ANNO LXXIV - N. 2 APRILE - GIUGNO 2022 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Federico Casu, Enrico De Giovanni, Michele Gerardo, Paolo Giangrosso, Alessandro Jacoangeli, Emanuele Manzo, Tommaso Marsh, Daniela Migali, Gaetana Natale, Giustina Noviello, Gabriella Palmieri Sandulli, Carmela Pluchino, Fabio Ratto Trabucco, Maria Elena Scaramucci, Francesca Subrani. Email Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario In ricordo del Presidente Franco Frattini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Cerimonia di commemorazione del Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini. Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato, Gabriella Palmieri Sandulli, Consiglio di Stato, Sala di Pompeo, 12 gennaio 2023 Carmela Pluchino, Relazione annuale dell’Avvocatura dello Stato sul contenzioso antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Enrico De Giovanni, Alessandro Jacoangeli, Rimborso ai dipendenti delle spese legali di difesa ai sensi dell’art. 18 D.L. n. 67/1997, conv. in L. 135/1997. In merito all’estensione ai professori universitari . . . . . . . . . Soppressione di Riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) a decorrere dal 1° ottobre 2021. Terzo Addendum al Protocollo d’intesa sottoscritto il 30 marzo 2022 tra l’Avvocatura dello Stato e ADER, Circolare A.G. del 27 dicembre 2022, prot. 837654, n. 73 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Modifiche al processo civile introdotte dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 efficaci dal 1° gennaio 2023. Le novità sul processo civile telematico e sul giudizio di cassazione. Prime indicazioni operative, Circolare A.G. del 30 dicembre 2022, prot. 845382, n. 74. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Modifiche al processo penale introdotte dagli artt. 4 e ss. del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Prime indicazioni operative, Circolare A.G. del 2 gennaio 2023, prot. 2119, n. 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Wally ferrante, Condizione della doppia incriminazione e interpretazione della decisione quadro 2002/584 in tema di mandato di arresto europeo (C. giust. Ue, Sez. III, sent. 14 luglio 2022, C-168/21) . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE federico Casu, Reati associativi e giudice naturale: brevi considerazioni su Cassazione penale, Sez. II, n. 45584 del 1 dicembre 2022 . . . . . . . . . Daniela Migali, L’ampliamento della portata applicativa dell’istituto della “messa alla prova” in armonia con il diritto di difesa (C. Cost., sent. 14 giugno 2022 n. 146) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Danilo Del Gaizo, Determinazione dei canoni delle concessioni del demanio marittimo: questione di conformità dell’art. 49 cod. nav. al diritto eurounitario (Cons. St., Sez. VII, ord. 15 settembre 2022 n. 8010). . . . . Giustina Noviello, Project financing. Discrezionalità amministrativa e posizione del privato (aspirante) promotore (Cons. St., Sez. III, sent. 19 settembre 2022 n. 8072). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 3 ›› 39 ›› 46 ›› 47 ›› 62 ›› 87 ›› 109 ›› 119 ›› 129 ›› 135 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO francesca Subrani, Situazioni debitorie relative a beni non transitati nella gestione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, succeduta ex lege all’Agenzia del demanio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 141 Maria Elena Scaramucci, Tommaso Marsh, Persone giuridiche riconosciute. Clausole statutarie che prevedono la nomina, da parte del Prefetto pro tempore, di compenenti degli organi di fondazioni e associazioni. Compatibilità delle disposizioni con la normativa vigente . . . . . . . . . . . ›› 146 Emanuele Manzo, Sanzioni amministrative irrogate dagli Uffici territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro e conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 153 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Gaetana Natale, Transfer of personal data to third countries or international organisations: the solution of italian government . . . . . . . . . . . . . ›› 155 Wally ferrante, La nuova legislazione sulla sicurezza nelle discipline sportive invernali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 164 fabio Ratto Trabucco, Il Remand questo sconosciuto nella tutela cautelare amministrativa: pregi e difetti di un istituto potenzialmente deflattivo del contenzioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 169 Paolo Giangrosso, I reati informatici o cybercrimes: la Legge n. 547 del 1993 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 183 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Michele Gerardo, La riforma del processo civile e dei meccanismi preventivi ed alternativi del giudizio. Analisi e rilievi delle principali novità contenute nel D.L.vo 10 ottobre 2022 n. 149 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 195 Gaetana Natale, La rinegoziazione del contratto: principio “estrinseco” o “intrinseco” al nostro ordinamento? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 237 Gaetana Natale, Azione collettiva pubblica e la sua correlazione con gli strumenti di Alternative Dispute Resolutions: verso una cultura della conciliazione e della giustizia di prossimità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 250 Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Michele Damiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . In ricordo del Presidente Franco Frattini (*) Con immensa tristezza e profonda commozione comunico che, a seguito della prematura scomparsa del Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, è allestita la camera ardente presso il Consiglio di Stato nella Sala di Pompeo che sarà aperta dalle ore 11:00 alle ore 19:00. Il Presidente Frattini ha iniziato nel 1981 la Sua brillantissima e prestigiosissima carriera proprio nel nostro Istituto, all’Avvocatura Generale, dimostrando immediatamente di possedere le eccezionali doti di preparazione giuridica e l’altissima capacità professionale che hanno sempre accompagnato il Suo così rilevante percorso istituzionale nazionale e internazionale, nel corso del quale ha ricoperto importantissimi incarichi istituzionali e politici. Il Suo esempio concreto, declinato come impegno e dedizione costanti coniugati con saggezza, equilibrio e profondo senso dello Stato, è stato prezioso e ha ispirato generazioni di Avvocati e Procuratori dello Stato non solo dei concorsi prossimi al Suo. Ha sempre conservato la stima e la considerazione verso il nostro Istituto e le ha sempre dimostrate in ogni occasione. Il Presidente Frattini è stato un eccezionale Servitore dello Stato, dotato di un elevatissimo senso istituzionale al quale si sono unite altrettanto eccezionali doti umane e intellettuali, grande cultura giuridica e disponibilità ad ascoltare, doti sempre unite a una grande signorilità e al rispetto verso gli altri. La poliedricità di interessi che l’ha costantemente caratterizzato è dimostrata dalla passione che ha sempre nutrito per lo Sport, inteso nella sua più nobile accezione, ricoprendo l’incarico di Presidente della Commissione Nazionale Scuole e maestri di Sci presso la FISI e, soprattutto, quello di Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport CONI, al quale, con infaticabile tenacia ed entusiastico impegno, ha dato lustro e prestigio istituzionale. Recentemente era stato insignito del Collare d’oro olimpico del Comitato Internazionale Olimpico. Ha sempre profuso le Sue energie senza risparmiarsi, da ultimo, riuscendo a far concludere in tempi rapidi e con risultati eccezionali il lavoro di revisione del Codice dei contratti pubblici, così che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 16 dicembre scorso, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di riforma, riservandogli un espresso e pubblico ringraziamento “per il grande lavoro svolto che ha contribuito al raggiungimento di un importante risultato”. Una Figura indimenticabile che lascia un vuoto incolmabile nelle Istituzioni e nel Paese. Addio Presidente Frattini, addio Franco, che la Luce Ti illumini e che la terra Ti sia lieve. Gabriella Palmieri Sandulli (*) Da: Palmieri Gabriella Inviato: lunedì 26 dicembre 2022 10:06 A: Avvocati_tutti ; Amministrativi_tutti In ricordo del Presidente Franco Frattini (*) L'Associazione Unitaria degli Avvocati e Procuratori dello Stato esprime profondo cordoglio per la prematura scomparsa del Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, insigne giurista, Uomo delle Istituzioni ed ex Collega, che ha onorato il Paese in ogni incarico ricoperto, sia in Italia che all'estero, con competenza e dedizione straordinarie. Ne ricorda, in particolare, l'eccezionale autorevolezza e il tratto affabile e garbato nel- l'amministrare la giustizia, al vertice della giustizia sportiva prima e amministrativa dopo, con la massima solerzia e sempre nel perseguimento del più equo contemperamento degli interessi in gioco. Wally Ferrante Presidente A.U.A.P.S . (*) Da: auaps Inviato: lunedì 26 dicembre 2022 11:39 A: Avvocati_tutti ; Amministrativi_tutti temiistituzionali Cerimonia di Commemorazione del Presidente del Consiglio di stato FranCo Frattini Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Ringrazio molto il Presidente Maruotti per avermi consentito di prendere la parola per ricordare il Presidente Franco Frattini, prematuramente scomparso il 24 dicembre dell'anno scorso; nel segno di quella consolidata reciproca collaborazione istituzionale con l'Avvocatura, rinsaldata l'anno scorso, il 22 febbraio 2022, quando il Presidente Frattini, in occasione della Cerimonia del Suo insediamento, aveva espressamente voluto che prendessero la parola anche l'Avvocato Generale dello Stato e il Presidente del CNF; espressione di un dialogo costruttivo con gli Avvocati, unitariamente intesi, Foro libero e Avvocatura pubblica, come metodo per assicurare l'espletamento dell'esercizio della giurisdizione in chiave di efficienza ed efficacia. Con immensa tristezza e grande commozione ricordo la figura del Presidente Frattini, anche perché ha iniziato, nel febbraio del 1981, con il Presidente Maruotti e con il Presidente Volpe, la Sua brillantissima e prestigiosissima carriera proprio all'Avvocatura Generale, mettendo immediatamente in luce le Sue eccezionali doti di preparazione giuridica e l'altissinia capacità professionale che hanno accompagnato sempre il Suo così rilevante percorso istituzionale nazionale e internazionale. Il Presidente Frattini è stato sempre un punto di riferimento significativo per la Sua grande cultura giuridica, per il Suo impegno costante, ogni incarico che è stato chiamato a ricoprire l'ha sempre espletato nel modo migliore, per la Sua eccezionale dedizione, uniti a saggezza, equilibrio, costante ricerca del dialogo, disponibilità ad ascoltare, grande signorilità e rispetto verso gli altri, sensibilità politica nella migliore accezione del termine e profondo senso istituzionale. Un eccezionale Servitore dello Stato che coniugava, in una felice e RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 rara sintesi, altrettanto eccezionali doti umane e intellettuali; è stato, perciò, un Esempio da seguire e ha ispirato generazioni di Avvocati e Procuratori dello Stato. Con il nostro Istituto c'è stato sempre un rapporto biunivoco di stima e di considerazione. Da Ministro degli Affari Esteri, nel 2009, con lungimirante visione sovranazionale e di insieme, ha individuato nella figura dell'Agente del Governo italiano innanzi alla Corte di giustizia e al Tribunale dell'Ue l'espressione di una difesa tecnica e istituzionale; scelta, poi, codificata nell'art. 42, comma 3, della legge n. 234/2012 e divenuta modello ispiratore della difesa del Governo innanzi alla CEDU. La poliedricità di interessi, anche culturali, che l'ha costantemente caratterizzato è dimostrata dalla passione che ha sempre nutrito per lo Sport, inteso nella sua più nobile accezione, ricoprendo, in particolare, l’incarico di Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport -CONI, al quale, con infaticabile tenacia ed entusiastico impegno, ha conferito prestigio e lustro istituzionale. Sono davvero onorata di ricoprire la carica di Presidente dopo un così autorevole Predecessore. Il Suo Esempio sarà sempre la mia guida e il modello a cui ispirarmi. Ha sempre profuso le Sue energie senza risparmiarsi, da ultimo, riuscendo a far concludere in tempi rapidi e con risultati eccezionali il lavoro di revisione del Codice dei contratti pubblici. Una Figura indimenticabile che lascia un vuoto incolmabile nelle Istituzioni e nel Paese e l'Avvocatura dello Stato si stringe commossa alla famiglia e alla Magistratura amministrativa nel grande dolore e nel rimpianto per una così grave perdita. Consiglio di Stato, Sala di Pompeo, 12 gennaio 2023 TEMI ISTITUzIONALI avvoCatura dello stato relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2021(*) SommARio: 1. orientamenti giurisprudenziali -2. Questioni rimesse alla Corte Costituzionale -3. Questioni di massima e modifiche normative -4. interventi e contenzioso del Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle infrastrutture e degli insediamenti Prioritari (CCASiiP) e Struttura di missione Antimafia Sisma 2016 -5. Scioglimenti dei Comuni per mafia -6. La vigilanza collaborativa di ANAC -7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2021. 1. orientamenti giurisprudenziali. Di seguito si segnalano alcune pronunce di interesse pubblicate nel 2021, rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. L’adunanza Plenaria del Consiglio di stato, 6 agosto 2021, n. 14, affrontando gli effetti dell’interdittiva antimafia, in termini di incapacità giuridica dell’impresa, e l’eccezione del diritto al pagamento del valore delle prestazioni eseguite, ha affermato i seguenti principi di diritto: a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso; b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”. Come noto, l’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto -persona fisica o giuridica -è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il di (*) RELAzIONE A CURA DELL’AVV. STATO CARMELA PLUCHINO, REFERENTE DELL’AVVOCATURA DELLO STATO PER LA MATERIA DELL’ANTIMAFIA. Relazione annuale dell’Avvocatura dello Stato sul contenzioso antimafia -2020, pubblicata in Rass., 2021, Vol. 1, pp. 64 ss. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 vieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”. La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g) del codice antimafia va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293). Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate, come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito, come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati. Per rispondere al quesito pregiudiziale, sono stati anzitutto ribaditi i principi affermati nella sentenza dell’Adunanza plenaria 6 aprile 2018, n. 3, secondo cui il provvedimento di c.d. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la in- suscettibilità del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro c.d. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione. La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 23 del 2020 ha precisato che: “a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) -costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. iV, 28 ottobre 2011 n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di TEMI ISTITUzIONALI procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni. Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” -da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati -deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione”. Ha precisato poi l’Adunanza plenaria che la norma ora citata si applica anche agli appalti di servizi: “occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai contratti di servizi e forniture in quanto il successivo co. 3 dell’art. 94 -nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi (laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”)”. Nella sentenza n. 23 del 2020 della Plenaria si è chiarito altresì che “la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite” riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla verifica delle “utilità conseguite” (dall’amministrazione o, più in generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza”. “Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia. Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute “sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento”. La sentenza puntualizza che “Nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata ‘all’utilità conseguita’”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione. Sulla scorta della sentenza dell’Adunanza Plenaria sopra richiamata, con RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 l’espressione “utilità conseguite” si intende riconoscere “al soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione del- l’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”. “Le utilità conseguite” non sono dunque necessariamente equivalenti al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti. Può, in conclusione, affermarsi che la determinazione delle utilità conseguite è compito della p.a. che provvede, ricorrendone le condizioni di fatto, alla quantificazione, alla stregua delle norme di legge. Con la quantificazione delle utilità conseguite non si riconoscono diritti soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo l’adozione dell’interdittiva antimafia ma si intende evitare che la pubblica amministrazione “dall’esecuzione dell’opera o dalla prestazione di servizi, possa trarre un ingiustificato arricchimento”, in applicazione dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod. civ.). D’altra parte, il richiamo alle interpretazioni della giurisprudenza sia amministrativa che civile consente di escludere che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi. In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato. La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dal- l’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione -che nella specie risulta accertato già in forza di giudicato -, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato. Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto. Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione. TEMI ISTITUzIONALI Pertanto, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza e cioè il fatto che la pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”. Con la sentenza 4 febbraio 2021, n. 1049 il Consiglio di Stato ha statuito in merito al rapporto tra interdittiva antimafia e giudicato penale, in un caso in cui l’impresa chiedeva alla Prefettura di revocare l’interdittiva antimafia, allegando, quale fatto legittimante, il provvedimento del giudice della prevenzione penale, con cui l’impresa non era stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34 bis del Codice antimafia, ritenendo non sussistenti i presupposti tentativi di infiltrazione mafiosa. Il Collegio si è pronunciato nel senso dell’autonomia delle valutazioni e dei giudizi, affermando quanto segue: “Nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia “vanno esclusi in capo al Tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342)”. Anche questa Sezione ha avuto recentemente modo di chiarire, nella sentenza n. 338/2021, che la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum. Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati -anche sul piano diacronico -nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata. Non può pertanto sostenersi, come fa l’appellante, che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata. Nella stessa prospettazione dell’appellante, peraltro, si deduce che la Prefettura e il giudice della prevenzione penale avrebbero incentrato le relative valutazioni sulle medesime circostanze di fatto, giungendo a conclusioni difformi circa il pericolo di infiltrazione: il che -in disparte il rilievo che il giudicato riguarderebbe semmai i fatti e non le valutazioni, e fermo restando che (come si dirà al punto successivo) in concreto le prospettate difformità non sussistono -costituirebbe comunque una fisiologica conseguenza della sopra descritta relazione fra i due sistemi preventivi, come ricostruita dalla giurisprudenza richiamata. 4. Vero è, piuttosto, che la Prefettura ha riesaminato la posizione della società appellante alla luce della pronuncia del giudice della prevenzione penale, confermando le originarie valutazioni… ora, in disparte il rilievo che il presente giudizio verte non già sulla legittimità dell’originario provvedimento interdittivo, ma su quello -impugnato con i motivi aggiunti in primo grado -che ha confermato in sede di riesame il pericolo di infiltrazione mafiosa, anche in questo caso nessuna contraddizione sussiste fra gli elementi segnalati, dal momento che la Prefettura ha valorizzato risultanze investigative conosciute dalle forze di polizia ma non giudicati penali. oltre al segnalato vizio d’impostazione su cui poggia il gravame (relativo all’allegazione di contrasti in realtà inesistenti), sfugge infatti alla prospettazione dell’appellante, in materia di rapporti fra valutazione del rischio d’infiltrazione e accertamento della responsabilità penale, che “Come ha chiarito la sentenza n. 6105/2019, “Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, (...), ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica”. il princìpio è stato recentemente ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020: “Deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari” (Consiglio di Stato, sez. iii, sentenza n. 338/2021)… Per quanto riguarda la parte della censura che fa leva sulle sopravvenienze rappresentate dagli esiti dei giudizi penali relativi a fatti considerati in relazione alle fasi investigative -dai provvedimenti prefettizi impugnati, è sufficiente in questa sede richiamare quanto già in precedenza osservato (anche mediante rinvio alla sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020, e alla sentenza di questa Sezione n. 338/2021) in relazione alla diversità strutturale e funzionale della valutazione dei fatti compiuta in sede di accertamento della penale responsabilità dei soggetti, rispetto al valore inferenziale attribuito ai medesimi fatti nel giudizio prognostico concernente il pericolo d’infiltrazione criminosa. TEMI ISTITUzIONALI Per quanto riguarda, poi, il regime di tale giudizio, è necessario in via preliminare richiamare la giurisprudenza della Sezione relativa ai tratti del- l’esercizio del potere de quo per come normativamente delineati, osservando in particolare che gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale -che è alla base della teoria della prova indiziaria -quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. iii, sentenza n. 759/2019)” (così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020. La già richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 57/2020 ha chiarito che a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale del- l’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza di questo Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”. Fra tali situazioni la Corte costituzionale ricorda “i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia”… Si contesta poi il fatto che alcuni di tali elementi sarebbero risalenti nel tempo: ma tale obiezione trascura di considerare che la pluralità, l’univoca convergenza e la gravità di essi rendono irrilevante la circostanza che in alcuni casi essi si collocano in un arco temporale non recente. Quanto, infine, al fatto che alcuni contatti con soggetti controindicati sarebbero giustificati da causali lecite, tale argomentazione tralascia di considerare che è la frequentazione in sé (ancorché, in tesi, innescata da una causale fornita di una giustificazione alternativa a quella infiltrativa), specie quando -come nel caso di specie -tutt’altro che isolata, a denotare, unitamente agli altri -numerosi -fatti gravemente indizianti, il rischio che l’imprenditore sia collocato in un contesto relazionale complessivamente sintomatico di un pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nel- l’impresa”. Con la sentenza 25 ottobre 2021, n. 7165, il Consiglio di Stato ha respinto le censure concernenti una pretesa irragionevole limitazione degli strumenti di tutela giurisdizionale dell’impresa sottoposta ad interdittiva antimafia, in violazione delle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie, chiarendo quanto segue. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 “i plurimi dubbi di illegittimità sollevati con riguardo ai predetti profili per violazione delle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie più volte richiamate sono, a propria volta, manifestamente infondati, in quanto secondo la normativa nazionale di riferimento le predette misure si concretizzano, non nella dedotta incisione su di uno status generale di capacità giuridica bensì, nella previsione di limiti e divieti temporanei e specifici, di contrattazione con la pubblica amministrazione e di esercizio di attività economiche sottoposte a vaglio autorizzativo a tutela di interessi pubblici generali, quali la tutela della salute, dell’ambiente e degli utenti, ma anche a tutela della stessa possibilità di un loro libero esercizio da parte di tutti i competitori economici, nel rispetto dei principi di libertà d’iniziativa economica privata e di concorrenza sanciti dall’art. 41 della Costituzione e dal Trattato UE. L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, del resto, ha ricondotto ad una incapacità di agire temporanea l’effetto dell’interdittiva, essendovi -nello stesso c.d. “codice antimafia” -adeguate misure, compiutamente disciplinate, per ricostruire le condizioni di affidabile partecipazione della società al mercato, nella sua espressione libera e incondizionata da sospette infiltrazioni. E) D’altronde le medesime misure, ritenute estranee per comune ammissione e per costante giurisprudenza al sistema sanzionatorio penale in ragione del loro carattere cautelare ed anticipatorio, così come espressamente ammesso dalla medesima difesa di parte appellante sono sottoposte ai principi di legalità e del giusto procedimento amministrativo, secondo criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità. La Corte Costituzionale, con decisione richiamata dalla stessa difesa di parte appellante (n. -omiSSiS -) ha quindi respinto i dedotti dubbi di incostituzionalità, affermando che: “... queste complesse valutazioni che -come si è rilevato -sono, sì, discrezionali, ma dalla forte componente tecnica, sono soggette ad un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo. Di fatto è questa la portata delle numerose sentenze amministrative che si sono occupate dell’istituto. Esse non si limitano ad un controllo “estrinseco” e, pur dando il giusto rilievo alla motivazione, procedono ad un esame sostanziale degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza”. Ancora la parte appellante ammette che anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (decisione n. 1103 del 2014) hanno statuito, in ordine ai limiti della sindacabilità degli atti dell'amministrazione che contengono una componente tecnica, che non può esistere alcun limite alla sindacabilità, neanche laddove le questioni da valutare siano attinenti la sfera del merito amministrativo. Del tutto infondati, inoltre, sono i richiami a violazioni sindacate o sindacabili innanzi alla CEDU. in considerazione della natura non repressiva ma preventiva, e della varietà di comportamenti con cui le mafie ricercano TEMI ISTITUzIONALI attrattive occasioni di infiltrazione in società e relativi settori economici, questo Consiglio ha ripetutamente -con la conferma della Corte Costituzionale adita in sede incidentale -affermato che la “tipizzazione giurisprudenziale”, in costante evoluzione, effettuata dal Supremo organo di giustizia amministrativa costituisce parametro sufficientemente adeguato a evitare ogni pericolo di discrezionali se non arbitrarie azioni, nella vaghezza dei loro presupposti, da parte della autorità prefettizia nel definire i comportamenti sintomatici della infiltrazione mafiosa”. Nella sentenza 4 agosto 2021, n. 5735 il Consiglio di Stato si è pronunciato in materia di accesso a documenti classificati “riservati”. Nel caso esaminato l’appellante, in relazione ad un procedimento per lo scioglimento di Consiglio Comunale per il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, ai sensi dell’art. 143 T.U.E.L., aveva chiesto l’accesso ad una serie di documenti, poi negato poichè “le “relazioni” redatte dalla Prefettura di Venezia “in quanto classificate Riservato sono sottratte all’accesso e, pertanto, non ostensibili”; citando, a sostegno, il disposto dell’art. 3, comma 1, lett. m) del d.m. 10 maggio 1994, n. 415, il quale esclude dal- l’accesso gli “atti, documenti e note informative utilizzate per l’istruttoria finalizzata all’adozione, tra l’altro, dei provvedimenti di cui al citato art. 143, in applicazione della normativa antimafia”. Il Collegio ha rigettato il gravame, ritenendo che “la sentenza gravata è immune da censure nella parte in cui ha respinto la richiesta di accesso dei surrichimati atti classificati come “riservati”, in quanto il provvedimento impugnato, in primo grado, pur limitando le allegate prerogative dell’odierno appellante, non è privo di motivazione attesa la vista classificazione di cui gli stessi atti di cui si chiede l’ostensione sono coperti. È, dunque, evidente che, in tale quadro, rispetto al quale il provvedimento gravato non è affatto restato silente, non incombeva certamente al ministero dell’interno -come diversamente adombrato dall’appellante con una esegesi della norma che condurrebbe, in realtà, a conseguenze assurde e contraddittorie -doppiare l’atto di classifica con un ulteriore provvedimento ad hoc che, nello specifico, avrebbe dovuto giustificare le ragioni dell’avvenuta classifica. Distinguere l’atto di volontà con cui si impone la classifica, con un separato atto che ne giustifichi le specifiche ragioni, finirebbe per disvelare quelle ragioni della segretezza poste a fondamento delle infra indicate disposizioni normative di riferimento; e questo non appare ragionevole e sicuramente contraddittorio dal punto vista logico giuridico. Con questo non si vuol certamente contravvenire al principio di trasparenza, ma solo rimarcare in simili casi la possibilità degli interessati di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento appresta facendo richiesta al giudice che disponga, come sovente accade nei procedimenti di scioglimento dei comuni ai sensi del citato art. 143, quando l’atto debba essere classificato ovvero RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 quando sia possibile acquisirlo agli atti in plico sigillato, con divieto di estrazione copie e con le garanzie di preservazione del vincolo di classificazione. Spetta in definitiva, come condivisibilmente chiarito dal primo giudice, al soggetto che genera il documento la valutazione in ordine all’apposizione della classifica sulla base dei criteri di cui al quadro normativo di riferimento (art. 42 co. 2 e 4 L. n. 124/2007; art. 4, co. 6 e 8 del DPCm 12 giugno 2009, n. 7), senza che sia necessaria l’adozione di un provvedimento ad hoc che ne espliciti le motivazioni. Sotto diverso aspetto, la richiesta dell’appellante appare alquanto generica, in quanto l’interessato si limita ad affermare di voler esercitare il diritto di accesso al fine di difendersi in giudizio, senza spiegare per quale motivo gli atti oggetto della domanda di accesso siano necessari alla sua difesa, con la conseguenza che ciò finirebbe per impedire di cogliere… quel nesso di strumentalità a cui la giurisprudenza sovente fa richiamato (ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4). il legislatore ha, infatti, ulteriormente circoscritto l'oggetto della situazione legittimante l'accesso difensivo rispetto all'accesso "ordinario", esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell'astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990), in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l'ostensione, e per l'ottenimento del quale l'accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell'accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell'istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione, così da permettere al- l'amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione "finale" controversa”. Il Consiglio di stato (cfr. sentenza 18 novembre 2021, n. 7712), con riferimento ad un caso di impugnazione proposta dall’Amministrazione avverso un sentenza di annullamento di un provvedimento interdittivo, dopo avere rilevato che la Prefettura aveva accolta l’istanza di aggiornamento ai sensi dell'art. 91 comma 5 del d.lgs. n. 159/2011, ha concluso per la cessazione della materia del contendere, motivando nel senso che segue: “in particolare, avuto riguardo al chiaro valore semantico delle proposizioni letterali utilizzate dall’Autorità prefettizia, nonché degli elementi sopravvenuti che reggono le relative determinazioni della configurabilità della vista statuizione di accoglimento contenuta all’interno del provvedimento di liberatoria, deve ritenersi convincente la prospettazione della difesa erariale che del tutto correttamente configura come atto di revoca il visto provvedimento. Tale conclusione trova ulteriore conferma nella parte del provvedimento TEMI ISTITUzIONALI in cui l’Autorità prefettizia afferma che “il potere di aggiornamento non può e non deve esplicare gli effetti di un annullamento con valore retroattivo della precedente informativa, dal momento che l'attualità degli elementi individuati permane fino all'intervento di fatti nuovi, ulteriori rispetto ad una precedente valutazione che evidenziano il venir meno delle situazioni, in precedenza accertate, riconducibili a tentativi di infiltrazione mafiosa, quali, nel caso di specie”. 3.2. Da quanto detto deve, quindi, ritenersi senz’altro corretta la qualificazione di revoca del provvedimento prefettizio e non già di annullamento come, invece, auspicato da -omiSSiS -, non potendosi disconoscere che l’interesse alla decisione indubbiamente preesisteva, ma allo stato è da ritenersi -detto interesse -superato proprio per la sopravvenienza di nuove circostanze che hanno fatto, per così dire evaporare, quei fatti controindicati riguardanti la -omiSSiS -. 3.3. Ne consegue che sulla scorta del consolidato orientamento giurisprudenziale il potere di aggiornamento … non può e non deve esplicare gli effetti di un annullamento con valore retroattivo della precedente informativa, dal momento che l'attualità degli elementi individuati permane fino all'intervento di fatti nuovi, ulteriori rispetto ad una precedente valutazione …(Cons. St. sez. iii, sent. n. 4620/2018). 3.4. Sul piano letterale, ancora, la clausola rebus sic stantibus prevista dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 comporta che in caso di sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore e verificati positivamente dal- l’amministrazione, l’interesse alla pronuncia da parte della società in precedenza colpita dal provvedimento cautelare non può ritenersi, in realtà, ancora esistente. L’ulteriore diretto corollario dei suindicati rilievi induce, quindi, come già anticipato in premessa, a ritenere oramai venuto meno l’interesse ad ulteriormente coltivare il ricorso originario dal momento che l’eventuale annullamento dell’originaria interdittiva non recherebbe alcuna utilità all’appellante. 4. Di qui la cessazione della materia del contendere, alla luce delle ragioni esposte, con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio”. Il tar per la Calabria -Catanzaro, sentenza 29 gennaio 2021, n. 210, con riferimento agli effetti del controllo giudiziario, ha affermato quanto segue. “occorre ricordare che l’istituto del controllo giudiziario è stato ideato allo scopo di consentire agli operatori economici oggetto di occasionale infiltrazione mafiosa di continuare, in regime di controllo straordinario, a svolgere la propria attività imprenditoriale, per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31 maggio 2018, n. 3268). il fine ultimo della misura, però, è quello di incentivare l’interruzione, attraverso l’adozione di misure di self-cleaning, di ogni occasione di contatto con il mondo della criminalità organizzata, da cui può sorgere il pericolo di infiltrazione mafiosa, onde consentire la riammissione dell’operatore economico nel mercato, libero da condizionamenti criminali; si è infatti affermato RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 che l’istituto “trova la sua ratio nell'obiettivo di promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, nell’ottica di bilanciare in maniera più equilibrata gli interessi che si contrappongono in questa materia” (Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526). Per tale ragione, allorché all’esito del controllo giudiziario venga richiesto l’aggiornamento della documentazione antimafia, o, come nel caso di specie, si faccia questione della permanenza dell’operatore economico nella c.d. white list, alla Prefettura è demandato il delicato compito di verificare se il periodo di applicazione dell’istituto ha portato a recidere i contatti con le organizzazioni criminali. Nel caso di specie, la Prefettura di Vibo Valentia si è sottratta al proprio compito, derivante dall’art. 91, comma 5 d.lgs. n. 159 del 2011, ricavando automaticamente dalla conclusione del periodo di controllo giudiziario la reviviscenza dell’interdizione antimafia del ricorrente, e così rischiando di vanificare l’intento perseguito dal legislatore. 10.- in questi termini il ricorso n. 708 del 2020 R.G. risulta fondato: il provvedimento cancellazione dalla c.d. white list è illegittimo perché difettoso di qualunque considerazione sulla persistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa; il provvedimento di cancellazione dall’Albo dei Gestori Ambientali mutua in via derivativa i vizi dell’altro provvedimento. 11.-L’accoglimento del ricorso comporta, evidentemente, non solo un effetto caducatorio dei provvedimenti, oggetto di annullamento; ma anche un effetto conformativo, per cui la Prefettura di Vibo Valentia rieserciterà il potere affidatogli dalla legge, verificando se all’attualità sussistano ancora quelle ragioni che avevano condotto all’adozione del provvedimento interdittivo”. Il tar per la Calabria -Catanzaro, con la sentenza 19 marzo 2021, n. 607, affrontando la questione del riesame da parte della Prefettura, all’esito del controllo giudiziario, ha chiarito quanto segue. “il Tribunale deve ricordare ancora una volta i caratteri specifici del- l’informazione interdittiva antimafia, per come delineati dalla giurisprudenza (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. iii, 3 maggio 2016, n. 1743). in particolare, la ratio dell’istituto è stata individuata nella salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione: l’interdittiva antimafia, invero, comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore -pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione -meriti la fiducia delle istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge. Compito dell'autorità prefettizia è valutare il rischio che l'attività di impresa possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa, in modo concreto ed attuale, sulla base dei seguenti elementi: provvedimenti sfavorevoli del giudice TEMI ISTITUzIONALI penale; sentenze di proscioglimento o di assoluzione; proposta o provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159; rapporti di parentela; contatti o rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; vicende anomale nella formale struttura dell'impresa; vicende anomale nella concreta gestione dell'impresa; condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi benefici; inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. 10.1.-È stato poi precisato (Cons. Stato, Sez. iii, 30 gennaio 2019, n. 758 ) che il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» -si badi: può -desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata». L’autorità amministrativa, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost., è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare la prognosi di permeabilità mafiosa, secondo una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111). 10.2.- Va quindi ricordato che uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa -di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia -è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e proba RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 bilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue); soltanto là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia (Cons. St., sez. iii, 21 gennaio 2019, n. 520). 10.3.-in questo contesto normativo, il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sul- l’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti sintomatici del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame (Cons. Stato, Sez. iii, 30 gennaio 2019, n. 758 ). 11.- Quanto al coordinamento tra gli esiti del controllo giudiziario e le valutazioni demandate alla Prefettura sulla persistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, già con ordinanza del 9 luglio 2020, n. -omiSSiS -, questo Tribunale Amministrativo Regionale ha posto in evidenza che l’istituto del controllo giudiziario è stato ideato allo scopo di consentire agli operatori economici oggetto di occasionale infiltrazione mafiosa di continuare, in regime di controllo straordinario, a svolgere la propria attività imprenditoriale, per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31 maggio 2018, n. 3268). il fine ultimo della misura, però, è quello di incentivare l’interruzione, attraverso l’adozione di misure di self-cleaning, di ogni occasione di contatto con il mondo della criminalità organizzata, da cui può sorgere il pericolo di infiltrazione mafiosa, onde consentire la riammissione dell’operatore economico nel mercato, libero da condizionamenti criminali; si è infatti affermato che l’istituto “trova la sua ratio nell'obiettivo di promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, nell’ottica di bilanciare in maniera più equilibrata gli interessi che si contrappongono in questa materia” (Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526). Per tale ragione, allorché all’esito del controllo giudiziario venga richiesto l’aggiornamento della documentazione antimafia, alla Prefettura è demandato il delicato compito di verificare se il periodo di applicazione dell’istituto abbia portato a recidere i contatti con le organizzazioni criminali… Assodato che a conclusione del periodo di controllo giudiziario tornano a prodursi gli effetti inibitori dell’informazione interdittiva antimafia, è del tutto fisiologico che una società ammessa a tale strumento richieda l’aggior TEMI ISTITUzIONALI namento dell’informazione antimafia prima della conclusione del periodo di controllo e, conseguentemente, prima che sia redatta la relazione conclusiva. Sotto altro aspetto, i poteri dell’amministratore giudiziario sono stati delineati dalla legge, sicché i limiti che li conformano non possono essere considerati elemento sfavorevole nel contesto della valutazione della sussistenza del pericolo di condizionamento mafioso. Allo stesso modo, non appare rilevante il tempo in cui sono stati adottati i modelli organizzativi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001; ciò che conta è la loro idoneità a prevenire il pericolo… …il controllo giudiziario è formidabile occasione, per chi sia destinatario di informazione interdittiva antimafia, di liberarsi dal pericolo di infiltrazione mafiosa, tanto che la rinnovata valutazione ad opera della Prefettura deve guardare all’attualità del pericolo, e non può limitarsi alla riproposizione delle più risalenti considerazioni. ma il mantenimento del focus della valutazione sull’attualità del pericolo, non esclude che esso debba essere stimato tenendo sì conto degli elementi valutativi più attuali, ma leggendoli anche alla luce anche di quanto in precedenza emerso. Ebbene, se quanto sin qui illustrato è corretto, allora le determinazioni da ultimo assunte dalla Prefettura di Catanzaro, nell’ampia discrezionalità che li caratterizza, sfuggono alle censure mosse, non essendo manifestamente illogico o irragionevole inferire il pericolo di infiltrazione mafiosa dagli elementi fattuali degni di considerazione”. Il tar per la Calabria -reggio Calabria (cfr. sentenza 6 aprile 2021, n. 251) ha respinto la richiesta di rinvio della causa basata sul presupposto che un eventuale accoglimento dell’istanza di controllo giudiziario presentata ex art. 34 bis d.lgs n. 159/2011, accertativo dell’occasionalità dei rapporti del- l’impresa del ricorrente con la criminalità organizzata, sia idonea a neutralizzare la significatività del quadro indiziario su cui fonda l’interdittiva impugnata, per le ragioni che di seguito si espongono. “i rapporti tra la misura di natura preventiva e cautelare dell’informazione interdittiva e quella del controllo giudiziario, ispirato a salvaguardare provvisoriamente la continuità aziendale e produttiva dell’impresa attraverso obblighi informativi di “compliance” imposti dall’Autorità Giudiziaria, sono stati recentemente chiariti dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 319 dell’11 gennaio 2021 che -in un caso addirittura di provvedimenti favorevoli emanati a conclusione del periodo di controllo giudiziario -ha espresso il principio per cui “Dal provvedimento favorevole, emanato all’esito del periodo di controllo giudiziario, che afferma l’inesistenza, a quella data, di elementi che possano far desumere l’esistenza di un rischio infiltrativo attuale, non può desumersi l’illegittimità dell’informativa antimafia resa in precedenza”. Ha precisato la Sezione che “la valutazione del giudice della prevenzione RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 penale circa l’assenza di elementi che lascino supporre una disponibilità attuale dell’impresa a condizionamenti illeciti attiene ad un profilo diverso ed ulteriore (l’accertamento della c.d. “messa a disposizione”) rispetto alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio; ma soprattutto si colloca in un momento a questo successivo”. Poggiando i due istituti su natura e finalità diverse tra loro, non è predicabile alcun nesso di pregiudizialità del controllo giudiziario rispetto al provvedimento interdittivo che, anzi, ne funge da presupposto. Se, come continua la sentenza citata, “Non è peraltro casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa rispetto alla quale rappresenta un post factum”, ne deriva che, in conformità al recente indirizzo già espresso da questo Tribunale, è proprio la considerazione della natura “super cautelare” del controllo giudiziario, volto “a paralizzare interinalmente gli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva medesima nel tempo occorrente alla definizione del processo amministrativo promosso per contestarne la legittimità, a suggerire al contrario l’esigenza della sua regolare prosecuzione, onde giungerne al suo epilogo definitivo. Questa lettura, che pur presenta l’inconveniente di inficiare le energie profuse per l’attivazione della procedura di controllo nell’evenienza di una decisione reiettiva del ricorso (ovviamente definitiva), appare nondimeno l’unica coerente con la fisionomia, appunto strumentale e ‘servente’, impressa all’istituto del controllo giudiziario e resa evidente, d’altro canto, nell’evenienza opposta di accoglimento dell’impugnativa, dal venir meno dei presupposti della misura, con sua conseguente automatica cessazione. in altri termini, siffatta natura strumentale e ‘servente’, riconosciuta sul piano sostanziale, deve trovare chiara corrispondenza sul piano processuale, con conseguente precedenza del vaglio di legittimità della misura interdittiva da parte del giudice amministrativo competente, a prescindere dai tempi, peraltro variabili, di durata del connesso controllo giudiziario” (T.A.R. Reggio Calabria, 18 settembre 2020, n. 560). Per le esposte ragioni l’istanza di rinvio della trattazione deve dunque essere respinta, dovendo solo soggiungersi come la circostanza della mancata decisione, al momento della trattazione del ricorso, sull’istanza della ricorrente ex art. 34-bis non può che condurre a fortiori ad analoga conclusione”. Ciò esclude la possibilità che una ricostruzione atomistica, quale quella proposta dal ricorrente, riesca a ridurre o eliminare le risultanze della valutazione prefettizia caratterizzata nel caso di specie da un’istruttoria adeguata e da una solida motivazione della decisione finale”. La Corte di Cassazione, sentenza 28 gennaio 2021, n. 9122, ha delineato i presupposti applicativi del controllo giudiziario ed i poteri cognitivi del Giudice ordinario, nel senso di seguito indicato. TEMI ISTITUzIONALI “Le Sezioni unite di questa Corte -stabilendo il principio secondo cui il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla Corte d’appello, anche per il merito -hanno avuto modo di precisare in motivazione che l’assoggettamento dell’attività economica alle condizioni di intimidazione mafiosa costituisce un prerequisito. “La peculiarità dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”; inoltre “la ratio di ciascuna delle descritte iniziative e l’interesse sotteso variano non di poco a seconda della identità del soggetto promovente (pubblico o privato)” (in termini, in motivazione Cass. Sez. un. Sent. N. 46898 del 26 settembre 2019 - dep. 19 novembre 2019 - Rv 277156). in altra occasione la Suprema Corte ha affermato testualmente che quello di cui al comma 6 dell’articolo 34-bis “si pone alla confluenza di due istituti diversi per natura e caratteri: da un lato il controllo giudiziario regolato dall’art. 34 bis (primo comma) del d.lgs. n. 159 del 2011, dall’altro la informativa antimafia interdittiva di cui all’art. 84 d.lgs. n. 159 del 2011” (Cass. Pen., sez. 5, sent. del 2 luglio 2018 n. 34526, Rv 273645), lasciando chiaramente intendere che la misura disciplinata dal sesto comma non può prescindere dal provvedimento prefettizio che condiziona la valutazione del tribunale, in ciò distinguendosi da quella di cui al primo comma dell’art. 34 bis. La confluenza implica la contaminazione dei suddetti (diversi) istituti per cui la misura in argomento non può esaurirsi nella speculare riproposizione dello schema previsto per il controllo giudiziario su iniziativa pubblica, azionabile dai tradizionali titolari del potere di proposta di prevenzione patrimoniale, ai sensi dell’art. 17 del codice antimafia. 5. Tornando al dato normativo, il primo comma dell’art. 34 bis, composto da un unico periodo che forma una frase complessa, stabilisce che quando l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’art. 34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d’ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività. il sesto comma della norma, articolato in più periodi, ha una diversa pro RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 spettiva, incentrandosi sulle imprese destinatarie di informazione interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto: tali enti economici possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario. il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti. indubbiamente la misura -nel duplice riferimento normativo -è la stessa nel senso che si connota di una serie -modulabile a seconda dei casi -di prescrizioni e obblighi da imporre al soggetto economico, in un arco di tempo circoscritto, allo scopo di realizzare l’obiettivo di prevenzione che consiste nella finalità di bonificare l’impresa rimuovendo il rischio di infiltrazione o contaminazione mafiosa; in ogni caso -prescindendo da automatismi -il tribunale dovrà valutare il grado di tale pericolo, concedendo la misura solo se l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’art. 34 sia ritenuta occasionale e negandola se tale requisito non sussista per essere l’impresa compromessa in maniera più incisiva dalla contaminazione mafiosa sì da non lasciar presagire possibilità di recupero. L’occasionalità è parametro che orienta la discrezionalità giudiziaria, in quanto indica il livello del rischio così come accertato all’attualità e consente al contempo una valutazione prognostica sulla base degli elementi che in concreto caratterizzano la fattispecie. 6. L’ambito dell’indagine giudiziaria è tuttavia più circoscritto nel caso del sesto comma dell’art. 34 bis, proprio per la “confluenza” dell’istituto dell’interdittiva, essendo finalizzato a verificare se la misura del controllo giudiziario è in grado di perseguire l’obiettivo di “bonificare” l’impresa. Come autorevole dottrina ha affermato, il tribunale dovrà servirsi del materiale probatorio disponibile per decidere se l’azienda istante, grazie al- l’applicazione della misura, possa attrezzarsi in modo adeguato al fine di scongiurare in futuro quegli “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa diretti a condizionare l’impresa” che -subiti in passato secondo le indagini prefettizie - hanno fatto scattare l’interdizione amministrativa. mentre nel caso del primo comma dell’art. 34 bis la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione -trattandosi di misura richiesta ad iniziativa pubblica in funzione di un controllo cd. prescrittivo -nel caso del sesto comma la valutazione deve tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa, non può prescindere cioè dall’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dal- l’organo amministrativo, substrato della decisione riservata alla cognizione del giudice ordinario, a garanzia del contemperamento fra diritti costituzionalmente garantiti (la tutela dell’ordine pubblico e la libertà d’iniziativa economica attraverso l’esercizio d’impresa). 7. Fra i “presupposti” di cui alla seconda parte del sesto comma non TEMI ISTITUzIONALI può comprendersi dunque il prerequisito del pericolo di infiltrazione, nei termini più volte indicati, sì da negare addirittura la misura -come nel caso del provvedimento impugnato -qualora il tribunale ritenga inesistente, con gli standard probatori propri del giudizio penale di prevenzione, quello stesso pericolo che, invece, l’organo amministrativo ha affermato, sia pure con la regola del “più probabile che non”. E se il Consiglio di Stato ha affermato in più occasioni (di recente sent. n. 758/2019) l’indifferenza del giudice amministrativo rispetto alle valutazioni più favorevoli del tribunale di prevenzione -proprio per la diversa rilevanza nei rispettivi giudizi del medesimo quadro probatorio -non può pervenirsi alla stessa conclusione per il tribunale, in presenza di un dato normativo che legittima le imprese destinatarie di informazione antimafia (per le quali il pericolo di infiltrazione è stato già affermato, con effetti immediati nell’ordinamento) a rivolgersi al giudice ordinario per un esame delle “esigenze prevenzionali” in dimensione prospettica, attraverso una lettura prognostica delle informazioni acquisite. 8. La Corte di appello torinese pertanto non potrà limitarsi a prendere atto degli esiti del precedente giudizio di prevenzione (instaurato su istanza pubblica) per escludere il prerequisito della pericolosità e, di conseguenza, la sussistenza della ratio stessa della misura; dovrà, al contrario, valutare quegli stessi elementi probatori in chiave dinamica, proiettando nell’immediato futuro la realtà aziendale ritenuta (in altra sede) inquinata, ammettendo le imprese ricorrenti alla misura richiesta se l’intervento giudiziale di “bonifica” risulti possibile ed escludendo tale evenienza nel caso in cui il grado di compromissione sia talmente elevato da non interferire sugli effetti del- l’interdittiva. i presupposti in tal caso saranno cioè: l’adozione di una interdittiva antimafia ex art. 84 comma 4 cod. antimafia; la pendenza di una impugnativa davanti al Giudice amministrativo; sul piano sostanziale, la “bonificabilità” dell’impresa, rispetto ad un dato patologico già acquisito, da analizzare -è opportuno ribadirlo -in termini prognostici, sbarrando l’accesso alla misura in caso di cronicità dell’infiltrazione e consentendolo, con strumenti duttili da adeguare alla realtà contingente, nella diversa ipotesi di effetti reversibili (ed in tal senso occasionali) dell’inquinamento mafioso, in base alla tipologia di commistione criminale rilevata e in forza del sostegno “controllante” e “prescrittivo” dell’autorità giudiziaria”. 2. Questioni rimesse alla Corte Costituzionale. Con ordinanza dell’11 dicembre 2020, n. 732 (in g.u. 3 giugno 2021, n. 22) il tar Calabria -reggio Calabria ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (di seguito Codice Antimafia) 12, comma 6 della legge n. 40 del 2004, degli artt. 18 del d.p.r. n. 396/2000 e 64, comma 1, lett. g) l. 218/95, nella parte RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 in cui non consente al Prefetto, deputato ad emanare il provvedimento interdittivo, di esercitare i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall’art. 67, comma 5, del Codice Antimafia, per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 2 della Costituzione, con il diritto al lavoro di cui all’art. 4 della Costituzione e con il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione. Ad opinione del Giudice remittente, non essendo la misura indicata prevista in materia di informazione antimafia, sarebbe preclusa al Prefetto, quale autorità che adotta l'atto, la possibilità di escludere le decadenze ed i divieti previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia, ciò in contrasto con gli articoli 3, secondo comma, 4 e 24 della Costituzione. Con ordinanza 29 aprile 2021, n. 448 il tar Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, d.lgs. n. 159 del 2011, come richiamato dal comma 2 dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis, c.p., prevede l’automatismo interdittivo della comunicazione antimafia anche per il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452quaterdecies c.p.), anche in forma non associativa, in relazione agli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 Costituzione. La Corte Costituzionale, con la sentenza 30 luglio 2021, n. 178, si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale promossa con ordinanza pubblicata il 26 maggio 2020 dal tar Friuli venezia giulia, Sezione 1^, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie speciale -Corte costituzionale, n. 38 del 16 settembre 2020, dell’art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, introdotto dall’art. 24, comma 1, lettera d) del decreto- legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018 n. 132, in relazione agli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lett. d) del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, conv., con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132 che modifica l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159/2011, limitatamente alle parole “e all’articolo 640 bis del codice penale”, “nonché per i reati di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1, del codice penale, commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico”, dichiarando la manifesta inammissibilità della questione sollevata in riferimento all’art. 38 della Costituzione. La Corte ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., motivando nel senso che segue: “4.1.-La disposizione oggetto d’esame interviene sulla disciplina della comunicazione antimafia interdittiva, provvedimento di natura cautelare e preventiva che, come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, determina una particolare forma d’incapacità del destinatario, in riferimento ai rapporti TEMI ISTITUzIONALI giuridici con la pubblica amministrazione (tra tutte, si richiama Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3). 4.1.1.-Va qui ricordato che, secondo la vigente legislazione, esistono due diversi documenti, la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia. La comunicazione antimafia, ai sensi dell’art. 84, comma 2, cod. antimafia, consiste in una attestazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui al precedente art. 67. Tale articolo stabilisce che le persone alle quali sia stata applicata in via definitiva una delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia non possono essere destinatarie di un’ampia gamma di provvedimenti di natura autorizzatoria, concessoria o abilitativa (comma 1). Così, l’applicazione di una misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti (comma 2). i divieti e le decadenze, inoltre, operano (per un periodo di cinque anni) anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione, nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la stessa persona sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi (comma 4). il rilascio della comunicazione antimafia liberatoria, invece, è immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica, quando non emerge, a carico dei soggetti ivi censiti, la sussistenza delle citate cause di decadenza, sospensione o divieto (art. 88, comma 1, cod. antimafia). La comunicazione antimafia, in conclusione, è il frutto di un’attività amministrativa vincolata, volta al mero accertamento delle cause di decadenza o divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia. 4.1.2.- Diverso è l’altro documento antimafia, ossia l’informazione antimafia prevista dall’art. 84, comma 3, cod. antimafia, necessaria per le pubbliche amministrazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel citato art. 67, il cui valore superi talune soglie, individuate dal successivo art. 91, comma 1. Tale provvedimento, oltre a quanto già previsto dalla comunicazione antimafia, attesta la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese, desumibili da una serie di elementi indicati dall’art. 84, comma 4, cod. antimafia, i quali sono oggetto di verifica da parte del prefetto. Tra questi elementi vi sono anche taluni provvedimenti penali per determinati reati ritenuti strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, comunemente denominati “reati spia”, come, tra l’altro, le misure cautelari, il rinvio a giudizio o le condanne, anche non definitive, proprio per il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. 4.2.- Ai sensi dell’art. 67, comma 8, cod. antimafia gli effetti interdittivi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 della comunicazione antimafia non conseguono solo all’applicazione di una misura di prevenzione, ma anche alle condanne definitive o non definitive, purché confermate in grado di appello, per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., nonché -in virtù della novella operata dall’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito -per quelli previsti dall’art. 640, secondo comma, numero 1), cod. pen. (truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico) e dall’art. 640-bis cod. pen. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), quest’ultima previsione oggetto di censura. Qui, dunque, l’interdittiva antimafia, sebbene derivi da una condanna, non necessariamente definitiva, prescinde da una valutazione di specifica pericolosità del soggetto (che è invece alla base dell’applicazione di una misura di prevenzione), ma, allo scopo di prevenire l’infiltrazione mafiosa, genera l’incapacità giuridica sopra ricordata. 4.2.1.- Va rilevato che gli altri casi previsti dalla disposizione censurata, cioè quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., hanno una specifica valenza nel contrasto alla mafia, tant’è che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia, su designazione del procuratore distrettuale (art. 102 cod. proc. pen.). Si tratta, nella specie: dei delitti di cui agli artt. 452-quaterdecies, 600, 601, 602 e 630 cod. pen.; del delitto di associazione per delinquere finalizzato al compimento di gravi reati contro la personalità individuale, elencati dall’art. 416, commi 6 e 7, cod. pen., nonché al compimento dei reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen.; dei delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen,), di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter cod. pen.) e dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. e al fine di agevolare l’attività di tali associazioni; dei delitti di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale»). Tali fattispecie delittuose hanno in gran parte natura associativa oppure presentano una forma di organizzazione di base (come per il sequestro di persona ex art. 630 cod. pen.) o comunque richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.), oltre a prevedere pene che possono essere anche molto alte. Ed è proprio in virtù di siffatta complessità che si radica la competenza della procura distrettuale antimafia, operante secondo linee di intervento dotate della necessaria coerenza, organicità, programmazione. TEMI ISTITUzIONALI 4.2.2.-Per quanto concerne il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., invece, ci si trova innanzi a una fattispecie che non ha natura associativa e non richiede neppure la presenza di un’organizzazione volta alla commissione del reato. Esso ha una dimensione individuale, può riguardare anche condotte di minore rilievo -quale risulta essere quella del giudizio a quo -ed è punito con pene più lievi (massimo edittale di sette anni), senza che vi siano tantomeno deroghe al regime processuale ordinario. Certamente si tratta di un reato che, come argomentato dall’Avvocatura generale dello Stato, può riscontrarsi anche nell’ambito delle attività della criminalità organizzata, allo stesso modo dei più gravi reati sopra esaminati. Ciò non toglie, però, che tale condotta delittuosa ha ben altra portata e non costituisce, di per sé, un indice di appartenenza a un’organizzazione criminale. Per tale ragione, farne dipendere con rigida consequenzialità la ricordata incapacità giuridica ad avere rapporti con le pubbliche amministrazioni appare non proporzionato ai caratteri del reato e allo scopo di contrastare le attività della criminalità organizzata (si vedano le sentenze di questa Corte n. 172 del 2012 e n. 141 del 1996) e risulta, quindi, contrario al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Altresì violato è l’art. 41 Cost., poiché l’estensione degli effetti interdittivi di cui all’art. 67, comma 8, cod. antimafia anche alle condanne per il delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche provoca danni irragionevolmente elevati alla libertà d’iniziativa economica, sia sul piano patrimoniale, sia della “reputazione” imprenditoriale, specie per chi svolge attività lavorative e professionali in rapporto con la pubblica amministrazione. 4.2.3.- Si tenga presente che il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. già era ed è considerato quale “reato spia” al fine dell’applicazione nei confronti dell’indiziato di una misura di prevenzione ex art. 4, comma 1, lettera i-bis), cod. antimafia. inoltre, come già accennato, ai sensi del successivo art. 84, comma 4, lettera a), l’essere destinatario dei provvedimenti che per tale delitto dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva, costituisce un elemento da cui il prefetto può desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa, idoneo a consentire l’adozione di una informazione antimafia interdittiva. infine, gli artt. 32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena principale per il reato di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche anche quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione; pena i cui effetti sono in parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia. Ciò dimostra, da un lato, che la disposizione censurata s’inserisce in modo disarmonico in un contesto normativo nel quale, ai medesimi fini di contrasto alla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico, già sono regolate, seppur in modo diverso, le medesime misure limitative della libertà economica di chi sia destinatario di provvedimenti relativi al reato di cui all’art. 640-bis cod. pen.; e, dall’altro RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 lato, e per la stessa ragione, che l’illegittimità costituzionale della novella legislativa lascia intatto il rilievo che tale reato possiede come indice d’infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 84, comma 4, cod. antimafia. 5.- Restano assorbite le ulteriori censure di legittimità costituzionale indicate nell’ordinanza di rimessione. 6.- Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, deve essere dichiarata anche per la parte in cui inserisce all’art. 67, comma 8, cod. antimafia il reato previsto dall’art. 640, secondo comma, numero 1), cod. pen. 6.1.-Tale disposizione disciplina il delitto di truffa commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (o dell’Unione europea) e lo punisce con la reclusione da uno a cinque anni; pena più severa di quella per la truffa semplice (da sei mesi a tre anni), ma inferiore alla forbice individuata dall’art. 640-bis cod. pen. (da due a sette anni). L’affiancamento di tale reato a quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. risulta, in tal modo, una scelta ancora più sproporzionata ed eccessiva di quella riguardante l’art. 640-bis cod. pen. 6.2.-Anche per la truffa ai danni dello Stato, d’altronde, l’esigenza di prevenire l’infiltrazione mafiosa nel tessuto socio-economico rimane coperta da altre previsioni legislative. Da un lato, infatti, sebbene la truffa stessa non rientri tra i “reati spia” di cui all’art. 84, comma 4, cod. antimafia, una condanna per tale fattispecie può sempre costituire un elemento da cui desumere che il condannato vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; elemento che, ai sensi degli artt. 1, comma 1, lettera b), e 4 cod. antimafia, può portare all’adozione di una misura di prevenzione (con i conseguenti effetti interdittivi). Dall’altro lato, anche per tale delitto, i già ricordati artt. 32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena principale quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione; pena che, come sottolineato, ha effetti in parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia”. 3. Questioni di massima e modifiche normative. In sede di applicazione della disciplina dettata dal Codice antimafia e dei recenti orientamenti giurisprudenziali sono emerse alcune problematiche di interesse, cui di seguito si ritiene utile fare cenno. Accesso ai documenti “riservati”. In sede giudiziale è stato, in diversi casi, chiesto l’accesso o l’annullamento del provvedimento di diniego d’accesso o sono state avanzate istanze istruttorie nell’ambito di giudizi di impugnazione di provvedimenti di scioglimento di Comuni per mafia, con riferimento agli atti preordinati, connessi TEMI ISTITUzIONALI e conseguenziali, compreso il provvedimento con cui è stata attribuita la classifica di segretezza “Riservato” alla relazione prefettizia (nella versione integrale) e alla relazione della commissione di indagine. In proposito, si ritiene utile operare una breve ricognizione della normativa, sulla scorta del quadro riepilogativo fornito dal Consiglio di stato nel parere n. 545 del 30 marzo 2021, che si è pronunciato sul tema dell’accesso agli atti istruttori delle procedure di scioglimento ex art. 143 T.U.O.E.L. L’art. 24 della legge 241 del 1990, per un verso, individua le fattispecie in cui il diritto di accesso è escluso, anche in funzione della fonte cui è demandata l’identificazione delle cause ostative (comma 1, la lettera a): la legge, il regolamento governativo, le determinazioni delle singole pubbliche amministrazioni), per altro verso stabilisce che l’accesso debba in ogni caso essere garantito ove risulti necessario per la cura e la difesa degli interessi giuridici del richiedente (comma 7). In particolare, con specifico riferimento agli atti classificati “RISERVATO”, l’art. 42, commi 1, 2 e 3, della citata legge n. 124 del 2007 dispone che: «Le classifiche di segretezza sono attribuite per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione delle proprie funzioni istituzionali. La classifica di segretezza è apposta, e può essere elevata, dall'autorità che forma il documento, l'atto o acquisisce per prima la notizia, ovvero è responsabile della cosa, o acquisisce dall'estero documenti, atti, notizie o cose. Le classifiche attribuibili sono: segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato». Infine, il comma 8 individua uno speciale regime di esibizione degli atti “classificati”, stabilendo che “qualora l'autorità giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all'autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia”. Alle preclusioni individuate dalla legge si aggiungono quelle di matrice governativa e quelle selezionabili dalle singole pubbliche amministrazioni, le quali, ai sensi dell’articolo 24, comma 2, legge 241/1990 “individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1”, la cui divulgazione possa cagionare un pregiudizio concreto agli interessi previsti dallo stesso articolo 24, ivi inclusi quelli connessi alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione e repressione dei fenomeni criminali (comma 6, lettera c). Per quanto concerne l’Amministrazione dell’Interno tale previsione è stata attuata con il decreto ministeriale 10 maggio 1994, n. 415. Ebbene, come chiarito dal Supremo Consesso Amministrativo, dal descritto quadro complessivo delle preclusioni normative all’esercizio del diritto di accesso emergono le “profonde differenze intercorrenti tra i limiti all’osten RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 sione dei documenti coperti dal segreto di Stato o altrimenti vincolati dalle classifiche di segretezza e le esclusioni giustificate dalle esigenze di tutela del- l’ordine pubblico”, sia in ordine agli interessi tutelati che al regime di accessibilità dei documenti in questione, con particolare riguardo alla fattispecie del c.d. “accesso difensivo” previsto dall’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990. In particolare, se l’istanza ha ad oggetto atti vincolati dalle cosiddette classifiche di segretezza «il diritto di accesso “difensivo” può essere esercitato esclusivamente nelle sole forme prescritte dall’articolo 42, comma 8, legge 3 agosto 2007, n. 124, il quale, circoscrivendo l’ambito di conoscibilità delle informazioni classificate, presuppone e integra (trattandosi peraltro di norma successiva) la disciplina del meccanismo ostensivo previsto dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241. Valgono, al riguardo, i principi formulati da questa Sezione con il citato parere 1 luglio 2014, n. 2226, secondo cui, ai sensi dell’articolo 42, comma 8, cit., l’interesse difensivo alla conoscenza degli atti classificati deve essere fatto valere dinnanzi all’autorità giudiziaria, la quale è tenuta a valutare se, nel caso concreto, le esigenze di tutela del diritto di difesa possano giustificare l’esibizione processuale del documento vincolato». Diversamente, «ove vengano in rilievo atti sottratti all’accesso in forza di disposizioni regolamentari adottate dal Governo o dalle singole amministrazioni, il controlimite disciplinato dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 torna ad esprimere la propria ordinaria intensità derogatoria, assicurando l’ostensione dei documenti la cui conoscenza sia necessaria per la difesa degli interessi giuridici del richiedente, secondo i principi richiamati dall’Adunanza Plenaria prima citata». Alla luce di quanto esposto, risulta evidente che la relazione del Prefetto, le conclusioni della Commissione di indagine e tutti gli altri atti classificati “RISERVATO” secondo i parametri di legge, ai sensi del citato art. 42 della legge n. 124 del 2007, soggiacciono allo speciale regime di esibizione ivi stabilito e non sono, pertanto, ostensibili al di fuori dello stretto contesto processuale nell’ambito del quale è avanzata l’istanza conoscitiva, fatta salva la necessità del collegamento tra i documenti richiesti e la situazione giuridica che il richiedente intende tutelare giudizialmente. D’altra parte l’art. 3, comma 1, lett. m) del D.M. 10 maggio 1994, n. 415, dispone che, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero ai fini di prevenzione e repressione della criminalità, non è consentito l’accesso agli atti, documenti e note informative utilizzati per l’istruttoria finalizzata all’adozione, tra l’altro, dei provvedimenti di cui al citato art. 143, in applicazione della normativa antimafia. Recentemente, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema dell’accesso agli atti prodromici allo scioglimento di un Comune per infiltrazione mafiosa che involga la documentazione classificata con il succitato parere n. 545 del 30 marzo 2021. TEMI ISTITUzIONALI Il Supremo Consesso amministrativo, con specifico riferimento agli atti vincolati dalle classifiche di segretezza, ha chiarito che, ferma restando l’esclusione dell’accesso partecipativo, “il diritto di accesso “difensivo” può essere esercitato esclusivamente nelle forme prescritte dall’art. 42, comma 8 delle legge n. 124/2007, il quale, circoscrivendo l’ambito di conoscibilità delle informazioni classificate, presuppone ed integra (trattandosi peraltro di norma successiva) la disciplina del meccanismo ostensivo previsto dall’art. 24, comma 7, legge n. 241/90”. Per quanto attiene alla tutela degli interessi “difensivi” è stato precisato che «si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare (Cons. St., Ad. Pl., 18 marzo 2021, n. 4). Le riportate considerazioni valgono tanto con riferimento alla richiesta di accesso avanzata alla pubblica amministrazione detentrice del documento, quanto al giudizio sull’accesso innanzi al Giudice amministrativo adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., le quali autorità, l’una amministrativa, l’altra giudiziaria, «non devono svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione». Il TAR Lazio ha avallato tale posizione, con la sentenza 9 dicembre 2021 n. 12682, con le seguenti motivazioni: “Visto il diniego di accesso, con il quale l’Amministrazione rifiuta l’ostensione della relazione prefettizia ..., della relazione integrale della commissione di indagine, entrambe relative all’accesso ispettivo disposto nei confronti del -omiSSiS -ai sensi dell’art. 143 TUEL, tutti atti prodromici all’adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale del -omiSSiS -per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata; Rilevato che gli atti di cui si chiede l’ostensione sono ricompresi tra quelli classificati come riservati ai sensi della legge 3 agosto 241/90 e pertanto esclusi dalla sfera oggettiva di applicabilità della disciplina sul diritto di accesso ai documenti amministrativi ed altresì sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. m) del D.m. 10 maggio 1994 n. 415; che benché gli atti richiesti non siano “formalmente” documenti investigativi, sono tali le fonti che determinano gli omissis nelle premesse degli atti pubblicati; Ritenuto che il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi da quanto statuito dal Consiglio di Stato, Sezione i, con il parere -omiSSiS -, in analoga controversia, laddove ha affermato che “il diritto di accesso “difensivo” può essere esercitato esclusivamente nelle forme prescritte dall’art. 42, comma 8 delle legge n. 124/2007, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 il quale, circoscrivendo l’ambito di conoscibilità delle informazioni classificate, presuppone ed integra (trattandosi peraltro di norma successiva) la disciplina del meccanismo ostensivo previsto dall’art. 24, comma 7, legge n. 241/90”; che inoltre il decreto di scioglimento del Comune risulta corredato da un Allegato contenente la Relazione ministeriale, nel quale sono riportate le principali criticità emerse, e l’ancora più dettagliata relazione prefettizia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 settembre 2021; che, inoltre, non è ravvisabile il nesso di strumentalità tra la documentazione di cui si chiede l’ostensione e gli interessi che la ricorrente intende difendere, la cui sussistenza, in caso di documentazione sottratta all’accesso, è oggetto di rigorosa verifica (cfr. Ad. Pl. 4/2021, ma vedi anche CdS iii 5735/2021); che, come ha affermato l’Adunanza Plenaria n. 4/2021, in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare; che, alla luce delle ragioni per le quali la ricorrente chiede l’ostensione degli atti riservati (conoscere i soggetti e i contesti temporali) e degli elementi contenuti nella Relazione prefettizia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, il nesso tra l’esigenza di difendere i propri interessi, presumibilmente nella qualità di Sindaco del -omiSSiS -, ovvero di chiedere l’annullamento del decreto di scioglimento del Comune, e i documenti di cui chiede l’ostensione, non sembra emergere; che, infatti, le parti essenziali, ai fini della motivazione del decreto di scioglimento, degli atti di cui si chiede l’ostensione, risultano già integrate nella relazione prefettizia; che la decisione si fonda sulle circostanze riportate nella Relazione Prefettizia, circostanze che, ove fossero dal giudicante, in ipotesi, ritenute insufficienti a sostenere il provvedimento, non richiederebbero ulteriori documenti a sostegno delle istanze difensive; che in senso analogo si è pronunciato questo Tar (vedi Tar Lazio, i ord. n. 4266 -11 giugno 2020 e sent. n. 2537/2021) precisando trattarsi di documenti classificati come “Riservati” ai sensi dell’art. 42, L. 124/2007 ha ricordato che la conservazione e l’ostensione degli stessi alle altre parti del giudizio sono sottoposti alle cautele di cui al comma 8 del- l’art. 42 della citata legge ed ha rammentato alle parti che la conoscenza degli atti in parola, ai sensi dell’art. 262 c.p., è circoscritta allo stretto ambito processuale; che, peraltro, le vicende che costituiscono il presupposto dell’atto di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso” (v. ex multis Tar Lazio, i, 9381/2019), finendo per non TEMI ISTITUzIONALI offrire appiglio alcuno alla sussistenza di un nesso di strumentalità tra la posizione della ricorrente e i documenti oggetto della richiesta di accesso; che, nel contemperare l’esigenza della richiedente l’accesso con l’interesse pubblico alla riservatezza di tali atti, l’Amministrazione non irragionevolmente ha fatto prevalere la prima, non emergendo il nesso di strumentalità con il diritto alla difesa prospettato nel ricorso e nel perimetro dell’atto nei riguardi del quale detto diritto si intende far valere; che l’Amministrazione ha altresì indicato alla ricorrente la modalità attraverso la quale può ottenere la conoscenza degli atti di cui si tratta, ovvero nelle forme previste dall’art. 42 della legge 124/2007”. le misure amministrative di prevenzione collaborativa e le disposizioni introdotte dal decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito con modificazioni dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233. Il decreto-legge n.152 del 6 novembre 2021 ha apportato significative innovazioni e modifiche al Codice antimafia, proponendo anche un nuovo modello “collaborativo”. Le nuove disposizioni hanno, innanzitutto, inciso sul procedimento (cfr. art. 92 del Codice antimafia), rafforzando l’istituto del “contraddittorio”, con l’effetto di consentire l’acquisizione di maggiori elementi conoscitivi, utili al Prefetto per la valutazione dell’effettivo spessore della permeabilità mafiosa. In linea con l’art.10-bis della L. n. 241/1990 è stato introdotto il “preavviso” della misura interdittiva o amministrativa di prevenzione collaborativa, con la conseguente possibilità di audizione, produzione di osservazioni scritte e documenti. Il legislatore ha comunque disposto, al comma 2-bis dell’art. 92, che “in ogni caso non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, facendo salvi i casi in cui ricorrono “particolari esigenze di celerità del procedimento”, rimessi alla valutazione discrezionale del Prefetto, che escludono il contraddittorio. Nei casi in cui, invece, venga svolto il contraddittorio, nell’arco temporale tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis succitato e la conclusione della procedura, i cambiamenti di sede, denominazione, oggetto, composizione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società o comunque qualsiasi variazione sociale organizzativa, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere oggetto di attenta valutazione, ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia, anche in considerazione del fatto che potrebbero essere connotati da un intento elusivo o dissimulatorio. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 Il procedimento può concludersi con: a) il rilascio dell’informazione antimafia liberatoria; b) l’applicazione della misura amministrativa di “prevenzione collaborativa”, nel caso previsto dall’art. 94-bis; c) l’adozione della informazione antimafia interdittiva, accompagnata dalla verifica, da parte del Prefetto, dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014, convertito in L. n. 14/2014 e dalla conseguente informativa al Presidente dell’ANAC, nel caso di valutazione positiva. Di nuovo conio è la misura di prevenzione collaborativa, la cui applicazione è subordinata all’accertamento che i tentativi di infiltrazione mafiosa siano “riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale”, tali da legittimare la prescrizione all’impresa dell’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una serie di misure dettagliatamente enucleate nell’art. 94-bis. È anche previsto un raccordo di tale ultima misura con il diverso istituto del “controllo giudiziario” di cui all’art. 34 bis del Codice antimafia, nel senso della cessazione della misura di prevenzione collaborativa se il Tribunale dispone il controllo, ferma restando la possibilità di tenere conto del periodo di esecuzione della prima, ai fini della determinazione della durata del secondo. Inoltre, alla luce delle modifiche apportate all’art. 34 bis dal Decreto n. 152/2021, il Tribunale competente per le misure di prevenzione, ove risultino applicate le misure previste dall’art. 94 bis, dovrà effettuare una valutazione sull’opportunità di adottare, in sostituzione della misura di prevenzione collaborativa, il provvedimento di nomina di un Giudice delegato e di un Amministratore giudiziario, ai sensi del comma 2, lett. b) dell’art. 34 bis. La temporaneità della misura di prevenzione collaborativa comporta che, alla scadenza del termine di durata, il Prefetto, “ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia una informazione antimafia liberatoria”; in caso contrario, verrà adottata una informazione antimafia interdittiva. D’altra parte, con le ultime modifiche normative è stato rafforzato il ruolo del Prefetto ed il raccordo tra i diversi Organi, in quanto è previsto che il Tribunale, prima di decidere sulle richieste delle imprese destinatarie di informazioni antimafia interdittive, impugnate in giudizio, di essere ammesse al controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2 dell’art. 34 bis, ai sensi del comma 6 della medesima norma, è tenuto a sentire anche il Prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva. Inoltre, il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria o il controllo giudiziario è comunicato dalla cancelleria del Tribunale al Prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della Banca dati, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa, nei successivi cinque anni. TEMI ISTITUzIONALI Tale provvedimento sospende il termine per il rilascio dell’informazione antimafia di cui all’art. 92, comma 2 e gli effetti di cui all’articolo 94. Con riferimento alla sospensione degli effetti di cui all’art. 94 e al giudizio amministrativo avente ad oggetto il provvedimento interdittivo, la giurisprudenza ha in più occasioni (cfr. ordinanza del Consiglio di Stato n. 5667 del 15 ottobre 2021) chiarito che non è consentito subordinare l’efficacia sospensiva della misura cautelare all’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, in quanto è diverso l’oggetto del giudizio avanti al Giudice amministrativo, che deve verificare la sussistenza degli elementi posti a base del provvedimento prefettizio, e quello davanti al Giudice ordinario, che deve effettuare una prognosi circa il recupero dell’impresa al circuito legale per l’occasionalità del collegamento con le associazioni mafiose, e non si può dunque nemmeno vincolare temporaneamente l’esito, anche cautelare, del primo giudizio alle sorti del secondo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 29 settembre 2021, n. 5371). Inoltre, il Supremo Consesso amministrativo (cfr. sentenza 1049 del 4 febbraio 2021) ha statuito che, nel sistema delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia, vanno esclusi in capo al Tribunale di prevenzione, poteri di controllo dei presupposti della interdittiva antimafia, venendo altrimenti ad introdursi nel sistema una duplicazione del controllo sulla legittimità della misura interdittiva e segnatamente sulla sussistenza o meno dei presupposti (cfr. in tal senso Cass. Penale sentenza Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342). “Come evidenziato nella sentenza n. 338/2021, la valutazione del Giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum. Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati -anche sul piano diacronico -nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata. Non può pertanto sostenersi, come fa l’appellante, che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 Con riferimento al controllo giudiziario delle aziende, le modifiche normative non hanno espressamente disciplinato gli effetti della cessazione del controllo giudiziario e le conseguenti attività a carico delle Prefetture. Rimane dunque invariato quanto indicato nella Circolare del Ministero dell’Interno, nel senso di effettuare ulteriori verifiche antimafia, tenendo conto degli esiti della misura del controllo giudiziario e di eventuali nuovi elementi di valutazione, ai fini dell’adozione di un nuovo provvedimento. D’altra parte è emerso in sede contenziosa che, nei giudizi d’appello proposti dall’Avvocatura e sospesi per la durata del controllo giudiziario, una volta concluso quest’ultimo e fissata l’udienza di discussione del merito, il Consiglio di Stato, nel valutare la sussistenza dei presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere o comunque decidere nel merito, esamina con particolare attenzione anche le motivazioni del nuovo provvedimento adottato, al fine di verificare se -al di là della espressa definizione nello stesso contenuta -si tratti di revoca (alla luce degli esiti del controllo giudiziario) o annullamento in autotutela, con le conseguenze che ne possono derivare anche in termini risarcitori. Pertanto, si rende opportuno prestare particolare attenzione nel motivare i provvedimenti adottati all’esito del controllo giudiziario, dando particolare evidenza a quanto emerso nel corso e all’esito di tale misura (in termini di nuovi elementi), laddove si ritenga sussistano i presupposti per emettere un provvedimento liberatorio. 4. interventi e contenzioso del Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorgeglianza delle infrastrutture e degli insediamenti Prioritari (CCASiiP) e Struttura di missione Antimafia Sisma 2016. Il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (CCASIIP) costituisce lo snodo centrale del sistema di monitoraggio antimafia nel settore delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, articolato in forma di “rete”, considerata la complessità dell’attività e l’estensione territoriale. Il contenzioso registrato in questi ultimi anni ha riguardato essenzialmente la Struttura di Missione Antimafia Sisma 2016, istituita (cfr. art. 30 del D.L. n. 189 del 17 ottobre 2016, conv. dalla L. n. 229 del 15 dicembre 2016) per garantire la legalità delle attività di ricostruzione nei territori del Centro Italia colpiti dal sisma del 2016, con il compito di verificare la documentazione antimafia degli operatori economici impegnati nei lavori. Al riguardo è richiesta alle imprese interessate l’iscrizione nell’apposita “Anagrafe antimafia degli esecutori”, un elenco gestito dalla Struttura di Missione in raccordo con le Prefetture delle Province interessate dal Sisma. La Struttura svolge attività di prevenzione e di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori, nella gestione dei servizi e nel reperi TEMI ISTITUzIONALI mento delle forniture necessarie alla ricostruzione dei Comuni del Centro Italia colpiti dagli eventi sismici del 2016. Nel 2021 risultano essere stati instaurati n. 7 contenziosi, nell’ambito di uno dei quali è stata emessa l’ordinanza del TAR per la Toscana n. 253/2021, che ha dichiarato la propria incompetenza a favore del TAR Lazio, con le seguenti motivazioni che si segnalano: “Premesso che con il presente gravame è impugnato il provvedimento mediante il quale il ministero dell’interno ha emesso informazione antimafia nei confronti dell’impresa ricorrente e contestualmente revocato la sua iscrizione all’anagrafe antimafia degli esecutori degli operatori economici interessati agli interventi di ricostruzione nei comuni del centro italia colpiti dagli eventi sismici nell’anno 2016; Considerato che: -in via preliminare deve scrutinarsi la sussistenza dei presupposti processuali e in particolare, per quanto interessa nella presente sede, la competenza territoriale del Tribunale adito; -l’art. 13 c.p.a. pone due criteri per individuare la competenza territoriale consistenti l’uno, nel luogo in cui ha sede l'autorità emanante l’atto impugnato e l’altro, nel luogo in cui questo è destinato a produrre effetti; -nel caso di specie l’applicazione di entrambi i criteri porta a ritenere l’incompetenza del Tribunale adito a favore del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, poiché il provvedimento gravato è stato emanato da un’autorità centrale ed esplica effetti che non sono limitati alla sola regione Toscana comportando direttamente (anche) l’inibizione ad effettuare lavori nei Comuni del centro italia sopramenzionati; -come correttamente rilevato dalla difesa erariale, nel caso di contestuale impugnazione di una informativa interdittiva e dei conseguenti atti applicativi il giudice territorialmente competente è quello nella cui circoscrizione si trova l’ente che ha adottato l'informativa, rilevando l'interesse del ricorrente all'annullamento della stessa (C.d.S., A.P., 7 novembre 2014 n. 29)”. La Struttura nel 2021 ha affrontato, tra le altre, le problematiche inerenti al “contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia” e al nuovo “modello collaborativo”, anche alla luce della Circolare del Ministero dell’Interno del 16 novembre 2021 succitata; ha valutato gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2021 e approfondito le situazioni immediatamente ostative ex art. 67 d.lgs. n. 159/2011. 5. Scioglimenti dei Comuni per mafia. Con riferimento ai contenziosi riguardanti scioglimenti dei Comuni per mafia, nell’anno 2021 ne risultano 21. Si segnala che, come in casi analoghi e in conformità al quadro normativo ed agli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati trattando l’accesso, con ordinanza n. 3028 dell’11 marzo 2021, il TAR ha disposto l’acquisizione degli atti del procedimento, ordinando alla parte resistente “la produzione in giudizio dei predetti atti, con l’avvertenza che, trattandosi di atti classificabili come “ri RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 servati” ai sensi dell’art. 42 l. n. 124/2007, la conservazione e l’ostensione degli stessi a tutte le parti del giudizio sono sottoposte alle cautele di cui al comma 8 dell’art. 42 cit. e che potranno essere consultati senza estrazione di copia”. Poiché normalmente l’Amministrazione si avvale dell’Avvocatura anche per il deposito dei documenti riservati, in adempimento delle ordinanze istruttorie di tale tipologia, è opportuno che i documenti vengano consegnati in busta chiusa, con appositi timbri e la dicitura relativa alla natura dei documenti contenuti, con allegata, all’esterno, una nota indirizzata all’Avvocatura, al fine di consentirne la protocollazione e il deposito della busta integra. 6. La vigilanza collaborativa di ANAC. Uno degli strumenti più efficaci di azione e di prevenzione da parte di ANAC è la “vigilanza collaborativa” che, a partire dalla seconda metà del 2021, è stata estesa anche al supporto alle Amministrazioni sul fronte anticorruzione. L’istituto della vigilanza collaborativa si è dimostrato molto utile anche nei casi di Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Gli Enti locali risultano le Amministrazioni più esposte ai rischi di contaminazione criminale e di infiltrazioni mafiose. Da qui l'importanza di un affiancamento, anche dopo la cessazione del commissariamento, nelle attività maggiormente esposte ai rischi di infiltrazione, come l’aggiudicazione di contratti pubblici di appalti e concessioni. A tali Comuni ANAC garantisce un presidio di legalità, anche nei casi di scioglimento delle Amministrazioni locali, disposto a seguito di fenomeni di infiltrazione e condizionamento criminale, focalizzando il proprio intervento sulle procedure di aggiudicazione che sono risultate più esposte a tale rischio. 7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2021. Si allegano di seguito i dati relativi ai contenziosi antimafia, distinti per sedi dell’Avvocatura e riguardanti l’anno 2021. temiistituzionali Contenziosi Antimafia Anno 2021 SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI PER INFILTRAZIONI MAFIOSE Distrettuale Nr. Affari Roma 9 Ancona 0 Bari 1 Bologna 0 Brescia 0 Cagliari 0 Caltanissetta 1 Catania 0 Catanzaro 3 Firenze 0 Genova 0 L’Aquila 0 Lecce 2 Messina 0 Milano 0 Napoli 1 Palermo 1 Perugia 0 Potenza 0 Torino 0 Trento 0 Trieste 0 Venezia 1 Salerno 1 Campobasso 0 Reggio Calabria 1 Totale 21 rassegnaavvocaturadellostato- n. 2/ 2022 Contenziosi Antimafia Anno 2021 CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA Distrettuale Nr. Affari Roma 399 Ancona 3 Bari 15 Bologna 30 Brescia 12 Cagliari 0 Caltanissetta 0 Catania 49 Catanzaro 67 Firenze 13 Genova 3 L’Aquila 0 Lecce 53 Messina 0 Milano 23 Napoli 124 Palermo 70 Perugia 5 Potenza 15 Torino 28 Trento 0 Trieste 0 Venezia 3 Salerno 5 Campobasso 2 Reggio Calabria 102 Totale 1021 TEMI ISTITUZIONALI Rimborso ai dipendenti delle spese legali di difesa ai sensi dell’art. 18 D.L. n. 67/1997, conv. in L. 135/1997. In merito all’estensione ai professori universitari Parere del 05/08/2022 -512966, al 21273/2022, V.a.G. enrico de GioVanni, aVV. alessandro JacoanGeli Codesta Avvocatura pone un quesito in merito all'estensione delle previsioni di cui all'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997 in favore dei professori universitari, allegando nota 22 febbraio 2022 con cui, richiamandosi alla sentenza della Corte di cassazione n. 41999/21, escludeva la rimborsabilità delle spese legali affrontate da un docente universitario in quanto non dipendente statale; al riguardo si osserva quanto segue. **** La questione è stata oggetto di diversi orientamenti in giurisprudenza, come emerge, fra le altre, dalle decisioni che di seguito si richiamano. Secondo T.A.R. Liguria, Sez. I, sent. 24 giugno 2002, n. 709, l'espressa limitazione della previsione normativa di cui all'art. 18 d.l. n. 67 del 1997 ai dipendenti statali, da qualificare pertanto eccezionale, esclude la possibilità di estendere in via anche analogica il rimborso delle spese legali a soggetti legati da un rapporto professionale con un soggetto pubblico dotato ormai pacificamente di autonomia, quale va considerata l'Università alla stregua del vigente ordinamento. Sulla questione è di recente intervenuto, in senso contrario, il T.A.R. per la Basilicata, con la sentenza n. 558/19, ove si afferma: “Questo Tribunale ... ritiene di aderire all'altro orientamento giurisprudenziale (cfr. Tar Palermo sez. i sentenze n. 3348 del 10 dicembre 2007 e n. 2141 del 30 settembre 2004, e più di recente c.d.s. sez. Vi sent. n. 1154 del 13 maggio 2017), ai sensi del quale l'art. 18 d.l. n. 67/1997 conv. nella l. n. 135/1997 va applicato anche nei confronti dei Professori Universitari, attesochè tale norma non è affatto eccezionale, in quanto è stata recepita in tutti i comparti del pubblico impiego (cfr. per es. l'art. 67 dPr n. 268/1987 per i dipendenti degli enti locali), ed anche perché il rimborso delle spese legali, sostenute dai pubblici dipendenti per fatti inerenti al servizio, era stato riconosciuto dalla Giurisprudenza (sul punto cfr. c.d.s. sez. iV sent. n. 1681 dell'11 aprile 2007) anche prima dell'entrata in vigore della norma in esame, tenuto conto della finalità che nello svolgimento del servizio i pubblici dipendenti non debbano nutrire eccessivi timori di incorrere in contestazioni di responsabilità penale, civile ed amministrative che, seppure infondate, abbiano effetti negativi sulla loro sfera patrimoniale, e di evitare comportamenti inefficienti e/o inefficaci con la conseguente limitazione dei danni, derivanti dal comportamento inerte dei suoi funzionari nelle fatti RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 specie più complesse dell'azione amministrativa, per non incorrere in responsabilità patrimoniali”. In merito a siffatto precedente va precisato che il richiamo alla sentenza C.d.S. Sez. VI Sent. n. 1154 del 13 maggio 2017 non appare rilevante, poiché la sentenza non affronta esplicitamente e funditus il tema della spettanza del rimborso ai professori universitari, limitandosi a respingere l'appello del docente per altri motivi; va inoltre segnalato che avverso la decisione del T.A.R. per la Basilicata è stato proposto appello, con udienza non ancora fissata. Nel gravame questa Avvocatura ha sostenuto che l'ambito di applicazione della norma deve ritenersi rigorosamente circoscritto a quanto emerge dal suo contenuto testuale, inferendone che, stante l'espressa limitazione recata da tale disposizione ai “dipendenti di amministrazioni statali” e adeguatamente valorizzata l'autonomia riconosciuta agli Atenei dal vigente ordinamento, il problema di applicabilità della richiamata disciplina va risolta attraverso l'identificazione di un eventuale richiamo normativo all'art. 18 all'interno del vigente Regolamento universitario; le Università, infatti, nell'ambito della propria autonomia, ben possono prevedere, con apposite disposizioni statutarie o regolamentari, il rimborso delle spese legali sostenute dai propri dipendenti. Siffatte tesi sono, peraltro, conformi al parere prot. 18883 del 15 gennaio 2015 reso dall'Avvocatura generale. Si segnala, infine, il seguente obiter dictum nella recentissima sentenza n. 7031/22, del 30 maggio 2022 del T.A.R. Lazio, sez. I stralcio: “secondo costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, cons. stato, sez. iii, 10 dicembre 2013, n. 5919; in senso analogo T.a.r. lazio, sez. ii, 7 febbraio 2014, n. 1487) nel pubblico impiego la tutela legale dei dipendenti, sia in generale che nell'ipotesi specifica dell'art. 18 d.l. 67/1997 che si riferisce ai soli dipendenti di amministrazioni statali...” (enfasi aggiunta). **** Le citate decisioni pongono, dunque, la questione della natura della previsione di cui all'art. 18 in esame, se essa debba essere considerata come norma di stretta interpretazione, come tale riferibile solo ai “dipendenti delle amministrazioni statali”, o se invece debba essere letta come norma “non... eccezionale... recepita in tutti i comparti del pubblico impiego” (come ritiene il T.A.R. lucano). Nell'affrontare il problema occorre, innanzi tutto, segnalare che utili indicazioni sulla natura dell'art. 18 vanno tratte da una recente pronuncia della Corte costituzionale, che ha esaminato la questione relativa alla rimborsabilità delle spese legali in favore di soggetti non dipendenti dalla P.A., ma che svolgono, per essa, funzioni e attività amministrative. In esito alla questione di costituzionalità concernente l'art. 18 del d.l. n. 67/97, in data 9 dicembre 2020, è stata depositata la sentenza n. 267/2020 che, nel dichiarare la parziale incostituzionalità della citata norma, ha affermato, tra l'altro, che “nel prevedere il rimborso delle spese di patrocinio legale so TEMI ISTITUZIONALI stenute nei giudizi promossi per fatti inerenti alla funzione e conclusisi con accertamento negativo di responsabilità, l'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, testualmente individua i beneficiari del rimborso nei «dipendenti di amministrazioni statali» e le «amministrazioni di appartenenza » quali obbligate, sicché è corretta la premessa da cui muove il rimettente, vale a dire l'impossibilità di estendere per via interpretativa il diritto al rimborso a soggetti che operano nell'interesse dell'amministrazione al di fuori da un rapporto di impiego” e “che tale disposizione, insieme all'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, e all'art. 31, comma 2, cod. giust. contabile, «si inserisce nel quadro di un complessivo apparato normativo volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l'accertamento di responsabilità» (sentenza n. 189 del 2020)” (enfasi aggiunta); siffatta esigenza, prosegue la sentenza riferendosi alla specifica fattispecie in esame, riguardante il giudice di pace, “sussiste per l'attività giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell'ordinamento giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice onorario. in questo senso, come pure rilevato dalla medesima sentenza, il beneficio del rimborso delle spese di patrocinio «attiene non al rapporto di impiego [...] bensì al rapporto di servizio», trattandosi di un presidio della funzione, rispetto alla quale il profilo organico appare recessivo”. Pertanto, la Corte ritiene che “attesa l'identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice "togato" e non anche al giudice di pace, mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l'esigenza di garantire un'attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità”. La Corte ha dichiarato, quindi, “con riferimento all'art. 3 cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa”. La sentenza, dunque, afferma espressamente “l'impossibilità di estendere per via interpretativa il diritto al rimborso a soggetti che operano nell'interesse dell'amministrazione al di fuori da un rapporto di impiego” e dichiara “l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito, nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa”. Si tratta, pertanto, di una decisione che dispone esclusivamente in relazione ai giudici di pace e non sembra prestarsi ad essere interpretata e applicata al di là dei limiti del caso di specie, come postulante un principio di ordine RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 generale immediatamente applicabile a tutti i soggetti (diversi dai giudici di pace) che, pur non essendo “dipendenti di amministrazione statali”, prestano in favore di esse una funzione finalizzata al perseguimento dei pubblici interessi nell'ambito di un rapporto di servizio. da siffatta lettura si può agevolmente inferire che secondo la Corte costituzionale l'art. 18 è disposizione eccezionale, di stretta interpretazione, che non si presta ad essere immediatamente applicata al di fuori dei limiti testualmente enunciati, cioè, a soggetti diversi dai “dipendenti di amministrazione statali”, né ad applicazioni analogiche. Ai sensi della sentenza in esame, in particolare, l'art. 18 del d.l. n. 67/97 non può essere oggi immediatamente applicato anche al di fuori dell'esistenza di rapporto di impiego; ma -a giudizio della Scrivente -ne consegue che altrettanto è a dirsi per i dipendenti di amministrazioni pubbliche non riconducibili nel novero delle “amministrazioni statali”, conclusione, peraltro, che sembra confermata dalla circostanza che per altre categorie di dipendenti pubblici siano vigenti in subiecta materia altre normative statali o regionali, e per altre categorie vi siano apposite previsione nei contratti collettivi o talvolta individuali. Nel medesimo senso, peraltro, si è di recente espressa Cass. civ. Sez. lavoro, ord., 30 dicembre 2021, n. 41999, rammentata nel quesito, ove testualmente si afferma: “Va ribadito l'orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa corte, secondo cui dalla normativa di settore (d.l. n. 67 del 1997, art. 18 e, per gli enti locali, d.lgs. n. 267 del 2000, art. 86 come modificato dal d.l. n. 78 del 2015) nonché dalla disciplina contrattuale dei diversi comparti dell'impiego pubblico contrattualizzato non si può ricavare un principio generale di rimborso delle spese legali a favore dei funzionari pubblici per i procedimenti relativi agli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni, del servizio o dell'incarico e, pertanto, ove quelle disposizioni non siano direttamente applicabili, il diritto al rimborso non può essere riconosciuto ricorrendo all'interpretazione estensiva o analogica (si rimanda a cass. n. 6745/2019 ed alla giurisprudenza ivi richiamata)”. Sempre nel senso di ritenere l'art. 18 quale norma di stretta interpretazione si è pronunciato più volte il Consiglio di Stato: “il suo ambito d'applicazione è rigorosamente circoscritto a quanto emerge dal suo contenuto testuale, non essendo la norma stessa espressione di un principio generale, da essa derivando un onere a carico dell'amministrazione” (così Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 3396 del 6 giugno 2011); più di recente, per tutte C.d.S. sent. 8079/19: “l'art. 18 è di stretta applicazione”. **** Tanto premesso occorre valutare se i docenti universitari possano o meno definirsi “dipendenti di amministrazioni statali”, valutando se le Università possano dirsi amministrazioni statali. TEMI ISTITUZIONALI A tal fine giova prendere le mosse dal principio sancito dall'art. 33, comma 6, della Costituzione, ai sensi del quale: “le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. Parimenti di interesse, è l'art. 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168 (rubricato “Autonomia delle università”) ai sensi del quale: “1. le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell'articolo 33 della costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti. 2. nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'articolo 33 della costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. È esclusa l'applicabilità di disposizioni emanate con circolare. 3. le università svolgono attività didattica e organizzano le relative strutture nel rispetto della libertà di insegnamento dei docenti e dei principi generali fissati nella disciplina relativa agli ordinamenti didattici universitari. nell'osservanza di questi principi gli statuti determinano i corsi di diploma, anche effettuati presso scuole dirette a fini speciali, di laurea e di specializzazione; definiscono e disciplinano i criteri per l'attivazione dei corsi di perfezionamento, di dottorato di ricerca e dei servizi didattici integrativi”. I citati riferimenti normativi, che hanno contribuito a delineare l'assetto ordinamentale delle Università pubbliche in termini di forte autonomia, sono stati interpretati dalla recente giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che gli Atenei non siano propriamente configurabili quali organi dello Stato (come invece parte della giurisprudenza aveva ritenuto prima dell'entrata in vigore della citata L. n. 168/1989), dovendo piuttosto essere qualificate come enti pubblici autonomi. In proposito, nell'esaminare i principi espressi dal legislatore del 1989, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno avuto modo di affermare che: “si tratta [il riferimento è alla L. n. 168/1989] di una disciplina che, mentre conferma la soggettività giuridica delle Università statali, già riconosciuta dal r.d. n. 1592 del 1933, art. 1, ne rafforza significativamente l'autonomia, con l'attribuzione, oltre a quella didattica e scientifica, già presente nel citato r.d., di quella organizzativa, finanziaria e contabile, e soprattutto della autonomia normativa statutaria e regolamentare. Potestà, quest'ultima, idonea a caratterizzare le Università come ente pubblico autonomo, e non più come organo dello stato” (Cass. SS.UU., sent. n. 10700 del 10 maggio 2006). Analoghe considerazioni sono state svolte più di recente dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 8824 del 10 giugno 2012, nella quale è stato osservato che: “alle Università non può essere riconosciuta la qualità di organi o amministrazioni dello stato, atteso che, per un verso, gli artt. 6 e 7 della legge 9 maggio 1989, n. 168, attribuiscono ad esse, oltre all'autonomia didat RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 tica e scientifica, anche l'autonomia organizzativa, finanziaria, contabile, statutaria e regolamentare, e, per altro verso, gli artt. 6 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, qualificano l'uno gli impiegati tecnici ed amministrativi e l'altro i docenti e ricercatori non più come dipendenti statali, ma come dipendenti dell'ente-università”. Tali coordinate ermeneutiche sembrano confermare l'assunto per cui la figura del docente universitario non sia riconducibile al genus dei dipendenti dello Stato in senso stretto, trattandosi piuttosto di categoria professionale il cui rapporto lavorativo è instaurato con il solo Ateneo di appartenenza. depone in questo senso, altresì, la previsione di cui all'art. 5, comma 9, della L. n. 537/1993 ai sensi del quale: “le funzioni del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica relative allo stato giuridico ed economico dei Professori universitari e dei ricercatori, fatte salve le competenze e le norme vigenti in materia di concorsi, nonché le norme vigenti in materia di stato giuridico, sono attribuite alle università di appartenenza, che le esercitano nelle forme stabilite dallo statuto, provvedendo comunque direttamente agli adempimenti in materia di pubblicità”. Il descritto passaggio di competenze dal Ministero agli Atenei è stato invocato dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento è a Cass. civ., sentenza n. 8824 del 1° giugno 2012) quale argomento a sostegno della tesi per cui il rapporto lavorativo del docente e del ricercatore sia instaurato direttamente con l'ente universitario, e non anche con l'amministrazione dello Stato. A conclusioni non dissimili sembra potersi giungere esaminando la disciplina contenuta negli artt. 18 e 24 della L. n. 240/2010, che regola la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, nonché l'iter per la stipula di contratti di lavoro subordinato in favore dei ricercatori universitari. Le citate norme, infatti, attribuiscono in modo univoco agli Atenei l'insieme delle competenze necessarie alla selezione del personale docente nei limiti delle disponibilità di bilancio, in coerenza con gli obbiettivi di programmazione finanziaria e tenendo conto dei fabbisogni propri di ciascun Istituto. In particolare, ai sensi del citato art. 18 “le università, con proprio regolamento adottato ai sensi della legge 9 maggio 1989, n. 168, disciplinano, nel rispetto del codice etico, la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia nel rispetto dei principi enunciati dalla carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della commissione delle comunità europee n. 251 dell'11 marzo 2005 [...]”. Il che sembra costituire espressione del significativo ambito di autonomia con il quale gli Atenei definiscono la propria organizzazione in coerenza con la previsione dell'art. 33 Cost. In definitiva, i citati riferimenti normativi, per come interpretati dalla citata giurisprudenza di legittimità, portano ulteriormente a ritenere che il personale di cui trattasi instauri il proprio rapporto lavorativo non con l'Amministrazione dello Stato, ma con il solo Ateneo di appartenenza che TEMI ISTITUZIONALI provvede alla selezione, nonché all'inquadramento professionale del proprio corpo docente. Appare, pertanto, difficilmente sostenibile la tesi per cui la figura del professore universitario sia annoverabile nella categoria dei dipendenti statali in senso stretto. Siffatte considerazioni (anche alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale testé citata) già escludono ex se l'applicabilità al caso di specie dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997 che, si ribadisce, riconosce la rimborsabilità delle spese di patrocinio in favore dei soli “dipendenti di amministrazioni statali”. E ciò, come detto, in ragione della necessità che il citato art. 18 sia applicato secondo un canone interpretativo rigoroso, non conciliabile con l'istituto dell'analogia, per le ragioni sopra esposte. Né, come correttamente osservato dall'Avvocatura distrettuale, il rimborso delle spese di patrocinio legale risulta poter essere invocato dal docente universitario in virtù delle previsioni della contrattazione collettiva riferita al personale amministrativo e dirigenziale delle università, posto che i professori come anche i ricercatori universitari svolgono la propria attività lavorativa in regime di diritto pubblico non contrattualizzato ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Peraltro, le clausole della contrattazione collettiva citate nella nota del- l'Avvocatura distrettuale (art. 59 CCNL 2006-2009 e art. 45 dirigenza Universitaria 2002-2005) limitano il proprio ambito di applicazione soggettiva in favore del solo personale amministrativo e dirigenziale delle università, con esclusione del personale docente (si veda in proposito l'art. 12 CCNQ per la definizione dei comparti di contrattazione, sottoscritto l'11 giugno 2007). **** In definitiva dunque i docenti universitari, non essendo “dipendenti di amministrazioni statali”, alla luce della vigente legislazione non rientrano fra i soggetti che possono beneficiare di anticipazioni/rimborsi delle spese legali di difesa ai sensi dell'art. 18 del d.L. 67/97, ferma restando la possibilità per ogni singolo Ateneo, nell'ambito della propria autonomia e in considerazione delle generali ragioni che hanno portato alla previsione dell'art. 18 per i dipendenti statali, di introdurre all'interno delle proprie disposizioni statutarie o regolamentari una previsione di analogo tenore. Sul presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato che si è espresso in conformità nella seduta dell'8 luglio 2022. L’Avvocato generale dello Stato gABRIELLA PALMIERI SANdULLI RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 73/2022 Oggetto: Soppressione di riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di agenzia delle entrate-riscossione (aDer) a decorrere dal 1° ottobre 2021. Terzo addendum al Protocollo d’intesa sottoscritto il 30 marzo 2022 tra l’avvocatura dello Stato e aDer. Con l'allegata Circolare n. 63/2021 è stato trasmesso l'Addendum al Protocollo d'intesa sottoscritto il 1° ottobre 2021 tra l'Avvocatura dello Stato e AdER con il quale, tenuto conto dell'impatto che la successione di AdER a Riscossione Sicilia s.p.a poteva avere sull'attività dell'Avvocatura dello Stato, si disponeva al punto 2.1, che “l'avvocatura dello stato fino al 31 marzo 2022 non presterà il proprio patrocinio a favore dell'ente relativamente a tutte le cause, sia passive che attive, riferibili alle attività della disciolta riscossione sicilia s.p.a., e ciò indipendentemente dal grado di giudizio e dalla magistratura adita”. In data 30 marzo 2022 è stato sottoscritto un secondo Addendum, con il quale il termine del 31 marzo 2022 è stato posticipato al 31 dicembre 2022. In data 23 dicembre 2022 è stato sottoscritto un terzo Addendum, con il quale il termine del 31 dicembre 2022 è stato posticipato al 31 marzo 2023. Fino a tale data, pertanto, continua ad applicarsi quanto previsto nella Circolare n. 63/2021, con particolare riferimento al fatto che l'archivio non debba procedere all'impianto di nuovi affari per gli atti afferenti ai contenziosi suddetti eventualmente notificati presso l'Avvocatura. Allegati: 1) Terzo Addendum del 23 dicembre 2022 (pubblicato sul sito Internet dell'Avvocatura dello Stato e dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione); 2) Circolare n. 63/2021. L'AVVOCATO gENERALE gabriella PALMIERI SANdULLI (omissis) TEMI ISTITUZIONALI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 74/2022 Oggetto: Modifiche al processo civile introdotte dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 efficaci dal 1° gennaio 2023. le novità sul processo civile telematico e sul giudizio di cassazione. Prime indicazioni operative. Sulla g.U. n. 243 del 17 ottobre 2022 è stato pubblicato il testo del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 di “attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. In deroga alla previsione generale secondo cui le disposizioni contenute nel decreto trovano applicazione ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 (art. 35, comma 1, d.lgs. n. 149/2022, nel testo modificato dall'art. 1, comma 380, della legge di bilancio 2023, in corso di pubblicazione in g.U.) (1), numerose disposizioni, essenzialmente concernenti il processo (1) L'art. 35 (“disciplina transitoria”), come modificato dall'art. 1, comma 380, della legge di bilancio 2023, così dispone: “1. le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti. 2. salvo quanto previsto dal secondo periodo, le disposizioni degli articoli 127, terzo comma, 127-bis, 127-ter e 193, secondo comma, del codice di procedura civile, quelle previste dal capo i del titolo V-ter delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, nonché dell'articolo 196-duodecies delle medesime disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotti dal presente decreto, si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla corte di cassazione. le disposizioni degli articoli 196-quater e 196-sexies delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotti dal presente decreto, si applicano ai dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente dal 28 febbraio 2023. 3. davanti al giudice di pace, al tribunale per i minorenni, al commissario per la liquidazione degli usi civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche, le disposizioni degli articoli 127, terzo comma, 127-bis, 127-ter e 193, secondo comma, del codice di procedura civile e quelle dell'articolo 196-duodecies delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotti dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti civili pendenti a tale data. davanti ai medesimi uffici, le disposizioni previste dal capo i del titolo V-ter delle citate disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotto dal presente decreto, si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023 anche ai procedimenti pendenti a tale data. con uno o più decreti non aventi natura regolamentare il Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione, può individuare gli uffici nei quali viene anticipato, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine di cui al secondo periodo. 4. le norme dei capi i e il del titolo iii del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugna RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 civile telematico e il giudizio di cassazione, sono destinate a trovare applicazione già dal 1° gennaio 2023. Tenuto conto del particolare impatto di tali previsioni anche sull'attività dell'Avvocatura dello Stato, si fornisce di seguito un quadro sintetico delle principali novità. *** 1. LE NOVITÀ SUL PROCESSO CIVILE TELEMATICO IN VIGORE DAL 1° GENNAIO 2023. Come accennato, a norma dell'art. 35, comma 2, d.lgs. n. 149/2022, gran parte delle nuove norme in tema di processo civile telematico troverà applicazione in tutti i procedimenti civili pendenti alla data del l° gennaio 2023 davanti al Tribunale, alla Corte di appello e alla Corte di cassazione (2). In estrema sintesi: -viene compiutamente disciplinato il regime dell'udienza a distanza mediante collegamenti audiovisivi e dell'udienza sostituita dal deposito di note scritte; zioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023. 5. salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo iii del titolo iii del libro secondo del codice di procedura civile e del capo iV delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data. 6. Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio. 7. le disposizioni dell'articolo 363-bis del codice di procedura civile, introdotto dal presente decreto, si applicano anche ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023. 8. le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 34, lettere b), c), d) ed e), si applicano agli atti di precetto notificati successivamente al 28 febbraio 2023. 9. le disposizioni di cui agli articoli 4, comma 1, e 10, comma 1, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023. 10. Fino all'adozione del decreto ministeriale previsto dall'articolo 13, quarto comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotto dal presente decreto, continuano ad applicarsi gli articoli 15 e 16 delle medesime disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto. 11. Fino all'adozione dei provvedimenti previsti dall'articolo 196-duodecies, quinto comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotto dal presente decreto, i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continuano a essere regolati dal provvedimento del direttore generale per i sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia 2 novembre 2020 ”. (2) Avanti al Tribunale e alla Corte d'appello era già prevista l'obbligatorietà del deposito telematico di tutti gli atti processuali, anche di quelli introduttivi, ma solo in virtù della disciplina emergenziale introdotta dall’articolo 83, comma 11, del d.L. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), poi confermata dall'articolo 221 del d.L. 19 maggio 2000, n. 34, nonché, da ultimo, dall'articolo 16 del d.L. 30 dicembre 2021, n. 228 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2022, n. 15). TEMI ISTITUZIONALI -diviene obbligatorio il deposito telematico degli atti processuali in tutti i procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla Corte di appello e alla Corte di cassazione; -riguardo, invece, al deposito telematico davanti al giudice di pace, al Tribunale per i minorenni, al Commissario per la liquidazione degli usi civici e al Tribunale superiore delle acque pubbliche, l'art. 35, comma 3 (3), del d.l.gs. n. 149/2022 ne posticipa l'applicazione al 30 giugno 2023. *** 1.1. Udienza con collegamenti audiovisivi a distanza o sostituita dal deposito di note scritte. dal 1° gennaio 2023 sono, dunque, destinate a trovare immediata applicazione le disposizioni di seguito indicate (4). Art. 127, comma 3, c.p.c.: “il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli articoli 127-bis e 127-ter, che l'udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte”. *** Art. 127-bis c.p.c. (Udienza mediante collegamenti audiovisivi): “lo svolgimento dell'udienza, anche pubblica, mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell'udienza. ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l'udienza si svolga in presenza. il giudice, tenuto conto dell'utilità e dell'importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza, provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l'udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. in tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza. se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al secondo comma possono essere abbreviati” (5). (3) L'ultimo periodo dell'art. 35, comma 3, dispone: “davanti ai medesimi uffici, le disposizioni previste dal capo i del titolo V-ter delle citate disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotto dal presente decreto, si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023 anche ai procedimenti pendenti a tale data. con uno o più decreti non aventi natura regolamentare il Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione, può individuare gli uffici nei quali viene anticipato, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine di cui al secondo periodo”. (4) Per effetto dell'art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 149/2022, tali disposizioni si applicano anche “davanti al giudice di pace, al Tribunale per i minorenni, al commissario per la liquidazione degli usi civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche”. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 *** Art. 127-ter c.p.c. (deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza): “l'udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. negli stessi casi, l'udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. con il provvedimento con cui sostituisce l'udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note. se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato il giudice assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza. se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all'udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo. il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti”. *** Art. 193, comma 2, c.p.c. (Giuramento del consulente): “2. in luogo della fissazione dell'udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d'ufficio il giudice può assegnare un termine per (5) disposizioni di dettaglio sullo svolgimento dell'udienza con collegamenti audiovisivi a distanza sono contenute all'art. 196-duodecies disp. att. c.p.c. (Udienza con collegamenti audiovisivi a distanza), pure applicabile dal 1° gennaio 2023, secondo cui: “l'udienza di cui all'articolo 127-bis del codice è tenuta con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e ad assicurare l'effettiva partecipazione delle parti e, se l'udienza non è pubblica, la sua riservatezza. si applica l'articolo 84. nel verbale si dà atto della dichiarazione di identità dei presenti, i quali assicurano che non sono in atto collegamenti con soggetti non legittimati e che non sono presenti soggetti non legittimati nei luoghi da cui sono in collegamento. i presenti mantengono attiva la funzione video per tutta la durata dell'udienza. agli stessi è vietata la registrazione dell'udienza. il luogo dal quale il giudice si collega è considerato aula d'udienza a tutti gli effetti e l'udienza si considera tenuta nell'ufficio giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento. con provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia sono individuati e regolati i collegamenti audiovisivi a distanza per lo svolgimento dell’udienza e le modalità attraverso le quali è garantita la pubblicità dell'udienza in cui si discute la causa”. TEMI ISTITUZIONALI il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma. con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall'articolo 195, terzo comma”. *** 1.2. Deposito telematico obbligatorio. Immediatamente applicabile dal 1° gennaio 2023 è il nuovo: «Titolo Vter disposizioni relative alla giustizia digitale» introdotto alle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, limitatamente alle disposizioni di cui al capo I e, quanto al capo II, all'articolo 196duodecies (6). Si tratta, in particolare, delle norme di seguito indicate. Art. 196-quater disp. att. c.p.c. (obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti): “nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte di appello e alla corte di cassazione il deposito degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, da parte dei difensori e dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. con le stesse modalità le parti depositano gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche. nel procedimento di cui al libro iV, titolo i, capo i, del codice, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti del giudice ha luogo con modalità telematiche. il deposito con modalità telematiche è effettuato nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. il capo dell'ufficio autorizza il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione di urgenza, dandone comunicazione attraverso il sito istituzionale dell'ufficio. con la medesima forma di pubblicità provvede a comunicare l'avvenuta riattivazione del sistema”. Pertanto, anche nei giudizi dinnanzi alla Corte di cassazione, dal 1° gennaio 2023, sarà obbligatorio procedere al deposito degli atti processuali (ricorso, controricorso, memorie, istanze) e dei documenti esclusivamente con modalità telematiche. Si precisa che la suddetta disposizione in tema di obbligatorietà del deposito telematico si applicherà anche ai dipendenti di cui si avvalgono le pub (6) gli altri articoli del capo II -dal 196-octies al 196-undecies -entrano, invece, in vigore il 28 febbraio 2023; fino a tale data restano applicabili le attuali disposizioni in materia di certificazione di conformità delle copie agli originali. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 bliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente, ma soltanto dal 28 febbraio 2023. *** Art. 196-quinquies disp. att. c.p.c. (dell'atto del processo redatto informato elettronico): “l'atto del processo redatto in formato elettronico dal magistrato o dal personale degli uffici giudiziari e degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti è depositato telematicamente nel fascicolo informatico. in caso di atto formato da organo collegiale l'originale del provvedimento è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente. Quando l'atto è redatto dal cancelliere o dal segretario dell'ufficio giudiziario questi vi appone la propria firma digitale e ne effettua il deposito nel fascicolo informatico. se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell'ufficio giudiziario ne estrae copia informatica secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico. se il provvedimento di correzione di cui all'articolo 288 del codice è redatto in formato elettronico, il cancelliere forma un documento informatico contenente la copia del provvedimento corretto e del provvedimento di correzione, lo sottoscrive digitalmente e lo inserisce nel fascicolo informatico”. *** Art. 196-sexies disp. att. c.p.c. (Perfezionamento del deposito con modalità telematiche): “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ed è tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza (7). si applicano le disposizioni di cui all'articolo 155, quarto e quinto comma, del codice. se gli atti o i documenti da depositarsi eccedono la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, il deposito può essere eseguito mediante più trasmissioni” (8). (7) In base all'articolo 16-bis, comma 7, del d.L. 179/2012 (abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2023), il deposito telematico si intendeva eseguito nel momento “in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia”. In vista del possibile utilizzo di modalità di deposito diversa dalla trasmissione a mezzo PEC (ancora da attuare), l'art. 196-sexies disp. att. c.p.c. prevede che il deposito si intende eseguito “nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione”. Sino a che, peraltro, si ricorrerà alla trasmissione a mezzo PEC, deve ritenersi che la “conferma” coinciderà ancora con la generazione della ricevuta di avvenuta consegna, e non anche con i successivi controlli, automatici o da parte della cancelleria. TEMI ISTITUZIONALI *** Art. 196-septies disp. att. c.p.c. (copia cartacea di atti depositati telematicamente): “con decreto del Ministro della giustizia sono stabilite misure organizzative per l'acquisizione di copia cartacea e per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con modalità telematiche nonché per la gestione e la conservazione delle copie cartacee. con il decreto di cui al primo comma sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dell'articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, e quarto comma”. *** 2. IL NUOVO GIUDIZIO DI CASSAZIONE. I commi 27 e 28 dell'articolo 3 del d.lgs. n. 149/2022 hanno sensibilmente modificato il Libro II, Titolo III, Capo III, del codice di procedura civile, introducendo rilevanti novità nel giudizio in cassazione, destinate a trovare applicazione, con le precisazioni di cui si dirà infra, sin dal 1° gennaio 2023. In particolare, l'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 al comma 5 prevede che: “5. salvo quanto disposto dal comma 6 le norme di cui al capo iii del titolo iii del libro secondo del codice di procedura civile e del capo iV delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data”. Aggiunge, tuttavia, il successivo comma 6 che: “Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”. In estrema sintesi la nuova normativa ha previsto: -la già ricordata obbligatorietà del deposito telematico degli atti e documenti anche per i procedimenti innanzi alla Corte di Cassazione; -l'abrogazione dell'incombente del deposito dell'istanza ex art. 369, comma 3, c.p.c.; -l'eliminazione dell'adempimento della notificazione del controricorso (e dell'eventuale ricorso incidentale), dovendosi ora procedere esclusivamente al deposito telematico dell'atto (e dei relativi documenti) nel termine di 40 giorni dalla notificazione del ricorso; (8) Anche tale previsione si applicherà ai dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente soltanto dal 28 febbraio 2023. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 -una complessiva riscrittura del procedimento in pubblica udienza e in camera di consiglio con l'uniformazione del termine per il deposito di memorie, pari ora sempre a dieci giorni prima dell'udienza o dell'adunanza; -l'eliminazione della Sezione Sesta (c.d. filtro) e l'introduzione di un nuovo procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati; -l'introduzione del rimedio impugnatorio della c.d. “revocazione convenzionale” per contrarietà della pronuncia alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 2.1. Norme applicabili ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023. Le norme che verranno di seguito passate in rassegna sono destinate a trovare applicazione a tutti i giudizi di cassazione introdotti con ricorsi notificati a decorrere dal 1° gennaio 2023. 2.1.1. il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. Il comma 7 dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022 prevede che “le disposizioni di cui all'articolo 363-bis del codice di procedura civile, introdotto dal presente decreto, si applicano anche ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023”. L'art. 363-bis introduce il nuovo istituto del “rinvio pregiudiziale” alla Corte di Cassazione e così dispone: «il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla corte di cassazione; 2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative; 3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi. l'ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale è motivata, e con riferimento alla condizione di cui al numero 2) del primo comma reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. essa è immediatamente trasmessa alla corte di cassazione ed è comunicata alle parti. il procedimento è sospeso dal giorno in cui è depositata l'ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale. il primo presidente, ricevuta l'ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l'enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l'inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma. la corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pub TEMI ISTITUZIONALI blica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui all'articolo 378. con il provvedimento che definisce la questione è disposta la restituzione degli atti al giudice. il principio di diritto enunciato dalla corte è vincolante nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti». 2.1.2. il ricorso per cassazione. Non presenta carattere sostanzialmente innovativo il nuovo quarto comma dell'art. 360 c.p.c., ove è aggiunto il seguente periodo: “Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4). Tale disposizione non si applica relativamente alle cause di cui all'articolo 70, primo comma”. La norma si limita, infatti, a disciplinare in tale diversa sede la preclusione alla ricorribilità per cassazione nei casi di c.d. doppia conforme, già contenuta all'art. 348-ter c.p.c., norma quest'ultima che viene contestualmente abrogata dal comma 26, lett. e), dell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022. All'art. 362 c.p.c., tra gli altri casi di ricorso per cassazione, viene richiamato, al comma 2, il nuovo istituto della “revocazione convenzionale”, compiutamente disciplinato dall'art. 391-quater c.p.c. (9), prevedendosi che “le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono altresì essere impugnate per revocazione ai sensi dell'articolo 391-quater quando il loro contenuto è stato dichiarato dalla corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli”. Con riferimento al contenuto del ricorso per cassazione, sebbene sostanzialmente recettive dell'orientamento giurisprudenziale in tema di chiarezza, (9) Si riporta il testo del nuovo art. 391-quater (revocazione per contrarietà alla convenzione europea dei diritti dell'uomo): “le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla convenzione per la salvaguardia dei diritti del- l'Uomo e delle libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni: 1) la violazione accertata dalla corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona; 2) l'equa indennità eventualmente accordata dalla corte europea ai sensi dell'articolo 41 della convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione. il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubbicazione della sentenza della corte europea ai sensi del regolamento della corte stessa. si applica l'articolo 391-ter, secondo comma. l'accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla corte europea”. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 sinteticità, specificità e autosufficienza del ricorso, si segnalano le seguenti modifiche: -al numero 3), il requisito dell’“esposizione sommaria dei fatti della causa” è sostituito dal seguente “la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso”; -al numero 4) il requisito dei “motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366-bis” è sostituito dal seguente: “la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”; -al numero 6), il requisito della “specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si- fonda” è così integrato: “la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l'illustrazione del contenuto rilevante degli stessi”. Come anticipato, il deposito dei ricorsi per cassazione notificati a partire dal 1° gennaio 2023 deve essere obbligatoriamente eseguito con modalità telematiche (art. 196-quater disp. att. c.p.c.). A tal proposito si evidenzia che non è più richiesto il deposito dell'istanza ex art. 369, comma 3, c.p.c., in quanto tale norma (secondo cui “il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della corte di cassazione del fascicolo d'ufficio; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso”) è abrogata dall'art. 3, comma 27, lett. e), n. 2, del d.lgs. n. 149/2022 (10). Con riferimento alla rinuncia del ricorso per cassazione (art. 390 c.p.c), si elimina l'onere della sua notificazione, essendo sufficiente il deposito (telematico) dell'atto di rinuncia, di cui è data comunicazione alle parti costituite a cura della cancelleria. Peraltro, ove l'esigenza di rinunciare al ricorso sorga prima del suo deposito, deve ritenersi che l'atto di rinuncia dovrà comunque essere notificato (al fine di evitare che il controricorrente possa iscrivere la causa a ruolo). 2.1.3. Controricorso e ricorso incidentale. di particolare rilievo la modifica dell'art. 370 c.p.c., ove non è più previsto l'onere di previa notificazione del controricorso, in quanto tale atto dovrà essere ora esclusivamente depositato, con modalità telematiche, “entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso”. (10) Il novellato art. 137-bis disp. att. c.p.c. assegna ora alla cancelleria della Corte di cassazione il compito di acquisire, entro 60 giorni dal deposito del ricorso, il fascicolo d'ufficio dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o che ha sollevato la questione. TEMI ISTITUZIONALI Pertanto, al fine di impedire la decadenza sarà necessario e sufficiente che, entro il predetto termine di 40 giorni, il controricorso venga depositato. Le stesse modalità (deposito entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso) vanno osservate per la proposizione dell'eventuale ricorso incidentale. diverso è il caso del controricorso per resistere al ricorso incidentale (art. 371 comma 4 c.p.c.) il cui termine di 40 giorni per il deposito deve ritenersi decorrere dalla scadenza del precedente termine di 40 giorni, a prescindere dalla data di effettivo deposito del ricorso incidentale (11). *** 2.2. Norme applicabili anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio. Le norme che vengono di seguito passate in rassegna interessano essenzialmente il procedimento in Cassazione e sono destinate a trovare applicazione non solo ai ricorsi notificati a decorrere dal 1° gennaio 2023, ma anche a tutti i ricorsi notificati in data anteriore e per i quali non sia stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza in camera di consiglio. Ne consegue che il vecchio rito continuerà a trovare applicazione solo per i ricorsi per i quali sia comunicata, entro il 31 dicembre 2022, la data del- l'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio. 2.2.1. nuovi documenti. Con riferimento alla produzione di nuovi documenti nel giudizio di cassazione, nel rispetto dei limiti posti dall'art. 372 c.p.c. (che sul punto rimane immutato), è abrogato l'incombente della notifica dell'elenco degli stessi alle altre parti, essendo ora sufficiente il solo deposito di tali documenti (ovviamente con modalità telematiche) “fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio” (art. 372, comma 2, c.p.c.). 2.2.2. il nuovo giudizio di cassazione. degna di nota è anzitutto l'eliminazione della Sezione Sesta, c.d. filtro, in quanto il novellato art. 376 c.p.c. prevede ora che “il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice”. Il giudizio di cassazione potrà essenzialmente svolgersi secondo tre diversi riti: a) il procedimento in pubblica udienza; (11) Invero né dall'art. 371 c.p.c. né dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 emerge con chiarezza quale sia il momento da cui decorre il termine di 40 giorni per il controricorso al ricorso incidentale, se, cioè, dalla data di deposito effettivo di quest'ultimo, ovvero dalla scadenza del termine di 40 giorni per tale adempimento. L'interpretazione più corretta da un punto di vista sistematico e logico è da ritenersi la seconda, in quanto, da un lato, coerente con il meccanismo di computo dei termini nel giudizio di merito (ancorato alla scadenza per l'adempimento precedente allorché sia previsto il deposito e non la notifica); dall'altro, in quanto la diversa tesi comporterebbe un onere di quotidiana verifica circa l'avvenuto deposito del ricorso incidentale al fine di individuare la decorrenza iniziale del termine per il controricorso ad incidentale. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 b) il procedimento in camera di consiglio; c) il procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. a) il procedimento in pubblica udienza. Il novellato art. 375 c.p.c., ora rubricato “Pronuncia in udienza pubblica o in camera di consiglio”, stabilisce anzitutto che “la corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione di diritto è di particolare rilevanza, nonché nei casi di cui all'articolo 391-quater”. Viene perciò sostanzialmente confermata la previsione secondo cui il procedimento in pubblica udienza è riservato alle sole questioni di diritto di particolare rilevanza nonché alle revocazioni per contrarietà alla CEdU. Si prevede che “dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere al pubblico ministero e agli avvocati delle parti almeno sessanta giorni prima” (art. 377 c.p.c.). Inoltre, ai sensi del novellato art. 378 c.p.c., mentre “il pubblico ministero può depositare una memoria non oltre venti giorni prima dell'udienza” (comma 1), “le parti possono depositare sintetiche memorie illustrative non oltre dieci giorni prima dell'udienza” (comma 2). Pertanto, viene modificato in aumento (da cinque a dieci giorni) il termine a ritroso per il deposito (obbligatoriamente telematico) di memorie in vista dell'udienza. da rilevare, poi, che: -“l'udienza si svolge sempre in presenza” (12) (art. 379, comma 1, c.p.c.); -è semplificato il contenuto della relazione, in quanto ora “il relatore espone in sintesi le questioni della causa” (art. 379, comma 2, c.p.c.); -si introduce un termine per il deposito della sentenza di novanta giorni dalla discussione della causa e deliberazione della sentenza (art. 380 c.p.c.). b) il procedimento in camera di consiglio. Tra le ipotesi in cui la Corte pronuncia con ordinanza in camera di consiglio si introducono -oltre a quella contemplata dall'art. 380-bis c.p.c., che disciplina il nuovo procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui si dirà infra -i casi in cui essa ritenga di dovere: -“1-bis) dichiarare l'improcedibilità del ricorso”; -“4-bis) pronunciare nei casi di correzione di errore materiale”; (12) L'attuale sistema -previsto dall'art. 23, comma 8-bis del d.L. n. 137/2020 -che subordinala discussione della causa nelle udienze pubbliche ad una richiesta delle parti la formulata almeno 25 giorni prima dell'udienza cesserà di operare al 31 dicembre 2022, come previsto dall'art. 16, comma 1, del d.L. n. 228/2021. TEMI ISTITUZIONALI -“4-ter) pronunciare sui ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo, salva l'applicazione del primo comma”; -e, infine, con norma di chiusura, “4-quater) in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza”. Il nuovo-procedimento in camera di consiglio è disciplinato dall'art. 380bis. 1 c.p.c., ove si prevede che: -la comunicazione dell'adunanza è data alle parti e al pubblico ministero almeno sessanta giorni prima dell'adunanza; -il pubblico ministero può depositare le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza; -le parti possono depositare “le loro sintetiche memorie illustrative non oltre dieci giorni prima dell'adunanza”; - la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti; -l'ordinanza, sinteticamente motivata, è depositata al termine della camera di consiglio, ma il collegio può riservarsi il deposito nei successivi sessanta giorni. È bene precisare che tale procedimento trova applicazione in tutti i casi in cui la Corte decide in camera di consiglio, ivi compreso quando si tratti di decidere sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza ai sensi dell'art. 380-ter c.p.c. ovvero sulle istanze di correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 391bis c.p.c. c) il procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. di particolare rilievo è la modificazione dell'art. 380-bis c.p.c. che introduce uno speciale procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati (la norma, dunque, non trova applicazione per i ricorsi fondati, applicandosi ai soli casi in cui la proposta del relatore sia sfavorevole per il ricorrente). Si prevede che: “se non è stata ancora fissata la data della decisione, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto. la proposta è comunicata ai difensori delle parti. entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, può chiedere la decisione. in mancanza, il ricorso si intende rinunciato e la corte provvede ai sensi dell'articolo 391. se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la corte procede ai sensi dell'articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell'articolo 96”. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 Pertanto, il nuovo procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati è così articolato: -a fronte della comunicazione della proposta, se il ricorrente resta inerte il ricorso si intende rinunciato ed il procedimento è definito con decreto del Presidente ai sensi dell'art. 391 c.p.c., che andrà a regolare il regime delle spese alla luce di quest'ultima previsione (che resta immutata), con esonero della parte rinunciante dal pagamento di quanto previsto dall'art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 (13) (ossia dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato); -la parte ricorrente, entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, può in alternativa depositare apposita istanza con cui chiedere la decisione; non è previsto che tale istanza debba essere motivata, sicché in linea di principio non vi dovrebbe essere la necessità, almeno in questa fase, di articolare difese e osservazioni rispetto alla proposta (che potranno essere rinviate alle successive memorie in vista dell'adunanza in camera di consiglio); -se è domandata la decisione, trova applicazione il nuovo procedimento in camera di consiglio non partecipata di cui all'art. 380-bis.1 c.p.c., i cui tratti salienti sono stati sopra ricordati; -in tal caso, se la Corte definisce il giudizio in conformità alla proposta del Presidente (o del suo delegato) applica il terzo e il quarto comma dell'art. 96 c.p.c., ossia le previsioni in tema di responsabilità processuale aggravata. In particolare, l'art. 96, comma 3, c.p.c. prevede che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Il successivo comma 4, aggiunto dall'art. 3, comma 6, d.lgs. n. 149/2022, stabilisce che “nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma (ossia in tutte le ipotesi in cui il giudice, su istanza di parte o d'ufficio, dichiari la responsabilità processuale aggravata della parte, n.d.r.), il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”. Si deve evidenziare che quest'ultima previsione (il comma 4 dell'art. 96 c.p.c.), a norma dell'art. 35, comma 1, del citato d.lgs. n. 149/2022, ha effetto (13) Si segnala che legislatore delegato è intervenuto a modificare, per ragioni di coerenza sistematica, l'art. 13 del citato TU, che individua gli importi del contributo unificato e che prevede, al comma 1-quater, che se l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale. Si aggiunge infatti un ulteriore comma (1-quater.1) per escludere tale obbligo di pagamento quando il ricorso per cassazione viene dichiarato estinto ai sensi dell'art. 380-bis, comma 3, c.p.c., a seguito della rinuncia della parte ad ottenere una pronuncia dalla Corte di cassazione a fronte della preliminare valutazione di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza. TEMI ISTITUZIONALI a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Tuttavia, considerato che alla stessa fa espresso rinvio il novellato art. 380-bis c.p.c., ossia una norma immediatamente applicabile ai giudizi di cassazione introdotti con ricorsi notificati dal 1° gennaio 2023, ovvero già notificati alla data del 1° gennaio 2023, ma per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, non pare possa escludersi che la giurisprudenza si orienti nel senso dell'immediata applicabilità, ai fini dell'art. 380-bis c.p.c., del nuovo comma 4 dell'art. 96 c.p.c. *** rapporti con l'amministrazione difesa nei casi di proposta ex art. 380bis c.p.c. Qualora pervenga una comunicazione ex art. 380-bis c.p.c. con la quale il ricorso proposto dall'Avvocatura sia ritenuto inammissibile, improcedibile o manifestamente infondato si ritiene opportuno -in sede di prima applicazione della nuova disposizione - operare con le seguenti modalità: 1) qualora la proposta sia ritenuta condivisibile dall'avvocato, ne dovrà essere data tempestiva notizia all'Amministrazione difesa, indicando i motivi per i quali si ritiene opportuno non depositare l'istanza per la decisione e provocare in tal modo la successiva emissione del decreto di estinzione del giudizio (con il passaggio in giudicato della decisione impugnata); 2) qualora la proposta sia ritenuta non condivisibile dall'avvocato d'intesa con il Vice Avvocato generale, non sarà necessario di norma dare notizia al- l'Amministrazione difesa della scelta di depositare l'istanza per la decisione diretta ad evitare la successiva emissione del decreto di estinzione del giudizio. *** Si allegano la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 e le Istruzioni operative concernenti le attestazioni di conformità per le sentenze da depositare in via telematica. L'AVVOCATO gENERALE gabriella PALMIERI SANdULLI (omissis) RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 1/2023 Oggetto: Modifiche al processo penale introdotte dagli artt. 4 e ss. del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Prime indicazioni operative. Indice Premessa Formalità e termini di costituzione della parte civile -l'azione civile nei gradi di impugnazione e la sua prosecuzione in sede civile Processo penale telematico - la partecipazione a distanza - libro ii Titolo ii bis Processo penale telematico - le notificazioni Modalità di presentazione dell'impugnazione e svolgimento dei relativi giudizi altre norme di potenziale interesse norme sulla competenza territoriale rimedi per l'esecuzione delle decisioni della corte europea dei diritti dell'uomo *** Premessa Sulla g.U. n. 243 S.O. del 17 ottobre 2022 è stato pubblicato il testo del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, “attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” (c.d. riforma cartabia), la cui entrata in vigore è stata differita al 30 dicembre 2022 dall'art. 6, comma 1, del d.L. 31 ottobre 2022 n. 162, convertito con modificazioni con la Legge 30 dicembre 2022, n. 199, che ha aggiunto al testo del decreto legislativo un apposito art. 99-bis. dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo (in g.U. n. 245 del 19 ottobre 2022 Supplemento straordinario n. 5), si ricava che il filo conduttore degli interventi di riforma è rappresentato dall'efficienza del processo e della giustizia penale, in vista della piena attuazione dei principi costituzionali, convenzionali e dell'Ue, nonché del raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R., che prevedono, entro il 2026, la riduzione del 25% della durata media del processo penale nei tre gradi di giudizio. La riduzione dei tempi del processo penale, attraverso una riforma organica come quella oggetto del decreto legislativo è, altresi, funzionale a completare il percorso di riforma avviato con le disposizioni immediatamente precettive della Legge n. 134/2021 (art. 2) e, in particolare, con quelle che hanno introdotto, con l'art. 344-bis c.p.p., l'istituto dell'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (v. pag. 182 Relazione). Come prima indicazione di carattere orientativo, si può osservare che la riforma interviene in tre ambiti principali: -riforma del sistema sanzionatorio penale TEMI ISTITUZIONALI -riforma del processo penale -introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa Lo scopo della presente circolare è fornire prime indicazioni operative sulla riforma del processo penale, evidenziando quali norme, tra le numerose del complessivo disegno (si tratta, invero, di una riforma ampia, organica e di sistema), assumano il maggiore e più immediato impatto per l'attività degli avvocati e dei procuratori dello Stato. Si è inteso, inoltre, limitare l'analisi alle sole disposizioni la cui entrata in vigore è fissata al 30 dicembre, tralasciando di considerarne altre la cui efficacia è allo stato -differita in attesa della adozione di regolamenti attuativi (processo penale telematico e disciplina generale degli atti, malfunzionamento dei sistemi informatici, modalità telematiche di presentazione delle impugnazioni) (1); (1) Si tratta di norme destinate ad entrare in vigore -ai sensi dell'art. 87, commi 4, 5, 6, 6-bis, 6ter, 6-quater, 6-quinquies del d.lgs. n. 150/2022, come modificato dall'art. 5-quater (“Modifiche all'articolo 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, recante disposizioni transitorie e materia di processo penale telematico”) del d.L. n. 162/2022 e salva diversa previsione specifica -a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta Ufficiale dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3; regolamenti attuativi emanati dal Ministero della giustizia, sentiti il garante per la protezione dei dati personali, il CSM e il CNF, per la disciplina delle regole tecniche del processo telematico, da adottarsi entro il 31 dicembre 2023. Per effetto delle disposizioni introdotte dal d.L. n. 162/2022, sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei suddetti regolamenti attuativi o nel diverso termine ivi previsto, per le tipologie di atti specificamente indicati al comma 6-bis dell'art. 87 (tra i quali, le memorie, i documenti, l'opposizione alla richiesta di archiviazione, la querela e la denunzia) da depositare presso gli uffici di segreteria della Procura della Repubblica “l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge”; essi andranno pertanto depositati “esclusivamente mediante deposito nel portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia e con le modalità stabilite dal medesimo provvedimento”. Ai sensi dell'art. 87-bis (“disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze”), come introdotto all'art. 5-quinquies del d.L. n. 162/2022, “per tutti gli atti, i documenti e le istanze diversi da quelli previsti dall'art. 87, comma 6-bis e da quelli individuati ai sensi del comma 6-ter del medesimo articolo” con lo stesso regime intertemporale (cioè sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei decreti attuativi o nel diverso termine ivi previsto), “è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro Generale degli indirizzi elettronici di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 [Reginde]. il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del direttore generale per i servizi informativi automatizzati... con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche... quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento... il deposito può essere seguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore 24 del giorno di scadenza... 3. Quando il deposito di cui al comma 1 ha ad oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate nel provvedimento del direttore generale... e contiene la specifica indicazione degli allegati che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale”. Si rimanda, per maggiori approfondimenti, alla lettura dei commi 4 e seguenti. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 -ovvero differita in attesa dei necessari adeguamenti tecnologici (videoriprese delle attività istruttorie) (2). *** Formalità e termini di costituzione della parte civile. l'azione civile nei gradi di impugnazione e la sua prosecuzione in sede civile. di particolare rilievo appaiono le norme relative alla formalità e ai termini per la costituzione di parte civile alle quali, in mancanza di un'apposita norma transitoria, si applica l'art. 99-bis del d.lgs. 150/2022 e dunque l'entrata in vigore è fissata per la data del 30 dicembre 2022. L'art. 78 (“Formalità della costituzione di parte civile”) contiene una modifica alla lett. d) ove è precisato che l'atto dovrà contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda “agli effetti civili”. L'innovazione, che, ad una prima lettura potrebbe apparire pleonastica, nella Relazione illustrativa alla riforma (pag. 331), viene giustificata dalla necessità di approntare sin dall'inizio una domanda risarcitoria idonea e completa, in termini di editio actionis e di petitum nonché di onere di allegazione assertiva e, preferibilmente, anche probatoria, laddove si presenti il caso dell'impugnazione della sentenza “per i soli interessi civili” e, in applicazione del nuovo comma 1bis dell'art. 573 c.p.p., la Corte d'Appello o la Corte di cassazione, rinviino per la prosecuzione del giudizio al giudice civile competente che decide sulle questioni civili. Si riporta la norma di interesse: art. 573 (“impugnazione per i soli interessi civili”), comma 1-bis:«1-bis. Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile» (3). (2) Ai sensi dell'art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 150/2022, come modificato dall'articolo 5-undecies (“Modifica all'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in materia di disciplina transitoria per le videoregistrazioni”) del d.L. n. 162/2022, “le disposizioni di cui all'articolo 30, comma 1, lettera i,), [cioè, commi 2-bis e 3-bis dell'art. 510 c.p.p.] si applicano decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”: dunque a partire dal 1° luglio 2023. Per effetto del richiamo operato all'art. 510 da parte dell'art. 441 (“Svolgimento del giudizio abbreviato”), comma 6 ultimo periodo nella sua nuova formulazione -“le prove dichiarative sono documentate nelle forme previste dal- l'articolo 510” -anche per il giudizio abbreviato la norma sulla documentazione con strumenti di riproduzione audiovisiva dei mezzi di prova troverà applicazione decorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto. (3) Si legge infatti nella Relazione che «l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. diventa applicabile, invero, soltanto dopo che il giudice penale dell'impugnazione abbia verificato l'assenza d'impugnazione anche agli effetti penali. Questa scelta del legislatore delegato determina un ulteriore risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni, e non si pone in conflitto con la giurisprudenza costituzionale, data la limitazione della cognizione del giudice civile alle "que TEMI ISTITUZIONALI Analoga previsione ricorre all'art. 578 (“decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”) -comma 1-bis, laddove è previsto che «1-bis. Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice di appello e la corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis (4), rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile» (5). L'art. 578 va letto in correlazione con l'art. 175-bis delle disposizioni di attuazione (“decisione sulla improcedibilità ai sensi dell'articolo 344-bis del codice”), ove si prevede che «1. ai fini di cui agli articoli 578, comma 1-bis, e 578-ter, comma 2 del codice, la corte di cassazione e le corti di appello, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, si pronunciano sulla improcedibilità non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all'articolo 344-bis del codice». L'art. 79 (“Termine per la costituzione di parte civile”), dopo le modifiche recate dall'art. 5, lett. c), del d.lgs. n. 150/2022, recita: «1. la costituzione diparte civile può avvenire per l'udienza preliminare e successivamente, prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o, quando manca l'udienza preliminare, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484 o dall'articolo 554-bis, comma 2. stioni civili ". il giudice civile non potrebbe pertanto accertare incidentalmente il tema già definito della responsabilità penale, neppure nel caso di appello proposto dalla sola parte civile avverso la sentenza di assoluzione dell'imputato, con una soluzione normativa che evita i profili d'illegittimità ravvisati dalla sentenza della corte costituzionale n. 176 del 2019, rispetto all'eventualità di un accertamento dell'illecito penale compiuto in sede civile. con il rinvio dell'appello o del ricorso al giudice civile l'oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l'illecito penale implica l'illecito civile). non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile. ragionevolmente, l'eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano “la domanda agli effetti civili”, secondo l'innovata formulazione dell'art. 78, lett. d), cpp.». (4) Salvo proroghe motivate o per particolari titoli di reato, i termini di improcedibilità della azione penale sono di 2 anni per il grado di appello e di 1 anno per quello di cassazione. (5) Il successivo comma 1-ter prevede poi: «1-ter. nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione». RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 2. i termini previsti dal comma 1 sono stabiliti a pena di decadenza. 3. Quando la costituzione di parte civile è consentita fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484, se la stessa avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici». Nella sua nuova stesura la norma limita la possibilità della costituzione di parte civile per l'udienza preliminare e successivamente, prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (6), salvo che, in relazione al rito prescelto (giudizio immediato) o per altre evenienze (giudizio per direttissima), manchi l'udienza preliminare. In tale secondo caso, la costituzione si può effettuare a dibattimento fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484. Infine, per i procedimenti a citazione diretta nei quali l'udienza preliminare manca strutturalmente, fino a che non siano compiuti gli accertamenti previsti dall'art. 554-bis, comma 2, c.p.p. che regola lo svolgimento della neoistituita udienza di comparizione predibattimentale. L'art. 79 può considerarsi norma di carattere processuale, con conseguente sua applicazione, secondo il principio generale tempus regit actum, anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore e relativamente a quelle fasi processuali non ancora esaurite alla data del 30 dicembre 2022. Ne deriva che, se alla data del 30 dicembre 2022 si fossero già conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti di cui all'art. 420 co. 2 c.p.p., è garantita la possibilità, come prevista nella precedente versione della norma, di costituirsi parte civile anche per l'udienza dibattimentale, entro i termini di cui all'art. 484 c.p.p. La conferma di tale interpretazione emerge anche dalle modifiche introdotte in sede di conversione in legge del d.L. n. 162/2022 che, con l'art. 5-ter, ha aggiunto un apposito art. 85-bis -(“disposizioni transitorie in materia di termini per la costituzione di parte civile”) al d.lgs. n. 150/2022, secondo cui: "1. nei procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono già stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell'udienza preliminare, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera c), del presente decreto e continuano ad applicarsi le disposizioni dell'articolo 79 e, limitatamente alla persona offesa, dell'articolo 429, comma 4, del codice di procedura penale, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto”. L'interpolazione nel primo comma del riferimento all'art. 554-bis, così come l'ulteriore modifica del comma 3, rispondono a esigenze di coordina (6) Vale a dire, in vista o nel corso dell'udienza preliminare, tenendo tuttavia presente che ove si proceda alla costituzione di parte civile prima dell'udienza occorrerà provvedere alla notifica, a cura della costituenda parte civile, alle altre parti e che essa produrrà effetto per ciascuna delle suddette parti dal giorno nel quale è eseguita la notificazione (art. 78, comma 2, c.p.p.). TEMI ISTITUZIONALI mento con la c.d. udienza-filtro prevista proprio dall'art. 554-bis nei giudizi in cui manchi l'udienza preliminare perché a citazione diretta (v. Relazione illustrativa, pag. 270). Nei giudizi nei quali, invece, l'udienza preliminare, normalmente prevista, manchi quale conseguenza della scelta del giudizio immediato, il termine di costituzione viene spostato al dibattimento, fino a che non siano stati compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484. Tale previsione si applica sia al rito con udienza preliminare sia al rito a citazione diretta, posto che in questa seconda ipotesi nel caso di emissione del decreto di giudizio immediato non si procede all'udienza predibattimentale prevista dal- l'articolo 554-bis (art. 558-bis comma 2). Eguale soluzione ermeneutica deve ritenersi nel caso di giudizio per direttissima in cui l'eliminazione dell'udienza preliminare è l'effetto dell'arresto in flagranza di reato o della confessione resa dalla persona indagata nel corso dell'interrogatorio (artt. 449 e 558). L'art. 554-bis (“Udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta”), per la parte di maggiore interesse, recita: «1. l'udienza di comparizione predibattimentale si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. 2. il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e della notificazione di cui dichiara la nullità. se l'imputato non è presente si applicano le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies. 3. le questioni indicate nell'articolo 491, commi 1 e 2, o quelle che la legge prevede siano proposte entro i termini di cui all'articolo 491, comma 1, sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente. esse non possono essere riproposte nell'udienza dibattimentale. si applicano i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 491. [...] ». L'articolo 554-bis, come anche gli artt. 554-ter, 554-quater e 554-quinques c.p.p., per effetto dell'art. 89-bis (“disposizioni transitorie in materia di udienza predibattimentale”), introdotto dall'art. 5-octies del d.L. n. 162/2022, “... si applicano nei procedimenti penali nei quali il decreto di citazione a giudizio è emesso in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto”. Le modifiche apportate all'art. 79, finalizzate ad accelerare lo svolgimento del processo riducendo gli spazi di manovra della più frequente delle parti eventuali, attuando il criterio di cui all'art. 1, comma 9, lett. o), della legge delega, appaiono di forte impatto e imporranno, a livello organizzativo, delle misure atte ad accelerare le comunicazioni con le Amministrazioni persone offese interessate alla costituzione di parte civile. In particolare, sarà necessario portare a termine nel più breve tempo possibile i procedimenti istruttori finalizzati alla determinazione se costituirsi o meno, ivi compresa l'acquisizione dell'au RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 torizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3. Processo penale telematico -la partecipazione a distanza -libro ii Titolo ii-bis Nel disegno di innovazione e trasformazione del processo, ruolo rilevante assumono anche le due disposizioni del nuovo Titolo II-bis del Libro II, Partecipazione a distanza, introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 150/2022. Per esse non è previsto alcun regime transitorio, dal che deve desumersi che la loro entrata in vigore coincida con il termine generale di cui all'art. 99bis (30 dicembre 2022). dovrebbe anche ritenersi, in mancanza di previsioni in senso contrario, una loro immediata applicabilità ai procedimenti in corso alla data del 30 dicembre 2022. La disposizione di apertura art. 133-bis (“disposizione generale”) sancisce la possibilità che un atto sia compiuto a distanza o che una o più parti possano partecipare a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di un'udienza, rimandando, salvo che sia diversamente disposto, alla disciplina uniforme dell'art. 113-ter:«1. salvo che sia diversamente previsto, quando l'autorità giudiziaria dispone che un atto sia compiuto a distanza o che una o più parti possano partecipare a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di un'udienza si osservano le disposizioni di cui all'articolo 133-ter». L'art. 113-ter, (“Modalità e garanzie della partecipazione a distanza”) prevede che: «1. l'autorità giudiziaria, quando dispone che un atto sia compiuto a distanza o che una o più parti partecipino a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di un'udienza, provvede con decreto motivato. Quando non è emesso in udienza, il decreto è notificato o comunicato alle parti unitamente al provvedimento che fissa la data per il compimento dell'atto o la celebrazione dell'udienza e, in ogni caso, almeno tre giorni prima della data suddetta. il decreto è comunicato anche alle autorità interessate. 2. nei casi di cui al comma 1 è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza o l'ufficio giudiziario e il luogo in cui si trovano le persone che compiono l'atto o che partecipano all'udienza a distanza. il luogo in cui si trovano le persone che compiono l'atto o che partecipano all'udienza a distanza è equiparato all'aula di udienza. 3. il collegamento audiovisivo è attuato, a pena di nullità, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti all'atto o all'udienza e ad assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti nei diversi luoghi e la possibilità per ciascuna di essa di udire quanto viene detto dalle altre. nei casi di udienza pubblica è assicurata un'adeguata pubblicità degli atti compiuti a distanza. dell'atto o dell'udienza è sempre disposta la registrazione audiovisiva. 4. salvo quanto disposto dai commi 5, 6 e 7, le persone che compiono TEMI ISTITUZIONALI l'atto o che partecipano all'udienza a distanza si collegano da altro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria individuato dall'autorità giudiziaria, previa verifica della disponibilità di dotazioni tecniche e di condizioni logistiche idonee per il collegamento audiovisivo. 5. le persone detenute, internate, sottoposte a custodia cautelare in carcere o ristrette in carcere a seguito di arresto o di fermo, quando compiono l'atto o partecipano all'udienza a distanza, si collegano dal luogo in cui si trovano. 6. sentite le parti, l'autorità giudiziaria può autorizzare le persone che compiono l'atto o che partecipano all'udienza a distanza a collegarsi da un luogo diverso da quello indicato nel comma 4. 7. i difensori si collegano dai rispettivi uffici o da altro luogo, purché idoneo. È comunque assicurato il diritto dei difensori o dei loro sostituti di essere presenti nel luogo dove si trova l'assistito. È parimenti sempre assicurato il diritto dei difensori o dei loro sostituti di consultarsi riservatamente tra loro e con l'assistito per mezzo di strumenti tecnici idonei. 8. nei casi di cui ai commi 4 e 5 e, ove l'autorità giudiziaria non disponga diversamente, nel caso di cui al comma 6, un ausiliario del giudice o del pubblico ministero, individuato anche tra gli ausiliari in servizio presso l'ufficio giudiziario di cui al citato comma 4, o un ufficiale di polizia giudiziaria, designato tra coloro che non svolgono, né hanno svolto, attività di investigazione o di protezione nei confronti dell'imputato, è presente nel luogo ove si trovano le persone che compiono l'atto o che partecipano all'udienza a distanza, ne attesta l'identità e redige verbale delle operazioni svolte a norma dell'articolo 136, in cui dà atto dell'osservanza delle disposizioni di cui al comma 3, primo periodo, e al comma 8, secondo e terzo periodo, delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell'esame con riferimento al luogo in cui la persona si trova, nonché dell'assenza di impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà ad essa spettanti». Nel medesimo contesto si collocano diverse altre norme tese a promuovere l'utilizzo degli strumenti di comunicazione a distanza onde favorire la celebrazione delle udienze ovvero il compimento di atti del procedimento in modo più celere ma parimenti efficace. Così l'art. 146-bis delle disposizioni di attuazione (“Partecipazione al dibattimento a distanza”), che al comma 4bis specifica: «in tutti iprocessi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo ai sensi dei commi precedenti, il giudice, su istanza, può consentire alle altre parti private e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l'onere dei costi del collegamento». E ancora l'art. 496 (“ordine e modalità dell'assunzione delle prove”), che, al comma 2-bis, prevede: «2-bis. salvo che una particolare disposizione di legge preveda diversamente, il giudice può disporre, con il consenso delle parti, che l'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle persone indicate nell'articolo 210 e delle parti private si svolga a distanza». RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 Per la fase procedimentale delle indagini, si evidenzia l'art. 360 (“accertamenti tecnici non ripetibili”), laddove, al comma 3-bis, prevede che «il pubblico ministero può autorizzare la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato, i difensori e i consulenti tecnici eventualmente nominati, che ne facciano richiesta, a partecipare a distanza al conferimento dell'incarico o agli accertamenti». Processo penale telematico - le notificazioni Sono state poi profondamente rivisitate le norme sulle notificazioni alla luce del progressivo sviluppo, anche in sede penale, dello strumento della posta elettronica certificata. Si tratta di un gruppo di disposizioni per le quali, in assenza di un regime transitorio ad hoc, l'entrata in vigore coincide con il termine generale del 30 dicembre 2022. dovrebbe anche ritenersi, in mancanza di previsioni in senso contrario, una loro immediata applicabilità ai procedimenti in corso alla data del 30 dicembre 2022. L'art. 148 (“organi e forme delle notificazioni”), al comma 1, generalizza, quale strumento tendenziale, l'uso dello strumento informatico per le notificazioni compiute dall'Ufficio: «1. in ogni stato e grado del processo, salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche che, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, assicurano la identità del mittente e del destinatario, l'integrità del documento trasmesso, nonché la certezza, anche temporale, dell'avvenuta trasmissione e ricezione» (7). L'art. 149 (“notifiche urgenti a mezzo del telefono o del telegrafo”) per le persone diverse dall'imputato, al comma 4, prevede la possibilità che la telefonata sia confermata al destinatario mediante telegramma «o, in alternativa, mediante comunicazione all'indirizzo di posta elettronica indicato dallo stesso». Si noti che la norma non richiama, ai fini della conferma della notifica urgente, la posta elettronica certificata ma quella semplice (c.d. peo) purché indicata dal destinatario. (7) Il secondo ed il terzo comma disciplinano: le forme di notifica alle persone presenti o rappresentate dal difensore in loro presenza mediante lettura dei provvedimenti e degli avvisi che sono dati dal giudice o dal pubblico ministero, purché ne sia fatta menzione nel verbale, nonché mediante consegna a mani di copia degli atti in formato analogico, tramite annotazione in calce all'originale dell'atto della consegna e della data in cui essa è avvenuta. I commi 4 e 5, prevedono a chiusura, che «4. in tutti i casi in cui, per espressa previsione di legge, per l'assenza o l'inidoneità di un domicilio digitale del destinatario o per la sussistenza di impedimenti tecnici, non è possibile procedere con le modalità indicate al comma 1, e non è stata effettuata la notificazione con le forme previste nei commi 2 e 3, la notificazione disposta dall'autorità giudiziaria è eseguita dagli organi e con le forme stabilite nei commi seguenti e negli articoli del presente titolo. 5 le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita funzioni». TEMI ISTITUZIONALI L'art. 152 (“notificazioni richieste dalle parti private”) estende il potere dei difensori di procedere mediante l'invio del documento, oltre che per lettera raccomandata AR, anche tramite pec: «1. salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dalla notificazione con modalità telematiche eseguita dal difensore a mezzo di posta elettronica certificata ovvero dall'invio di copia dell'atto in forma di documento analogico effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento» (8). L'art. 152 va inoltre correlato con l'art. 168 (“relazione di notificazione”), comma 1 primo periodo, secondo cui «1. Per le notificazioni effettuate con modalità telematiche la ricevuta di avvenuta consegna, generata dal sistema, assume valore di relazione di notificazione». Nella apparente antinomia delle due disposizioni appena riportate (art. 56-bis disp. att. in nota n. 8 e art. 168 c.p.p.) deve ritenersi che l'ordinamento oneri il difensore della parte privata di allegare comunque la relazione di notificazione alla pec che contiene l'atto da notificare, dovendosi leggere la formula di equivalenza contenuta nell'art. 168 come disposizione di carattere generale principalmente rivolta alle notifiche effettuate dagli Uffici (Cancellerie e Segreterie). Per il resto, ad una prima lettura, non si notano particolari difformità rispetto al modello di notifica in uso nel processo civile. L'art. 154 (“notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria”). La disposizione di interesse, recata al comma 3, è rimasta immutata. La si riporta per (8) La norma va letta in correlazione con l'art. 56-bis delle disposizioni di attuazione (“notificazione con modalità telematiche effettuate dal difensore”), che precisa le modalità tecniche attraverso cui procedere: «1. la notificazione con modalità telematiche è eseguita dal difensore a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi. 2. l'avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata. la relazione deve contenere: a) il nome e il cognome dell'avvocato notificante; b) il nome e il cognome della parte che lo ha nominato o nel cui interesse è stato nominato; c) il nome e cognome del destinatario; d) l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui l'atto viene notificato; e) l'indicazione dell'elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto; f) l'ufficio giudiziario, l'eventuale sezione e il numero del procedimento. 3. Quando l'atto da notificarsi è redatto in forma di documento analogico, l'avvocato provvede ad estrarne copia informatica, sulla quale appone attestazione di conformità nel rispetto delle modalità previste per i procedimenti civili. 4. ai fini previsti dall'articolo 152 del codice, il difensore documenta l'avvenuta notificazione dell'atto con modalità telematiche depositando in cancelleria l'originale informatico o la copia informatica del- l'atto inviato, di cui attesta la conformità all'originale, la relazione redatta con le modalità di cui al comma 2, nonché le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna generate dal sistema». RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 completezza: «3. se si tratta di pubbliche amministrazioni, di persone giuridiche o di enti privi di personalità giuridica, le notificazioni sono eseguite nelle forme stabilite per il processo civile». da ciò è possibile desumere che le notifiche a cura del giudice, del Pubblico Ministero e delle altre parti continueranno a dover essere effettuate ai sensi dell'art. 144 c.p.c. e dell'art. 11 R.d. n. 1611/1933 per le Amministrazioni dello Stato e per i soggetti che fruiscono del patrocinio organico ed esclusivo dell'Avvocatura dello Stato, mentre andranno effettuate presso la sede legale dell'ente per i soggetti a patrocinio facoltativo o autorizzato. L'art. 171 (“nullità delle notificazioni”) adegua le ipotesi di nullità alle specificità dei nuovi strumenti introdotti, prevedendo al comma 1 lett. b-bis che «la notifica è nulla: [...] se, in caso di notificazione eseguita con modalità telematiche, non sono rispettati i requisiti di cui al comma 1 dell'articolo 148». Nello stesso ambito sistematico, relativo alla notifica degli atti processuali con modalità informatiche, va considerato l'art. 16 (“Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica”) del d.L. n. 179/2012, come modificato, nei commi 4, 6, 7 e 8, dall'art. 69 del d.lgs. n. 150/2022, di particolare interesse per la casistica ivi affrontata: “4. nei procedimenti civili e in quelli davanti al consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. allo stesso modo si procede per le notificazioni da eseguire a norma dell'articolo 148, comma 1, del codice di procedura penale. la relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria. 5. la notificazione o comunicazione che contiene dati sensibili è effettuata solo per estratto con contestuale messa a disposizione, sul sito internet individuato dall'amministrazione, dell'atto integrale cui il destinatario accede mediante gli strumenti di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. 6. le notificazioni e comunicazioni ai soggetti diversi dall'imputato per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario. 7. nei procedimenti civili nei quali sta in giudizio personalmente la parte il cui indirizzo di posta elettronica certificata non risulta da pubblici elenchi, la stessa può indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento. in tale caso TEMI ISTITUZIONALI le comunicazioni e notifìcazioni a cura della cancelleria, si effettuano ai sensi del comma 4 e si applicano i commi 6 e 8. Tutte le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica comunicati a norma del comma 12. 7-bis. nei procedimenti penali quando l'imputato o le altre parti private dichiarano domicilio presso un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante da pubblici elenchi, le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria o della segreteria si effettuano ai sensi del comma 4. nelle ipotesi di mancata consegna dei messaggi di posta elettronica certificata per cause non imputabili al destinatario, si applicano per l'imputato le disposizioni di cui all'articolo 161, comma 4, del codice di procedura penale e per le altre parti private le disposizioni di cui al comma 6 del presente decreto. 8. Quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l'articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile e, nei procedimenti penali, le disposizioni dell'articolo 148, comma 4, del codice di procedura penale”. Modalità di presentazione dell'impugnazione e svolgimento dei relativi giudizi La riforma è intervenuta profondamente anche sullo svolgimento dei giudizi di impugnazione, estendendo ai gradi successivi le modalità telematiche e ampliando sensibilmente le ipotesi di trattazione in assenza delle parti e con modalità cartolare, secondo un disegno già sperimentato nel giudizio civile di cassazione sin dal 2016 (9). Si tratta di un complesso di norme parte delle quali (quella relativa alla trattazione delle impugnazioni in camera di consiglio) (10) è destinata ad operare, secondo quanto disposto dall'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150/2022, come modificato dall'art. 5-duodecies del d.L. n. 162/2022, per le impugnazioni proposte a partire dal 1° luglio 2023, continuandosi allo stato ad applicare la normativa di carattere emergenziale (11), mentre altra parte (quella relativa (9) Modifiche al processo civile di cassazione introdotte dall'art. 1-bis del d.L. 31 agosto 2016 n. 168 convertito nella legge 25 ottobre 2016 n. 197. (10) Artt. 598-bis, 599, 599-bis, 601 (commi 2, 3 e 5), 602, 611 c.p.p. e art. 167-bis disp. att. (11) Art. 5-duodecies d.L. n. 162/2022: «1. all'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, nonché le disposizioni di cui all'articolo 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto- legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020. n. 176. se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo”». L'art. 23 (“disposizioni per l'esercizio del- l'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da coVid- 19”) comma 8, del d.L. n. 137/2020, nella parte di interesse, dispone: "8. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trat RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 alle modalità telematiche di presentazione dell'impugnazione) decorsi 15 giorni dalla pubblicazione dei decreti Ministeriali di cui all'art. 87 d.lgs. n. 150/2022 (12); per il resto (13), mancando un regime intertemporale specifico, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 99-bis del d.lgs. n. 150/2022. tazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle delle parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata. la cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. alla deliberazione si procede con le modalità di cui al comma 9; non si applica l'articolo 615, comma 3, del codice di procedura penale e il dispositivo è comunicato alle parti. la richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell'articolo 613 del codice di procedura penale entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria” e, nel comma 9, che “9. nei procedimenti civili e penali, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia. il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile. nei procedimenti penali le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto”. L'art. 23-bis (“disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da coVid-19”) prevede che: “1. a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino al 31 luglio 2021, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. 2. entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. la cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto. 3. alla deliberazione la corte di appello procede con le modalità di cui all'articolo 23, comma 9. il dispositivo della decisione è comunicato alle parti. 4. la richiesta di discussione orale è formulta per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza. [...] 7. le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nei procedimenti di cui agli articoli 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e agli articoli 310 e 322-bis del codice di procedura penale. in quest'ultimo caso, la richiesta di discussione orale di cui al comma 4 deve essere formulata entro il termine perentorio di cinque giorni liberi prima dell'udienza”. TEMI ISTITUZIONALI enTraTa in ViGore 30 DiCeMBre 2022 (arT. 99-BiS D.lGS. n. 150/2022) L'art. 581 (“Forma dell'impugnazione”), ai commi 1-bis e 1-ter, prevede che: “1-bis. l'appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione. 1-ter. con l'atto d'impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d'inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”. La prima disposizione costituisce espressione, comune ad altre giurisdizioni, del principio per cui l'appello, pur non essendo un mezzo di impugnazione a critica vincolata, debba essere specificamente motivato e destinato ad incidere su parti ben indentificate della decisione gravata. Si richiama l'attenzione sulla previsione del comma 1-ter, prevista a pena di inammissibilità dell'appello, e sulla necessità di evidenziare particolarmente, in seno all'atto da redigere, i caratteri (ove sussistenti) della domiciliazione obbligatoria presso l'Avvocatura. Negli altri casi, particolare attenzione andrà posta nella evidenziazione del domicilio dell'Ente a patrocinio facoltativo ovvero autorizzato. enTraTa in ViGore Per le iMPUGnaZioni ProPoSTe Dal 1° lUGlio 2023 (arT. 94, CoMMa 2, D.lGS. n. 150/2022 CoMe MoDiFiCaTo Dall’arT. 5DUoDeCieS Del D.l. n. 162/2022) L'art. 598-bis (“decisioni in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti”) generalizza il rito camerale senza presenza delle parti ai giudizi di appello, prevedendo che: “1. salvo quanto previsto nei commi da 2 a 4 o da altre particolari disposizioni di legge, la corte provvede sull'appello in camera di consiglio, giudicando sui motivi, sulle richieste e sulle memorie senza la partecipazione delle parti. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica. il provvedimento emesso in seguito alla camera di consiglio è immediatamente depositato in cancelleria. il deposito della sentenza equivale alla lettura in udienza ai fini di cui all'articolo 545. 2. l'appellante e, in ogni caso, l'imputato o il suo difensore possono chiedere di partecipare all'udienza. la richiesta è irrevocabile ed è presentata, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione di cui all'articolo 601 o dell'avviso della data fissata per il giudizio (12) Art. 87, commi 4 e 5, si tratta dell'art. 582, commi 1 e 1-bis, e dell'art. 585, comma 4, c.p.p. nonché dell'art. 154, commi 2, 3 e 4, disp. att. (13) V. ad es. gli artt. 603 e 604 c.p.p. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 di appello. la parte privata può presentare la richiesta esclusivamente a mezzo del difensore. Quando la richiesta è ammissibile, la corte dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti e indica se l'appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall'articolo 127. il provvedimento è comunicato al procuratore generale e notificato ai difensori. 3. la corte può disporre d'ufficio che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame, con provvedimento nel quale è indicato se l'appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall'articolo 127. il provvedimento è comunicato al procuratore generale e notificato ai difensori, salvo che ne sia stato dato avviso con il decreto di citazione di cui all'articolo 601. 4. la corte, in ogni caso, dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti quando ritiene necessario procedere alla rinnovazione del- l'istruzione dibattimentale a norma dell'articolo 603, comma 5” (14). Il legislatore si è, dunque, mosso verso un modello di processo di impugnazione di merito (ma vedremo anche di legittimità) che, salvo le eccezioni seguenti, non contempla la presenza delle parti in udienza, valorizzando il contraddittorio scritto a scapito della oralità. L'art. 599 (“decisioni in camera di consiglio”) specifica in quali casi l'appello viene trattato in camera di consiglio con la presenza delle parti: “1. Quando dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti, la corte provvede con le forme previste dall'articolo 127, oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, quando l'appello ha ad oggetto una sentenza pronunciata a norma dell'articolo 442 o quando ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario. [...]”. L'art. 601 (“atti preliminari al giudizio”), al comma 2, prevede che: “2. Quando la corte, anteriormente alla citazione, dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti, ne è fatta menzione nel decreto di citazione. nello stesso decreto è altresì indicato se l'appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio, con le forme previste dall'articolo 127. 3. il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti pre( 14) V. anche art. 167-bis (“disposizioni di attuazione -adempimenti connessi all'udienza di cui all'articolo 598-bis del codice”): “1. avviso del deposito del provvedimento emesso dalla corte in seguito alla camera di consiglio di cui all'articolo 598-bis del codice, contenente l'indicazione del dispositivo, è comunicato a cura della cancelleria al procuratore generale e ai difensori delle altre parti”. TEMI ISTITUZIONALI visti dall'articolo 429 comma 1, lettere a), f), g) nonché l'indicazione del giudice competente e, fuori dal caso previsto dal comma 2, l'avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l'appellante o, in ogni caso, l'imputato o il suo difensore chiedano di partecipare nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del decreto. il decreto contiene altresì l'avviso che la richiesta di partecipazione può essere presentata dalla parte privata esclusivamente a mezzo del difensore. il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni. 4. È ordinata in ogni caso la citazione del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e della parte civile; questa è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento. 5. almeno quaranta giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori [...]”. L'art. 602 (“dibattimento in appello”) prevede, infine, chiudendo il quadro delle ipotesi, che: “1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 599, quando dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti, la corte provvede in pubblica udienza. nell'udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. [...]”. L'art. 611 (“Procedimento in camera di consiglio”), per il giudizio di cassazione, dispone analogamente all'appello che: “1. salvo quanto previsto nei commi 2-ter e 2-quater o da altre particolari disposizioni di legge, la corte provvede sui ricorsi in camera di consiglio, giudicando sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica. 2. (abrogato...). 2-bis. nei procedimenti per la decisione su ricorsi contro le sentenze pronunciate nel dibattimento o ai sensi dell'articolo 442 il procuratore generale e i difensori possono chiedere la trattazione in pubblica udienza. Gli stessi possono chiedere la trattazione in camera di consiglio con la loro partecipazione per la decisione: a) su ricorsi da trattare con le forme previste dall'articolo 127; b) su ricorsi avverso sentenze pronunciate all'esito di udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, a norma dell'articolo 598-bis, salvo che l'appello abbia avuto esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 2-ter. le richieste di cui al comma 2-bis sono irrevocabili e sono presentate, a pena di decadenza, nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell'avviso di fissazione dell'udienza. Quando ritiene ammissibile la richiesta proposta, la corte dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. la cancelleria dà avviso del provvedimento al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà trattato in udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall'articolo 127. 2-quater. negli stessi casi di cui al comma 2-bis, la corte può disporre d'ufficio la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione del procuratore generale e dei difensori per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame, dandone comunicazione alle parti mediante l'avviso di fissazione dell'udienza. 2-quinquies. nei procedimenti da trattare con le forme previste dall'articolo 127, l'avviso difissazione dell'udienza è comunicato o notificato almeno venti giorni prima dell'udienza e i termini di cui ai commi 1 e 2 sono ridotti a cinque giorni per la richiesta di intervenire in udienza, a dieci giorni per le memorie e a tre giorni per le memorie di replica. 2-sexies. se ritiene di dare al fatto una definizione giuridica diversa, la corte dispone con ordinanza il rinvio per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, indicando la ragione del rinvio e dandone comunicazione alle parti con l'avviso di fissazione della nuova udienza”. altre norme di potenziale interesse In tale quadro eterogeneo si annotano: L'art. 335-bis (“limiti all'efficacia dell'iscrizione ai fini civili e amministrativi”), secondo cui: “1. la mera iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito”. La norma, a chiaro contenuto garantistico, va letta in correlazione con l'art. 110-quater delle disposizioni di attuazione (“riferimenti alla persona iscritta nel registro delle notizie di reato contenuti nelle disposizioni civili e amministrative”), ove si prevede che: “1. Fermo quanto previsto dall'art. 335-bis del codice, le disposizioni da cui derivano effetti pregiudizievoli in sede civile o amministrativa per la persona sottoposta a indagini devono intendersi nel senso che esse si applicano comunque alla persona nei cui confronti è stata emessa una misura cautelare personale o è stata esercitata l'azione penale”. L'art. 335-quater (“accertamento della tempestività dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato”) -istituto che va correlato con la tematica della retrodatazione, utile all'indagato al fine di ottenere la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre i termini di cui agli artt. 405-407 -prevede la possibilità del Pubblico Ministero e della parte civile, in caso di accoglimento TEMI ISTITUZIONALI della istanza di retrodatazione formulata dall'imputato, di chiedere a pena di decadenza che la questione sia nuovamente esaminata prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto dall'articolo 491, comma 1. Nel dibattimento preceduto da udienza preliminare, la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione può essere proposta solo se già avanzata nell'udienza preliminare (comma 9). L'art. 445 (“effetti dell'applicazione della pena su richiesta”), innovando la disciplina previgente, al comma 1-bis adesso prevede che: “1-bis. la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”. La disposizione di cui al primo periodo del comma 1bis, mossa presumibilmente dall'intento di favorire la scelta da parte dell'imputato del rito alternativo, sembra finalizzata a superare la giurisprudenza della suprema corte in tema di valenza probatoria indiretta della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili risarcitori conseguenti alla fattispecie di reato (ex multis, Sez. L, 12 ottobre 2022 n. 29769; Sez. 1, 20 dicembre 2021 n. 40796; Sez. L., 29 febbraio 2016 n. 3980), ovvero nei giudizi tributari (Sez. V, 19 ottobre 2022 n. 30807). Ne andrà pertanto vagliata la sua effettiva portata in sede di prima applicazione giurisprudenziale. L'art. 477 (“durata e organizzazione del dibattimento”): “1. Quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente, dopo la lettura dell'ordinanza con cui provvede sulle richieste di prova, sentite le parti, stabilisce il calendario delle udienze, assicurando celerità e concentrazione e indicando per ciascuna udienza le specifiche attività da svolgere”. Si prevede, dunque, l'obbligo (senza sanzione processuale) di calendarizzare i lavori. L'art. 493 (“richieste di prova”) al comma 1 dispone che “1. il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove, illustrandone esclusivamente l'ammissibilità ai sensi degli articoli 189 e 190, comma 1”. La precisazione finale appare funzionale a snellire la fase delle richieste istruttorie, esonerando le parti (ma non anche il giudice, stante l'immutato potere di cui al comma 4 dell'art. 495) dalla esposizione della rilevanza e della conducenza della prova. L'art. 495 (“Provvedimenti del giudice in ordine alla prova”) che al RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 comma 4-ter, in tema di rinnovazione degli atti, prevede: “4-ter. se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l'esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. in ogni caso, la rinnovazione dell'esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze”. L'art. 555 (“Udienza dibattimentale a seguito di citazione diretta”) al comma 4 ripropone per i procedimenti senza udienza preliminare la medesima disciplina in materia di richieste di prova illustrata con riferimento all'art. 493: “le parti, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove, illustrandone esclusivamente l'ammissibilità ai sensi degli articoli 189 e 190, comma 1; inoltre, le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva”. L'art. 501 (“esame dei periti e dei consulenti tecnici”), prevede che: “1. Per l'esame dei periti e dei consulenti tecnici si osservano le disposizioni sull'esame dei testimoni, in quanto applicabili. 1.bis almeno sette giorni prima dell'udienza fissata per il suo esame, il perito autorizzato ai sensi dell'articolo 227, comma 5, deposita in cancelleria la propria relazione scritta. nello stesso termine la parte che ha nominato un consulente tecnico deposita in cancelleria l'eventuale relazione scritta del consulente. 1-ter. Fuori dai casi previsti al comma 1-bis, la parte che ha chiesto l'esame di un consulente tecnico deposita l'eventuale relazione almeno sette giorni prima l'udienza fissata per quell'esame. 2. il perito e il consulente tecnico hanno in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, nonché le relazioni depositate ai sensi dei commi 1-bis e 1 ter, che possono essere acquisite anche di ufficio”. Per tutte le norme in rassegna nel presente paragrafo, mancando una disciplina transitoria, la loro entrata in vigore è fissata al 30 dicembre 2022 ex art. 99-bis del d.lgs. n. 150/2022 e se ne deve ipotizzare un'applicazione anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della riforma. Fa eccezione certamente l'art. 335-quater, per il quale l'art. 88-bis (“disposizioni transitorie e materia di indagini preliminari”) come introdotto dal- l'art. 5-sexies del d.L. n. 162/2022, ne stabilisce la non applicabilità “1. ... nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l'iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale, nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ri TEMI ISTITUZIONALI corrono le condizioni previste dall'articolo 12 del codice di procedura penale [procedimenti connessi] e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2 (15), del codice di procedura penale, anche quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 371, comma 2, lettere b) e c), del medesimo codice [connessione teleologica o probatoria]. Tuttavia, le disposizioni dell'articolo 335-quater del codice di procedura penale, come introdotte dal presente decreto, si applicano in ogni caso in relazione alle iscrizioni che hanno ad oggetto notizie di reati commessi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”. Il legislatore ha inteso evidentemente contemperare le esigenze di efficienza ed efficacia delle indagini in corso (onde evitare gli effetti preclusivi sopravvenuti che i nuovi istituti produrrebbero in tema di utilizzabilità degli atti) con i principi costituzionali di garanzia per l'indagato. Una specifica disposizione transitoria è stata introdotta anche per l'art. 495, comma 4-ter, c.p.p. dall'art. 93-bis (“disposizioni transitorie in materia di mutamento del giudice nel corso del dibattimento”) del d.lgs. n. 150/2022 come introdotto dall'art. 5-decies del d.L. n. 162/2022, secondo cui la norma suddetta “... 1. non si applica quando è chiesta la rinnovazione dell'esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni data anteriore al 1° gennaio 2023”. norme sulla competenza territoriale. Il neo introdotto art. 24-bis prevede la possibilità di un rinvio pregiudiziale alla corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio: “1. Prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'articolo 491, comma 1, la questione concernente la competenza per territorio può essere rimessa, anche di ufficio, alla corte di cassazione. entro il termine previsto dall'articolo 491, comma 1, può essere altresì rimessa alla corte di cassazione la questione concernente la competenza per territorio riproposta ai sensi dell'articolo 21, comma 2. 2. il giudice, nei casi di cui al comma 1, pronuncia ordinanza con la quale rimette alla corte di cassazione gli atti necessari alla risoluzione della questione, con l'indicazione delle parti e dei difensori. 3. la corte di cassazione decide in camera di consiglio secondo le forme previste dall'articolo 127 e, se dichiara l'incompetenza del giudice che procede, ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. 4. l'estratto della sentenza è immediatamente comunicato al giudice che ha rimesso la questione e, quando diverso, al giudice competente, nonché al pubblico ministero presso i medesimi giudici ed è notificato alle parti private. (15) Rientrano in questa categoria, a titolo esemplificativo, i delitti di eversione, strage, associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, estorsione e altre fattispecie di particolare gravità. RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 5. il termine previsto dall'articolo 27 decorre dalla comunicazione effettuata a norma del comma 4. 6. la parte che ha eccepito l'incompetenza per territorio, senza chiedere contestualmente la rimessione della decisione alla corte di cassazione, non può più riproporre l'eccezione nel corso del procedimento” (16). In assenza di disciplina transitoria, l'entrata in vigore della disposizione è fissata al 30 dicembre 2022 ex art. 99-bis del d.lgs. n. 150/2022 e la norma dovrebbe ritenersi applicabile anche ai procedimenti in corso. TiTolo iii-BiS Rimedi per l'esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo enTraTa in ViGore 30 DiCeMBre 2022 (17) (arT. 99-BiS D.lGS. 150/2022) L'art. 628-bis (“richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali”), prevede che: “1. il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possono richiedere alla corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti neces (16) Si legge nella Relazione illustrativa (pag. 340): “il criterio di delega trova puntuale attuazione nel nuovo art. 24-bis c.p.p. la disciplina del rinvio pregiudiziale alla corte di cassazione, per la decisione sulla questione di competenza territoriale, è costruita sul modello della proposizione e della risoluzione dei conflitti di giurisdizione e competenza (artt. 30-32 c.p.p.), con i necessari adattamenti, propri della disciplina della incompetenza per territorio, in tema di termini per la proposizione della relativa eccezione e di provvedimenti conseguenti alla dichiarazione di incompetenza. a tale ultimo riguardo, lo scostamento dal dato testuale del criterio di delega («prevedere che la corte di cassazione, nel caso in cui dichiari l'incompetenza del giudice, ordini la trasmissione degli atti al giudice competente »), con la previsione di una trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, è reso necessario per rispettare il dettato delle pronunce della corte costituzionale intervenute sulla materia (la sentenza n. 76 del 1993, con cui corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 24 cost., l'art. 23, comma 1, c.p.p., nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo, e successivamente la sentenza n. 70 del 1996, con cui la corte ha esteso tale meccanismo di regressione processuale all'ipotesi di incompetenza per territorio, dichiarando la illegittimità costituzionale dell'art. 23 c.p.p. anche sotto tale profilo)”. (17) L'art. 91 prevede una specifica disciplina transitoria dell'art. 628-bis che entra in vigore il 30 dicembre 2022, disponendo che: “1. Quando, in data anteriore all'entrata in vigore del presente decreto, è divenuta definitiva la decisione con cui la corte europea ha accertato una violazione dei diritti riconosciuti dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla convenzione, ovvero la corte europea ha disposto, ai sensi dell'articolo 37 della convenzione, la cancellazione dal ruolo del ricorso a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello stato, il termine indicato nell'articolo 628-bis, comma 2, del codice di procedura penale decorre dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. 2. Per i reati commessi in data anteriore al 1° gennaio 2020, la prescrizione riprende il suo corso in ogni caso in cui la corte di cassazione dispone la riapertura del processo ai sensi dell'articolo 628-bis, comma 5, del codice di procedura penale”. TEMI ISTITUZIONALI sari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla corte europea dei diritti dell'uomo, quando hanno proposto ricorso per l'accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla convenzione e la corte europea ha accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure ha disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell'articolo 37 della convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello stato. 2. la richiesta di cui al comma 1 contiene l'indicazione specifica delle ragioni che la giustificano ed è presentata personalmente dall'interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale, con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dal- l'articolo 582, entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo. Unitamente alla richiesta sono depositati, con le medesime modalità, la sentenza o il decreto penale di condanna, la decisione emessa dalla corte europea e gli eventuali ulteriori atti e documenti che giustificano la richiesta. 3. le disposizioni del comma 2, primo periodo, si osservano a pena di inammissibilità. 4. sulla richiesta la corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 611. se ne ricorrono i presupposti, la corte dispone la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza ai sensi del- l'articolo 635. 5. Fuori dei casi di inammissibilità, la corte accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente. se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la corte assume i provvedimenti necessari a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, anche disponendo la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna, ove necessario. altrimenti, secondo i casi, trasmette gli atti al giudice dell'esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi. 6. la prescrizione riprende il suo corso dalla pronuncia della corte di cassazione che dispone la riapertura del processo davanti al giudice di primo grado. 7. Quando la riapertura del processo è disposta davanti alla corte di ap RASSEgNA AVVOCATURA dELLO STATO -N. 2/2022 pello, fermo restando quanto previsto dall'articolo 624, si osservano le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dell'articolo 344-bis e il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all'articolo 128. 8. le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando la violazione accertata dalla corte europea riguarda il diritto dell'imputato di partecipare al processo” (18). *** (18) Ad illustrazione del nuovo istituto, si legge nella Relazione (pagg. 342-343): “l 'indicazione contenuta nel criterio di delega di cui all'art. 1, comma 13, lett. o) va nel senso di superare l'assetto binario -da un lato, revisione europea e, dall'altro, incidente di esecuzione -fissato dalla corte costituzionale e dalla giurisprudenza delle sezioni Unite, a favore di un unico rimedio di nuovo conio, che affidi sempre alla corte di cassazione la valutazione del dictum europeo, con un vaglio preliminare sul vizio accertato dalla corte di strasburgo. l'istituto deve dare esecuzione al triplice obbligo di neutralizzazione e rivalutazione della sentenza e di riapertura del procedimento derivante dalla sentenza europea di condanna alla restitutio in integrum, conservando però un ragionevole margine di apprezzamento a tutela del giudicato nazionale. Per questo, trattandosi di rimedio diverso, richiede una disciplina autonoma e differente rispetto alla ordinaria revisione. sulla scorta di tale considerazione, si è ritenuto di collocare la disciplina in un nuovo titolo iii-bis, sotto la rubrica rimedi per l'esecuzione delle decisioni della corte europea dei diritti dell'uomo. le scelte caratterizzanti della nuova previsione possono essere sintetizzate come segue. la norma di cui al comma i indica i casi in cui è possibile attivare il rimedio in questione e i soggetti legittimati, individuati esclusivamente nel ricorrente in sede europea, con conseguente esclusione dei terzi non impugnanti che avrebbero potuto vantare la medesima violazione. sul punto, si è ritenuto che l'espresso riferimento contenuto nella delega al solo «soggetto che abbia presentato il ricorso» non consentisse un ampliamento in favore di soggetti diversi. Per quanto concerne le decisioni della corte edu che legittimano l'attivazione della revisione europea, si è fatto riferimento non solo alle sentenze che accertino una violazione della convenzione, ma anche alle ipotesi in cui sia disposta la cancellazione del ricorso dal ruolo ai sensi dell'art. 37 della convenzione in conseguenza del riconoscimento della violazione da parte dello stato. le norme di cui ai commi 2 e 3 disciplinano essenzialmente i profili procedurali della richiesta. [...] la norma di cui al comma 4 disciplina le modalità di trattazione della revisione europea, richiamando il giudizio camerale previsto dall’art. 61. È integralmente richiamata la disposizione dell'articolo 635 c.p.p., in tema di sospensione della pena o della misura di sicurezza. come disposto al comma 5, superato il vaglio di ammissibilità, l'oggetto della valutazione rimessa alla cassazione riguarderà l'individuazione della «incidenza effettiva» che la violazione convenzionale ha prodotto sulla condanna, cui seguirà la scelta in ordine allo strumento più adatto per rimuovere gli effetti pregiudizievoli, ivi inclusa -se del caso -la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna. solo qualora la corte di cassazione non sia in grado di provvedere direttamente, trasmetterà gli atti al giudice dell'esecuzione oppure, secondo le evenienze, disporrà la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione, stabilendo se e in quale parte gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi conservino efficacia. nei commi 6 e 7 vengono disciplinate talune delle conseguenze della riapertura del processo. in particolare, quanto alla prescrizione, la pronuncia di riapertura del processo viene sostanzialmente assimilata all'annullamento agli effetti di cui all'articolo 161-bis del codice penale, essendosi previsto che la prescrizione riprenda a decorrere -a far tempo dalla pronuncia della corte -quando la riapertura del processo venga disposta davanti al giudice di primo grado (comma 6). ancor più evidente il meccanismo di assimilazione ai fini dell'improcedibilità. in tal caso, infatti, per l'ipotesi di riapertura del processo innanzi alla corte di appello, si è dettata una disposizione perfettamente corrispondente a quella prevista TEMI ISTITUZIONALI Si allega la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022 e si riservano ulteriori istruzioni in occasione della entrata in vigore delle altre disposizioni in materia. L'AVVOCATO gENERALE gabriella PALMIERI SANdULLI (omissis) dall’art. 344-bis, comma 8, c.p.p., con la sola differenza che il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’articolo 128 c.p.p. (comma 7). al comma 8 si attua la previsione del criterio di delega, laddove si fa riferimento alla necessità di regolamentare i rapporti del rimedio in esame con la rescissione del giudicato. al riguardo, si è ritenuto maggiormente coerente con la ratio della delega stabilire che le disposizioni sin qui esaminate trovino applicazione anche quando la violazione accertata dalla corte europea riguardi il diritto dell’imputato di partecipare al processo”. ContenziosoComunitarioedinternazionale Condizione della doppia incriminazione e interpretazione della decisione quadro 2002/584 in tema di mandato di arresto europeo Corte di giustizia dell’unione europea, terza sezione, sentenza 14 luglio 2022, C-168/21 La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 14 luglio 2022, causa C-168/21 si è pronunciata sul mandato di arresto europeo chiesto dall'Italia alla Francia nei confronti di un soggetto condannato per i disordini occorsi durante il G8 di Genova nel 2001. La sentenza ha statuito, conformemente alle conclusioni rassegnate dal Governo italiano, in ordine alla condizione della doppia incriminazione e alla interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 4 e dell’articolo 4, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 nel senso che lo Stato di esecuzione non può rifiutare di eseguire un mandato d'arresto europeo in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale. Di seguito, le osservazioni del Governo italiano. Wally Ferrante* CT 15772/21- Avv. Ferrante CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell’Agente designato per il presente giudizio, domiciliato presso l’Ambasciata d’Italia a Lussemburgo nella causa C-168/21 promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE con ordinanza del 26 gennaio 2021, depositata il 16 marzo 2021, dalla Cour de Cassation - Francia. ** ** ** 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: (*) Avvocato dello Stato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 1. se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminazione è soddisfatta in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la consegna è richiesta per atti che sono stati qualificati, nello stato emittente, come devastazione e saccheggio, consistenti in fatti di devastazione e saccheggio idonei a provocare una violazione dell’ordine pubblico, quando nello stato di esecuzione esistono le fattispecie di reato di furto con danneggiamento, distruzione e deterioramento che non richiedono tale elemento di violazione dell’ordine pubblico. 2. in caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che l’organo giurisdizionale dello stato di esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato d'arresto europeo emesso per l'esecuzione di una pena, qualora esso constati che l'interessato è stato condannato dalle autorità giudiziarie dello stato emittente a tale pena per la commissione di un reato unico, la cui prevenzione contemplava diverse azioni, e solo alcune di tali azioni costituiscono un reato per lo stato di esecuzione. se occorra distinguere a seconda che le autorità giurisdizionali dello stato emittente abbiano considerato tali diverse azioni come separabili o meno. 3. se l'articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali imponga all'autorità giudiziaria dello stato membro di esecuzione di rifiutare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo qualora, da un lato, esso sia stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena unica inflitta per reprimere un unico reato e, dall'altro, poiché alcuni dei fatti per i quali è stata pronunciata tale pena non costituiscono reato secondo il diritto dello stato membro di esecuzione, la consegna possa essere concessa solo per alcuni di tali fatti. esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di cassazione francese trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore generale di Angers avverso la sentenza del 4 novembre 2020 con la quale la Sezione istruttoria di Angers ha rifiutato di dare esecuzione al mandato d'arresto europeo emesso il 6 giugno 2016 dall’autorità giudiziaria italiana nei confronti di KL, condannato in via definitiva, con sentenza confermata dalla Corte di cassazione italiana, per quattro reati commessi durante le manifestazioni contro il vertice del G8 di Genova nel 2001. 3. Secondo quanto rappresentato dal giudice del rinvio, la pena detentiva più elevata (dieci anni) è stata inflitta per il reato di "devastazione e saccheggio" (articolo 419 del codice penale italiano) costituito da sette azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, vale a dire: 1) danneggiamento di arredi urbani e proprietà pubbliche; 2) danneggiamento e saccheggio di un cantiere; 3) danneggiamento totale dei locali dell'istituto di credito «Credito Italiano»; 4) danneggiamento ed incendio totale di un'autovettura Fiat Uno; 5) danneggiamento totale da incendio ai locali dell'istituto di credito «Carige»; 6) danneggiamento ed incendio totale di un'autovettura Fiat Brava; 7) danneggiamento totale e saccheggio di un supermercato. 4. La sezione istruttoria di Angers ha rifiutato di consegnare KL alle autorità italiane per l'esecuzione del mandato d'arresto europeo emesso per l'esecuzione della condanna a dieci anni di reclusione comminata per devastazione e saccheggio, osservando che due delle azioni alla base di tale reato non sarebbero suscettibili di integrare una fattispecie di reato in Francia, ovvero il danneggiamento dei locali del Credito Italiano (azione n. 3) e il danneggiamento da incendio dell'autovettura Fiat Brava (azione n. 6). 5. Ciò in quanto, da un lato, KL si trovava semplicemente nelle vicinanze dell'istituto finan CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE ziario mentre altre persone appartenenti allo stesso gruppo commettevano atti di distruzione e, dall'altro, per quanto riguarda la distruzione e l'incendio dell'autovettura, KL è stato solamente avvistato "vicino all'autovettura" con un bastone in mano. 6. Sulla base di tale rilievo, la sezione istruttoria di Angers ha ritenuto che, per tali due fatti, non fosse rispettata la condizione della doppia incriminazione, in assenza di una personale partecipazione di KL ad un atto materiale qualificato come reato dalla legge francese. Pertanto, poiché il giudice italiano ha analizzato i sette fatti come facenti parte di un unico disegno criminoso, la condizione della doppia incriminazione comporterebbe l’esclusione di tutti i fatti indissolubili puniti a titolo di devastazione e saccheggio dall'articolo 419 del codice penale italiano. 7. Nel ricorso presentato avverso detta sentenza, il Procuratore generale di Angers ha dedotto che, una volta accertato il difetto della doppia incriminazione per due delle condotte contestate (danneggiamento dei locali del Credito Italiano; distruzione e incendio della Fiat Brava) la sezione avrebbe dovuto solamente verificare che la pena pronunciata non superasse il massimo della pena prevista per i reati per i quali esiste la doppia incriminazione. 8. Inoltre, l'Avvocato generale presso la Corte di cassazione ha rilevato: a. il fatto che almeno una delle sette azioni contestate a KL per il reato di devastazione e saccheggio non sia punibile secondo il diritto penale francese non permette di concludere che la condizione della doppia incriminazione non sia soddisfatta per tale reato; ciò in quanto il condannato «avrebbe potuto essere ritenuto penalmente responsabile in Francia per danno o furto in relazione alle altre cinque azioni identificate con il reato di devastazione e saccheggio, non essendo contestato che tali fatti siano sufficienti a costituire tale reato secondo il diritto italiano»; b. che nella sentenza impugnata, il giudice avrebbe esorbitato dai limiti propri del controllo sulla doppia incriminazione in merito alla fattispecie di devastazione e saccheggio, nel momento in cui ha valutato «a quali condizioni tale reato debba essere considerato costituito secondo il diritto italiano» per inferirne la «natura indissociabile» delle condotte per le quali KL ha riportato condanna; c. che il rifiuto opposto alla consegna «equivale a garantire all'interessato l'impunità per la totalità dei fatti così sanzionati, anche se, per la maggior parte di essi, non è contestato che la consegna sarebbe stata possibile e la sanzione giustificata»; in proposito, richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione francese «secondo la quale la consegna di una persona ricercata in virtù di un mandato d'arresto europeo può essere concessa quando è stata pronunciata una condanna a una pena unica per almeno uno dei reati che soddisfano le condizioni di cui agli articoli 695-12 e 695-23 del Code de procédure pénale (codice di procedura penale) […] ed essa non ecceda la pena massima prevista per i reati che possono dar luogo alla consegna». 9. Tale orientamento risulta applicabile, secondo il giudice del rinvio, «anche nel caso di condanna per un unico reato caratterizzato da diverse azioni materiali, di cui alcune non possano dare luogo a consegna». normativa dell’unione 10. L’art. 49 della Carta di Nizza recante “principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene” sancisce che: 1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima. 2. il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. 3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato” (enfasi aggiunta). 11. La decisione del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI recante “decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri” prevede, ai considerando 5 e 6: (5) l'obiettivo dell'unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell'estradizione tra stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. inoltre l'introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine del- l'esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all'azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. le classiche relazioni di cooperazione finora esistenti tra stati membri dovrebbero essere sostituite da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale, sia intervenute in una fase anteriore alla sentenza, sia definitive, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. 12. (6) il mandato d'arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria”. 13. Lo spirito della decisione che si trae da tali considerando è quindi quello della semplificazione e del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali in materia penale che superi lo strumento dell’estradizione e ogni complessità o ritardo. 14. In particolare, l’art. 2, paragrafo 4 recante “Campo d'applicazione del mandato d'arresto europeo” prevede che “4. per quanto riguarda i reati non contemplati dal paragrafo 2, la consegna può essere subordinata alla condizione che i fatti per i quali è stato emesso il mandato d'arresto europeo costituiscano un reato ai sensi della legge dello stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso”. 15. Tale disposizione prevede che, per i reati diversi da quelli (più gravi) elencati al paragrafo 2 (e per i quali il massimo della pena è pari o superiore a tre anni), la consegna possa essere subordinata alla condizione della c.d. doppia incriminazione ovvero che i fatti costituiscano reato non solo per lo Stato membro emittente del mandato di arresto europeo (nel caso di specie l’Italia) ma anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione (nel caso di specie la Francia) “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica” del reato. 16. L’art. 4, paragrafo 1 recante “Motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo” dispone, per quanto qui interessa, che “l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d'arresto europeo: 1) se, in uno dei casi di cui all'articolo 2, paragrafo 4, il fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione; …”. risposta al primo quesito 17. Con il primo quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se la condizione della doppia incriminazione sia rispettata tenuto conto che il reato di “devastazione e saccheggio” presupporrebbe, secondo il diritto italiano (rectius la giurisprudenza italiana, non essendo tali requisiti espressamente previsti dall’art. 419 codice penale quali elementi costitutivi del reato) atti di distruzione e degrado multipli e massicci che causano non solo un pregiudizio ai proprietari dei beni in questione ma anche un pericolo per l’ordine pubblico mentre per il diritto penale francese la violazione dell’ordine pubblico non sarebbe un elemento essenziale del reato di “furto in concorso con danneggiamento” punito dall’art. 3111 del code pénal. CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 18. Il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva al quesito. 19. La Corte remittente rammenta che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, segnatamente alla sentenza dell’11 gennaio 2017, causa C-289/15, Grundza resa in riferimento all'analoga previsione di cui all'articolo 9, par. 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909/gai relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'unione europea, nella valutazione della doppia incriminabilità, l'autorità competente dello Stato di esecuzione deve «verificare se gli elementi materiali alla base del reato, quali risultano dalla sentenza pronunciata dall'autorità competente dello Stato di emissione, sarebbero di per sé, nell'ipotesi in cui si fossero verificati nel territorio dello Stato di esecuzione, penalmente perseguibili anche nel territorio di quest'ultimo» (punto 38 della richiamata sentenza). 20. Correttamente, il giudice del rinvio richiama l’affermazione della Corte di Giustizia secondo la quale la condizione della doppia incriminabilità «costituisce un'eccezione alla regola di principio del riconoscimento della sentenza e dell'esecuzione della pena» e «deve essere interpretata quindi in maniera restrittiva, per limitare i casi di non riconoscimento e di non esecuzione» (punto 46 sentenza Grundza); 21. Inoltre, alla luce della formulazione dell’art. 2, paragrafo 4 della Decisione 2002/584/GAI, secondo la quale i fatti per i quali viene richiesto il mandato di arresto europeo debbono costituire un reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso”, il giudice remittente invoca il principio già affermato dalla Corte di Giustizia nella richiamata sentenza Grundza secondo il quale «non è necessaria una corrispondenza esatta né tra le componenti del reato, quale definito dalle leggi, rispettivamente, dello Stato membro di emissione e di quello di esecuzione, né nella denominazione o nella classificazione dello stesso secondo le rispettive leggi nazionali» (punto 35). 22. Alla luce di quanto sopra, emerge chiaramente che non occorre che i reati siano identici nei due stati membri interessati (punto 34 sentenza Grundza). 23. Come ricordato nella citata sentenza in relazione all’analoga disposizione della Decisione 2008/909/GAI sopra citata, “tale disposizione sancisce un approccio flessibile, da parte del- l’autorità competente dello Stato di esecuzione, al momento della valutazione della condizione della doppia incriminabilità, per quanto riguarda sia gli elementi costitutivi del reato sia la denominazione di quest’ultimo” (punto 36). 24. Del resto per i reati più gravi elencati all’articolo 2, paragrafo 2 della Decisione 2002/584/GAI (quali la partecipazione a un’organizzazione criminale, il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, il traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, l’incendio volontario ecc.) il mandato di arresto europeo prescinde dalla doppia incriminazione mentre per gli altri reati che non figurano in detto elenco, a norma del successivo paragrafo 4, è prevista una mera facoltà per lo Stato di esecuzione di subordinare la consegna alla condizione della doppia incriminazione (cfr. punto 44 sentenza Grundze). 25. Pertanto, la mancanza di una doppia incriminazione costituisce, nel sistema della decisione quadro, motivo facoltativo di rifiuto. Tale connotazione va riferita sia all'attività di recepimento della previsione da parte degli Stati membri, sia alla natura del potere decisionale che, in caso di recepimento, dev'essere riconosciuto all'Autorità giudiziaria incaricata dell'esecuzione del mandato di arresto europeo. 26. Si veda in proposito Corte di giustizia, sentenza del 5 settembre 2012, causa C-42/11, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 Lopes Da Silva Jorge, secondo la quale «il sistema di tale decisione quadro, come risulta segnatamente dall'articolo 4 della medesima, lascia agli Stati membri la facoltà di consentire, in situazioni specifiche, alle autorità giudiziarie competenti di decidere che una pena inflitta debba essere eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione (sentenza del 21 ottobre 2010, B., C-306/09, Racc. pag. 1-10341, punti 50 e 51)» (punto 30). V. anche sentenza del 29 giugno 2017, Poplawski, C-579: «dalla formulazione stessa dell'articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 risulta che … qualora uno stato membro abbia scelto di recepire tale disposizione nel diritto interno, l'autorità giudiziaria di esecuzione tuttavia deve disporre di un potere discrezionale riguardo alla questione se si debba rifiutare o meno di dare esecuzione al mae») (punto 21). 27. Ne consegue che la messa in pericolo dell’ordine pubblico -requisito peraltro non espressamente previsto dalla normativa italiana quale elemento costitutivo del reato di cui all’art. 419 codice penale benché ritenuto necessario dalla giurisprudenza -non può considerarsi indispensabile ai fini della doppia incriminazione, essendo del tutto irrilevante che tale elemento non sia previsto, nemmeno in via giurisprudenziale, dalla corrispondente fattispecie incriminatrice del diritto francese, che punisce solo «la distruzione, il danneggiamento e il furto con danneggiamento commessi, se del caso, in concorso, tali da causare un pregiudizio ai proprietari dei beni». 28. Del resto, oltre alla giurisprudenza della Corte di Giustizia sopra richiamata, anche la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana è consolidata nel senso che, in tema di doppia incriminazione, «non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato» (Cfr. Cass., sez. 6, n. 27483 del 29 maggio 2017, dep. 1 giugno 2017, majkowska, rv. 270405 - 01). 29. Gli unici limiti a tale generale affermazione di principio sono stati individuati: con riferimento al trattamento sanzionatorio, nei casi di «macroscopica esorbitanza rispetto a quello previsto nel- l'ordinamento interno, tale da far venir meno la stessa pregiudiziale identità o assimilazione dei fatti di reato in comparazione (Cass., sez. 6, n. 41133 del 30 settembre 2014, dep. 3 ottobre 2014, Vacarciuc, rv. 260436 -01); quanto alle circostanze del reato, «nelle ipotesi in cui la natura ed il contenuto dell'elemento circostanziale presentino caratteristiche tali da immutare il fatto nel nucleo essenziale della sua configurazione materiale» (Cfr. sez. 6, n. 3255 del 17 gennaio 2013, dep. 22 gennaio 2013, Murariu, rv. 254182 -01), entrambi casi non ricorrenti nella fattispecie. risposta al secondo quesito 30. Con il secondo quesito il giudice del rinvio chiede alla Corte di Giustizia di chiarire se, in caso di risposta positiva alla prima questione, l’articolo 2, paragrafo 4 e l’articolo 4, paragrafo 1 della decisione 2002/584/GAI debbano essere interpretati nel senso che l’organo giurisdizionale dello Stato di esecuzione possa rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo qualora due delle sette azioni per le quali il ricorrente è stato condannato, integranti un’unica fattispecie criminosa, non costituiscano un reato nel Paese competente per l’esecuzione (la Francia) in quanto il ricorrente non avrebbe partecipato con azioni materiali a due dei fatti contestati allo stesso gruppo di manifestanti del quale faceva parte, trovandosi solo nelle vicinanze con un bastone in mano. 31. A tale quesito il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa. 32. Non a caso, l’art. 419 del codice penale parla di “fatti” al plurale e, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana, il reato di devastazione e saccheggio si distingue dal CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE singolo danneggiamento o dai singoli furti e rapine proprio perché, in un unico contesto, si commettono più fatti in modo rapido e indiscriminato, tanto da determinare non solo la lesione del bene patrimonio ma anche l’ordine pubblico e la pace sociale. 33. Alla luce dell’ontologica unità dei vari fatti integranti il reato di devastazione e saccheggio, l’ipotesi di uno “spacchettamento” dei medesimi fatti non appare percorribile. 34. Il giudice di Angers sostiene che mancherebbe il requisito della doppia incriminazione in relazione a due dei sette fatti di devastazione e saccheggio, che ai sensi del diritto francese non sarebbero punibili. 35. Non lo sarebbe lo sventramento della filiale bancaria del Credito italiano; non lo sarebbe l’incendio della Fiat BRAVA. In entrambi i casi, il destinatario del mandato di arresto europeo si sarebbe meramente trovato nelle vicinanze della banca e della vettura, senza prendere parte materialmente alle condotte distruttive (salvo comunque impugnare un bastone, nel caso della macchina incendiata). 36. In quei casi non vi sarebbe reato, in quanto quello che per l’ordinamento italiano costituisce “concorso di persone” ex articolo 110 codice penale, in base al quale è punito non solo l’autore materiale del fatto ma anche chi concorre con la propria condotta volontaria commissiva od omissiva alla perpetrazione del reato -concorso che è stato contestato al condannato, con l’aggravante delle cinque persone o più -secondo la Cassazione francese (sulla base degli artt. 121-1, 121-4, 121-6 e 121-7 del code pénal) non sarebbe “complicité” (v. pag. 8 della remissione in francese alla Corte di giustizia, n. 36). 37. ma se così è, allora il giudice di Angers, in realtà, pone un problema di prova e non di doppia incriminazione. Egli sostiene che mancherebbe la prova che il destinatario del mandato di arresto europeo stesse effettivamente commettendo alcuni dei fatti che gli sono addebitati. 38. Il quesito così formulato appare quindi parzialmente inammissibile. Il parametro da prendere come riferimento, infatti, avrebbe dovuto essere l’art. 48 della Carta di Nizza (in materia di legittima prova della colpevolezza) e non l’art. 49 della stessa Carta che sancisce il principio di legalità (al paragrafo 1) e di proporzionalità dei reati e delle pene (al paragrafo 3), come si dirà nella risposta al terzo quesito. 39. Lo stesso Procuratore generale francese, nell’impugnare in cassazione la decisione della sezione istruttoria di Angers, aveva anche eccepito che -per l’episodio 6) (incendio della Fiat BRAVA) -la doppia incriminazione non era necessaria, visto che il reato d’incendio rientra nell’elenco di cui all’art. 2, paragrafo 2 della decisione 2002/584/Gai e che non è quindi applicabile il paragrafo 4 della stessa disposizione che prevede la facoltà del diniego di consegna quando manca la doppia incriminazione (v. pag. 5 dell’ordinanza di remissione in francese). 40. In proposito, la Corte di Cassazione ha precisato che, nella trasmissione del mandato di arresto europeo, le autorità italiane non avevano specificato se si stessero basando sul paragrafo 2 o sul paragrafo 4 dell’art. 2 della decisione 2002/584/GAI. 41. Invero, un simile approccio burocratico viola lo spirito della decisione 2002/584/GAI informata a semplificazione, celerità e reciproca cooperazione giudiziaria ai sensi dei “considerando” 5 e 6 sopra richiamati. 42. Del resto, secondo la giurisprudenza italiana, il bene giuridico tutelato dall’art. 419 codice penale «fornisce lo strumento per selezionare, tra i più svariati comportamenti di violenza sulle cose e di ruberia, quelli che meritano una qualificazione di particolare gravità» e «porta a valorizzare la carica semantica dei termini devastazione e saccheggio: l'uno, che indica la rovina, il radere al suolo e quindi un danneggiamento che sia complessivo, indiscriminato, vasto e profondo, di una notevole quantità di cose mobili o immobili [...]; l'altro, che richiede un fatto commesso RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 da una pluralità di persone che si impossessino indiscriminatamente di una rilevante quantità di oggetti, con spirito di assoluta prepotenza e noncuranza per l'ordine costituito […]» (Cass., sez. 1, n. 42130 del 13 luglio 2012, dep. 29 ottobre 2012, arculeo ed altri, Rv. 253801 -01). 43. Alla stregua di tale definizione delle condotte in questione, è parimenti del tutto pacifico, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che i singoli fatti di danneggiamento e furto rimangano in esse assorbiti. 44. Sempre la giurisprudenza, ha chiarito che «in tema di reato di devastazione, ai fini della sussistenza della responsabilità a titolo di concorso non è necessario che l'agente compia materialmente un atto di danneggiamento, purché partecipi consapevolmente ai disordini diffusi» (Cass., sez. 1, n. 11912 del 18 gennaio 2019, dep. 18 marzo 2019, Rv. 275322 -02). 45. Alla luce di quanto sopra appare evidente che non occorre distinguere a seconda che le autorità giurisdizionali dello Stato emittente abbiano considerato tali diverse azioni come separabili o meno. risposta al terzo quesito 46. Con il terzo quesito, la Corte di Cassazione francese chiede alla Corte di Giustizia se, nel caso in cui il principio della doppia incriminazione non precluda la consegna, il principio della proporzionalità della pena di cui all’art. 49, paragrafo 3 della Carta di Nizza possa ostare all’esecuzione del mandato d’arresto europeo alla luce del fatto che lo stesso è stato emesso a fronte di una pena unica, inflitta per reprimere un unico reato attesa la natura indissolubile delle azioni ritenute costitutive del reato di devastazione e saccheggio e che due di tali azioni potrebbero non integrare una fattispecie di reato secondo il diritto francese. 47. Anche a tale quesito il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa. 48. Il Giudice del rinvio ribadisce innanzitutto il principio secondo cui, nel sistema di consegna semplificata istituito dalla decisione quadro 2002/584/GAI, l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo costituisce la regola (Corte di Giustizia, sentenza del 6 ottobre 2009, Wolzenburg, C-123/08, punto 57) e, quindi, i motivi di rifiuto e le condizioni apponibili alla consegna integrano delle eccezioni. 49. Ne consegue che un legislatore nazionale che, in base alle possibilità accordategli dall’art. 4 di detta decisione quadro, opera la scelta di limitare le situazioni nelle quali la sua autorità giudiziaria di esecuzione può rifiutare di consegnare una persona ricercata non fa che rafforzare il sistema di consegna istituito da detta decisione quadro a favore di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia (punto 58 della sentenza Wolzenburg). 50. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia (sentenza del 16 luglio 2015, C-237/215 PPU, punto 36), il principio del riconoscimento reciproco, che costituisce la «pietra angolare» della cooperazione giudiziaria, implica, a norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, che gli Stati membri sono tenuti in linea di principio a dar corso a un mandato d’arresto europeo. Infatti, questi ultimi possono rifiutarsi di eseguire tale mandato soltanto nei casi di non esecuzione di cui agli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro e possono subordinare la sua esecuzione alle sole condizioni definite all’articolo 5 della medesima (v., in tal senso, sentenze West, C 192/12 PPU, EU:C:2012:404, punto 55; melloni, C 399/11, EU:C:2013:107, punto 38, e F., C 168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 36). 51. Ciò premesso, la Corte di cassazione francese osserva che nella decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo non si rinviene «alcuna disposizione che consenta allo Stato membro di esecuzione di rifiutare la consegna dell'interessato a motivo del fatto che la pena inflitta dallo Stato emittente apparirebbe sproporzionata rispetto ai fatti per i quali la consegna è richiesta»; che, quindi, «anche se lo Stato membro di esecuzione ritiene che esistano serie CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE difficoltà in ordine alla proporzionalità del mandato d'arresto europeo, esso non può rifiutarsi, per tale motivo, di ordinare la consegna della persona ricercata in vista dell'esecuzione della pena pronunciata dallo Stato membro emittente»; che, in definitiva, la verifica di proporzionalità del mandato d'arresto europeo risulta rimessa in via esclusiva all'Autorità di emissione, il che -come non si manca di riconoscere -costituisce «circostanza idonea a rafforzare il principio del reciproco riconoscimento». 52. Nel caso concreto, tuttavia, a giudizio della Corte remittente, l'applicazione dei princìpi citati «non consente di prevenire la violazione del principio di proporzionalità». 53. Ciò in quanto ricorre un'ipotesi in cui, il mandato d'arresto è stato emesso per l'esecuzione di una pena inflitta in relazione ad un unico reato caratterizzato da più azioni, di cui solo alcune costituiscono un reato secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione. 54. Da ciò, in particolare, discenderebbe un duplice ordine di conseguenze incompatibili con il principio di proporzionalità, di cui all'articolo 49, paragrafo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 55. Ed infatti, da un lato, «in tal caso, la pena pronunciata dallo Stato emittente sarà eseguita nella sua totalità, sebbene la consegna per alcuni dei fatti sanzionati con tale pena sia esclusa», dall'altro, per quanto «il mandato potesse essere proporzionato al momento della sua emissione », tuttavia «non si può escludere che non lo sia più al momento della sua esecuzione». 56. Come si è accennato nel rispondere al secondo quesito, la questione appare mal posta e come tale inammissibile. 57. Infatti, la Corte di Cassazione francese non ha dedotto la sproporzione tra la pena prevista dall’art. 419 del codice penale italiano e quella comminata dagli artt. 311-1 e ss. del code pénal francese. 58. Ciò poiché costituisce principio consolidato che -salvi limiti ragionevoli -l’entità delle pene è materia rientrante nella discrezionalità legislativa nazionale (per la giurisprudenza CEDU, v., per esempio, Vinter c. Regno Unito del 2013 e Hutchinson c. Regno Unito del 2017; per la giurisprudenza costituzionale italiana, tra le tante, le sentenze n. 233 del 2018 e n. 95 del 2019). 59. Il giudice del rinvio deduce la pretesa sproporzione solo perché due dei sette episodi contestati, ai sensi del diritto francese, non costituirebbero reati, sicché in mancanza della scomposizione del fatto, la pena diverrebbe sproporzionata. 60. Si tratta, all’evidenza, di un argomento che rende il quesito, così formulato, inammissibile. 61. Il principio che il giudice francese vorrebbe far valere con la questione pregiudiziale è la sproporzione di cui all’art. 49, paragrafo 3, della Carta di Nizza; ma la base motivazionale si fonda sulla circostanza che due fatti su sette non sarebbero previsti dalla legge francese come reato, con conseguente violazione del principio nullum crimen sine lege, che è invece sancito nel paragrafo 1 dell’art. 49. 62. Peraltro, più che fatti non previsti dalla legge francese come reati, sembrerebbe piuttosto che il giudice remittente faccia una questione di prova dei fatti contestati, che semmai avrebbe dovuto essere posta, come si è detto, invocando l’art. 48 della Carta di nizza in materia di legittima prova della colpevolezza e non l’art. 49 della stessa Carta. 63. Al riguardo, va ribadito che la sentenza in vista della cui esecuzione è stato emesso il mandato di arresto europeo ha irrevocabilmente accertato la responsabilità del condannato in ordine al contestato delitto di devastazione e saccheggio. 64. Per quanto si è sopra osservato a proposito della struttura di tale reato e del modo in cui si atteggiano i presupposti oggettivi e soggettivi della compartecipazione, ciò significa che il ricorrente è stato innanzitutto riconosciuto colpevole dei fatti di danneggiamento e dei furti RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 ascrittigli, i quali -in ragione della loro diffusa e indiscriminata lesività -sono stati sussunti nella fattispecie di cui all'art. 419 codice penale. 65. Ebbene, nel caso di specie, la sezione istruttoria di Anvers ha proceduto non alla verifica dell'eventuale sussumibilità nelle fattispecie di reato previste dall'ordinamento francese delle condotte per le quali il ricorrente ha riportato condanna in Italia, ma ad un apprezzamento di merito sulla consistenza probatoria degli elementi sulla cui base l'autorità giudiziaria italiana ha ritenuto dette condotte a lui riferibili. 66. È dunque del tutto evidente che la Corte di cassazione francese non si è limitata a controllare se le condotte accertate dall'Autorità giudiziaria italiana, ove verificatesi in Francia, fossero colà «penalmente perseguibili» alla stregua delle previsioni incriminatrici nazionali (ovvero «la distruzione, il danneggiamento e il furto con danneggiamento commessi, se del caso, in concorso») ma ha ritenuto non sufficientemente provata l'attribuibilità delle condotte anzidette al condannato. 67. In proposito, va altresì notato, che per azioni identiche a quelle sub n. 3 e n. 6, e in particolare per quelle sub n. 5 (danneggiamento totale da incendio ai locali dell'istituto di credito «Carige») e sub n. 4 (danneggiamento ed incendio totale di un'autovettura Fiat Uno), il test di verifica della doppia incriminazione ha dato esito positivo. 68. Poiché tale requisito è quindi riscontrabile per tutte le condotte in relazione alle quali è intervenuta condanna in Italia, risultano di fatto irrilevanti, ovvero prive di effettiva natura pregiudiziale, le questioni formulate dalla Corte di cassazione francese sulla base del medesimo e non corretto presupposto interpretativo su cui si fonda la pronuncia reiettiva adottata dalla sezione istruttoria di Angers, con conseguente inammissibilità del quesito così come formulato. 69. In ogni caso, è del tutto pacifico, come -del resto -la stessa Corte remittente riconosce, che nessun controllo di proporzionalità è consentito dalla decisione quadro alle autorità dello Stato membro di esecuzione. Ciò che, naturalmente, rende del tutto superflua qualsiasi ulteriore considerazione in merito alla palese e assoluta gravità dei fatti di cui KL è stato riconosciuto responsabile e alla conseguente piena adeguatezza della sanzione irrogata dalle autorità giudiziarie nazionali conformemente alle previsioni del codice penale. Conclusioni 70. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere positivamente al primo quesito, affermando che, l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminazione è soddisfatta in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la consegna è richiesta per atti che sono stati qualificati, nello Stato emittente, come devastazione e saccheggio, consistenti in fatti di devastazione e saccheggio idonei a provocare una violazione dell’ordine pubblico, anche quando nello Stato di esecuzione esistono le fattispecie di reato di furto con danneggiamento, distruzione e deterioramento che non richiedono tale elemento di violazione dell’ordine pubblico. 71. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di rispondere negativamente al secondo quesito, ove non venga reputato inammissibile, affermando che l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che l’organo giurisdizionale dello Stato di esecuzione non può rifiutare di eseguire un mandato d'arresto europeo emesso per l'esecuzione di una pena, qualora esso constati che l'interessato è stato condannato dalle autorità giudiziarie dello Stato emittente a tale pena per la commissione di un reato unico, la cui prevenzione contemplava diverse azioni, e solo alcune di tali azioni costituiscono un reato per lo Stato di esecuzione, apparendo irrilevante che le autorità giurisdi CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE zionali dello Stato emittente abbiano considerato tali diverse azioni come separabili o meno. 72. Il Governo italiano propone inoltre alla Corte di rispondere negativamente al terzo quesito, ove non venga reputato inammissibile, affermando che l'articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali non impone all'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione di rifiutare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo qualora, da un lato, esso sia stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena unica inflitta per reprimere un unico reato e, dal- l'altro, poiché alcuni dei fatti per i quali è stata pronunciata tale pena non costituiscono reato secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione, la consegna possa essere concessa solo per alcuni di tali fatti. Roma, 27 luglio 2021 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Corte di giustizia dell’unione europea, sezione terza, sentenza 14 luglio 2022, C-168/21 -pres., rel. K. Jürimäe -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Francia) il 16 marzo 2021 - Procureur général près la cour d’appel d’Angers / KL. «Rinvio pregiudiziale -Cooperazione giudiziaria in materia penale -Decisione quadro 2002/584/GAI -Articolo 2, paragrafo 4 -Condizione della doppia incriminabilità del fatto Articolo 4, punto 1 -motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo Controllo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione -Fatti in parte costitutivi di un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione -Articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea -Principio di proporzionalità dei reati e delle pene» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 4, e dell’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro 2002/584»), nonché dell’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, in Francia, di un mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie italiane nei confronti di KL ai fini dell’esecuzione di una pena di dodici anni e sei mesi di reclusione per fatti qualificati come rapina in concorso, devastazione e saccheggio, porto abusivo di armi ed esplosione di ordigni commessi a Genova (Italia) nel 2001. Contesto normativo Diritto dell’Unione 3 I considerando 6 e 12 della decisione quadro 2002/584 sono formulati nei termini seguenti: «(6) Il mandato d’arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 (...) (12) La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [TUE] e contenuti nella [Carta] (...), segnatamente il capo VI. (...)». 4 L’articolo 1 di tale decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», così dispone: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [TUE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro». 5 L’articolo 2 di detta decisione quadro, intitolato «Campo d’applicazione del mandato d’arresto europeo», ai paragrafi 1, 2 e 4 prevede quanto segue: «1. Il mandato d’arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. 2. Danno luogo a consegna in base al mandato d’arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni: (...) 4. Per quanto riguarda i reati non contemplati dal paragrafo 2, la consegna può essere subordinata alla condizione che i fatti per i quali è stato emesso il mandato d’arresto europeo costituiscano un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso». 6 Gli articoli 3, 4 e 4 bis della medesima decisione quadro elencano i motivi di non esecuzione obbligatoria e facoltativa del mandato d’arresto europeo. In particolare, l’articolo 4 della decisione quadro 2002/584, intitolato «motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo», al suo punto 1 così dispone: «L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo: 1) se, in uno dei casi di cui all’articolo 2, paragrafo 4, il fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione; (...)». 7 L’articolo 5 della decisione quadro 2002/584 prevede le garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari. Diritto francese 8 L’articolo 695-23 del code de procédure pénale (codice di procedura penale) prevede quanto segue: CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE «L’esecuzione di un mandato d’arresto europeo è altresì rifiutata se il fatto oggetto di detto mandato d’arresto non costituisce reato ai sensi della legge francese. In deroga al primo comma, un mandato d’arresto europeo è eseguito senza il controllo della doppia incriminabilità dei fatti contestati qualora le condotte considerate siano punite, ai sensi della legge dello Stato membro emittente, con una pena privativa della libertà di durata pari o superiore a tre anni di reclusione o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata analoga e rientrino in una delle categorie di reati previste dall’articolo 694-32. Qualora siano applicabili le disposizioni del comma precedente, la qualificazione giuridica dei fatti e la determinazione della pena inflitta dipendono esclusivamente dalla discrezionalità dell’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente. (...)». Diritto italiano 9 L’articolo 419 del codice penale, nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale, così dispone: «Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 10 Il 6 giugno 2016 le autorità giudiziarie italiane hanno emesso nei confronti di KL un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esecuzione di una pena di dodici anni e sei mesi di reclusione, pronunciata dalla Corte d’appello di Genova (Italia) con sentenza del 9 ottobre 2009, divenuta esecutiva il 13 luglio 2012, dopo che la Corte suprema di cassazione (Italia) aveva respinto in tale data l’impugnazione proposta dall’interessato. 11 Tale pena corrisponde al cumulo di quattro pene inflitte per quattro reati, ossia il primo, rapina in concorso, punito con la pena di un anno di reclusione, il secondo, devastazione e saccheggio, punito con la pena di dieci anni di reclusione, il terzo, porto abusivo di armi, punito con la pena di nove mesi di reclusione e il quarto, esplosione di ordigni, punito con la pena di nove mesi di reclusione. 12 Per quanto riguarda specificamente il reato di «devastazione e saccheggio», il mandato d’arresto europeo descrive nella maniera seguente le circostanze in cui tale reato è stato commesso: «[I]n concorso con altre persone, in numero superiore a cinque, partecipando alla manifestazione contro il vertice G8, [KL] ha commesso fatti di devastazione e saccheggio, in un contesto spazio-temporale in cui si era verificato un oggettivo pericolo per l’ordine pubblico; vari casi di danneggiamento degli arredi urbani e delle proprietà pubbliche con conseguente danno non quantificabile con precisione, ma non inferiore a centinaia di milioni di lire; danneggiamento, saccheggio, distruzione a mezzo incendio anche di istitut[i] di credito, di autovetture e di altri esercizi commerciali, con la circostanza aggravante di avere cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravità». 13 Secondo le indicazione fornite alla Corte, dalla sentenza della Corte d’appello di Genova del 9 ottobre 2009 risulta che, sotto la qualifica di «devastazione e saccheggio», prevista all’articolo 419 del codice penale, sono stati imputati a KL sette fatti, puniti in quanto rientranti in un medesimo disegno criminoso, ossia danneggiamento di arredi urbani e di proprietà pubbliche, danneggiamento e saccheggio di un cantiere edile, danneggiamento totale dei locali di Credito Italiano SpA, danneggiamento totale a mezzo incendio di un veicolo Fiat Uno, danneggiamento totale a mezzo incendio dei locali di Banca Carige RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 SpA, danneggiamento totale a mezzo incendio di un veicolo Fiat Brava nonché danneggiamento totale e saccheggio di un supermercato. 14 KL non ha acconsentito alla sua consegna in esecuzione del mandato d’arresto europeo menzionato al punto 10 della presente sentenza. 15 Con sentenza del 23 agosto 2019, la sezione istruttoria della cour d’appel de Rennes (Corte d’appello di Rennes, Francia) ha disposto un’integrazione informativa, diretta, in particolare, alla produzione della sentenza della Corte d’appello di Genova del 9 ottobre 2009 e della sentenza della Corte suprema di cassazione del 13 luglio 2012, menzionata al punto 10 della presente sentenza. 16 Con sentenza del 15 novembre 2019, la sezione istruttoria della cour d’appel de Rennes (Corte d’appello di Rennes) ha rifiutato la consegna di KL per un motivo procedurale. Tale sentenza è stata cassata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) e la causa è stata rinviata dinanzi alla cour d’appel di Angers (Corte d’appello di Angers, Francia). 17 Con sentenza del 4 novembre 2020, la sezione istruttoria della cour d’appel d’Angers (Corte d’appello di Angers), da un lato, ha rifiutato la consegna di KL alle autorità italiane in forza del mandato d’arresto europeo per la parte in cui quest’ultimo era stato emesso per l’esecuzione della pena di dieci anni di reclusione inflitta per i fatti qualificati come «devastazione e saccheggio» e, dall’altro, ha disposto un supplemento di informazioni diretto a chiedere all’autorità giudiziaria italiana se essa desiderasse che fosse eseguita in Francia la condanna a due anni e sei mesi di reclusione pronunciata a titolo delle altre tre pene contemplate da tale mandato. 18 Il procureur général près la cour d’appel d’Angers (procuratore generale presso la Corte d’appello di Angers) e KL hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione), il giudice del rinvio. 19 Quest’ultimo giudice ritiene che la causa dinanzi ad esso pendente sollevi questioni di interpretazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto, prevista all’articolo 2, paragrafo 4, e all’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 (in prosieguo: la «condizione della doppia incriminabilità del fatto»). 20 A tal riguardo, il giudice del rinvio sottolinea che, per rifiutare la consegna di KL ai fini- dell’esecuzione della pena di dieci anni di reclusione inflitta per i fatti qualificati come «devastazione e saccheggio», la sezione istruttoria della cour d’appel d’Angers (Corte d’appello di Angers) ha rilevato che due delle condotte sottese a tale reato non erano suscettibili di costituire reato in Francia, ossia, da un lato, il danneggiamento dei locali del Credito Italiano e, dall’altro, il danneggiamento a mezzo incendio del veicolo Fiat Brava. Tale sezione istruttoria ne ha dedotto che, poiché la Corte d’appello di Genova e la Corte suprema di cassazione avevano «espresso la volontà inequivoca» di analizzare i sette fatti perseguiti sotto la qualificazione di «devastazione e saccheggio» come costituenti un insieme inscindibile, la condizione della doppia incriminabilità del fatto imponeva di escludere l’insieme dei fatti inscindibili puniti sotto tale qualificazione. 21 In tale contesto, il giudice del rinvio osserva che, alla luce della giurisprudenza della Corte risultante dalla sentenza dell’11 gennaio 2017, Grundza (C‑289/15, EU:C:2017:4), nel valutare la doppia incriminabilità del fatto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare se i fatti alla base del reato di cui trattasi, come descritti nella sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato membro di emissione, sarebbero anch’essi, di per sé, penalmente perseguibili nel territorio dello Stato membro dell’esecuzione, nell’ipotesi in cui tali CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 fatti si fossero verificati in tale territorio. Non sarebbe necessaria una corrispondenza esatta né tra gli elementi costitutivi di tale reato, quale definito dalle leggi, rispettivamente, dello Stato membro di emissione e dello Stato membro di esecuzione, né nella denominazione o nella classificazione di detto reato, secondo le leggi nazionali interessate. 22 Detto giudice afferma che, sebbene sia stata elaborata nell’ambito dell’interpretazione della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa al- l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure restrittive della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea (GU 2008, L 327, pag. 27), tale giurisprudenza risulta trasponibile alle condizioni in presenza delle quali deve essere effettuato il controllo della doppia incriminabilità del fatto in materia di mandato d’arresto europeo a causa della similitudine, nelle due decisioni quadro, delle disposizioni relative alla doppia incriminabilità. 23 Il medesimo giudice rileva che, secondo la legge italiana, il reato di «devastazione e saccheggio » si riferisce ad atti di distruzione e danneggiamento molteplici e massicci, che causano non solo un pregiudizio ai proprietari dei beni, ma anche una violazione dell’ordine pubblico, mettendo in pericolo il normale svolgimento della vita civile. Secondo il diritto penale francese, il fatto di mettere in pericolo l’ordine pubblico attraverso la distruzione di massa di beni mobili o immobili non costituisce una fattispecie di reato specifica. Sarebbero da considerarsi tali solo la distruzione, il danneggiamento, il furto con danneggiamento commessi, se del caso, in concorso, idonei a causare un pregiudizio ai proprietari dei beni. 24 Sebbene non sia richiesta una corrispondenza esatta tra gli elementi costitutivi del reato di cui trattasi nel diritto italiano e quelli del reato corrispondente nel diritto francese, il pregiudizio all’ordine pubblico risulterebbe tuttavia un elemento essenziale ai fini della qualificazione del reato di «devastazione e saccheggio», cosicché, secondo il giudice del rinvio, l’applicazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto non sembra imporsi con un’evidenza tale da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio. 25 Nell’ipotesi in cui la condizione della doppia incriminabilità del fatto non ostasse alla consegna di KL, tale giudice ritiene che si porrebbe allora la questione della proporzionalità della pena per la quale tale consegna è richiesta soltanto in relazione ai fatti per i quali tale condizione è soddisfatta. 26 A tale riguardo, in primo luogo, il giudice del rinvio osserva che la decisione quadro 2002/584 non contiene alcuna disposizione che consenta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna dell’interessato per il motivo che la pena irrogata nello Stato membro emittente risulti sproporzionata rispetto ai fatti per i quali è prevista la consegna. 27 In secondo luogo, sebbene, ai sensi dell’articolo 5 di tale decisione quadro, l’esecuzione del mandato d’arresto europeo possa essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione alla condizione che l’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente preveda disposizioni che consentano una revisione della pena inflitta, ciò vale unicamente nell’ipotesi in cui il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso sia punito con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita. 28 Pertanto, anche se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ritenesse che esistano serie difficoltà in ordine alla proporzionalità del mandato d’arresto europeo, essa non potrebbe rifiutarsi, per tale motivo, di ordinare la consegna della persona ricercata ai fini dell’esecuzione della pena irrogata nello Stato membro emittente. Inoltre, poiché spetta, in linea RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 di principio, all’autorità giudiziaria emittente verificare la proporzionalità di un mandato d’arresto europeo prima della sua emissione, nell’ipotesi in cui tale mandato sia rilasciato per l’esecuzione di una pena che punisce un reato unico caratterizzato da più condotte, ma delle quali solo alcune costituiscono reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, potrebbe accadere che tale mandato non sia più proporzionato nella fase della sua esecuzione mentre lo era nella fase della sua emissione. 29 In tali circostanze, alla luce dei diritti e dei principi giuridici fondamentali che devono essere rispettati nell’ambito del mandato d’arresto europeo, conformemente all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, che stabilisce il principio secondo il quale l’intensità delle pene non dev’essere sproporzionata rispetto al reato di cui trattasi, imponga all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora, da un lato, quest’ultimo sia stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena unica che punisce un reato unico e, dall’altro, una parte dei fatti per i quali tale pena è stata inflitta non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 30 In tali circostanze, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, [punto] 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminazione [del fatto] è soddisfatta in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la consegna è richiesta per atti che sono stati qualificati, nello Stato [membro] emittente, come “devastazione e saccheggio”, consistenti in fatti di devastazione e saccheggio idonei a provocare una violazione dell’ordine pubblico, quando nello Stato [membro] di esecuzione esistono le fattispecie di reato di furto con danneggiamento, distruzione e deterioramento che non richiedono tale elemento di violazione dell’ordine pubblico. 2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, [punto] 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che l’organo giurisdizionale dello Stato [membro] di esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo emesso per l’esecuzione di una pena, qualora esso constati che l’interessato è stato condannato dalle autorità giudiziarie dello Stato [membro] emittente a tale pena per la commissione di un reato unico, la cui prevenzione contemplava diverse azioni, e solo alcune di tali azioni costituiscono un reato per lo Stato [membro] di esecuzione. Se occorra distinguere a seconda che le autorità giurisdizionali dello Stato [membro] emittente abbiano considerato tali diverse azioni come separabili o meno. 3) Se l’articolo 49, paragrafo 3, della [Carta] imponga all’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora, da un lato, esso sia stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena unica inflitta per reprimere un unico reato e,dall’altro, poiché alcuni dei fatti per i quali è stata pronunciata tale pena non costituiscono reato secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione, la consegna possa essere concessa solo per alcuni di tali fatti». sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 31 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 debbano essere inter CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 pretati nel senso che la condizione della doppia incriminabilità del fatto è soddisfatta nel caso in cui un mandato d’arresto europeo sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta per fatti che integrano, nello Stato membro emittente, un reato che richiede che tali fatti ledano un interesse giuridico tutelato in tale Stato membro, quando tali fatti costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, reato del quale la lesione di tale interesse giuridico tutelato non è un elemento costitutivo. 32 Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, per determinare la portata della condizione della doppia incriminabilità del fatto, si deve tenere conto non soltanto della lettera dell’articolo 2, paragrafo 4, e dell’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, ma anche del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui tali disposizioni fanno parte [v., in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2021, Spetsializirana prokuratura (Comunicazione dei diritti), C‑649/19, EU:C:2021:75, punto 42 e giurisprudenza citata]. 33 In primo luogo, dalla lettera dell’articolo 2, paragrafo 4, della decisione quadro 2002/584 risulta che la valutazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto impone di verificare se i fatti per i quali è stato emesso il mandato d’arresto europeo costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, e ciò «indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso». Correlativamente, l’articolo 4 di tale decisione quadro, riguardante i motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo, precisa, al punto 1, che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo se, in uno dei casi di cui all’articolo 2, paragrafo 4, di detta decisione quadro, il fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 34 Pertanto, al fine di determinare se la condizione della doppia incriminabilità del fatto sia soddisfatta, è necessario e sufficiente che i fatti che hanno dato luogo all’emissione del mandato d’arresto europeo costituiscano reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. Ne consegue che non è necessario che i reati siano identici nei due Stati membri interessati (v., per analogia, a proposito dell’applicazione del principio del riconoscimento reciproco alle sentenze in materia penale, sentenza dell’11 gennaio 2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 34). 35 Infatti, dai termini «indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica» del reato come previsto nello Stato membro di esecuzione risulta chiaramente che il legislatore dell’Unione non ha ritenuto necessaria una corrispondenza esatta tra gli elementi costitutivi del reato, quale definito dalle leggi, rispettivamente, dello Stato membro di emissione e dello Stato membro di esecuzione, né nella denominazione o nella classificazione di tale reato secondo tali leggi nazionali (v., per analogia, sentenza dell’11 gennaio 2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 35). 36 Ne consegue che, nel valutare la condizione della doppia incriminabilità del fatto, al fine di determinare se sussista un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo ai sensi dell’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, l’autorità giudiziaria del- l’esecuzione è tenuta a verificare se gli elementi di fatto alla base del reato che ha dato luogo all’emissione di tale mandato d’arresto europeo sarebbero altresì, in quanto tali, costitutivi di un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione nell’ipotesi in cui si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza dell’11 gennaio 2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 38). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 37 In secondo luogo, anche il contesto in cui si iscrivono l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, nonché gli obiettivi di tale decisione quadro depongono a favore di tale interpretazione. 38 In proposito, occorre ricordare che detta decisione quadro è diretta, mediante l’istituzione di un sistema semplificato ed efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione europea di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri [sentenza del 22 febbraio 2022, Openbaar ministerie (Corte istituita per legge nello Stato membro emittente), C‑562/21 PPU e C‑563/21 PPU, EU:C:2022:100, paragrafo 42 e giurisprudenza citata]. 39 Il principio del riconoscimento reciproco, che costituisce, secondo il considerando 6 della decisione quadro 2002/584, il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale, trova espressione all’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro in parola, che sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo in base a tale principio e conformemente alle disposizioni di detta decisione quadro [sentenza del 22 febbraio 2022, Openbaar ministerie (Corte istituita per legge nello Stato membro emittente) C‑562/21 PPU e C‑563/21 PPU,EU:C:2022:100, punto 43 e giurisprudenza citata]. 40 Ne consegue che le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono, in via di principio, rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo solo per i motivi di non esecuzione tassativamente elencati dalla decisione quadro 2002/584 e possono subordinare l’esecuzione del medesimo esclusivamente a una delle condizioni tassativamente previste all’articolo 5 di tale decisione quadro. Di conseguenza, mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva [sentenza del 22 febbraio 2022, Openbaar ministerie (Corte istituita per legge nello Stato membro emittente), C‑562/21 PPU e C‑563/21 PPU, EU:C:2022:100, punto 44 e giurisprudenza citata]. 41 Il principio del riconoscimento reciproco, che è alla base del meccanismo di consegna istituito dalla decisione quadro 2002/584, ha condotto, in particolare, alla compilazione, all’articolo 2, paragrafo 2, di tale decisione quadro, di un elenco di reati che danno luogo alla consegna della persona interessata sulla base di un mandato europeo senza il controllo della doppia incriminabilità del fatto. 42 Per i reati che non figurano in tale elenco, l’articolo 2, paragrafo 4, di detta decisione quadro prevede la facoltà per lo Stato membro di esecuzione di subordinare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo alla circostanza che sia soddisfatta la condizione della doppia incriminabilità del fatto. 43 Tale condizione costituisce, ai sensi dell’articolo 4, punto 1, della medesima decisione quadro, un motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo e, pertanto, un’eccezione alla regola secondo la quale il mandato d’arresto europeo deve essere eseguito, cosicché l’ambito di applicazione di tale motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo deve essere interpretato in maniera restrittiva al fine di limitare i casi di non esecuzione di tale mandato d’arresto (v., per analogia, sentenza dell’11 gennaio 2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 46). 44 Pertanto, sebbene l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 conferisca al- l’autorità giudiziaria dell’esecuzione il potere di rifiutare l’esecuzione del mandato d’ar CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 resto europeo qualora la condizione della doppia incriminabilità del fatto non sia soddisfatta, tale disposizione, in quanto sancisce una regola derogatoria rispetto al principio del riconoscimento reciproco enunciato all’articolo 1, paragrafo 2, di tale decisione quadro, non può essere interpretata in una maniera che induca a neutralizzare l’obiettivo ricordato ai punti da 38 a 40 della presente sentenza, consistente nel facilitare ed accelerare le consegne tra le autorità giudiziarie degli Stati membri tenuto conto della fiducia reciproca che deve esistere tra di essi [v., per analogia, sentenza del 24 settembre 2020, Generalbundesanwalt beim Bundesgerichtshof (Principio di specialità), C‑195/20 PPU,EU:C:2020:749, punto 35 e giurisprudenza citata]. 45 Orbene, interpretare la condizione della doppia incriminabilità del fatto nel senso che tale condizione richiede l’esistenza di una corrispondenza esatta tra gli elementi costitutivi del reato come qualificato dalla legge dello Stato membro emittente e quelli del reato previsto dalla legge dello Stato membro di esecuzione, così come per quanto riguarda l’interesse giuridico tutelato dalle leggi di questi due Stati membri, pregiudicherebbe l’effettività della procedura di consegna. 46 Infatti, alla luce dell’armonizzazione minima nell’ambito del diritto penale a livello del- l’Unione, una siffatta corrispondenza esatta può non sussistere per un gran numero di reati. L’interpretazione prospettata al punto precedente limiterebbe di conseguenza considerevolmente i casi nei quali la condizione della doppia incriminabilità del fatto potrebbe essere soddisfatta, mettendo così a repentaglio l’obiettivo perseguito dalla decisione quadro 2002/584. 47 Inoltre, e di conseguenza, tale interpretazione disattenderebbe anche l’obiettivo consistente nel lottare contro l’impunità di una persona ricercata che si trovi in un territorio diverso da quello nel quale ha commesso il reato, obiettivo anch’esso previsto dalla decisione quadro 2002/584 [v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Openbaar ministerie (Indipendenza dell’autorità giudiziaria emittente), C‑354/20 PPU e C‑412/20 PPU, EU:C:2020:1033, punto 62 e giurisprudenza citata]. 48 Infatti, interpretare la condizione della doppia incriminabilità del fatto nel senso che tale condizione richiede che l’interesse giuridico tutelato la cui violazione sia un elemento costitutivo del reato ai sensi della legge dello Stato membro emittente dev’essere un elemento costitutivo del reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione potrebbe portare al rifiuto della consegna della persona interessata in esecuzione del mandato d’arresto europeo, nonostante tale persona sia stata oggetto di una condanna nello Stato membro emittente e i fatti per i quali tale mandato d’arresto europeo è stato emesso costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 49 Pertanto, l’applicazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto non può esigere che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione verifichi che la lesione dell’interesse giuridico tutelato dalla legge dello Stato membro emittente sia anche un elemento costitutivo del reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 50 Di conseguenza, è irrilevante che i fatti che hanno dato luogo all’emissione del mandato d’arresto europeo integrino, nello Stato membro emittente, un reato che richiede che tali fatti siano tali da ledere un interesse giuridico tutelato in forza della legge di tale Stato membro, come, nel caso di specie, la violazione dell’ordine pubblico, mentre tale elemento non è necessario ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione affinché i medesimi fatti possano costituire reato. 51 In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 che l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 devono essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminabilità del fatto è soddisfatta nel caso in cui un mandato d’arresto europeo sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta per fatti che integrano, nello Stato membro emittente, un reato che richiede che tali fatti ledano un interesse giuridico tutelato in tale Stato membro, quando i suddetti fatti costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, reato del quale la lesione di tale interesse giuridico tutelato non è un elemento costitutivo. Sulle questioni seconda e terza 52 Con le questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, letti alla luce dell’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, debbano essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, qualora tale pena sia stata inflitta, nello Stato membro emittente, per la commissione, da parte della persona ricercata, di un reato unico composto da più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro dell’esecuzione. 53 In via preliminare, occorre constatare che l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 non prevedono espressamente l’ipotesi secondo la quale l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo possa essere rifiutata per il motivo che solo una parte dei fatti che hanno dato luogo al reato unico nello Stato membro emittente su cui si fonda tale mandato d’arresto europeo costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 54 In tali circostanze, occorre tenere conto del contesto nel quale tali disposizioni si inseriscono nonché degli obiettivi perseguiti dalla decisione quadro 2002/584. 55 In primo luogo, dalla risposta alla prima questione risulta che non è rilevante, ai fini della valutazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto, che i fatti per i quali è stato emesso il mandato d’arresto europeo siano stati qualificati come reato unico ai sensi della legge dello Stato membro emittente. 56 Infatti, come risulta dal punto 51 della presente sentenza, tale valutazione si limita a stabilire se, nel caso in cui i fatti di cui trattasi si fossero verificati nel territorio dello Stato membro di esecuzione, tali fatti avrebbero costituito reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi di tale reato e dalla qualificazione presi in considerazione nello Stato membro emittente. 57 In secondo luogo, per quanto riguarda la questione se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa rinvenire un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo nella circostanza che solo una parte di detti fatti costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, occorre ricordare, come indicato al punto 43 della presente sentenza, che la condizione della doppia incriminabilità del fatto è annoverata tra i motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo, elencati all’articolo 4 di tale decisione quadro, i quali devono essere interpretati restrittivamente, al fine di limitare i casi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo. 58 Di conseguenza, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, salvo estendere il motivo di non esecuzione di cui all’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584 alla parte dei fatti che costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione e che non rientra quindi nell’ambito di applica CONTENZIOSO COmUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 zione di tale motivo, la circostanza che solo una parte dei fatti che compongono un reato nello Stato membro emittente costituisce reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione non può consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo. 59 Tale interpretazione è corroborata dall’impianto sistematico di tale decisione quadro. 60 Infatti, anche supponendo che, nella circostanza di cui al punto 58 della presente sentenza, la consegna sia subordinata alla condizione che la persona interessata non subisca la pena nello Stato membro emittente per la parte dei fatti che non costituisce reato nello Stato membro di esecuzione, occorre rilevare che una siffatta condizione non figura all’articolo 5 della decisione quadro 2002/584. Orbene, la Corte ha ripetutamente dichiarato che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo può essere subordinata soltanto ad una delle condizioni tassativamente previste dal suddetto articolo 5 [v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, X (mandato d’arresto europeo -Doppia incriminazione), C‑717/18, EU:C:2020:142, punto 41 e giurisprudenza citata]. 61 L’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 4, e dell’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, esposta ai punti precedenti della presente sentenza, è inoltre corroborata dall’analisi degli obiettivi perseguiti dalla decisione quadro 2002/584, rammentati ai punti da 38 a 40 e 47 di tale sentenza, ossia, da un lato, l’obiettivo consistente nel facilitare e accelerare le consegne tra le autorità giudiziarie degli Stati membri in considerazione della fiducia reciproca che deve esistere tra di loro e, dall’altro, quello consistente nel lottare contro l’impunità di una persona ricercata che si trovi in un territorio diverso da quello nel quale essa ha asseritamente commesso un reato. 62 Come sostiene, in sostanza, il governo francese nelle sue osservazioni scritte, l’interpretazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto nel senso che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo potrebbe essere rifiutata per il motivo che una parte dei fatti incriminati nello Stato membro emittente non costituisce reato nello Stato membro di esecuzione creerebbe ostacoli alla consegna effettiva della persona interessata e condurrebbe all’impunità di quest’ultima per l’insieme dei fatti di cui trattasi. Invero, tale interpretazione porterebbe a rifiutare la consegna anche qualora una parte di tali fatti soddisfi tale condizione. 63 Pertanto, si deve ritenere che la condizione della doppia incriminabilità del fatto sia soddisfatta qualora il mandato d’arresto europeo sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, sebbene tale pena sia stata inflitta, nello Stato membro emittente, per la commissione da parte della persona ricercata di un reato unico composto da più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro di esecuzione. 64 Una siffatta interpretazione è altresì conforme al principio di proporzionalità dei reati e delle pene, previsto all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, su cui vertono gli interrogativi del giudice del rinvio. 65 Infatti, da un lato, nel sistema istituito dalla decisione quadro 2002/584, il rispetto del principio di proporzionalità dei reati e delle pene è garantito dalle autorità giudiziarie dello Stato membro emittente. La Corte ha dichiarato che la garanzia del rispetto dei diritti della persona di cui è stata chiesta la consegna rientra in primo luogo nella responsabilità dello Stato membro emittente [sentenze del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C‑367/16, EU:C:2018:27, punto 50, e del 6 dicembre 2018, IK (Esecuzione di una pena supplementare), C‑551/18 PPU, EU:C:2018:991, punto 66]. 66 Dall’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 il carattere eventualmente sproporzionato della pena inflitta nello Stato membro emittente non figura tra i motivi di non esecuzione obbligatoria e facoltativa di un mandato d’arresto europeo elencati agli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro 2002/584. 67 Inoltre, dal punto 36 della presente sentenza risulta che la condizione della doppia incriminabilità del fatto implica unicamente di verificare se gli elementi di fatto del reato che ha dato luogo all’emissione di tale mandato d’arresto europeo sarebbero altresì, di per sé, costitutivi di un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione nell’ipotesi in cui essi si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo. 68 Non spetta pertanto all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, nell’ambito della valutazione di tale condizione, valutare la pena inflitta nello Stato membro di emissione alla luce del- l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta. 69 Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda e alla terza questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, letti alla luce dell’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, devono essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, quando tale pena è stata inflitta, nello Stato membro emittente, per la commissione, da parte della persona ricercata, di un reato unico composto da più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro di esecuzione. sulle spese 70 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 1) l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/Gai del Consiglio, del 26 febbraio 2009, devono essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminabilità del fatto, prevista da tali disposizioni, è soddisfatta nel caso in cui un mandato d’arresto europeo sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta per fatti che integrano, nello stato membro emittente, un reato che richiede che tali fatti ledano un interesse giuridico tutelato in tale stato membro, quando i suddetti fatti costituiscono reato anche ai sensi della legge dello stato membro di esecuzione, reato del quale la lesione di tale interesse giuridico tutelato non è un elemento costitutivo. 2) l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 4, punto 1, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, letti alla luce dell’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, devono essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, quando tale pena è stata inflitta, nello stato membro emittente, per la commissione, da parte della persona ricercata, di un reato unico composto da più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello stato membro di esecuzione. CONTENZIOSONAZIONALE Reati associativi e giudice naturale: brevi considerazioni su Cassazione penale, Sez. II, n. 45584 del 1 dicembre 2022 Federico Casu* Sommario: 1. La pronuncia in sintesi -2. La competenza territoriale nei reati associativi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione -3. La positività dell’ordinamento tra certezza del diritto e giustizia sostanziale. 1. La pronuncia in sintesi. La Corte di Cassazione è recentemente tornata sul tema della competenza territoriale del giudice nei reati associativi. Il caso di specie origina da un’ordinanza, adottata in sede di riesame, con la quale il Tribunale di Roma confermava la legittimità di un provvedimento cautelare, in carcere, adottato dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di un soggetto indagato per 416-bis c.p., in concorso con tutta un’altra serie di delitti fra i quali l’estorsione (art. 629 c.p.) e la detenzione di armi (legge n. 895 del 1967). In particolare, l’autorità giudiziaria contestava all’interessato il suo ruolo operativo all’interno di una locale di ‘ndragheta costituita a Roma dietro autorizzazione di un sodalizio, gerarchicamente sovraordinato (la c.d. “provincia”), attivo in provincia di Reggio Calabria. Il ricorso in Cassazione fa perno su un’asserita violazione di legge per avere il Tribunale del riesame disatteso l’eccezione di incompetenza per territorio, essendo la “locale” romana una diretta promanazione della più importante organizzazione reggina, con conseguente attrazione della competenza territoriale in favore delle autorità giudiziarie calabresi. (*) Viceprefetto. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 I giudici della seconda sezione, nel dichiarare il ricorso infondato, hanno, viceversa, riconosciuto la legittimità del provvedimento cautelare e, quindi, la piena competenza dei colleghi romani in ragione dell’autonomia organizzativa e funzionale della locale attiva nella Capitale, ove, peraltro, risultava commessa la maggior parte dei reati-fine del sodalizio in parola. 2. La competenza territoriale nei reati associativi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. La pronuncia in commento si inserisce in un articolato contesto giurisprudenziale riguardante l’interpretazione degli articoli 8 e 9 del codice di procedura penale in merito alla definizione degli ambiti della competenza territoriale del giudice nei reati associativi. Al riguardo, si sono nel tempo delineati tre distinti orientamenti qui di seguito sintetizzati. Un primo indirizzo predilige il criterio secondo cui la competenza territoriale si radicherebbe nel luogo in cui l’associazione si è costituita: più precisamente, essendo il delitto associativo un reato di natura permanente, la consumazione, ai sensi dell’art. 8, primo comma, c.p.p., si avrebbe nel momento e nel luogo di costituzione del vincolo associativo (1). Un secondo indirizzo, viceversa, sostiene che la competenza per territorio sorga con riferimento al luogo in cui l’associazione ha iniziato concretamente ad agire, ovvero nel contesto in cui l’operatività del sodalizio divenga esternamente percepibile per la prima volta (2). A tal fine, risulterebbe rilevante, in chiave ermeneutica, il luogo di commissione dei singoli delitti realizzati in attuazione del programma criminoso solo nel caso in cui, per numero e consistenza, essi rivelino l’ambito territoriale in cui il sodalizio sia concretamente operativo. Un terzo indirizzo, infine, ritiene che la competenza si radichi nel luogo ove abbia sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione della attività criminose facenti capo all’associazione. Sulla base del predetto filone giurisprudenziale, assumerebbe rilievo non tanto il dove di integrazione del pactum sceleris, quanto il luogo in cui si sia effettivamente manifestato e realizzato il momento programmatico e direzionale della struttura criminale, essendo irrilevante il luogo di commissione dei singoli reati riferibili all’associazione (3). In tale quadro, la sentenza in commento sembrerebbe aderire al secondo indirizzo, riaffermando il principio per il quale «...il luogo in cui sorge una struttura che sia in grado di assicurare un minimum di mantenimento della situazione (1) In tal senso Cass. Pen., Sez. I, n. 600 del 7 febbraio 1991. (2) Ex plurimis Cass. Pen., Sez. III, n. 24263 del 10 maggio 2007 e, più recentemente, Sez. I, n. 7926 del 22 gennaio 2013, Sez. I, n. 20908 del 28 aprile 2015, Sez. I, n. 22838 del 5 maggio 2022. (3) Ex plurimis Cass. Pen, Sez. II, n. 26763 del 19 giugno 2013, Sez. VI, n. 49995 del 15 settembre 2017. ConTenzIoSo nAzIonALe antigiuridica necessaria per la sussistenza del reato coincide con quello in cui sono programmate, ideate e dirette le attività dell’associazione, ovvero nel luogo in cui si esteriorizza l’associazione attraverso l’esecuzione dei delitti programmati, in tal modo manifestandosi e realizzandosi, secondo un criterio di effettività, l’operatività della struttura e quindi della societas sceleris». Aggiungono, poi, i giudici, nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, quanto segue: «... in territorio romano risultano, pertanto, concretamente programmate, ideate e dirette le attività dell’associazione, nonché si è esteriorizzato il sodalizio attraverso l’esecuzione dei delitti programmati e l’esercizio della riserva di violenza di cui risulta portatore, così manifestatosi, secondo un criterio di effettività, l’operatività della struttura e, quindi, la messa in pericolo del bene protetto». 3. La positività dell’ordinamento tra certezza del diritto e giustizia sostanziale. La questione della competenza territoriale del giudice riveste, come noto, una rilevante importanza, rappresentando la declinazione, in termini processuali, del principio, stabilito dal primo comma dell’articolo 25 della Costituzione, in base al quale nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge (4). È un principio di marca liberale-ottocentesca che già lo Statuto albertino contemplava all’articolo 71, il quale prevedeva che nessuno potesse: «…essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie». Il Costituente, memore dell’esperienza fascista, decise non solo di recuperarlo all’interno del nascente ordinamento repubblicano, ma di schermarlo a livello costituzionale attraverso il suo inserimento in una Carta (5) che, a differenza dello Statuto del 1848, avrebbe assunto la natura di una Costituzione rigida e rafforzata (o, per usare una espressione corrente in dottrina, rigida in senso forte), essendo protetta da un procedimento aggravato di revisione ed essendo vigilata da una Corte costituzionale. Il c.d. principio del giudice naturale si caratterizza, dunque, in primo luogo, quale elemento volto ad evitare, soprattutto in ambito penale, che l’ordine o potere giudiziario, attraverso l’istituzione di giudici straordinari o speciali, divenga il cavallo di Troia attraverso cui tendenze antiliberali inficino la tenuta democratica di un sistema giuridico. (4) M. d’AMICo e g. ARConzo, Commento all’art. 25 Cost., in Commentario alla Costituzione, a cura di A. CeLoTTo, R. BIfULCo, M. oLIVeTTI, Torino, 2006; M. noBILI, Commento all’art. 25, comma 1, in g. BRAnCA (a cura di), Commentario della Costituzione. rapporti civili (artt. 24-26), zanichelli, Bologna, 1981, pp. 135 ss.; R. RoMBoLI, Giudice naturale, voce dell’Enciclopedia giuridica, aggiornamento, giuffrè, Milano, 1998, vol. II, pp. 365-384. (5) Il primo comma dell’articolo 25 va considerato in combinato con la VI disposizione transitoria e finale della Carta. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 esso, tuttavia, risulta, altresì, essenziale ai fini dell’effettività dell’ordinamento e della promozione della giustizia. A quest’ultimo riguardo soccorrono le parole della Corte costituzionale, secondo cui «... deve riconoscersi che il predicato della “naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse…l'effetto di “distrarre” il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella -più che tradizionale -per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati... » (6). Recependo le argomentazioni dei giudici della Consulta, si potrebbe sostenere che le parole diritto e giustizia, più che indicare una medesima realtà concettuale, evidenzino distinti, anche se complementari, aspetti della giurisdizione, intesa quest’ultima quale tradizionale funzione (o potere in senso oggettivo) riconducibile all’ambito di attribuzioni di quello che la dottrina pubblicistica definisce Stato-apparato, per distinguerlo dal c.d. Stato-comunità. e si potrebbe anche sostenere che diritto e giustizia costituiscano un’endiadi strumentale ad assicurare l’effettività, oltreché l’efficacia, di un ordinamento che al diritto penale delega la difesa dei valori fondanti il vivere comunitario. In tale contesto, continua, peraltro, ad assumere un’indubbia valenza la c.d. teoria costituzionale del bene giuridico (7) e ciò nonostante la sua persistente utilità venga, da più parti, se non messa in discussione, quanto meno tendenzialmente ridimensionata (8). Al contrario di quanto si potrebbe pensare, invece, i beni giuridici, intesi quali declinazioni di valori costituzionali, continuano a rappresentare validi punti di ancoraggio per un processo di tipizzazione delle fattispecie incriminatrici orientato verso i principi di materialità e di offensività e, in definitiva, verso il principio di legalità formale e sostanziale. Principio che, come noto, è posto a presidio della libertà e della dignità della persona umana, la quale, a sua volta, è al centro del disegno costituzionale per il tramite degli articoli 2 e 3 della Costituzione. e quando si afferma che l’ordinamento penale di uno Stato democratico pone al centro la persona, ci si riferisce certo, in prima battuta, al soggetto indagato o imputato che, in quanto tale, ha diritto ad un processo giusto (articolo 111 Cost.). (6) Corte costituzionale, sentenza n. 168 del 2006, Pres. Marini, Red. flick. (7) Cfr. f. BRICoLA, Teoria generale del reato. Estratto dal Novissimo digesto italiano d.I., XIX, Torino, UTeT, 1973, pp. 7-93. (8) In proposito interessanti spunti di riflessione in o. dI gIoVIne, Dilemmi morali e diritto penale. istruzioni per un uso giuridico delle emozioni, il Mulino, Bologna, 2022. ConTenzIoSo nAzIonALe Ma ci si riferisce anche al soggetto che, offeso da un reato, è anch’egli titolare di un diritto sintetizzabile nella pretesa a vedersi tutelato attraverso l’individuazione del colpevole e la correlata irrogazione di una pena che è giusta -ed ecco riemergere il tema della giustizia -solo se commisurata anche tenendo conto del danno subito dalla vittima. di qui, l’importanza non solo delle regole generali a disposizione del- l’autorità giudicante per la commisurazione della pena, ai sensi dell’articolo 133 e seguenti del codice penale, ma anche del locus commissi delicti quale criterio principale per l’individuazione del giudice naturale competente a ius dicere ovvero, per tornare all’endiadi diritto-giustizia, ad erogare un diritto giusto (9). Quel giudice, infatti, potrà più di altri garantire all’indagato e/o all’imputato un processo quanto più giusto possibile, anche nell’ottica di una vicinanza geografica alle fonti di prova quale presupposto per l’esercizio del diritto di difesa. Al contempo, tuttavia, egli sarà nella condizione di assicurare la migliore risposta possibile dell’ordinamento alla richiesta di giustizia avanzata da chi abbia, in conseguenza della commissione del reato, patito un’ingiustificata sofferenza. ed ecco allora che il bene giuridico diviene la cartina di tornasole per verificare se la reazione dell’ordinamento sia stata una reazione giusta proprio in ragione della sua capacità di controbilanciare la gravità del reato. In altri termini, il bene giuridico può ancora essere utile per appurare se la sanzione penale sia stata erogata secondo canoni di giustizia, ovvero sia stata commisurata tenendo conto dell’entità del danno arrecato al bene giuridico correlato e ai portatori di interesse che al quel bene fanno riferimento. In tale quadro, con particolare riferimento ai delitti associativi, reati permanenti per eccellenza e in grado di prolungare nel tempo l’offesa ai relativi beni giuridici, sembrerebbe, quindi, di gran lunga più condivisibile e in armonia con i principi dell’ordinamento, per come sopra brevemente delineati, il secondo indirizzo giurisprudenziale indicato al paragrafo 2 -e al quale anche la sentenza in commento sembrerebbe essersi uniformata -che collega, come accennato, la competenza per territorio del giudice al luogo in cui l’associazione ha iniziato concretamente ad operare, ovvero al contesto in cui l’operatività del sodalizio sia divenuto per la prima volta esternamente percepibile, in termini di disvalore del fatto. Quell’indirizzo, infatti, considera rilevante, in chiave ermeneutica, il luogo di commissione dei singoli delitti realizzati dall’associazione in attuazione del proprio programma criminoso, specie nel caso in cui, per numero e (9) Sul punto, anche per le connessioni con la tematica costituzionale del giudice naturale, cfr. f. CoRdeRo, Procedura penale, giuffrè, Milano, p. 116. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 consistenza, essi rivelino l’ambito territoriale in cui il sodalizio si sia reso concretamente operativo. I così detti delitti-fine, come noto, seguono sì un loro autonomo percorso, in termini di imputabilità e di esercizio dell’azione penale, ma rappresentano, allo stesso tempo, lo svolgimento del programma delittuoso dell’associazione; un programma che genera, il più delle volte, da parte di una comunità stanziata su un dato territorio e destinataria degli effetti negativi dell’azione del sodalizio criminale, una richiesta di giustizia che, non a caso, è tanto più forte quanto più geograficamente vicina al luogo in cui il sodalizio stesso nasce, vive e opera. Il discorso, per inciso, meriterebbe ben più ampia riflessione anche sul versante preventivo dell’ordine e della sicurezza pubblica perché quanto più incisiva risulta essere la risposta dell’ordinamento alla richiesta di giustizia che nasce sui territori e dai territori, molto spesso a marcata connotazione urbana, tanto minore sarà il senso sociale di insicurezza percepita. In conclusione, a voler sintetizzare il nucleo tematico delle questioni trattate nella sentenza in commento, si potrebbe evidenziare che un diritto vicino al fatto è un diritto più giusto. e si potrebbe anche sostenere, in linea con tale assunto, che la competenza territoriale, quale criterio principale per l’esercizio della giurisdizione (10), rappresenti un presupposto indispensabile perché, anche dal lato dei titolari dei beni giuridici offesi dal reato e non solamente dal lato dell’autore dell’illecito, le tre classiche funzioni della sanzione penale (retribuzione, prevenzione generale e prevenzione speciale) possano rinvenire un loro punto di equilibrio e di razionale contemperamento (11). Cassazione penale, Sezione II, sentenza 1 dicembre 2022 n. 45584 -Pres. g. diotallevi, rel. g. Ariolli. Ricorso proposto da C.d. (avv. g. Passalacqua) avverso l'ordinanza del 24 maggio 2022 del Trib. Libertà di Roma. RITenUTo In fATTo 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022 il Tribunale del riesame di Roma, decidendo sulla richiesta presentata nell'interesse di C.d., confermava il provvedimento con il quale il g.i.p. dello stesso Tribunale aveva applicato all'indagato la misura cautelare della custodia in carcere in ordine ai delitti di cui agli art. 416-bis, commi 1 e 4 (capo 1); artt. 110, 629 cpv., 416-bis.1 (capo 21); artt. 56-110, 629 cpv., 416-bis.1 c.p. (capo 22); L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7, art. 416-bis.1 c.p. (capi 27 e 32). In particolare, si contesta al ricorrente di essere organico alla 'ndrangheta con una dote della società maggiore e di avere fornito un costante contributo per (10) In vero non solo penale: in proposito si segnala quanto il criterio territoriale, anche nell’ottica di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, sia stata valorizzata nei codici del processo amministrativo e contabile. (11) Pur nel rigoroso rispetto dei principi di cui all’articolo 27 della Carta costituzionale. ConTenzIoSo nAzIonALe l'operatività della locale costituita in Roma, nonchè, in concorso, condotte di estorsione consumata e tentata (capi 21 e 22) e di detenzione illegale di armi (27 e 32). 2. Ha proposto ricorso per cassazione C.d., a mezzo del difensore, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza per violazione della legge processuale (art. 8 c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 416-bis c.p., comma 2) per avere il Tribunale disatteso l'eccezione di incompetenza per territorio formulata con la richiesta di riesame. Richiamata la giurisprudenza secondo la quale, nei reati permanenti, quale quello associativo in esame, l'inizio della consumazione coincide con "un'attività di prima ideazione e programmazione" del sodalizio criminoso, la difesa sostiene che la "locale" romana della 'ndrangheta fu costituita a conclusione di un lungo ed elaborato processo fondativo, iniziato quando il coindagato C.A. fu scarcerato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari a omissis-, ove rimase oltre tre mesi prima di essere sottoposto al medesimo regime a Roma. Questi promosse l'organizzazione della nuova "locale" su incarico della "Provincia" e non solo dopo averne chiesto l'autorizzazione. dagli stessi atti d'indagine, dall'ordinanza genetica e anche da quella impugnata risulta che l'attività di prima ideazione e programmazione della nuova struttura si sia esteriorizzata in territorio calabrese, circostanza confermata dalla pendenza di altro procedimento avanti l'autorità giudiziaria reggina, nel quale a C.A. è riconosciuto un ruolo di spicco nell'ambito dell'associazione "matrice", pur non essendo stata promossa azione cautelare per il reato associativo. ConSIdeRATo In dIRITTo 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Risulta consolidato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, in tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (cfr., ad es., Sez. 3, n. 38009 del 10 maggio 2019, Assisi, Rv. 278166; Sez. 2, n. 41012 del 20 giugno 2018, Rv. 274083), con l'ulteriore precisazione che, a questo fine, "assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura, posto che, in assenza di un riconoscibile profilo strutturale e di una sufficiente connotazione di stabilità, le aggregazioni criminali non esprimono quel disvalore, e quel connotato di pericolosità per l'ordine pubblico, che giustifica, in termini di offensività e tipicità, la punizione prevista dalla legge" (così Sez. 6, n. 4118 del 10 gennaio 2018, Piccolo, Rv. 272185; in senso esattamente conforme cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 49995 del 15 settembre 2017, d'Amato, Rv. 271585; Sez. 2, n. 50338 del 3 dicembre 2015, Signoretta, Rv. 265282; Sez. 4, n. 48837 del 22 settembre 2015, Banev, Rv. 265281; Sez. 5, n. 44369 del 24 ottobre 2014, Robusti, Rv. 262920; Sez. 2, n. 26763 del 19 giugno 2013, Leuzzi, Rv. 256650; Sez. 1, Sentenza n. 6933 del 10 dicembre 1997, dep. 14 febbraio 1998, Rv. 209608; da ultimo v. Sez. 6, n. 40044 del 29 settembre 2022, Bruno, non mass. nonchè Sez. 2, n. 25208 del 18 maggio 2022, Regina, non mass.). Si è anche osservato che "solo con la creazione di una struttura permanente volta alla commissione di una serie indeterminata di reati l'associazione diviene operativa e si realizza la situazione di pericolo per l'interesse tutelato dalla norma che giustifica l'incrimina zione, nascendo il pericolo di lesione dell'interesse penalmente tutelato. di regola, il luogo in cui sorge una struttura che sia in grado di assicurare un minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria per la sussistenza del reato coincide con quello in cui sono programmate, ideate e dirette le attività dell'associazione, ovvero nel luogo in cui si esteriorizza l'as RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 sociazione attraverso l'esecuzione dei delitti programmati, in tal modo manifestandosi e realizzandosi, secondo un criterio di effettività, l'operatività della struttura e quindi della societas sceleris" (così Sez. 3, n. 35578 del 21 aprile 2016, Bilali, Rv. 267635; in senso conforme, da ultimo, v. Sez. 1, n. 22838 del 5 maggio 2022, confl. compet., non mass. nonchè Sez. 3, n. 16579 del 11 gennaio 2022, Bonifacio, non mass. sul punto). nel caso di specie, deve evidenziarsi che la contestazione localizza l'attività dell'associazione de qua in Roma ed il Tribunale del riesame fa riferimento a detto territorio come base dell'organizzazione, nonchè luogo ove si sono svolte le attività di programmazione e ideazione e dove è concentrata la direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio di riferimento. In particolare, i giudici di merito, pur ricordando il carattere unitario della 'ndrangheta, così come venuto a delinearsi anche nell'evoluzione giurisprudenziale di questa Suprema Corte, evidenziano come C.A., dopo avere ricevuto l'autorizzazione dalla Provincia, avesse ideato e pianificato la locale a Roma, che dirigeva poi con A.V. (che ivi vi era già radicato), luogo in cui il sodalizio materialmente operava anche con riferimento alle azioni delittuose che commetteva (reati-fine) ed in cui poi avvenivano le riunioni ed i conferimenti di dote, mantenendosi contatti con le articolazioni radicate in Calabria tra cui, in particolare, quelle di -omissis-. nella ricostruzione operata dall'ordinanza impugnata la locale romana" totalmente "legittima" in quanto costituita previa autorizzazione della Provincia, aveva una sua piena autonomia operando nella Capitale dove venivano commessi i reati fine che ne erano la stessa ragione di sussistenza e dove veniva programmata e ideata l'associazione anche con riferimento al programma delittuoso principalmente volto all'inquinamento del tessuto economico-imprenditoriale. Si sono poi richiamati anche episodi, dettagliatamente ricostruiti, che dimostrano come il sodalizio si fosse costantemente manifestato nell'ambito locale romano anche con riferimento alla forza di intimidazione che gli derivava dall'essere una locale di 'ndrangheta. In territorio romano risultano, pertanto, concretamente programmate, ideate e dirette le attività dell'associazione, nonchè si è esteriorizzato il sodalizio attraverso l'esecuzione dei delitti programmati e l'esercizio della riserva di violenza di cui risulta portatore, così manifestandosi, secondo un criterio di effettività, l'operatività della struttura e, quindi, la messa in pericolo del bene protetto. 1.2. nè, al riguardo, assume rilievo, ai fini della proposta eccezione, per come correttamente evidenziato dal Tribunale, la pronuncia di questa Corte invocata dalla difesa (Sez. 2, n. 29189 del 29 settembre 2020, La Rosa, Rv. 279854), poichè relativa ad un caso del tutto "inverso" rispetto a quello attuale: mentre infatti allora le cellule lombarde, satelliti di quella calabrese, erano amministrate e coordinate dal capo che viveva stabilmente in Calabria (e che si recava solo occasionalmente fuori Regione), nel caso in esame la locale romana, pur rinvenendo la sua legittimazione "mafiosa" nell'autorizzazione della Provincia, risulta diretta, amministrata e gestita a Roma ove vivevano C.A. ed A.V., ritenuti rispettivamente il promotore ed il direttore del sodalizio, ed ove gli stessi e i coindagati commettevano le azioni delittuose programmate (pag. 15). 1.3. A conferma della correttezza dell'opzione ermeneutica seguita, l'ordinanza impugnata ha fatto corretto riferimento ad una sentenza di questa Corte che, con riguardo al territorio laziale, ha riconosciuto l'esistenza e l'operatività della locale di nettuno, succursale del locale di guardavalle. nella decisione il Collegio, riconoscendo la sussistenza del delitto di cui all'art. 416-bis c.p. in riferimento alla suddetta articolazione territoriale, ha osservato come i-omissis-avessero continuato ad operare nel loro paese in Calabria, ma avessero anche tra ConTenzIoSo nAzIonALe sferito, per necessità, il loro sistema associativo nel centro laziale, circostanza che, per quel che ora rileva, evidentemente non impediva di ritenere che il processo fosse correttamente radicato quanto agli aspetti inerenti alla competenza per territorio (Sez. 1, n. 13227 del 25 novembre 2020, dep. 8 aprile 2021, non mass.). del resto, a seguire il ragionamento prospettato dalla difesa, si arriverebbe sostanzialmente a concludere che, fatta eccezione per il solo caso di cellule non regolari perchè non autorizzate dalla provincia e dette per tale motivo "bastarde", per tutte le altre locali "legittime" (in senso mafioso) i conseguenti procedimenti dovrebbero essere celebrati davanti all'autorità giudiziaria calabrese nell'ambito di una sorta di competenza funzionale per "automatismo mafioso". Una tale soluzione stride, all'evidenza, con le ragioni che sono sottese alle regole attributive della competenza, caratterizzate dalla necessaria esistenza di un nesso di interdipendenza causale con il luogo ove si è realizzato il fatto di reato, assumendo in primis rilievo il luogo in cui si è verificata la lesione o la messa in pericolo del bene protetto dalla norma incriminatrice. Si tratta di disposizioni, quelle sulla competenza, che assicurano il rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge stabilito dall'art. 25 Cost., che esige, salvo casi eccezionali espressamente tipizzati, un collegamento tra l'ufficio giudiziario ed i fatti penalmente rilevanti che incidono nell'ambito della comunità in cui lo stesso ufficio è istituito. Il predicato della "naturalità" assume, infatti, nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della "fisiologica" allocazione del processo nel locus commissi delicti. Per come affermato dalla Corte costituzionale, qualsiasi istituto processuale che producesse l'effetto di distrarre il processo dalla sua sede inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo giacchè la celebrazione di "quel" processo in "quel" luogo risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella -più che tradizionale -per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati (C. Cost., 5 aprile 2006, n. 168). 1.4. La difesa, a sostegno della eccezione di incompetenza, ha estrapolato alcuni brani di conversazioni intercettate o espressioni utilizzate nell'ordinanza genetica senza confrontarsi con una diffusissima motivazione, immune da ogni vizio, neppure denunciato nel ricorso, nella quale sono stati indicati plurimi elementi dimostrativi della circostanza che la ideazione e programmazione del "locale" romano avvenne nella Capitale, ove poi operò il sodalizio e furono commessi la maggior parte dei reati-fine. Questa conclusione discende da una insindacabile ricostruzione in fatto della vicenda; va in proposito ricordato che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17 maggio 2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2 marzo 2017, di Iasi, Rv. 269884; Sez. 3, n. 20575 del 8 marzo 2016, Berlingeri, Rv. 266939; Sez. f, n. 47748 del 11 agosto 2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 6, n. 11194 del 8 marzo 2012, Lupo, Rv. 252178). Il ricorrente, in sostanza, ha denunciato la violazione della norma di legge in tema di competenza territoriale sulla base di una diversa e inammissibile ricostruzione del fatto, ma soprattutto invocando un principio di diritto non condivisibile, là dove ha censurato l'ordinanza impugnata per non avere il Tribunale considerato che "l'attività di promozione può svolgersi RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 anche antecedentemente alla formazione del sodalizio di cui all'art. 416-bis c.p. anche se poi la punibilità come promotore sorge se e quando l'attività abbia contribuito effettivamente a far sorgere un'associazione mafiosa". La difesa, a supporto della propria tesi, ha anche citato un passo dell'ordinanza genetica ("ed era in quel periodo (tra il -omissis-) che l'indagato, ormai residente a Roma dal maggio 2014, aveva ottenuto l'incarico di costituire il locale di Roma. Poi aveva impiegato circa un anno per organizzarsi e per attuare il mandato ricevuto"). 2. Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. 3. Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi, ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato si trova ristretto, perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato art. 94. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2022. ConTenzIoSo nAzIonALe L’ampliamento della portata applicativa dell’istituto della “messa alla prova” in armonia con il diritto di difesa NoTa a CorTE CoSTiTuzioNaLE, SENTENza 14 GiuGNo 2022 N. 146 «È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost, l’art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, co. 1 lett. b), c.p.p., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli». Sommario: 1. La genesi dell’istituto della messa alla prova e i dubbi di legittimità costituzionale - 2. il tortuoso percorso giurisprudenziale - 3. il caso. 1. La genesi dell’istituto della messa alla prova e i dubbi di legittimità costituzionale. In risposta all’annoso problema del sovraffollamento carcerario evidenziato severamente dalla Corte edU (1), il legislatore nazionale con la legge 67/2014 ha inserito l’istituto della “sospensione del processo con messa alla prova” nel codice di procedura penale, all’art. 464 bis. L’intervento legislativo, oltre all’inserimento del titolo V bis nel libro VI del codice di procedura penale -la cui collocazione sistematica è tutt’altro che casuale -ha avuto un notevole impatto nel sistema normativo: nel Codice penale, sono stati introdotti gli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater; nelle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, gli artt. 141 bis e 141 ter; nonché, sono state apportate delle modifiche alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313. La sospensione del procedimento con messa alla prova si sostanzia in una sorta di probation giudiziale, di spiccata vena innovativa nel settore degli adulti, dal momento che consente all’imputato la sospensione del procedimento penale nella fase decisoria di primo grado, qualora si proceda per reati di minore allarme sociale (sempre che il giudice non debba pronunciare una sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p.). L’istituto, di ispirazione anglosassone, consente dunque al termine delle indagini preliminari, l’apertura “in sede di udienza preliminare o in limine, di uno scenario che tende, con un sol colpo, ad azzerare processo, responsabilità, pena e reato, attraverso una sorta di compensatio lucri cum damno” in cui l’imputato è sottoposto ad una prova “dai contenuti variegati, eterei e concet (1) Casi Sulejmanovic, 16 luglio 2009, e Torreggiani, 8 gennaio 2013. Sul punto, PULITAnò, idee per un manifesto sulle politiche del diritto penale, in rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 1, 1° marzo 2019, 361; BeRnARdI, il costo “di sistema” delle opzioni europee sulle sanzioni punitive, in rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 2, 1 giugno 2018, 557. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 tualmente multiformi”, mentre l’autorità giudiziaria “lo premia purgandolo dal processo e dal reato attraverso una declaratoria di estinzione ” (2). orbene, considerato che gli effetti della sospensione ricadono nella sfera giuridica dell’imputato, è indispensabile il consenso nonché la richiesta del medesimo (o di un suo procuratore speciale) alla quale è allegata, contestualmente, la presentazione di un programma di trattamento elaborato di intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna (UePe), oppure, ove ciò non sia stato possibile, la richiesta di trattamento concordato; nel qual caso sarà il giudice a compulsare l’UePe perché elabori detto trattamento. Costituiscono oggetto del programma anzidetto, mansioni inerenti alle attività sociali e sociosanitarie, di protezione civile, patrimonio ambientale e culturale, nonché immobili e servizi pubblici. Costituisce un tassello processuale rilevante, ma non vincolante ai fini dell’effettiva concessione, il parere del pubblico ministero, che pur ammettendo la possibilità di essere disatteso dal giudice in udienza, può costituire in seguito oggetto di ricorso per cassazione. da ultimo, la recente riforma Cartabia (L. 134/2021) (3), rielabora il rapporto accusa-difesa, e -lasciando inalterata la facoltà dell’imputato di richiedere la concessione della messa alla prova -ha inserito all’art. 168 bis c.p. la possibilità per il pubblico ministero di proporre, qualora le circostanze lo consentano, all’imputato di optare per la messa alla prova, facendone opportuna richiesta. Il legislatore ha però previsto anche degli sbarramenti alla concessione del beneficio: difatti, vi sono circostanze ostative di natura oggettiva e soggettiva. Le prime, attengono alla possibilità di poter beneficiarne una sola volta ed in ragione della gravità del reato commesso, la quale è valutata tenuto conto della cornice edittale (4) o, mediante il richiamo all’elenco dei delitti contenuti nel co. II dell’art. 550 c.p.p.; le seconde, invece, ineriscono alla figura dei contravventori e delinquenti professionali, abituali o per tendenza. di fianco a queste preclusioni normativamente esplicite, la dottrina (5) ne ha ravvisato un’altra, ricavabile implicitamente dal tessuto logico-normativo: ovvero, la sussistenza di un previo ordine cautelare restrittivo a carico dell’imputato per il procedimento in corso. difatti, questa lettura ben si coniuga con la valutazione prognostica insita nella messa alla prova secondo la quale l’imputato non commetterà ulteriori reati, e con l’eventuale espletamento di attività lavorative, per quali si assume per certo uno stato di libertà del medesimo. (2) MACCHIA, Note minime su messa alla prova e giurisprudenza costituzionale, Incontro sulla giustizia riparativa presso la Camera penale di Roma del 9 giugno 2021. (3) entrata in vigore a partire dal 30 dicembre 2022. (4) Per i reati puniti con la reclusione fino a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria. (5) MARAndoLA, La messa alla prova dell'imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014, 680. ConTenzIoSo nAzIonALe L’accezione benefica per l’imputato si può cogliere nel fatto di aggirare la pena detentiva con un’attività lavorativa, ma ancor di più una volta ottenuto l’esito positivo della prova, dalla quale ne conseguirà l’estinzione del reato. Questo epilogo, infatti, incarna l’ideale di giustizia riparativa (restorative Justice): ovvero modello attraverso il quale la vittima, il reo e la comunità ricercano soluzioni ad un conflitto interindividuale e sociale, tramite la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il ristabilimento dell’ordine sociale (6). Contrariamente, in caso di esito negativo per grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni, il giudice revoca con ordinanza la sospensione e dispone la ripresa del procedimento. nonostante le lodevoli ma indubbie finalità deflattive, gli oscuri contorni (7) della disciplina legislativa relative alla messa alla prova hanno suscitato dubbi di legittimità costituzionale negli operatori del diritto, al punto tale da sollecitare la Consulta ad un intervento di armonizzazione con l’impianto costituzionale. 2. il tortuoso percorso giurisprudenziale. Le continue problematiche rimesse all’attenzione della Corte hanno contribuito a conferire completezza al principio di difesa (8), costituzionalmente riconosciuto all’imputato nell’ambito del processo penale. La possibilità di accedere ai riti alternativi in relazione alle contestazioni effettuate in sede dibattimentale -quindi successivamente alla scadenza dei termini ordinari per la presentazione della relativa richiesta -era stata già sottoposta alla Corte costituzionale (9), la quale aveva tuttavia rimandato la questione al legislatore, esortandolo ad un intervento correttivo. (6) Sul punto, MUzzICA, La sospensione del processo con messa alla prova per gli adulti: un primo passo verso un modello di giustizia riparativa?, in Processo penale e giustizia, fasc. 3, 2015. L’autore ha messo in luce anche le ombre di questa tanto attesa giustizia riparativa: “da un lato, pur rappresentando un interessante modulo operativo di gestione del conflitto, è del tutto carente di funzione critica nei confronti dell’ordinamento esistente; dall’altro, l’accoglimento di un simile ideale di giustizia in un’ottica completamente sostitutiva del diritto penale neutralizzerebbe l’invasività della sanzione criminale, ma comporterebbe altresì il rischio di sanzioni informali, parimenti afflittive ma sprovviste delle garanzie tipiche dello strumento penale”. (7) Sul punto, donnARUMMA, La “messa alla prova” dell’imputato. Problematicità dell’istituto, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 9; nonché MACCHIA, che lo definisce “un istituto oscuro, concettualmente umbratile” aggiungendo “L'altare dei numeri merita delle vittime sacrificali: dipende solo da quali e quante”, così in Note minime su messa alla prova e giurisprudenza costituzionale, in Cass. Pen., fasc. 3, 1° marzo 2022, 953. (8) definita come precondizione della democrazia, SCALfATI, ricerca della prova e immunità difensive, edizione 2001; BALdASSARRe, Diritti inviolabili, edizione 1977; AMATo, art. 14 Cost. in Commentario alla Costituzione. i rapporti civili (a cura di) BRAnCA. (9) Corte cost. 1° aprile 1993, n. 129: laddove non era prevista la possibilità di richiedere il rito abbreviato in relazione alle nuove contestazioni, o la preclusione di contestazioni suppletive, era opportuno realizzare un “appropriato congegno normativo che componga le interferenze tra giudizio abbreviato e giudizio dibattimentale, sempreché la disciplina non venga modificata nella sentenza n. 92 del 1992 di questa Corte”. Lo stesso è avvenuto con riferimento al rito del patteggiamento con la sentenza n. 265 del 1994. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 I giudici della Corte costituzionale del 2003, con un attento e lucido sguardo alla ratio ispiratrice dei riti alternativi, avevano squarciato il velo del rigore normativo, ammettendo la possibilità, a fronte di contestazioni suppletive (c.d. tardive o patologiche), di optare per un rito alternativo, proprio in ragione dell’effetto di economia processuale. Tale epilogo, infatti, ha consentito di eludere quel passaggio dettato dal legislatore all’art. 519 c.p.p. difatti, con la sentenza 9 luglio 2015, n. 139, la medesima Corte aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 517 c.p.p., nella parte in cui, a fronte della contestazione di una circostanza aggravante già risultante da atti di indagine, non era riconosciuta la facoltà all’imputato di optare per il rito abbreviato, per il reato oggetto della nuova contestazione. Contestualmente, la Corte aveva rigettato la questione di illegittimità costituzionale in merito alla preclusa possibilità rimessa all’imputato stavolta con riferimento a reati diversi da quello oggetto della nuova contestazione (10). nel corso degli anni, la giurisprudenza, muovendosi nel solco della deflazione dei processi, ha consentito all’imputato di ricorrere ugualmente al rito della pena concordata di cui all’art. 444 c.p.p. a fronte della contestazione di una nuova fattispecie di reato, o di una circostanza aggravante, o di reati connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. lasciando un consapevole vuoto in merito alla messa alla prova. In tale scenario, funge da apripista -fino alla decisione in commento -la sentenza n. 14 del 2020, con la quale la Corte costituzionale, oltre a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p. (11), parifica la messa alla prova ai tradizionali riti alternativi, ovviando alle sollevate questioni di disparità trattamentali. (10) Sul punto, numerose sono le pronunce della Corte costituzionale: sent. 30 giugno 1994, n. 265, per la mancata previsione della facoltà dell’imputato di richiedere l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p.; ancora, sentenza 29 dicembre 1995, n. 530, rilevava l’illegittimità costituzionale per la mancata previsione della facoltà dell’imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p. relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento. Le più recenti: sent. 26 ottobre 2012, n. 237; sentenza 5 luglio 2018, n. 141; sentenza 11 aprile 2019, n. 82. (11) Con sent. n. 14 del 15 gennaio 2020, in g.U. 12 febbraio 2020, n. 7, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova». ll principio della restituzione all’imputato, nell’evenienza di nuove contestazioni, della «possibilità di esercitare le proprie scelte difensive», compresa quella «di chiedere un rito alternativo» («indipendentemente» -notasi -dall’eventuale «negligenza del pubblico ministero nella formulazione dell’originaria imputazione»), deve trovare applicazione anche nell’ipotesi prevista dall’art. 516 c.p.p.: talché, pure in questa, «strutturalmente identica» a quella oggetto della sentenza n. 141 del 2018, l’imputato deve essere messo in grado di accedere alla messa alla prova, che configura un «nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio» (sentenze nn. 68 del 2019, 91 del 2018 e 240 del 2015). ConTenzIoSo nAzIonALe 3. il caso. La questione oggetto della pronuncia emessa dalla Corte costituzionale è di particolare interesse, anche alla luce della giurisprudenza precedentemente formatasi. difatti, la Corte costituzionale ha nuovamente rivolto la sua attenzione alla delicata fase dibattimentale, rispondendo ad un dubbio interpretativo afferente alla portata della fattispecie di cui all’art. 517 del codice di procedura penale, rubricato “Reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento”, e collocata in seno al libro settimo, capo IV. La norma disciplina l’ipotesi in cui, nel corso del dibattimento emerge un reato connesso o una circostanza aggravante e alla luce di ciò, il Pubblico Ministero è chiamato a contestarli nell’ambito di un contraddittorio all’imputato, salva la competenza dell’autorità giudiziaria; in caso contrario, trovano applicabilità le disposizioni di cui agli artt. 516, co. I bis (12) e I ter (13) c.p.p. (modifica della imputazione). La ratio di tale previsione è proprio quella di garantire il diritto di difesa dell’imputato, costituzionalmente contemplato dall’art. 24 co. II, concedendogli in tal senso la possibilità di vagliare la propria strategia difensiva, segnatamente alla scelta di un rito alternativo, anche a seguito dell’originaria imputazione. Con riferimento all’istituto della messa alla prova, oggetto della presente questione, la Consulta ne aveva già concesso obiter dictum l’ammissibilità, a fronte della contestazione di un fatto diverso ex art. 516 c.p.p. (c. cost. 11 febbraio 2020, n. 14) (14) e di una circostanza aggravante (c. cost. 5 luglio 2018, n. 141). Il dato evincibile, è che le citate risposte date dai giudici sono univocamente tese a salvaguardare la posizione dell’imputato chiamato a rispondere di più fatti costituenti reato. Con riferimento al momento della contestazione, la giurisprudenza è granitica nell’affermare che la formula “nel corso del- l’istruzione dibattimentale” contenuta negli artt. 516, 517, 518 c.p.p., delinea il confine temporale entro il quale il Pubblico Ministero può procedere alle contestazioni. Ciò implica che è ammessa la possibilità di modificare l’imputazione alla luce di una mera rivalutazione degli elementi già in atti al momento dell’esercizio dell’azione penale da parte dell’autorità requirente (15). Con la pronuncia de qua, la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità (12) Il quale prevede che “se a seguito della modifica il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione, ovvero, nei casi indicati dagli artt. 519 co. 2 e 520 co. 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma dei medesimi articoli”. (13) “Se a seguito della modifica risulta un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare, e questa non si è tenuta, l’inosservanza delle relative disposizioni è eccepita, a pena di decadenza, entro il termine indicato dal co. 1 bis”. (14) CAPITTA, modifica della imputazione e messa alla prova, in archivio penale, 2020. (15) Cass. Pen., sez. IV, 3 maggio 2007, n. 22512. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 per l’imputato di avanzare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova anche quando la contestazione dibattimentale suppletiva riguarda un reato connesso. In tal senso, è pacificamente ravvisabile un distacco dal precedente arresto relativo alla richiesta di rito abbreviato: difatti, quest’ultimo può essere richiesto a fronte di una contestazione suppletiva di un fatto diverso, di una circostanza aggravante o di un reato connesso, solo per il reato come modificato o aggiunto, ciò non avviene con la sospensione del procedimento con la messa alla prova che può essere richiesta anche per il reato per il quale la contestazione suppletiva non ha avuto alcun impatto. A sostegno di tale discrimen, merita di essere valorizzata la natura sostanziale della messa alla prova che si manifesta allo scadere del periodo di prova: difatti, all’esito positivo ne consegue l’estinzione del reato. dunque, è proprio questa marcata accezione risocializzante dell’istituto in questione ad entrare in collisione con l’assunto di concedere il beneficio solo con riferimento ad alcuni reati. Daniela Migali* Corte Costituzionale, sentenza 14 giugno 2022 n. 146 -Pres. g. Amato, red. f. Viganò giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Palermo nel procedimento penale a carico di d.L.P. con ordinanza del 25 marzo 2021. ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 25 marzo 2021, il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 1.1.– Il giudizio a quo è stato instaurato mediante decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di d. L.P., chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Successivamente all’apertura del dibattimento e a seguito dell’escussione di un testimone della lista del pubblico ministero, quest’ultimo ha proceduto, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., alla contestazione di ulteriori reati -connessi al primo ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. -di cui agli artt. 71 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la violazione, rispettivamente, degli artt. 64, 65 e 93 del medesimo d.P.R., avvinti dal nesso della continuazione ex art. 81, secondo comma, del codice penale. A seguito della nuova contestazione, il difensore dell’imputata, munito di procura speciale, (*) dottoressa in giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna. ConTenzIoSo nAzIonALe ha presentato istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, rispetto alla quale è stato acquisito un programma di trattamento da parte dell’ufficio di esecuzione penale esterna. 1.2.– Chiamato a decidere su tale istanza, il rimettente osserva che l’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere formulata solo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, così escludendo implicitamente che la relativa istanza possa essere avanzata a seguito di una nuova contestazione ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. dal che la rilevanza della questione. 1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva anzitutto che i rapporti tra le nuove contestazioni dibattimentali e il recupero da parte dell’imputato della facoltà di chiedere l’applicazione di riti alternativi sono stati interessati da plurimi interventi di questa Corte, caratterizzati da una tendenziale e graduale apertura verso l’esercizio di prerogative che risulterebbero altrimenti precluse. I prospettati dubbi di legittimità costituzionale assumerebbero consistenza se vagliati alla luce del «progressivo percorso di riallineamento costituzionale» della disciplina codicistica, i cui snodi essenziali vengono analiticamente ripercorsi dal rimettente, che evidenzia in particolare il passaggio da un atteggiamento di iniziale chiusura (sono citate le sentenze n. 129 del 1993, n. 316 del 1992, n. 277 e n. 593 del 1990, nonché l’ordinanza n. 213 del 1992), al riconoscimento della possibilità di un recupero dei riti alternativi nel caso di contestazioni dibattimentali cosiddette “patologiche” (sono citate le sentenze n. 139 del 2015, n. 184 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994), e infine all’estensione di tale recupero anche nelle ipotesi di nuove contestazioni cosiddette “fisiologiche” (sono citate le sentenze n. 141 del 2018, n. 206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 237 del 2012 e n. 530 del 1995). Ad avviso del rimettente, posto che la richiesta di accesso ai riti alternativi costituisce una delle modalità più qualificanti di esercizio del diritto di difesa (sono citate le sentenze di questa Corte n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993), si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento se, al ricorrere di situazioni processuali analoghe, la facoltà di chiederli fosse diversamente disciplinata; né tantomeno si spiegherebbe la previsione del- l’avviso rivolto all’imputato, nei vari atti con i quali si dispone il giudizio in mancanza di udienza preliminare, circa la facoltà di accedere ai riti alternativi, la cui omissione è sanzionata con la nullità. Tale previsione verrebbe «sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell’accusa -oggetto e termine di riferimento delle “scelte” difensive dell’imputato -subiscano in dibattimento (“fisiologicamente” o meno) un significativo e qualificato mutamento contenutistico, senza offrire una possibilità di “rinnovare” quelle scelte in rapporto alla “novazione” della accusa». Assume, quindi, il rimettente che la facoltà di richiedere riti alternativi «si salda a doppio filo al diritto di difesa -in particolare, al diritto di scegliere il modello processuale più congeniale all’esercizio di quel diritto -» e che, di riflesso, risulterebbe di dubbia coerenza qualsiasi preclusione che ne limiti l’esercizio concreto, allorquando il sistema consenta una mutatio libelli in sede dibattimentale. Conclusivamente, il rimettente asserisce che le argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 141 del 2018 risulterebbero perfettamente pertinenti e sovrapponibili alla fattispecie al suo esame, da cui origina l’odierna questione di legittimità costituzionale, della richiesta da parte dell’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova con riferimento ai reati concorrenti oggetto di nuova contestazione. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio, né si è costituita l’imputata nel giudizio a quo. Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 1.1.– La disposizione censurata consente al pubblico ministero di procedere, durante il dibattimento, a contestazioni suppletive che possono consistere nell’aggiunta di un’aggravante, ovvero -come nel caso verificatosi nel giudizio a quo -nell’addebito di uno o più reati connessi a quello originariamente indicato nell’imputazione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., e cioè commessi con la medesima azione od omissione, ovvero con condotte diverse, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. nel momento della nuova contestazione dibattimentale, il termine per avanzare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova di cui all’art. 168-bis del codice penale è sempre già spirato. Tale istanza, infatti, deve essere di regola formulata prima dell’apertura del dibattimento di primo grado (art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen.). Secondo il rimettente, tuttavia, precludere l’accesso alla messa alla prova a seguito della contestazione suppletiva di reati connessi violerebbe: – l’art. 24 Cost., in quanto la richiesta di riti alternativi, tra cui va annoverata anche la sospensione del procedimento con messa alla prova, costituirebbe una tra le più qualificanti modalità con le quali si esplica l’esercizio del diritto di difesa; – e l’art. 3 Cost., perché l’imputato verrebbe irragionevolmente discriminato, ai fini del- l’accesso ai procedimenti speciali, in conseguenza della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione circa le risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero, e perché sarebbe irragionevole non equiparare questa ipotesi a quelle nelle quali oggi risulta possibile -a seguito di numerose pronunce di questa Corte -accedere a riti alternativi, compresa la messa alla prova, a seguito di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. 2.– Le questioni sono fondate. 2.1.– Una fitta serie di pronunce di questa Corte ha adeguato il principio di fluidità del- l’imputazione, che costituisce un dato caratterizzante del nostro sistema processuale anche in sede dibattimentale, al diritto di difesa presidiato dall’art. 24 Cost. quale «principio supremo» dell’ordinamento costituzionale» (sentenze n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982). In particolare, tali pronunce hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentono all’imputato l’accesso a riti alternativi nell’ipotesi di nuove contestazioni, progressivamente superando -come ben sottolinea il rimettente -l’originaria distinzione tra nuove contestazioni dibattimentali cosiddette “patologiche” e nuove contestazioni “fisiologiche” (sul punto, si veda in particolare la ricapitolazione svolta dalla sentenza n. 141 del 2018). Ciò in omaggio a una duplice esigenza: salvaguardare la pienezza del diritto di difesa del- l’imputato, che comprende il diritto di optare per il rito alternativo alle condizioni stabilite dal legislatore, ed evitare l’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato che abbia po ConTenzIoSo nAzIonALe tuto confrontarsi con una imputazione completa prima dell’inizio del dibattimento e quello rispetto al quale l’imputazione sia stata precisata o integrata soltanto nel corso del dibattimento, quando il termine per la scelta del rito alternativo è ormai scaduto. La scelta del rito deve, in effetti, poter essere effettuata dall’imputato -assistito dal proprio difensore -con piena consapevolezza delle possibili conseguenze sul piano sanzionatorio connesse all’uno o all’altro rito, in relazione ai reati contestati dal pubblico ministero; sicché, di fronte a un mutamento dell’imputazione, ragioni di tutela del suo diritto di difesa e del principio di eguaglianza impongono che sia sempre consentito all’imputato rivalutare la propria scelta alla luce delle nuove contestazioni. Così, il patteggiamento può oggi essere richiesto a fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen. (sentenze n. 265 del 1994 e n. 206 del 2017), di una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 184 del 2014) o di reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenze n. 265 del 1994 e n. 82 del 2019); e il giudizio abbreviato può essere richiesto a fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen. (sentenze n. 333 del 2009 e n. 273 del 2014), di una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 139 del 2015) o di reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 333 del 2009). Quanto alla sospensione del procedimento con messa alla prova, che viene in considerazione nel giudizio a quo, essa può essere richiesta a fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen. (sentenza n. 14 del 2020) e di una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 141 del 2018). nulla ha ancora la Corte deciso in relazione alla nuova contestazione in dibattimento di reati connessi ex art. 517 cod. proc pen.; e proprio di quest’ultima superstite preclusione si duole il rimettente. 2.2.– I principi espressi nelle pronunce menzionate impongono che anche tale residua preclusione sia rimossa, con conseguente restituzione dell’imputato nel diritto di esercitare le proprie scelte difensive -ivi compresa la richiesta di messa alla prova -anche nell’ipotesi oggetto delle odierne censure. Invero, come ha osservato questa Corte nella sentenza n. 82 del 2019, «[f]atto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in dibattimento, integrano […] evenienze processuali che, sul versante dell’accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe». Pertanto, anche rispetto all’ipotesi di nuove contestazioni di reati connessi ex art. 517 cod. proc. pen., dovrà riconoscersi all’imputato la facoltà di chiedere la messa alla prova, che la sentenza n. 14 del 2020 ha già esteso all’ipotesi di contestazione di un fatto diverso. 2.3.– non osta a tale conclusione la circostanza che la messa alla prova verrebbe in questo caso -a differenza delle ipotesi oggetto delle sentenze n. 141 del 2018 e n. 14 del 2020 -ad essere concessa non in relazione a un unico reato, bensì a più reati in concorso fra loro. La previsione di cui all’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. -secondo cui la sospensione del procedimento «non può essere concessa più di una volta» -non esclude infatti la concedibilità della messa alla prova ogniqualvolta venga contestato più di un reato, quando -come nella fattispecie del giudizio a quo -per ciascuno dei reati in concorso sia astrattamente applicabile l’istituto della messa alla prova (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112). 2.4.– Le peculiarità della sospensione del procedimento con messa alla prova imporranno piuttosto all’imputato, in tal caso, di scegliere se chiedere di essere sottoposto alla messa alla RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 prova, ovvero se proseguire il processo nelle forme ordinarie, rispetto a tutti i reati contestati, compresi quelli oggetto dell’imputazione originaria. La ratio dell’istituto impone, in effetti, di distinguere la situazione all’esame da quella relativa al recupero del rito abbreviato, decisa dalla sentenza n. 237 del 2012, in cui questa Corte aveva ritenuto che la richiesta del rito dovesse in tal caso riferirsi ai soli reati oggetto di nuove contestazioni dibattimentali, senza che «l’imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all’intera platea delle imputazioni originarie, rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato spirare il termine utile per la richiesta». diversamente da quanto accade nel rito abbreviato, nella messa alla prova convivono un’anima processuale e una sostanziale. da un lato, l’istituto è uno strumento di definizione alternativa del procedimento, che si inquadra a buon diritto tra i riti alternativi (sentenze n. 14 del 2020, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015); al contempo, esso disegna un percorso rieducativo e riparativo, alternativo al processo e alla pena, ma con innegabili connotazioni sanzionatorie (sentenza n. 68 del 2019), che conduce, in caso di esito positivo, all’estinzione del reato. Proprio tale accentuata vocazione risocializzante, come ha giustamente evidenziato la giurisprudenza di legittimità, si oppone alla possibilità di una messa alla prova “parziale”, ossia relativa ad alcuni soltanto dei reati contestati (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 12 aprile 2021, n. 24707; Corte di cassazione, sentenza n. 14112 del 2015). Piuttosto, l’imputato dovrà essere rimesso in condizione di optare per la messa alla prova anche con riferimento alle imputazioni originarie, intraprendendo così quel percorso al quale avrebbe potuto orientarsi sin dall’inizio, ove si fosse confrontato con la totalità dei fatti via via contestatigli dal pubblico ministero. Una tale scelta dell’imputato non esclude d’altronde che l’istituto conservi la propria fisiologica funzione deflattiva anche in questa ipotesi, determinando comunque l’interruzione del processo e l’estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa alla prova. Il che consente sia di evitare lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, sia di eliminare ogni altro contenzioso legato all’impugnazione della sentenza di primo grado. 2.5.– L’art. 517 cod. proc. pen. va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. PeR QUeSTI MoTIVI LA CoRTe CoSTITUzIonALe dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2022. ConTenzIoSo nAzIonALe Determinazione dei canoni delle concessioni del demanio marittimo: questione di conformità dell’art. 49 cod. nav. al diritto eurounitario CoNSiGLio Di STaTo, SEzioNE SETTima, orDiNaNza 15 SETTEmbrE 2022 N. 8010 Con ordinanza n. 8010/22 il Consiglio di Stato (sez. VII) ha rimesso alla Corte di giustizia Ue la seguente questione pregiudiziale: "Se gli artt. 49 e 56 TFuE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo". Indipendentemente dai profili di ricevibilità della questione pregiudiziale, che, allo stato, appaiono dubbi, la pronuncia è rilevante perché introduce un nuovo tema controverso nella vicenda relativa ai criteri di determinazione dei canoni delle concessioni del demanio marittimo, che sembrava avere trovato un punto di equilibrio nella giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2018, nn. 6850-6853; Cons. Stato, V, 27 febbraio 2019, n. 1368). Danilo Del Gaizo* Consiglio di Stato, Sezione Settima, ordinanza 15 settembre 2022 n. 8010 -Pres. R. giovagnoli, Est. o. fratamico -Società Italiana Imprese Balneari S.r.l. (avv. e. nesi) c. Comune Rosignano Marittimo (avv. R. grassi); Ministero dell’economia e delle finanze, Agenzia del demanio, direzione regionale Toscana e Umbria (avv. gen. Stato). L’oggetto del procedimento principale ed i fatti pertinenti. La Società Italiana Imprese Balneari s.r.l. (SIIB s.r.l.), titolare fin dal 1928 dello stabilimento balneare “Bagni Ausonia” nel Comune di Rosignano Marittimo, località Castiglioncello, ubicato in gran parte su area appartenente al demanio marittimo, ha dedotto di aver legittimamente realizzato nel corso degli anni, in costanza dei titoli concessori ottenuti, susseguitisi nel tempo, a suo dire, senza soluzione di continuità, una serie di manufatti, parte dei quali ri (*) Vice Avvocato generale dello Stato. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 sultanti da un primo testimoniale di stato di incameramento del 1958, ed altri edificati solo successivamente dal 1964 al 1995. Con determinazione n. 31787 del 20 novembre 2007 il Comune di Rosignano aveva provveduto a riqualificare altre opere incidenti sulla superficie demaniale, ritenute di difficile rimozione, come pertinenze demaniali, reputando che esse fossero state acquisite ex lege allo spirare della concessione n. 36 avente validità dal 1 gennaio 1999 al 31 dicembre 2002, rinnovata con la concessione n. 27/2003. Successivamente, con nota n. 27774 del 23 settembre 2008, il medesimo Comune aveva comunicato alla SIIB s.r.l. l’avvio del procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite, senza concludere, però, il relativo iter e rilasciando nelle more alla medesima società la concessione demaniale marittima n. 181/2009. In base a quanto disposto dall’art. 1 del dPgR 24 settembre 2013 n. 52/R di modifica del dPRg n. 18/2001/R (che aveva inserito nel dPgR 18/R/2001 l’art. 44 bis per cui “Sono classificate di facile rimozione e sgombero le costruzioni e le strutture utilizzate ai fini dell’esercizio di attività turistico-ricreative, realizzate sia sopra che sotto il suolo in aree demaniali marittime oggetto di concessione che, in relazione ai materiali utilizzati ed alle tecnologie costruttive, in coerenza con le disposizioni del piano d’indirizzo territoriale (PIT), possono essere completamente rimosse utilizzando le normali modalità offerte dalla tecnica, con conseguente restituzione in pristino dei luoghi nello stato originario, in non più di novanta giorni”), la SIIB s.r.l. aveva, quindi, presentato una dichiarazione in base alla quale tutte le opere incidenti sull’area demaniale, potendo essere rimosse in novanta giorni, erano da considerarsi, appunto, di facile rimozione, seguita dalla determinazione del Comune n. 5038 del 3 febbraio 2014 di riconoscimento di tale qualità. Il suddetto riconoscimento era stato, però, successivamente dichiarato “nullo” dalla medesima Amministrazione comunale con nota del 26 novembre 2014, sul presupposto che sull’area demaniale data in concessione incidessero beni già acquisiti dallo Stato ex art. 49 cod. nav. Tale provvedimento è stato impugnato dalla SIIB s.r.l. con ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto dinanzi al TAR Toscana. nel corso del procedimento di proroga della concessione demaniale n. 181/2009 richiesta fino al 31 dicembre 2020, con il provvedimento n. 17432 del 16 aprile 2015 il Comune, riaffermando la qualificazione di pertinenze demaniali dei fabbricati edificati sull’area in concessione, ha rideterminato altresì i canoni dovuti dalla SIIB s.r.l. nel periodo 2009-2015, provvedendo con altri atti a liquidare anche le somme dovute per gli anni successivi. Tali provvedimenti sono stati anch’essi impugnati dalla SIIB s.r.l. Il TAR Toscana ha riunito tutti i ricorsi, alcuni dei quali corredati di motivi aggiunti, e li ha respinti integralmente con la sentenza n. 380 del 10 marzo 2021. Contro tale decisione la SIIB s.r.l. ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, lamentando i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990 e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’annullamento della nota di riconoscimento della facile rimovibilità delle opere realizzate sull’area in concessione del 3 febbraio 2014, non preceduta da alcun avviso di avvio del procedimento, che le avrebbe permesso di rappresentare all’Amministrazione le sue ragioni anteriormente all’adozione del provvedimento lesivo, in modo da evitarne l’emissione; 2) violazione degli artt. 2, 3,11, 24, 42, 100, 103, 11 e 107 della Costituzione, dell’art. 21 septies della l. n. 241/1990, degli artt. 29, 36 e 49 del codice della navigazione e degli artt. 934 e 936 c.c., omessa pronuncia, poiché i giudici di prime cure non avrebbero adeguatamente considerato la parziale nullità della con ConTenzIoSo nAzIonALe cessione demaniale n. 181/2009, nella parte in cui avrebbe attribuito allo Stato la proprietà di manufatti non ancora acquisiti al demanio ex art. 49 cod. nav.; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 49 cod.nav, insufficienza della pronuncia su di un punto decisivo della controversia, in quanto successivamente al testimoniale di stato del 1958, che dava atto dell’incameramento da parte dello Stato di alcuni fabbricati e strutture, nessun altro manufatto era stato acquisito al demanio, rimanendo, dunque, nella proprietà della SIIB s.r.l.; 4) ulteriore violazione degli artt. 29 e 49 cod. nav, insufficienza della motivazione circa un punto decisivo della controversia, non essendosi, in realtà, mai concluso il procedimento di incameramento iniziato nel 2008 ed avendo il TAR confuso i concetti di pertinenza edilizia e pertinenza demaniale; 5) violazione degli artt. 63, 64, 66 e 67 c.p.a., omessa pronuncia, poiché i giudici di prime cure non si sarebbero pronunciati sulla richiesta di CTU avanzata dall’appellante in primo grado proprio per individuare “la consistenza dei beni realizzati successivamente all’anno 1958 dal concessionario in seno allo stabilimento Bagni Ausonia”; 6) violazione degli artt. 2, 3, 41 e 97 della Costituzione, degli artt. 49 e 56 TfUe, degli artt. 42 e 117 della Costituzione in relazione al I Protocollo addizionale alla CedU e degli artt. 934 e 936 c.c. per la contrarietà dell’incameramento dei beni da parte dello Stato in corso del rapporto di concessione demaniale e senza indennizzo al diritto dell’Unione; 7) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 del d.L. n. 400 del 5 ottobre 1993, conv. in l. n. 494/1993, come sostituito dall’art. 1 comma 251 della l. n. 296/2006, degli artt. 49 e 56 TfUe e dei principi desumibili dal diritto dell’Unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto per il rilevantissimo aumento della misura del canone determinato dalla legge del 2006 che avrebbe inaspettatamente e gravemente alterato il sinallagma contrattuale della concessione; 8) ulteriore violazione degli artt. 49 e 56 TfUe e dei principi desumibili dal diritto dell’Unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto che non avrebbero consentito a provvedimenti normativi sopravvenuti di influire in maniera così incisiva sui rapporti concessori in corso, qualificabili come “rapporti pluriennali a durata infinita o indeterminata”; 9) erroneità della sentenza circa l’obbligo di rideterminate i canoni demaniali per gli anni 2007/2020, poiché dalla fondatezza dei ricorsi proposti in primo grado sarebbe derivato anche l’obbligo per l’Amministrazione di rideterminare al ribasso i canoni richiesti per il periodo 2007-2020. Si sono costituiti nel giudizio di appello il Ministero dell’economia e delle finanze, l’Agenzia del demanio ed il Comune di Rosignano Marittimo, chiedendo il rigetto del gravame, in quanto infondato. All’udienza pubblica del 28 giugno 2022 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. Il quadro normativo e la sentenza impugnata. La questione dirimente da affrontare nel caso di specie concerne l'applicazione ai manufatti presenti nell'area in concessione dell'art. 49 del Codice della navigazione, al fine di accertate l'avvenuta acquisizione degli stessi da parte del demanio, alla scadenza della concessione, ancorché rinnovata, con conseguente applicazione del canone maggiorato, di cui all'art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 alle opere edilizie interessate, in quanto da considerare quali pertinenze demaniali. Secondo l'art. 49 del Codice della navigazione "Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato": tale disposizione -che richiama l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c.è stata interpretata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria nel senso che l'acquisto RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 si verifica ipso iure, al termine del periodo di concessione e va applicata anche in caso di rinnovo della concessione stessa, implicando il rinnovo -a differenza della proroga -una nuova concessione in senso proprio, dopo l'estinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, con automatica produzione degli effetti di cui al predetto art. 49 (cfr. Cons. Stato n. 626/2013 e n. 6852/2018). Solo nel caso in cui il titolo concessorio sia stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione ("tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del nomen iuris, una piena proroga dell'originario rapporto senza soluzione di continuità" cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 giugno 2013 n. 3196; Sez. VI, 17 febbraio 2017 n. 729; Sez. IV, 13 febbraio 2020 n. 1146) il richiamato principio dell'accessione gratuita di cui all'art. 49 Cod. nav. non troverebbe applicazione, “sicché le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale … (resterebbero in tal caso) ai sensi dell’art. 952 c.c., di esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell’effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione (e) per essi non (sarebbe) … dovuto un canone ulteriore, essendo tenuto il concessionario a corrispondere un canone commisurato alla occupazione del suolo demaniale con impianti di facile/difficile rimozione, così come previsto dall'art. 1, comma 251, punto 1, lett. b), l. n. 296/2006” (Cons. St., Sez. VI, 13 gennaio 2022 n. 229). nella sentenza appellata i giudici di prime cure hanno rigettato i ricorsi e i motivi aggiunti proposti dalla SIIB s.r.l. evidenziando che “… sia il testimoniale del 1958, sia la concessione del 2009, hanno prodotto effetti che si sono consolidati nel tempo, in quanto la ricorrente mai li aveva contestati in parte qua prima della proposizione dei ricorsi in esame”. A tali considerazioni il TAR ha aggiunto la riflessione per la quale non avrebbe potuto neppure “invocarsi la nullità della concessione demaniale (sottoscritta dall’interessata e non impugnata nei termini in parte qua), in quanto non vi è una carenza assoluta di potere dell’amministrazione in ordine alla devoluzione al patrimonio pubblico delle opere di difficile rimozione, costituenti pertinenze demaniali”, richiamando proprio la citata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato sul verificarsi della devoluzione al momento dello scadere della concessione, ancorché rinnovata (Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2018, n. 6850), e aggiungendo anche che “la qualificazione di opere di difficile rimozione e pertinenze demaniali marittime sancita alla pagina 2 della concessione demaniale e la statuizione (espressa nell’art. 3, pagina 6) secondo cui esse restano acquisite allo Stato ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione non (era) … frutto di decisione unilaterale dell’amministrazione, ma di ricognizione concordata e recepita nel titolo concessorio sottoscritto da entrambe le parti…”. Tale argomentazione è stata ulteriormente sviluppata nella decisione appellata, nella quale è stato escluso il verificarsi, per effetto dell’applicazione dell’art. 49 del codice della navigazione, di una “surrettizia espropriazione senza indennizzo” proprio in quanto attraverso l’inciso “<>…, la regola dell’acquisizione gratuita è condizionata dal consenso delle parti, le quali potrebbero prevedere un diverso regime giuridico delle pertinenze demaniali marittime nella formulazione dell’atto di concessione (ad esempio prevedere un corrispettivo economico a carico dell’ente pubblico)…” e in base alla constatazione per la quale “se il privato, prima dell’affidamento del bene, non ha espresso un contrario avviso all’effetto della devoluzione al patrimonio statale, significa che ha accettato la mancanza della diversa pattuizione ammessa dall’art. 49 del codice della navigazione”. Le argomentazioni delle parti. L’appellante ha censurato la sentenza impugnata, sostenendo la contrarietà dell’effetto di incameramento delle opere difficilmente amovibili realizzate su area demaniale in corso di con ConTenzIoSo nAzIonALe cessione (nell’ipotesi di rinnovo del titolo) e senza indennizzo al diritto eurounitario ed, in particolare, al principio di proporzionalità delle restrizioni delle libertà fondamentali sancito dagli artt. 49 e 56 TfUe rispetto alla realizzazione degli obiettivi di interesse generale perseguiti, enucleato dalla Corte di giustizia nella sentenza Laezza, seppure in materia di concessione di servizi (Corte di giustizia Sez. III, 28 gennaio 2016 in C-375/14). evidenziando che l’istituto dell’accessione ex art. 49 cod. nav. rispondeva all’esigenza di assicurare che le opere non amovibili destinate a restare sul territorio o ad essere rimosse con inevitabile distruzione finissero nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area ai fini di una sua corretta gestione per prevalenti finalità di interesse pubblico, l’appellante ha sostenuto che tale esigenza non poteva essere ritenuta attuale quando il titolo concessorio, anziché andare a scadenza, fosse stato rinnovato senza soluzione di continuità come nel suo caso, nel quale l’operatività dell’accessione ex art. 49 cod. nav. si sarebbe, dunque, rivelata “abnorme, ingiusta ed ingiustificata”, producendo l’effetto di rendere meno allettante lo stabilimento di operatori economici degli altri Stati membri che fossero stati interessati al medesimo bene ed imponendo al concessionario un sacrificio sproporzionato dei suoi diritti, consistente nella cessione non onerosa di suoi beni in favore dello Stato in un momento nel quale, come detto, ancora non risultavano evidenti le necessità pubblicistiche tutelate dal medesimo art. 49 cod. nav. non decisiva, al fine di determinare il regime dominicale di beni insistenti sul demanio sarebbe, poi, stata la qualificazione di tali beni recata dalla concessione demaniale marittima n. 181/2009, perché tale titolo non avrebbe potuto disporre utilmente di un bene privato così da determinarne il trasferimento autoritativo all’Amministrazione. né, ad escludere la contrarietà al diritto comunitario, si sarebbe potuta considerare l’originaria acquiescenza prestata dal concessionario al futuro incameramento ex art. 49 cod. nav. come erroneamente inteso dal TAR, che aveva valorizzato l’inciso della norma che faceva “salvo il patto contrario”, poiché quando la SIIB s.r.l. era divenuta affidataria della concessione essa poteva fare affidamento sul cd. diritto di insistenza di cui all’art. 37 cod. nav., solo successivamente eliminato. Il Comune di Rosignano Marittimo, da parte sua, ha sostenuto di aver rilasciato la concessione n. 181/2009 in sede di rinnovo della concessione n. 27/2003 scaduta il 31 dicembre 2008 non per effetto di un automatismo legislativo, ma a seguito di specifica istruttoria e al termine di apposito procedimento che aveva comportato la spendita di potere discrezionale. La decorrenza del nuovo titolo, che doveva considerarsi una concessione del tutto diversa da quella precedente, era stata stabilita alla data del 1° gennaio 2009, ma la sua sottoscrizione era avvenuta solo il 12 maggio 2009. Sarebbero state, dunque, errate secondo l’Amministrazione le tesi dell’appellante circa la pretesa assenza di soluzione di continuità nel rapporto concessorio e in relazione alla asserita contrarietà al diritto eurounitario dell’incameramento delle opere difficilmente amovibili alla scadenza del titolo, pur rinnovato, perché la mancata apposizione sulla concessione di una previsione contraria stava a significare che il privato aveva valutato la perdita della proprietà delle opere realizzate “compatibile con il generale equilibrio economico della concessione che risultava, comunque fortemente remunerativa essendo ubicata, fra l’altro, in una località fra le più rinomate d’Italia…”. Le questioni pregiudiziali. Così esposte le principali problematiche poste dalla presente controversia e le posizioni assunte dalle parti, vertendosi in tema di interpretazione del diritto comunitario, si ritiene, per RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 la rilevanza degli interessi coinvolti e per la complessità dei valori in gioco, di dover sottoporre al giudice Comunitario il seguente quesito: -Se gli artt. 49 e 56 TfUe ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo. Ai sensi della nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali 2011/C 160/01 in g.U.C.e. 28 maggio 2011 e delle nuove Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale 2019/C 380/01 in g.U.C.e. 8 novembre 2019 vanno trasmessi alla Cancelleria della Corte mediante plico raccomandato gli atti del giudizio in copia, comprensivi della presente ordinanza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) 1) rimette, ai sensi dell’art. 267 del TfUe, alla Corte di giustizia dell’Unione europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione; 2) dispone che, a cura della Segreteria, siano trasmessi gli atti alla Corte di giustizia del- l’Unione europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; 3) sospende il processo fino alla definizione del giudizio sulle questioni pregiudiziali e con riserva, all’esito, di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2022. ConTenzIoSo nAzIonALe Project financing. Discrezionalità amministrativa e posizione del privato (aspirante) promotore CoNSiGLio Di STaTo, SEzioNE TErza, SENTENza 19 SETTEmbrE 2022 N. 8072 L’interessante pronuncia del Consiglio di Stato, sez. III, n. 8072/22 relativa ad un caso di revoca della dichiarazione di fattibilità e pubblico interesse di ospedale (opera proposta mediante “project financing”), ha seguito la tesi dell’Amministrazione, sia in punto di natura “pre-procedimentale” della prima fase (con conseguente natura di mera aspettativa della posizione del privato promotore ed inesistenza di un obbligo all’indizione della gara, ma ampia discrezionalità dell’Amministrazione), sia in punto di atto “non durevole, ma interinale” della dichiarazione di pubblico interesse del progetto del promotore, con inapplicabilità delle regole su revoca in autotutela ex art. 21-quinquies L. 241/90. Noviello Giustina* Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 19 settembre 2022 n. 8072 -Pres. M. Corradino, Est. A.M. Marra -I.C.M. s.p.a., A.B.P. novicelli s.p.a. (avv.ti R. Colagrande, g. Mangialardi, A. Police) c. Regione Abruzzo (avv. gen. Stato); Azienda Sanitaria Locale Lanciano Vasto Chieti (avv. R. Pagani). fATTo e dIRITTo 1. Con sentenza 29 novembre 2021, n. 530 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sede di L’Aquila, ha respinto il ricorso Rg 245/2020, proposto da ICM s.p.a. e da ABP nocivelli (d’ora in avanti per brevità solo ICM e ABP) contro la Regione Abruzzo per l’annullamento della delibera n. 33 del 2021, a mezzo della quale la giunta Regionale ha disposto in particolare: i. di revocare la d.g.R. n. 395 del 23 maggio 2015 e le deliberazioni ad essa conseguenti, relative all'affidamento in regime di finanza di progetto della concessione relativa alla progettazione definitiva ed esecutiva dell'ospedale Clinicizzato “SS. Annunziata” di Chieti; ii. di stabilire che le persistenti e particolari condizioni di precarietà strutturale debbano trovare adeguata soluzione in seno alla vigente programmazione regionale (art. 20 della L. n. 67 del 1988 ss.ii.mm.). 1.1. I fatti sono ricostruiti in sentenza come segue: “Le ricorrenti ICM e ABP hanno presentato, in data 4 aprile 2014, una proposta di project financing, ai sensi dell’art. 153 comma 19 d.lgs. n. 163 del 2006, per la progettazione definitiva ed esecutiva, alla esecuzione dei lavori di nuova costruzione, demolizione e ristrutturazione dell’ospedale clinicizzato SS. annunziata di Chieti e alla gestione di alcuni servizi non sanitari e commerciali, con spese a carico dei proponenti, da recuperare nei successivi 25 anni. In seguito la Regione: a) con d.g.R. n. 395 del 23 maggio 2015, ha disposto di procedimenta(*) Avvocato dello Stato. RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 lizzare la proposta di project financing, sia in ragione della precarietà strutturale di taluni corpi di fabbrica del compendio ospedaliero teatino, sia per la sua correlazione con le esigenze didattiche della facoltà di medicina di Chieti; b) con d.g.R. n. 133 del 4 marzo 2016, ha poi individuato, ai fini della dichiarazione di pubblico interesse, le azioni e le prescrizioni in capo alla aSL ed alla Giunta regionale; c) con d.g.R. n. 170 del 13 aprile 2017, preso atto della infruttuosità del procedimento di valutazione della proposta, ha diffidato la stessa ASL a concludere il procedimento di valutazione della proposta; d) con d.g.R. n. 118 del 2 marzo 2018 ha dato atto della coerenza della proposta con le finalità di interesse pubblico evidenziate nelle precedenti deliberazioni regionali e ha assegnato al RUP un termine di 15 giorni per superare le criticità tecnico-funzionali ed economico-finanziarie riscontrate nello svolgimento dell’attività istruttoria della proposta; e) con d.g.R. n. 325 del 18 maggio 2018 ha confermato l’urgenza e la rilevanza strategica di intervento…; e) con d.g.R. n. 495 del 9 luglio 2018, la Regione ha dichiarato la fattibilità della proposta; laddove, l’Azienda sanitaria, con delibera n. 940 del 2018, ha disposto l’inserimento della proposta nella programmazione dei lavori pubblici -triennio 2018-2020. Con nota prot. RA/222266/20 del 23 luglio 2020 il direttore del dipartimento Sanità della Regione, nel confermare la garanzia della copertura del contributo pubblico di cui all’art. 180 comma 6 del d.lgs. n. 50/2016 e ss.mm.ii. con le risorse derivanti dall’art. 20 L. 67/1998, come stabilito dalla L. 145/2018, ha comunicato che… in riferimento alla progettualità, si resta in attesa di conoscere i fabbisogni assistenziali della rete CoViD e dell’approvazione della rete ospedaliera regionale. 1.2. Lamentando l’effetto soprassessorio delle viste comunicazioni regionali, le ricorrenti in primo grado, con il gravame introduttivo, hanno chiesto al Tribunale di dichiarare l’illegittimità dell’inerzia della Regione e della ASL nella conclusione del procedimento finalizzato alla selezione del concessionario per la progettazione de qua. 1.3. Con atto per motivi aggiunti ICM e ABP hanno, poi, impugnato la delibera della giunta Regionale n. 33 del 2021, a mezzo della quale è stata revocata la d.g.R. n. 395 del 23 maggio 2015, relativa all’affidamento in regime di finanza di progetto della concessione in parola. 2. Il Tribunale amministrativo regionale -esposti i motivi di ricorso e dato atto delle difese della Regione e dell’Azienda Sanitaria -ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, sul rilievo dell’intervenuta d.g.R. n. 33 del 2021 ed ha respinto i motivi aggiunti. 3. Le società ICM e ABP hanno proposto il presente appello, sollevando tre articolati motivi che saranno di seguito esaminati, e ne hanno chiesto la riforma. 4.1. Sia la Regione Abbruzzo che la Azienda Sanitaria si sono costituite in giudizio per resistere all’appello. 4.3. La parte appellante ha depositato memoria conclusiva ex art. 73 Cod. proc. amm. e l’Azienda Sanitaria appellata memoria di replica. 5. nell’udienza pubblica del 14 luglio 2022 la causa è passata in decisione. 6. L'oggetto della controversia riguarda la revoca delle deliberazioni con le quali la Regione Abruzzo aveva dichiarato la fattibilità e il pubblico interesse del progetto di realizzazione del nuovo ospedale “SS. Annunziata” di Chieti e di gestione di alcuni servizi non sanitari e commerciali. oggetto del contendere è, in particolare, l'intervento tutorio operato dall’Amministrazione il cui atto di ritiro, a dire dell’appellante, nel disattendere le garanzie procedimentali, con conseguente violazione del diritto di difesa ne avrebbe, comunque, determinato la legittimazione ed anche il sottostante interesse del proponente. 6.1. Secondo la prospettazione di ICM e ABP, infatti, là dove si accogliesse la eccezione del- l’amministrazione che contesta la condizione dell’azione ed il visto interesse, l’atto di appro ConTenzIoSo nAzIonALe vazione della Amministrazione, allegatamente idoneo a determinare il consolidamento, sarebbe del tutto vano. 7. Preliminarmente il Collegio può prescindere dall’esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dalle amministrazioni resistenti, essendo l’appello infondato nel merito. 8.1. Con il primo motivo, anzitutto, le odierne appellanti, ICM e ABP, lamentano che il primo giudice avrebbe erroneamente respinto la censura con cui le stesse società avevano dedotto la lesività dell’atto di revoca, senza esaminarne le specifiche ragioni poste a sostegno dell’atto tutorio. 8.2. Secondo la prospettazione della parte appellante nell’ipotesi in cui l’Amministrazione decidesse, come nella specie, di ritirare in autotutela un atto della procedura, la relativa determinazione non potrebbe comunque elidere l’interesse della parte ricorrente da eventuali contestazioni. 8.3. Il primo giudice ha respinto la doglianza -con motivazione che il collegio ritiene di poter condividere -perché, le delibere gravate, nel rivestire tutte natura preparatoria della successiva indizione della gara per l’affidamento in concessione dell’opera (art. 183, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016), non potrebbero far insorgere alcun obbligo per la p.a. di dare corso alla procedura di affidamento in projet financing, malgrado la intervenuta dichiarazione di p.i. della proposta presentata da un privato, trattandosi di atti come detto meramente preparatori. 8.4. di qui l’inammissibilità stigmatizzata dal primo giudice, prima ancor che l’infondatezza della censura in esame, che indugia in una lettura eccessivamente civilistica della procedura de qua, tanto più che il predetto carattere pre-procedimentale degli atti gravati non sarebbe idoneo a determinare né vantaggi, né lesioni; insorgendo in capo al privato una mera aspettativa di fatto. 8.5. e del resto, va qui aggiunto, che la giurisprudenza in materia di progetto di finanza (ad iniziativa privata), in base alla normativa di settore (art. 183, co. 15, d.lgs. n. 50/2016), ritiene che la prima fase sia “pre-procedimentale”, funzionale alla fattibilità di una data opera ed incentrata sull’interesse pubblico in relazione a tale opera -fase dunque ad elevata discrezionalità -non sindacabile nel merito, a fronte della quale il privato promotore vanta mere aspettative di fatto, accollandosi il rischio che la proposta non vada a buon fine. 8.6. È stato ancora affermato (da Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2020, n. 4015) che: …"quand'anche fosse stato non solo individuato il promotore ma anche, ritenuto di pubblico interesse, il progetto dallo stesso presentato, l'Amministrazione pubblica … non sarebbe comunque vincolata a dare corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere, attraverso valutazioni attinenti al merito e non sindacabili in sede giurisdizionale se, per la tutela dell'interesse pubblico, sia più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua realizzazione, ovvero non procedere affatto" (cfr. Cons. Stato, V, 4 febbraio 2019, n. 820). 8.7. Il ricorso all’atto tutorio da parte della Amministrazione pubblica è, dunque, conforme alle prescrizioni normative come interpretate dalla suestesa giurisprudenza amministrativa. 8.8. ne consegue che alcun ragionevole affidamento può ritenersi ingenerato in capo ai proponenti, dovendosi ritenere che, dalla proposta formulata illo tempore, non possa che originare a favore del proponente un’unica mera aspettativa, inidonea a dar luogo, come adombrato da parte appellante, ad una responsabilità contrattuale, in assenza di un comportamento dell’amministrazione contrario ai principi di buona fede intesa in senso oggettivo. In tema di project financing, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire (sentenza 13 marzo 2017, n. 1139), che: “la dichiarazione di pubblico interesse” della proposta… non obbliga affatto l'amministrazione né ad approvare il progetto né ad indire la gara per l'affidamento della relativa RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 concessione che, anche una volta dichiarata di pubblico interesse una proposta di realizzazione di lavori pubblici ed individuato il promotore privato, l'amministrazione non è tenuta a dare corso alla procedura di gara per l'affidamento della relativa concessione e la valutazione amministrativa della perdurante attualità dell'interesse pubblico alla realizzazione del- l'opera continua ad essere immanente ed insindacabile nel merito. La censura deve essere perciò respinta. 9. Con riguardo al secondo ed al terzo motivo che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, ancora, l’odierna parte appellante contesta, oltre alla violazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, la violazione delle garanzie procedurali e partecipative, non essendo stata, suo dire, la revisione dell’assetto degli interessi, recato dal- l’atto originario, preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario, così da permettergli di presentare le proprie osservazioni in una fase tuttora preparatoria, nella quale, cioè, non potevano dirsi non potenzialmente aperte ulteriori possibili opzioni a fronte di un atto per definizione “non vincolato”; e, ciò, proprio al fine di evitare che l’intervento spiegato -che aveva affermato il pubblico interesse e la fattibilità -si ponga in contrasto con il modulo tipico previsto dall’art. 7 e segg. della vista legge n. 241. 9.1. In tal senso, del resto, si sarebbe costantemente mossa la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha reiteratamente posto in evidenza la necessita che gli interessati siano in grado di contraddire all’interno del procedimento amministrativo, fermo l'obbligo della amministrazione pubblica di meditata valutazione di tutti i contributi a tal fine presentati tra cui la sopravvenuta esigenza di rimodulare l’interesse pubblico (cfr. Sez. VI 29 febbraio 2002, n. 2983; Ad. plen. 15 settembre 1999, n. 14), sull’eventuale istruttoria da espletare sia sull’individuazione degli interessi pubblici e privati coinvolti sia, infine, sulla loro finale graduazione da parte della procedente Autorità per il perseguimento del poziore interesse pubblico (Cons. Stato Sez. V 5 giugno 1997). 9.2. Tali argomentazioni, variamente articolate nell’atto di appello, non sono persuasive, specie con riguardo all’istituto di una revoca intesa, per vero, non in senso classico, in quanto concernente atti non rientranti ancora nell’iter procedimentale, e le statuizioni del primo giudice devono, quindi, essere confermate. 9.3. Ricorda la Sezione che l'Amministrazione è titolare del potere, riconosciuto dall'art. 21quinquies della legge n. 241 del 1990, di revocare, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo quando ciò avvenga prima del consolidarsi delle posizioni delle parti (cfr., proprio in relazione ad un project financing, Cons. Stato Sez. III, n. 4026, 30 luglio 2013; Sez. III, n. 2838 del 24 maggio 2013). 9.4. In disparte ogni approfondimento in merito alla questione sulla assimilazione o meno dell’atto tutorio adottato nel caso concreto -in cui gli atti gravati hanno riguardato il solo primo segmento del complesso meccanismo della finanza di progetto, senza che gli stessi possano ritenersi, come accennato, incardinati in una sequenza procedimentale -alla revoca classica e, dunque, postulare l’osservanza delle garanzie procedimentali invocate, deve osservarsi che, a fronte di un primo stadio per vero prodromico di un modulo che, utilizzando una locuzione civilistica, potrebbe essere assimilato ad una fattispecie a formazione successiva o progressiva, nessun vincolo può dirsi insorto sull’Amministrazione appellata e, dunque, ravvisarsi in capo alla stessa alcuna violazione del dovere di correttezza o buona fede intesa in senso oggettivo, dovendosi invero escludere la contestata violazione di obblighi di lealtà in un seg ConTenzIoSo nAzIonALe mento della complessa fattispecie de qua, così anticipato da non configurare alcun affidamento tutelabile. 9.5. né tale affidamento può, poi, invocarsi sul consolidamento di una posizione precontrattuale riconducibile a quella tipica del promotore, avendo le ricorrenti presentato il progetto di cui si tratta assumendosi il rischio che esso non venisse giudicato conforme all'interesse pubblico e dovendosi considerare insito nella posizione del promotore (o, meglio, dell’aspirante a tale qualificazione) il rischio economico della redazione e mancata realizzazione del progetto presentato, nella misura in cui esso è assoggettato al potere di verifica di fattibilità dell'amministrazione, con conseguente, concreta, possibilità di abbandono di qualsiasi ipotesi di esecuzione dell'intervento. 10. Per lo stesso ordine di ragioni deve essere respinta la censura riguardante l’invocata applicabilità, nella specie, delle regole inerenti alla revoca in autotutela ex art. 21 quinquies. 10.1. Come ha ben messo in rilievo la sentenza impugnata, infatti, i principi di cui all’art. 21 quinquies, invocati dalla parte appellante, sono applicabili, secondo quanto statuito dalla giurisprudenza prevalente, solo in caso di revoca di atti durevoli, stabilmente attributivi di vantaggi; laddove, devono essere esclusi, nelle ipotesi di atti, come nella specie, “ad effetti instabili ed interinali”. 10.2 ne consegue che essendo riconducibile la dichiarazione di pubblico interesse del progetto presentato dal promotore, nel novero di tale ultima categoria di atti, in quanto provvedimento che non attribuisce, invero, in maniera definitiva un vantaggio, ma meramente ed eventualmente prodromico alla successiva indizione della gara (sent. V, n. 7244/21), tali principi non risultano applicabili nella specie. 10.3. Se così è, come bene ha inteso il primo giudice nella lettura complessiva e ragionevole delle disposizioni che governano il modulo in questione come interpretato dalla giurisprudenza prevalente, si spiega anche perché la censura veicolata afferente alla mancata, previa, interlocuzione procedimentale, non comporta alcuna lesione di natura sostanziale alle prerogative della parte appellante ricorrente riveniente dalla asserita omissione procedimentale “addebitata” alla Amministrazione. 10.4. Invero, l’emergenza pandemica da SARSCoV-2 ha reso chiara, come sottolinea la difesa regionale, la necessità di disporre una ridefinizione delle reti ospedaliere e territoriali, nella quale si tenesse conto non solo della specificità dei bisogni assistenziali di carattere ordinario della popolazione, ma che fosse altresì adeguata ad affrontare -in luoghi e con strumentazioni tecnologiche performanti -eventi pandemici o eccezionali; quindi, delle reti volte a garantire al meglio l’assistenza necessaria in sede emergenziale, pur continuando ad assicurare i servizi essenziali alla popolazione, con modalità sistemica. 10.5. non è stato rappresentato nel gravame alcun plausibile argomento la cui “introduzione” nel procedimento sarebbe stata in grado di diversamente orientarne il risultato. 10.6. di conseguenza, la rivalutazione dell’interesse pubblico è stata effettuata in un ambito sistemico ben determinato, come emerge chiaramente nella dgR n. 691 del 2020. non è, in altre parole, la valenza incidente della mancata interlocuzione procedimentale sul contenuto sostanziale dei fatti fondanti i gravati atti, rivestendo questi ultimi carattere essenzialmente prodromico al modulo avviato dalla parte appellante in qualità di proponente. 10.7. ne discende la infondatezza della censura, ove si abbia riguardo al di per sé risolutivo rilievo che non risulta allegato un concreto pregiudizio al diritto di difesa e di partecipazione procedimentale, mancando parte ricorrente di indicare in qual modo e in che misura il lamentato vizio abbia in concreto precluso la introduzione di deduzioni in grado di sostanzialmente RASSegnA AVVoCATURA deLLo STATo -n. 2/2022 incidere sulle determinazioni della Amministrazione regionale o sanitaria, ovvero abbia potuto in qualche modo ledere il diritto di essa parte appellante all’ottenimento di una decisione diversa, tenuto conto che l’interesse pubblico è stato valutato sotteso alla attività di edilizia sanitaria afferente il P.o. di Chieti, congiuntamente alla disamina dello strumento contrattuale da utilizzare. 10.8. In ogni caso, le censure afferenti alla asserita violazione delle prerogative di partecipazione procedimentale sono prive di fondamento atteso che, siccome si è avuto modo di illustrare supra in sede di negativo scrutinio dei motivi “afferenti al merito”, il contenuto dispositivo dell’impugnato provvedimento non avrebbe potuto essere diverso. 11. In conclusione l’appello non merita accoglimento e la sentenza impugnata va confermata. 12. La spese del presente grado del giudizio, considerata, comunque, la complessità tecnica del giudizio che ha richiesto una circostanziata disamina delle censure anche nel presente giudizio di appello, possono essere interamente compensate tra le parti. 25.1. Rimane definitivamente a carico di ICM e ABP per la soccombenza il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da I.C.M. -s.p.a., A.B.P. nocivelli -s.p.a., lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza impugnata. Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio. Pone definitivamente a carico di ICM e ABP il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2022. PARERIDELCOMITATOCONSULTIVO Situazioni debitorie relative a beni non transitati nella gestione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, succeduta ex lege all’Agenzia del demanio Parere del 20/11/2021-673044/673045, al 14901/2021, avv. Francesca subrani Quesito. L'Agenzia del demanio e l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata chiedevano -l'Agenzia nazionale con nota del 2 febbraio e l'Agenzia del demanio con nota del 5 marzo 2018 -un parere in merito alla competenza dell'Agenzia Nazionale (d'ora innanzi anche "ANBSC"), succeduta all'Agenzia del demanio nelle competenze relative all'amministrazione, destinazione, monitoraggio e gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (1), a pagare i debiti oggetto di giudizi pendenti al tempo della sua istituzione, con particolare riguardo al caso di sentenze di condanna pronunciate nei confronti dell'Agenzia del demanio per non essere stata la successione dichiarata nel corso del processo. Lo scrivente G.U., con parere del 1° febbraio 2019 (prot. n. 62557), sottoposto all'esame del Comitato Consultivo, confermando, nella sostanza, il proprio precedente parere del 13 aprile 2010 (prot. n. 130714), reso con riguardo a una vicenda analoga (ma si trattava di una proposta transattiva e non dell'esecuzione di una sentenza di condanna), si pronunciava nel senso che (1) La successione in parola è avvenuta per effetto dell'entrata in vigore del d.l. n. 4 del 4 febbraio 2010, istitutivo dell'ANBSC e convertito con modif. dalla L. 31 marzo 2010, n. 50, e delle modifiche da esso apportate alla L. 31 maggio 1965, n. 575 (si veda ora il D.lgs. n. 159 del 2011, il c.d. Codice Antimafia). Quanto alle competenze del Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali, l'art. 7 del d.l. citato ha previsto il trasferimento all'ANBSC delle funzioni e delle risorse strumentali e finanziarie già attribuite allo stesso. rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 l'ANBSC, succeduta ex lege all'Agenzia del demanio in tutte le situazioni, attive e passive, relative all'amministrazione e gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, deve ritenersi competente a pagare anche i debiti sorti prima di tale trasferimento di competenze e oggetto di giudizi pendenti al tempo della sua istituzione, e ciò anche nei casi in cui la successione non venga dichiarata nel corso del processo, in quanto le sentenze rese nei confronti del- l'Agenzia del demanio deve ritenersi facciano stato nei suoi confronti per il disposto dell'art. 111, comma 4, c.p.c.; suggeriva, nel contempo, un più stretto coordinamento tra le due Agenzie ai fini della gestione delle liti tuttora pendenti e, più in generale, dei rapporti trasmessi in forza del D.L. n. 4 del 2010. Con nota del 12 novembre 2019, l'ANBSC sottoponeva allo scrivente G.U. una richiesta di integrazione del parere del 1 febbraio 2019, al fine di specificare se le relative conclusioni valessero anche per le situazioni debitorie relative a beni non transitati nella sua gestione. Questo G.U., con nota del 10 febbraio 2020, rispondeva al quesito in senso negativo, con il limite tuttavia che nella richiesta di parere non veniva specificato di quali beni si trattasse. Con nota del 14 aprile 2021 l'Agenzia del Demanio, all'esito di una chiamata in giudizio effettuata in causa pendente dinanzi al Tribunale di Palermo, nella quale era convenuta l'ANBSC per il pagamento dei compensi pretesi per l'attività svolta da un amministratore giudiziario di un bene confiscato, destinato prima dell'istituzione dell'ANBSC, riscontrata l'impossibilità di individuare soluzioni concordate ai fini della gestione delle liti pendenti, chiedeva a questa Avvocatura Generale di comporre, se possibile, il potenziale conflitto di interessi insorto, nonché di chiarire se sussistesse, nella suddetta vicenda processuale, un difetto di legittimazione passiva dell'ANSBC per non avere mai acquisito la procedura di confisca oggetto della richiesta creditoria. A tal fine questa Avvocatura, constatando la necessità di sottoporre nuovamente all'esame del Comitato consultivo la questione, con nota in data 21 aprile 2021, ha chiesto ad entrambe le Agenzie di far pervenire le rispettive osservazioni sulla suddetta tematica, nonché sulle criticità connesse alla possibilità di individuare soluzioni concordate al riguardo. Con nota del 6 maggio 2021 l'Agenzia del Demanio -rilevato che il suddetto parere del 10 febbraio 2020 si presterebbe a dubbi interpretativi rispetto ai precedenti pareri del 2010 e del 2019 (le cui conclusioni, peraltro, sarebbero confermate dalla recente giurisprudenza di merito), tanto più che 1'ANBSC lo avrebbe interpretato "ritenendo la propria incompetenza sul presupposto che il passaggio di titolarità dei rapporti pendenti tra l'agenzia del demanio e l’anbsc sia subordinata alla consegna della documentazione relativa alle procedure di confisca" -ha chiesto di chiarirne meglio la portata e comunque "di riesaminare la questione della competenza a pagare i debiti derivanti dalle procedure di confisca, al fine di adottare un comportamento uniforme a livello PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo nazionale", superando le criticità sorte ed evitando che, a causa di possibili conflitti di interesse, la stessa Agenzia sia costretta a dover ricorrere al patrocinio di legali esterni all'Avvocatura. A sua volta, con nota del 7 maggio 2021, l'ANBSC -ribadita la propria estraneità "con riferimento al caso dei debiti dell'agenzia del demanio sorti prima dell'istituzione dello scrivente Organismo, in relazione a vicende sostanziali e processuali nelle quali la pretesa dei creditori non risulti direttamente riconducibile a beni che siano poi transitati nella sua gestione ", sulla base dell'assimilazione tra tale situazione e le posizioni passive relative ai beni non inerenti all'esercizio dell'impresa, che la giurisprudenza esclude dal novero dei debiti trasferiti in caso di cessione di azienda, ex art. 2560 c.c. ha osservato che il pagamento di debiti non propri potrebbe integrare una "ipotesi di danno erariale a proprio carico, qualora detti pagamenti dovessero poi risultare essere stati, a qualsiasi titolo, oggettivo o soggettivo, indebitamente corrisposti", rilevando anch'essa l'impossibilità di prefigurare soluzioni autonomamente concordate tra le due Agenzie. Considerazioni. riesaminata la questione, ritiene la Scrivente di dover confermare, anche con riguardo ai beni già destinati al tempo dell'istituzione dell'ANBSC, le conclusioni del parere reso il 1° febbraio 2019. Infatti, con il trasferimento delle competenze in materia di amministrazione e destinazione dei beni confiscati dell'Agenzia del demanio all'ANBSC, si è verificata una successione (cfr. il parere del 13 aprile 2010, prot. 15131) per la quale, per le competenze trasferite, si è realizzato il passaggio da un soggetto all'altro di una pluralità di rapporti giuridici attivi e passivi, con effetto immediato. Il fenomeno verificatosi in forza del d.l. n. 4/2010 appare assimilabile, sul piano descrittivo, al trasferimento di un ramo di azienda, trattandosi di trasferimento inter vivos di una pluralità di rapporti. Da un tale accostamento, come detto meramente descrittivo, non sembra possa farsi discendere l'applicabilità della regola di cui all'art. 2560 c.c., per la quale l'alienante non è liberato dai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, sebbene analoghe esigenze di tutela dei terzi creditori parrebbero sussistere nelle due ipotesi. Nel caso di trasferimento di un ramo di azienda, infatti, la successione avviene in forza di un contratto tra cedente e cessionario di cui i creditori ben potrebbero restare all'oscuro, e in favore di un soggetto che potrebbe non rivelarsi solvibile. Nel caso in esame, si tratta invece di una successione nel munus fra enti pubblici (la fattispecie ha in comune con la successione nel ramo di azienda la cessione di un complesso di beni e rapporti senza estinzione del soggetto cedente) avvenuta ex lege e per la quale si ha, sul piano sostanziale, una auto rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 matica successione nei diritti e negli obblighi che sono sorti per il perseguimento dell'interesse pubblico oggetto del trasferimento. L'ente successore deve quindi ritenersi responsabile anche per i debiti che siano stati contratti dall'ente predecessore, sempre in vista della cura di quel munus pubblico. La soluzione appare da preferire anche alla luce del fatto che l'ente predecessore è ormai spogliato delle relative funzioni e competenze, e quindi delle risorse economiche necessarie. In questo quadro, non sembra sia possibile distinguere a seconda che la pretesa creditoria sia o meno direttamente riconducibile a beni poi transitati nella gestione dell'ente successore, anche se una prima lettura della norma istitutiva dell'Agenzia Nazionale, che ad essa attribuisce compiti di "amministrazione e destinazione" dei beni confiscati, una tale distinzione parrebbe suggerire (v. art. 1 del d.l. n. 4 del 2010). L'inerenza del debito che viene in rilievo è infatti quella relativa alla complessiva attività rispetto alla quale la successione si è verificata, più che quella relativa ai singoli beni oggetto di gestione e poi di destinazione. Come detto, tale successione ha per presupposto che si tratti di debiti sorti per il perseguimento dell'interesse pubblico oggetto del trasferimento, circostanza questa che pare ricorrere anche per i debiti sorti in relazione a gestioni di beni già destinati quando l'ente successore è stato istituito. Non può invero affermarsi con certezza che la destinazione dei beni comporti necessariamente il definitivo esaurimento della gestione, la quale ben potrebbe ritenersi includente il pagamento dei debiti relativi (la fattispecie che ha dato luogo alle richieste di parere). Si consideri poi che la destinazione è provvedimento revocabile, per espressa previsione di legge, in vari casi, ad esempio in caso di mancato o difforme utilizzo dei beni rispetto alle finalità indicate (v. art. 112, comma 4, del Codice Antimafia, a mente del quale l'Agenzia Nazionale: "i) verifica l'utilizzo dei beni da parte dei privati e degli enti pubblici, conformemente ai provvedimenti di assegnazione e di destinazione; verifica in modo continuo e sistematico, avvalendosi delle prefetture-uffici territoriali del Governo e, ove necessario, delle Forze di polizia, la conformità dell'utilizzo dei beni, da parte dei privati e degli enti pubblici, ai provvedimenti di assegnazione e di destinazione. Il prefetto riferisce semestralmente all'Agenzia sugli esiti degli accertamenti effettuati; l) revoca il provvedimento di assegnazione e destinazione nel caso di mancato o difforme utilizzo del bene rispetto alle finalità indicate nonché negli altri casi stabiliti dalla legge"). All'Agenzia Nazionale la legge attribuisce, più in generale, anche compiti di accertamento della consistenza, della destinazione e dell'utilizzo dei beni confiscati (v. art. 1, lett. a, del d.l. n. 4 del 2010): e tra questi ultimi, evidentemente, paiono doversi ricomprendere anche quelli già destinati prima della sua istituzione. PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo Deriva da quanto detto che un danno erariale non appare configurabile in relazione al pagamento, da parte dell'ANBSC, di debiti relativi all'attività di gestione di beni in cui non sia subentrata perché già destinati al tempo della sua istituzione. La responsabilità amministrativa presuppone infatti un danno, cagionato all'Amministrazione per effetto della violazione dei doveri derivanti dal rapporto di servizio. Tale danno non appare configurabile nel caso di specie, perché, per le ragioni anzidette, il pagamento dei debiti originariamente sorti in capo all'Agenzia del Demanio è da considerarsi un atto dovuto, di adempimento di una obbligazione traferita, in forza di legge, in capo all'ANBSC. Per il reperimento delle risorse necessarie, ove le spese non trovino copertura nelle risorse della gestione, varrà il disposto dell'art. 44 del Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), per il quale l'Agenzia potrà avvalersi di apposite aperture di credito disposte, a proprio favore, sui fondi dello specifico capitolo istituito nello stato di previsione della spesa del ministero dell'economia e delle finanze. Conclusioni. In conclusione, l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, succeduta ex lege all'Agenzia del demanio in tutte le situazioni, attive e passive, relative all'amministrazione e gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, deve ritenersi competente a pagare anche i debiti relativi a beni non transitati nella gestione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Sulla questione è stato sentito il Comitato consultivo, che si è espresso in conformità nella seduta del 21 ottobre 2021. rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 Persone giuridiche riconosciute. Clausole statutarie che prevedono la nomina, da parte del Prefetto pro tempore, di componenti degli organi di fondazioni e associazioni. Compatibilità delle disposizioni con la normativa vigente Parere del 17/02/2022 -105409, al 27167/2021, avv. Maria elena scaraMucci, PrOc. TOMMasO Marsh Codesta Avvocatura Distrettuale sottopone a questo G.U. la questione di massima concernente l'ammissibilità di quelle clausole contenute negli statuti delle fondazioni che prevedano la designazione di membri degli organi direttivi da parte del Prefetto, ovvero la nomina diretta di quest'ultimo quale membro di tali organi ovvero come presidente della fondazione medesima. La questione traeva impulso da una richiesta in tal senso della Prefettura di Bologna. La Prefettura reputava che tali clausole, pur non violando specifici precetti normativi, fossero distoniche rispetto al principio generale di trasparenza del- l'attività amministrativa e con il suo corollario della non sovrapponibilità tra soggetto (pubblico) controllante e soggetto (nel caso di specie, privato) controllato, tenuto conto della funzione di vigilanza che il d.P.r. 361/2000 assegna al Prefetto con riferimento alle persone giuridiche iscritte nel registro delle persone giuridiche (associazioni e fondazioni). Più in particolare, l'Amministrazione osservava che, con riferimento alla prassi di demandare al Prefetto la nomina di un membro direttivo, la stessa sembrerebbe collidere con l'accresciuta sensibilità riguardo alla prevenzione di episodi corruttivi o comunque di mala amministrazione, sino a prospettare la possibile violazione del divieto del c.d. pantouflage. Chiedeva, dunque, di conoscere il parere dell'Avvocatura in merito alle questioni sopra prospettate, al fine di valutare la possibilità di promuovere una interlocuzione con le fondazioni interessate finalizzata ad avviare un processo di revisione di quelle disposizioni statutarie che prevedono i descritti meccanismi di nomina. *** Codesta Avvocatura Distrettuale ritiene che la carica di amministratore (ma anche quella di componente del collegio dei revisori o di Presidente) di una fondazione -quale espressione della volontà privata -non possa essere ricoperta da un soggetto nominato dal medesimo organo deputato al suo controllo ope legis. Al di fuori dei casi indicati dall'art. 25 c.c., letto in relazione all'art. 8, d.P.r. 361/2000, infatti, l'intervento prefettizio si risolverebbe in un'inammissibile commistione continuativa e ordinaria tra autorità controllante e fondazione controllata. PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo In questa prospettiva, con riguardo alla possibilità di nomina di componenti degli organi direttivi da parte del Prefetto, osserva come la stessa si configurerebbe quale espressione di un pubblico potere operante all'interno della volontà privata. Tale situazione, si aggiunge, denoterebbe una condizione, ancorché astratta, di conflitto di interessi, che, anche alla luce dell'art. 6-bis, l. 241/1990, per ciò solo risulta ostativa alla commistione denunziata. *** Ciò posto, la Scrivente osserva quanto segue. Con il termine “Fondazioni” deve oggi intendersi una plurima realtà di enti che, partendo dall'originaria disciplina codicistica, hanno trovato ulteriore sviluppo e riconoscimento tanto in specifici interventi normativi, quanto in autonome codificazioni derivanti dalla prassi. Gli articoli 14 e seguenti del Codice civile (Libro Primo, Titolo I delle Persone Giuridiche, Capo II delle Associazioni e Fondazioni) declinano la Fondazione come un ente dotato di personalità giuridica privata (caratterizzata da un riconoscimento formale), costituito da un fondatore per atto pubblico o disposizione testamentaria, il cui patrimonio sia destinato ad un fine possibile, lecito e di utilità sociale (caratterizzato cioè da “pubblica utilità”) e sia adeguato al suo raggiungimento. Il patrimonio della fondazione è, pertanto, destinato esclusivamente al raggiungimento dello scopo per la quale l'ente è stato costituito dal fondatore. esso è attribuibile, una volta che venga riconosciuta, esclusivamente alla fondazione stessa, non anche al fondatore. La fondazione, come del resto l'associazione, è caratterizzata dal perseguimento di uno scopo “altruistico/sociale/pubblico” e, comunque, dall'essenza di fini di lucro, per tale intendendosi l'assenza di ripartizioni di utili tra gli associati o tra i componenti dell'organismo (c.d. lucro soggettivo). In tal senso, è ormai pacifico come anche le fondazioni, così come le associazioni, possano svolgere attività economica, purché volta a conseguire le risorse necessarie al perseguimento dello scopo istituzionale. Quanto sopra premesso, non si può non ricordare come il panorama dei c.d. “enti no profit”, categoria generale nella quale si inscrivono le fondazioni disciplinate dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice civile, è stato significativamente inciso dalla riforma del Terzo Settore, avvenuta mediante l'adozione del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore). Gli enti in questione, la cui genesi è subordinata alla effettiva iscrizione al rUNTS, alla luce del disposto dell'art. 7 D.m. 106/20, costituiscono indubbiamente una species della suddetta categoria generale. Invero, sul piano dell'attività, si tratta di enti che esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale (art. 5), potendo svolgere attività diverse solo se secondarie e strumentali a queste (art. 6). rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 Sul piano dello scopo, tali enti agiscono per il perseguimento di “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” (art. 5). Si può ben cogliere come, pur ricorrendo alcuni profili di contiguità, le due nozioni -enti no profit e enti del terzo settore -prima ritenute sostanzialmente coincidenti, ora si divaricano profondamente. È, infatti, l'attività di questi ultimi a collocarsi nel contesto e in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, scolpito nell'art. 118 Cost. Ciò implica che in presenza di enti del Terzo settore, così individuati, debbano applicarsi le norme specifiche contenute nel decreto in esame. Proprio in ragione dei profili di specificità che connotano siffatti enti, nonché del peculiare statuto giuridico che li connota, si ritiene che i principi e le regole dettati per le fondazioni di diritto comune -che conducono alle valutazioni che di seguito si espongono -si riferiscono solo alle Fondazioni che non abbiano richiesto e ottenuto l'iscrizione nel rUNTS. La Fondazione costituisce, dunque, una species delle organizzazioni collettive ed è regolata dalle norme del codice civile e dal d.P.r. 361/00. In particolare, l'art. 16, primo comma, del cod. civ. prevede che: “l'atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione. devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite”. L'atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell'ente, alla devoluzione del patrimonio e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione (art. 16, 2° co). L'art. 1 del d.P.r. 361/2000 (rubricato come Procedimento per l'acquisto della personalità giuridica) stabilisce che: “salvo quanto previsto dagli articoli 7 e 9, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture” (comma 1). Il comma 2 dell'art. 1 dispone che: “ai fini del riconoscimento è necessario che siano state soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell'ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo” (comma 3). Il comma 6 dello stesso articolo stabilisce che, qualora la Prefettura ravvisi ragioni ostative all'iscrizione, ovvero la necessità di integrare la documentazione presentata, ne debba dare immediata comunicazione ai richiedenti. L'Autorità governativa, infatti, è chiamata esclusivamente a procedere o meno all'iscrizione, ma non le è attribuita alcuna possibilità di modificazione dello statuto. Il controllo e la vigilanza da parte dell'autorità governativa (che devono considerarsi un elemento caratterizzante della disciplina delle fondazioni, la PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo cui attività e le cui vicende sono permeate, dal riconoscimento fino alla estinzione, dall'intervento pubblico) si articolano nelle modalità indicate dal citato art. 25 c.c., che stabilisce che: “l'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge” (co. 1); “le azioni contro gli amministratori per i fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall'autorità governativa e sono esercitati dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori” (co. 2). Per quanto attiene agli organi delle fondazioni, la disciplina codicistica (articolo 18 e ss. Codice civile) è senz'altro scarna. L'unica indicazione fornita dal legislatore è quella per cui alla gestione del patrimonio e all'attuazione dello scopo provvedono gli amministratori: essi sono chiamati a rispettare la volontà del fondatore ed a perseguire il fine per cui la fondazione è stata costituita. La loro figura, come sopra ricordato, è l'unica richiamata esplicitamente dal Codice civile: l'organo di amministrazione deve, pertanto, considerarsi come l'unico organo necessario per la fondazione. Gli amministratori non sono soggetti alle indicazioni di un organo deliberativo, né sottoposti al controllo di un organo interno di verifica, seppure spesso negli atti costitutivi e negli statuti delle fondazioni (vista anche le pluralità di tipologie ormai diffuse ed in funzione delle specifiche esigenze dell'ente) sono previsti anche altri organi, compresi quello assembleare e quello di controllo contabile. Il fondatore può nominare gli amministratori nell'atto costitutivo della fondazione, ovvero può indicare le modalità di loro nomina. La carica di amministratore può essere ricoperta da una sola persona, ovvero da più persone riunite in un Consiglio di amministrazione. In genere le fondazioni sono gestite, appunto, da un Consiglio di amministrazione, il cui Presidente ha anche la rappresentanza esterna dell'ente. La nomina degli amministratori può avere una durata determinata, oppure essere a vita, e deve, comunque, essere accettata. Gli amministratori sono responsabili nei confronti della fondazione in base alle regole del mandato. *** Quanto sopra premesso, la Scrivente concorda con l'osservazione della Prefettura di Bologna nel senso che, per le fondazioni di diritto privato non diversamente regolate dalla legge, le clausole statutarie di cui si discute, espressione dell'autonomia privata del fondatore finalizzata a maggior garanzia rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 della legalità della futura azione dell'ente, non siano in contrasto con specifiche disposizioni normative e, pertanto, per il principio generale della tassatività delle nullità, le stesse non possono ritenersi né nulle né annullabili. Non potrebbe, quindi, trovare applicazione anche il principio per cui le cause di nullità e di annullabilità dell'atto di fondazione si traducono (se accertate in un momento successivo al riconoscimento dell'ente) in cause specifiche di estinzione della fondazione medesima. Si osserva, inoltre, che, mentre l'art. 16 del cod. civ. prevede che l'atto costitutivo e lo statuto, oltre alla denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, debbano contenere le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione dell'ente medesimo (che, giova ricordare, non possono essere modificate dall'autorità governativa), tra le quali può essere presente anche quella che rimette ad un terzo la nomina del/degli amministratori o di componenti di altri organi direttivi, il d.P.r. 361/00 prevede la necessità, ai fini dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, che siano indicati il nome e il codice fiscale degli amministratori, con menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza. Pertanto, il Prefetto, nell'ambito dei propri poteri generali di controllo e vigilanza, ai sensi dell'art. 25 c.c., potrebbe legittimamente provvedere alla loro nomina, non potendo diversamente le disposizioni contenute nell'atto di fondazione attuarsi. Per quanto riguarda il rispetto degli obblighi di trasparenza previsti dal d.lgs. 33/2013, giova sottolineare come lo stesso non trovi applicazione per tutte le fondazioni di diritto privato, ma solo per le associazioni, le fondazioni e altri enti di diritto privato che presentino particolari requisiti dimensionali e finanziari, con riferimento sia all'organizzazione che all'attività di pubblico interesse svolta. I requisiti, che devono ricorrere contemporaneamente, sono tre: 1) bilancio superiore a 500.000 euro; 2) finanziamento maggioritario per almeno due esercizi consecutivi nell'ultimo triennio da pubbliche amministrazioni; 3) designazione da parte delle pubbliche amministrazioni della totalità dei titolari o componenti dell'organo di amministrazione o di indirizzo (all'art. 2-bis, co. 2, lett. c). Le associazioni, le fondazioni e gli enti di diritto privato, privi dei requisiti fissati del d.lgs. 33/2013, indipendentemente dalla ingerenza pubblica nella struttura organizzativa o nel capitale, sono assoggettati agli oneri di trasparenza stabiliti dal d.lgs. 33/2013 limitatamente ai dati e ai documenti inerenti l'attività di pubblico interesse svolta, laddove: 1) abbiano un bilancio superiore a 500.000 euro; 2) svolgano funzioni amministrative, o attività di produzione di beni o servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, o di gestione di servizi pubblici. Si tratta pertanto di attività riconducibili alle finalità istituzionali delle amministrazioni affidanti, che vengono esternalizzate in virtù di scelte organizzativo-gestionali. Il regime di trasparenza applicabile a tali enti, in analogia a quanto pre PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo visto per le società a partecipazione pubblica non di controllo, non riguarda dati e documenti relativi all'organizzazione. L'ANAC con la delibera n. 1134 del 2017 ha confermato la distinzione tra enti di diritto privato in controllo pubblico, tenuti alla trasparenza tanto relativamente alla loro organizzazione quanto al complesso delle attività svolte, e altri enti di diritto privato non in controllo pubblico, tenuti alla trasparenza solo per le eventuali attività di pubblico interesse. Anche per quanto riguarda il divieto di pantouflage,o revolving doors (c.d. porte girevoli), finalizzato ad evitare che il “dipendente pubblico” possa sfruttare la conoscenza delle dinamiche organizzative che connotano gli uffici interni della pubblica amministrazione al fine di trarre vantaggi di natura patrimoniale o non patrimoniale, si osserva che lo stesso riguarda sia i dipendenti di pubbliche amministrazioni o di enti formalmente privati, ma partecipati o in controllo pubblico (1). La legittimità in linea di principio delle clausole di cui si discute non esclude, ovviamente, che la loro presenza nello statuto di una fondazione privata possa essere valutata sotto il profilo dell'opportunità, sia nell'ottica del- l'evoluzione della figura della Fondazione, di cui sono state create nuove figure, ciascuna delle quali con proprie peculiarità e caratteristiche, sia, come evidenziato dalla Prefettura, alla luce di una nuova sensibilità, che richiede comunque, anche al di fuori delle normative sopra richiamate, la massima trasparenza nei sistemi di attribuzione degli incarichi. Naturalmente, eventuali modifiche di clausole di Statuti relativi a Fondazioni dotate di personalità giuridica ovvero non ancora riconosciute, non possono essere imposte, non essendo, come sopra ricordato, attribuita al Prefetto alcuna possibilità in tal senso. A questo riguardo, giova ricordare come il T.A.r. di Brescia, nella sentenza n. 41 del 2016, abbia chiarito che l'introduzione, da parte del Legislatore, dell'art. 2, comma 3, del d.P.r. n. 362/00, ha consentito di superare il problema interpretativo nascente dal testo dell'art. 16 del c.c. che pareva escludere la possibilità di modificare lo Statuto di una Fondazione. L'entrata in vigore della norma sopra ricordata ha fatto sì che il problema non sia più quello della modificabilità dello Statuto, quanto quello dei limiti entro i quali è ammessa la modificazione. Pertanto, ritengono i Giudici lombardi che, mentre non può esser mutato il fine consacrato nello Statuto, sono possibili modificazioni che attengono (1) L'art. 1, comma 42, lett. l) della legge anticorruzione ha aggiunto all'articolo 53 del D.lgs. n. 165/2001 il comma 16 ter, il quale prevede che "i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1 comma 2 non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri". rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 alla struttura organizzativa dell'ente che non pregiudichino lo scopo programmato e che, dunque, siano coerenti con il migliore realizzarsi dello scopo, valorizzando così il nesso di strumentalità della modifica con i fini dell'ente. Ciò posto, si renderà, quindi, necessaria la valutazione delle singole clausole contenute nei vari statuti, valutando se il loro contenuto, alla luce dell'organizzazione complessiva di ogni specifico ente, suggerisca senz'altro l'opportunità di un'interlocuzione con il medesimo ai fini di suggerirne la modifica secondo la procedura prevista dall'art. 16 c.c. In particolare, si suggerisce come le clausole in parola dovrebbero essere formulate in modo da non “snaturare” l'autonomia gestionale, organizzativa e contabile della fondazione. In questa ottica, l'eventuale prevalenza nella composizione degli organi riservata alla nomina da parte dell'autorità di controllo sarebbe irragionevole, oltre che contraria al principio di democraticità, e potrebbe costituire un condizionamento della gestione dell'ente e quindi un ostacolo al raggiungimento dello scopo della stessa. Altrettanto potrebbe dirsi nel caso di nomina di un amministratore unico su designazione dell'autorità di controllo. Da escludere sicuramente è che il fondatore proceda alla nomina del Prefetto quale amministratore o presidente, tanto più, in quest'ultimo caso, con poteri di rappresentanza dell'ente. In tal caso, infatti, l'Autorità si troverebbe direttamente coinvolta nello svolgimento dell'attività dell'ente privato. Svolgerebbe, quindi, una funzione eterogenea rispetto a quella assegnata dalla legge e vietata secondo la lettura offerta dall'art. 25 c.c. Analogamente, considerato che si tratterebbe di incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo o di vigilanza, deve escludersi la possibilità della nomina alle cariche in questione di dipendenti dell'Autorità governativa al cui controllo la Fondazione è sottoposta. Fermo restando, in ogni caso, quanto disposto dall'art. 53 del T.U.P.I. (D.lgs. n. 165/2001) in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi per i pubblici dipendenti. Analoghe considerazioni sfavorevoli potrebbero anche ipotizzarsi con riferimento all'attribuzione al Prefetto di un potere diretto di nomina, apparendo sicuramente più opportuno che la designazione in questione venga intesa come mera indicazione di un ventaglio di nominativi, tra i quali la scelta sarebbe rimessa al fondatore. In ogni caso, si tratta di valutazioni per le quali ci si rimette alla competenza della Prefettura e del ministero dell'Interno, al quale compete di dare direttive unitarie in materia. *** Sulla questione avente valenza di massima è stato sentito il Comitato Consultivo, che, nella seduta del 9 febbraio 2022, si è espresso in conformità. PArerI DeL ComITATo CoNSULTIvo Sanzioni amministrative irrogate dagli Uffici territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro e conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. Parere del 21/02/2022 -111823, al 11149/2021, avv. eManuele ManzO Con la nota in epigrafe, codesto Ispettorato ha sottoposto alla Scrivente una richiesta di parere circa la possibilità di aderire a proposte conciliative formulate dal Giudice ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 185 e/o 420 c.p.c. su importi aventi ad oggetto sanzioni amministrative inerenti a violazioni in materia di diritto del lavoro e legislazione sociale irrogate dagli Uffici territoriali dell'INL. In particolare, codesto Ispettorato chiede di conoscere se sia possibile pervenire ad una rideterminazione del quantum dell'ordinanza ingiunzione, nell'ambito della cornice edittale prevista dalla legge, ove tale rideterminazione sia sollecitata dal Giudice, evidenziando che la mancata adesione alle proposte conciliative sta determinando una sistematica condanna dell'Ispettorato alle spese di lite, e ciò pure laddove la sanzione sia confermata nell'an e solo diversamente quantificata in sentenza (in misura più favorevole all'ingiunto). Il dubbio interpretativo origina da un parere di questa Avvocatura del 18 maggio 2009 (Cs. 567/2009), ove si era esclusa la possibilità di stipulare atti transattivi in ordine al quantum di sanzioni amministrative, in ragione della indisponibilità del potere sanzionatorio e della possibilità di ricorrere all'oblazione, quale strumento agevolativo espressamente previsto dalla legge (art. 16 legge n. 689/1981). Tuttavia, come evidenziato pure da codesto Ispettorato, il precedente parere atteneva a fattispecie ben diverse, in cui la possibilità di transazione prescindeva dalla pendenza di un giudizio e dall'iniziativa di un Giudice, concernendo ipotesi di transazioni stragiudiziali ai sensi degli artt. 1965 ss. c.c. Pare, ad avviso di questa Avvocatura, che le ragioni ostative a suo tempo individuate non possano invece valere con riferimento alla conciliazione giudiziale. Invero, la conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, concretizzandosi strutturalmente per il necessario intervento del giudice e funzionalmente, da un lato, per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall'altro, per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato tra le parti, che resta integralmente soggetto alla disciplina che gli è propria (Cass. sez. lav., n. 25472/2017; Cass. sez. lav. n. 11677/1995). Tale negozio complesso si conclude con le formalità previste dall'art. 88 disp. att. c.p.c. ovvero con la formazione e sottoscrizione del processo verbale rASSeGNA AvvoCATUrA DeLLo STATo -N. 2/2022 di conciliazione; all'intervento dell'organo pubblico è collegata la previsione dell'efficacia di titolo esecutivo del verbale di conciliazione nonché la possibilità, nella specifica materia lavoristica, di definire anche controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore (art. 2113 c.c., u.c.). ebbene, con riferimento al contenzioso su sanzioni amministrative, il carattere processuale dell'istituto della conciliazione, come configurato dalla legge, presuppone la formale contestazione della sanzione amministrativa e l'instaurazione del rapporto processuale con l'organo giudicante. Tenuto conto del contesto processuale (e perciò pubblicistico) in cui interviene la conciliazione e della portata generale della potestà conciliativa attribuita al Giudice (cfr. artt. 185 e 420 c.p.c.), pare ragionevole ritenere che non sia preclusa la possibilità di aderire a proposte conciliative che contemplino la riduzione, pur sempre nel rispetto dei limiti edittali minimi, del quantum della sanzione. Del resto, la stessa adesione dell'Amministrazione alla proposta conciliativa giudiziale verrebbe a configurarsi come esercizio di una ordinaria potestà amministrativa di secondo grado, implicando siffatta adesione il necessario sia pure implicito -riesercizio in autotutela del potere sanzionatorio. Detto altrimenti, allorquando l'Amministrazione intenda aderire a proposte conciliative giudiziali che prevedano una riduzione del quantun sanzionatorio, nel rispetto dei limiti edittali minimi, essa (semprechè, ovviamente, ritenga sussistere i presupposti per una riduzione della sanzione) non fa altro che riesercitare il potere rideterminandosi, re melius perpensa, nel senso prospettato dal Giudice. Da ultimo, si noti che anche nell'ordinamento tributario, in cui pure vige il principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, le definizioni convenzionali della lite sono valide nei casi espressamente previsti (cfr. art. 48 D.lgs. n. 546/1992), come è appunto nella conciliazione giudiziale "che rappresenta una deroga al predetto principio" (Cass. n. 12314/2001). Alla luce delle superiori considerazioni, questa Avvocatura è dell'avviso che nulla osti, sul piano tecnico-giuridico, e nei limiti sopra indicati, alla possibilità di aderire a proposte di conciliazione giudiziale aventi ad oggetto il quantum di sanzioni amministrative irrogate. La questione è stata sottoposta all'esame del Comitato Consultivo del- l'Avvocatura dello Stato di cui all'art. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si è espresso in conformità nella seduta del 9 febbraio 2022. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ Transfer of personal data to third countries or international organisations: the solution of italian government Gaetana Natale* In this panel the topic is subject rights. It is important a practical approach to understand and analyse the solutions of the problems in the different cases, following best practices. The subiect rights are crucial in the transfers of data both on the basis of an adequancy decision where the Commission has decided that the third country or the international organization in question ensures an adequate level of protection and transfers subject to appropriate safeguards o binding corporate rule o, code of conduct and certification, general data protection clauses such a transfer shall not require any specific authorisation. The first level of protection is awaarness of subject right. It is important to individuate the centre of imputation of liability, strict liability in processing data. When assessing the adequancy of the level of protection, after Shield case and safe harbor, the Commission shall, in particular, take account of: rule of law, respect of human rights and fundamental freedom, relevant legislation both general and sectorial, data protection rules, security measures, case law as well as effective and enforceable data subjects rights and effective and administrative, judicial redress for the data subjects whose personal data are being transferred. International organisations are a trustworthy system for personal data processing. (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. Costituisce il presente scritto la relazione presentata il 12 maggio u.s. dall’Autrice ad un convegno organizzato dall’Agenzia ONU World Food Programme (WFP) e da European Data Protection Board (EDPB) in tema di protezione dei dati ed organizzazioni internazionali. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 Important tool is enforcement: private and public enforcement by independent supervisory, for assisting and advising the data subjects in exercising their rights and for cooperation with the supervisory authorithies of the Member states in Europe and international organisations observing one stop shop with some mitigation. This protection is dynamic and not static with following review. The privacy is not formal compliance, but substantial protection, defence, safeguard of fundamental rights. Lastly it is clear that the system envisaged is based on the subsidiarity and proportionality. The principles of subsidiarity and proportionality should be fully respected as should fundamental rights. I will explain you some examples of accountability, proportionality, privacy by design and default. It is important the rule of Data Protection Office both his surveillance, supervision activity and advising activity for subiects right. . 1. UNICEF -As reported on page 79 in the 2019 Annual Report: “The Ministry of the Interior consulted the Privacy Guarantor about a project initiated with Unicef in relation to the strengthening of the reception and protection system for unaccompanied foreign minors (MSNA) which provides for the promotion of foster care paths, as an alternative measure for reception and social inclusion, and the coordination of the institutions responsible for taking care of unaccompanied foreign minors. The agreement scheme prepared by the Ministry for project management contains specific references to compliance with the GDPR and the Privacy Code. Considering that Unicef cannot be the recipient of obligations deriving from regulations issued by sovereign states or the European Union -such as the GDPR and the Code -in consideration of the immunities and privileges recognized to international organizations, the Ministry of the Interior asked the Guarantor if the legislation on the protection of personal data applies to it. The Office highlighted that the Ministry must verify that the processing is carried out in compliance with the applicable principles (articles 5, 6, 9 and 10 of the GDPR and 2-ter, 2-sexies, 2-septies, 2-octies of the Code) and identify on the basis of which assumptions, provided for by art. 44-50 of the RGPD, the flow of personal data to the international organization is carried out. In this context, it was recalled that based on the orientation expressed by the Cepd (guidelines 2/2018 on the exceptions referred to Article 49 of the GDPR, adopted on 25 May 2018), data controllers who intend to transfer personal data towards third countries or international organizations, should first explore the possibility of using one of the guarantee mechanisms for the transfer as provided by Articles 45 and 46 of the GDPR (adequacy decisions or adequate guarantees) and, only if this is not possible, make use of the the derogation hypotheses indicated in art. 49, par. 1, of the GDPR (1). These exceptions, in fact, “should be interpreted stric LEGISLAzIONE ED ATTUALITà tly, so that the exception does not turn into the rule” (art. 49; see guidelines 2/2018 cit.; see also WP114 Working document on a common interpretation of art. 26, par. 1 of directive 95/46/EC”, adopted by the Art. 29 Group on 25 November 2005). In the specific case, in order to verify whether the hypothesis of derogation provided by art. 49, par. 1, lett. d), of the GDPR (“the transfer is necessary for important reasons of public interest”), the public interest pursued must be recognized by Union law or by the law of the Member State (Article 49, paragraph 4). In this context, it was recalled that the existence of an international agreement or convention that establishes a specific objective, to be favored with international cooperation, “must be considered as an indica- tor for the purpose of assessing the existence of a public interest pursuant to art. 49, par. 1, lett. d), provided that the European Union or the Member States have signed this agreement or convention”. It was also suggested to the Ministry to evaluate the existence of internal policies at Unicef or the adherence to standard agreements or internationally recognized principles which, pending the adoption of adequacy decisions, in any case offer the interested parties guarantees regarding compliance of fundamental rights and guarantees regarding the protection of personal data (note 15 July 2019)”. (1) Art. 44 GDPR: “1. Any transfer of personal data which are undergoing processing or are intended for processing after transfer to a third country or to an international organisation shall take place only if, subject to the other provisions of this Regulation, the conditions laid down in this Chapter are complied with by the controller and processor, including for onward transfers of personal data from the third country or an international organisation to another third country or to another international organisation. 2. All provisions in this Chapter shall be applied in order to ensure that the level of protection of natural persons guaranteed by this Regulation is not undermined”. Art. 45 GDPR: “1. A transfer of personal data to a third country or an international organisation may take place where the Commission has decided that the third country, a territory or one or more specified sectors within that third country, or the international organisation in question ensures an adequate level of protection. Such a transfer shall not require any specific authorisation. 2. When assessing the adequacy of the level of protection, the Commission shall, in particular, take account of the following elements: the rule of law, respect for human rights and fundamental freedoms, relevant legislation, both general and sectoral, including concerning public security, defence, national security and criminal law and the access of public authorities to personal data, as well as the implementation of such legislation, data protection rules, professional rules and security measures, including rules for the onward transfer of personal data to another third country or international organisation which are complied with in that country or international organisation, case-law, as well as effective and enforceable data subject rights and effective administrative and judicial redress for the data subjects whose personal data are being transferred; the existence and effective functioning of one or more independent supervisory authorities in the third country or to which an international organisation is subject, with responsibility for ensuring and enforcing compliance with the data protection rules, including adequate enforcement powers, for assisting and advising the data subjects in exercising their rights and for cooperation with the supervisory authorities of the Member States; and the international commitments the third country or international organisation concerned has entered into, or other obligations arising from legally binding conventions or instruments as well as from its participation in multilateral or regional systems, in particular in relation to the protection of personal data. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 2. In this year's annual report there was an interview with MAECI with reference to UNHCR ( United Nations High Commissioner for Refugees): “Another case concerned a request came from the Ministry of the Interior regarding a clause regarding the protection of personal data included in the scheme of the Asylum, Migration and Integration Fund Grant Agreement (FAMI), to be signed with UNHCR, in relation to the transfers of personal data necessary for the management of a project proposal in the field of asylum and resettlement of thirdcountry nationals, to be co-financed with FAMI resources. On this occasion having recalled the aforementioned regulatory framework -the Ministry was also invited to evaluate the use of the hypothesis of derogation, and in particular that for important reasons of public interest (Article 49, paragraph 1, letter d), recalling that the existence of an international agreement or convention establishing a specific objective, to be encouraged through international cooperation, can be an indicator for the purpose of assessing the existence of a public interest, provided that the European Union or the Member States have signed this agreement or convention, referring for the assessment of these conditions to the guidelines of the Committee 2/2018 cited above (note July 26, 2021)”. 3. The Commission, after assessing the adequacy of the level of protection, may decide, by means of implementing act, that a third country, a territory or one or more specified sectors within a third country, or an international organisation ensures an adequate level of protection within the meaning of paragraph 2 of this Article. The implementing act shall provide for a mechanism for a periodic review, at least every four years, which shall take into account all relevant developments in the third country or international organisation. The implementing act shall specify its territorial and sectoral application and, where applicable, identify the supervisory authority or authorities referred to in point (b) of paragraph 2 of this Article. The implementing act shall be adopted in accordance with the examination procedure referred to in Article 93. 4. The Commission shall, on an ongoing basis, monitor developments in third countries and international organisations that could affect the functioning of decisions adopted pursuant to paragraph 3 of this Article and decisions adopted on the basis of Article 25 of Directive 95/46/EC. 5. The Commission shall, where available information reveals, in particular following the review referred to in paragraph 3 of this Article, that a third country, a territory or one or more specified sectors within a third country, or an international organisation no longer ensures an adequate level of protection within the meaning of paragraph 2 of this Article, to the extent necessary, repeal, amend or suspend the decision referred to in paragraph 3 of this Article by means of implementing acts without retro-active effect. Those implementing acts shall be adopted in accordance with the examination procedure referred to in Article 93. On duly justified imperative grounds of urgency, the Commission shall adopt immediately applicable implementing acts in accordance with the procedure referred to in Article 93. 6. The Commission shall enter into consultations with the third country or international organisation with a view to remedying the situation giving rise to the decision made pursuant to paragraph 5. 7. A decision pursuant to paragraph 5 of this Article is without prejudice to transfers of personal data to the third country, a territory or one or more specified sectors within that third country, or the international organisation in question pursuant to Articles 46 to 49. 8. The Commission shall publish in the Official Journal of the European Union and on its website a list of the third countries, territories and specified sectors within a third country and international organisations for which it has decided that an adequate level of protection is or is no longer ensured. 9. Decisions adopted by the Commission on the basis of Article 25 of Directive 95/46/EC shall remain in force until amended, replaced or repealed by a Commission Decision adopted in accordance with paragraph 3 or 5 of this Article”. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà 3. Regarding FATCA, data protection rules should play a significant role in taxpayers protection in FATCA. Thanks to the improvements that the GDPR has made in comparison to the Data Protection Directive, the protection that the EU provides for taxpayers via the principle of proportionality should be complied with the FATCA procedures, including data collection, data transfer and data retention. However, it is possible to find a legal basis for the transfer of data to a third countries in Article 49 of GDPR (“Derogations for specific situations”), if one of the conditions listed therein is met: that the interested party has explicitly given his specific and informed consent, that occasional transfer is necessary for the execution of a contract between the data subject and the data controller or between the latter and another natural or legal person, for important reasons of public interest, without looking at the nature of the organization, Art. 46 GDPR: “1. In the absence of a decision pursuant to Article 45, a controller or processor may transfer personal data to a third country or an international organisation only if the controller or processor has provided appropriate safeguards, and on condition that enforceable data subject rights and effective legal remedies for data subjects are available. 2. The appropriate safeguards referred to in paragraph 1 may be provided for, without requiring any specific authorisation from a supervisory authority, by: a legally binding and enforceable instrument between public authorities or bodies; binding corporate rules in accordance with Article 47; standard data protection clauses adopted by the Commission in accordance with the examination procedure referred to in Article 93; standard data protection clauses adopted by a supervisory authority and approved by the Commission pursuant to the examination procedure referred to in Article 93; an approved code of conduct pursuant to Article 40 together with binding and enforceable commitments of the controller or processor in the third country to apply the appropriate safeguards, including as regards data subjects rights; or an approved certification mechanism pursuant to Article 42 together with binding and enforceable commitments of the controller or processor in the third country to apply the appropriate safeguards, including as regards data subjects’ rights. 3. Subject to the authorisation from the competent supervisory authority, the appropriate safeguards referred to in paragraph 1 may also be provided for, in particular, by: contractual clauses between the controller or processor and the controller, processor or the recipient of the personal data in the third country or international organisation; or provisions to be inserted into administrative arrangements between public authorities or bodies which include enforceable and effective data subject rights. 4. The supervisory authority shall apply the consistency mechanism referred to in Article 63 in the cases referred to in paragraph 3 of this Article. 5. Authorisations by a Member State or supervisory authority on the basis of Article 26(2) of Directive 95/46/EC shall remain valid until amended, replaced or repealed, if necessary, by that supervisory authority. 2Decisions adopted by the Commission on the basis of Article 26(4) of Directive 95/46/EC shall remain in force until amended, replaced or repealed, if necessary, by a Commission Decision adopted in accordance with paragraph 2 of this Article”. Art. 47 GDPR: “1. The competent supervisory authority shall approve binding corporate rules in accordance with the consistency mechanism set out in Article 63, provided that they: are legally binding and apply to and are enforced by every member concerned of the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity, including their employees; expressly confer enforceable rights on data subjects with regard to the processing of their personal data; and fulfil the requirements laid down in paragraph 2. 2. The binding corporate rules referred to in paragraph 1 shall specify at least: the structure and contact details of the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity and of RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 if it is necessary to exercise a right in court or to protect the vital interests of the data subject who is physically or legally incapable of giving his consent. In conclusion, data transfer under FATCA to the U.S. requires an adequate level of protection through substantial provisions in IGAs, using the SCCs as said before and, more generally, through an adequacy assessment of US law. The EDPB, in his Statement on “International agreements including tran each of its members; the data transfers or set of transfers, including the categories of personal data, the type of processing and its purposes, the type of data subjects affected and the identification of the third country or countries in question; their legally binding nature, both internally and externally; the application of the general data protection principles, in particular purpose limitation, data minimisation, limited storage periods, data quality, data protection by design and by default, legal basis for processing, processing of special categories of personal data, measures to ensure data security, and the requirements in respect of onward transfers to bodies not bound by the binding corporate rules; the rights of data subjects in regard to processing and the means to exercise those rights, including the right not to be subject to decisions based solely on automated processing, including profiling in accordance with Article 22, the right to lodge a complaint with the competent supervisory authority and before the competent courts of the Member States in accordance with Article 79, and to obtain redress and, where appropriate, compensation for a breach of the binding corporate rules; the acceptance by the controller or processor established on the territory of a Member State of liability for any breaches of the binding corporate rules by any member concerned not established in the Union; the controller or the processor shall be exempt from that liability, in whole or in part, only if it proves that that member is not responsible for the event giving rise to the damage; how the information on the binding corporate rules, in particular on the provisions referred to in points (d), (e) and (f) of this paragraph is provided to the data subjects in addition to Articles 13 and 14; the tasks of any data protection officer designated in accordance with Article 37 or any other person or entity in charge of the monitoring compliance with the binding corporate rules within the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity, as well as monitoring training and complaint-handling; the complaint procedures; the mechanisms within the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity for ensuring the verification of compliance with the binding corporate rules. Such mechanisms shall include data protection audits and methods for ensuring corrective actions to protect the rights of the data subject. Results of such verification should be communicated to the person or entity referred to in point (h) and to the board of the controlling undertaking of a group of undertakings, or of the group of enterprises engaged in a joint economic activity, and should be available upon request to the competent supervisory authority; the mechanisms for reporting and recording changes to the rules and reporting those changes to the supervisory authority; the cooperation mechanism with the supervisory authority to ensure compliance by any member of the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity, in particular by making available to the supervisory authority the results of verifications of the measures referred to in point (j); the mechanisms for reporting to the competent supervisory authority any legal requirements to which a member of the group of undertakings, or group of enterprises engaged in a joint economic activity is subject in a third country which are likely to have a substantial adverse effect on the guarantees provided by the binding corporate rules; and the appropriate data protection training to personnel having permanent or regular access to personal data. 3. The Commission may specify the format and procedures for the exchange of information between controllers, processors and supervisory authorities for binding corporate rules within the meaning of this Article. 2Those implementing acts shall be adopted in accordance with the examination procedure set out in Article 93(2)”. Art. 48 GDPR: “Any judgment of a court or tribunal and any decision of an administrative authority of a third country requiring a controller or processor to transfer or disclose personal data may only be recognised or enforceable in any manner if based on an international agreement, such as a mutual legal assistance treaty, in force between the requesting third country and the Union or a Member State, without prejudice to other grounds for transfer pursuant to this Chapter”. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà sfers”, dated 13 April 2021, invites the Member States “to assess and, where necessary, review their international agreements that involve international transfers of personal data, such as those relating to taxation (e.g. to the automatic exchange of personal data for tax purposes), social security, mutual legal assistance, police cooperation, etc. which were concluded prior to 24 May 2016 (for the agreements relevant to the GDPR) or 6 May 2016 (for the agreements relevant to the LED)”. The EDPB also recommends “that Member States take into account for this review […], the relevant EDPB guidelines applicable to international transfers […]”, in particular, the EDPB issued Guidelines 2/2020 on articles Art. 49 GDPR: “1. In the absence of an adequacy decision pursuant to Article 45(3), or of appropriate safeguards pursuant to Article 46, including binding corporate rules, a transfer or a set of transfers of personal data to a third country or an international organisation shall take place only on one of the following conditions: the data subject has explicitly consented to the proposed transfer, after having been informed of the possible risks of such transfers for the data subject due to the absence of an adequacy decision and appropriate safeguards; the transfer is necessary for the performance of a contract between the data subject and the controller or the implementation of pre-contractual measures taken at the data subject’s request; the transfer is necessary for the conclusion or performance of a contract concluded in the interest of the data subject between the controller and another natural or legal person; the transfer is necessary for important reasons of public interest; the transfer is necessary for the establishment, exercise or defence of legal claims; the transfer is necessary in order to protect the vital interests of the data subject or of other persons, where the data subject is physically or legally incapable of giving consent; the transfer is made from a register which according to Union or Member State law is intended to provide information to the public and which is open to consultation either by the public in general or by any person who can demonstrate a legitimate interest, but only to the extent that the conditions laid down by Union or Member State law for consultation are fulfilled in the particular case. Where a transfer could not be based on a provision in Article 45 or 46, including the provisions on binding corporate rules, and none of the derogations for a specific situation referred to in the first subparagraph of this paragraph is applicable, a transfer to a third country or an international organisation may take place only if the transfer is not repetitive, concerns only a limited number of data subjects, is necessary for the purposes of compelling legitimate interests pursued by the controller which are not overridden by the interests or rights and freedoms of the data subject, and the controller has assessed all the circumstances surrounding the data transfer and has on the basis of that assessment provided suitable safeguards with regard to the protection of personal data. The controller shall inform the supervisory authority of the transfer. The controller shall, in addition to providing the information referred to in Articles 13 and 14, inform the data subject of the transfer and on the compelling legitimate interests pursued. 2. A transfer pursuant to point (g) of the first subparagraph of paragraph 1 shall not involve the entirety of the personal data or entire categories of the personal data contained in the register. Where the register is intended for consultation by persons having a legitimate interest, the transfer shall be made only at the request of those persons or if they are to be the recipients. 3. Points (a), (b) and (c) of the first subparagraph of paragraph 1 and the second subparagraph thereof shall not apply to activities carried out by public authorities in the exercise of their public powers. 4. The public interest referred to in point (d) of the first subparagraph of paragraph 1 shall be recognised in Union law or in the law of the Member State to which the controller is subject. 5. In the absence of an adequacy decision, Union or Member State law may, for important reasons of public interest, expressly set limits to the transfer of specific categories of personal data to a third country or an international organisation. Member States shall notify such provisions to the Commission. 6. The controller or processor shall document the assessment as well as the suitable safeguards referred to in the second subparagraph of paragraph 1 of this Article in the records referred to in Article 30”. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 46 (2) (a) and 46 (3) (b) of Regulation 2016/679 for “transfers of personal data between EEA and non-EEA public authorities and bodies”, adopted on 15 December 2020, and Recommendations 01/2020 on “measures that supplement transfer tools to ensure compliance with the EU level of protection of personal data”, adopted on 18 June 2021, as said before. Since 2019, with his Statement on “the US Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)”, the EDPB has ensured to “review the existing data protection safeguards under the legislation authorising the transfer of personal data to the US IRS for the purposes of the US Foreign Account Tax Compliance Act”, thus working on the preparation of guidelines on some of the tools provided for by Article 46 of the GDPR. In December 2021 about subject rights Italian Supervisory issued advise about dtraft Economy that set up categories and puroposes of data’s treatments, in order to takle tax evasion. In this field subjects rights are limited according to budget law 2020. 4. CONSOB National Commmission for corporation and market change. Italian Supervisory has approved administrative agreement to transfer personal data among financial authorities in European economic space and outside Europe. This agreement has been the result of long discussion between ESMA (European Securities and markets Authority) and IOSCO (International Organization of Securities Commissions). 5. Another example before GDPR is WADA (World Antidoping Agency): the questions about data of doping has been a matter under attention of European Committee and there was a opinion by WP29. By this examples we can say that there are some important principles in agreement to transfer personal data: first risch approach, subiect’s intervention, the person concerned must be able to intervene at all stages of the procedure about personal data, techniques of anomization, obfuscation and encryption, hourly back-ups, hashing to guarantee an excellent security level, escape clause, time limit for data retention, accountability, privacy by design and default, human loop. This is the base, core of subiects rights to guardianiship of human rights. Art. 50 GDPR: “In relation to third countries and international organisations, the Commission and supervisory authorities shall take appropriate steps to: develop international cooperation mechanisms to facilitate the effective enforcement of legislation for the protection of personal data; provide international mutual assistance in the enforcement of legislation for the protection of personal data, including through notification, complaint referral, investigative assistance and information exchange, subject to appropriate safeguards for the protection of personal data and other fundamental rights and freedoms; engage relevant stakeholders in discussion and activities aimed at furthering international cooperation in the enforcement of legislation for the protection of personal data; promote the exchange and documentation of personal data protection legislation and practice, including on jurisdictional conflicts with third countries”. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Real challenge is Artificial Intelligence and alghoritms in personal data processing: no opacity and right to explanation digital due process are pivotal tools in order to create a trustworthy legal system. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 La nuova legislazione sulla sicurezza nelle discipline sportive invernali Wally Ferrante* 1. Dopo un lungo e travagliato iter legislativo, la nuova disciplina in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali ha visto finalmente la luce con il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 40 in attuazione della delega disposta dall’art. 9 della legge 8 agosto 2019, n. 86, in vigore, dopo varie proroghe ed anticipazioni, dal 1 gennaio 2022. La tecnica legislativa è stata quella della totale riscrittura della normativa in materia e contestuale abrogazione della legge 24 dicembre 2003, n. 363, primo testo di legge organico sul tema nel nostro ordinamento, fatta eccezione per tre articoli (5, 7 e 23 contenenti i finanziamenti statali per le campagne informative volte alla prevenzione degli infortuni e gli stanziamenti a favore dei gestori per la messa in sicurezza delle aree sciabili e a sostegno dell’economia turistica degli sport della neve, con la relativa copertura finanziaria). I due precedenti disegni di legge, il primo di proposta governativa n. 3251 del 2007 presentato dal Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive Melandri e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, con delega per la montagna, Lanzillotta recante “Modifiche alla legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo” (Atto Camera n. 3251 -Xv Legislatura presentato il 14 novembre 2007 -Governo Prodi) e il secondo di iniziativa parlamentare n. 1367 del 2014 presentato dalla Senatrice Lanzillotta recante “Modifiche alla legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo” (Atto Senato n. 1367 -XvII Legislatura presentato l’11 marzo 2014 -Governo Monti) sono sostanzialmente sovrapponibili e si proponevano di intervenire con la tecnica della modifica della legge vigente e non della sua totale riscrittura e contestuale abrogazione. Nessuno dei due però è stato poi approvato dal Parlamento e quindi l’approdo del d.lgs. n. 40 del 2021 è da considerarsi un vero successo per la sicurezza degli sport invernali e per lo sviluppo delle attività economiche e turistiche connesse a tale pratica. In qualità di vice Capo del Settore Legislativo del Ministro Melandri, la sottoscritta ha partecipato alla stesura del primo disegno di legge, poi sostan (*) Avvocato dello Stato, Componente del Collegio di Garanzia del Coni. Intervento dell’Autrice all’incontro tenutosi presso la Sala Giunta del CONI il 13 ottobre 2022 per illustrare gli aspetti della nuova normativa sulla sicurezza degli sport invernali (D.lgs. 40/2021). LEGISLAzIONE ED ATTUALITà zialmente ripreso dal secondo, che contenevano già in nuce molte delle novità legislative recepite nel d.lgs. n. 40 del 2021. 2. Il disegno di legge si proponeva di porre rimedio ad alcune lacune della normativa vigente con riguardo all'attività di prevenzione e vigilanza, da considerare basilare per garantire la sicurezza nella pratica degli sport invernali. Il criterio ispiratore del disegno di legge era quello di rafforzare le misure di prevenzione e l'attività di vigilanza al fine di offrire a tutti gli utenti degli sport invernali condizioni più sicure, nella convinzione che piste da sci più sicure possano costituire una ulteriore opportunità anche per lo sviluppo turistico del settore. Ciò senza tuttavia proporre misure che potessero essere avvertite come “penalizzanti” per gli operatori del settore. Tale necessità di bilanciamento tra esigenze di sicurezza e tutela dell’attività economica dell’indotto turistico, evitando l’introduzione di nuovi onerosi costi a carico degli operatori, è tuttora un aspetto molto attuale. 3. Inoltre, il sistema sanzionatorio era rimasto incompleto e non uniforme a causa del differente stato di attuazione nelle regioni -atteso che, ad eccezione della sanzione per la violazione dell’obbligo del casco per gli infraquattordicenni, le altre sanzioni a carico degli utenti per le violazioni comportamentali erano rimesse dalla legge n. 363 del 2003 alla normativa regionale -e tale difformità aveva determinato specifici problemi per le aree sciabili comprendenti il territorio di più regioni. Il d.lgs. n. 40 del 2021 recepisce tale esigenza uniformando il regime sanzionatorio su tutto il territorio nazionale, colmando così il vuoto di sanzione dovuto all’inerzia legislativa di alcune regioni, pur facendo salvo il potere delle regioni e dei comuni di adottare ulteriori prescrizioni oltre a quelle previste dalla normativa statale (art. 33). 4. Sotto altri profili, era emersa anche l'assenza di attenzione da parte del legislatore del 2003 per l'elisoccorso, che costituisce la principale modalità di intervento per gli infortuni più gravi ed era stato previsto l’obbligo dei gestori di individuare apposite aree per l’atterraggio degli elicotteri, prescrizione oggi recepita dall’art. 14 del d.lgs. n. 40/21. 5. Inoltre, con il disegno di legge si era inteso, da un lato, estendere l'individuazione di specifiche aree anche a beneficio di altre pratiche sportive invernali cosiddette «minori» e, dall'altro lato, precisare che alcune specifiche disposizioni riguardano le sole piste da discesa. L’estensione della normativa allo snowboard, al telemark e ad altre tecniche di discesa è ora prevista espressamente dal d.lgs. n. 40 del 2021 (art. 39). Inoltre, il compito di individuare le aree destinate alla pratica di evoluzioni acrobatiche con gli sci o con la tavola da neve (snowpark) era stato affidato ai gestori, che hanno la disponibilità dell'area sciabile e non più ai comuni come previsto dalla legge n. 363 del 2003, novità recepita dal d.lgs. n. 40 del 2021 (art. 4) che ha inoltre eliminato la possibilità per le piccole sta RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 zioni sciistiche (con più di tre piste e almeno tre impianti di risalita) di riservare tratti di pista agli allenamenti di sci e snowboard agonistico, possibilità mantenuta solo per le aree sciistiche aventi più di venti piste e almeno venti impianti di risalita. 6. L'obbligo del casco veniva esteso anche alle competizioni, come già disposto in base ai regolamenti della Federazione italiana sport invernali (FISI). Ora tale obbligo sussiste per tutti coloro che frequentano snow park e aree riservate alle evoluzioni acrobatiche con lo sci, ivi compresi gli allenatori (che prima erano esclusi) mentre l’obbligo di indossare il casco per i minori degli anni quattordici è ora esteso ai minori degli anni diciotto (art. 17). Era stata poi corretta una carenza della legge allora vigente, che sanzionava il mancato utilizzo del casco solo in caso di minore degli anni quattordici e non anche nelle altre ipotesi in cui l'uso del casco è obbligatorio (snowpark, allenamenti agonistici e ora competizioni), cui invece veniva estesa la previsione sanzionatoria. Tale discrasia esiste ancora nel vigente testo di legge in quanto l’obbligo di indossare il casco protettivo negli snowpark previsto dall’art. 4 non è sanzionato in alcun modo, né in detta norma, né nell’articolo 33 che disciplina in generale il regime sanzionatorio. In sede di decreto correttivo sarà possibile porre rimedio a tale incongruenza. 7. Era stata anche prevista l'individuazione di un responsabile tecnico degli snowpark, in modo da assicurare anche per tali aree destinate alle evoluzioni la massima sicurezza. Ora l’art. 9 prevede l’obbligo generale per il gestore di individuare un direttore delle piste con funzioni di vigilanza, di prevenzione, di segnalazione e di collaborazione con il servizio di soccorso. 8. Era stato inoltre introdotto a carico dei gestori l'obbligo, già esistente in alcune regioni, di mettere a disposizione degli utenti al momento della vendita del titolo di transito l'acquisto (facoltativo) di una polizza assicurativa per la responsabilità civile per i danni provocati a persone o a cose nella pratica degli sport invernali di discesa, assicurando adeguata pubblicità a tale aspetto in modo da incentivare la stipula delle polizze. Oggi una delle innovazioni più qualificanti del d.lgs. n. 40/21 è l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria per tutti gli sciatori (ad eccezione dello sci di fondo) per i danni o infortuni causati a terzi (art. 30). Al riguardo, nel mondo delle assicurazioni sono sorti dubbi interpretativi, ad esempio sulla necessità di prevedere dei massimali obbligatori. 9. Era stata inoltre prevista per i gestori la possibilità di lasciare piste o tratti di esse non battuti, previa adeguata segnalazione, per sperimentare una pratica diffusa all'estero, che consente agli utenti di praticare in totale sicurezza lo sci su neve non battuta, con velocità necessariamente inferiori. Per lo sci fuori pista e lo sci alpinismo, era stata inoltre corretta una imperfezione dell’articolo 17 della legge n. 363 del 2003, che prevedeva l'obbligo di munirsi di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di LEGISLAzIONE ED ATTUALITà soccorso (i cosiddetti ARvA: apparecchi di ricerca valanga) «laddove, per le condizioni climatiche e della neve, sussistano evidenti rischi di valanghe». Tale norma, oltre ad essere tecnicamente errata (in quanto nei casi in cui vi è un evidente rischio di valanga ci si deve astenere da tali pratiche o scegliere itinerari dove tale rischio non sussiste), comporta il rischio di produrre un effetto contrario rispetto allo scopo (potendo dedursi che laddove vi è un evidente rischio di valanghe, sia sufficiente munirsi dell'ARvA per sciare fuori pista in sicurezza, mentre così non è). L'obbligo di munirsi dell'ARvA veniva quindi previsto come regola, il cui mancato rispetto comportava il pagamento di una sanzione amministrativa. Tale modifica non è stata recepita nell’art. 26 del d.lgs. n. 40/21 e dovrebbe essere uno dei principali interventi da introdurre in sede di decreto correttivo proprio nell’ottica della massima prevenzione e sicurezza della pratica sportiva anche escursionistica. 10. Erano state inoltre apportate modifiche alla norma di comportamento relativa alla velocità, estendendola più in generale alla padronanza dello sciatore, recependo in tale modo una regola del decalogo dello sciatore, che impone l'obbligo di tenere una velocità moderata in relazione alle capacità tecniche dello sciatore. Tale principio è stato recepito nell’art. 18, ult. comma del d.lgs. n. 40/21. Era stato anche previsto, come regola di condotta, che chi non avesse una adeguata padronanza della tecnica sciistica non potesse accedere alle piste classificate come difficili: ciò al fine di disincentivare una condotta che potesse risultare pericolosa per sé e per gli altri, senza tuttavia irrigidire tale regola, il cui rispetto era lasciato alla valutazione dei soggetti competenti per il controllo, che potevano in questo essere aiutati dai maestri di sci. Oggi il divieto è stato mitigato nell’art. 27 con una autovalutazione dello stesso sciatore che per accedere alle piste nere “deve essere in possesso di elevate capacità fisiche e tecniche”. 11. Aspetto fondamentale della disciplina era l'introduzione di una sanzione amministrativa di immediata efficacia, quale il ritiro del titolo di transito (skipass) in caso di particolare gravità della condotta o di reiterazione nelle violazioni. Per gli skipass plurigiornalieri era stata prevista la sospensione del titolo fino a tre giorni con divieto di acquisto di nuovo titolo e ulteriore sanzione del ritiro definitivo in caso di inottemperanza a tale divieto. Tale prescrizione, di particolare efficacia deterrente, è stata recepita nell’art. 33, ult. comma, d.lgs. 40/21. 12. Solo due fondamentali innovazioni non erano già presenti nei due disegni di legge non approvati dal parlamento. La prima riguarda l’intero capo Iv della nuova legge, dedicato alla normativa a favore delle persone con disabilità che, in attuazione delle specifico criterio di delega, prevede la revisione delle norme in modo da favorire la più ampia partecipazione alle discipline sportive invernali, anche da parte delle persone con disabilità. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 13. La seconda riguarda l’introduzione dell’alcool test (art. 31) che ha già posto numerosi problemi applicativi. Lo spirito di evitare infortuni dovuti all’abuso di bevande alcoliche e di sostanze tossicologiche è senz’altro apprezzabile anche se la non chiara formulazione della norma per effetto dei molteplici rinvii ad altri testi normativi può comportare evidenti ricadute sull’economia connessa alla somministrazione di bevande alcoliche sulle piste, spesso favorita dalle basse temperature. L’articolo 31 stabilisce che è vietato sciare in stato di ebbrezza anche se non definisce il tasso alcolemico al di sopra del quale deve ritenersi integrata la violazione. L’ultimo comma di detta norma stabilisce che gli organi accertatori hanno facoltà di effettuare l’accertamento con gli strumenti e le procedure previste dall’art. 379 del regolamento di attuazione del codice della strada. Una possibile lettura della norma è che il rinvio sarebbe effettuato ai soli fini procedurali ma tale interpretazione porterebbe a conseguenze irrazionali in quanto, in assenza di una soglia minima, dovrebbe ritenersi vietata ogni tipo di assunzione di bevanda alcolica per chi intenda praticare sport invernali. L’Avvocatura dello Stato di Trento è stata recentemente investita di una richiesta di parere in merito al tasso alcolemico applicabile atteso che il citato articolo 379, nello stabilire che lo stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 186, comma 4 dello stesso regolamento è integrato quando la concentrazione alcolemica corrisponda o superi 0,8 grammi per litro, rinvia appunto a sua volta all’art. 186 che, al comma 2, lettera a) prevede una sanzione amministrativa quando il tasso alcolemico è superiore allo 0,5 e non superiore allo 0,8 grammi per litro, essendo in tale secondo caso prevista dalle successive lettere b) e c) una sanzione penale. A seguito di ricorso gerarchico per una sanzione applicata con tasso alcolemico dello 0,5, l’amministrazione ha ritenuto di annullare in autotutela il provvedimento, investendo contestualmente della richiesta di parere l’Avvocatura dello Stato anche tenuto conto del numero di turisti sciatori del Trentino Alto Adige e della frequenza con la quale analoghe contestazioni dovranno essere effettuate. Anche tale punto potrà efficacemente essere risolto in sede di decreto correttivo. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Il “remand” questo sconosciuto nella tutela cautelare amministrativa: pregi e difetti di un istituto potenzialmente deflattivo del contenzioso Fabio Ratto Trabucco* SOMMARIO: 1. L’evoluzione inesorabile della tutela cautelare quale ventaglio di strumenti a protezione del ricorrente leso -2. Il remand quale potenziale strumento in funzione deflattiva del contenzioso. La tutela cautelare amministrativa è un autentico caleidoscopio d’istituti a favore del ricorrente leso. L’evoluzione dell’istituto a partire dalla legge T.A.R. del 1971 è stata lenta ma inesorabile verso sempre maggiori forme di tutela interina grazie anche all’intervento della Corte di Giustizia UE che ha sanato il conflitto tra Giudici amministrativi e Corte costituzionale sul punto della tutela cautelare ante causam. Uno di questi strumenti di protezione del ricorrente è il noto remand. Il contributo ne analizza vizi e virtù assumendo che si tratta di un’arma a doppio taglio laddove i suoi esiti positivi dipendono soprattutto dalla disponibilità di un’autocritica da parte dell’amministrazione. 1. L’evoluzione inesorabile della tutela cautelare quale ventaglio di strumenti a protezione del ricorrente leso. La tematica della tutela cautelare nel processo amministrativo italiano trova le sue radici negli anni Ottanta del secolo scorso con le prime esperienze in materia da parte dei giudici amministrativi dell’epoca. Si trattava all’epoca di una sorta di nuova frontiera, del tutto pionieristica, laddove cominciavano a essere affrontate le prime istanze di sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati. Ora, come noto, questa tutela cautelare è disciplinata dagli artt. 54 e ss. del Codice del processo amministrativo, i quali costituiscono la risultante di una lunga evoluzione giurisprudenziale che ha tenuto conto anche della giurisprudenza della Corte costituzionale, della CEDU e della Corte di giustizia UE (1). Del resto il Codice si fonda appieno sui principi del diritto (*) Professore a contratto in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Padova. Articolo pubblicato in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2022, 4, 91-102. (1) Sull’evoluzione della giustizia cautelare amministrativa nel tempo si vedano, senza pretesa d’esaustività: A. TRAvI, Tutela cautelare e impugnabilità dei decreti cautelari presidenziali, in «Il Foro italiano», 2020, 11, 568-568; C. CUDIA, In tema di tutela cautelare e giustizia amministrativa, in «Il Foro italiano», 2019, 3, 154-157; E.M. MARENGHI, Unità, dommatica e pluralità delle forme nella tutela cautelare amministrativa fra sistema e non sistema, in AA.vv., Studi in onore di Modestino Acone, I, Jovene, Napoli, 2010, 463-479; B. IAMORTA, La tutela cautelare nell'evoluzione giurisprudenziale, in «Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza», 2009, 17, 1840-1856; M.A. SANDULLI, Sulla giustizia amministrativa. La tutela cautelare nel processo amministrativo, in «Il Foro amministrativo T.A.R.», 2009, 9, 55-76; G. D’ALLURA, La tutela cautelare amministrativa e ordinaria, in «Il Diritto RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 europeo; l’art. 1 richiama il principio di effettività per la tutela e quindi anche le regole affermate dalla Corte di Strasburgo negli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU del 1950. Tuttavia, come omettere di segnalare che negli anni Ottanta vi erano alcune preclusioni di carattere teorico in ordine alla tutela cautelare nel processo amministrativo. Questa impostazione tradizionale risaliva addirittura alla fine dell’Ottocento, quando le leggi amministrative processuali disponevano che il giudice amministrativo potesse soltanto disporre la sospensione degli effetti dell’atto impugnato. Naturalmente, in molte occasioni la sospensione dell’atto non poteva dare una tutela cautelare all’interessato, basti pensare ai provvedimenti negativi ed a quelli già eseguiti. Non mancavano all’epoca magistrati amministrativi che teorizzavano una preclusione assoluta della tutela cautelare, ad esempio in materia di dinieghi. vi era, ad esempio, l’opinione dell’autorevolissimo Presidente di Palazzo Spada Paleologo, il quale dubitava dell’utilità di sospendere gli effetti di un diniego, costringendo l’amministrazione ad emanare un provvedimento nuovo nel corso del giudizio che, da un lato, implica l’onere dell’interessato di proporre un altro ricorso contro questo provvedimento, che probabilmente sarà sfavorevole (2). Questo comunque non definisce il giudizio perché una volta che l’amministrazione, al contrario, accoglie l’istanza in sede di riesame, risulta necessaria la sentenza sul ricorso originario in quanto ormai il ricorso sarà respinto, malgrado l’accoglimento della domanda cautelare. L’ordinanza cautelare, quindi, si caduca e per conseguenza vengono meno anche gli effetti dell’atto emanato nel corso del processo. E questa è per l’appunto la tesi che fino alla fine dell’Ottocento era del tutto predominante. Lo stesso valeva in materia di atti già eseguiti. Si pensi ai decreti di requisizione ed alle ordinanze d’occupazione d’urgenza nel corso del procedimento espropriativo. Orbene, si riteneva che questi atti non fossero sospendibili una volta eseguiti, perché non v’era una tutela cautelare che po- del lavoro», 2003, 4, 407-412; E. FOLLIERI, Effettività della giustizia amministrativa nella tutela cautelare, in «Il Foro amministrativo T.A.R.», 2003, 3, 1117-1123; E.F. RICCI, Profili della nuova tutela cautelare amministrativa del privato nei confronti della p.a., in «Il Diritto processuale amministrativo», 2002, 2, 276-313; L. CENTRO, Brevi note di commento sulla nuova disciplina della tutela cautelare amministrativa, in «L’Amministrazione italiana», 2001, 1, 27-33; A. DALFINO, Restyling della giustizia amministrativa: la tutela cautelare atipica e “ottemperanza” delle sentenze non sospese, in «Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza», 2001, 3, 269-283; S. FARO, L’effettività della tutela cautelare amministrativa: questioni ancora aperte, in «Rivista italiana di diritto pubblico comunitario», 1998, 6, 1409-1416; A. PULEO, Nuovi orientamenti della giustizia amministrativa in tema di tutela cautelare, in «Il Foro amministrativo», 1997, 7-8, 2144-2156; G. MONETA, L’evoluzione involutiva della tutela cautelare amministrativa, in «Il Diritto processuale amministrativo», 1994, 2, 382-418; v. BONGIOANNI, Verso una tutela cautelare nell’ambito della giurisdizione amministrativa di merito?, in «Il Consiglio di Stato», 1986, 2, 285-294. (2) Cfr. G. PALEOLOGO, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in «Il Consiglio di Stato», 1991, 1, 199-230. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà tesse ordinare la restituzione del bene già acquistato con la detenzione ovvero il possesso da parte della pubblica amministrazione. Quindi, sussistevano alcune fasce di interessi legittimi sia pretensivi, in presenza di dinieghi, sia difensivi, quando si parlava di atti ablatori, in cui la tutela cautelare non era proponibile. Tuttavia, proprio nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, tutti questi dogmi vennero messi in discussione e questo nonostante il fatto che in alcuni casi le ordinanze cautelari possano generare molti “danni” nel corso del giudizio, anche alle parti, ivi compresa quella che otterrà l’ordinanza cautelare. Anzitutto, in materia di dinieghi, vi fu la prima giurisprudenza della Iv sezione di Palazzo Spada sui dinieghi di dispensa dal servizio militare. Si riteneva che se tale diniego non era sospendibile e il coscritto partiva per effettuare il servizio militare durante l’anno, e per la Marina Militare un biennio, di conseguenza la sentenza non avrebbe avuto alcun senso. Ecco, quindi, che la ridetta sezione del Consiglio di Stato ha iniziato a sospendere gli effetti del diniego di dispensa, ravvisando quegli effetti positivi, cioè il conseguente ordine di chiamata alle armi. Oltre a questi dinieghi, poi ve ne furono anche altri, come il diniego di ammissione dello studente all’esame di maturità. Si ricorda una famosa ordinanza dell’Adunanza Plenaria del 1984, che, appunto, ammise la tutela a fronte di questo tipo di diniego, dal momento che esso comportava eventualmente la perdita dell’anno scolastico dello studente, il quale non poteva né partecipare all’esame di maturità né iscriversi all’università (3). Si trattava dunque di dinieghi di questo tipo, non di concessione edilizia, come al tempo era denominata, né diniego di autorizzazione paesaggistica. Questi particolari dinieghi avrebbero comportato la vanificazione della tutela dell’interessato o perché l’anno scolastico, in caso di mancata ammissione al- l’esame di maturità, si sarebbe dovuto ripetere, o perché, nel caso del servizio militare, dopo la partenza del chiamato alle Armi la causa non avrebbe avuto alcun senso, anche perché all’epoca non sussisteva la tutela risarcitoria della lesione arrecata all’interesse legittimo. La stessa vicenda riguardò, poi, anche gli atti già eseguiti con la richiesta di misura cautelare, anche se l’ordinanza d’occupazione d’urgenza nel corso del procedimento espropriativo era già stata eseguita. La questione andò al- l’esame dell’Adunanza Plenaria perché bisognava superare l’ostracismo secolare della negazione della tutela cautelare in presenza d’atto già eseguito, in quanto si sarebbe trattato di una restituzione di una misura possessoria, id est un ordine di facere. L’Adunanza Plenaria, effettivamente, con un’ordinanza del 1983 ammise che si potevano sospendere gli effetti dell’atto già eseguito, (3) Cons. Stato, ad. plen., 5 settembre 1984, n. 17. Cfr. E. FOLLIERI, Strumentalità ed efficacia “ex tunc” dell’ordinanza di sospensione, in «Giurisprudenza italiana», 1985, 5, 196-206 e G. SAPORITO, Provvedimenti cautelari: limiti di esigibilità, in «Il Foro italiano», 1985, 2, 52-55. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 dal momento che, nel caso di mancato adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto da parte dell’amministrazione, l’interessato avrebbe potuto chiedere allo stesso giudice cautelare che aveva emanato l’ordinanza le misure più idonee per eseguire l’ordinanza di accoglimento (4). Tale giurisprudenza del Supremo Consesso fu determinante anche per costruire quel giudizio d’esecuzione dell’ordinanza cautelare che poi è stato, codificato nel 2010 con il Codice del processo amministrativo. In altri termini, sotto questo profilo, nulla di nuovo nel Codice medesimo. Appare quindi evidente come tale giurisprudenza ha ampiamente superato i dogmi che ritenevano preclusa la tutela cautelare in presenza di determinati interessi legittimi. La regola è invece che l’interesse legittimo deve avere sempre una tutela cautelare. Poi, ad un tempo, v’è stata l’evoluzione coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo. Infatti, a partire dalla direttiva sui ricorsi del 1989 i giudici amministrativi hanno dovuto verificare come anche la tutela cautelare debba essere assicurata (5). Al riguardo, come già si diceva, è stata decisiva anche la giurisprudenza di alcuni T.A.R., per quanto non sempre condivisa in dottrina e dalle varie sezioni del Consiglio di Stato, perché le misure ante causam ovvero anche i decreti monocratici inaudita altera parte, erano talvolta considerati nulli dal Consiglio di Stato. Infatti, occorre rammentare come la tutela cautelare, all’inizio degli anni Ottanta, era estremamente ridotta. La disciplina del processo amministrativo relativa alla fase cautelare fino sostanzialmente agli anni Duemila, trascurando le norme del Consiglio di Stato con il regolamento del 1907 ed il Testo unico del 1924, si limitava a dire nell’ultimo comma dell’art. 21 della l. n. 1034 del 1971 che: «Se il ricorrente, allegando danni gravi e irreparabili, derivanti dal- l’esecuzione dell’atto, ne chiede la sospensione, sull’istanza il Tribunale Amministrativo Regionale pronuncia con ordinanza motivata, emessa in Camera di Consiglio». Questa era la scarna disciplina che esisteva sulla materia cautelare e ciò ha favorito sicuramente forti sviluppi della giurisprudenza, per quanto molto discontinui, tra stop and go. Inizialmente c’erano forti perplessità da parte dei collegi nel concedere la sospensione su un atto negativo o comunque in riferimento ad interessi di natura pretensiva oppure ancora su provvedimenti che avevano esaurito completamente i loro effetti. La tendenza iniziale era di non riconoscere alcuna sospensione, poi è comparsa una pressione esterna, una esigenza di tutela che è via via maturata nel tempo. Essa comparve a partire dai primi anni Ottanta (4) Cons. Stato, ad. plen., ord. 1° giugno 1983, n. 14. Cfr. A. SCOLA, Brevi note in tema di tutela cautelare nel giudizio amministrativo, in «Il foro amministrativo», 1984, 11, 2034-2037. (5) Direttiva n. 89/665/CEE che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà del secolo scorso e crebbe sempre di più. Gradatamente, il giudice amministrativo di secondo grado, più che quello di primo grado, ha cominciato a riconoscere formalmente delle tutele, stimolato sicuramente sia dal giudice di primo grado che dal profondo mutamento della situazione interna. Il ricorrente non doveva quindi più necessariamente rassegnarsi al provvedimento sfavorevole in attesa della sentenza nel merito. Così, i classici casi dello studente non ammesso all’esame di maturità, del giovane in partenza per la coscrizione obbligatoria e così via dovevano avere una tutela, perché s’avvertiva che la mancanza di protezione significava una povertà della funzione giurisdizionale non più tollerabile. Quindi il giudice di primo grado con i suoi stimoli da una parte, il giudice d’appello dall’altra, accettandola gradatamente, sono arrivati a far crescere la tutela cautelare. Il T.A.R. meneghino è stato certamente uno dei primi collegi di primo grado che ha maggiormente favorito in questi anni questo tipo di stimolo. Prima in termini di cautela collegiale, poi monocratica. Il suo ruolo importante è stato d’essere artefice del procedimento cautelare monocratico, da lui inventato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso con il famoso precedente dell’apertura di un magazzino Standa a viterbo. Fu un precedente estremamente discusso perché all’epoca la citata strutturazione molto primitiva dell’art. 21 della l. n. 1034 del 1971 aveva costruito all’interno del rito innanzi al T.A.R. un procedimento troppo semplice e, soprattutto, non munito di quelle determinate guarentigie in ordine al giudice naturale, perché la cautela era adottata anche da parte del giudice, che magari poi si riconosceva territorialmente incompetente, trasmetteva gli atti al giudice competente, ma con la cautela già concessa. Questo, evidentemente, dava adito a vere e proprie forme di malcostume giudiziario e di scelta preordinata al fine di avere la cautela, che magari durava nel tempo perché lunga era la definizione del merito del processo. Infatti, si “sceglieva” il giudice che si sapeva avrebbe potuto riconoscere la sospensiva perché si era formata una giurisprudenza cautelare assolutamente favorevole. Così, in questo contesto alquanto malfermo, il T.A.R. lombardo presieduto dal Presidente Mariuzzo accordò la tutela per l’apertura di un grande magazzino della Standa a viterbo, in forza di un ricorso presentato a Milano (6). Nacquero, appunto, delle polemiche e financo un procedimento disciplinare attivato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, poi abortito: in pratica si trattava di una sorta di ricorso ex art. 700 c.p.c. monocratico innestato a forza nel corpus della legge T.A.R. (7). Il provvedimento fu dichiarato assolutamente anomalo ma in questo contesto (6) Cfr. F. MARIUzzO, Saluto agli avvocati, in «LexItalia.it», 2015, 5. (7) Cfr. P. zAMPARESE, Prospettive di tutela cautelare innominata ex art. 700 c.p.c. ad opera della giustizia amministrativa e contabile, in «Amministrazione e contabilità dello Stato e degli Enti Pubblici», 1999, 1-2, 131-135. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 di forte polemica e anche di legislazione magmatica, il collegio milanese ebbe il merito d’avviare il salutare presupposto per poter arrivare all’evoluzione dell’istituto che ben conosciamo nel contesto dell’attuale Codice del processo amministrativo, peraltro neppure questo privo di polemiche. Tali richiami, anche sulla storia del processo amministrativo italiano, appaiono imprescindibili per comprendere che certamente si dovrà arrivare ad una normazione dell’istituto, perché le devianze della sua utilizzazione in primo grado possono essere ben palpabili. Dunque, la tutela cautelare come una sanzione di nullità che si classifica come grave, anche per la certezza dei rapporti di diritto pubblico. In effetti, sino a quando la legge non è mutata, anche sotto impulso della Corte costituzionale, c’è stata una forte divergenza d’opinione tra giudice di primo grado e Consiglio di Stato, per fortuna poi superata con l’adeguamento ai principi costituzionali della CEDU e della Corte di giustizia, secondo cui in tutto il giudizio si può proporre la domanda cautelare. Anzi, da prima ancora che il giudizio si proponga, perché anche ante causam si può proporre la domanda cautelare, addirittura dopo la sentenza del Consiglio di Stato, quando pende il ricorso in Cassazione, e quindi allo stesso Consiglio di Stato. Ecco che, quindi, abbiamo una affermazione dei principi della Corte di Strasburgo anche in materia cautelare. Infatti, è ben noto che sono tre le regole auree della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, precetti che purtroppo in Italia non sempre sono applicati e qui si pone il nodo dell’eventuale prevalenza del diritto della Convenzione EDU rispetto alle leggi italiane. Se il giudizio di cognizione deve dare tutto ciò che spetta al ricorrente sul piano sostanziale, la tutela cautelare spetta in ogni istante del giudizio e deve poter evitare la formazione di un pregiudizio irreparabile. Al riguardo basti richiamare Chiovenda per cui «Melius est ante tempus succurrere quam post causam vulneratam querere»! vi è poi il principio per cui dev’esservi l’esecuzione delle pronunce di giustizia, anche cautelari, perché le decisioni di giustizia non devono essere meri manifesti. La giustizia dev’essere effettiva, non platonica. Sotto questo profilo vale la pena sottolineare che la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha richiamato il principio per cui la giustizia cautelare non può essere platonica. Si ricorda la sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1995 relativa ad un conflitto tra il T.A.R. del Lazio ed il C.S.M. perché una pronuncia cautelare del Tribunale amministrativo non era stata eseguita dal- l’organo d’autogoverno della magistratura ordinaria e la Corte costituzionale affermò che anche lo stesso C.S.M. deve eseguire le pronunce cautelari del giudice amministrativo in quanto Pubblica Amministrazione tenuta al rispetto delle regole dello Stato di diritto (8). (8) Corte cost.le, 8 settembre 1995, n. 419. Cfr. S. CASTELLANI, C.S.M., giudice amministrativo e LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Dunque, è evidente che l’armamentario nelle mani del giudice amministrativo è molto ampio e s’estende sino alla possibilità d’emanare misure cautelari atipiche (9). Basti pensare a quelle misure cautelari che hanno previsto la presentazione di una cauzione ovvero di una fideiussione, tutte regole codificate nel Codice del processo amministrativo. La commissione sul Codice ha voluto quindi esplicitare quegli stessi principi che si desumevano dalla giurisprudenza dell’adunanza plenaria della Corte di giustizia e della Corte di Strasburgo. 2. Il remand quale potenziale strumento in funzione deflattiva del contenzioso. Circa l’istituto del remand occorre anzitutto rammentare come dal punto di vista etimologico anglofono, “remand” vuol dire rimando, rinvio. Ma significa anche reclusione cautelare, ovvero rendere qualcuno prigioniero di qualcosa. In questo senso traslato, effettivamente, le critiche sono fondate nella misura in cui per remand intendiamo non il rinvio della questione all’amministrazione, ma una clausura: è lo stesso impianto dell’ordinato svolgersi del processo a soffrirne con una dilatazione dei tempi (10). Il tempo è estremamente importante per lo smaltimento degli arretrati e per far sì che i ruoli delle camere di consiglio e delle udienze pubbliche possano essere alimentati da cause che effettivamente siano pronte e mature per essere decise e che conservano un interesse alla loro definizione con una turnazione che deve considerare le urgenze. Di fatto il remand appare muoversi in una direzione opposta rispetto alla generale tendenza legislativa verso l’accelerazione del processo amministrativo laddove costituisce una possibilità cautelare per un riesame del potere discrezionale esercitato (11). A ben vedere, nell’essenza del remand si coglie al pari del soccorso istruttorio, procedimentale e processuale -un’incessante interrelazione tra procedimento e processo e gli effetti della suddetta tendenza evolutiva sono particolarmente evidenti e densi di criticità (12). In determinate situazioni ambientali e per strutturazione di contenzioso in cui vi sia soprattutto una contraddittorietà complessiva dell’azione amministra- giudizio di ottemperanza, in «Giurisprudenza italiana», 1996, 2, 1, 49-52; G. MONTEDORO, L’indipendenza del giudice fra amministrazione e giurisdizione. Brevi riflessioni in margine ad un conflitto di attribuzioni fra Consiglio superiore della magistratura e giudice amministrativo in tema di ottemperanza ad ordinanze cautelari, in «Il Foro amministrativo», 1996, 1, 22-31. (9) Cfr. F. SAITTA, L’atipicità delle misure cautelari nel processo amministrativo, tra mito e realtà, in «Giurisdizione Amministrativa», 2006, 7-8, 215-229. (10) Cfr. G. PESCATORE, L’esaurimento della discrezionalità nel giudizio amministrativo: considerazioni e spunti ricostruttivi alla luce del principio di effettività della tutela, in «Il Nuovo Diritto delle Società», 2018, 8, 1257-1280. (11) Cfr. G. SORICELLI, Brevi considerazioni in tema di ampliamento dei poteri del giudice amministrativo in sede cautelare, in «Rivista amministrativa della Repubblica italiana», 1997, 5-6, 495-504. (12) Cfr. M.A. SANDULLI, Riflessioni sull’istruttoria tra procedimento e processo, in «Diritto e società», 2020, 2, 195-221. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 tiva che deve essere emendata anche alla luce di risultanze documentali che fanno ingresso nelle memorie e produzioni documentali difensionali, possono sussistere anche dei sospetti relativi a veri e propri reati di falso, per cui è inevitabile la rimessione degli atti alla competente Procura della Repubblica per i relativi accertamenti. Da questo punto di vista, ecco che la tecnica del remand in questi casi è importante. Un remand non si farà per certo nei riti speciali, né soprattutto in materia d’appalti, dove il Codice scandisce il termine canonico dei 45 giorni, che già di per sé viene bypassato dalla tirannia dei tempi per i motivi aggiunti, né per i ricorsi incidentali, per gli accessi incidentali alla documentazione amministrativa, puntando quindi verso la sentenza nel merito. Se è sempre opportuno “correre” verso la sentenza per smaltire i ruoli, tuttavia, in casi abbastanza di specie, la tecnica d’inserire il procedimento giurisdizionale come momento anche di riflessione al fine di un’eventuale riattivazione dell’azione amministrativa -soprattutto quando questa ha una certa prognostica di essere risolta in termini sufficientemente brevi e compatibili con il ripristino della trattazione della causa in sede di ruolo di udienza pubblica - si può ben ritenere un rimedio abbastanza salutare. Tuttavia, in tema di remand, occorre essere estremamente prudenti in quanto ordinare all’amministrazione di fare qualcosa è sempre molto problematico. Il rischio è quello di realizzare risultati irreversibili al merito ovvero di fare ottenere al ricorrente una tutela più ampia di quella di merito. Un tema in cui gli organi della giustizia amministrativa hanno utilizzato il remand con risultati buoni è la materia dell’immigrazione che come sappiamo ha grande rilevanza al Nord e nei grossi centri con i numeri importanti delle controversie. Il contenzioso tipico è quello del cittadino straniero che intende ottenere il rinnovo del titolo di soggiorno e non lo ottiene, spesso per una presunta, asserita insufficienza documentale. In questo caso molti Tribunali amministrativi hanno visto nel remand uno strumento per riavviare una sorta di dialogo procedimentale tra l’amministrazione, id est la Questura, che è oberata nella gestione di simili pratiche e cittadini stranieri che, per una serie di motivi, spesso sono poco chiari nelle loro domande. In questo senso, però, il remand deve essere sempre inteso non come un generico dire all’amministrazione «rifai tutto», cioè non come un modo per buttare la palla in tribuna, bensì occorrono ordinanze di remand il più possibile conformative, cioè invitare l’amministrazione a rideterminarsi sulla base di elementi, desunti dalla domanda e dai documenti di causa. Essenziale dunque l’indicazione, nei limiti delle nostre possibilità, del materiale probatorio sulla base del quale le amministrazioni devono rivedere il procedimento e riavviare una sorta di dialogo. Inoltre, il remand non deve essere uno strumento per perdere il controllo della causa o la bussola del processo. Infatti, usualmente nell’ordinanza di remand é sempre prevista la nuova fissazione di un’udienza ancora cautelare LEGISLAzIONE ED ATTUALITà e solo raramente al remand è corrisposta la fissazione di un’udienza pubblica. Il remand deve quindi avere una valenza quasi istruttoria, per cui è fissata in termini brevi, nell’arco di pochi mesi, un’ulteriore udienza cautelare per verificare se questo dialogo riavviato tra amministrazione e cittadino straniero, magari sulla base di documenti nuovi, ha portato a un risultato proficuo. I risultati appaiono nel complesso positivi. Anzitutto, il cittadino straniero risulta essersi attivato più e meglio e ha portato all’attenzione del- l’amministrazione documenti nuovi e rilevanti, l’amministrazione li ha esaminati con maggiore tempo, senza essere soggetta a termini iugulatori. In molti casi, l’amministrazione, a fronte di atti negativi, è tornata sui suoi passi attraverso l’esercizio dell’autotutela, spesso nella forma della revoca, per cui abbiamo avuto una stagione in cui il remand nella materia dell’immigrazione, così com’è impostato, ha avuto risultati positivi. Il tutto ovviamente cercando di essere il più possibile chiari nei confronti dell’amministrazione e tenendo sotto controllo la causa. Non mancano tuttavia risultati negativi all’esito del remand laddove talora l’amministrazione ha confermato il provvedimento negativo, magari arricchendolo di ulteriori argomenti e quindi ciò ha dilatato il contenzioso (13). Su altre materie ci vuole forse una maggiore prudenza nel ricorso alla tecnica del remand. Basti pensare alla possibilità di realizzare opere edili in base ad un remand (14). A fronte di dinieghi ad edificare da parte dell’amministrazione, o perché respinta la domanda di permesso di costruire o perché inibita una SCIA che non conceda il permesso, di solito l’orientamento, se non si riesce ad arrivare a una sentenza di forma semplificata, è quello di fissare l’udienza di merito a breve, ma nelle more di impedire anche la realizzazione dei lavori perché l’effetto in tal caso sarebbe del tutto irreversibile. Sono infatti ben note le difficoltà che ci sono in tutta Italia nel reprimere l’abusivismo edilizio. Un’altra concreta tematica in cui si registra il ricorso al remand è quella relativa all’installazione delle antenne per la telefonia cellulare. A fronte di nuovi operatori che entrano nel mercato e che non si accontentano delle antenne già installate, sussiste la richiesta di aprire nuovi impianti. Oppure ci sono operatori che vogliono passare dal 3G al famigerato 5G e quindi chiedono di potenziare l’impianto esistente. In materia si confrontano due spinte: le imprese di telefonia che metterebbero antenne quasi ovunque ed i Comuni che (13) Cfr. T. COCCHI, Sugli effetti del provvedimento dell’amministrazione sopravvenuto nel corso del giudizio, anche in seguito a decisione cautelare di remand e sulla distinzione tra cessazione della materia del contendere e improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, in «Il Foro Amministrativo », 2020, 9, 1648-1650. (14) T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 gennaio 2009, n. 10. Cfr. M. ANDREIS, Tutela cautelare, diniego di provvedimento e remand, in «Urbanistica e appalti», 2009, 5, 630-641. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 tendono invece a osservare orientamenti più restrittivi, per quanto la giurisprudenza di solito non è molto benevola con loro. Sulla localizzazione delle antenne si registra la volontà dei Tribunali amministrativi attraverso il remand di orientare le documentazioni in atto e l’amministrazione all’impresa, al fine dell’individuazione di aree suscettibili di essere idonee all’installazione. Infine, pure l’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso ai ruoli di professore universitario, che ha acceso un ampio contenzioso che impegna significativamente il T.A.R. del Lazio ed il Consiglio di Stato, ha visto i giudici di prime cure operare sovente mediante remand, ordinando al Ministero del- l’Università e della Ricerca di rivedere la valutazione negativa attraverso una commissione diversamente composta. Al contrario, il Consiglio di Stato sembra avere preferito un’altra soluzione (15). Non occorre poi obliterare il nodo dei ricorrenti che ottengono una misura cautelare. Supponiamo che vi sia un diniego di permesso di costruire: a fronte dell’accoglimento della sospensione degli effetti, l’amministrazione, che aveva una sola ragione per negare il permesso edificatorio, non avendola più, rilascerà il permesso di costruire. Nel frattempo, però, quello stesso ricorso andrà a sentenza, potrà essere respinto perché veramente sussiste una ragione per respingere quella domanda. Ecco dunque che a quel punto l’immobile diventa abusivo a fronte dell’escamotage dei ricorrenti che hanno ottenuto, prima, una misura cautelare e, poi, un provvedimento esecutivo, dell’amministrazione. Il tentativo sotto traccia è che il ricorso vada in perenzione in ricorso ovvero che sia dichiarato improcedibile, sperando che il provvedimento che si reggeva sulle sabbie mobili, cioè l’ordinanza cautelare, diventi stabile. Proprio in questo modo sono stati realizzati molti edifici abusivi perché i locali Tribunali amministrativi rilasciavano le misure cautelari propulsive, i Comuni emettevano i permessi per le autorizzazioni paesaggistiche, dopo di che quel ricorso era respinto perché magari l’aerea era inedificabile. Ecco dunque che, in svariate regioni d’Italia vi sono centinaia d’immobili illeciti a fronte proprio dell’abuso della figura del remand, cioè della figura dell’ordinanza propulsiva. Del resto se il collegio ritiene che la domanda cautelare sia fondata può procedere con la redazione della sentenza immediata. Perché emanare le ordinanze propulsive a fronte della convinzione che il ricorrente abbia ragione? Con la sentenza immediata si possono infatti evitare quegli inconvenienti che in un quarantennio si sono posti con le citate ordinanze propulsive. La tecnica del remand, come anticipato, deve portare ad una nuova udienza cautelare, una sorta di remand “con il paracadute” senza che sia abbandonato al suo destino. Se l’amministrazione si pronuncia favorevolmente, (15) Cfr. P. LAzzARA, La tutela mediante “remand” in materia di abilitazione scientifica nazionale, in «Il Foro Amministrativo», 2014, 4, 1323-1337. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà appare logico che il ricorso sia dichiarato improcedibile per sovvenuta carenza d’interesse. La materia in cui il remand viene principalmente utilizzato è quella in cui non ci sono, o ci sono pochi controinteressati, e dove, soprattutto, si tratta di prendere in considerazione dei vizi formali: la materia degli extracomunitari, dei porti d’armi, dei provvedimenti di polizia amministrativa, i dinieghi ecc., in cui spesso l’amministrazione dimentica la fase procedimentale, cavandosela con una formuletta discutibile, per cui: «Non abbiamo dato l’avviso di avvio del procedimento perché tanto sappiamo che daremo loro torto, quindi non ci importa di sapere che cosa ci potrebbero dire». La frase appare inconsistente laddove si tratta di una doglianza relativa ad un vizio di tipo procedimentale, tanto più se il ricorrente porta in causa una serie di elementi che possono essere idonei o inidonei a far giungere l’amministrazione ad una conclusione diversa, ma comunque utili quantomeno a imporre all’amministrazione di riflettere. Attraverso il remand, non di rado, i Tribunali amministrativi ottengono un riesame approfondito a fronte di un’amministrazione leale che con attenzione riesamina la fattispecie e giunge a conclusioni diverse da quelle iniziali. Sicuramente l’aspetto d’avere avanti a sé amministrazioni leali, disponibili a riesaminare le situazioni e rispettose delle nostre decisioni, risulta un elemento di rilievo. Quindi, appare utile che i collegi continuino ad utilizzare il remand, proprio perché complessivamente, seppur con prudenza, facendo l’ammissione con riserva, si deve poi fare la sentenza in pochi mesi. In effetti, è proprio la consapevolezza del valore del tempo nell’ambito del processo amministrativo che ha spinto la giurisprudenza prima, il legislatore poi, a passare dalle previsioni assai scarne del testo unico del Consiglio di Stato e della legge T.A.R. per arrivare alla l. n. 205 del 2000 e, infine, all’approdo del Codice del 2010. Quindi, siamo passati da previsioni tipiche che sottolineavano la strumentalità per arrivare alla previsione di una tutela cautelare atipica (16) in cui la strumentalità va ad allentarsi (17). Particolarmente, la nuova disciplina del processo cautelare introdotta dall’art. 3 della l. n. 205 del 2000 abbandona il meccanismo consistente nella sospensione degli effetti dell’atto, in favore di una misura di contenuto atipico, modellata sul caso concreto, caratterizzata unicamente dalla idoneità ad assicurare interinalmente gli effetti della futura decisione sul ricorso. A fronte di ciò la misura cautelare si mantiene strumento con funzione conservativa, restando precluso al giudice di emanare personalmente il provvedimento ampliativo richiesto, o di ordinare all’amministrazione di adottarlo. L’adozione (16) Cfr. A. TOGNINI, Tutela cautelare “atipica” nella giustizia amministrativa, in «Il Foro toscano -Toscana giurisprudenza», 2000, 3, 292-293. (17) Cfr. G.C. DI SAN LUCA, Brevi note sulla tutela cautelare nel processo amministrativo dopo la entrata in vigore del Codice del 2010, in «Diritto e processo amministrativo», 2015, 4, 1025-1069. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 e l’esecuzione delle ordinanze c.d. propulsivo-sostitutive pone vari profili riguardanti i limiti e l’ammissibilità (18). Tuttavia con il remand la strumentalità assume degli aspetti che sono un po’ in contraddizione con le figure tradizionali. Siamo in un momento storico in cui la tutela cautelare è utilizzata -di fatto -per ottenere un merito “breve”. Quello a cui siamo approdati è infatti un momento storico in cui tutela cautelare e merito tendono a saldarsi fra loro. L’opera dei T.A.R. lombardi appare essere stata svolta nella piena consapevolezza della necessità di conseguire il principio dell’effettività della tutela sulla base di disposizioni normative estremamente scarne, mantenendo un occhio attento al Codice di procedura civile. In fondo, è come se avesse applicato l’art. 39 del Codice del processo amministrativo, che all’epoca non sussisteva, tuttavia i suoi costanti riferimenti agli istituti del processo civile e, naturalmente, un occhio attento alle vicende europee hanno fatto sì che si approdasse a quella giurisprudenza coraggiosa e pioneristica, che, non sempre è stata apprezzata, ma che però, poi, e lo vediamo con l’ante causam, è diventata sistema (19). È stato merito del T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, a sollevare la questione pregiudiziale, che ha portato poi la Corte di giustizia UE a ritenere che nello strumentario del processo amministrativo italiano dovesse essere presente anche una tutela ante causam (20). La Corte di Lussemburgo l’ha fatto con la sentenza del 2004 che ha sancito l’indefettibilità della tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo (21). La Corte di Giustizia UE riafferma la regola di diritto in base alla quale l’art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva n. 89/665/CEE deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a conferire ai loro organi contenziosi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione di un ricorso di merito, qualsiasi provvedimento provvisorio compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica dell'appalto in esame (22). Per l’effetto smentendo così la Consulta che riteneva irrilevante la questione dell'indefettibilità della tutela cautelare ante causam ai (18) Cfr. G.M. DI LIETO, Limiti e ammissibilità del remand. Tutela cautelare degli interessi pretensivi e poteri del giudice, in «I Tribunali amministrativi regionali», 2002, 3, 205-207 e R. GAROFOLI, La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in «Il Diritto processuale amministrativo», 2002, 4, 857-905. (19) Cfr. A. MEzzOTERO, La tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo. In attesa dell'attuazione della direttiva ricorsi n. 2007/66 e del nuovo Codice del processo amministrativo, in «Rassegna Avvocatura dello Stato», 2010, 1, 289-409. (20) Cfr. L. QUERzOLA, La parola alla Corte di giustizia sulla tutela cautelare amministrativa ante causam, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 2003, 2, 701-716. (21) CGUE, sez. Iv, 29 aprile 2004, C-202/03. Cfr. P. LAzzARA, (In tema di) provvedimenti cautelari adottati ante causam, in «Il Foro Amministrativo C.d.S.», 2004, 4, 1003-1005 e A. BARONE, Appalti pubblici comunitari e tutela cautelare “ante causam”, in «Il Foro italiano», 2004, 11, 541-544. (22) Cfr. S. TARULLO, La Corte di giustizia e la tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: un nodo da sciogliere, in «Giustizia amministrativa», 2004, 3, 562-567. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà sensi della Direttiva ricorsi (23). La querelle della tutela ante causam era del resto già stata posta all’esame della Corte di Lussemburgo con la pronuncia che aveva evidenziato il contrasto della normativa greca e spagnola sul punto nei ricorsi in materia di procedure di appalti pubblici di forniture, lavori e servizi (24). Infatti, il dibattito italiano in materia di tutela cautelare ante causam è stato oggetto di una maggiore attenzione alla luce della riforma della tutela cautelare ad opera della l. n. 205 del 2000 che ha segnato, tra l’altro, l’apertura della tutela cautelare a misure atipiche (25), seguendo il modello processuale civilistico, e ha recepito gli impulsi provenienti sia dall’ordinamento comunitario che dalla giurisprudenza interna e dalla dottrina. Di fatto, la legge sul processo amministrativo ha lasciato immutato il tema della tutela preventiva, destinandolo al dibattito giurisprudenziale in cui il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale da una parte e la Corte di Giustizia e soprattutto il TAR Lombardia, Sezione di Milano prima e Brescia poi, dall’altra, hanno ampiamente argomentato pur partendo da principi e presupposti diversi (26). Infatti, la sopra richiamata sentenza europea era stata stimolata dall’ordinanza del TAR Lombardia, sede di Brescia, n. 76/2003, a sua volta preceduta dal decreto presidenziale n. 189/2003 (27). Questi decreti sono estremamente interessanti a livello di tecnica redazionale della motivazione posto che, spesso, nella fase cautelare si gioca tutto. Nella fattispecie, il ricorrente aveva utilizzato la sospensione ante causam del Giudice amministrativo per bloccare l'aggiudicazione definitiva di un servizio, onde poter, eventualmente, ottenere la reintegrazione in forma specifica, ma, principalmente, per aver tempo per depositare il gravame, volendo esaminare, mediante l’accesso la documentazione di gara: l’esigenza immediata e concreta, che è stata strumentalmente tutelata è, quindi, quella di consentire l’approntamento del gravame ordinario. Tuttavia, nel caso in esame per rafforzare la posizione della ditta ricorrente, che doveva procedere all’accesso degli atti, non si può omettere di sottolineare come lo stesso giudicante ha finito col paralizzare l’azione della P.A., dando una valenza totale al sospetto di irregolarità, prospettato dal concorrente non vincitore. Questo non è però nella logica del giudizio cautelare, per l’evidente (23) Cfr. D. CAMINITI, La tutela preventiva nel pensiero della Corte di giustizia e nell’ordinamento interno: prospettive a confronto, in «Rivista giuridica dell’edilizia», 2004, 5, 1504-1523. (24) CGUE, sez. vI, 15 maggio 2003, C-214/00 e 19 settembre 1996, sez. v, C-236/95. Cfr. R. CARANTA, La tutela cautelare ante causam contro gli atti adottati dalle amministrazioni aggiudicatrici, in «Urbanistica e Appalti», 2003, 885-891. (25) Cfr. v. PALMISANO, La tutela cautelare nel “nuovo” processo amministrativo, in «Studium iuris», 2001, 6, 664-668. (26) Cfr. R. LEONARDI, La Corte di Giustizia interviene nel controverso dibattito italiano in materia di tutela cautelare ante causam, in «Il Foro amministrativo T.A.R.», 2004, 5, 1226-1256. (27) TAR Lombardia, Brescia, 26 aprile 2003, n. 76. Cfr. D. DE CAROLIS, Ancora sulla tutela cautelare «ante causam» nel processo amministrativo, in «Urbanistica e appalti», 2002, 7, 1223-1229. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 strumentalità del rimedio ante causam in danno dell’interesse pubblico, pur sempre immanente al giudizio (28). Tuttavia, in quel particolare momento storico il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE era una posizione non facile da assumere perché la Corte costituzionale con l’ordinanza del 10 maggio 2002, n. 179, aveva chiaramente detto che non v’era alcun bisogno dell’ante causam laddove il sistema processual- civilistico giá lo prevedeva e ciascuna giurisdizione aveva la sua “valigetta degli attrezzi”, commisurata al tipo di posizione giuridica soggettiva da tutelare (29). Nell’ambito del processo amministrativo, quando si dovevano tutelare interessi legittimi, era più che sufficiente utilizzare gli strumenti che già erano in dotazione al giudice (30). Si trattava dunque di posizioni molto coraggiose e che avevano visto financo un conflitto tra Corte di giustizia europea e Corte costituzionale. L’ante causam appare dunque uno strumento importante, anche se di fatto non viene molto utilizzato e non si farebbero forse più battaglie per lo stesso. Tuttavia, l’ante causam è uno strumento che ha permesso d’incarnare un certo modello di magistrato, con riferimento al periodo di fine anni Settanta-inizio anni Ottanta del secolo scorso. Oggi risulta abbastanza scontato, ma in quegli anni ciò ha permesso di configurare il ruolo del magistrato come anello di congiunzione tra l’ordinamento interno e quello europeo. Il tutto senza obliterare che alcuni ordinamenti già conoscevano l’ante causam molto prima di quello italiano, basti pensare all’ordinamento spagnolo. (28) Cfr. D. NAzzARO, La tutela cautelare “ante causam” da parte del giudice amministrativo: un eccesso di immediatezza?, in «Il Nuovo diritto», 2005, 1, 55-60. (29) Cfr. v. vANACORE, Corte Costituzionale, diritto comunitario e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: una difficile convivenza in materia di norme processuali, in «Giurisprudenza italiana», 2003, 1, 17-19 e D. DE CAROLIS, Tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo: la Corte Costituzionale mette fine al dibattito?, in «Urbanistica e appalti», 2002, 7, 794-803. (30) Cfr. L. QUERzOLA, L’atteso responso della Consulta: lascino ogni speranza i sostenitori della tutela cautelare amministrativa ante causam?, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 2002, 4, 1431-1444. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà I reati informatici o cybercrimes: la Legge n. 547 del 1993 Paolo Giangrosso* Prima dell'approvazione della legge n. 547 del 1993 si era posto il problema della definizione delle nuove figure criminose e delle loro riconducibilità a quelle tradizionali. La questione non riguardava ovviamente la parte fisica del sistema informatico che poteva essere facilmente ricondotto alle tipiche figure del danneggiamento, del furto, ecc., quanto piuttosto, ed in primo luogo, per le attività illecite commesse attraverso l'utilizzo del sistema informatico nonché per la tutelabilità del software e del complesso di dati ed informazioni contenute nel sistema informatico stesso. Già agli inizi degli anni ottanta si erano manifestate le truffe commesse per mezzo del computer soprattutto a danno dei sistemi bancari, all'epoca costituenti i più diffusi centri di elaborazione dati. Le condotte tipiche penalmente rilevanti consistevano nell'alterare il sistema di trasferimento dei fondi con cui i rei si accreditavano ingenti somme di denaro. Ovviamente tali fatti venivano percepiti come fatti illeciti anche di una certa gravità penalmente rilevanti, che avrebbero potuto integrare la fattispecie della truffa ma ciò non era possibile per mancanza degli elementi essenziali quali gli "artifizi e i raggiri" per indurre in errore una persona. Nella realtà nel caso pratico non si era in presenza di un'alterazione della realtà, mancando del tutto la volontà del- l'uomo, ma della manomissione del corretto funzionamento di un elaboratore. Nonostante ciò la giurisprudenza di merito ha ritenuto integrante il reato di truffa di cui all'art. 640 c.p. nel caso riguardante l'immissione di dati falsi sull'elaboratore I.N.P.S. relativi a contributi in realtà non versati (Trib. Roma, 20 giugno 1984, Testa ed altri), ritenendo, peraltro, che in tale ipotesi il soggetto tratto in inganno fossero i dipendenti preposti al controllo del versamento dei contributi e all'esazione degli stessi, e non il computer. Ancora una volta, nel caso di un dipendente di Banca che aveva alterato l'immissione dei dati facendo apparire come versamenti in contanti versamenti che in realtà erano avvenuti tramite assegni, per occultare il rischio di copertura che da tali operazioni dipende, è stato ravvisato il reato di truffa ex art. 640 c.p., ritenendo soggetti tratti in inganno coloro che erano preposti al controllo della banca e non il sistema di elaborazione (Trib. Roma, 14 dicembre 1985, Manenti ed altri) (1). (*) Dottore in Relazioni internazionali, assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. Un ringraziamento all’avv. Stato Andrea Fedeli per l’invio dell’articolo alla Rassegna. (1) Cfr. Relazione ministeriale del Disegno di legge n. 2773: “Modificazioni ed integrazioni alle RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 In merito ai reati tradizionali di cui agli artt. 635, danneggiamento, e 624, furto, del c.p., si era posto il problema della materialità (2) del software, dei dati e di tutte le informazioni contenute negli elaboratori, e della possibilità di farli ricomprendere all'interno della categoria dei beni materiali oggetto di tutela da parte della norma penale incriminatrice del reato di danneggiamento, o tra le "cose mobili" previste dal reato di furto in quanto l'attività tipica prevista dalla norma viene integrata tramite duplicazione e senza che avvenga lo "spossessamento" fisico del bene. Anche in questo caso, però, mentre alcuni orientamenti giurisprudenziali e dottrinari (3) si erano espressi per l'inapplicabilità delle norme già esistenti, non potendo ravvisarsi nel software o nei dati le caratteristiche di materialità tipiche dei beni oggetto di tutela da parte di tali disposizioni normative, una giurisprudenza minoritaria e piuttosto isolata, e parte della dottrina (4) avevano ritenuto applicabili, di volta in volta, l'art. 635 c.p. (5), l'art. 392 c.p. (6) o anche l'art. 420 c.p. (7) attraverso un procedimento analogico. norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica” (XI legislatura, divenuto Legge 23 dicembre 1993, n. 547). In proposito, può ancora essere ricordata la più recente sentenza del tribunale di Como, 21 settembre 1995, in Informaz. prev., 1995, n. 12, 1545, che ha ritenuto applicabili le norme relative (al falso in atto pubblico -art. 476 c.p. -ed) alla tentata truffa (art. 640 c.p.) ad alterazioni dell'archivio informatico del- l'I.N.P.S commesse prima dell'emanazione della legge in esame. (2) Senza nulla togliere all'utilità dell'intervento del legislatore, mi sembra doveroso un chiarimento. I cosiddetti beni informatici, ovvero dati, informazioni e programmi, sono spesso qualificati sia in dottrina che in giurisprudenza, come "beni immateriali". Giuridicamente assumono questa denominazione tutte le cose incorporali "che sono creazioni della nostra mente, concepibili solo astrattamente" (A. TORRENTE, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 1974, pag. 115), e la cui tipica espressione è rappresentata dai diritti sulle opere dell'ingegno. I dati informatici, d'altro canto, non sono affatto "immateriali", cioè privi di fisicità, ma anzi rappresentano delle tipiche espressioni di leggi fisiche, proprio grazie alle quali è possibile fissarli sui supporti magnetici o ottici che li contengono; ed anche quando sono in fase di elaborazione da parte della macchina, sono costituiti da impulsi elettrici che esprimono combinazioni di simboli numerici, quali rappresentazioni di concetti (cfr. G. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche. Computer’s crimes e reati telematici, UTET, Torino, 1999, pag. 27). "I dati registrabili nelle memorie di un computer costituiscono, al tempo stesso, sia una forma di scrittura che cose materiali mobili distinte dal supporto che li contiene. Ciò spiega perché essi possono essere oggetto sia di danneggiamento (ancorché non venga affatto danneggiato tale supporto), sia di falsificazione, come può avvenire per qualsiasi documento scritto" (R. BORRUSO, G. BUONOMO, G. CORASANITI, G. D’AIETTI, Profili penali dell’informatica, Giuffrè, Milano, 1994, pag. 9). (3) In senso critico circa l'applicabilità dell'art. 420 c.p. al caso di chi tramite la cancellazione o l'alterazione dei programmi memorizzati in un sistema informatico ne paralizzi il funzionamento, L. PICOTTI, Commento alla sentenza del tribunale di Firenze, 27 gennaio 1986 in Diritto dell'informazione e dell'informatica, 1986, pag. 962. (4) G. CORRIAS LUCENTE, Informatica e diritto penale: elementi per una comparazione con il diritto statunitense in Diritto dell'informazione e dell'informatica, 1987, pag. 531; G. MARINI, Condotte in alterazione del reale aventi ad oggetto nastri ed altri supporti magnetici e diritto penale in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, pag. 381. (5) Pret. Torino 23 ottobre 1989 (in Foro it., 1990, II, 462): "Sono configurabili gli estremi del delitto di danneggiamento nel fatto di chi, mediante una serie di istruzioni indirizzate al calcolatore elettronico, cancelli o alteri alcuni programmi applicativi contenuti in supporti magnetici", in quanto "la LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Da altro canto, per tutti quei fatti che ledevano il software, seppur con oscillazioni, si sono registrate diverse pronunce giurisprudenziali (8) che hanno affermato l'applicabilità delle disposizioni penali contenute nella legge n. 633 del 1941 sul diritto d'autore, in particolare dell'art. 171, benché (prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 518 del 1992) sussistevano forti dubbi sull'assimilabilità del software alle opere dell'ingegno. va da ultimo segnalato che vi sono stati anche altri tentativi di far ricomprendere condotte informatiche ritenute illecite all'interno delle fattispecie penali già esistenti: così, ad esempio, si è ritenuto che la condotta illecita di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico potesse essere ricompreso all'interno della figura del reato di violazione di domicilio previsto dal- l'art. 614 c.p., mentre per l'intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, si è sostenuta l'applicabilità della disciplina degli artt. 617 e seguenti. va tuttavia tenuto presente che tali applicazioni analogiche hanno fatto sorgere alcuni problemi in quanto l'oggetto di tutela delle norme incriminatrici applicate non corrispondono ai beni che si vogliono tutelare nei confronti delle condotte illecite informatiche. Le caratteristiche tipiche della materia oggetto dei reati informatici necessitavano di un intervento legislativo e la prassi giurisprudenziale, che ha tentato di estendere le figure tradizionali ai nuovi reati, non ha fatto altro che confermare la necessità e l'urgenza di tale intervento. Il rischio era quello di violare il principio della tassatività della norma penale incriminatrice (9). cancellazione dei nastri di backup e l'introduzione di istruzioni nel programma idonee a disabilitare il sistema informatico ad una data prestabilita, rendono inservibile il sistema stesso, comportandone l'alterazione strutturale e funzionale"; sentenza confermata in appello, App. Torino 29 novembre 1990 (in Foro it., 1991, II, 228). A tale conclusione si era pervenuti considerando oggetto materiale del reato non i programmi cancellati o alterati, bensì il sistema informatico nel suo complesso, definito quale "connubio indivisibile tra le apparecchiature fisiche (hardware) e i programmi che le utilizzano e specializzano, nonché le basi dati che gli stessi rendono accessibili". (6) Trib. Torino, 12 dicembre 1983 (in Giur. it., 1984, II, 352): "Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni specificamente si concretizza ricorrendo, tra gli altri, il requisito di violenza sulle cose: il danneggiamento di un programma per elaboratore -precisamente di un bene immateriale, nella specie di opera dell'ingegno - realizza il suddetto requisito di violenza sulle cose". (7) Trib. Firenze, 27 gennaio 1986 (in Foro it., 1986, II, 359): "Costituiscono atti genericamente qualificabili di 'sabotaggio' di un impianto di elaborazione di dati, quelle alterazioni magnetiche che rendono impossibile l'accesso e l'utilizzo delle informazioni memorizzate in dischi, così da risultare in pratica distrutte, anche se il danno arrecato ai supporti debba considerarsi riparabile (nella specie, pur essendosi accertata la volontaria causazione, mediante l'uso di magneti, di numerose alterazioni e manomissioni di dischi in uso presso l'elaboratore dati del centro di calcolo di un'università, l'imputato è stato prosciolto dall'imputazione di cui all'art. 420 c.p., per mancanza di prove circa la commissione del fatto da parte sua)". (8) Corte di Cassazione, Sez. III, 24 novembre 1986, Pompa. (9) Il principio di tassatività (o determinatezza) presiede alla tecnica di formulazione della legge penale. Esso sta ad indicare il dovere, per il legislatore, di procedere, al momento della creazione della norma, ad una precisa determinazione della fattispecie legale, affinché risulti tassativamente stabilito ciò che è penalmente lecito e ciò che è penalmente illecito; e conseguentemente, per il giudice, di non RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 Pertanto con l'emanazione della legge n. 547 si è riaffermato in primis il principio del "nullum crimen, nulla poena sine lege". Non di meno l'intervento del legislatore si è reso necessario per "adeguare la legislazione italiana alle direttive impartite da organismi sopranazionali cui l'Italia aderiva" (10). Tale volontà va intesa non solo quale obbligo di dover dare seguito agli impegni assunti in campo internazionale, ma anche e soprattutto in virtù della considerazione che senza un coordinamento a livello internazionale non è possibile far fronte in modo adeguato ad un fenomeno, quale quello dei cybercrimes, che è tipicamente sovranazionale (11). Del resto, lo stesso legislatore del '93 prendeva esplicitamente atto che nell'individuare le nuove fattispecie penalmente rilevanti bisognava tener conto non solo di tutte quelle condotte dotate di rilevanza penale (12), ma anche di tutte quelle ipotesi integranti fatti illeciti gravi a livello internazionale. "È noto infatti che, sia ai fini della estradizione che di altre forme di collaborazione giudiziaria penale, è di regola richiesta la previsione bilaterale del fatto (cosiddetta doppia incriminazione) onde, in mancanza di una apposita norma incriminatrice, lo Stato italiano dovrebbe negare la propria cooperazione agli Stati richiedenti che abbiano già previsto i reati informatici, assenti nella nostra normativa". Ai fini dell'intervento normativo italiano in materia, ha assunto, in particolare, un ruolo determinante la Raccomandazione "sur la criminalité en relation avec l'ordinateur" adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 13 settembre 1989 (13). La Raccomandazione ha posto all'attenzione dei paesi membri il fenomeno della criminalità informatica, attraverso una ricognizione completa delle sue diverse manifestazioni e dividendo le diverse forme di abuso dell'informatica in due gruppi, relativi, rispettivamente, applicare la stessa a casi da essa non espressamente previsti. "Il principio di tassatività assicura innanzitutto la certezza della legge per evitare l'arbitrio del giudice, precludendogli la possibilità di punire i casi non espressamente previsti dalla legge: tanto maggiore è la certezza, tanto minore è il soggettivismo, ideologico o caratteriale, del giudice" (cfr. F. MANTOvANI, Diritto penale. Parte generale, CEDAM, Padova 1992, pag. 98). (10) Dalla relazione ministeriale citata. (11) A questo proposito, il Consiglio dell'Unione Europea ha recentemente ribadito come: "Le legislazioni penali nel settore degli attacchi ai sistemi di informazione devono essere ravvicinate al fine di garantire la cooperazione giudiziaria e di polizia più ampia possibile nel settore dei reati attinenti ad attacchi a sistemi di informazione, e di contribuire alla lotta contro la criminalità organizzata ed il terrorismo". Decisione-Quadro (approvata dal) Consiglio dell'UE presentata dalla Commissione COM (2002)173 relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, Bruxelles, 19 aprile 2002. (12) La relazione ministeriale non trascura, tra l'altro, di ricordare come, nell'ambito di tale operazione, abbia seguito le indicazioni contenute nella circolare della Presidenza del Consiglio del 19 dicembre 1983, ispirate ai principi di proporzione e di sussidiarietà, e rapportate al rango dell'interesse da tutelare ed al grado dell'interesse da tutelare ed al grado dell'offesa (principio di proporzione) nonché alla inevitabilità della sanzione penale, quale ultima ratio (principio di sussidiarietà). (13) Council of Europe -Recommandation Nº R (89) 9, in Riv. Trim. dir. pen. econ., 1992, pag. 378. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà alla condotte che gli Stati erano invitati a reprimere senz'altro con sanzione penale ("lista minima") (14), ovvero alle condotte la cui repressione penale era lasciata alla valutazione discrezionale dei singoli Stati, non essendosi ancora registrato un consenso unanime sul tipo di tecnica sanzionatoria più adeguato ("lista facoltativa") (15). La Raccomandazione del Consiglio d'Europa ha precinto dall'esistenza o meno all'interno dei Paesi membri di una normativa ad hoc riferita ai crimini informatici, e ciò anche al fine di evitare di creare i cosiddetti "paradisi informatici", ma soprattutto per la necessità di una stretta collaborazione tra i vari ordinamenti giuridici volti a reprimere un fenomeno criminale, a carattere "transnazionale". Secondo Claudia Pecorella (16), pur senza riscontro alcuno all'interno della relazione ministeriale al disegno di legge n. 2773, il nostro legislatore avrebbe ulteriormente tenuto conto delle indicazioni emerse nei primi anni novanta nel corso dei colloqui preparatori del Xv Congresso dell'AIDP (Association Internationale de Droit Pénal). La Risoluzione finale del Congresso (settembre 1994) confermava, in sostanza, la Raccomandazione dell'89 e riteneva necessario estendere la sanzione penale anche alle condotte della lista facoltativa. In particolare, considerando i gravi danni che i programmi virus sono in grado di arrecare ai sistemi informatici con i quali vengono in contatto (e quindi anche ai dati e ai programmi in essi contenuti), veniva suggerito agli Stati membri di valutare attentamente l'opportunità di ricorrere al diritto penale per i fatti colposi in un'ottica preventiva (recklessness or the creation of dangerous risks): fatti rimasti estranei alla previsione del Consiglio d'Europa, incentrata sulla repressione delle sole condotte dolose. In effetti gli illeciti introdotti dalla nuova normativa riguardano sia le ipotesi previste nella lista minima che in quella facoltativa mentre è rimasto estraneo all'intervento legislativo qualsiasi riferimento ai fatti colposi richiedendo il legislatore, al fine dell'integrazione della fattispecie costituenti reato, almeno il dolo generico. Il legislatore tramite la legge n. 547/1993 è intervenuto su due fronti, sia predisponendo nuove figure di reato all'interno del codice penale (entro i titoli XII (17) e XIII (18)), sia modificando ed adeguando quelle esistenti affinché fossero superate le incertezze interpretative ed applicative del passato. Alcune (14) Fatti contemplati nella lista minima: frode informatica, falso informatico, danneggiamento dei dati o programmi informatici, sabotaggio informatico, accesso non autorizzato, intercettazione non autorizzata, riproduzione non autorizzata di un programma informatico protetto, riproduzione non autorizzata di una topografia. (15) Fatti previsti dalla lista facoltativa: alterazione dei dati o dei programmi informatici, spionaggio informatico, utilizzazione non autorizzata di un elaboratore, utilizzazione non autorizzata di un programma informatico protetto. (16) C. PECORELLA, Il diritto penale dell'informatica, CEDAM, Padova 2000. (17) "Delitti contro la persona". (18) "Delitti contro il patrimonio". RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 ipotesi sono state, infatti, disciplinate da norme ad hoc e collocate nel tessuto normativo esistente (si pensi all'articolo 615 ter c.p., relativo all'accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico; al danneggiamento di sistemi informatici o telematici, previsto dall'art. 635 bis c.p.; o, ancora, alla frode informatica di cui all'art. 640 ter c.p.); in altri casi, invece, ci si è limitati ad una mera estensione di fattispecie già contemplate, attraverso disposizioni che dettano definizioni ed introducono concetti nuovi. L'estensione normativa del significato di nozioni già presenti nel codice penale ha di fatto sollevato l'interprete dal difficile compito di dover verificare se le nozioni esistenti potessero essere applicate per interpretazione estensiva alla fattispecie concreta, di fatto violando il principio del divieto di interpretazioni analogiche vietate dal diritto penale: è stato allora definito il "documento informatico" (art. 3) ai fini dell'applicazione delle norme sulla falsità in atti, il "documento" ai sensi della disposizione dell'art. 621 c.p. (19) (art. 7), la "corrispondenza", ricomprendendovi, accanto a quella epistolare, telegrafica e telefonica, quella "informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza" (art. 5), o la "violenza sulle cose", quale condotta che può ricadere anche su un programma informatico o sul funzionamento di un sistema informatico o telematico (art. 1). Occorre comunque tenere presente che, anche se da una parte il legislatore ha disciplinato esaustivamente la materia introducendo nuove figure criminose o aggiornando ed adeguando quelle esistenti, ha del tutto omesso di fornire definizioni giuridiche e tecniche, lasciando alla giurisprudenza e alla dottrina il compito di definire i confini dei concetti quelli, ad esempio, "sistema informatico o telematico", "dati", "informazioni", "programma", o "operatore di sistema" (20). (19) "Rivelazione del contenuto di documenti segreti". (20) Tecnicamente, premesso che il concetto di "dato" ricomprende sia quello di informazione che di programma, con questo (o più comunemente con "dati", per la pluralità ontologica degli stessi) si intende "una rappresentazione originaria, cioè non interpretata (che invece costituisce l''informazione') di un fatto, fenomeno o evento, effettuata attraverso simboli (numeri, lettere, ecc.) ... il concetto di 'dato' esprime una registrazione elementare nella memoria di un computer. L''informazione', intesa come contenuto del sistema informatico, è costituita invece da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta di attribuire loro un particolare significato per l'utente della macchina. Il 'programma' (o software), infine, è costituito da una sequenza di istruzioni (costituite quindi da insiemi di 'dati'), espresse in linguaggio comprensibile dalla macchina elaboratrice, e progettate ed assemblate insieme per ottenere dalla macchina il compimento di operazioni prestabilite, semplici o complesse" (G. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche. Computer’s crimes e reati telematici, cit., pag. 25). Per una definizione di "sistema informatico" si può ricorrere alla formulazione della Corte di Cassazione: "l'espressione 'sistema informatico' contiene in sé il concetto di una pluralità di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche in parte) di tecnologie informatiche. Queste ultime, come si è rilevato in dottrina, sono caratterizzate dalla registrazione (o 'memorizzazione'), per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di 'dati', di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit) numerici ('codice'), in combinazioni diverse; tali 'dati', elaborati automaticamente dalla macchina, generano le 'informazioni' costituite 'da LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Le motivazioni di tale scelta sono espressamente dichiarate nella relazione al disegno di legge n. 2773, ove si specifica che: "si è preferito modificare il codice piuttosto che creare una legge speciale nell'ambito del più ampio disegno di politica penale volto ad arginare la sempre più marcata tendenza alla decodificazione; inoltre, si è scelto di non creare un nuovo titolo del codice nella convinzione che la particolarità della materia non costituisse una ragione sufficiente in tal senso, dal momento che le figure da introdurre sono apparse subito soltanto quali nuove forme di aggressione, caratterizzate dal mezzo o dall'oggetto materiale (21), a beni giuridici (patrimonio, fede pubblica, eccetera) già oggetto di tutela nelle diverse parti del corpo del codice" (22). Parte della dottrina (23) si è schierata a favore di tale scelta del legislatore che ha rinunciato a creare l'ennesima legge speciale vagante nell'ordinamento. Secondo tale filone dottrinale, infatti, l'espandersi della normativa penale speciale non fa altro che creare confusione ed instabilità all'interno del sistema, sotto la spinta di centri di interesse settoriali (24). Dall'altro canto secondo altri autori (25) la materia sarebbe dovuta essere un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di attribuire un particolare significato per l'utente'" (Corte di Cassazione, Sez. vI Pen., Sent. 4 ott. -14 dic. 1999, n. 3067, in Riv. Cassazione penale, pag. 2990.) Inoltre, il sistema informatico assume la denominazione di "sistema telematico" allorché l'elaboratore sia collegato a distanza con altri elaboratori, attraverso le vie di telecomunicazione. Nonostante il legislatore abbia voluto eliminare ogni dubbio al riguardo, menzionando espressamente anche i sistemi telematici, è pacifico che questi ultimi siano già ricompresi nella categoria generale dei "sistemi informatici"; in tal senso, R. BORRUSO, G. BUONOMO, G. CORASANITI, G. D’AIETTI, op. cit., pag. 8. Infine, per "operatore di sistema", concetto che verrà approfondito in sede di analisi del reato di accesso abusivo (art. 615 ter c.p.), deve intendersi qualsiasi soggetto che, operando sul sistema, abbia potuto realizzare la condotta incriminata, in virtù di quelle conoscenze specifiche maturate nell'ambito delle mansioni cui era preposto. (21) L'oggetto materiale del reato, o meglio, della condotta consiste nell'entità fisica (es. cadavere, ex art. 410 c.p.) o non fisica (es. segreto, ex art. 622 c.p.) su cui cade la condotta tipica (cfr. F. MANTOvANI, Diritto penale. Parte generale, cit., pag. 170). (22) Diversa, invece, la soluzione, ad esempio, apprestata dall'ordinamento francese: la legge 5 gennaio 1988 n. 88-19 aveva inserito nel testo previgente del codice penale un nuovo capo III nel titolo II del Libro terzo, ma il principio dell'autonomia delle disposizioni in tema di criminalità informatica è stato rispettato anche dal codice penale francese attualmente in vigore, nel cui libro terzo, in corrispondenza del titolo II, è inserito il capo III sulle lesioni del sistema di elaborazione automatizzato di dati (artt. 323.1 -323.7), mentre il capo vI del titolo II del libro II concerne le lesioni dei diritti della personalità risultanti dalle schede o dalle elaborazioni informatiche (artt. 226.16 -226.24); il falso informatico, invece, è stato ricondotto in via interpretativa al generico reato di falso documentale, definito come "ogni alterazione fraudolenta della verità, tale da cagionare un danno e realizzata tramite qualsiasi mezzo, in uno scritto o in un altro supporto dell'espressione del pensiero che abbia per oggetto o che sia idoneo a fondare un diritto o un fatto avente conseguenze giuridiche" (art. 441.1). (23) F. BERGHELLA, R. BLAIOTTA, Diritto penale dell'informatica e dei beni giuridici in Riv. Cassazione Penale, 1995, pag. 2330; G. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche. Computer’s crimes e reati telematici, cit. (24) In tal senso F.C. PALAzzO. (25) Tra gli altri, G. PICA, Computer crimes e uso fraudolento delle nuove tecnologie, Seminario di studi, Roma 15 dicembre 2000; v. MILITELLO, Nuove esigenze di tutela penale e trattamento elettronico delle informazioni, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1992, pag. 364 e ss.; D. FONDAROLI, Osservazioni RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 trattata separatamente sia per poter riconoscere il valore dei nuovi beni giuridici tutelati sia per evitare che tali nuovi valori giuridici vengano fossilizzati all'interno di categorie concettuali proprie di altre realtà giuridiche e ormai, a volte, superate. I nuovi reati di criminalità informatica sono stati interpretati in chiave tradizionale, respingendo la tutela penale delle informazioni, teoria che si basa sul diritto delle informazioni e dell'informatica, quale grandezza a sè che rappresenta oltre che un bene giuridico meritevole di tutela anche una nuova fonte di pericoli. Sempre secondo tale teoria, gran parte dei reati afferenti alla sfera dei cosiddetti computer crimes consisterebbe nella violazione di detto diritto. Tale teoria permette di superare la distinzione tra beni materiali e immateriali ma crea ulteriori problemi allorquando si tratta di tutelare il proprietario o possessore dell'informazione e dei diritti della personalità dei soggetti cui l'informazione si riferisce (26). Secondo autorevole dottrina il problema reale di tutta la materia rimane quello di stabilire lo status giuridico da attribuire all'informazione che andrebbe elevata a bene giuridico di rango costituzionale e, su questa premessa, garantita da un'autonoma tutela penale (27). Inoltre è stata mossa un'ulteriore critica alla scelta del legislatore in quanto la materia è stata inserita sistematicamente in un codice penale che non è al passo coi tempi, pertanto inappropriato ad accogliere una materia tanto innovativa che poggia su categorie concettuali preesistenti e vetuste. Basti pensare che tutto l'impianto codicistico relativo alla proprietà si basa su un concetto di diritto di proprietà tipico dell'Ottocento che ha subito nel corso degli anni svariate novelle per adeguarsi all'evoluzione dei nuovi reati patrimoniali. Inoltre la particolarità della materia dei reati informatici presume non solo categorie giuridiche nuove ma anche e soprattutto nuovi modi di commissione dei reati che trascendono le condotte tipiche previste all'interno del codice penale. Tutte queste problematiche si palesano allorquando ci si riferisce alla distinzione tra falso ideologico e falso materiale che in campo informatico non ha senso di esistere. Al contrario il supporto informatico -che contiene i documenti elettronici -può, invece, essere separato in qualsiasi momento dal contenuto, e cioè dal intorno ad alcune delle norme contenute nella recente normativa italiana sui computer crimes in La nuova normativa in tema di criminalità informatica: alcune riflessioni (L. SOLA, D. FONDAROLI), Clueb, Bologna, 1995, pag. 20. (26) Sulla necessità di una generale rielaborazione della teoria giuridica, che riconosca il centrale rilievo oggi assunto dal bene "informazione" e dalle relative tecniche di trattamento e circolazione, cfr., nell'ambito della dottrina penalistica, U. SIEBER, La tutela penale dell'informazione. Relazione generale sul tema "Criminalità dei computer" tenuta al XIII Congresso internazionale di diritto comparato, Montreal 1990, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, pagg. 485-499; nonché L. PICOTTI, Studi di diritto penale dell'informatica, stampato a cura dell'autore, verona 1992, pagg. 3 ss. (27) A. MONTI, Computer crimes, un'occasione perduta in ICT LEX, maggio 1995. LEGISLAzIONE ED ATTUALITà documento che contiene, ed è in grado di ricevere migliaia o addirittura milioni di documenti contemporaneamente. Purtroppo il legislatore del 1993 non si è preoccupato di sanare tali incongruenze spinto dall'unico obiettivo di riuscire a collocare i nuovi reati all'interno della sistematica del codice, creando un nuovo concetto di "documento informatico" (quale "supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria": art. 491-bis c.p.) non solo inutile, ma anzi pericoloso per l'applicazione della normativa penale già esistente agli eventuali reati di falso informatico (polarizzando il fatto di reato su un’ipotesi concreta in realtà insussistente), e poi smentito dalla normativa successiva. Di tale importante diversità strutturale tra documento cartaceo e documento informatico si è occupato il legislatore del 1997 che tramite il regolamento approvato con d.P.R. il 10 novembre 1997 n. 513 (28) ha finalmente identificato il "documento informatico" non nel "supporto", bensì nella "rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti" (art. 1, lettera a), e cioè, in altri termini, nei "dati" (29). Se il legislatore del 1993 avesse omesso di fornire una definizione di documento informatico, e si fosse limitato ad affermare che era applicabile la normativa vigente in materia avrebbe creato meno confusione e si avrebbe avuto un'applicazione della materia più conforme alla realtà (30). Anche la semplice estensione degli oggetti di tutela senza accompagnare la modifica delle modalità di commissione ha di fatto reso per certi versi vano l'intenzione del legislatore creando non pochi problemi applicativi. Così operando, infatti, sembra che il legislatore non si sia accorto "di un duplice rischio: aver, da un lato, trascurato gli effetti erosivi, per la determinatezza dei concetti tradizionali, della loro estensione ad ipotesi del tutto eterogenee, che hanno in comune solo un'analoga funzione, mentre del tutto distinti restano gli specifici elementi costitutivi, alla cui stregua si decide della tipicità dei 'nuovi' fatti incriminati; e, dall'altro, aver sottovalutato il profondo condizionamento, che tale diversità contenutistica degli 'oggetti materiali' delle condotte esercita sulla stessa struttura o modalità esecutiva di queste, fino al punto da porne in (28) Regolamento attuativo della legge n. 59/97, legge Bassanini. (29) Tale nozione è stata confermata dal più recente d.P.R. n. 445/2000 che ha, tra l'altro, abrogato il decreto citato. (30) Cfr. G. PICA, Computer crimes e uso fraudolento delle nuove tecnologie, cit. Secondo Picotti, "Il nuovo art. 491 bis si configura come mera norma di rinvio sia per quanto concerne le pene, sia per quanto concerne la tipizzazione dei diversi fatti punibili: con il risultato che vengono indiscriminatamente duplicate oltre una ventina di figure delittuose -molte delle quali già risultanti da norme a loro volta 'estensive', quali gli artt. 489 (uso di atto falso) e 490 (soppressione di atti veri) c.p. -di cui si era da tempo criticata l'esasperazione analitica ed auspicata, perciò, una complessiva riforma, che semplificasse e riducesse il troppo frastagliato quadro normativo, se non altro per limitare le frequenti occasioni d'incertezza e dubbio emerse in sede applicativa" (cfr. L. PICOTTI, Commento all'art. 3 della legge n. 547 del 1993 in Legislazione penale, 1996, pag. 71). RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 2/2022 discussione, in molti casi, la concreta compatibilità o configurabilità logico- giuridica" (31). Quando agli inizi degli anni Novanta si era intensificato il dibattito sull'esigenza di dare una regolamentazione giuridica alla materia per definire gli ambiti di leicità e non liceità, tra gli addetti ai lavori si era diffusa l'idea che era impossibile emanare una normativa che fosse in grado di regolare la materia perchè troppo in continua evoluzione con il rischio di trovarsi al momento dell'emanazione già indietro coi tempi. Tale scetticismo, inoltre, era accompagnato dall'idea che senza la previsione di un adeguamento continuo della normativa si sarebbe potuto limitare e danneggiare lo sviluppo della materia e, pertanto, si era pensato di non formare la materia riguardante internet ma di lasciarla all'autoregolamentazione spontanea. Ovviamente tali posizioni non erano condivisibili sia perchè è dovere del legislatore regolare quei fatti che incidono su beni giuridici primari della collettività sia perchè lasciare alla prassi il compito di regolare i rapporti tra i cittadini significa lasciare che sia il più forte a prevalere. Infatti i problemi avanzati dai tecnici del settore hanno posto in evidenza l'aspetto più critico che la riforma legislativa si è trovata ad affrontare nel riuscire a cristallizzare in norme giuridiche concetti e tecnologie in continuo mutamento, riuscire cioè a creare una normativa che benché prevedesse in astratto comportamenti tipici tali da integrare la fattispecie penalmente rilevante fosse in grado comunque di adeguarsi tempestivamente all'evoluzione in materia. In pratica il legislatore avrebbe dovuto approfondire le conoscenze in campo tecnologico al fine di riuscire a formare in modo efficace, cosa che evidentemente non è avvenuta visto lo scarso risultato avuto dalla legge emanata (32). (31) L. PICOTTI, Commento all'art. 5 della legge n. 547 del 1993, in Legislazione penale 1996, pag. 109. (32) Tra le diverse opinioni espresse sulla legge 547 si possono citare le seguenti: "È una legge che utilizza la tecnica del 'taglia e incolla', cioè aggiunge gli aggettivi 'informatica e telematica' a fattispecie tipiche del codice penale, senza però addentrarsi in una specifica analisi di beni giuridici tutelati e di comportamenti criminosi reali. Sembra davvero essere stata concepita da persone all'oscuro della realtà pratica dell'informatica. Di fronte alle tematiche di Internet tale legge è assolutamente inadeguata. È stato adeguato il codice penale incollando qua e là la dizione 'informatica e telematica', riprendendo i reati di attentato, esercizio abusivo delle proprie ragioni, accesso illecito, intercettazione illecita, frode informatica. Le pene sono spropositatamente alte per comportamenti magari innocui sul piano pratico, ed estremamente basse quando, come nel caso di frodi internazionali o di danneggiamenti ai sistemi, i danni sono enormi. Infine, la legge non si pone per nulla problemi pratici di enorme rilevanza, come ad esempio chi debba essere il giudice competente. Sul problema delle intercettazioni, anche qui il legislatore ha usato il 'cut and paste' mutuando la norma sulle intercettazioni telefoniche, ma il vero problema è l'accesso ai dati del server, ai dati identificativi delle comunicazioni usate in concreto. Il tutto con molteplici problemi aggiunti, come la conservazione dei dati oltre un certo periodo o, in caso di accertato illecito, di cooperazione internazionale per identificare gli autori delle frodi" (G. CORASANITI, La tutela penale dei sistemi informatici e telematici, Relazione presentata al Convegno Nazionale su “Informatica e riservatezza” del CNUCE Pisa 26/27 settembre 1998 in Privacy.it). "Per la tecnica verbosa e approssimativa le due suddette leggi, LEGISLAzIONE ED ATTUALITà Ulteriori critiche possono essere mosse sul piano della scelta dei beni giuridici tutelati, basti pensare che l'accesso abusivo ad un sistema informatico è stato ricondotto ad un'ipotesi di violazione di domicilio, oppure il reato di diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico che è stato inserito tra i reati contro l'inviolabilità del domicilio quando, invece, sarebbe stato più coerente inserirlo tre i delitti contro il patrimoni, trattandosi di una fattispecie preventiva del delitto di danneggiamento. E ancora criticabile appare la scelta lessicale dove l'attaccamento rituale a formule tradizionali non ha permesso di mettere a fuoco i tratti originali della nuova fenomenologia allorquando per esempio negli art. 615 ter c.p. e 635 bis c.p. si utilizzano termini che si riferiscono alla modificazione della realtà delle cose poco appropriate in riferimento al mondo dell'informatica. lastricate di buone intenzioni, costituiscono uno dei ricorrenti esempi di come non si dovrebbe legiferare" (riferito agli artt. 615 ter e 615 quater) (F. MANTOvANI, Diritto penale. Parte speciale, I, Delitti contro la persona, CEDAM, Padova 1995, pag. 415). "È spesso contraddittoria e, in qualche caso, di fatto inapplicabile ... sembra potersi affermare che forse qualche buona occasione per fare una legge migliore è stata persa ... Il sonno della ragione genera mostri" (S. CHICCARELLI, A. MONTI, Spaghetti hacker, 1997, pag. 225). ContributiDiDottrinA La riforma del processo civile e dei meccanismi preventivi ed alternativi del giudizio. Analisi e rilievi delle principali novità contenute nel D.L.vo 10 ottobre 2022 n. 149 Michele Gerardo* Sommario: 1. introduzione -2. aspetti generali dei contenuti della riforma -3. aumento della competenza per valore del giudice di pace relativamente al diritto transitorio (e sostituzione del rito dinanzi al giudice di pace: procedimento semplificato di cognizione in luogo del procedimento ordinario di cognizione) -4. modifica della disciplina circa il rilievo del difetto di giurisdizione -5. ampliamento delle cause rimesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, con sottrazione alla cognizione del tribunale in composizione collegiale -6. modalizzazione della disciplina del principio del contraddittorio -7. Previsione espressa che gli atti del processo devono essere redatti in modo chiaro e sintetico, con previsione anche di limiti massimi dimensionali. Conseguenze della violazione delle regole sulla redazione -8. Udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza (udienza c.d. telematica) ed udienza sostituita dal deposito di note scritte (udienza c.d. cartolare) -9. Disposizioni contenenti misure manutentive della disciplina della notificazione -10. modificazione del contenuto-forma dell’atto di citazione e aumento del termine per comparire e del termine per la costituzione tempestiva del convenuto -11. Verifiche preliminari funzionali alla corretta instaurazione del contraddittorio e definizione dell’oggetto del giudizio (con la fissazione definitiva delle domande e delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio) e delle richieste istruttorie -12. Snellimento della udienza per la prima comparizione delle parti e trattazione della causa -13. Definizione semplificata del giudizio a mezzo di ordinanza -14. Semplificazione (apparente) della rimessione della causa per la decisione -15. inserimento -quale giusta sedes materiae -del processo sommario di cognizione (ridenominato “procedimento semplificato di cognizione”) nel secondo libro del codice di rito e sua scelta quale atto introduttivo nei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace -16. modificazione dei presupposti e delle modalità (*) Avvocato dello Stato. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 della sospensione dell’efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata -17. restyling del contenuto-forma dell’atto di appello -18. Eliminazione della pronuncia di inammissibilità dell’appello quando l’impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta -19. adeguamento dell’iter alla complessità/semplicità delle problematiche agitate, previsione dell’adozione degli atti difensionali finali prima (e non dopo) l’udienza nella quale la causa è rimessa in decisione, riduzione dei casi di rimessione in primo grado -20. inserimento nell’art. 360 c.p.c. (rubricato: sentenze impugnabili e motivi di ricorso) -quale giusta sedes materiae -del principio della “doppia conforme” quale circostanza limitativa dei motivi di ricorso per cassazione -21. rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione -22. restyling del contenuto-forma del ricorso per cassazione -23. revocazione straordinaria per contrasto accertato dei giudicati dell’a.G.o. con la CEDU. -24. rivitalizzazione dello strumento codice -25. Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie -26. modifiche al terzo libro del Codice di procedura civile (soppressione della spedizione in forma esecutiva; vendita diretta nella espropriazione immobiliare) -27. modifiche al quarto libro del Codice di procedura civile (innovazioni nel giudizio arbitrale) -28. modifiche in materia di mediazione e di negoziazione assistita -29. Disciplina transitoria -30. Conclusioni. 1. introduzione. Da un cinquantennio, la giustizia in Italia versa in uno stato di grave crisi a causa dell’eccessiva ed intollerabile durata dei processi. Ancora nel 2000 si registrava -dalla Banca d’Italia, nella Relazione economica per l’anno 2000 che “L’italia è il Paese dell’Unione Europea in cui i procedimenti civili, considerando i tre gradi di giudizio, hanno maggiore durata (in media 116 mesi, il 68% in più rispetto alla media UE)”. Secondo un recente rapporto della Commissione europea per l'efficacia della giustizia (CEPEJ), nel biennio 2017-18 il numero dei procedimenti civili pendenti si è ridotto e la durata media è scesa; tuttavia, la giustizia civile italiana resta tra le più lente d’Europa: siamo ancora gli ultimi in terzo grado di giudizio e siamo diventati penultimi sia in primo sia in secondo grado, rispettivamente davanti a Malta e alla Grecia. La crisi del processo genera ulteriore contenzioso gravante sulle Corti di Appello con significativo aggravio degli oneri per il bilancio statale, che deve far fronte a crescenti costi per il pagamento dell’indennizzo per la riparazione della ingiusta durata del processo attualmente disciplinata dalla L. 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. legge Pinto, sulla previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di durata del processo). L’inefficienza del nostro sistema giudiziario scoraggia gli investimenti, aumenta il costo del credito, genera sfiducia nelle funzioni dello Stato e stimola sistemi criminali alternativi di composizione delle liti. La preoccupazione di ogni governo, nelle ultime legislature, è stata quella di proporre “novelle” processuali mirate a modificare singoli aspetti -di volta in volta individuati come critici -del processo civile. Anche il governo Draghi (2021-2022) si è posto l’obiettivo di semplificare il processo ContRIButI DI DottRInA civile e, con decreto del Ministro della giustizia del marzo del 2021, è stata costituita una Commissione, presieduta dal prof. Francesco Paolo Luiso, con il compito di redigere un articolato per la riforma della giustizia civile; l’obiettivo concreto è triplice: ridurre i tempi dei processi, rafforzare il principio della ragionevole durata, migliorare l’efficienza dell’apparato amministrativo. La Commissione nel giugno del 2021 ha presentato le sue proposte, confluite nella L. 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. La delega è stata attuata con l’emanazione del D.L.vo 10 ottobre 2022, n. 149. Con la novella di cui al D.L.vo n. 149/2022 -ultima in ordine di tempo viene operata una ampia modifica del codice di procedura civile -contenuto nel R.D. 28 ottobre 1940 n. 1443, in vigore dal 21 aprile 1942 -oltre che delle leggi complementari. nel processo di cognizione, come concepito dal legislatore del 1942, dinanzi al tribunale si prevedono le figure del giudice istruttore -che istruisce la causa al fine di renderla matura per la decisione -e del Collegio, che in una fase successiva decide la causa. Il giudice istruttore era dotato di notevoli poteri, quali quello di fissare la prima udienza e di consentire alle parti di sollevare nuove eccezioni e chiedere nuovi mezzi di prova dopo la prima udienza. Furono previsti moltissimi termini perentori, la cui inosservanza comportava preclusioni processuali. L’appello era una mera revisio prioris istantiae. Il descritto originario assetto processuale ha subito, nel corso degli anni, ampie modifiche, delle quali la novella del processo civile operata con il D.L.vo n. 149/2022 è, come detto innanzi, l’ultima in ordine di tempo. tra le novelle citiamo: -L. 14 luglio 1950 n. 581 che ripristinò la citazione a udienza fissa e abrogò la disciplina delle preclusioni, in specie si ebbe la totale abolizione della preclusione delle allegazioni e prove durante tutto il corso del primo grado; -L. 11 agosto 1973 n. 533 di riforma del processo del lavoro, con la quale si assegnarono le cause di lavoro alla competenza per materia del pretore, con la previsione di rigide preclusioni in capo alle parti, si vietarono le udienze di mero rinvio, si dispose che il giudice dovesse leggere in udienza il dispositivo, che la sentenza di primo grado dovesse essere esecutiva e che l’appello fosse una mera revisio; -L. 9 febbraio 1983, n. 28, recante modificazioni alla disciplina dell'arbitrato; -L. 26 novembre 1990 n. 353 di riforma del processo civile, reintroducente -tra l’altro -varie preclusioni, l’esecutività della sentenza di primo grado, l’appello quale revisio e il c.d. procedimento cautelare uniforme; - L. 21 novembre 1991 n. 374 sull’istituzione del giudice di pace; RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 -L. 20 dicembre 1995 n. 534 di conversione del D.L. 18 ottobre 1995 n. 432, che ha diluito le preclusioni introdotte con la L. n. 353/1990; -D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51 introduttiva del giudice unico togato di primo grado; -D.L. 14 marzo 2005 n. 35 conv. in L. 14 maggio 2005 n. 80, L. 28 dicembre 2005 n. 263, L. 8 febbraio 2006 n. 54 e D.L.vo 2 febbraio 2006 n. 40 modificativi del regime della fase iniziale del processo di cognizione, del giudizio in Cassazione (con l’introduzione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.), del processo esecutivo e dell’arbitrato; -D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. L. 6 agosto 2008 n. 133, modificativo degli artt. 181 c.p.c., 421 c.p.c. e 429 c.p.c.; -L. 18 giugno 2009 n. 69 che, tra l’altro, ha disposto: accorciamento di vari termini procedimentali e dimezzamento del c.d. termine lungo per l’impugnazione delle sentenze ex art. 327 c.p.c., snellimento della c.d. forma-contenuto della sentenza, abrogazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. e riforma dell’iter per la dichiarazione della inammissibilità del ricorso per cassazione, introduzione dell’art. 614 bis prevedente le c.d. astraintes nel caso della inosservanza degli obblighi di fare infungibili o di non fare, introduzione degli artt. 702 bis -702 quater c.p.c. disciplinanti il procedimento sommario di cognizione, delega al governo per la riduzione e semplificazione dei procedimenti (attuata con il D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150), delega al governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali (attuata con D.L.vo n. 28 del 4 marzo 2010); -art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. L. 7 agosto 2012, n. 134, intervenuto sulla disciplina dell’appello (modifica dei requisiti della motivazione dell’atto di appello, introduzione del c.d. filtro ex artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. e del giudizio di cassazione); -D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. L’attuale testo del codice di procedura civile, come la Luna all’esito del continuo bombardamento di meteoriti ed asteroidi, è il frutto delle profonde trasformazioni operate, con numerose ed ampie novelle, sul testo che entrò in vigore nel natale di Roma del 1942. 2. aspetti generali dei contenuti della riforma. La riforma non contiene stravolgimenti nella disciplina del processo. È un intervento manutentivo, anche di adeguamento allo sviluppo telematico, del codice di rito, con correttivi grammaticali e -nel tentativo di confermare la centralità dello strumento “codice” -con aggiustamenti topografici della sedes materiae della disciplina di istituti. Il restayling coinvolge anche i meccanismi deflattivi del contenzioso. Recepisce, virtuosamente, anche innovazioni procedimentali e misure or ContRIButI DI DottRInA ganizzative sorte per contrastare l'emergenza epidemiologica da CovID-19 nel biennio 2020-2021 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento del- l'attività giudiziaria (misure necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie, al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone). L’art. 3 del D.L.vo n. 149/2022 è dedicato specificamente alla modifica del Codice di procedura civile: i primi undici commi contengono modifiche al primo libro del Codice di procedura civile; i commi dal dodici al trentatre contengono modifiche al secondo libro; i commi dal trentaquattro al quarantaquattro contengono modifiche al terzo libro ed, infine, i commi dal quarantacinque al cinquantasei contengono modifiche al quarto libro del Codice di procedura civile. Di seguito si esporranno le disposizioni più significative della novella. 3. aumento della competenza per valore del giudice di pace con criticità relativamente al diritto transitorio (e sostituzione del rito dinanzi al giudice di pace: procedimento semplificato di cognizione in luogo del procedimento ordinario di cognizione). Il nuovo testo dell’art. 7, commi 1 e 2 c.p.c. -all’esito della modifica di cui al comma 1 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 - così dispone: -il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a diecimila euro -in luogo del vecchio limite di cinquemila euro -quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice; -il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi venticinquemila euro (in luogo del vecchio limite di ventimila euro). Giusta il primo comma dell’art. 35 D.L.vo n. 149/2022, le disposizioni ora esaminate hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. va rammentato che con il D.L.vo 13 luglio 2017, n. 116, nell’ambito della “riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio”, l’art. 27, comma 1, lett. a), numero 1, opera un ampliamento della competenza per valore del giudice di pace, novellando l’art. 7 c.p.c. nel modo che segue: “a) al primo comma, la parola: «cinquemila» è sostituita dalla seguente: «trentamila»; b) al secondo comma, la parola: «ventimila» è sostituita dalla seguente: «cinquantamila»”. Il nuovo testo dell’art. 7, commi 1 e 2 c.p.c. - all’esito della modifica operata con il citato art. 27 - così dispone: -il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a trentamila euro, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice; RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 -il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi cinquantamila euro. Giusta l’art. 32, comma 3, D.L.vo n. 116/2017 “Le disposizioni dell'articolo 27 entrano in vigore il 31 ottobre 2025”. Ad una analisi epidermica della vicenda potrebbe ritenersi che la novella sulla competenza per valore del giudice di pace operata dal D.L.vo n. 149/2022 viga nel periodo dal 30 giugno 2023 al 30 ottobre 2025, mentre poi a partire dal 31 ottobre 2025 sarà vigente la novella sulla competenza per valore del giudice di pace operata dal D.L.vo n. 116/2017. tuttavia, la circostanza che il D.L.vo n. 149/2022 non abbia fatto salve le disposizioni contenute nel D.L.vo n. 116/2017 (ad esempio con la previsione di un termine finale in ordine alla novella operata dallo stesso all’art. 7 c.p.c.) comporta che le disposizioni contenute nel D.L.vo n. 116/2017 -nella parte in cui regolano la competenza per valore del giudice di pace -sono state abrogate in via tacita dalle corrispondenti disposizioni contenute nel D.L.vo n. 149/2022. tanto ex art. 15 delle preleggi, in applicazione del criterio cronologico per la risoluzione delle antinomie (lex posterior derogat legi priori). Con il criterio cronologico, nel caso di incompatibilità tra norme sulla stessa materia, si applica la norma più recente. tale criterio consente di risolvere le antinomie tra fonti dello stesso tipo, di eguale livello nella scala gerarchica e con la medesima competenza, adottate in tempi diversi: le antinomie vengono risolte nel senso che si applica la norma adottata per ultima la quale abroga la precedente, che cessa di avere vigore. non può dirsi che la disciplina sulla competenza per valore del giudice di pace contenuta nel D.L.vo n. 116/2017 resta in vigore in virtù del principio di specialità. Con il criterio della specialità, nel caso di incompatibilità tra norme -alcune generali ed altre speciali -sulla stessa materia, si applica la norma speciale. La specialità sussiste allorché una norma contenga in sé tutti gli elementi costitutivi di un’altra norma, con l'aggiunta tuttavia di uno o più elementi specializzanti. La norma speciale, di solito, è rivolta ad un gruppo indeterminato, ma ristretto di individui, non corrispondente alla generalità dei consociati. All’evidenza tra l’art. 3, comma 1 (in uno al comma 1 dell’art. 35) del D.L.vo n. 149/2022 e l’art. 27, comma 1 (in uno al comma 3 dell’art. 32) del D.L.vo n. 116/2017 non opera un rapporto genere/specie idoneo ad essere risolto nel senso di lasciare in vigore la pregressa norma speciale. tanto in disparte, peraltro, alla operatività del principio della specialità nel caso di specie. Abitualmente in dottrina si ritiene che il criterio della specialità prevale su quello cronologico (lex posterior generalis non derogat legi priori speciali). Questa opinione -al di fuori del diritto penale (art. 15 c.p.) e dell’illecito amministrativo (art. 9, comma 1, L. 24 novembre 1981, n. 689) -non ha addentellati normativi; sicché il criterio della specialità non può operare con ContRIButI DI DottRInA prevalenza sul criterio cronologico. Il criterio della specialità, quindi, non consente di risolvere le antinomie tra norme -alcune generali ed altre speciali sulla stessa materia adottate in tempi diversi. Consente, invece, di risolvere le antinomie tra fonti omogenee, di eguale livello nella scala gerarchica, adottate nello stesso momento (ad esempio i contrasti all’interno di uno specifico testo normativo, quale un codice). Le antinomie vengono risolte nel senso che si applica la legge speciale. va rilevato poi che, in uno all’aumento della competenza per valore, il comma 24 dell’art. 3 ha stabilito che il processo sommario di cognizione introdotto con ricorso -ridenominato procedimento semplificato di cognizione -costituisce il rito applicabile dinanzi al Giudice di Pace, in luogo del procedimento ordinario di cognizione introdotto dall’atto di citazione. 4. modifica della disciplina circa il rilievo del difetto di giurisdizione. Il testo in vigore dell’art. 37 c.p.c., prima della sostituzione disposta dal D.L.vo n. 149/2022, è il seguente: “il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo”. nella prassi, tuttavia, il diritto vivente è andato di contrario avviso rispetto alla lettera della norma. L’orientamento consolidato del giudice di legittimità -contra legem -è nel senso che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato del processo solo nel corso del giudizio di primo grado, mentre nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione. tale orientamento è stato recepito, formalmente, nell’art. 9 del codice del processo amministrativo (D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104). La novella operata all’art. 37 c.p.c. dal D.L.vo n. 149/2022 conduce all’attuale testo: “il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo. il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d'ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l'attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”. La novella adotta una soluzione ibrida: mantenimento del tradizionale regime del rilievo (anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo) nella evenienza del difetto di giurisdizione dell’A.G.o. nei confronti della P.A.; recepimento dell’orientamento giurisprudenziale in ordine al rilievo del difetto di giurisdizione dell’A.G.o. nei confronti dei giudici speciali (compreso quello amministrativo) nei giudizi di impugnazione, che deve costituire l’oggetto di RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 specifico motivo; previsione di inammissibilità dell’impugnazione sulla questione di giurisdizione da parte dell’originario attore, in applicazione del principio di cui al comma 3 dell’art. 157 c.p.c. per il quale la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa. non è stata mutata, invece, la disciplina del rilievo della giurisdizione nei confronti dello straniero, nelle materie con elementi di estraneità. vale, quindi, la regola contenuta nell’art. 11 L. 31 maggio 1995, n. 218 per la quale “il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. È rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l'ipotesi di cui all'art. 5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale”. 5. ampliamento delle cause rimesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, con sottrazione alla cognizione del tribunale in composizione collegiale. La novella de qua è l’effetto dell’abrogazione dei nn. 5 (“nelle cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché nelle cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi”) e 6 (“nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima”) dell’art. 50 bis c.p.c. regolante le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, con conseguente espansione della sfera di operatività dell’art. 50 ter c.p.c. prevedente che “Fuori dei casi previsti dall'articolo 50-bis, il tribunale giudica in composizione monocratica”. Al medesimo effetto conduce la novella dell’art. 225 c.p.c., operata dal comma 16 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022, in virtù della quale, ora sulla querela di falso pronuncia il tribunale in composizione monocratica e non più il collegio. 6. modalizzazione della disciplina del principio del contraddittorio. Al secondo comma dell’art. 101 c.p.c. -rubricato principio del contraddittorio -vengono anteposte le seguenti parole: “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”. La novella ha un evidente sapore didascalico e vago valore pedagogico, atteso che nessuno dubita che il giudice debba assicurare il rispetto del contraddittorio, con la adozione dei provvedimenti conseguenziali (già con strumenti previsti nel sistema vigente: art. 162 c.p.c.; 164, commi 1-3, c.p.c., ecc.). ContRIButI DI DottRInA 7. Previsione espressa che gli atti del processo devono essere redatti in modo chiaro e sintetico, con previsione anche di limiti massimi dimensionali. Conseguenze della violazione delle regole sulla redazione. All’art. 121 c.p.c. sono apportate le seguenti modificazioni: a) alla rubrica, dopo le parole “Libertà di forme” sono aggiunte le seguenti: “Chiarezza e sinteticità degli atti”; b) al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”. Sicché il nuovo testo dell’art. 121 è il seguente: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”. Strumentale a ciò è il nuovo testo dei primi tre commi dell’art. 46 disp. att. c.p.c., come risultante dalla novella del citato art. 46 operata dall’art. 4, comma 3, lett. b), D.L.vo n. 149/2022: “i processi verbali e gli altri atti giudiziari debbono essere scritti in carattere chiaro e facilmente leggibile. Quando sono redatti in forma di documento informatico, rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Negli altri casi debbono essere scritti in continuazione, senza spazi in bianco e senza alterazioni o abrasioni. Le aggiunte, soppressioni o modificazioni eventuali debbono essere fatte in calce all'atto, con nota di richiamo senza cancellare la parte soppressa o modificata”. I requisiti della chiarezza e della sinteticità sono poi riaffermati -invero in modo ridondante e pletorico, attesa la previsione generale nella sede materiae di cui all’art. 121 c.p.c. -in sede di novella della disciplina dei requisiti di specifici atti processuali. Ad es.: art. 163 n. 4 c.p.c. con riguardo all’atto di citazione, in ordine ai requisiti descrittivi della causa petendi nel rito ordinario di cognizione; art. 281 undecies, comma 1, c.p.c. con riguardo al ricorso, in ordine ai requisiti descrittivi della causa petendi nel rito semplificato di cognizione; art. 473 bis.12, lett. e), c.p.c. con riguardo al ricorso, in ordine ai requisiti descrittivi della causa petendi nel rito speciale in materia di persone, minorenni e famiglie; art. 167 c.p.c. con riguardo alla comparsa di costituzione e risposta, in ordine alla esposizione delle difese nel rito ordinario di cognizione; art. 282 undecies, comma 3, c.p.c. con riguardo alla comparsa di risposta in ordine alla esposizione delle difese nel rito semplificato di cognizione; gli artt. 342, comma 1, e 434, comma 1, c.p.c. con riguardo all’atto di appello rispettivamente nel rito ordinario e nel rito lavoro -in ordine ai requisiti descrittivi dei motivi in appello; l’art. 366 c.p.c. con riguardo al ricorso per cassazione in ordine alla esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione. Qualsivoglia atto processuale, sia di parte sia del giudice deve avere i requisiti estrinseci della chiarezza e della sinteticità. La chiarezza implica, in base al significato corrente, lucidità, ordine, evidenza, comprensibilità, intelligibilità. La chiarezza -prima che un requisito RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 formale estrinseco dell’atto -è un requisito ontologico e funzionale degli atti processuali. La chiarezza dell’atto -nell’ordinamento giuridico italiano -implica altresì l’utilizzo normale della lingua italiana, potendosi ricorrere ad espressioni in lingua straniera solo se di uso comune (arg. ex art. 7, comma 2, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il testo unico in materia di documentazione amministrativa). Come tale, la chiarezza è contrapposta alla confusione, all’ambiguità, alla tortuosità. La sinteticità equivale, sempre alla stregua del significato comune, a concisione, stringatezza, essenzialità sulle questioni rilevanti. La sinteticità non implica necessariamente brevità dell’atto; può venire in rilievo un atto -ad esempio un atto di appello in un giudizio con numerose parti, con svariate questioni pregiudiziali e/o preliminari e complessità nel merito con cumulo di domande -nel quale necessariamente il contenuto è “lungo” e non “breve”. Inoltre la sinteticità trova il suo limite nella inintelligibilità: se la sinteticità conduce ad un atto “oscuro”, non chiaro sulle questioni rilevanti, occorre integrare i dati rappresentativi affinché l’atto sia reso intelligibile al destinatario. Eraclito, campione della concisione, non a caso era definito “l’oscuro”. Anche la sinteticità, come la chiarezza, è un requisito ontologico e funzionale degli atti processuali. Per gli atti di parte, Calamandrei ammoniva: “La brevità delle difese scritte ed orali (noi avvocati non riusciamo mai ad impararlo!) è forse il mezzo più sicuro per vincere le cause”; il grande giurista consigliava altresì: “ricordati che la brevità e la chiarezza sono le due doti che il giudice ama nel discorso dell’avvocato”. Al fine di stimolare la redazione di atti sintetici, si è introdotta la previsione di limiti massimi dimensionali degli atti processuali, a mezzo del novellato comma 4 dell’art. 46 disp. att. c.p.c. che così enuncia: “il ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell'intestazione e delle altre indicazioni formali dell'atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell'atto stesso. il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale”. tanto sul modello già operante per il processo amministrativo, costituito dall’art. 13 ter delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (c.p.a.), il cui primo comma enuncia: “al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i princìpi di sinteticità e chiarezza di cui all'articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato […]”. ContRIButI DI DottRInA All’evidenza, viene introdotta -in modo formale -nel codice di procedura civile la previsione espressa di un requisito estrinseco degli atti. Previsione espressa già esistente nel processo amministrativo, con l’art. 3, comma 2, c.p.a. secondo cui “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”. norma analoga vi è nel processo contabile: “il giudice, il pubblico ministero e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica” (art. 5 D.L.vo 26 agosto 2016, n. 174, recante il codice di giustizia contabile). Pervero, il requisito della sinteticità già era stato introdotto nel sistema, con la prescrizione di cui all’art. 16 bis, comma 9 octies, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. L. 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui: “Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica” (articolo poi abrogato dall’art. 11 D.L.vo n. 149/2022, all’esito della rivisitazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico come si illustrerà di seguito). Il mancato rispetto dei requisiti della chiarezza e sinteticità determina varie conseguenze pregiudizievoli. Perché un atto realizzi la sua funzione il suo contenuto deve essere, intuitivamente, chiaro. ove l’atto non sia chiaro le conseguenze possono essere: a) la inammissibilità se l’atto sia inintelligibile; ciò in quanto si determina una assoluta incertezza dei requisiti intrinseci del ricorso; b) la riduzione della sua efficacia giuridica, se l’atto sia parzialmente inintelligibile. La sinteticità attiene al modo di esporre. L’atto non conciso, quindi ridondante, inevitabilmente vede ridotta la propria capacità persuasiva e argomentativa. La mancanza di sinteticità non determina, di per sé sola, la inammissibilità o altra invalidità, a meno che non renda incomprensibile il contenuto dell’atto nei punti essenziali, ossia in ordine alle personae, al petitum e alla causa petendi; in tale evenienza, la conseguenza è sempre la inammissibilità dell’atto. A fronte dell’atto non chiaro e/o non sintetico, non determinante conseguenze invalidanti, vi può essere comunque la conseguenza spiacevole della condanna alle spese in capo alla parte che ha redatto un atto che supera la ragionevole dimensione o che sia non chiaro. tanto è previsto espressamente nel processo amministrativo, con l’art. 26, comma 1, c.p.a. La condanna alle spese per tale ragione è operante anche nel processo civile, con l’applicazione degli artt. 88, comma 1, e 92, comma 1, c.p.c. L’art. 92, comma 1, c.p.c. recita: “il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente [condanna alle spese in applicazione della regola della soccombenza], […] può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88, essa ha causato all'altra parte”. L’art. 88, comma 1, c.p.c. dispone: “Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 con lealtà e probità”. All’evidenza, la redazione di atti non chiari e non sintetici integra una condotta violativa del principio di lealtà processuale, atteso che la chiarezza e la concisione attengono alla piena attuazione del contraddittorio e alla piena funzionalità del diritto di difesa. Quanto ricostruito è confermato dal novellato comma 5 dell’art. 46 disp. att. c.p.c. enunciante che “il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo”. Ben più radicale è la disciplina, sul punto, nel processo amministrativo, ove il comma 5 dell’art. 13 ter delle norme di attuazione al c.p.a., statuisce “il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”. 8. Udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza (udienza c.d. telematica) ed udienza sostituita dal deposito di note scritte (udienza c.d. cartolare). La novella, come anticipato innanzi sui contenuti generali della riforma, recepisce, innovazioni procedimentali e misure organizzative sorte per contrastare l'emergenza epidemiologica da CovID-19 nel biennio 2020-2021. tanto a partire dall’art. 83 D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. L. 24 aprile 2020, n. 27 -con un percorso proseguito con l’art. 221 D.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. L. 17 luglio 2020, n. 77 e con l’art. 23 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. L. 18 dicembre 2020, n. 176 - con a) la previsione dello svolgimento delle udienze civili mediante collegamenti da remoto, ove non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice b) e la sostituzione dello svolgimento delle udienze civili mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice, sempre ove non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti. Le descritte misure hanno suscitato, specie nella fase iniziale, censure, sotto l’aspetto del vulnus al diritto di difesa. Ad esempio, la previsione del- l’udienza da remoto ha sollevato le critiche di parte dell’Avvocatura: l’unione nazionale delle Camere Civili ha avuto modo di affermare che “l'udienza civile è un momento di discussione e confronto, smaterializzarla è un rischio serio e grave per i diritti dei cittadini”. La novella è contenuta negli artt. 127 bis e 127 ter c.p.c. L’art. 127 bis, rubricato “udienza mediante collegamenti audiovisivi”, così dispone: “Lo svolgimento dell'udienza, anche pubblica, mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la ContRIButI DI DottRInA presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l'udienza si svolga in presenza. il giudice, tenuto conto dell'utilità e dell'importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza, provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l'udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. in tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al secondo comma possono essere abbreviati”. L’art. 127 ter, rubricato “Deposito di note scritte in sostituzione del- l'udienza”, così dispone: “L'udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l'udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. Con il provvedimento con cui sostituisce l'udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note. Se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato il giudice assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza. Se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all'udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo. il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti”. Le novità introdotte con gli artt. 127 bis e 127 ter c.p.c., all’evidenza, sono funzionali all’efficienza, efficacia ed economicità del processo e rispettose del diritto di difesa. Queste disposizioni hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai procedimenti giurisdizionali instaurati succes RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 sivamente a tale data (diversamente dalle restanti disposizioni che hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023). Il successivo comma 14 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022, nell’ambito del giudizio di cognizione, consente che a mezzo del deposito di note sia raccolto il giuramento del C.t.u. Difatti all’art. 193 c.p.c., dopo il primo comma viene aggiunto un nuovo comma per il quale in luogo della fissazione dell'udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d'ufficio il giudice può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento; con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall’art. 195, comma 3, c.p.c. 9. Disposizioni contenenti misure manutentive della disciplina della notificazione. tali disposizioni sono contenute nel comma 11 dell’art. 3 del D.L.vo n. 149/2022, con la finalità di rendere mezzo ordinario di notificazione la posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato. Inoltre con disposizione chiarificatrice rispetto a quella contenuta nell’art. 16 septies D.L. n. 179/2012, conv. L. n. 221/2012 (articolo poi abrogato dall’art. 11 D.L.vo n. 149/2022, all’esito della rivisitazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico), all’art. 147 c.p.c. -relativo al tempo delle notificazioni, che così statuisce: “Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21” -aggiunge gli ulteriori due commi secondo cui: “Le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato possono essere eseguite senza limiti orari. Le notificazioni eseguite ai sensi del secondo comma si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Se quest'ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, la notificazione si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7”. 10. modificazione del contenuto-forma dell’atto di citazione e aumento del termine per comparire e del termine per la costituzione tempestiva del convenuto. Il comma 3 dell’art. 163 c.p.c. viene così modificato: -dopo il numero 3) viene inserito il n. 3 bis) per il quale l’atto di citazione deve contenere altresì l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; -al numero 4), la descrizione della causa petendi, ossia dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni, deve essere effettuata “in modo chiaro e specifico”; -il numero 7), relativo alla vocatio in ius, è così sostituito: “l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel ContRIButI DI DottRInA termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata [in luogo del precedente termine di venti giorni prima] ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi del- l'articolo 168-bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”. novellando inoltre l’art. 163 bis c.p.c., il termine a comparire è stato portato da novanta a centoventi; novellando poi l’art. 166 c.p.c. il termine per la costituzione tempestiva del convenuto è passato a settanta giorni prima del- l'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, rispetto a quello previgente di venti giorni. All’evidenza, per semplificare ed accelerare la durata dei processi il legislatore aumenta di almeno trenta giorni la durata del processo rispetto al regime previgente (in corrispondenza dell’aumento del termine per comparire). La doppia novella -aumento del termine per comparire ed aumento del termine per la costituzione tempestiva del convenuto -dovrebbe essere funzionale allo svolgimento delle verifiche preliminari da parte del giudice, ma di ciò è lecito dubitare per quanto si dirà di seguito. 11. Verifiche preliminari funzionali alla corretta instaurazione del contraddittorio e definizione dell’oggetto del giudizio (con la fissazione definitiva delle domande e delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio) e delle richieste istruttorie. Le verifiche preliminari del giudice trovano disciplina negli artt. 171 bis e 171 ter c.p.c. introdotti nel codice, mediante una operazione di trapianto delle disposizioni già contenute nell’art. 183 c.p.c. -inerente alla prima comparizione delle parti e trattazione della causa -nel contenitore costituito dai nuovi artt. 171 bis e 171 ter c.p.c. Con questa novella le verifiche funzionali alla corretta instaurazione del contraddittorio e alla fissazione definitiva delle domande, delle eccezioni in senso stretto e delle richieste istruttorie -che nel regime preesistente erano effettuate (o, con riguardo alla fissazione definitiva, potevano essere effettuate fino) alla udienza di prima comparizione e trattazione della causa -vengono anticipate nel periodo antecedente la prima udienza. Giusta l’art. 171 bis (rubricato “verifiche preliminari”): “Scaduto il termine di cui all'articolo 166, [ossia al 69° giorno prima dell’udienza di comparizione] il giudice istruttore, entro i successivi quindici giorni, [ossia nel periodo compreso tra il 69° e il 54° prima dell’udienza di comparizione] verificata d'ufficio la regolarità del contraddittorio, pronuncia, RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 quando occorre, i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292, e indica alle parti le questioni rilevabili d'ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. Tali questioni sono trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all'articolo 171-ter [vi è la trasposizione, nella sostanza, del vecchio comma 1 e di parte del vecchio comma 4 dell’art. 183 c.p.c.]. Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall'articolo 171-ter [vi è la trasposizione, nella sostanza, del vecchio comma 2 dell’art. 183 c.p.c.]. Se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall'articolo 171-ter. il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria”. Giusta l’art. 171 ter (rubricato “Memorie integrative”): “Le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 1) almeno quaranta giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l'attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta; [vi è la trasposizione -cum grano salis -del vecchio comma 5 e del vecchio comma 6, n. 1 dell’art. 183 c.p.c.] 2) almeno venti giorni prima dell'udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali; [vi è la trasposizione -cum grano salis -del vecchio comma 6, n. 2 dell’art. 183 c.p.c.] 3) almeno dieci giorni prima dell'udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria” [vi è la trasposizione -cum grano salis -del vecchio comma 6, n. 3 dell’art. 183 c.p.c. e la previsione delle repliche alle eccezioni nuove]. L’istituto delle verifiche e della definizione dell’oggetto del giudizio e delle richieste istruttorie in una fase precedente alla prima udienza è senz’altro una misura di razionalizzazione. Criticabile della novella sul punto è l’irragionevole aumento del termine a comparire in uno all’irragionevole aumento del termine di costituzione tem ContRIButI DI DottRInA pestiva del convenuto per consentire al giudice lo svolgimento delle verifiche ex art. 171 bis c.p.c. verifiche che nel regime precedente erano eseguite in udienza, mentre con la novella sono concessi quindici giorni: per fare tali verifiche basta poco, potevano essere -ragionevolmente -previsti tre giorni per il loro svolgimento. All’evidenza -rispetto al regime precedente -sono dilatati i termini ordinatori del giudice e ridotti i termini perentori per le parti (espressamente qualificati come tali nell’incipit dell’art. 171 ter c.p.c.). Il giudice deve rispettare il termine di quindici giorni ex art. 171 bis c.p.c. per le verifiche preliminari, atteso che diversamente viene messa in crisi la sequenza dei termini 40/20/10 ex art. 171 ter. Ma se -in ipotesi -non rispetta il detto termine di quindici giorni, i termini 40/20/10 comunque devono essere concessi alle parti con un nuovo dies a quo e quindi con lungaggini del procedimento. In disparte poi alla irragionevolezza della previsione ex art. 171 bis, comma 3, c.p.c. secondo cui se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall'articolo 171 ter. All’evidenza, non vi è alcuna ragione per la quale al giudice è data la facoltà di differire udienza. ossia tale differimento non è funzionale a nulla. Le parti -con il vecchio art. 183, commi 5 e 6, c.p.c. -avevano ottanta giorni dalla prima udienza per svolgere le attività integrative che nel nuovo regime di cui all’art. 171 ter c.p.c. devono svolgere in termini compressi. Si conferma, all’evidenza, il dato rilevato da Cipriani secondo cui il processo viene costruito dai conditores dal punto di vista del giudice e non dal punto di vista delle parti. Il che non va: è come se l’ospedale fosse gestito in base alle esigenze dei medici, anziché in base alle necessità del paziente. 12. Snellimento della udienza per la prima comparizione delle parti e trattazione della causa. Il nuovo testo dell’art. 183 c.p.c. -prosciugato, rispetto al testo precedente, delle attività preliminari da svolgere nel periodo antecedente la prima udienza secondo la disciplina degli artt. 171 bis e 171 ter c.p.c. -connota con caratteri di snellezza la comparizione delle parti e trattazione della causa. Questa la disciplina: “all'udienza fissata per la prima comparizione e la trattazione le parti devono comparire personalmente. La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi dell'articolo 116, secondo comma [si traspone quanto previsto nell’art. 420, comma 1, c.p.c. per il rito del lavoro]. Salva l'applicazione dell'articolo 187, il giudice, se autorizza l'attore a chiamare in causa un terzo, fissa una nuova udienza a norma dell'articolo 269, terzo comma. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione a norma dell'articolo 185. Se non provvede ai sensi del secondo comma il giudice provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse. L'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova ammessi è fissata entro novanta giorni. Se l'ordinanza di cui al primo periodo è emanata fuori udienza, deve essere pronunciata entro trenta giorni. Se con l'ordinanza di cui al quarto comma vengono disposti d'ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del quarto comma ultimo periodo”. All’evidenza, svolte le attività preliminari di cui agli artt. 171 bis e 171 ter c.p.c., l’udienza per la prima comparizione delle parti e trattazione della causa diviene una udienza con scambio di cioccolattini: chiariti i dubbi residui, se non occorre attività istruttoria la lite è pronta per essere avviata sui binari della decisione, diversamente viene fissato il calendario del processo cadenzando - nei limiti del prevedibile - la futura attività istruttoria. 13. Definizione semplificata del giudizio a mezzo di ordinanza. nel tentativo di accelerare i tempi del giudizio la novella prevede che allorché non sia necessaria attività istruttoria (essendo sufficiente quanto già raccolto) e le ragioni sul merito del contendere siano chiare (manifestamente fondate o manifestamente infondate), il giudizio può definirsi con ordinanza. tanto ha condotto alla previsione dei nuovi artt. 183 ter e 183 quater c.p.c. Giusta l’art. 183 ter (rubricato “ordinanza di accoglimento della domanda”): “Nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado può pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda quando i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate. in caso di pluralità di domande l'ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte. L'ordinanza di accoglimento è provvisoriamente esecutiva, è reclamabile ai sensi dell'articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell'articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. ContRIButI DI DottRInA L'ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata”. Giusta l’art. 183 quater (rubricato “ordinanza di rigetto della domanda”): “Nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all'esito dell'udienza di cui all'articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all'articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l'ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell'esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163. in caso di pluralità di domande l'ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte. L'ordinanza che accoglie l'istanza di cui al primo comma è reclamabile ai sensi dell'articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell'articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. L'ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata”. Atteso il tenore delle disposizioni, le ordinanze in esame possono essere adottate solo in un giudizio, avente ad oggetto diritti disponibili, tra parti costituite. Sicché -specie con riguardo alle ordinanze di accoglimento -si mantiene il valore neutro della contumacia. Queste ordinanze -attesa la loro funzione acceleratoria dei tempi del processo -hanno quale sfondo la circostanza della non necessità di attività istruttoria (ossia un processo, al più, documentale, ove non occorre l’acquisizione di prove costituende). Dal tenore letterale delle disposizioni, però, le ordinanze di accoglimento possono essere adottate nel corso di tutto il giudizio di primo grado, sicché il requisito che i fatti costitutivi siano provati può essere conseguito anche al termine della istruttoria, al termine dell’acquisizione della testimonianza o di altre prove costituende. Invece, le ordinanze di accoglimento obbediscono alla ratio della decisione immediata e sollecita, perché possono essere adottate nel corso del giudizio di primo grado all'esito dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., senza alcun ulteriore prosieguo per l’istruttoria. Le ordinanze in esame -di accoglimento e di rigetto della domanda -si aggiungono a quelle già previste negli artt. 186 bis (ordinanza per il pagamento di somme non contestate) e 186 quater (ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione) c.p.c. e la loro adozione presuppone, in via espressa, l’istanza RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 della parte interessata. Con le stesse viene definito il merito del giudizio di primo grado con un provvedimento inidoneo a passare in giudicato ex art. 2909 c.c., sicché le domande potrebbero essere nuovamente proposte in un futuro e distinto giudizio. Difatti, per i caratteri delineati dalla novella, l’ordinanza di accoglimento della domanda ha il regime delle ordinanze cautelari di accoglimento (artt. 669 octies, commi 7 e 9, e 669 terdecies c.p.c.), mentre l’ordinanza di rigetto della domanda ha il regime delle ordinanze cautelari di rigetto (artt. 669 septies e 669 terdecies c.p.c.). Qual è l’utilità delle ordinanze in esame? unicamente quella di definire il giudizio con ordinanza in luogo della sentenza. Quindi, snellire il lavoro del giudicante nella confezione dell’atto definitorio del giudizio, atteso il più rigoroso contenuto della sentenza (art. 132 c.p.c.) rispetto all’ordinanza (art. 134 c.p.c. che è “succintamente motivata”). non può dirsi che -con riguardo alle ordinanze di accoglimento, adottabili, oltre che sul presupposto che i fatti costitutivi siano provati, sul presupposto che “le difese della controparte appaiono manifestamente infondate”che la definizione a mezzo di ordinanza consentirebbe una istruzione sommaria, del tipo cautelare. Il testo secondo cui “le difese della controparte appaiono manifestamente infondate” implica -all’evidenza -che nello specifico stadio in cui si esamina il materiale deduttivo e istruttorio questo conduce ad un giudizio di infondatezza delle pretese della controparte, anche alla stregua delle regole sull’onere della prova ex art. 2697 c.c. Avranno successo queste ordinanze? non abbiamo capacità predittiva, ma può prevedersi che le ordinanze in esame non verranno richieste dalle parti, le quali -di solito -desiderano munirsi di un titolo che metta la parola fine sulla vicenda. È difficile che una parte -arrivata la lite ad un punto nel quale comunque essa lite deve essere decisa -chieda l’adozione di una ordinanza in luogo della normale sentenza (ordinanza che una volta pronunciata consentirebbe alla controparte la riproposizione delle sue ragioni). In condizioni omologhe, nel processo amministrativo, il giudizio è definito con sentenza, semplificata sì, ma comunque sentenza. vuol farsi riferimento all’art. 74 c.p.a. secondo cui “Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”. Le disposizioni in esame sono spia della circostanza che il legislatore in nome della celerità del processo -consente l’adozione di atti non funzionali alla chiusura definitiva della res litigiosa. Arrivati a questo punto -ci si chiede -perché non prevedere allora provvedimenti definitori con la motivazione solo se richiesta (la rinuncia alla motivazione è consentita invero nel processo te ContRIButI DI DottRInA desco, con il § 313a Zivilprozessordnung), oppure provvedimenti adottati dal computer mediante algoritmi nell’ambito della giustizia predittiva o finanche -passando dal serio al faceto -a mezzo di sorteggio come nel Bridoye di Rabelais che decideva le cause tirando a sorte con i dadi. 14. Semplificazione (apparente) della rimessione della causa per la decisione. L’art. 189 c.p.c. è stato così novellato: -il giudice istruttore, allorché la causa sia matura per la decisione, senza necessità di istruttoria o esaurita l'istruzione, fissa davanti a sé l'udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione; -in vista di questa udienza le parti possono depositare atti, entro una triplice cadenza, con i quali -rispettivamente -precisare le conclusioni, redigere comparse conclusionali, redigere memorie di replica. In dettaglio si prevede che il giudice istruttore, allorché fissa davanti a sé l'udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione “assegna alle parti, salvo che queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 171-ter. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dell'articolo 187, secondo e terzo comma; 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima del- l'udienza per il deposito delle memorie di replica”. -all'udienza fissata davanti a sé la causa è rimessa al collegio per la decisione. Rispetto alla disciplina precedente è eliminata la udienza dedicata specificamente alla precisazione delle conclusioni e gli atti illustrativi (comparse conclusionali e memorie di replica) vanno depositati prima e non dopo che la causa è rimessa in decisione. La novella, all’evidenza, è del tutto innocua. viene, difatti mantenuta del tutto inutilmente rispetto alla funzionalità del processo -una udienza ad hoc quale filtro per la decisione nella quale, in sostanza, non si fa niente: come dire, un’udienza per i saluti finali. Altra doveva essere la disposizione per garantire la funzionalità del processo. occorreva: - eliminare la previsione di questa udienza filtro per la decisione; -prevedere che il triplice termine di cui all’art. 189 c.p.c. decorre allorché la causa è matura per la decisione. ossia, già (potenzialmente) alla prima udienza ove non sia necessaria attività istruttoria oppure esaurita l'istruzione (soddisfatto il calendario del processo). Avere mantenuto una udienza filtro tradisce la cattiva coscienza dei conditores: consentire al giudice -in base al RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 suo personale scadenziere -di graduare la rimessione delle cause in decisione e decidere secondo i suoi tempi la causa. Continueremo quindi a vedere cause nelle quali l’udienza ultima (vecchia udienza di precisazione delle conclusioni) è fissata ad anni dalla precedente. 15. inserimento -quale giusta sedes materiae -del processo sommario di cognizione (ridenominato “procedimento semplificato di cognizione”) nel secondo libro del codice di rito e sua scelta quale atto introduttivo nei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace. Con la novella del 2009, il legislatore ha previsto, in alternativa al rito ordinario di cognizione dinanzi al tribunale in composizione monocratica, la fruizione del procedimento sommario di cognizione. L’obiettivo perseguito era quello di rendere più agile l’ordinario “percorso” processuale nell’implicito presupposto che si è in presenza di una controversia di natura “semplice”. Il rito sommario consente infatti già all’udienza di comparizione di decidere controversie ad istruttoria assente o semplificata come quelle: a) di mero diritto; b) che non presentano fatti controversi in quanto pacifici o non contestati o nelle ipotesi di riconoscimento della domanda; c) che presentano fatti dimostrabili solo con prove precostituite (documenti, presunzioni, etc.); d) che pur presentando fatti controversi richiedano prove costituende non complesse con il loro esaurimento in un tempo ragionevolmente breve; e) che costituiscano merito di un precedente provvedimento cautelare, anticipatorio o conservativo, in quanto le parti già conoscono le rispettive posizioni processuali. Con il procedimento sommario di cognizione viene conferito al giudice il potere discrezionale di dettare -attesi i connotati della specifica controversia -i tempi del procedimento, individuando le forme più adatte alla causa. Ciò in armonia con l’esigenza che il principio della “trattazione con giustizia” implichi che le controversie siano definite in modo proporzionato all’ammontare del valore in contesa, all’importanza del caso, alla complessità delle questioni coinvolte ed alla posizione finanziaria di ciascuna delle parti, ed implichi così che a ciascuna lite venga destinata una parte adeguata delle risorse del “sistema giudiziario”, tenendo presente la necessità di riservare una altrettanto adeguata porzione di risorse a tutte le altre controversie che richiedano l’intervento giudiziale. Modelli in tal senso hanno trovato attuazione in sistemi processuali stranieri. Le CPR inglesi consentono al giudice di scegliere tra diversi tracks, con un livello crescente di articolazione delle forme procedimentali (small claim tracks e multi tracks) in funzione del valore della controversia e della sua complessità. Analoghi sono i poteri che l’ordinamento francese attribuisce al Presidente del tribunale che, in relazione alla complessità della causa, può scegliere se la causa deve essere trattata secondo il circuit cort (applicabile ContRIButI DI DottRInA alle cause che sembrano pronte per essere decise), il circuit moyen (rito intermedio senza la nomina di un giudice istruttore), o il circuit long (che prevede la nomina del juge de al mise en ètat, affinchè provveda all’istruttoria). L’allocazione del procedimento sommario di cognizione -nel 2009 -si è avuta, con l’inserimento del capo III bis (artt. 702 bis, 702 ter e 702 quater c.p.c.) nel titolo I del quarto libro del codice di rito, dedicato ai procedimenti sommari. Allocazione infelice, atteso che il procedimento sommario di cognizione è una modalità del rito ordinario adattata alla qualità (non complessa) della controversia. Dopo oltre dieci anni, il legislatore della attuale novella corregge l’infortunio e provvede ad allocare nella giusta sede il rito in esame, ossia nel libro secondo, con l’introduzione del Capo III quater nell’ambito del titolo I relativo al “procedimento davanti al tribunale”, abrogando -a mezzo del comma 48 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 -il capo III bis del titolo I, Libro Iv del codice di procedura civile. Il Capo III quater -strutturato negli artt. 281 decies, 281 undecies, 281 duodecies, e 281 terdecies c.p.c. -è la trasposizione, riveduto e corretto, del procedimento sommario di cognizione previsto negli originari artt. 702 bis 702 quater c.p.c. i quali vengono, di conseguenza, abrogati. L’art. 281 decies -nel delineare l’ambito di applicazione del procedimento semplificato di cognizione -enuncia: “Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato”. Rispetto alla vecchia disciplina numerosi sono i miglioramenti: -in primo luogo vi è l’enunciazione espressa dei casi in cui è fruibile il procedimento in esame, ossia: a) quando i fatti di causa non sono controversi; b) oppure quando la domanda è fondata su prova documentale o è di pronta soluzione; c) o quando la domanda richiede un'istruzione non complessa. Questo non era enunciato con il vecchio procedimento sommario di cognizione. Come visto sopra, tuttavia ciò era implicito nel sistema. L’enunciazione espressa però giova alla chiarezza; -inoltre, l’alternativa al rito ordinario di cognizione è totale: il rito in esame è fruibile non solo per le controversie trattate dal tribunale in composizione monocratica (come previsto dall’art. 702 bis c.p.c.), ma anche per quelle trattate dal tribunale in composizione collegiale, come confermato dal novello art. 281 terdecies c.p.c. L’art. 281 undecies regola la forma della domanda e costituzione delle parti, mantenendo -nella sostanza -l’impianto del preesistente art. 702 bis c.p.c. L’art. 281 duodecies regola il procedimento, migliorando in parte -ma RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 appesantendone l’impianto informale e snello -quanto prescritto nel preesistente art. 702 ter c.p.c. Questa la disciplina: “alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l'udienza di cui all'articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall'articolo 171-ter. Nello stesso modo procede quando, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario. Entro la stessa udienza l'attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Se procede ai sensi del primo comma il giudice provvede altresì sulla autorizzazione alla chiamata del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma dell'articolo 281-undecies. alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria. Se non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma e non ritiene la causa matura per la decisione il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione”. L’art. 281 terdecies regola la decisione del procedimento: “il giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell'articolo 281-sexies. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, procede a norma dell'articolo 275-bis. La sentenza è impugnabile nei modi ordinari”. La disposizione reca innovazioni sostanziali e migliorative rispetto alla disciplina (artt. 702 ter, commi 5, 6 e 7 e 702 quater c.p.c.) del vecchio procedimento sommario di cognizione, atteso che in luogo della ordinanza decisoria impugnabile in termini accelerati la definizione del giudizio si ha con sentenza “impugnabile nei modi ordinari”. ulteriore novità sistematica in ordine al procedimento semplificato di cognizione è che questo è stato scelto -in alternativa al procedimento ordinario di cognizione introdotto dall’atto di citazione -quale rito dinanzi al giudice di pace (beninteso con elementi di specialità, funzionali alla semplificazione tenuto conto della non rilevanza delle controversie). ContRIButI DI DottRInA Il comma 24 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 -novellando l’art. 316 c.p.c. -stabilisce che davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili sostituendo il vecchio sistema della citazione a comparire a udienza fissa. Di conseguenza, il nuovo testo dell’art. 318, comma 1, c.p.c. -regolante il contenuto della domanda -stabilisce che “La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell'articolo 125, che deve contenere, oltre all'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione del suo oggetto”. 16. modificazione dei presupposti e delle modalità della sospensione dell’efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata. novellando i primi due commi dell’art. 283 c.p.c. si è statuito quanto segue: “il giudice d'appello, su istanza di parte proposta con l'impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se l'impugnazione appare manifestamente fondata o se dall'esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti. L'istanza di cui al primo comma può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità”. All’evidenza la sospensione ex art. 283 c.p.c. perde, con la novella, il carattere spiccatamente cautelare del regime precedente nel quale il presupposto della sospensione era costituito dalla sussistenza di “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”, ossia: sussistenza sia del periculum in mora che del fumus boni iuris. Con la novella è consentita la sospensione sussistendo -alternativamente -l’uno o l’altro presupposto. Questa è una buona novella. L’ideale è che la sentenza non sia esecutiva fino alla sua definitività. tuttavia -tenuto conto della lungaggine dei processi e per non pregiudicare il vincitore temporaneo a fronte dell’atteggiamento dilatorio del soccombente che impugna per prendere tempo -nel 1990 si è stabilito, novellando l’art. 282 c.p.c., che “La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”. Con giusto equilibrio, con la novella del 2022, si consente una revisione della esecutività a maglie larghe: sia quando il giudice di primo grado erra manifestamente, sia quando dal- l'esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile al soccombente. Altro aspetto positivo è che la richiesta di sospensione può essere proposta non solo con l’atto di impugnazione, ma anche nel corso del giudizio. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 17. restyling del contenuto-forma dell’atto di appello. L’art. 342 c.p.c. viene sostituito con il seguente testo: “L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell'articolo 163. L'appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in italia e di centocinquanta giorni se si trova all'estero”. All’evidenza, rispetto al vecchio testo, tre sono le novità: a) previsione espressa che i motivi di appello devono essere, a pena di inammissibilità, oltre che specifici, anche chiari sintetici; b) precisazioni in ordine alle tecniche di redazione dei motivi; c) termine a comparire sganciato dalle previsioni del primo grado, atteso che non vi è alcuna attività preliminare come quella prevista, nel primo grado, agli artt. 171 bis e 171 ter c.p.c. 18. Eliminazione della pronuncia di inammissibilità dell’appello quando l’impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Con la novella del 2012 vennero introdotti nel codice gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., ad imitazione di istituti previsti nella procedura tedesca. venne statuito che, fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta; tanto con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. In questa evenienza, pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'art. 360 c.p.c., ricorso per cassazione (così l’art. 348 ter, comma 3, c.p.c.). Il quarto e quinto comma dell’art. 348 ter c.p.c., statuivano infine: “Quando l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360 [comma 4]. La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all'articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado [comma 5]”. La sunteggiata disciplina ha suscitato vari contrasti in dottrina -con notevoli riflessi in giurisprudenza, che ne ha minimizzato l’uso, rispetto ai casi potenziali ai quali la detta disciplina poteva essere applicata -perché consente ContRIButI DI DottRInA di dichiarare inammissibile l'impugnazione quando questa non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. La formulazione espone ad una latissima discrezionalità del giudicante. Che significa “ragionevole probabilità di essere accolta”? Perché introdurre un modello di decisione tipico del giudizio cautelare, quando si è in presenza di un normale giudizio di cognizione? All’evidenza la novella del 2012, introducente gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., è l’ennesima tecnica per deflazionare a colpi di sciabola il contenzioso, il cui conto, però, viene addebitato unicamente alle parti. Per rimediare a questa situazione, il legislatore della riforma -saggiamente -ha rivisto il tutto eliminando la dichiarazione di inammissibilità del- l'impugnazione quando questa non ha una ragionevole probabilità di essere accolta, semplificando l’iter nel caso della possibilità di decidere, anche sul merito, la causa in limine litis, canalizzando la lite nella pronuncia comunque di una sentenza impugnabile nei modi ordinari. tanto è l’effetto dell’abrogazione dell’art. 348 ter c.p.c. e della sostituzione dell’art. 348 bis c.p.c. con la seguente disposizione: “Quando ravvisa che l'impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto previsto dall'articolo 350-bis. Se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale. in mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza”. 19. adeguamento dell’iter alla complessità/semplicità delle problematiche agitate, previsione dell’adozione degli atti difensionali finali prima (e non dopo) l’udienza nella quale la causa è rimessa in decisione, riduzione dei casi di rimessione in primo grado. Con un ritorno all’antico -ossia alla previsione codicistica ante novella del 1950 -si prevede nuovamente la nomina dell’istruttore giusta la previsione dell’art. 349 bis, comma 1, c.p.c.: “Quando l'appello è proposto davanti alla corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l'istruzione della causa”. nella prima udienza, in sede di trattazione -come disciplinata nell’art. 350 c.p.c. pur’esso novellato -dopo le verifiche preliminari (sulla regolarità del contraddittorio, riunione dei giudizi, ecc.), due sono i possibili binari evolutivi: -discussione orale della causa secondo la disciplina contenuta nell’art. 350 bis c.p.c. per i casi, in un certo senso semplici, ossia a) quando il giudice ravvisa che l'impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata (art. 348 bis c.p.c.); b) quando il giudice ravvisa che l'impugnazione è manifesta RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 mente fondata, o comunque quando il giudice lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell'urgenza della causa (art. 350, comma 3, c.p.c.). La sentenza è motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi; -prosieguo, con svolgimento necessario del tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti, eventuale istruttoria (artt. 350 e 352 c.p.c. novellati), e avvio alla decisione o mediante la discussione orale della causa secondo la disciplina contenuta nell’art. 350 bis c.p.c. o con fissazione davanti al giudice istruttore dell'udienza di rimessione della causa in decisione con assegnazione alle parti, salvo che queste non vi rinuncino, dei seguenti termini perentori: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni; 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica. All'udienza la causa è trattenuta in decisione. Davanti alla corte di appello, l'istruttore riserva la decisione al collegio. La sentenza è depositata entro sessanta giorni. Con l’abrogazione dell’art. 353 c.p.c. è stata eliminata -nel caso in cui il giudice di appello riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice -la rimessione al primo giudice nel caso in cui questi abbia declinato la giurisdizione. In questa evenienza -come per gli altri casi in cui dichiara la nullità di atti compiuti in primo grado diversi da quelli per i quali l’art. 354 c.p.c. prevede la rimessione al primo giudice -il giudice d'appello ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell'art. 356 c.p.c. 20. inserimento nell’art. 360 c.p.c. (rubricato: sentenze impugnabili e motivi di ricorso) -quale giusta sedes materiae -del principio della “doppia conforme” quale circostanza limitativa dei motivi di ricorso per cassazione. Con giusto trapianto (dal vecchio art. 348 ter, ultimo comma c.p.c. al nuovo quarto comma dell’art. 360 c.p.c.) si enuncia: “Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4). Tale disposizione non si applica relativamente alle cause di cui all'articolo 70, primo comma [ossia alle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del P.M.]”. Si conferma, quindi, che il ricorso per cassazione non è possibile per il motivo relativo all’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. ContRIButI DI DottRInA 21. rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione. Sulla suggestione di meccanismi presenti nel sistema giurisdizionale dell’unione Europea (rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 t.F.u.E.) e nel sistema interno in materia di contenzioso sul pubblico impiego (art. 64 D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, ma a date condizioni e sullo stimolo di impugnativa di sentenza recante quale unico oggetto la questione pregiudiziale) viene introdotto nel processo civile, a mezzo dell’art. 363 bis c.p.c., il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione. All’uopo si prevede che il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, “quando concorrono le seguenti condizioni: 1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative; 3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi”. L'ordinanza è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione ed è comunicata alle parti. Il procedimento è sospeso dal giorno in cui è depositata l'ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale. Il primo presidente assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l'enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l'inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma. Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nel- l'ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti. Il meccanismo ha l’evidente obiettivo nomofilattico del contenzioso, al fine di far pronunciare su una questione rilevante -da subito -la Corte di cassazione. nel nostro ordinamento, a differenza dell’ordinamento dell’unione Europea e degli ordinamenti di common law, non vale la forza vincolante del precedente giurisdizionale, anche dei giudici di ultimo grado. La Corte di cassazione “quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità, del diritto oggettivo nazionale” (art. 65, comma 1, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 recante norme sull’“ordinamento giudiziario”). La Corte, all’evidenza, orienta il contenzioso in virtù della autorevolezza delle proprie enunciazioni ed altresì per la circostanza che, essendo giudice di ultimo grado, tutte le liti potranno passare al suo vaglio, sicché il suo pensiero -di fatto -pesa. negli ultimi anni, tuttavia -mantenendo invariato il principio della forza non vincolante del precedente della Suprema Corte -sono stati introdotti meccanismi per consolidare, di fatto, il precedente del giudice di legittimità. vuol farsi riferimento, innanzitutto al filtro di cui all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. secondo cui il ricorso in cassazione è inammissibile: RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 “1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. vuol farsi riferimento, altresì all’istituto del “Principio di diritto nell’interesse della legge” ex art. 363 c.p.c. Il nuovo strumento di cui all’art. 363 bis c.p.c. si incanala nei binari ora segnalati sul rafforzamento underground della forza vincolante del precedente della Cassazione. 22. restyling del contenuto-forma del ricorso per cassazione. vengono modificati i nn. 3, 4 e 6 dell’art. 366 c.p.c., sicché l’attuale testo del comma 1 dell’articolo è il seguente: “il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti; 2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata; 3) la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso [in precedenza: l'esposizione sommaria dei fatti della causa]; 4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano [in precedenza: i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano]; 5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; 6) la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l'illustrazione del contenuto rilevante degli stessi [in precedenza: la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda]”. 23. revocazione straordinaria per contrasto accertato dei giudicati dell’a.G.o. con la CEDU. Il nuovo terzo comma dell’art. 362 c.p.c. anticipa che “Le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono altresì essere impugnate per revocazione ai sensi dell'articolo 391-quater quando il loro contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli”. Il dettaglio è poi contenuto nella novella di cui all’art. 391 quater c.p.c. il quale così enuncia: “Le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni: 1) la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona; 2) l'equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione. il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ContRIButI DI DottRInA o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa. Si applica l'articolo 391-ter, secondo comma. L'accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea”. La novella prevede che nel caso in cui la Corte europea dei diritti del- l’uomo accerti il contrasto tra un giudicato dei giudici ordinari -compresi, ovviamente, i giudici specializzati -e la CEDu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955 n. 848) è possibile conseguire la revocazione del giudicato. Il giudizio -indipendentemente dalla tipologia del giudice ordinario che ha emanato la decisione passata in giudicato -è centralizzato presso la Corte di Cassazione, in deroga alla regola generale per la quale la revocazione si propone davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398, comma 1, c.p.c., art. 391 bis c.p.c.; art. 391 ter c.p.c.). tanto, deve ritenersi, per il concorso di varie ragioni: complessità degli accertamenti, unità degli orientamenti, doveroso ossequio verso la Corte EDu. Giusta il richiamo al comma 2 dell’art. 391 ter c.p.c., quando pronuncia la revocazione, la Corte decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. L’effetto di questa disciplina è peculiare: nel caso del giudicato con sentenza di primo grado, in un procedimento che prevede il doppio grado di giurisdizione, l’accoglimento della revocazione e la conseguente decisione della causa nel merito -qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto da parte della corte della corte di Cassazione -comporta per le parti la perdita di un grado di giurisdizione. Parti che alcuna causalità hanno avuto nella violazione delle norme CEDu. Come dire: per aggiustare un principio se ne rompe un altro. 24. rivitalizzazione dello strumento codice. Al fine di recuperare la centralità dello strumento “codice” viene inserito nel codice di procedura civile -con il comma 32 dell’art. 3 del D.L.vo n. 149/2022 -un rito in precedenza contenuto in una legge speciale. È il caso delle controversie relative ai licenziamenti, la cui disciplina è stata allocata nel titolo Iv -recante: “Norme per le controversie in materia di lavoro” -del libro secondo, con il Capo I bis (artt. 441 bis -441quater). Di conseguenza è stato abrogato -dall’art. 37 D.L.vo n. 149/2022 -l’art. 1, commi da 47 a 69, L. 28 giugno 2012, n. 92 (prevedente il c.d. rito Fornero in materia di licenziamenti). Al medesimo fine, con la disciplina unitaria del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie allocato nel codice di procedura civile, si è RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 operata -come si evidenzierà nel successivo paragrafo -l’abrogazione della precedente disciplina sul punto contenuta nel codice civile (abrogazione operata dall’art. 1 del D.L.vo n. 149/2022) o in leggi speciali (quali quella sul divorzio, ove l’abrogazione è stata operata dall’art. 27 del D.L.vo n. 149/2022). Sempre al fine della rivitalizzazione del modello codice si è avuto l’inserimento nel codice delle disposizioni in materia di processo civile telematico. tanto a mezzo del comma 12 dell’art. 4 D.L.vo n.149/2022 che ha inserito nelle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, il titolo v ter recante “Disposizioni relative alla giustizia digitale”, le seguenti norme: -art. 196 quater (obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti); -art. 196 quinquies (Dell'atto del processo redatto in formato elettronico); -art. 196 sexies (Perfezionamento del deposito con modalità telemati che); - art. 196 septies (Copia cartacea di atti depositati telematicamente); -art. 196 octies (Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria); -art. 196 novies (Potere di certificazione di conformità di copie di atti e di provvedimenti); -art. 196 decies (Potere di certificazione di conformità delle copie trasmesse con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario); - art. 196 undecies (Modalità dell'attestazione di conformità); - art. 196 duodecies (udienza con collegamenti audiovisivi a distanza). Corrispondentemente -per la parte oggetto della novella -gli artt. 16 bis, 16 septies, 16 decies e 16 undecies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. L. 17 dicembre 2012, n. 221 sono stati abrogati dall’art.11 D.L.vo n. 149/2022. 25. Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. tra le novità più significative della novella vi è la sistematizzazione del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. viene in rilievo un procedimento di cognizione con rito speciale ora allocato nel secondo libro del codice di procedura civile, con l’aggiunta di un titolo (il Iv bis). In precedenza varie controversie in materia di famiglia e di stato delle persone di seguito dettagliate -ora coinvolte nel nuovo procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie -erano trattate in camera di consiglio in sede di volontaria giurisdizione. Queste controversie, per effetto della novella, vedono mutare -ufficialmente e formalmente -la propria natura. Costituiscono, ora, procedimenti di cognizione ancorché con rito speciale, abbandonando la precedente natura di volontaria giurisdizione. Di conseguenza anche l’allocazione topografica della disciplina è mutata: dal libro ContRIButI DI DottRInA quarto (relativo ai procedimenti speciali, sub specie di procedimenti trattati in camera di consiglio in sede di volontaria giurisdizione) al libro secondo (relativo al processo di cognizione). Il comma 33 dell’art. 3 del D.L.vo n. 149/2022, infatti, ha allocato nel libro secondo il novello titolo Iv bis (artt. 473 bis -473 ter c.p.c.) regolante il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. Conseguentemente, il comma 49 dell’art. 3 in esame ha abrogato i Capi I (Della separazione personale dei coniugi), II (Dell’interdizione, dell’inabilitazione e dell’amministrazione di sostegno), III (Disposizioni relative all’assenza e alla dichiarazione di morte presunta), Iv (Disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati), v (Dei rapporti patrimoniali tra i coniugi) e v bis (Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari) del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile. Si è avuta altresì l’abrogazione della precedente disciplina sulla materia, ora regolata nel citato titolo Iv bis del libro secondo del codice di rito civile, contenuta nel codice civile agli artt. 156 commi 4-5-6, 158, 336 bis, 337 octies (abrogazione operata dall’art. 1 del D.L.vo n. 149/2022) o in leggi speciali, come quella sul divorzio, L. 1 dicembre 1970, n. 898 (con abrogazione dei punti rilevanti -ossia: artt. 4, 5 comma 9, 8, 9 comma 1, 10 comma 1 -operata dall’art. 27 del D.L.vo n. 149/2022). tanto è funzionale altresì alla rivitalizzazione del modello codice secondo quanto esposto innanzi nel precedente paragrafo. va precisato che già con la pregressa disciplina i procedimenti relativi alle controversie in materia di famiglia e di stato regolati dai Capi I, II, III, Iv, v e v bis del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile non avevano tutti i connotati caratterizzanti i procedimenti di giurisdizione volontaria. Ciò in quanto nella lite sono spesso coinvolti status, diritti indisponibili. Come è noto i caratteri dei procedimenti di giurisdizione volontaria -secondo i connotati fissati in special modo negli artt. 737-742 c.p.c. -sono, in essenza, i seguenti: ricorso come atto introduttivo, anche da parte del diretto interessato atteso che, di regola, non sussiste l’onere del patrocinio di un difensore (art. 737 c.p.c.); giudice competente è, di norma, il tribunale, in composizione collegiale (art. 50 bis, comma 2, c.p.c.); celerità ed ufficiosità del procedimento (art. 738 c.p.c.); decisione a mezzo di decreto motivato (art. 737 c.p.c.); impugnativa a mezzo di reclamo (artt. 739-740 c.p.c.), atteso che è operante il principio del doppio grado; inidoneità al giudicato, atteso che il decreto può essere in ogni tempo modificato o revocato (art. 742 c.p.c.). non vi è, tecnicamente, un processo di cognizione. Si parla di amministrazione pubblica del diritto privato: dovendosi costituire, modificare, estinguere rapporti giuridici nei quali sono coinvolti interessi particolari (diritti indisponibili, status, interessi legittimi, interessi semplici, ecc.), interviene -in funzione di garanzia per la sua strutturale terzietà -il giudice ordinario, il quale opera RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 non esercitando la funzione giurisdizionale, ma una funzione latamente amministrativa. Come innanzi precisato, i procedimenti relativi alle controversie in materia di famiglia e di stato regolati dai Capi I, II, III, Iv, v e v bis del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile avevano vistose peculiarità, rispetto all’ordinario regime dei procedimenti di giurisdizione volontaria. All’uopo se ne menziona una fra tutte: sentenza quale atto definitorio del giudizio, con stabilità formale. negli ultimi tre decenni, inoltre vari procedimenti formalmente trattati in camera di consiglio -principalmente quelli relativi ai rapporti tra i coniugi ed ai rapporti con i figli -sono stati giurisdizionalizzati, sicché nominativamente erano procedimenti di volontaria giurisdizione, ma in sostanza integravano giudizi di cognizione trattati però in camera di consiglio (senza udienza pubblica) -almeno nella prima fase c.d. presidenziale -con notevoli aspetti di ufficiosità. Portando a compimento, quindi il descritto fenomeno, anche in via formale, si è sancito il carattere di processo di cognizione dei procedimenti in esame. La disciplina de qua contiene un micro-codice che si dipana per settantatre articoli. Il titolo Iv bis è composto da quattro capi: a) Capo I (artt. 473 bis - 473 bis.10), recante “Disposizioni generali”. Il procedimento in esame si applica alle controversie relative allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente e con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'unione europea (così l’art. 473 bis c.p.c.). Il tribunale giudica in composizione collegiale (art. 473 bis.1 c.p.c.), con notevoli poteri ufficiosi attesi gli interessi indisponibili coinvolti nella vicenda (art. 473 bis.2 c.p.c.). b) Capo II (artt. 473 bis.11 -473 bis.39 c.p.c.), rubricato “Del procedimento”. La domanda si propone con ricorso depositato al giudice competente, sia in primo grado (art. 473 bis.12 c.p.c.), sia in sede di impugnazione (art. 473 bis.30 c.p.c.). L’art. 473 bis.18 enuncia il dovere di leale collaborazione: “il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell'articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell'articolo 92 e dell'articolo 96”. vi è poi una specifica disciplina in ordine all’attuazione dei provvedimenti e in specie sulle garanzie a tutela del credito (art. 473 bis.36 c.p.c.), sul pagamento diretto del terzo (art. 473 bis.37 c.p.c.), sull’attuazione dei prov ContRIButI DI DottRInA vedimenti sull'affidamento del minore e per la soluzione delle controversie in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale (art. 473 bis.38 c.p.c.), sui provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni (art. 473 bis.39 c.p.c.). c) Capo III (artt. 473 bis.40 -473 bis.71 c.p.c.), recante “Disposizioni speciali”. vi è la specialità della specialità. ossia per peculiari vicende -sempre relative allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie -il procedimento delineato nel precedente capo II subisce modifiche per le peculiarità della materia, come ad esempio l’abbreviazione dei termini, il potere del giudice di disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile. vengono in rilievo: -procedimenti inerenti alla violenza domestica o di genere (Sezione I: artt. 473 bis.40 - 473 bis.46); -procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell'unione civile e di regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni (Sezione II: artt. 473 bis.47 -473 bis.51). Questa sezione assorbe -tra l’altro -quanto previsto nel capo I del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 706-711; del relativo procedimento non si dubitava la natura giurisdizionale, essenzialmente l’attitudine a dar luogo al giudicato); -procedimenti di interdizione, di inabilitazione e di nomina di amministratore di sostegno (Sezione III: artt. 473 bis.52 -473 bis.58). Questa sezione assorbe quanto previsto nel capo II del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 712-720 bis; anche in questo caso, non si dubitava che il procedimento in esame avesse le caratteristiche proprie della giurisdizione di cognizione, da inquadrare nella c.d. giurisdizione a contenuto obiettivo); -procedimenti inerenti alla assenza e morte presunta (Sezione Iv: artt. 473 bis.59 -473 bis.63). Questa sezione assorbe quanto previsto nel capo III del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 721-731; anche in questa evenienza, non si dubitava che il procedimento in esame avesse le caratteristiche proprie della giurisdizione di cognizione); -provvedimenti relativi a minori interdetti e inabilitati (Sezione v: artt. 473 bis.64 -473 bis.66). Questa sezione assorbe quanto previsto nel capo Iv del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 732-734); -procedimenti inerenti i rapporti patrimoniali tra coniugi (Sezione vI: artt. 473 bis.67 -473 bis.68). Questa sezione assorbe quanto previsto nel capo v del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 735-736); -procedimenti inerenti agli ordini di protezione contro gli abusi familiari. (Sezione vII: artt. 473 bis.69 -473 bis.71). Questa sezione assorbe ed implementa quanto previsto nel capo v bis del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (art. 736 bis). RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 26. modifiche al terzo libro del Codice di procedura civile (soppressione della spedizione in forma esecutiva; vendita diretta nella espropriazione immobiliare). Il contenuto delle modifiche al terzo libro del codice è prevalentemente manutentivo. Si è avuta la soppressione della spedizione in forma esecutiva dell’atto da mettere in esecuzione -denunciata dalla dottrina come un vuoto formalismo -sicché l’art. 475 c.p.c. è stato sostituito dal seguente: “Le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell'autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, ai sensi dell'articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o per i suoi successori, devono essere rilasciati in copia attestata conforme all'originale, salvo che la legge disponga altrimenti”. viene, tra l’altro, interamente riscritto ed implementato il contenuto degli artt. 492 bis (Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), 591 bis (Delega delle operazioni di vendita dei beni immobili pignorati), 596 (Formazione del progetto di distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni immobili pignorati) e 614 bis (Misure di coercizione indiretta) c.p.c. Si è introdotto -nell’ambito della espropriazione immobiliare -l’istituto della vendita diretta a mezzo dei nuovi artt. 568 bis (vendita diretta) e 569 bis c.p.c. (Modalità della vendita diretta). trattasi di misura diretta a semplificare l’iter della alienazione del bene pignorato, assicurando comunque un minimo garantito al ceto creditorio. In sintesi: si prevede che il debitore -prima che vengano adottati provvedimenti autorizzativi della vendita -può chiedere al giudice dell'esecuzione di disporre la vendita diretta dell'immobile pignorato o di uno degli immobili pignorati per un prezzo non inferiore al valore indicato nella relazione di stima di cui all'art. 173 bis, comma 3, d.a.c.p.c. A pena di inammissibilità, unitamente all'istanza deve essere depositata in cancelleria l'offerta di acquisto (di un terzo offerente, intuitivamente stimolato dal debitore), nonché una cauzione non inferiore al decimo del prezzo offerto. L'istanza e l'offerta sono notificate a cura dell'offerente o del debitore almeno cinque giorni prima dell'udienza ex art. 569 c.p.c. fissata per l’adozione dei provvedimenti autorizzativi della vendita al creditore procedente, ai creditori ex art. 498 c.p.c. e a quelli intervenuti prima del deposito dell'offerta medesima. In assenza di opposizione dei creditori, il giudice dell’esecuzione aggiudica l'immobile all'offerente. 27. modifiche al quarto libro del Codice di procedura civile (innovazioni nel giudizio arbitrale). Le modifiche al quarto libro del Codice di procedura civile, consistono essenzialmente -in importanti innovazioni al giudizio arbitrale nel solco del ContRIButI DI DottRInA l’orientamento legislativo dell’ultimo quarantennio -a partire dalla L. 9 febbraio 1983, n. 28 -mirante ad assimilare per quanto più possibile il giudizio arbitrale a quello giurisdizionale. Si richiamano, in particolare, tre aspetti: -“La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale” (art. 816 bis.1 c.p.c.); -possibilità della adozione di provvedimenti cautelari: “Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva” (art. 818 comma 1). In questa evenienza “Contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, per i motivi di cui all'articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà al- l'ordine pubblico” (art. 818 bis c.p.c.). L’art. 818 ter c.p.c. regola l’attuazione della misura cautelare: “L'attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall'articolo 669-duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato o, se la sede dell'arbitrato non è in italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all'esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma”; -translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario, disciplinato dall’art. 819 quater c.p.c.: “il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell'articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell'ordinanza di regolamento. il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell'ordinanza che definisce la sua impugnazione. Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all'arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo. L'inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l'estinzione del processo. Si applicano gli articoli 307, quarto comma, e 310”. 28. modifiche in materia di mediazione e di negoziazione assistita. Il decreto legislativo interviene estendendo, a mezzo dell’art. 7, l’ambito operato dai meccanismi preventivi, in funzione deflattiva del contenzioso. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione. Il D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione viene ampiamente modificato, per lo più allo scopo manutentivo e di restyling. tra le novità rilevanti, invece, va evidenziato che aumentano le materie in cui la mediazione è obbligatoria, rectius: costituisce una condizione di procedibilità dell’azione. novellando l’art. 5 del decreto -oltre alle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari -ora la mediazione obbligatoria è prevista altresì per le controversie in materia di “associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura”. In ordine alla durata del procedimento di mediazione era originariamente previsto il termine di tre mesi. novellando l’art. 6 del decreto si ammette che il termine è “prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”. Si ammette la mediazione in modalità telematica, secondo la disciplina del nuovo art. 8 bis. Al fine di incentivare la mediazione -invero in modo dolcemente coartato - il legislatore usa il bastone e la carota. Il bastone è costituito dalle conseguenze spiacevoli nel caso di mancata partecipazione al procedimento di mediazione. Il nuovo art. 12 bis fissa il catalogo delle conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, così enunciando: “1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 4. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e ContRIButI DI DottRInA copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all'autorità di vigilanza competente”. La carota è costituita dai benefici descritti negli artt. 17 (esenzioni tributarie) e 20 (credito d’imposta) del D.L.vo n. 28/2010, novellati con il D.L.vo n. 149/2022. Con la novella si ampliano i benefici. oltre a confermare che “Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura” (art. 17, comma 1), si prevede che “il verbale contenente l'accordo di conciliazione è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di centomila euro, altrimenti l'imposta è dovuta per la parte eccedente” (art. 17, comma 2), aumentando l’esenzione rispetto alla vecchia soglia di 50.000 euro. Inoltre si aumenta il credito d’imposta disciplinato nel citato art. 20. modifiche al D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 2014, n. 162 sulla negoziazione assistita. Le modifiche vengono operate con l’art. 9 del D.L.vo n. 149/2022. Al fine di incentivare la diffusione dell’istituto si elimina il divieto, tra le materie che non possono costituire oggetto di negoziazione assistita, delle controversie in materia di lavoro (senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale) e si prevede la possibilità dello svolgimento della negoziazione assistita in modalità telematica. Come è noto la mediazione assistita può essere facoltativa ed obbligatoria. È obbligatoria per importanti controversie: “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014). 29. Disciplina transitoria. La disciplina transitoria -con riguardo ai procedimenti giurisdizionali ed ai procedimenti arbitrali -è espressamente regolata nell’art. 35 del decreto. In sintesi: -le disposizioni del D.L.vo n. 149/2022, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti giurisdizionali ed ai procedimenti arbitrali, instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti; RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 -le disposizioni di cui agli artt. 127 bis (udienza mediante collegamenti audiovisivi) e 127 ter (Deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza) c.p.c., quelle previste dal Capo I del titolo v ter disp. att. c.p.c. (artt. 196 quater -196 septies, relativi alla disciplina degli atti e dei provvedimenti con riguardo alla giustizia digitale), nonché l'art. 196 duodecies (udienza con collegamenti audiovisivi a distanza) disp. att. c.p.c. hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e da tale data si applicano ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione. Davanti al giudice di pace e al tribunale superiore delle acque pubbliche queste disposizioni si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023, anche ai procedimenti pendenti a tale data, fatte salve le disposizioni di cui agli artt. 127 bis e 127 ter che hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti civili pendenti a tale data; -le norme di cui ai capi I (Delle impugnazioni in generale: artt. 323-338) e II (Dell’appello: artt. 339-359) del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile, come modificate dal D.L.vo n. 149/2022, si applicano alle impugnazioni proposte avverso le sentenze depositate successivamente al 30 giugno 2023; -le norme di cui al capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile (Procedimento dinanzi alla Corte di cassazione: artt. 360394) e di cui al capo Iv disp. att. c.p.c. (artt. 133-144 bis) si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023. Le disposizioni in materia di mediazione e negoziazione assistita si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023 (art. 41 D.L.vo n. 149/2022). 30. Conclusioni. Quali le conclusioni sulla bontà della riforma al termine della sommaria analisi effettuata? Globalmente, è una onesta e buona novella. La riforma non contiene stravolgimenti nella disciplina del processo, operando interventi di manutenzione ordinaria e, a tratti, di manutenzione straordinaria. Il limite vero -tuttavia -è che essa è in continuità con la politica di deflazione del contenzioso nell’ultimo ventennio, al fine di conseguire una ragionevole durata del processo. Il legislatore nazionale dell’ultimo ventennio -a prescindere dal variare del clima politico -punta a conseguire la riduzione del contenzioso creando reticolati e barriere protettive rispetto alla cittadella giudiziaria: condizioni di procedibilità ed elevati costi del processo. Condizioni di procedibilità quali la mediazione obbligatoria (abbraccianti le cause più rilevanti) e la negoziazione assistita obbligatoria (abbracciante, residualmente rispetto alle maglie della mediazione obbligatoria, tutte le controversie di valore piccolo e medio). Questi strumenti in misura inadeguata ContRIButI DI DottRInA come registrato delle periodiche Relazioni del Primo Presidente della Corte di Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario e risultante dalle varie statistiche pubblicate -contribuiscono a deflazionare il contenzioso con la definizione bonaria della vicenda. In termini di efficienza/economicità lo strumento è virtuoso se conduce in prevalenza a definizioni bonarie (ossia: quando almeno il 51 % dei procedimenti preventivi conduce alla definizione bonaria). Circostanza che non ricorre nella prassi, sicchè il meccanismo in esame viene visto come un paletto per ostacolare la vista del giudice. Il costo del processo è notevole, tenuto conto della disciplina del contributo unificato delle spese di lite, e in periodico aumento. Ciò emerge da una rapida scorsa dell’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), indicante gli importi del detto contributo. L’effetto convergente dei due fattori, in uno ai costi dell’avvocato difensore, è che i soggetti vengono controstimolati ad agire dinanzi al giudice a tutela dei propri diritti in misura inversamente proporzionata al valore della lite. Più il valore della lite è bassa e meno si è stimolati ad agire in giudizio, attese le barriere della mediazione obbligatoria e/o negoziazione assistita obbligatoria, attesi i costi del processo, atteso il compenso da pagare al proprio avvocato (il tutto corroborato da misure del tipo ex art. 91, ultimo comma c.p.c. secondo cui “Nelle cause previste dall'articolo 82, primo comma, [cause il cui valore non eccede euro 1.100] le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda”). Si assiste ad un paradosso nell’epoca contemporanea: il catalogo dei diritti, in via formale, è in continuo aumento -vi è anche chi provocatoriamente parla di “troppi diritti” -per effetto dell’evoluzione normativa (interna, del- l’unione Europea, internazionale), delle statuizioni della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione (es. la categoria del danno parentale), del benessere. tuttavia, poi gli strumenti per azionarli -la possibilità di agire in giudizio -sono, di fatto, limitati in modo inversamente proporzionato allo status economico del soggetto di diritto ed al valore della lite. Per chi non ha adeguate disponibilità economiche è stretta, di fatto, la via di accesso alla giustizia. tanto non si verifica per chi ha adeguate disponibilità economiche. All’evidenza il grande imprenditore che deve attivare un contenzioso con il committente per un appalto di notevole entità, ad esempio di milioni di euro, marginale è l’ostacolo di filtri o costi del contributo unificato o spese legali. Anzi, l’esemplificato grande imprenditore spesso, pagando, attiva procedimenti alternativi di giustizia (quali gli arbitrati). I meccanismi preventivi ed i costi del processo non sono stati toccati dal decreto delegato, anzi si è avuto un aumento di tali tecniche (si è visto innanzi che sono aumentate le materie nelle quali opera la mediazione obbligatoria). RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 De iure condendo occorrerebbe ridurre i detti ostacoli o -almeno con riguardo alle condizioni di procedibilità -metterli in condizione di funzionare in modo efficiente. ContRIButI DI DottRInA La rinegoziazione del contratto: principio “estrinseco” o “intrinseco” al nostro ordinamento giuridico? Natale Gaetana* Esiste un diritto alla rinegoziazione del contratto nel nostro ordinamento o prevale il principio della “immutabilità della volontà delle parti”? È un principio c.d. “eccentrico”, “estrinseco” o “intrinseco” al nostro sistema giuridico? Le c.d. “hardship clauses” proprie del commercio internazionale possono diventare la regola nei contratti pubblici? L’aumento del costo dei carburanti e dell’energia dovuto all’attuale scenario internazionale sta ponendo nella fase esecutiva di molti contratti di appalti il problema della c.d. “rinegoziazione” delle condizioni contrattuali, nello specifico il problema della revisione dei prezzi, qualora le parti non abbiamo previsto nel contratto, apposite clausole contrattuali relative alle sopravvenienze, intese come eventi imprevedibili ed eccezionali capaci di incidere sul sinallagma dei contratti ad esecuzione periodica e continuata, alterando in modo significativo il c.d. “equilibrio o simmetria” delle prestazioni. L’aumento del costo dell’energia sta mettendo in luce il limite del ttF (Title Transfer facility), il mercato virtuale per lo scambio di gas naturale con sede in olanda. occorre chiedersi se l’Energy Release messo in campo dal- l’ARERA con il c.d. decoupling, ossia lo scorporo del prezzo del gas da quello dell’elettricità e delle fonti energetiche rinnovabili e il tanto auspicato price cap, potranno bilanciare i costi della produzione riportando i consumi sulla c.d. “curva di indifferenza”. Il diritto con le sue categorie concettuali può in situazioni di emergenza introdurre dei meccanismi correttivi per fronteggiare la grave crisi economica che stiamo vivendo? In attesa di future politiche legislative sia nazionali che euro-unitarie (la c.d. “Common response” la comune risposta europea per sottrarsi alla dipendenza dalla Russia) volte a contrastare in maniera efficace il fenomeno della speculazione in corso, è opportuno analizzare l’istituto della revisione dei prezzi sul piano strettamente tecnico-giuridico per poter individuare le c.d. “regole operazionali”, ossia le c.d. “regole concrete” per gli operatori del diritto che si trovano ad operare in una situazione di totale emergenza. L’istituto della revisione dei prezzi è un meccanismo che consente la definizione di un “nuovo” corrispettivo per le prestazioni oggetto del con (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. un ringraziamento alla Dott.ssa Anna Pagano per la redazione delle note. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 tratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale (1); in particolare, ha la finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa; al contempo, è posta a tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l'arco del rapporto (2). La disciplina dell’istituto della revisione dei prezzi è oggi contenuta nel- l’art. 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (3). In precedenza, la materia era regolata dall’art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 il quale prevedeva che: “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”. Pertanto, la clausola di adeguamento dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti le quali dovevano, in tali casi, procedere agli adempimenti istruttori normativamente previsti (4). Con l’introduzione del nuovo codice degli appalti, invece, la revisione dei prezzi è divenuta facoltativa (5); opera, quindi, solo se prevista nei documenti di gara. L’art. 106 disciplina al comma 1, lettere a), b), c) ed e), nonché al successivo comma 2, le modifiche concernenti l’oggetto del contratto mentre, le modificazioni di ordine soggettivo sono quelle previste dal comma 1, lettera d). tali disposizioni individuano i casi -eccezionali e tassativi -in cui i contratti di appalto, nei settori ordinari e speciali, possono essere modificati senza fare ricorso ad una nuova procedura di gara. Le modifiche di ordine oggettivo sono ammesse senza necessità di una nuova gara nei cinque casi di seguito indicati. Il primo è quello delle varianti previste nelle clausole contenute nei documenti iniziali di gara. tali clausole, che possono prevedere anche la revisione dei prezzi, devono essere “chiare, precise e inequivocabili”, al fine di definire con esattezza la portata e la natura di eventuali modifiche, nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle (1) M. FRAtInI, “manuale sistematico di diritto amministrativo”, 2021, accademia del Diritto. (2) Consiglio di Stato, sez. Iv, 7 luglio 2022, n. 5667; Consiglio di Stato, sez. v, 16 giugno 2020, n. 3874. (3) https://www.codicecontrattipubblici.com/parte-ii/art-106-modifica-di-contratti-durante-ilperiodo di-validita/. (4) R. BERLoCo, “La revisione dei prezzi negli appalti pubblici: focus sui lavori” in Legal-team.it. (5) È stato, altresì, previsto che la disciplina di revisione dei prezzi si applichi anche ai settori speciali, in precedenza esclusi. ContRIButI DI DottRInA variazioni dei prezzi e dei costi standard. Esse incontrano tuttavia un limite di ordine generale: non posso prevedere modifiche negoziali che abbiano l’effetto di alterare la natura generale del contratto (articolo 106, comma 1, lett. a). Il secondo caso è quello delle varianti per lavori, servizi o forniture supplementari che non erano incluse nell’appalto iniziale. In questo caso, è consentito affidare la loro esecuzione al contraente originario, quando il mutamento del medesimo non risulti possibile per motivi economici o tecnici oppure comporti per l’Amministrazione “notevoli disguidi”o“una consistente duplicazione dei costi” (articolo 106, comma 1, lettera b). Il terzo caso riguarda le varianti in corso d’opera, che racchiudono le fattispecie in cui la necessità di modifica del contratto derivi da “circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore”. tali modifiche non possono alterare la natura generale del contratto e, a norma del comma 7, sono consentite soltanto se contenute entro determinati limiti di natura economica (articolo 106, comma 1, lettera c). Il quarto caso è quello delle varianti c.d. “non sostanziali”(articolo 106, comma 1, lettera e). La definizione di varianti non sostanziali si ricava a contrario da quella di varianti “sostanziali” di cui al successivo comma 4. Le varianti -sotto il profilo relativo all’oggetto del contratto -sono considerate “sostanziali”, laddove: a) la modifica introduca condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati, l’accettazione di una offerta differente oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di gara; b) la modifica alteri l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; o ancora, c) la modifica estenda notevolmente l’ambito di applicazione del contratto. Il quinto caso, infine, individua soglie di carattere quantitativo al di sotto delle quali le varianti sono comunque consentite senza una nuova procedura di gara. Il loro valore deve essere inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria e -in ogni caso -al 10% del valore iniziale del contratto per gli appalti di servizi e di forniture ovvero del 15% per quelli di lavori (articolo 106, comma 2). La modifica sotto il profilo soggettivo, invece, è consentita solo nel caso in cui un contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze: 1) una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a); 2) all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o (…) a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di se RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 lezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del presente codice; 3) nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori. Dalla disciplina appena esaminata, si evince che -nei contratti di appalto pubblico -la revisione dei prezzi è consentita esclusivamente alle condizioni previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), vale a dire: 1) se essa è prevista nei documenti di gara iniziali; 2) se la relativa clausola è formulata in modo “chiaro, preciso e inequivocabile”; e 3) se la modifica non altera la natura generale del contratto o dell’accordo quadro. Al di fuori di tali ipotesi, l’impresa aggiudicataria non può aspirare ad una revisione dei prezzi pattuiti: infatti, il menzionato articolo 106, diversamente dal previgente articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, rimette alla discrezionalità della stazione appaltante la scelta di inserire o meno nei bandi di gara una clausola di revisione periodica del prezzo, vincolando ulteriormente l’esercizio di tale scelta discrezionale alla sussistenza delle condizioni sopra indicate. tale disciplina è stata ritenuta compatibile con il diritto comunitario dalla Corte di giustizia, che -nella sentenza del 19 aprile 2018, pronunciata nella causa C-152/17 (6) -ha evidenziato come le direttive dell’unione europea in materia di appalti pubblici non ostino a norme di diritto nazionale, che escludano la revisione dei prezzi dopo l’aggiudicazione del contratto. In questo settore, peraltro, il legislatore italiano è recentemente intervenuto al fine di incentivare gli investimenti pubblici e fronteggiare le ricadute economiche negative conseguenti alle misure di contenimento adottate contro il virus SARS-Cov-2. In particolare, l’articolo 29, comma 1, lettera a), del decreto-legge 27 gennaio 2022 (7), n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo (6) Sentenza della Corte (nona Sezione) 19 aprile 2018, Causa C-152/17 consultabile al seguente link https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=4CD63F4F007C6708E37D6B4517 5E3166?text=&docid=201263&pageindex=0&doclang=iT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid =887092. (7) Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2022, n. 25 in https://www.normattiva. it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:2022;4~art29!vig. Sul punto si leggano: P. FRAnCESChInI, “articolo 29 del D.L. 4/2022 "Sostegni-ter" -obbligo di inserire le clausole di revisione dei prezzi nei documenti di gara” su https://www.appaltiamo.eu/news/dl-42022-obbligo-di-inserire-in-capitolatoclausole- di-revisione-dei-prezzi; R. BERLoCo, P. FALCICChIo “Caro materiali: convertito in legge il decreto “Sostegni ter”. Novità e conferme su revisione prezzi, compensazioni, accordi quadro” in https://legal-team.it/caro-materiali-sostegni-ter-revisione-prezzi-compensazioni-accordi-quadro/. ContRIButI DI DottRInA 2022, n. 25, ha introdotto una deroga “temporanea” alla disciplina prevista dal codice degli appalti pubblici, introducendo l’obbligo -per le gare indette dopo la sua entrata in vigore e fino al 31 dicembre 2023 -di inserire le clausole di revisione dei prezzi nei documenti di gara iniziali. tale disposizione se -da un lato -introduce l’obbligatorietà, nei documenti di gara, delle clausole di revisione dei prezzi, dall’altro, conferma che, per le fattispecie non rientranti nel proprio ambito di applicazione temporale, gli operatori economici non possono aspirare ad una modificazione dei prezzi originariamente pattuiti con la stazione appaltante, qualora tale possibilità non fosse già prevista negli atti di gara. tale soluzione è confortata dagli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia, i quali hanno affermato che “da nessuna disposizione della direttiva (2004/17/uE n.d.r.) emerge che quest'ultima debba essere interpretata nel senso che essa osta a norme di diritto nazionale, ... che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l'aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati dalla medesima direttiva, dal momento che quest'ultima non impone agli Stati membri alcun obbligo specifico di prevedere disposizioni che impongano all'ente aggiudicatore di concedere alla propria controparte contrattuale una revisione al rialzo del prezzo dopo l'aggiudicazione di un appalto” (8). Secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, la disciplina della revisione dei prezzi si esaurisce nelle disposizioni previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016, con l’ulteriore precisazione che -in assenza delle condizioni previste dalla lettera a) -gli operatori economici non possono richiamare a fondamento dell’istanza la diversa disciplina prevista dalla successiva lettera c). Difatti, la disposizione da ultimo citata disciplina i casi in cui, nel corso di svolgimento del rapporto contrattuale, si renda necessario, per circostanze impreviste e imprevedibili, modificare “l’oggetto del contratto” attraverso “varianti in corso d’opera”, ossia “modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale” (cfr. Consiglio di Stato, sez. v, 15 novembre 2021, n. 7602); sicché, essa non può trovare applicazione nei diversi casi in cui “la domanda formulata […] all’amministrazione […] concern[a] unicamente l’adeguamento del prezzo dell’appalto ad asseriti aumenti dei costi del servizio” (cfr. t.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 10 marzo 2022, n. 239). Peraltro, “tale norma prevede la possibilità di modificare il contratto per ‘circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice’, ossia per situazioni che determinino per l’amministrazione la ‘necessità di modifica’ considerata dalla legge, e non, invece, per circostanze impreviste e imprevedibili per l’appaltatore” (cfr. t.A.R. Lombardia, Milano, sez. Iv, sent., (ud. 7 ottobre 2021) 26 gennaio 2022, n. 178). (8) Consiglio di Stato, sez. Iv, 4 aprile 2022, n. 2446. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 tali conclusioni non sono contraddette dalla delibera dell’AnAC n. 227 del 11 maggio 2022 (9), con cui l’Anac ha raccomandato di “valutare l’opportunità di integrare i contratti in corso di validità con clausole ad hoc per la disciplina di situazioni di forza maggiore”. A tal fine è pur sempre necessario che la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione oggettiva della disposizione appena citata, la quale fa espressamente riferimento: 1) a “circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore”; 2) tra le quali possono “rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti”. va da sé che nel caso in cui non vengano in rilevo modifiche della prestazione contrattuale per garantire l’osservanza di misure disposte ex auctoritate, ma semplicemente istanze di revisione dei prezzi formulate dai contraenti privati, al fine di ristabilire l’equilibrio contrattuale alterato dal- l’attuale situazione economica globale, si è in presenza di un’ipotesi che esula dall’ambito di applicazione dell’articolo 106, comma 1, lettera c), del codice dei contratti pubblici per rientrare nella diversa fattispecie disciplinata dalla precedente lettera a). Pertanto, in assenza di previsioni “chiare, precise e inequivocabili” nei documenti iniziali di gara, il codice dei contratti pubblici non consente l’accoglimento di istanze di revisione dei prezzi. nell’ipotesi in cui la lex specialis non preveda la revisione prezzi, si può ricorrere all’art. 1664, comma 1 del Codice civile, giacché la sua applicazione non è espressamente esclusa dall’art. 106, comma 1, lett. a) come accadeva nella previgente disciplina prevista dall’art. 133, comma 2, del D.Lgs. 163/2006 nonché dall’art. 26, comma 3, della L. 109/1994. tale disposizione normativa, in via generale, consente di ottenere la revisione dei prezzi qualora, “per effetto di circostanze imprevedibili” si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera, che hanno determinato un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto. La revisione può essere richiesta limitatemene alla differenza che eccede il decimo (10). (9) Consultabile al seguente link: https://www.anticorruzione.it/-/delibera-numero-227-del-11maggio- 2022. (10) “materie prime e appalti pubblici, i nuovi meccanismi di revisione dei prezzi tramite compensazioni e il fondo statale da € 100 milioni introdotti dal decreto "sostegni bis". Gli aspetti contrattualistici da approfondire” https://www.klgates.com/it-iT/materie-prime-e-appalti-pubblici-i-nuovi-meccanismi-direvisione- dei-prezzi-tramite-compensazioni-e-il-fondo-statale-da-100-milioni-introdotti-dal-decretoSostegni- Bis-Gli-aspetti-contrattualistici-da-approfondire-11-5-2021;“La revisione dei prezzi negli appalti privati per lavori edilizi” https://legal-team.it/la-revisione-dei-prezzi-negli-appalti-privati-per-lavoriedilizi/. ContRIButI DI DottRInA A differenza dell’art. 1467 c.c, è sufficiente in tal caso che gli eventi siano solo imprevedibili e non anche straordinari. A fronte di un eventuale diniego alla revisione del prezzo, i contraenti privati hanno ancora la possibilità di esperire il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, disciplinato dagli articoli 1467 e seguenti cod. civ. nei contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, tale istituto giuridico consente alla parte, la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, di sciogliersi dal vincolo contrattuale (art. 1467, comma 1, cod. civ.). tuttavia, la risoluzione del contratto non può essere richiesta: 1) se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto (art. 1467, comma 2, cod. civ.); 2) se la parte contro la quale è domandata offre di modificare equamente le condizioni contrattuali (art. 1467, comma 3, cod. civ.); 3) se il contratto stipulato è aleatorio per sua natura o per volontà delle parti (art. 1469 cod. civ.). Con riguardo all’ipotesi da ultimo citata, l’articolo 1469 cod. civ. pone sullo stesso piano, ai fini dell’esclusione dei rimedi civilistici contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta, i contratti aleatori per loro natura e quelli aleatori per volontà delle parti. nei primi l’alea è elemento coessenziale al tipo negoziale e alla correlativa operazione economica. nei secondi, invece, essa diviene elemento essenziale della fattispecie per volontà delle parti mediante l’inserimento in uno schema contrattuale di per sé non aleatorio di una clausola che introduce un rischio estraneo al tipo, rendendo -per tale motivo -il contratto aleatorio. Difatti, “nell’esplicazione della loro autonomia privata, ben possono le parti di un contratto convenire l’unilaterale o reciproca assunzione di un prefigurato possibile rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, a tale stregua modificandolo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso che tale rischio si verifichi, l’applicabilità dei meccanismi di riequilibrio previsti nell’ordinaria disciplina del contratto” (cfr., ex plurimis, Cass. n. 16568 del 2002). Pertanto, i contraenti privati che abbiano stipulato per loro volontà contratti aleatori non possono avvalersi dei meccanismi di riequilibrio previsti nell’ordinaria disciplina del contratto; e quindi, in caso di inadempimento, non potranno richiamare l’attuale situazione economica globale per sottrarsi alle conseguenze giuridiche della “responsabilità del debitore”, disciplinata dagli articoli 1218 e seguenti cod. civ. È bene ricordare, inoltre, come affermato anche da costante orientamento dell’Altissimo Consesso della Giustizia Amministrativa che, la disposizione RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 di cui all’art. 1467 c.c. limitata ai contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, non assegna al contraente il diritto potestativo di determinare la risoluzione del contratto mediante atto unilaterale (il recesso), ma subordina un effetto di tal fatta a una pronuncia dell’autorità giudiziaria di natura costitutiva (11). La pandemia da Covid-19 ha imposto al legislatore di intervenire più volte al fine di regolare la materia degli appalti e della revisione dei prezzi. Sono stati, infatti, introdotti il D.L. n. 73 del 2022 “Decreto Sostegni bis”, il D.L. 4 del 2022 “Decreto Sostegni ter” ed il Decreto Aiuti, D.L. 50 del 2022. tutti gli interventi legislativi si sono concentrati soprattutto nell'ambito dei lavori pubblici, lasciando i contratti di beni e servizi quasi del tutto privi di copertura emergenziale. In particolar modo, il Decreto Sostegni ter, convertito in legge n. 25 il 28 marzo 2022 ha introdotto misure urgenti in materia di sostegno alle imprese connesse all'emergenza CovID-19, nonché misure per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi. In particolare, con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 29, 1° comma della citata legge, viene previsto che fino al 31 dicembre 2023 tanto nel caso in cui ci siano procedure di affidamento dei contratti pubblici, i cui bandi o avvisi per la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del testo normativo, nonché, in caso di contratti pubblici senza pubblicazione di bandi e avvisi, nell'invito a presentare le offerte è obbligatorio l'inserimento delle clausole di revisione dei prezzi. Appare tuttavia auspicabile, che si valuti l’opportunità di un urgente e specifico intervento normativo, che integri le previsioni recentemente introdotte dall’articolo 29, comma 1, lettera a), del citato decreto-legge n. 4 del 2022, consentendo l’introduzione -sia pure entro determinati limiti di natura economica -di una clausola di revisione dei prezzi anche per i contratti in corso di esecuzione. Si precisa che nella recente legge 15 luglio 2022 n. 91 di conversione del Decreto Aiuti, l’art. 26 introduce la possibilità di una revisione dei prezzi solo per gli appalti di lavori e non per gli appalti di servizi, lasciando aperto il problema (12). Sul piano dell’elaborazione scientifica la Suprema Corte di Cassazione ha redatto la relazione n. 56/2020 (13), in cui si è prospettata la “rinegozia (11) Consiglio di Stato, sez. Iv, 7 luglio 2022, n. 5667. (12) Decreto MIMS: “fondo adeguamento prezzi materiali da costruzione -modalità accesso” https://www.sentenzeappalti.it/2022/08/03/decreto-mims-fondo-adeguamento-prezzi-materiali-dacostruzione- modalita-di-accesso/; DE MARInIS, “revisione prezzi nei contratti pubblici: ulteriori assestamenti normativi e giurisprudenziali in attesa della futura attuazione della legge delega”, https://www.mediappalti.it/revisione-prezzi-nei-contratti-pubblici-ulteriori-assestamenti-normativi-egiurisprudenziali- in-attesa-della-futura-attuazione-della-legge-delega/ ContRIButI DI DottRInA zione” come rimodulazione del rapporto contrattuale sulla base di principi generali di buona fede secondo la c.d. théorie de l’imprévision francese o la doctrine of frustration inglese. In altri termini la Suprema Corte di Cassazione ha sostenuto che l’appaltatore e il committente devono cooperare per il riequilibrio del rapporto compromesso. Il rimedio della rinegoziazione è insito nel sistema giuridico ed opera attraverso la clausola generale di buona fede e il principio costituzionale di solidarietà tenendo presente la causa concreta economica del contratto. tale relazione però, rappresenta un documento di studio e di elaborazione scientifica che non può incidere in assenza di un’espressa previsione normativa. Se guardiamo agli altri ordinamenti europei, ad esempio quello francese, in base all’avant-project Catala le parti ben possono negoziare clausole con cui si regolano in vario modo le conseguenze delle sopravvenienze. La giurisprudenza ha riconosciuto sia pure con i correttivi della buona fede tesi ad evitare eventuali comportamenti abusivi, la legittimità di : 1) Clausole di adattamento automatico (c.d. clauses d’adaptation automatique); 2) Clausole di rinegoziazione (clauses de renégociation); 3) Clausole di revisione unilaterale (clauses de révision unilatérale). In mancanza di previsioni pattizie, ci si è chiesti se, in accoglimento della c.d. “Théorie de l’imprévision”, il giudice sia o meno legittimato ad intervenire a salvaguardia dell’equilibrio originario previsto dalle parti. In proposito, a partire dall’affaire du Canal de Craponne che ha esercitato sino ad oggi grande autorità e continua a fissare un principio di diritto ampiamente condiviso dalla giurisprudenza civile anche recente, ha negato che il giudice possa essere autorizzato alla revisione del prezzo (nel caso richiamato rigettò la richiesta di rivalutazione del prezzo dovuto per la manutenzione di un canale di irrigazione costruito nel XvI secolo). Il Consiglio di Stato francese, a differenza della Cassazione, sin dall’affaire Gaz de Bordeaux, onde assicurare una piena tutela dell’interesse generale alla continuità del servizio pubblico, ha, invece, dato ingresso alla théorie de l’imprévision, facendo leva sul consueto principio di specialità del diritto amministrativo che consente la praticabilità di soluzioni derogatorie del diritto comune. La giurisprudenza amministrativa francese, quindi, salvaguardando le esigenze dell’interesse pubblico, assegna uno specifico rilievo alle sopravvenienze non previste che superano l’alea ordinaria ed ostacolano la corretta esecuzione di un contratto di servizio pubblico, onde salvaguardare l’utenza. La dottrina, da parte sua, propone l’adozione di un principio che imponga la rinegoziazione del contratto per “imprévision”, prospettando una soluzione intermedia di compro( 13) Consultabile al seguente link: https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/ cms/documents/relazione_Tematica_Civile_056-2020.pdf. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 messo tra la “revisione convenzionale” ( “mode autogestionnaire”) e quella “giudiziale” ( “mode dirigiste”), fondata sul principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. L’avant -project Catala consacra questa soluzione intermedia, introducendo una revisione convenzionale spontanea o indotta dal giudice su domanda di una delle parti. nel diritto tedesco è centrale la buona fede contrattuale § 242 BGB (Treu und Glauben) e ad essa si ispira il contratto di risoluzione (aufhebungsvertrag) che ha un suo riferimento normativo nel § 311 BGB. nel contratto di risoluzione le parti dispongono della più ampia libertà di decidere se estinguere singole prestazioni ovvero di modulare gli effetti risolutivi, scegliendo tra una terminazione retroattiva ex tunc ed una ex nunc. nel diritto inglese manca una definizione legale di contratti, come quella contenuta nell’art. 1321 c.c. e l’art. 1101 del Code civil. nella Common Law, conformemente alla tradizione romanistica e medioevale, si nega ogni valore giuridico vincolante al nudum pactum, ossia al mero accordo quale pura volontà di obbligarsi. Pertanto, nel sistema di Common Law la vincolatività giuridica del contratto presuppone che l’accordo (agreement) sia accompagnato da una controprestazione (consideration) che conferisce al contract la particolare natura di rapporto di scambio. nei contratti in cui manchi la consideration (contratti a titolo gratuito) l’effetto vincolante del- l’impegno assunto dalle parti è, invece, garantito mediante l’adozione di uno schema formale tipico (act under seal). La consideration si configura, quindi, quale scambio di prestazioni tra le parti contraenti: può essere executory o executed. Si parla di executory consideration nei bilaterl contracts, ossia i contratti con i quali le parti si impegnano ad adempiere alle proprie reciproche prestazioni. La consideration deve, inoltre, costituire “something of value in the eye of the law”, ossia una prestazione suscettibile di valutazione economica ai sensi della legge. Le Corti inglesi non sono tuttavia tenute ad accertare l’“adequacy” dell’affare concluso dalle parti, ossia che il valore della prestazione promessa da una parte sia proporzionata a quello della prestazione promessa o eseguita dall’altra. Ciò nonostante non possono restare insensibili a quei contratti contraddistinti da una sperequazione delle prestazioni. Pertanto, il fatto che una parte paghi troppo o troppo poco se da un lato non inciderà sulla validità del contratto, dall’altro verrà valutato dai tribunali in sede di risarcimento del danno. Riportando l’analisi sul nostro ordinamento nazionale si rinvengono varie ipotesi di sopravvenienze che impongono la rideterminazione degli aspetti del rapporto contrattuale alterati dall’imprevisto. In questi casi, peraltro, circoscritti, non si rinviene una “regola di contenuto”, ma una “regola di mera condotta”. Le fattispecie legali sono varie e si rinvengono sia all’interno di leggi speciali che nel codice civile. Si pensi alla copiosa legislazione sulla rinegoziazione dei mutui. L’art. 2, comma 450 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 ContRIButI DI DottRInA introduce nel sistema dei mutui ipotecari il meccanismo della surrogazione per volontà del debitore ex art. 1202 c.c. atecnicamente definita “portabilità dei mutui ipotecari”. Il codice civile contiene norme che prevedono la rinegoziazione all’interno di vari tipi contrattuali. In tema di affitto, l’art. 1623 c.c. disciplina l’eventualità di un “factum principis”, disposizione di legge o provvedimento dell’autorità che produce una notevole modifica del rapporto contrattuale, prevedendo in tali ipotesi la richiesta di un aumento o diminuzione del prezzo. Si pensi ancora agli artt. 1492 c.c., 1578 c.c., all’art. 1450 in tema di rescissione, all’art. 1664 c.c., casi in cui i contraenti possono chiedere di rinegoziare il prezzo. Gli artt. 1560 e 1561 c.c. in tema di somministrazione prevedono un meccanismo legale di determinazione del contenuto contrattuale, sottraendo alla volontà delle parti la fissazione dei nuovi termini del- l’accordo (c.d. eterodeterminazione). Ma si pensi anche agli artt. 1537 e 1540 c.c., articoli che autorizzano il compratore ad ottenere una riduzione del prezzo nel caso in cui la misura dell’immobile compravenduto sia inferiore a quella indicata nel contratto. Lo stesso art. 1710 c.c. prevede espressamente una modificazione del mandato per circostanze sopravvenute. tutte le citate disposizioni di legge hanno una caratteristica comune che è quella di garantire che le posizioni contrattuali, inizialmente assunte dalle parti, non siano del tutto o in gran parte, modificate dagli effetti di cambiamenti che superano il confine della normale alea del contratto. In base a questa osservazione ed all’esame dell’art. 1467 c.c. (che disciplina i casi in cui nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero differita sia intervenuta una circostanza causata da “eventi straordinari ed imprevedibili” che abbia reso eccessivamente onerosa una delle prestazioni), parte della dottrina ha visto la possibilità che “il rimedio revisionale abbandoni il ruolo proprio dell’eccezione per assumere dignità di regola generale”. Questa posizione dottrinaria attribuisce all’art. 1467 c.c. un ruolo centrale sul piano della generalizzabilità dell’istituto, pur considerando che solo la parte convenuta in giudizio che ha tratto vantaggio dalla sopravvenienza è legittimata alla formulazione di un’offerta di riconduzione ad equità del rapporto contrattuale, mentre la parte sfavorita può chiedere solo la risoluzione del contratto. Altra dottrina, al contrario, partendo dal presupposto che le disposizioni sopra indicate non prevedono un intervento legislativo diretto alla modifica del contenuto di determinati rapporti contrattuali, ne traggono la conseguenza che dette disposizioni, da sole, non possono individuare un meccanismo operativo idoneo a costituire un nuovo istituto che disciplini senza limiti il diritto e il rispetto dell’obbligo alla rinegoziazione. La proposta di adeguamento è una facoltà e non un obbligo ed espandere i meccanismi giudiziali di adeguamento non è giustificato né in nome di una più ampia “giustizia contrattuale” né in nome di un concetto economico di efficienza. La rinegoziazione riguarda solo le circostanze eccezionali: al di là di queste, il rischio delle sopravvevienze costi RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 tuisce una conseguenza dell’accordo, essendo rimesso alla volontà delle parti regolare con il contratto, la ripartizione del rischio stesso, c.d. risk assessment. In questo senso si è affermato che non esiste tra le regole contrattuali un principio di necessaria equivalenza economica tra le prestazioni al di fuori dei casi espressamente menzionati dalla legge. In quest’ottica il contratto non ancora eseguito è costituito dall’elemento dello scambio che si realizza con il reciproco adempimento (performance secondo i giudici anglosassoni). L’allocazione del rischio delle sopravvenienze è decisa al momento della determinazione dei reciproci impegni: il diritto interviene solo quando sulle scelte delle parti incidono eventi eccezionali ed imprevedibili. Ecco che allora in materia di contratti pubblici la legge delega 21 giugno 2022 n. 78 all’art. 1, comma 2, lettera g introduce un regime obbligatorio di revisione dei prezzi. tale articolo prevede l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante. In sede referente è stato introdotto un ulteriore obbligo di inserimento nei bandi delle stazioni appaltanti riguardante il costo da rinnovo dei CCnL sottoscritti dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili in relazione all’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da eseguire anche in materia prevalente. La problematica della revisione dei prezzi dei contratti pubblici investe un triplice profilo: 1) Il contenimento della spesa pubblica o comunque la certezza degli oneri a carico dell’Amministrazione; 2) Il mantenimento di un equilibrio economico tra costi e ricavi dell’appaltatore, anche a garanzia delle qualità delle prestazioni da questo eseguite; 3) il principio di concorrenza, che vieta di apportare, ai contratti in corso di esecuzione, modifiche “sostanziali”, ossia condizioni che se fossero state previste fin dall’origine, avrebbero potuto portare a un esito diverso della gara (in questo senso le sentenze della Corte di Giustizia dell’unione Europea 7 settembre 2016, C-549/14, Finn Frogne a/S e 19 giugno 2008, C-454/06, pressetext Nachrichtenagentur). La previsione della legge delega soprarichiamata prevede, senza alcun limite quantitativo, che i presupposti da cui far discendere la revisione dei prezzi non siano predeterminati né predeterminabili a priori, ma debbano essere valutati caso per caso dall’Amministrazione, con apprezzamento sindacabile di ContRIButI DI DottRInA nanzi al giudice amministrativo, secondo l’orientamento della Suprema Corte di cassazione sezioni unite (vedi sentenza n. 35952/2021) per cui sono attribuite a quest’ultimo le controversie sulla spettanza della revisione, quando l’Amministrazione gode di una sfera di discrezionalità ampia, mentre rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario quelle in cui siano individuati puntualmente i presupposti dell’obbligo. Secondo uno schema analogo a quello previsto dall’articolo 1467 c.c. per l’eccessiva onerosità sopravvenuta che giustifica la domanda di risoluzione del contratto (o la sua riduzione ad equità su richiesta della parte avvantaggiata), si dovrebbe dare rilievo solo a “condizioni particolari”, dunque eccedenti la normale alea del contratto; di “natura oggettiva”, dunque valutate obiettivamente in rapporto ad un’impresa media, alla natura del negozio e alle condizioni del mercato; “non prevedibili”, secondo un requisito che ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla c.d. “fenomenologia della conoscenza” (si veda sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2565/2020). Interpretare la nuova norma in armonia con l’art. 1467 c.c. appare giustificato non solo dalla similarità dei testi delle due disposizioni, ma anche perché questa ben può considerarsi una speciale applicazione di quella lettura dell’art. 1664 c.c. per gli appalti di diritto comune, che a sua volta rappresenta una normativa speciale della fattispecie di eccessiva onerosità sopravvenuta, volta a conservare il contratto. Il “fair balance test” della norma contenuta nella legge delega è volto, dunque, ad evitare il c.d. breach of contract. Gli inglesi distinguono tra termination e rescission, ma l’adempimento, performance, deve essere completo ed esatto, complete and exact per avere piena efficacia solutoria. vedremo come verrà attuato tale punto della legge delega, ma possiamo affermare che in questo delicato periodo di crisi economica sembra affermarsi un modello neoKeynesiano dello Stato che interviene con una logica redistributiva a sostenere gli assett economici del Paese per fronteggiare la crescente inflazione che sta colpendo tutti i paesi occidentali. Il diritto sta facendo la sua parte: offre strumenti e categorie concettuali ad un sistema economico che è in grande difficoltà, predisponendo delle regole e delle soluzioni alternative. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 Azione collettiva pubblica e la sua correlazione con gli strumenti di Alternative Dispute Resolutions: verso una cultura della conciliazione e della giustizia di prossimità Gaetana Natale* La nozione di azione collettiva pubblica va definita nel nostro ordinamento tenendo ben presente la sua derivazione culturale dalla class action del sistema nord-americano. La rapresentative action è, infatti, da definirsi come azione di categoria o gruppo, caratteristica del sistema processuale federale nord-americano, che non trova corrispondenza né nella civil law, né, se non in parte, nell’ordinamento inglese. Quanto a quest’ultimo, va osservato che, nell’ambito degli analogues, la prima non va confusa con la relator action soggetta all’intervento del General attorney. nell’ambito dello studio sistematico degli strumenti ADR è importante delineare una ricostruzione sistematica anche dell’azione collettiva pubblica, in quanto tale azione, come nei sistemi di Common Law è finalizzata essenzialmente al “c.d. settlement”, ossia ad un accordo conciliativo e può senz’altro favorire il c.d. “accesso differenziato alla giustizia”, multi door court house, secondo la nota teoria di Sander. La class action consiste nel fatto che un membro di un gruppo o categoria, come ad esempio, l’azionista di una società, i parenti di una vittima di un incidente, cioè di una persona avente uno status analogo a quello di una certa categoria, intenta un’azione in giudizio da solo per conto di tutti gli altri e con effetti su tutti gli altri (1). Questa azione, prevista dalla Rule 23 della Federal rules of Civil Procedure, emendata nel 1966, ha per effetto di estendere il giudicato ultra partes, ossia al di là dei limiti soggettivi delle parti in causa. Ineguagliabile strumento di tutela degli interessi diffusi, esso trova una vastissima applicazione di cui gli esempi più significativi sono rintracciabili in materia di diritti civili, di controversie del lavoro, di tutela del consumatore e dell’ambiente (Environment). La class action trova parziale corrispondenza inglese nella representative (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. Redazione delle note a cura della Dott.ssa Anna Pagano, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato. L’articolo costituisce la relazione presentata dall’Autrice nel corso dell’evento la Prima Officina della Conciliazione 2022 sul tema “La tutela degli utenti nei servizi pubblici”. Roma, Istituto Jemolo, martedì 5 luglio 2022. (1) Sul tema si sono susseguiti molteplici interventi tra i quali: u. CoREA, M.L. GuARnIERI, “La nuova Class action al debutto: uno sguardo d’insieme” in Judicium.it; E. SILvEStRI, “Nuovi orizzonti per l’azione di classe?” in giustiziainsieme.it. ContRIButI DI DottRInA action, alla quale si fa ricorso, peraltro, assai di rado: quest’ultima è intesa nel senso che i membri di una categoria debbano avere un common interest e un common grievance e il rimedio richiesto dovrebbe beneficiare tutti; le parti represented devono essere indicate con maggiore precisione che nella class action americana. Inoltre, la representative action non è ammessa se è diretta ad accertare il diritto di numerose persone ad ottenere il risarcimento dei propri danni. La class action si distingue dalla public interest action: come è stato osservato, mentre lo sviluppo della class action deriva da un approccio liberale verso il concetto di representation, quello delle public interest actions deriva da un allargamento senza precedenti del concetto di locus standi, o standing, termine processuale che combina i concetti di legitimatio ad causam e causa petendi (2). Come la class action nei confronti della Pubblica Amministrazione è stata trasposta nel nostro ordinamento? Si ricorderà che la legge n. 15/2009 ha introdotto l’istituto dell’azione collettiva contro le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. Con tale azione l’ordinamento determina una visione della pubblica amministrazione come amministrazione di risultato, nel quadro di una concezione sostanziale del principio del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione. La giurisdizione è attribuita al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, in quanto direttamente riconducibile alle materie che intercettano i servizi pubblici attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come previsto dall’art. 133, comma 1 lett. c) c.p.a, caratterizzate dalla compresenza di interessi legittimi e diritti soggettivi. Per quanto concerne la compatibilità con quanto stabilito dalle sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006 della Consulta, è da evidenziare, in senso conforme, che le pubbliche amministrazioni in sede di erogazione dei servizi pubblici, non pongono in essere comportamenti meri di stampo privatistico e materiale, ma comportamenti amministrativi connessi alla loro veste autoritativa. Invero, si tratta di veri e propri comportamenti amministrativi, tenuti in settori regolati da leggi di diritto pubblico, tali da giustificare, l’attrazione delle relative controversie in capo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. va precisato che il decreto delegato (3), diversamente dalla legge delega, non richiama la natura anche di merito, oltre che esclusiva, della giurisdizione del giudice amministrativo. Recente dottrina ha osservato che il provvedimento è sicuramente innovativo sotto molteplici aspetti, dal momento che prevede un’ampia estensione (2) vedi M. CAPPELLEttI, in M. CAPPELLEttI e J.A. JoLowICz, Giuffrè, 1975. (3) D.lgs 20 dicembre 2009 n. 198. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 dei poteri del giudice amministrativo sull’operato della pubblica amministrazione, conferendo allo stesso la facoltà di valutare le scelte di allocazione delle risorse disponibili, sindacando non più solo nella sua legittimità, ma anche nella conformità della stessa agli standard qualitativi ed economici. Le nozioni di interesse al ricorso e legittimazione ad agire hanno avuto di recente nel giudizio amministrativo un’elaborazione dalla sentenza n. 22/21 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sul concetto di vicinitas, o anche in tema di ricorso incidentale paralizzante (si pensi al caso Fastweb, Puligienica, randstadt), in tema di azione popolare, in tema di legittimazione dei soci ad impugnare l’interdittiva della società, con tutte le relative elaborazioni in tema di giurisdizione oggettiva. In tema di diritto eurounitario assume un grande significato la recente sentenza C-319/19 del 28 aprile 2022 emessa su una pregiudiziale tedesca della Corte Federale di Giustizia Bundesgerichtshof in cui si è riconosciuta l’ “azione rappresentativa collettiva” in materia di tutela del consumatore fondata sul divieto delle pratiche commerciali sleali e sul divieto di utilizzo di condizioni generali di contratto nulle, intentata da un’associazione senza scopo di lucro in assenza di un mandato specifico ed indipendentemente dalla violazione di specifici diritti dell’interessato. Con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale n. 86 del 12 aprile 2022 del D.M. Giustizia 17 febbraio 2022 n. 27 (intitolato “Regolamento in materia di disciplina dell’elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni di cui agli artt. 840-bis del codice di procedura civile e 196-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, come introdotti dalla legge 12 aprile 2019 n. 31, recante disposizioni in materia di azioni di classe”), è stato completato il nuovo quadro normativo delle “azioni collettive”, entrato in vigore, in forza di vari rinvii, il 19 maggio 2021. Come ben noto, la riforma del 2019, oltre a dettare nuove più dettagliate disposizioni processuali, ha esteso l’ambito applicativo delle azioni di classe e inibitoria: queste, infatti, anteriormente alla legge di riforma n. 31 del 2019, ai sensi degli articoli 37 e 140-bis del Codice del consumo (D.lgs 6 settembre 2005 n. 206), potevano essere esperite soltanto per la tutela di diritti e interessi di consumatori e utenti, in relazione essenzialmente a rapporti di consumo; attualmente, invece, queste azioni, indicate congiuntamente come “azioni collettive”, in forza degli articoli da 840-bis a 840-sexiesdecies del c.p.c., sono esperibili per la tutela di tutti i diritti individuali “omogenei” e di qualsiasi “interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti”, ancorchè la legittimazione passiva sia circoscritta dagli artt. 840-bis e 840-sexiesdecies, comma 2, “nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità”. Con tali articoli si è realizzata la c.d. deconsumerizzazione dell’azione di classe (4), non più limitata cioè alla ContRIButI DI DottRInA sola tutela dei consumatori, ma a tutti gli interessi che presentino il carattere dell’omogeneità di sintesi (Sassani). Correlativamente, la legittimazione attiva all’esercizio delle azioni sia di classe, sia inibitorie collettive, è riconosciuta non soltanto a ciascun componente della classe e a chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e di comportamenti, ma anche a un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela sia dei predetti diritti sia degli interessi pregiudicati dalla condotta di cui si chiede l’inibitoria. In particolare, l’art. 840-bis, comma 2 (richiamato espressamente dall’art. 840-sexiesdecies), prevede che “ferma la legittimazione di ciascun componente della classe, possono proporre l’azione di cui al presente articolo esclusivamente le organizzazioni e le associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia”. Ancor più nel dettaglio l’articolo 196 ter delle disposizioni d’attuazione del c.p.c., rubricato “Elenco delle organizzazioni e associazioni legittimate all’azione di classe”, inserito dalla legge n. 31 del 2019, stabilisce le regole per l’adozione del Regolamento e le materie che da questo devono essere disciplinate, cioè, analiticamente: i requisiti per l’iscrizione nell’elenco, i criteri per la sospensione e la cancellazione delle organizzazioni e associazioni iscritte, contributi da versare per l’iscrizione, modalità di aggiornamento dell’elenco. rapporti del nuovo regolamento con il regolamento n. 260 del 2012. Come osservato dal parere n. 1458 del 20 settembre 2021, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, il nuovo regolamento è stato redatto sulla base di quello di cui al D.M. 21 dicembre 2012 n. 260, recante “norme per l’iscrizione nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell’art. 137, comma 2, del Codice del Consumo”. Questo elenco, già esistente e tenuto dal MISE rimane attivo per gli ulteriori e diversi fini di cui al Codice del Consumo, non venendo sostituito dal nuovo. nel contempo, peraltro, le venti associazioni di consumatori e utenti che risultano attualmente iscritte per l’anno 2021 nell’elenco del MISE, ai sensi dell’articolo 2 comma 4, del nuovo regolamento, sono “incluse” nel nuovo elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, ai fini del primo popolamento di questo. In particolare, considerato che nel parere del Consiglio di Stato era stato suggerito di specificare le modalità di iscrizione di questi soggetti, deve ritenersi che la “inclusione” operi d’ufficio ex lege, senza la necessità non sol (4) A. CARRAttA, “L’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva”, Relazione al Convegno “La conciliazione collettiva” (università degli Studi di Milano, 26 settembre 2008); A. CARRAttA, “La class action riformata -i nuovi procedimenti collettivi: considerazioni a prima lettura”, in Giur. it., 2019, 10, pp. 2297 ss. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 tanto che presentino una domanda di iscrizione, ma neanche che versino il contributo di 200 euro per l’iscrizione. La scelta di prevedere che questo “primo popolamento” avvenga in modo automatico è condivisibile, perché consente che, senza soluzione di continuità, le azioni collettive possano essere proposte non soltanto da singoli componenti delle classi, ma anche da enti esponenziali, dotati di un’organizzazione e delle risorse necessarie per curare adeguatamente lo svolgimento di un processo di classe. In particolare, in forza della lettera c) del comma 2 dell’articolo 1, possono chiedere l’iscrizione all’elenco “gli enti individuati dall’art. 4 del Codice del Terzo Settore D.lgs 3 luglio 2017 n. 117” e, cioè: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, enti filantropici, reti associative, società di mutuo soccorso, associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi ed iscritti nel Registro unico nazionale del terzo Settore. Secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, del Codice del terzo Settore, sembra doversi ammettere che possano essere iscritti nell’elenco in esame anche gli “enti religiosi civilmente riconosciuti” e le “fabbricerie” ex art. 72 L. 20 maggio 1985 n. 222, “a condizione che adottino un regolamento in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel registro unico nazionale del Terzo settore e che per lo svolgimento di queste attività sia costituito un patrimonio destinato e siano tenute separatamente le scritture contabili”. Sul terzo Settore è stato osservato che si è in presenza di un nuovo esempio di polimorfismo della soggettività giuridica (5): ci si è chiesti se alla positivizzazione nominalistica corrisponda una giuridicizzazione contenutistica. Dalla teoria della finzione di Savigny sino alla c.d. neutralità dello schema societario (6) si può senz’altro affermare che i due indici principali dell’Ente del terzo Settore sono: l’autonomia dalle amministrazioni pubbliche e il divieto di distribuzione sia diretta che indiretta degli utili (non distribution constraint). Si è precisato che l’espressione non profit dovrebbe essere letta come (5) G. nAtALE, “il Terzo Settore: un nuovo esempio di polimorfismo della soggettività giuridica” in rass. avv. Stato, 2019, vol. 4, pp. 324 ss. (6) Si pensi a P. RESCIGno “Le formazioni sociali intermedie” in riv. Dir. Civ., 1988, vol. 44, fasc. 3, pp. 301-313. ContRIButI DI DottRInA non for profit, legato al concetto di scopo di lucro soggettivo e oggettivo, mutualità interna o esterna legata all’esperienza nord-americana delle charitable corporation. Gli enti esclusi: le imprese sociali, incluse le cooperative sociali e le amministrazioni pubbliche. Quest’ultima esclusione è sicuramente apprezzabile, posto che queste, in forza dell’art. 97 della Costituzione, devono assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, sicché non pare opportuno che queste possano rendersi promotrici di azioni collettive, che per definizione - sono “di parte”. È bene precisare che ovviamente la disposizione regolamentare non può incidere: 1) né sulla legittimazione prevista da speciali disposizioni di legge a tutela di beni collettivi, come ad esempio l’articolo 311 del Codice dell’Ambiente D.lgs 3 aprile 2006 n. 152, ai sensi del quale il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale. 2) né sulla legittimazione a promuovere diritti o interessi di cui i singoli enti pubblici (specialmente territoriali) siano direttamente titolari: si pensi, ad esempio, all’azione inibitoria nei confronti di un’impresa che pregiudichi beni a qualsiasi titolo di proprietà di uno o più Comuni o di una o più Regioni. Per quanto riguarda la tematica ambientale, è da osservare che le norme del c.p.c. in tema di azioni collettive sembrano destinate, dopo 16 anni dal- l’abrogazione operata dall’art. 318, comma 2, del Codice dell’Ambiente del 2006, a “ripristinare” in via di fatto la previsione di cui all’art. 9, comma 3, del tuel (D.lgs 18 agosto 2000 n. 267) che prevedeva che “Le associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 della legge 8 luglio 1986 n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale”: tra gli enti che potranno chiedere l’iscrizione all’elenco di cui al nuovo Regolamento, infatti, sembrano doversi sicuramente ammettere le associazioni che abbiano ad oggetto la tutela dell’ambiente. oltre agli enti pubblici, sempre in forza dell’articolo 4 del Codice del terzo settore, sono esclusi: le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile. L’esclusione di tali enti si giustifica, perché il legislatore ha voluto evitare che le azioni collettive possano essere utilizzate come strumenti di promozione dell’immagine e della notorietà. Ma non è da escludere che se qualcuno di tali enti chiedesse l’iscrizione nell’elenco, a fronte del provvedimento negativo RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 del Ministero della Giustizia, potrebbe chiedere tutela al giudice amministrativo, chiedendo che dichiari l’illegittimità in parte qua del regolamento. Ulteriori requisiti. L’essere enti del terzo settore è condizione necessaria, ma non sufficiente per l’iscrizione nell’elenco previsto dal nuovo D.M. L’art. 3 di questo decreto, infatti, impone altre condizioni alle “organizzazioni e associazioni” richiedenti ed analiticamente: 1) Essere state costituite almeno due anni prima della presentazione della domanda di iscrizione all’elenco: la previsione della necessità che sia trascorso almeno un biennio dalla costituzione dell’ente, impedisce che questo sia istituito ad hoc al solo fine di promuovere un’azione collettiva; 2) Avere sede nella repubblica italiana o in uno degli Stati membri dell’unione Europea: l’esclusione delle organizzazioni che abbiano sede al di fuori dell’unione europea non sembra né condivisibile né legittima, ove si consideri che si pone in contrasto con la generale garanzia di agire in giudizio assicurata dall’articolo 24, comma 1, della Costituzione: è ben vero che le azioni collettive sono “alternative” e “facoltative” rispetto alle forme ordinarie di tutela giurisdizionale, ma la disposizione costituzionale non sembra tollerare alcuna limitazione all’accesso alla giustizia; 3) Avere come obiettivo statutario, anche non esclusivo, la tutela di diritti individuali omogenei, senza scopo di lucro. La previsione dell’assenza dello scopo di lucro è in realtà superflua, posto che la stessa è già stabilita dall’art. 4 del Codice del terzo settore, che rappresenta il presupposto essenziale della disciplina. L’assenza di scopo di lucro deve ritenersi necessaria anche per l’esercizio delle azioni inibitorie collettive. 4) Avere un ordinamento a base democratica con convocazione degli iscritti con cadenza almeno annuale. La prima parte di questa previsione è sostanzialmente superflua, atteso che già imposta dal Codice del terzo Settore (in particolare l’articolo 25 che impone “il rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali”). A margine di questa previsione pare opportuno precisare, specie avendo riguardo a fondazioni ed agli enti religiosi che l’investitura “democratica” deve riguardare soltanto gli organi di indirizzo e di vigilanza e non anche i soggetti investiti della rappresentanza legale dell’ente. ha, invece, carattere autenticamente originale e precettivo la seconda parte della disposizione che richiede che gli iscritti siano convocati almeno annualmente: la previsione è chiaramente rivolta ad assicurare un’attiva e costante partecipazione. A questa medesima finalità è funzionale la definizione di cui alla lettera g) dell’articolo 1, secondo cui gli “iscritti sono i soggetti che hanno espressamente manifestato la volontà di aderire all’organizzazione o associazione mediante versamento di una quota associativa di importo non meramente simbolico, in forma tracciabile ed almeno una volta nel biennio anteriore ContRIButI DI DottRInA alla relativa dichiarazione”. tale previsione vuole stabilire una partecipazione reale e non solo formale degli iscritti. 5) Svolgere in modo continuativo, adeguato e stabile le attività statutarie attraverso articolazioni territoriali, disponibilità di un sito internet aggiornato caratterizzato da contenuti informativi e dall’assenza di qualsiasi forma di pubblicità anche indiretta, attività costante di assistenza e consulenza per gli iscritti e per soggetti terzi, l’adozione di iniziative pubbliche. tale disposizione stabilisce i quattro tratti essenziali dell’attività che devono essere tutti cumulativamente svolti da ciascun ente che richieda l’iscrizione nell’elenco. Diversamente da quelli anteriormente considerati, che possono essere verificati attraverso un semplice controllo di ordine documentale, il requisito stabilito dalla lettera e) richiede delle indagini di ordine fattuale e storico. In particolare, si badi che il requisito del possesso di “articolazioni territoriali” non stabilisce alcuna estensione (a livello nazionale, interregionale…), sicché deve ritenersi sufficiente che l’organizzazione abbia un radicamento locale, anche circoscritto territorialmente. 6) operare la raccolta delle fonti di finanziamento con le modalità stabilite dal decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117: in forza di questa previsione le organizzazioni ed associazioni che chiedono di essere iscritti all’elenco devono dimostrare non solo di avere i requisiti formali propri degli enti del terzo settore, ma è necessario che siano tali sotto il profilo del loro sostentamento economico. L’art. 7 del D.lgs 117/17 chiarisce che “1. Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del terzo settore, al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva” e che “2. Gli enti del terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità alle Linee Guide adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle Politiche Sociali, sentita la Cabina di regia di cui all’art. 97 e il Consiglio nazionale del terzo Settore”. 7) Prevedere requisiti di onorabilità degli associati, amministratori o rappresentanti conformi a quelli fissati dall’art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, cioè quelli previsti dal tuf per “i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio, Sicav e Sicaf”. 8) Prevedere a livello statutario la trasparenza amministrativa e contabile anche mediante la pubblicazione annuale del bilancio e la revisione del medesimo ad opera di soggetti terzi. In proposito va ricordato che tali ob RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 blighi sono imposti in generale per tutti gli enti del terzo settore dagli artt. 12 e 13, “Scritture contabili e bilancio” e “Bilancio sociale” (7), nonché 30 e 31, “organo di controllo” e “Revisione legale dei conti”, del Codice del terzo Settore. L’attuale Decreto del ministero della giustizia disciplina, altresì, le regole di ordine procedimentale che i richiedenti ed il Ministero della Giustizia devono seguire, rispettivamente: 1) nella presentazione della domanda (articolo 4). 2) nell’istruttoria da svolgere per l’iscrizione nel registro (articolo 6), per l’aggiornamento annuale dell’elenco (articoli 7 e 89), nonché per l’adozione degli eventuali provvedimenti di sospensione e cancellazione dall’elenco (articoli 9 e 11). È importante precisare che gli eventuali provvedimenti di sospensione o cancellazione degli enti dall’elenco non paiono in grado di incidere sullo svolgimento degli eventuali processi collettivi già instaurati e pendenti: non vengono meno né la legittimazione processuale dell’ente promotore, né di conseguenza, le sue prerogative, i suoi obblighi ed i suoi oneri nei confronti degli aderenti all’azione di classe previsti dagli artt. 840-bis e seguenti del c.p.c. tale azione assume un rilievo decisivo nel settore dei servizi pubblici di interesse economico, oggetto di riforma sia nel nuovo DDL concorrenza (8) sia nella legge delega n. 78 sui contratti pubblici approvata lo scorso giugno. I servizi pubblici sono centrali anche nel PnRR, in quanto vedono protagonisti gli enti locali in applicazione del principio di sussidiarietà. Le c.d. Carte dei servizi e il criterio della c.d. “customer satisfaction” rappresentano l’indice rivelatore della qualità dei servizi e di conseguenza della qualità della vita dei cittadini. non è un caso che in tali giorni il Codacons stia valutando una class action contro AMA e il Comune di Roma per la grave situazione dei rifiuti nella capitale (9). (7) Per la cui redazione si veda in particolare il D.M. Lavoro 4 luglio 2019, pubblicato nella G.U. n. 186 del 9 agosto 2019. (8) https://www.governo.it/sites/governo.it/files/77938-10029.pdf . (9) un’altra class action portata avanti dal Codacons contro il Comune di Roma ha riguardato le buche presenti sulle strade ma il tribunale di Roma ne ha dichiarato l’inammissibilità: trib. Roma, sez. II, n. 3685/2019. Il tema delle class action è stato oggetto di molti interventi giurisdizionali, si riportano: Cons. Stato, sez. III, 21/03/2022 n. 2044; Cons. Stato, sez. Consultiva Atti normativi, n. 01458/2021; Cass. civ., sez. I, 15/05/2019, n. 12997; t.A.R. toscana, sez. I, 22/05/2018, n. 712; Cass. civ., sez. III, 23/10/2018, n. 26725; trib. venezia, sez. III, 25/05/2017; trib. Roma, sez. II, 26/05/2017, n. 10686; t.A.R. Lazio, sez. III, 05/05/2016, n. 5190; trib. Roma, sent. n. 9381/2016. vari sono poi stati le note a sentenze da parte della dottrina. Senza scopo di esaustività se ne citano alcune: “Class action, risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento e disservizi nel trasporto ferroviario” nota a Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2019, n. 14886 in responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 1, 2020; A. GIuSSAnI, A. PEPE “Class actions e finanziamento delle liti” in rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc. 2, 1 giugno 2022, p. 303; E. StRACQuALuRSI, “azione di classe: analisi della prospettiva della Corte di Cassazione in tema di omogeneità” nota a Cass. civ., sez. III, 31/05/2019, n. 14886 in GiustiziaCivile.com, 23 gennaio 2020; A. SCARPA, “inammissibilità dell'azione di classe e ricorso per cassazione” nota a Cass. civ., sez. un., 01/02/2017, n. 2610 in ilProcessoCivile, 6 marzo 2017. ContRIButI DI DottRInA un apposito gruppo di lavoro istituito presso il Segretariato della Presidenza del Consiglio dei Ministri coordinato dal Prof. Caia sta elaborando un apposito studio sul tema dei servizi pubblici al fine di una sua armonizzazione in un testo unico, attraverso un metodo comparatistico che va dal Contratto delle collettività territoriali francesi basate sul débat public al Local Government act inglese, fino a valutare le realtà dei Lander tedeschi. occorre, però, chiedersi se chi agisce con lo strumento della class action, anche nelle fasi processuali delle c.d. adesioni o post sententiam debba considerarsi “parte” del giudizio in senso tecnico, se possa configurarsi la sua legittimazione attiva come semplice cittadino o come fruitore del servizio o utente, considerato che alcune pronunce hanno ritenuto inammissibili azioni proposte contro le amministrazioni pubbliche, ritenendo legittimati passivi solo le c.d. imprese o concessionari di servizi pubblici. In tale prospettiva un ruolo certamente importante viene svolto dagli uffici conciliativi delle Autorità Amministrative Indipendenti. Senza pretesa di esaustività si può fare riferimento al ruolo dell’ARERA, laddove il Consiglio di Stato (10) con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dello scorso 31 dicembre 2021 ha posto il problema dei limiti entro cui un’Authority in materia di servizi pubblici possa entrare nei rapporti interprivatistici, al di là della sua funzione regolatoria, disponendo addirittura la restituzione di somme indebitamente pagate dall’utente del servizio. Superando le teorie soggettive ed oggettive dei servizi pubblici ex art. 114 tuEL, l’elaborazione scientifica sta concentrando la sua analisi sui tre profili essenziali di: 1) Regolazione 2) organizzazione 3) Gestione. I dibattiti si stanno concentrando sulla figura delle società in house in merito al c.d. “controllo analogo” (vedi D.L. 77/21), sulle procedure di affidamento, società miste con “socio privato operativo e non solo finanziatore” come forma di partenariato pubblico-privato, sulla definizione dell’ “intermodalità” dei servizi di trasporto pubblico, sulla definizione di “gestore unico d’ambito”, sul concetto di “servizio di rete”, economie di scala, c.d. Benchmarking e monitoraggio dei flussi formativi attraverso il processo in atto di digitalizzazione. tutti profili rilevanti, ma occorre analizzare il tema dal punto di vista dell’utente, inteso come persona e come cittadino. I servizi pubblici rappresentano un fattore importante di coesione sociale e territoriale nel rispetto del principio di uguaglianza ex artt. 2 e 3 Cost. La class action, al di là delle questioni processuali rappresenta uno schema concettuale attraverso cui si può operare la “c.d. istituzionalizzazione (10) Cons. Stato, sez. vI, ordinanza 31 dicembre 2021, n. 8737. RASSEGnA AvvoCAtuRA DELLo StAto -n. 2/2022 dell’utenza”, nel senso di dare centralità ai cittadini che hanno diritto ai servizi essenziali, servizi dotati di universalità, accessibili a tutti, con un livello di efficienza che è l’ indice rivelatore del livello di civiltà di un Paese democratico. In tale ottica i “contratti di servizio” e le “Carte di servizio” rappresentano l’elemento di raccordo tra l’ente affidatario e il gestore, idonei a definire la base giuridica di un’ottimizzazione dei servizi resi alla collettività. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo trentacinque anni di prestigiosa presenza, l’Avv. Michele Damiani, Avvocato Distrettuale di Bologna. Al Collega e Amico che ha onorato l’Istituto con la Sua alta professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del paese, il Suo costante impegno nello svolgimento -con saggezza ed equilibrio -dei compiti di Avvocato Distrettuale, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) Email Segreteria Particolare, lunedì 7 novembre 2022. Finito di stampare nel mese di febbraio 2023 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma