE, anche migliorando la capacità dei funzionari in prima linea di identificare, registrare e rispondere adeguatamente all'apolidia nel contesto della migrazione e dell'asilo, promuovendo e garantendo l'accesso universale alla registrazione e alla certificazione delle nascite indipendentemente dallo status dei genitori, anche per le famiglie LGBTQI+, introducendo, migliorando e attuando garanzie giuridiche per prevenire l'apolidia infantile e introducendo e migliorando le procedure di determinazione dell'apolidia basate sui diritti dei minori al fine di soddisfare gli obblighi internazionali nei confronti delle persone apolidi in un contesto migratorio, in linea con l'interesse superiore del minore e il suo diritto ad acquisire la cittadinanza; 24. sottolinea che nella strategia dell'UE devono essere incluse misure per migliorare la situazione dei minori migranti e per proteggere i loro interessi sia all'interno che all'esterno dell'UE e in ogni fase delle procedure di asilo; invita la Commissione e gli Stati membri a garantire l'attuazione delle garanzie e dei diritti procedurali per i minori nel sistema europeo comune di asilo, prestando particolare attenzione a processi rapidi di ricongiungimento familiare in linea con la direttiva 2003/86/CE, all'accesso a condizioni di accoglienza adeguate, all'assistenza sociale e medica, alla nomina tempestiva di rappresentanti legali e tutori qualificati per i minori non accompagnati e all'accesso a informazioni a misura di minore; 25. sottolinea l'importanza dell'integrazione e dell'inclusione dei minori migranti e rifugiati; ribadisce l'importanza di rimuovere tutte le barriere all'accesso ai servizi di base e alle misure di integrazione e inclusione, compreso il sostegno psicosociale e per la salute mentale, e di fornire ai minori opportunità per aumentare l'inclusione sociale; invita la Commissione a intraprendere azioni urgenti per aumentare la consapevolezza dell'importanza di cambiare le narrazioni sulla migrazione e di combattere gli stereotipi negativi; 26. ritiene che la strategia dovrebbe stabilire come priorità i diritti dei minori per quanto riguarda la privazione della libertà, in linea con quelli delineati nello studio globale delle Nazioni Unite sui minori privati della libertà; esorta l'UE e gli Stati membri a intensificare le azioni per porre fine al trattenimento dei bambini, in particolare nel contesto della mi( 1) https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/justice_scoreboard_2019_en.pdf (2) Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU L 338 del 23.12.2003, pag. 1). CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE grazione, e a elaborare alternative al trattenimento adeguate e incentrate sulle comunità che rispondano all'interesse superiore del minore e consentano ai minori di rimanere con i loro familiari e/o tutori in un contesto non detentivo mentre il loro status migratorio viene risolto; 27. ritiene che la strategia dell'UE dovrebbe integrare e promuovere i diritti dei minori vulnerabili in tutti i settori politici e adottare un approccio intersezionale che prenda in considerazione le molteplici forme di discriminazione subite, tra gli altri, da minori che sono appartenenti a gruppi razzializzati, portatori di disabilità, privi di cure parentali o a rischio di perderle, affidati ad istituti, LGBTIQ, appartenenti a minoranze etniche, migranti e rifugiati, apolidi e senza documenti, vittime di violenza e abusi sessuali, coinvolti direttamente o indirettamente nei sistemi giudiziari, con problemi di salute mentale, senza casa, figlie e figli di genitori incarcerati; ricorda che i servizi sociali e il sostegno alle famiglie sono essenziali per evitare la separazione familiare e l'esclusione sociale; 28. sottolinea che i minori rom, in particolare le ragazze rom, in tutta Europa devono affrontare il peso aggiuntivo del razzismo e della discriminazione di genere, che li spinge ai margini delle loro società; sottolinea che i bassi livelli di istruzione, gli alti tassi di frequenza irregolare e di abbandono scolastico, i sistemi scolastici non inclusivi, gli alti tassi di disoccupazione e le scarse opportunità di lavoro privano i ragazzi e le ragazze rom di possibilità realistiche di integrazione e di piena partecipazione alla società; ricorda che, a causa della mancanza di documenti di identità, molte ragazze hanno difficoltà ad accedere all'istruzione, all'assistenza sanitaria e ad altri servizi correlati, e ricorda inoltre che l'aumento del razzismo e dell'antiziganismo incide sulla sicurezza delle ragazze rom, rendendole sempre più vulnerabili all'esclusione sociale, allo sfruttamento, alla tratta e alla violenza (1); 29. ritiene che la strategia dell'UE debba proporre un approccio inclusivo per proteggere i minori più vulnerabili, in linea con la Carta, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e i commenti generali del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, nonché gli obiettivi di sviluppo sostenibile e i relativi traguardi riguardanti i minori, senza lasciare indietro nessuno; ribadisce l'importanza di creare un ambiente sicuro per i minori vulnerabili e le loro famiglie attraverso investimenti sociali e riconosce che le condizioni abitative dei minori e delle famiglie dovrebbero essere riconosciute e integrate nella definizione di vulnerabilità; sottolinea l'importanza di sviluppare e rafforzare sistemi integrati nazionali e transnazionali di protezione dell'infanzia corredati di risorse e di meccanismi di attuazione e monitoraggio; 30. sottolinea che è importante che l'UE affronti nelle sue politiche interne ed esterne le barriere fisiche (infrastrutture carenti e geografia), tecnologiche (dispositivi a bassa funzionalità), culturali (norme sociali e di genere, pratiche culturali e disabilità o status di minoranza) e socioeconomiche che si frappongono alle tecnologie digitali; 31. sottolinea l'importanza per l'UE di investire nell'alfabetizzazione digitale al fine di garantire il libero accesso all'alfabetizzazione e all'istruzione digitali per tutti i minori, in particolare quelli provenienti da comunità poco servite o emarginate, concentrandosi sulla costruzione della loro resilienza e offrendo sostegno psicosociale; osserva che questi investimenti potrebbero essere effettuati come parte della nuova agenda delle competenze (1) https://rm.coe.int/l6800c0a86 RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 per l'Europa dello spazio europeo dell'istruzione e potrebbero beneficiare dei fondi di sviluppo e umanitari dell'UE; sottolinea che gli investimenti per garantire che i sistemi educativi possano fornire istruzione, alfabetizzazione e competenze digitali a tutti i minori sono fondamentali per promuovere la loro comprensione delle tecnologie digitali, superare le disuguaglianze, migliorare l'inclusione digitale, responsabilizzare e proteggere i minori e tutelare i loro diritti online e offline; ricorda che lo sviluppo dell'istruzione, dell'alfabetizzazione e delle competenze digitali dovrebbe fornire ai minori gli strumenti per combattere i pericoli dello spazio digitale e per gestire le loro responsabilità quando interagiscono al suo interno; 32. invita la Commissione a includere le opinioni dei minori stabilendo meccanismi formali di dialogo e consultazione e garantendo la loro piena e significativa partecipazione al processo decisionale, prestando particolare attenzione alle opinioni dei più vulnerabili, come le ragazze, i minori che vivono in povertà, i minori sfollati e migranti e quelli con disabilità; 33. invita la Commissione e gli Stati membri a porre in essere meccanismi specifici per valutare l'impatto della CovID-l9 su tutti i minori, al fine di raccogliere dati che permettano di migliorare la concezione dei piani d'azione nazionali per affrontare le problematiche che riguardano i minori sulla base delle loro opinioni; invita gli Stati membri ad adottare un approccio ai diritti dei minori nella definizione dei loro piani nazionali per la ripresa; 34. invita il Consiglio ad adottare conclusioni sulla strategia dell'UE che stabiliscano un nuovo quadro vincolante per le istituzioni e gli Stati membri dell'Unione, sul modello del consenso europeo in materia di sviluppo, e che garantiscano l'attuazione di sistemi nazionali e transnazionali integrati di protezione dei minori ben concepiti, completi e adeguatamente finanziati; 35. invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che i diritti dei minori siano prioritari e integrati in tutte le politiche, azioni e programmi interni ed esterni dell'UE che riguardano direttamente o indirettamente i minori, e ad assicurare la coerenza tra tutti i diversi strumenti; 36. invita la Commissione a mettere a punto un indicatore relativo all'infanzia nell'assegnazione delle sue dotazioni che consenta alle istituzioni e ai partner dell'Unione di misurare e monitorare gli investimenti dell'Unione a favore dei minori attraverso la raccolta di dati disaggregati e specifici, in modo da identificare gli scollamenti tra politica e impegni finanziari, fornendo così una stima dell'entità del sostegno dell'UE ai diritti dei minori; 37. invita gli Stati membri a elaborare un piano d'azione annuale per attuare quanto enunciato nella strategia dell'Unione europea sui diritti dei minori e integrare i loro piani d'azione nazionali nel piano dell'UE per la ripresa e la resilienza; 38. invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che la strategia dell'UE sui diritti dei minori sia adeguatamente finanziata, assicurando che gli strumenti di finanziamento interni ed esterni dell'UE, così come i bilanci nazionali, sostengano l'attuazione delle priorità stabilite nella strategia; 39. invita la Commissione a garantire un adeguato monitoraggio dell'attuazione della strategia dell'UE da parte degli Stati membri; ricorda la necessità di garantire una partecipazione significativa e inclusiva dei minori basata sui diritti durante l'intero processo di creazione e attuazione della strategia e di utilizzare parametri di riferimento e indicatori per monitorare meglio i progressi; 40. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri. ContEnziosonazionaLE La costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel processo “Eternit-bis” annotazione a Corte d’assiste di novara, ordinanza 5 luglio 2021, proC. n. 1/20 r.g. C.ass. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte d’Assise di Novara ha ammesso la costituzione come parte civile della Presidenza del Consiglio nel noto processo “Eternit-bis”. Si ritiene l’ordinanza particolarmente significativa, in quanto ben motivata nel rigettare le eccezioni sollevate dalla difesa dell’imputato, una per tutte quella relativa all’asserita nullità della costituzione per violazione dell’art. 78 c.p.p. per mancata indicazione dei dati anagrafici del Presidente del Consiglio. La Corte, anziché rifugiarsi -come fatto da altri Uffici Giudiziari -nella facile soluzione del “fatto notorio”, ha, si reputa, correttamente motivato la propria decisione, rilevando, fra l’altro, come “per gli enti pubblici il rapporto organico tra l’ufficio e la persona fisica ad esso preposta non integra l’istituto della rappresentanza in senso civilistico, per cui il rapporto di immedesimazione organica è chiaramente desumibile dall’indicazione generica e non nominativa”. Quanto all’eccezione sollevata in ordine alla mancata indicazione dei fatti costitutivi la pretesa risarcitoria, con conseguente difetto di legittimazione e interesse, la stessa Corte ha precisato che “la legittimazione dello stato va senz’altro ravvisata allorché risulti frust(r)ata la funzione di tutela della collettività, degli interessi all’equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo, ed altresì quando i danni non patrimoniali lamentati sono rappresentati da turbamenti morali, angoscia e sofferenza della collettività”. Gabriele Finelli* (*) Procuratore dello Stato, Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino. RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 Corte diassise di novara, ordinanza 5 luglio 2021, proc. n. 1/20 R.G.C.ass. -pres. Gianfranco Pezone. (...) sulla richiesta di esclusione della PREsiDEnza DEL ConsiGLio DEi MinistRi. Preliminarmente la difesa ha eccepito l'omessa indicazione ex art. 78 co. 1 lett. a) c.p.p. nel- l'atto di costituzione delle generalità del legale rappresentante, non essendo sufficiente l'indicazione espressa "in persona del Presidente pro tempore", posto che tale elemento, richiesto a pena di inammissibilità, non prevede alcuna distinzione tra enti pubblici e privati che devono essere egualmente rappresentati. Né potrebbe obiettarsi che il Presidente del C.d.M. è soggetto di pubblica fama, dal momento che le generalità non possono essere limitate al nome e cognome della persona interessata, fermo restando che, essendo straniero l'imputato, potrebbe non conoscere il Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Inoltre, in violazione dell'art. 78 co. 1 lett. d) c.p.p. manca nell'atto di costituzione l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda. L'Avvocatura dello Stato ha replicato rilevando che nell'atto di costituzione risulta inserita l'autorizazzione del Sottosegretario delegato con richiamo al DPCM pubblicato nella Gazzetta Ufficiale degli atti di delega, mentre l'estrema gravità dei reati contestati giustificano la costituzione di parte civile dello Stato Italiano. In ordine all'eccepito vizio formale della omessa indicazione nell'atto costitutivo delle generalità complete del legale rappresentate della Presidenza del Consiglio dei Ministri, indicato come Presidente del Consiglio p.t., anzi tutto deve premettersi che, secondo la disciplina di cui all'art. 1, co. 4, della L. 3 gennaio 1991, n. 3, la costituzione di parte civile delle amministrazioni dello Stato nei procedimenti penali è subordinata alla autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (o del Sottosegretario di Stato delegato) che, previo parere della competente Avvocatura dello Stato, autorizza la costituzione allorché sussistano interessi pubblici, patrimoniali e non patrimoniali, di rilevanza tale da rendere opportuno che l'Avvocatura dello Stato affianchi l'azione del Pubblico Ministero. Ai fini dell'azione civile non può ravvisarsi il difetto di legittimazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri (o anche solo di un Ministro) per mancanza della indicazione nominativa della persona rappresentante l'autorità che agisce giudizialmente, in quanto, per gli enti pubblici il rapporto organico tra l'ufficio e la persona fisica ad esso preposta non integra l'istituto della rappresentanza in senso civilistico, per cui il rapporto di immedesimazione organica è chiaramente desumibile dalla indicazione generica e non nominativa. Il riferimento alla denominazione della carica in cui si estrinseca la soggettività giuridica del- l'ente, in modo che non possa sorgere alcun equivoco sulla sua identità, rende non necessaria l'indicazione del nominativo della persona fisica titolare dell'organo o dell'ufficio investito della rappresentanza dell'ente, stante il rapporto d'immedesimazione dell'organo o ufficio con l'ente, la cui personalità giuridica permane nonostante il mutamento della persona fisica del titolare, il quale, pertanto, può ben essere indicato con la generica dizione "pro tempore". Sicché, nel caso di specie, la provenienza dell'atto di costituzione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al cui "Presidente del Consiglio pro tempore" va ascritta -senza necessità di indicazione nominativa -la rappresentanza organica quale organo esponenziale dello Stato, si desume agevolmente dalla stessa costituzione della Avvocatura dello Stato (cfr., Cass. civ., 5 giugno 2006, n. 13207). CoNTENzIoSo NAzIoNALE In ogni caso, l'atto di rinnovazione della costituzione di parte civile depositata all'udienza dibattimentale contiene -analogamente a quello depositato in precedenza davanti al GUP l'espresso riferimento all'autorizzazione sottoscritta in data 8 aprile 2020 dal competente Sottosegretario di Stato on. Riccardo Fraccaro in forza di delega conferitagli con DPCM 19 settembre 2019, pubblicato in G.U. n. 244 del 17 ottobre 2019, dal Presidente del Consiglio dei Ministri Conte. Pertanto si deve ritenere che siano state indicate le generalità del Presidente del Consiglio, anche con riferimento agli atti allegati e/o conoscibili per come menzionati e richiamati nel- l'atto di costituzione, tale da consentire in modo adeguato e concreto di individuare le generalità (ovvero la persona fisica) del legale rappresentante dell'ente costituito. Rimane poi irrilevante l'omessa indicazione, della data e del luogo di nascita, trattandosi di carica istituzionale di assoluta notorietà anche internazionale, rispetto alla quale perde ogni concreto significato individualizzante l'indicazione dei restanti dati anagrafici. Risulta altresì adeguatamente allegata nell'atto di costituzione dell'Avvocatura dello Stato la causa petendi, ovvero la ragione della domanda spiegata in giudizio, individuata nella sofferenza causata alla popolazione per i fatti di omicidio contestati, commessi con condotte che, in un ampio arco temporale, hanno causato dapprima la malattia e poi la morte di un numero assai elevato di persone. -. La legittimazione dello Stato va senz'altro ravvisata allorché risulti frustata la funzione di tutela della collettività, degli interessi all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo, ed altresì quando i danni non patrimoniali lamentati sono rappresentati da turbamenti morali, angoscia e sofferenza della collettività. Dunque deve essere rigettata la richiesta dì esclusione di parte civile formulata dalla difesa. (...) RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 immobili confiscati alla criminalità organizzata: irrilevanza del giudizio pendente innanzi alla Corte di strasburgo annotazione a Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 7 giugno 2021 n. 4297 La favorevole sentenza del Consiglio di Stato del 7 giugno 2021, n. 4297, con ampia motivazione che ricostruisce la giurisprudenza in materia, ha respinto l’appello avversario ritenendo irrilevante l’omessa notifica dell’ordinanza di sgombero dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata alla effettiva proprietaria dell’immobile, costituendo l’intestazione nominale alla stessa una mera interposizione fittizia, come accertato in via definitiva dal provvedimento di confisca, a seguito del quale il cespite è stato acquisito alla proprietà dello Stato. Il Consiglio di Stato ha ritenuto inoltre non ostativa all’esecuzione del- l’ordinanza di sgombero dell’immobile la pendenza del ricorso alla Cedu a seguito dell’esaurimento dei rimedi interni atteso che “il giudice delle leggi ha statuito che pur in presenza di una favorevole sentenza della Cedu nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza convenzionale non emerge, allo stato, l’esistenza di un cogente obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo, e che la decisione di prevederla è rimessa agli Stati contraenti, i quali peraltro sono incoraggiati a provvedere in tal senso, pur con la dovuta attenzione per i vari e confliggenti interessi in gioco. In siffatte evenienze, nel nostro ordinamento la riapertura del processo non penale, con il conseguente travolgimento del giudicato, esige, dunque, una delicata ponderazione, alla luce dell'art. 24 Cost., fra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi, e tale ponderazione spetta in via prioritaria al legislatore (cfr. Corte Cost. n. 123 del 26 maggio 2017 e n. 93 del 21 marzo 2018)”. Wally Ferrante* Consiglio di stato, sezione terza, sentenza 7 giugno 2021 n. 4297 -pres. G. veltri, est. U. Maiello -omissis (avv. D. Andreoli) c. Min. Interno (n.c.), Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Avv. gen. Stato). FATTo e DIRITTo 1. All’esito di un giudizio di prevenzione promosso ai sensi del d.lgs. n. 159/2011, il Tribunale di Cagliari, con decreto del -oMISSIS-, ha disposto la confisca di alcuni beni immobili tra cui il fabbricato sito in -oMISSIS-, adibito a domicilio della famiglia degli appellanti e già intestato a -oMISSIS-, al tempo dell’acquisto ancora minorenne. (*) Avvocato dello Stato. CoNTENzIoSo NAzIoNALE 1.1. Avverso il predetto provvedimento di confisca, i signori -oMISSIS-, in proprio e nella loro qualità di genitori esercenti la potestà sulle figlie minori, hanno esperito i rimedi impugnatori previsti dall’ordinamento (ricorso alla Corte d’Appello e ricorso per Cassazione) che, tuttavia, sono stati respinti. In data -oMISSIS-, la signora -oMISSIS-ha, altresì, proposto ricorso alla Corte di Strasburgo ed il relativo giudizio è tuttora pendente. 1.2. Muovendo dagli esiti del procedimento di prevenzione, con ordinanza del -oMISSIS-, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata ha, dunque, disposto, ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 159/2011, lo sgombero dell’immobile sito in -oMISSIS-. 2. Il suddetto provvedimento veniva gravato dinanzi al TAR per il Lazio che, con la sentenza n. -oMISSIS-, resa in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., e qui appellata, respingeva il ricorso. 3. Avverso il suindicato decisum gli appellanti hanno articolato i seguenti motivi di censura: I) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà ed illogicità della sentenza nella parte in cui omette di rilevare la mancata e, comunque, erronea ottemperanza da parte dell’Agenzia dell’ordinanza del TAR in merito al “se e come l’agenzia abbia valutato l’istanza del -oMissis-, presentata da parte del ricorrente alla agenzia ai sensi dell’art. 45 bis del d.l.vo 159/2011 (doc. 16 di parte ricorrente)”; II) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà ed illogicità manifesta della sentenza del TAR nella parte in cui asserisce il contrario della precedente ordinanza (n. -oMISSIS-) resa nel giudizio di cui è causa, per cui il mancato riscontro da parte dell’Agenzia alla istanza di differimento dello sgombero non avrebbe alcuna valenza; III) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza del TAR nella parte in cui ritiene insussistente, nella specie, il dedotto difetto di notificazione dell’ordinanza di sgombero alla proprietaria -oMISSIS-unica ed effettiva proprietaria del bene oggetto di sgombero; Iv) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza del TAR nella parte in cui ritiene insussistente, nella specie, il dedotto difetto di istruttoria e di motivazione, nonché la palese carenza dei presupposti, di fatto e di diritto, per la legittima adozione del provvedimento di sgombero; v) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza del TAR nella parte in cui omette di considerare le ragioni di convenienza per l’interesse pubblico derivanti dalla sospensione e/o differimento del provvedimento di sgombero; vI) violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.p.a. violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza del TAR nella parte in cui ritiene che la mancata adozione del provvedimento di destinazione del bene non violi le prescrizioni di cui all’art. 47 e art. 48 del d.lgs. n. 159/2011. 3.1. Si è costituita in giudizio l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, che ha concluso per il rigetto del ricorso siccome infondato. 3.2. Con l’ordinanza cautelare n. -oMISSIS-questa Sezione, all’esito dell’udienza del 13 giugno 2019, ha respinto l’istanza di sospensione della sentenza di primo grado. 3.3. All’udienza del 27 maggio 2021, svolta in modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione. 4. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto. 5. Gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza gravata indugiando sul fatto che il TAR RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 avrebbe omesso di rimarcare l’elusione, da parte dell’Agenzia intimata, dell’ordine istruttorio impartito dallo stesso TAR ed avente ad oggetto l’istanza di differimento del 21 dicembre 2017 presentata dalla signora -oMISSIS-ai sensi dell’art. 45-bis del d.lgs. n. 159/2011. Non corrisponderebbe al vero quanto affermato dall’Amministrazione nella parte in cui ha affermato che “agli atti dell’agenzia non risulta alcuna istanza del 19/ -oMissis-presentata dalla sig.ra -oMissis-” poiché tale domanda sarebbe stata consegnata a mano dalla ricorrente al coadiutore -oMISSIS-e, per il tramite di quest’ultimo, all’Agenzia. Ciò sarebbe facilmente riscontrabile sia dalla corrispondenza versata in atti, sia dalla mail del dott. -oMISSIS-in cui quest’ultimo afferma che “per quanto concerne la richiesta di utilizzo dell’immobile da parte della signora -oMissis-è stata inviata alla dr.ssa -oMissis-, funzionario competente in precedenza, in data -oMissis-”. Secondo gli appellanti, lo sgombero disposto con il provvedimento impugnato non rappresenterebbe l’unica misura praticabile poiché l’Agenzia avrebbe potuto differirlo fino alla disposizione di una nuova soluzione abitativa e, comunque, fino alla pronuncia della Corte EDU sulla causa -oMISSIS-c. Italia. Risulterebbe, dunque, violato l’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990 con conseguente lesione del diritto inviolabile all’abitazione della famiglia appellante (art. 47 Cost.). Anche a voler ritenere che il riscontro all’istanza suddetta sia stato fornito dall’Agenzia “per fatti concludenti” resterebbero, comunque, disattesi l’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.). Per le ragioni suddette, non sussistevano i presupposti per l’adozione di una sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. e ciò ha compromesso il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. 5.1. Soggiungono gli appellanti che la sentenza gravata sarebbe, altresì, contraddittoria rispetto alla menzionata ordinanza cautelare con cui lo stesso giudice di prime cure ordinava all’Agenzia documentati chiarimenti al fine di “chiarire, in particolare, se e come l’agenzia abbia valutato l’istanza del -oMissis-, presentata da parte ricorrente alla agenzia ai sensi dell’art. 45 bis del d.l.vo 159/2011”. Non sarebbe, pertanto, corretta la statuizione del TAR secondo cui “la pretesa dei ricorrenti di ottenere un differimento dello sgombero non aveva quindi fondamento normativo, e correlativamente l’agenzia non era onerata di evadere la richiesta con un provvedimento esplicito”, poiché, ai sensi dell’art. 45-bis del d.lgs. n. 159/2011, l’Agenzia può concedere il differimento dello sgombero anche qualora lo ritenga opportuno in vista dei provvedimenti da adottare e, dunque, a prescindere dal tipo di soggetto occupante il bene immobile. Ciò anche in considerazione del fatto che il provvedimento di destinazione del bene deve essere ancora adottato e si tratta dell’unica dimora a disposizione della famiglia -oMIS- SIS-; in definitiva, l’Agenzia ben avrebbe potuto differire il provvedimento di sgombero. 5.2. Le osservazioni censoree, sopra richiamate in via di sintesi, possono essere qui trattate congiuntamente in quanto riferite al medesimo tema di discussione. Com’è noto, ai sensi dell’art. 45-bis del d.lgs. 159/2011, “l’agenzia, ricevuta comunicazione del provvedimento definitivo di confisca, qualora l’immobile risulti ancora occupato, con provvedimento revocabile in ogni momento, può differire l’esecuzione dello sgombero o del- l’allontanamento nel caso previsto dall’articolo 40, comma 3-ter, ovvero qualora lo ritenga opportuno in vista di provvedimenti di destinazione da adottare”. Correttamente il Giudice di prime cure ha rilevato che la pretesa dei ricorrenti di ottenere il differimento dello sgombero non aveva alcun fondamento normativo poiché il differimento può essere disposto dall’Agenzia solo nei confronti di categorie di soggetti ben definite (cfr. combinato disposto di cui all’art. 40 comma 3 ter e 48 comma 3 lettera c) a favore dei quali l’amministratore giudiziario abbia in precedenza concesso il godimento del bene con contratto di comodato oppure qualora CoNTENzIoSo NAzIoNALE si ravvisi una ragione di opportunità in vista di provvedimenti di destinazione da adottare. Diversamente, come si ricava dall’art. 40, commi 3-bis e ss., del d.lgs. n. 159/2011, i beni, al momento in cui la confisca diviene definitiva, devono essere sgomberati, come peraltro fatto palese dal principio generale di cui all’articolo 45 comma 1, primo periodo, secondo cui “a seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello stato liberi da oneri e pesi”. La possibilità di differimento dello sgombero, prevista dall'art. 45-bis del d.lgs. 159/2011 deve, dunque, intendersi volta al perseguimento delle finalità pubblicistiche di destinazione del bene e dunque non radica alcun obbligo (onere) di comparazione degli interessi atteso che, diversamente opinando, si vanificherebbe la ratio delle previsioni sulla destinazione finale dei beni di cui all'art. 48. va rilevato, in definitiva, che, alla stregua della richiamata disciplina di settore, l’immediato sgombero dell’immobile oggetto di confisca definitiva costituisce la regola. Tale principio patisce eccezione solo a favore di determinati soggetti ovvero per ragioni di convenienza per l’interesse pubblico che chiaramente non devono coincidere con le esigenze degli occupanti dell’immobile e che, come si dirà, non derivano neppure dalla pendenza della causa -oMISSIS- c. Italia dinanzi alla Corte di Strasburgo. La mancanza di un provvedimento esplicito in risposta all’istanza presentata dalla signora oMISSIS-, quindi, non determina alcuna illegittimità poiché, non risultando ragioni di pubblico interesse e non rientrando gli appellanti tra i soggetti di cui all’art. 40, comma 3-ter, del d.lgs. n. 159/2011, l’Agenzia non aveva l’onere di valutare l’opportunità di lasciare il ricorrente nel godimento dell’immobile né di fornire una risposta esplicita ad un’istanza priva di fondamento normativo. Né può essere obliato che, in data 18 dicembre 2017, gli Amministratori giudiziari del procedimento si sono recati presso l’immobile in questione per comunicare alla signora oMISSIS- la definitività della confisca e la conseguente necessità di rilasciare l’abitazione. E tale approdo è coerente con i principi predicabili in subiecta materia (cfr. Cons. St., sez. III, 10 aprile 2019, n. 2364; 27 novembre 2018, n. 6706), secondo cui: -l'adozione dell'ordinanza di sgombero costituisce per l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, atto dovuto, ai sensi dell'art. 47, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dovendo l'Agenzia comunque assicurare al patrimonio indisponibile dello Stato i beni stessi per la successiva destinazione a finalità istituzionali e sociali, sottraendoli ai soggetti nei confronti dei quali è stata applicata, in via definitiva, la misura patrimoniale e che pertanto il provvedimento non necessita di ulteriore motivazione; -l'Agenzia ha il potere-dovere di ordinare di lasciare libero il bene, avendo quest’ultimo acquisito, per effetto della confisca, un'impronta rigidamente pubblicistica, che non consentirebbe di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, che determinano l'assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile; -il dovere dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di ordinare di lasciare libero il bene confiscato non è condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione dello stesso; -non occorre inviare l'avviso di avvio del procedimento previsto dall'art. 7 della legge n. 241/1990. Pertanto, non vi è necessità di comparare l'interesse pubblico alla acquisizione della disponibilità materiale del bene con quello privato alla conservazione di un immobile, non essendo in capo agli occupanti configurabile una posizione giuridica meritevole di tutela, con riferimento non solo all'an ma anche al quando della consegna (cfr. Cons. Stato, III, n. 6706/2018, RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 n. 6193/2018 e n. 5669/2018 -con riferimento, rispettivamente, alla posizione dell'erede del soggetto prevenuto, del locatario e del sublocatario), neanche avuto riguardo ad esigenze, pur comprensibili dal punto di vista umano, come quelle che fanno riferimento alle esigenze familiari. 6. Sotto distinto profilo, gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ritiene insussistente il dedotto difetto di notificazione dell’ordinanza di sgombero a oMISSIS-, unica ed effettiva proprietaria del bene oggetto di sgombero in forza dell’atto di compravendita del 19 giugno 2003. 6.1. Sul punto, si rivela dirimente la circostanza che l’avversato titolo ingiuntivo trae alimento delle risultanze consacrate nel decreto di confisca, oramai definitivo, e del quale costituisce mero sviluppo esecutivo. orbene, nel costrutto recepito nel divisato provvedimento giurisdizionale, il cespite in argomento risultava riconducibile al -oMISSIS-siccome ricadente nella sua effettiva disponibilità, costituendo la sua intestazione nominale alla -oMISSIS-una mera forma di interposizione fittizia. Conseguentemente, non si rileva alcuna lesione del diritto all’abitazione e del diritto alla proprietà di -oMISSIS-, poiché quest’ultima non era in possesso di un valido titolo di disponibilità del bene immobile che, per effetto della confisca definitiva, è stato acquisito alla proprietà dello Stato (Cfr. Cons. St., Sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7867) e, come previsto all’articolo 45 comma 1, primo periodo, libero da oneri e pesi. 6.2. Deve, pertanto, ritenersi del tutto coerente con le suddette premesse l’opzione esercitata dalla qui intimata Agenzia di orientare l’esercizio della pretesa di rilascio nei confronti del -oMISSIS-, siccome già effettivo dominus dell’immobile e, comunque, colui che ne poteva concretamente disporre. Tanto vieppiù è a dirsi alla data di adozione dell’atto di sgombero, considerata l’oramai maturata ablazione del diritto proprietario di cui la sig.ra -oMISSIS-era (formalmente) titolare, risultando reciso qualsivoglia legame, anche formale, con il precedente assetto proprietario ed in considerazione della riconducibilità del possesso del cespite ai genitori della sig.ra -oMISSIS-, all’epoca ancora minorenne. 7. Parimenti non hanno pregio le doglianze con cui gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ritiene insussistenti il difetto di istruttoria e di motivazione nonché la dedotta carenza dei presupposti per la legittima adozione dell’ordinanza di sgombero. Ad avviso degli appellanti il decreto che ha disposto la confisca dei beni sequestrati non potrebbe essere eseguito in quanto non ancora definitivo, essendo la questione tuttora pendente innanzi alla Corte di Strasburgo. Ritengono gli appellanti che vi sarebbe la concreta “….. possibilità di ottenere un giudizio favorevole da parte della Corte edu e, quindi, la conseguente probabilità che il provvedimento che ha disposto la confisca dei beni sequestrati -tra cui l’immobile sito in -oMissis--e la relativa pronuncia della Corte di Cassazione vengano messi in discussione”. Tanto discenderebbe, nel costrutto giuridico attoreo, anche dalla pronuncia della Corte costituzionale, n. 113/2011, con la quale il giudice delle leggi, al fine di sopperire all’inerzia del legislatore nel confezionare appropriati strumenti per assicurare la conformazione dell’ordinamento nazionale alle decisioni della Corte di Strasburgo (vincolanti ai sensi dell’art. 46 CEDU), ha dichiarato la “illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”. CoNTENzIoSo NAzIoNALE 7.1. La pur suggestiva prospettazione degli appellanti non può essere condivisa, dovendo qui ribadirsi che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo a seguito e per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione del 16 febbraio 2017 che ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da -oMISSIS-ed altri avverso il decreto della Corte d’Appello n. 13/2016 del 17 giugno 2015. Né la definitività del provvedimento di confisca può essere posta in discussione a cagione della pendenza del ricorso presentato dinanzi alla Corte EDU. L’opzione alternativa suggerita contrasta, invero, con il principio di tipicità e tassatività delle impugnazioni. D’altro canto, come ammesso dagli stessi appellanti, “l’avvenuto esaurimento dei rimedi interni rappresenta, infatti, condizione imprescindibile di legittimazione per il ricorso alla Corte di strasburgo (art. 35, paragrafo 1, della Cedu): con la conseguenza che quest’ultima si pronuncia, in via di principio, su vicende già definite a livello interno con decisione irrevocabile”. È pur vero che, in termini generali, la specifica giurisprudenza della Cedu, anche relativamente ai processi civili e amministrativi, ha progressivamente individuato nella riapertura del processo o nel riesame del caso la soluzione maggiormente idonea a garantire, in uno con la effettività del sistema convenzionale, la restitutio in integrum in favore delle vittime delle violazioni processuali non altrimenti rimediabili. Ciò nondimeno, nella declinazione applicativa del suddetto principio il giudice delle leggi ha statuito che, pur in presenza di una favorevole sentenza della Cedu, nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza convenzionale non emerge, allo stato, l'esistenza di un cogente obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo, e che la decisione di prevederla è rimessa agli Stati contraenti, i quali, peraltro, sono incoraggiati a provvedere in tal senso, pur con la dovuta attenzione per i vari e confliggenti interessi in gioco. In siffatte evenienze, nel nostro ordinamento la riapertura del processo non penale, con il conseguente travolgimento del giudicato, esige, dunque, una delicata ponderazione, alla luce del- l'art. 24 Cost., fra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi, e tale ponderazione spetta in via prioritaria al legislatore (cfr. Corte Costituzionale, n. 123 del 26 maggio 2017, n. 93 del 21 marzo 2018). Il portato di tale approdo giurisprudenziale è, dunque, che, ad oggi, non vi è obbligo di riaprire i processi (civili ed amministrativi) pur in presenza di un giudicato Cedu e, di conseguenza, la mancata previsione non può dirsi in contrasto con l’art. 117 Cost. per violazione del parametro interposto dato dall’art. 46, paragrafo 1, della CEDU. vale, per completezza, soggiungere che la Consulta, richiamando con il suindicato decisum un proprio precedente (sentenza n. 210 del 2013), ha, altresì, precisato, rispetto ai casi non sottoposti alla Corte Edu, che il suddetto rimedio (id est obbligo di riapertura del processo), posto dall'art. 46 della CEDU, «nel significato attribuitole dalla Corte di Strasburgo, non concerne i casi, diversi da quello oggetto della pronuncia, nei quali per l'ordinamento interno si è formato il giudicato» . Ancora di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. sez. un., 11 aprile 2018, n. 8984) hanno evidenziato quanto segue “nè, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dal- l'art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali. sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell'appello e del RASSEGNA AvvoCATURA DELLo STATo -N. 1/2021 ricorso per cassazione (conf. Cass., sez. u., n. 30994/2017, cit.). inoltre, quanto all'effettività della tutela giudiziaria, anche la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l'ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust., 03/09/2009, olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 16/03/2006, Kapferer; conf. Corte edu, 28/07/1998, omar c. Francia; 27/03/2014, erfaravef c. grecia; 03/07/2012, radeva c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di "sviste" o di "puri equivoci" senza che rilevino a pretesi errori di valutazione (Corte cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009; conf. Cass., sez. u., n. 30994/2017, cit.)”. D’altro canto, il dato qui dirimente è legato alla definitività del provvedimento di confisca. La prospettata “revisione europea”, ad oggi non attuale, dovrebbe semmai accreditarsi, de iure condendo, come un rimedio straordinario e, dunque, implicherebbe comunque l’irrevocabilità della decisione su cui intervenire. In tal senso è di conforto l’orientamento già espresso da questa Sezione (cfr. Cons. St., Sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7866), i cui principi, tuttora condivisi, devono intendersi qui richiamati. 8. Gli appellanti impugnano la sentenza gravata anche nella parte in cui omette di considerare le ragioni di convenienza per l’interesse pubblico derivanti dal differimento del provvedimento di sgombero. Nella prospettazione attorea, qualora la Corte EDU dovesse ritenere fondato il ricorso proposto dalla signora -oMISSIS-, le misure che lo Stato dovrebbe adottare per risarcire la famiglia -oMISSIS-sarebbero più gravose per le casse pubbliche rispetto ad un immediato differimento del provvedimento di sgombero. Sotto distinto profilo, risulta attratta nel fuoco della contestazione attorea l’affermazione del TAR secondo cui non sarebbe “ravvisabile illegittimità alcuna della ordinanza di sgombero per il fatto che il decreto di confisca sarebbe stato comunicato alla agenzia mediante una nota informativa dei Carabinieri, anziché dalla cancelleria del giudice che l’ha disposta”, in violazione degli artt. 45, comma 2, e 47, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011. Inoltre, sarebbe erroneo l’assunto dell’Amministrazione secondo cui l’immobile risulta “abusivamente occupato sine titulo” poiché la signora -oMISSIS-e le sue figlie, non disponendo di una soluzione abitativa alternativa, sono state autorizzate a continuare ad utilizzare l’unità immobiliare dall’ordinanza del Gip presso il Tribunale di Cagliari del 6 maggio 2013. 8.1. Sul primo punto va qui ribadita l’insussistenza dei presupposti per il differimento del- l’ordinanza di sgombero, siccome atto dovuto, e l’irrilevanza della pendenza del ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo. D’altro canto, la disciplina di settore è permeata dall’interesse pubblico primario di contrastare la criminalità organizzata attraverso l’eliminazione dal mercato, ottenuta con il provvedimento ablatorio finale, di un bene di provenienza illecita (Cfr., Cons. St., Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 926). 8.2. Pienamente condivisibile si rivela, altresì, la statuizione del TAR secondo cui non è “ravvisabile illegittimità alcuna della ordinanza di sgombero per il fatto che il decreto di confisca sarebbe stato comunicato alla agenzia mediante una nota informativa dei Carabinieri, anziché dalla cancelleria del giudice che l’ha disposta”. È, infatti, di tutta evidenza il rilievo assorbente che assumono, ai fini qui in rilievo, l’esistenza, la definitività e la piena efficacia del provvedimento di confisca. va, inoltre, soggiunto che la doglianza è infondata anche in punto di fatto dal momento che fin dal 23 febbraio 2017 risultava acquisita dall’Agenzia la rituale comunicazione della Corte Suprema di Cassazione, Sezione II Penale, della definitiva confisca qui in rilievo. CoNTENzIoSo NAzIoNALE 8.3. Né peraltro può ritenersi erronea l’affermazione dell’Amministrazione secondo la quale l’immobile risultava occupato “sine titulo”. Come già rilevato, alla confisca definitiva del bene consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene, a nulla rilevando, dunque, neppure la precedente ordinanza del 2013 con cui il Gip presso il Tribunale di Cagliari aveva autorizzato la signora -oMISSIS-e le sue figlie a continuare ad utilizzare l’immobile ai fini abitativi. Tanto più che lo stesso GIP, con decreto del 15 giugno 2017, ha dichiarato cessata, a seguito della definitività della confisca, l’amministrazione giudiziaria. 9. Anche le residue doglianze non hanno fondamento. Ai sensi dell’art. 47 comma secondo ultimo periodo del d.lgs. 159/2011 “anche prima dell’adozione del provvedimento di destinazione, per la tutela dei beni confiscati si applica il secondo comma dell'articolo 823 del codice civile”. L’art. 48, comma 3, lett. a), b), c), c-bis) e d) poi, elenca le destinazioni che l’Agenzia può imprimere ai beni immobili confiscati. Tali disposizioni non risultano in alcun modo violate dall’Agenzia poiché, come correttamente rilevato dal TAR, le stesse non subordinano la possibilità di effettuare lo sgombero del bene confiscato alla individuazione della sua destinazione finale. A seguito della confisca, l’Amministrazione ha il potere-dovere di ordinare di lasciare libero il bene e “tale potere dovere non è in alcun modo condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione dello stesso (Cons. st., sez. iii, 23 giugno 2014, n. 3169); infatti il potere/dovere di tutelare il demanio dello stato di cui si tratta (art. 2-nonies, comma 1, primo periodo, l. 31 maggio 1965, n. 575) in via di autotutela (c.d. autotutela esecutiva) prescinde del tutto dal provvedimento di destinazione (art. 2-decies, commi 2 e 3, l. n. 575 del 1965), il quale consegue ad un diverso procedimento, da attivare successivamente alla definitività della confisca, con riferimento ad un bene, che deve risultare libero da precedenti usi e destinazioni” (Cfr. CdS, Sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7866, 22 ottobre 2020, n. 6387). In conclusione, per i suesposti motivi, l'appello va respinto. Le spese, in ragioni della peculiarità della vicenda qui in rilievo, possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti e le altre persone menzionate. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2021, svolta in modalità da remoto. LegIsLAzIOneeDAttUALItà Un diritto per il “dopoguerra”. Aspetti della legislazione emergenziale anti COVID-19 da rendere stabili ed ordinari Michele Gerardo* SommArio: 1. introduzione -2. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti formali -3. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti sostanziali -4. Snellimento delle modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali -5. (segue) Snellimento delle modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali. Stabilizzare a regime alcune novità delle misure emergenziali -6. Lavoro agile (smart working) -7. (segue) Lavoro agile (smart working). rendere il lavoro agile la modalità ordinaria per lo svolgimento del rapporto di lavoro -8. interconnessione delle attività -9. Semplificazione normativa in materia di contratti pubblici. 1. introduzione. In Italia, durante la prima guerra mondiale, si ebbe una legislazione d’emergenza tesa, da una parte, a veicolare dirigisticamente la macchina produttiva al massimo sforzo per sostenere l’impegno bellico e, dall’altra, a tutelare i bisogni e le necessità economiche dei ceti popolari (provvidenze per gli impiegati, i combattenti ed i reduci; prezzi amministrati dei beni di largo consumo; disciplina imperativa di locazioni e fitti, ecc.). L’effetto della legislazione speciale bellica fu una notevole limitazione dell’autonomia privata e venne scosso il tradizionale primato del diritto privato. I civilisti -tra cui Filippo Vassalli e Francesco Ferrara, con scritti del 1918 -avvertirono che le leggi speciali introducevano nuovi e fecondi principi di disciplina. Il Ferrara classificò le varie norme di guerra in quattro categorie: 1) disposizioni eccezionali di guerra; 2) principi di diritto comune sorti in oc(*) Avvocato dello Stato. Le opinioni espresse nel presente scritto impegnano esclusivamente l’Autore. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 casione della guerra; 3) germi di nuovo diritto; 4) principi speciali destinati a reggere i rapporti del dopoguerra o, più esattamente, a regolare in futuro le situazioni ereditate dal conflitto bellico. Con la fine della guerra, parte della legislazione speciale venne stabilizzata, contribuendo alla evoluzione del diritto, specie privato, ed alla innovazione della vita giuridica del paese (1). dopo cento anni, da marzo 2020, il nostro Paese sta combattendo un’altra guerra -senza scontri bellici, ma non meno cruenta, sotto il profilo del numero dei morti (2) e delle patologie fisiche e morali -contro un nemico insidioso: il CoVId-19. Anche durante questa guerra si è avuta una legislazione d’emergenza per contenere il contagio da CoVId-19 e rimediare alle conseguenze pregiudizievoli arrecate all’economia, al tessuto sociale ed alla macchina amministrativa del Paese. La legislazione per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da CoVId -a comprova che di fronte ad analoghe problematiche vi sono analoghe risposte -presenta caratteri e spunti richiamanti quella intervenuta nel corso del primo conflitto mondiale. 2. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti formali. La normativa per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da CoVId intervenuta dal marzo del 2020, da un punto di vista formale, si è manifestata in due tipologie di fonti: a) legislazione primaria, quasi esclusivamente consistente nella adozione di decreti legge. Ne sono stati adottati numerosissimi dal marzo 2020 ad oggi, dal contenuto vario. Il testo del decreto legge a volte si dipana in alcune centinaia di articoli. In alcuni casi il decreto legge non è stato convertito, oppure è stato espressamente abrogato. La legislazione per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da CoVId, da un punto di vista stilistico, non è rispettosa dei principi di chiarezza e sinteticità (3). Il contenuto delle disposizioni è verboso, in linea con la tecnica della provvedimentalizzazione del contenuto della legge, di frequente utilizzo negli ultimi quarant’anni, e segno del degrado della qualità della normazione. trattasi di normativa altresì frenetica, con testi normativi che rincorrono altri testi normativi, per integrare, correggere, abrogare disposizioni. Vi sono state disposizioni modificate od abrogate il giorno successivo alla pubblica (1) Su tali aspetti: S. PugLIAttI, La proprietà nel nuovo diritto, giuffré, 1954, p. VI; C. ghISALbertI, La codificazione del diritto in italia 1865-1942, Laterza, 1985, pp. 198-205; N. IrtI, Scuole e figure del diritto civile, II edizione, giuffré, 2002, pp. 59-60. (2) Circa 127.000 deceduti a metà giugno 2021. (3) Sui quali: M. gerArdo, Chiarezza e concisione degli atti giuridici, in rass. Avvocatura Stato, 2019, 1, pp. 223-252. LegISLAzIoNe ed AttuALItà zione sulla gazzetta ufficiale (4), con l’effetto di constatare che uno yogurt ha un durata maggiore della legge; b) adozione di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.), sulla base di una previsione contenuta nella legislazione primaria (5). In specie, con il d.L. 25 marzo 2020, n. 19, conv. L. 22 maggio 2020, n. 35 si è disposto testualmente: “Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus CoViD-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2021, termine dello stato di emergenza, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus” (art. 1, comma 1) (6); “Per la durata dell'emergenza di cui al (4) L’art. 1, comma 8, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 è stato modificato con l’art. 1 d.L. 31 dicembre 2020, n. 182. Quest’ultimo, ossia il d.L. n. 182/2020, a sua volta, è stato abrogato dall'art. 1, comma 3, L. 26 febbraio 2021, n. 21. (5) Per uno sguardo d’insieme sulla problematica: S. PIzzorNo, Covid-19 e ordinanze del Governo. in particolare, i decreti del Presidente del Consiglio quali strumento necessario per far fronte alla pandemia, in rass. Avvocatura Stato, 2020, 1, pp. 257-267. (6) Il comma 2 prevede: “Ai sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più tra le seguenti misure: [segue un corposo elenco tra cui] a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni. Ai soggetti con disabilità motorie o con disturbi dello spettro autistico, con disabilità intellettiva o sensoriale o con problematiche psichiatriche e comportamentali con necessità di supporto, certificate ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è consentito uscire dall'ambiente domestico con un accompagnatore qualora ciò sia necessario al benessere psicofisico della persona e purché siano pienamente rispettate le condizioni di sicurezza sanitaria; b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree da gioco, ville e giardini pubblici o altri spazi pubblici; c) limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali, nonché rispetto al territorio nazionale;[…] e) divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus;[…] g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione o di assembramento in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso; h) sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell'ingresso nei luoghi destinati al culto; […] i) chiusura di cinema, teatri, sale da concerto, sale da ballo, discoteche, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, centri culturali, centri sociali e centri ricreativi o altri analoghi luoghi di aggregazione; […] o) possibilità di disporre o di demandare alle competenti autorità statali e regionali la limitazione, la riduzione o la sospensione di servizi di trasporto di persone e di merci, automobilistico, ferroviario, aereo, marittimo, nelle acque interne, anche non di linea, nonché di trasporto pubblico locale; in ogni caso, la prosecuzione del servizio di trasporto delle persone è consentita solo se il gestore predispone le condizioni per garantire il rispetto di una distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; p) sospensione dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 comma 1, può essere imposto lo svolgimento delle attività non oggetto di sospensione in conseguenza dell'applicazione di misure di cui al presente articolo, ove ciò sia assolutamente necessario per assicurarne l'effettività e la pubblica utilità, con provvedimento del prefetto, assunto dopo avere sentito, senza formalità, le parti sociali interessate” (art. 1, comma 3); “Le misure di cui all'articolo 1 sono adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, […]” (art. 2, comma 1); “i provvedimenti emanati in attuazione del presente articolo sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana e comunicati alle Camere entro il giorno successivo alla loro pubblicazione. il Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate ai sensi del presente decreto” (art. 2, comma 5). Il d.P.C.M., fonte secondaria, ha la qualità di ordinanza di necessità e di urgenza, atteso che per previsione legislativa può -a date condizioni -derogare alla disciplina contenuta in norme scaturenti da fonti primarie ed altresì, a fortiori, in fonti subordinate alle primarie. Le ordinanze di necessità e di urgenza (cd. extra ordinem) sono atti di autorità amministrative adottabili, sul presupposto della necessità e dell’urgenza del provvedere, per far fronte ad un pericolo di danno grave ed imminente per la generalità dei cittadini, con contenuto discrezionalmente determinabile e non prestabilito dalla legge. Si ritiene che loro attributo sia anche quello di incidere derogatoriamente e sospensivamente sulla legislazione in vigore. Circa la compressione di disposizione legislative, l’assestato quadro dottrinale e giurisprudenziale è nel senso che le dette ordinanze non possono essere emanate in contrasto con le norme del diritto del- l’unione europea, con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione, debbono avere una efficacia limitata nel tempo (il principio di proporzionalità esige che il contenuto delle ordinanze sia rigidamente calibrato in funzione dell’emergenza specifica che deve essere in concreto fronteggiata), debbono essere motivate adeguatamente, non si possono adottare in luogo di poteri tipici previsti dalle norme vigenti idonei a far fronte a quel tipo di situazione (7). grado, nonché delle istituzioni di formazione superiore, comprese le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché dei corsi professionali e delle attività formative svolti da altri enti pubblici, anche territoriali e locali, e da soggetti privati, o di altri analoghi corsi, attività formative o prove di esame, ferma la possibilità del loro svolgimento di attività in modalità a distanza; […] s) limitazione della presenza fisica dei dipendenti negli uffici delle amministrazioni pubbliche, fatte comunque salve le attività indifferibili e l'erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile; […]”. (7) Ex plurimis: M. CLArICh, manuale di diritto amministrativo, III edizione, Il Mulino, 2017, pp. 85-87. LegISLAzIoNe ed AttuALItà 3. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti sostanziali. Il contenuto della normativa in esame è sunteggiabile come segue: a) disciplina -di adattamento alla situazione creatasi in conseguenza della diffusione ed evoluzione del CoVId -delle attività lavorative e personali, della profilassi e della mobilità delle persone; b) sospensione o differimento di termini per adempimenti collegati a servizi pubblici (ad esempio pagamento delle utenze); c) sospensione o differimento di termini per adempimenti collegati a procedimenti amministrativi (8), tra cui quelli tributari; d) sospensione o differimento di termini dei procedimenti giurisdizionali (9); e) proroga di termini in materia di lavoro e di terzo settore; f) sovvenzioni, contributi, bonus in favore di famiglie, lavoratori, imprese, studenti per dare sostegno economico a fronte dei disagi arrecati dalla pandemia; g) misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale (incentivi a favore del personale dipendente, reperimento in via straordinaria e temporanea di nuove risorse umane; acquisto di dispositivi di protezione individuali); h) snellimento delle modalità di svolgimento di pubbliche funzioni (es. procedure per i concorsi pubblici e per i corsi di formazione) e pubblici servizi; i) limitazione delle responsabilità penali (ad esempio: da somministrazione del vaccino anti SArS-CoV-2; per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da CoVId-19) ed amministrative degli operatori pubblici. buona parte della normativa emergenziale -atteso il suo carattere contingente -verrà meno una volta cessata la pandemia. trattasi di norme tecnicamente ad efficacia temporanea. Altra parte, invece, ha un contenuto virtuoso -utilizzando le parole di (8) L’art.103, comma 1, d.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. L. 24 aprile 2020, n. 27 dispone: “Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d'ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020”. Con l’art. 37 d.L. 8 aprile 2020, n. 23, conv. L. 5 giugno 2020, n. 40 si è disposta la proroga di tali termini al 15 maggio 2020. (9) Art. 83, comma 2, d.L. n. 18/2020: “Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”; poi in virtù dell’art. 36, comma 1, d.L. 8 aprile 2020, n. 23, conv. L. 5 giugno 2020, n. 40 “il termine del 15 aprile 2020 previsto dall'articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all'11 maggio 2020”. Art. 84, comma 1, d.L. n. 18/2020: “Fatto salvo quanto previsto dal comma 2, dall'8 marzo 2020 e fino al 15 aprile 2020 inclusi si applicano le disposizioni del presente comma. Tutti i termini relativi al processo amministrativo sono sospesi”; poi in virtù dell’art. 36, comma 3, d.L. n. 23/2020 “Nei giudizi disciplinati dal codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sono ulteriormente sospesi, dal 16 aprile al 3 maggio 2020 inclusi, esclusivamente i termini per la notificazione dei ricorsi, fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 3, dello stesso codice”. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 Ferrara potrebbe parlarsi di principi di diritto comune sorti in occasione della pandemia e germi di nuovo diritto -che andrebbe sistematizzato e reso ordinario in funzione della semplificazione dei comportamenti, del buon andamento della pubblica amministrazione e di un rapporto equilibrato e ragionevole tra il pubblico potere ed il cittadino. Quattro sono gli aspetti sui quali si focalizzerà l’attenzione: -snellimento delle modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali; - lavoro agile (smart working); - interconnessione delle attività; - semplificazione normativa in materia di contratti pubblici. 4. Snellimento delle modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali. Per contrastare l'emergenza epidemiologica da CoVId-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria, per il periodo emergenziale sono state adottate misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie, al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone (10). tanto è stato previsto con l’art. 83 d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 per la giustizia civile, penale, tributaria, militare, per le ulteriori giurisdizioni speciali e per agli arbitrati rituali. tra l’altro, vi è la previsione dello svolgimento delle udienze civili -mediante collegamenti da remoto (udienza telematica). Ciò ove non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice (art. 83, comma 7, lett. f, d.L. n. 18/2020) (11); (10) Sulla problematica, con osservazioni critiche: A.tALLArIdA, Processo telematico e processo da remoto: come cambia il processo, in rass. Avvocatura Stato, 2019, 4, pp. 181-193. Altresì: I. PAgNI, Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, in Judicium (15 dicembre 2020); A. Storto, Novità legislative per il processo civile, in Judicium (3 dicembre 2020); b. SASSANI, b. CAPPoNI, A. PANzAroLA, M. FArINA, il Decreto ristori e la giustizia civile. Una prima lettura, in Judicium (3 novembre 2020); g. SCArSeLLI, Contro le udienze a remoto e la smaterializzazione della giustizia, in Judicium (13 maggio 2020); F. VALerINI, in difesa dell’udienza da remoto, in Judicium (29 aprile 2020). (11) In seguito, con l’art. 221, comma 7, d.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. L. 17 luglio 2020, n. 77 si è disposto: “il giudice, con il consenso preventivo delle parti, può disporre che l'udienza civile che non richieda la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzata all'assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione, si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del ministero della giustizia. L'udienza è tenuta con la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario e con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice dispone la comunicazione ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, del giorno, dell'ora e delle modalità del collegamento. All'udienza il giudice dà atto delle modalità con cui accerta l'identità dei soggetti partecipanti e, ove si tratta delle parti, la loro libera volontà. Di questa e di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale”. LegISLAzIoNe ed AttuALItà -mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice (udienza cartolare). tanto ove non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti (art. 83, comma 7, lett. h, d.L. n. 18/2020) (12). Sempre con la normazione emergenziale (art. 221, comma 6, d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020) si è previsto che la partecipazione alle udienze civili di una o più parti o di uno o più difensori può avvenire, su istanza del- l'interessato, mediante collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell'udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione. tali modalità sono state dettagliate con l’art. 23 d.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. L. 18 dicembre 2020, n. 176, con previsione (comma 1) che le stesse si applicano fino al 31 luglio 2021 (13). Il comma 1 dell’art. 23 bis del d.L. n. 137/2020 statuisce altresì che a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino al 31 luglio 2021, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. Misure analoghe sono previste per la giustizia amministrativa (art. 84 d.L. n. 18/2020). tra l’altro il comma 5 dell’art. 84 dispone che “Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 31 luglio 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Le parti hanno facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione”. (12) In seguito, con l’art. 221, comma 4, d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020 si è disposto: “il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell'articolo 181 del codice di procedura civile”. (13) g. FICherA, e. eSCrIVA, Le quattro fasi del processo civile al tempo della pandemia, in Judicium (2 febbraio 2021). rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 L’art. 4, comma 1, d.L. 30 aprile 2020, n. 28, conv. L. 25 giugno 2020, n. 70 ha così integrato la disposizione innanzi riportata: a decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell'udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione dei difensori all'udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati. L'istanza è accolta dal presidente del collegio se presentata congiuntamente da tutte le parti costituite. Negli altri casi, il presidente del collegio valuta l'istanza, anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto. Se il presidente ritiene necessaria, anche in assenza di istanza di parte, la discussione della causa con modalità da remoto, la dispone con decreto. In tutti i casi in cui sia disposta la discussione da remoto, la segreteria comunica, almeno tre giorni prima della trattazione, l'avviso dell'ora e delle modalità di collegamento. In alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 12 del giorno antecedente a quello dell'udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza. tali modalità sono state dettagliate con l’art. 25 d.L. n. 137/2020, conv. L. n. 176/2020, con previsione (comma 1) che le stesse si applicano fino al 31 luglio 2021. Misure analoghe sono previste altresì, dall’art. 85 d.L. n. 18/2020, per la giustizia contabile. tra l’altro, vi è -a decorrere dall'8 marzo 2020 e fino al 31 luglio 2021 - la previsione -dello svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti, ovvero delle adunanze e delle camere di consiglio che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai rappresentanti delle amministrazioni, mediante collegamenti da remoto, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione all'udienza ovvero all'adunanza ovvero alla Camera di consiglio (art. 85, comma 3, lett. e, d.L. n. 18/2020); -in deroga alle previsioni del codice di giustizia contabile, di cui al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, che tutte le controversie pensionistiche fissate per la trattazione innanzi al giudice contabile in sede monocratica, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, salva espressa richiesta di una delle parti di discussione orale, da notificare, a cura del richiedente, a tutte le parti costituite e da depositare almeno dieci giorni prima della data di udienza. Le parti hanno facoltà di presentare brevi note e documenti sino a cinque giorni liberi prima della data fissata per la trattazione (art. 85, comma 5, d.L. n. 18/2020). LegISLAzIoNe ed AttuALItà tali modalità sono state dettagliate con l’art. 26 d.L. n. 137/2020, conv. L. n. 176/2020, con previsione (comma 1) che le stesse si applicano fino al 31 luglio 2021. Aggiornamenti sulle misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da CoVId-19, in materia di giustizia sono contenute nell’art. 6 d.L. 1 aprile 2021, n. 44, conv. L. 28 maggio 2021, n. 76. Le descritte misure hanno suscitato, specie nella fase iniziale, censure, sotto l’aspetto del vulnus al diritto di difesa. Ad esempio, la previsione del- l’udienza da remoto ha sollevato le critiche di parte dell’avvocatura (14). 5. (segue) Snellimento delle modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali. Stabilizzare a regime alcune novità delle misure emergenziali. da un cinquantennio, la giustizia in Italia versa in uno stato di grave crisi a causa dell’eccessiva ed intollerabile durata dei processi. già nel 2000 si registrava che “L’italia è il Paese dell’Unione Europea in cui i procedimenti civili, considerando i tre gradi di giudizio, hanno maggiore durata (in media 116 mesi, il 68% in più rispetto alla media UE)” (15). Secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea per l'efficacia della giustizia (CePeJ), nel biennio 2017-18 il numero dei procedimenti civili pendenti si è ridotto e la durata media è scesa; tuttavia, la giustizia civile italiana resta tra le più lente d’europa: siamo ancora gli ultimi in terzo grado di giudizio e siamo diventati penultimi sia in primo sia in secondo grado, rispettivamente davanti a Malta e alla grecia (16). La crisi del processo genera ulteriore contenzioso gravante sulle Corti di Appello con significativo aggravio degli oneri per il bilancio statale, che deve far fronte a crescenti costi per il pagamento dell’indennizzo per la riparazione della ingiusta durata del processo attualmente disciplinata dalla L. 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. legge Pinto sulla previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di durata del processo) (17). L’inefficienza del nostro sistema giudiziario scoraggia gli investimenti, aumenta il costo del credito, genera sfiducia nelle funzioni dello Stato e stimola sistemi criminali alternativi di composizione delle liti. La preoccupazione di ogni governo in queste ultime legislature è stata (14) F. VALerINI, in difesa dell’udienza da remoto, cit., rileva che l’unione Nazionale delle Camere Civili ha avuto modo di affermare che “l'udienza civile è un momento di discussione e confronto, smaterializzarla è un rischio serio e grave per i diritti dei cittadini”. (15) bANCA d’ItALIA, relazione economica per l’anno 2000, 2001, roma, 110 (citata in Foro it., 2002, V, c. 252). (16) M. CASAMoNtI, La giustizia civile italiana resta la più lenta d’Europa, ma c’è qualche miglioramento, in osservatorio sui Conti Pubblici italiani (28 novembre 2020). (17) Su tali aspetti: M. gerArdo, A. MutAreLLI, irragionevole durata del processo e possibili “ragionevoli” linee di intervento, in rass. Avvocatura Stato, 2010, 3, pp. 185-267. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 quella di proporre “novelle” processuali mirate a modificare singoli aspetti di volta in volta individuati come critici -del processo civile. Anche l’attuale governo si è posto l’obiettivo di semplificare il processo civile e con decreto del Ministro della giustizia del marzo di quest’anno è stata costituita una Commissione, presieduta dal prof. Francesco Paolo Luiso, con il compito di redigere un articolato per la riforma della giustizia civile; l’obiettivo concreto è triplice: ridurre i tempi dei processi, rafforzare il principio della ragionevole durata, migliorare l’efficienza dell’apparato amministrativo. La Commissione nel giugno di quest’anno ha presentato le sue proposte. In attesa di una riforma di sistema, le novità della legislazione emergenziale in tema di giustizia potrebbero essere strutturate a regime, contribuendo -a costo zero - ad una giustizia più efficiente (18). da quanto innanzi riportato, le novità in tema di modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali sono così riassumibili: -udienza in presenza, con facoltà di partecipazione delle parti con modalità telematiche; - udienza telematica, ossia mediante collegamenti da remoto; -udienza cartolare, mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice; - udienza a richiesta (il modello è l’appello penale). Le descritte modalità di svolgimento dei procedimenti giurisdizionali potrebbero essere stabilizzate, contribuendo ad un efficiente svolgimento della funzione giurisdizionale. A tal fine, allargando un po' il campo, in tutti i giudizi di primo grado ad eccezione dei giudizi penali e dei giudizi di responsabilità contabile -ed in tutti i giudizi di impugnazione, potrebbe prevedersi quanto segue: a) l’atto introduttivo del giudizio, sul modello della citazione ex art. 163 c.p.c., deve essere completo anche dal punto di vista delle richieste istruttorie. ossia: vanno prodotti i documenti, le prove precostituite; vanno fatte le richieste per l’ammissione delle prove costituende. Il requisito della completezza (18) I. PAgNI, Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, cit. rileva: “in questo contesto anche le previsioni relative alle due nuove modalità di udienza potrebbero entrare a far parte di strumenti processuali pensati in chiave di efficienza, e contribuire ad un alleggerimento dei “costi” della giustizia (sui quali incide anche il tempo speso dai difensori per gli spostamenti e l’impiego dei domiciliatari, il cui utilizzo, al momento, è ridotto solo grazie al domicilio digitale per le comunicazioni di cancelleria, ma non per la trattazione delle udienze) senza rinuncia alle garanzie del processo giusto. Due modalità di udienza che il legislatore, nel passaggio dall’art. 83 all’art. 221, ha rimesso alla volontà delle parti nell’alternativa rigida rispetto alla trattazione in presenza, e che in una logica di maggiore flessibilità potrebbero invece diventare un trittico di opzioni, eleggibili tutte l’una in luogo dell’altra a seconda delle circostanze, della natura della controversia, del tipo di udienza, della qualità e del numero delle parti”. LegISLAzIoNe ed AttuALItà vale anche per l’atto difensivo -sul modello della comparsa di costituzione e risposta ex art.167 c.p.c. - dei convenuti in giudizio; b) la prima udienza si tiene con modalità cartolare. Le parti possono produrre memorie fino a trenta giorni liberi prima dell’udienza e presentare repliche, alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza, fino a venti giorni liberi prima dell’udienza. Fino a cinque giorni prima dell’udienza le parti possono produrre note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni; c) ciascuna parte, con la memoria da produrre fino a trenta giorni liberi prima dell’udienza può chiedere -ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici -che l’udienza si tenga con modalità telematica o in presenza. Il giudice provvede entro dieci giorni. ove il giudice accolga la richiesta l’udienza si tiene con modalità telematica o in presenza; in questa evenienza le parti non possono produrre note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni fino a cinque giorni prima dell’udienza; d) nella prima udienza il giudice decide sulla ammissione delle prove costituende, ove richieste; e) ove nessuna delle parti richieda l’ammissione delle prove costituende o le prove richieste non vengano ammesse, la controversia viene decisa alla prima udienza; f) le udienze per raccogliere le prove costituende si tengono in presenza; g) terminata l’istruttoria, il giudice decide la causa. Ciascuna parte può chiedere che la causa non sia decisa e che sia fissata l’udienza di discussione, da tenersi con le modalità innanzi descritte alle lettere b) e c); h) nella fase di impugnazione, scaduto il termine per l’atto difensivo del- l’impugnato, il giudice decide la causa. Ciascuna parte può chiedere che la causa non sia decisa e che sia fissata l’udienza di discussione, da tenersi con le modalità innanzi descritte alle lettere b) e c). Questo è il cuore della proposta, alla quale -cum grano salis -operare gli adattamenti per le chiamate in causa, integrazioni del contraddittorio, rinnovazioni, ecc. Quanto illustrato e proposto parte dal dato fattuale che non tutte le cause richiedono lo stesso impegno. Vi sono cause “facili” e cause “difficili”, cause semplici e cause complesse, cause che coinvolgono solo questioni giuridiche e cause che richiedono anche un’attività istruttoria. In virtù del principio dispositivo ex art. 24 Cost. si rimette alle parti il potere di stabilire i tempi e le cadenze del processo. 5. Lavoro agile (smart working). Il lavoro agile (c.d. smart working) è una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, prevista nei contratti collettivi e nella legislazione (da ultimo: art. 18 L. 22 maggio 2017, n. 81). Con tale modalità la prestazione lavorativa viene eseguita, in tutto o in parte, all'esterno di locali aziendali senza una po rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 stazione fissa, entro i limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Ciò sulla base di accordo tra le parti, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Viene in rilievo una modalità di lavoro idonea ad incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questa modalità di lavoro ha avuto -fino alla recente pandemia -un certo successo nel lavoro privato, specie per le prestazioni lavorative di alta professionalità nel campo tecnologico ed informatico, e scarso successo nei rapporti di lavoro pubblico. Al fine di limitare la presenza del personale nei luoghi di lavoro, il lavoro agile ha avuto con la legislazione dell’emergenza una accelerata nelle applicazioni -nel lavoro pubblico -prescindendo da lacci e lacciuoli previsti dalla normativa preesistente (19). Con l’art. 87, seconda parte del comma 1, del d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 è stato previsto che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da CoVId-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con d.P.C.M., il lavoro agile è una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nelle PP.AA. di cui all'art. 1, comma 2, d.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, prescindendo (così la lettera b del primo comma) dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 L. n. 81/2017. Conseguentemente, le PP.AA. limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell'emergenza. La disciplina è stata integrata con l’art. 263 del d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020. All’uopo, nell’ambito del comma 1, si prevede che le PP.AA. fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi, ove previsti, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021 -organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l'utenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lettera b), dell’art. 87 d.L. n. 18/2020, e comunque a condizione che l'erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente. Al fine di istituzionalizzare il lavoro agile, il comma 4 bis del citato art. 263 prevede che entro il 31 gennaio di ciascun anno le amministrazioni pub (19) S. SPArACo, La PA sotto la lente dello “Smart Working” in pandemia: evidenze e lezioni apprese, in Azienditalia, 2021, 6, pp. 1130-1136. LegISLAzIoNe ed AttuALItà bliche redigono, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano organizzativo del lavoro agile (PoLA), quale sezione del Piano della performance di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), d.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150. Il PoLA individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 60 per cento dei dipendenti possa avvalersene, garantendo che gli stessi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera e definendo, altresì, le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative. In caso di mancata adozione del PoLA, il lavoro agile si applica almeno al 30 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano. Il raggiungimento delle predette percentuali è realizzato nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Le economie derivanti dall'applicazione del PoLA restano acquisite al bilancio di ciascuna amministrazione pubblica. L’art. 90 del d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020 detta misure per ampliare la sfera applicativa nel rapporto di lavoro privato, con due tecniche: -fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da CoVId19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. Analogo diritto è riconosciuto ai lavoratori “fragili” (20); -limitatamente al periodo di tempo dello stato di emergenza epidemiologica da CoVId-19 e comunque non oltre il 31 luglio 2021, la modalità di lavoro agile, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti. ulteriori disposizioni urgenti in materia di lavoro agile sono contenute nell’art. 1 d.L. 30 aprile 2021, n. 56. (20) “lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio da virus SArS-CoV-2, in ragione dell'età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente, nell'ambito della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 83 del presente decreto” (art. 90, comma, 1, d.L. n. 34/2020). rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 7. (segue) Lavoro agile (smart working). rendere il lavoro agile la modalità ordinaria per lo svolgimento del rapporto di lavoro. Il lavoro agile, al quale la pandemia ha dato una necessitata accelerazione (21), razionalmente organizzato, andrebbe messo a regime per i molteplici benefici allo stesso collegati ed altresì per evitare gli aspetti negativi di un improprio utilizzo, quali l’assenza di separazione tra il tempo del lavoro e quello privato e il rischio di assorbenza totalizzante del primo sul secondo. Circa i punti di forza del lavoro agile si rileva quanto segue. a) dal punto di vista del dipendente, il lavoro agile determina un miglioramento delle competenze digitali. tale modalità di lavoro è, intuitivamente, appetibile, atteso che elimina i tempi morti per raggiungere il posto di lavoro, con risparmio di tempo e denaro, potendo svolgersi l’attività lavorativa da qualsiasi luogo. Il lavoratore vede migliorata la qualità della vita, con una maggiore conciliazione tra lavoro e vita privata. ove gestita in modo razionale, tale modalità di lavoro aumenta l’empatia tra dipendente e datore di lavoro, fidelizza il lavoratore con inevitabili ricadute sulla produttività e sulla efficienza degli uffici. b) dal punto di vista del datore di lavoro, vi è una riduzione dei costi fissi dell’apparato organizzativo. riducendo, quale effetto complessivo dello svolgimento del lavoro in modalità agile, la presenza dei dipendenti negli uffici e turnando la loro presenza nelle postazioni di lavoro si riducono gli ambienti nei quali si svolge la prestazione. occorrono meno uffici, si riduce la logistica, si riducono i costi delle utenze del servizio elettrico, del servizio idrico, di gas naturale, degli appalti dei servizi di pulizia. c) dal punto di vista della vivibilità delle città e della salvaguardia del- l’ambiente, vi è un netto miglioramento di tutti gli standard collegati alla qualità dei servizi pubblici. La riduzione delle persone che si recano fisicamente nei posti di lavoro determina, per l’effetto, il decongestionamento dei servizi di trasporto pubblico locale, una maggiore fluidità della viabilità, un minore inquinamento atmosferico ed acustico. d) dal punto di vista dell’urbanistica, il lavoro agile può determinare una riduzione della pressione antropica sulle città ed una redistribuzione della popolazione sul territorio, specie nelle periferie delle città, in paesi e borghi. Il lavoratore, potendo svolgere il lavoro, in tutto o in parte, da qualsivoglia postazione, sarà incentivato a delocalizzare la propria abitazione in centri minori, dato il minor costo delle abitazioni e la migliore qualità della vita. In conclusione, occorre in modo vigoroso incentivare il lavoro agile. La (21) S. SPArACo, La PA sotto la lente dello “Smart Working” in pandemia: evidenze e lezioni apprese, cit., p. 1131 rileva che “Durante la fase più acuta dell’emergenza lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle Pubbliche Amministrazioni italiane e il 58% delle Pmi, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570 mila censiti nel 2019”. LegISLAzIoNe ed AttuALItà riuscita di tale tecnica comporterà una rivoluzione pacifica, quella di superare vincoli di tempo e spazio, consentendo una maggiore autonomia e flessibilità nella gestione dell’attività lavorativa, e orientandola al risultato, valorizzando il senso di responsabilità, in un contesto di fiducia organizzativa. A tal fine è necessaria una regia complessiva nazionale ed il tutto dovrà poi essere recepito a livello statale con legge quadro, al fine di dare una disciplina omogenea sul territorio nazionale. All’uopo è necessaria una normativa che -disegni un modello organizzativo che renda fungibile il lavoro in presenza rispetto a quello da remoto, atteso che il lavoro agile costituisce una mera modalità di svolgimento della prestazione di lavoro. e quindi: scrivania elettronica, riunione telematica, gestione del back office, accesso a fonti di dati e archivi di documenti, comunicazioni digitali tra gli uffici e i dipendenti che vi lavorano. Modello che va solo gestito dalla dirigenza; -distingua tra tipologia di attività nelle quali è indispensabile la presenza nei luoghi di lavoro (es. autista, vigilanza, ecc.) e tipologia di attività dove è possibile svolgere, in tutto o in parte, il lavoro anche da remoto; -preveda -per le attività che si possono svolgere nella totalità da remoto che il lavoro agile costituisca la modalità ordinaria di svolgimento del lavoro; -disciplini le modalità operative delle attività che si possono svolgere in parte da remoto e in parte in presenza. ove possibile, occorre regolare il lavoro in presenza di alcuni dipendenti in alternativa al lavoro di altri dipendenti da remoto. diversamente, ove il singolo dipendente debba in parte essere presente, occorre articolare le attività con un misto di presenza/assenza in ufficio (es. lavoro in presenza due giorni su cinque a settimana). La grande partita si gioca sulla esatta configurazione del modello organizzativo, sulla progettazione sistemica a livello logistico, su una adeguata dirigenza. Alla configurazione di tale modello devono contribuire tutti gli operatori: le associazioni datoriali, le organizzazioni sindacali, esperti di organizzazione del lavoro, esperti informatici. È importante delineare esattamente i carichi di lavoro, la durata della prestazione, ripensando il rapporto tra retribuzione a tempo e retribuzione a cottimo. tanto al fine di evitare che il lavoro agile sia una trappola per il lavoratore, una nuova schiavitù, e che comporti un peggioramento della qualità della vita (22). (22) S. SPArACo, La PA sotto la lente dello “Smart Working” in pandemia: evidenze e lezioni apprese, cit., p. 1131 evidenzia che, dalle risultanze degli effetti del lavoro agile svolto con modalità necessitate ed accelerate nella fase più acuta dell’emergenza CoVId,“il 29% dei lavoratori ha incontrato difficoltà a separare il tempo del lavoro e quello privato (29%) e a mantenere un equilibrio fra i due aspetti (28%), oltre a sperimentare una sensazione di isolamento nei confronti dell’organizzazione nel suo insieme (29%). il difficile work-life balance è stato anche la prima barriera da superare per le grandi imprese (58%), seguita dalla disparità del carico di lavoro fra alcuni lavoratori meno impegnati rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 8. interconnessione delle attività. una misura adottata al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus CoVId-19, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza, è quella dello svolgimento di attività collegiali, di gruppo mediante connessione da remoto, con sistemi di comunicazione in videoconferenza, che garantiscano la contestualità, la sicurezza delle comunicazioni, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità, con sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti, nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente. L’obiettivo, intuitivamente, è quello di eliminare o ridurre i contatti umani al fine di impedire la diffusione del virus. tale misura è prevista in modo asistematico in varie disposizioni. a) riunioni di organi collegiali. In specie: -riunioni dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e delle giunte comunali; -riunioni degli organi collegiali degli enti pubblici nazionali, anche articolati su base territoriale, nonché degli enti e degli organismi del sistema camerale; -sedute degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado; -sedute delle associazioni private anche non riconosciute e delle fondazioni, nonché delle società, comprese società cooperative e consorzi. In questi casi lo svolgimento delle sedute in videoconferenza è prevista come possibilità (“possono”). La disciplina illustrata, di durata temporanea (si applica fino alla data di cessazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020), è stata introdotta dall’art. 73 d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020: quel che non ha potuto la legge in quindici anni di norme sulla P.A. digitale, sull'onda del Coronavirus si è realizzato in pochi giorni. b) rinnovo, mediante elezione, degli organi collegiali degli ordini e dei collegi professionali, nazionali e territoriali. Il detto rinnovo può avvenire, in tutto o in parte, secondo modalità telematiche, nel rispetto dei princìpi di segretezza e libertà nella partecipazione al voto (art. 31 bis d.L. n. 137/2020, conv. L. n. 176/2020; l’art. 31 dello stesso d.L. prevede l’identica disciplina per le elezioni degli organi territoriali e nazionali degli ordini professionali vigilati dal Ministero della giustizia). disposizioni strane queste in esame, in quanto l’applicazione non è col e altri sovraccaricati (40%), dall’impreparazione dei manager a gestire il lavoro da remoto (33%) e limitate competenze digitali del personale (31%). Nelle PA, invece, le difficoltà maggiori hanno riguardato l’inadeguatezza delle tecnologie a disposizione (46%) e la disparità nel carico di lavoro (39%), poi l’equilibrio fra vita privata e professionale (33%) e le scarse competenze digitali (31%)”. LegISLAzIoNe ed AttuALItà legata allo stato di emergenza, ma si ha in via ordinaria, sicché la pandemia è stata solo l’occasione per adottare tale disciplina. c) Svolgimento delle assemblee di società ed associazioni e fondazioni. L’art. 106, commi 2 e 8 bis, d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 prevede che le assemblee ordinarie o straordinarie delle associazioni e fondazioni, delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata, delle società cooperative e delle mutue assicuratrici possano svolgersi, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l'identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l'esercizio del diritto di voto. Le disposizioni dell’art. 106 si applicano alle assemblee tenute entro il 31 luglio 2021. d) Svolgimento della didattica a distanza nelle istituzioni scolastiche statali e nelle istituzioni scolastiche paritarie (l’art. 120 d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 si preoccupa dell’approvvigionamento delle piattaforme per la didattica a distanza; analoga disposizione si ha con l’art. 231 del d.L. n. 34/2020, conv, L. n. 77/2020 e con l’art. 21 d.L. n. 137/2020, conv. n. 176/2020). e) Attività di formazione a distanza. L’art. 91, comma 1, d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020 dispone che “A beneficio degli studenti ai quali non è consentita, per le esigenze connesse all'emergenza epidemiologica da CoViD 19, la partecipazione alle attività didattiche dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale (i. e F.P.), dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (i.F.T.S.), tali attività sono svolte con modalità a distanza, individuate dai medesimi istituti di istruzione, avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”. f) Svolgimento in modalità telematica di fasi delle procedure concorsuali della Commissione rIPAM (art. 247 d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). Viene previsto che -la commissione esaminatrice e le sottocommissioni possono svolgere i propri lavori in modalità telematica, garantendo comunque la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni; -la prova orale può essere svolta in videoconferenza, attraverso l'utilizzo di strumenti informatici e digitali, garantendo comunque l'adozione di soluzioni tecniche che assicurino la pubblicità della stessa, l'identificazione dei partecipanti, nonché la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità. L’applicazione delle disposizioni di cui al citato art. 247 non è collegata allo stato di emergenza, ma si ha in via ordinaria, sicché la pandemia è stata solo l’occasione della adozione di tali disposizioni. g) Svolgimento di specifiche fasi (correzione degli elaborati scritti; esami orali) del concorso notarile e dell’esame di abilitazione all'esercizio della professione forense -attualmente in corso -con modalità telematiche (art. 254 d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). h) Svolgimento delle prove (di tutte le prove) con modalità telematiche rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 di videoconferenza, con riguardo ai concorsi indetti o da indirsi per l'accesso ai ruoli e alle qualifiche delle Forze armate, delle Forze di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del personale dell'amministrazione penitenziaria e dell'esecuzione penale minorile ed esterna, per la durata dello stato di emergenza epidemiologica e fino al permanere di misure restrittive e/o di contenimento dello stesso, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 (art. 259 d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). Le membra sparse della legislazione emergenziale andrebbero sistematizzate per disciplinare ed incentivare -in modo stabile ed ordinario -l’interconnessione delle attività. L’attività collegiale, la partecipazione alle decisioni di enti andrebbe svolta -nei limiti dell’esigibile e del ragionevole -in modalità telematica. L’interconnessione dovrebbe costituire la modalità ordinaria del lavoro. Prendiamo due casi: a) riunione del Ministro dell’Istruzione con i direttori generali degli uffici Scolastici regionali. È fin troppo evidente la ragionevolezza di una riunione da remoto -in termini di costi e di tempo per gli spostamenti di venti figure apicali - rispetto alla riunione in presenza; b) votazione alle elezioni per il rinnovo delle camere del Parlamento nazionale. La ragionevolezza del voto da remoto anche in questo caso è intuitiva: -consente di risparmiare sul costo delle elezioni. La spesa per ciascuna tornata elettorale per il rinnovo delle Camere del Parlamento nazionale tenutasi negli ultimi anni è di circa 300 milioni di euro; -evita i sacrifici organizzativi per le strutture (es. scuole) utilizzate per l’allestimento dei seggi elettorali; -favorisce la partecipazione democratica, mediante il prevedibile aumento del numero dei votanti (anziani, persone non allocate nel comune di residenza, ecc.). ovviamente -e valga l’esempio emblematico dell’esercizio del diritto di voto, tessera importante del sistema democratico, il quale deve essere, tra l’altro, segreto -il tutto deve essere organizzato e svolto con sistemi di comunicazione che offrano garanzie non inferiori a quelle collegate con lo svolgimento delle attività in presenza, in termini di sicurezza, di trasparenza e di tracciabilità. 9. Semplificazione normativa in materia di contratti pubblici. Sotto questo aspetto la legislazione dell’emergenza offre spunti, linee di tendenza che andrebbero implementati e sistematizzati. È ben nota la complessità dei procedimenti amministrativi diretti alla acquisizione di opere, servizi e forniture delineati nel Codice dei contratti (d.L.vo 12 aprile 2016, n. 50). Primo fattore di complicatezza -preclusivo di procedimenti rapidi, attesa LegISLAzIoNe ed AttuALItà la funzione orientativa della norma giuridica regolatrice della materia -è la nebulosità ed incertezza del quadro normativo, la difficoltà del quadro conoscitivo. Il Codice dei contratti si compone di 220 articoli e 26 allegati. gli articoli non contengono disposizioni essenziali, chiare, sintetiche. Solo per rendere l’idea: l’art. 3 del Codice dei contratti si compone di oltre 5.000 parole, il successivo art. 80 si compone di circa 2.400 parole. Patente è l’incapacità di sintesi. Il Codice dei Contratti raggiunge le dimensioni dell’intero Codice Civile. dal 2016 ad oggi, ossia in cinque anni, il Codice dei contratti è stato modificato sei volte (d.L.vo 19 aprile 2017, n. 56; d.L. 14 dicembre 2018, n. 135, conv. L. 11 febbraio 2019, n. 12; d.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14; d.L. 18 aprile 2019, n. 32, conv. L. 14 giugno 2019, n. 55; d.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. L. 11 settembre 2020, n. 120; d.L. 31 maggio 2021, n. 77), con oltre 1.200 modifiche. L’instabilità del quadro normativo, all’evidenza, non consente la sedimentazione di orientamenti. A ciò aggiungasi che il Codice dei contratti deve essere integrato da circa cinquanta atti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero delle Infrastrutture, dell’ANAC, aventi la più disparata natura e da adottare entro determinati termini. L’operatore che vuole conoscere la disciplina di una materia deve disporre -in luogo di un unico testo -di una congerie di fonti, da controllare nella loro vigenza. Con l’aggravante che, laddove non vengano adottati i provvedimenti normativi entro i termini prefissati (termini giustamente definibili, con redenti, “canzonatori”), la disciplina è quanto mai problematica. ed è quanto avvenuto proprio con il Codice degli Appalti. Valga il caso della qualificazione delle stazioni appaltanti, ex art. 38, comma 2, del detto Codice: il d.P.C.M. definitorio dei requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione doveva essere adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del Codice. Il decreto in esame, a cinque anni della entrata in vigore del Codice degli Appalti, non ha ancora visto la luce. L’operatore, all’evidenza, non dispone di un unico testo per orientare la propria condotta, ma deve cercare i provvedimenti completivi (se ci sono) ed i successivi aggiornamenti. Secondo fattore di complicatezza è l’estrema difficoltà di delineare la progettazione a base di gara ed altresì la complessità delle procedure di scelta del contraente, che rende non facile il raccordo tra regimi ordinari, regimi speciali ed eccezioni ai due regimi. La sommatoria dei detti fattori sono i notevoli costi preliminari e le lungaggini delle procedure. Come innanzi evidenziato, la legislazione dell’emergenza offre spunti, linee di tendenza in materia. In specie con il Capo I del titolo I (artt. 1-9) del d.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. L. 11 settembre 2020, n. 120, modificato con d.L. 31 maggio 2021, n. 77, vengono dettate disposizioni per la semplificazione in materia di con rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 tratti pubblici. La tecnica è quella della deroga ad tempus (fino al 30 giugno 2023) a disposizioni del Codice dei Contratti pubblici relative a determinate materie, al fine di accelerare i procedimenti. All’uopo determinate fasi del procedimento di evidenza pubblica vengono o eliminate o accantonate o ridotte nella durata. tra le materie interessate, si richiamano: l’aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia e sopra soglia (artt. 1 e 2); verifiche antimafia (art. 3); stipulazione dei contratti pubblici e ricorsi giurisdizionali (art. 4) (23). ulteriori disposizioni miranti alla accelerazione e snellimento delle procedure sono contenute nel d.L. 31 maggio 2021, n. 77 (es.: art. 49: modifiche alla disciplina del subappalto). Quanto evidenziato della legislazione emergenziale, è una spia che il Codice dei Contratti, così com’è, costituisce un fattore di intralcio e rallentamento nelle procedure relative agli acquisiti della P.A. Si interviene -qua e là ed a termine, con riguardo ad alcuni procedimenti e solo con riferimento a specifiche fasi -sui punti considerati più critici al fine di superare le conseguenze prodotte dalla pandemia. Quest’ennesimo intervento legislativo certifica le criticità del Codice dei Contratti. Va poi considerato che il detto intervento, occasionale e privo di una visione sistematica, attesa la deroga ad tempus e su specifici aspetti, può contribuire ad aggravare il quadro critico. occorre prendere atto dei limiti del Codice vigente, il quale così com’è costituisce un fattore di freno all’attività della burocrazia e degli operatori economici. È auspicabile dunque -portando a conseguenza sistematica i timidi spunti offerti dalla legislazione emergenziale -una semplificazione generalizzata di tutte le procedure negoziali. un modello di pronta fruizione è il c.d. modello inglese, ossia l’attuazione immediata delle direttive u.e. in materia negoziale. gli inglesi -ma questa è storia perché sono usciti dall’u.e. -con il loro taglio (23) Su tale novella d. gALLI, i contratti pubblici, in Giornale dir. Amm., 2020, 6, pp. 737746, il quale così riassume il coacervo delle introdotte misure: “Alcune incidono su organizzazione e funzionamento delle amministrazioni; altre ridisegnano il perimetro della responsabilità per danno erariale (circoscritta al solo caso di dolo) e del reato per abuso di ufficio. Alcune rispondono a spinte dell’Unione europea; altre, al contrario, sembrano porsi in termini difficilmente conciliabili, proprio, con questa ultima normativa. Alcune trovano applicazione alle nuove procedure, altre a procedure e contratti in corso, altre ancora agli uni e agli altri. Alcune hanno una portata transitoria; altre hanno carattere di stabilità. Alcune hanno una valenza generale quanto all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione; altre, invece, più ridotto; altre ancora hanno una valenza ipersettoriale. Alcune hanno il carattere della novità; altre appaiono sostanzialmente inutili e riproduttive di disposizioni già presenti nell’ordinamento; altre, ancora, sono pressoché incomprensibili. Alcune disposizioni hanno l’ambizione di ridisegnare seppure in via transitoria la disciplina, altre costituiscono minime modifiche non direttamente riconducibili alle finalità del decreto. Nel complesso, le nuove norme prendono in considerazione, in modo trasversale, il processo di affidamento dei contratti pubblici, la fase esecutiva, quella di risoluzione delle controversie ed, in qualche misura, anche l’assetto organizzativo della pubblica amministrazione e il profilo delle responsabilità dei dipendenti” (pp. 737-738). LegISLAzIoNe ed AttuALItà pratico, preso atto che le direttive in materia sono dettagliate, si sono limitati a tradurle in inglese tout court senza adottare norme di recezione. All’uopo potrebbe essere adottata una legge con un articolo unico del seguente tenore: “Articolo unico 1. il D.L.vo 12 aprile 2016, n. 50 è abrogato; le relative disposizioni continuano ad applicarsi alle procedure pendenti. 2. L’aggiudicazione dei contratti di concessione è regolata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014; l’aggiudicazione dei contratti di appalto pubblico è regolata dalla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014; l’aggiudicazione dei contratti di appalto degli enti erogatori nei settori del- l'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali è regolata dalla direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014. Per tutto quanto non previsto dalle direttive innanzi indicate si applicano il Codice Civile ed i principi generali di correttezza e buona fede. 3. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale” (24). (24) tale proposta non è isolata nella comunità giuridica. Si rileva che “recentemente il Presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, ha espresso in modo chiaro che la materia dei contratti pubblici potrebbe essere in poco tempo semplificata ritornando alle direttive UE e abbattendo il cosiddetto goldplating, l’“indoramento”, l’aggravamento anomalo attuato di solito dallo Stato italiano nelle leggi (spesso decreti delegati) di recepimento delle direttive” S. de FeLICe, Alcune idee per una PA migliore per il Paese. Non solo per il recovery, in Sito Giustizia amministrativa, Approfondimenti Dottrina, pubblicato il 20 febbraio 2021, p. 1, ove si rileva altresì “Certo, c’è la esigenza di disciplinare gli aspetti interni, ma in una materia caratterizzata da tante fonti del diritto quali regolamenti e direttive europee, normativa statale primaria e secondaria (allo stato, non l’auspicato regolamento unico, ma varie decine di regolamenti, linee guida Anac e anche leggi regionali su materie secondarie, quali la composizione delle commissioni), bandi (il bando è definito la lex specialis della gara), capitolati, contratti, si può e si deve provare a espungere il troppo e il vano, e guarire dal “morbo” del troppo diritto”. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 Le graduatorie Provinciali di supplenza: verso un primo parziale bilancio Alessandra Parente* SommArio: 1. introduzione -2. il quadro normativo di riferimento tra innovazioni e criticità -3. Uno sguardo particolare alle classi di concorso musicali e coreutiche -4. Considerazioni conclusive. 1. introduzione. Il mondo dell’istruzione e della formazione è per sua natura particolarmente dinamico, in grado più e meglio di altri di intercettare le spinte verso il cambiamento e di risentire dei momenti di crisi della società in cui si svolge. Fino ad un anno fa una considerazione di questo tipo poteva apparire retorica agli occhi di molti, questi mesi di pandemia hanno insegnato che non è così. di crisi della scuola e dei suoi protagonisti, di tramonto obbligato della didattica tradizionale e di apertura al digitale tra luci e ombre, così come di procedure concorsuali in bilico o di cattedre vuote, in questo anno di Covid si è parlato a lungo. Minore è stata l’attenzione mediatica verso altre tematiche, forse perché percepite per addetti ai lavori. È il caso delle graduatorie Provinciali di supplenza, c.d. gPS, le quali hanno movimentato in uno sforzo epocale non solo la macchina amministrativa -in particolare le articolazioni periferiche del Ministero dell’Istruzione ma hanno catturato l’interesse di centinaia di migliaia di italiani, basti pensare che le domande totali, presentate nel giro di poche settimane, sono state 753.750 e gli accessi complessivi alla piattaforma digitale utile per l’iscrizione sono stati 8.659.102 (1). I numeri dicono molto, lasciando intendere come -in questo anno di quasi totale immobilismo sotto il profilo del reclutamento, della valutazione e del collocamento nel mondo del lavoro (escluso l’ambito sanitario) -questa procedura abbia segnato un punto di svolta e forse di non ritorno rispetto al passato. L’istituzione, nell’estate del 2020, di tali graduatorie per il reclutamento di centinaia di migliaia di supplenti per le scuole di ogni ordine e grado è stata (*) Abilitata all’esercizio della professione forense, già praticante presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli (avv. Stato giuseppe Arpaia); Funzionario presso il Ministero dell’Istruzione -uSr Lazio. (1) dati ufficiali sui numeri complessivi della procedura in oggetto sono stati pubblicati dal MI sul proprio sito istituzionale l’8 agosto 2020. Le domande totali presentate sono 753.750, le regioni con più istanze sono la Lombardia con 104.781 domande, il Lazio con 86.976 e la Campania con 84.857. Il totale degli accessi sull’apposito portale Istanze online è stato pari a 8.659.102. LegISLAzIoNe ed AttuALItà una delle poche procedure compiute ed immediatamente attuate, permettendo così alla scuola italiana di ripartire, in un anno in cui l’emergenza Covid va di pari passo con l’emergenza educativa. Lungi da una trattazione omnicomprensiva, lo scopo di questo scritto è offrire qualche spunto di riflessione sui profili più innovativi e talvolta critici che caratterizzano le gPS e la disciplina vigente sul punto. 2. il quadro normativo di riferimento tra innovazione e criticità. Le graduatorie Provinciali di supplenza hanno trovato puntuale istituzione nell’ordinanza del Ministero dell’istruzione n. 60 del 10 luglio 2020 (2), la quale ha dato esecuzione a quanto prescritto nella legge di conversione n. 41 del 6 giugno 2020, che alla luce dell’emergenza epidemiologica disponeva che le procedure di istituzione delle graduatorie e le procedure per il conferimento delle supplenze fossero disciplinate, per gli anni scolastici 2020/21 e 2021/22, proprio con ordinanza ministeriale. Si è trattato di procedure interamente digitalizzate, dalla presentazione delle domande, alle valutazioni, alla successiva gestione dei punteggi e delle posizioni degli aspiranti docenti, che hanno permesso la formazione di nuove graduatorie, stavolta divise in primis per province, alla quali attingere per le supplenze. Questo canale, per il tramite delle gPS, è volto all’assegnazione delle supplenze annuali (al 31 agosto, c.d. in organico di diritto) e sino al termine delle attività didattiche (al 30 giugno, c.d. in organico di fatto) (3). tra le prime novità introdotte dall’o.M. n. 60 vi è certamente l’aver trasformato tali graduatorie in provinciali, interrompendo l’impianto precedentemente vigente che disponeva le “graduatorie d’istituto” a cui attingere per tutti gli incarichi di docenza a tempo determinato, vale a dire con i candidati che sceglievano all’interno di un’unica provincia un massimo di 20 scuole presso le quali presentare la propria domanda, con la possibilità di essere chiamati in via esclusiva da parte di quegli istituti. La trasformazione in provinciali ha avuto un duplice risvolto: in termini giuridici ed amministrativi ha spostato la competenza in capo agli uffici Scolastici Provinciali, sia sotto il profilo della formazione, valutazione e gestione delle graduatorie, sia sotto il profilo dell’attribuzione delle supplenze annuali ed al termine delle attività didattiche, sgravando le Istituzioni scolastiche da tutta una serie di adempimenti conseguenti; in termini pratici ha ampliato l’offerta per gli aspiranti docenti, non più costretti a scegliere tra un numero ri (2) L’o.M. 60/2020 del Ministero dell’Istruzione reca “Procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all’articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della legge 3 maggio 1999, n. 124 e di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo”. (3) Ad individuare la disponibilità di posti e la tipologia di supplenze è l’art. 2, comma 4, lett. a) e b), dell’o.M. citata. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 stretto di scuole ma liberi di concorrere -in base alla classe di concorso -per supplenze relative a tutte le scuole della provincia prescelta. Le graduatorie Provinciali per le supplenze risultano suddivise in prima e seconda fascia in base a criteri specifici (4) variabili in base al grado (infanzia e primaria (5), scuola secondaria di I e II grado (6)), al tipo di posto (comune, di sostegno (7), personale educativo e supplenze presso percorsi a differenziazione didattica Montessori, Agazzi e Pizzigoni (8)) ed in taluni casi anche in base alle classi di concorso coinvolte, come nel caso della c.d. tabella b che raggruppa gli insegnamenti tecnico-pratici (9) o le norme specifiche per alcuni classi di concorso afferenti al settore musicale (10). La seconda novità su cui soffermarsi è data dall’aver collegato alla procedura di formazione delle gPS anche quella di istituzione delle graduatorie d’istituto -g.I., dando la possibilità agli aspiranti, all’atto della compilazione dell’istanza per le gPS, di scegliere fino a 20 istituzioni scolastiche nelle cui graduatorie d’istituto volersi inserire, al fine di essere chiamati per ricoprire le supplenze temporanee, c.d. brevi, la cui gestione rimane in capo al dirigente scolastico, nonché di tutte quelle tipologie di supplenze che non possono essere attribuite ricorrendo alle gPS (11). Si è creato, così, un doppio canale di reclutamento, a seconda della tipologia di supplenza da assegnare, se annuale o al termine delle attività didattiche si da prevalenza alle gPS, partendo dalla prima fascia per poi passare alla seconda, se la supplenza è temporanea il canale prescelto è quello della g.I. uno dei profili più interessanti della disciplina introdotta dall’o.M. n. 60 (4) Criteri indicati puntualmente nell’art. 3 dell’o.M., sintetizzabili per i posti comuni in due principi: la prima fascia raccoglie i soggetti in possesso dello specifico titolo di abilitazione all’insegnamento, la seconda fascia raccoglie i soggetti sprovvisti dell’abilitazione ma muniti oltre al titolo di studio d’accesso, di tutta una serie di titoli ulteriori. (5) gli aspiranti presenti in seconda fascia, in base all’art. 3, comma 5, lett. b) sono gli studenti che nell’a.a. 2019/20 risultano iscritti al 3°, 4° o 5° anno del corso di laurea in Scienza della Formazione primaria, avendo assolto rispettivamente almeno 150, 200 e 250 CFu entro il termine di presentazione dell’istanza. (6) gli aspiranti presenti in seconda fascia, in base all’art. 3, comma 6, lett. b) punto i), devono possedere il titolo di studio previsto dalla normativa vigente per la specifica classe di concorso, nonché possedere almeno uno dei seguenti requisiti: il possesso dei c.d. 24 CFu nei settori antropo-psicopedagogici e nelle metodologie didattiche; l’abilitazione specifica su altra classe di concorso o altro grado; il precedente inserimento nella III fascia delle graduatorie d’istituto per la specifica c.d.c. (7) Nelle gPS per i posti di sostegno, ai sensi dell’art. 3, comma 7, rientrano in prima fascia i docenti con titolo di specializzazione sul sostegno nel relativo grado, in seconda fascia i soggetti che entro l’a.s. 2019/20 abbiano maturato 3 annualità d’insegnamento sul sostegno nello specifico grado e siano in possesso del titolo di abilitazione o del titolo di accesso alle gPS di seconda fascia del relativo grado. (8) In base ai criteri stabiliti dall’art. 3, commi 8 e 9. (9) Cfr. art. 3, comma 6, lett. a) e lett. b) punto ii) dell’o.M. 60. (10) Le peculiarità caratterizzanti tali classi di concorso sono oggetto di apposito paragrafo di tale trattazione. (11) Ai sensi dell’art. 2, comma 6. LegISLAzIoNe ed AttuALItà è dato dalle modalità di accertamento dei requisiti dichiarati in domanda dagli aspiranti, facendo emergere profili di responsabilità articolati su più livelli. La fase preliminare vede come protagonista il candidato che compila la sua domanda di partecipazione, con riferimento sia ai requisiti generali di ammissione (12) che al complesso dei titoli valutabili (13). una compilazione che, seppur apparentemente spersonalizzata dal suo svolgersi interamente a distanza in modalità telematica, impegna giuridicamente il suo autore (14) e lo espone a responsabilità di carattere amministrativo e talvolta anche penale (15), in ordine ai dati dichiarati in domanda. Ciò nonostante non sono del tutto marginali le dichiarazioni rese con “disinvoltura” da parte di taluni aspiranti nell’inserire titoli di accesso di cui sono sprovvisti o nell’omettere l’assenza dei requisiti generali di ammissione (16), integrando in vari casi le ipotesi di dichiarazioni mendaci (17) perseguibili ex lege. Le dichiarazioni non corrispondenti a verità -in una procedura come quella di formazione delle gPS -alterano con una sorta di effetto domino una pluralità ulteriore di determinazioni amministrative, in quanto determinano la formazione di graduatorie potenzialmente affette da vizi che saranno la base, per periodi più o meno brevi (18), per nomine, contratti ed esborsi erariali altrettanto viziati e dunque a rischio di illegittimità. un effetto domino non facilitato dalle tempistiche profondamente strin (12) Individuati ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2. Il successivo comma 4 chiarisce che: “gli aspiranti sono ammessi nelle graduatorie con riserva di accertamento del possesso dei requisiti d’ammissione. L’Amministrazione può disporre, con provvedimento motivato, l’esclusione dei candidati non in possesso di uno dei citati requisiti d’ammissione, in qualsiasi momento durante la vigenza delle graduatorie”. (13) I titoli d’accesso sono indicati negli articoli 3, 4 e 5 dell’o.M. Al contrario gli altri titoli valutabili sono contenuti nei vari Allegati all’ordinanza ministeriale, suddivisi per fasce, tipologia di posto e grado d’istruzione. (14) L’art. 7 “Istanza di partecipazione” al comma 10 chiarisce che: “Le dichiarazioni dell’aspirante inserite attraverso le procedure informatizzate sono rese ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Vigono al riguardo le disposizioni di cui agli articoli 75 e 76 della richiamata disposizione normativa”. (15) già la disciplina dell’istanza di partecipazione, all’art. 7, comma 9, pone l’accento sulle responsabilità del dichiarante, laddove indica: “Fatte salve le responsabilità di carattere penale, è escluso dalle graduatorie, per tutto il periodo della loro vigenza, l’aspirante di cui siano state accertate, nella compilazione dei moduli di domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità”. (16) dati anche solo parziali da parte del MI circa la percentuale di candidati esclusi non sono stati ancora forniti, ma basta visitare i siti web degli uffici Scolastici Provinciali per rendersi conto dei numerosi decreti di esclusione pubblicati quotidianamente da agosto 2020 ad oggi. (17) Lungi dal dilungarsi sulla fattispecie “dichiarazione mendace” alias dichiarazione non corrispondente a verità compiuta nei confronti della P.A. (che meriterebbe un’apposita trattazione) è interessante osservare i risvolti interpretativi di tale ipotesi di reato nella procedura di formazione delle gPS. (18) Periodi necessari per lo svolgersi dei controlli su più livelli, previsti dalla disciplina in oggetto. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 gate che accompagnano queste procedure e dai numeri spesso esorbitanti di candidature pervenute, con l’anno scolastico che incombe reclamando, giustamente, che i posti in cattedra trovino copertura e soprattutto che agli studenti venga assicurato in concreto il diritto costituzionalmente garantito all’istruzione ed anche, per quanto possibile, alla continuità didattica. un altro profilo di criticità è dato dal fatto che se è indiscusso che integri l’ipotesi di dichiarazione mendace inserire in domanda un titolo di studio d’accesso che in realtà non si possiede, un titolo di servizio che non si è svolto o un precedente inserimento nelle graduatorie d’istituto in realtà mai avvenuto, vi sono numerosi altri dati, pur dichiarabili, la cui “non corrispondenza a verità” ricade in una sorta di zona grigia (19). Lungi dal sembrare una mera disquisizione tra giuristi, il confine tra dichiarazioni non corrispondenti a verità e dichiarazioni incomplete, parzialmente inesatte o riferite a titoli posseduti ma non valutabili, è dirimente poiché la conseguenza nel primo caso è l’esclusione dalla graduatoria, nel secondo caso è tendenzialmente la rettifica del punteggio attribuito (20). Il primo step relativo ai controlli ha visto come protagonisti, nella fase antecedente alla formazione e pubblicazione delle graduatorie da parte dei singoli uffici scolastici provinciali, proprio tali articolazioni periferiche del MI, spesso coadiuvate -come prescritto nell’o.M. che riconosce tale possibilità da scuole polo (21). tale opzione è stata scelta soprattutto dagli uffici territoriali destinatari per le diverse classi di concorso di numeri sostenuti di domande, il tutto al fine di permettere -in armonia con tempistiche scandite a livello nazionale -la pubblicazione delle gPS all’inizio di settembre del 2020 (22) e l’avvio delle procedure di assegnazione delle supplenze a partire dal successivo 14 settembre. (19) In tale zona grigia ricade una congerie di dichiarazioni: l’inserimento di titoli che si posseggono ma che non sono in alcun modo valutabili in base all’o.M. 60/2020 ed ai suoi Allegati, l’inserimento di informazioni parziali o parzialmente vere che altrettanto rischiano di alterare il regime dei punteggi, solo per citare le ipotesi più comuni. (20) L’art. 8, comma 6, dell’o.M. dispone: “in caso di difformità tra i titoli dichiarati e i titoli effettivamente posseduti, i dirigenti degli uffici scolastici provinciali procedono alla relativa rettifica del punteggio o all’esclusione dalla graduatoria”. (21) Al comma 5, l’art. 8 chiarisce: “Gli Uffici scolastici provinciali procedono alla valutazione dei titoli dichiarati per le GPS di competenza, anche attraverso la delega a scuole polo su specifiche classi di concorso, al fine di evitare difformità nelle valutazioni”. (22) Come si legge nella nota del MI -dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione prot. 1588 del 11 settembre 2020: “L’om 60/2020 ha previsto, al fine di validare definitivamente le Graduatorie provinciali per supplenze e creare una banca dati stabile e veridica connessa all’anagrafe docente, un sistema di controlli multilivello: il primo, affidato al sistema informativo, ha introdotto alcuni blocchi che già hanno portato, ad esempio, all’esclusione di oltre 80.000 titoli dichiarati doppi; il secondo, agli ambiti territoriali ovvero alle istituzioni scolastiche delegate, che hanno svolto la valutazione; il terzo livello è affidato alle istituzioni scolastiche ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro, chiamate a una verifica definitiva, da avviare immediatamente per la conseguente trasmissione agli uffici degli ambiti territoriali”. LegISLAzIoNe ed AttuALItà Il secondo step di controlli, protrattosi per mesi, è espressione di uno dei profili più innovativi della disciplina caratterizzante l’o.M. 60. Si tratta dei controlli relativi alla correttezza dei punteggi attribuiti agli aspiranti presenti in gPS, ad opera dell’Istituzione scolastica ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro nel periodo di vigenza delle graduatorie (23). tali controlli si esplicano tenendo conto “esclusivamente di quanto effettivamente dichiarato dall’aspirante nell’istanza di partecipazione e oggetto delle rigorose verifiche previste” (24), traducendosi in una verifica puntuale (25)(26) di corrispondenza tra quanto dichiarato in domanda dal docente ed il complesso della documentazione esibita, ai sensi di legge, alla scuola di prima supplenza, a prova della veridicità dei dati inseriti in punto di compilazione dell’istanza per le gPS. Le attività di controllo svolte dalle Istituzioni scolastiche non sono prive di risvolti immediati e cogenti. Innanzitutto in quanto il servizio prestato dal- l’aspirante presente in gPS in forza di dichiarazioni mendaci comporta la risoluzione immediata (27) del contratto già sottoscritto e comporta, altresì, che l’eventuale servizio già prestato sia dichiarato prestato di fatto e non di diritto, con apposito provvedimento del dirigente scolastico (28). (23) Il comma 7 dell’art. 8 dell’o.M. dispone che : “L’istituzione scolastica ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro nel periodo di vigenza delle graduatorie effettua, tempestivamente, i controlli delle dichiarazioni presentate”. (24) Lo chiarisce ulteriormente la nota del M.I. -dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione prot. 1550 del 4 settembre 2020. (25) tale verifica presenta importanti profili di complessità, soprattutto con riferimento ad alcune classi di concorso, storicamente più articolate anche sotto il profilo normativo, con particolare riguardo ai titoli di studio d’accesso ed al regime delle abilitazioni o dei titoli di specializzazione richiesti, ad esempio, per il sostegno. (26) L’attività di controllo riguarda per macro aree: i titoli d’accesso, i punteggi per i titoli accademici, professionali e culturali ulteriori rispetto al titolo d’accesso, i titoli di servizio e per alcune classi di concorso afferenti al settore musicale e delle danza anche i c.d. “titoli artistici e professionali” specificamente valutabili (di cui si dirà meglio in seguito). In concreto si traduce in controlli relativi ai più disparati titoli di studio acquisiti nel corso di decenni dai docenti, con curricula spesso di primo ordine, tra diplomi, lauree, dottorati di ricerca, master, diplomi di perfezionamento, certificazioni linguistiche ed informatiche, nonché i titoli di servizio anch’essi non privi di specificità da valutare. (27) In particolare nell’a.s. 2020/21 l’assegnazione delle supplenze annuali ed al termine delle attività didattiche si è protratta per mesi, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, ben oltre il canonico mese di settembre, influenzata probabilmente dalla paura del Covid 19, che ha rappresentato un disincentivo allo storico pendolarismo tra province e tra regioni dei supplenti (tra convocazioni talvolta andate deserte e rinunce). Ciò ha determinato un inevitabile e fisiologico spostamento in avanti anche di molte delle attività di controllo anzidette. (28) Il comma 10 dell’art. 8 dell’o.M. recita: “(…) l’eventuale servizio prestato dall’aspirante sulla base di dichiarazioni mendaci è, con apposito provvedimento emesso dal dirigente scolastico, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall’interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio e della progressione di carriera, salvo ogni eventuale sanzione di altra natura”. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 In seconda battuta in quanto i titoli dichiarati in domanda, una volta controllati, si intendono definitivamente validati e sono utili, per i titolari, sia per la presentazione di nuove istanze, sia per la costruzione dell’anagrafe nazionale del personale docente, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 22/2020 (29). gli adempimenti procedurali richiesti si traducono, all’esito delle attività c.d. di verifica da parte delle scuole, in un provvedimento a firma del dirigente scolastico, il quale viene caricato sull’apposita piattaforma informatica nella posizione del docente e comunicato all’interessato (anche per l’eventuale reclamo avverso le determinazioni assunte), nonché trasmesso all’ufficio scolastico provinciale competente per la successiva convalida, con proprio decreto. In caso di esito negativo della verifica, il provvedimento del dirigente scolastico, contenente la ratio delle decisioni assunte, con la conseguente proposta di esclusione dalle gPS o di rettifica del punteggio originario, viene trasmesso per le determinazioni finali (30) all’uSP competente. Anche in questo caso le determinazioni assunte operano su un doppio binario, poiché se le valutazioni contenute nel provvedimento di verifica da parte del dS riguardanti la posizione dell’aspirante nelle gPS devono passare per un’attività di successiva convalida da parte dell’uSP responsabile della graduatoria provinciale, le decisioni corrispondenti che si riflettono anche sulla posizione all’interno delle graduatorie d’istituto competono in via definitiva ai dirigenti scolastici. L’attività di convalida da parte degli uSP (31), all’esito delle verifiche compiute dalle Istituzioni scolastiche, si inserisce in un quadro articolato e multilivello e si aggiunge agli accertamenti iniziali compiuti da tali articolazioni ministeriali prima della pubblicazione delle gPS ed a quelli successivi svolti in autotutela -frutto di accertamenti d’ufficio resisi necessari in corso d’anno, viste le varie note ministeriali esplicative della disciplina dell’oM 60 intercorse - nonché all’esito di reclami e ricorsi giurisdizionali. (29) È quanto dispone l’art. 8, comma 8, dell’oM. Successivamente la nota MI -dPIt già citata prot. 1550/2020 ha chiarato come “i titoli presentati, una volta convalidati dalle singole istituzioni scolastiche, entreranno in anagrafe docente, consentendo il loro utilizzo per la successiva presentazione di istanze senza la necessità di ulteriori controlli e adempimenti da parte dei docenti e dell’amministrazione”. (30) Si legge sul punto al successivo comma 9 : “in caso di esito negativo della verifica, il dirigente scolastico che ha effettuato i controlli comunica all’Ufficio competente la circostanza, ai fini delle esclusioni di cui all’articolo 7, commi 8 e 9, ovvero ai fini della rideterminazione dei punteggi e delle posizioni assegnati all’aspirante; comunicazione delle determinazioni assunte è fatta anche all’interessato. restano in capo al dirigente scolastico che ha effettuato i controlli la valutazione e le conseguenti determinazioni ai fini dell’eventuale responsabilità penale di cui all’articolo 76 del citato DPr 445/2000”. (31) gli uSP sono stati i primi recettori di questa disciplina innovativa che ha determinato un cambio epocale, sono punto di riferimento per le Istituzioni scolastiche nel recepire un corpus di norme totalmente nuovo e sono i principali destinatari, con particolare riferimento a questa procedura, delle istanze delle centinaia di utenti coinvolti. LegISLAzIoNe ed AttuALItà 3. Uno sguardo particolare alle classi di concorso musicali e coreutiche. I tratti più innovativi del corpus di norme contenute nell’o.M. 60/2020 sono certamente rinvenibili nella disciplina delle classi di concorso afferenti al settore musicale e coreutico (32). Le particolarità riguardano sia i titoli d’accesso richiesti per l’inserimento in gPS, con riferimento in questo caso ad alcune classi di concorso (33) dei Licei musicali, sia la possibilità di far valere, per l’ottenimento del punteggio complessivo, una serie di titoli specifici c.d. artistici e professionali (34), non richiesti per nessun’altra classe di concorso. Il regime peculiare in ordine ai titoli d’accesso per le classi di concorso A053, A055, A063, A064 affonda le sue radici nella disciplina antecedente (35), istitutiva di tali insegnamenti autonomi presso i Licei musicali (36), mettendo pian piano la parola fine ad anni di sperimentazione in cui venivano (32) I Licei musicali e coreutici sono stati istituiti con il dPr n. 89 del 15 marzo 2010, con annessi Allegati, con l’obiettivo di ampliare l’offerta formativa del sistema nazionale d’istruzione, dedicandosi all’apprendimento tecnico pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura. gli insegnamenti offerti non solo permettono di garantire una certa continuità con i percorsi di studio intrapresi nelle scuole sec. di I grado ad indirizzo musicale ma permettono, altresì, di approcciare ad una formazione più capillare ed universale che non sempre può essere raggiunta per il tramite di Conservatori ed Accademia di danza. I piani di studi dei predetti Licei affiancano a 18 ore settimanali di lezioni “obbligatorie” nelle materie condivise con gli altri percorsi liceali, 14 ore settimanali di lezioni collegate allo specifico indirizzo prescelto. Nelle sezioni musicali gli studenti si confrontano con gli insegnamenti di esecuzione ed Interpretazione (ogni studente si confronta con la formazione musicale in almeno due strumenti), teoria, analisi e composizione, Storia della musica, Laboratorio di musica d’insieme e tecnologie musicali. Nelle sezione coreutiche gli studenti si confrontano oltre che con Storia della danza e Storia della musica, con insegnamenti più squisitamente pratici quali tecniche della danza, Laboratorio coreutico, Laboratorio coreografico, nonché teoria e pratica musicale per la danza. un dato dirimente che fa di questi licei un unicum è certamente rappresentato, almeno per alcuni insegnamenti caratterizzanti il percorso di studio, da un rapporto docente -allievo che si attesta quasi sull’1 a 1, a testimonianza del potenziale esprimibile da questi percorsi formativi. Questo dato è confermato dalle procedure per l’accesso ai Licei musicali e coreutici, subordinato al preventivo superamento di un esame da parte degli studenti che si candidano alla loro frequenza; esame in cui testare non soltanto la loro preparazione quanto piuttosto le loro attitudini e motivazioni verso una formazione così particolare. (33) Le classi di concorso interessate da questa disciplina peculiare in ordine ai titoli d’accesso sono: Storia della musica (A053), Strumento musicale negli ist. di istruz. sec. di II grado, c.d. esecuzione ed interpretazione (A055), tecnologie musicali (A063), teoria, analisi e composizione (A064). (34) Le classi di concorso per le quali è possibile far valere anche tali titoli ulteriori sono: Strumento musicale negli ist. di istruz. sec. di I e II grado (rispettivamente A056 ed A055), tecnica di accompagnamento alla danza, teoria e pratica musicale per la danza (A059), tecnologie musicali (A063), nonché per il settore coreutico tecnica della danza classica (A057) e tecnica della danza contemporanea (A058). (35) Il riferimento è al dPr n. 19/2016 che ha disciplinato la razionalizzazione e l’accorpamento delle vecchie classi di concorso, così come modificato dal dM 259/2017 ed in particolare dal suo Allegato A contenente “Nuove classi di concorso: denominazione, titoli d’accesso, insegnamenti relativi” che ha istituito le classi di concorso A053, A055, A063, A064. Il riferimento è altresì anche al successivo Allegato e al dM 259/2017 contenente importanti specificazioni su tali insegnamenti. (36) entrati a pieno regime nell’a.s. 2014/15 ma già oggetto di alcune sperimentazioni a cavallo tra il primo ed il secondo decennio del 2000. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 "utilizzati ” (37) presso questi percorsi liceali principalmente i docenti delle scuole sec. di I grado (38). dirimente per inquadrare i titoli d’accesso necessari è l’Allegato e al d.M. 259/2017, il quale innanzitutto ribadisce che, fin quando non saranno attivati specifici percorsi abilitanti per le classi di concorso sopraindicate, si considerano abilitati i docenti che oltre ad avere il titolo di studio richiesto, siano abilitati all’insegnamento di educazione musicale nelle sc. sec. di I o II grado o siano abilitati all’insegnamento di strum. music. nella sc. sec. di I grado (39). In armonia con le specificità caratterizzanti tali classi di concorso, l’art. 4 dell’o.M. 60 ha individuato criteri peculiari per l’accesso alle gPS di prima e seconda fascia per questi insegnamenti. L’art. 4, comma 1, dell’o.M. 60, in coerenza con la linea normativa già assunta con il d.P.r n. 19/2016 ed il d.M. n. 259/2017 (40) (41), ha riconosciuto la possibilità di iscrizione in I fascia gPS -per le c.d.c. A053, A055, A063, A064 -ai docenti abilitati all’insegnamento in educ. musicale nella sc. sec. di I e II grado (rispettivamente A030 ed A029) o nello strum. music. nella sc. sec. di I grado (A056) che, in ogni caso, presentino tutti gli altri requisiti già indicati - previsti per le singole c.d.c. dall’Allegato e. La possibilità di iscrizione in II fascia gPS, ai sensi dell’art. 4, comma 2, è subordinata, oltre che al possesso dei titoli di studio e di servizio, alla precedente iscrizione nelle graduatorie d’Istituto per il triennio 2017/2019 o al (37) L’utilizzazione è il termine tecnico con il quale si definiva l’attività di docenza sulle classi di concorso musicali svolta nei Licei musicali da parte di insegnanti di educazione musicale o di strumento musicale, titolari presso le scuole sec. di I grado, nelle more dell’istituzione delle specifiche classi di concorso e nelle more dell’istituzione di un corpo docente titolare su tali materie nei predetti Licei. Il regime delle utilizzazioni anzidette non è più in vigore dall’a.s. 2020/21, come disposto dall’art. 6 bis del CCNI utilizzazioni e Assegnazioni provvisorie triennio 2019/20 - 2020/21 - 2021/22. (38) Più comunemente conosciute con la vecchia dicitura “scuole medie”. (39) L’Allegato definisce, per la fase transitoria di fatto ancora vigente, i titoli d’accesso per l’insegnamento nelle c.d.c. sopraindicate. Per la c.d.c. esecuzione ed interpretazione (A055) oltre alle abilitazioni già elencate è necessario che il candidato sia in possesso, congiuntamente, del diploma di conservatorio sullo specifico strumento e del requisito dell’aver già prestato servizio nei corsi di Liceo musicale. Per la c.d.c. tecnologie musicali (A063) oltre alle abilitazioni già elencate è necessario possedere il diploma di conservatorio vecchio ordinamento in musica elettronica o diplomi accademici di II livello speculari in musica elettronica e tecnologie del suono; altresì qualsiasi diploma accademico di II livello con un piano di studio comprensivo di almeno 36 crediti nel settore delle nuove tecnologie audiodigitali e/o della musica elettronica. Per la c.d.c. teoria, analisi e composizione (A064) oltre alle abilitazioni già elencate è necessario possedere il diploma di conservatorio V.o. o accademico di II livello in composizione, direzione d’orchestra, organo e composizione organistica, musica corale e direzione del coro, strumentazione per banda. In ultimo, per la c.d.c. Storia della musica (A053) oltre alle abilitazioni già elencate è necessario possedere la laurea in musicologia e beni musicali (o titoli equiparati) congiuntamente al diploma di conservatorio. (40) Contenente il già citato Allegato e, faro nella disciplina effettiva delle classi in oggetto. (41) Il d.P.r. n. 19/2016 ed il d.M. 259/2017 contengono una disciplina transitoria per queste classi di concorso nelle more dell’espletamento della procedura di abilitazione speciale e dell’istituzione di specifici percorsi di abilitazione. LegISLAzIoNe ed AttuALItà l’aver acquisito i c.d. 24 CFu in discipline antro-psicopedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche. Il rapporto tra Licei coreutici e modalità di reclutamento dei docenti, anche per il tramite delle gPS, risente di ulteriori specificità. Le classi di concorso tecnica della danza classica (A057), tecnica della danza contemporanea (A058), tecniche di accompagnamento alla danza e teoria e pratica musicale per la danza (A059), espressione delle discipline coreutiche, sono state oggetto di un percorso normativo a tratti accidentato (42). Le criticità riguardano il fatto che ad oggi non vi sono insegnanti a tempo indeterminato per tali classi di concorso, in quanto la prima procedura concorsuale che di fatto ha coinvolto le tre classi citate, volta all’assunzione di titolari sulle materie, è il concorso straordinario docenti ex ddg. 510/2020 (43). Il mese di luglio 2021 potrebbe essere quello di pubblicazione delle prime graduatorie concorsuali per gli insegnamenti coreutici, in quanto le attività di valutazione da parte delle commissioni di concorso, con annessi e connessi, sono in fase di attuale svolgimento. L’assenza di un corpo docente titolare ben evidenzia come per gli insegnamenti coreutici siano state finora centrali, in quanto unico canale di reclutamento, le procedure per l’assegnazione di incarichi a tempo determinato, vale a dire le supplenze, attualmente da gPS e da g.I. Senza tali tipologie di assegnazioni i Licei coreutici non avrebbero potuto di fatto garantire l’erogazione della loro offerta formativa, con nocumento per gli allievi e i docenti interessati e in netto contrasto con una volontà normativa di rango primario che ha istituito gli insegnamenti coreutici, mostrando, però, un non trascurabile ritardo nel dare puntuale attuazione a tali principi. Per provare a completare il quadro delle specificità degli insegnamenti musicali e coreutici non si può prescindere dal compiere alcune considerazioni sui c.d. titoli artistici, richiamati già all’inizio del presente paragrafo, come un vero e proprio unicum. L’unicità è da rinvenirsi nel fatto che alla formazione del punteggio van (42) Si tratta di classi di concorso di nuova istituzione, ai sensi del dPr n. 19/2016 ed in particolare del suo Allegato A. Il titolo di accesso per l’insegnamento della classe di concorso A057 è il diploma Accademico di II livello in danza classica o in composizione ad indirizzo Coreografia (con almeno 48 cfu in tecnica della danza classica), quello per l’insegnamento della classe di concorso A058 è il diploma Accademico di II livello in danza contemporanea o in composizione ad indirizzo Coreografia (con almeno 48 cfu in tecnica della danza contemporanea). da ultimo il titolo d’accesso per la classe di concorso A059 è il diploma Accademico in Maestro collaboratore per la danza, in alternativa il diploma di Conservatorio in pianoforte o il diploma di II livello in pianoforte. (43) Senza voler dilungarsi sul concorso straordinario ed i requisiti di partecipazione richiesti dal bando, è opportuno puntualizzare che tale procedura ha interessato unicamente i docenti che oltre al titolo di studio richiesto ex lege per l’insegnamento nella specifica c.d.c. vantassero anche 3 annualità di servizio, di cui almeno una di c.d. servizio specifico, vale a dire sulla materia per la quale si concorre. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 tato dai singoli docenti nelle gPS per alcune classi di concorso del settore musicale e della danza (44) concorrono anche delle voci di punteggio che sono la summa di specifiche esperienze artistiche codificate. Sotto questo profilo la portata innovativa dell’oM 60/2020, istitutiva delle gPS, è stata a tratti dirompente, segnando un punto di non ritorno rispetto alla disciplina precedente (45). I titoli artistici suscettibili di valutazione sono indicati rispettivamente negli allegati A/3 ed A/4 (46) all’o.M. 60. Si tratta, per le classi di concorso afferenti al settore musicale già indicate, di punti ulteriori riconosciuti: per il diploma di perfezionamento conseguito presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; per premi in concorsi nazionali o internazionali relativi allo specifico strumento; per idoneità in concorsi per orchestre sinfoniche di Fondazioni Lirico Sinfoniche (47). Si tratta, altresì, del riconoscimento di punti ulteriori per l’attività professionale, compresa quella di direzione, svolta nelle predette orchestre o in analoghe istituzioni estere e dell’attività concertistica solista o in formazioni di musica da camera, in Italia purché all’interno di attività finanziate dal Fondo unico per lo spettacolo, o all’estero, per ciascun titolo e sino ad un massimo di punti 30 (48)(49). Punteggi analoghi sono riconosciuti per premi ed attività in qualità di (44) Le classi di concorso nelle quali spendere, ai fini del punteggio totale vantato in graduatoria dal docente, i c.d. titoli artistici sono: A055, A056, A059, A063, nonché squisitamente per la danza A057 e A058. (45) di cui si dirà a breve nella presente trattazione. (46) Sotto questo profilo il contenuto degli Allegati A/3 “Tabella dei titoli valutabili per le graduatorie provinciali di i fascia per le supplenze del personale docente nella scuola secondaria di primo e secondo grado” ed A/4 “Tabella dei titoli valutabili per le graduatorie provinciali di ii fascia per le supplenze del personale docente nella scuola secondaria di primo e secondo grado” è sostanzialmente sovrapponibile. La sezione dedicata all’indicazione dei titoli artistici valutabili e dei punteggi corrispondenti è denominata “bA”. (47) Altrettanto vale per le orchestre riconosciute ai sensi dell’articolo 28 della legge 14 agosto 1967 n. 800 o in analoghe istituzioni estere, per ciascuna stagione. Nella prassi la valutazione di cosa si intende per stagione orchestrale ha generato qualche dubbio interpretativo, in ordine alla effettiva durata della medesima. (48) Il riconoscimento di punti unicamente per l’attività concertistica finanziata dal c.d. FuS è stata oggetto di critiche e contestazioni da parte di una folta rappresentanza di docenti del settore e delle associazioni di categoria, i quali hanno sottolineato la difficoltà sostanziale, in questi anni, di veder effettivamente erogati tali fondi, disconoscendo il valore -in termini di punteggio -ad attività concertistiche di pregio ed in ogni caso documentabili, pur se non finanziate dal FuS. (49) Il Fondo unico per lo spettacolo -FuS, istituito con legge n. 163/1985, sostiene le attività di produzione e programmazione nell’ambito della musica, del teatro, della danza, del circo e dello spettacolo viaggiante. I contributi sono concessi per progetti triennali, su programmi annuali, tranne nel caso di tournée all’estero, finanziate annualmente. Criteri e modalità di concessione dei contributi sono disciplinati dal d.M. 332/2017; requisito indispensabile per l’erogazione -previa approvazione del progetto -è il comprovato svolgimento dell’attività, congiunto -per la musica e per la danza -al requisito del non avere scopo di lucro. LegISLAzIoNe ed AttuALItà danzatore e/o coreografo per le classi di concorso tecnica della danza classica e tecnica della danza contemporanea. I punteggi per i titoli artistici, in questo ricalcando la disciplina previgente, non possono superare i 66 punti, individuati quale soglia massima raggiungibile per le attività ed i premi conseguiti. L’o.M. 60, per il tramite dei suoi Allegati, ha ridimensionato fortemente il complesso dei titoli artistici e reso il sistema di valutazione dei medesimi molto più oggettivo rispetto al passato, incasellando le esperienze artistico professionali rilevanti nel caso di specie in un numero ridotto di ipotesi. La rivoluzione concretizzatasi con la disciplina appena descritta appare in tutta la sua evidenza se messa a confronto con il corpo di norme che disciplinavano le precedenti g.I. nel triennio 2017/20 (50). Il d.M. 374/2017, in particolare i suoi Allegati A e b, riconoscevano una rosa molto più ampia di attività afferenti al settore musicale e coreutico valutabili: basti pensare, ancor prima di addentrarsi nei titoli artistici, al riconoscimento tra i titoli di servizio validamente prestati delle attività di insegnamento svolte presso Conservatori ed Istituti musicali pareggiati, presso l’Accademia Nazionale di danza, i corsi presso amministrazioni statali e quelli presso enti pubblici o dagli stessi autorizzati e controllati (51). Ancor più evidente è la distanza rispetto alla disciplina attuale se si passano in rassegna i titoli artistici che erano riconoscibili in base al dM 374/2017, vale a dire: attività concertistica (52); attività professionale svolta in orchestre lirico sinfoniche in ciascun anno solare (53); premi in concorsi nazionali o internazionali (54); idoneità in concorsi per orchestre sinfoniche; composizioni, pubblicazioni, incisioni discografiche, studi e ricerche di carattere musicale, metodologico o relative alla didattica strumentale (55); corsi di perfezionamento in qualità di allievi effettivi per lo strumento della graduatoria o altro (56); in ultimo altre attività musicali documentate (57). Il modello dei titoli artistici offerto dal d.M. 374/2017 era sicuramente pregevole per l’intenzione di dar spazio ad esperienze professionali e di formazione (50) Il d.M. 374/2017 ha istituito le graduatorie d’istituto per il triennio 2017/20, disciplinando, altresì, il meccanismo delle supplenze. (51) I titoli di servizio elencati non trovano identico riscontro e riconoscimento nella disciplina attuale dell’o.M. 60/2020, che non prevede tali ipotesi. (52) riconoscibile senza il vincolo del finanziamento da parte del FuS. (53) Senza limiti di punteggio massimo rispetto alla disciplina attuale, che lo fissa a punti 30. (54) Senza il vincolo del riferirsi allo strumento specifico della graduatoria e senza soglie massime da non superare, mentre attualmente il punteggio max per premi è pari a 6. (55) Voce presente tra i titoli artistici valutabili ai sensi del d.M. 374/2017, totalmente espunta dall’o.M. 60/2020. (56) Anche tale voce è stata espunta dalla citata o.M. (57) Questa tipologia di attività, vista la genericità della dicitura, era divenuta una sorta di mare magnum in cui far confluire le più disparate attività musicali svolte dagli aspiranti supplenti di strumento musicale. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 che plasmano i docenti e concorrono a formarne i curricula, da un altro punto di vista, tuttavia, l’esperienza ha mostrato come in alcuni casi marginali questa concentrazione verso la propria carriera professionale/concertistica (con il meccanismo dell’accumulo di titoli e punteggio da far valere nelle graduatorie successive) si rivelava penalizzante per la docenza nel senso puro del termine. Sotto un profilo squisitamente giuridico ed amministrativo, altresì, non si può non segnalare come la macchina della valutazione di tali titoli artistici, secondo il modello offerto dal d.M. 374/2017, non fosse del tutto immune da criticità (58). Il modello di valutazione affidato a Commissioni di esperti, come proposto dal citato d.M. con i criteri esposti negli Allegati A e b, ha rivelato alcuni limiti, atti a riflettersi sulle graduatorie e pertanto sugli incarichi di supplenza conferiti. Le Commissioni erano spesso oberate da un lavoro di valutazione esorbitante per i numeri di aspiranti che queste procedure coinvolgono, con attività che andavano avanti per mesi e mesi, spesso rallentate da reclami avverso le valutazioni ricevute dai docenti ai loro titoli artistici, che determinavano la necessità di riprendere in mano valutazioni che si ritenevano concluse. I reclami dei docenti, che lamentavano talvolta un’eccessiva discrezionalità vista l’ampia rosa di titoli valutabili, potevano sfociare nella rivalutazione dei punteggi attribuiti, all’esito delle attività di riesame da parte delle Commissioni. Ciò generava graduatorie particolarmente precarie, con tutti gli inconvenienti e i rischi del caso. In conclusione, con riferimento ai settori musicale e coreutico, il breve excursus offerto fa emergere in maniera evidente la diversità di impianto normativo che caratterizza l’o.M. 60/2020 rispetto alla disciplina previgente. 4. Considerazioni conclusive. Alle battute finali della presente trattazione, richiamandone il titolo prescelto, è forse possibile fare un primo parziale bilancio in merito alle graduatorie provinciali di supplenza. La procedura interamente digitalizzata è certamente un punto di non ritorno, così come la ratio di creare una banca dati definitiva che contenga titoli e punteggi ormai convalidati dei docenti, utili per le future graduatorie. (58) deputate alla valutazione delle centinaia di titoli che i docenti presentavano erano -ai sensi del d.M. 374 -delle apposite Commissioni costituite presso gli uSP ai sensi dell’art. 5, comma 4, del d.M. 131/2007 (per strumento musicale e tecnologie musicali) e da apposite Commissioni costituite ai sensi dell’art. 4 bis del medesimo decreto, per le discipline coreutiche. tali Commissioni composte da maestri del Conservatorio o dell’Accademia di danza, a seconda delle discipline, e da docenti nelle materie oggetto di valutazione avevano l’incarico -all’esito della valutazione dei titoli artistici presentati da ogni singolo aspirante in graduatoria -di attribuire un determinato punteggio per i titoli artistici, che sommato al punteggio per i titoli d’accesso ecc., nonché quello per i titoli di servizio, dava il punteggio totale. LegISLAzIoNe ed AttuALItà Per altri aspetti caratterizzanti la disciplina ed ivi richiamati, a parere di chi scrive, saranno possibili e probabili innovazioni ulteriori, sollecitate da un bilancio empirico che si concluderà nel 2022, alla scadenza delle gPS vigenti. A testimonianza del dinamismo del settore e di procedure come quella appena descritta, vi è l’attuale discussione alle Camere del c.d. “decreto sostegni bis”, in via di approvazione entro la fine di luglio 2021, il quale potrebbe disporre l’assunzione dei docenti proprio dalle gPS di I fascia, permettendo dopo un primo anno di formazione con contratto a termine, la successiva stabilizzazione. In conclusione, la volontà di dar voce a queste tematiche trova la sua ragion d’essere nella loro attitudine a coinvolgere un bacino immenso di interessati e, pertanto, a coinvolgere in maniera altrettanto intensa la macchina amministrativa in tutte le sue articolazioni. È ben noto a chi legge quanto il mondo della scuola, con tutte le procedure che lo caratterizzano, sia foriero di contenziosi, coinvolgendo a 360 gradi -a seconda delle materie trattate -sia il giudice amministrativo, sia il giudice ordinario. Pertanto, con un corpus normativo che si rinnova di continuo, emerge l’urgenza di monitorare il più possibile il “diritto scolastico” in senso ampio, in un’ottica di deflazione del contenzioso. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 Accountability Gaetana Natale* “The concept of privacy is elusive and ill defined” as richard Posner wrote in his famous essay entitled “The right of Privacy” (1977). In leading case melvin v reid Samuel d.Warren and Luis d.brandeis defined “the right to be let alone” without digital data, analytics or algorithms. With Artificial Intelligence how will the concept of accountability change? Must the accountability go over the territoriality of the States in europe and, after the case Schrems II (Privacy Shield), in uSA? So, reading the articles of gdPr, we can make some reflections. Article 24 - EU GDPR "Responsibility of the controller" 1. Taking into account the nature, scope, context and purposes of processing as well as the risks of varying likelihood and severity for the rights and freedoms of natural persons, the controller shall implement appropriate technical and organisational measures to ensure and to be able to demonstrate that processing is performed in accordance with this regulation. Those measures shall be reviewed and updated where necessary. 2. Where proportionate in relation to processing activities, the measures referred to in paragraph 1 shall include the implementation of appropriate data protection policies by the controller. 3. Adherence to approved codes of conduct as referred to in Article 40 or approved certification mechanisms as referred to in Article 42 may be used as an element by which to demonstrate compliance with the obligations of the controller. Suitable recitals Recital 74 Responsibility and liability of the controller The responsibility and liability of the controller for any processing of personal data carried out by the controller or on the controller’s behalf should be established. in particular, the controller should be obliged to implement appropriate and effective measures and be able to demonstrate the compliance of processing activities with this regulation, including the effectiveness of the measures. Those measures should take into account the nature, scope, context and purposes of the processing and the risk to the rights and freedoms of natural persons. (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto presso l’università degli Studi di Salerno, Consigliere giuridico del garante per la Privacy. Costituisce il presente scritto la relazione presentata dall’Autrice, in qualità di consigliere giuridico del Garante per la Privacy, ad un meeting internazionale con l’Autorità della Privacy albanese -2 marzo 2021. LegISLAzIoNe ed AttuALItà Recital 75 Risks to the rights and freedoms of natural persons The risk to the rights and freedoms of natural persons, of varying likelihood and severity, may result from personal data processing which could lead to physical, material or non-material damage, in particular: where the processing may give rise to discrimination, identity theft or fraud, financial loss, damage to the reputation, loss of confidentiality of personal data protected by professional secrecy, unauthorised reversal of pseudonymisation, or any other significant economic or social disadvantage; where data subjects might be deprived of their rights and freedoms or prevented from exercising control over their personal data; where personal data are processed which reveal racial or ethnic origin, political opinions, religion or philosophical beliefs, trade union membership, and the processing of genetic data, data concerning health or data concerning sex life or criminal convictions and offences or related security measures; where personal aspects are evaluated, in particular analysing or predicting aspects concerning performance at work, economic situation, health, personal preferences or interests, reliability or behaviour, location or movements, in order to create or use personal profiles; where personal data of vulnerable natural persons, in particular of children, are processed; or where processing involves a large amount of personal data and affects a large number of data subjects. Recital 76 Risk assessment The likelihood and severity of the risk to the rights and freedoms of the data subject should be determined by reference to the nature, scope, context and purposes of the processing. risk should be evaluated on the basis of an objective assessment, by which it is established whether data processing operations involve a risk or a high risk. Recital 77 Risk assessment guidelines Guidance on the implementation of appropriate measures and on the demonstration of compliance by the controller or the processor, especially as regards the identification of the risk related to the processing, their assessment in terms of origin, nature, likelihood and severity, and the identification of best practices to mitigate the risk, could be provided in particular by means of approved codes of conduct, approved certifications, guidelines provided by the Board or indications provided by a data protection officer. The Board may also issue guidelines on processing operations that are considered to be unlikely to result in a high risk to the rights and freedoms of natural persons and indicate what measures may be sufficient in such cases to address such risk. Article 25 - EU GDPR “Data protection by design and by default” 1. Taking into account the state of the art, the cost of implementation and the nature, scope, context and purposes of processing as well as the risks of varying likelihood and severity for rights and freedoms of natural persons posed by the processing, the controller shall, both at the time of the determination of the means for processing and at the time of the processing itself, implement appropriate technical and organisational measures, such as pseudonymisation, which are designed to implement data-protection principles, such as rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 data minimisation, in an effective manner and to integrate the necessary safeguards into the processing in order to meet the requirements of this regulation and protect the rights of data subjects. 2. The controller shall implement appropriate technical and organisational measures for ensuring that, by default, only personal data which are necessary for each specific purpose of the processing are processed. That obligation applies to the amount of personal data collected, the extent of their processing, the period of their storage and their accessibility. in particular, such measures shall ensure that by default personal data are not made accessible without the individual's intervention to an indefinite number of natural persons. 3. An approved certification mechanism pursuant to Article 42 may be used as an element to demonstrate compliance with the requirements set out in paragraphs 1 and 2 of this Article. Suitable recitals Recital 78 Appropriate technical and organisational measures The protection of the rights and freedoms of natural persons with regard to the processing of personal data require that appropriate technical and organisational measures be taken to ensure that the requirements of this regulation are met. in order to be able to demonstrate compliance with this regulation, the controller should adopt internal policies and implement measures which meet in particular the principles of data protection by design and data protection by default. Such measures could consist, inter alia, of minimising the processing of personal data, pseudonymising personal data as soon as possible, transparency with regard to the functions and processing of personal data, enabling the data subject to monitor the data processing, enabling the controller to create and improve security features. When developing, designing, selecting and using applications, services and products that are based on the processing of personal data or process personal data to fulfil their task, producers of the products, services and applications should be encouraged to take into account the right to data protection when developing and designing such products, services and applications and, with due regard to the state of the art, to make sure that controllers and processors are able to fulfil their data protection obligations. The principles of data protection by design and by default should also be taken into consideration in the context of public tenders. Controller and processor, but today we have the figure of prossimer and the algorithm is not mere tool, but with the scheme if this than that it becames an essential element of “automatic decision”.the privacy is not a static, but dynamic concept. 1. Accountability. Accountability is a common principle for organisations across many disciplines; the principle embodies that organisations live up to expectations for instance in the delivery of their products and their behaviour towards those they interact with. the general data Protection regulation (gdPr) integrates accountability as a principle which requires that organisations put in place ap LegISLAzIoNe ed AttuALItà propriate technical and organisational measures and be able to demonstrate what they did and its effectiveness when requested. organisations, and not data Protection Authorities, must demonstrate that they are compliant with the law. Such measures include: adequate documentation on what personal data are processed, how, to what purpose, how long; documented processes and procedures aiming at tackling data protection issues at an early state when building information systems or responding to a data breach; the presence of a data Protection officer that be integrated in the organisation planning and operations etc. In 2015, in anticipation of the gdPr, the edPS initiated a project to develop a framework for greater accountability in data processing to be applied to our own organisation, as an institution, a manager of financial resources and people - and a controller. In addition, we have started to promote the accountability principle through visits to small, medium and large eu bodies to explain the new obligations resulting from the revised legal framework and the implications for eu institutions and the edPS' work as their supervisory authority. Accountability is one of the data protection principles -it makes you responsible for complying with the gdPr and says that you must be able to demonstrate your compliance. You need to put in place appropriate technical and organisational measures to meet the requirements of accountability. there are a number of measures that you can, and in some cases must, take including: - adopting and implementing data protection policies; - taking a ‘data protection by design and default’ approach; -putting written contracts in place with organisations that process personal data on your behalf; - maintaining documentation of your processing activities; - implementing appropriate security measures; - recording and, where necessary, reporting personal data breaches; -carrying out data protection impact assessments for uses of personal data that are likely to result in high risk to individuals’ interests; - appointing a data protection officer; and -adhering to relevant codes of conduct and signing up to certification schemes. Accountability obligations are ongoing. You must review and, where necessary, update the measures you put in place. If you implement a privacy management framework this can help you embed your accountability measures and create a culture of privacy across your organisation. being accountable can help you to build trust with individuals and may help you mitigate enforcement action. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 there are two key elements. First, the accountability principle makes it clear that you are responsible for complying with the gdPr. Second, you must be able to demonstrate your compliance. taking responsibility for what you do with personal data, and demonstrating the steps you have taken to protect people’s rights not only results in better legal compliance, it also offers you a competitive edge. Accountability is a real opportunity for you to show, and prove, how you respect people’s privacy. this can help you to develop and sustain people’s trust. Furthermore, if something does go wrong, then being able to show that you actively considered the risks and put in place measures and safeguards can help you provide mitigation against any potential enforcement action. on the other hand, if you can’t show good data protection practices, it may leave you open to fines and reputational damage. Accountability is not a box-ticking exercise. being responsible for compliance with the gdPr means that you need to be proactive and organised about your approach to data protection, while demonstrating your compliance means that you must be able to evidence the steps you take to comply. to achieve this, if you are a larger organisation you may choose to put in place a privacy management framework. this can help you create a culture of commitment to data protection, by embedding systematic and demonstrable compliance across your organisation. Amongst other things, your framework should include: - robust program controls informed by the requirements of the gdPr; - appropriate reporting structures; and - assessment and evaluation procedures. If you are a smaller organisation you will most likely benefit from a smaller scale approach to accountability. Amongst other things you should: -ensure a good level of understanding and awareness of data protection amongst your staff; -implement comprehensive but proportionate policies and procedures for handling personal data; and - keep records of what you do and why. Article 24(1) of the gdPr says that: -you must implement technical and organisational measures to ensure, and demonstrate, compliance with the gdPr; - the measures should be risk-based and proportionate; and - you need to review and update the measures as necessary. While the gdPr does not specify an exhaustive list of things you need to do to be accountable, it does set out several different measures you can take that will help you get there. these are summarised under the headings below, with links to the relevant parts of the guide. Some measures you are obliged to take and some are voluntary. It will differ depending on what personal data LegISLAzIoNe ed AttuALItà you have and what you do with it. these measures can form the basis of your programme controls if you opt to put in place a privacy management framework across your organisation. Should we implement data protection policies? For many organisations, putting in place relevant policies is a fundamental part of their approach to data protection compliance. the gdPr explicitly says that, where proportionate, implementing data protection policies is one of the measures you can take to ensure, and demonstrate, compliance. What you have policies for, and their level of detail, depends on what you do with personal data. If, for instance, you handle large volumes of personal data, or particularly sensitive information such as special category data, then you should take greater care to ensure that your policies are robust and comprehensive. As well as drafting data protection policies, you should also be able to show that you have implemented and adhered to them. this could include awareness raising, training, monitoring and audits -all tasks that your data protection officer can undertake (see below for more on data protection officers). Privacy by design has long been seen as a good practice approach when designing new products, processes and systems that use personal data. under the heading ‘data protection by design and by default’, the gdPr legally requires you to take this approach. data protection by design and default is an integral element of being accountable. It is about embedding data protection into everything you do, throughout all your processing operations. the gdPr suggests measures that may be appropriate such as minimising the data you collect, applying pseudonymisation techniques, and improving security features. Integrating data protection considerations into your operations helps you to comply with your obligations, while documenting the decisions you take (often in data protection impact assessments - see below) demonstrates this. Whenever a controller uses a processor to handle personal data on their behalf, it needs to put in place a written contract that sets out each party’s responsibilities and liabilities. Contracts must include certain specific terms as a minimum, such as requiring the processor to take appropriate measures to ensure the security of processing and obliging it to assist the controller in allowing individuals to exercise their rights under the gdPr. using clear and comprehensive contracts with your processors helps to ensure that everyone understands their data protection obligations and is a good way to demonstrate this formally. the above measures can help to support an accountable approach to data protection, but it is not limited to these. You need to be able to prove what steps you have taken to comply. In practice this means keeping records of what you do and justifying your decisions. rASSegNA AVVoCAturA deLLo StAto -N. 1/2021 Accountability is not just about being answerable to the regulator; you must also demonstrate your compliance to individuals. Amongst other things, individuals have the right to be informed about what personal data you collect, why you use it and who you share it with. Additionally, if you use techniques such as artificial intelligence and machine learning to make decisions about people, in certain cases individuals have the right to hold you to account by requesting explanations of those decisions and contesting them. You therefore need to find effective ways to provide information to people about what you do with their personal data, and explain and review automated decisions. the obligations that accountability places on you are ongoing -you cannot simply sign off a particular processing operation as ‘accountable’ and move on. You must review the measures you implement at appropriate intervals to ensure that they remain effective. You should update measures that are no longer fit for purpose. If you regularly change what you do with personal data, or the types of information that you collect, you should review and update your measures frequently, remembering to document what you do and why. 2. The principle of accountability. the general data Protection regulation (gdPr) introduces a new principle to data protection rules in europe: that of accountability. the gdPr requires that the controller is responsible for making sure all privacy principles are adhered to. Moreover, the gdPr requires that your organisation can demonstrate compliance with all the principles. So, which steps should your organisation take to build such a culture and to be able to demonstrate accountability? Firstly, the organisation must know what principles need to be adhered to. there are six principles set out in the gdPr. these are the principles of lawfulness, fairness and transparency, purpose limitation, data minimisation, accuracy, storage limitation, and integrity and confidentiality. one of the best ways to make sure these principles are adhered to is to make sure your internal privacy governance structure is set up correctly and comprehensively. the ways to incorporate these principles are woven in throughout the gdPr. For instance, the gdPr states your organisation is required to deploy appropriate technical and organisational measures as laid out in the gdPr. Some (new) measures mentioned in the gdPr are: documented processes/policies, data protection impact assessments (dPIA), suggested data security methods, data protection by design and by default, a mandatory data protection officer (dPo) for large scale personal data processing, and keeping records of your processing activities. Special attention is given to (industry) code of conducts and self-certification, data breach notification and transparency requirements. LegISLAzIoNe ed AttuALItà 3. A culture and organisational change. A strong governance structure is essential to standardise privacy and develop privacy by design and default. to create a cultural and organisational change for gdPr compliance within your organisation, buy-in from stakeholders is of significant importance. by developing internal guidelines for employees, compliance with legal obligations for data processing and securing data can be ensured. Incorporate training and awareness programs for everyone who is going to be involved in the processing of personal data. Your organisation can also consider subscribing to an industry code of conduct or creating internal guidelines and a review process for data analytics. Subscribing to an industry code of conduct can demonstrate compliance, especially when the certifications are issued by the certification bodies. these mechanisms are not obligatory under the gdPr, but are highly recommended. developing your own ethical standards with respect to processing personal data, may further enhance your accountability efforts. the risks of new initiatives are weighed against possible benefits. Questions like ‘can we legally do this?’ should be complemented by ‘do we want to do this and how will it be perceived by our customers?’ to safeguard the ethical use of the data. Furthermore the gdPr obligates your organisation to maintain an internal record of all your processing activities. Your organisation is, among others things, required to record the purposes of the processing and a description of technical and organisational security measures. New in the gdPr is the requirement to designate a data Privacy officer (dPo) within your organisation. Although the requirement is only mandatory in certain circumstances, a dPo can monitor the activities of your organisation and the processing activities to help you become compliant with the gdPr. 4. Conclusion. today this system of rules is not enough. the level of protection must follow the technology. the Commission has made a proposal of Digital Service Act that will introduce a concept of accountability in terms of strict liability for contents of big data. data are considered important items of digital economy, making the concept of Data Driven Economy. It is important to create a multilevel system of protection, enhancing the power of inspection and injunction of SA with pre-emptive remedy and with web-tax to regulate economic influence of social platforms. the criteria of one stop Shop and consistency mechanism must be integrated by common european culture of right of privacy in a general context of safeguard of human rights. Contributididottrina La nozione complessa della parità di genere Gaetana Natale* Quando si parla di “parità di genere” si corre il rischio di assumere spesso un atteggiamento non ispirato alla c.d. “oggettivazione di significato”, scevro da bias, da pregiudizi, da convinzioni personali e da quella che C. Schmitt definisce la “tirannia dei valori” (1). Se è vero che “le parole sono azioni”, come affermava Ludwig Wittgenstein (2), il linguaggio diventa strumento dinamico -e non statico -di descrizione dell’evoluzione culturale di una società democratica. i termini che si utilizzano costituiscono l’espressione concreta di un’astrazione concettuale che si traduce nell’implicita accettazione di un comune sentire sociale e culturale. non è un caso che John Langslaw Austin, altro grande filosofo del novecento, indicasse con il termine “speech act” il dinamismo descrittivo delle parole che innesta processi sociali e culturali in continuo divenire. ebbene, l’espressione “parità di genere” ha innestato dei processi di cambiamento culturale molto spesso dovuti ad atti propulsivi di coraggio posti in essere da persone che hanno portato avanti la richiesta di tutela dei loro diritti, andando al di là dei c.d. bias, ossia dei pregiudizi. il pensiero corre al noto caso di Rosa Oliva (3) e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 13 (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno, Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. Un ringraziamento alla Dott.ssa Giulia Saragoni, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che ha contribuito nella redazione delle note e nella ricerca della bibliografia. (1) C. SChmitt, “La tirannia dei valori”, Adelphi, 2008. (2) L. WittGenStein, “Tractatus logico-philosophicus”, 1921. (3) Vide respinta la propria domanda di partecipazione al concorso per la carriera prefettizia in RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 maggio 1960 (4) che, per la prima volta, affermò la possibilità per una donna di intraprendere la carriera prefettizia. in un recente convegno la Prof.ssa marta Cartabia (5), attuale ministro della Giustizia, ha messo in evidenza come l’avvocato della signora Rosa Oliva innanzi alla Corte delle leggi, Prof. Costantino mortati, nella sua difesa non parlò allora di parità di genere, intesa come pari opportunità, -probabilmente convinto della debolezza di tale tesi difensiva in un periodo storico in cui non era ancora maturata un tale tipo di sensibilità -, ma preferì concentrarsi sul profilo tecnico della riserva di legge ex artt. 3 e 51 Cost., per contestare la fonte regolamentare del divieto allora vigente che impediva alla donne l’ingresso nella pubblica Amministrazione (6), incentrando la sua tesi difensiva su un uso corretto delle fonti del diritto. Fu la Corte Costituzionale che, oltre ad un problema di fonte e di violazione della riserva di legge, ravvisò una violazione della parità di genere. Le pronunce della Corte Costituzionale hanno rappresentato, nella storia della Repubblica italiana, lo strumento di evoluzione sociale e culturale, basti pensare alla recente ordinanza con cui la Corte si è autorimessa la questione del patronimico, residuo di una concezione patriarcale della famiglia (7). ma quanto donna e decise, con il patrocinio del Prof. mortati, di ricorrere alla Corte costituzionale, la quale si espresse in suo favore. molti anni sono dovuti passare prima che una donna diventasse Presidente della Corte Costituzionale (Prof.ssa marta Cartabia) e Avvocato Generale dello Stato (Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli). (4) Si tratta della prima e, ancora oggi, rimane una delle più importanti pronunce in materia di parità, la quale ha aperto alle donne professioni prima precluse, come la magistratura e la carriera prefettizia e più complessivamente a tutte quelle professioni che implicavano “l'esercizio di diritti e di potestà politiche": con essa, infatti, qui la Consulta dichiarò illegittima la norma che escludeva le donne da una vasta categoria di impieghi pubblici “per irrimediabile contrasto con l’art. 51, il quale proclama l’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive degli appartenenti all’uno e all’altro sesso in condizioni di uguaglianza”, facendo rispettare un diritto fino ad allora disatteso. Si vedano, sul tema, anche: Corte cost. n. 133/1970 in materia di obbligo del marito al mantenimento della moglie, con cui il Giudice costituzionale ha rimodulato i rapporti coniugali sostituendo alla logica patriarcale il principio di parità; Corte cost. n. 30/1983, dichiarativa della illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 3 e 29 della Costituzione, dell’art. 1 della legge n. 555/1912 nella parte in cui detta disposizione escludeva il riconoscimento della cittadinanza italiana anche al figlio di madre cittadina; Corte cost. n. 163/1993 (infra). (5) m. CARtAbiA, J. ReSnik, S. bAeR “Women, Gender and Violence, and the Construction of the “Domestic”; m. CARtAbiA “Riconoscimento e riconciliazione”; m. CARtAbiA “Nelle forme e nei limiti della Costituzione”; m. CARtAbiA “The Italian Constitution as a revolutionary agreement”, hart Publishing 2020; m. CARtAbiA “Court’s relations” in International Journal of Constitutional Law, 2020; m. CARtAbiA “The charter of fundamental rights of the European Union”, hart Publishing, 2019; m. CARtAbiA “Cooperazione e mutualità: la Costituzione come storia di popolo”, ecra, 2019. (6) Corte Costituzionale, sent. n. 33 del 13 maggio 1960: “La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 7 della legge 17 luglio 1919, n. 1176, che esclude le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano l’esercizio di diritti e di potestà politiche, in riferimento all’art. 51, primo comma, della Costituzione”. (7) Corte Costituzionale, ord. n. 18/2021: “La Corte Costituzionale solleva, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, del codice civile, DOttRinA 241 il percorso dell’uguaglianza ex art. 3, primo e secondo comma Cost. (8), non si realizza solo con la rimozione delle discriminazioni dirette, aperte, conclamate, ma anche con la rimozione delle discriminazioni indirette. Si pensi a quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 163/1993 in tema di condizionamento dell’accesso ad un posto di lavoro al possesso di un requisito di altezza minima identico per gli uomini e per le donne (9). in realtà non basta introdurre misure positive, ma occorre introdurre norme gender blindind con un “implicita valorizzazione delle diversità” creando, come sostiene la prof.ssa Cartabia, un reasonable adjustment, un equilibrio da valutare nel contesto, un “equilibrio di sistema” con un approccio integrato alla diversità. Su questo profilo si delineano due approcci, quello statunitense “assimilazionista” e quello europeo “accomodazionista” con la valorizzazione delle diversità come sostiene una delle più accreditate studiose di parità di genere, la prof.ssa Ruth Rubio marin (10), la quale nel suo libro nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848”. (8) Uguaglianza formale ed uguaglianza sostanziale. Si veda: F. POLACChini, “Il principio di eguaglianza”, in L. mezzetti (a cura di), Principi costituzionali, Giappichelli editore, torino 2011, pagg. 307-309; “I principi di uguaglianza e non discriminazione, una prospettiva di diritto comparato”, Studio a cura di ePRS-Servizio di ricerca del Parlamento europeo, ottobre 2020; C. GiORGi, “Il principio di uguaglianza costituzionale”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1/2018; S. CASSeSe, “L’eguaglianza sostanziale nella Costituzione: genesi di una norma rivoluzionaria”, in Le Carte e la Storia, n. 1/2017; m. LAze, “L’articolo 3, comma 2 della Costituzione repubblicana e la legislazione degli ultimi 20 anni”, Relazione di base al convegno “Il progetto costituzionale dell'uguaglianza. Quali politiche italiane ed europee contro la continua crescita delle diseguaglianze", Fondazione Lelio e Lisli bassoissoco, Roma, 12-13 dicembre 2013; G. FeRRARA, G. zAGRebeLSky, Relazioni, in n. OCChiOCUPO (a cura di), “La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale. Bilancio di vent’anni di attività”, bologna, 1978, pagg. 89-120. (9) nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 n. 2 della legge della Provincia di trento n. 3/1980, nella parte in cui prevedeva, tra i requisiti per l'accesso alle carriere direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi, il possesso di una statura fisica minima indifferenziata per uomini e donne, la Corte Costituzionale ha sottolineato come vi siano ipotesi in cui la disciplina uniforme di situazioni diverse contrasta tanto con l’uguaglianza formale, quanto con quella sostanziale. La disposizione in questione, infatti, si poneva in contrasto sia con il principio di eguaglianza formale, laddove applicava una regola identica a situazioni differenti, alla luce delle diverse caratteristiche fisiche dei due sessi e, al contempo, violava l’uguaglianza sostanziale, poiché l’adozione di un identico requisito fisico per uomini e donne «è causa di una “discriminazione indiretta” a sfavore delle persone di sesso femminile, poiché svantaggia queste ultime in modo proporzionalmente maggiore rispetto agli uomini, in considerazione di una differenza fisica statisticamente riscontrabile e obiettivamente dipendente dal sesso». (10) Docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Siviglia, coordinatrice della Gender Governance, autrice, ex multis, anche di: “Women as Constitution Makers: Case Studies from the New Democratic Era” (with heLen iRVinG, eds), Cambridge University Press, 2019; “Gender Parity and Multicultural Feminism: Towards a New Synthesis” (with WiLL kymLiCkA, eds), Oxford University Press, 2018; “Transforming gender citizenship: The irresistible rise of gender quotas in Europe” (with RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 “Women as Constitution makers” con i suoi studi ha dimostrato come la public law possa creare categorie di inclusione e di esclusione basate sui concetti di sesso, nazionalità, cittadinanza ed etnia. esempio emblematico di tale processo è stato il rapporto tra scienza e sesso femminile: nel 1993 la storica della scienza margaret W. Rossiter inventò un’espressione per descrivere la «natura sessista» del mancato riconoscimento delle donne nella ricerca scientifica e l’attribuzione sistematica del merito dei loro risultati ai colleghi uomini. Rossiter chiamò questo specifico pregiudizio di genere “effetto Matilda” dal nome di matilde Joslyn Gage, suffraggetta del diciannovesimo secolo che nel 1870 pubblicò il saggio “Woman as inventor”, pubblicato sulla North American Review in cui raccontava come diverse scoperte scientifiche ed invenzioni fossero il risultato di donne rimaste nell’anonimato nel corso dei secoli. Gage aveva dimostrato, infatti, che nonostante l’educazione scientifica delle donne fosse stata «gravemente trascurata» (11) alcune delle invenzioni più importanti si dovevano a loro. Gage elencava dozzine di invenzioni tra cui l’acquario della biologa marina francese Jeanne Villepreux- Power, il telescopio subacqueo della statunitense Sarah mather, la sgranatrice di cotone che serviva per separare le fibre della pianta di cotone dal resto, il cui merito dell’invenzione viene ancora oggi attribuito solamente allo statunitense eli Whiztney, nonostante l’idea di utilizzare il dispositivo simile ad una spazzola fu di Catharine Littlefield Green. Per molte donne rivendicare il merito delle proprie invenzioni era un esercizio inutile, affermava Gage, a causa di un generale pregiudizio di una società che favoriva il marito in materia di proprietà di brevetti, della limitata mobilità sociale e della mancata indipendenza economica che impediva alle donne di raccogliere i risultati e i meriti del proprio lavoro e di esercitare i loro poteri inventivi. nel corso dei secoli, il c.d. “effetto matilda” ha avuto come conseguenza la cancellazione delle scienziate dalla storia: questa “invisibilità” ha fatto passare l’idea ancora oggi molto radicata che la scienza sia una cosa da uomini. Rossiter, partendo dal saggio di matilde Joslyn Gage, utilizza il concetto di “segregazione gerarchica”, l’assenza, cioè, di donne in ruoli di potere e re eLeOnORe LéPinARD, eds), Cambridge University Press, 2018; “The Participatory Turn in Gender Equality and its Relevance for Multicultural Feminism” in Gender Parity and Multicultural Feminism: Towards a New Synthesis (with WiLL kymLiCkA, eds), Oxford University Press, 2018, pagg. 1-46; “Racial and Gender Based Violence as Discrimination under the European Convention of Human Rights” (with mAthiAS möSCheL) in The European Convention on Human Rights and the Principles of Non-discrimination (mARCO bALbOni, ed.), editoriale Scientifica di napoli, 2018, pagg. 171-196. (11) Per millenni le donne non hanno avuto accesso all’istruzione. Vedi G.C. ODORiSiO -F. tARi- COne, “Per filo e per segno. Antologia di testi politici sulla questione femminile dal XVII al XIX secolo”, torino, Giappichelli, 2008; F. tARiCOne, “L’istruzione femminile tra diritto civile e diritto politico”; A. neCCi, “L’importanza dell’accesso femminile in Italia e in Europa all’istruzione e al mondo del lavoro. Ieri, oggi, domani”, in https://rivista.microcredito.gov.it/ ; iStAt (cur.), “Donne all’università”, bologna, il mulino, 2001. DOttRinA 243 sponsabilità e individuò un comportamento costante nel sistema di valutazione e riconoscimento dei risultati e dei lavori scritti dalle scienziate teso a sminuirne il valore: le citazioni in campo scientifico sono indice di riconoscimento e il numero di citazioni ricevute da lavori realizzati da scienziate era di gran lunga minore rispetto a quello di analoghi lavori realizzati da colleghi uomini. Che il sesso influisca sulla diffusione del lavoro di ricerca è stato dimostrato da alcune analisi successive. Silvia knobloch-Westerwick e Carroll J. Glynn, ad esempio, hanno preso in esame le decisioni di 1020 articoli pubblicati tra il 1991 e il 2005, dimostrando che l’ipotesi secondo cui gli articoli scritti da uomini ricevono in media il doppio delle citazioni di quelli scritti da donne era verificata. La tendenza a sottovalutare o a sminuire i risultati scientifici conseguiti dalle donne ha avuto importanti conseguenze, non solo per le scienziate cancellate dalla storia, ma anche nella percezione stessa della scienza come settore maschile e sulla possibilità per le donne di intraprendere carriere in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (12). nel luglio del 2006 sulla rivista scientifica Nature venne pubblicato un articolo di ben barres, neurobiologo statunitense, che aveva avuto esperienza diretta delle discriminazioni di genere. Oltre a raccontare diversi episodi personali, barres dimostrava le discriminazioni in ambito scientifico anche attraverso numeri e dati. il titolo del suo articolo era “Does gender matter?” (13). La sua risposta era sì, e non certo per un non meglio precisato determinismo sessuale, «quanto piuttosto per l’assunzione sociale che le donne siano meno capaci», cioè per l’effetto matilda. i pregiudizi che stanno alla base di questa assunzione concettuali sono ancora molto diffusi. basti pensare che ancora nel 2015 durante una conferenza Lawrence Summers, importante economista e all’epoca presidente della harvard University sostenne che «la scarsa presenza femminile in certi ambiti scientifici», come la matematica o l’ingegneria, era da imputare «a una caratteristica innata delle donne, la mancanza di un’attitudine intrinseca alla scienza». Ancora oggi ci sono scienziati ed intellettuali che pensano e dichiarano pubblicamente «che le difficoltà che le donne hanno ad emergere in certe discipline, come la matematica, sia dovuta al fatto che non sono biologicamente portate per l’astrazione». ma quanto dipende dalla biologia e quanto dipende dalla “pari opportunità”? Rossiter descrive un caso emblematico nel suo libro (14): tra i vari esempi (12) Le c.d. Stem, di cui oggi abbiamo molto bisogno. trattasi di un acronimo utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche (Science, Technology, Engineering and Mathematics) fondamentali per l’innovazione e la prosperità di un Paese. (13) “Il genere conta?” (14) m.W. ROSSiteR, “Women scientists in America -Before Affirmative Action 1940-1972”, JhU Press, 1982. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 del c.d. “effetto matilda” cita il caso di trotula de Ruggiero, medico donna salernitana, che tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, scrisse opere fondamentali per la medicina, opere che nelle trascrizioni successive alla sua morte vennero attribuite ad un uomo: «È probabilmente la più vergognosa cancellazione e trasformazione nella storia della scienza e della medicina», scrive Rossiter, «nel dodicesimo secolo un monaco, supponendo che una persona così esperta dovesse essere un uomo, copiò male il suo nome su uno dei suoi trattati, declinandolo al maschile». Vi è da chiedersi se tale “effetto matilda” oggi si verifichi solo nel campo scientifico, o se abbia un effetto espansivo in altri settori, considerato che la parola donna è inteso spesso in ambito lavorativo come gravidanza e maternità? La discriminazione collegata alla funzione procreatrice della donna costituisce ancora oggi una forma particolare di discriminazione di genere che la normativa euro-unitaria ha cercato di arginare e contenere. L’art. 157 del tFUe sancisce, infatti, l’obbligo della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile e stabilisce un fondamento giuridico generale per l’adozione di misure riguardanti l’uguaglianza di genere, incluse la parità e la lotta alla discriminazione sulla base della gravidanza o della maternità sul luogo di lavoro. L’art. 33, paragrafo 2, della Carta dell’Ue (15) afferma che: «Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio». Le direttive europee contro la discriminazione vietano la differenza di trattamento fondata su taluni motivi oggetto di protezione -secondo un elenco circoscritto, che corrisponde alla elencazione contenuta nell’articolo 10 tFUe -e, tra essi, il genere (16). trattasi della direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di accesso ai beni e ai servizi (17), della direttiva sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego (18), della direttiva (19) che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale (20). (15) Che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Si veda: L.S. ROSSi, “’Stesso valore giuridico dei Trattati?’Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, in dirittounioneeuropea.eu; R. ADAm, “La Carta dei diritti fondamentali. I vent’anni di uno strumento costituzionale dell’Unione europea”, in rivista.eurojus.it; A. CeLOttO, G. PiStORiO, “L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, in Giurisprudenza italiana. (16) Art. 10 tFUe “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. (17) Direttiva 2004/113/Ce. (18) Direttiva 2006/54/Ce. DOttRinA 245 Anche la CGUe ha contribuito notevolmente allo sviluppo di questo settore del diritto, offrendo ulteriori chiarimenti, applicando i principi espressi nei trattati e fornendo ampie interpretazioni dei relativi diritti. Secondo la CGUe, la tutela dei diritti alla maternità e alla gravidanza non si traduce solo nella promozione di una sostanziale parità di genere, bensì anche della salute della madre dopo il parto e del legame tra madre e neonato. nelle decisioni CGUe, C-177/88, Dekker del 14 novembre 1989 e CGUe, C-179/88, Hoejesteret dell’8 novembre 1990, la Corte d Giustizia ha stabilito che, poiché soltanto le donne possono rimanere incinte, il rifiuto di assumere o il licenziamento di una donna incinta per il suo stato di gravidanza o maternità costituiscono una discriminazione diretta fondata sul sesso che non può essere giustificata da alcun interesse, compreso quello economico del datore di lavoro. Più recentemente nel noto caso CGUe C-531/2015 Otero Ramos del 19 ottobre 2017, al punto 55 si legge: «in base all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c) della direttiva 2006/54, la discriminazione comprende, in particolare, qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità» e punto 61: «per quanto riguarda la protezione della gravidanza e della maternità, la Corte ha ripetutamente affermato che, riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate ad assicurare tale protezione, l’art. 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 riconosce la legittimità, in relazione al principio della parità di trattamento tra i sessi, in primo luogo, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, in secondo luogo, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo al parto» (21). (19) Direttiva 2010/18/Ce. (20) nel nostro ordinamento la normativa principale di riferimento sui congedi parentali è rinvenibile nel decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 e successive modifiche ed integrazioni, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, nonché nelle leggi di bilancio, nei decreti attuativi e nelle circolari dell’inPS che hanno fatto seguito alle più recenti riforme in materia. (21) Si vedano, altresì: sentenza Defrenne II dell'8 aprile 1976 (causa C-43/75), con cui la Corte ha riconosciuto l'effetto diretto del principio della parità della retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, stabilendo che tale principio riguarda non solo le pubbliche autorità, ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato; sentenza Bilka del 13 maggio 1986 (causa C-170/84) ove la Corte ha stabilito che una misura volta a escludere i dipendenti a orario ridotto da un regime di pensioni aziendali costituisce una «discriminazione indiretta» ed è pertanto in contrasto con l'ex articolo 119 del trattato Cee qualora colpisca un numero molto più elevato di donne che di uomini, a meno che non si possa provare che detta esclusione è basata su fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso; sentenza Barber del 17 maggio 1990 (causa C-262/88): qui la Corte ha riconosciuto che tutte le forme di pensione professionale costituiscono un elemento della retribuzione a norma dell'ex articolo 119, e che pertanto a esse si applica il principio della parità di trattamento, stabilendo che i lavoratori di sesso maschile devono poter accedere ai diritti di pensione o di pensione di reversibilità alla stessa età delle colleghe di sesso femminile; sentenza Marshall dell'11 novembre 1997 (causa C-409/95) con cui la Corte ha di RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 La protezione della parità di genere viene tutelata in una dimensione dinamica anche naturalmente della CeDU nelle note pronunzie Konstantin Markin c. Russia n. 30078/06, 22 marzo 2012 e Emel Boyraz c. Turchia, n. 61960/08, 2 dicembre 2014. non è un caso che la turchia si trovi presente nei giudizi innanzi alla Corte di Strasburgo se consideriamo che tale paese si è ritirato dalla Convenzione di istanbul riguardante la tutela delle donne (22) o al recente caso diplomatico della mancata sedia alla Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen. nel nostro ordinamento il d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (23) si è specificamente occupato del comportamento discriminatorio fondato sul sesso ed ha promosso, sul piano sostanziale, le pari opportunità di carriera e di lavoro tra i sessi, lasciando all’attore la scelta tra il rito “ordinario” del lavoro e un rito speciale appositamente delineato. il d.lgs. 25 gennaio 2010 n. 5 ha, poi, dato attuazione alla direttiva chiarato che una norma nazionale che imponga di dare la precedenza nella promozione ai candidati di sesso femminile («discriminazione positiva») nei settori in cui la presenza femminile è inferiore rispetto a quella maschile non è vietata dalla legislazione comunitaria, a condizione che tale vantaggio non venga applicato automaticamente e che i candidati di sesso maschile siano comunque presi in considerazione, senza essere esclusi a priori dalla possibilità di presentare domanda; sentenza Test-Achats del 10 marzo 2011 (causa C-236/09) con cui la Corte ha dichiarato l'invalidità dell'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/113/Ce del Consiglio, stabilendo che esso è contrario al principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Pertanto, ai fini della determinazione dei premi e delle prestazioni assicurative, agli uomini e alle donne deve essere applicato lo stesso sistema di calcolo attuariale; sentenza Ypourgos c. Kalliri (causa C-409-16) con cui la Corte ha stabilito che una legge che stabilisce come criterio per l’ammissione a una scuola di polizia un’altezza minima da rispettare a prescindere dal sesso può costituire una discriminazione illecita nei confronti delle donne; sentenza 18 novembre 2020 (causa C-463/19): qui la Corte ricorda anzitutto che la Direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro. il giudice comunitario precisa, tuttavia, che dopo la scadenza del congedo legale di maternità, uno Stato membro può riservare alla madre del bambino un congedo supplementare qualora quest’ultimo le sia conferito non nella sua qualità di genitore, ma con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità. Sottolinea, poi, che un contratto collettivo che esclude dal beneficio di tale congedo supplementare un lavoratore di sesso maschile che si prende cura in prima persona di suo figlio comporta una differenza di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile. tale differenza di trattamento risulta compatibile con la direttiva «principio di parità tra uomini e donne» solo se è diretta a tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità. (22) Convenzione del Consiglio d’europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 in occasione della 121° Sessione del Comitato dei ministri a istanbul. in italia, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la ratifica della Convenzione in data 28 maggio 2013 e il Senato, sempre all’unanimità, il 19 giugno 2013. (23) Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Si veda: G. De mARzO, “Codice delle pari opportunità”, Giuffrè ed., 2007, milano; m. mARCUCCi, m.i. VAnGeLiSti, “L’evoluzione della normativa di genere in Italia e in Europa”, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), ed. banca d’italia, n. 188, giugno 2013. DOttRinA 247 200/54/Ce relativa al principio della pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. il d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150 ha, quindi, ricondotto il procedimento contro le discriminazioni al modello del rito sommario di cognizione ex art. 702 bis e ss. c.p.c. L’art. 25, comma 1, del d.lgs. n. 198 del 2006, come modificato dall’art. 8-quater, comma 1, lettera a), del d.l. n. 59 del 2008 convertito con modificazioni dalla L. n. 101 del 2008 e, successivamente, dall’art. 1, comma 1, lettera p), numero 1), del d.lgs. 25 gennaio 2010 n. 5, prevede che: «Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga». il comma 2 della medesima disposizione stabilisce, poi, che «Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari». il successivo comma 2-bis, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera p), numero 2, del D.lgs. n. 5/2010 stabilisce che: «Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti». in altri termini, quel che rileva è che, in presenza di situazioni analoghe, sia stato posto in essere un atto o un comportamento pregiudizievole e comunque, sia stato attribuito un trattamento meno favorevole ad una lavoratrice in ragione del suo stato di gravidanza. La tutela, però, si realizza sul piano processuale con un’agevolazione sul piano probatorio, perché le discriminazioni sia dirette che indirette non sempre risultano di facile dimostrazione in giudizio. Quanto alla concreta dimostrazione di una situazione di tal genere, si osserva che l’art. 40 del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 198 (24) prevede che: «Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere sta (24) il cui contenuto corrisponde a quanto già previsto dall’art. 4, comma 5, della l. 10 aprile 1991 n. 125 “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” ed è stato, poi, riprodotto dal d.lgs. 150/2011, art. 28, comma 4. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 tistico relativo alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione ». La disposizione fonda la propria ratio nell’art. 4 della direttiva 97/80/Ce riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (25). in altri termini, tale disposizione sembra dire -tra le righe -che la tutela della parità di genere resta lettera morta se non si crea un alleggerimento del- l’onere probatorio in capo al soggetto che chiede tutela dato il carattere subdolo e inespresso di tali condotte discriminatorie. La direttiva soprarichiamata è stata oggetto di interpretazione da parte della Corte di Giustizia Ue, C-104/10 sentenza del 21 luglio 2011 Kelly:«La direttiva 97/80 enuncia, all’art. 4, n. 1, che gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari, affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del suddetto principio ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta» (26). Circa l’operatività dell’art. 40 del D.lgs n. 198/2006, la Corte di Cassazione ha già da tempo affermato che, nei giudizi antidiscriminatori (27), i criteri di riparto dell’onere probatorio non seguono i canoni ordinari di cui all’art. 2729 c.c. (28), bensì quelli speciali, i quali non stabiliscono un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’agevolazione del regime probatorio in favore del ricorrente; ne consegue che il lavoratore deve provare il fattore di rischio, ossia il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio ed il datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della direttiva n. (25) «1.Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari, affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. 2. La presente direttiva non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole alla parte attrice». (26) Si veda anche sentenza Corte di Giustizia Ue 10 marzo 2005, causa C-196/02, Nikoloudi, punto 68 e più recente Corte di Giustizia 19 ottobre 2017 in causa C-531/15 Otero Ramos. (27) Sia proposti con le forme del procedimento speciale, sia con quelle dell’azione ordinaria (v. Cass. 5 giugno 2013 n. 14206). (28) Finendosi altrimenti per porre a carico di chi agisce l’onere di una prova piena del fatto discriminatorio, ancorché raggiunta per via presuntiva. DOttRinA 249 2006/54/Ce -che ha riprodotto il testo dell’art. 4 della direttiva 97/80/Ce citata -, le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione (29). Possiamo affermare che tale tipo di tutela sia sufficiente per affermare una piena parità di genere? Probabilmente no, se il legislatore ha sentito l’esigenza di predisporre un disegno di legge sul Family Act (30) e se nell’ambito del Recovery Plan (31) presentato lo scorso 28 aprile 2021 vi è una parte precisamente la missione 5 - dedicata all’ “Inclusione e Coesione” (32). (29) Si veda, in tal senso, tra le più recenti, Cass. 2 gennaio 2020, n. 1 e Cass. 12 ottobre 2018, n. 25543. (30) Disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati il 25 giugno 2020 “Deleghe al governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”. (31) il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PnRR), trasmesso dal Governo al Parlamento il 25 aprile 2021, rappresenta un ulteriore passo verso la compiuta definizione del Recovery Plan che dovrà essere predisposto dal nostro Paese e presentato alle istituzioni europee entro il 30 aprile per accedere ai fondi di next Generation eU (nGeU), il nuovo strumento dell'Unione europea per la ripresa che integra il Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027. il testo definitivo del PnRR, nella Parte 1 dedicata agli Obiettivi generali e struttura, definisce le “Priorità trasversali” nei seguenti termini: “Per l'Italia il programma Next Generation EU non rappresenta solo l’occasione per realizzare una Piena transizione ecologica e digitale, ma anche per recuperare i ritardi storici che penalizzano storicamente il Paese e che riguardano le persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud. Per essere efficace, strutturale e in linea con gli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali, la ripresa dell’Italia deve dare pari opportunità a tutti i cittadini, soprattutto quelli che non esprimono oggi pienamente il loro potenziale. La persistenza di disuguaglianze di genere, così come l’assenza di pari opportunità a prescindere da provenienza, religione, disabilità, età o orientamento sessuale, non è infatti solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica. Per questo motivo le 6 Missioni del PNRR condividono priorità trasversali, relative alle pari opportunità generazionali, di genere e territoriali. Le Riforme e le Missioni sono valutate sulla base dell’impatto che avranno nel recupero del potenziale dei giovani, delle donne e dei territori, e nelle opportunità fornite a tutti, senza alcuna discriminazione. Questa attenzione trasversale, articolata puntualmente in tutte le missioni del PNRR, corrisponde anche alle raccomandazioni specifiche della Commissione Europea sull’Italia del 2019 e del 2020. Per perseguire le finalità relative alle pari opportunità, generazionali e di genere, saranno in particolare inserite, per le imprese che, a diverso titolo, parteciperanno ai progetti finanziati dal PNRR e dai Fondi REACT-EU e FCN, previsioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne, anche per il tramite di contratti di formazione/specializzazione che possono essere attivati prima dell’avvio dei medesimi progetti. In particolare, con specifici interventi normativi, sarà previsto l’inserimento nei bandi gara, tenuto anche conto della tipologia di intervento, di specifiche clausole con cui saranno indicati, come requisiti necessari e in aggiunta, premiali dell’offerta, criteri orientati verso tali obiettivi. I criteri saranno definiti tenendo, tra l’altro, conto dell’oggetto del contratto, della tipologia e della natura del singolo progetto in relazione ai profili occupazionali richiesti, dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, non discriminazione, trasparenza, degli indicatori degli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile e giovanile al 2026 anche tenendo conto dei corrispondenti valori medi nonché dei corrispondenti indicatori medi settoriali europei in cui vengono svolti i progetti”. (32) La missione riveste un ruolo rilevante nel perseguimento degli obiettivi, trasversali a tutto il RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 Occorre un approccio culturale di tipo diverso che vada oltre le quote rosa (33) e l’empowerment femminile (34) e che consenta un approccio integrato alla diversità nella consapevolezza del valore della persona umana fondamentale per uno sviluppo democratico in uno Stato di diritto (35). PnRR, di sostegno all'empowerment femminile e al contrasto alle discriminazioni di genere, di incremento delle competenze e delle prospettive occupazionali dei giovani, di riequilibrio territoriale e sviluppo del mezzogiorno. (33) istituite dalla legge 12 luglio 2011, n. 120 “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati”. (34) in generale in europa non tutti i paesi hanno adottato un sistema di “quote” come l’italia. Gli Stati che hanno un sistema simile sono Francia, Germania e Spagna, mentre altri paesi come Regno Unito non utilizzano lo stesso parametro. Quest’ultimo, in particolare, ha abolito il sistema delle “quote obbligatorie” in favore di una legislazione antidiscriminatoria che si è evoluta nel tempo con modifiche. Dalla Disability Discrimination Act, del 1995, si è arrivati con le varie modifiche alla Equality Act del 2010, il quale stabilisce la parità nell’accesso occupazionale, nonché ai servizi pubblici e privati, indipendentemente dalle caratteristiche personali di età, disabilità, orientamento sessuale, genere, etnia, religione credo personale. (35) Si veda anche la recente pronuncia del 22 aprile 2021, n. 4706, con cui il t.A.R per il Lazio, Sez. i, ritenendo meritevole di accoglimento le censure di merito sollevate dalla ricorrente, ha dichiarato che “è illegittimo il regolamento elettorale per l'elezione dei Consigli degli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei collegi dei revisori in carica dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2024, per violazione del principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione di cui all’art. 51 Cost.”. Richiamando i principi costituzionali in tema di parità di genere, in particolare l’art. 51 Cost., e calando tali principi nello specifico contesto del quadro normativo in tema di elezioni degli ordini professionali dei dottori commercialisti, il Giudice Amministrativo ha, altresì, condivisibilmente aggiunto che “l’equilibrio di genere, come parametro conformativo di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale fra i sessi, viene così ad acquistare una ulteriore dimensione funzionale, collocandosi nell’ambito degli strumenti attuativi dei principi di cui all’art. 97 Cost.: dove l’equilibrata partecipazione di uomini e donne (col diverso patrimonio di umanità, sensibilità, approccio culturale e professionale che caratterizza i due generi) ai meccanismi decisionali e operativi di organismi esecutivi o di vertice diventa nuovo strumento di garanzia di funzionalità, maggiore produttività, ottimale perseguimento degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica”. DOttRinA 251 annotazioni a margine dell’art. 23 quater d.L. 137/2020 alla luce della rilevanza generale e sistematica dell’elenco istat Carlo Russo* SOMMARIO: 1. Introduzione -2. Sulla questione di legittimità: l’insussistenza del vulnus di tutela giurisdizionale -2.1. Sulla rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat -2.2. Sulla tesi del giudice amministrativo come giudice naturale della fattispecie in esame alla luce della sua evoluzione: sul ripristino dell’equilibrio sistematico -3. Sulla complessa posizione dell’Istat in equilibrio precario tra ordinamento nazionale ed ordinamento sovranazionale. 1. Introduzione. L’intento di questo contributo, partendo dall’analisi dell’attualmente dibattuta questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 quater D.L. 137/2020, è proporre una riflessione più ampia sulla generale rilevanza assunta dall’elenco istat, in particolar modo ai fini della perimetrazione della soggettività pubblica. tale riflessione appare necessaria per la valutazione del plesso giurisdizionale cui sia sistematicamente più corretto attribuire le controversie in materia di impugnazioni avverso l’inclusione nell’elenco e conseguentemente anche per la valutazione della bontà dell’articolo in esame, che in questa materia interviene. in conclusione, si darà conto della complessa posizione, in equilibrio precario tra l’ordinamento nazionale e quello sovranazionale, in cui è venuto a trovarsi l’istat nella redazione dell’elenco, in ragione proprio della rilevanza da questo assunta. Occorre sottolineare che per elenco istat ex art. 1 co. 3 L. 196/2009 (Legge di contabilità e finanza pubblica) si intende l’elenco redatto annualmente dall’istat sulla base del Sistema europeo dei conti (Sec10 definito dal Regolamento Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 549/2013) in cui vengono individuate tutte le unità istituzionali nazionali che fanno parte del settore delle Amministrazioni Pubbliche, il settore S13. Rispetto a tale settore si compila il conto economico consolidato che costituisce il riferimento degli aggregati trasmessi alla Commissione europea in applicazione del Protocollo sulla Procedura per i Deficit eccessivi annesso al trattato di maastricht. La partecipazione al conto economico consolidato, in quanto pubbliche amministrazioni, dei soggetti inseriti nell’elenco istat, sottopone questi ultimi al rispetto del principio di derivazione comunitaria dell’equilibrio di bilancio, costituzionalizzato con L. Cost. 1/2012 negli articoli 81 e 97, indirizzati appunto alle pubbliche amministrazioni. Dall’obbligo del rispetto del principio (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. Stato PietRO GAROFOLi). RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 dell’equilibrio di bilancio e in generale dalla partecipazione al Sistema dei conti europei derivano in capo ai soggetti inseriti nell’elenco istat tutta una serie di obblighi comunicativi ed informativi inerenti i propri bilanci e la sottoposizione all’attività di vigilanza del meF. La natura primariamente statistico-contabile dell’atto e gli effetti prevalentemente contabili ad esso connessi hanno spinto il legislatore ad attribuire la giurisdizione sull’intera materia alla Corte dei conti, fino all’intervento dell’art. 23-quater. Allora, la valutazione della legittimità costituzionale di tale articolo non può che essere connessa ad una riconsiderazione della rilevanza e degli effetti dell’elenco istat che, come si dimostrerà, ha effettivamente assunto rilevanza generale, soprattutto rispetto alla costruzione del concetto di pubblica amministrazione, ed effetti ulteriori rispetto a quelli propriamente contabili. Con l’art. 23-quater D.L. 137/2020, convertito in legge dalla legge di conversione 176/2020, il legislatore è intervenuto sulla giurisdizione della Corte dei conti rispetto all’elenco in esame, limitandola alla sola questione della applicabilità ai soggetti, già inseriti nello stesso, della normativa nazionale sul contenimento della spesa, sottraendo alla Corte il sindacato a monte sull’inclusione nell’elenco (l’art. 23 quater ha aggiunto al co. 6 lett. b dell’art. 11 del D.lgs. 174/2016 le parole “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa”). Ciò vuol dire che se prima dell’intervento dell’art. 23-quater i soggetti inseriti nell’elenco istat dovevano impugnare l’inclusione innanzi alla Corte dei conti, ora, dopo l’intervento dell’art. 23-quater, la medesima impugnazione dovrà avvenire innanzi al giudice amministrativo. Difronte alla Corte dei conti si potrà contestare solo il differente profilo dell’applicabilità della specifica legislazione in materia di contenimento della spesa. La legittimità costituzionale della norma è stata messa in discussione dalla Procura generale della Corte dei conti che ha sostenuto, in via principale, che la norma in questione creerebbe un vuoto di tutela, non indicando specificamente quale sia il giudice competente a giudicare dell’inserimento nell’elenco, facendo così intendere che l’inclusione all’interno dello stesso sia stata sottratta a qualsiasi controllo giurisdizionale, in violazione dell’art. 113 Cost. in via subordinata, la Procura ha affermato che, ove si ritenesse il controllo giurisdizionale attribuito o al giudice ordinario o quello amministrativo, questa attribuzione violerebbe gli articoli 100 e 103 Cost., che affidano alla giurisdizione della Corte dei Conti la materia contabile, implicitamente ritenendo che l’inclusione nell’elenco istat abbia esclusivamente rilevanza contabile. Al contrario, l’intervento appare non solo perfettamente legittimo da un punto di vista costituzionale, ma anche decisamente apprezzabile da un punto di vista sistemico e di generale riparto di giurisdizione, potendosi affermare DOttRinA 253 che, anzi, abbia ricondotto ad equilibrio il sistema, alla luce della rilevanza, non più esclusivamente contabile, che ha assunto l’elenco istat. 2. Sulla questione di legittimità: l’insussistenza del vulnus di tutela giurisdizionale. in primo luogo, bisogna sottolineare che l’intervento dell’articolo 23-quater D.L. 137/2020 non ha affatto determinato un vulnus di tutela giurisdizionale, nella misura in cui è pacifico che alla limitazione della giurisdizione della Corte dei Conti segua una riespansione della giurisdizione del giudice amministrativo. nel sistema delineato, giova ripetere, il giudice amministrativo avrà giurisdizione rispetto alla inclusione all’interno dell’elenco predisposto dall’istat, ciò vuol dire che innanzi ad esso gli interessati dovranno impugnare l’elenco stesso; la Corte dei conti, invece, conserverà giurisdizione per la parte più propriamente contabile della materia, ovverosia rispetto alle questioni inerenti l’applicazione ai soggetti indicati nell’elenco della normativa nazionale in tema di contenimento della spesa. A tal fine, si deve ritenere che innanzi alla Corte dei conti non si impugnerà l’elenco istat, ma la singola normativa di contenimento della spesa che all’elenco fa riferimento per delimitare il proprio ambito soggettivo di applicazione. D’altronde, è da considerare che, prima che l’art. 11 co. 6 lett. b del codice di giustizia contabile attribuisse la materia alla giurisdizione della Corte dei conti, era il giudice amministrativo ad essere, a ragione, ritenuto competente a giudicare delle impugnazioni dell’elenco istat. Questa osservazione, in aggiunta alla considerazione che, da un punto di vista sistematico, il giudice amministrativo è il giudice naturalmente preposto alla tutela degli interessi legittimi lesi dai provvedimenti della pubblica amministrazioni, spiega perché, a seguito dell’intervento dell’art. 23-quater, sia pacifico che le impugnazioni in merito all’inclusione nel registro istat ritornino nell’ambito della giurisdizione amministrativa e che non sussista alcun vulnus di tutela, pur in assenza di una specifica disposizione legislativa in tal senso, evidentemente non necessaria. La chiarezza sistematica dell’intervento non solleva neanche un dubbio interpretativo. 2.1 Sulla rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat. tornando al punto centrale di questo contributo, si sostiene che la riconduzione dell’elenco istat sotto la giurisdizione del giudice amministrativo abbia riportato ad equilibrio il sistema di riparto giurisdizionale in ragione della rilevanza generale che tale elenco ha assunto. infatti, sebbene si concordi sul fatto che la compilazione dell’elenco nasca per finalità eminentemente statistico-contabili, come preparazione di un documento tecnico che contribuisse alla descrizione dell’economica nazionale, RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 favorendo la comparazione dei dati in ambito europeo, non si può d’altro canto negare che l’elenco ed i parametri europei sulla base dei quali è redatto abbiano assunto un ruolo chiave nella perimetrazione della soggettività pubblica, essendo diventati un punto di riferimento di numerose leggi amministrative, oltre che di orientamenti giurisprudenziali ed elaborazioni dottrinali, assumendo così un’efficacia ultronea rispetto a quella strettamente contabile. il punto è che in diritto amministrativo manca una definizione univoca e comunemente accettata di amministrazione pubblica (1), manca una norma generale che ne individui i caratteri salienti, i tratti essenziali, esistendo solo definizioni settoriali avanzate da singole leggi amministrative delineate con l’esclusivo intento pratico di delimitare il proprio ambito di applicazione soggettivo (2). in più, la realtà giuridica attuale presenta un così elevato grado di complessità e varietà di moduli organizzativi in cui si sostanziano i soggetti pubblici da potersi parlare, non più di semplice pluralismo organizzativo, ma di vera e propria crisi della soggettività pubblica, nella misura in cui risulta sempre più difficile perimetrare i soggetti pubblici alla luce della varietà e complessità delle forme assunte (3). in questo contesto, appare chiaro che la collocazione all’interno del- l’elenco istat risulti decisiva e dirimente ai fini della qualificazione di un soggetto come pubblica amministrazione in via generale ben al di là della semplice materia contabile. Allora, mancando una definizione legislativa di pubblica amministrazione, ci si domanda, ribaltando la prospettiva, se sia possibile sostenere che un soggetto inserito nell’elenco per finalità contabili, possa, invece, in via generale non essere considerato all’interno dell’ordinamento come pubblica amministrazione. Sembra molto arduo sostenere che tale soggetto, considerato come pubblica amministrazione a fini contabili, sia poi in via generale, invece, non considerato alla stessa stregua. Certamente, essendo i regimi pubblicistici estremamente variegati, il soggetto potrà in concreto non rientrare nell’ambito di applicazione di una o più leggi amministrative, ma ciò non toglie che, a seguito dell’inserimento nel- l’elenco, quel soggetto all’interno del nostro ordinamento, in via generale, sarà considerato pubblica amministrazione. D’altronde, tale elenco rappresenta (1) S. CASSeSe, “Istituzioni di diritto amminsitrativo”, Giuffré editore, Quinta edizione, Cap. i, in modo netto, alla fine dell’indagine sul concetto di pubblica amministrazione, sostiene “In conclusione si può dire che: non vi è una definizione di pubblica amministrazione”. (2) S. CASSeSe, op. ult. cit., Cap. i, sottolinea che “Per esigenze diverse, della definizione di pubblica amministrazione si preoccupano, ora, le norme. Ma queste contengono nozioni funzionali, nel senso che variano in relazione agli scopi che le norme stesse si prefiggono”. (3) S. CASSeSe, op. ult. cit., Cap. i, afferma “Per lungo tempo si è cercato di definire la pubblica amministrazione, come potere esecutivo o esecuzione di leggi e come cura concreta di interessi pubblici. Ma la varietà delle amministrazioni è tale, che esse sfuggono a una nozione unitaria”. DOttRinA 255 l’unico atto normativo generale, annualmente aggiornato, in cui vengono analiticamente individuati e classificati nei diversi sottoinsiemi categoriali tutti i soggetti pubblici, l’unico atto in grado di mettere ordine e di orientare, tanto il legislatore, quanto gli intrepreti, nella congerie della soggettività pubblica. non a caso, come detto, è a tale atto che diverse leggi amministrative direttamente rimandano ai fini dell’individuazione dei soggetti cui si applicano, ritenendo, appunto, per pubbliche amministrazioni i soggetti individuati nel- l’elenco. Queste leggi non per forza hanno contenuto contabile, ma possono riguardare i più diversi ambiti del diritto amministrativo (4). Dunque, è possibile sostenere che l’inserimento all’interno dell’elenco istat abbia effetti ulteriori rispetto a quelli di natura strettamente economico- contabile, perché dal combinato disposto di tale elenco con le diverse leggi che ad esso fanno riferimento deriva l’applicazione ai soggetti inseriti nel- l’elenco istat delle normative in questione, producendosi gli effetti, non solo contabili, che da esse derivano. inoltre, oramai è all’elenco istat ed ai parametri sulla base dei quali esso è redatto che, in dottrina come in giurisprudenza, si fa riferimento nel tentativo di costruire un concetto, seppur minimale, di pubblica amministrazione. A tal proposito è sufficiente citare il prof. Clarich, che nel suo manuale di Diritto Amministrativo nel definire le pubbliche amministrazioni afferma: “volendo provare a sintetizzare i tratti caratterizzanti delle pubbliche amministrazioni, si può anzitutto dire, in negativo, che esse si collocano al di fuori del mercato, nel senso che esse non producono beni e servizi resi sulla base di prezzi che consentano di realizzare ricavi atti a coprire i costi ed a produrre utili. In positivo, la caratteristica propria delle pubbliche amministrazioni è quella di produrre beni pubblici materiali o immateriali, quelli che cioè il mercato non è in grado di garantire in modo adeguato con finalità anche redistributive. Finanziamento di tali attività è posto in ultima analisi in prevalenza a carico della collettività attraverso il ricorso alla tassazione” (5). Come si (4) A titolo esemplificativo, si veda l’art. 5 co. 9 D.L. 95/2012 che recita “È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati [..]. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia”. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 vede, la definizione riprede puntualmente quella fornita dal Sec10 per individuare il perimetro del settore S13, costruendola sulla base dei parametri individuati e definiti nel Regolamento. Orbene, alla luce della rilevanza che ha assunto l’elenco istat ai fini della perimetrazione della soggettività pubblica è necessario domandarsi quale sia il plesso giurisdizionale più adatto a conoscere delle controversie relative all’inserimento dei soggetti al suo interno, se sia più corretto da un punto di vista sistematico lasciare la materia alla giurisdizione della Corte dei conti o, invece, attribuirla al giudice amministrativo. evidentemente, la risposta a tale quesito è decisiva ai fini della valutazione di legittimità costituzionale dell’art. 23-quater. Ci si domanda: è la scelta sistematicamente più corretta ri-espandere la giurisdizione della Corte dei conti, a scapito di quella del giudice amministrativo, ritenendo costituzionalmente illegittimo l’art. 23-quater? È sistematicamente corretto lasciare che sia la Corte dei conti, giudice contabile, a decidere dei confini della soggettività pubblica? La posizione qui sostenuta è che, invece, appare essere il giudice amministrativo il giudice naturale di questa fattispecie che, per l’evoluzione del- l’ordinamento, ha assunto rilevanza decisiva e generale in ambito amministrativo. Per questo motivo, si sostiene che l’intervento legislativo indirizzato alla riconduzione della materia nell’alveo della giurisdizione amministrativa vada accolto con favore, avendo ripristinato l’equilibrio sistematico. 2.2 Sulla tesi del giudice amministrativo come giudice naturale della fattispecie in esame alla luce della sua evoluzione: sul ripristino dell’equilibrio sistematico. il giudice amministrativo appare essere il giudice naturale della fattispecie in esame per le ragioni che seguono. in primo luogo, a differenza di quanto sostenuto dalle Sezioni Unite nella sentenza 12496/2017 (6), che si erano espresse sulla contestata attribuzione alla giurisdizione della Corte dei Conti della materia in esame, l’atto con cui viene disposto l’elenco istat non ha natura meramente ricognitiva di un effetto già prodottosi in virtù del Sec10, ma è un vero e proprio provvedimento amministrativo in grado di per sé di modificare la realtà giuridica, determinando, come visto, la qualificazione all’interno del nostro ordinamento di un soggetto come pubblica amministrazione, con tutti gli effetti che a questa qualificazione si riconnettono. non si può più ritenere che l’atto sia meramente ricognitivo di un effetto prodottosi altrove, in ambito europeo, per finalità meramente sta (5) m. CLARiCh, “Manuale di diritto amminsitrativo”, il mulino, terza edizione, cap. 8 pag. 325. (6) Secondo le Sezioni Unite civili della Cassazione “l’elenco delle amministrazioni pubbliche è un atto che non ha natura provvedimentale, ma un contenuto prevalentemente ricognitivo sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa europea per la qualificazione di un’attività istituzionale come amministrazione pubblica”. DOttRinA 257 tistiche, perché si è dimostrato che tale atto ha anche una propria valenza interna ultronea: ultronea tanto alla dimensione sovranazionale, quanto alla materia strettamente contabile. in secondo luogo, non è più condivisibile neanche la ricostruzione offerta nella già citata sentenza (7) del potere previsto in capo all’istat come strettamente vincolato, in quanto, come la prassi applicativa ha dimostrato, l’applicazione dei parametri previsti dal Sec10 ai fini della collocazione di un soggetto nell’elenco istat è tutt’altro che automatica. L’applicazione di tali parametri presuppone una ampia attività interpretativa e valutativa da parte dell’istat, dimostrata dalla notevole elaborazione giurisprudenziale sugli stessi scaturita dal fittissimo contenzioso in materia (8). Questi elementi cozzano con la configurazione del potere come strettamente vincolato e spingono verso la qualificazione dello stesso nell’ambito della categoria della discrezionalità tecnica. ebbene, rispetto a tale provvedimento amministrativo posto in essere dal- l’istat nell’esercizio del proprio potere tecnicamente discrezionale, il soggetto vanta una posizione di interesse legittimo, la cui tutela l’art. 103 Cost., in modo chiaro, attribuisce al giudice amministrativo, affermando “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”. Come si vede, il giudice amministrativo è il giudice naturale degli interessi legittimi, il giudice specificamente preposto alla tutela di questa peculiare posizione giuridica soggettiva, contraltare del potere, dalle lesioni che dal- l’esercizio illegittimo del potere stesso le possono derivare. Dalla prospettiva opposta, il giudice amministrativo è il giudice della pubblica amministrazione che agisce nell’esercizio di un potere conferitole dalla legge. in precedenza, l’attribuzione della materia alla giurisdizione della Corte dei conti era giustificata alla luce del criterio della “attinenza dall’atto in argomento alla materia della contabilità pubblica” (9), criterio per materia che si riteneva prevalesse su quello della situazione giuridica soggettiva, di interesse legittimo, alla luce di un duplice fraintendimento: il primo, si riteneva erroneamente che la materia avesse esclusiva rilevanza contabile; il secondo, si sfumava la rilevanza della situazione giuridica soggettiva, affermando la natura totalmente vincolata del potere previsto in capo all’istat, da cui non (7) La sentenza 12496/2017 Cass. Sez. Un. sostiene che l’elenco istat consista “nella determinazione assunta all’esito dell’accertamento in ordine alla ricorrenza dei criteri definitori e classificatori posti nel regolamento comunitario (Sec10), e pertanto in esplicazione di attività vincolata, e non già natura provvedimentale di accertamento costituivo, espressione dell’agire discrezionale”. (8) A titolo d’esempio, si vedano le sentenze rese dalla Corte dei conti a Sezioni Riunite in sede giurisdizionale ed in speciale composizione 27/2020/RiS- trentino Sviluppo S.p.a, 1/2020/RiS- Fondazione teatro della Scala milano, 25/2020/RiS-Fondazione Accademica nazionale Santa Cecilia, 20/2020/RiS- Autorità unica per i servizi idrici e i rifiuti. (9) Sent. 12496/20117 Cass. Sez. Un. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 scaturiva che un atto meramente tecnico-ricognitivo, privo di natura provvedimentale come della capacità di ledere la posizione soggettiva del contro-interessato. Questi elementi giustificavano la prevalenza del criterio per materia a scapito di quello della situazione giuridica lesa, che, stante questa ricostruzione, non era neanche concretamente lesa. Attualmente, alla luce, da un lato, della dimostrata ultroneità degli effetti che scaturiscono dalla inclusione nel registro istat, dall’altro, della corretta ricostruzione della fattispecie in esame come rientrante nella categoria della discrezionalità tecnica, con ciò che questo comporta in termini di concreta possibilità di lesione della situazione giuridica soggettiva e di effettive esigenze di tutela, l’attribuzione della materia in esame alla giurisdizione del giudice amministrativo sembra la più corretta da un punto di vista sistematico, configurandosi tale giudice come il giudice naturale della fattispecie. D’altronde, risulta difficile pensare di poter sottrarre, nel nostro ordinamento, alla giurisdizione del giudice amministrativo una materia che ha ricadute dirette sui confini della soggettività pubblica; di poter sottrarre alla cognizione ed elaborazione del giudice della pubblica amministrazione concetti fondamentali ai fini della costruzione della nozione stessa di pubblica amministrazione. Vero è che lo stesso articolo 103 Cost. stabilisce anche che “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”, ma, infatti, deve tenersi bene a mente che l’art. 23-quater preserva la giurisdizione della Corte dei conti nelle materie prettamente contabili, disponendo, non che la materia della ricognizione delle pubbliche amministrazioni viene sottratta alla giurisdizione della Corte dei conti, ma solo che il giudice contabile in questa materia ha giurisdizione “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa”. ecco perché può sostenersi che il legislatore con questo intervento abbia ripristinato l’equilibrio del sistema. La questione dell’inclusione all’interno dell’elenco, avendo rilevanza sistematica generale ed involgendo direttamente un una posizione di interesse legittimo, è stata ricondotta nell’ambito della sua giurisdizione naturale, quella del giudice amministrativo; tutte le questioni che, invece, dopo l’inclusione nell’elenco concernono l’applicazione della normativa di contenimento della spesa, in quanto questioni strettamente contabili, sono rimaste nell’alveo della giurisdizione contabile. 3. Sulla complessa posizione dell’Istat in equilibrio precario tra ordinamento nazionale ed ordinamento sovranazionale. La discussione sull’articolo 23-quater e le riflessioni sulla rilevanza generale assunta dall’elenco istat si riconnettono anche ad un’altra questione, inerente la difficile posizione, in equilibrio precario tra ordinamento nazionale e sovranazionale, in cui si è venuto a trovare l’istat, in relazione proprio al DOttRinA 259 l’evoluzione dell’elenco ed alla complessità determinatasi. Rispetto alla natura ed agli effetti di tale elenco si può parlare ormai di una vera e propria ambivalenza, nella misura in cui, nella prospettiva comunitaria, l’elenco è soltanto un documento statistico-contabile redatto dall’istat e trasmesso alla Commissione europea (eurostat) in adempimento degli obblighi comunicativi sui dati sull’indebitamento netto e sul debito delle amministrazioni pubbliche; nella prospettiva nazionale, invece, come dimostrato, tale documento ha assunto ben altra rilevanza, generale e sistematica, configurandosi come vero e proprio provvedimento amministrativo. Da un punto di vista sovranazionale (esclusivamente statistico-contabile), la redazione dell’elenco da parte dell’istat è sottoposta al controllo dell’eurostat, che vigila sulla corretta applicazione dei criteri previsti dal Sec nell’ambito del processo di excessive Deficit Procedure; da un punto di vista nazionale (amministrativistico), invece, l’elenco istat, in quanto provvedimento amministrativo da cui scaturiscono una molteplicità di effetti giuridici, configurandosi per questo la possibilità di ledere una situazione soggettiva di interesse legittimo, è necessariamente sottoposto al sindacato giurisdizionale di un giudice, sia esso la Corte dei conti o, più correttamente, il giudice amministrativo. ebbene, non è difficile immaginare le situazioni di tensione e conflitto che possono crearsi, soprattutto alla luce della complessità della materia, dato che non sempre, sulla base dei criteri stabiliti dal Sec, è automatica ed immediata l’inclusione di un soggetto nell’elenco o la sua collocazione statistica in uno dei vari sotto-insiemi previsti, anzi, il contenzioso in materia dimostra il contrario (10). nei casi più complessi ben può esserci discordanza tra la posizione assunta dall’eurostat sulla qualificazione statistica di un soggetto in applicazione dei parametri Sec e la sentenza del giudice nazionale sul ricorso del medesimo soggetto avverso l’inclusione nell’elenco sulla base degli stessi parametri. Si comprende la situazione di criticità denunciata dall’istat in tali ipotesi (11), in cui, da un lato, vi è l’indicazione dell’eurostat a favore dell’inclusione del soggetto nell’elenco, dall’altro, in modo diametralmente opposto, la sen (10) nota istat prot. 2019440/20 del 20/10/2020, “Come noto, l’inserimento di taluni Enti nel- l’Elenco de quo ha determinato, nel corso degli anni, l’attivazione di numerosi contenziosi dinanzi al Giudice contabile, con il conseguente affermarsi di un orientamento giurisprudenziale sfavorevole all’Istituto e diretto all’esclusione dall’Elenco stesso, per effetto di pronuncia giudiziale, di soggetti o categorie di soggetti che hanno un peso significativo sui conti pubblici”. (11) nota istat prot. 2019440/20 del 20/10/2020, in cui l’istat afferma “Lo scrivente Istituto ha altresì rappresentato le criticità derivanti dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Elenco delle Amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 1, comma 3, Legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica)” aggiungendo poi che “questi sviluppi rischiano di moltiplicare i casi di ricorso avverso l’inclusione in Lista da parte di altri Enti, con il rischio di rendere sempre più̀ incerta la natura della classificazione e, con essa, la solidità del processo di definizione statistica dei conti”. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 tenza del giudice nazionale che dispone l’esclusione dello stesso dall’elenco; da un lato, escludendo dall’elenco un soggetto che l’eurostat ritiene si debba includere, producendosi un’incoerenza rispetto ai criteri statistici, c’è il rischio di una riserva sui conti pubblici con gravi conseguenze sulla credibilità delle statistiche di finanza nazionale; dall’altro, includendo nell’elenco un soggetto che secondo il giudice nazionale non vi dovrebbe rientrare, si determina la violazione di un giudicato, il mancato adempimento di un ordine dell’autorità giudiziaria. Queste ipotesi critiche non sono casi di scuola, ma si sono già verificate nella prassi. È da segnalare che di recente si è verificata una vicenda di questo genere, iniziata con la pubblicazione dell’elenco 2020 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale 242 del 30 settembre, nel quale l’istat, seguendo le indicazioni dell’eurostat, ha inserito diverse unità che avevano già impugnato l’inclusione dinanzi al Giudice contabile, ottenendo l’accoglimento del ricorso (12) e che di conseguenza non sarebbero dovute essere collocate nell’elenco. L’istat, nonostante le sentenze della Corte dei conti, ha egualmente inserito tali soggetti nell’elenco, giustificando l’inclusione con una nota esplicativa pubblicata sul sito istituzionale (13) in cui si poneva l’accento sulla natura strettamente contabile di tale collocazione e sulla posizione espressa dall’eurostat, sottolineandone il ruolo in materia. A fronte di ciò, taluni dei soggetti interessati hanno notificato atti di diffida all’istituto (cfr. atto di diffida della Fondazione Accademia nazionale di S. Cecilia del 14 ottobre 2020 e atto di diffida della Fondazione teatro alla Scala di milano del 15 ottobre 2020) diretti ad ottenere l’immediata cancellazione dall’elenco 2020, asserendo l’avvenuta violazione, attraverso il loro reinserimento, della decisione della Corte dei conti ed un mancato adempimento da parte dell’istat ad un ordine dell'Autorità giudiziaria. A seguito di tali atti ed in ragione dell’evoluzione della vicenda, l’istat ha annullato il precedente elenco, pubblicandone uno nuovo senza i soggetti in questione, in ottemperanza alle decisioni del Giudice contabile. L’istat, però, ha colto l’occasione per sottolineare con forza la complessità della situazione in cui è venuto a trovarsi, invitando gli attori istituzionali a porre in essere una riflessione comune per addivenire ad una soluzione del problema (14). (12) Si vedano le già citate sentenze 1/2020/RiS-Fondazione teatro della Scala milano, 25/2020/RiS- Fondazione Accademica nazionale Santa Cecilia. (13) nella nota istat prot. 1785593/20 del 9/9/2020 si legge che “Dal punto di vista statistico esse sono incluse nel perimetro delle unità che concorrono alla compilazione del conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche secondo i criteri stabiliti dal SEC, così come discusso e concordato con Eurostat che vigila sulla corretta applicazione di tali criteri nell’ambito del processo EDP (Excessive Deficit Procedure)”. (14) nota istat prot. 2019440/20 del 20/10/2020, “Si ribadisce l’urgenza di attivare una riflessione DOttRinA 261 Occorre qui sottolineare che attualmente la soluzione non può certamente essere la sottrazione dell’elenco a qualsiasi controllo giurisdizionale, come pur inizialmente si era inteso fare, ponendosi l’accento sulla natura prettamente statistico-contabile del documento e sull’esclusiva rilevanza sovranazionale. non a caso, l’istat, sulla base degli stessi argomenti, nella vicenda richiamata, non ha inizialmente dato seguito alle sentenze della Corte dei conti. Si comprende che l’esclusione del controllo giurisdizionale possa semplificare la fattispecie e che si sia tentati dal leggere in questa direzione l’art. 23-quater, ma, allo stato dei fatti, per la rilevanza dell’elenco istat e gli effetti giuridici interni ad esso connessi, l’unica lettura conforme a Costituzione dell’art. 23-quater è quella che riconduce la giurisdizione sull’inclusione nell’elenco all’alveo della giurisdizione amministrativa, non potendosi in alcun modo sostenere che si sia escluso il controllo giurisdizionale. Se si intende sottrarre l’elenco al controllo giurisdizionale per evitare contrasti con la Commissione europea in una materia delicata come quella dei conti pubblici, non si può partire, a valle, dalla giurisdizione, ma si deve partire, a monte, dagli effetti connessi all’elenco. L’interesse ad impugnare è solo una conseguenza degli effetti giuridici che scaturiscono da tale atto. D’altronde, è proprio in ragione dell’estensione di tali effetti al di là della materia contabile che si è sostenuto essere sistematicamente più corretto attualmente ricondurre le controversie intorno all’elenco istat alla giurisdizione amministrativa. Se si rimuovessero gli effetti giuridici interni connessi all’elenco, riconducendolo ad una dimensione meramente statistica, si potrebbe ipotizzare che soggetti inseriti al suo interno non avrebbero più interesse ad impugnare la propria inclusione e, ove lo facessero, il ricorso sarebbe dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad agire. Per far ciò, allora, innanzitutto bisognerebbe evitare che l’ordinamento faccia riferimento all’elenco per l’individuazione dei soggetti cui applicare obblighi amministrativo-contabili. Poi, bisognerebbe costruire una nozione generale di pubblica amministrazione, magari attraverso un intervento legislativo, svincolandola dai criteri contabili del Sec e delineandola sulla base di un regime giuridico comune anche minimale, una serie di effetti giuridici interni certamente connessi al- l’attribuzione di tale qualifica, su cui poi costruire i variegati regimi dei diversi soggetti pubblici. Si deve riconoscere, però, che, pur agendo in questa direzione, si è molto scettici sulla possibilità di riuscire a limitare gli effetti connessi all’inclusione nell’elenco fino al punto in cui potrebbe dirsi non sussistente un interesse alla sua impugnazione. Ciò perché, pur ammettendo si riesca ad invertire il trend congiunta al fine di addivenire alla formulazione di proposte condivise che tengano conto del quadro sopra delineato e dell’attuale situazione di impasse per l’Istituto e per il Paese”. RASSeGnA AVVOCAtURA DeLLO StAtO -n. 1/2021 interno ed a restringere gli effetti prettamente nazionali connessi all’elenco, questo comunque continuerebbe ad essere un documento estremamente rilevante in ambito sovranazionale, cui si riconnetterebbero pur sempre degli incisivi effetti giuridici di natura contabile che, dato il livello di integrazione oramai raggiunto tra i due ordinamenti, soprattutto in questa materia (si pensi alla già richiamata costituzionalizzazione del principio dell’equilibrio di bilancio), non potranno che ripercuotersi anche nell’ordinamento nazionale. La tesi della rilevanza esclusivamente statistico-contabile e sovranazionale del- l’elenco può essere posta a fondamento della scelta tra la giurisdizione del Giudice contabile e quella del Giudice amministrativo, ma non può in alcun modo giustificare la sottrazione generale al controllo giurisdizionale. Anche laddove si sposasse la prospettiva comunitaria del documento statistico-contabile, non si potrebbe negare la rilevanza degli effetti giuridici connessi ad esso che, pur se solo contabili e non generali, sarebbero egualmente estremamente rilevanti e solleverebbero un’innegabile esigenza di tutela. essere inseriti nell’elenco, comporterebbe ad ogni modo la partecipazione al conto economico consolidato e, di conseguenza, la necessaria sottoposizione ad obblighi informativi e comunicativi inerenti i propri bilanci, ma soprattutto l’obbligo del rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio oltre che per il disposto interno degli articolo 81 e 97 Cost., pur sempre in virtù del diritto comunitario. Se così non fosse, perderebbe di connotazione giuridica l’intera attività di valutazione e controllo della contabilità pubblica nazionale posta in essere dalla Commissione europea. Dunque, anche ove si espungessero dall’ordinamento interno tutti i riferimenti all’elenco e si costruisse una nozione generale di pubblica amministrazione, la sottoposizione ai suddetti obblighi comunicativi ed informativi e l’obbligo del rispetto del principio di equilibrio di bilancio sarebbero comunque effetti giuridici troppo rilevanti per potere ipotizzare una sottrazione del- l’elenco istat al controllo giurisdizionale, a prescindere dalla connotazione che gli si intende attribuire. Forse, l’unica soluzione al problema è prendere atto della complessità della fattispecie derivante dal livello di integrazione raggiunto tra criteri economico- statistici e concetti giuridici, della rilevanza assunta da tale elenco, tanto in ambito comunitario, quanto in ambito nazionale, tanto in ambito statistico- contabile, quanto in ambito amministrativistico-generale e prevedere, pertanto, delle forme collaborative, di dialogo non solo tra istat ed eurostat, ma anche tra eurostat e Giudice nazionale. RECENSIONI Fausto Capelli (*), evoluzione splendori e decadenza delle direttive comunitarie. impatto della direttiva Ce n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari. (EditorialE SciEntifica, 2021) In Memoria l'autore e l'Editore dedicano questo libro alla memoria del Prof. GiuSEPPE tESauro in segno di riconoscimento e di ringraziamento per i Suoi fondamentali contributi all'approfondimento del diritto dell'unione europea, come studioso e Professore universitario e alla sua affermazione in italia e in Europa come avvocato Generale della corte di giu stizia, Presidente dell'autorità Garante della con correnza e del mercato nonché come Giudice e Presidente della corte costituzionale italiana. la Sua amicizia della quale ci ha onorato in vita continuerà a vivere come duraturo ricordo nella nostra memoria. Milano - Napoli, 6 luglio 2021 Fausto Capelli Mario De Dominicis avvertenza Nella prima parte del libro vengono sottoposte ad una valutazione critica le sentenze della Corte di giustizia sulla portata e sull'efficacia delle direttive comunitarie, la cui evoluzione viene analizzata seguendo il percorso della giu (*) Professore di Diritto dell'Unione europea al Collegio europeo/Università di Parma; Direttore della rivista "Diritto comunitario e degli scambi internazionali" e Condirettore della "Rivista giuridica del- l'ambiente"; Avvocato in Milano, specializzato in diritto dell'Unione europea e in diritto internazionale. RAssEGNA AVVoCATURA DELLo sTATo -N. 1/2021 risprudenza pronunciata dalla Corte a partire dai primi anni '70 del secolo scorso fino ai giorni nostri. Il titolo della prima parte fa riferimento ai "difetti della giurisprudenza" (1) per significare che, nel corso di quarant’anni, la giurisprudenza della Corte di giustizia è stata influen zata da motivi di carattere politico che ancora oggigiorno continuano ad incidere sulle sue decisioni. Al termine della prima parte del libro vengono pertanto svolte alcune considerazioni che intendono contribuire all'attività di ricerca di rimedi adeguati in grado di ovviare agli inconvenienti che tuttora perdurano. La seconda parte del libro è invece dedicata alla direttiva Ce n. 2006/123 sui servizi, la cosiddetta direttiva Bolkestein, e rappresenta una critica frontale e radicale contro la pretesa di applicare tale direttiva alle concessioni balneari. Tale critica è sviluppata nel Capitolo II della seconda parte del libro che è redatto in modo semplice prestandosi ad un'agevole lettura. Milano, 3 agosto 2021 F. C. (1) Il titolo della prima parte del libro si ispira a quello della celebre opera di Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) "dei difetti della giurisprudenza" (Venezia, editore Giambattista Pasquali, 1742) unicamente per un aspetto. Come è noto L.A. Muratori lamentava che le decisioni giurisprudenziali, pronunciate nel corso del tempo, avessero alterato il significato originario delle norme romane del corpus iuris civilis, incoraggiando un indirizzo diverso da quello autentico. La stessa critica viene sollevata nella prima parte di questo libro per sostenere che la giurisprudenza della Corte di giustizia si è discostata dall'indirizzo originario fissato dalle norme del Trattato di Roma. E, come dice Aristotele nel "trattato sul cielo", «il discostarsi in partenza, anche di poco, dalla vera origine, si moltiplica all'infinito, via via che si procede». RECENsIoNI 265 si pubblicano degli estratti segnalati dall’Autore: «l’argomento più importante a favore delle tesi sostenute nel libro si trova alle pp. 123-124. Gli argomenti più interessanti de jure condendo si trovano alle pp. 156-161». (pp. 123-124) (...) È da ritenere pertanto che il Commissario Bolkestein non abbia, a ragione, considerato di dover applicare la direttiva sui servizi alle concessioni balneari, come sopra riferito. Forse, inconsapevolmente, egli ha avuto l'intuizione giu sta. Infatti, l'applicazione della direttiva sui servizi alle con cessioni balneari avrebbe necessariamente determinato un'ar monizzazione nel settore del turismo, incidendo sulle legislazioni degli stati membri in aperta violazione della lettera e dello spirito dell'art. 195 TFUE (25). 3. VALUTAzIoNI CoNCLUsIVE È quindi incredibile che in sede europea non si sia pen sato di analizzare e valutare, non appena entrata in vigore nel 2009, la norma del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) contenuta nell'art. 195, che oltretutto è scritta in modo semplice, chiaro e conciso così da po ter essere da tutti compresa. Il par. 1 dell'art. 195 TFUE stabilisce infatti che: «l'unione completa l'azione degli Stati membri nel settore del turismo, in particolare promuovendo la competitività delle imprese dell'unione in tale settore». E non è forse per promuovere la competitività fra i po tenziali destinatari delle concessioni balneari che i burocrati hanno costretto nel 2009 l'Italia, dopo l'avvio della prima procedura di infrazione (P.I. 200/4908), a sopprimere il «diritto di insistenza» allo scopo di imporre una procedura di gara fra i vari candidati concorrenti che aspiravano ad ottenere le concessioni? Al momento della soppressione del «diritto di insisten za» (30 dicembre 2009) era però già in vigore, dal 1° dicembre 2009, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) il cui art. 195, par. 2, categoricamente e chiaramente stabilisce: «il Parlamento europeo e il consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, sta biliscono le misure specifiche destinate a completare le azioni svolte negli Stati membri al fine di realizzare gli obiettivi di cui al presente articolo, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». È pacifico che le disposizioni contenute negli articoli da 9 a 13 della di (25) Cfr. M. oNIDA, nuovo trattato sul funzionamento dell'uE, politica del turismo e tutela ambientale: un'occasione mancata, in rivista giuridica dell'ambiente, 2011, p. 356. RAssEGNA AVVoCATURA DELLo sTATo -N. 1/2021 rettiva sui servizi -se applicate alle concessioni balneari -armonizzerebbero le procedure nazionali che gli stati membri applicano nel settore del turismo. Ciò appare però assolutamente vietato dall'art. 195, secondo paragrafo, e a tale divieto le Istituzioni europee non potrebbero sottrarsi neppure invocando l'art. 352 TFUE sopra richiamato, perché il par. 3 dell'art. 352 impedisce l'adozione di qualunque disposizione europea che abbia come scopo di introdurre un'armonizzazione vietata espressamen te dal Trattato. Da ciò si deduce che nel settore del turismo le Istituzio ni comunitarie devono soltanto seguire gli indirizzi tracciati dagli stati membri accompagnandoli nella loro politica. E anche nei casi nei quali le Istituzioni europee avessero ritenuto di poter suggerire qualche semplice Piano d'azione comunitaria a favore del turismo, come è avvenuto con il Piano d'Azione triennale (1993-1995), esse avrebbero dovuto far ricorso alle deliberazioni adottate all'unanimità (cfr. Decisione n. 92/411 in Guce n. L 231/1992) fondando le loro decisioni sull'art. 235 del Trattato sulle Comunità europee (poi divenuto art. 352 TFUE). In conclusione, nel 2009, quando era già in vigore l'art. 195 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (art. 195, par. 2 e art. 352, par. 3) l'Italia è stata indotta a mo dificare una norma del Codice della navigazione che appariva del tutto legittima secondo l'ordinamento nazionale e secondo l'ordinamento europeo (26). (26) Per tracciare un parallelo, in casi analoghi la Federazione degli stati Uniti d'America che è uno stato sovrano da quasi due secoli e mezzo, non avrebbe mai potuto pretendere di interferire nella gestione delle aree destinate agli stabilimenti balneari di proprietà degli stati federati come la Florida o la California. RECENsIoNI 267 (pp. 156-161) e. Disciplina e trattamento "de jure condendo" Identificata la disciplina applicabile, sotto il profilo giuridico, a questa categoria di concessioni, occorre ora individuare la disciplina ad essa applicabile anche sotto il profilo economico. Poiché si tratta di un tipo di concessione in grado di permettere al concessionario di esercitare un’impresa che gli procura redditi, utilizzando beni ubicati in aree demaniali, appartenenti al concedente, vale a dire allo stato e, quindi, alla collettività, appare logico e corretto che il concedente, vale a dire lo stato, ottenga un'adeguata remunerazione proporzionata ai benefici percepiti dal concessionario, even tualmente devolvibile ad Enti no-profit che erogano benefici alla collettività. Per questo, nel caso in cui l'impresa non venga gestita dal concessionario in modo adeguato (profittevole e sostenibile), il concedente, che ha un interesse al buon funzionamento dell’impresa, può sollecitare adattamenti, modifiche fino alla comunicazione della revoca della concessione per uno dei motivi in precedenza esposti ricorrendo alla selezione di un nuovo concessionario tramite la messa in gara, della concessione mediante una procedura di evidenza pubblica. La soluzione appena ipotizzata ricalca, per certi versi, il modello tracciato dal Disegno di legge n. 2031 comunicato il 24 febbraio 2010 alla Presidenza del senato contenente la «Delega per la modifica del codice civile in materia di beni pubblici» (23), nel quale le «spiagge» e le «rade» sono classificate fra i beni di «appartenenza pubblica necessaria». In tale disegno di legge si stabilisce che: «1) tutte le utilizzazioni di beni pubblici da parte di un soggetto privato devono comportare il pagamento di un corrispettivo rigorosamente proporzionale ai vantaggi che può trarne l'utilizza tore individuato attraverso il confronto fra più offerte; 2) nella valutazione delle offerte, anche in occasione del rinnovo, si dovrà in ogni caso tenere conto dell'impatto sociale ed ambientale dell'utilizzazione; 3) la gestione dei beni pubblici deve assicurare un'adeguata manutenzione e un idoneo sviluppo anche in relazione al mutamento delle esigenze di servizio». Viene inoltre precisato che i corrispettivi percepiti dallo stato a titolo di remunerazione «non possono essere imputa ti a spesa corrente». Come si vede, pertanto, la soluzione qui proposta appare del tutto equa e ragionevole e potrebbe essere applicata alle concessioni balneari della prima categoria con tutti gli adattamenti che saranno ritenuti opportuni dopo aver sotto posto la materia ad una pubblica discussione. (23) Reperibile all'indirizzo internet https://www.senato.it/service/PDF/PDFserver/DF/21 7244.pdf. RAssEGNA AVVoCATURA DELLo sTATo -N. 1/2021 2. LE CoNCEssIoNI DELLA sECoNDA CATEGoRIA a. aspetti economici Per quanto riguarda invece le concessioni della seconda categoria, diverse, quindi, dalle concessioni relative alle imprese, in quanto identificabili come normali concessioni di aree libere da impianti fissi o da strutture difficilmente amovibili, nelle quali il concessionario non ha effettuato investimenti di rilievo, il corrispettivo per l'utilizzo dell'area non dovrebbe essere rapportato ai vantaggi ottenuti dal concessionario ma, seguendo il criterio attualmente applicato in Italia, dovrebbe consistere in un canone calcolato in misura fissa e parametrato alla dimensione dell'area data in concessione (24). Il canone potrebbe eventualmente essere determinato con riferimento a tre diversi livelli (ad esempio: A, B, C) a seconda del pregio dell'area concessa, ma sempre si tratterà, per ciascun livello, di un canone fisso (x euro per metro quadrato) parametrato alla dimensione dell'area oggetto della concessione. Detto questo, per quanto riguarda gli aspetti economici, occorre anche trovare una soluzione adeguata relativamente alla disciplina giuridica da applicare a queste concessioni. b. Disciplina giuridica Considerati i criteri applicabili sotto il profilo economico, appaiono evidenti i problemi che si pongono per l'aggiu dicazione delle concessioni appartenenti a questa seconda categoria. se l'aggiudicazione spetta al vincitore selezionato in una gara organizzata tramite una procedura di evidenza pubblica, ci si rende subito conto che manca, per lo svolgimento della gara, l'elemento economico determinante, costituito dalla variabilità dell'offerta, che risulta esclusa dall'immutabilità del canone fissato in modo uguale per tutti i candidati e calcolato secondo gli stessi criteri per le (rispettive) concessioni messe in gara. Per quanto riguarda la possibilità di tener conto di altri dati significativi riferiti alle offerte, appare evidente la loro scarsa rilevanza ai fini della gara, dipendendo il possesso di tali dati da prescrizioni legislative ed amministrative imposte per legge a tutti i candidati per ragioni di ordine pubblico, di carattere sanitario, di carattere sociale, di tutela dell'ambiente etc. Ne consegue che occorrerebbe trovare una soluzione del tutto nuova e diversa da quelle finora sperimentate. se pensiamo alla bellezza di certe località che godono di notevoli vantaggi, soprattutto economici, procurati dal tu rismo grazie a paesaggi incante (24) Dal 1° gennaio 2021, in base all'art. 100, comma 2 del decreto-legge 14 agosto 2020 n. 104 convertito nella legge 13 ottobre 2020 n. 126 il canone e calcolato in misura fissa indipendentemente dal valore dei beni oggetto della Convenzione. RECENsIoNI 269 voli e a siti stupendi che la natura ha donato alla collettività di quella zona, appare equo e ragionevole che l’intera collettività possa beneficiare di tali vantaggi. Per questo occorrerebbe fare in modo che le concessioni fossero affidate ad Enti del Terzo settore, appartenenti alla società civile, che si impegnino a gestire le aree concesse con criteri economicamente sani, remunerando tutti i collaboratori nel rispetto delle disposizioni normative ed amministrative applicabili, ma ponendo a disposizione di organizzazioni e strutture pubbliche gli utili dell'attività che non siano stati messi, per legge, a riserva nel bilancio dell'Ente del Terzo settore interessato. Questi Enti dovrebbero, in tutte le località nelle quali operano, concordare con le autorità municipali competenti, le tariffe imponibili in modo da praticare prezzi equi e trasparenti agli utenti. Inoltre dovrebbero, in tutte le località nelle quali operano, garantire l'utilizzo di spiagge libere che si presentino al pubblico in modo decoroso. ovviamente questi sono suggerimenti de iure condendo per cui è aperta ogni discussione in proposito. Noi riteniamo utile aver fornito alcuni validi argomenti contribuendo ad aprire la discussione, con indicazione dei confini entro i quali la discussione potrà svilupparsi. 3. LE CoNCEssIoNI REsIDUE oltre alle concessioni della prima categoria (concessioni di impresa) e alle concessioni della seconda categoria, so pra esaminate, è possibile ipotizzare anche una terza catego ria di concessioni. si potrebbe in effetti pensare all'istituzione di una categoria particolare di concessioni riguardanti le aree che ven gono utilizzate da vacanzieri dotati di mezzi di trasporto, come i "camper", che consentono loro di frequentare luoghi diversi con frequenti spostamenti. I gestori di queste aree devono fornire prestazioni ed assistenze particolari tenuto conto delle esigenze che manifestano i loro clienti. Per queste concessioni, pertanto, per le quali occorrerebbe pur sempre applicare un canone in misura fissa come per le concessioni della seconda categoria, si potrebbe prevedere anche un contributo aggiuntivo a favore dei comuni che devono provvedere al controllo dell'area interessata (per ragioni di ordine pubblico, tutela sanitaria, ambientale etc.). III. Valutazioni finali e conclusive Questo terzo capitolo, come ben si comprende, è orien tato in una direzione del tutto diversa rispetto a quella seguita dai primi due, perché non affronta questioni de jure con dito, bensì de jure condendo. Come abbiamo visto, le questioni de jure condito, esaminate nei primi RAssEGNA AVVoCATURA DELLo sTATo -N. 1/2021 due capitoli sono state risolte interpretando le norme applicabili in modo da giungere a conclusioni completamente opposte a quelle alle quali è pervenuta la Commissione europea. Per quanto riguarda le soluzioni de jure condendo, suggerite in questo terzo capitolo, che giungono anch'esse a conclusioni del tutto opposte a quelle auspicate dalla Commissione europea, le stesse hanno anche, a nostro avviso, il pregio di essere più eque e ragionevoli di quelle che la Commissione europea vorrebbe realizzare. Le soluzioni suggerite infatti consentono allo stato italiano e alla collettività di ottenere i seguenti vantaggi: a. Per quanto riguarda le concessioni appartenenti alla prima categoria (concessioni relative ad imprese balneari) Lo stato italiano oltre al canone otterrebbe come corrispettivo per la concessione di un'impresa balneare una partecipazione agli utili, realizzati dal concessionario, proporzionali all'importo dei medesimi (che potrebbero essere devoluti in parte alla collettività locale). I titolari della concessione sarebbero incentivati a gestire l'impresa in modo efficiente e sostenibile per conseguire utili ragionevoli e per evitare la revoca della concessione. In caso di revoca della concessione o, comunque, in caso di rinnovo della stessa è prevista una procedura di evidenza pubblica rispettosa delle regole di trasparenza etc. b. Per quanto riguarda le concessioni della seconda categoria Lo stato continua a ricevere un canone fisso analogo a quello oggigiorno incassato e il concessionario continua a pagare un canone analogo a quello oggi versato. Chi si avvantaggia è la società civile e la collettività perché vengono promosse forme di cooperazione nuove con gli Enti del Terzo settore che, senza discriminare gli operatori impegnati nel settore, consentono loro di fornire il proprio contributo a favore dell'intera collettività e, quindi, a vantaggio di tutti i cittadini. c. Per quanto riguarda le concessioni della terza categoria Anche in questo caso tutti coloro che partecipano alle attività, rese possibili dalle concessioni, contribuiscono in modo equo al loro esercizio e ottengono vantaggi propor zionati ai contributi versati. In ogni caso, trattandosi, come già ricordato, di proposte de jure condendo, è consentito ovviamente a tutti gli in teressati di fornire ulteriori idee e suggerimenti che portino a soluzioni ancora migliori. Un saluto affettuoso (*) Domani 10 settembre 2021 raggiungerò i fatidici “limiti di età” che costituiscono il traguardo cronologico della carriera e lascerò l’Istituto. Non nascondo che si tratta di una separazione che mi comporta un certo magone, dato che sono sempre stato e sono molto affezionato al mio lavoro e fiero di appartenere ad un’Istituzione che, pur fra grandi difficoltà, rende alla comunità un alto servigio di civiltà giuridica nel perseguimento degli obiettivi dello Stato democratico. Ringrazio sentitamente del rapporto di colleganza fatto di lealtà e disponibilità, che mi ha consentito di assolvere meglio i miei compiti. Formulo i più sinceri ed affettuosi auguri a tutti voi che continuate ed all’Avvocatura perché ottenga sempre gli alti riconoscimenti che merita. Un forte abbraccio Gesualdo d’Elia Caro Aldo, per me i Tuoi saluti hanno un significato particolare, che riassume nelle Tue poche righe quaranta anni di Amicizia profonda, fatta di enorme stima e di reciproco affetto. Solo chi come noi ha condiviso questa irripetibile esperienza di vita può capire quello che si prova in questi momenti. Quello che Tu hai rappresentato per il nostro Istituto come Collega è davanti agli occhi di tutti, e ognuno di noi può testimoniare l’altissimo valore professionale del Tuo contributo alla difesa del- l’interesse pubblico, e il segno che Tu lasci nella nostra storia, con il Tuo scrupolo, la Tua dedizione, la Tua puntualità, il Tuo amore per il dovere. Quello che voglio aggiungere, però, deriva dalla conoscenza personale che io -più di tutti -credo di poter vantare. Ci mancherà la Tua cultura, la Tua saggezza, la Tua disponibilità serena e pacata ad ascoltare gli altri, la certezza di poterti trovare ogniqualvolta c’era il bisogno di scambiare due parole, due riflessioni, non solo di lavoro, il Tuo humor ricco di umanità, la Tua costante aspirazione ad amministrare i giovani e a trasmettere loro i valori nei quali abbiamo sempre creduto, e nei quali anche oggi (seppure con maggiore fatica) dobbiamo credere. L’Avvocatura è un grande mare, nel quale ciascuno di noi è una piccola goccia, e come le gocce tutti scorriamo e scorreremo via. Grazie per aver popolato questo mare. Marco Corsini Caro Aldo, aggiungo la mia voce al coro unanime dei Colleghi che in questi giorni Ti hanno salutato, agganciandomi alle parole di Marco Corsini, che trovo particolarmente felici nel descrivere i Tuoi pregi e i Tuoi valori e che condivido integralmente. In particolare mi sento di ringraziarTi per il ruolo prezioso che hai svolto per tantissimo tempo e con grandissima dedizione a beneficio dei giovani che si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro degli adulti, non facendo mancare anche alle strutture amministrative dell’Istituto i Tuoi suggerimenti e le Tue riflessioni sulle questioni giuridiche che via via si presentavano. Un abbraccio affettuoso, Paolo Grasso (*) E-mail, giovedì 9 settembre 2021. Finito di stampare nel mese di ottobre 2021 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma