ANNO LXXIV - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2022 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Marco Cerase, Manuela Di Blasi, Andrea Ferri, Michele Gerardo, Paolo Giangrosso, Herik Mutarelli, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Carlo Maria Pisana, Emanuela Rosanò, Daniele Saccoccio, Isabella Vitiello. E-mail Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Audizione dell’Avvocato Generale dello Stato, Avv. Gabriella Palmieri Sandulli, del 25 gennaio 2023. Camera dei Deputati, XIV Commissione - Politiche dell’Unione europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 7 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di insediamento del Presidente del Consiglio di Stato e di presentazione della “Relazione sull’attività della Giustizia Amministrativa” anno 2022. Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 10 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 del T.a.r. Lazio. . . . . . ›› 13 Protocollo d’intesa sul processo civile in Cassazione tra la Corte Suprema di cassazione, la Procura Generale della Corte di cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense, 1° marzo 2023 ›› 17 Ricorsi proposti davanti al Giudice di Pace contro gli avvisi di addebito di cui all’art. 4-sexies, comma 6, D.L. 1 aprile 2021 n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021 n. 76 notificati dall’Agenzia delle entrate-Riscossione (ADER) a titolo di sanzione per inadempimeto all’obbligo vaccinale anti COVID-19. Istruzioni operative, Circolare A.G. prot. 89980 del 3 febbraio 2023 n. 7. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 23 Ulteriori indicazioni per la gestione del contenzioso relativo ai giudizi di convalida di licenza per finita locazione degli immobili FIP -Atti di intimazione per finita locazione notificati da Investire SGR e altri locatori nei confronti dell’Agenzia del Demanio, in relazione a immobili conferiti nei fondi di cui all’articolo 4 del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, conv. con mod. in L. 23 novembre 2001, n. 410, assegnati a varie amministrazioni usuarie, Circolare A.G. prot. 120104 del 14 febbraio 2023 n. 10 . . ›› 28 D.P.C.M. 30 gennaio 2023 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere e continuare la rappresentanza e la difesa della società ‘Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 S.p.a.’ nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”, Circolare A.G. prot. 164257 del 2 marzo 2023 n. 13 m ›› 30 Soppressione di Riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) a decorrere dal 1° ottobre 2021. Piena operatività del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a decorrere dal 1° aprile 2023, Circolare A.G. prot. 224411 del 27 marzo 2023 n. 21 . . . . . ›› 31 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Herik Mutarelli, “Lexitor”. (segue) Rimborso anticipato del credito alla luce della “nuova” pronuncia della Corte di Giustizia del 9 febbraio 2023, UniCredit Bank Austria, C-555/21 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 33 Wally ferrante, Protezione internazionale e vincolatività delle decisioni degli Stati membri (C. giust. Ue, Osservazioni del Governo italiano in causa C-753/22) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Emanuela Rosanò, AIRBNB: la Corte di Giustizia U.E. interviene sul regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare riguardanti le locazioni brevi e sull’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia (C. giust. Ue, Sez. II, sent. 22 dicembre 2022, causa C83/ 21) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Manuela Di Blasi, La tutela della sovranità agroalimentare come interesse nazionale strategico nel prisma dell’evoluzione normativa in materia di golden power. Il caso Verisem (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 9 gennaio 2023 n. 289) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Cerase, Istituzioni AFAM e procedura dell’istituto del commissariamento. Brevi osservazioni a T.a.r. Lazio, Sez. III ter, sentenza 9 febbraio 2023 n. 2232 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Michele Gerardo, Rapporto di lavoro con la P.A.: selezione dei pubblici dipendenti, perfomance, situazioni giuridiche soggettive inter partes e le varie responsabilità del lavoratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Giangrosso, Il contesto europeo del Cybercrime e la l. n. 48/2008 di ratifica alla Convenzione sul Cybercrime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Daniele Saccoccio, Accesso abusivo ad un sistema informatico . . . . . . . Daniele Saccoccio, La Frode Informatica. Il discrimine tra truffa e frode informatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Carlo Maria Pisana, Introduzione al giudizio di legittimità civile . . . . . . Gaetana Natale, La microrigenerazione urbana come esperienza di cittadinanza attiva e modello operativo della c.d. Amministrazione condivisa ..................................................... Gaetana Natale, La concessione: l’istituto generatore di sistemi complessi Isabella Vitiello, Le prove e l’istruzione probatoria nel processo tributario ................................................... Andrea ferri, Anonimato e segni di riconoscimento nelle procedure concorsuali; il percorso della giurisprudenza amministrativa . . . . . . . . . . . pag. 48 ›› 56 ›› 83 ›› 114 ›› 129 ›› 219 ›› 223 ›› 227 ›› 231 ›› 244 ›› 263 ›› 277 ›› 310 Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Massimo Lucci. . ................................................. temiistituzionali Camera dei deputati xiv Commissione - politiChe dell’unione europea Audizione dell’Avvocato Generale dello Stato, Avv. Gabriella Palmieri Sandulli, del 25 gennaio 2023 On.le Presidente, On.li Deputati. Desidero anzitutto ringraziarvi per avere voluto associare anche me -e attraverso me l’Istituto che ho l’onore di rappresentare -a questo ciclo di audizioni, che fanno seguito alla pubblicazione della recente comunicazione della Commissione europea sull’applicazione del diritto dell’Unione per un’Europa dei Risultati. L’Avvocatura dello Stato è l’organo legale dello Stato al quale sono assegnati compiti di consulenza giuridica e di difesa dello Stato, degli Organi costituzionali e delle Amministrazioni statali in tutti i giudizi civili, penali, amministrativi, arbitrali, comunitari e internazionali. Tra i compiti dell’Avvocatura dello Stato vi è, dunque, anche quello di rappresentare la Repubblica italiana dinnanzi a tutte le giurisdizioni internazionali e sovranazionali, ivi compresa -per quanto qui interessa -la Corte di giustizia dell’Unione europea. Ricordo, inoltre, che ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge n. 234 del 2012 -ossia della legge che reca le norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea -il ruolo di Agente del Governo italiano presso la Corte di giustizia dell’Unione europea deve essere necessariamente conferito ad un Avvocato dello Stato. Attualmente questo ruolo è attribuito direttamente al vertice dell’Istituto, ossia a chi vi parla, a testimonianza della rilevanza che annettiamo a questo contenzioso. Questo complesso di attribuzioni fa dell’Avvocatura dello Stato un os RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 servatorio privilegiato per uno dei temi che formano oggetto della Comunicazione della Commissione europea, quello dello stato di attuazione e applicazione del diritto dell’Unione europea nel nostro Paese. Dal mio osservatorio non posso che confermare che la cultura giuridica delle istituzioni e delle corti italiane, così come quella del mondo forense nazionale, è tra le più attente alle istanze provenienti dal diritto europeo. Come è stato di recente riconosciuto anche dal Presidente della Corte di giustizia Koen Lenaerts, nel corso delle celebrazioni del 70° anniversario del- l’istituzione di tale Corte, il 6 dicembre 2022, la nostra Corte costituzionale ha, negli anni, assunto un ruolo di assoluto protagonismo in quel proficuo dialogo istituzionale che si è sempre più sviluppato tra le Alte Corti europee, la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. È di pochi anni fa la nota sentenza c.d. Taricco 2, nella quale questo dialogo ci ha consegnato una soluzione particolarmente equilibrata, che ha saputo contemperare l’osservanza del diritto dell’Unione europea, e della sua primazia, con il rispetto delle tradizioni costituzionali e delle identità nazionali degli Stati membri (nella fattispecie, la nostra visione della prescrizione penale quale istituto di diritto sostanziale, che non ne consente un’applicazione retroattiva in danno dell’imputato). Più di recente, desidero ricordare la sentenza n. 54 del 2022, nella quale la Corte costituzionale, dopo avere investito la Corte di giustizia dell’Unione europea con un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ha riconosciuto il diritto all’assegno di maternità e all’assegno di natalità ai cittadini degli Stati terzi ammessi a soggiornare in Italia a norma del diritto dell’Unione europea. O, ancora, la sentenza n. 263 del 2022, nella quale la Corte costituzionale ha riconosciuto importanti diritti ai consumatori nei confronti degli istituti di credito (in particolare, il diritto alla restituzione dei costi del finanziamento, nel caso di rimborso anticipato), dando prevalenza al diritto dell’Unione, così come interpretato dalla Corte di giustizia nella nota sentenza Lexitor, sul diritto nazionale. In tutti questi giudizi l’Avvocatura dello Stato è stata, ovviamente, presente e ha cercato di contribuire all’individuazione di una soluzione che conducesse alla migliore integrazione tra diritto nazionale e diritto europeo, evitando che si creassero punti di frizione e, in ultima analisi, che si determinasse il rischio di procedure di infrazione. La sensibilità verso il diritto dell’Unione europea dimostrata dalla Corte costituzionale trova riscontro anche presso tutte le giurisdizioni nazionali. Nel panorama europeo, i giudici italiani sono tra i più assidui nella ricerca del dialogo e della collaborazione con la Corte di giustizia dell’Unione europea. Dall’ultima relazione annuale della Corte disponibile, quella relativa all’anno 2021, emerge che su 567 rinvii pregiudiziali, ben 46 provengono da giudici italiani. Si tratta di un numero particolarmente rilevante, se si pensa che dalla Francia -ossia da uno Stato membro paragonabile al nostro per di TEmI ISTITUzIONALI mensioni -ne sono stati effettuati esattamente la metà (23), mentre i giudici spagnoli ne hanno sollevati 35. Complessivamente, nel quinquennio 2017-2021, i rinvii pregiudiziali italiani sono stati 285: solo la Germania ne ha sollevati di più. L’Avvocatura dello Stato è normalmente presente in tutti queste cause pregiudiziali, come lo è nelle cause che originano da rinvii pregiudiziali da parte di giudici nazionali di altri Stati membri e che, tuttavia, nella visione delle autorità nazionali, possono coinvolgere nostri interessi politici o amministrativi. Diminuiscono invece -ma questo è un dato va letto in chiave evidentemente positiva -le cause di infrazione contro la Repubblica italiana: nel 2021 ne è stata avviata solo una, due nel 2020. Il progresso è notevole, considerato che nel biennio 2018/19 la Commissione europea ci aveva deferito 11 volte in Corte di giustizia. Da ultimo, bisogna menzionare i giudizi -non numerosi, ma sicuramente di rilievo -che hanno ad oggetto l’impugnazione, da parte della Repubblica italiana, di decisioni della Commissione o di altre Istituzioni dell’Unione europea, come ad esempio le decisioni in materia di aiuti di Stato o le decisioni di recupero del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia. Tra questi, mi piace ricordare, anche perché è un contenzioso sinora sempre risultato vincente, i numerosi ricorsi proposti dall’Avvocatura dello Stato a difesa dell’uso della lingua italiana nelle procedure di concorso per il reclutamento del personale delle istituzioni dell’Unione. La pari dignità di tutte le lingue nazionali degli Stati membri -che, ricordo, sono tutte lingue ufficiali dell’Unione -è un valore fondamentale per la coesione sociale europea e per il radicarsi di un effettivo sentimento di cittadinanza europea. Questo obiettivo è stato costantemente perseguito dai governi nazionali che si sono succeduti negli ultimi anni. Personalmente, sono particolarmente d’accordo con questa battaglia contro ogni tentativo di introdurre un trilinguismo di fatto, limitato all’inglese, al francese e al tedesco, che discrimini la lingua italiana. Da ultimo, il 9 dicembre 2022, il Governo è intervenuto nella causa T-555/22 a sostegno della Francia che aveva contestato la previsione del bando che prevede esclusivamente l’inglese quale seconda lingua richiesta ai candidati, ritenendola lesiva dei principi del pluralismo linguistico e della non discriminazione. Il 16 febbraio prossimo sarà depositata la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-635/20 P, appello proposto dalla Commissione avverso la sentenza del Tribunale Ue che aveva accolto il ricorso del Governo italiano e spagnolo che censuravano la decisione del bando di limitare al solo inglese, francese, tedesco le lingue nelle quali è consentito, ai candidati che abbiano superato le prove preselettive, sostenere le prove selettive del concorso (colloquio strutturato, studio di caso, esercizio in gruppo, redazione di una relazione) e la riduzione alle predette lingue IFT quelle nelle quali era consentito ai candidati presentare la candidatura e ricevere dall’Epso le comunicazioni inerenti allo svolgimento della procedura. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 voglio ancora, in questa sede, ricordare che, a seguito della riforma di Lisbona dei Trattati e, in particolare, a seguito dell’adozione del Protocollo n. 2 al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, relativo all’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, tra i soggetti legittimati ad adire direttamente la Corte di giustizia vi sono i Parlamenti nazionali e, nei sistemi bicamerali, anche le singole Camere di tali Parlamenti nazionali. L’art. 8 del Protocollo, infatti, contempla la possibilità delle Camere di proporre ricorso per violazione del principio di sussidiarietà, nel quadro del controllo sul rispetto del principio di solidarietà che l’art. 68 del TFUE demanda, per l’appunto, ai Palamenti nazionali. Si tratta di uno strumento di difesa delle competenze nazionali di cui i Parlamenti nazionali non si sono, sin qui, avvalsi, ma di cui credo debba tenersi conto, sia pure quale extrema ratio, nel dialogo con le Istituzioni dell’Unione. L’Avvocatura dello Stato è, ovviamente, a disposizione del Parlamento, per fornire la propria consulenza e assistenza, qualora, in futuro, manifestasse l’eventualità di un’iniziativa di questo tipo. Credo possano essere di un qualche interesse per la Commissione alcuni cenni sul processo attraverso cui, in Italia, si arriva alla decisione di intervento e di ricorso, in relazione ai giudizi di cui ho appena parlato. Una modalità operativa concreta che non si inquadra in una organizzazione burocratica, ma assume caratteristiche di duttilità per adattarsi e risolvere singole situazioni; nell’ambito di un regime di competenze non rigidamente delineate, ma concretamente operative e finalizzate alla migliore espressione dell’interesse pubblico, della collettività. Gli attori di questo processo sono, nella sostanza, tre: -l’Avvocatura dello Stato, che ha un ruolo strettamente tecnico, ma -mi permetto di dire - non per questo minore; -le autorità pubbliche coinvolte, che non sono necessariamente le sole autorità governative. Il Governo italiano interviene in giudizio in rappresentanza della Repubblica italiana e, dunque, deve tenere conto di tutte le articolazioni che la compongono: tanto in senso territoriale, quanto in senso istituzionale. Al dibattito circa l’opportunità dell’intervento partecipano, dunque, non solo le Amministrazioni di governo, ma -a pieno titolo -gli altri organi costituzionali, le autorità indipendenti e, se del caso, anche le Regioni e gli enti territoriali (anche perché, come noto, lo Stato risponde verso l’Unione europea anche del fatto di questi enti, salvo il diritto di rivalsa su di essi. Ecco, quindi, che è necessario che questi enti abbiano l’opportunità di interloquire sulla linea difensiva dello Stato). Personalmente, quindi, troverei utile che, in relazione alle questioni di maggiore rilevanza e che interessano direttamente il Parlamento, anche le Camere siano coinvolte in questa fase, così come già avviene per altri Organi costituzionali (penso, ad esempio, al Consiglio Superiore della magistratura); -l’Agente del Governo, che è una figura a un tempo tecnica -è infatti, per legge, un avvocato dello Stato, come ho prima ricordato -e “politica”, es TEmI ISTITUzIONALI sendo incardinato presso il ministero degli affari esteri. L’Agente del Governo svolge, quindi, un ruolo fondamentale nel contemperamento delle esigenze tecniche e politiche cui prima ho fatto cenno e, non a caso, co-presiede, con la Presidenza del Consiglio -Dipartimento per le Politiche Europee, le riunioni di cui subito dirò, nelle quali appunto si prendono le decisioni di intervento. Il processo di elaborazione di queste decisioni si articola in alcuni semplici passaggi. L’Agente del Governo, quando ha notizia di una nuova causa -vuoi per la notifica di rinvii pregiudiziali o di giudizi diretti che riguardano l’Italia, vuoi in qualsiasi altra forma, nel caso di giudizi diretti che non riguardano l’Italia -comunica l’atto introduttivo del giudizio, da un lato, all’Avvocatura dello Stato e, dall’altro lato, a tutte le autorità interessate. A questo punto, compito dell’Avvocatura è di rappresentare quali siano le possibili ricadute giuridiche e pratiche delle questioni sottoposte alla Corte, affinché le autorità coinvolte possano assumere, con cognizione di causa, le proprie decisioni. Compito di queste autorità è di identificare quale sia la posizione sostanziale che convenga assumere al Governo. In alcuni casi questo interesse è evidente: pensiamo, ad esempio, ai giudizi di infrazione che coinvolgono l’Italia o alle cause pregiudiziali che hanno ad oggetto, per così dire, delle para-infrazioni (quando, cioè, il quesito posto inizia con la frase: «Dica la Corte se il diritto europeo osti a una normativa nazionale, etc..»). Negli altri casi l’interesse va individuato sulla base dei principi di diritto che vengono in gioco nel giudizio. È questo, evidentemente, un ruolo essenziale che, a mio avviso, dovrebbe collocarsi a livello del Gabinetto o, comunque, degli staff degli organi di vertice di tali autorità. È, infatti, fondamentale, come dicevo, che in questa fase si identifichi non tanto la giusta soluzione tecnica, quanto l’effettivo interesse nazionale. Non sarei, al riguardo, pregiudizialmente contraria a che le Amministrazione coinvolte aprissero, a questo stadio, anche una fase di consultazione pubblica, che consenta al Governo di acquisire, ai soli fini istruttori, le posizioni dei portatori di interessi nazionali (imprese, associazioni, consumatori, etc.), onde poi definire con maggiore consapevolezza la posizione processuale. Questa fase decisionale, ormai già da qualche anno -direi da subito dopo l’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012 -si conclude con una riunione presso la Presidenza del Consiglio, come dicevo co-presieduta dall’Agente del Governo e dal Dipartimento per gli affari europei, nel quale si assume la decisione definitiva. Ai sensi dell’art. 42, primo comma, della legge n. 234 del 2012, infatti, le decisioni sui ricorsi e sugli interventi spettano, in ultima istanza, al Presidente del Consiglio dei ministri, che deve agire “in raccordo” -dice la legge -con il ministro degli affari esteri e con i ministri direttamente interessati alla materia. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Nel caso che si decida per l’intervento, viene, quindi, conferito il “mandato” all’Avvocatura dello Stato, con indicazione degli obiettivi dell’intervento. Spetta, poi, all’Avvocatura, nella propria autonomia tecnico-professionale, inquadrare tali obiettivi in una difesa tecnica. Si tratta di un modello che, a mio avviso, ha dato buona prova ed è da valutare positivamente. Da ultimo, ma non per importanza, devo ricordare il contributo alla corretta attuazione e applicazione del diritto dell’Unione che l’Avvocatura dello Stato apporta nell’esercizio della sua attività di consulenza. È, questo, un aspetto direi essenziale della nostra funzione, che contribuisce ad evitare che l’azione del Governo e delle altre autorità statali entri in conflitto con il diritto dell’Unione europea. Ciò sia al fine di evitare il danno di immagine, e potenzialmente finanziario, che può derivare dall’apertura di una procedura di infrazione, sia al fine di non incorrere -ed è questo un aspetto spesso trascurato -nella responsabilità patrimoniale dello Stato che deriva dalla violazione del diritto europeo. La violazione del diritto dell’Unione, da parte di qualsiasi Organo dello Stato (ivi compreso il legislatore, come ha chiarito la Corte sin dalle note sentenze Francovich e Brasserie du Pecheur), è, infatti, fonte di responsabilità diretta dello Stato verso i cittadini o le imprese ed è stata, in passato, causa di un contenzioso nazionale risarcitorio dalle dimensioni spesso molto rilevanti: penso, ad esempio, al caso dei medici specializzandi o a quello dei c.d. precari della scuola. Oltre che nella prevenzione delle infrazioni, l’Avvocatura dello Stato è costantemente impegnata nella gestione delle procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea, anche nella fase pre-processuale, avendo già da anni, al riguardo, avviato una proficua collaborazione con l’apposita Struttura di missione, costituita alle dipendenze del ministro per gli affari europei, il cui coordinatore Prof. massimo Condinanzi è stato già audito da questa Commissione nel corso del presente ciclo di audizioni. On.le Presidente, On.le Deputati della Commissione, spero con questo mio breve intervento di avervi fornito un quadro sintetico, ma sufficientemente chiaro, del contributo dato dall’Istituto che dirigo all’attuazione e alla corretta applicazione del diritto dell’Unione europea. vi ringrazio dell’attenzione e resto a disposizione per gli eventuali quesiti che gli On.li Deputati vorranno sottopormi. Gabriella Palmieri Sandulli Avvocato Generale dello Stato TEmI ISTITUzIONALI Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, Illustri Ospiti, prendo la parola in questa solenne Cerimonia per porgere il saluto del- l’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 2. Nella sua approfondita e ampia relazione il Primo Presidente ha riferito in modo analitico e dettagliato sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte anche nell’anno 2022, frutto, ancora una volta, del grandissimo impegno profuso dai magistrati e da tutto il Personale amministrativo, ai quali vanno il più sentito apprezzamento e la più viva gratitudine. La sinergia fra i diversi attori dell’attività giudiziaria si sviluppa, sul piano strettamente giurisdizionale, nel reciproco impegno per una celere ed efficace definizione del contenzioso pendente. Anche nel 2022 è, pertanto, proseguita la collaborazione dell’Avvocatura dello Stato con la Corte di cassazione sia per lo svolgimento di udienze tematiche, sia per l’individuazione di significative questioni da sottoporre alle Sezioni Unite al fine di determinare un indirizzo univoco necessario per la riduzione del contenzioso pendente anche dinanzi ai giudici di merito. 3. Il 2022 ha registrato anche un deciso e significativo progresso nella digitalizzazione dell’attività giudiziaria che si è definitivamente compiuta in virtù del Decreto Legislativo n. 149/2022, con la previsione della obbligatorietà, a decorrere dal 1° gennaio 2023, del processo telematico anche dinanzi alla Corte di cassazione. L’Avvocatura dello Stato ha contribuito in modo significativo, nel corso del 2022, al progressivo superamento dei depositi cartacei e all’utilizzo del deposito telematico: nel solo mese di dicembre 2022 è stata raggiunta la significativa cifra di circa 1000 depositi telematici effettuati. 4. La riforma ha introdotto anche una nuova formulazione dell’articolo 380-bis del c.p.c. con la previsione di un inedito procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. Si tratta di una innovazione che potrà razionalizzare e semplificare il giudizio civile di cassazione, contribuendo alla eliminazione dell’arretrato, con RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 l’obiettivo condiviso di giungere ad una giustizia non solo celere, ma anche effettiva. L’Avvocatura dello Stato, come sempre, darà il suo apporto in chiave collaborativa, sia per il ruolo istituzionale che la legge le attribuisce, sia perché la gran parte dei processi civili in cassazione la vedono direttamente interessata a difesa delle Amministrazioni pubbliche. va osservato che lo strumento deflattivo introdotto con il novellato art. 380-bis, potrà avere gli auspicati effetti positivi se la proposta sfavorevole al ricorrente formulata dal Presidente della Sezione o dal Consigliere delegato (che la legge definisce come una “sintetica proposta di definizione del giudizio”), risulti -pur nella sua “sinteticità” -il più possibile esaustiva in ordine ai motivi che ne sono alla base. Con la valorizzazione del concetto di sinteticità in chiave di “sufficienza” della proposta e non soltanto con l’applicazione del terzo e del quarto comma del- l’art. 96 c.p.c. che prescinda dalla verifica in concreto della temerarietà della lite solo perché connessa alla mera volontà di proseguire il giudizio, si raggiungerà lo scopo deflattivo che la norma si propone, inducendo i ricorrenti ad abbandonare il giudizio (omettendo di depositare l’istanza di trattazione entro 40 giorni), in quanto fondatamente persuasi del prevedibile esito negativo del ricorso proposto. 5. La digitalizzazione e dematerializzazione dell’attività giudiziaria ha interessato anche l’attività svolta dall’Avvocatura dello Stato in relazione sia ai compiti amministrativi, sia a quelli propriamente defensionali. Ai dati relativi al giudizio di legittimità si aggiungono quelli, rilevantissimi, dei depositi nei gradi di merito civile (Corte d’appello e Tribunale) -in regime di esclusivo deposito telematico sin dal marzo 2020 -per i quali si conferma l’andamento del 2021 (circa 95 mila depositi telematici e circa il 90 per cento in più di quelli eseguiti nel 2020). Andamento analogo per le notifiche telematiche eseguite dall’Avvocatura dello Stato: si confermano le 47 mila notifiche del 2021, con un aumento di circa il 30 per cento rispetto al 2020. 6. Nel 2022 si è registrato nell’Avvocatura dello Stato un incremento degli affari nuovi in tutta Italia di circa il 9% rispetto al 2021; nella sola sede di Roma i nuovi affari hanno raggiunto la notevole cifra di circa 54.000, ritornando, dunque, ai livelli del 2019 precedenti alla pandemia. Per quanto riguarda gli esiti dei giudizi in cui è parte l'Avvocatura dello Stato -che con il contenzioso tributario impegna in maniera rilevante la Corte di cassazione -si conferma una percentuale di successo nelle cause patrocinate nella media superiore al 68%. Tali dati sottolineano l’intensità del lavoro di tutti i componenti dell’Avvocatura dello Stato per assicurare l’ottimale svolgimento dei compiti istituzionali al servizio del Paese. TEmI ISTITUzIONALI 7. Da ultimo, dall’osservatorio privilegiato di Agente del Governo della Repubblica italiana, ricordo come sia efficacemente proseguito il dialogo tra la Corte di cassazione e la Corte di giustizia dell’Unione europea. Nel 2022 sono state proposte nove questioni di rinvio pregiudiziale che hanno riguardato ambiti diversi, mandato d’arresto europeo, disciplina delle accise, diritti dei lavoratori, diritto societario, confermando l’importanza di tale strumento, che assume una funzione fondamentale affinché l’integrazione tra l’ordinamento interno e quello sovranazionale avvenga nel rispetto delle tradizioni costituzionali nazionali e dei principi supremi che ne sono alla base. 8. Nel formulare i più vivi auguri di buon lavoro al vice Presidente del Consiglio Superiore della magistratura, Avv. Fabio Pinelli, concludo questo mio intervento certa di poter confermare, Signor Presidente della Repubblica, che l’Avvocatura dello Stato e tutti i suoi Componenti continueranno a profondere il massimo impegno per essere sempre all’altezza delle rilevanti funzioni loro assegnate. Grazie per l’attenzione. Roma, 26 gennaio 2023 Palazzo di Giustizia, Aula Magna RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Cerimonia di insediamento del presidente del Consiglio di stato luigi maruotti e di presentazione della “relazione sull’attività della giustizia amministrativa” anno 2022 inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Signor Sottosegretario, Autorità, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Illustri Ospiti, sono davvero onorata di prendere la parola in questa solenne Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho il privilegio di dirigere, nel segno della tradizionale e consolidata reciproca collaborazione istituzionale, della quale ringrazio Lei, Signor Presidente, i Suoi Predecessori, nel ricordo commosso del Presidente Franco Frattini, tutti i magistrati e il Personale amministrativo; e sono particolarmente onorata, poiché Lei, Signor Presidente, ha iniziato la Sua così prestigiosa e brillante carriera proprio nel nostro Istituto, all’Avvocatura Generale e all’Avvocatura Distrettuale di Napoli, dimostrando di possedere quelle grandi doti di preparazione giuridica, di dedizione, di capacità professionale, che, unite a un profondo senso dello Stato, hanno sempre caratterizzato il Suo così notevole percorso istituzionale. La Sua attività giurisdizionale, svolta prima presso i Tribunali Amministrativi Regionali e, poi, presso il Consiglio di Stato, si è sempre coniugata con un rilevante impegno scientifico e didattico, testimoniato dalla importante produzione di monografie e articoli. * Anche nel 2022, grazie alla sinergia fra tutti i protagonisti del processo amministrativo, è stato possibile affrontare sia le sfide poste dall’emergenza epidemiologica, sia perseguire l’elaborazione di soluzioni condivise che, tenendo conto dell’interesse di tutte le parti del giudizio, costituiscono presupposto essenziale per un’amministrazione della giustizia sempre più efficiente. Con lo spirito collaborativo proprio dell’Avvocatura dello Stato auspico che questo percorso condiviso possa proseguire. La Giustizia amministrativa riveste un ruolo chiave anche nell’assicurare il rispetto degli obiettivi del PNRR. L’art. 12-bis del decreto-legge n. 68/2022 ha impresso un’accelerazione ai giudizi amministrativi riferibili, in qualsiasi modo, ai finanziamenti del PNRR, introducendo una nuova ipotesi di rito accelerato è richiedendo, per TEmI ISTITUzIONALI tanto, un ulteriore importante impegno, da un lato, al Giudice amministrativo e, dall’altro, anche alle Amministrazioni pubbliche per assicurare l’efficacia della difesa in giudizio. * L’attività dell’Avvocatura dello Stato si svolge in misura rilevantissima dinanzi alla magistratura amministrativa, cui auspica di fornire un utile contributo, come è già avvenuto per la partecipazione alla Commissione istituita per redigere la bozza del nuovo Codice dei contratti pubblici, sia nello svolgimento dell’attività giurisdizionale, nella quale si esprime la missione del- l’Istituto, sia nei settori di natura organizzativa, collaterali, ma non meno importanti, come il costante contributo fornito nel progetto che ha portato alla nascita e al rafforzamento dell’efficienza del processo amministrativo telematico. * La giustizia amministrativa è stata, infatti, il primo plesso giurisdizionale a passare, sin dal gennaio del 2018, a una modalità esclusivamente telematica di deposito degli atti difensivi e dei provvedimenti giurisdizionali in tutti i giudizi. Ciò ha consentito di affrontare il momento emergenziale con strumenti già consolidati, nell’occasione integrati, con tempestività ed efficacia, anche con Protocolli condivisi. Nuove sfide innovative si impongono. Un auspicabile obiettivo ancora più importante a seguito dell’attivazione dei processi telematici avanti alla Corte di cassazione e alla Corte costituzionale è la ricerca di un’armonizzazione delle norme, delle piattaforme e degli strumenti di deposito, notifica e consultazione nei vari processi giurisdizionali telematici, al fine di assicurare un’immediata condivisione dei provvedimenti giurisdizionali, degli atti e dei documenti difensivi, nella prospettiva del costante miglioramento complessivo del servizio giustizia. * va ricordato, con specifico riferimento all’attività dell’Avvocatura dello Stato, il rilevantissimo volume degli scambi processuali con la giustizia amministrativa. Nel 2022, si è registrato un ulteriore incremento dei depositi telematici, passati da 80.000 a quasi 90.000 (12mila verso il Consiglio di Stato), con un aumento del 12,5%. I depositi telematici effettuati dall’Avvocatura dello Stato hanno rappresentato, pertanto, il 35% del complessivo numero di quelli effettuati a livello nazionale. Dai predetti dati emerge, con chiarezza, l’intensità dell’impegno dell’Avvocatura dello Stato, unita alla considerazione dell’importanza e della centralità degli ambiti e delle materie trattate quotidianamente davanti al Giudice Amministrativo. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 * Come è proseguito l’impegno innanzi alle giurisdizioni sovranazionali, Corte di giustizia e Tribunale della Ue e CEDU, essendo costante la necessità di confrontarsi con la normativa europea e la tutela uniforme dei diritti che ne deriva. In questo delicato compito le Sezioni giurisdizionali e consultive del Consiglio di Stato hanno continuato a svolgere un importante ruolo di indirizzo, essendo, peraltro, Giudici di ultima istanza. Nel 2022, infatti, i Giudici amministrativi hanno proposto 21 rinvii pregiudiziali, 10 il Consiglio di Stato, riguardanti delicate tematiche, come appalti, concorrenza, tutela dei consumatori, pratiche commerciali scorrette. L’importanza del rinvio pregiudiziale, delineata dalla stessa Corte di giustizia come strumento di cooperazione “da giudice a giudice”, è considerata, perciò, una “chiave di volta” del sistema giurisdizionale della Ue. Proprio nel meccanismo del rinvio pregiudiziale si evidenzia la collaborazione istituzionale tra il Consiglio di Stato e l’Avvocatura dello Stato, che, già presente nei giudizi nazionali, è chiamata a sostenere le ragioni del Governo italiano anche innanzi alla Corte di giustizia, per, poi, rappresentarne esiti e conseguenze alla ripresa del giudizio dinnanzi al Giudice nazionale. Un circuito virtuoso. * Concludo questo mio intervento confermando il massimo impegno del- l’Avvocatura dello Stato nello svolgimento dei compiti ad essa assegnati e formulando a Lei, Signor Presidente, a nome dell’Avvocatura dello Stato e mio personale, gli auguri più fervidi e più sinceri di un proficuo lavoro. Grazie per l’attenzione. Roma, 30 gennaio 2023 Palazzo Spada TEmI ISTITUzIONALI Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 del tribunale amministrativo regionale del lazio Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente, Signori Magistrati, Autorità, Colleghi Avvocati, Gentili Ospiti anche collegati da remoto, 1. Con grande piacere prendo la parola in questa Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. Anche quest’anno l’Avvocatura dello Stato, è chiamata ad intervenire in questa solenne occasione, consentendo, pertanto, la prosecuzione di un continuo e proficuo scambio e confronto tra l’Avvocatura, del Foro libero e Pubblica, unitariamente intesa, e la magistratura amministrativa a conferma di quello spirito di collaborazione istituzionale che sussiste e deve esserci tra il Giudice amministrativo e gli Avvocati. * 2. Il T.a.r. del Lazio è certamente un organo giudiziario che costituisce un unicum nel panorama sia nazionale che europeo, concentrando in sé le competenze di T.a.r. regionale e di T.a.r. centrale. Il contenzioso che gli è riservato è tanto numeroso quanto delicato incidendo nei più rilevanti settori della vita economica del Paese, reso ancora più importante dall’attuale momento storico in cui la Pubblica Amministrazione si trova ad affrontare, nel perseguimento dell’interesse pubblico, sempre nuove sfide, quali quelle derivanti dal PNRR. Il PNRR ha un notevole impatto sulla giustizia amministrativa e su tutti gli operatori che vi sono coinvolti a vario titolo, compresi gli Avvocati dello Stato, poiché esso imponendo, da un lato, lo smaltimento dell’arretrato e, dal- l’altro, avendo ispirato la previsione di un “rito accelerato” -quello introdotto, appunto, dall’articolo 12-bis del decreto-legge n. 68, del 16 giugno 2022, convertito in legge 5 agosto 2022, n. 108, per tutti i ricorsi che abbiano ad oggetto qualsiasi procedura amministrativa che riguardi interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR -comporta un costante impegno collettivo al fine di realizzare i traguardi assegnati nell’interesse del Paese e delle future generazioni, come ha sottolineato anche Lei, Signor Presidente, nella Sua Relazione. All’obiettivo di un progressivo incremento dell’efficacia ed efficienza dell’attività giurisdizionale nella sua più ampia accezione concorre l’Avvocatura dello Stato con il suo impegno costante. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 * L’intensa attività giurisdizionale del T.a.r. Lazio vede, infatti, nell’Avvocatura dello Stato, quale difensore istituzionale delle pubbliche Amministrazioni, il principale interlocutore. I dati numerici ne sono un’evidente rappresentazione: nel 2022 sono stati impiantati in Avvocatura Generale oltre 13.000 nuovi affari di competenza delle Sezioni romane del T.a.r. Lazio, con un aumento di circa il 28% rispetto all’anno precedente, in linea con quel consistente aumento generale del contenzioso segnalato anche da Lei, Signor Presidente, nella sua Relazione. Nel 2022, infatti, i depositi effettuati dall’Avvocatura dello Stato al T.a.r. del Lazio (Roma) sono stati oltre 29.000, con un significativo incremento (pari anche in questo caso a circa il 30% in più) anche rispetto ai 22.000 del 2021. * Come già ricordato, il T.a.r. Lazio, nell’ampio quadro delle sue competenze, si occupa del public enforcement del diritto della concorrenza e della regolazione dei mercati, che ormai riguarda pressoché tutti i settori economici, nonché dei provvedimenti che riguardano l’esercizio di poteri fondamentali dello Stato, come, ad esempio, il golden power, e, più in generale, tutti i principali atti di governo, che trovano nel T.a.r. Lazio il loro giudice naturale e nell’Avvocatura dello Stato il difensore istituzionale. * Proprio analizzando alcune delle più rilevanti questioni che assumono impatto significativo sulla vita economica del Paese in questo periodo di grande tensione internazionale, va menzionato il delicato contenzioso che ha avuto ad oggetto il provvedimento 17 giugno 2022 del Direttore dell’Agenzia delle entrate (nonché le successive Circolari interpretative) con cui è stata data attuazione all’art. 37, comma 5, del D.L. n. 21 del 2022, (convertito con modificazioni con la L. n. 51 del 2022), nella misura in cui questo prevede che siano «... definiti gli adempimenti, anche dichiarativi, e le modalità di versamento » del “Contributo straordinario contro il caro bollette”. Si tratta del c.d. tributo una tantum, valido per la sola annualità 2022, finalizzato a contrastare, in favore di famiglie e imprese, l’aumento vertiginoso del costo dell’energia, gravante sui cc.dd. “extraprofitti” fatti registrare dalle imprese individuate nell’art. 37, comma 1, del D.L. n. 21/22 citato. va ricordato, poi, il provvedimento cautelare favorevole (ordinanza n. 7917/2022), reso nel ricorso avente ad oggetto l’impugnazione dell’ordinanza n. 140/2022 del Commissario straordinario (Presidente della Regione Toscana), che ha autorizzato il progetto per la realizzazione di un’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione presso la Darsena del porto di Piombino e il trasferimento via condotta del gas naturale vaporizzato fino al punto di ingresso nella rete nazionale gasdotti, per far fronte alla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento di gas ai fini della sicurezza TEmI ISTITUzIONALI energetica nazionale, a seguito della nota crisi aperta con il conflitto bellico tra Ucraina e Russia. va menzionata, poi, la controversia originata dal ricorso avverso il DPCm del 29 marzo 2022 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 30 maggio 2022,) che definisce la configurazione infrastrutturale per consentire, relativamente al territorio della Regione Sardegna, il phase out delle centrali a carbone presenti nell’Isola, che rientra tra gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC) 2019. Non ultimo, tra i più rilevanti obiettivi infrastrutturali richiesti dal PNRR, ovvero la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, va rammentato il delicato giudizio relativo alla procedura di project financing per l’aggiudicazione di un nuovo sistema infrastrutturale informatico, con la realizzazione e gestione del PSN (Polo Strategico Nazionale) a servizio di tutta la Pubblica Amministrazione. Il T.a.r. ha respinto l’istanza cautelare con ordinanza n. 4993 del 3 agosto 2022 (poi confermata in appello). La globalizzazione, le sfide della concorrenza e la necessità di tutelare la libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 TFUE, da contemperarsi con il perseguimento degli obiettivi di tutela dei settori strategici e delle peculiarità del tessuto industriale italiano, sono alla base della complessa disciplina del golden power, che ha da ultimo impegnato il giudice Amministrativo con una sentenza del T.a.r. Lazio (n. 4486/22) confermata nel gennaio scorso dal Consiglio di Stato (n. 289/23) proprio con riferimento al DPCm con il quale erano stati esercitati i poteri speciali per scongiurare la dispersione di un prezioso know-how nel settore agroalimentare che rappresenta un asset caratterizzante del “made in Italy”. * L’evoluzione del quadro normativo interno, come visto, è sempre più influenzato e compenetrato con l’ordinamento eurounitario e pone, così, il giudice amministrativo ed il T.a.r. Lazio, in particolare, di fronte a nuove sfide. Ricordo, dal mio osservatorio privilegiato di Agente del Governo innanzi alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea e seguendo l’Avvocatura Generale tutto il relativo contenzioso, che, il T.a.r. del Lazio, nel 2022, ha sollevato, pur non essendo giudice di ultima istanza, ben nove questioni pregiudiziali dinnanzi alla Corte di giustizia, anch’esse aventi ad oggetto varie significative questioni che toccano il tema dell’ambiente, della concorrenza e dell’attualissima questione della tutela dei diritti dei fruitori dei servizi dell’informazione da contemperarsi con la incisività degli obblighi informativi da pretendersi a carico degli operatori stessi, rendendo sempre più evidente il ruolo centrale delle autorità nazionali di regolazione (C 663/22), come l’obbligo di invio dell’informativa economica di sistema anche a carico dei fornitori di servizi di intermediazione on line e dei fornitori di motori di ricerca on line (gruppo di pregiudiziali parzialmente riunite C 662/22, C 664-666/22). RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 * Anche dopo il superamento del difficile periodo dell’emergenza epidemiologica è stata proficua, e tuttora permane tale, la collaborazione dell’Istituto con i rappresentanti della Giustizia amministrativa e dell’Avvocatura del libero foro, sia per assicurare lo svolgimento dell’attività processuale in condizioni di sicurezza, sia per il miglioramento del processo amministrativo telematico di cui, peraltro, l’Avvocatura dello Stato è il principale fruitore. * Ritengo, infine, utile e doveroso osservare, in conclusione, come l’efficace assolvimento del compito di difesa in giudizio delle amministrazioni pubbliche patrocinate dall’Avvocatura dello Stato dipende non solo, evidentemente, dalla collaborazione di queste ultime, ma anche dalla possibilità di affidarsi a indirizzi giurisprudenziali consolidati; indispensabile anche per orientare l’agire amministrativo nell’esercizio delle funzioni consultive attribuite all’Avvocatura dello Stato e così favorire, ove possibile, la deflazione del contenzioso, laddove quegli indirizzi rendano evidente la non utile proseguibilità della fase giudiziale, al fine di offrire risposte corrette rapide ed efficaci al cittadino che si rivolge alla pubblica amministrazione. * Concludo ringraziando Lei, Signor Presidente, i magistrati e il Personale amministrativo del T.a.r. Lazio e unendomi al ricordo e all’omaggio commosso per il Presidente Franco Frattini e per il Presidente Giampiero Lo Presti, di recente scomparsi prematuramente. Grazie per l’attenzione. Roma, 3 marzo 2023 TEmI ISTITUzIONALI protoCollo d’intesa sul proCesso Civile in Cassazione Da: Palmieri Gabriella Inviato: giovedì 2 marzo 2023 16:07 A: Avvocati_tutti Oggetto: Protocollo di intesa - processo civile in Cassazione Si trasmette per opportuna conoscenza il Protocollo d’intesa sul processo civile in Cassazione, con i relativi allegati, sottoscritto ieri [1° marzo 2023, n.d.r.] dalla Corte Suprema di cassazione, dalla Procura Generale della Corte di cassazione, dall’Avvocatura Generale dello Stato e dal Consiglio Nazionale Forense. Il Protocollo abroga espressamente quelli finora adottati al dichiarato scopo -come indicato nelle premesse -di “manifestare la volontà comune di costruire insieme una prassi organizzativa e un’interpretazione condivisa” attraverso la sottoscrizione di un testo unico dei protocolli. Gabriella Palmieri Sandulli protoCollo d’intesa sul proCesso Civile in Cassazione tra la Corte Suprema di cassazione, la Procura Generale della Corte di cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense premesso che Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, di «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», ha comportato una rilevante riforma del processo civile di cassazione. Nell’ambito della medesima riforma sono state introdotte norme che potrebbero essere definite “trasversali”, come l’estensione e il rafforzamento del processo civile telematico ovvero l’accentuazione della “dimensione valoriale” del processo, sottolineando il ruolo fondamentale dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti e di collaborazione tra le parti e il giudice. Si tratta di modifiche importanti, finalizzate a garantire maggiore effettività alla tutela giurisdizionale in sede civile, sia attraverso la riduzione della durata dei procedimenti, sia consentendo di concentrare risorse ed energie nell’espletamento della funzione nomofilattica propria di una Corte Suprema. Tutto ciò rende necessario aggiornare e ricalibrare i vari Protocolli d’intesa intercorsi tra la Corte di cassazione, la Procura Generale, l’Avvocatura Generale dello Stato e il Consiglio Nazionale Forense di seguito elencati: il Protocollo sulle regole redazionali dei ricorsi, civili e tributari, del 17 dicembre 2015; il Protocollo sull’attuazione del rito civile in cassazione del 15 dicembre 2016; il Protocollo sull’avvio del processo telematico e sulla digitalizzazione del 27 ottobre 2020, come integrato in data 18 novembre 2020 e 7 aprile 2021. Attraverso la sottoscrizione di un testo unico dei protocolli, destinato a ricomprendere e su RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 perare quelli sinora siglati, si intende manifestare la volontà comune di costruire insieme una prassi organizzativa e un’interpretazione condivisa di alcuni snodi altrimenti problematici delle modifiche normative, nella convinzione che il modo più efficace per produrre il cambiamento culturale richiesto dalla riforma sia quello del pieno e fattivo coinvolgimento di tutti i soggetti del processo sui quali ricade la comune responsabilità di farlo funzionare, e che nessuna significativa modifica del modo di essere e funzionare della Corte di cassazione può prescindere dal consenso e dal contributo della classe forense. La realizzazione di questo Protocollo, suscettibile di progressivi aggiornamenti è espressione della necessità -avvertita da tutti i sottoscrittori -di affrontare i temi di comune interesse con il metodo del confronto sui problemi e della condivisione degli obiettivi. tanto premesso la Corte di cassazione, la Procura Generale della Corte di cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense approvano il seguente protoCollo d’intesa 1. regole redazionali degli atti proCessuali. Si conviene che, in considerazione della codificazione del principio di chiarezza e sintesi degli atti e provvedimenti, di cui al novellato art. 121 c.p.c., si rende necessario ribadire le regole redazionali già convenute nel protocollo siglato nel 2015, con le attualizzazioni imposte dalla obbligatorietà del processo civile telematico e l’adozione di un modulo redazionale dei ricorsi, che ne definisca l’estensione e ne agevoli la comprensione, senza che l’eventuale mancato rispetto della regola sui limiti dimensionali comporti un’automatica sanzione di tipo processuale. 1.1. redazione dei ricorsi. I ricorsi dovranno essere redatti secondo lo schema strutturato, approvato e pubblicato sul p.s.t. (portale servizi telematici), inserendo, in particolare, le seguenti indicazioni. parte ricorrente Cognome e nome -denominazione sociale -data e luogo di nascita -legale rappresentante luogo di residenza - sede sociale - codice fiscale dati del difensore (cognome e nome, codice fiscale) dati del domiciliatario (cognome e nome, codice fiscale) - eventuale parte intimata Gli stessi dati indicati per la parte ricorrente (se noti alla medesima parte ricorrente). sentenza impugnata Estremi del provvedimento impugnato (Autorità Giudiziaria che lo ha emesso, codice ufficio, Sezione, numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della notifica se notificato). codice materia Codice materia correlato al codice-oggetto del giudizio di merito (ad eccezione del giudizio tributario), secondo le disposizioni riportate sul sito della Corte di cassazione ed allegate al presente protocollo (v., All. n. 1), al fine della corretta assegnazione del ricorso alla Sezione tabellarmente competente. valore della controversia Specificazione del valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato. parole chiave massimo 10 (dieci) parole, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio. TEmI ISTITUzIONALI sintesi dei motivi Sintesi dei motivi del ricorso (in non più di alcune righe per ciascuno di essi e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato e delle questioni trattate. Nella sintesi dovrà essere indicato per ciascun motivo anche il numero della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel prosieguo del ricorso, eventualmente inserendo il link di invio diretto alla pagina di riferimento. svolgimento del processo Esposizione, di regola, in massimo 5 pagine, del fatto processuale in modo funzionale alla chiara percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure sviluppate nella parte motiva. motivi di impugnazione Argomenti a sostegno delle censure già sinteticamente indicate nella parte denominata “sintesi dei motivi”. L’esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta, di regola, nel limite massimo di 30 pagine. Per ciascuno dei motivi devono essere indicati gli atti processuali, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrandone il contenuto rilevante (eventualmente inserendo apposito link). conclusioni Provvedimento richiesto (ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con decisione di merito, ecc.). documenti da depositare ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. Atti e/o documenti espressamente indicati in relazione a ciascun motivo, elencati secondo un ordine numerico progressivo. I relativi file vanno denominati utilizzando la stessa nomenclatura e numerazione utilizzate nell’elenco. caratteri Per facilitare la lettura, si raccomanda di utilizzare caratteri di tipo corrente e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo, con interlinea 1,5 e margini orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5. 1.2. redazione dei controricorsi e ricorsi incidentali. Tutte le indicazioni relative al ricorso, comprese quelle sulle misure dimensionali e i caratteri, si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi. In particolare, per quanto attiene alla sintesi dei motivi, sarà opportuna una sintesi degli argomenti difensivi correlati ai singoli motivi di ricorso (“contromotivi”). Analogamente, sarà opportuno indicare, in relazione a ciascun motivo del ricorso avversario, gli eventuali atti, documenti o contratti collettivi su cui si fonda la difesa. Qualora il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, si applicano integralmente le previsioni dettate per i ricorsi. 1.3. memorie illustrative. Le memorie non devono superare, di regola, le 15 pagine, con l’osservanza delle raccomandazioni sull’uso dei caratteri previsti per i ricorsi. 1.4. atti codificati del processo civile telematico. Per il deposito telematico occorre utilizzare l’apposito atto codificato dal sistema informatico (v., All. n. 2) per la corretta indicazione nel fascicolo informatico ai fini della più immediata consultabilità. 1.5. principio di specificità e localizzazione. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Tale principio deve ritenersi rispettato quando: 1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di chiarezza e sinteticità previsti dal codice di rito; 2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, primo comma. n. 6, c.p.c.), con l’illustrazione del contenuto rilevante e la precisazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati la fase processuale e il momento in cui è avvenuto il deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo; 4) siano depositati mediante allegazione nella busta telematica, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso. 1.6. note a chiarimento. 1) Il mancato rispetto dei limiti dimensionali e delle ulteriori indicazioni sin qui previste non comporta l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso (e degli altri atti difensivi or ora citati), salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge. 2) Nel caso che per la loro particolare complessità le questioni da trattare non appaiano ragionevolmente comprimibili negli spazi dimensionali indicati, dovranno essere esposte specificamente, nell’ambito del medesimo ricorso (o atto difensivo), le ragioni per le quali sia risultato necessario scrivere di più. La presentazione di un ricorso incidentale, nel contesto del controricorso, costituisce di per sé ragione giustificatrice di un ragionevole superamento dei limiti dimensionali fissati. 3) L’eventuale riscontrata e motivata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali indicati, pur non comportando inammissibilità del ricorso (o atto difensivo), può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese. 4) Dai limiti dimensionalì sono esclusi: a) l’intestazione; b) l’indicazione delle parti processuali, del provvedimento impugnato, dell’oggetto del giudizio, del valore della controversia, della sintesi dei motivi e delle conclusioni; e) l’elenco degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso; d) la procura in calce; e) la relazione di notificazione. 5) L’uso di particolari tecniche di redazione degli atti (in particolare, quando consentano la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto), tali da agevolarne la consultazione e la fruizione al magistrato e alle altre parti del processo, comporta l’aumento del compenso professionale, ai sensi dell’art. 4, comma 1-bis, del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. 2. disposizioni per il rito Camerale unifiCato. 2.1. avviso di fissazione dell’adunanza camerale. L’avviso di fissazione dell’adunanza camerale sarà redatto secondo il modello predisposto dall’ufficio e riporterà: - l’indicazione della data, dell’ora e del luogo dell’adunanza stessa; - l’indicazione che l’adunanza camerale non è partecipata; - l’indicazione del termine entro il quale le parti hanno facoltà di depositare memoria; - l’indicazione della facoltà di cui al punto 2.4. 2.2. Conclusioni scritte del procuratore generale. Le conclusioni scritte formulate dal Procuratore Generale e trasmesse tramite piattaforma p.c.t. saranno rese disponibili alle parti attraverso la consultazione del p.s.t. 2.3. istanza di trattazione della causa in pubblica udienza. TEmI ISTITUzIONALI Qualora un ricorso sia avviato alla trattazione camerale, le parti potranno richiedere motivatamente, nella memoria depositata a norma dell’art. 380 bis.l, c.p.c. o con apposita istanza, che la trattazione avvenga invece in pubblica udienza indicando la questione di diritto di particolare rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione pubblica. 2.4. regime transitorio (di cui al comma 2 dell’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, conv. in l. n. 197 del 2016). Per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 per i quali venga successivamente fissata l’adunanza camerale, l’intimato che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora avuto la possibilità di partecipare alla discussione orale, potrà, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro quali può farlo il controricorrente. Della possibilità di avvalersi di tale facoltà si darà notizia alle parti destinatarie dell’avviso di fissazione dell’adunanza. Nei medesimi casi la parte intimata, che non ha notificato il controricorso, è autorizzata a presentare l’istanza prevista dall’art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020. 3. proCedimento per la deCisione aCCelerata dei riCorsi ex art. 380 bis C.p.C. Quanto alla sintetica proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c., tenuto conto dell’esigenza manifestata dall’Avvocatura di una adeguata informazione circa le ragioni addotte, si conviene che: la proposta dovrà indicare: -quanto alla prognosi di inammissibilità o di improcedibilità, a quale ipotesi si faccia riferimento (tramite menzione del dato normativa o, in alternativa, del precedente o, ancora, con breve formula libera); -quanto alla prognosi di manifesta infondatezza, quali siano i precedenti giurisprudenziali di riferimento e le ragioni del giudizio prognostico sui motivi di ricorso, anche mediante una valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i presupposti. Tale proposta sarà formulata secondo un modello informatizzato e verrà comunicata ai difensori con l’indicazione espressa che entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, può chiedere la decisione e che, in mancanza, il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvederà ai sensi dell’art. 391 c.p.c., nonché con l’avvertimento che, se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procederà ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. 4. digitalizzazione degli atti nei proCessi Civili davanti alla Corte di Cassazione. Considerato che è attualmente pendente innanzi alla Corte un numero rilevantissimo di procedimenti civili introdotti nelle forme ordinarie, mediante il deposito degli atti esclusivamente in forma cartacea, per favorire lo sviluppo del processo telematico appare di estrema utilità che gli atti processuali già depositati in modalità analogica dalle parti siano veicolati in via telematica tramite piattaforma p.c.t., nei termini e con le modalità di seguito specificate, e così resi disponibili ai magistrati nell’apposito applicativo ministeriale (il cd. desk del magistrato) in uso presso le sezioni civili della Cassazione e della Procura Generale. A tal fine si conviene quanto segue. 4.1. Contenuto del provvedimento di fissazione dell’udienza. 1. Con la comunicazione contenente l’avviso di fissazione dell’udienza pubblica o dell’adunanza camerale non partecipata, la Cancelleria della Corte di cassazione inviterà i difensori e l’Avvocatura Generale dello Stato a trasmettere, ove nella loro disponibilità e secondo le RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 forme di cui agli articoli seguenti del presente protocollo, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, copia informatica -nel formato pdf previsto per i documenti informatici allegati, ex art. 12 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 -di tutti gli atti processuali del giudizio di cassazione già depositati in cartaceo nelle forme ordinarie (ricorso, controricorso, nota di deposito ex art. 372, comma secondo, c.p.c., provvedimento impugnato). 4.2. modalità di deposito delle copie informatiche degli atti cartacei. 1. I difensori delle parti, compresa l’Avvocatura Generale dello Stato, provvederanno a depositare in via telematica sulla piattaforma p.c.t, le copie informatiche di tutti gli atti processuali del giudizio di cassazione, già depositati in cartaceo, ove nella loro disponibilità. 2. L’adesione all’invito di cui al presente protocollo implica l’impegno a trasmettere copie informatiche di contenuto uguale agli originali o alle copie già presenti nel fascicolo cartaceo. 4.3. utilizzo della piattaforma del processo telematico per le memorie e le richieste del- l’udienza cartolare. Secondo le stesse modalità saranno depositate le memorie e le richieste previste dall’art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 37 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 76 del 2020, la cui efficacia è stata prorogata con il d.l. n. 198 del 2022 sino al 30 giugno 2023. 5. Costituzione del gruppo dei referenti per l’attuazione del protoCollo. Per seguire lo sviluppo delle attività atte a garantire la piena attuazione e l’aggiornamento del protocollo è costituito un gruppo di lavoro, formato da: per la Corte di cassazione: Segretario generale agg. cons. Irene Tricomi, vice Segretario generale cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli; Direttore del CED cons. Enzo vincenti, magistrato addetto al CED cons. Ileana Fedele; per il Consiglio Nazionale Forense: Avvocato Francesco Greco, Avvocato Alessandro Patelli; per l’Avvocatura Generale dello Stato: Avvocato dello Stato marco La Greca, Avvocato dello Stato Gianna maria De Socio; per la Procura Generale della Corte di cassazione: Avvocato Generale Renato Finocchi Ghersi, Avvocato Generale Rita Sanlorenzo. Il gruppo dei referenti provvederà altresì a promuovere la formazione per tutti i soggetti coinvolti (personale amministrativo e tecnico, avvocatura, magistrati), anche attraverso l’organizzazione di iniziative congiunte e trasversali fra i diversi interlocutori istituzionali. Il medesimo gruppo provvederà infine a promuovere l’adozione delle misure organizzative necessarie a supportare l’efficace avvio e sviluppo della riforma, anche attraverso l’eventuale formulazione di modifiche normative che si rendessero opportune. 6. abrogazione dei preCedenti protoColli. Con la sottoscrizione del presente protocollo cessano di avere validità i precedenti protocolli sottoscritti dalle medesime parti in materia civile. Roma, Il Primo Presidente Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione della Corte di Cassazione Pietro Curzio Luigi Salvato L’Avvocato Generale La Presidente del Consiglio dello Stato Nazionale Forense Gabriella Palmieri Sandulli Maria Masi Allegati (omissis) TEmI ISTITUzIONALI Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 7/2023 oggetto: ricorsi proposti davanti al Giudice di Pace contro gli avvisi di addebito di cui all’art. 4-sexies, comma 6, D.l. 1 aprile 2021 n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021 n. 76 notificati dall’Agenzia delle entrate- riscossione (ADer) a titolo di sanzione per inadempimento all’obbligo vaccinale anti CoVID-19. Istruzioni operative. L’art. 4-sexies del D.L. n. 44/2021, ha previsto ai commi 1 e 2 la irrogazione della sanzione amministrativa di 100 euro per i casi di inadempimento dell’obbligo vaccinale anti COvID-19 previsto dagli artt. 4-ter.1, 4-ter.2 e 4quater dello stesso decreto. Nei successivi commi da 3 a 6 (1) è disciplinata la procedura di accertamento dell’inadempimento all’obbligo e della conseguente irrogazione della sanzione. ' (1) I commi da 3 a 6 dell’art. 4-sexies D.L. 44/2021 così dispongono: « 3. L’irrogazione della sanzione di cui al comma 1, nella misura ivi stabilita, è effettuata dal Ministero della salute per il tramite dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, che vi provvede, sulla base degli elenchi dei soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale periodicamente predisposti e trasmessi dal medesimo Ministero, anche acquisendo i dati resi disponibili dal Sistema Tessera Sanitaria sui soggetti assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale vaccinati per COVID-19, nonché su quelli per cui non risultano vaccinazioni comunicate dal Ministero della salute al medesimo sistema e, ove disponibili, sui soggetti che risultano esenti dalla vaccinazione. Per la finalità di cui al presente comma, il Sistema Tessera Sanitaria è autorizzato al trattamento delle informazioni su base individuale inerenti alle somministrazioni, acquisite dall’Anagrafe Nazionale Vaccini ai sensi dell’articolo 3, comma 5-ter, del decreto-legge 14 gennaio 2021, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 marzo 2021, n. 29, nonché al trattamento dei dati relativi agli esenti, acquisiti secondo le modalità definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 9-bis, comma 3, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. 4. Il Ministero della salute, avvalendosi dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, comunica ai soggetti inadempienti l’avvio del procedimento sanzionatorio e indica ai destinatari il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione, per comunicare all’Azienda sanitaria locale competente per territorio l’eventuale certificazione relativa al differimento o all’esenzione dall’obbligo vaccinale, ovvero altra ragione di assoluta e oggettiva impossibilità. Entro il medesimo termine, gli stessi destinatari danno notizia all’Agenzia delle entrate-Riscossione dell’avvenuta presentazione di tale comunicazione. 5. L’Azienda sanitaria locale competente per territorio trasmette all’Agenzia delle entrate-Riscossione, nel termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione dei destinatari prevista al comma 4, previo eventuale contraddittorio con l’interessato, un’attestazione relativa alla insussistenza dell’obbligo vaccinale o all’impossibilità di adempiervi di cui al comma 4. 6. L’Agenzia delle entrate-Riscossione, nel caso in cui l’Azienda sanitaria locale competente non confermi l’insussistenza dell’obbligo vaccinale, ovvero l’impossibilità di adempiervi, di cui al comma 4, provvede, in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, e mediante la notifica, ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, entro duecentosettanta giorni dalla relativa trasmissione, di un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 In particolare, il comma 6 prevede che “L’Agenzia delle entrate-Riscossione, nel caso in cui l’Azienda sanitaria locale competente non confermi l’insussistenza dell’obbligo vaccinale, ovvero l’impossibilità di adempiervi, di cui al comma 4, provvede, in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, e mediante la notifica, ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, entro duecentosettanta giorni dalla relativa trasmissione, di un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. Infine, il comma 7 dello stesso articolo prevede che “In caso di opposizione alla sanzione contenuta nell’avviso di cui al comma 6 resta ferma la competenza del Giudice di Pace e l’Avvocatura dello Stato assume il patrocinio dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, passivamente legittimata”. L’ADER ha comunicato che ad oggi risultano notificati circa 770.000 avvisi di addebito. Per i rimanenti avvisi da notificare, opera invece (dal 31 dicembre 2022) la sospensione prevista dall’art. 7, comma 1-bis, del D.L. n. 162/2022 convertito nella legge n. 199/2022, in base al quale: “Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino al 30 giugno 2023 sono sospesi le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione previsti dal- l’articolo 4-sexies, commi 3, 4 e 6, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76”. Tenuto conto del numero elevato di avvisi notificati, anche una piccola percentuale di impugnazione di tali atti comporta la instaurazione a livello nazionale di numerosi giudizi davanti a Giudici di pace, in relazione ai quali si ritiene opportuno emanare le seguenti istruzioni. * * * Patrocinio dell’Avvocatura dello Stato Il legislatore -in considerazione della peculiarità del contenzioso -ha introdotto una particolare ipotesi di patrocinio necessario dell’Avvocatura dello Stato, in deroga a quanto previsto dall’art. 1 comma 5 del D.L. n. 193/2016. Infatti, il citato comma 7 dell’art. 4-sexies prevede che “In caso di opposizione alla sanzione contenuta nell’avviso di cui al comma 6 resta ferma la competenza del Giudice di Pace e l’Avvocatura dello Stato assume il patrocinio dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, passivamente legittimata”. Tale speciale disposizione deve ritenersi derogatoria anche rispetto alla possibilità -prevista dall’art. 3 del R.D. n. 1611/1933 -che l’Amministrazione difesa sia rappresentata, intesa l’Avvocatura dello Stato, “dai propri funzionari che siano per tali riconosciuti”. Ne consegue che la costituzione in giudizio dovrà essere curata direttamente dall’Avvocatura dello Stato. TEmI ISTITUzIONALI Neppure appare opportuna la delega ai funzionari di ADER per la partecipazione all’udienza (ai sensi dell’art. 2 R.D. n. 1611/1933), tenuto conto della scarsità di risorse umane di ADER, della esiguità del valore delle singole cause e della non necessità di presenziare all’udienza, trattandosi di controversie definibili di norma sulla base di prove documentali. * * * notificazione dei ricorsi presso l’Avvocatura dello Stato Pur essendo prevista una particolare ipotesi di patrocinio necessario dell’Avvocatura, tenuto conto della natura giuridica di ADER (ente pubblico economico, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.L. n. 193/2016), deve escludersi la necessità della notifica dei ricorsi presso l’Avvocatura dello Stato, in quanto l’art. 11 comma 1 del R.D. n. 1611/1933 impone tale adempimento solo per le “Amministrazioni dello Stato”. Ovviamente nei casi di notifica eseguita solo presso l’Avvocatura sarà opportuno -qualora sia possibile -costituirsi comunque in giudizio (con ciò sanando ex tunc la nullità della notifica), evitando un aggravio della procedura derivante da un ordine del giudice di rinnovazione della notifica stessa. * * * legittimazione passiva esclusiva di ADer Il citato comma 7 dell’art. 4-sexies individua ADER come “passivamente legittimata”. Da tale disposizione emerge, quindi, la volontà del legislatore di individuare in ADER il solo soggetto nei cui confronti dovrà essere proposta una eventuale opposizione all’avviso di addebito. In tale situazione, nelle ipotesi in cui le censure proposte dai ricorrenti afferiscano ad attività o inadempienze riferibili ad altri soggetti pubblici diversi da ADER (come la ASL), non appare opportuna la chiamata in causa degli stessi. Ciò provocherebbe, infatti, sia un aggravio dell’attività giurisdizionale -con costi di difesa (che verrebbero comunque a gravare sulla finanza pubblica) non giustificati dall’esiguo valore delle singole controversie -sia un allungamento dei tempi di decisione della causa. Una simile scelta si porrebbe anche in contrasto con la volontà del legislatore di individuare in ADER l’unico soggetto passivamente legittimato a contraddire in giudizio. Qualora fosse necessario acquisire gli elementi istruttori che non sono nella disponibilità di ADER, sarà comunque possibile formulare istanza di richiesta di informazioni alla p.a. prevista dall’art. 213 c.p.c. (2). (2) L’art. 213 c.p.c. nel testo di recente introdotto dal D.Lgs. n. 149/2022 così dispone: “Fuori dei casi previsti negli articoli 210 e 211, il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo. L’amministrazione entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cui al primo comma trasmette le informazioni richieste o comunica le ragioni del diniego”. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 * * * Il giudizio davanti al Giudice di Pace Il comma 6 dell’art. 4-sexies prevede che ADER “provvede, in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, e mediante la notifica, ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, entro duecentosettanta giorni dalla relativa trasmissione, di un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo”. Il successivo comma 7 prevede poi che “In caso di opposizione alla sanzione contenuta nell’avviso di cui al comma 6 resta ferma la competenza del Giudice di Pace”. In particolare, da quest’ultima disposizione si può dedurre che al giudizio di opposizione all’avviso di addebito si applica il rito previsto dagli artt. 22 della legge n. 689/1981 e 6 del D.lgs. n. 150/2011. La deroga alla legge n. 689/1981 prevista dal comma 6 dell’art. 4-sexies sembra riferibile alla natura dell’atto sanzionatorio (avviso di addebito, anziché ordinanza-ingiunzione) e alla modalità semplificata di notificazione dell’atto, da eseguirsi ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 602/1973. L’art. 6 del citato D.lgs. n. 150/2011, prevede che “il giudice ordina al- l’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e all’autorità che ha emesso l’ordinanza”. Sulla base di tale previsione potrà, pertanto, essere depositata una memoria di costituzione per conto di ADER con la relativa documentazione. In ordine alle modalità di deposito si evidenzia che l’art. 35, comma 3, del D.lgs. n. 149/2022 prevede l’obbligatorietà del deposito telematico nei giudizi davanti al Giudice di Pace “a decorrere dal 30 giugno 2023 anche ai procedimenti pendenti a tale data” (3). Fino al 30 giugno 2023, quindi, il deposito dovrà essere effettuato con modalità non telematiche, avendo cura di verificare se la prassi dei singoli uffici giudiziari consenta l’invio delle difese tramite PEC ovvero con spedizione a mezzo del servizio postale (sistema quest’ultimo, che dovrebbe ritenersi consentito, alla luce dell’art. 6, comma 6, del D.lgs. n. 150/2011 il quale prevede che il ricorso introduttivo “può essere depositato anche a mezzo del servizio postale”; cfr. al riguardo Cass. SS.UU. n. 5160/2009; Cass. 12663/2010 e 1027/2017). Si ricorda, infine, che l’ultimo periodo del comma 6 prevede che “Si ap (3) Lo stesso comma 3 dell’art. 35 dispone poi che “Con uno o più decreti non aventi natura regolamentare il Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione, può individuare gli uffici nei quali viene anticipato, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine di cui al secondo periodo”. TEmI ISTITUzIONALI plicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. Le disposizioni suddette (richiamate “in quanto compatibili”) attribuiscono immediata esecutività agli avvisi di addebito, con la conseguenza che per la riscossione dei relativi crediti non sarà necessaria l’emissione di una successiva cartella di pagamento (cfr. il comma 14 del medesimo art. 30) (4). * * * Cenni sulle difese di merito nella causa La memoria difensiva potrà essere argomentata in maniera sintetica, considerata la natura del giudizio. Nei casi in cui venga eccepita l’illegittimità degli articoli sopra citati del D.L. n. 44/2021 per contrasto con norme costituzionali o dell’Unione europea, si potrà (anche) richiamare la decisione della Corte costituzionale in corso di deposito (*), ma già oggetto del comunicato stampa del 1° dicembre 2022, con il quale la Corte ha precisato di avere ritenuto “non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario”. Riguardo, invece, l’ipotizzato contrasto con la normativa dell’Unione europea, si potrà eccepire che la materia degli obblighi vaccinali all’interno dei singoli Stati non è armonizzata, con la conseguenza che rispetto ad essa ogni Stato membro conserva un ampio margine di autonomia, come emerge dal- l’articolo 168 del TFUE, il cui paragrafo 7 dispone che “L’azione dell’Unione rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilità degli Stati membri includono la gestione dei servizi sanitari e dell’assistenza medica e l’assegnazione delle risorse loro destinate. Le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l’impiego medico di organi e sangue”. Su tale questione, peraltro, la CGUE dovrà pronunciarsi nei prossimi mesi nell’ambito di una causa pregiudiziale, originata ex art. 267 TFUE, dall’ordinanza 17 dicembre 2021 del Tribunale di Padova (Ct. 3245/22 -causa C765/ 21). L’AvvOCATO GENERALE Gabriella PALmIERI SANDULLI (4) L'art. 30, comma 14, del D.L. n. 78/2010 prevede infatti che “Ai fini di cui al presente articolo, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all’INPS al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall’avviso di addebito contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione”. (*) Corte Cost., sentt. nn. 14, 15 e 16 dep. 9 febbraio 2023 (n.d.r.). RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 10/2023 oggetto: Ulteriori indicazioni per la gestione del contenzioso relativo ai giudizi di convalida di licenza per finita locazione degli immobili FIP Atti di intimazione per finita locazione notificati da Investire SGr e altri locatori nei confronti dell’Agenzia del Demanio, in relazione a immobili conferiti nei fondi di cui all’articolo 4 del D.l. 25 settembre 2001, n. 351, conv. con mod. in l. 23 novembre 2001, n. 410, assegnati a varie amministrazioni usuarie. 1. l’attuale quadro giurisprudenziale. Con riferimento ai contenziosi oggetto delle direttive impartite con la circolare n. 57 del 2022, il quadro giurisprudenziale finora delineatosi ha visto prevalentemente recepite le ragioni di fatto e giuridiche poste a fondamento delle opposizioni spiegate nell’interesse dell’Amministrazione. Allo stato, la quantità di ordinanze, con cui i Tribunali hanno accolto le difese erariali fondate sull’applicazione dell’art. 4 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, così come modificato dall’art. 69 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, è, infatti, superiore al 75% delle pronunce (36) complessivamente emanate dai giudici di merito. Nei suddetti provvedimenti è stato espresso l’orientamento volto a riconoscere, da un lato, la sussistenza della prova scritta e, dall’altro, la sussistenza dei gravi motivi in contrario di cui all’art. 665, comma 1, c.p.c.; in entrambi i casi, il ricorrere delle suddette circostanze è risultato ostativo all’adozione del provvedimento di rilascio. La generale valutazione positiva dell’esito della difesa dell’Amministrazione in giudizio è, altresì, suffragata dalla considerazione che, in diversi casi, i pochi precedenti sfavorevoli paiono essere stati determinati soprattutto da concrete situazioni di natura meramente fattuale. 2. le ulteriori determinazioni. 2.1. impugnazione delle ordinanze di rilascio. Nel descritto contesto, appare opportuno continuare a perseguire la strategia sinora adottata, consistente nell’impugnazione, mediante reclamo e appello, delle eventuali ordinanze sfavorevoli di rilascio. L’impugnazione risponde, infatti, all’esigenza di evitare la strumentalizzazione dei minoritari precedenti sfavorevoli, da parte di Investire S.G.R., con conseguente possibile compromissione del buon esito dell’intera vicenda processuale. Quanto ai mezzi d’impugnazione esperibili, ribadendo quanto già rilevato in passato in relazione a singoli casi, si evidenzia che, sebbene l’art. 665 c.p.c. preveda espressamente la non impugnabilità dell’ordinanza di rilascio, cionondimeno appare percorribile l’ordinario mezzo impugnatorio dell’appello, la cui generale ammissibilità è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità nel TEmI ISTITUzIONALI l’ipotesi in cui l’ordinanza sia stata emessa al di fuori dei suoi presupposti di legge. Al riguardo, infatti, la Corte di Cassazione ha espressamente statuito che “sia il provvedimento di convalida ex art. 663 c.p.c., sia quello di rilascio ex art. 665 c.p.c., assumono forma e natura di ordinanze non impugnabili, avverso le quali è ammissibile esclusivamente, nel primo caso, l’opposizione tardiva di cui all’art. 668 dello stesso codice [...]. Ove peraltro tali provvedimenti siano stati emessi al di fuori delle condizioni previste dalla legge, assumono natura sostanzialmente decisoria e di sentenza, sicché sono impugnabili con l’appello, restando esclusa l’esperibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost.” (Cassazione civile sez. III, 6 settembre 1995, n. 9375). Pertanto, stante la natura cautelare e sommaria dell’intimazione di licenza per finita locazione, si ritiene percorribile l’ipotesi dell’impugnazione ordinaria in appello, nel caso in cui il giudicante, pur riconoscendo la sussistenza della prova scritta, ordini il rilascio e, comunque, nel caso in cui entri direttamente -e indebitamente -nel merito della controversia, escludendo la valenza probatoria della prova allegata dall’amministrazione. In considerazione della peculiarità del rito, nonché dell’importanza del contenzioso in oggetto, si indica, altresì, la possibilità di avvalersi, senza escludere la coltivazione dell’appello, anche dell’ulteriore rimedio costituito dal reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., la cui proposizione può indurre il giudice adito in prima istanza a rimeditare funditus gli elementi di fatto posti a base dell’opposizione alla domanda di convalida, con particolare riguardo alla mancanza di idonee alternative allocative. Entrambi i rimedi, quindi, potranno essere proposti congiuntamente -segnalandone opportunamente la pendenza al giudicante -salvo abbandonare uno di essi al momento del conseguimento della prima decisione utile. 2.2. trattazione della causa. Ribadita l’importanza e la delicatezza del contenzioso in esame, sia in considerazione del notevole numero di immobili che ne forma oggetto, sia con riguardo agli immediati effetti che l’eventuale consolidamento di un orientamento negativo alle ragioni dell’Amministrazione potrebbe avere su scala nazionale, e rilevata, altresì, l’esigenza di ridurre i rischi fattuali connessi alla gestione delle cause, si evidenzia, infine, la necessità di promuovere e assicurare la trattazione orale delle future udienze, specie ove si svolgano nella città in cui ha sede l’ufficio della competente Avvocatura, ponendo in essere ogni tutela processuale atta a tal fine, ivi inclusa la richiesta espressa di tale trattazione ove il giudice abbia disposto la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c., assicurando, in ogni caso, la presenza personale alla discussione dell’Avvocato incaricato. L’AvvOCATO GENERALE Gabriella PALmIERI SANDULLI RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 13/2023 oggetto: D.P.C.M. 30 gennaio 2023 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere e continuare la rappresentanza e la difesa della società ‘Infrastrutture Milano Cortina 2020 -2026 S.p.a.’ nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”. Si comunica che con D.P.C.m. del 30 gennaio u.s., in fase di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere e continuare la rappresentanza e la difesa della società “Infrastrutture milano Cortina 2020-2026 S.p.a.” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L’AvvOCATO GENERALE Gabriella PALmIERI SANDULLI TEmI ISTITUzIONALI Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 21/2023 oggetto: Soppressione di riscossione Sicilia s.p.a. e successione a titolo universale di Agenzia delle entrate-riscossione (ADer) a decorrere dal 1° ottobre 2021. Piena operatività del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a decorrere dal 1° aprile 2023. Com’è noto, con n. 3 Addendum al Protocollo d’intesa sottoscritto il 24 settembre 2020 tra l’Avvocatura dello Stato e ADER, si era stabilito che fino al 31 marzo 2023 l’Avvocatura non avrebbe prestato (di norma) il proprio patrocinio nelle “cause sia passive che attive, riferibili alle attività della disciolta Riscossione Sicilia S.p.A., e ciò indipendentemente dal grado di giudizio e dalla magistratura adita” (cfr. in relazione al terzo Addendum, l’allegata Circolare n. 73/2022). Le ragioni che hanno portato a posticipare l’assunzione del patrocinio sono ormai venute meno, con la conseguenza che dal 1° aprile 2023 la gestione delle controversie di ADER già di pertinenza della soppressa Riscossione Sicilia s.p.a. sarà disciplinata -come per tutte le altre cause che vedono coinvolta ADER -dal vigente Protocollo d’intesa sottoscritto il 24 settembre 2020 e diramato con la Circolare n. 60/2020 (pure allegata). Si ricorda, da ultimo, che in particolari situazioni di difficoltà nella gestione del contenzioso di ADER è comunque possibile declinare il patrocinio consentendo all’Ente di avvalersi di avvocati del libero foro, ai sensi dell’art. 4-novies del D.L. n. 34/2019 (convertito nella legge n. 58/2019) in forza della quale: «Il comma 8 dell’articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell’articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio». La declinatoria sarà particolarmente opportuna nei casi previsti dall’art. 3.3 del protocollo, con riferimento alle “altre liti innanzi al Tribunale Civile (ivi comprese le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi) e alla Corte di Appello Civile, limitatamente alle ipotesi in cui sia parte -non come terzo pignorato -anche un ente difeso dall’Avvocatura dello Stato”, allorché l’Ente difeso dall’Avvocatura (ancorchè ritualmente evocato) non abbia interesse alla costituzione in giudizio. RASSEGNA AvvOCATURA DELLO STATO -N. 3/2022 Ovviamente la declinatoria dovrà essere tempestivamente comunicata all’ADER onde evitare pregiudizi nell’attività difensiva. Si coglie l’occasione per ricordare che le sentenze o ordinanze (anche cautelari) emesse nei confronti di ADER vanno comunicate con la massima tempestività al fine di evitare azioni risarcitorie da parte dei contribuenti per l’illegittima prosecuzione di azioni esecutive a loro danno. Allegati: (omissis) L’AvvOCATO GENERALE Gabriella PALmIERI SANDULLI ContenziosoComUnitARioedinteRnAzionALe “Lexitor”. (segue) Rimborso anticipato del credito alla luce della “nuova” pronuncia della Corte di Giustizia del 9 febbraio 2023, UniCredit Bank Austria, C-555/21 Herik Mutarelli* la corretta esegesi della sentenza della Corte Costituzionale del 22 dicembre 2022 n. 263 (1), in tema di disciplina dei rimborsi anticipati del finanziamento, deve essere ora aggiornata anche alla luce dei principi desumibili dall’ancora più recente sentenza della Corte di Giustizia del 9 febbraio 2023 (C-555/21, UniCredit Bank Austria) che si è pronunciata in materia di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali di cui alla direttiva 2014/17/ue, dando vita a nuovi profili interpretativi della disciplina in subiecta materia. in particolare la predetta decisione ha statuito, in evidente discontinuità rispetto alla precedente sentenza 11 settembre 2019 (c.d. Lexitor), che la «direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo […] non osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito». Come noto, con la sentenza n. 263/2022 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di torino (ord. 2 novembre 2021) con riferimento all’art. 11-octies, comma 2, del d.l. n. 73/2021, convertito in legge n. 106/2021, che aveva modificato l’art. 125-sexies t.u.B. nel testo introdotto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 in sede (*) Avvocato del libero foro, già praticante presso l’Avvocatura dello Stato. (1) Corte Cost. 22 dicembre 2022, n. 263, in Foro it., 2023, c. 329, con nota di M. NAtAle, Il pasticcio della Lexitor bocciato dalla Corte Costituzionale, ivi ancora nota di N. De luCA, “Dura Lexitor, sed lex”. I costi up front esistono (oggi, domani come ieri) e, infine, ivi R. PARDoleSi, “Lexitor”: falsi positivi e altri incidenti di percorso. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 di recepimento della direttiva 2008/48/Ce. la cennata disposizione prevedeva che «alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti». Viceversa con i contratti sottoscritti successivamente all’entrata in vigore della legge si applica il principio, espresso nell’art. 16 par. 1 della direttiva 2008/48/Ce, come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’unione europea in data 11 settembre 2019 C-383/18 e recepito nel novellato art. 125-sexies comma 1 tuB per il quale “il consumatore che rimborsa anticipatamente, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore ha diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte”. la Corte Costituzionale ha preliminarmente respinto la tesi di una pretesa inconciliabilità del vecchio testo dell’art. 125-sexies t.u.B. con l’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/Ce. Secondo la Corte, infatti, la distinzione tra il precedente tenore letterale dell’art. 125-sexies t.u.B. e il testo dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/Ce, «pur non essendo del tutto marginale, non sarebbe tale da fare escludere una loro sostanziale corrispondenza». l’espressione “comprende”, utilizzata nella direttiva 2008/48/Ce, va letta -ha affermato la Corte -in sintonia con i principi desumibili dalla sentenza Lexitor e cioè nel senso di includere nel rimborso al Consumatore “anche” i costi dovuti per la vita residua del contratto, laddove invece l’espressione “pari a” utilizzata nell’originaria formulazione dell’art. 125-sexies del t.u.B. (nel testo vigente ante d.l. 73/2021) sembra alludere a una dimensione più circoscritta, limitata al rimborso dei soli costi recurring. Per superare l’apparente dissidio lessicale la Corte si è soffermata da un lato sul paradigma cui è riferita la riduzione, e cioè il «costo totale del credito», dall’altro sulla nozione dei «costi dovuti per la durata residua del contratto». Ha quindi osservato che la preposizione “per” utilizzata in quest’ultima nozione potrebbe tanto riferirsi ai costi dovuti “lungo” la durata del contratto, i soli costi recurring, quanto ai costi dovuti “in funzione della durata del contratto”, così evocando la misura della riduzione. Ad avviso della Corte sarebbe dunque preferibile questa seconda opzione dal momento che collima con il paradigma cui si riferisce la riduzione, vale a dire il “costo totale del credito”: in tanto si giustificherebbe tale richiamo in quanto tutti i costi siano riducibili e lo siano, pertanto, in funzione della durata residua del contratto quale misura della riduzione proporzionale. Quanto sopra richiamato costituisce il proprium fondante delle argomentazioni con cui la Corte Costituzionale con sentenza n. 263/2022 ha accolto, CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle limitatamente alle parole «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data di sottoscrizione dei contratti», le censure di incostituzionalità sollevate dal tribunale di torino. Sarebbe infatti proprio il collegamento tra l’art. 125-sexies t.u.B. e le richiamate norme secondarie a segnare una «forte discontinuità tra passato e presente» così inibendo quell’interpretazione sopra riportata dell’art. 125sexies che, ad avviso della Corte, risulterebbe conforme ai principi affermati dalla sentenza Lexitor. Su tali basi ricostruttive la Corte Costituzionale si è pertanto pronunciata statuendo che «La disposizione censurata deve, dunque, ritenersi costituzionalmente illegittima limitatamente alle parole «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia», e, pertanto, l’art. 125-sexies, comma 1, t.u.B. può nuovamente accogliere il solo contenuto normativo conforme alla sentenza Lexitor. l’eliminazione della citata parte dell’art. 11-octies, comma 2 del d.l. n. 73/2021 rimuoverebbe, pertanto, l’attrito con i vincoli imposti dall’adesione dell’italia all’unione europea. Deve tuttavia avvertirsi che il decisum della Corte Costituzionale, nel dare per scontata la assoluta retroattività della sentenza Lexitor, non può tuttavia essere interpretato nel senso di sollevare in via definitiva il giudice nazionale dalla delicata opera di interpretazione della disposizione interna di recepimento della direttiva 2008/48/Ce e di attualizzarla in costante sintonia con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Del resto, costituisce giurisprudenza granitica della Corte di Giustizia quella secondo cui il «il principio di interpretazione conforme richiede nondimeno che i giudici nazionali facciano tutto quanto compete loro, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalità perseguita da quest’ultima» (cfr.: Corte di Giustizia 4 luglio 2006, causa C-212/2004, K. Adeneler e a.; 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a.). Al giudice resta quindi pur sempre riservata la delicata funzione di verificare che nell’ordinamento di riferimento sia normativamente garantito il perseguimento delle finalità della direttiva 2008/48/Ce alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019 (c.d. Lexitor), come poi arricchita dai principi desumibili dalla sentenza 9 febbraio 2023 (c.d. UniCredit Bank Austria). orbene, è pacifico che la sentenza Lexitor è ispirata dall’avvertita esigenza di evitare speculazioni a carico dei Consumatori «dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla Banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto», con la conseguenza che «il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto». RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 Ciascun giudice dei Paesi membri è chiamato quindi dalla stessa sentenza Lexitor a verificare in concreto se il proprio ordinamento preveda adeguate forme di tutela in favore dei consumatori e la loro sintonia rispetto alle finalità desumibili dalla direttiva da ultimo ricordata. Cartina al tornasole della correttezza del proposto iter argomentativo è costituito proprio dalla sentenza della Corte di Giustizia del 9 febbraio 2023 (UniCredit Bank Austria) in tema di contratti di credito relativi a beni immobili residenziali. Con tale sentenza la Corte ha osservato, seppur con riferimento alla direttiva 2014/17/ue, come la normativa nazionale possa prevedere che, in caso di rimborso anticipato del finanziamento, lo stesso includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del contratto e, non quindi, i costi up front. l’interpretazione offerta è senza dubbio stravagante rispetto alla sentenza Lexitor: la decisione UniCredit Bank finisce per demarcare, infatti, all’interno dei contratti di credito ai consumatori, un inedito confine tra i contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali e tutti gli altri. Solo i primi, infatti, potrebbero sfuggire -se la normativa nazionale lo prevede -alla regola residuale secondo cui, in caso di estinzione anticipata del contratto di credito, devono essere rimborsati al consumatore tutti i costi del finanziamento (sia up front che recurring). Per i Giudici di lussemburgo, nulla vieta, infatti, in riferimento ai contratti di credito relativi a immobili residenziali, l’esistenza di una normativa nazionale che preveda una rimborsabilità «… che includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del contratto» (vale a dire: i soli costi recurring). Resta ora da comprendere le motivazioni che hanno spinto la Corte di Giustizia ad addivenire con la sentenza UniCredit Bank a conclusioni dissonanti rispetto a quelle della precedente sentenza Lexitor riservando, a seconda della natura immobiliare o meno del credito ai consumatori, un trattamento così apparentemente differenziato in ordine al regime e all’estensione dei costi rimborsabili. la riduzione di “tutti i costi” -osserva la Corte di Giustizia nella sentenza Unicredit Bank -si giustifica solo in ragione della difficoltà di diversificare quali siano i costi «correlati alla durata del contratto»; e poiché nel caso dei contratti di credito immobiliare di cui alla direttiva 2014/17/ue «[par. 34] il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato sono tenuti a fornire al consumatore informazioni precontrattuali mediante il PIES» dalle quali è agevole evincere la ripartizione dei costi tra recurring e non, in relazione ai suddetti crediti la riducibilità di tutti i costi non può essere giustificata né, pertanto, imposta. È significativo rilevare che la stessa Corte ha avvertito l’esigenza di rappresentare che, sebbene la sua pronuncia abbia avuto ad oggetto l’interpretazione della direttiva 2014/17/ue (e non già della direttiva 2008/48/Ce, come interpretata dalla sentenza Lexitor), «l’art. 25, par. 1, della direttiva CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 2014/17/UE è formulato in termini quasi identici a quelli dell’art. 16, par. 1, della direttiva 2008/48/UE, sicchè occorre ritenere che la sua formulazione non consenta di determinare, da sola, la portata esatta della riduzione di cui a tale disposizione. Si deve quindi interpretare quest’ultima alla luce del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte». Siffatto orientamento, motivatamente straniante, erode e illumina ad un tempo la presa di posizione espressa dai Giudici di lussemburgo nella precedente sentenza Lexitor. Si aggiunga che la Corte di Giustizia con la sentenza UniCredit Bank precisa altresì che: «[par. 32] Vero è che, nel contesto della direttiva 2008/48/CE, la Corte ha dichiarato che l’effettiva portata del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita, qualora tale riduzione potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi qualificati dal creditore come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto». laddove invece -distingue la Corte -sia previsto un prospetto delle informazioni precontrattuali grazie al quale il consumatore è posto in grado di distinguere la diversa natura dei costi del credito, la finalità di tutela del consumatore può considerarsi soddisfatta e dunque non giustificata l’imposizione di pagare tutti i costi, ivi compresi gli up front. Ciò in quanto, sempre alla luce della sentenza n. 555 del 9 febbraio 2023 della Corte di Giustizia (par. 35) «una siffatta ripartizione regolamentata dei costi posti a carico del consumatore riduce sensibilmente il margine di manovra di cui dispongono gli enti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna e consente, sia al consumatore che al giudice nazionale, di verificare se un tipo di costo è oggettivamente connesso alla durata del contratto». la differenza tra i contratti di credito immobiliare e gli altri contratti di credito starebbe proprio in ciò: solo per i primi la direttiva 2014/17/ue all’art. 14, parr. 1 e 2, prevede che il creditore è tenuto a fornire al consumatore, grazie al modulo c.d. PieS, le informazioni precontrattuali necessarie per distinguere tra costi up front e costi recurring. tanto premesso, è agevole osservare che, alla luce della sentenza Uni- Credit Bank, viene chiaramente assegnata ad entrambe le direttive 2008/48/Ce (di cui alla sentenza Lexitor) e 2014/17/ue (di cui alla sentenza UniCredit Bank) l’identica funzione di garantire la trasparenza in favore del consumatore riducendo i margini di possibili abusi dell’intermediario creditizio. Rispetto alla descritta finalità unitaria delle richiamate direttive la sentenza UniCredit Bank appare proporsi come una sorta di intervento “precisativo” che emerge anche dalla diffusa motivazione che viene riservata all’iter argomentativo proposto dalla precedente sentenza Lexitor. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 orbene, se questa è la chiave di lettura dei Giudici di lussemburgo, ne discende che il principio di rimborsabilità di tutti i costi non può operare indiscriminatamente ma deve tener conto dei presidi eventualmente posti nei singoli ordinamenti degli Stati membri a tutela del consumatore. ove si ravvisi l’esistenza di previsioni normative già sufficienti a garantire il perseguimento dei fini della direttiva la rimborsabilità dei costi del credito potrà limitarsi ai soli costi recurring. Rivolgendo lo sguardo all’ordinamento italiano il giudice dovrà, pertanto, indagare se esistano norme che, sommate alla direttiva 2008/48/Ce (che prevede presidi normativi a tutela del consumatore tra cui la sottoscrizione del modulo di trasparenza c.d. SeCCi), possano nel loro complesso integrare quella garanzia di trasparenza che la sentenza UniCredit Bank ha riconosciuto sussistente già alla previsione della sottoscrizione del (solo) modello PieS previsto dalla direttiva 2014/17/ue. Alla tutela di trasparenza sui costi, già derivante dalla disciplina unionale, dovranno sommarsi le tutele precontrattuali e contrattuali (nullità protettive o vessatorietà) previste nel nostro ordinamento in una sorta di prova di forza dell’ordinamento. Con specifico riferimento alla tutela precontrattuale, dovrà anche valutarsi il rilievo da riconoscere all’art. 6-bis, comma 3 del d.P.R., 5 gennaio 1950, n. 180 (introdotto dal d.lgs. 19 settembre 2012, n. 169 -successivo evidentemente all’art. 125-sexies t.u.B.); previsione normativa non colpita dalla dichiarazione di incostituzionalità di cui alla richiamata sentenza della Corte Cost. 263/2023 in quanto non facente parte dell’incidente di costituzionalità sollevato. tale norma affida alla Banca d’italia proprio il compito di definire, ai sensi del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, disposizioni per favorire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nonché l’efficienza nel processo di erogazione di finanziamenti verso la cessione di quote di stipendio o salario o di pensione, con l’obiettivo di: «[…] rendere la struttura delle commissioni trasparente, in modo da permettere al cliente di distinguere le componenti di costo dovute all’intermediario e quelle dovute a terzi, nonché gli oneri che devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata del contratto». Ne consegue che nel contesto normativo così ricostruito, l’opera interpretativa del giudice è particolarmente delicata in quanto deve indagare se il complesso delle previsioni normative interne, sommate a quelle derivanti dalla direttiva 2008/48/Ce, non integrino una tutela equivalente a quella che la sentenza UniCredit Bank ha riconosciuto alla sottoscrizione del (solo) modello PieS. l’indagine proposta è rispettosa del carattere retroattivo della “Lexitor”, anzi lo presuppone, in quanto in caso contrario il Giudice non sarebbe tenuto a verificare la compatibilità tra disciplina interna e le finalità perseguite dalla predetta direttiva 2008/48/Ce come arricchite dalla sentenza UniCredit Bank che in parte qua deve essere ritenuta integrativa della Lexitor. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle Su tali premesse può fondatamente ritenersi che il perseguimento delle finalità anti-speculative perseguito dalla sentenza Lexitor è stato già garantito nel nostro ordinamento che presenta misure a tutela del credito nel loro complesso del tutto equivalenti (se non superiori) a quelle che la stessa Corte di Giustizia nella sentenza UniCredit Bank ha ritenuto sufficienti a tutela del consumatore. Del resto è di intuitiva evidenza che il sistema normativo polacco, rispetto a cui è stata pronunziata la sentenza Lexitor, non presentava un complesso di tutele pari a quello garantito nell’ordinamento italiano a tutela del consumatore, sicché in assenza di una disciplina interna di garanzia, appare quanto mai opportuno che in sede di estinzione anticipata vengano restituiti tutti i costi (up front e recurring). Nella proposta chiave interpretativa si segnala il tribunale di Castrovillari (2) con la sentenza del 10 marzo 2023 secondo la quale appare opportuno: «fare applicazione dell’orientamento giurisprudenziale di merito sopra richiamato, prevalente in epoca antecedente alla sentenza Lexitor, oggi superata dalla nuova sentenza n. 555 della CGUE, e riconoscere, quindi, al consumatore, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, una riduzione soltanto dei costi recurring e non anche degli up front, in quanto questi ultimi attengono a prestazioni poste in essere preliminarmente alla concessione del credito, integralmente esaurite al momento dell’estinzione anticipata». Non pervenendo alla soluzione prospettata sembra auspicabile e necessitato un nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia per dar modo alla stessa di chiarire in via definitiva e trasversale rispetto a tutte le tipologie di finanziamento la qualità di tutela che deve essere garantita dalla disciplina dei singoli Stati membri. Del resto, per pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia «l’efficacia vincolante che le sentenze pregiudiziali hanno nei confronti dei giudici nazionali non osta a che il giudice nazionale destinatario di una siffatta sentenza si rivolga nuovamente alla Corte qualora lo ritenga necessario per la decisione della causa principale. Il nuovo rinvio può essere giustificato qualora il giudice nazionale sottoponga alla Corte una nuova questione di diritto, oppure qualora egli le sottoponga nuovi elementi di valutazione che possano indurla a risolvere diversamente una questione già sollevata» (in tal senso anche ord. 5 marzo 1986, C-69/85). Nelle «raccomandazioni della Corte di Giustizia all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale » (G.u.u.e. 25 novembre 2016) si è altresì ribadito che «un rinvio pregiudiziale può, segnatamente, risultare particolarmente utile quando dinanzi al giudice nazionale è sollevata una questione di interpretazione nuova (2) trib. Castrovillari, 10 marzo 2023, in Ex Parte Creditoris, con nota di W.G. CAtuRANo, Caso Lexitor: dopo la CGUE anche la giurisprudenza nazionale “ci ripensa”. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 che presenta un interesse generale per l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, o quando la giurisprudenza esistente non sembra fornire i chiarimenti necessari in un contesto di diritto o di fatto inedito». Con specifico riferimento all’ordinamento italiano il proposto rinvio potrebbe essere richiesto affinché la Corte si pronunzi sul se la disciplina garantita dall’ordinamento italiano, in sede di estinzione anticipata del credito, sommata alle tutele di cui alla direttiva 2008/48/Ce non sia (quantomeno) equivalente alla tutela garantita dal modello PieS di cui alla direttiva 2014/17/ue in materia di estinzione anticipata dei contratti di credito immobiliare ai consumatori. Corte di Giustizia dell’Unione europea, terza sezione, sentenza 9 febbraio 2023 nella causa C‑555/21 -Pres. K. Jürimäe, Rel. M. Safjan -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), con decisione del 19 agosto 2021, pervenuta in cancelleria il 9 settembre 2021, nel procedimento uniCredit Bank Austria AG c. Verein für Konsumenteninformation. «Rinvio pregiudiziale -tutela dei consumatori -Direttiva 2014/17/ue -Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali -Articolo 25, paragrafo 1 -Rimborso anticipato -Diritto del consumatore a una riduzione del costo totale del credito, che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto -Articolo 4, punto 13 -Nozione di “costo totale del credito per il consumatore” -Costi che non dipendono dalla durata del contratto» 1 la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/Ce e 2013/36/ue e del regolamento (ue) n. 1093/2010 (Gu 2014, l 60, pag. 34). 2 tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la uniCredit Bank Austria AG (in prosieguo: la «uCBA») e il Verein für Konsumenteninformation (in prosieguo: il «VKi»), relativamente all’utilizzo, da parte della uCBA, di una clausola standard, contenuta nei suoi contratti di credito immobiliare, che prevede che, in caso di rimborso anticipato del credito da parte del consumatore, le spese di gestione indipendenti dalla durata del credito non gli vengano rimborsate. Contesto normativo Diritto dell’Unione Direttiva 2008/48/CE 3 l’articolo 3 della direttiva 2008/48/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/Cee del Consiglio (Gu 2008, l 133, pag. 66), intitolato «Definizioni», dispone quanto segue: «Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (...) g) “costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le com CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 41 missioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte. (...)». 4 l’articolo 16 della direttiva 2008/48, intitolato «Rimborso anticipato», al paragrafo 1 così dispone: «il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. in tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto». Direttiva 2014/17 5 i considerando 15, 19, 20, 22 e 50 della direttiva 2014/17 sono così formulati: «(15) l’obiettivo della presente direttiva è garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivano contratti di credito relativi a beni immobili. (...) (...) (19) Per ragioni di certezza del diritto, il quadro giuridico dell’unione in materia di contratti di credito relativi a beni immobili residenziali dovrebbe essere coerente con gli altri atti dell’unione [europea] e complementare ad essi, in particolare nei settori della protezione dei consumatori e della vigilanza prudenziale. (...) (20) Per garantire ai consumatori del settore creditizio un quadro coerente e per ridurre al minimo gli oneri amministrativi per i creditori e gli intermediari del credito, la struttura della presente direttiva dovrebbe seguire, ove possibile, quella della direttiva [2008/48] (...) (22) Allo stesso tempo, è importante tenere conto delle specificità dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, che giustificano un approccio differenziato. (...) (...) (50) il costo totale del credito per il consumatore dovrebbe comprendere tutti i costi legati al contratto di credito che il consumatore deve pagare e che sono noti al creditore. Dovrebbe pertanto includere interessi, commissioni, imposte, compensi per gli intermediari del credito, costi della valutazione dei beni immobili a fini ipotecari e tutte le altre spese, escluse le spese notarili, richieste per ottenere il credito, per esempio un’assicurazione sulla vita, oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali previste, per esempio un’assicurazione contro gli incendi. (...) il costo totale del credito per il consumatore dovrebbe escludere i costi che il consumatore sostiene in relazione all’acquisto dell’immobile o del terreno, ad esempio le tasse associate e le spese notarili o i costi di registrazione catastale (...)». 6 l’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «oggetto», dispone quanto segue: «la presente direttiva definisce un quadro comune per alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti contratti concernenti i crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali, compreso l’obbligo di effettuare una valutazione del merito creditizio prima di concedere un credito, come base per lo sviluppo di standard efficaci per la stipula in relazione a beni immobili residenziali negli Stati membri, e per alcuni requisiti pru RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 denziali e di vigilanza, anche per quanto riguarda lo stabilimento e la vigilanza di intermediari del credito, rappresentanti designati e enti non creditizi». 7 l’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», così prevede: «Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (...) 13. “costo totale del credito per il consumatore”: il costo totale del credito per il consumatore quale definito all’articolo 3, lettera g), della direttiva [2008/48], inclusi i costi della valutazione dei beni se tale valutazione è necessaria per ottenere il credito ma esclusi i costi di registrazione fondiaria per il trasferimento della proprietà del bene immobile. Sono escluse eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito; (...)». 8 l’articolo 14 della medesima direttiva, intitolato «informazioni precontrattuali», ai paragrafi 1 e 2 dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato forniscano al consumatore le informazioni personalizzate necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito: a) senza indebito ritardo, dopo che il consumatore ha fornito le informazioni necessarie circa le sue esigenze, la sua situazione finanziaria e le sue preferenze in conformità con l’articolo 20; e b) in tempo utile, prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un’offerta. 2. le informazioni personalizzate di cui al paragrafo 1, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il [prospetto informativo europeo standardizzato (PieS)] di cui all’allegato ii». 9 l’articolo 25 della direttiva 2014/17, intitolato «estinzione anticipata», al paragrafo 1 prevede quanto segue: «Gli Stati membri assicurano che il consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto. in tal caso, il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito al consumatore, che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto». 10 l’articolo 41 di tale direttiva, intitolato «Natura vincolante della presente direttiva», prevede quanto segue: «Gli Stati membri assicurano che: (...) b) le disposizioni adottate per il recepimento della presente direttiva non possano essere eluse in un modo che possa determinare la perdita della protezione concessa ai consumatori dalla presente direttiva attraverso particolari formulazioni dei contratti, in particolare includendo contratti di credito che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva in contratti di credito la cui natura o finalità consenta di evitare l’applicazione di tali disposizioni». Diritto austriaco 11 l’articolo 20 del Bundesgesetz über Hypothekar-und immobilienkreditverträge und sonstige Kreditierungen zu Gunsten von Verbrauchern (legge federale in materia di contratti di credito ipotecario e immobiliare e altri crediti al consumo), del 26 novembre 2015 CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 43 (BGBl. i, 135/2015), nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2020 (BGBl. i, 93/2017), intitolato «estinzione anticipata», al paragrafo 1 prevedeva quanto segue: «il mutuatario ha diritto, in qualsiasi momento, di rimborsare parzialmente o integralmente l’importo del credito prima della scadenza del periodo stabilito. il rimborso anticipato dell’intero importo del credito, maggiorato degli interessi, è considerato come risoluzione del contratto di credito. in caso di rimborso anticipato del credito, gli interessi dovuti dal mutuatario sono ridotti in funzione della riduzione del debito residuo ed eventualmente in funzione della conseguente riduzione della durata del contratto. i costi dipendenti dalla durata del contratto sono ridotti proporzionalmente». Procedimento principale e questione pregiudiziale 12 il VKi, un’associazione per la tutela degli interessi dei consumatori, ha proposto un ricorso dinanzi agli organi giurisdizionali civili austriaci affinché venisse ingiunto alla uCBA, ente creditizio, di cessare l’utilizzo -in sede di conclusione di contratti vertenti su crediti garantiti da ipoteche rientranti nella direttiva 2014/17 -di una clausola contrattuale standard. tale clausola prevede che, in caso di rimborso anticipato del credito da parte del consumatore, gli interessi nonché i costi dipendenti dalla durata del credito vengano ridotti proporzionalmente, mentre invece «le spese di gestione indipendenti dalla durata del credito non vengono rimborsate, neppure proporzionalmente». 13 il VKi ritiene che una simile clausola sia incompatibile con l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17, che sancisce il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito. esso si riferisce, al riguardo, alla sentenza dell’11 settembre 2019, lexitor (C‑383/18, eu:C:2019:702), in cui la Corte avrebbe dichiarato che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 -che prevede un siffatto diritto in materia di contratti di credito ai consumatori -deve essere interpretato nel senso che tale diritto include tutte i costi posti a carico del consumatore. 14 il giudice di primo grado ha respinto il ricorso del VKi, per il motivo che la direttiva 2014/17 stabilisce un sistema differente da quello della direttiva 2008/48. Queste due direttive presenterebbero differenze in particolare quanto alla nozione di «costo totale del credito per il consumatore», oggetto di riduzione in caso di rimborso anticipato. 15 il giudice d’appello ha riformato tale sentenza ritenendo che, a causa delle loro formulazioni quasi identiche, l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 e l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 debbano essere interpretati nella medesima maniera. Alla luce della sentenza dell’11 settembre 2019, lexitor (C‑383/18, eu:C:2019:702), non sarebbe possibile dedurre dalla direttiva 2014/17 che i costi indipendenti dalla durata del contratto di credito non debbano essere rimborsati proporzionalmente. 16 investito di un ricorso per cassazione (Revision) da parte della uCBA, il giudice del rinvio, l’oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), giudica che la posizione del giudice d’appello non risulta convincente con la dovuta evidenza. 17 Secondo il giudice del rinvio, vero è che si potrebbe ritenere che, in considerazione della formulazione quasi identica delle due disposizioni nonché dell’obiettivo comune alle due direttive di assicurare una tutela elevata del consumatore, l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 debba essere interpretato nel medesimo senso dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48. 18 tuttavia, i contratti di credito ai consumatori disciplinati dalla direttiva 2008/48 presenterebbero considerevoli differenze rispetto ai contratti di credito garantiti da un’ipoteca o relativi ai beni immobili, disciplinati dalla direttiva 2014/17, atteso che questi ultimi RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 implicano generalmente numerose spese che non dipendono dalla durata del contratto e il cui importo sfuggirebbe al controllo dall’ente creditizio. A tale titolo, il giudice del rinvio menziona, in particolare, le spese relative alla valutazione del bene immobile, all’autenticazione delle firme ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca nel registro catastale e alla domanda di riconoscimento del grado ipotecario in vista di una cessione o di una costituzione in garanzia, nonché quelle relative alla registrazione per la domanda di iscrizione catastale dell’ipoteca. 19 inoltre, per quanto riguardo le spese indipendenti dalla durata del contratto nell’ambito della direttiva 2014/17, il creditore non disporrebbe affatto di un margine di manovra contrattuale per riqualificare tali spese come costi che dipendono da tale durata. Al riguardo, gli organi giurisdizionali austriaci potrebbero controllare, se del caso mediante riqualificazione, se taluni costi posti a carico del consumatore corrispondano a un compenso per l’uso temporaneo dei capitali o se essi mirino a indennizzare una prestazione del creditore indipendente dalla durata del contratto. 20 in tale contesto, l’oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva [2014/17] debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di esercizio del diritto del mutuatario di rimborsare parzialmente o integralmente l’importo del credito prima della scadenza del periodo stabilito, che gli interessi dovuti dallo stesso mutuatario e i costi dipendenti dalla durata del contratto siano ridotti proporzionalmente, mentre una simile disposizione non è prevista per i costi che non dipendono da tale durata». sulla questione pregiudiziale 21 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore a una riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi che dipendono dalla durata del credito. 22 Conformemente a tale disposizione, gli Stati membri devono assicurare che il consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto. in tal caso, il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 23 Per quanto riguarda, in primo luogo, le spese che possono essere comprese nel «costo totale del credito al consumatore», il legislatore dell’unione ha accolto una definizione ampia di tale nozione. 24 infatti, dall’articolo 4, punto 13, della direttiva 2014/17, in combinato disposto con l’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48, emerge che la nozione di «costo totale del credito per il consumatore», ai sensi della prima di tali diposizioni, include tutti i costi che il consumatore deve pagare a titolo del contratto di credito, di cui è a conoscenza il creditore. tale disposizione esclude espressamente - come confermato dal considerando 50 della direttiva 2014/14 -soltanto le spese notarili, i costi di registrazione fondiaria per il trasferimento della proprietà del bene immobile, come i costi di registrazione catastale e le tasse associate, nonché le eventuali penali pagabili dal consumatore per l’inosservanza degli obblighi stabiliti nel contratto di credito. 25 Spetta pertanto al giudice del rinvio verificare se i tipi di costi dallo stesso indicati, ri CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 45 chiamati al punto 18 della presente sentenza, rientrino nei costi che il consumatore è tenuto a pagare sulla base del contratto di credito in questione nella controversia di cui al procedimento principale e che sono noti al creditore, segnatamente a titolo delle ipotesi espressamente previste all’articolo 4, punto 13, della direttiva 2014/17 e all’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48, e se esse rientrino, eventualmente, nelle eccezioni sintetizzate al punto precedente, in particolare nelle spese notarili. 26 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la portata della nozione di «riduzione del costo totale del credito al consumatore», di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17, la Corte ha già constatato, ai punti 24 e 25 della sentenza dell’11 settembre 2019 (lexitor, C‑383/18, eu:C:2019:702), in relazione all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, che né il riferimento alla «restante durata del contratto», di cui a tale disposizione, né un’analisi comparativa delle diverse versioni linguistiche di quest’ultima permettono di determinare la portata esatta della riduzione prevista da detta disposizione. la Corte ne ha dedotto, al punto 26 di tale sentenza, che tale diposizione doveva essere interpretata, conformemente alla sua giurisprudenza constante, alla luce del suo contesto nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. 27 l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 è formulato in termini quasi identici a quelli dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, sicché occorre ritenere che la sua formulazione non consenta di determinare, da sola, la portata esatta dalla riduzione di cui a tale disposizione. Si deve quindi interpretare quest’ultima alla luce del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. 28 A tal riguardo, dai considerando 19 e 20 della direttiva 2014/17 emerge che, per ragioni di certezza del diritto, la direttiva in parola dovrebbe essere coerente con gli altri atti adottati nel settore della protezione dei consumatori, nonché complementare ad essi. Nondimeno, dal considerando 22 di tale direttiva si evince anche che è importante tenere conto delle specificità dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, specificità che giustificano un approccio differenziato. 29 inoltre, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 1 della direttiva 2014/17, letto alla luce del suo considerando 15, quest’ultima definisce un quadro comune per alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti contratti riguardanti i crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali al fine di assicurare a questi ultimi un elevato livello di protezione (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2020, Association française des usagers de banques, C‑778/18, eu:C:2020:831, punto 34). 30 orbene, occorre constatare, come sottolineato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 69 delle sue conclusioni, che il diritto alla riduzione di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 non è volto a porre il consumatore nella situazione in cui si troverebbe qualora il contratto di credito fosse stato concluso per un periodo più breve, un importo inferiore o, più generalmente, a condizioni diverse. esso mira, invece, ad adattare tale contratto in funzione delle circostanze del rimborso anticipato. 31 Stanti tali condizioni, siffatto diritto non può includere i costi che, indipendentemente dalla durata del contratto, siano posti a carico del consumatore a favore sia del creditore che dei terzi per prestazioni che siano già state eseguite integralmente al momento del rimborso anticipato. 32 Vero è che, nel contesto della direttiva 2008/48, la Corte ha dichiarato che l’effettiva portata del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 sminuita, qualora tale riduzione potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi qualificati dal creditore come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto. inoltre, limitare la riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che al consumatore vengano imposti pagamenti una tantum più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, lexitor, C‑383/18, eu:C:2019:702, punti 31 e 32). 33 A tal fine la Corte ha evidenziato che, nell’ambito di detta direttiva, il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, lexitor, C‑383/18, eu:C:2019:702, punto 33). 34 Al riguardo, occorre tuttavia ricordare che, conformemente all’articolo 14, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/17, il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato sono tenuti a fornire al consumatore informazioni precontrattuali mediante il PieS di cui all’allegato ii a tale direttiva. tale prospetto prevede una ripartizione delle spese che il consumatore deve pagare in funzione del loro carattere ricorrente o meno. 35 orbene, una siffatta ripartizione regolamentata dei costi posti a carico del consumatore riduce sensibilmente il margine di manovra di cui dispongono gli enti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna e consente, sia al consumatore che al giudice nazionale, di verificare se un tipo di costo è oggettivamente connesso alla durata del contratto. 36 Di conseguenza, il rischio di comportamento abusivo del creditore, evocato nella giurisprudenza citata ai punti 32 e 33 della presente sentenza, non può giustificare l’inclusione dei costi indipendenti dalla durata del contratto nel diritto alla riduzione del costo totale del credito, di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17. 37 A tal proposito, occorre nondimeno ricordare che, al fine di garantire la tutela di cui beneficiano i consumatori ai sensi della direttiva 2014/17, l’articolo 41, lettera b), di quest’ultima impone agli Stati membri di assicurare che le disposizioni adottate per il recepimento di tale direttiva non possano essere eluse in un modo che possa determinare la perdita della protezione concessa ai consumatori da detta direttiva, mediante particolari formulazioni dei contratti. 38 Al fine di garantire detta tutela, spetta agli organi giurisdizionali nazionali assicurare che i costi che, indipendentemente dalla durata del contratto di credito, sono posti a carico del consumatore non costituiscano oggettivamente una remunerazione del creditore per l’uso temporaneo del capitale oggetto di tale contratto o per prestazioni che, al momento del rimborso anticipato, dovrebbero ancora essere fornite al consumatore. il creditore è, al riguardo, tenuto a provare il carattere ricorrente o meno dei costi in questione. 39 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 47 sulle spese 40 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (terza Sezione) dichiara: L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/Ce e 2013/36/Ue e del regolamento (Ue) n. 1093/2010, deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 Protezione internazionale e vincolatività delle decisioni degli stati membri CoRtE DI GIUStIzIA DELL’UnIonE EURoPEA, oSSERVAzIonI DEL GoVERno ItALIAno In CAUSA C-753/22, PRomoSSA Con oRDInAnzA DEL 12 DICEmBRE 2022 DAL BUnDESVERwALtUnGSGERICht - GERmAnIA 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 tFue, sulla seguente questione pregiudiziale: Se, nel caso in cui uno Stato membro non possa avvalersi della facoltà, conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile alla luce del riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro, poiché le condizioni di vita in tale Stato membro esporrebbero il richiedente a un grave rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, l’articolo 3, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento n. 604/2013, l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase e l’articolo 13 della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 33, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 2013/32 debbano essere interpretati nel senso che la circostanza che lo status di rifugiato sia già stato riconosciuto impedisce allo Stato membro di sottoporre a un esame dall’esito aperto la domanda di protezione internazionale che gli è stata presentata e impone allo stesso di accordare al richiedente lo status di rifugiato senza verificare l’esistenza dei requisiti sostanziali di tale protezione. esposizione dei fatti di causa 2. la questione pregiudiziale sollevata dal Giudice tedesco trae origine dal ricorso di una cittadina siriana, nata nel 1999 -alla quale l’ufficio federale per la migrazione e i rifugiati della Germania ha accordato la protezione sussidiaria -che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato già riconosciuto da altro Stato membro, la Grecia. 3. la ricorrente, in base a una decisione definitiva del tribunale amministrativo tedesco, non può rientrare in Grecia perché in tale Stato sarebbe esposta ad un grave rischio di subire trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta di Nizza. 4. il predetto ufficio federale ha rigettato nel merito la sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto la stessa non sarebbe esposta al rischio di subire persecuzioni in Siria. 5. la ricorrente sostiene invece che il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro sarebbe vincolante per gli altri Stati membri. normativa dell’Unione 6. l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea pre CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle vede che “nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. 7. il regolamento n. 604/2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (c.d. Dublino iii), prevede, all’art. 3, relativo all’accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale, che “1. Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III. 2. Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata. Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente. Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente. 3. ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE” (enfasi aggiunta). 8. Conformemente al Capo iii, i criteri per la determinazione dello Stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti nello stesso capo. in particolare, la determinazione dello Stato membro competente avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro. Ai fini dell’applicazione dei criteri di cui agli articoli 8 (minori), 10 (familiari beneficiari di protezione internazionale) e 16 (persone a carico), gli Stati membri tengono conto di qualsiasi elemento di prova disponibile per quanto riguarda la presenza nel territorio di uno Stato membro, di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela con il richie RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 dente, a condizione che tali prove siano prodotte prima che un altro Stato membro accolga la richiesta di presa o ripresa in carico dell’interessato e che le precedenti domande di protezione internazionale del richiedente non siano state ancora oggetto di una prima decisione sul merito. 9. A norma dell’art. 33, paragrafo 1 della direttiva 2013/32/ue (c.d. direttiva procedure), recante “Domande inammissibili”, “1. oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento (UE) n. 604/2013, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo”. in base al successivo paragrafo 2, lettera a), “2. Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se: a) un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale”. 10. Ai sensi dell’art. 10, par. 2 della direttiva procedure, “Nell’esaminare una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante determina anzitutto se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se l’interessato sia ammissibile alla protezione sussidiaria” (enfasi aggiunta). il successivo par. 3 dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame …”. 11. la direttiva 2011/95/ue (c.d. direttiva qualifiche) prevede, all’art. 4, par. 1, seconda frase che “Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda”. il successivo art. 13, recante riconoscimento dello status di rifugiato, dispone che “gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III”. i capi ii e iii disciplinano, rispettivamente, la valutazione delle domande di protezione internazionale e i requisiti per essere considerato rifugiato. Risposta al quesito 12. Con il quesito, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte di giustizia di chiarire se il fatto che lo status di rifugiato sia già stato riconosciuto da altro Stato membro (nella specie la Grecia) impedisca ad uno Stato membro (nella fattispecie la Germania) di sottoporre ad un esame dall’esito aperto la domanda di protezione internazionale che gli è stata presentata ed imponga allo stesso di accordare al richiedente lo status di rifugiato senza verificare l’esistenza dei requisiti sostanziali per il riconoscimento di tale protezione. 13. in altri termini, la Corte amministrativa federale tedesca domanda alla Corte di Giustizia se in base al diritto primario e del diritto derivato del- l’unione il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro abbia effetto vincolante per un altro Stato membro. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 14. il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva al quesito. 15. Come si è detto, il rinvio pregiudiziale trae origine dal ricorso di una cittadina siriana che ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in Grecia e che chiede la protezione internazionale anche in Germania in quanto il rientro in Grecia la esporrebbe ad un grave rischio di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta. 16. Nella fattispecie la domanda è stata respinta dal tribunale amministrativo tedesco non perché alla ricorrente era già stato riconosciuto lo status di rifugiato in Grecia ma perché la domanda era infondata nel merito, reputando il tribunale che la stessa non fosse esposta a rischio di subire persecuzioni in Siria. 17. la questione giuridica sottoposta alla Corte è dunque quella della natura vincolante o meno in tutti gli Stati membri del riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro, che non sembrerebbe evincersi esplicitamente, secondo il giudice del rinvio, né dal diritto primario dell’unione, né da quello derivato. 18. la legislazione italiana (art. 29, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 25/2008) ha recepito l’art. 33, par. 2, lett. a) della direttiva procedure prevedendo che la Commissione territoriale dichiari inammissibile la domanda e non proceda all’esame qualora il richiedente sia stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione. 19. lo stesso giudice del rinvio riconosce che la possibilità conferita agli Stati membri dall’art. 33, par. 2, lett. a) della direttiva 2013/32/ue di rinunciare a pronunciarsi nel merito nel caso in cui un altro Stato membro abbia concesso la protezione internazionale, disciplinata per la Repubblica federale di Germania all’articolo 29, paragrafo 1, secondo comma, dell’AsylG, potrebbe doversi intendere come espressione del principio di un unico esame nel merito di una domanda di asilo in un solo Stato membro dell’unione europea. 20. tuttavia, il giudice del rinvio assume che la Corte di Giustizia non si sia ancora pronunciata in maniera espressa sulla vincolatività del riconoscimento da parte di uno Stato membro dello status di rifugiato per gli altri Stati membri. 21. Sul punto, infatti, la Corte di Giustizia dell’unione europea, basandosi sull’articolo unico del Protocollo n. 24 sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’unione europea allegato ai trattati -in base al quale “gli Stati membri dell’Unione europea, dato il livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali si considerano reciprocamente Paesi di origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo” -si è limitata a ribadire il principio di mutua fiducia che sottende alla creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, senza, tuttavia, pronunciarsi in maniera specifica sulla vincolatività delle decisioni degli Stati membri in materia di protezione inter RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 nazionale, tenuto conto anche che la direttiva “qualifiche” e la direttiva “procedure” non prevedono in modo esplicito l’automatico riconoscimento, da parte di uno Stato dell’ue, della protezione internazionale ottenuta in un altro Stato membro. 22. tuttavia, l’accertamento da parte di uno Stato dello status di rifugiato dovrebbe avere un effetto sovranazionale, almeno tra gli altri Stati aderenti alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951. 23. Del resto, il Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (uNHCR), nella conclusione n. 12 (XXiX)-1978, relativa all’effetto extraterritoriale della determinazione dello status di rifugiato, ha espresso il principio secondo il quale “lo status di rifugiato determinato da uno Stato contraente sarà riconosciuto anche dagli altri Stati contraenti”. 24. inoltre, come sottolineato dall’uNHCR, “lo status di rifugiato riconosciuto da uno Stato Parte [della Convenzione del 1951] dovrebbe essere messo in discussione da un altro Stato Parte soltanto in casi eccezionali, quando appare evidente che la persona non abbia i requisiti di inclusione di cui alla Convenzione del 1951”. 25. tale conclusione sembra ostare alla possibilità che lo Stato membro proceda ad una sostanziale rivalutazione del rischio di persecuzione politica della ricorrente nel paese di origine allorché le autorità di altro Stato membro abbiano precedentemente riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato alla cittadina di Paese terzo. 26. il Governo italiano ritiene che un’eventuale risposta negativa al quesito posto dal Giudice del rinvio, tendente ad affermare che il riconoscimento dello status di rifugiato non sia vincolante per gli altri Stati membri potrebbe comportare un pregiudizio rispetto alla necessaria omogeneità giuridica in ambito u.e., come già sostenuto nella causa C-352/22 afferente a questioni similari. 27. Se un soggetto fosse riconosciuto rifugiato politico in uno Stato membro e il suo trasferimento in un altro Paese u.e. lo esponesse al rischio di una nuova e diversa valutazione, autonomamente compiuta dalle autorità nazionali sul suo caso in ordine al fondato timore di persecuzione nel Paese di origine, verrebbe compromesso un basilare principio dell’ordinamento unionale. 28. Si rischierebbe infatti di favorire il fenomeno del c.d. forum shopping, poiché gli stranieri che ambissero al riconoscimento dello status di rifugiato sarebbero chiaramente indotti a sottoporre i loro casi alle sole autorità degli Stati membri che apparissero maggiormente sensibili al riconoscimento delle istanze protettive. 29. inoltre, nella causa C-483/20 citata dal giudice del rinvio, è stata depositata dalla Corte di Giustizia, Grande sezione, la sentenza del 22 febbraio 2022 che ha chiarito che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle direttiva 2013/32/ue deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di dichiarare inammissibile una domanda di protezione internazionale con la motivazione che al richiedente è già stato concesso lo status di rifugiato da parte di un altro Stato membro, qualora tale richiedente sia il padre di un minore non accompagnato che ha ottenuto il beneficio della protezione sussidiaria nel primo Stato membro, fatta salva, tuttavia, l’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/ue sul mantenimento del nucleo dell’unità familiare. 30. Con ciò confermando il principio secondo cui la domanda di asilo di un richiedente è esaminata nel merito solo dallo Stato membro competente in base ai criteri enunciati dal regolamento di Dublino iii. 31. invero, l’accertamento del giudice tedesco secondo il quale il rientro in Grecia esporrebbe la ricorrente a trattamenti inumani e degradanti pare invero un caso peculiare. Nella citata sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, causa C-483/20, al punto 27, si parte infatti dal presupposto che “il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 tUE. tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., C 297/17, C 318/17, C 319/17 e C 438/17, EU:C:2019:219, punto 83 e giurisprudenza ivi citata), ossia la dignità umana, che comprende, segnatamente, il divieto di trattamenti inumani o degradanti”. 32. Di regola, i Paesi dell’unione dovrebbero quindi condividere i medesimi valori sul fronte del rispetto dei diritti fondamentali. 33. La Corte di Giustizia, Grande sezione, causa C-720/20, sentenza del 1 agosto 2022, si è inoltre di recente pronunciata sui limiti ed i presupposti in cui può essere dichiarata inammissibile una domanda di protezione internazionale già concessa da altro Stato membro. 34. in proposito, secondo la Corte, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva procedure, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/ue, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma di tale articolo. Al riguardo, il paragrafo 2 di detto articolo elenca tassativamente le situazioni in cui gli Stati RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 membri possono considerare inammissibile una domanda di protezione internazionale [sentenze del 19 marzo 2019, ibrahim e a., C 297/17, C 318/17, C 319/17 e C 438/17, eu:C:2019:219, punto 76, nonché del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (unità del nucleo familiare - Protezione già accordata), C-483/20, eu:C:2022:103, punto 23] (punto 48) 35. la Corte precisa che tale carattere tassativo si fonda sia sul tenore letterale di quest’ultima disposizione, in particolare sul termine «soltanto» che precede l’elencazione dei motivi di inammissibilità, sia sulla sua finalità, consistente, come già dichiarato dalla Corte, nel temperare l’obbligo dello Stato membro competente di esaminare una domanda di protezione internazionale definendo i casi nei quali una siffatta domanda è giudicata inammissibile [sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (tompa), C 564/18, eu:C:2020:218, punto 30 nonché giurisprudenza ivi citata]. inoltre, alla luce di tale finalità, l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva procedure presenta, nel suo insieme, un carattere derogatorio rispetto all’obbligo degli Stati membri di esaminare nel merito tutte le domande di protezione internazionale (punto 49). 36. in particolare, “Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, gli Stati membri possono giudicare inammissibile una domanda di protezione internazionale, qualora un altro Stato membro abbia concesso la protezione internazionale. Tale possibilità si spiega, in particolare, con l’importanza nel diritto dell’Unione del principio di fiducia reciproca, in particolare nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia costituito dall’Unione, di cui tale disposizione costituisce un’espressione nell’ambito della procedura comune di asilo istituita da tale direttiva [v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità del nucleo familiare -Protezione già accordata), C 483/20, EU:C:2022:103, punti 28 e 29] ” (punto 50). 37. Ne discende che le norme primarie e derivate del diritto dell’unione europea, come interpretate sinora dalla Corte di Giustizia, seppur in fattispecie parzialmente diverse, sembrano far concludere per l’unicità dell’esame della domanda di protezione internazionale e sulla conseguente vincolatività del riconoscimento dal parte di uno Stato membro dello status di rifugiato nei confronti degli altri Stati membri. Conclusioni 38. il Governo italiano propone quindi alla Corte di rispondere positivamente al quesito, affermando che, nel caso in cui uno Stato membro non possa avvalersi della facoltà, conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, di respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile alla luce del riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro, poiché le condizioni di vita in tale Stato membro esporrebbero il richiedente a un grave rischio di trattamenti inumani o degradanti CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle ai sensi dell’articolo 4 della Carta, l’articolo 3, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento n. 604/2013, l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase e l’articolo 13 della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 33, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 2013/32 debbano essere interpretati nel senso che la circostanza che lo status di rifugiato sia già stato riconosciuto impedisce allo Stato membro di sottoporre a un esame dall’esito aperto la domanda di protezione internazionale che gli è stata presentata e impone allo stesso di accordare al richiedente lo status di rifugiato senza verificare l’esistenza dei requisiti sostanziali di tale protezione. Roma, 4 aprile 2023 Wally Ferrante Avvocato dello Stato RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 AiRBnB: la Corte di Giustizia U.e. interviene sul regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare riguardanti le locazioni brevi e sull’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale residente in italia notA A CoRtE DI GIUStIzIA DELL’UnIonE EURoPEA, SEzIonE SEConDA, SEntEnzA 22 DICEmBRE 2022, CAUSA C-83/21 Emanuela Rosanò* Con la sentenza pubblicata il 22 dicembre 2022 nella causa C-83/21 la Corte di Giustizia dell’unione europea, Seconda Sezione, si è pronunciata sulla compatibilità con il diritto euro-unitario della normativa italiana che disciplina il regime fiscale delle locazioni brevi (Decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017 -Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo -convertito, con modificazioni, dalla legge del 21 giugno 2017, n. 96). il rinvio pregiudiziale è stato operato dal Consiglio di Stato, Sezione Quarta, con ordinanza n. 777/2021 del 26 gennaio 2021, nell’ambito di una controversia insorta tra, da un lato, le società Airbnb ireland unlimited Company e Airbnb Payments uK limited e, dall’altro, l’Agenzia delle entrate. in particolare i Giudici di Palazzo Spada hanno sollevato le seguenti questioni pregiudiziali: “1 -Dica la Corte di Giustizia quale sia l’esegesi delle espressioni dei servizi della società dell’informazione e della società dell’informazione, di cui alla direttiva 2015/1535/UE, e, in particolare, dica la Corte se tali espressioni debbano interpretarsi come comprensive anche di misure di carattere tributario non direttamente volte a regolamentare lo specifico servizio della società dell'informazione, ma comunque tali da conformarne il concreto esercizio all’interno dello Stato membro, in particolare gravando tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -di obblighi ancillari e strumentali all’efficace riscossione delle imposte dovute dai locatori, quali: a) la raccolta e la successiva comunicazione alle Autorità fiscali dello Stato membro dei dati relativi ai contratti di locazione breve stipulati a seguito dell'attività dell’intermediario; b) la ritenuta della quota-parte dovuta al Fisco delle somme versate dai conduttori ai locatori ed il conseguente versamento all'Erario di tali somme. 2 - Dica la Corte di Giustizia: (*) Avvocato, già Praticante presso l’Avvocatura Generale dello Stato. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle a) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 tFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -obblighi di raccolta dei dati inerenti ai contratti di locazione breve conclusi loro tramite e successiva comunicazione all’Amministrazione finanziaria, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio; b) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 tFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -che intervengano nella fase del pagamento dei contratti di locazione breve stipulati loro tramite, l’obbligo di operare, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio, una ritenuta su tali pagamenti con successivo versamento all’Erario; c) in caso di risposta positiva ai quesiti che precedono, se il principio di libera prestazione di servizi di cui all'art. 56 tFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possano comunque essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da misure nazionali quali quelle descritte supra, sub a) e b), in considerazione dell’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio; d) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all'art. 56 tFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possono essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da una misura nazionale che imponga, a carico degli intermediari immobiliari non stabiliti in Italia, l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale tenuto ad adempiere, in nome e per conto dell'intermediario non stabilito, alle misure nazionali descritte supra, sub b), stante l’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio. 3 -Dica la Corte di Giustizia se l’art. 267, paragrafo terzo, tFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto unionale (originario o derivato) sollevata da una delle parti e corredata dalla precisa indicazione del testo del quesito, il Giudice mantenga comunque la facoltà di procedere all'automa articolazione del quesito stesso, individuando discrezionalmente, in scienza e coscienza, i referenti del diritto unionale, le disposizioni nazionali con essi potenzialmente in contrasto ed il tenore lessicale della rimessione, purché nei limiti della materia oggetto del contendere, ovvero sia tenuto a recepire il quesito come formulato dalla parte istante”. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 Elementi di fatto e di diritto del giudizio. il giudizio nel quale sono state sollevate le questioni pregiudiziali ha ad oggetto l’impugnazione della sentenza con cui il tar per il lazio ha respinto il ricorso proposto dalle due società Airbnb ireland unlimited Company ed Airbnb Payments uK limited avverso il provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate, in attuazione del decreto-legge del 24 aprile 2017, n. 50 convertito dalla l. 21 giugno 2017, n. 96, ha imposto loro sia obblighi informativi (trasmissione all’Agenzia delle entrate dei dati relativi ai contratti conclusi tramite il portale telematico -art. 4, comma 4) (1) che fiscali (effettuazione della ritenuta fiscale sui pagamenti operati in relazione ai contratti conclusi tramite il portale telematico con conseguente versamento all’erario -art. 4, comma 5) (2) nonché l'obbligo di nomina, a carico dei soggetti non fiscalmente residenti né, comunque, stabiliti in italia, di un rappresentante fiscale, tenuto in nome e per conto dell’intermediario, contestualmente qualificato come responsabile di imposta, del versamento all’erario della ritenuta previamente effettuata (art. 4, comma 5-bis) (3). Ad avviso delle appellanti il regime fiscale per le locazioni brevi introdotto dal D.l. n. 50/2017 (di cui il provvedimento impugnato costituisce attuazione), è stato adottato disattendendo l’obbligo sancito dagli articoli 4 (4) (1) “I soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, trasmettono i dati relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3 conclusi per il loro tramite entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello a cui si riferiscono i predetti dati. L'omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati relativi ai contratti di cui al comma 1 e 3 è punita con la sanzione di cui all'articolo 11, comma 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. La sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza, ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati”. (2) “I soggetti residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, operano, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, della relativa certificazione ai sensi dell’articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. nel caso in cui non sia esercitata l’opzione per l'applicazione del regime di cui al comma 2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto”. (3) “I soggetti di cui al comma 5 non residenti in possesso di una stabile organizzazione in Italia, ai sensi dell’articolo 162 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 [- Approvazione del testo Unico delle imposte sui redditi (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 31 dicembre 1986)], qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, adempiono agli obblighi derivanti dal presente articolo tramite la stabile organizzazione. I soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia, ai fini dell’adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo, in qualità di responsabili d’imposta, nominano un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle e 5, comma 1 (5), della direttiva n. 1535/2015/ue (che prevede una procedura d’informazione per le regolamentazioni tecniche e le regole relative ai servizi della società dell’informazione) e dall’art. 56 tFue in materia di libera prestazione dei servizi, di comunicare preventivamente alla Commissione europea ogni progetto di regola tecnica inerente i servizi resi dalla società di informazione. la disciplina legislativa cui il provvedimento gravato dà attuazione colpirebbe “proprio l’elemento di peculiarità del servizio di intermediazione di Airbnb”, il cui “unico” modello di business si caratterizzerebbe appunto per l’intervento nel pagamento della transazione, “riscuotendo il corrispettivo dal conduttore prima della consegna dell’immobile e trasferendolo al locatore solo dopo l’avvio della locazione senza contestazioni”. la mancanza della previa notifica della novella legislativa alla Commissione ne determinerebbe, pertanto, la radicale inapplicabilità; in subordine, sarebbe necessario operare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia affinché venga chiarito l’esatto significato da attribuire al diritto euro-unitario, sì da appurare se la disciplina interna sia ad esso conforme. Gli obblighi informativi e fiscali imposti all’intermediario telematico avrebbero altresì l’effetto di pregiudicare il funzionamento del mercato interno e di discriminare arbitrariamente Airbnb. in particolare, le previsioni concernenti la ritenuta della tassazione sulle locazioni e l’onere relativo alla riscossione dell’imposta di soggiorno ostacolerebbero la libera prestazione del servizio offerto (tutelata dall’art. 56 tFue), in quanto ai gestori di piattaforme online come Airbnb è richiesto di operare quale sostituto d’imposta nel primo caso, ovvero responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno nel secondo, assumendo oneri e responsabilità del tutto estranei al servizio prestato. osservano, infine le appellanti come il legislatore abbia approntato, in relazione ad altri operatori che svolgono servizi analoghi, una serie di misure alternative -proporzionali e ragionevoli -per far emergere il sommerso, pienamente satisfattive dell’interesse generale alla lotta all’evasione fiscale; ciò a dimostrazione che gli oneri posti a carico di Airbnb siano ingiustificatamente ed eccessivamente gravosi. Contesto normativo e interpretazione del giudice a quo. in ordine alle prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ritiene (4) “Gli Stati membri comunicano alla Commissione, conformemente all'articolo 5, paragrafo 1, tutte le richieste presentate agli organismi di normazione volte a elaborare specifiche tecniche o una norma per prodotti specifici, in previsione dell’elaborazione di una regola tecnica per tali prodotti come progetto di regola tecnica e indicano i motivi che ne giustificano la formulazione”. (5) “Fatto salvo l'articolo 7, gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa. Essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto”. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 che gli obblighi di carattere tributario imposti dalla norma nazionale a carico dei prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, quali la raccolta e la successiva comunicazione alle Autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione breve nonchè l’effettuazione della ritenuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori ed il successivo versamento all’erario non siano sussumibili sotto la nozione euro-unitaria di “regola tecnica” di cui all'art. 1, comma 1, lett. f) (6), della direttiva 2015/1153 /ue, dei servizi della società dell’informazione, in quanto misure atte non a disciplinare specificamente il servizio di intermediazione immobiliare effettuato on line ma essenzialmente strumentali a garantire l’efficacia della riscossione delle imposte sul reddito da locazioni brevi mediante, tra l’altro, l’imposizione di obblighi in capo agli intermediari immobiliari, quale che ne sia la metodologia operativa (on line o off line) ed il rapporto con il territorio nazionale (soggetti residenti, stabiliti o privi di stabile organizzazione). Difetta, dunque, ad avviso del Collegio, il requisito della specificità, espressamente richiesto dal diritto unionale perché si possa configurare una “regola tecnica”, sub specie di “regola relativa ai servizi” (cfr. par. 51 ordinanza 777/2021). Sulla seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ritiene che l’imposizione di obblighi di raccolta e comunicazione di dati all’Amministrazione finanziaria, nonché di effettuazione di ritenuta e conseguente versamento all’erario, non violino -in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia ue -il principio di libera prestazione di servizi di cui all'art. 56 tFue. ed invero, ogni intermediario immobiliare che intenda operare in italia (stabilendovisi o prestando i propri servizi da altro Stato membro, valendosi di strumenti telematici ovvero operando fisicamente sul territorio) è tenuto ad adempiere agli obblighi previsti dalla normativa. Difetta, dunque, ad avviso del Collegio, “una qualsiasi alterazione del level playing field fra soggetti nazionali (in quanto residenti o stabiliti) e soggetti operanti da un altro Stato membro in regime di libera prestazione di servizi, essendosi in definitiva in presenza della mera regolamentazione generale, da parte dello Stato italiano, dell'attività di intermediazione volta alla stipulazione di contratti di locazione breve di immobili ubicati nel territorio nazionale” (cfr. par. 83 ordinanza 777/2021). le misure adottate appaiono peraltro conformi al principio di proporzionalità dato l’alto tasso strutturale di evasione nel settore delle locazioni brevi. Anche l’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale per gli operatori non stabiliti risponde a ragioni analoghe e, pertanto, secondo il Collegio, non (6) tale disposizione, in particolare, stabilisce, per quanto qui di interesse, che per “regola tecnica” si intende “una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso ...”. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle viola ingiustificatamente le libertà fondamentali del trattato, ponendosi in un’ottica di semplificazione delle procedure di accertamento e riscossione, altrimenti destinate a disperdersi in plurime pratiche di informazione e collaborazione inter-statale, oltretutto attivabili solo in relazione agli specifici rapporti già previamente individuati dall’Autorità italiana. Sulla terza questione pregiudiziale, infine, il Collegio, premesso che la parte interessata non si è limitata alla generica istanza di devoluzione dell’affare alla Corte, ma ha altresì provveduto a delineare l’esatta formulazione del quesito, chiede alla Corte di Giustizia ue di chiarire gli esatti contorni del dovere di rimessione in capo al Giudice di ultima istanza, specificando se, in presenza della richiesta di rimessione di una delle parti corredata dalla precisa indicazione del testo del quesito, il Giudice possa comunque procedere all’autonoma articolazione del quesito stesso, individuando discrezionalmente, in scienza e coscienza, i referenti del diritto unionale, le disposizioni nazionali con essi potenzialmente in contrasto ed il puntuale tenore lessicale della rimessione -purché evidentemente nei limiti della materia oggetto del contendere -ovvero sia tenuto alla pedissequa riproduzione del quesito formulato dalla parte interessata. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. la Corte di Giustizia, pronunciandosi sui quesiti sollevati dal Consiglio di Stato ha così statuito: “1 - L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che: -in primo luogo, esso non osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento e dalla modalità attraverso cui essi intervengono, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, di raccogliere e successivamente comunicare all’amministrazione fiscale nazionale i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione, di prelevare alla fonte l’ammontare dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versarlo all’Erario di detto Stato membro; -in secondo luogo, esso osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione e risiedano o siano stabiliti nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di imposizione, di designare un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 2 -L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata da una delle parti nel procedimento principale, la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano soltanto al giudice nazionale e tali parti non possono imporne o modificarne il tenore”. in ordine alle prime due questioni pregiudiziali, finalizzate a stabilire se le misure introdotte nel diritto italiano dall’articolo 4 del decreto-legge del 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge del 21 giugno 2017, n. 96, rientrino nel «settore tributario», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a) (7), della direttiva 2000/31, nel «settore fiscale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3 (8), della direttiva 2006/123, e siano quindi «disposizioni fiscali», ai sensi dell’articolo 114 tFue, cui rimanda espressamente la direttiva 2015/1535, la Corte ha ritenuto di fornire una risposta affermativa, con la conseguenza di escludere dette misure dal rispettivo ambito di applicazione delle tre direttive in parola. Si pone, quindi, il problema di stabilire se i tre tipi di obblighi imposti dal regime fiscale del 2017, siano o meno legittimi alla luce del divieto sancito dall’art. 56 tFue. Per quanto riguarda l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare si tratta, argomenta la Corte di Giustizia, di una misura che si colloca all’interno di una strategia complessiva di contrasto all’evasione fiscale. la suddetta misura in quanto rivolta “a tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite in detto territorio o meno e intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto” (par. 43 della sentenza in commento) non è, quindi, discriminatoria e non verte, in quanto tale, sulle condizioni della prestazione di servizi di intermediazione, ma impone solamente ai prestatori di servizi, una volta realizzata detta prestazione, di conservarne i dati ai fini dell’esatta riscossione delle imposte relative alla locazione dei beni di cui trattasi presso i proprietari interessati. Questo primo tipo di obblighi non comporta quindi restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 tFue. Per quanto riguarda l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’erario non risulta, osserva la Corte, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, che tale onere sia più gravoso per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’italia rispetto a quanto lo sia per le imprese che hanno ivi uno stabilimento, nono (7) “La presente direttiva non si applica al settore tributario”. (8) “La presente direttiva non si applica al settore fiscale”. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle stante la loro differente denominazione. Detto regime fiscale, infatti, impone loro gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte in nome dell’amministrazione fiscale e di pagamento dell’imposta cedolare secca del 21% a quest’ultima, dato che il prelievo è effettuato a titolo liberatorio, quando il proprietario del bene immobile interessato ha optato per l’aliquota preferenziale, e a titolo di acconto, qualora così non fosse. Ne deriva che l’obbligo summenzionato non vieta né ostacola e/o rende meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi. il terzo obbligo, quello di designare un rappresentante fiscale in italia, premesso che si impone unicamente nei confronti dei prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in italia e che intendano integrare nelle loro prestazioni di servizi i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime fiscale del 2017, oppure di intervenire o meno nella riscossione di detti canoni o corrispettivi, si pone, invece in contrasto con l’art. 56 tFue, introducendo nel mercato una restrizione alla libera circolazione dei servizi non proporzionata rispetto al fine perseguito in quanto determina “per detti operatori, un ostacolo idoneo a dissuaderli dall’effettuare servizi di intermediazione immobiliare in Italia, quantomeno secondo le modalità corrispondenti alla loro volontà” (par. 59 della sentenza in commento). ed invero pure ritenendo necessario “garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta”, occorre, tuttavia, indagare se, sotto il profilo della proporzionalità della misura rispetto al fine perseguito, non sussistano misure idonee a soddisfare l’obiettivo del contrasto all’evasione fiscale e dell’esatta riscossione dell’imposta, da parte dell’amministrazione fiscale interessata, che siano meno lesive della libera prestazione dei servizi rispetto all’obbligo di designare un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. Secondo la Corte, il legislatore italiano non ha considerato la possibilità che il summenzionato rappresentante fiscale -presso cui esso possa sincerarsi dell’esatta riscossione delle imposte da parte di tali prestatori di servizi nonché del corretto versamento all’erario degli importi corrispondenti -abbia la possibilità di risiedere o di essere stabilito in uno Stato membro diverso dall’italia. in proposito, la semplice affermazione che il requisito della residenza costituisce la migliore garanzia dell’efficace adempimento degli obblighi di natura tributaria incombenti sul rappresentante fiscale è, ad avviso della CGue, irrilevante. osserva, infatti, la Corte che, se anche il controllo su un tale rappresentante da parte delle autorità fiscali di uno Stato membro può effettivamente risultare più difficile qualora questi sia stabilito in un altro Stato membro, si evince, al contrario, nei precedenti della giurisprudenza della Corte (9), che (9) Si v. in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punto 61 e giurisprudenza ivi citata. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 le difficoltà amministrative non costituiscono, di per sé, un motivo atto a giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal diritto del- l’unione. Date tali circostanze, conclude la CGue “non risulta che il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta non possa essere garantito con mezzi meno lesivi dell’articolo 56 tFUE rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia” (par. 75 della sentenza in commento). in risposta all’ultimo quesito, relativo alla possibilità per le parti in causa di condizionare il giudice del rinvio nella formulazione dei quesiti pregiudiziali, la Corte di Giustizia dell’u.e., premessa l’autonomia del giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della futura decisione giurisdizionale, ritiene che “la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano unicamente al giudice nazionale e che le parti in causa nel procedimento principale non possono imporne o modificarne il tenore”, ribadendo, quindi, il principio di indipendenza posto alla base dell’esercizio del potere di valutazione del giudice del rinvio, sia nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell’unione, onde consentire la sua decisione, sia nella scelta della formulazione delle conseguenti questioni pregiudiziali. Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione seconda, sentenza del 22 dicembre 2022, C-83/21 -Pres. A. Prechal, Rel. N. Wahl -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (italia), con ordinanza del 26 gennaio 2021 -Airbnb ireland uC plc, Airbnb Payments uK ltd c. Agenzia delle entrate. «Rinvio pregiudiziale -Mercato interno -Articolo 114, paragrafo 2, tFue -esclusione delle disposizioni fiscali -Direttiva 2000/31/Ce -Servizi della società dell’informazione -Commercio elettronico -Portale telematico di intermediazione immobiliare -Articolo 1, paragrafo 5, lettera a) -esclusione del “settore tributario” -Direttiva 2006/123/Ce -Servizi nel mercato interno -Articolo 2, paragrafo 3 -esclusione del “settore fiscale” -Direttiva (ue) 2015/1535 -Articolo 1, paragrafo 1, lettere e) ed f) -Nozioni di “regola relativa ai servizi” e di “regola tecnica” -obbligo imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare di raccogliere e comunicare al fisco i dati relativi ai contratti di locazione e di procedere alla ritenuta alla fonte dell’imposta sui pagamenti effettuati -obbligo di designare un rappresentante fiscale imposto ai prestatori di servizi privi di stabile organizzazione in italia -Articolo 56 tFue Carattere restrittivo -obiettivo legittimo -Carattere sproporzionato dell’obbligo di designare un rappresentante fiscale -Articolo 267, terzo comma, tFue -Prerogative di un giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale di diritto interno» la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 65 elettronico») (Gu 2000, l 178, pag. 1), dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Gu 2006, l 376, pag. 36), e dell’articolo 1, paragrafo 1, lettere e) ed f), della direttiva (ue) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (Gu 2015, l 241, pag. 1), nonché dell’articolo 56 e dell’articolo 267, terzo comma, tFue. 2 tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra, da un lato, Airbnb ireland uC plc e Airbnb Payments uK ltd, e, dall’altro, l’Agenzia delle entrate (italia), relativamente alla legittimità di un istituto di diritto italiano relativo al regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare riguardanti locazioni brevi. Contesto normativo Diritto dell’Unione Direttiva 2000/31 3 Ai sensi del considerando 12 della direttiva 2000/31: «È necessario escludere dal campo d’applicazione della presente direttiva talune attività, dal momento che in questa fase la libera circolazione dei servizi in tali ambiti non può essere garantita dal trattato o dal diritto comunitario derivato in vigore. Questa esclusione deve far salvi gli eventuali strumenti che possono rivelarsi necessari per il buon funzionamento del mercato interno. la materia fiscale, soprattutto l’iVA che colpisce numerosi servizi contemplati dalla presente direttiva, deve essere esclusa dal campo di applicazione della presente direttiva». 4 il considerando 13 di tale decisione enuncia quanto segue: «la presente direttiva non è volta a definire norme in materia di obblighi fiscali. Né osta all’elaborazione di strumenti comunitari riguardanti gli aspetti fiscali del commercio elettronico ». 5 l’articolo 1 di detta direttiva, intitolato «obiettivi e campo d’applicazione», così dispone: «1. la presente direttiva mira a contribuire al buon funzionamento del mercato interno garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri. (...) 5. la presente direttiva non si applica: a) al settore tributario, (...)». Direttiva 2006/123 6 Ai sensi del considerando 29 della direttiva 2006/123: «Poiché il trattato prevede basi giuridiche specifiche in materia fiscale e considerate le norme comunitarie già adottate in questo ambito, occorre escludere il settore fiscale dal campo di applicazione della presente direttiva». 7 l’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Campo di applicazione», così dispone al suo paragrafo 3: «la presente direttiva non si applica al settore fiscale». Direttiva 2015/1535 8 l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 così recita: «1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (...) RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 e) “regola relativa ai servizi”: un requisito di natura generale relativo all’accesso alle attività di servizio [della società dell’informazione] e al loro esercizio, in particolare le disposizioni relative al prestatore di servizi, ai servizi e al destinatario di servizi, ad esclusione delle regole che non riguardino specificamente [tal]i servizi (...). Ai fini della presente definizione: i) una regola si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione quando, alla luce della sua motivazione e del testo del relativo dispositivo, essa si pone come finalità e obiettivo specifici, nel suo insieme o in alcune disposizioni puntuali, di disciplinare in modo esplicito e mirato tali servizi; ii) una regola non si considera riguardante specificamente i servizi della società dell’informazione se essa riguarda tali servizi solo in modo implicito o incidentale; f) “regola tecnica”: una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l’utilizzo degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all’articolo 7, le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi. Costituiscono in particolare regole tecniche de facto: i) le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro che fanno riferimento o a specificazioni tecniche o ad altri requisiti o a regole relative ai servizi, o a codici professionali o di buona prassi che si riferiscono a loro volta a specificazioni tecniche o ad altri requisiti ovvero a regole relative ai servizi e la cui osservanza conferisce una presunzione di conformità alle prescrizioni fissate dalle suddette disposizioni legislative, regolamentari o amministrative; ii) gli accordi facoltativi dei quali l’autorità pubblica è parte contraente e che, nell’interesse generale mirano al rispetto di specificazioni tecniche o di altri requisiti, o di regole relative ai servizi, ad eccezione del capitolato degli appalti pubblici; iii) le specificazioni tecniche o altri requisiti o le regole relative ai servizi connessi con misure di carattere fiscale o finanziario che influenzano il consumo di prodotti o di servizi promuovendo l’osservanza di tali specificazioni tecniche o altri requisiti o regole relative ai servizi; non sono contemplati le specificazioni tecniche, o altri requisiti o le regole relative ai servizi connessi con i regimi nazionali di sicurezza sociale. (...)». 9 l’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, della direttiva in parola così dispone: «Fatto salvo l’articolo 7, gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione [europea] ogni progetto di regola tecnica, salvo che si tratti del semplice recepimento integrale di una norma internazionale o europea, nel qual caso è sufficiente una semplice informazione sulla norma stessa. essi le comunicano brevemente anche i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto». Diritto italiano 10 l’articolo 4 del decreto-legge del 24 aprile 2017, n. 50 -Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo (supplemento ordinario alla GuRi n. 95 del 24 aprile 2017), convertito, con modificazioni, dalla legge del 21 giugno 2017, n. 96 (sup CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle plemento ordinario alla GuRi n. 144 del 23 giugno 2017), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «regime fiscale del 2017»), intitolato «Regime fiscale delle locazioni brevi», così dispone: «1. Ai fini del presente articolo, si intendono per locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare. 2. A decorrere dal 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve stipulati a partire da tale data si applicano le disposizioni dell’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 [Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale 2011 (GuRi n. 67, del 23 marzo 2011)], con l’aliquota del 21 per cento in caso di opzione per l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca. 3. le disposizioni del comma 2 si applicano anche ai corrispettivi lordi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi, stipulati alle condizioni di cui al comma 1. (...) 4. i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, trasmettono i dati relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3 conclusi per il loro tramite entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello a cui si riferiscono i predetti dati. l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati relativi ai contratti di cui al comma 1 e 3 è punita con la sanzione di cui all’articolo 11, comma 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 [-Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (supplemento ordinario alla GuRi n. 5, dell’8 gennaio 1998)]. la sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza, ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati. 5. i soggetti residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, operano, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento (...). Nel caso in cui non sia esercitata l’opzione per l’applicazione del regime di cui al comma 2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto. 5 bis i soggetti di cui al comma 5 non residenti in possesso di una stabile organizzazione in italia, ai sensi dell’articolo 162 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 [-Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi (supplemento ordinario alla GuRi n. 302, del 31 dicembre RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 1986)], qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, adempiono agli obblighi derivanti dal presente articolo tramite la stabile organizzazione. i soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in italia, ai fini dell’adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo, in qualità di responsabili d’imposta, nominano un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 [- Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (supplemento ordinario alla GuRi n. 268, del 16 ottobre 1973)]. 5 ter il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e del contributo di soggiorno (...), nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. 6. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le disposizioni di attuazione dei commi 4, 5 e 5-bis del presente articolo, incluse quelle relative alla trasmissione e conservazione dei dati da parte dell’intermediario». 11 il regime fiscale del 2017 è stato modificato dal decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34 Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi (GuRi n. 100 del 30 aprile 2019), convertito, con modificazioni, dalla legge del 28 giugno 2019, n. 58 (supplemento ordinario alla GuRi n. 151 del 29 giugno 2019; in prosieguo: il «decreto-legge del 2019»). 12 Ai sensi dell’articolo 13 quater, comma 1, del decreto-legge del 2019, l’articolo 4, comma 5 bis, del regime fiscale del 2017 è così completato: «in assenza di nomina del rappresentante fiscale, i soggetti residenti nel territorio dello Stato che appartengono allo stesso gruppo dei soggetti di cui al periodo precedente sono solidalmente responsabili con questi ultimi per l’effettuazione e il versamento della ritenuta sull’ammontare dei canoni e corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3». 13 l’articolo 13 quater, comma 4, di detto decreto-legge prevede quanto segue: «Al fine di migliorare la qualità dell’offerta turistica, assicurare la tutela del turista e contrastare forme irregolari di ospitalità, anche ai fini fiscali, (...) è istituita una apposita banca dati delle strutture ricettive nonché degli immobili destinati alle locazioni brevi (...) presenti nel territorio nazionale, identificati mediante un codice alfanumerico, di seguito denominato “codice identificativo”, da utilizzare in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza». 14 Ai sensi dell’articolo 13 quater, comma 7, del decreto-legge in parola, «[i] soggetti titolari delle strutture ricettive, i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare e i soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile o porzioni di esso con persone che dispongono di unità immobiliari o porzioni di esse da locare, sono tenuti a pubblicare il codice identificativo nelle comunicazioni inerenti all’offerta e alla promozione». 15 infine, a termini dell’articolo 13 quater, comma 8, del decreto-legge del 2019, «[l]’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 7 comporta l’applicazione della sanzione pecuniaria da 500 euro a 5000 euro» e, «[i]n caso di reiterazione della violazione, la sanzione è maggiorata del doppio». CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 69 Procedimento principale e questioni pregiudiziali 16 le ricorrenti nel procedimento principale gestiscono il portale telematico di intermediazione immobiliare Airbnb che consente di mettere in contatto, da un lato, locatori che dispongono di alloggi e, dall’altro, persone che cercano tale tipo di sistemazione, riscuotendo dal cliente il pagamento per la fornitura dell’alloggio prima dell’inizio della locazione e trasferendo detto pagamento al locatore dopo l’inizio della locazione, in assenza di contestazioni da parte del conduttore. 17 le ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto un ricorso al tribunale amministrativo regionale per il lazio (italia), volto all’annullamento, in primo luogo, del provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 12 luglio 2017, n. 132395, che ha dato attuazione al regime fiscale del 2017, e, in secondo luogo, della circolare interpretativa dell’Agenzia delle entrate del 12 ottobre 2017, n. 24 -Regime fiscale delle locazioni brevi -Articolo 4 del [regime fiscale del 2017], nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale, relativa all’applicazione del regime fiscale in parola. 18 Con sentenza del 18 febbraio 2019, il suddetto giudice ha respinto tale ricorso dichiarando che, in primo luogo, il regime fiscale del 2017 non aveva introdotto una «regola tecnica» o una «regola relativa ai servizi», in secondo luogo, l’obbligo di trasmettere i dati dei contratti e di applicare una ritenuta alla fonte non violava né il principio della libera prestazione dei servizi né il principio di libera concorrenza e, in terzo luogo, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, qualora una persona che gestisce un portale telematico di intermediazione immobiliare non fosse residente o stabilita in italia, era conforme ai requisiti di proporzionalità e necessità fissati dalla giurisprudenza della Corte in materia di libera prestazione dei servizi. 19 le ricorrenti nel procedimento principale hanno impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (italia), giudice del rinvio. 20 Con ordinanza dell’11 luglio 2019, pervenuta alla Corte il 30 settembre 2019, il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali vertenti su varie disposizioni di diritto dell’unione. 21 Con ordinanza del 30 giugno 2020, Airbnb ireland e Airbnb Payments uK (C‑723/19, non pubblicata, eu:C:2020:509), la Corte ha dichiarato manifestamente irricevibile tale domanda di pronuncia pregiudiziale, precisando al contempo che il giudice del rinvio avrebbe potuto presentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale contenente indicazioni che le consentissero di fornire una risposta utile alle questioni sollevate. 22 in tale contesto, il Consiglio di Stato ha nuovamente deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Dica la Corte di giustizia quale sia l’esegesi delle espressioni “regola tecnica” dei servizi della società dell’informazione e “regola relativa ai servizi” della società dell’informazione, di cui alla direttiva 2015/1535(…), e, in particolare, dica la Corte se tali espressioni debbano interpretarsi come comprensive anche di misure di carattere tributario non direttamente volte a regolamentare lo specifico servizio della società dell’informazione, ma comunque tali da conformarne il concreto esercizio all’interno dello Stato membro, in particolare gravando tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -di obblighi ancillari e strumentali all’efficace riscossione delle imposte dovute dai locatori, quali: a) la raccolta e la successiva comunicazione alle Autorità fiscali dello Stato membro dei dati relativi ai contratti di locazione breve stipulati a seguito dell’attività dell’intermediario; RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 b) la ritenuta della quota-parte dovuta al Fisco delle somme versate dai conduttori ai locatori ed il conseguente versamento all’erario di tali somme. 2) Dica la Corte di giustizia: a) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 tFue, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123 (…) e 2000/31 (…), ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in italia -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -obblighi di raccolta dei dati inerenti ai contratti di locazione breve conclusi loro tramite e successiva comunicazione all’Amministrazione finanziaria, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio; b) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 tFue, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123 (…) e 2000/31 (…), ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in italia -ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online -che intervengano nella fase del pagamento dei contratti di locazione breve stipulati loro tramite, l’obbligo di operare, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio, una ritenuta su tali pagamenti con successivo versamento all’erario; c) in caso di risposta positiva ai quesiti che precedono, se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 tFue, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123 (…) e 2000/31 (…), possano comunque essere limitati in maniera conforme al diritto [dell’unione europea] da misure nazionali quali quelle descritte supra, sub a) e b), in considerazione dell’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio; d) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 tFue, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123 (…) e 2000/31 (…), possano essere limitati in maniera conforme al diritto [dell’unione europea] da una misura nazionale che imponga, a carico degli intermediari immobiliari non stabiliti in italia, l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale tenuto ad adempiere, in nome e per conto dell’intermediario non stabilito, alle misure nazionali descritte supra, sub b), stante l’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio. 3) Dica la Corte di giustizia se l’articolo 267, paragrafo terzo, tFue debba essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto [dell’unione europea] (originario o derivato) sollevata da una delle parti e corredata dalla precisa indicazione del testo del quesito, il Giudice mantenga comunque la facoltà di procedere all’autonoma articolazione del quesito stesso, individuando discrezionalmente, in scienza e coscienza, i referenti del diritto [dell’unione europea], le disposizioni nazionali con essi potenzialmente in contrasto ed il tenore lessicale della rimessione, purché nei limiti della materia oggetto del contendere, ovvero sia tenuto a recepire il quesito come formulato dalla parte istante». sulle questioni pregiudiziali Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale Sull’applicabilità delle direttive 2000/31, 2006/123 e 2015/1535 alle misure di carattere tributario CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 71 23 Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se le espressioni «regola tecnica» dei servizi della società dell’informazione e «regola relativa ai servizi» della società dell’informazione, contenute nella direttiva 2015/1535, debbano essere intese nel senso che esse comprendono parimenti misure di carattere tributario che non mirano direttamente a disciplinare un servizio specifico della società dell’informazione, ma che sono idonee a disciplinare l’esercizio concreto dell’attività di cui trattasi nel territorio dello Stato membro interessato. 24 Nell’ambito della seconda questione pregiudiziale, lettere da a) a d), il giudice del rinvio menziona le direttive 2000/31 e 2006/123, nell’ipotesi che i principi che esse enunciano siano «ritenuti applicabili nella materia di specie». 25 Per quanto riguarda, innanzitutto la direttiva 2000/31, come la Corte ha avuto modo di sottolineare ai punti da 27 a 30 della sentenza del 27 aprile 2022, Airbnb ireland (C‑674/20, eu:C:2022:303; in prosieguo: la «sentenza Airbnb ireland»), in primo luogo, tale direttiva è stata adottata sul fondamento, in particolare, dell’articolo 95 Ce, i cui termini sono stati ripresi all’articolo 114 tFue il quale, al suo paragrafo 2, esclude dal proprio ambito di applicazione le «disposizioni fiscali», laddove tali termini riguardano non solo tutti i settori tributari, ma anche tutti gli aspetti di detta materia. in secondo luogo, una tale interpretazione si ricava altresì dal fatto che l’articolo 114, paragrafo 2, tFue fa parte del capo 3, intitolato «Ravvicinamento delle legislazioni», che segue un capo 2, denominato «Disposizioni fiscali», all’interno del titolo Vii del trattato Fue, avente ad oggetto le «[n]orme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni», cosicché tutto ciò che attiene a tale capo 3, vale a dire il ravvicinamento delle legislazioni, non riguarda quanto rientra nel suddetto capo 2, vale a dire le disposizioni fiscali. in terzo luogo, un tale ragionamento si impone per quanto riguarda il diritto derivato adottato sul fondamento dell’articolo 95 Ce, e successivamente dell’articolo 114 tFue ed è corroborato dall’interpretazione letterale dei termini ampi utilizzati all’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31, vale a dire il «settore tributario». in quarto luogo, tali considerazioni sono confermate dai considerando 12 e 13 della direttiva 2000/31. 26 Per quanto riguarda, poi, la direttiva 2006/123, occorre, da un lato, rilevare che essa esclude dal suo ambito di applicazione, secondo i termini di cui all’articolo 2, paragrafo 3, di tale direttiva, il «settore fiscale». 27 D’altro lato, il considerando 29 di detta direttiva è esplicito quanto al motivo dell’esclusione in parola, poiché ricorda che il trattato Fue prevede basi giuridiche specifiche in materia fiscale e che, considerate le norme di diritto dell’unione già adottate in siffatto ambito, occorre escludere il settore fiscale dal campo di applicazione della medesima direttiva. 28 tenuto conto della genericità dei termini «settore fiscale» e «settore tributario», nonché delle basi giuridiche espresse previste al riguardo dal trattato Fue, le considerazioni svolte al punto 25 della presente sentenza valgono quindi parimenti per quanto attiene all’esclusione del «settore fiscale» dalla direttiva 2006/123. 29 Per quanto riguarda, infine, la direttiva 2015/1535, occorre rilevare che essa richiama «il trattato [Fue], e in particolare gli articoli 114, 337 e 43». Pertanto, va anzitutto rilevato che l’esclusione prevista all’articolo 114, paragrafo 2, tFue riguardo alle «disposizioni fiscali» si applica anche riguardo a tale direttiva, per i motivi esposti al punto 25 della presente sentenza. RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 30 inoltre, il tenore della direttiva 2015/1535 conferma indirettamente l’esclusione delle «disposizioni fiscali» dal suo ambito di applicazione, poiché la formulazione dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera f), iii), di tale direttiva menziona, tra le regole tecniche de facto, le specificazioni tecniche o altri requisiti o le regole relative ai servizi «connessi con misure di carattere fiscale o finanziario». Non si tratta quindi di misure di carattere fiscale in quanto tali, ma unicamente di misure connesse a misure di carattere fiscale (v., in tal senso, sentenza dell’8 ottobre 2020, Admiral Sportwetten e a., C‑711/19, eu:C:2020:812, punto 38), sicché queste ultime restano, in quanto tali, al di fuori dell’ambito di applicazione della direttiva in parola. 31 Pertanto, occorre stabilire se misure come quelle introdotte nel diritto italiano dal regime fiscale del 2017 rientrino nel «settore tributario», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31, nel «settore fiscale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, e siano quindi «disposizioni fiscali», ai sensi dell’articolo 114 tFue, cui rimanda espressamente la direttiva 2015/1535. 32 Come risulta dal punto 10 della presente sentenza, il regime fiscale del 2017 modifica la normativa tributaria italiana relativa alle locazioni brevi, a prescindere dal fatto che dette locazioni siano effettuate, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, di tale regime, «direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici». 33 Gravano pertanto sul complesso dei soggetti summenzionati tre tipi di obblighi, vale a dire, in primo luogo, l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione, in secondo luogo, tenuto conto del loro intervento nel pagamento del canone di locazione, l’obbligo di ritenuta dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori ed il versamento di tale imposta all’erario, vuoi a titolo di cedolare secca, vuoi a titolo di acconto in funzione della scelta effettuata dai locatori, e, in terzo luogo, in mancanza di una stabile organizzazione in italia, l’obbligo di designarvi un rappresentante fiscale. 34 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare, occorre sottolineare che, se è vero che una siffatta misura non si rivolge di per sé ai soggetti passivi dell’imposta, bensì alle persone fisiche o giuridiche che hanno svolto un ruolo di intermediario nelle locazioni brevi, e che il suo oggetto è la trasmissione di informazioni all’amministrazione fiscale, a pena di sanzione pecuniaria, resta il fatto che, innanzitutto, l’amministrazione destinataria di tali informazioni è l’amministrazione fiscale; inoltre, la misura in parola fa parte di una normativa tributaria, vale a dire il regime fiscale del 2017; e, infine, le informazioni oggetto dell’obbligo di trasmissione sono, quanto alla loro sostanza, inscindibili da detta normativa, essendo le sole in grado di identificare il soggetto effettivamente debitore dell’imposta, grazie all’indicazione del luogo delle locazioni e dell’identità dei locatori, di consentire di determinare la base imponibile della medesima imposta, in funzione degli importi percepiti, e, di conseguenza, di fissarne l’ammontare (v., per analogia, sentenza Airbnb ireland, punto 33). 35 Siffatto obbligo rientra quindi nelle «disposizioni fiscali», ai sensi dell’articolo 114 tFue. 36 Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’erario, vuoi a titolo di cedolare secca con aliquota preferenziale del 21%, vuoi a titolo di acconto di un’imposta stabilita in tal caso ad un’aliquota più elevata, in funzione della scelta ef CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 73 fettuata dai locatori, si deve constatare che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, si tratta di misure che presentano «natura tributaria per eccellenza», giacché consistono nel prelevare l’imposta in nome dell’amministrazione fiscale, versando poi a quest’ultima l’importo riscosso. 37 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare non stabiliti in italia, di designare un rappresentante fiscale, si deve osservare che si tratta parimenti di una misura fiscale, poiché è volta a garantire l’efficace riscossione delle imposte in relazione al prelievo alla fonte effettuato in qualità di «responsabile d’imposta» dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, in particolare quelli che gestiscono portali telematici. 38 Da quanto precede risulta che i tre tipi di obblighi introdotti dal regime fiscale del 2017 nel diritto italiano rientrano nel «settore tributario», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31, nel «settore fiscale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, e sono quindi «disposizioni fiscali», ai sensi dell’articolo 114 tFue, richiamato espressamente dalla direttiva 2015/1535. tali misure sono, di conseguenza, escluse dal rispettivo ambito di applicazione delle tre direttive in parola. 39 la risposta da fornire alla prima e alla seconda questione pregiudiziale presuppone quindi unicamente l’esame della legittimità di misure come il regime fiscale del 2017 rispetto al divieto di cui all’articolo 56 tFue. 40 Se ne deve concludere che, con tali questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la suddetta disposizione debba essere interpretata nel senso che essa osta a misure quali i tre tipi di obblighi esposti al punto 33 della presente sentenza. Sulla legittimità di misure come quelle derivanti dal regime fiscale del 2017 alla luce del divieto sancito dall’articolo 56 tFUE 41 in via preliminare, occorre ricordare che il rispetto dell’articolo 56 tFue si impone agli Stati membri anche nell’ambito dell’adozione di una normativa come il regime fiscale del 2017, nonostante quest’ultimo riguardi le imposte dirette. Secondo costante giurisprudenza, infatti, sebbene la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitarla nel rispetto del diritto dell’unione (sentenza del 23 gennaio 2014, Commissione/Belgio, C‑296/12, eu:C:2014:24, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). 42 occorre quindi esaminare nell’ordine i tre tipi di obblighi imposti dal regime fiscale del 2017. 43 in primo luogo, per quanto riguarda l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare, risulta, anzitutto, dalla formulazione del regime fiscale del 2017 che quest’ultimo impone tale obbligo a tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite in detto territorio o meno e intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto. la riforma concretizzata dal regime fiscale del 2017 verte, come risulta dalle motivazioni alla base della sua adozione, sul trattamento fiscale di tutte le locazioni brevi e si colloca, come risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, all’interno di una strategia complessiva di contrasto all’evasione fiscale nel settore in parola, in cui essa è frequente, mediante, segnatamente, l’introduzione di un obbligo siffatto. 44 una simile normativa non è quindi discriminatoria e non verte, in quanto tale, sulle con RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 dizioni della prestazione di servizi di intermediazione, ma impone solamente ai prestatori di servizi, una volta realizzata detta prestazione, di conservarne i dati ai fini dell’esatta riscossione delle imposte relative alla locazione dei beni di cui trattasi presso i proprietari interessati (v., per analogia, sentenza Airbnb ireland, punto 41). 45 A tal riguardo, da una giurisprudenza costante risulta che una normativa nazionale opponibile a tutti gli operatori che esercitano determinate attività sul territorio nazionale, che non ha lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate e i cui eventuali effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi sono troppo aleatori e troppo indiretti perché l’obbligo da essa sancito possa considerarsi idoneo a ostacolare tale libertà, non contrasta con il divieto di cui all’articolo 56 tFue (sentenza Airbnb ireland, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). 46 le ricorrenti nel procedimento principale obiettano che la quasi totalità delle piattaforme online di cui trattasi, e più in particolare quelle che gestiscono anche i pagamenti, sono stabilite in Stati membri diversi dall’italia e che, pertanto, il regime fiscale del 2017 incide più specificamente su servizi di intermediazione come quelli che esse assicurano. Nel corso dell’udienza, esse hanno aggiunto che, in realtà, tale regime fiscale era stato previsto per le piattaforme che gestiscono i pagamenti ed esclusivamente per queste ultime. 47 A tal proposito, è vero che l’evoluzione dei mezzi tecnologici nonché l’attuale configurazione del mercato della prestazione di servizi di intermediazione immobiliare portano alla constatazione che gli intermediari, che forniscono le loro prestazioni mediante un portale telematico, possono far fronte, in applicazione di una normativa come quella di cui al procedimento principale, a un obbligo di trasmissione di dati all’amministrazione tributaria più frequente e più impegnativo di quello gravante su altri intermediari. tuttavia, tale obbligo più gravoso è solo il riflesso di un maggior numero di transazioni alle quali detti intermediari procedono e della loro rispettiva quota di mercato (sentenza Airbnb ireland, punto 44). 48 inoltre, nel caso di specie, contrariamente a quanto constatato dalla Corte nella sentenza del 12 settembre 2019, VG Media (C‑299/17, eu:C:2019:716, punto 37), la formulazione del regime fiscale del 2017 non è neutra solo in apparenza, poiché essa riguarda effettivamente tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare e, in particolare, come ricordato dalla Commissione in udienza, le agenzie immobiliari. 49 la Corte ha poi avuto modo di sottolineare che non rientrano nell’ambito dell’articolo 56 tFue misure il cui unico effetto sia quello di causare costi supplementari per la prestazione di cui si tratti e che incidano allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra gli Stati membri e su quella interna a uno Stato membro (sentenza Airbnb ireland, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 50 infine, anche se l’obbligo, imposto a tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, di raccogliere e fornire all’amministrazione fiscale informazioni afferenti ai dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione può causare costi supplementari, segnatamente connessi alla ricerca e all’archiviazione dei dati di cui trattasi, si deve osservare, soprattutto nel caso di servizi di intermediazione forniti tramite strumenti digitali, che i dati in parola sono memorizzati e digitalizzati da intermediari come le ricorrenti nel procedimento principale cosicché, in ogni caso, il costo supplementare che suddetto obbligo causa ad intermediari siffatti appare ridotto. 51 Questo primo tipo di obblighi non comporta quindi restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 tFue. CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 75 52 in secondo luogo, per quanto riguarda l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’erario, occorre rilevare, da un lato, per gli stessi motivi esposti ai punti da 43 a 48 della presente sentenza, che il regime fiscale del 2017 concerne, a tale riguardo, tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite sul territorio italiano o meno e che intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto, qualora essi abbiano scelto, nell’ambito della loro prestazione di servizi, di incassare i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime del 2017, oppure di intervenire nella riscossione di siffatti canoni o corrispettivi. 53 D’altro lato, è vero, tuttavia, come rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni, che, quando il prestatore di servizi è stabilito in uno Stato membro diverso dall’italia, agisce in qualità di «responsabile d’imposta», conformemente all’articolo 4, comma 5 bis, del regime fiscale del 2017, mentre, quando è stabilito in italia, esso ha la qualità, ai sensi dell’articolo 4, comma 5, di tale regime, di «sostituto d’imposta», vale a dire di sostituto fiscale, il che ha come conseguenza, nei confronti dell’erario, di sostituirlo al contribuente e di renderlo debitore dell’imposta. 54 Benché occorra considerare, al pari dell’avvocato generale al paragrafo 56 delle sue conclusioni, che questo secondo tipo di obblighi comporta, per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, un onere ben più rilevante di quello collegato ad un semplice obbligo di informazione, anche solo a causa della responsabilità finanziaria che esso genera non solo nei confronti dello Stato di imposizione, ma altresì nei confronti dei clienti, dal regime fiscale del 2017 non risulta, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, che tale onere sia più gravoso per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’italia rispetto a quanto lo sia per le imprese che hanno ivi uno stabilimento, nonostante la loro differente denominazione. Detto regime fiscale, infatti, impone loro gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte in nome dell’amministrazione fiscale e di pagamento dell’imposta cedolare secca del 21% a quest’ultima, dato che il prelievo è effettuato a titolo liberatorio, quando il proprietario del bene immobile interessato ha optato per l’aliquota preferenziale, e a titolo di acconto, qualora così non fosse. 55 Non risulta quindi, per quanto riguarda il secondo tipo di obblighi, che sia possibile ritenere che una normativa come il regime fiscale del 2017, il cui unico effetto è quello di causare costi supplementari per la prestazione di cui trattasi e che incide allo stesso modo sulla prestazione di servizi fra gli Stati membri e su quella interna ad uno Stato membro, vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Google ireland, C‑482/18, eu:C:2020:141, punti 25 e 26 e giurisprudenza ivi citata). 56 in terzo luogo, per quanto riguarda l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in italia, dalla formulazione stessa dell’articolo 4, commi 5 e 5 bis, del regime fiscale del 2017 risulta che esso grava unicamente su taluni prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di stabile organizzazione in italia, qualificati come «responsabili d’imposta », mentre i prestatori di tali servizi stabiliti in italia, qualificati come «sostituti d’imposta », vale a dire sostituti fiscali, non vi sono assoggettati. 57 occorre precisare, al riguardo, che questo terzo tipo di obblighi non riguarda tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare non stabiliti in italia e che intervengono RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 nel processo di locazione breve di beni immobili ivi situati. infatti, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale dipende dalla scelta, da parte dei prestatori summenzionati, di incassare o meno i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime fiscale del 2017, oppure di intervenire o meno nella riscossione di detti canoni o corrispettivi, vale a dire di assoggettarsi, in pratica, al secondo tipo di obblighi e di effettuare a tale titolo un prelievo sulle somme riscosse, a titolo liberatorio, quando il proprietario del bene immobile interessato ha optato per l’aliquota preferenziale del 21%, e a titolo di acconto, qualora così non fosse. 58 Ciò nondimeno, occorre constatare che il regime fiscale del 2017 tratta in modo diverso, a seconda che dispongano o meno di una stabile organizzazione in italia, i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare che effettuano tali incassi o tali interventi. 59 Pertanto, è incontestabile che, obbligando i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in italia e che intendano integrare nelle loro prestazioni di servizi detti incassi o detti interventi a designare nello Stato membro in parola un rappresentante fiscale, il regime fiscale del 2017 impone loro di avviare procedure e di sopportare, in pratica, il costo della retribuzione di detto rappresentante. tali vincoli determinano, per detti operatori, un ostacolo idoneo a dissuaderli dall’effettuare servizi di intermediazione immobiliare in italia, quantomeno secondo le modalità corrispondenti alla loro volontà. Ne deriva che l’obbligo summenzionato deve essere considerato quale restrizione alla libera circolazione dei servizi, vietata, in linea di principio, dall’articolo 56 tFue (v., per analogia, sentenza del 5 maggio 2011, Commissione/Portogallo, C‑267/09, eu:C:2011:273, punto 37). 60 Ciò posto, il giudice del rinvio ha correttamente rilevato che la Corte, nella sua giurisprudenza, non aveva enunciato un principio di incompatibilità tra l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, imposto da una normativa o da una disciplina nazionale nei confronti di persone fisiche o giuridiche residenti o stabilite in uno Stato membro diverso da quello di imposizione, e la libera prestazione dei servizi, dal momento che, in ogni caso di specie, la Corte ha esaminato, alla luce delle caratteristiche proprie dell’obbligo in esame, se la restrizione che quest’ultimo comportava potesse essere giustificata alla luce dei motivi imperativi d’interesse generale perseguiti dalla disciplina nazionale in discussione, quali invocati dinanzi alla Corte dallo Stato membro interessato (sentenze del 5 luglio 2007, Commissione/Belgio, C‑522/04, eu:C:2007:405, punti da 47 a 58; del 5 maggio 2011, Commissione/Portogallo, C‑267/09, eu:C:2011:273, punti da 38 a 46, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434, punti da 42 a 62). 61 occorre, di conseguenza, procedere all’esame dell’obbligo imposto ai «responsabili d’imposta » di designare un rappresentante fiscale alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 60 della presente sentenza. 62 in primo luogo, per quanto riguarda i motivi addotti dallo Stato membro interessato per giustificare la restrizione rilevata al punto 59 della presente sentenza, essi rientrano nel- l’ambito del contrasto all’evasione fiscale nel settore delle locazioni brevi, poiché quest’ultimo presenta, secondo i termini del giudice del rinvio, un «tasso strutturalmente alto di evasione fiscale». A tal riguardo, occorre sottolineare che la Corte ha più volte dichiarato che la lotta contro l’evasione fiscale e l’efficacia dei controlli fiscali possono essere invocate per giustificare restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato Fue (sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle 63 Parimenti, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta costituisce una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi (sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 64 È precisamente nel perseguimento di tale obiettivo che si inserisce l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare che effettuano gli incassi o gli interventi menzionati al punto 58 della presente sentenza e privi di una stabile organizzazione in italia, di designarvi un rappresentante fiscale. infatti, nei limiti in cui, in qualità di «responsabili d’imposta», i prestatori suddetti sono incaricati di effettuare il prelievo alla fonte in nome delle autorità italiane, queste ultime intendono, tramite il rappresentante fiscale, assicurarsi che tale compito sia stato condotto a buon fine e che gli importi percepiti, debitamente prelevati, siano stati poi correttamente versati all’amministrazione fiscale, fermo restando che siffatta attività di controllo è semplificata per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in italia poiché, dal momento che effettuano prelievi del genere, essi acquistano ipso iure, come si evince dal punto 53 della presente sentenza, la qualità di «sostituti d’imposta», vale a dire di sostituti fiscali. 65 Del resto, è paradossale che le ricorrenti nel procedimento principale contestino alle autorità italiane di aver istituito, adottando il regime fiscale del 2017, una presunzione generale di evasione o frode fiscale fondata sulla circostanza che un prestatore di servizi è stabilito in un altro Stato membro, presunzione esclusa dall’articolo 56 tFue (sentenza del 19 giugno 2014, Strojírny Prostějov e ACo industries tábor, C‑53/13 e C‑80/13, eu:C:2014:2011, punto 56 e giurisprudenza ivi citata), laddove tale regime conferisce loro, al contrario, il compito di effettuare, in nome dell’amministrazione fiscale, il prelievo alla fonte dell’importo corrispondente all’imposta dovuta e di effettuarne il versamento all’erario, compito il cui controllo il legislatore italiano ha inteso semplificare tramite la designazione di un rappresentante fiscale in italia. 66 occorre dunque considerare che una misura fiscale come il terzo tipo di obblighi risultanti dal regime fiscale del 2017 persegue uno scopo legittimo compatibile con il trattato Fue ed è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. 67 in secondo luogo, è incontestabile che siffatto tipo di obblighi è, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo del contrasto all’evasione fiscale. 68 in particolare, occorre porre in evidenza il fatto che, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 2 e 3 delle sue conclusioni, il ricorso a prestatori di servizi di intermediazione immobiliare che gestiscono un portale telematico, come le ricorrenti nel procedimento principale, ha conosciuto uno sviluppo esponenziale e che tali prestazioni di servizi, le quali, fornite via internet, possono quindi, in linea di principio, essere transfrontaliere, corrispondono tuttavia ad operazioni di locazione che hanno un’ubicazione fisica precisa e, di conseguenza, risultano atte ad essere soggette ad imposizione in funzione del diritto tributario dello Stato membro interessato. 69 inoltre, indipendentemente dal fatto che le prestazioni di servizi di intermediazione immobiliare di cui trattasi siano svolte da prestatori che esercitano la loro attività mediante portali telematici, come le ricorrenti nel procedimento principale, o che siano effettuate da operatori economici più tradizionali, quali le agenzie immobiliari, si deve rilevare che tali locazioni sono spesso brevi, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del regime fiscale del 2017. Di conseguenza, qualunque sia la modalità di intermediazione dei prestatori di ser RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 vizi interessati, uno stesso bene immobile situato in italia può essere oggetto di locazione numerose volte nel corso di un esercizio fiscale da parte di un dato locatore a favore di conduttori ipoteticamente residenti in altri Stati membri, per il tramite di prestatori di servizi essi stessi, eventualmente, stabiliti sul territorio di un altro Stato membro, i quali, ciononostante, sono incaricati di prelevare alla fonte l’importo corrispondente all’ammontare dell’imposta dovuta dal locatore e di versarlo all’amministrazione fiscale. Si deve quindi ritenere che l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in italia, di designarvi un rappresentante fiscale sia idoneo a garantire il conseguimento dell’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale e a consentire l’esatta riscossione dell’imposta. 70 in terzo luogo, occorre verificare se una misura come il terzo tipo di obblighi risultanti dal regime fiscale del 2017 non ecceda quanto necessario per raggiungere tale obiettivo. 71 Anzitutto, l’esame della proporzionalità di una siffatta misura porta a constatare che, a differenza delle cause all’origine delle sentenze citate al punto 60 della presente sentenza, nelle quali le persone fisiche o giuridiche interessate dall’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale nel territorio dello Stato membro di imposizione erano contribuenti, l’obbligo in parola riguarda, nel caso di specie, prestatori di servizi che hanno agito in qualità di responsabili d’imposta e che hanno già, a tale titolo, prelevato l’importo corrispondente all’imposta dovuta dai contribuenti, vale a dire i proprietari degli immobili interessati, per conto dell’erario. Ciò non toglie che, anche in una fattispecie del genere, il carattere proporzionato di un siffatto obbligo implica che non esistano misure idonee a soddisfare l’obiettivo del contrasto all’evasione fiscale e dell’esatta riscossione della suddetta imposta, da parte dell’amministrazione fiscale interessata, che siano meno lesive della libera prestazione dei servizi rispetto all’obbligo di designare un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. 72 inoltre, poiché l’obbligo in parola si applica indifferentemente a tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in italia e che hanno scelto, nell’ambito delle loro prestazioni, di incassare i canoni di locazione o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime fiscale del 2017, oppure di intervenire nella riscossione di tali canoni o corrispettivi, senza distinguere in funzione, ad esempio, del volume di entrate fiscali prelevate o che poteva essere prelevato annualmente per conto dell’erario da parte dei suddetti prestatori, occorre considerare che il terzo tipo di obblighi risultanti dal regime fiscale del 2017 eccede quanto necessario per raggiungere gli obiettivi del regime di cui trattasi. 73 infine, anche se è corretto affermare che il gran numero di transazioni e di beni immobili che possono essere oggetto di una transazione per il tramite dei prestatori d’intermediazione immobiliare interessati rende complesso il compito delle autorità fiscali dello Stato membro di imposizione, esso non comporta tuttavia, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, il ricorso ad una misura come l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio di tale Stato posto che, in primo luogo, il primo tipo di obblighi è volto precisamente a fornire a dette autorità fiscali tutte le informazioni atte a consentire al contempo di identificare i contribuenti debitori dell’imposta e di determinare la base imponibile di quest’ultima, in secondo luogo, il secondo tipo di obblighi consente di garantire il prelievo alla fonte dell’imposta in parola e, in terzo luogo, il legislatore italiano non ha considerato la possibilità che il summenzionato rappresentante fiscale -presso cui esso possa sincerarsi dell’esatta riscossione delle imposte da CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle parte di tali prestatori di servizi nonché del corretto versamento all’erario degli importi corrispondenti -abbia la possibilità di risiedere o di essere stabilito in uno Stato membro diverso dall’italia. 74 in proposito, la semplice affermazione che il requisito della residenza costituisce la migliore garanzia dell’efficace adempimento degli obblighi di natura tributaria incombenti sul rappresentante fiscale è irrilevante. Se il controllo su un tale rappresentante da parte delle autorità fiscali di uno Stato membro può effettivamente risultare più difficile qualora questi sia stabilito in un altro Stato membro, dalla giurisprudenza discende tuttavia che le difficoltà amministrative non costituiscono, di per sé, un motivo atto a giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal diritto dell’unione (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434, punto 61 e giurisprudenza ivi citata). 75 Date tali circostanze, non risulta che il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta non possa essere garantito con mezzi meno lesivi dell’articolo 56 tFue rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in italia. 76 Va ulteriormente osservato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 82 delle sue conclusioni, che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale è, in circostanze come quelle di cui al regime fiscale del 2017, contrario all’articolo 56 tFue (v., in tal senso, sentenze del 5 luglio 2007, Commissione/Belgio, C‑522/04, eu:C:2007:405, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434). 77 tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 56 tFue deve essere interpretato nel senso che: -in primo luogo, esso non osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento e dalla modalità attraverso cui essi intervengono, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, di raccogliere e successivamente comunicare all’amministrazione fiscale nazionale i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione, di prelevare alla fonte l’ammontare dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versarlo all’erario di detto Stato membro; -in secondo luogo, esso osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione e risiedano o siano stabiliti nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di imposizione, di designare un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. Sulla terza questione pregiudiziale 78 Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 267 tFue debba essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto dell’unione sollevata da una delle parti nel procedimento principale, il giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale di diritto RASSeGNA AVVoCAtuRA Dello StAto -N. 3/2022 interno, mantenga la facoltà di procedere all’autonoma formulazione delle questioni pregiudiziali da sottoporre alla Corte o se sia tenuto a riportare le questioni così come formulate dalla parte nel procedimento principale che chiede il rinvio. 79 Come la Corte ha recentemente avuto modo di ricordare, allorché non esiste alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, tFue, quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto dell’unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). 80 un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, può essere esonerato da tale obbligo solo quando abbia constatato che la questione sollevata non è rilevante, o che la disposizione del diritto dell’unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, oppure che la corretta interpretazione del diritto dell’unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). 81 A tal riguardo occorre rammentare, in primo luogo, che dal rapporto fra il secondo e il terzo comma dell’articolo 267 tFue discende che i giudici di cui a detto comma terzo dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell’unione, onde consentire loro di decidere. tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre una questione di interpretazione del diritto dell’unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della controversia (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). 82 Spetta al solo giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della futura decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, tanto la necessità quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multi- servizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). 83 A tal riguardo occorre rammentare che il sistema di cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali, instaurato dall’articolo 267 tFue, è estraneo a qualsiasi iniziativa delle parti nel procedimento principale. Queste ultime non possono privare i giudici nazionali della loro indipendenza nell’esercizio del potere di valutazione di cui ai punti 81 e 82 della presente sentenza, segnatamente obbligandoli a presentare una domanda di pronunzia pregiudiziale (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 84 Ne consegue che la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano unicamente al giudice nazionale e che le parti in causa nel procedimento principale non possono imporne o modificarne il tenore (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punti 54 e 55 e giurisprudenza ivi citata). 85 tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 267 tFue deve essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto dell’unione sollevata CoNteNzioSo CoMuNitARio eD iNteRNAzioNAle da una delle parti nel procedimento principale, la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano soltanto al giudice nazionale e tali parti non possono imporne o modificarne il tenore. sulle spese 86 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 1) L’articolo 56 tFUe deve essere interpretato nel senso che: -in primo luogo, esso non osta alla normativa di uno stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento e dalla modalità attraverso cui essi intervengono, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale stato membro, di raccogliere e successivamente comunicare all’amministrazione fiscale nazionale i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione, di prelevare alla fonte l’ammontare dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versarlo all’erario di detto stato membro; -in secondo luogo, esso osta alla normativa di uno stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale stato membro, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione e risiedano o siano stabiliti nel territorio di uno stato membro diverso da quello di imposizione, di designare un rappresentante fiscale residente o stabilito nel territorio dello stato membro di imposizione. 2) L’articolo 267 tFUe deve essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata da una delle parti nel procedimento principale, la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano soltanto al giudice nazionale e tali parti non possono imporne o modificarne il tenore. CONTENZIOSONAZIONALE La Tutela della sovranità agroalimentare come interesse nazionale strategico nel prisma dell’evoluzione normativa in materia di golden power. Il caso Verisem Nota a CoNsiglio di stato, sez. Quarta, seNteNza 9 geNNaio 2023 N. 289 Manuela Di Blasi* sommario: 1. evoluzione normativa in materia di golden power -2. la saga Verisemsyngenta e lo svolgimento del primo grado di giudizio -3. la tutela della sovranità agroalimentare quale interesse strategico nazionale nella sentenza del Consiglio di stato n. 289/2023 - 4. osservazioni sulla procedura dell’esercizio dei poteri speciali. La recente pronuncia del consiglio di Stato n. 289/2023 del 9 gennaio 2023 offre un importante spunto di riflessione circa il delicato tema dell’esercizio dei poteri speciali governativi, meglio conosciuto come golden power ed i nuovi interessi di rilevanza strategica delineati dal vigente quadro normativo nazionale ed euro unitario. com’è noto, in particolari settori di rilevanza strategica, al Governo è riconosciuta la facoltà di dettare specifici vincoli nei confronti dei privati in ordine all’acquisito di partecipazioni nonché di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie o di opporsi in toto all’acquisto di partecipazioni, al fine di introdurre uno scudo garantista a tutela di alcuni interessi nazionali. 1. evoluzione normativa in materia di golden Power. Per comprendere al meglio le dinamiche della complessa vicenda in esame, è necessario prendere le mosse da un’attenta disamina dell’evoluzione della disciplina in materia di golden power. A tal proposito, appare oltremodo indispensabile una attenta ricognizione (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (Avv. StAto LAurA DeLbono, Avv. StAto GiAcomo AieLLo). rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 delle principali tappe che hanno segnato siffatto iter nella regolamentazione nazionale in piena conformità con il framework normativo di matrice euro unitaria. La svolta significativa è determinata, in una prima fase, dal passaggio dal c.d. regime della golden share a quello della golden power. Al riguardo occorre partire dal Decreto Legge n. 332 del 1994, convertito con la Legge n. 47 del 30 luglio 1994, con cui il Legislatore aveva introdotto ex ante il peculiare istituto della golden share (1). Detto strumento, attingendo peraltro alla tradizione britannica, nello specifico ambito delle procedure di privatizzazione di imprese di origine pubblica, mirava a salvaguardare le prerogative dello Stato concernenti le partecipazioni azionarie, con notevoli poteri rispetto ai privati azionisti. in particolare, con l’istituto della golden share, il Governo, attraverso il ministro dell’economia e delle finanze, riservava a sé uno speciale potere di controllo rispetto al pacchetto azionario delle società privatizzate con riferimento ad operazioni di carattere strategico nonché sulle variazioni dello statuto, inserendosi in società operanti in settori relativi ai servizi pubblici, tra i quali quello della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni e delle le fonti di energia (2). (1) con sentenza pronunciata il 23 maggio 2000, la corte di Giustizia dell’unione europea ha dichiarato la già menzionata normativa in materia di golden share, originariamente introdotta dal citato decreto, in contrasto con le disposizioni del trattato ce in materia di diritto di stabilimento (art. 43 trattato ce), libera prestazione dei servizi (art. 49) e libera circolazione dei capitali (art. 56). ed ancora, con riferimento alla normativa intervenuta successivamente ad una prima procedura di infrazione (articolo 66 della legge n. 488/1999 -Legge finanziaria per il 2000 e D.P.c.m. 11 febbraio 2000), la commissione ue ha provveduto ad inviare nel febbraio 2003, una lettera di messa in mora al Governo italiano, prospettando la violazione degli articoli 43 e 56 del trattato ce. A fronte di ciò, il Governo italiano, nelle osservazioni inviate alla commissione il 4 giugno 2003 si è impegnato a procedere in tempi rapidi a una modifica della regolamentazione nazionale in materia di esercizio dei poteri speciali, al fine di rendere tale strumento pienamente conforme alla giurisprudenza della corte di Giustizia ed ai principi del diritto euro unitario. (2) L’art. 2 L. n. 332 del 1994 stabilisce che tali poteri possono essere esercitati nel caso di società operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi. Lo Stato si può opporre ad esempio ad un’acquisizione qualora sia a rischio un interesse collettivo. Questo in particolare può avvenire per quelle acquisizioni che: -non garantiscono la trasparenza delle operazioni e non permettono di conoscere con chiarezza la catena partecipativa -pregiudicano la libera concorrenza e l’apertura dei mercati mettendo a rischio l’interesse della collettività -determinano il coinvolgimento in attività illecite -ledono la conservazione dei poteri speciali -recano grave pregiudizio agli interessi pubblici che la golden share mira a tutelare. La golden share garantisce altresì la nomina di un amministratore senza diritto di voto. tali poteri possono essere esercitati esclusivamente ove ricorrano rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa. tra questi la legge cita: il pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale anche minimo di prodotti petroliferi ed energetici, l’erogazione di servizi pubblici essenziali e un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto; il pericolo di una discontinuità nell’erogazione di servizi pubblici alla collettività; il pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti dei servizi pubblici essenziali; gravi pericoli per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica; e le emergenze sanitarie. contenzioSo nAzionALe Successivamente, con l’adozione del Decreto-legge n. 21 del 2012 (3), l’attenzione del Legislatore si focalizza non più soltanto sulle società privatizzate, ma piuttosto, prescindendo dalla titolarità in capo allo Stato di partecipazioni azionarie, rileva l’esercizio dei poteri speciali nei confronti di tutte le società che svolgono attività di rilevanza strategica. A tal proposito, è d’uopo evidenziare che, in una prima fase, il perimetro normativo su citato si presentava piuttosto circoscritto ai meri settori della difesa, sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni. con D.L. 16 ottobre 2017 n. 148, i poteri speciali dell’esecutivo si estendono anche ai settori ad alta intensità tecnologica quali la gestione dei dati, la robotica e l’intelligenza artificiale (4). in seguito, il D.L. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. Decreto Liquidità), modificando il su menzionato D.L. 2012 n. 21, estende ulteriormente l’ambito operativo della golden power, affinché nuovi settori, quali quello della salute, agroalimentare e finanziario possano rientrare nel medesimo alveo normativo (5). (3) Decreto-LeGGe 15 marzo 2012, n. 21 “Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”. in particolare, l’art. 2, comma 3, prevede: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, da trasmettere tempestivamente e per estratto alle Commissioni parlamentari competenti, può essere espresso il veto alle delibere, atti e operazioni di cui ai commi 2 e 2-bis, che diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. (4) in particolare, con il D.L. 148/2017 il legislatore interviene per modificare il D.L. 15 marzo 2012, n. 21. tra le innovazioni più rilevanti, l’estensione dei poteri governativi e degli obblighi di cui al D.L. 21/2012, in aggiunta ai settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, anche ai “settori ad alta intensità tecnologica” tra cui le infrastrutture critiche o sensibili, le tecnologie critiche -“compresa l’intelligenza artificiale e la robotica […] la sicurezza in rete, la tecnologia spaziale o nucleare” -l’accesso a informazioni sensibili o capacità di controllare le informazioni sensibili. La norma rinvia ad un regolamento ministeriale l’esatta individuazione. il decreto innova inoltre circa i criteri per determinare se un investimento estero da parte di un soggetto esterno all’unione europea possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico. (5) Quanto disposto ai sensi degli articoli 15 e 16 e 17 del menzionato Decreto Liquidità, interviene sull’impianto normativo pregresso, determinando una significativa estensione del golden power, sia sotto un profilo oggettivo che soggettivo. in particolare, le principali novità normative riguardano l’ampliamento dei settori e dei poteri della consob; l’estensione degli obblighi di notifica nonché nell’incremento dei soggetti tenuti alla notifica; nell’avviamento della procedura d’ufficio. Ai fini dell’analisi della sentenza in commento, giova richiamare quanto previsto dall’art. 15, co. 3 bis, lett. a) e b) con riferimento all’ampliamento degli atti soggetti alla notifica, secondo cui “alle fattispecie in precedenza previste, si aggiungono: a) l’acquisizione di partecipazioni di controllo in società che detengano beni o rapporti nei cinque settori strategici individuati dal regolamento 2019/452/ue; b) le delibere che determinano modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità di assets nei medesimi cinque settori e sono soggetti all’obbligo di notifica anche gli acquisti a qualsiasi titolo di partecipazioni, da parte di soggetti esteri, anche appartenenti all’unione europea, di rilevanza tale da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente in ragione dell’assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell’acquisto, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e del rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Perdipiù, con tale intervento legislativo, introducendo la figura del c.d. golden power rafforzato, il Legislatore estende gli obblighi di notifica preventiva ad operazioni realizzate da soggetti esteri ue ed attori extra ue. Del resto, ciò si pone in perfetta conformità con il quadro normativo euro unitario di riferimento e segnatamente, con il regolamento ue 452/2019 del Parlamento europeo e del consiglio del 19 marzo 2019 (6) che detta un’apposita disciplina in termini di controllo degli investimenti esteri diretti nell’unione. testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché gli acquisti di partecipazioni, da parte di soggetti esteri non appartenenti all’unione europea, che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento, tenuto conto delle azioni o quote già direttamente o indirettamente possedute, e il valore complessivo dell’investimento sia pari o superiore a un milione di euro, e sono altresì notificate le acquisizioni che determinano il superamento delle soglie del 15 per cento, 20 per cento, 25 per cento e 50 per cento”. (6) reGoLAmento (ue) 2019/452 DeL PArLAmento euroPeo e DeL conSiGLio del 19 marzo 2019 che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’unione. in particolare, nella sentenza in commento, il consiglio di Stato fa esplicito richiamo di quanto previsto: -al considerando 2, secondo cui “nelle relazioni con il resto del mondo, l'unione afferma e promuove i suoi valori e interessi”; -al considerando 3, “conformemente agli impegni internazionali assunti nel- l'ambito dell'organizzazione mondiale del commercio (omC), dell'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e degli accordi commerciali e di investimento conclusi con paesi terzi, l'unione e gli stati membri possono adottare, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, misure restrittive nei confronti degli investimenti esteri diretti, purché siano rispettate alcune condizioni”; -al considerando 6, “gli investimenti esteri diretti rientrano nell'ambito della politica commerciale comune. a norma del- l'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), tFue, l’unione ha competenza esclusiva per quanto concerne la politica commerciale comune”; -al considerando 8, “il quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti e per la cooperazione dovrebbe dotare gli stati membri e la Commissione degli strumenti per affrontare in modo globale i rischi per la sicurezza o per l'ordine pubblico e per adeguarsi al mutare delle circostanze, mantenendo nel contempo la necessaria flessibilità per consentire agli stati membri di controllare gli investimenti esteri diretti per motivi di sicurezza e ordine pubblico, tenendo conto delle rispettive situazioni individuali e delle specificità nazionali. spetta esclusivamente allo stato membro interessato decidere se istituire un meccanismo di controllo o se controllare un investimento estero diretto”; -al considerando 11, stabilisce che “dovrebbe essere possibile per gli stati membri valutare i rischi per la sicurezza o per l’ordine pubblico derivanti da cambiamenti significativi dell'assetto proprietario o delle caratteristiche fondamentali di un investitore estero determinato”; -al considerando 12, “al fine di orientare gli stati membri e la Commissione nell'applicazione del presente regolamento, è opportuno indicare un elenco di fattori che potrebbero essere presi in considerazione nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico ... l'elenco di fattori che possono incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico dovrebbe restare non esaustivo”; -al considerando 13, “Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, dovrebbe essere possibile per gli stati membri e la Commissione tenere conto di tutti i fattori pertinenti, compresi gli effetti sulle infrastrutture critiche, sulle tecnologie, comprese le tecnologie abilitanti fondamentali, e sui fattori produttivi che sono essenziali per la sicurezza o il mantenimento dell'ordine pubblico la cui perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione avrebbe un impatto significativo in uno stato membro o nell'unione. a tale proposito, dovrebbe altresì essere possibile per gli stati membri e la Commissione tenere conto del contesto e delle circostanze dell'investimento estero diretto, in particolare della possibilità che un investitore estero sia controllato direttamente o indirettamente, ad esempio attraverso finanziamenti consistenti, comprese le sovvenzioni, da parte del governo di un paese terzo, o persegua progetti o programmi all'estero a guida statale”; -all’art. 2, definisce come “investimento estero diretto, un investimento di qualsiasi tipo da parte di un investitore estero inteso a stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra l'investitore estero e l'imprenditore o contenzioSo nAzionALe La ratio della normativa europea è da rinvenirsi nella ricerca di un soddisfacente bilanciamento tra la tutela dei diritti degli investitori ex art. 63 tFue e la scrupolosa salvaguardia degli asset settoriali nazionali di natura strategica. in tale ambito, è di palmare evidenza la stretta correlazione tra un siffatto fine, perseguito dal Legislatore di Lussemburgo, e lo strumento della golden power rafforzata, atto a tutelare rilevanti interessi pubblici nazionali. A ben vedere, in perfetta sintonia con il citato regolamento ue, l’individuazione di “una potenziale minaccia di grave pregiudizio” per gli interessi nazionali rappresenta la condicio sine qua non al fine di poter attivare tale strumento. orbene, alla stregua dell’attività di enforcement espletata da diversi Stati ue con riferimento a detto impianto normativo euro unitario, la potenziale minaccia percepita appare strettamente correlata alla differenza circa il paradigma politico ed economico adottato dal Paese target e lo Stato interessato all’iDe. Da ultimo, occorre tenere in debito conto il recente intervento normativo confluito nel D.L. del 21 marzo 2022 n. 21 (7) che ha ulteriormente implementato la disciplina del golden power in merito al controllo degli investimenti stranieri in italia, in considerazione degli effetti economici e umanitari della crisi ucraina (8). indi, è agevole constatare che la normativa vigente al momento in cui si scrive, si ispira ictu oculi alla logica di estensione e rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, poggiando sul crinale incerto della libera concorrenza e contendibilità delle imprese nel mercato da un lato e della tutela degli interessi nazionali in specifici settori qualificati come strategici dall’altro. l'impresa cui è messo a disposizione il capitale al fine di esercitare un'attività economica in uno stato membro, compresi gli investimenti che consentono una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo di una società che esercita un'attività economica”; -all’art. 3, “conformemente al presente regolamento, gli stati membri possono mantenere, modificare o adottare meccanismi per controllare gli investimenti esteri diretti nel loro territorio per motivi di sicurezza o di ordine pubblico” e, in tale ambito, “stabiliscono in particolare le circostanze che danno luogo al controllo, i motivi del controllo e le regole procedurali dettagliate applicabili”. (7) misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina (in Gu n. 67 del 21 marzo 2022), entrata in vigore del provvedimento il 22 marzo 2022, rafforzata la disciplina del golden power finalizzata al controllo degli investimenti stranieri in italia, in considerazione dell’accresciuta strategicità di alcuni settori: dalla difesa a quello della sicurezza, per arrivare ai servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G e al 'cloud' nazionale. (8) il potere di veto del Governo viene ampliato ad ogni atto ed operazione dell’assemblea o degli organi di amministrazione delle società operanti in ambiti di rilevanza strategica che possano generare un cambio nella titolarità o nel controllo della stessa società. Da ultimo, con il c.d. “regolamento Semplificazioni”, entrato in vigore il 24 settembre 2022 è stato introdotto l’istituto della c.d. Prenotifica, al fine di ottimizzare le notifiche che le società inviano al Governo, rendendo più agevole il procedimento di autorizzazione e diminuendo i procedimenti sanzionatori per omessa notifica. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 2. la saga Verisem-syngenta e lo svolgimento del primo grado di giudizio. tutto ciò premesso, la sentenza che ci si accinge a commentare, assume particolare pregio nel porre l’accento sulla tutela della sovranità agro -alimentare quale interesse nazionale strategico da tutelare mediante l’esercizio della golden power. in tale ambito, nel riconoscere la piena legittimità dell’esercizio dei poteri speciali governativi, i giudici di Palazzo Spada concludono la nota saga verisem -Syngenta (9) concernente l’operazione di acquisizione, da parte di una società pubblica controllata dal governo della repubblica popolare cinese, di una nota multinazionale italiana, operante nel campo della produzione di speciali semi a respiro globale. il caso di specie ha origine dall’esercizio del potere di veto da parte del- l’esecutivo circa l’acquisto, da parte della società di diritto svizzero Syngenta crop Protection AG, dell’intero capitale sociale della società di diritto olandese verisem b.v. e delle sue controllate, ivi incluse quelle con sede in italia. Avverso la delibera del consiglio dei ministri, la società verisem interessata all’operazione, ha radicato ricorso dinanzi al t.a.r. per il Lazio, contestando il modus operandi dell’esecutivo sotto vari profili concernenti la rilevanza strategica dell’operazione in oggetto, la pretesa violazione dei principi di legalità, proporzionalità sottesi all’esercizio della golden power, la mancanza del preavviso di rigetto nonché la discrasia tra fase istruttoria e decisoria dell’iter procedurale (10). (9) in data 5 luglio 2021 le società Syngenta crop Protection AG e PSP verisem Luxembourg Holdings S.à r.l. hanno congiuntamente notificato, ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, l’acquisizione, da parte di Syngenta crop Protection AG, dell’intero capitale sociale di verisem b.v. e delle sue controllate, ivi incluse quelle aventi sede in italia, operanti nel settore delle sementi. Syngenta crop Protection AG, società di diritto svizzero, è una delle 4 business units del gruppo svizzero Syngenta AG, considerata una delle aziende leader a livello mondiale nell’offerta di soluzioni tecnologiche ed innovative nel campo agricolo, la quale è controllata in ultima istanza da chemchina. chemchina è una multinazionale pubblica cinese che opera in settori eterogenei (petrolchimico, agrochimico, sementi, immobiliare, ecc.). il Gruppo Syngenta è presente in italia dal 2000 tramite la società Syngenta italia S.p.a. che opera nel campo della commercializzazione dei fattori produttivi nel settore agricolo, in particolare sementi di specie agrarie e fitofarmaci. PSP verisem Luxembourg Holdings S.à r.l. è una società, di diritto lussemburghese, il cui azionista di maggioranza è il fondo di investimento statunitense. il Global ultimate owner di Syngenta crop Protection AG è la china national chemical corporation Limited, che rappresenta una State-owned enterprise (Soe) della repubblica Popolare cinese e che, pertanto, emerge un rapporto di controllo del Governo cinese. (10) evocando in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri e la Presidenza della repubblica, la società ricorrente ha avanzato quattro ordini di censure, così sintetizzabili: a1) difetto di entrambe le condizioni alla cui contestuale sussistenza è ex lege subordinato il legittimo esercizio del potere di veto. in particolare, assenza del carattere strategico delle attività delle società italiane del gruppo verisem e, comunque, strutturale incapacità della relativa acquisizione (di carattere, peraltro, estero su estero) di determinare una “situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale contenzioSo nAzionALe il t.a.r. Lazio, con la sentenza n. 4486 del 13 aprile 2022, non ha accolto quanto dedotto dalla società, pronunciandosi sulla reiezione del ricorso con una motivazione del seguente tenore: “il provvedimento sarebbe espressione di “amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale”; si tratterebbe, dunque, di atto di alta amministrazione, come tale “sindacabile dal giudice amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità”, nella specie non riscontrabile, atteso che il provvedimento non sarebbe in contrasto con la propedeutica istruttoria e sarebbe articolatamente motivato, posto che “risultano individuati gli asset strategici, rilevanti sotto il profilo dei fattori produttivi critici, delle tecnologie produttive e delle informazioni possedute”; non sarebbe neppure illegittimo l’art. 11, lett. c), del d.P.C.m. che, a monte, individua i settori economici suscettibili di uso del potere di veto, giacché “la tecnica redazionale adoperata per individuare gli asset nel settore agroalimentare rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell’impossibilità di una catalogazione puntuale e minuta degli attivi strategici”; c) non sarebbe leso il principio di proporzionalità, giacché “il decreto contiene una giustificazione del tutto logica in ordine all’inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell’operazione, quali eventuali prescrizioni, in ragioni della circostanza, non controversa, che l’effettivo proprietario della società acquirente è il governo cinese e della difficoltà di attuare misure di enforcement realmente efficaci ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti” (art. 2, comma 3, d.l. n. 21 del 2012) nel campo agroalimentare, perché le società italiane del gruppo: i) detengono una quota del mercato professionale nazionale dei semi pari solo all’1%; ii) non svolgono alcuna attività di produzione di semi, né di sviluppo e ricerca, limitandosi alla commercializzazione all’ingrosso ed alla distribuzione dei semi prodotti da terzi; iii) non sono titolari di diritti di privativa industriale o di proprietà intellettuale; iv) non possiedono i terreni dove i semi vengono coltivati; v) lavorano prevalentemente nel mercato hobbistico, di cui, oltretutto, detengono non più del 20-25% a livello nazionale; a2) mancata formulazione di una motivazione rafforzata che giustifichi l’assunzione di una decisione distonica rispetto alle risultanze dell’istruttoria, giacché il gruppo di coordinamento si era dichiarato favorevole al- l’operazione con raccomandazioni e, nell’ambito dei relativi lavori, pure il Dipartimento delle informazioni per la Sicurezza -DiS si era espresso favorevolmente, sia pure chiedendo l’imposizione di più incisive prescrizioni; la proposta di decisione finale formalizzata dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali suggeriva l’assenso con raccomandazioni o con prescrizioni, ma non menzionava affatto l’esercizio del potere di veto; a3) illegittimità, a monte, dell’art. 11, lett. c), D.P.c.m. n. 179 del 2020, in tesi generico, tautologico ed indeterminato, in violazione del principio di legalità; b) errato richiamo agli artt. 6 e 9 D.P.c.m. n. 179 del 2020, perché le società del gruppo non svolgono attività di raccolta dati critici, né si occupano di intelligenza artificiale o, comunque, di tecnologie critiche, quali la machine learning; a tutto concedere, tali rilievi non sono emersi in istruttoria; c) violazione del principio di proporzionalità rispetto a scelte meno impattanti sull’autonomia privata e sul libero operare delle dinamiche di mercato, anche in considerazione dei precisi impegni assunti dall’acquirente in sede di notifica dell’operazione; d) mancanza del preavviso di rigetto. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 in caso di inottemperanza alle prescrizioni imposte per il trasferimento dell’asset all’estero” (11). in seguito, la società verisem ha spiegato appello dinanzi al consiglio di Stato riproponendo le censure sollevate nel giudizio di prime cure. 3. la tutela della sovranità agroalimentare quale interesse strategico nazionale nella sentenza del Consiglio di stato n. 289/2023. con la sentenza n. 289/2023 il Supremo consesso della giustizia amministrativa, confermando il decisum del t.a.r. Lazio, approfondisce ulteriormente alcuni profili intrinsecamente correlati all’esercizio della golden power, soffermandosi su alcuni risvolti procedurali e soprattutto sulla tutela della sovranità e sicurezza agro alimentare nazionale, quale pregnante interesse di natura strategica da presidiare. in tale ambito, la salvaguardia degli interessi nazionali strategici, oggetto della golden power, viene declinata come una inedita e stringente tutela della sovranità alimentare, in un binomio imprescindibile tra la sicurezza pubblica domestica e la sicurezza alimentare dello Stato. Difatti, con riferimento all’acquisizione societaria, oggetto del potere di veto governativo, il consiglio di Stato ha scrupolosamente osservato che la golden power si caratterizza per “un’ampia valutazione prospettica di scenario, tesa da un lato a preservare il Paese da possibili fattori di rischio prospetticamente rilevanti, dall’altro e contestualmente, ad arginare iniziative di Paesi terzi potenzialmente pericolosi o per i quali, comunque, sia ritenuto opportuno un ingaggio geopolitico particolarmente prudente”. nello specifico, quanto alla strategicità dell’asset, il Supremo consesso ha riconosciuto la legittimità del modus operandi del consiglio dei ministri, evidenziando come il medesimo abbia “inteso evitare che, grazie all’acquisizione, il Governo cinese potesse volgere a vantaggio del proprio mercato domestico il potenziale produttivo delle target italiane mediante, inter alia, la ‘rimodulazione delle priorità e delle tempistiche dell’agenda produttiva delle aziende agricole italiane’, la ‘delocalizzazione dei punti decisionali fuori dai confini nazionali’, il ‘mutamento del modello di business’, ‘l’accelerazione del processo di standardizzazione nella produzione di sementi’. A ben vedere, il settore sementiero rappresenta indiscutibilmente un ambito strategico di interesse nazionale, in quanto cardine del più ampio comparto agroalimentare, che incide indiscutibilmente ed in modo rilevante sulla se (11) ed ancora : “nella fase istruttoria il compito del gruppo di coordinamento, che si avvale del contributo partecipativo delle amministrazioni coinvolte, affiancate dal dipartimento della pubblica sicurezza, oltre che dell’apporto partecipativo dei soggetti interessati dall’operazione di acquisizione, è quello di raccogliere gli elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri in sede collegiale, che non è pertanto vincolato o comunque tenuto ad adottare una motivazione rafforzata nel caso vengano formulate in fase istruttoria proposte differenti rispetto all’esercizio del potere di veto”. contenzioSo nAzionALe guente fase relativa la produzione di prodotti agroalimentari necessari a sostenere una filiera nazionale (12). Peraltro, nel caso di specie, il collegio pone particolare enfasi sulle possibili implicazioni che potrebbero derivare da una siffatta operazione in merito alla sicurezza e continuità di approvvigionamenti, stante il pericoloso impatto su “fattori produttivi critici della filiera alimentare” quali indubbiamente sono le sementi e la libertà contrattuale dei produttori agricoli nazionali (13). L’emergenza epidemiologica da covid-19 degli ultimi tempi, ha inoltre evidenziato la strategicità e l’importanza del settore per la produzione di cibo sufficiente a garantire la copertura del fabbisogno nazionale, indispensabile in un clima di incertezza e tensioni, da ultimo acuito per effetto del conflitto in ucraina. Diversamente dal passato, dove l’esercizio del potere di veto era una misura remota, il contesto socio-economico, derivante dagli strascichi della pandemia in atto, ha dunque determinato una significativa inversione di tendenza, obbligando il Governo italiano a porre una maggiore attenzione sulle possibili minacce alla tutela dei propri attivi strategici, valutando con estrema precisione i possibili collegamenti con gli Stati esteri, in particolare quelli che non vantano elevati standard di democrazia, detenuti da un potenziale acquirente. un siffatto mutamento di paradigma emerge anche dalla comunicazione (2020) del 13 marzo 2020 della commissione ue (14) (al Parlamento europeo, (12) A tal riguardo, al par. 15.3 della sentenza, il collegio precisa che: “più in generale, l’ascrizione di “rilevanza strategica per l’interesse nazionale” ai “beni e rapporti” coinvolti da un’operazione notificata, al fine della verifica circa la sussistenza di un “possibile pregiudizio alla sicurezza e … alla continuità degli approvvigionamenti” (cfr. d.l. n. 21 del 2012, art. 2, comma 1-ter), è stata già operata a monte con d.P.C.m. n. 179 del 2020, che, per quanto qui di interesse, così dispone: i) qualifica “attività economiche di rilevanza strategica … le attività economiche essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società”, quali certo sono quelle del settore agroalimentare, fondamentale per la stessa esistenza fisica dell’uomo; ii) con specifico riferimento al settore agroalimentare, qualifica come strategico “l’approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera alimentare”, quali certo sono le sementi, base imprescindibile di ogni coltivazione agricola. 16. tale ultima locuzione non presenta l’intollerabile profilo di genericità ed indeterminatezza lamentato dall’appellante, ove si ponga mente allo scopo della normativa (primaria e secondaria) in tema di golden power, che è quello di apprestare una disciplina a maglie volutamente larghe al fine di non imbrigliare -e, quindi, depotenziare -il presidio costituito dalla spendita del potere omonimo”. (13) cfr. par. 18 “alla luce di queste puntuali coordinate legislative, in considerazione degli impatti che l’operazione potrebbe avere su “fattori produttivi critici della filiera alimentare” (quali indubbiamente sono le sementi e la libertà contrattuale dei produttori agricoli nazionali) e della riconducibilità della società acquirente al governo di un Paese estraneo all’unione europea e connotato da una forma di governo differente da quelle occidentali, il Consiglio dei ministri ha riscontrato la sussistenza di una “situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e alla continuità degli approvvigionamenti”, cui la normativa primaria (cfr. d.l. n. 21 del 2012, art. 2, comma 3) subordina l’esercizio dei poteri di golden power sub specie di veto all’operazione”. (14) comunicAzione DeLLA commiSSione AL PArLAmento euroPeo, AL con- SiGLio euroPeo, AL conSiGLio, ALLA bAncA centrALe euroPeA, ALLA bAncA euroPeA Per GLi inveStimenti e ALL'euroGruPPo. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 al consiglio europeo, al consiglio, alla bce, alla banca europea per gli investimenti e all’eurogruppo), in cui si è affermato che “gli stati membri devono essere vigili e utilizzare tutti gli strumenti disponibili a livello nazionale e unionale per evitare che l’attuale crisi determini una perdita di risorse e tecnologie critiche”. ciò vale in particolare modo, da ultimo, con la diffusione della pandemia da Sars-covid 19 che ha costretto gli Stati membri a porre in essere soluzioni atte a proteggere le proprie roccaforti strategiche, evitando fenomeni di svalutazione economica, nell’ottica di prevenire ogni potenziale situazione di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici. tale interesse alla sicurezza nazionale deve essere considerato come il fine ultimo dalla normativa in oggetto, attualmente ribadita, a fronte del perdurare della crisi epidemiologica in atto, con l’estensione mediante il decreto- legge 30 dicembre 2021, n. 228 dell’applicazione della disciplina del golden power rafforzato fino al 31 dicembre 2022. Alla luce di ciò, a fronte di un asset di rilevanza strategica, la difesa della sovranità alimentare correlata alla stabilità economica nazionale, appare un interesse rilevante, desumibile anche dalla prassi della commissione e dalla giurisprudenza ue, stante il carattere “non esaustivo” degli eterogenei fattori in grado di incidere sulla sicurezza e ordine pubblico dello Stato, così come precisato nel regolamento ue 452/2019 (15). va da sé che l’estensione dello scopo ratione materiae concernente l’at- risposta economica coordinata all’emergenza coviD-19. in particolare, con riferimento alle conseguenze socio economiche dello shock: “la pandemia da CoVid-19 costituisce uno shock di grande portata per l'economia europea e mondiale. già oggi se ne constata il notevole impatto economico negativo sull'europa, che è destinato a protrarsi per il primo semestre e forse anche più a lungo, se le misure di contenimento non si rivelassero efficaci. Poiché la crescita del Pil reale nel 2020 potrebbe scendere ben al di sotto dello zero o addirittura essere chiaramente negativa a seguito del CoVid-19, una risposta economica coordinata delle istituzioni dell'ue e degli stati membri è fondamentale per attenuare le ripercussioni economiche. lo shock che colpisce l'economia è riconducibile a differenti fattori: •lo shock derivante dalla contrazione iniziale dell'economia cinese nel primo trimestre del 2020; • lo shock sul versante dell'offerta per l'economia europea e mondiale derivante dall'interruzione delle catene di approvvigionamento dovuta all'assenza dal luogo di lavoro; • lo shock sul versante della domanda per l'economia europea e mondiale derivante dalla riduzione della domanda da parte dei consumatori e dall'impatto negativo dell'incertezza sui piani di investimento; • e l'impatto dei problemi di liquidità per le imprese”. (15) Quanto alla valutazione circa la strategicità di un asset, il collegio al par. 18.4, osserva: “in altra angolazione argomentativa, la stessa valutazione di strategicità non costituisce un dato oggettivo e, per così dire, inconfutabile riveniente dalle caratteristiche dell’operazione in sé atomisticamente considerate, ma rappresenta la risultante di una ponderazione altamente discrezionale (se non apertamente politica), sì che ben può essere qualificata “strategica” e capace di determinare “una situazione eccezionale” non altrimenti fronteggiabile un’operazione che pure, di per sé, non presenti profili intrinseci macroscopicamente straordinari: altrimenti detto, una stessa operazione può essere strategica o meno in funzione anche (se non soprattutto) dei soggetti coinvolti, non solo dei caratteri dell’asset e della società target”. contenzioSo nAzionALe tivazione dei golden powers al fine di salvaguardare i settori strategici nazionali, incluso quello finanziario, nei confronti degli investitori extra-ue, appare pienamente legittima (16). Del resto, anche nel regolamento 452/2019 si prevede che Stato e commissione tengono conto “della possibilità che un investitore estero sia controllato direttamente o indirettamente [...] da parte del governo di un paese terzo”. ciò fa esplicito riferimento ai cc.dd. investitori sovrani, o meglio state owned enterprises e fondi sovrani, alcuni dei quali presentano uno stretto collegamento con i governi di Paesi terzi, in cui, come nel caso di cui trattasi, l’indefettibile principio della rule of law è interpretato con sfumature chiaramente differenti rispetto agli ordinamenti giuridici degli Stati membri del- l’unione (17). 4. osservazioni sulla procedura dell’esercizio dei poteri speciali. malgrado la tutela della sovranità alimentare quale rilevante interesse strategico nazionale risulti essere il leitmotiv della vicenda verisem, la sentenza in commento merita particolare attenzione con riferimento ad alcune questioni dirimenti di carattere squisitamente processuale in materia di golden power. un profilo di particolare interesse che affrontano i giudici di Palazzo Spada attiene al contrasto tra provvedimento ed istruttoria, dedotto dalla società appellante con riferimento al relativo iato tra gli esiti della fase istruttoria ed il successivo decisum dell’esecutivo. Secondo il consiglio di Stato, nell’ambito della procedura dell’esercizio dei poteri speciali, l’attività valutativa del sostrato fattuale acquisito agli atti (16) ed ancora, al par. 18.1 della sentenza, il consiglio di Stato puntualizza che: “tale delibazione non sconta il vizio della funzione ravvisato dall’appellante, posto che il Consiglio dei ministri ha ritenuto, nell’esplicazione dell’ampia discrezionalità di cui -quale massimo organo di indirizzo politico del Paese -dispone, di apprestare una tutela particolarmente incisiva al settore agroalimentare nazionale, da un lato proteggendo il patrimonio informativo, tecnologico, scientifico e contrattuale posseduto, nel settore sementiero, dalle target italiane (in particolare, dalla società suba seeds), dall’altro e specularmente impedendo che, grazie all’acquisizione, la società syngenta (e, per essa, il governo cinese) integrando la propria filiera, possa incrementare il proprio potenziale capacitativo in un’area dichiaratamente strategica anche per la repubblica Popolare (cfr. la relazione presentata dalle parti in data 2 agosto 2021, pag. 8, ove si precisa che “il razionale strategico dell'operazione è rappresentato dalla rilevanza che il segmento di clientela a livello globale cui Verisem si rivolge riveste per syngenta”)”. (17) cfr. par. 18.5. “del resto, il controllo di un operatore economico nazionale da parte di uno stato terzo estraneo all’unione europea e con cui non intercorrono formali e cogenti legami di alleanza (si pensi, in primis, a quello riveniente dal trattato Nato) fa sì che l’operazione non sia ascrivibile al solo mercato ed alle connesse logiche di politica industriale, ma coinvolga ineludibilmente anche considerazioni di politica internazionale e di sicurezza, tese in ultima analisi a preservare non solo il funzionamento corretto del mercato nazionale, messo in pericolo dalla presenza di un operatore longa manus di uno stato straniero, ma la stessa effettività del principio costituzionale supremo di cui all’art. 1, comma 2 (“la sovranità appartiene al popolo”), potenzialmente vulnerato da acquisizioni di asset fondamentali per la collettività nazionale da parte di stati stranieri che, ad avviso del governo, non diano sufficienti garanzie circa il relativo uso”. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 rappresenta giuridicamente lo specifico distinguo tra la fase istruttoria e la successiva fase decisoria (18). con ciò ad essere enfatizzata è la peculiare natura bifasica dell’iter procedimentale della golden power. A ben vedere, in ossequio a quanto previsto nella normativa di riferimento, siffatta procedura consta di una prima fase di carattere prettamente istruttorio, quale “attività propedeutica all’esercizio dei poteri speciali” (19), in cui è coinvolto un apposito Gruppo di coordinamento composto da personale di livello dirigenziale apicale della Presidenza del consiglio dei ministri e dei ministeri interessati (20). Difatti, in tale ambito è prevista la mera acquisizione dei dati di fatto rilevanti e utili alla ricostruzione ed inquadramento in chiave analitica e sistemica dell’operazione, al fine di pervenire ad un’attenta valutazione finale (21). Quest’ultima dunque, è oggetto di una successiva seconda fase e si presenta quale appannaggio esclusivo del consiglio dei ministri, che affronta e qualifica l’operazione tenendo in debita considerazione una più ampia postura politica dello Stato e adottando una prospettiva più strategica e a respiro internazionale. Sul punto dunque il consiglio di Stato scrupolosamente chiarisce che “il Consiglio dei ministri, in sostanza, non si limita ad una ricognizione atomistica, puntiforme e, per così dire, ‘contabile’ed anodina delle caratteristiche specifiche dell’operazione, ma la traguarda nell’ambito e nel contesto dei fini generali della politica nazionale, ponderandone gli impatti sia sull’assetto economico-produttivo del settore socio-economico interessato, sia sulla più ampia struttura del (18) Quanto alla vicenda in esame, il collegio al Par. 11.1 della sentenza, in una attenta ricostruzione fattuale dell’iter procedimentale, fa notare che “invero, nell’ambito dei lavori del gruppo di coordinamento il ministero dell’agricoltura individua l’operazione come “strategica” (si menziona espressamente, in particolare, la “strategicità degli asset coinvolti”) e qualifica come fondamentali gli impegni assunti pro futuro dall’acquirente, che, proprio in quanto strutturalmente “programmatici”, necessitano di essere puntualmente verificati. il ministero, dunque, pur proponendo il non esercizio dei poteri speciali, esprime la consapevolezza della delicatezza della questione, sia per l’oggetto dell’operazione, sia per il carattere qualificante che rivestono gli impegni assunti dall’acquirente in sede di notifica (poi vieppiù arricchiti nel corso dell’istruttoria)”. (19) d.P.r. n. 86 del 2014. (20) in particolare, al par. 11.8 della sentenza, il collegio osserva: “Questo significativo climax istruttorio registratosi nella specie da un lato testimonia l’esito tutt’altro che monolitico ed univoco dell’istruttoria stessa, dall’altro attesta vieppiù, per tabulas, la percepita delicatezza della questione già nel corso della fase istruttoria”. (21) cfr. sent. parr. 14.2, 14.3 e 15: “del resto, è lo stesso diritto unionale che facoltizza tale ampio spettro di valutazioni (le disposizioni del richiamato regolamento ue n. 452 del 2019 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2019). in definitiva, dunque, nella specifica procedura in commento il vizio di contrasto con l’istruttoria si presenta strutturalmente marginale, in quanto è limitato ai casi macroscopici in cui il Consiglio affermi fatti smentiti dall’istruttoria o, al contrario, neghi fatti riscontrati nella fase istruttoria. ovviamente, ciò non veicola una sorta di arbitrio decisionale del Consiglio, che, di contro, deve poggiare su un iter argomentativo coerente, fondato sui criteri posti a monte dalla legge ”. contenzioSo nAzionALe l’economia nazionale, sia, infine, sui rapporti internazionali e sul complessivo posizionamento politico-strategico del Paese nell’agone internazionale” (22). Diversamente opinando, si ammetterebbe una perfetta sovrapponibilità dell’ambito di valutazione attribuito al Gruppo di coordinamento e quello, invece, assegnato al consiglio dei ministri. ebbene, come argomentato nella sentenza in esame, ciò appare in toto smentito dalla corretta esegesi della normativa vigente e, in particolare, del decreto-legge 21/2012. in particolare, il Gruppo di coordinamento, pur giovandosi del contributo partecipativo delle amministrazioni coinvolte, che sono affiancate dal Dipartimento della pubblica sicurezza, e dall’apporto partecipativo dei soggetti interessati dall’operazione di acquisizione, si limita alla raccolta degli elementi di valutazione di indole tecnica, che poi dovranno essere apprezzati dal consiglio dei ministri in sede collegiale nella successiva fase. Peraltro, ciò induce a distinguere l’esercizio della golden power italiana da altri simili strumenti presenti in ordinamenti stranieri, come quello americano, nel quale il cFJuS definisce in modo diretto le mitigation measures con i soggetti intenzionati a concludere l’operazione di acquisizione, senza dunque alcun passaggio ulteriore volto alla loro formalizzazione. invece, nell’ordinamento giuridico italiano, il compito assegnato al Gruppo di coordinamento è di indole meramente tecnica ed istruttoria. Lo conferma proprio quanto avvenuto nel caso di cui trattasi, laddove alle considerazioni di carattere tecnico, il consiglio dei ministri ha aggiunto valutazioni di politica internazionale che sono del tutto estranee all’ambito di sindacato dell’organo tecnico della Presidenza. in particolare, nel caso in esame, il consiglio dei ministri, quale massimo organo politico, nella delibazione concernente la golden power non fa altro che esplicare l’ampia discrezionalità di cui dispone perseguendo il preminente fine di apprestare una tutela particolarmente incisiva al settore agroalimentare nazionale. Da ciò si evince la peculiare natura di siffatto strumento governativo che ben si configura quale provvedimento di alta amministrazione. A tal proposito, riconducendo il provvedimento in esame nell’alveo degli atti di alta amministrazione corre l’obbligo rimarcare l’indiscussa discrezionalità riconosciuta da un consolidato orientamento giurisprudenziale a siffatta categoria di atti ragion per cui “deve ritenersi che gli stessi siano sindacabili unicamente sotto i profili dell’incongruità e dell’irragionevolezza” (cfr. ex multis t.a.r. roma, (Lazio) sez. i, 5 aprile 2012 n. 3151). in aggiunta a ciò, si rammenti che la giurisprudenza di legittimità concorda nel ritenere che per gli atti di alta amministrazione, quale è l’adozione (22) vedi sent. par. 14.1. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 di un provvedimento per l’esercizio dei poteri speciali, in quanto espressione della potestà di indirizzo e di governo della Presidenza del consiglio dei ministri, pur non sottraendosi al generale obbligo di motivazione sancito dall’art. 3, Legge n. 241/1990 in termini di doverosa esposizione delle ragioni che hanno condotto ad una determinata decisione, il provvedimento finale “non deve contenere una diffusa esternazione dell’iter valutativo compiuto dall’amministrazione” (t.a.r. catanzaro, sez. ii, 3 ottobre 2007, n. 1452). in tal senso, ciò che il collegio ha cura di far notare è il profilo altamente discrezionale dell’apprezzamento della strategicità di un’operazione in relazione all’interesse nazionale, rilevando in tal ambito un’ampia valutazione geopolitica proiettata a scenari futuri con il precipuo fine di non agire in favor di Stati competitor e ostili e di salvaguardare le istanze di imprese nazionali. A tal proposito, preme constatare che, nella sentenza in commento, il concetto di interesse nazionale non appare come “un prius, ossia un dato oggettivo preesistente in natura, bensì un posterius, ossia la risultante di valutazioni ed opzioni politiche”. nel caso verisem, poi, il supremo consesso si pronuncia sulle doglianze concernenti la violazione del principio di legalità e di proporzionalità nell’esercizio della golden power. A tal proposito, il decisum acquista particolare pregio nella parte in cui si osserva che lo scopo della normativa sia primaria che attuativa in tema di golden power è quello di “apprestare una disciplina a maglie volutamente larghe al fine di non imbrigliare -e, quindi, depotenziare -il presidio costituito dalla spendita del potere omonimo”. Sul punto, i giudici di Palazzo Spada precisano che “il potere di golden power, infatti, rappresenta il limes provvedimentale posto dalla legge a garanzia ultima dell’interesse nazionale nelle specifiche macro-aree economiche prese in considerazione; come tale, e proprio in quanto dettato a tutela di interessi fondamentali (“strategici”) della collettività nazionale come discrezionalmente apprezzati dal Consiglio dei ministri, esige un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile ed inclusivo, che consenta di apprestare la massima e più efficace tutela agli (assai rilevanti) interessi sottostanti: in tale specifica ottica, esula qualunque addebito di indeterminatezza e genericità”. Del resto, a tal riguardo, occorre anche far riferimento alla relazione Air del decreto legge 21/2012 che espressamente menziona tra gli obiettivi perseguiti con l’intervento di regolamentazione, “la necessità di adeguare, in via generale, la normativa nazionale alle regole ed ai principi del diritto europeo in materia di esercizio dei poteri speciali da parte del Governo a tutela dei propri asset strategici, in caso ricorra una situazione eccezionale di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici” (p. 2 lettera b) della relazione Air). e perdipiù, lo stesso articolo 4 del su menzionato regolamento ue 2019/452 prevede espressamente che “nel determinare se un investimento contenzioSo nAzionALe estero diretto possa incidere sulla sicurezza o ordine pubblico, gli stati membri o Commissione, possono prendere in considerazione i suoi effetti potenziali a livello di: ... c) sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui ... e le materie prime”, senza meglio precisare quali attivi strategici vi possano essere ricondotti. Alla luce di ciò, tale generalismo redazionale deve essere interpretato nel senso di voler escludere una catalogazione ex ante di attivi strategici che, per loro definizione, sono soggetti al mutare delle condizioni e del contesto economico concomitante. Quanto al principio di proporzionalità, il collegio conferma la decisione del t.a.r. Lazio, affermando che il provvedimento del consiglio dei ministri indica ictu oculi (23) le principali ragioni che lasciano “stimare la costitutiva insufficienza dell’imposizione di prescrizioni, che non solo non osterebbero al perfezionamento dell’operazione, ma oltretutto produrrebbero “effetti pecuniari e/o obbligatori … di complessa realizzabilità in caso di inottemperanza del destinatario cinese”. nella vicenda in esame, è scrutinata anche la questione circa la mancata formulazione del preavviso di rigetto, ex art. 10 bis L. n. 241/1990. in tale ambito, aderendo alla motivazione già spesa dal t.a.r. sul tema, il collegio appunta l’attenzione sulla notifica dell’operazione mediante la quale, le parti interessate, lungi dal veicolare sic et simpliciter un’istanza, adempiono ad uno specifico dovere prescritto dalla normativa di riferimento (24). inoltre, con riferimento al d.P.r. del 25 marzo 2014 n. 86, è ribadita la specificità della materia in esame e, di conseguenza, il carattere implicitamente completo ed autosufficiente della relativa disciplina. Perdipiù, il richiamo all’istituto del preavviso di rigetto in relazione all’esercizio della golden power risulta inconferente sotto diversi profili, ragion per cui sul punto appare opportuno muovere da alcune constatazioni. in primis, ciò che rileva è l’incompatibilità con la natura giuridico costituzionale dell’organo decisorio coinvolto, stante l’insussistenza di un contraddittorio tra le imprese interessate ed il consiglio dei ministri. Peraltro, pur volendo ammettere per ipotesi una minima dialettica carto (23) cfr. par. 22.2. una siffatta motivazione -innervata dalla primaria necessità di impedire il perfezionarsi dell’operazione -appare logica, posto che l’imposizione di prescrizioni, pur se stringenti, non solo consentirebbe la conclusione dell’acquisizione, ma, per di più, sarebbe oggettivamente difficile da implementare, considerata la natura sovrana del detentore sostanziale del controllo della società acquirente (ossia il Governo cinese). (24) cfr. sent. par 23.1 “sul punto, la motivazione spesa dal t.a.r. merita conferma, posto che con la notifica dell’operazione le parti interessate non veicolano un’istanza, ma adempiono ad un dovere prescritto dalla legge (cfr. lo stesso ricorso al t.a.r., pag. 11) ”. e par. 23.2 “Peraltro, aggiunge il Collegio, la particolare specificità della materia lascia propendere per il carattere (implicitamente) completo ed autosufficiente della relativa disciplina, recata dall’apposito regolamento di cui al d.P.r. 25 marzo 2014, n. 86, la cui oggettiva specialità lo rende insuscettibile di integrazioni ab externo”. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 lare, nel caso di specie, si individuano solo valutazioni tout court discrezionali, non rilevando alcun “motivo ostativo di diritto” potenzialmente suscettibile di contraddittorio endo-procedimentale. in particolare, merita una speciale attenzione il contenuto di siffatta notifica stante che, non rilevando alcuna esplicita richiesta, palesa un carattere meramente informativo nonché di ausilio all’esercizio dei poteri speciali. ciò in quanto consiste esclusivamente nella trasmissione all’autorità competente di determinate informazioni aziendali, societarie, industriali e finanziarie necessarie per il controllo governativo. ed ancora, repetita iuvant, “l’ampiezza, la delicatezza e la politicità sostanziale delle valutazioni di cui è investito il consiglio non si prestano alla discussione “pari a pari” con i soggetti interessati”. A tal riguardo, è d’uopo ribadire che nei procedimenti per l’esercizio dei poteri speciali di cui al decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, la Presidenza del consiglio dei ministri svolge unicamente un vaglio di legittimità della sottesa operazione economica dei privati, mediante un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco: da una parte gli obiettivi economici delle parti e dall’altra gli interessi di carattere nazionale legati alla sicurezza e all’ordine pubblico. Aderendo a tale logica, siffatto procedimento non può, ictu oculi, essere incluso nella categoria giuridica dei procedimenti ad istanza di parte, atteso che il privato, con la propria notifica, non vanta nei confronti della pubblica amministrazione alcuna pretesa all’ottenimento del bene della vita richiesto con la propria istanza, trattandosi -per converso -di un procedimento di controllo basato sul ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi delle parti, escludendosi, perciò, categoricamente, l’esistenza di alcuna forma di interesse pretensivo vantato dal soggetto notificante tale da richiedere, come letteralmente previsto dalla norma, “l’accoglimento (o il non accoglimento) della domanda”. in altri termini, nella vicenda di cui trattasi “il bene della vita” cui aspira la società acquirente è unicamente la società target. A ben vedere, ciò fa parte di un rapporto privatistico incentrato sull’autonomia privata delle parti, rispetto al quale la pubblica amministrazione interviene soltanto nell’esercizio di una funzione di controllo, rimanendo comunque terza rispetto alla pattuizione privata. va da sé che, stante il peculiare contesto normativo in cui si inserisce, la già menzionata contrazione del contraddittorio non costituisce alcun vulnus circa il corretto modus operandi dell’Amministrazione né scalfisce il principio cardine di buona amministrazione. Alla luce di ciò, non si ravvisa alcun dubbio circa la differenza sussistente tra lo schema procedimentale del caso di specie e quello di carattere generale previsto ai sensi dell’art.10 bis della Legge n. 241/1990. in ogni caso, per quanto fin qui esposto, la sentenza in commento rap contenzioSo nAzionALe presenta un importante tassello in materia di golden power e, adeguandosi al- l’incessante evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale nazionale ed euro unitario, fornisce preziose coordinate su come districarsi in un groviglio precettistico solo apparentemente inestricabile. Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 9 gennaio 2023 n. 289 -Pres. ff v. neri, est. L. Lamberti -Soc. Psp verisem Luxemburg Holding S.à r.l. (avv.ti F. Arossa, n. moravia e G.L. zampa) c. Presidenza del consiglio dei ministri (avv. gen. Stato); con l’intervento ad opponendum della soc. b.F. s.p.a. (avv.ti A. zoppini e G. vercillo). FAtto e Diritto 1. La controversia attiene ad una fattispecie di esercizio del potere governativo di veto ad un’acquisizione societaria, ai sensi del d.l. n. 21 del 2012. 1.1. Più in particolare, con decreto in data 21 ottobre 2021, adottato su conforme deliberazione del consiglio dei ministri in data 19 ottobre 2021, il Presidente del consiglio dei ministri ha vietato l’acquisizione, da parte della società di diritto svizzero Syngenta crop Protection AG, dell’intero capitale sociale della società di diritto olandese verisem b.v. e delle sue controllate, ivi incluse quelle con sede in italia. 1.2. La società Syngenta crop Protection AG è una delle quattro principali business unit di cui si compone il gruppo societario facente capo alla società di diritto svizzero Syngenta AG, a sua volta controllata dalla multinazionale cinese chemchina, costituente una Soe (stateowned enterprise) della repubblica Popolare cinese. il gruppo Syngenta è attivo nel campo agricolo, di cui è uno dei maggiori player mondiali, con interessi in oltre 100 Paesi. 1.3. La società di diritto olandese verisem b.v. controlla direttamente o indirettamente, tra l’altro, cinque società con sede in italia, ossia le società Suba Seeds company s.p.a., royal Seeds s.r.l., HortuSì s.r.l., verisem Distribution s.r.l. e Franchi Sementi s.p.a., tutte a vario titolo attive nel settore sementiero: il capitale sociale della società verisem b.v. è interamente detenuto dalla società di diritto lussemburghese PSP verisem Luxemburg Holdings S.à r.l., a sua volta controllata da un fondo di private equity statunitense. 1.4. oggetto dell’operazione, che vede come soggetto interessato all’acquisto la società Syngenta crop Protection AG e come soggetto interessato all’alienazione la società PSP verisem Luxemburg Holdings S.à r.l., è l’intero capitale sociale della società verisem b.v.: l’operazione è stata notificata congiuntamente dalle interessate alla Presidenza del consiglio dei ministri - Dipartimento per il coordinamento Amministrativo in data 5 luglio 2021. 1.5. eseguita l’istruttoria, coordinata dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, la pratica è giunta all’attenzione del consiglio dei ministri nella seduta del 19 ottobre 2021, che ha ritenuto di non autorizzare l’operazione. 2. La società PSP verisem Luxemburg Holdings S.à r.l. (di seguito verisem) ha radicato ricorso avanti il t.a.r. per il Lazio, evocando in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri e la Presidenza della repubblica ed avanzando quattro ordini di censure, così sintetizzabili: a1) difetto di entrambe le condizioni alla cui contestuale sussistenza è ex lege subordinato il legittimo esercizio del potere di veto. in particolare, assenza del carattere strategico delle attività delle società italiane del gruppo verisem e, comunque, strutturale incapacità della relativa acquisizione (di carattere, peraltro, estero su estero) di determinare una “situazione rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti” (art. 2, comma 3, d.l. n. 21 del 2012) nel campo agroalimentare, perché le società italiane del gruppo: i) detengono una quota del mercato professionale nazionale dei semi pari solo all’1%; ii) non svolgono alcuna attività di produzione di semi, né di sviluppo e ricerca, limitandosi alla commercializzazione all’ingrosso ed alla distribuzione dei semi prodotti da terzi; iii) non sono titolari di diritti di privativa industriale o di proprietà intellettuale; iv) non possiedono i terreni dove i semi vengono coltivati; v) lavorano prevalentemente nel mercato hobbistico, di cui, oltretutto, detengono non più del 20-25% a livello nazionale; a2) mancata formulazione di una motivazione rafforzata che giustifichi l’assunzione di una decisione distonica rispetto alle risultanze dell’istruttoria, giacché il gruppo di coordinamento si era dichiarato favorevole all’operazione con raccomandazioni e, nell’ambito dei relativi lavori, pure il Dipartimento delle informazioni per la Sicurezza -DiS si era espresso favorevolmente, sia pure chiedendo l’imposizione di più incisive prescrizioni; la proposta di decisione finale formalizzata dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali suggeriva l’assenso con raccomandazioni o con prescrizioni, ma non menzionava affatto l’esercizio del potere di veto; a3) illegittimità, a monte, dell’art. 11, lett. c), D.P.c.m. n. 179 del 2020, in tesi generico, tautologico ed indeterminato, in violazione del principio di legalità; b) errato richiamo agli artt. 6 e 9 D.P.c.m. n. 179 del 2020, perché le società del gruppo non svolgono attività di raccolta dati critici, né si occupano di intelligenza artificiale o, comunque, di tecnologie critiche, quali la machine learning; a tutto concedere, tali rilievi non sono emersi in istruttoria; c) violazione del principio di proporzionalità rispetto a scelte meno impattanti sull’autonomia privata e sul libero operare delle dinamiche di mercato, anche in considerazione dei precisi impegni assunti dall’acquirente in sede di notifica dell’operazione; d) mancanza del preavviso di rigetto. 3. costituitasi in resistenza la sola Presidenza del consiglio dei ministri, con la sentenza indicata in epigrafe il t.a.r., ha così deciso: -ha disposto “l’estromissione dal giudizio, per carenza di legittimazione passiva, della Presidenza della repubblica”, evocata in giudizio dalla ricorrente; -ha respinto nel merito il ricorso; -ha compensato le spese di lite. 3.1. il t.a.r., in particolare, ha così motivato la reiezione del ricorso (si fa riferimento, di seguito, all’indicazione delle censure operata supra, sub § 2): d) non sarebbe applicabile in subiecta materia l’art. 10-bis l. n. 241 del 1990, giacché “la notifica [dell’operazione] costituisce per l’impresa un vero e proprio obbligo, funzionale all’esercizio dei poteri di controllo spettanti allo stato, e non è volta ad ottenere un bene della vita. Per tale ragione, nella notifica non è presente alcuna <> da parte della società interessata”; il procedimento, del resto, sarebbe azionabile anche d’ufficio; a-b) il provvedimento sarebbe espressione di “amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale”; si tratterebbe, dunque, di atto di alta amministrazione, come tale “sindacabile dal giudice amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità”, nella specie non riscontrabile, atteso che il provvedimento non sarebbe in contrasto con la propedeutica istruttoria e sarebbe articola contenzioSo nAzionALe tamente motivato, posto che “risultano individuati gli asset strategici, rilevanti sotto il profilo dei fattori produttivi critici, delle tecnologie produttive e delle informazioni possedute”; peraltro, “nella fase istruttoria il compito del gruppo di coordinamento, che si avvale del contributo partecipativo delle amministrazioni coinvolte, affiancate dal dipartimento della pubblica sicurezza, oltre che dell’apporto partecipativo dei soggetti interessati dall’operazione di acquisizione, è quello di raccogliere gli elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri in sede collegiale, che non è pertanto vincolato o comunque tenuto ad adottare una motivazione rafforzata nel caso vengano formulate in fase istruttoria proposte differenti rispetto all’esercizio del potere di veto”; non sarebbe neppure illegittimo l’art. 11, lett. c), del D.P.c.m. che, a monte, individua i settori economici suscettibili di uso del potere di veto, giacché “la tecnica redazionale adoperata per individuare gli asset nel settore agroalimentare rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell’impossibilità di una catalogazione puntuale e minuta degli attivi strategici”; c) non sarebbe leso il principio di proporzionalità, giacché “il decreto contiene una giustificazione del tutto logica in ordine all’inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell’operazione, quali eventuali prescrizioni, in ragioni della circostanza, non controversa, che l’effettivo proprietario della società acquirente è il governo cinese e della difficoltà di attuare misure di enforcement realmente efficaci in caso di inottemperanza alle prescrizioni imposte per il trasferimento dell’asset all’estero”. 4. verisem appella e ripropone criticamente le censure di prime cure. 4.1. La Presidenza del consiglio dei ministri si costituisce in resistenza. 4.2. interviene ad opponendum la società di diritto italiano bF s.p.a., che rappresenta di avere interesse all’intervento in quanto, a suo tempo, ha effettuato una proposta di acquisto del capitale di verisem b.v. 4.3. All’esito della camera di consiglio del 28 luglio 2022 l’istanza cautelare svolta dall’appellante viene accolta ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito. 4.4. in data 24 novembre 2022 verisem deposita accordo con Syngenta del 17 novembre 2022 per il prolungamento sino al 19 dicembre 2022 dell’efficacia della cessione, al fine di dimostrare la persistenza dell’interesse all’acquisizione e, dunque, la procedibilità del giudizio. 4.5. in vista della trattazione del ricorso le parti depositano memorie: -la Presidenza del consiglio dei ministri e la società bF ribadiscono l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sia perché Syngenta non ha impugnato la sentenza del t.a.r. per il Lazio n. 4488 del 13 aprile 2022 che ne ha rigettato il parallelo ricorso avverso l’atto di veto (nel relativo giudizio, allibrato al n. 13655 del 2021, verisem non era stata evocata né aveva preso parte quale interveniente), ciò che, in tesi, impedirebbe comunque la stipula dell’atto di vendita, bloccato dal veto oramai definitivo a carico dell’acquirente, sia perché “la PsP Verisem non ha provato che al momento della notifica dell’appello lo sPa [ossia il contratto preliminare di vendita fra Syngenta e verisem] fosse ancora efficace tra le parti”; -verisem, a sua volta, sostiene l’inammissibilità [dell’] intervento di bF perché, nella seconda fase della selezione privata curata dalla stessa verisem per reperire un compratore, bF non avrebbe presentato un’offerta. 4.6. il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022. 5. il collegio prende le mosse dalla questione pregiudiziale dell’ammissibilità dell’intervento svolto dalla società bF s.p.a. 5.1. L’intervento è ammissibile. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 5.2. invero, la natura privata della procedura di selezione curata da verisem ne determina la potenziale ripetizione o, comunque, la possibile rimodulazione anche in itinere -specie all’esito di una pronuncia giurisdizionale che confermi il veto all’operazione di acquisto da parte di Syngenta -proprio perché retta dal diritto comune e non presidiata da rigide ed inderogabili disposizioni di diritto pubblico: ne consegue che bF ha un interesse sì indiretto e riflesso, ma pur sempre giuridicamente apprezzabile, all’esito del presente giudizio. 5.3. Peraltro, per principio generale l’inammissibilità dell’intervento consegue all’evidente dimostrazione dell’assenza dei relativi presupposti, dovendosi altrimenti ammettere l’intervento stesso, quale espressione del diritto di difesa costituzionalmente protetto. 5.4. non può non rilevarsi, infine, che a quanto consta bF (soggetto imprenditoriale attivo nel settore agroalimentare) era già intervenuta ad opponendum in prime cure nel giudizio gemello n. 13655 del 2021 intentato avanti il t.a.r. da Syngenta, poi definito con sentenza di rigetto n. 4488 del 13 aprile 2022, in tal modo dimostrando di coltivare attivamente le proprie istanze. 6. Le eccezioni di inammissibilità dell’appello formulate dalla Presidenza del consiglio dei ministri (di seguito Pcm) e da bF possono, invece, essere assorbite, considerata la complessiva infondatezza nel merito delle prospettazioni di verisem. 7. Preliminarmente, il collegio dà atto che, a seguito della proposizione dell’appello, è riemerso l’intero thema decidendum del giudizio di primo grado -che perimetra necessariamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. -sicché, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione dell’Adunanza plenaria del consiglio di Stato n. 5 del 2015, verranno presi direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr., ex plurimis, cons. Stato, sez. iv, n. 1137 del 2020). 8. ciò premesso, il collegio non può non premettere la ricognizione della normativa applicabile, pur se ciò inevitabilmente appesantisce la trattazione. 8.1. Deve anzitutto menzionarsi il regolamento (ue) 2019/452 del Parlamento europeo e del consiglio del 19 marzo 2019, volto a “istituire un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’unione”, che costituisce il corpus normativo di riferimento a livello unionale. 8.1.1. tale regolamento: -al considerando 2, richiama “l’articolo 3, paragrafo 5, del trattato sull'unione europea (tue)”, ai sensi del quale “nelle relazioni con il resto del mondo, l'unione afferma e promuove i suoi valori e interessi”; -al considerando 3, stabilisce che, “conformemente agli impegni internazionali assunti nel- l'ambito dell'organizzazione mondiale del commercio (omC), dell'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e degli accordi commerciali e di investimento conclusi con paesi terzi, l'unione e gli stati membri possono adottare, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, misure restrittive nei confronti degli investimenti esteri diretti, purché siano rispettate alcune condizioni”; -al considerando 6, precisa che “gli investimenti esteri diretti rientrano nell'ambito della politica commerciale comune. a norma dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), tFue, l'unione ha competenza esclusiva per quanto concerne la politica commerciale comune”; -al considerando 8, aggiunge che “il quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti e per la cooperazione dovrebbe dotare gli stati membri e la Commissione degli strumenti per affrontare in modo globale i rischi per la sicurezza o per l'ordine pubblico e per adeguarsi al mutare delle circostanze, mantenendo nel contempo la necessaria flessibilità per consentire agli stati membri di controllare gli investimenti esteri diretti per motivi di sicurezza e ordine contenzioSo nAzionALe pubblico, tenendo conto delle rispettive situazioni individuali e delle specificità nazionali. spetta esclusivamente allo stato membro interessato decidere se istituire un meccanismo di controllo o se controllare un investimento estero diretto”; -al considerando 11, stabilisce che “dovrebbe essere possibile per gli stati membri valutare i rischi per la sicurezza o per l'ordine pubblico derivanti da cambiamenti significativi dell'assetto proprietario o delle caratteristiche fondamentali di un investitore estero determinato”; -al considerando 12, precisa che “al fine di orientare gli stati membri e la Commissione nel- l'applicazione del presente regolamento, è opportuno indicare un elenco di fattori che potrebbero essere presi in considerazione nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico ... l'elenco di fattori che possono incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico dovrebbe restare non esaustivo”; -al considerando 13, stabilisce che “Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, dovrebbe essere possibile per gli stati membri e la Commissione tenere conto di tutti i fattori pertinenti, compresi gli effetti sulle infrastrutture critiche, sulle tecnologie, comprese le tecnologie abilitanti fondamentali, e sui fattori produttivi che sono essenziali per la sicurezza o il mantenimento dell'ordine pubblico la cui perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione avrebbe un impatto significativo in uno stato membro o nell'unione. a tale proposito, dovrebbe altresì essere possibile per gli stati membri e la Commissione tenere conto del contesto e delle circostanze dell'investimento estero diretto, in particolare della possibilità che un investitore estero sia controllato direttamente o indirettamente, ad esempio attraverso finanziamenti consistenti, comprese le sovvenzioni, da parte del governo di un paese terzo, o persegua progetti o programmi all'estero a guida statale”; -all’art. 2, definisce come “investimento estero diretto, un investimento di qualsiasi tipo da parte di un investitore estero inteso a stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra l'investitore estero e l'imprenditore o l'impresa cui è messo a disposizione il capitale al fine di esercitare un'attività economica in uno stato membro, compresi gli investimenti che consentono una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo di una società che esercita un'attività economica”; -all’art. 3, stabilisce che “conformemente al presente regolamento, gli stati membri possono mantenere, modificare o adottare meccanismi per controllare gli investimenti esteri diretti nel loro territorio per motivi di sicurezza o di ordine pubblico” e, in tale ambito, “stabiliscono in particolare le circostanze che danno luogo al controllo, i motivi del controllo e le regole procedurali dettagliate applicabili”; -all’art. 4, rubricato “Fattori che possono essere presi in considerazione dagli stati membri e dalla Commissione”, stabilisce: i) al paragrafo 1, che “Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, gli stati membri e la Commissione possono prendere in considerazione i suoi effetti potenziali, tra l’altro, a livello di: c) sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare”. ii) al successivo paragrafo 2, che “Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, gli stati membri e la Commissione tengono altresì conto, in particolare, se: a) l'investitore estero sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, inclusi organismi statali o forze armate, di un paese terzo, anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti”. 8.2. nell’ordinamento nazionale, deve farsi riferimento al D.L. n. 21 del 15 marzo 2012, rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 convertito con modificazioni con l. n. 56 dell’11 maggio 2012 e rubricato “Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni ”. 8.2.1. All’art. 2, comma 1-ter, il D.L. stabilisce che “Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'economia e delle finanze, del ministro dello sviluppo economico e del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro dell'interno, con il ministro della difesa, con il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con i ministri competenti per settore, adottati anche in deroga all'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che è reso entro trenta giorni, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati, sono individuati, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l'ordine pubblico, compreso il possibile pregiudizio alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, anche se oggetto di concessioni, comunque affidate, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all'articolo 1, comma 1, e al comma 1 del presente articolo, nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (ue) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019 [ossia, tra l’altro, l’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare], nonché la tipologia di atti od operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina di cui al presente articolo. i decreti di cui al primo periodo sono adottati entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono aggiornati almeno ogni tre anni ”. 8.2.2. Al successivo comma 2-bis, il D.L. precisa che “Qualsiasi delibera, atto od operazione, adottato da un'impresa che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1-ter, che abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi a favore di un soggetto esterno all'unione europea, di cui al comma 5-bis, ovvero, nei settori individuati nel secondo periodo del comma 5, anche a favore di un soggetto appartenente all'unione europea, ivi compresi quelli stabiliti o residenti in italia, comprese le delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento dell'azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l'assegnazione degli stessi a titolo di garanzia, il trasferimento di società controllate che detengono i predetti attivi, ovvero che abbia per effetto il trasferimento della sede sociale in un Paese non appartenente all'unione europea, è notificato, salvo che l'operazione sia in corso di valutazione o sia già stata valutata ai sensi del comma 5, entro dieci giorni e comunque prima che vi sia data attuazione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri dalla stessa impresa. sono notificati altresì nei medesimi termini qualsiasi delibera, atto od operazione, adottato da un'impresa che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1-ter, che abbia per effetto il cambiamento della loro destinazione, nonché qualsiasi delibera che abbia ad oggetto la modifica dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società o la modifica di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell'articolo 2351, terzo comma, del codice civile ovvero introdotte ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come da ultimo modificato dall'articolo 3 del presente decreto ”. contenzioSo nAzionALe 8.2.3. Al successivo comma 3, il D.L. stabilisce che “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, da trasmettere tempestivamente e per estratto alle Commissioni parlamentari competenti, può essere espresso il veto alle delibere, atti e operazioni di cui ai commi 2 e 2-bis, che diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. 8.2.4. Al comma 6, il D.L. aggiunge che “Qualora l'acquisto di cui al comma 5 [ossia “l'acquisto a qualsiasi titolo da parte di un soggetto esterno all'unione europea di partecipazioni in società che detengono gli attivi individuati come strategici ai sensi del comma 1 nonché di quelli di cui al comma 1-ter, di rilevanza tale da determinare l'insediamento stabile dell'acquirente in ragione dell'assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell'acquisto”] comporti una minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali dello stato di cui al comma 3 ovvero un pericolo per la sicurezza o per l'ordine pubblico … con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, da trasmettere tempestivamente e per estratto alle Commissioni parlamentari competenti, l'efficacia dell'acquisto può essere condizionata all'assunzione, da parte dell'acquirente e della società le cui partecipazioni sono oggetto dell'acquisto, di impegni diretti a garantire la tutela dei predetti interessi … in casi eccezionali di rischio per la tutela dei predetti interessi, non eliminabili attraverso l'assunzione degli impegni di cui al primo periodo, il governo può opporsi, sulla base della stessa procedura, all'acquisto ”. 8.2.5. il comma prosegue, precisando che “Per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico è possibile prendere in considerazione le seguenti circostanze: a) che l'acquirente sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, compresi organismi statali o forze armate, di un Paese non appartenente all'unione europea, anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti”. 8.2.6. infine, il comma 7 stabilisce che “i poteri speciali di cui ai commi precedenti sono esercitati esclusivamente sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori. a tale fine il governo considera, avuto riguardo alla natura dell'operazione, i seguenti criteri: a) l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunità internazionale, desunti dalla natura delle loro alleanze, o hanno rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati; b) l'idoneità dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione, tenuto conto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione e della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente, a garantire: 1) la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti; 2) il mantenimento, la sicurezza e l'operatività delle reti e degli impianti”. 8.3. A livello di normazione secondaria, il D.P.c.m. n. 179 del 18 dicembre 2020, rubricato “regolamento per l'individuazione dei beni e dei rapporti di interesse nazionale nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (ue) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, a norma dell'articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 15 rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56” stabilisce, all’art. 11, a sua volta rubricato “Beni e rapporti in tema di approvvigionamento di fattori produttivi e nel settore agroalimentare”, che rientrano tra i beni e i rapporti di cui all'articolo 1 [ossia “beni e rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all'articolo 1, comma 1, e all'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 21 del 2012, nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (ue) n. 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019”], tra l’altro, “le attività economiche di rilevanza strategica e l'approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera agroalimentare”. 8.4. Quanto all’aspetto procedurale, si richiama il D.P.r. 25 marzo 2014, n. 86, rubricato “regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, a norma dell'articolo 2, comma 9, del de- creto-legge 15 marzo 2012, n. 21”, che, nel disciplinare il procedimento da seguire (poi ancor più dettagliatamente normato dal successivo D.P.c.m. 6 agosto 2014), precisa, per quanto qui di interesse, che (art. 6): -“il ministero responsabile dell'istruttoria e della proposta ai sensi dell'articolo 3, tenuto conto delle risultanze emerse nell'ambito del gruppo di coordinamento di cui all'articolo 2, comma 2, lettera c), trasmette tempestivamente in via telematica alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e al suddetto gruppo di coordinamento, la proposta di esercizio dei poteri speciali con il relativo schema di provvedimento, ovvero comunica le motivazioni per cui ritiene non necessario l'esercizio dei poteri speciali”; -“lo schema di provvedimento di esercizio dei poteri speciali indica dettagliatamente le minacce di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti e può comportare rispettivamente il potere di veto alla delibera o il potere di opposizione all'acquisto nei casi in cui l'imposizione di specifiche prescrizioni, condizioni o impegni non siano sufficienti ad assicurare la tutela degli interessi pubblici”; -“Nel caso in cui i poteri speciali siano esercitati nella forma di assunzione da parte dell'acquirente di impegni diretti a garantire la tutela degli interessi essenziali dello stato, di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge, ai sensi dell'articolo 2, comma 6, del decreto-legge, lo schema di provvedimento indica: a) le specifiche prescrizioni o condizioni richieste all'impresa; b) specifici criteri e modalità di monitoraggio; c) l'amministrazione competente a svolgere il monitoraggio delle prescrizioni o condizioni richieste, nonché l'organo da essa incaricato di curare le relative attività; d) le sanzioni previste dal decreto-legge in caso di inottemperanza, anche tenuto conto delle previsioni di cui all'articolo 8”. 9. Attingendo a questo punto il merito, il collegio ricostruisce l’andamento del procedimento. 10. Per quanto di interesse ai fini della presente decisione, la fase istruttoria si è svolta come segue. 10.1. nella riunione finale del Gruppo di coordinamento del 7 aprile 2021, il ministero del- l’Agricoltura, nella qualità di Amministrazione responsabile dell’istruttoria, propone “il non esercizio dei poteri speciali”, aggiungendo tuttavia che “in considerazione della strategicità degli asset coinvolti e del carattere programmatico di alcuni impegni assunti dalle società notificanti, sia necessario garantire il monitoraggio sugli stessi”: il ministero, pertanto, “propone di inserire nella delibera di non esercizio dei poteri speciali una raccomandazione, ri contenzioSo nAzionALe volta alla società acquirente, affinché operi in modo conforme agli impegni assunti in sede di notifica e nel corso del procedimento”. 10.2. il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza “evidenzia le criticità ed i rischi legati alla natura dell’operazione”e“propone, in alternativa, di esercitare i poteri speciali, mediante l’imposizione di specifiche prescrizioni volte al mantenimento dei rapporti contrattuali ed alla preservazione dell’attività di suba seeds Company s.p.a. in italia”. 10.3. Anche sulla scorta delle osservazioni del Segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri -secondo cui da un lato “le raccomandazioni proposte dal ministero responsabile sono simili a delle vere e proprie prescrizioni”, dall’altro comunque “il Consiglio dei ministri, in sede di esame del provvedimento, può decidere di mutare la natura delle raccomandazioni trasformandole in un esercizio dei poteri speciali con prescrizioni” -il Gruppo di coordinamento concorda con la proposta del ministero dell’Agricoltura di non esercizio dei poteri speciali, con la formulazione di apposite raccomandazioni alla società acquirente, soggette a monitoraggio. 10.4. conseguentemente, il ministero dell’Agricoltura, nel trasmettere alla Pcm, con nota dell’11 ottobre 2021, gli esiti della fase istruttoria, propone il “non esercizio dei poteri speciali”, sia pure prevedendo che “l’acquirente trasmetta al governo una relazione periodica di monitoraggio dell’operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi”. 10.5. tuttavia, nell’appunto per il ministro in vista del consiglio dei ministri, si ventila altresì la proposta alternativa dell’esercizio dei poteri speciali, mediante la formulazione di “apposite prescrizioni”, dettagliatamente indicate. 10.6. nel corso del consiglio dei ministri del 19 ottobre 2021, il ministro dell’Agricoltura propone senz’altro “l’esercizio dei poteri, manifestando disponibilità al confronto in merito all’opzione tra prescrizioni o veto”, opzione quest’ultima poi prescelta dal consiglio, all’esito della discussione. 11. Da quanto precede si evince che non sussiste, in termini sostanziali, il contrasto lamentato dalla ricorrente fra il provvedimento e l’istruttoria, almeno nella misura macroscopica tale da determinare un inaccettabile iato fra gli esiti della stessa ed il successivo decisum, con conseguente vizio della funzione. 11.1. invero, nell’ambito dei lavori del Gruppo di coordinamento il ministero dell’Agricoltura individua l’operazione come “strategica” (si menziona espressamente, in particolare, la “strategicità degli asset coinvolti”) e qualifica come fondamentali gli impegni assunti pro futuro dall’acquirente, che, proprio in quanto strutturalmente “programmatici”, necessitano di essere puntualmente verificati. 11.2. il ministero, dunque, pur proponendo il non esercizio dei poteri speciali, esprime la consapevolezza della delicatezza della questione, sia per l’oggetto dell’operazione, sia per il carattere qualificante che rivestono gli impegni assunti dall’acquirente in sede di notifica (poi vieppiù arricchiti nel corso dell’istruttoria). 11.3. il Gruppo di coordinamento concorda con l’impostazione ministeriale. 11.4. nella conseguente proposta formale rivolta alla Pcm (cfr. nota dell’11 ottobre 2021), il ministero dell’Agricoltura ritiene non sussistere i presupposti dell’esercizio dei poteri speciali, alla luce: -della “puntuale disciplina” normativa nazionale del settore sementiero (“che prevede un rigoroso sistema di vigilanza e controllo”); -del fatto che le “target italiane utilizzano” sementi “di pubblico dominio” (salvo solo 63 varietà ortive, di cui la società royal Seeds è costitutore), “non svolgono un’attività di ri rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 cerca e di significativa costituzione varietale”, operano “in un contesto piuttosto differenziato”, detengono “un ruolo marginale nel mercato professionale” nazionale, “non detengono materiale genetico specifico” ed hanno un “fatturato consolidato … di gran lunga inferiore alle soglie di rilevanza strategica individuate generalmente nei settori soggetti al golden power ”; - degli impegni “stringenti e significativi” assunti dall’acquirente. 11.5. il ministero, comunque, proprio in considerazione del fatto che “le dichiarazioni e gli impegni dell’acquirente in sede di notifica e nel corso del procedimento, come poc’anzi specificati, assumono rilevanza a fondamento di tale conclusione istruttoria … propone di prevedere che l’acquirente trasmetta al governo una relazione periodica di monitoraggio dell’operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi”. 11.6. i dati oggettivi raccolti dal Gruppo in sede istruttoria identificano, dunque, un’operazione attinente ad una materia dichiaratamente “sensibile”, in ordine alla quale, nondimeno, viene esclusa la necessità di esercizio dei poteri speciali in considerazione dei vari profili specificamente enucleati. 11.7. Peraltro, dapprima il ministero dell’Agricoltura rappresenta al ministro la possibile alternativa dell’imposizione non di semplici raccomandazioni, ma di ben più incisive prescrizioni; quindi, in sede di consiglio dei ministri, il ministro propone senz’altro l’esercizio dei poteri, nella forma più lieve dell’assenso con prescrizioni o in quella più dura del divieto. 11.8. Questo significativo climax istruttorio registratosi nella specie da un lato testimonia l’esito tutt’altro che monolitico ed univoco dell’istruttoria stessa, dall’altro attesta vieppiù, per tabulas, la percepita delicatezza della questione già nel corso della fase istruttoria. 12. Pur a voler prescindere da tali considerazioni, comunque, il collegio osserva in termini generali che, nella procedura dell’esercizio dei poteri speciali, ciò che giuridicamente distingue la fase decisoria dalla previa fase istruttoria è proprio l’attività valutativa del sostrato fattuale acquisito agli atti. 13. il procedimento nazionale in tema di “golden power” è, invero, bifasico. 13.1. esso prevede una prima fase di carattere prettamente istruttorio tesa all’acquisizione di tutti i dati di fatto rilevanti al fine di ricostruire ed inquadrare l’operazione in chiave tanto analitica, quanto sistemica, a beneficio della successiva valutazione finale: tale fase, che il D.P.r. n. 86 del 2014 significativamente definisce come “attività propedeutica all’esercizio dei poteri speciali”, è curata da un apposito Gruppo di coordinamento, composto da personale di livello dirigenziale apicale della Pcm e dei vari ministeri interessati. 13.2. La seconda fase, appunto decisoria, è viceversa appannaggio esclusivo del consiglio dei ministri. 14. Questa seconda fase -affidata, non a caso, al massimo organo di direzione politica dello Stato e non a personale dirigenziale -assume un marcato ed assai lato profilo discrezionale: essa, invero, prende le mosse sì dai dati di fatto acquisiti in sede istruttoria, ma, nel contesto di una valutazione collegiale della questione in cui intervengono i vertici politici di tutte le Amministrazioni dello Stato, affronta, inquadra e qualifica l’operazione nell’ambito della più ampia postura politica dello Stato in ottica non solo economica e finanziaria, ma in senso più globale strategica. 14.1. il consiglio dei ministri, in sostanza, non si limita ad una ricognizione atomistica, puntiforme e, per così dire, “contabile” ed anodina delle caratteristiche specifiche dell’operazione, ma la traguarda nell’ambito e nel contesto dei fini generali della politica nazionale, ponderandone gli impatti sia sull’assetto economico-produttivo del settore socio-economico interessato, contenzioSo nAzionALe sia sulla più ampia struttura dell’economia nazionale, sia, infine, sui rapporti internazionali e sul complessivo posizionamento politico-strategico del Paese nell’agone internazionale. 14.2. Del resto, è lo stesso diritto unionale che facoltizza tale ampio spettro di valutazioni (cfr. le disposizioni richiamate supra del richiamato regolamento ue n. 452 del 2019 del Parlamento europeo e del consiglio del 19 marzo 2019). 14.3. in definitiva, dunque, nella specifica procedura in commento il vizio di contrasto con l’istruttoria si presenta strutturalmente marginale, in quanto è limitato ai casi macroscopici in cui il consiglio affermi fatti smentiti dall’istruttoria o, al contrario, neghi fatti riscontrati nella fase istruttoria. 15. ovviamente, ciò non veicola una sorta di arbitrio decisionale del consiglio, che, di contro, deve poggiare su un iter argomentativo coerente, fondato sui criteri posti a monte dalla legge. 15.1. nella vicenda di specie, decisivo è il fatto che l’acquirente è indirettamente (ma univocamente) espressione del Governo della repubblica Popolare cinese, circostanza debitamente evidenziata dal consiglio e giuridicamente rilevante ai sensi tanto della normativa unionale (regolamento n. 452 del 2019, considerando 13 ed art. 4), quanto di quella nazionale (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 6). 15.2. il consiglio, in particolare, ha rilevato che: -per la repubblica Popolare cinese, Stato ad economia pianificata, il settore alimentare costituisce dichiaratamente un obiettivo strategico (così il Xiv Piano quinquennale), nel quale quindi è ragionevole ritenere che siano autoritativamente convogliate, guidate ed indirizzate le (poderose) energie economiche, finanziarie e politico-diplomatiche del Paese; -le società del gruppo verisem sono attive in tale settore, sono tecnologicamente all’avanguardia (in particolare, dalla relazione delle parti interessate e dall’audizione di Assosementi risulta che le società italiane del Gruppo verisem sono altamente qualificate in punto di moltiplicazione del seme, attività ictu oculi oltremodo delicata, sensibile e “strategica”) e, benché non producano direttamente i semi ma stipulino, a tal fine, contratti con gli agricoltori italiani (cui, peraltro, cedono a titolo oneroso il “basic seed”, ossia il “portaseme”, e la cui attività di coltivazione è sistematicamente supervisionata da agronomi del Gruppo -cfr. ricorso al t.a.r., pag. 18 e relazione delle parti in data 2 agosto 2021), è evidente che contrattualmente possano incidere sulla filiera agroalimentare nazionale, condizionandola in maniera apprezzabile in base alle loro mutevoli necessità, evidentemente dettate, in ultima analisi, dalla volontà (politica) del Governo di Pechino. 15.3. in proposito, il collegio rileva che: -l’apprezzamento della strategicità di un’operazione in relazione all’interesse nazionale da parte del consiglio dei ministri ha tratti altamente discrezionali, posto che lo stesso concetto di interesse nazionale non è un prius, ossia un dato oggettivo preesistente in natura, bensì un posterius, ossia la risultante di valutazioni ed opzioni politiche; -tale apprezzamento, proprio in quanto attiene ad un profilo di massima quale quello strategico, viene svolto dal consiglio dei ministri nell’ambito di un’ampia valutazione geopolitica proiettata a scenari futuri e può legittimamente essere proteso non solo a proteggere istanze nazionali, ma anche a non favorire esigenze e scopi di Stati ritenuti (non solo ostili, ma anche semplicemente) competitor o con i quali, comunque, i rapporti possano prospetticamente presentare profili di problematicità; -più in generale, l’ascrizione di “rilevanza strategica per l’interesse nazionale” ai “beni e rapporti” coinvolti da un’operazione notificata, al fine della verifica circa la sussistenza di un “possibile pregiudizio alla sicurezza e … alla continuità degli approvvigionamenti” (cfr. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 1-ter), è stata già operata a monte con D.P.c.m. n. 179 del 2020, che, per quanto qui di interesse, così dispone: i) qualifica “attività economiche di rilevanza strategica … le attività economiche essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società ”, quali certo sono quelle del settore agroalimentare, fondamentale per la stessa esistenza fisica dell’uomo; ii) con specifico riferimento al settore agroalimentare, qualifica come strategico “l’approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera alimentare”, quali certo sono le sementi, base imprescindibile di ogni coltivazione agricola. 16. tale ultima locuzione non presenta l’intollerabile profilo di genericità ed indeterminatezza lamentato dall’appellante, ove si ponga mente allo scopo della normativa (primaria e secondaria) in tema di golden power, che è quello di apprestare una disciplina a maglie volutamente larghe al fine di non imbrigliare -e, quindi, depotenziare -il presidio costituito dalla spendita del potere omonimo. 16.1. il potere di golden power, infatti, rappresenta il limes provvedimentale posto dalla legge a garanzia ultima dell’interesse nazionale nelle specifiche macro-aree economiche prese in considerazione; come tale, e proprio in quanto dettato a tutela di interessi fondamentali (“strategici”) della collettività nazionale come discrezionalmente apprezzati dal consiglio dei ministri, esige un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile ed inclusivo, che consenta di apprestare la massima e più efficace tutela agli (assai rilevanti) interessi sottostanti: in tale specifica ottica, esula qualunque addebito di indeterminatezza e genericità. 16.2. Peraltro, aggiunge il collegio, siamo al di fuori della materia lato sensu penale (che impone, come noto, la necessità di una particolare tassatività nell’enucleazione della fattispecie normativa), esulando dalla normativa sul golden power qualsivoglia finalità afflittiva; parimenti, non ricorre l’imposizione di una prestazione patrimoniale ex art. 23 cost. (cfr. ricorso al t.a.r., pag. 44), ma la mera previsione legislativa di un presidio di verifica della compatibilità dell’iniziativa economica privata con l’utilità sociale (art. 41 cost.), espressione ampia in cui certo rientra l’interesse nazionale in ordine a “beni e rapporti strategici” come individuati dalla legge. 17. Di converso, è la stessa normativa primaria a stabilire che: -“per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico … è possibile prendere in considerazione” il fatto che “l'acquirente sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, compresi organismi statali o forze armate, di un Paese non appartenente all'unione europea” (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 6); -“il governo considera, avuto riguardo alla natura dell'operazione … l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello stato di diritto”, nonché “l'idoneità dell'assetto risultante dal- l'atto giuridico o dall'operazione … a garantire … la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti” (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 7). 18. Alla luce di queste puntuali coordinate legislative, in considerazione degli impatti che l’operazione potrebbe avere su “fattori produttivi critici della filiera alimentare” (quali indubbiamente sono le sementi e la libertà contrattuale dei produttori agricoli nazionali) e della riconducibilità della società acquirente al Governo di un Paese estraneo all’unione europea e connotato da una forma di governo differente da quelle occidentali, il consiglio dei ministri ha riscontrato la sussistenza di una “situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa contenzioSo nAzionALe nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e alla continuità degli approvvigionamenti”, cui la normativa primaria (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 3) subordina l’esercizio dei poteri di golden power sub specie di veto all’operazione. 18.1. tale delibazione non sconta il vizio della funzione ravvisato dall’appellante, posto che il consiglio dei ministri ha ritenuto, nell’esplicazione dell’ampia discrezionalità di cui -quale massimo organo di indirizzo politico del Paese -dispone, di apprestare una tutela particolarmente incisiva al settore agroalimentare nazionale, da un lato proteggendo il patrimonio informativo, tecnologico, scientifico e contrattuale posseduto, nel settore sementiero, dalle target italiane (in particolare, dalla società Suba Seeds), dall’altro e specularmente impedendo che, grazie all’acquisizione, la società Syngenta (e, per essa, il Governo cinese) integrando la propria filiera, possa incrementare il proprio potenziale capacitativo in un’area dichiaratamente strategica anche per la repubblica Popolare (cfr. la relazione presentata dalle parti in data 2 agosto 2021, pag. 8, ove si precisa che “il razionale strategico dell'operazione è rappresentato dalla rilevanza che il segmento di clientela a livello globale cui Verisem si rivolge riveste per syngenta ”). 18.2. il consiglio dei ministri, in particolare, ha inteso evitare che, grazie all’acquisizione, il Governo cinese possa volgere a vantaggio del proprio mercato domestico il potenziale produttivo delle target italiane (in particolare, di Suba Seeds), mediante, inter alia, la “rimodulazione delle priorità e delle tempistiche dell’agenda produttiva delle aziende agricole italiane”, la “delocalizzazione dei punti decisionali fuori dai confini nazionali”, il “mutamento del modello di business”, “l’accelerazione del processo di standardizzazione nella produzione di sementi”, tutte ipotesi che non possono certo escludersi in futuro. 18.3. come già specificato supra, nell’ambito della procedura di cui al D.L. n. 21 del 2012 il consiglio dei ministri è organo decisionale deputato, sulla base delle risultanze fattuali del- l’istruttoria (e non anche delle valutazioni e delle proposte operate dal Gruppo di coordinamento o dal ministero responsabile), ad operare un’ampia valutazione prospettica di scenario, tesa da un lato a preservare il Paese da possibili fattori di rischio prospetticamente rilevanti, dall’altro e contestualmente ad arginare iniziative di Paesi terzi potenzialmente pericolosi o per i quali, comunque, sia ritenuto opportuno un ingaggio geopolitico particolarmente prudente. 18.4. in altra angolazione argomentativa, la stessa valutazione di strategicità non costituisce un dato oggettivo e, per così dire, inconfutabile riveniente dalle caratteristiche dell’operazione in sé atomisticamente considerate, ma rappresenta la risultante di una ponderazione altamente discrezionale (se non apertamente politica), sì che ben può essere qualificata “strategica”e capace di determinare “una situazione eccezionale” non altrimenti fronteggiabile un’operazione che pure, di per sé, non presenti profili intrinseci macroscopicamente straordinari: altrimenti detto, una stessa operazione può essere strategica o meno in funzione anche (se non soprattutto) dei soggetti coinvolti, non solo dei caratteri dell’asset e della società target. 18.5. Del resto, il controllo di un operatore economico nazionale da parte di uno Stato terzo estraneo all’unione europea e con cui non intercorrono formali e cogenti legami di alleanza (si pensi, in primis, a quello riveniente dal trattato nAto) fa sì che l’operazione non sia ascrivibile al solo mercato ed alle connesse logiche di politica industriale, ma coinvolga ineludibilmente anche considerazioni di politica internazionale e di sicurezza, tese in ultima analisi a preservare non solo il funzionamento corretto del mercato nazionale, messo in pericolo dalla presenza di un operatore longa manus di uno Stato straniero, ma la stessa effettività del principio costituzionale supremo di cui all’art. 1, comma 2 (“la sovranità appartiene al popolo”), rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 potenzialmente vulnerato da acquisizioni di asset fondamentali per la collettività nazionale da parte di Stati stranieri che, ad avviso del Governo, non diano sufficienti garanzie circa il relativo uso. 19. La piena idoneità delle ragioni afferenti alla tutela del settore agroalimentare a sorreggere ex se il provvedimento rende superfluo lo scrutinio delle censure mosse dall’appellante alle altre due ragioni enucleate nel provvedimento, inerenti ai profili della “raccolta dati” e alle “tecnologie di machine learning”. 20. Per doverosa completezza motivazionale, il collegio precisa che la normativa nazionale di cui al D.L. n. 21 del 2012 è conforme al diritto unionale, che, come visto, lascia ampio spazio al legislatore nazionale (cfr. considerando 8 e 12 del regolamento 2019/452) e qualifica come “fattore pertinente” ai fini dell’esercizio dei poteri di golden power il controllo dell’acquirente da parte del Governo di un Paese terzo estraneo all’unione europea (considerando 13 ed articolo 4 del citato regolamento). 21. tornando alla vicenda di specie, non può neanche rilevare che la multinazionale chemchina già controlli un’importante società italiana attiva nel settore automotive (cfr. ricorso al t.a.r., pag. 17): l’esercizio dei poteri di golden power, infatti, consegue ad una considerazione attuale del quadro politico internazionale (strutturalmente in evoluzione) e si modula in base allo specifico settore economico interessato ed alla sua specifica “sensibilità” strategica. 22. non si apprezza, poi, una violazione del principio di proporzionalità. 22.1. il provvedimento, invero, indica chiaramente i motivi che lasciano stimare la costitutiva insufficienza dell’imposizione di prescrizioni, che non solo non osterebbero al perfezionamento dell’operazione, ma oltretutto produrrebbero “effetti pecuniari e/o obbligatori … di complessa realizzabilità in caso di inottemperanza del destinatario cinese”. 22.2. una siffatta motivazione -innervata dalla primaria necessità di impedire il perfezionarsi dell’operazione -appare logica, posto che l’imposizione di prescrizioni, pur se stringenti, non solo consentirebbe la conclusione dell’acquisizione, ma, per di più, sarebbe oggettivamente difficile da implementare, considerata la natura sovrana del detentore sostanziale del controllo della società acquirente (ossia il Governo cinese). 23. rimane, infine, da scrutinare la questione della mancata formulazione del preavviso di rigetto, ex art. 10-bis l. n. 241 del 1990. 23.1. Sul punto, la motivazione spesa dal t.a.r. merita conferma, posto che con la notifica dell’operazione le parti interessate non veicolano un’istanza, ma adempiono ad un dovere prescritto dalla legge (cfr. lo stesso ricorso al t.a.r., pag. 11). 23.2. Peraltro, aggiunge il collegio, la particolare specificità della materia lascia propendere per il carattere (implicitamente) completo ed autosufficiente della relativa disciplina, recata dall’apposito regolamento di cui al D.P.r. 25 marzo 2014, n. 86, la cui oggettiva specialità lo rende insuscettibile di integrazioni ab externo. 23.3. infine, non può non rilevarsi che: -la disciplina del preavviso di rigetto non è compatibile con la natura giuridico-costituzionale dell’organo decisorio che interviene nella specie (non è, invero, ipotizzabile un contraddittorio, sia pur cartolare, fra le imprese interessate all’operazione ed il consiglio dei ministri); -l’ampiezza, la delicatezza e la politicità sostanziale delle valutazioni di cui è investito il consiglio non si prestano alla discussione “pari a pari” con i soggetti interessati (anche per i profili di riservatezza connessi alle ragioni sottese alla delibazione consiliare); -a tutto concedere, nella vicenda non ricorrono “motivi ostativi” di diritto, come tali potenzialmente suscettibili di contraddittorio endo-procedimentale, ma mere valutazioni latamente contenzioSo nAzionALe discrezionali (se non tout court politiche), strutturalmente riservate al massimo organo collegiale di guida dello Stato. 24. Per le esposte ragioni, l’appello va rigettato. 25. La novità della questione costituisce giustificato motivo per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti. P.Q.m. il consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Istituzioni AFAM e procedura dell’istituto del commissariamento. Brevi osservazioni a T.a.r. Lazio, Sez. III ter, sentenza 9 febbraio 2023 n. 2232 Marco Cerase* È legittimo il commissariamento -con conseguente rimozione del direttore e del presidente -di un conservatorio di musica, ai sensi dell’art. 64-bis, comma 7, del decreto legge n. 77 del 2021, allorquando l’ente sia stato previamente diffidato e siano emerse dalla pregressa istruttoria amministrativa gravi e persistenti violazioni di legge e carenze funzionali e amministrative. La pronunzia in rassegna si rivela di interesse, poiché inerisce -a quel che risulta -alla prima applicazione dell’art. 64-bis, comma 7, del decreto-legge n. 77 del 2021, convertito con modificazioni nella legge n. 108 del 2021 (1). L’istituto della rimozione degli organi degli istituti di alta formazione artistica e musicale (d’ora innanzi AFAm) deve -infatti -proprio all’iter di conversione del decreto-legge il proprio ingresso tra le disposizioni espresse della sua disciplina. nel corso dell’esame presso la camera dei deputati, era stato presentato -all’art. 64 del decreto-legge -l’articolo aggiuntivo 64.019, a firma nitti e altri, volto ad apportare modifiche di ampio respiro alla disciplina degli AFAm, anche in chiave di semplificazione finalizzata alla più celere attuazione degli investimenti del Pnrr. in questo ambito, la proposta emendativa descriveva con precisione la procedura dell’istituto del commissariamento. Quello degli enti pubblici, con la rimozione dei suoi organi, non è tuttavia una novità nel panorama del diritto amministrativo italiano. basterebbe citare -tra i molti casi -lo scioglimento degli enti locali per (*) consigliere della camera dei deputati. (1) Art. 64-bis. misure di semplificazione nonché prime misure attuative del Pnrr in materia di alta formazione artistica, musicale e coreutica. “7. gli organi delle istituzioni dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale previsti dall’articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, possono essere rimossi, con decreto del ministro dell’università e della ricerca, previa diffida, nei seguenti casi: a) per gravi o persistenti violazioni di legge; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi o dei servizi indispensabili dell’istituzione; c) in caso di dissesto finanziario, quando la situazione economica dell’istituzione non consenta il regolare svolgimento dei servizi indispensabili ovvero quando l’istituzione non possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi. Con il decreto di cui al presente comma si provvede alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni dell’organo o degli organi rimossi nonché gli ulteriori eventuali compiti finalizzati al ripristino dell’ordinata gestione dell’istituzione”. contenzioSo nAzionALe condizionamento mafioso, di cui all’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (2), per fugare ogni dubbio sulla cittadinanza dell’istituto nel nostro ordinamento. La dottrina più autorevole (3) ha individuato il commissariamento degli enti come una manifestazione del potere di controllo di conformazione, esercitando il quale l’autorità vigilante assicura che gli atti o l’attività soggetti a controllo rispondano a determinate regole di buon andamento e di sana e prudente gestione. La corte costituzionale, a sua volta, ha stabilito che “il potere di nomina del commissario straordinario costituisce attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al sopperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancanti” (4). Prima della conversione del decreto-legge n. 77 del 2021, del resto, in molteplici occasioni enti vari sono stati commissariati dal vertice ministeriale competente (5), compresi gli AFAm (6). È verosimile pensare -allora -che la nuova disposizione non fosse strettamente necessaria. La sua genesi si coglie -in realtà -in relazione alla vicenda specifica del conservatorio “Santa cecilia” di roma, che era stata motivo di pluriennale attenzione da parte del Parlamento. Senza tediare il lettore con gli sviluppi della vicenda concreta (7), basterà rammentare che sia alla camera sia in Senato, già dalla fine della Xvii legislatura repubblicana, parlamentari avevano segnalato al Governo le disfunzioni gestionali dell’AFAm di roma (8). nella legislatura successiva (la Xviii) le (2) Su cui sia consentito il rinvio a m. cerASe, aggressione criminale e permeabilità amministrativa (anatomia dello scioglimento dei comuni per mafia) in Cassazione penale 2019, pag. 1822. (3) così G. D’AuriA, i controlli in trattato di diritto amministrativo, a cura di S. cASSeSe, Giuffré, milano 2003, pag. 1384. (4) v. la sentenza n. 27 del 2004, punto 1 del Considerato in diritto. (5) v., per esempio, consiglio di Stato, sezione v, 10 marzo 2016, n. 852 e consiglio di Stato, sezione vi, 28 aprile 2016, n. 1599. (6) Solo a titolo di esempio, si ricordino: -il decreto di commissariamento del 15 marzo 2012, a opera del ministro pro tempore Francesco Profumo del conservatorio “Antonio Scontrino” di trapani; -il decreto di commissariamento del 16 aprile 2012, a firma del ministro pro tempore Francesco Profumo dell’Accademia Albertina di torino; -il decreto di commissariamento in data 28 febbraio 2013, a firma del ministro pro tempore Francesco Profumo del conservatorio “Piccinni” di bari; -il decreto di commissariamento in data 9 giugno 2016, a firma del ministro pro tempore Stefania Giannini dell’Accademia di belle arti di reggio calabria. (7) v., per elementi sulla vicenda, la repubblica (cronaca di roma), 27 aprile 2022, pag. 7, nonché Corriere della sera (cronaca di roma), 28 aprile 2022, pag. 5. (8) v., tra le altre, l’interrogazione della sen. Lucrezia ricchiuti (n. 4-8239 del 12 ottobre 2017) e l’interpellanza dell’on. eleonora cimbro (n. 2-1970 del 9 ottobre 2017), cui tuttavia il ministro pro tempore Fedeli non aveva dato risposta. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 vicissitudini dell’ente erano state nuovamente portate all’attenzione dell’esecutivo, anche questa volta in entrambe le camere (9). Solo in data 18 giugno 2021, però, il Governo -per bocca del viceministro pro tempore alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile (!), delegato per la seduta alla camera dei deputati -rispose all’interpellanza n. 2-1248, affermando che nell’AFAm di roma erano “emerse significative criticità in merito a diversi ambiti relativi alla gestione”, nonché “la sussistenza di svariate disfunzioni gestionali che hanno determinato, inevitabilmente, una compromissione del buon andamento del conservatorio” (10). Per tali ragioni -sempre a dire del viceministro intervenuto a rispondere -il mur si era “riservato di adottare ogni provvedimento che sarà ritenuto opportuno per assicurare il corretto funzionamento dell’istituzione”. ma il medesimo esponente del Governo aveva aggiunto: “A fronte dei fatti, cui si è fatto rapidamente cenno, dai quali è emersa una situazione di disordine amministrativo presso l’istituzione, il ministero ha dovuto, altresì, valutare attentamente il quadro ordinamentale di riferimento, per individuare gli strumenti giuridici da poter utilizzare con pieno affidamento, senza correre il rischio che possibili impugnative degli stessi conducessero l’ente in una situazione di ancora più grave impasse amministrativa”. La risposta del Governo all’interpellanza -in qualche misura -aveva quindi messo in dubbio un compendio normativo consolidato, ai sensi del quale il commissariamento non solo era possibile ma forse anche doveroso in determinate circostanze. Di qui l’iniziativa emendativa cui si è appena fatto cenno, volta a colmare la pretesa lacuna normativa. entrata in vigore la legge di conversione, l’attenzione ministeriale sulla situazione compromessa dell’AFAm di roma era proseguita fino a giungere (nel dicembre 2021) all’invio della diffida, prevista dalla nuova disposizione, quale prodromo per il commissariamento. Alla diffida, gli organi di vertice dell’ente avevano dato, nel gennaio 2022, un corposissimo riscontro documentale, che aveva richiesto un’analisi approfondita, il cui esito era stato però del tutto infausto per l’ente medesimo, essendosi l’incartamento di risposta -in larga sostanza -rivelato come una manovra dilatoria e distrattiva dai precisi rilievi mossi nella diffida. ne era pertanto seguito il decreto del ministro pro tempore messa del 22 aprile 2022, con cui venivano rimossi presidente e direttore del conservatorio, con la conseguente nomina di due commissari straordinari. Gli organi rimossi avevano fatto ricorso al t.a.r. Lazio per ottenere dapprima (9) v. tra le altre, l’interrogazione del sen. Giuseppe cucca (n. 3-1419 del 27 febbraio 2020) e l’interpellanza dell’on. michele Anzaldi (n. 2-1130 dell’11 marzo 2021). (10) v. quanto riferito dal viceministro morelli nonché la replica dell’on. Fassina, nel resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea, pag. 9. contenzioSo nAzionALe la misura cautelare (anche monocratica) e poi l’annullamento in sede di merito. il giudice amministrativo aveva respinto l’istanza cautelare e -con la sentenza riportata -respinge anche il ricorso. vale la pena allora svolgere una (sia pure sintetica) analisi dei motivi della decisione. Anzitutto, il ricorso avanzava -quale violazione di legge -la sussistenza di motivi del provvedimento di commissariamento non previamente contestati nella diffida. Secondo i ricorrenti, il provvedimento amministrativo si sarebbe basato su elementi di fatto sopraggiunti alla diffida inviata in precedenza. L’argomento aveva una sua certa capacità suggestiva ma era evidentemente privo di pregio. come la citata dottrina ha chiarito, il commissariamento è espressione del potere di controllo sugli organi e risponde alla logica del buon andamento e del- l’imparzialità della pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 97 della costituzione. non ha a che fare con la logica “accusa-difesa” di cui agli artt. 24 e 111. La diffida cui si riferisce l’art. 64-bis, comma 7, del decreto legge n. 77 del 2021 non equivale, quindi, alla contestazione degli addebiti disciplinari o -men che meno -a quella delle imputazioni in sede penale. essa equivale a una comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990 (11) entro un rapporto che non è di contrapposizione bensì di direzione e di vigilanza (12) del ministro nei riguardi di un ente che non gode di peculiari prerogative di autonomia. Da quest’ultimo punto di vista, gli AFAm non possono essere paragonati in chiave ordinamentale alle università, le quali invece godono di speciale autonomia e i cui vertici sono solo eletti e non anche nominati, sia pure dopo procedure elettive (come invece il direttore e il presidente degli AFAm). il t.a.r. Lazio, inoltre, ritiene persuasivamente che la diffida abbia anche il senso di mettere in guardia l’ente diffidato da ulteriori violazioni di legge o di regolamento e comunque da condotte contrarie alla sana e prudente gestione. essa avrebbe sostanzialmente anche una funzione conservativa. in secondo luogo, i ricorrenti facevano valere l’eccesso di potere per di (11) v. consiglio di Stato, sez. vi, 13 aprile 1992, n. 256 e t.a.r. Puglia, sez. i, 15 dicembre 1993, n. 1101. (12) nella sentenza del t.a.r. Lazio, sez. i, 11 gennaio 2012, n. 529, la violazione del diritto al contraddittorio era stata desunta non già dalla mancata contestazione formale di tutte le disfunzioni ritenute rilevanti ai fini del commissariamento, bensì in ragione dell’emanazione del provvedimento in difetto della comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge 241 del 1990, pur in assenza delle condizioni di urgenza che avrebbero legittimato tale omissione; non così, infatti, nella sentenza t.a.r. Lazio, sez. ii-ter, 6 maggio 2015, n. 9782, la quale si riferiva, in primo luogo, ai limiti sostanziali all’esercizio del potere di scioglimento degli enti da parte del ministro vigilante (oggi evidentemente superati) e, solo incidentalmente, al rispetto delle garanzie procedimentali. Peraltro, il medesimo t.a.r., nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, aveva escluso la violazione del diritto al contraddittorio, la cui effettività era stata desunta dalla previa comunicazione di avvio del procedimento e dall’avvenuto esame della documentazione prodotta dagli interessati. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 fetto d’istruttoria e travisamento dei fatti, perché tra la risposta alla diffida e il decreto di commissariamento erano intervenute interlocuzioni tra il ministero e l’ente, tali per cui si doveva evincere che le carenze e disfunzioni gestionali erano in via di superamento. Anche in questo caso, la risposta del t.a.r. appare convincente: la sentenza afferma che, in punto di fatto, il ministero non è vincolato da comunicazioni interlocutorie e non decisive, le quali lascino sussistere la gran parte degli aspetti di patologia amministrativa già denunziati nella diffida. ma più al fondo, trattandosi di controllo sugli organi, il giudizio che il vertice ministeriale deve dare non è parcellizzato e caratterizzato da una visione atomistica di singoli profili dell’andamento gestionale, dovendo invece preferirsi uno sguardo d’insieme che colga il complessivo svolgimento delle funzioni pubbliche assegnate all’ente e l’eventuale suo fallimento (v. punto 9.1.3. della motivazione). Da ultimo, i ricorrenti ventilavano che il mur si fosse lasciato indurre all’emanazione del provvedimento da un’interpellanza parlamentare, quasi che un simile atto tradisse una motivazione impropriamente politica della determinazione del ministro. La sentenza, in punto di fatto, esclude il rapporto causa-effetto tra l’atto di sindacato ispettivo parlamentare e il commissariamento, collocando il primo entro un più cospicuo pacchetto di atti di membri delle camere che contribuiva a descrivere meglio il quadro su cui l’azione amministrativa ha inciso. Più al fondo, deve essere osservato che il motivo addotto era destituito di ogni fondamento. il commissariamento ex art. 64-bis, comma 7, del decreto legge n. 77 del 2021 è un atto discrezionale del ministro. Depone in tal senso inequivocabilmente il verbo “possono” del medesimo comma 7. ovviamente, la discrezionalità non è arbitrio e dev’essere esercitata in modo motivato. ma questo non preclude in modo alcuno che -specie in un regime parlamentare quale quello concepito negli artt. 94 e 95 della costituzione -un ministro possa contemplare anche sollecitazioni della compagine degli eletti nelle camere. nelle interrogazioni e nelle interpellanze si domanda al Governo che cosa sappia e come intenda regolarsi su fatti e su aspetti della propria politica. nella prassi parlamentare è -dunque -evidente che le interrogazioni contengano elementi informativi e ricostruzioni fattuali su cui il dicastero interessato è chiamato a svolgere verifiche e a dare atto della verità di circostanze esposte dai parlamentari (13). e infatti non era la prima volta che il ministro (13) v. anche la sentenza della corte costituzionale n. 379 del 2003, punto 3 del Considerato in diritto). in dottrina v. LonGi, elementi di diritto e procedura parlamentare, Giuffré, milano 1988, pag. 173, il quale afferma efficacemente: “La funzione ispettiva o di controllo politico sul Governo e la pubblica amministrazione è, come sappiamo, di importanza fondamentale non soltanto come attività integrativa rispetto a quella legislativa delle camere ma anche come condizione per la stessa sussistenza del regime parlamentare, che ha la sua base nella collaborazione tra i poteri dello Stato e nel permanente rap contenzioSo nAzionALe pro tempore competente sugli AFAm raccogliesse informazioni dal sindacato ispettivo parlamentare per commissariare un ente (14). ben vero è che il consiglio di Stato è orientato a ritenere illegittimi i commissariamenti nel campo della sanità pubblica dovuti a motivi esclusivamente politici (senza -quindi -il sostegno di motivazioni gestionali) (15) e che a una conclusione non dissimile è pervenuta di recente anche la corte costituzionale (16): ma con tutta evidenza non era questo il caso (e non solo per la diversità di settore). il decreto di commissariamento qui impugnato era ampiamente giustificato da elementi di fatto inoppugnabili (17), emersi da procedure ispettive ministeriali e segnalati (anche) da membri delle camere, in legislature diverse e sotto diversi governi. Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III ter, sentenza 9 febbraio 2023 n. 2232 -Pres. e. Stanizzi, est. P. Patatini -(omissis) (avv. ti A. zoppini, G. vercillo, A. turchetta) c. ministero dell’università e della ricerca (avv. gen. Stato); ed altri. FAtto 1. con ricorso ritualmente proposto, iscritto al numero di ruolo rG. 4881/2022, il prof. (omissis) ha impugnato il decreto del ministero dell’università e della ricerca (mur) n. 361 del 22 aprile 2022, adottato ai sensi dell’art. 64-bis, comma 7 del d.l. n. 77/2021 convertito in legge n. 108/2021, con cui sono stati rimossi, dalle rispettive funzioni, il Presidente e il Direttore pro tempore del conservatorio Statale di musica “Santa cecilia”, nominando al loro posto due commissari con incarico fino al 30 aprile 2023, salvo proroga. 2. espone in fatto il ricorrente di essere stato, fino all’adozione del decreto impugnato, il Direttore del conservatorio (incarico assunto per la prima volta a novembre 2016 e, alla scadenza del primo mandato triennale, nuovamente eletto per il triennio 2019-2022), istituto di studi porto fiduciario tra Parlamento e Governo”. in argomento, v. anche G. romAno, Note sul sindacato ispettivo in il Parlamento nella transizione, a cura di A. cASu e S. trAverSA, Giuffré, milano 1998, pag. 325; e L. GiAnniti e n. LuPo, Corso di diritto parlamentare, mulino, bologna 2008, pag. 192. (14) era già accaduto, per esempio: -nel 2012, allorquando e come accennato, il ministro Profumo ha commissariato il conservatorio “Scontrino” di trapani anche sulla base delle informazioni contenute nell’interrogazione del deputato Antonino russo del 14 febbraio 2012, n. 4-14891; -nel 2016, allorquando e come accennato, il ministro Giannini ha commissariato l’Accademia delle belle arti di reggio calabria anche sulla base delle informazioni contenute nell’interrogazione della deputata Federica Dieni dell’8 giugno 2016, n. 4-13421. (15) v. consiglio di Stato, sez. iii, 3 novembre 2016, n. 4615. (16) v. la sentenza n. 189 del 2022, punto 3.2. del Considerato in diritto. (17) tra le violazioni di legge, una aveva suscitato in particolare l’attenzione non solo del ministero ma anche della compagine parlamentare, vale a dire il trattamento illecito di dati personali degli studenti da parte dell’ente, sanzionato -su esposto di uno di essi -dal Garante per la protezione dei dati personali (v. il provvedimento 10 novembre 2022, n. 367). Peraltro, un atto di sindacato ispettivo parlamentare è posto a base della motivazione anche dalla citata t.a.r. Lazio, sez. ii-ter, 6 maggio 2015, n. 9782. rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 musicali facente parte del sistema dell’Alta Formazione, di specializzazione e di ricerca artistiche e musicali (cd. AFAm). 2.1. in data 3 dicembre 2021, il mur trasmetteva al ricorrente e al prof. (omissis) (all’epoca Presidente del conservatorio, anch’egli rimosso dal decreto impugnato) una diffida ai sensi dell’art. 64-bis, comma 7, del d.l. n. 77/2021, segnalando l’esistenza di una serie di asserite criticità di carattere contabile (indicate ai punti n. 1 e 2 dell’allegato alla diffida) e di carattere amministrativo (di cui ai punti 3-8) e assegnando un termine di 30 giorni per provvedere, fornendo esaustiva documentazione, «alla rimozione delle violazioni gravi o persistenti e/o al- l’adozione degli atti correttivi finalizzati al ripristino dell’ordinata gestione dell’istituzione», specificando che «in difetto si procederà d’urgenza alla predisposizione del conseguente decreto di commissariamento, ai sensi di legge». 2.2. in data 2 gennaio 2022, i destinatari della diffida trasmettevano al mur un’articolata risposta, cui il ministero dava riscontro con nota del 21 marzo 2022, prot. 3842. in tale nota, il ministero rappresentava in particolare che «le criticità relative all’ambito giuridico- istituzionale risultano essere state affrontate dal conservatorio mediante l’adozione degli atti correttivi che si rendevano necessari. Le criticità di natura contabile risultano essere state affrontate dal conservatorio, ma non tutte sono state definitivamente superate. in particolare, con riferimento ad alcune di esse, al fine di verificare in maniera definitiva la correttezza o meno dell’operato di codesta istituzione occorre poter avere anche un approfondimento da parte dei revisori dei conti, ai quali affidare anche un esame dettagliato del bilancio consuntivo relativo all’esercizio 2021». Pertanto, si riteneva necessario “avere un riscontro oggettivo” all’esito degli approfondimenti dei revisori contabili sulle specifiche criticità individuate nella medesima nota, prima di assumere ogni determinazione anche in relazione al commissariamento dell’istituto. 2.3. contestualmente, la gestione del conservatorio era anche oggetto di interpellanze parlamentari. nello specifico, nella seduta pubblica del 25 marzo 2022, presso la camera dei Deputati, il mur, per il tramite dell’allora Sottosegretario di Stato per l’economia e le Finanze, rappresentava quanto già riconosciuto nella nota prot. 3842, circa il superamento delle criticità relative all’ambito giuridico e istituzionale e la necessità di attendere gli ulteriori riscontri oggettivi all’esito delle verifiche svolte dai revisori. 2.4. il 30 marzo 2022, i due revisori dei conti -uno in rappresentanza del meF, l’altro in rappresentanza del mur -si riunivano per esaminare il conto consuntivo 2021 e per dare riscontro alla nota mur prot. 3842 (giusta verbale 3/2022, trasmesso dal Presidente del conservatorio al ministero in data 11 aprile 2022). 2.5. in data 23 aprile 2022, approssimandosi il termine del 30 aprile fissato dal mur per l’invio della nota dei revisori, non essendo ancora pervenuta la sottoscrizione da parte del revisore in rappresentanza del mur, l’altro provvedeva autonomamente a trasmettere via pec la nota condivisa nella riunione del 30 marzo, contenente l’esito delle verifiche, specificando che in assenza dell’avviso non ancora manifestato dal secondo revisore, la dizione “i revisori” avrebbe dovuto intendersi riferita esclusivamente a quello scrivente in rappresentanza meF. 2.6. il successivo 26 aprile 2022, veniva formalmente comunicato al ricorrente, al Prof. (omissis) e ai commissari, il decreto di commissariamento adottato dal mur il 22 aprile 2022. 3. ritenendo il predetto decreto illegittimo in ragione di vizi di ordine procedurale e sostanziale, il ricorrente ne ha quindi chiesto l’annullamento, previa adozione di misure cautelari monocratiche e collegiali, per i seguenti motivi di diritto: contenzioSo nAzionALe i. «vioLAzione DeLL’Art. 64-biS, commA 7 DeL D.L. n. 77/2021. vioLAzione DeL Diritto AL contrADDittorio. ecceSSo Di Potere Per DiFetto Di iStruttoriA e trAviSAmento Dei FAtti. contrADDittorietÀ DeLL’Azione AmminiStrAtivA», in quanto il decreto è stato adottato sulla base di “sopraggiunte criticità”, riferite a fatti preesistenti alla diffida e in larga parte già noti al mur, che non sono state tuttavia preventivamente identificate nella diffida, così violando il diritto al contradditorio, senza che venisse motivata l’urgenza di provvedere. ii. «vioLAzione DeLL’Art. 64-biS, commA 7 DeL D.L. n. 77/2021. ecceSSo Di Potere Per DiFetto Di iStruttoriA, trAviSAmento Dei FAtti e SviAmento Di Potere. in- GiuStiziA mAniFeStA. DiSPAritÀ Di trAttAmento. DiFetto Di motivAzione. vio- LAzione DeGLi Artt. 1 e SS. DeL D.P.r. n. 132/2003, DeLLo StAtuto DeL conServAtorio e DeL reGoLAmento SuL FunzionAmento DeL conSiGLio Di AmminiStrAzione. vioLAzione DeGLi Artt. 1 D.LGS. n. 33/2013. vioLAzione DeL “re- GoLAmento Di AmminiStrAzione, contAbiLitÀ e FinAnzA”», in quanto sul piano sostanziale non ricorrerebbero i presupposti giuridici e fattuali per il commissariamento, così incorrendo in particolare nel vizio di eccesso di potere e travisamento dei fatti. A) Le criticità rilevate nella diffida, come individuate nella “relazione”, costituente parte integrante del decreto di commissariamento, si porrebbero in netto contrasto con quanto affermato nella nota prot. 3842 del 21 marzo 2022, nella quale si riconoscerebbe l’avvenuto superamento, mediante l’adozione di atti correttivi, delle asserite criticità relative all’ambito giuridico-istituzionale, come pure riconosciuto nel corso dell’interpellanza parlamentare. Quanto a quelle contabili, il mur, anziché attendere l’esito dell’audit dei revisori, avrebbe immotivatamente anticipato i tempi dichiarandole non risolte e disponendo il commissariamento. b1) L’asserita sopraggiunta criticità consistente nel non aver comunicato al ministero la deliberazione del consiglio di Amministrazione del 28 dicembre 2021 relativa al protrarsi del- l’esercizio provvisorio fino all’8 marzo 2022, sarebbe insussistente alla luce tanto dell’avvenuta pubblicazione della delibera sul sito e della presenza di un rappresentate del ministero in seno all’organo collegiale, quanto dell’assenza di un obbligo legale di comunicazione al ministero e del pieno rispetto del regolamento di amministrazione, contabilità e finanza, dell’ente. b2) Quanto alla mancata pubblicazione nel sito istituzionale dei verbali del consiglio Accademico 2021 e dei verbali delle votazioni per gli incarichi di capo Dipartimento, capo Area, Presidente di Scuola e Presidente di corso, oltre a riguardare circostanze di fatto risalenti a periodi antecedenti la diffida, che avrebbero dovuto essere quindi riportate in questa, il conservatorio aveva già dato riscontro al riguardo nel corso dell’attività di monitoraggio svolta nel 2021 dal ministero, il quale aveva condiviso la risposta dell’ente. in ogni caso, non vi sarebbe obbligo di pubblicazione di tali atti interni. b3) circa la proroga degli incarichi di capo Dipartimento, capo Area, Presidente di Scuola e di corso, disposta in ragione del permanere dello stato di emergenza e del sensibile incremento dei contagi da covid-19, non vi sarebbe stato alcun pregiudizio del diritto di elettorato attivo e passivo dei docenti in quelle posizioni, attesa l’assenza di lamentele al riguardo. b4) circa gli atti di sindacato ispettivo parlamentare richiamati nella relazione, le risultanze contenute nelle interpellanze, che il ministero avrebbe indicato come ulteriori criticità, oltre a essere contraddittorie con quanto dichiarato da ultimo nel marzo 2022, rappresenterebbero ragioni politiche, che non potrebbero giustificare il potere di commissariamento, senza sna rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 turarne natura e funzione, trattandosi di un potere amministrativo, da esercitarsi al verificarsi di tipiche ipotesi di legge. b5) il comportamento del Presidente e del Direttore del conservatorio, contrariamente a quanto riportato nella relazione, sarebbe stato sempre improntato ai principi di leale collaborazione istituzionale. b6) in merito alla verifica amministrativa contabile avviata dal meF nel 2018, oltre ad essere detta circostanza indicata per la prima volta nella relazione e non nella diffida, il conservatorio avrebbe costantemente fornito quanto richiesto dal meF e, con particolare riguardo alla nota dell’11 novembre 2019, richiamata nella relazione e rimasta asseritamente inevasa dal conservatorio, la stessa non assegnava un termine per adempiere, devolvendo anzi al mur ulteriori verifiche; solo da ultimo, con la nota del 17 marzo 2022 (prot. 41789), il meF indicava un nuovo termine di 60 giorni per fornire ulteriori giustificazioni in merito ad alcuni rilievi, termine (16 maggio 2022) che al momento dell’adozione del provvedimento impugnato non era ancora scaduto. iii. «vioLAzione DeGLi Artt. 5, 6, 7, 8 e 12 DeLLo StAtuto, noncHÉ DeGLi Artt. 5, 6, 7, 8, 12 e 13 DeL D.P.r. n. 132/2003. vioLAzione DeGLi Artt. 1 e SS. e L’ALLeGAto A DeL reGoLAmento DeLLA conSuLtA DeGLi StuDenti DeL conServAtorio Di muSicA S. ceciLiA. ecceSSo Di Potere Per SviAmento. iLLoGicitÀ e inGiuStiziA mAniFe- StA. vioLAzione Art. 64-biS, co. 7 DeL D.L. n. 77/2021 e DeLL’Art. 97 coSt.», in quanto non ricorrerebbero i presupposti legali per disporre il commissariamento, atteso che: le contestazioni fatte dal mur sarebbero riferibili alle funzioni di altri organi che non sono stati invece rimossi; le competenze attribuite ai commissari si sovrapporrebbero a quelle degli altri organi del conservatorio non commissariati; la legge riconosce al ministro il potere di provvedere alla nomina di un solo commissario, anche nell’ipotesi di rimozione di più organi. 4. con decreto cautelare n. 2884/2022, è stata respinta l’istanza di misure monocratiche. 5. Per resistere al ricorso, si sono costituiti il mur, nonché i componenti della consulta degli Studenti quali interventori ad opponendum e, a pari titolo, diversi docenti presso il conservatorio, specificamente indicati in epigrafe. 6. A sostegno del gravame, sono invece intervenuti ad adiuvandum i docenti in epigrafe indicati. 7. All’esito della camera di consiglio dell’8 giugno 2022, la Sezione ha respinto la domanda cautelare e fissato la trattazione del merito (ord. n. 3688/2022). 8. tutte le parti hanno poi prodotto memorie, insistendo nelle proprie argomentazioni, e successive repliche. con le proprie difese, il ministero ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e/o legittimazione ad agire, in quanto l’interesse sostanziale, potenzialmente inciso dal decreto di commissariamento, sarebbe quello dell’ente vigilato, mentre non vi sarebbe alcuna lesività della posizione del ricorrente che agisce come singolo in nome proprio. 10. con ricorso ritualmente proposto, iscritto al numero di ruolo rG. 4882/2022, il prof. (omissis) ha impugnato il decreto del ministero dell’università e della ricerca (mur) n. 361 del 22 aprile 2022, che lo ha rimosso dalla carica di Presidente del conservatorio Statale di musica “Santa cecilia” (con mandato in scadenza il 17 dicembre 2023), nominando contestualmente due commissari. 11. Dopo aver ripercorso in fatto le vicende che hanno portato all’adozione del decreto di commissariamento impugnato, il ricorrente ha formulato tre articolati motivi di censura, lamentando in sintesi violazione di legge ed eccesso di potere sotto numerosi profili, in quanto il procedimento di commissariamento sarebbe avvenuto in violazione del diritto al contrad contenzioSo nAzionALe dittorio, sulla base di asserite criticità insussistenti, ovvero superate, o già conosciute dal mur, o relative a organi diversi da quelli che sono stati poi commissariati, in spregio ai presupposti tipici legali previsti dall’art. 64-bis, comma 7, del d.l. n. 77/2021. 12. con decreto cautelare, n. 2885/2022, è stata respinta la domanda di misure monocratiche, avanzata col ricorso. 13. Si sono costituiti in resistenza il mur, il conservatorio di Santa cecilia e, quali interventori ad opponendum, i componenti della consulta degli Studenti nonché i docenti dell’istituto indicati in epigrafe. 14. A sostegno del gravame, sono invece intervenuti ad adiuvandum i professori pure in epigrafe indicati. 15. All’esito della camera di consiglio dell’8 giugno 2022, la Sezione ha respinto la domanda cautelare e fissato la trattazione del merito (ord. n. 3689/2022). 16. tutte le parti hanno prodotto memorie e repliche. 17. All’udienza pubblica del 19 dicembre 2022, i ricorsi sono stati chiamati congiuntamente e all’esito della discussione, entrambe le cause sono passate in decisione. Diritto 1. il collegio ritiene preliminarmente di disporre la riunione dei giudizi ai sensi dell’art. 70 c.p.a., attesa l’evidente connessione dei ricorsi e la specularità delle censure. 2. va poi accolta l’istanza di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali ex art. 7 del DPcS n. 167/2016, contenuta nelle conclusioni degli atti introduttivi, in ragione della complessità del giudizio tanto sul piano fattuale, che su quello giuridico. 2.1. Può inoltre autorizzarsi il deposito tardivo effettuato in data 10 novembre 2022 dagli interventori ad opponendum, (omissis) e altri, in ragione della mancata opposizione delle altre parti. 3. ciò premesso, con i gravami in esame, i proff. (omissis) agiscono contro il decreto di commissariamento, unitamente alla relazione allegata, con cui sono stati entrambi rimossi dalle rispettive funzioni di Direttore e Presidente pro tempore del conservatorio di musica “Santa cecilia” e nominati, al loro posto, due commissari. 4. i ricorsi devono in primo luogo ritenersi ammissibili. 4.1. contrariamente a quanto eccepito dalla difesa erariale infatti, sussiste la legittimazione ad agire dei ricorrenti e il loro interesse concreto e attuale ad impugnare il decreto di commissariamento che li ha privati dell’esercizio dei propri incarichi e, corrispondentemente, della percezione delle rispettive indennità. i ricorrenti, in altri termini, sono immediatamente e direttamente incisi dal provvedimento impugnato, essendo evidentemente interessati a mantenere le proprie prerogative, e come tali legittimati a proporre ricorso. La circostanza, evidenziata dai resistenti, della scadenza del mandato del prof. (omissis) nella pendenza del giudizio, non incide comunque sulla sua procedibilità, in ragione dell’interesse alla decisione manifestato in udienza, anche ai fini di una successiva azione risarcitoria. 5. va infine ritenuto ammissibile l’intervento dei sig.ri (omissis) quali membri eletti della consulta degli Studenti del conservatorio, avendo interesse, di mero fatto, a svolgere il proprio mandato nel nuovo assetto determinato dal provvedimento di commissariamento, disposto, tra l’altro, anche in ragione della riscontrata criticità del ritardo nel rinnovo dell’organo stesso. 6. nel merito, i ricorsi non sono fondati. 7. il potere di commissariamento delle istituzioni di Alta Formazione Artistica, musicale e coreutica (AFAm), nelle quali rientra il conservatorio di Santa cecilia, trova oggi una espressa previsione nel comma 7 dell’art. 64-bis del d.l. n. 77/2021 (rubricato, Governance rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito con modificazioni in legge n. 108/2021, ai sensi del quale «[g]li organi delle istituzioni dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale previsti dall’articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, possono essere rimossi, con decreto del ministro dell’università e della ricerca, previa diffida, nei seguenti casi: a) per gravi o persistenti violazioni di legge; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi o dei servizi indispensabili dell’istituzione; c) in caso di dissesto finanziario, quando la situazione economica dell’istituzione non consenta il regolare svolgimento dei servizi indispensabili ovvero quando l’istituzione non possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi. con il decreto di cui al presente comma si provvede alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni dell’organo o degli organi rimossi nonché gli ulteriori eventuali compiti finalizzati al ripristino dell’ordinata gestione dell’istituzione». 7.1. Detto potere, che rappresenta l’espressione più ampia e penetrante della funzione di vigilanza ministeriale intesa ad assicurare tutte le finalità di legge e statutarie dell’ente (tar Lazio, Sezione Prima, sentenza n. 529/2012, e giur. ivi richiamata), deve comunque ritenersi eccezionale in quanto fortemente limitativo dell’autonomia di quest’ultimo, dovendo trarre la propria giustificazione da situazioni di fatto particolarissime, che per la loro gravità portino all’esercizio del commissariamento (in tali termini, tar Lazio, questa Sezione, sentenza n. 1778/2003); situazioni che, come sopra visto, il legislatore ha da ultimo inteso tipizzare per le AFAm nelle «gravi o persistenti violazioni di legge; quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi o dei servizi indispensabili dell’istituzione; in caso di dissesto finanziario, quando la situazione economica dell’istituzione non consenta il regolare svolgimento dei servizi indispensabili ovvero quando l’istituzione non possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi». 7.2. nel caso in esame, il commissariamento è stato disposto, previa diffida, ai sensi delle lettere a) e b) del comma 7 dell’art. 64bis cit., «ciò in quanto […] l’attività del conservatorio è caratterizzata, ormai, almeno a decorrere dal 2019, da significative e reiterate criticità, consistenti in gravi e persistenti violazioni di legge, nonché in comportamenti e condotte tali da non assicurare il normale funzionamento degli organi o dei servizi indispensabili dell’istituzione, che non possono essere superate senza il ricorso al suddetto provvedimento di commissariamento, essendo risultato inefficace ogni altro strumento di “risanamento” dell’istituzione sino ad ora adottato dal ministero» (in tali termini, v. relazione allegata al decreto n. 361, punto 9. considerazioni conclusive). 7.3. i ricorrenti contestano invece la sussistenza dei presupposti per l’adozione di tale atto, denunciando vizi tanto procedurali, quanto sostanziali. 7.4. Al riguardo, preme precisare che dalla lettura della relazione allegata al decreto impugnato, emerge come il commissariamento abbia rappresentato una misura ineluttabile per il ministero a fronte di un quadro complessivo ormai compromesso in cui neanche gli atti correttivi adottati dal conservatorio e le altre attività intraprese dal ministero, come l’incarico conferito ai revisori contabili, avrebbero potuto assicurare il ripristino dell’ordinata e corretta gestione dell’istituto. Sicchè, contrariamente alla tesi ricorrente, il mur non ha adottato il decreto in questione “ritenendo determinanti… sopraggiunte criticità”, in quanto si è determinato in tal senso solo all’esito di un lungo iter fatto di ispezioni e verifiche periodiche, protrattosi per oltre due anni, in cui dette criticità -rappresentate, tra l’altro, dall’omessa comunicazione di delibere significative per contenzioSo nAzionALe la vita dell’ente, quali la proroga dell’esercizio provvisorio o quella degli incarichi di capo Dipartimento e capo Area -hanno costituito solo uno degli elementi a riprova dell’impossibilità di eliminare ogni causa che ostacolasse o impedisse il raggiungimento delle finalità istituzionali del conservatorio e di farlo ritornare autonomamente ad una sana e corretta attività. 7.5. in tale quadro, le doglianze ricorrenti, pur suggestive, non possono tuttavia essere condivise. 8. col primo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione del diritto al contraddittorio, relativamente alle “sopraggiunte criticità”, e l’assenza, nella specie, dell’urgenza di provvedere al commissariamento. 8.1. Sul punto, richiamando quanto già affermato in questo specifico ambito (tar Lazio, n. 529/22 cit., sul commissariamento dell’AGeA) per cui «la legittimità dell’azione amministrativa non può non transitare attraverso: -l’ostensione di un congruo apparato motivazionale che, sia pure nell’immanenza del potere di commissariamento all’interno delle prerogative lato sensu di vigilanza, non soltanto fornisca compiuta ed adeguata contezza di eventuali criticità e/o disfunzioni e/o inadeguatezze organizzativo-gestionali dell’ente, ma ulteriormente ponga in evidenza il rapporto di univoca correlazione causale che ricongiunge l’emersione di siffatte patologie al mancato soddisfacimento dell’esigenza pubblica primaria, insita nel conseguimento delle finalità al perseguimento delle quali l’ente è preposto; -il rispetto delle fondamentali coordinate di legittimità dello svolgimento procedimentale», il collegio ritiene che i principi sopra detti siano stati nel caso in esame pienamente osservati. 8.2. La diffida prevista dall’art. 64bis cit. deve invero intendersi come atto volto a impedire il protrarsi delle condotte illegittime contestate e ad attivare una partecipazione fattiva con gli organi ritenuti responsabili al fine di ripristinare una corretta gestione dell’ente e dissuaderli dal compiere ulteriori atti pregiudizievoli. 8.3. in quest’ottica, il rispetto di tale garanzia procedimentale deve ritenersi del tutto adempiuto, in quanto con la nota del 3 dicembre 2021, contenente le numerose criticità e l’intimazione a rimuoverle, il Presidente e il Direttore del conservatorio erano stati resi edotti della volontà del mur di porre in essere tutte le iniziative ritenute necessarie per ristabilire la corretta attività dell’istituto, così avviandosi una lunga e fitta interlocuzione tra le parti, nella quale spettava agli organi commissariati l’onere/obbligo di comunicare ogni elemento utile ai fini della valutazione e della rimozione delle criticità nell’interesse dell’ente. Le criticità “sopraggiunte”, in particolare, sono consistite nell’omessa comunicazione di circostanze rilevanti per la vita dell’istituto, che in questo particolare contesto avrebbero invece dovuto essere portate a conoscenza dell’Autorità vigilante, proprio nell’ottica di partecipazione collaborativa sopra richiamata. A fronte di tale significativa omissione, non avrebbe avuto rilievo un’ulteriore diffida, nel senso auspicato dalle parti, non trattandosi di procedimento disciplinare in cui vige un obbligo di puntuale contestazione dei singoli addebiti a garanzia del diritto di difesa del singolo. 8.4. Parimenti, nella relazione, non solo si dà contezza delle criticità e disfunzioni non ancora sanate e/o chiarite, ma si evidenzia come il permanere, dopo ormai due anni, di un tale scenario irrisolto e gravemente compromesso richiedesse un intervento urgente ed eccezionale di commissariamento, in nome dell’interesse primario del conservatorio: «[s]i segnala, altresì, l’urgenza del provvedere in quanto le criticità rilevate, evidentemente suscettibili di riverberare ancor più sul funzionamento dell’istituzione, inevitabilmente rischiano di impattare anche sull’andamento didattico, scientifico e artistico del conservatorio e sul complessivo buon andamento dell’istituzione, e, quindi, di vulnerare e pregiudicare la qualità dell’offerta didattica del corrente anno accademico e della programmazione delle attività didattica per l’anno ac rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 cademico 2022/2023, anche per le evidenti connessioni sotto i profili di pianificazione di bilancio e di spesa, con prevedibile nocumento, ove non si intervenga, sul fondamentale diritto allo studio degli iscritti, oltre che sul generale buon andamento e prestigio della istituzione», aggiungendo inoltre che «anche l’ipotesi di affidarsi ai due revisori del conservatorio […] perde di fondamento e di motivazione a fronte dell’allargarsi incontrollato del quadro di criticità via via emergenti». 8.5. La censura va quindi respinta. 9. con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti contestano la sussistenza delle singole criticità evidenziate nella relazione. 9.1. Sull’asserita illegittima rilevanza assegnata nel decreto e nella relazione alle criticità già contestate con la diffida, parti ricorrenti denunciano una contraddizione tra quanto riportato al par. 5 della relazione e quanto risultante dalla nota prot. n. 3842 del 21 marzo 2022, in cui, con riferimento alle criticità relative all’ambito giuridico-istituzionale, le stesse risulterebbero “essere state affrontate dal conservatorio mediante l’adozione degli atti correttivi che si rendevano necessari”, come pure dichiarato in risposta all’interpellanza alla camera; mentre, con riferimento alle criticità di carattere contabile, si afferma che “risultano essere state affrontate” ma che per poter “verificare in maniera definitiva la corretta o meno dell’operato dell’istituzione occorre poter aver anche un approfondimento da parte dei revisori dei conti”, il cui esito però non sarebbe stato atteso dal ministero, il quale avrebbe dichiarato anticipatamente non risolte dette criticità. 9.1.1. Posto che la censura fonda esclusivamente sull’asserito vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e contraddittorietà, senza contestare nel merito i rilievi non ancora “risolti”, il collegio rileva come la nota prot. 3842, se da un lato ha rappresentato che «le criticità relative all’ambito giuridico-istituzionale risultano essere state affrontate dal conservatorio mediante l’adozione degli atti correttivi che si rendevano necessari», dall’altro ha evidenziato, per quelle di natura contabile, che «non tutte sono state definitivamente superate». Di tal chè, non si ravvisa la denunciata contraddittorietà tra la nota più volte richiamata e la decisione, intervenuta un mese dopo, di commissionare l’ente, atteso che la situazione, che già presentava numerose criticità al momento dell’avvio dell’ispezione nel novembre 2019, è andata aggravandosi anche dopo l’adozione degli atti correttivi invocati da parte ricorrente, quando pure si registravano alcune criticità contabili “non definitivamente superate”. né può addebitarsi al ministero di non aver atteso l’esito della verifica contabile, posto che, ferme restando le considerazioni sopra riportate sull’inevitabilità del commissariamento e la conseguente inutilità ad attendere la relazione contabile (cfr. relazione citata), la nota inviata da un solo revisore, in ogni caso, non può ritenersi del tutto positiva, esprimendosi anch’essa in termini severi (“i revisori hanno biasimato il mancato rispetto del vincolo di destinazione dei finanziamenti, raccomandando di prestarvi in futuro la massima attenzione”; “non si possono esimere dal raccomandare fortemente gli organi del conservatorio ad attenersi rigorosamente alle norme del rAFc evitando in futuro il ripetersi di procedure irrituali che sarebbero non più tollerabili”). 9.1.2. Si aggiunga che, al di là dei rilievi contabili, permanevano comunque altri non meno significativi, evidenziati pure nella nota del 21 marzo -su cui i ricorrenti, tra l’altro non hanno fatto cenno -come le modifiche irrituali del regolamento di amministrazione, finanza e contabilità, che hanno comportato pagamenti sottoscritti da unità di personale diverse dai soggetti titolari, o l’utilizzo improprio di assegnazioni per interventi di edilizia e acquisto attrezzature, o la firma digitale del presidente reggente apposta senza l’autorizzazione del titolare, vicenda persino rimessa all’attenzione della Procura della repubblica. contenzioSo nAzionALe 9.1.3. in ogni caso, la decisione di commissionare l’istituto non si basa sulla sommatoria delle singole criticità riscontrate, in modo che il superamento, anche solo di alcune, ne farebbe venir meno il presupposto fattuale, ma poggia piuttosto su una situazione complessiva dove le singole criticità non rilevano individualmente, ma, in una visione unitaria, sono indici sintomatici di un quadro irrimediabilmente compromesso da reiterate illegittimità e condotte tali da non poter assicurare il normale funzionamento degli organi. 9.2. Sull’asserita illegittima rilevanza assegnata alle “criticità sopraggiunte”, non previamente contestate nella diffida, i ricorrenti hanno in sintesi dedotto l’inesistenza di un obbligo di comunicazione al ministero delle delibere del consiglio di Amministrazione e dei verbali del consiglio accademico, ragioni di opportunità legate all’emergenza covid-19 per prorogare incarichi scaduti, l’irrilevanza delle ispezioni parlamentari e il comportamento sempre collaborativo e leale da parte degli stessi. 9.2.1. come sopra visto, la particolare situazione in cui versava il conservatorio, già attenzionato da novembre 2019 (tralasciando per ora la verifica amministrativo-contabile già avviata dal meF un anno prima), avrebbe comportato un obbligo di comunicazione da parte dello stesso ente di tutte le circostanze e vieppiù delle decisioni rilevanti ai fini della corretta gestione e del risanamento dell’attività, all’Autorità vigilante. non coglie quindi nel segno l’osservazione dei ricorrenti circa l’assenza di una puntuale previsione legislativa o statutaria sulla comunicazione della delibera di proroga dell’esercizio provvisorio, considerata la situazione amministrativo-contabile irregolare, ovvero dei verbali delle votazioni degli organi collegiali, criticità non nuova, in quanto la pubblicità di tali atti era stata più volte richiesta a garanzia della trasparenza dell’istituzione. 9.2.2. con riguardo alla proroga degli incarichi, la mancata convocazione del corpo elettorale non pare potersi giustificare con l’emergenza sanitaria e l’aumento dei contagi in ragione della prevista possibilità, a livello legislativo, di modalità di svolgimento telematiche (cfr. art. 3quater, d.l. n. 25/2021, come aggiunto dalla legge di conversione n. 58/2021). 9.2.3. Quanto al sindacato ispettivo parlamentare, escluso che l’interpellanza ultima abbia assunto un ruolo determinante nella decisione ministeriale, esso rileva piuttosto come ulteriore indice della persistenza di irregolarità tali da determinare ben dieci interrogazioni parlamentari, tra camera e Sanato, negli anni 2020-2022. 9.2.4. in merito allo spirito collaborativo e costruttivo dei ricorrenti, asseritamente emergente dalla loro nota di riscontro inviata il 25 marzo 2022, prot. 4058, pur non spettando al collegio soffermarsi sulle espressioni formulate nella lettera in questione, non è inverosimile ravvisare piuttosto, nella situazione complessivamente intesa, una condotta dilatoria degli stessi o comunque caratterizzata da ritardi nel dare effettivo riscontro ai diversi solleciti (v. il riscontro alla nota meF del 25 marzo 2022, prot. 4147). 10. col terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano tre diversi profili di illegittimità del decreto, in quanto avrebbe rimosso il Presidente e il Direttore per addebiti riferiti a funzioni di altri organi invece non rimossi; avrebbe conferito ai commissari funzioni spettanti a organi non commissariati; avrebbe nominato due commissari anziché uno solo. 10.1. nemmeno queste censure colgono nel segno. 10.2. La relazione indica chiaramente le ragioni poste alla base dell’individuazione degli organi da rimuovere, ritenendo in particolare che «essi debbano essere individuati nel Presidente e nel Direttore in considerazione delle gravi, reiterate e persistenti criticità evidenziate nella presente relazione e delle significative disfunzioni a loro ascrivibili, rappresentando gli organi titolari, ai sensi del regolamento di cui al D.P.r. 28 febbraio 2003, n. 132 e al relativo dello rASSeGnA AvvocAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Statuto del conservatorio, delle più rilevanti funzioni di rappresentanza e di responsabilità nell’istituzione. ed infatti il citato D.P.r. n. 132, del 2003: -all’art. 5 stabilisce che il Presidente è rappresentante legale dell’istituzione -salvo quanto previsto dall’art. 6 in ordine al Direttore -e convoca e presiede il consiglio di amministrazione e fissa l’ordine del giorno; -all’art. 6 dispone che il direttore è responsabile dell’andamento didattico, scientifico ed artistico dell’istituzione e ne ha la rappresentanza legale in ordine alle collaborazioni e alle attività per conto terzi che riguardano la didattica, la ricerca, le sperimentazioni e la produzione. convoca e presiede il consiglio accademico. È titolare dell’azione disciplinare nei confronti del personale docente e degli studenti». Gli organi non commissariati, quali il consiglio di Amministrazione e quello accademico, titolari secondo i ricorrenti delle funzioni cui sono stati mossi diversi addebiti, in ogni caso erano presieduti rispettivamente dal Presidente e dal Direttore, non potendo pertanto ritenersi questi ultimi, anche sotto questo profilo, del tutto estranei ai rilievi formulati. L’esigenza rappresentata dal ministero di nominare poi due commissari non pare irragionevole, considerata la diversità dei compiti e delle funzioni spettanti agli organi rimossi. in ogni caso, per tale profilo non si ravvisa alcun interesse, posto che l’eventuale fondatezza di tale censura non sarebbe in ogni caso in grado di soddisfare la pretesa azionata e determinare l’annullamento del commissariamento. 11. in ragione di tutto quanto sopra esposto, i ricorsi, come riuniti, vanno respinti. 12. Si ravvisano tuttavia giustificati motivi alla luce della particolarità e complessità della vicenda per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.m. il tribunale Amministrativo regionale per il Lazio (Sezione terza ter), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti -ne dispone la riunione, - li respinge. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2022. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ Rapporto di lavoro con la P.A.: selezione dei pubblici dipendenti, perfomance, situazioni giuridiche soggettive inter partes e le varie responsabilità del lavoratore Michele Gerardo* Sommario: 1. aspetti generali -2. atti di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro -3. Distinzione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione -4. Tipologia Di pubblici DipenDenTi -4.1. Dirigenti -4.2. Funzionari e addetti -5. la Selezione Dei pubblici DipenDenTi -5.1. modalità con le quali l’amministrazione procede alla provvista delle risorse umane 5.2. contenuto della preparazione richiesta ai candidati -5.3. piano triennale dei fabbisogni di personale e piano integrato di attività e organizzazione -5.4. presupposti delle assunzioni delle risorse umane (vincoli scaturenti dalla necessità della adozione di atti generali) -5.5. atti prodromici al procedimento concorsuale (scorrimento della graduatoria; mobilità) -5.6. procedimento concorsuale -5.7. procedure selettive non concorsuali -5.8. Tecniche ulteriori di selezione dei fabbisogni -5.9. considerazioni conclusive e de iure condendo -6. ciclo della performance. misurazione e la valutazione della performance. merito e premi -7. rapporTo Di lavoro inDiviDuale. aspetti generali -7.1. requisiti soggettivi del lavoratore -7.2. Tipologia di rapporto -7.3. modalità dello svolgimento della prestazione (anche agile, c.d. smart working) -7.4. Situazioni giuridiche soggettive inter partes -7.5. modificazioni del rapporto di lavoro -7.6. estinzione del rapporto di lavoro. Spoil system -7.7. riammissione in servizio -8. le reSponSabiliTà Del lavoraTore DipenDenTe pubblico. aspetti generali -8.1. la responsabilità penale -8.2. la responsabilità civile verso terzi -8.3. la responsabilità amministrativa (o per danno erariale) -8.4. la responsabilità contabile -8.5. la responsabilità disciplinare - 8.6. la responsabilità manageriale. 1. aspetti generali. La P.A. per agire si avvale dell’operato di persone fisiche. L’amministrazione si avvale, ordinariamente, del c.d. corpo burocratico, che è costituito da (*) Avvocato dello Stato. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 un insieme di lavoratori preposti (quali dirigenti) o addetti (quali funzionari o dipendenti con mansioni d’ordine) ad uffici, molto ampio ed eterogeneo, che include differenti categorie di lavoratori, distribuiti fortemente su tutto il territorio italiano (1). in aggiunta al corpo burocratico vi è l’avvalimento di risorse umane esterne, a mezzo di un contratto di appalto di servizi oppure di un contratto di lavoro autonomo e/o professionale. La funzione pubblica che connota la P.A. si riverbera anche con riguardo alla gestione delle risorse umane. Difatti il rapporto di lavoro presenta elementi di specialità rispetto al normale rapporto di lavoro privato. valga un solo esempio: la P.A., a differenza del privato, non può assumere chi vuole, prescindendo da requisiti e da meccanismi selettivi. La materia è disciplinata dal D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165 contenente le “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (testo unico sul pubblico impiego, c.d. t.u.P.i.; di seguito gli articoli indicati senza ulteriore specificazione sono contenuti in questo testo) (2). Giusta l’art. 1, commi 2 e 3, -per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ArAn) e le Agenzie di cui al D.L.vo 30 luglio 1999, n. 300. A questi fini, sono esclusi dalla nozione di amministrazione pubblica gli enti pubblici economici, quale ad es. l’Agenzia del Demanio (3). Al novero di amministrazioni dello Stato non sono riconducili gli organi costituzionali in quanto non facenti tecnicamente parte della Pubblica Amministrazione; -le disposizioni del t.u.P.i. costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost. La disciplina dell’organizzazione delle risorse umane e del rapporto di (1) Su tali temi: M. CuCCinieLLo, G. FAttore, F. LonGo, e. riCCiuti, A. turrini, management pubblico, egea, 2018, pp. 63-66. (2) Sul rapporto di lavoro con le PP.AA. L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi MonACo, F.G. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. i, iv edizione, 2005, pp. 471-515; L. GA- LAntino, Diritto del lavoro pubblico, viii edizione, Giappichelli, 2018; e.A. APiCeLLA, lineamenti del pubblico impiego “privatizzato”, Giuffré, 2012. (3) Di conseguenza l’art. 11, comma 1, dello Statuto della detta Agenzia così dispone: “il rapporto di lavoro del personale dipendente è disciplinato dalle norme che regolano il rapporto di lavoro privato e dal ccnl disciplinante il rapporto di lavoro del personale non dirigente dell’agenzia sottoscritto con le organizzazioni sindacali in data 27.09.2004”. LeGiSLAzione eD AttuALità lavoro, dall’unità d’italia ad oggi, è stata un pendolo tra il modello privatistico e quello pubblicistico. in sintesi -fino all’inizio degli anni ’10 del secolo trascorso, la disciplina è stata privatistica (la stessa del rapporto di lavoro subordinato privato), con conseguente cognizione giurisdizionale dell’A.G.o. Lo Stato liberale non ritenne di creare uno status speciale per i dipendenti pubblici; -poi, per un ottantennio, fino all’inizio degli anni ’90 del secolo trascorso la disciplina è stata pubblicistica, diversa e distinta da quella relativa al rapporto di lavoro subordinato privato. La P.A. agiva a mezzo di atti autoritativi e la cognizione delle controversie spettava al G.A. il mutamento di disciplina deve ascriversi anche all’ideologia dell’epoca, quella dello Stato fascista, connotata di autoritarismo; -infine, a partire dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso la disciplina, tranne che per alcune determinate categorie, è ritornata quella del diritto privato (c.d. privatizzazione del pubblico impiego), con giurisdizione sulle controversie attribuita all’A.G.o. il ritorno all’antico ha diverse cause, tra cui: l’esigenza di efficienza -in funzione della quale si ricorre a modelli aziendalistici -a fronte delle scarse performance della macchina amministrativa; la forte sindacalizzazione dei dipendenti pubblici. Questo significa due cose: a) la disciplina normativa -in via di principio e salvo deroghe -è la stessa del lavoro nel privato e non un corpo speciale; b) il rapporto individuale trova fonte nel contratto (individuale e collettivo) e non nell’atto amministrativo. tanto è enunciato nell’art. 2, commi 2 e 3, secondo cui: -i rapporti di lavoro dei dipendenti delle PP.AA. sono disciplinati dalle disposizioni del capo i, titolo ii, del libro v del codice civile (artt. 2082 -2134 c.c.) e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel t.u.P.i. che costituiscono disposizioni a carattere imperativo; -i detti rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente, ossia da contratti individuali, integrati dai contratti collettivi. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. il comma 3 bis del- l’art. 2 precisa che “nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”. Le categorie escluse dalla privatizzazione, con mantenimento della disciplina di diritto pubblico prevista dai rispettivi ordinamenti sono indicate nel- l’art. 3: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili (4); gli avvocati e (4) non rientrano nella giurisdizione esclusiva i magistrati onorari, sia che esercitino funzioni giudicanti (Giudice di Pace e Giudice onorario di tribunale), sia che esercitino funzioni inquirenti (vice rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 procuratori dello Stato; il personale militare; il personale delle Forze di polizia di Stato (ossia: Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri; Guardia di Finanza); il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 D.L.vo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (ossia i dipendenti della Banca d’italia) e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281 (ossia i dipendenti della Consob) e 10 ottobre 1990, n. 287 (ossia i dipendenti dell’Antitrust); il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; il personale della carriera dirigenziale penitenziale; i professori e i ricercatori universitari (nelle more della specifica disciplina che regoli in modo organico il relativo rapporto di impiego). Queste categorie -giusta l’art. 3, comma 1, -in deroga all'art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinate dai rispettivi ordinamenti. Gli ordinamenti del personale non privatizzato sono caratterizzati da istituti e principi di natura settoriale (principio di specialità) con conservazione di una disciplina integralmente pubblicistica. Ciò trova fondamento nella funzione pubblica esercitata e nella prevalenza del rapporto organico rispetto al rapporto di servizio. nel rapporto di lavoro de quo in luogo dell’atto gestorio di natura privatistica, si riscontra la permanenza di atti autoritativi nella disciplina del rapporto e la coesistenza degli stessi con gli atti paritetici. Gli atti amministrativi paritetici (5) -con requisiti puntualmente delineati dalla legge, espressione di un’attività interamente vincolata -sono sforniti di autoritarietà ed ove incidano su un diritto soggettivo consentono la tutela nel termine prescrizionale. Sono tali, ad esempio, gli atti con cui la P.A. rifiuti di corrispondere al dipendente la retribuzione dovuta (diritto soggettivo patrimoniale), l’atto della P.A. di decadenza dalla proroga dell’incarico di insegnamento universitario fino alla nomina di un nuovo incaricato della materia (diritto soggettivo non patrimoniale) (6). 2. atti di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro. Per la regola generale “l'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori” (art. 2086, comma 1, c.c.) nella attività di gestione l’imprenditore adotta atti di diritto privato (contratti; negozi unilaterali; meri atti giuridici). tale regola, calata al lavoro pubblico, va adattata. essa vale per l’attività c.d. di microrganizzazione, ossia diretta alla gestione dello specifico rapporto di lavoro. invece nel caso in cui venga in rilievo procuratore onorario). venendo in rilievo un servizio onorario la giurisdizione sulle controversie avviene secondo i criteri generali di riparto. (5) La distinzione tra atti cd. autoritativi e paritetici venne operata con la decisione del Consiglio di Stato, 1 dicembre 1939, n. 795. (6) Su questa fattispecie: Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 febbraio 1994, n. 3. LeGiSLAzione eD AttuALità l’attività c.d. di macrorganizzazione, ossia organizzativa, il datore di lavoro pubblico adotta atti organizzativi (quali, ad esempio, l’approvazione della pianta organica, i decreti di natura non regolamentare di individuazione dei compiti di unità di livello dirigenziale generale), anche normativi (legge e regolamenti, quali quelli riguardanti l’organizzazione e la disciplina degli uffici ministeriali). Circa la macrorganizzazione, l’art. 2, comma 1, recita che le PP.AA. “definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. […]”. trattasi di atti organizzativi di carattere generale, dal contenuto normativo in senso lato, mediante i quali gli organi di governo delle PP.AA. esercitano le proprie funzioni di indirizzo politico amministrativo e di individuazione degli obiettivi e dei programmi da attuare. Dal punto di vista amministrativo trattasi di atti il cui contenuto presenta -ordinariamente -determinazioni con rilevanza mediata, preparatoria rispetto a singoli atti di gestione del rapporto di lavoro, non incidenti in modo immediato, se non eccezionalmente, sulle posizioni giuridiche soggettive dei singoli addetti. tra l’altro, le PP.AA.: -al fine di assicurare la trasparenza, l’informazione all’utenza relativa agli atti e allo stato dei procedimenti ed i diritti di partecipazione procedimentali, individuano, nell'ambito della propria struttura, uffici per le relazioni con il pubblico (art. 11); -provvedono, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, ad organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l'efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire, mediante convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento, un unico ufficio per la gestione di tutto o parte del contenzioso comune (art. 12). Circa la microrganizzazione, l’art. 5, comma 2, recita: “nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all'articolo 9 ”. La natura privatistica della capacità e dei poteri è conseguenza della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro dei dipendenti delle PP.AA. che è, per espressa previsione normativa, regolato in linea ge rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 nerale dalle pertinenti disposizioni del Codice Civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. rispetto agli indicati poteri di gestione ed attività di natura privatistica non sono configurabili interessi legittimi dei singoli dipendenti in quanto il datore di lavoro pubblico “privatizzato” non opera più a mezzo di attività autoritativa. Le situazioni giuridiche soggettive dei dipendenti vanno ricondotte, pertanto, alla categoria dei diritti soggettivi, ad eccezione di quelle correlate agli atti di macrorganizzazione di cui all’art. 2. Devono quindi qualificarsi come atti di natura privatistica gli atti di disposizione particolare e concreta con cui l’Amm.ne attua la gestione del rapporto di lavoro con il dipendente, il quale deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro “impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende” (ex art. 2104, comma 2, c.c.). La norma da ultimo citata riconosce al datore di lavoro tanto un potere di conformazione o di specificazione della prestazione di lavoro, quanto un potere di assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività nei luoghi di lavoro. il potere di conformazione si sostanzia in un potere di emanare ordini di natura privatistica a forma libera, mentre il potere datoriale di assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività ricomprende il potere di emanare circolari, ordini di servizio e regolamenti interni all’unità lavorativa, anch’essi di natura privatistica. La qualificazione privatistica dell’atto comporta che allo stesso non può applicarsi la disciplina normativa dell’atto amministrativo, quale i principi che regolano l’azione amministrativa ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241 (sulla motivazione dell’atto, sulla comunicazione dell’avvio del procedimento, sulla partecipazione allo stesso, sul silenzio-assenso (7), sull’annullamento e revoca in autotutela, ecc.). L’atto gestorio è privo del carattere dell’autoritarietà -tipico del provvedimento amministrativo -sicché andrà impugnato non nel termine di decadenza di sessanta giorni (tipico per i provvedimenti ex art. 29 c.p.a.), ma nel termine di prescrizione secondo la disciplina civilistica (8). Gli atti gestori -in quanto atti non amministrativi -non sono impugnabili con ricorsi amministrativi ex D.P.r. 24 novembre 1971, n. (7) Conf. Cass., 14 settembre 2021, n. 24698, secondo cui in tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall'Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinato devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro e, conseguentemente, nell'ambito dei rapporti pubblici privatizzati non è invocabile, in via generale, il silenzio-assenso perché la L. n. 241/1990 si applica agli atti amministrativi propriamente detti, non agli atti -ormai di natura privatistica -di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze d'una P.A. (8) ossia, tra l’altro: a) nel termine di prescrizione ordinario ex art. 2946 c.c. (ad es. l’azione per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi ex art. 2087 c.c., il diritto al risarcimento del danno per il risarcimento illegittimo); b) nel termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4 c.c. con riguardo a“tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (ad es. la retribuzione). Sulla materia: M. GerArDo, A. MutAreLLi, prescrizione e decadenza nel diritto civile, Giappichelli, 2015, pp. 262-266 (con riguardo alla prescrizione ordinaria) e pp. 305-306 (con riguardo alla prescrizione quinquennale). LeGiSLAzione eD AttuALità 1199, neanche con quello straordinario al Capo dello Stato (conf. art. 7, comma 8, c.p.a.) (9). nei confronti dell’atto gestorio non è ipotizzabile la fattispecie dell’eccesso di potere. Si applicano, tuttavia, i principi generali della correttezza e della buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) ed il principio generale del divieto di discriminazione. Ad es. nelle selezioni per progressioni orizzontali non vengono in evidenza atti amministrativi di ambito concorsuale, ma atti paritetici di gestione dei rapporti di lavoro, adottati con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato; cionondimeno il datore di lavoro è pur sempre tenuto all’osservanza degli obblighi di buona fede e correttezza (10), in applicazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost.; sicché, non è conforme ai canoni di correttezza e buona fede la condotta della P.A. che, senza motivazione plausibile, riconosca ad alcuni dipendenti il punteggio scaturente dalla frequentazione a dati corsi e neghi lo stesso punteggio per i medesimi corsi ad altri dipendenti, operando in tal guisa una palese disparità di trattamento tra partecipanti alla medesima procedura di progressione di carriera, violando così il principio costituzionale di imparzialità della P.A. La valutazione discrezionale dei titoli in ambito concorsuale deve essere correttamente esercitata, nel senso che laddove vi è un potere discrezionale della P.A. nel valutare i candidati (oppure i rispettivi titoli di partecipazione), il percorso motivazionale nella scelta dei vincitori deve essere idoneo a consentire di verificare le ragioni in base alle quali alcuni sono stati ammessi ed altri esclusi. 3. Distinzione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione. nella gestione delle risorse umane vige il principio della separazione tra attività di indirizzo e controllo politico-amministrativo e attività di attuazione e gestione: la prima spetta agli organi di vertice, di governo, la seconda spetta alla burocrazia. ossia, giusta l’art. 4: -gli organi di vertice, di governo (11) esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti (12); (9) Su tali aspetti: M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, Giuffré, 2012, pp. 20-25. (10) Conf. Cass. 2 settembre 2021, n. 23827. (11) tali organi possono essere di due tipi: espressione -diretta o indiretta -di rappresentanza politica (ciò è tipico per gli enti territoriali); selezione con procedimenti diversi dal meccanismo di rappresentanza politica. (12) Con riguardo alle amministrazioni statali il comma 1 dell’art. 14 precisa: “il ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. a tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 -ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. 4. Tipologia Di pubblici DipenDenTi. Pubblici dipendenti sono coloro che hanno un rapporto di lavoro subordinato con la P.A., sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. Sono la stragrande maggioranza delle risorse umane di cui si serve la P.A. vi sono anche risorse umane diverse dai pubblici dipendenti: lavoratori autonomi, tra cui consulenti, professionisti intellettuali; personale onorario (presidenti e componenti di consigli di amministrazione di enti; rappresentanti politici, ecc.). i pubblici dipendenti sono distinguibili in dirigenti, funzionari, addetti. 4.1. Dirigenti. i dirigenti sono il livello apicale dei dipendenti pubblici. Sono (dovrebbero essere) i direttori dell’orchestra, la cinghia di trasmissione tra l’organo di indirizzo politico e le risorse umane operative. La disciplina generale dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è contenuta nel capo ii del titolo ii del t.u.P.i. (artt. 13-29). tale disciplina si estende -in virtù dell’art. 27, comma 1 (13), imponente un obbligo di adeguamento -agli altri enti pubblici non economici. in ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è istituito il ruolo dei dirigenti, che si articola in due fasce: la prima (riguardante i dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali) e la seconda (riguardante i giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16: a) definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione; b) effettua, ai fini dell'adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l'assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni ed integrazioni, […]; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti e sub- procedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti”. (13) “le regioni a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell'articolo 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione”. LeGiSLAzione eD AttuALità dirigenti preposti ad uffici diversi da quelli dirigenziali generali), nel cui ambito sono definite apposite sezioni in modo da garantire la eventuale specificità tecnica (artt. 15 (14) e 23 (15)). vi è poi una terza tipologia di funzioni dirigenziali, la più importante tenuto conto della rilevanza degli uffici ai quali si è preposti, costituita dagli incarichi di segretario generale e di direzione di strutture articolate in più uffici dirigenziali generali (come il Capo Dipartimento di un Ministero); sono incarichi apicali, conferiti nelle Amm.ni statali con D.P.r., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, a personale con qualifica di dirigente o, entro certi limiti, a soggetti non appartenenti ai ruoli della dirigenza con determinati requisiti e qualità professionali. Ciò detto degli incarichi apicali, si tratterà dei dirigenti sia di prima e di seconda fascia. Le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali sono indicate dal comma 1 dell’art. 16: “a) formulano proposte ed esprimono pareri al ministro, nelle materie di sua competenza; a-bis) propongono le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4; b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali; c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale; d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti; d-bis) adottano i provvedimenti previsti dall'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni; e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21; f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n. 103; g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione e ri( 14) Che al comma 5 dispone: “per il consiglio di Stato e per i tribunali amministrativi regionali, per la corte dei conti, per il consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e per l'avvocatura generale dello Stato, le attribuzioni che il presente decreto demanda agli organi di governo sono di competenza rispettivamente, del presidente del consiglio di Stato, del presidente della corte dei conti, del presidente del consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e dell'avvocato generale dello Stato; le attribuzioni che il presente decreto demanda ai dirigenti preposti ad uffici dirigenziali di livello generale sono di competenza dei segretari generali dei predetti istituti”. (15) il cui comma 2 enuncia “È assicurata la mobilità dei dirigenti, nei limiti dei posti disponibili, in base all'articolo 30 del presente decreto”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 spondono ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza; h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro; i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti; l) curano i rapporti con gli uffici dell'unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell'organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo; l-bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti; l-ter) forniscono le informazioni richieste dal soggetto competente per l'individuazione delle attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione e formulano specifiche proposte volte alla prevenzione del rischio medesimo; l-quater) provvedono al monitoraggio delle attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell'ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva” (16). Le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali non generali sono indicate dal comma 1 dell’art. 17: “a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate; c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia; d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4; e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis; e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti” (17). (16) i commi 4 e 5 dell’art. 16 precisano: “4. gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui al presente articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico. 5. gli ordinamenti delle amministrazioni pubbliche al cui vertice è preposto un segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato, con funzione di coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale, ne definiscono i compiti ed i poteri”. LeGiSLAzione eD AttuALità in date percentuali (sul 20 % del numero dei dirigenti statali burocratici) possono essere investiti di funzioni dirigenziali anche persone estranee alla dirigenza burocratica della specifica amministrazione: l’organo di vertice, di governo può conferire l’incarico dirigenziale a persone reputate necessarie alla realizzazione degli obiettivi, in possesso comunque di requisiti di professionalità, anche esterni alla dirigenza burocratica dell’ente, come ad esempio funzionari o addetti dell’ente, funzionari, addetti o dirigenti di altri enti, anche privati; altre professionalità (la normativa di dettaglio è contenuta nei commi 5 bis e 6 dell’art. 19). tendenzialmente il dirigente appartenente all’ente svolge le funzioni dirigenziali. Può accadere tuttavia che il dirigente non svolga funzioni dirigenziali (quando non gli viene conferito l’incarico), oppure che le funzioni dirigenziali siano svolte da colui che non sia un dirigente appartenente all’ente. Circa i dirigenti burocratici -nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici - si osserva. Giusta l’art. 28 (18), i dirigenti della seconda fascia sono reclutati con due modalità: a) concorso indetto dalle singole amministrazioni; b) ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione. i dirigenti della prima fascia sono reclutati, giusta gli artt. 23 e 28 bis t.u.P.i., con due modalità: a) per il cinquanta per cento dei posti, tramite concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni. Al concorso per titoli ed esami possono essere ammessi i dirigenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, che abbiano maturato almeno cinque anni di servizio nei ruoli dirigenziali e gli altri soggetti in possesso di titoli di studio e professionali individuati nei bandi di concorso, con riferimento alle specifiche esigenze dell'Amministrazione; b) per i residui posti disponibili, mediante transito dei dirigenti della seconda fascia nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti secondo la disciplina del comma 1 del citato art. 23. regole peculiari sono dettate per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale (art. 26) e per la dirigenza delle istituzioni scolastiche (artt. 25 e 29). L’esito positivo del reclutamento determina l’accesso alla qualifica di di (17) il comma 1 bis del citato art. 17 statuisce: “i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile”. (18) il quale al comma 5, rinvia ad un regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, L. 23 agosto 1988, n. 400 per la disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente, adottato poi con D.P.r. 24 settembre 2004, n. 272. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 rigente -a seconda dei casi -della seconda fascia o della prima fascia e l’immissione nel ruolo. Con distinto atto, rispetto dalla immissione nel rispettivo ruolo, al dirigente viene conferito l’incarico dirigenziale, poi modalizzato in un contratto con durata temporanea, da tre a cinque anni. Finché non riceve l’incarico il dirigente non svolge le funzioni e beneficia di un trattamento base fondamentale (nell’ipotesi innanzi descritta del dirigente che non svolga funzioni dirigenziali). L’incarico viene conferito all’esito di un interpello tra coloro che si dichiarano disponibili alle funzioni. Al fine di assicurare la più ampia partecipazione ed in funzione della trasparenza l'amministrazione deve rendere conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta (art. 19, comma 1 bis). i commi 4 e 5 dell’art. 19 individuano l’autorità competente a conferire gli incarichi: -gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli o, in misura non superiore al 70 per cento della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti ai medesimi ruoli ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6; -gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti, dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio. L’interpello dà luogo ad una procedura selettiva non concorsuale, nella quale il decisore sceglie chi reputa idoneo alle funzioni, con valutazione e scelta ampiamente discrezionale. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale il comma 1 dell’art. 19 impone di tenere conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'art. 2103 c.c. Con il provvedimento di conferimento dell'incarico sono individuati l'oggetto dell'incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell'incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque LeGiSLAzione eD AttuALità anni. La durata dell'incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell'interessato. Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell'incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico, nel rispetto dei principi definiti dall'articolo 24. È sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto. in caso di primo conferimento ad un dirigente della seconda fascia di incarichi di uffici dirigenziali generali o di funzioni equiparate, la durata dell'incarico è pari a tre anni (art. 19, comma 2). L’incarico cessa prima della durata convenuta nell’ipotesi di revoca o di recesso dal rapporto di lavoro. Alla scadenza dell’incarico, previo interpello, il dirigente viene confermato nell’incarico oppure resta senza incarico. in questa evenienza o resta inofficioso o gli si dà un incarico non operativo, nelle more che, sempre all’esito di interpello, gli venga conferito un normale incarico operativo o venga collocato in quiescenza. Circa i caratteri dell’incarico non operativo si osserva che l’art. 19, comma 10, enuncia “i dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali”. il trattamento economico del dirigente è regolato dall’art. 24: -la retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, i quali devono prevedere che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti. il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire almeno il 30 % della retribuzione complessiva del dirigente; -il trattamento economico come innanzi determinato remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza (principio di omnicomprensività). 4.2. Funzionari e addetti. Le risorse umane operative possono essere distinte in funzionari ed addetti. i primi, diplomati o laureati, svolgono un lavoro prevalentemente intellettuale. i secondi, con titoli inferiori, svolgono un lavoro prevalentemente manuale (esempio: commessi ed autisti). tra i funzionari vi possono essere persone che svolgono un lavoro di co rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 ordinamento e direzione di altre risorse umane. Ciò in virtù di deleghe dei dirigenti. oppure in virtù del conferimento delle c.d. posizioni organizzative, istituto della contrattazione collettiva in virtù del quale al personale dipendente delle PP.AA. sono attribuiti particolari incarichi per il cui assolvimento sono richieste peculiari competenze culturali e professionali (19). La posizione organizzativa viene attribuita con criteri fissati dalla contrattazione collettiva tra i dipendenti che si dichiarino disponibili all’esito di procedura di interpello. il dipendente titolare di P.o. ha diritto ad un compenso aggiuntivo. il dirigente non è libero nell'assegnazione della posizione organizzativa in presenza della selezione di diversi candidati (20). 5. la Selezione Dei pubblici DipenDenTi. (21) il complesso dei pubblici dipendenti, delle risorse umane alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche italiane ammonta ad oltre tre milioni di unità (22). A partire dalla crisi del 2008 -allo scopo di contenere la spesa pubblica -si è assistito al cosiddetto blocco del turn over, ossia al blocco delle assunzioni (23), anche a fronte dei progressivi pensionamenti dei più anziani. tale blocco ha determinato, di conseguenza, anche un innalzamento dell’età media del personale in servizio, con ciò accentuando il dato che la pubblica amministrazione italiana è un’amministrazione vecchia. Si pensi che nel 2007, l’età anagrafica media risultava di quasi 47 anni (24), mentre nel 2021 risulta di 50 anni. Solo a partire dal 2018 il blocco è cessato, con una ripresa delle procedure assunzionali. il personale delle PP.AA. appare scarsamente qualificato (25), il basso li (19) Ad es. l’art. 13 del CCnL del Comparto delle Funzioni locali del 21 maggio 2018 istituisce l’Area delle posizioni organizzative, ossia posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità comprese quelle comportanti anche l’iscrizione ad albi professionali, richiedenti elevata competenza specialistica acquisita attraverso titoli formali di livello universitario del sistema educativo e di istruzione oppure attraverso consolidate e rilevanti esperienze lavorative in posizioni ad elevata qualificazione professionale o di responsabilità, risultanti dal curriculum. (20) Così Cass., 12 giugno 2020 n. 11367, la quale precisa che in mancanza di adeguata motivazione del provvedimento di nomina, ben può il giudice adito dal candidato ritenuto estromesso giudicare irrazionale la scelta effettuata e condannare l'ente a rimborsare la perdita di chance nella misura pari al 90% del valore della posizione organizzativa del candidato leso dal provvedimento immotivato del dirigente. (21) Sulla problematica: M. GerArDo, la selezione della burocrazia in italia nell’attuale momento storico in rass. avv. dello Stato 2018, 4, pp. 259-283. (22) La Pubblica Amministrazione italiana al 1° gennaio 2021 conta 3.212.450 dipendenti. (23) totale o parziale -negli anni precedenti il 2018 del 75%, ossia, per ogni quattro risorse umane cessate vi è la capacità di assumere una risorsa umana - nel corso degli anni. (24) Così: L. torChiA (a cura di), il sistema amministrativo italiano, il Mulino, 2009, p. 280. (25) “Sulla formazione dei dipendenti pubblici l’italia continua ad investire poco. nel 2019, l’ul LeGiSLAzione eD AttuALità vello della formazione incide inevitabilmente, rallentandoli, sui programmi di riforma e di ammodernamento delle organizzazioni pubbliche; fortemente carente è anche l’organizzazione delle attività di formazione iniziale e continua. La qualità, le capacità, le attitudini dei dipendenti sono eterogenee, variabili a seconda della distribuzione geografica, dell’età, delle discutibili politiche di acquisizione delle risorse umane (specie il precariato, conseguente a meccanismi di assunzione diversi dal concorso). Si presenta necessaria una riorganizzazione dell’assetto delle PP.AA. per far fronte ai cambiamenti dei processi lavorativi indotti dall’utilizzo delle nuove tecnologie e dalle innovazioni legislative, acquisendo le competenze necessarie a supportare processi di sviluppo sostenibile coerenti con gli obiettivi comunitari e nazionali. 5.1. modalità con le quali l’amministrazione procede alla provvista delle risorse umane. in italia, come in altri paesi, il modello ordinario con il quale la P.A. procede alla provvista delle risorse umane è quello del concorso. tale modello è reputato funzionale alla selezione, in modo imparziale e senza favoritismi, dei migliori in relazione alle esigenze delle amministrazioni. nel nostro ordinamento vi è una espressa norma di rango costituzionale, ossia l’art. 97, comma 4, che testualmente dispone: “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. La regola del concorso per l'accesso agli impieghi nella P.A. esclude la nomina politica, a favore di un sistema selettivo che assicuri una legittimazione tecnica dei pubblici dipendenti. in altri termini, il concorso pubblico è la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto offre la migliore garanzia di selezione dei soggetti più capaci ed è quindi strumento di efficienza dell'azione amministrativa (26). Corollario di ciò è la regola dell’anonimato delle selezioni concorsuali (27). La Corte costituzionale è stata spesso chiamata ad intervenire per valutare timo anno fotografato dalla ragioneria dello Stato, l’investimento complessivo è stato di 163,7 milioni di euro, 110 milioni in meno rispetto a 10 anni fa, che corrispondono a una media di 1,2 giorni di formazione l’anno. i laureati nella pa sono il 41,5%, cresciuti del 21,5% negli ultimi 10 anni, ma con un predominio di giuristi: 3 su dieci sono laureati in giurisprudenza, il 17% in economia, il 16% in scienze politiche o sociologia. Secondo i dati istat la formazione è soprattutto su competenze tecnico specialistiche (45,2% dei partecipanti) e giuridico-normativa (30,9%), mentre solo una minoranza ha svolto corsi per accrescere competenze digitali (5%) o di project management (2,3%)”: da “Forumpa 2021, presentata la ricerca sul lavoro pubblico”, 21 giugno 2021, sul sito del Ministro per la Pubblica Amministrazione, dal quale sono stati ricavati gli ulteriori dati al 2021 riportati nel testo. (26) Sulla valenza costituzionale del principio in ordine a tali temi e a quelli di seguito riportati: r. CArAntA, nel commento sub art. 97 Cost., in A. CeLotto, M. oLivetti, r. BiFuLCo, commentario alla costituzione, vol. ii, utet, 2006. (27) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2013, n. 26. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 la legittimità di disposizioni statali e regionali che escludevano la regola del concorso per l'assunzione agli impieghi presso le PP.AA. ovvero riservavano a personale già dipendente, spesso precario, la partecipazione ai concorsi per l'assunzione, anche a cariche dirigenziali, o per l'avanzamento in carriera. il giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittime per violazione dell'art. 97, comma 4, Cost., le disposizioni legislative che riservano al personale già dipendente, anche sprovvisto di titolo di studio universitario, l'accesso alla dirigenza. ha osservato la Corte che il pubblico concorso è “meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell'amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possono giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell'amministrazione” (28). riassumendo i risultati cui era già pervenuta la giurisprudenza costituzionale, in una successiva pronuncia la Corte costituzionale ha rilevato “che l'accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni più elevate non sfugge, di norma, alla regola del pubblico concorso, cui è possibile apportare deroghe solo in particolari situazioni che ne dimostrino la ragionevolezza”, cosicché, “di regola, questo requisito non è configurabile [...] a proposito di norme che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori (senza concorso o comunque senza adeguate selezioni o verifiche attitudinali) o concorsi interni per la totalità dei posti vacanti” (29). La disposizione del comma 4, art. 97 Cost., come visto, ammette eccezioni alla regola del concorso; la giurisprudenza costituzionale, premesso dunque che la regola del concorso pubblico non è assoluta, consentendosi deroghe legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri appartenenti alla (28) C. Cost., sentenza 16 maggio 2002, n. 194 la quale, tra l’altro, precisa che è illegittimo un concorso "interno" riservato ai dipendenti dell'amministrazione (sub specie di procedura di riqualificazione), laddove è legittimo un concorso pubblico con riserva di posti; inoltre deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono ammissibili soltanto nei limiti segnati all'esigenza di garantire il buon andamento dell'amministrazione o di attuare altri principi di rilievo costituzionale, in ragione delle peculiarità di particolari uffici. (29) C. Cost., sentenza 24 luglio 2003, n. 274; la stessa decisione, peraltro, precisa che “la giurisprudenza di questa corte ritiene che alla regola del pubblico concorso […] sia possibile apportare deroghe (come del resto ammette il terzo comma dell'art. 97 cost.) qualora ricorrano particolari situazioni che le rendano non irragionevoli (da ultimo, ordinanza n. 517 del 2002). ai fini di una valutazione di non irragionevolezza della disciplina in esame è rilevante considerare come essa riguardi l'inserimento in posti di ruolo di soggetti i quali si trovavano da tempo, nell'ambito dell'amministrazione regionale (o degli enti regionali), in una posizione di precarietà, perché assunti con contratto a termine o con la particolare qualificazione connessa alla figura degli addetti a lavori socialmente utili; e quindi verosimilmente avevano, nella precarietà, acquisito l'esperienza necessaria a far ritenere la stabilizzazione della loro posizione funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, comma 1, della costituzione)”. LeGiSLAzione eD AttuALità discrezionalità del legislatore, ritiene che essa non escluda forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti, purché rispondano a criteri di ragionevolezza e siano comunque in armonia con le disposizioni costituzionali e tali da non contraddire i principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, principi che costituiscono la base comune della previsione con- corsuale-selettiva (30). La norma costituzionale, alla luce anche degli orientamenti della Corte Costituzionale, viene precisata nell’art. 35 secondo cui -fatte salve le ipotesi di avviamento obbligatorio degli iscritti nelle liste di collocamento e le assunzioni obbligatorie dei soggetti di cui alla L. 12 marzo 1999, n. 68 -l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro, tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno. L’articolo dispone altresì: “3. le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi: a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione; b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento delle procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali; e-ter) possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento di alta specializzazione, il possesso del titolo di dottore di ricerca o del master universitario di secondo livello o l'essere stati ti( 30) C. Cost., sentenza 31 ottobre 1995, n. 478, che precisa: la “regola del pubblico concorso, applicabile anche al passaggio a funzioni superiori (sent. n. 313 del 1994; sent. n. 487 del 1991 e sent. n. 161 del 1990), non esclude forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti, purché rispondano a criteri di ragionevolezza (presenza di peculiari situazioni giustificatrici senza automatismi: sent. n. 314 del 1994; valutazione delle mansioni concretamente svolte in precedenza: sent. n. 134 del 1995) e siano comunque in armonia con le disposizioni costituzionali e tali da non contraddire i principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione. Tali ultimi due principi costituiscono la base comune della previsione concorsuale-selettiva”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 tolari per almeno due anni di contratti di ricerca di cui all'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. […] 3-bis. le amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno, nonché del limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati dai documenti di finanza pubblica e, per le amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui al comma 4, possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico: a) con riserva dei posti, nel limite massimo del 40 per cento di quelli banditi, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che, alla data di pubblicazione dei bandi, hanno maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando; b) per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l'esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che, alla data di emanazione del bando, hanno maturato almeno tre anni di contratto di lavoro flessibile nell'amministrazione che emana il bando. […] 4. le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base del piano triennale dei fabbisogni approvato ai sensi dell'articolo 6, comma 4. con decreto del presidente del consiglio dei ministri di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, sono autorizzati l'avvio delle procedure concorsuali e le relative assunzioni del personale delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie e degli enti pubblici non economici. […]. 5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 4, comma 3-quinquies (31), del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, (31) Per il quale il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le PP.AA. di cui all'articolo 35, comma 4, t.u.P.i. si svolge mediante concorsi pubblici unici, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento. i concorsi unici sono organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche avvalendosi della Commissione riPAM, previa ricognizione del fabbisogno presso le amministrazioni interessate, nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni a tempo indeterminato. il Dipartimento della funzione pubblica, nella ricognizione del fabbisogno, verifica le vacanze riguardanti le sedi delle amministrazioni ricadenti nella medesima regione. ove tali vacanze risultino riferite ad una singola regione, il concorso unico si svolge in ambito regionale, ferme restando le norme generali di partecipazione ai concorsi pubblici. Le PP.AA. di cui all'articolo 35, comma 4, del t.u.P.i., nel rispetto del regime delle assunzioni a tempo indeterminato, possono assumere personale solo attingendo alle nuove graduatorie di concorso predisposte presso il Dipartimento della funzione pubblica, fino al loro esaurimento, provvedendo a programmare le quote annuali di assunzioni. All’evidenza, questa previsione impone alle amministrazioni dello Stato, alle agenzie e agli enti pubblici economici, concorsi pubblici unici per il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni. il trascritto art. 35, comma 5 ha poi espressamente previsto, seppure in termini di facoltà, che anche tutte le restanti amministrazioni, diverse da quelle centrali, possano rivolgersi al Dipartimento della funzione pubblica per l'organizzazione di concorsi unici accentrati o aggregati per dirigenti o figure comuni. LeGiSLAzione eD AttuALità dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, per le amministrazioni di cui al comma 4, le restanti amministrazioni pubbliche, per lo svolgimento delle proprie procedure selettive, possono rivolgersi al Dipartimento della funzione pubblica e avvalersi della commissione per l'attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (ripam). Tale commissione è nominata con decreto del ministro per la pubblica amministrazione […]. la commissione: a) approva i bandi di concorso per il reclutamento di personale a tempo indeterminato; b) indìce i bandi di concorso e nomina le commissioni esaminatrici; c) valida le graduatorie finali di merito delle procedure concorsuali trasmesse dalle commissioni esaminatrici; d) assegna i vincitori e gli idonei delle procedure concorsuali alle amministrazioni pubbliche interessate; e) adotta ogni ulteriore eventuale atto connesso alle procedure concorsuali, fatte salve le competenze proprie delle commissioni esaminatrici. a tali fini, la commissione ripam si avvale di personale messo a disposizione dall'associazione Formez pa. […] 5.2. il Dipartimento della funzione pubblica […] elabora […] linee guida di indirizzo amministrativo sullo svolgimento delle prove concorsuali e sulla valutazione dei titoli, ispirate alle migliori pratiche a livello nazionale e internazionale in materia di reclutamento del personale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente in materia (32). […] 5-bis. i vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, ad eccezione dei direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche ed educative che permangono nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a tre anni. la presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi. 5-ter. le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali. il principio della parità di condizioni per l'accesso ai pubblici uffici è garantito, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato. […] 7. il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei principi fissati dai commi precedenti”. ulteriori norme generali di riferimento si rinvengono, oltre al citato art. 35, nel D.P.r. 9 maggio 1994, n. 487 (regolamento recante norme sull'accesso agli (32) Per le linee guida previste dal citato comma: Direttiva 24 aprile 2018, n. 3/2018. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, oggetto di rinvio formale dall’art. 70, comma 13 attribuente al detto regolamento un rango legislativo) (33), nel D.P.r. 24 settembre 2004, n. 272 (regolamento di disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente) e nel D.P.r. 16 aprile 2013, n. 70 (regolamento recante riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione). 5.2. contenuto della preparazione richiesta ai candidati. Circa il contenuto della preparazione richiesta in capo ai candidati ci si può riferire ai modelli francese ed inglese. nell’amministrazione pubblica francese, la componente giuridica è molto forte, i laureati in diritto sono favoriti nell’accesso alla pubblica amministrazione. nel regno unito vi è un ruolo limitato dell’elemento giuridico; scarso è il personale amministrativo di formazione giuridica. La burocrazia ha una formazione generalista (lettere classiche, filosofia, scienze politiche ecc.). Al ruolo secondario della formazione giuridica fa riscontro uno sviluppo limitato della stessa cultura giuridica amministrativa (34). L’ordinamento giuridico italiano è sempre stato caratterizzato dalla prevalenza, alla luce dei compiti da svolgere, dell’elemento giuridico. Ciò anche nell’attuale momento storico in cui si tende ad una gestione economicistica della P.A. vuol dirsi che vi è una accentuata formalizzazione dell’attività amministrativa. Quest’ultima deve svolgersi secondo schemi predeterminati e trasparenti, finalizzati a garantire la collettività contro il rischio di un uso distorto dei poteri sovraordinati e delle risorse pubbliche. La formalizzazione riguarda, tra l’altro, le modalità di svolgimento delle operazioni tecnico-economiche, la definizione dei tempi di svolgimento dell’attività, la concretizzazione delle decisioni a rilevanza esterna in un atto formale (ad esempio: una delibera del direttore generale), la definizione di alcuni elementi che devono essere necessariamente presenti nell’atto formale (ad esempio: la motivazione con i requisiti di cui all’art. 3 L. n. 241/1990) (35). A termini dell’art. 37 i bandi di concorso per l'accesso alle PP.AA. prevedono l'accertamento della conoscenza dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e della lingua inglese, nonché, ove op (33) nella recente legislazione si tende a semplificare le procedure contenute nei testi standard. A tal fine si richiama l’art. 14, comma 10 ter, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. l. 28 marzo 2019, n. 26, in relazione ai concorsi pubblici ivi disciplinati per il reclutamento del personale degli uffici giudiziari, anche in deroga alla disciplina prevista dal regolamento di cui al D.P.r. n. 487/1994. (34) Su tali concetti: S. CASSeSe, il diritto amministrativo: storia e prospettive, Giuffré, 2010, pp. 59 e ss. e 84 e ss. (35) M. CuCCinieLLo, G. FAttore, F. LonGo, e. riCCiuti, A. turrini, management pubblico, cit., pp. 35-36. LeGiSLAzione eD AttuALità portuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. in materia di formazione del personale -negli ultimi anni -si è ravvisata la necessità di rafforzare la capacità strategico-decisionale del management pubblico, in quanto risulta focale saper trovare soluzioni in modo rapido, mirato e al contempo trasparente, saper leggere la complessità ed agire in direzione di una maggiore integrazione tra ruolo e competenze, che sempre di più devono allinearsi in ragione di obiettivi da raggiungere, responsabilità, risorse disponibili ed impiegate. 5.3. piano triennale dei fabbisogni di personale e piano integrato di attività e organizzazione. piano triennale dei fabbisogni di personale. Strumento programmatorio necessario -per ogni P.A. -al fine di selezionare le risorse umane è il piano triennale dei fabbisogni di personale (P.t.F.P.). Sul punto l’art. 6, commi 2 e 3, dispone: “2. allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, le amministrazioni pubbliche adottano il piano triennale dei fabbisogni di personale, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance, nonché con le linee di indirizzo emanate ai sensi dell'articolo 6-ter. Qualora siano individuate eccedenze di personale, si applica l'articolo 33. nell'ambito del piano, le amministrazioni pubbliche curano l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale, anche con riferimento alle unità di cui all'articolo 35, comma 2. il piano triennale indica le risorse finanziarie destinate al- l'attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. 3. in sede di definizione del piano di cui al comma 2, ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati e secondo le linee di indirizzo di cui all'articolo 6-ter, nell'ambito del potenziale limite finanziario massimo della medesima e di quanto previsto dall'articolo 2, comma 10-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, garantendo la neutralità finanziaria della rimodulazione. resta fermo che la copertura dei posti vacanti avviene nei limiti delle assunzioni consentite a legislazione vigente” (36). (36) Giusta il comma 4 dell’art. 6: “nelle amministrazioni statali, il piano di cui al comma 2, adottato annualmente dall'organo di vertice, è approvato, anche per le finalità di cui all'articolo 35, comma 4, con decreto del presidente del consiglio dei ministri o del ministro delegato, su proposta del ministro competente, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze. per le altre amministrazioni pubbliche il piano triennale dei fabbisogni, adottato annualmente nel rispetto delle previsioni di cui ai commi 2 e 3, è approvato secondo le modalità previste dalla disciplina dei propri ordinamenti. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 La definizione del Piano dei fabbisogni, deve tener conto dei contenuti delle linee di indirizzo per la pianificazione dei fabbisogni di personale di cui all’art. 6 ter (37). La programmazione triennale del fabbisogno delle dotazioni organiche costituisce presupposto per effettuare nuove assunzioni di personale, giusta l’art. 6, comma 6, a tenore del quale: “le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale”. piano integrato di attività e organizzazione. Giusta l’art. 6 D.L. 9 giugno 2021, n. 80, conv. L. 6 agosto 2021, n. 113, le PP.AA. con più di cinquanta dipendenti -con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, di cui all’art. 1, comma 2, t.u.P.i. -entro il 31 gennaio di ogni anno adottano il Piano integrato di attività e organizzazione (PiAo), il quale assorbe, tra l’altro, i contenuti del Piano triennale dei fabbisogni di personale. Le PP.AA. con meno di cinquanta dipendenti -escluse sempre le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative -sono comunque tenute alla adozione di un PiAo con modalità semplificate (38). il Piano ha durata triennale, viene aggiornato annualmente e definisce: a) gli obiettivi programmatici e strategici della performance secondo i principi e criteri direttivi di cui all’art. 10 D. L.vo 27 ottobre 2009, n. 150; b) la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati ai processi di pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all’accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all’ambito d’impiego e alla progressione di carriera del personale; c) gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, prevedendo, oltre alle forme di reclutamento ordinario, la percentuale di posizioni disponibili nei limiti stabiliti dalla legge destinata alle progressioni di carriera del personale, anche tra aree diverse, e le modalità di valorizzazione a tal fine dell’esperienza professionale maturata e dell’accrescimento culturale conseguito, assicurando adeguata informazione alle organizzazioni sindacali; d) gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dei risultati dell’attività e dell’organizzazione amministrativa non- nell'adozione degli atti di cui al presente comma, è assicurata la preventiva informazione sindacale, ove prevista nei contratti collettivi nazionali”. (37) Le linee di indirizzo sono state emanate in data 8 maggio 2018 dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. (38) Per una introduzione al tema: A.M. SAvAzzi, r. CArDAMone, il piano integrato di attività e organizzazione (piao), in azienditalia, 2022, 4, pp. 775 e ss. LeGiSLAzione eD AttuALità ché per raggiungere gli obiettivi in materia di contrasto alla corruzione, in conformità agli indirizzi adottati dall’Autorità nazionale anticorruzione (AnAC) con il Piano nazionale anticorruzione; e) l'elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti, nonché la pianificazione delle attività inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati; f) le modalità e le azioni finalizzate a realizzare la piena accessibilità alle amministrazioni, fisica e digitale, da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità; g) le modalità e le azioni finalizzate al pieno rispetto della parità di genere, anche con riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi. L’art. 6, comma 6, D.L. n. 80/2021 dispone che con decreto del Ministro per la P.A., di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 9, comma 2, D.L.vo 28 agosto 1997, n. 281 è adottato un Piano tipo, quale strumento di supporto alle PP.AA. (39); dispone altresì che nel Piano tipo sono definite modalità semplificate per l’adozione del Piano da parte delle PP.AA. con meno di cinquanta dipendenti. il PiAo, in funzione della semplificazione, assorbe il contenuto di molteplici piani aventi ad oggetto vari aspetti dell’organizzazione delle risorse umane delle Amm.ni. tanto sulla base del disposto del comma 5 dell’art.6 D.L. n. 80/2021 secondo cui con uno o più D.P.r., adottati ai sensi dell’art. 17, comma 2, L. 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art.9, comma 2, D.L.vo n. 281/1997, sono individuati e abrogati gli adempimenti relativi ai piani assorbiti da quello di cui al presente articolo. in attuazione della disposizione in esame è stato adottato il D.P.r. 24 giugno 2022, n. 81 (regolamento recante individuazione degli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal Piano integrato di attività e organizzazione). in specie, per le PP.AA. con più di cinquanta dipendenti, sono soppressi, in quanto assorbiti nelle apposite sezioni del PiAo, gli adempimenti inerenti ai piani di cui alle seguenti disposizioni: a) Piano triennale dei fabbisogni di personale ex art. 6, commi 1 e 4; b) Piano delle azioni concrete ex artt. 60 bis e 60 ter; c) Piano per razionalizzare l’utilizzo delle dotazioni strumentali, anche informatiche, che corredano le stazioni di lavoro nell’automazione d’ufficio ex art. 2, comma 594, lettera a), L. 24 dicembre 2007, n. 244; d) Piano della performance ex art.10, commi 1, lettera a), e 1 ter, D.L.vo n. 150/2009; e) Piano di prevenzione della corruzione ex art. 1, commi 5, lettera a) e 60, lettera a), L. 6 novembre 2012, n. 190; f) Piano or( 39) in attuazione della disposizione in esame è stato adottato il D.M. 30 giugno 2022, n. 132 (regolamento recante definizione del contenuto del Piano integrato di attività e organizzazione). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 ganizzativo del lavoro agile ex art. 14, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124; g) Piani di azioni positive ex art. 48, comma 1, D.L.vo 11 aprile 2006, n. 198 (40). Per le PP.AA. tenute alla redazione del PiAo, tutti i richiami ai piani innanzi individuati sono da intendersi come riferiti alla corrispondente sezione del PiAo. Le PP.AA. con non più di cinquanta dipendenti sono tenute al rispetto degli adempimenti stabiliti nel decreto del Ministro della P.A. di cui all’art. 6, comma 6, D.L. n. 80/2021. Dalla complessiva disciplina emerge che i Comuni con meno di 50 dipendenti sono obbligati a continuare ad adottare i singoli piani nonché il PiAo. il PiAo è adottato dagli organi di indirizzo politico e per le PP.AA. che ne sono sprovviste, dagli organi di vertice in relazione agli specifici ordinamenti; negli enti locali il piano è approvato dalla giunta (art. 11 D.M. 30 giugno 2022, n. 132). Le regioni, per quanto riguarda le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, adeguano i rispettivi ordinamenti ai principi di cui all’art. 6 D.L. n. 80/2021 e ai contenuti del Piano tipo definiti con il decreto del Ministro della P.A. di cui all’art. 6, comma 6, D.L. n. 80/2021. Le PP.AA. pubblicano il PiAo e i relativi aggiornamenti entro il 31 gennaio di ogni anno nel proprio sito internet istituzionale e li inviano al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per la pubblicazione sul relativo portale. in caso di mancata adozione del PiAo è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell’adempimento dei propri compiti, e l’amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. nei casi in cui la mancata adozione del Piano dipenda da omissione o inerzia dell’organo di indirizzo politico-amministrativo, l’erogazione dei trattamenti e delle premialità di cui al titolo iii del D.L.vo n.150/2009 è fonte di (40) Questo orientamento semplificatorio obbedisce ad ovvi principi di buon andamento della P.A. in dottrina -prima della novella del 2021 introducente il PiAo -si era rilevato che “Sarebbe auspicabile la fusione (per incorporazione) del piano triennale dei fabbisogni del personale nel piano della performance. ambedue i piani hanno un orizzonte triennale. le risorse umane, in fondo, costituiscono un aspetto del piano della performance: i mezzi umani per realizzare gli obiettivi strategici ed operativi. l’unificazione dei piani comporterebbe altresì l’eliminazione della rincorsa reciproca tra i due piani. per vero, l’optimum a livello programmatorio è l’adozione di un unico piano che inglobi: piano della performance; -piano triennale dei fabbisogni del personale (strumentale, sotto il profilo delle risorse umane, alla realizzazione degli obiettivi declinati nel piano della performance); -bilancio (strumentale, sotto il profilo delle risorse finanziarie, alla realizzazione degli obiettivi declinati nel piano della performance); -piano triennale delle azioni positive e piano di prevenzione della corruzione e della trasparenza (contenenti obiettivi reputati connotativi dell’ente)” (così M. GerArDo, la selezione della burocrazia in italia nell’attuale momento storico, cit., pp. 280-281). LeGiSLAzione eD AttuALità responsabilità amministrativa del titolare dell’organo che ne ha dato disposizione e che ha concorso alla mancata adozione del Piano. 5.4. presupposti delle assunzioni delle risorse umane (vincoli scaturenti dalla necessità della adozione di atti generali). nella recente legislazione si è condizionata la possibilità di assunzione delle risorse umane alla previa adozione di atti, di solito di carattere generale. L’assenza di tali atti rende illegittime le assunzioni. trattasi di un modo ruvido di “costringere” le amministrazione ad adottare atti reputati necessari e strategici per la vita dell’ente. All’uopo si richiamano, quali circostanze condizionanti le assunzioni oltre al sopracitato Piano triennale dei fabbisogni di personale -i seguenti atti: -gli adempimenti collegati alla approvazione dei bilanci di previsione, dei rendiconti e del bilancio consolidato (41); - l’approvazione del Piano della performance (42); - l’approvazione del Piano triennale delle Azioni Positive (43). 5.5. atti prodromici al procedimento concorsuale (scorrimento della graduatoria; mobilità). Prima dell’espletamento delle procedure concorsuali, l’amministrazione (41) Art. 9, commi 1-quinquies, 1-sexies, 1-septies D.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. l. 7 agosto 2016, n. 160 secondo cui: “1-quinquies. in caso di mancato rispetto dei termini previsti per l'approvazione dei bilanci di previsione, dei rendiconti e del bilancio consolidato, nonché di mancato invio, entro trenta giorni dal termine previsto per l'approvazione, dei relativi dati alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, compresi i dati aggregati per voce del piano dei conti integrato, gli enti territoriali, ferma restando per gli enti locali che non rispettano i termini per l'approvazione dei bilanci di previsione e dei rendiconti la procedura prevista dall'articolo 141 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto, fino a quando non abbiano adempiuto. È fatto altresì divieto di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della disposizione del precedente periodo. 1-sexies. la misura di cui al comma 1-quinquies si applica alle regioni e alle province autonome di Trento e di bolzano in caso di ritardo oltre il 30 aprile nell'approvazione preventiva del rendiconto da parte della giunta, per consentire la parifica da parte delle sezioni regionali di controllo della corte dei conti, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118; essa non si applica in caso di ritardo nell'approvazione definitiva del rendiconto da parte del consiglio. 1-septies. per le regioni e le province autonome di Trento e di bolzano, la misura di cui al comma 1-quinquies si applica sia in caso di ritardo nella trasmissione dei dati relativi al rendiconto approvato dalla giunta per consentire la parifica delle sezioni regionali di controllo della corte dei conti, sia in caso di ritardo nella trasmissione dei dati relativi al rendiconto definitivamente approvato dal consiglio”. (42) Art. 10, comma 5, D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150: “in caso di mancata adozione del piano della performance […] l'amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati”. (43) Art. 48 D.L.vo 11 aprile 2006, n. 198, richiamante l’art. 6, comma 6, t.u.P.i. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 è tenuta a determinati adempimenti, funzionali alla razionale riallocazione del personale nell’ambito del settore pubblico globalmente inteso. in tale evenienza la procedura concorsuale è subordinata, ad esempio, alla previa obbligatoria attivazione della procedura di mobilità, in attuazione dei fondamentali principi di imparzialità e buon andamento, predicati dall'articolo 97 Cost. il detto obbligo è stato introdotto in coerenza con l’obiettivo di contenimento dei costi della spesa pubblica, in base al quale l’amministrazione è tenuta a curare “l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale” (art. 6, comma 2). Scorrimento della graduatoria. Con la dizione “scorrimento della graduatoria” si fa riferimento alla fattispecie della vigenza di pregresse graduatorie in relazione alla categoria e profilo di cui necessita la P.A. giusta l’art. 35, comma 5 ter, “le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di pubblicazione”. in applicazione di tale regola, ove nel biennio si crea una vacanza in organico l’Amm.ne è tenuta ad attingere a graduatorie vigenti. mobilità. La mobilità, ossia il passaggio del dipendente da una P.A. ad altra P.A. consente di acquisire personale già formato e con esperienza nel ruolo, garantendo un evidente risparmio di tempi e di spesa. essendo rivolta a personale già ritenuto idoneo allo svolgimento delle mansioni proprie del profilo professionale richiesto, il dipendente non può essere nuovamente sottoposto ad una prova selettiva al fine di valutarne l’idoneità: tale valutazione potrebbe essere considerata un semplice pretesto per eludere il contenimento della spesa pubblica e ricorrere comunque alla successiva procedura concorsuale. vanno distinte due tipi di mobilità esterna: mobilità d’ufficio e mobilità volontaria. mobilità d’ufficio. L’art. 34 bis, comma 1, prescrive che le PP.AA., ad eccezione delle categorie escluse ex art. 3 “prima di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a comunicare ai soggetti di cui all'articolo 34, commi 2 e 3, l'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonché, se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneità richieste”. La gestione delle eccedenze ex artt. 33, 34 e 34 bis va effettuata prima della mobilità volontaria, come risulta dalla sequenza degli adempimenti descritti nel comma 2 dell’art. 6 ed altresì dal disposto di cui all’art. 4, comma 3 bis, D.L. n. 101/2013 secondo cui al fine della copertura dei posti in organico, è comunque necessaria la previa attivazione della procedura prevista dal- l'art. 33, in materia di trasferimento unilaterale del personale eccedentario. Le risorse umane interessate alla mobilità sono quelle c.d. eccedentarie, ossia risultanti esuberanti presso l’ente di appartenenza. in tale evenienza va osservata la disciplina contenuta nei citati artt. 33, 34 e 34 bis, prevedente un LeGiSLAzione eD AttuALità forte coordinamento del Dipartimento della funzione pubblica. il procedimento è così riassumibile: -accertamento di situazioni di soprannumero o di eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di aggiornamento annuale del Piano triennale dei fabbisogni del personale; -in presenza di personale eccedentario, ove possibile, si applica l'art. 72, comma 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. L. 6 agosto 2008, n. 133, ed in subordine, si verifica la ricollocazione totale o parziale del detto personale nell'ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse. Andate a vuoto le attività ora descritte l'amministrazione colloca in disponibilità il personale. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 % dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi secondo l'ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro; -ove nei ventiquattro mesi dal collocamento in disponibilità non riescano le procedure di mobilità, al fine del ricollocamento del dipendente, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto. Le assunzioni effettuate in violazione delle regole sulla mobilità di ufficio sono nulle di diritto. mobilità volontaria. Dopo la mobilità d’ufficio va operata la mobilità volontaria ex art. 30. Giusta l’art. 30, comma 2 bis:“le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, […]. il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria”. il citato primo comma così dispone: “1. le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. […]”. All’uopo, le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere (44). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 La mobilità è volontaria perché è richiesta dal lavoratore interessato il quale transita nell’Amm.ne di destinazione necessitante di risorse umane. occorre, a date condizioni, l’assenso dell’Amm.ne di appartenenza (45); ove non sia necessario l’assenso dell’amministrazione di appartenenza, questa dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell’amministrazione di destinazione (arg. ex art. 30, comma 1, in fine). vi è una cessione del contratto di lavoro che non richiede necessariamente -secondo la regola generale ex art. 1406 c.c. -il consenso dei tre attori (lavoratore ceduto, P.A. di appartenenza cedente, P.A. di destinazione cessionaria). L’obbligo per la P.A. di avviare le procedure di mobilità prima di procedere all’espletamento delle procedure concorsuali ben si coordina con le strategie volte a contemperare il prevalente interesse pubblico alla razionalità dell’organizzazione pubblica e alla funzionalità dei suoi uffici (rimediando, ad es. ad eccedenze di personale presso la P.A. di provenienza), con le esigenze di riduzione della spesa pubblica e le aspirazioni dei pubblici dipendenti di poter espletare la propria attività in uffici quanto più possibili vicino alle proprie abitazioni. in talune circostanze si reputa che la mobilità intralci i tempi delle assunzioni, sicché con puntuale disposizione legislativa si interviene a derogare alla descritta fase preconcorsuale (46). La mobilità volontaria può essere attivata su tutto il personale da assumere, come risultante dal Piano triennale dei Fabbisogni, o per una quota parte. Può condurre alla scelta di una mobilità per quota parte l’esigenza di una ossigenazione dell’amministrazione con un ricambio mediante forze nuove (cosa che riduce gli spazi della mobilità); il contemperamento tra mobilità volontaria (44) Si precisa in giurisprudenza che l’art. 30, comma 2 bis, è del tutto univoco nell’imporre alle amministrazioni di avviare le procedure di mobilità per ricoprire i posti vacanti in organico prima di espletare le procedure concorsuali. tale obbligo consente di dare concreta attuazione ai principi di buon andamento ed efficienza, senza comprimere l’autonomia delle singole amministrazioni a bandire procedure concorsuali (così: Cons. Stato, 18 agosto 2010, n. 5830). (45) “È richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall’amministrazione cedente o di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. È fatta salva la possibilità di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell’istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione. le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale e degli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100, per i quali è comunque richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza. al personale della scuola continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia” (art. 30, comma 1). (46) Può citarsi quale esempio l’art. 3, comma 8, L. 19 giugno 2019, n. 56 secondo cui: “al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, fino al 31 dicembre 2024, le procedure concorsuali bandite dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le conseguenti assunzioni possono essere effettuate senza il previo svolgimento delle procedure previste dall’articolo 30 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001”. LeGiSLAzione eD AttuALità e procedure selettive è collegato al principio della razionale gestione delle risorse umane, principio riconosciuto dall’art. 6, comma 2, per il quale, tra l’altro “nell’ambito del piano, le amministrazioni pubbliche curano l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale” (47). 5.6. procedimento concorsuale. L’art. 36, comma 1, recita che “per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35”, ossia il procedimento concorsuale. La periodicità del procedimento concorsuale, in un’ottica di buona amministrazione, va agganciata alla periodicità del piano triennale dei fabbisogni di personale. Sicché i concorsi andrebbero banditi ogni triennio per la selezione di quei profili necessari alla luce di fabbisogni emergenti dal P.t.F.P. Ciò per creare un bacino pronto per le necessità di risorse umane programmate. personale non dirigenziale. il procedimento concorsuale per le assunzioni del personale, anche a tempo determinato (48) -sia esso per esami, per titoli (49), per titoli ed esami, per corso-concorso - si articola nelle seguenti fasi: 1) emanazione del bando di concorso -con provvedimento del competente organo amministrativo dell'amministrazione interessata -che individua il contratto di lavoro che la pubblica amministrazione intende concludere (in (47) Con sentenza n. 178 del 17 gennaio 2014 il Consiglio di Stato sostiene che “in tema di mobilità volontaria, non v’è dubbio che la regione non possa declinare l’invito a fare uso della mobilità volontaria, né possa disciplinarne autonomamente gli effetti. ciò nonostante […] l’amministrazione regionale resta titolare di un potere di organizzazione che si estrinseca attraverso l’uso di un potere discrezionale nel determinare la quantità dei posti riservati alla mobilità volontaria rispetto a quelli riservati a pubblico concorso […]. nell’ipotesi di mobilità volontaria in assenza di un fine superiore, quale quello del mantenimento dei contratti lavorativi in essere, deve riconoscersi all’amministrazione regionale il potere di determinare quanti posti coprire mediante mobilità volontaria. il suddetto potere discrezionale dovrà essere esercitato mercé un atto fornito di congrua motivazione, affinché si palesino chiaramente quali sono le ragioni per le quali si preferisce reperire sul mercato, piuttosto che tra i dipendenti già in servizio presso altre amministrazioni, le professionalità necessarie”. (48) A termini dell’art. 36, comma 2, “le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall'articolo 35”. (49) Purché sussista una valutazione discrezionale dei titoli. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 modo conforme alla delibera di indizione), nonché la durata del rapporto (a tempo determinato o a tempo indeterminato) e le modalità della procedura selettiva. Se il concorso è per esami, il bando di concorso indica le materie oggetto delle prove scritte e della prova orale e prevede l'accertamento della conoscenza dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e della lingua inglese, nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. il bando di concorso ha una duplice natura giuridica (50): -provvedimento amministrativo generale, nella parte in cui concreta un atto del procedimento di evidenza pubblica di cui regola il successivo svolgimento. Si dice che costituisce la lex specialis della procedura concorsuale; -atto negoziale per gli aspetti sostanziali -in specie: offerta al pubblico, ai sensi dell'art. 1336 c.c. -in ragione della proposta di assunzione condizionata negli effetti all'espletamento della procedura concorsuale ed all'approvazione della graduatoria. L’espletamento della procedura concorsuale, con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, fa nascere nel candidato utilmente collocato il diritto soggettivo all'assunzione secondo le modalità fissate dal bando di concorso; 2) domanda di partecipazione degli aspiranti, previa registrazione nel Portale unico del reclutamento secondo la disciplina contenuta nell’art. 35 ter. in tal modo si ha la individuazione degli aspiranti forniti dei titoli di ammissione (ossia dei requisiti soggettivi generali e particolari richiesti per l'ammissione all'impiego). L'amministrazione interessata dispone in ogni momento, con atto motivato, la esclusione dal concorso per difetto dei requisiti prescritti; 3) eventuale preselezione con test aventi ad oggetto l'accertamento delle conoscenze o il possesso delle competenze indicate nel bando, al fine di sfoltire la platea dei partecipanti da ammettere alle successive prove scritte. tanto nel caso in cui il numero dei candidati sia superiore a tre volte il numero dei posti messi a concorso (tale è di solito il rapporto previsto dalla normativa). il bando di concorso stabilisce i criteri di superamento della prova preselettiva. L'esito della prova preselettiva non concorre alla formazione del voto finale di merito; 4) nomina della commissione esaminatrice del concorso con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nei casi di concorsi unici o con provvedimento del competente organo amministrativo negli altri casi. Giusta l’art. 35 quater, comma 3: la commissione esaminatrice può essere suddivisa in sottocommissioni, con l'integrazione di un numero di componenti pari a quello della commissione originaria e di un segretario aggiunto; per ciascuna sottocommissione è nominato un presidente; la commissione definisce in una seduta plenaria preparatoria procedure e criteri di valutazione omogenei e vincolanti per tutte le sottocommissioni. (50) Sulla quale ex plurimis: Cass., 4 novembre 2020, n. 24614. LeGiSLAzione eD AttuALità 5) fase di svolgimento delle prove al fine di acclarare le capacità dei concorrenti. È previsto “l'espletamento di almeno una prova scritta, anche a contenuto teorico-pratico, e di una prova orale, comprendente l'accertamento della conoscenza di almeno una lingua straniera ai sensi dell'articolo 37. le prove di esame sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per i profili che svolgono tali compiti, che devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell'impiego, ovvero delle abilità residue nel caso dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68. per profili iniziali e non specializzati, le prove di esame danno particolare rilievo all'accertamento delle capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e delle attitudini. il numero delle prove d'esame e le relative modalità di svolgimento e correzione devono contemperare l'ampiezza e la profondità della valutazione delle competenze definite nel bando con l'esigenza di assicurare tempi rapidi e certi di svolgimento del concorso” (art. 35 quater, comma 1, lett. a); è previsto altresì che “i titoli e l'eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possano concorrere, in misura non superiore a un terzo, alla formazione del punteggio finale” (art. 35 quater, comma 1, lett. f) (51). L’iter è strutturato in modo da operare la selezione in modo obiettivo. tale fase è dominata da discrezionalità tecnica nella valutazione dei candidati da effettuarsi in modo comparativo, sicché il giudizio espresso dalla commissione (51) L’art. 35 quater, introdotto dall’art. 3, comma 1, D.L. 30 aprile 2022, n. 36, conv.L. 29 giugno 2022, n. 79, ha abrogato, nella parte espressamente disciplinata, l’art. 7 D.P.r. n. 487/1994 il quale così dispone: “1. i concorsi per esami consistono: a) per i profili professionali della settima qualifica o categoria superiore: in almeno due prove scritte, una delle quali può essere a contenuto teorico-pratico ed in una prova orale, comprendente l'accertamento della conoscenza di una lingua straniera, tra quelle indicate nel bando. i voti sono espressi, di norma, in trentesimi. conseguono l'ammissione al colloquio i candidati che abbiano riportato in ciascuna prova scritta una votazione di almeno 21/30 o equivalente. il colloquio verte sulle materie oggetto delle prove scritte e sulle altre indicate nel bando di concorso e si intende superato con una votazione di almeno 21/30 o equivalente; b) per i profili professionali della quinta e sesta qualifica o categoria: in due prove scritte, di cui una pratica o a contenuto teorico-pratico, e in una prova orale. conseguono l'ammissione al colloquio i candidati che abbiano riportato in ciascuna prova scritta una votazione di almeno 21/30 o equivalente. il colloquio verte sulle materie oggetto delle prove scritte e sulle altre indicate nel bando e si intende superato con una votazione di almeno 21/30 o equivalente. 2. i bandi di concorso possono stabilire che una delle prove scritte per l'accesso ai profili professionali della settima qualifica o categoria superiore consista in una serie di quesiti a risposta sintetica. per i profili professionali delle qualifiche o categorie di livelli inferiori al settimo, il bando di concorso relativo può stabilire che le prove consistano in appositi tests bilanciati da risolvere in un tempo predeterminato, ovvero in prove pratiche attitudinali tendenti ad accertare la maturità e la professionalità dei candidati con riferimento alle attività che i medesimi sono chiamati a svolgere. 2bis. le prove di esame possono essere precedute da forme di preselezione predisposte anche da aziende specializzate in selezione di personale. i contenuti di ciascuna prova sono disciplinati dalle singole amministrazioni le quali possono prevedere che le prove stesse siano predisposte anche sulla base di programmi elaborati da esperti in selezione. 3. il punteggio finale è dato dalla somma della media dei voti conseguiti nelle prove scritte o pratiche o teorico-pratiche e della votazione conseguita nel colloquio”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 non è sindacabile da parte del giudice amministrativo se non sotto i profili della macroscopica illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti e disparità di trattamento. vi è la regola dell’anonimato in sede di correzione delle prove scritte, al fine di garantire l’imparzialità. nella valutazione delle prove scritte l’onere motivazione può essere adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico -applicativo di uno specifico criterio di valutazione -costituendo esso l’espressione in forma sintetica della valutazione tecnica effettuata dalla commissione. ove sia prevista la valutazione dei titoli, questa deve avere luogo dopo le prove scritte ma prima di procedere alla correzione dei relativi elaborati: ciò per l’esigenza di coniugare l’economia procedimentale (sarebbe infatti inutile valutare i titoli di quei candidati che non portino a termine le prove scritte) con l’imparzialità (potendo infatti la valutazione dei titoli effettuata dopo la correzione degli elaborati essere influenzata dai relativi risultati). L’esigenza dell’imparzialità unita a quella della trasparenza impone il sorteggio delle domande e la pubblicità delle prove orali. La procedura concorsuale deve concludersi entro sei mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi per titoli, dalla data della prima convocazione (52); 6) formazione e approvazione di una graduatoria di merito. La graduatoria di merito dei candidati è formata dalla commissione esaminatrice secondo l'ordine dei punti della votazione complessiva riportata da ciascun candidato; sono dichiarati vincitori, nei limiti dei posti complessivamente messi a concorso, i candidati utilmente collocati nelle graduatorie di merito. Giusta l’art. 15, comma 4, D.P.r. n. 487/1994, “la graduatoria di merito unitamente a quella dei vincitori del concorso, è approvata con decreto del ministro per la funzione pubblica o dall'autorità competente nel caso in cui il concorso sia bandito da altre pubbliche amministrazioni ed è immediatamente efficace”. L'atto di approvazione della graduatoria, come il bando di concorso, ha la duplice natura giuridica di provvedimento terminale del procedimento amministrativo concorsuale e di atto, negoziale, di individuazione del futuro contraente, da cui discende il diritto all'assunzione del partecipante collocato in posizione utile in graduatoria e il correlato obbligo dell'amministrazione, assoggettato al regime di cui all'art. 1218 c.c. (53). Difatti, con l'approvazione della graduatoria si esaurisce l'ambito riservato al procedimento amministrativo e all'attività autoritativa dell'amministrazione, subentrando una fase in cui i comportamenti dell'amministrazione vanno ricondotti all'ambito privatistico, espressione del potere negoziale della P.A. nella veste di datrice di lavoro, da (52) Così l’art. 11, comma 5, D.P.r. n. 487/1994. (53) Conf.: Cass. 14 giugno 2012, n. 9807. LeGiSLAzione eD AttuALità valutarsi alla stregua dei principi civilistici in ordine all'inadempimento delle obbligazioni (art. 1218 c.c.), anche secondo i parametri della correttezza e della buona fede; con il corollario che la controversia sulla domanda di un pubblico dipendente, il quale, dopo l'espletamento di procedura pubblica concorsuale, chieda l'accertamento del suo diritto all'assunzione e alla stipulazione del relativo contratto di lavoro, con la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno, esula dall'ambito di quelle inerenti la procedura del pubblico concorso e, perciò, ai sensi dell'art. 63, comma 1, la sua cognizione spetta alla giurisdizione del giudice ordinario (54). Analogamente, in caso di mancata assunzione, va riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, salvo che l'ente pubblico dimostri che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad esso non imputabile, dovendosi escludere che l'onere di tale dimostrazione possa ritenersi assolto con la mera deduzione di difficoltà finanziarie (55). in ordine alla efficacia della graduatoria nel tempo e il suo utilizzo si richiama la disposizione di cui all'art. 35, comma 5 ter, soprariportata; 7) eventuali atti di autotutela (annullamento o revoca del bando o del provvedimento di approvazione della graduatoria). La revoca rientra nei poteri discrezionali della P.A. datrice di lavoro, che, fino a quando non sia intervenuta la nomina dei vincitori, può provvedere in tal senso quando, per sopravvenute nuove esigenze organizzative o per il mutamento della situazione di fatto o di diritto, e quindi per sopravvenute ragioni di interesse pubblico, non si rende più necessaria la copertura del posto messo a concorso. Difatti il diritto ad assumere l'inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla PA per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell'adozione del provvedimento di nomina, dell'assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso (56). (segue) peculiarità del corso-concorso. va evidenziato -giusta l’art. 4 del D.P.r. n. 70/2013 -che l'accesso alle aree funzionali per le quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici, nonché alla qualifica di funzionario di amministrazione (54) Conf.: Cass., S.u., 23 settembre 2013, n. 21671. Cass. S.u., 16 aprile 2007, n. 895 precisa che l'espletamento della procedura concorsuale, con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione fa nascere nel candidato utilmente collocato il diritto soggettivo all'assunzione, a nulla rilevando l'apposizione al provvedimento di approvazione di una clausola con la quale l'amministrazione si riservi il potere di decidere se procedere o meno alle assunzioni, trattandosi di clausola nulla ai sensi dell'art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa) perché subordinante l'obbligo di assunzione alla mera volontà dell'amministrazione medesima. (55) Conf.: Cass. n. 9807/2012 cit. e Cass., 20 gennaio 2009, n. 1399. (56) Conf.: Cass. n. 24614/2020 cit. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 negli enti pubblici di ricerca, avviene, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti, tramite corso-concorso selettivo bandito dalla Scuola nazionale dell'amministrazione (SnA) o dalle altre Scuole del Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica. i concorsi di ammissione ai corsi-concorso selettivi si definiscono con l’approvazione delle graduatorie dei vincitori. Dopo l’ammissione al corso- concorso, vi è la fase formativa disciplinata dall’art. 5 D.P.r. n. 70/2013, il quale così statuisce: “1. le modalità di svolgimento del semestre di formazione iniziale del corso-concorso, della valutazione continua, dell'esame conclusivo della fase di formazione iniziale e dell'esame finale sono stabilite con delibera del comitato per il coordinamento delle scuole pubbliche di formazione […]. 3. accedono all'esame conclusivo della fase di formazione iniziale gli allievi che conseguono nella valutazione continua una media delle votazioni pari almeno a ottanta su cento ed abbiano frequentato almeno l'ottanta percento del corso. Superano l'esame gli allievi che si collocano in graduatoria nel limite dei posti individuati con decreto del presidente del consiglio dei ministri [...]. 4. gli allievi che superano l'esame di cui al comma 3 vengono assegnati alle amministrazioni di destinazione, scelte sulla base delle preferenze espresse secondo l'ordine della graduatoria di merito, per svolgere un periodo di formazione specialistica di tre mesi. le amministrazioni di destinazione determinano le modalità di svolgimento della formazione specialistica […]. 5. a conclusione del periodo di formazione specialistica gli allievi sostengono un esame finale, consistente in una prova scritta di carattere pratico e in una prova orale, basato sugli ambiti di competenza dell'amministrazione presso la quale sarà assegnato il candidato. Superano l'esame finale gli allievi che conseguono una votazione di almeno ottanta su cento. 6. le graduatorie dei vincitori per ciascuna amministrazione di assegnazione degli allievi sono approvate con decreto del presidente del consiglio dei ministri e pubblicate sui siti istituzionali […]. 7. la presidenza del consiglio dei ministri -Dipartimento della funzione pubblica provvede all'assegnazione dei vincitori alle amministrazioni di destinazione”. personale dirigenziale. Per l'accesso alla qualifica di dirigente (della seconda fascia) nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici, in attuazione dell'articolo 28 sono previste due strade, modalizzate dal D.P.r. 24 settembre 2004, n. 272 (57). (57) il t.u.P.i., con riguardo alla problematica della selezione della dirigenza, non impone agli enti territoriali -o diversi da quelli considerati nell’art. 1 D.P.r. n. 272/2004 -la disciplina statale, ma ne riconosce implicitamente l'autonomia statutaria e regolamentare, e ciò in sintonia con le disposizioni di cui all'art. 114 Cost., comma 2 (così Cons. Stato, 18 gennaio 2007, n. 83, con riguardo agli enti locali). LeGiSLAzione eD AttuALità La prima strada è il concorso pubblico per titoli ed esami, il quale è indetto dalle singole amministrazioni, nella percentuale massima del cinquanta per cento dei posti da ricoprire (58). il concorso consiste nello svolgimento di due prove scritte e di una prova orale. nel caso di concorsi per l'accesso alla dirigenza tecnica l'amministrazione può prevedere una terza prova scritta obbligatoria, da indicare nel bando di concorso, volta alla verifica dell'attitudine all'esercizio degli specifici compiti connessi al posto da ricoprire (59). i vincitori del concorso sono assunti dall'amministrazione e, anteriormente al conferimento del primo incarico dirigenziale, sono tenuti a frequentare un ciclo di attività formative, organizzato dalla Scuola nazionale dell'Amministrazione (SnA) (60). La seconda strada è il corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla SnA, per una percentuale non inferiore al cinquanta per cento dei posti da ricoprire (61). La SnA entro il 31 dicembre di ogni anno bandisce un concorso pubblico per esami per l'ammissione al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale per il reclutamento di dirigenti. il bando di concorso contiene, tra l'altro, il numero dei posti destinati al corso-concorso, i criteri di svolgimento della eventuale prova preselettiva e delle prove di esame (art. 8 D.P.r. n. 272/2004). Gli esami per l'ammissione al corso-concorso di formazione dirigenziale consistono in tre prove scritte, di cui una sulla conoscenza della lingua straniera, ed in una prova orale. Ciascuna (58) Così l’art. 3 D.P.r. n. 272/2004 che precisa: “2. la percentuale dei posti da riservare al personale dipendente dell'amministrazione che indice il concorso è pari al trenta per cento dei posti messi a concorso. 2-bis. con decreto del presidente del consiglio dei ministri sono stabiliti i titoli valutabili nell'ambito del concorso di cui al comma 1 ed il valore massimo assegnabile ad ognuno di essi nell'ambito della procedura concorsuale. il valore complessivo dei titoli non può superare il quaranta per cento della votazione finale del candidato”. (59) Art. 5 D.P.r. n. 272/2004, il quale così dettaglia le modalità: La prima prova scritta, a contenuto teorico, verte sulle materie indicate nel bando di concorso, l'altra prova, a contenuto pratico, è diretta ad accertare l'attitudine dei candidati alla soluzione corretta, sotto il profilo della legittimità, della convenienza e della efficienza ed economicità organizzativa, di questioni connesse con l'attività istituzionale dell'amministrazione che ha indetto il concorso. La prova orale consiste in un colloquio sulle materie indicate nel bando di concorso e mira ad accertare la preparazione e la professionalità del candidato, nonché l'attitudine all'espletamento delle funzioni dirigenziali. nell'àmbito della prova orale, al fine di valutare la conoscenza, da parte del candidato, della lingua straniera ad un livello avanzato, è prevista la lettura, la traduzione di testi e la conversazione in una lingua straniera scelta dal candidato tra quelle indicate nel bando. nel corso della prova orale è accertata la conoscenza a livello avanzato dell'utilizzo del personal computer e dei software applicativi più diffusi da realizzarsi anche mediante una verifica pratica, nonché la conoscenza da parte del candidato delle problematiche e delle potenzialità connesse all'uso degli strumenti informatici in relazione ai processi comunicativi in rete, all'organizzazione e gestione delle risorse e al miglioramento dell'efficienza degli uffici e dei servizi. Ciascuna prova è valutata in centesimi e si intende superata con un punteggio non inferiore a settanta centesimi. il punteggio complessivo è determinato sommando i voti riportati in ciascuna prova scritta ed il voto riportato nella prova orale, nonché il punteggio conseguito all'esito della valutazione dei titoli. (60) il ciclo di attività formative è descritto nell’art. 6 D.P.r. n. 272/2004. (61) Così l’art. 7 D.P.r. n. 272/2004. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 prova è valutata in centesimi e si intende superata con un punteggio non inferiore a settanta centesimi (art. 9 D.P.r. n. 272/2004) (62). Le graduatorie dei vincitori sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che provvede, poi, all'assegnazione dei vincitori alle amministrazioni di destinazione (art. 15 D.P.r. n. 272/2004). 5.7. procedure selettive non concorsuali. Dal meccanismo concorsuale vanno distinte le procedure selettive non concorsuali, ossia le assunzioni dirette ovvero procedure di mera verifica della idoneità dei soggetti da assumere in quanto titolari di riserva o iscritti in apposita lista o in possesso di determinati requisiti. in tali ipotesi infatti il possesso dei requisiti richiesti e l’idoneità si valutano in termini assoluti, senza dare vita ad una graduatoria di merito. Costituiscono procedure selettive non concorsuali: a) l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento e assunzione obbligatoria di categorie protette (art. 39); b) l’utilizzo delle graduatorie permanenti, poi trasformate in graduatorie ad esaurimento, del personale docente ed AtA (ex D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297) (63); c) l’inserimento nella prima fascia degli elenchi aggiuntivi delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze per i vari anni scolastici (64); d) l’assunzione dei lavoratori socialmente utili -L.S.u. presso comuni e province; e) la stabilizzazione del personale precario (65). in questi casi deve escludersi qualsiasi attività autoritativa sulla base di valutazioni discrezionali. L’assenza di un bando, di una procedura di valutazione e di approvazione finale di una graduatoria che individui i vincitori, preclude di configurare una procedura concorsuale attribuita, ai sensi dell’art. 63, alla cognizione del giudice amministrativo. Sicché le controversie relative alle procedure (62) Al corso-concorso di formazione dirigenziale sono ammessi i candidati utilmente inseriti nella graduatoria del concorso di ammissione entro il limite del numero dei posti disponibili maggiorato del venti per cento. La graduatoria di merito del concorso di ammissione al corso-concorso è predisposta dalla commissione esaminatrice in base al punteggio finale conseguito da ciascun candidato, costituito dalla somma dei voti di ciascuna delle prove scritte e dal voto della prova orale (art. 10 D.P.r. n. 272/2004). La fase di formazione generale del corso-concorso ha la durata di otto mesi, con valutazione continua, ed esame conclusivo della fase di formazione specialistica ed esame finale (art. 12 D.P.r. n. 272/2004). Gli allievi che conseguono nella valutazione continua una media delle votazioni pari almeno a ottanta su cento accedono all'esame conclusivo della fase di formazione generale. Superano l'esame gli allievi che si collocano in graduatoria nel limite dei posti di dirigente in concorso (art. 13 D.P.r. n. 272/2004). Gli allievi che superano l'esame conclusivo vengono assegnati alle amministrazioni di destinazione, scelte sulla base delle preferenze espresse secondo l'ordine della graduatoria di merito, per svolgere un periodo di formazione specialistica di quattro mesi. A conclusione del periodo di formazione specialistica gli allievi sostengono un esame finale. Superano l'esame finale gli allievi che conseguono una votazione di almeno ottanta su cento (art. 14 D.P.r. n. 272/2004). (63) Conf. Cass., S.u. 26 giugno 2019, n. 17123; Cass. S.u. 15 dicembre 2016, n. 25836. (64) Conf. tar Sicilia, Palermo, 16 settembre 2021, n. 2575. (65) Prevista in varie disposizioni, tra cui: art. 1, commi 519 e 520, l. 27 dicembre 2006, n. 296 e art. 20 D.l.vo 25 maggio 2017, n. 75. LeGiSLAzione eD AttuALità selettive non concorsuali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (66). 5.8. Tecniche ulteriori di selezione dei fabbisogni. nell’individuazione delle risorse umane per lo svolgimento dei compiti delle PP.AA. occorre tenere conto di tecniche ulteriori rispetto a quelle descritte sopra. a) contratti di consulenza. una prima tecnica è quella della stipulazione di contratti di collaborazione. il t.u.P.i. (art. 7) consente alle PP.AA. -per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio -di conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei determinati presupposti di legittimità (67). Al fine di evitare l’utilizzo dei contratti di consulenza per lo svolgimento di compiti ordinari ed al fine di evitare scelte opache l’art. 7 citato, statuisce che: a) è fatto divieto alle PP.AA. di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro; b) le PP.AA. disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. va precisato che il conferimento, da parte di un soggetto pubblico, del- l’incarico in esame ad un professionista non inserito nella struttura organica del soggetto medesimo costituisce espressione non già di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all'instaurazione di un rapporto di c.d. “parasubordinazione”, da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo e, quindi, all'ambito soggettivo ed oggettivo disciplinato (66) Su tali aspetti: M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit., pp. 92-94. (67) “a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore” (art. 7, comma 6). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 dall'art. 409, n. 3, c.p.c. (68), con la conseguenza che le relative vicende soggiacciono alla giurisdizione del giudice ordinario (69). b) contratti di incarichi dirigenziali. Gli incarichi di funzione dirigenziale possono -nella misura dell’8% della dotazione organica per i dirigenti di seconda fascia e nella misura del 10% della dotazione organica per i dirigenti di prima fascia -essere conferiti, da ciascuna amministrazione, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. La durata di tali incarichi, non può eccedere, a seconda dei casi il termine di tre anni o cinque anni. Per il periodo di durata dell'incarico, i dipendenti delle PP.AA. sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio (art. 19, comma 6). nella prassi i contratti in esame, sono, in sostanza, utilizzati per diversificate finalità: a) supplire a carenze di personale dirigenziale; b) avvalersi di persone di assoluta fiducia nello svolgimento di compiti politici, come nel caso dei preposti agli uffici di diretta collaborazione del vertice politico ex art. 14, comma 2; c) come strumento clientelare. c) assistenza tecnica in virtù di contratti di servizio con operatori esterni o contratti di servizio con enti in house. Fenomeno diffuso nelle dinamiche delle PP.AA. è la stipula di un peculiare contratto di servizio il cui oggetto è costituito dalla fornitura di assistenza tecnica. Con tale contratto l’ente pubblico mira a conseguire, ad esempio, le attività di: affiancamento, supporto per il monitoraggio e supporto specialistico per particolari progetti; di assistenza di marketing territoriale; di assistenza tecnica di attuazione della strategia di comunicazione di policy; di assistenza tecnica in materia di programmazione economica; di progettazione e gestione di procedure informatiche ancillari ad una attività produttiva; di supporto nella certificazione della spesa di programmi comunitari; di assistenza tecnica alle attività di coordinamento, attuazione, monitoraggio, controllo di programmi comunitari; ecc. (68) Conf. Cass., S.u., 3 gennaio 2007, n. 4. (69) ex multis, tAr Campania, napoli, 8 febbraio 2021, n. 811. LeGiSLAzione eD AttuALità in conseguenza della stipula dei contratti di servizio sopradescritti determinate risorse umane, inglobate nel complessivo servizio erogato dal- l’appaltatore, contribuiscono allo svolgimento dei compiti degli enti pubblici committenti. Con tali contratti lo Stato e gli enti territoriali, utilizzano -indirettamente -risorse esterne per lo svolgimento di attività che richiedono una elevata specializzazione, sopperendo ad un deficit interno di idonee risorse umane. Questo è quanto accade per il ciclo della gestione dei fondi comunitari. Di questo dato -in un discorso teso ad individuare l’efficacia dell’azione amministrativa - occorre necessariamente tenere conto. 5.9. considerazioni conclusive e de iure condendo. il descritto quadro delinea il procedimento concorsuale come qualcosa di farraginoso, fin dagli adempimenti prodromici. È necessaria una profonda rivisitazione dei procedimenti al fine di pervenire, in modo consapevole, al reperimento sollecito delle idonee risorse umane per lo svolgimento dei compiti delle PP.AA. adempimenti prodromici. La procedura di mobilità -d’ufficio o volontaria -andrebbe ben modalizzata nel Piano triennale dei Fabbisogni del Personale (o nel PiAo), con una attivazione anche parallela ed autonoma dal concorso. vuol dirsi che ove l’ente decida motivatamente di ricorrere ad una mobilità parziale -ad esempio 20% del fabbisogno da ricoprire con mobilità ed 80% mediante concorso -le due procedure ben possono partire in modo parallelo, senza che una condizioni l’altra. Beninteso con dei correttivi procedimentali nell’evenienza che la mobilità non vada a buon fine, ad esempio con la previsione ex ante della possibilità dell’aumento degli assunti mediante concorso. iter concorsuale. innanzitutto il quadro normativo dovrebbe essere unitario, onde evitare complicazioni. All’attualità intervengono a regolare le procedure, tra l’altro, gli artt. 35 e 35 quater t.u.P.i., il D.P.r. n. 487/1994, le linee guida di indirizzo amministrativo ex art. 35, comma 5.2, t.u.P.i., disposizioni prevedenti la semplificazione delle procedure (ad es.: art. 14, commi 10 ter e 10 novies, D.L. n. 4/2019). È auspicabile, quindi, una riforma omogeneizzatrice delle fonti del diritto sulla materia. Ciò premesso, si rileva che l’iter procedimentale nei suoi momenti significati è ormai standardizzato: meccanismo della preselezione mediante test nel caso di numerosi partecipanti al concorso (triplo dei posti messi a concorso), prove scritte ed orali. tre sono le accortezze da tenere presente. 1) il meccanismo concorsuale dovrebbe riguardare le esigenze assunzionali degli enti pubblici ricadenti in uno specifico -e gestibile -ambito territo rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 riale. Difatti, per una parte, è antieconomica la procedura assunzionale espletata per ciascun ente che necessiti di personale; occorrerebbe creare una sorta di centrali di committenza per la provvista delle risorse umane; per altra parte è ingestibile una procedura assunzionale a livello nazionale. il giusto bacino potrebbe essere quello regionale (almeno per le regioni più grandi, come ad esempio la Lombardia) o sovraregionale (come ad esempio l’area comprendente le Marche e l’umbria). un possibile modello potrebbe essere il seguente: a) coordinamento operato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, al fine di omogeneizzare le procedure, specie con riguardo alla tipologia delle prove ed ai profili professionali da selezionare; b) unica procedura concorsuale gestita da una regione (ciò per le regioni più grandi) o da più regioni in consorzio (ciò per le regioni più piccole) con la quale selezionare i fabbisogni di personale necessari agli uffici delle amministrazioni pubbliche ubicati nella regione o area sovraregionale (uffici periferici delle amministrazioni statali e degli enti nazionali; uffici degli enti territoriali; uffici degli enti infraregionali). L’ente gestore, regione o più regioni in consorzio, funziona, in un certo senso, come una centrale di committenza, come un ente “neutro”, al servizio delle necessità assunzionali degli enti pubblici. L’unica procedura concorsuale dovrà prevedere tanti bandi quanti sono i profili professionali da selezionare, come emergenti dal piano dei fabbisogni del personale. ovviamente i bandi attiveranno procedimenti concorsuali paralleli, ciascuno con la propria commissione esaminatrice. L’unica procedura concorsuale dovrebbe svolgersi con cadenza triennale e puntare alla selezione delle risorse umane necessarie nel successivo triennio aumentate della metà. Ad esempio: nel 2022 si svolge il concorso che punta alla selezione di X idonei; il concorso andrebbe concluso entro l’anno; il numero degli idonei deve corrispondere al numero delle risorse umane di cui si prevede il collocamento in quiescenza nel triennio 2023-2024-2025, aumentato della metà per fare luogo alle sopravvenienze; in tal modo, a mano a mano che si verificano le vacanze in organico si attinge, senza soluzione di continuità, ad un bacino pronto alla bisogna. nel 2025 si svolge il concorso per la selezione del fabbisogno nel triennio 2026-2027-2028 e così via. La graduatoria dovrebbe avere una efficacia triennale, con la cessazione del suo vigore alla data della approvazione della successiva graduatoria (70). (70) in tal senso si sta orientando il legislatore. in virtù dell’art. 247 D.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. L. 17 luglio 2020, n. 77 le procedure concorsuali per reclutamento del personale non dirigenziale nell’ambito dei c.d. concorsi unici per l’assunzione dei profili professionali comuni nelle amministrazioni statali possono essere svolte, presso sedi decentrate anche attraverso l'utilizzo di tecnologia digitale. Su tale disposizione B. CiMino, procedimenti e organizzazione della pubblica amministrazione, in giornale Dir. amm., 2020, 5, pp. 560 e ss. LeGiSLAzione eD AttuALità 2) nella selezione e formazione della risorsa umana imprescindibile è la preparazione giuridica, attesi i connotati organizzativi della P.A. italiana, che agisce per atti amministrativi necessitanti del requisito della motivazione, che deve rispettare piani e/o programmi -DeF, Piano della performance, Piano triennale dei fabbisogni del Personale, Piano triennale delle Azioni Positive, Piano di Prevenzione della corruzione e della trasparenza, Programmazione comunitaria - fortemente caratterizzati dall’elemento giuridico. va registrato che nella prassi attuale l’elemento giuridico, non è valorizzato. Ad es. nella preselezione del concorso 2018 per dirigenti gestito dalla SnA su sessanta quesiti ventiquattro erano di logica, cinque di inglese, quindici di carattere economico e sedici di carattere giuridico. All’evidenza l’elemento giuridico è squilibrato. 3) tra le varie modalità concorsuali -per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso -andrebbe privilegiata la modalità del concorso per titoli ed esami. All’evidenza: a) il concorso per soli esami non valorizza l’esperienza pregressa; b) il concorso per soli titoli non valorizza le attitudini attuali dei candidati e le necessità contingenti dell’amministrazione; c) il corso-concorso, in teoria l’optimum, non si armonizza con le cadenze temporali della ragionevole tempistica di approvvigionamento delle risorse umane. La giusta esigenza della formazione mirata potrebbe essere soddisfatta con un periodo di prova in cui attuare la detta formazione. 6. ciclo della performance. misurazione e la valutazione della performance. merito e premi. L’organizzazione amministrativa contempla una serie di strumenti con i quali agganciare una quota del trattamento economico spettante alle risorse umane di ogni P.A. allo specifico contributo da queste arrecato alla qualità (dei servizi offerti e soddisfacimento dell'interesse del destinatario) e quantità (risultati) delle prestazioni rese. La materia è regolata dal D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150, c.d. decreto Brunetta, dal nome del Ministro della Funzione Pubblica che ne ha stimolato l’adozione. Le amministrazioni dello Stato sono le dirette destinatarie delle disposizioni contenute nel D.L.vo citato. Per quanto riguarda le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali vi è la clausola estensiva di cui all’art. 16 D.L.vo n. 150/2009; è disposto che questi enti adeguano i propri ordinamenti ai principi contenuti negli articoli 3 (principi generali), 4 (fasi del ciclo di gestione della performance), 5, comma 2 (requisiti degli obiettivi, rectius: indicatori), 7 (SMivAP), 9 (ambiti di misurazione e valutazione della performance individuale) e 15, comma 1 (responsabilità dell'organo di indirizzo politico-amministrativo); per l'attuazione delle restanti disposizioni di cui al citato D.L.vo, rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 si procede tramite accordo da sottoscrivere ai sensi dell'art. 4 D.L.vo 28 agosto 1997, n. 281 in sede di Conferenza unificata. Giusta l’art. 3 D.L.vo n. 150/2009 -il rispetto delle disposizioni sulla misurazione e la valutazione della performance è condizione necessaria per l'erogazione di premi e componenti del trattamento retributivo legati alla performance e rileva ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell'attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali; -la valutazione negativa rileva ai fini dell'accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell'irrogazione del licenziamento disciplinare ai sensi dell'articolo 55 quater, comma 1, lettera f quinquies), t.u.P.i. il ciclo di gestione della performance, come disposto dall’art. 4 D.L.vo n. 150/2009, si articola nelle seguenti fasi: a) definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori, tenendo conto anche dei risultati conseguiti nell'anno precedente, come documentati e validati nella relazione annuale sulla performance; b) collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse; c) monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi; d) misurazione e valutazione, annualmente, della performance, organizzativa e individuale; e) utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito; f) rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti organi di controllo interni ed esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi. obiettivi e indicatori (art. 5 D.l.vo n. 150/2009). Gli obiettivi si articolano in: a) obiettivi generali, che identificano, in coerenza con le priorità delle politiche pubbliche nazionali nel quadro del programma di Governo e con gli eventuali indirizzi adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 8 D.L.vo n. 286/1999, le priorità strategiche delle PP.AA. in relazione alle attività e ai servizi erogati, in relazione anche al livello e alla qualità dei servizi da garantire ai cittadini. Gli obiettivi sono determinati con apposite linee guida adottate su base triennale con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per gli enti territoriali, il decreto è adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 L. 5 giugno 2003, n. 131; b) obiettivi specifici di ogni P.A., individuati, in coerenza con la direttiva annuale adottata ai sensi dell’art. 8 D.L.vo n. 286/1999, nel Piano della performance (o PiAo nella parte relativa alla materia de qua). Gli obiettivi sono programmati, in coerenza con gli obiettivi generali, su base triennale e definiti, prima dell'inizio del rispettivo esercizio, dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell'amministrazione che a loro volta LeGiSLAzione eD AttuALità consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative. Gli obiettivi sono definiti in coerenza con gli obiettivi di bilancio indicati nei documenti programmatici di cui alla L. n. 196/2009 e di cui alla normativa economica e finanziaria applicabile alle regioni e agli enti locali e il loro conseguimento costituisce condizione per l'erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrativa. Gli obiettivi devono essere in grado di consentire la misurazione e la valutazione della performance, pertanto devono rispondere ai seguenti requisiti (indicatori): a) rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività, alla missione istituzionale, alle priorità politiche ed alle strategie dell'amministrazione; b) specifici e misurabili in termini concreti e chiari; c) tali da determinare un significativo miglioramento della qualità dei servizi erogati e degli interventi; d) riferibili ad un arco temporale determinato, di norma corrispondente ad un anno; e) commisurati ai valori di riferimento derivanti da standard definiti a livello nazionale e internazionale, nonché da comparazioni con amministrazioni omologhe; f) confrontabili con le tendenze della produttività del- l'amministrazione con riferimento, ove possibile, almeno al triennio precedente; g) correlati alla quantità e alla qualità delle risorse disponibili. Sistema di misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale - Smivap (artt. 7, 8 e 9 D.l.vo n. 150/2009). Le PP.AA. adottano e aggiornano annualmente, previo parere vincolante dell'oiv, il Sistema di misurazione e valutazione della performance, in coerenza con gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della funzione pubblica. nello SMivAP sono previste, altresì, le procedure di conciliazione, a garanzia dei valutati, relative all'applicazione del sistema di misurazione e valutazione della performance e le modalità di raccordo e integrazione con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio. La funzione di misurazione e valutazione delle performance è svolta: a) dagli oiv della performance, cui compete la misurazione e valutazione della performance di ciascuna struttura amministrativa nel suo complesso, nonché la proposta di valutazione annuale dei dirigenti di vertice; b) dai dirigenti di ciascuna amministrazione; c) dai cittadini o dagli altri utenti finali in rapporto alla qualità dei servizi resi dall'amministrazione, partecipando alla valutazione della performance organizzativa dell'amministrazione. il Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa concerne: l'attuazione di politiche e il conseguimento di obiettivi collegati ai bisogni e alle esigenze della collettività; l'attuazione di piani e programmi, ovvero la misurazione dell'effettivo grado di attuazione dei medesimi, nel rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli standard qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse; la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi anche attraverso modalità interattive; la modernizzazione e il miglioramento qualitativo dell'orga rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 nizzazione e delle competenze professionali e la capacità di attuazione di piani e programmi; lo sviluppo qualitativo e quantitativo delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e i destinatari dei servizi, anche attraverso lo sviluppo di forme di partecipazione e collaborazione; l'efficienza nell'impiego delle risorse, con particolare riferimento al contenimento ed alla riduzione dei costi, nonché all'ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi; la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati; il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità. il Sistema di misurazione e valutazione della performance individuale dei dirigenti e del personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità, secondo le modalità indicate nello SMivAP, è collegata: agli indicatori di performance relativi all'ambito organizzativo di diretta responsabilità, ai quali è attribuito un peso prevalente nella valutazione complessiva; al raggiungimento di specifici obiettivi individuali; alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate, nonché ai comportamenti organizzativi richiesti per il più efficace svolgimento delle funzioni assegnate; alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi. La misurazione e valutazione della performance individuale dei dirigenti titolari degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale e/o superiori è collegata altresì al raggiungimento degli obiettivi individuati nella direttiva generale per l'azione amministrativa e la gestione e nel Piano della performance, nonché di quelli specifici definiti nel contratto individuale. La misurazione e la valutazione svolte dai dirigenti sulla performance individuale del personale sono effettuate sulla base dello SMivAP e collegate: al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali; alla qualità del contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi. nella valutazione di performance individuale non sono considerati i periodi di congedo di maternità, di paternità e parentale. piano della performance (o piao nella parte relativa alla materia de qua) e relazione sulla performance (art. 10 D.l.vo n. 150/2009). Le PP.AA. redigono - e pubblicano sul sito istituzionale - ogni anno: a) entro il 31 gennaio, il Piano della performance (o PiAo nella parte relativa alla materia de qua), documento programmatico triennale, che è definito dall'organo di indirizzo politico-amministrativo in collaborazione con i vertici dell'amministrazione e secondo gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della funzione pubblica. il Piano individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance LeGiSLAzione eD AttuALità dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori (71). in caso di mancata adozione del Piano della performance è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti, e l'amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. nei casi in cui la mancata adozione del Piano o della relazione sulla performance dipenda da omissione o inerzia dell'organo di indirizzo politico-amministrativo dell’Amm.ne, l'erogazione dei trattamenti e delle premialità di cui al titolo iii del D.L.vo n. 150/2009 è fonte di responsabilità amministrativa del titolare dell'organo che ne ha dato disposizione e che ha concorso alla mancata adozione del Piano, ai sensi del periodo precedente; b) entro il 30 giugno, la relazione annuale sulla performance, approvata dall'organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall'oiv, che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato. Per gli enti locali la relazione sulla performance può essere unificata al rendiconto della gestione di cui all'art. 227 D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. nella validazione della relazione l’oiv tiene conto anche delle risultanze delle valutazioni realizzate con il coinvolgimento dei cittadini o degli altri utenti finali per le attività e i servizi rivolti, nonché, ove presenti, dei risultati prodotti dalle indagini svolte dalle agenzie esterne di valutazione e dalle analisi condotte dai soggetti appartenenti alla rete nazionale per la valutazione delle amministrazioni pubbliche, di cui al decreto emanato in attuazione dell'art. 19 D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. L. 11 agosto 2014, n. 114, e dei dati e delle elaborazioni forniti dall'amministrazione, secondo le modalità indicate nello SMivAP; la validazione della relazione sulla performance, è condizione inderogabile per l'accesso agli strumenti per premiare il merito di cui al titolo iii del D.L.vo n. 150/2009 (art. 14, commi 4 bis e 6, D.L.vo n. 150/20019). monitoraggio della performance (art. 6 D.l.vo n. 150/2009). Gli oiv, anche accedendo alle risultanze dei sistemi di controllo strategico e di gestione presenti nell'amministrazione, verificano l'andamento delle performance rispetto agli obiettivi programmati durante il periodo di riferimento e segnalano la necessità o l'opportunità di interventi correttivi in corso di esercizio all'organo di indirizzo politico-amministrativo, anche in relazione al verificarsi di eventi imprevedibili tali da alterare l'assetto dell'organizzazione (71) Per l’Amm.ne Statale il Piano è adottato in coerenza con le note integrative al bilancio di previsione di cui all'articolo 21 L. 31 dicembre 2009, n. 196, o con il piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio, di cui all'articolo 19 D.L.vo 31 maggio 2011, n. 91. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 e delle risorse a disposizione dell'amministrazione. Le variazioni, verificatesi durante l'esercizio, degli obiettivi e degli indicatori della performance organizzativa e individuale sono inserite nella relazione sulla performance e vengono valutate dall'oiv ai fini della validazione. merito e premi. È vietata la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance in assenza delle verifiche e attestazioni sui sistemi di misurazione e valutazione adottati ai sensi del D.L.vo n. 150/2009 (art. 18, comma 2, D.L.vo n. 150/2009). il contratto collettivo nazionale, nell'ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell'art. 40, comma 3 bis, t.u.P.i., stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati; per i dirigenti, il criterio di attribuzione dei premi di cui al comma 1 è applicato con riferimento alla retribuzione di risultato (art. 19 D.L.vo n. 150/2009). Giusta l’art. 20 D.L.vo n. 150/2009, gli strumenti per premiare il merito e le professionalità sono: a) il bonus annuale delle eccellenze, di cui all'art. 21, al quale concorre il personale, dirigenziale e non, cui è attribuita una valutazione di eccellenza; b) il premio annuale per l'innovazione, di cui all'art. 22. il premio viene assegnato al miglior progetto realizzato nell'anno, in grado di produrre un significativo cambiamento dei servizi offerti o dei processi interni di lavoro, con un elevato impatto sulla performance dell'organizzazione; c) le progressioni economiche, di cui all'art. 23, attribuite -sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e integrativi di lavoro -in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione; d) le progressioni di carriera, di cui all'art. 24; e) l'attribuzione di incarichi e responsabilità, di cui all'art. 25. La professionalità sviluppata e attestata dal sistema di misurazione e valutazione costituisce criterio per l'assegnazione di incarichi e responsabilità secondo criteri oggettivi e pubblici; f) l'accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale, in ambito nazionale e internazionale, di cui all'art. 26. 7. rapporTo Di lavoro inDiviDuale. aSpeTTi generali. La materia è regolata dal titolo iv del tuPi (artt. 51-57). L’art. 51 dispone “1. il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, comma 1. 2. la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”. ossia: la fonte del rapporto è il contratto di lavoro individuale integrato, LeGiSLAzione eD AttuALità ex art. 1374 c.c.: a) dalla normazione civilistica (codice civile e leggi speciali) sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa; b) le disposizioni -diverse nel contenuto dalla sopraevidenziata normazione civilistica -contenute nel t.u.P.i., che costituiscono disposizioni a carattere imperativo; c) dai contratti collettivi, con portata sostituiva in melius ove il contratto individuale contenga una regolazione deteriore. 7.1. requisiti soggettivi del lavoratore. Per la costituzione del rapporto di lavoro occorre, in capo al dipendente, il possesso di requisiti di ordine generale e di ordine speciale. i requisiti per l'accesso ai posti messi a concorso devono essere posseduti dai candidati al momento della scadenza del termine per la presentazione delle domande e per tutta la durata procedurale fino alla stipula del contratto individuale di lavoro. requisiti di ordine generale (72). a) cittadinanza italiana. idonea è altresì la cittadinanza degli Stati membri dell'unione europea (o essere loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro), con la titolarità del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, sempre che non vengano in rilievo posti di lavoro che implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero che attengono alla tutela dell'interesse nazionale (73); idonea è inoltre la cittadinanza di Paesi terzi, con la titolarità del permesso di soggiorno ue per soggiornanti di lungo periodo o dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria (art. 38 t.u.P.i.); b) maggiore età (74); c) idoneità fisica allo svolgimento delle funzioni cui il concorso si riferisce. illo tempore, per un rapido controllo di tale requisito, vi era l’obbligo, in capo all’interessato, di produrre certificazione sanitaria di idoneità all’impiego; tale obbligo è stato abolito; d) godimento dei diritti civili e politici (tra cui: non essere stati esclusi dall’elettorato politico attivo). Giusta l’art. 2 del D.P.r. n. 487/1994 , “non (72) Art. 2 D.P.r. n. 487/1994 per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni ed art. 2 D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3. (73) Giusta il comma 2 dell’art. 38 t.u.P.i. “con decreto del presidente del consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1”. (74) il n. 2 dell’art. 2 D.P.r. n. 3/1957 richiedeva: “età non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 40. per i candidati appartenenti a categorie per le quali leggi speciali prevedono deroghe, il limite massimo non può superare, anche in caso di cumulo di benefici, i quarantacinque anni di età”. La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è più soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate dai regolamenti delle singole amministrazioni dovute alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell'amministrazione in base a quanto disposto dall'art. 3, comma 6, L. 15 maggio 1997, n. 127. L’età, intuitivamente, non può essere superiore all'età prevista dalle norme vigenti in materia di collocamento a riposo. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato politico attivo”, ossia: coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (abrogata e sostituita con D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159), finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell'art. 215 c.p., finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; coloro che sono sottoposti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata (art. 2 D.P.r. 20 marzo 1967, n. 223); e) non essere stati destituiti o dispensati dall'impiego presso una P.A. per persistente insufficiente rendimento, ovvero non essere stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, lettera d), D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3 e ai sensi delle corrispondenti disposizioni di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al personale dei vari comparti. Costituiscono ipotesi ricorrenti, a quest’ultimo riguardo, il non essere stati destituiti dall'impiego presso una P.A. a seguito di procedimento disciplinare o dispensati dall'impiego per persistente insufficiente rendimento ovvero dichiarati decaduti dall'impiego o licenziati per le medesime cause. requisiti di ordine speciale. a) titolo di studio (laurea o diploma di laurea o titoli equiparati ed equipollenti secondo la normativa vigente oppure diploma di istruzione secondaria di secondo grado che consenta l’iscrizione ad una facoltà universitaria); b) Condotta e qualità morali. tale requisito è richiesto per le assunzioni nella magistratura, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia (75). (75) L’art. 35, comma 6, t.u.P.i. dispone: “ai fini delle assunzioni di personale presso la presidenza del consiglio dei ministri, il ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia, di giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e di difesa in giudizio dello Stato, si applica il disposto di cui all'articolo 26 della legge 1 febbraio 1989, n. 53, e successive modificazioni ed integrazioni”, disposizione, quest’ultima, che dispone: “per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato e delle altre forze di polizia indicate dall'articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121 , è richiesto il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria”. Con sentenza 31 marzo 1994, n. 108, la Corte costituzionale ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità dell'art. 26, nella parte in cui, rinviando per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato al possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede che siano esclusi coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa. La stessa Corte, con sentenza 28 luglio 2000, n. 391, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente articolo, nella parte in cui, rinviando per l'accesso ai ruoli del personale del Corpo di polizia LeGiSLAzione eD AttuALità La stipula del contratto di lavoro in assenza dei detti requisiti determina la nullità dell’assunzione e produce un effetto estintivo sul rapporto di lavoro. il contratto di lavoro stipulato dalla P.A. in violazione delle norme che regolano le procedure di evidenza pubblica è affetto da nullità, per inosservanza dell’art. 35 t.u.P.i. e dell’art. 3, comma 6, D.P.r. n. 3/1957 (disposizione, quest’ultima, prevedente testualmente la nullità dell’assunzione), che riflettono l’art. 97, comma 4, della Costituzione ed è, dunque, inderogabile. Come già osservato, gli atti di gara sono caratterizzati da una natura duplice: il bando e la graduatoria finale, pur inserendosi nell'ambito del procedimento di evidenza pubblica, hanno anche la natura sostanziale, rispettivamente, di proposta al pubblico e di atto di individuazione del futuro contraente. Pertanto, la procedura concorsuale costituisce un presupposto di validità del contratto di lavoro individuale stipulato dall’amministrazione. non a caso, l'art. 36 t.u.P.i. ha sempre previsto, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, che “in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” (comma 5); la norma, per come formulata, ha una portata generale che va oltre il più ristretto ambito di applicazione indicato dalla rubrica dell'articolo (“personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile”) ed è idonea ad attrarre nella sfera della nullità -ex art. 1418, comma 1, c.c. per violazione delle norme imperative -anche il mancato rispetto delle procedure imposte per le assunzioni a tempo indeterminato dall'art. 35 del medesimo decreto legislativo (76). Peraltro, come già evidenziato, già l’art. 3, comma 6, D.P.r. penitenziaria al possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede che siano esclusi coloro i cui parenti, in linea retta entro il primo grado ed in linea collaterale entro il secondo, hanno riportato condanne per taluno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. (76) Per questo motivo, Cass. 7 maggio 2019, n. 11951, ha asserito che “la regola che impone l'individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all'esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando, seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette necessariamente, per quanto sopra detto, sulla validità del negozio, perché individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente, di tal ché, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il costituente, deve essere costantemente orientata l'azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici”. Del resto, la stessa Cass. 27 dicembre 2019, n. 34557, ha ribadito “il principio di diritto, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa corte, secondo cui l'atto con il quale l'amministrazione revochi un'assunzione o un incarico a seguito dell'annullamento della procedura concorsuale o dell'inosservanza dell'ordine di graduatoria «equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l'assenza di un vincolo contrattuale»” (cass. nn. 8328/2010, 19626/2015, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019, 17002/2019 e cass. S.u. n. 2396/2014)”. Analogamente si enuncia rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 n. 3/1957 prevedeva che “l’'assunzione agli impieghi senza il concorso prescritto per le singole carriere è nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell'amministrazione, ferma restando la responsabilità dell'impiegato che vi ha provveduto” (77). 7.2. Tipologia di rapporto. il rapporto di lavoro può avere tipologie diverse. L’ipotesi ordinaria è quella del rapporto titolato volontario di lavoro subordinato professionale a tempo indeterminato, come confermato dall’art. 36, comma 1. esistono anche altre speciali ipotesi: a) rapporto di fatto. Si ha nel caso in cui manchi l’atto di investitura oppure (ove anche sussista l’atto di investitura) manchi un valido atto di assunzione in servizio. ove manchi l’atto di investitura ricorre la figura del funzionario di fatto. in questa ipotesi il sorgere di un rapporto organico di fatto porta come necessaria conseguenza il sorgere di un rapporto di servizio di fatto. il funzionario di fatto non ha diritto verso la P.A. alla retribuzione, ma unicamente a ripetere quanto eventualmente abbia utilmente speso nell’operare al servizio di essa, secondo i principi dell’actio de in rem verso (78). Manca un valido atto di assunzione in servizio nel caso di violazione delle disposizioni riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle PP.AA. in questa ipotesi, giusta l’art. 36, commi 5 e 5 quater -non vi è la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime PP.AA., ferma restando ogni responsabilità e sanzione. il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. i dirigenti che operano in violazione delle disposizioni de quo sono responsabili, anche ai sensi dell'art. 21 sulla responsabilità dirigenziale. Di tali violazioni si tiene conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 D.L.vo n. 286/1999. Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato; che l'annullamento in autotutela ai sensi dell'art. 21 novies, L. n. 241/1990 di un concorso pubblico, per vizi di legittimità riscontrati dalla P.A. rispetto agli atti della selezione, determina la nullità originaria, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso stesso e che nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro conseguente a tale contratto (dichiarato nullo dalla P.A.), il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento amministrativo di annullamento solo se e in quanto ravvisi in esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (così: Cass., 17 gennaio 2022, n. 1307). (77) Conf. Cass., 4 maggio 2021, n. 11633. (78) Così A.M. SAnDuLLi, manuale di diritto amministrativo, vol. i , Xv edizione, Jovene, 1989, p. 247. LeGiSLAzione eD AttuALità -i contratti di lavoro posti in essere in violazione dell’art. 36 t.u.P.i. sono nulli e determinano responsabilità erariale; b) rapporto obbligatorio. nel rapporto obbligatorio, coattivo, si prescinde dal consenso del lavoratore. tanto è possibile solo in base alla legge (art. 23 Cost.). una tale ipotesi si ha nella fattispecie di requisizione di servizi in caso di disastri pubblici onde sopperire alle esigenze della popolazione ed altresì con riguardo all’attività dei giudici popolari nelle Corti d’Assise, estratti a sorte per un periodo di tempo determinato. L’ipotesi più importante, il servizio militare obbligatorio, è venuta meno con la legge 6 marzo 2001, n. 64. Sicché ora il servizio militare è su base volontaria; c) rapporto di lavoro autonomo (ad esempio con professionisti intellettuali); d) rapporto di lavoro onorario, nel quale chi entra in rapporto di servizio con la P.A. non lo fa a titolo professionale (es. rapporto di servizio: dei commissari ad acta; dei componenti dei consigli comunali, provinciali e regionali; dei componenti della commissione aggiudicatrice di appalto; dei giudici onorari; degli organi politici e/o di indirizzo degli enti pubblici). vi è lo svolgimento di una pubblica funzione per effetto dell’atto di investitura alla carica e può essere prestato gratuitamente oppure con la corresponsione di un compenso (di natura indennitaria e di ristoro delle spese, generalmente commisurato al sacrificio, di tempo e di denaro, sopportato per lo svolgimento della funzione), senza tuttavia, in questo secondo caso che sia configurabile una relazione sinallagmatica tra funzioni e compenso per il loro esercizio. La posizione del funzionario onorario si configura ogni qualvolta esista un rapporto per lo svolgimento di funzioni pubbliche, ma manchino gli elementi caratterizzanti dell’impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali (che si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico- discrezionale), l’inserimento strutturale del dipendente nell’apparato organizzativo della P.A. (rispetto all’inserimento meramente funzionale del funzionario onorario), lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego (che si contrappone ad una disciplina del rapporto onorario derivante pressoché esclusivamente dall’atto di conferimento dell’incarico e dalla natura dello stesso), il carattere retributivo -perché inserito in un rapporto sinallagmatico -del compenso percepito dal pubblico dipendente (rispetto al carattere indennitario rivestito dal compenso percepito dal funzionario onorario), la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di pubblico impiego (a fronte della normale temporaneità dell’incarico onorario) (79). in assenza della espressa attribuzione normativa di una indennità il ser( 79) Sul servizio onorario: M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit., pp. 49-51. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 vizio onorario è gratuito, salvo il rimborso delle spese che l’investito dell’ufficio sia obbligato a sostenere per l’esercizio dello stesso (80); e) rapporto di lavoro a tempo determinato o con forme di lavoro flessibile. Secondo la disciplina ex art. 36, commi 2 e ss. (81), le PP.AA. possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i detti contratti soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall'art. 35. i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli artt. 19 e ss. D.L.vo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro), escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all'articolo 35, comma 1, lettera b). i contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli artt. 30 e ss. D.L.vo n. 81/2015, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro; non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. f) rapporto di lavoro a tempo parziale (c.d. part time). in questa evenienza la prestazione di lavoro può essere svolta a tempo parziale (c.d. part-time). viene in rilievo una forma di occupazione flessibile con un particolare regime dell’orario di lavoro, inferiore rispetto a quello ordinario a tempo pieno (c.d. full-time). La disciplina del contratto part-time è contenuta negli artt. 4-12 del D.L.vo 15 giugno 2015, n. 81 e modalizzata dalla contrattazione collettiva. La riduzione dell’orario di lavoro può essere: a) di tipo orizzontale, quando il dipendente lavora tutti i giorni per un orario inferiore rispetto all’orario normale giornaliero; b) di tipo verticale, quando il dipendente lavora a tempo pieno, soltanto alcuni giorni della settimana, del mese (80) Così A.M. SAnDuLLi, manuale di diritto amministrativo, vol. i, cit., p. 250. (81) Le disposizioni non si applicano -salva quella del comma 5 sul divieto la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato -al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (AtA), a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Per gli enti di ricerca pubblici di cui agli articoli 1, comma 1, e 19, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, rimane fermo quanto stabilito dal medesimo decreto. LeGiSLAzione eD AttuALità o dell’anno; c) di tipo misto che contempla una combinazione delle due forme precedenti. Giusta l’art. 7 D.L.vo n. 81/2015 “1. il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento. 2. il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. i contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro”. 7.3. modalità dello svolgimento della prestazione (anche agile, c.d. smart working). L’ipotesi ordinaria del rapporto volontario di lavoro subordinato professionale a tempo indeterminato è riconducibile al paradigma dell’art. 2094 c.c. a mente del quale il lavoratore si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'organizzazione amministrativa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione della P.A. in funzione dell’organizzazione del lavoro e dell'erogazione dei servizi ed altresì della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle PP.AA. l'orario di lavoro deve essere flessibile, con modalità di lavoro anche agile (c.d. smart working), ossia senza la necessità della presenza del dipendente nell’ufficio, con modulabilità spaziale e temporale della prestazione del lavoratore. Con la modalità agile la prestazione lavorativa viene eseguita, in tutto o in parte, all'esterno di locali aziendali senza una postazione fissa, entro i limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Ciò sulla base di accordo tra le parti, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. viene in rilievo una modalità di lavoro idonea ad incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Le modalità attuative del lavoro agile sono individuate nel Piano organizzativo del lavoro agile (PoLA) -costituente sezione del Piano della performance (o del PiAo nella parte relativa alla materia de qua) -da redigere con cadenza annuale (art. 14, comma 1, L. n. 124/2015). il lavoro agile, al quale la pandemia del 2020 per la diffusione del CoviD-19 ha dato una necessitata accelerazione, razionalmente organizzato, andrebbe messo a regime per i molteplici benefici allo stesso collegati ed altresì per evitare gli aspetti negativi di un improprio utilizzo, quali l’assenza di separazione tra il tempo del lavoro e quello privato e il rischio di assorbenza totalizzante del primo sul secondo. Circa i punti di forza del lavoro agile si rileva quanto segue. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Dal punto di vista del dipendente, il lavoro agile determina un miglioramento delle competenze digitali. tale modalità di lavoro è, intuitivamente, appetibile, atteso che elimina i tempi morti per raggiungere il posto di lavoro, con risparmio di tempo e denaro, potendo svolgersi l’attività lavorativa da qualsiasi luogo. il lavoratore vede migliorata la qualità della vita, con una maggiore conciliazione tra lavoro e vita privata. ove gestita in modo razionale, tale modalità di lavoro aumenta l’empatia tra dipendente e datore di lavoro, fidelizza il lavoratore con inevitabili ricadute sulla produttività e sulla efficienza degli uffici. Dal punto di vista del datore di lavoro, vi è una riduzione dei costi fissi dell’apparato organizzativo. riducendo, quale effetto complessivo dello svolgimento del lavoro in modalità agile, la presenza dei dipendenti negli uffici e turnando la loro presenza nelle postazioni di lavoro si riducono gli ambienti nei quali si svolge la prestazione, occorrono meno uffici, si riduce la logistica, si riducono i costi delle utenze del servizio elettrico, del servizio idrico, di gas naturale, degli appalti dei servizi di pulizia. Dal punto di vista della vivibilità delle città e della salvaguardia dell’ambiente, vi è un netto miglioramento di tutti gli standard collegati alla qualità dei servizi pubblici. La riduzione delle persone che si recano fisicamente nei posti di lavoro determina, per l’effetto, il decongestionamento dei servizi di trasporto pubblico locale, una maggiore fluidità della viabilità, un minore inquinamento atmosferico ed acustico. Dal punto di vista dell’urbanistica, il lavoro agile può determinare una riduzione della pressione antropica sulle città ed una redistribuzione della popolazione sul territorio, specie nelle periferie delle città, in paesi e borghi. il lavoratore, potendo svolgere il lavoro, in tutto o in parte, da qualsivoglia postazione, sarà incentivato a delocalizzare la propria abitazione in centri minori, dato il minor costo delle abitazioni e la migliore qualità della vita (82). 7.4. Situazioni giuridiche soggettive inter partes. venendo in rilievo un contratto a prestazioni corrispettive all’obbligo di una parte corrisponde il diritto dell’altro e viceversa. Doveri del lavoratore. a) prestare l’attività lavorativa nell’orario di lavoro (art. 2107 c.c.). Le modalità dell’attività lavorativa sono fissate dalle opportune norme organizzatorie, specificate dalla dirigenza. il lavoratore deve prestare obbedienza agli ordini impartiti dai superiori, salvo che i detti ordini siano illegittimi; b) riconoscibilità al pubblico. i dipendenti che svolgono attività a contatto con il pubblico sono tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo me( 82) Su tali aspetti: M. GerArDo, un diritto per il “dopoguerra”. aspetti della legislazione emergenziale anti coviD-19 da rendere stabili ed ordinari, in rass. avv. Stato, 2021, 1, p. 208. LeGiSLAzione eD AttuALità diante l'uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro (art. 55 novies, il quale al comma 2 prevede altresì la possibilità di categorie escluse); c) obbedienza e diligenza. Giusta l’art. 2104 c.c., il lavoratore deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall'interesse della P.A. datore di lavoro; deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dalla P.A. datore di lavoro a mezzo dei suoi organi, rispettando l’orario di ufficio e non assentandosi dal lavoro senza giustificazione; e) imparzialità e rispetto del principio di buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.); f) tenere una condotta (in ufficio e nella vita privata) conforme alla dignità della posizione rivestita. Questo dovere è particolarmente rilevante per talune categorie di dipendenti, come i magistrati e le forze dell’ordine: una vita sregolata o la frequentazione di delinquenti potrebbero ragionevolmente far sorgere dubbi sulla loro stessa correttezza; g) lealtà o fedeltà. oltre al dovere generale di fedeltà alla repubblica (art. 51 Cost.), il lavoratore non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, con pregiudizio per la P.A. datore di lavoro, né divulgare notizie attinenti al- l'organizzazione e ai metodi di produzione dell'organizzazione, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio (art. 2105 c.c.). Funzionale a tale obbligo è la disciplina, contenuta negli artt. 54 e 53, relativi -rispettivamente -al codice di comportamento e alle incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi. codice di comportamento. All’uopo vi è una disciplina trasversale -valevole per tutti i pubblici dipendenti -contenuta in un atto adottato dal Governo; vi è poi una disciplina di dettaglio contenuta in un atto adottato da ciascuna P.A. il codice di comportamento adottato dal Governo è un atto amministrativo generale (83) avente la finalità di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore (83) Approvato con decreto del Presidente della repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è pubblicato nella Gazzetta ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione. L’attuale codice di comportamento è stato emanato con D.P.r. 16 aprile 2013, n. 62 e si applica al personale statale, a quello delle regioni, degli enti locali e degli enti autonomi. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 e nei limiti delle normali relazioni di cortesia; contiene, altresì, una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della P.A. La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. il codice di comportamento adottato da ciascuna pubblica amministrazione (84), integra e specifica il codice di comportamento adottato dal Governo. La violazione dei doveri di questo codice produce gli stessi effetti della violazione dei doveri del codice adottato dal Governo; incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi. A tal fine viene richiamata la disciplina sulle incompatibilità dettata specialmente dagli artt. 60 e ss. D.P.r. n. 3/1957, secondo cui l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta specifica autorizzazione. Le PP.AA non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. A tal fine, con appositi regolamenti sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle PP.AA. il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da P.A. diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti -ossia incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali (84) Adottato con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione. LeGiSLAzione eD AttuALità è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso -che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza (85). in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. inoltre le PP.AA., gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi, con la previsione di gravi sanzioni. L'autorizzazione allo svolgimento dell’incarico deve essere richiesta al- l'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata (86). Diritti del lavoratore. va preliminarmente precisato che la fonte della disciplina del trattamento economico, oltrecché di quello giuridico, è unicamente la legge dello Stato o il CCnL, come confermato dagli artt. 2, comma 3, e 45, comma 1, t.u.P.i. in materia non può intervenire una fonte secondaria oppure una fonte regionale ancorché primaria, atteso che viene in rilievo la materia dell’ordinamento civile spettante in via esclusiva ex art. 117, comma 2, Cost. alla potestà legislativa statale (87). (85) Sono esclusi i compensi e le prestazioni derivanti: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della P.A. nonché di docenza e di ricerca scientifica. (86) È prescritto altresì che: entro quindici giorni dall'erogazione del compenso i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici; le PP.AA. pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto; le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione. (87) il principio è assolutamente pacifico nella giurisprudenza costituzionale. Si richiama, ex plurimis, la sentenza n. 16 del 13 febbraio 2020 della Corte Costituzionale, ove viene ribadito che la disci rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 a) diritto alla parità di trattamento ed al divieto di discriminazioni, secondo la previsione costituzionale specificata dal primo comma dell’art. 7 precisante che “le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l'assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all'età, all'orientamento sessuale, alla razza, all'origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell'accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro. le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno”. Strumentale alla parità di trattamento tra uomini e donne è l’eguaglianza dei punti di partenza e, quindi, le pari opportunità. A tal fine, ex art. 57, comma 1, le PP.AA., tra l’altro: a) riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso; b) adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri -Dipartimento della funzione pubblica; c) garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni interessate ai corsi medesimi, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare. b) diritti patrimoniali. ossia: -retribuzione (art. 2093 c.c.), consistente nella prestazione mensile di danaro da parte della P.A. quale corrispettivo per l’opera prestata. tanto in attuazione dell’art. 36, comma 1, Cost.: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. La misura dovuta è determinata in base alla categoria di appartenenza del dipendente e non può essere inferiore al quantum indicato nel C.C.n.L. del comparto (c.d. trattamento economico fondamentale). La retribuzione non è sequestrabile, non pignorabile e non cedibile nel minimo legale; il diritto allo stipendio si prescrive in cinque anni ex art. 2948 n. 5 c.c.; plina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici -ivi inclusi i profili del trattamento economico (inteso nel suo complesso, senza alcuna limitazione a quello fondamentale) e della relativa classificazione (sentenza della Corte Costituzionale 30 luglio 2012 n. 213) -rientra nella materia “ordinamento civile”, che spetta in via esclusiva al legislatore nazionale. nel caso di specie si statuisce che compete unicamente al legislatore statale anche la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti regionali (sentenze della Corte Costituzionale 5 dicembre 2016, n. 257, 11 luglio 2017, n. 160, 13 luglio 2017, n. 175), ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.L.vo n.165/2001. La Corte ha, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, commi 14, primo periodo, e 15, della legge reg. Siciliana n. 8 dell’8 maggio 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. LeGiSLAzione eD AttuALità -trattamenti economici accessori, individuati nel C.C.n.L., collegati a specifiche funzioni o modalità dell’attività lavorativa, quali l’indennità di lavoro straordinario, notturno, di trasferta, compenso incentivante per la produttività, ecc. (c.d. trattamento economico accessorio). il trattamento economico fondamentale, compensando la produttività media del lavoratore, risponde alla esigenza di assicurare al dipendente “un'esistenza libera e dignitosa”, mentre il trattamento accessorio è più strettamente connesso con la “quantità e qualità del suo lavoro” (88); -trattamento di quiescenza (pensione) se ha maturato i requisiti di età e contributivi ex lege richiesti; -trattamento di fine rapporto (buonuscita), al termine del rapporto di lavoro, consistente nell’erogazione di una somma di danaro una tantum; c) diritti non patrimoniali. ossia (oltre al diritto alla parità di trattamento innanzi esposto), diritto -all’ufficio (o al posto), consistente nella pretesa attribuita ai dipendenti a tempo indeterminato di mantenere il posto di lavoro corrispondente a quello per cui sono stati assunti. Questo diritto può essere limitato o escluso nei soli casi previsti dalla legge o dai C.C.n.L.; -alla funzione, consistente nella pretesa del dipendente ad esercitare le funzioni inerenti la propria qualifica, salvo lo ius variandi del datore di lavoro ex art. 2103 c.c.; -alla sede, salve esigenze di servizio. Solo particolari categorie di dipendenti (magistrati e professori universitari) godono di inamovibilità assoluta, onde assicurarne l’indipendenza, -al trasferimento ad altra sede di servizio, compatibilmente con le esigenze della P.A. Le quattro situazioni delineate hanno consistenza di diritto soggettivo. È vero che il datore di lavoro pubblico gode di margini di discrezionalità nel disporre, ad es. il trasferimento di sede, ma questa non è “vera” discrezionalità in quanto si è al di fuori dell’attività autoritativa, atteso che la P.A. agisce con i poteri dell’ordinario datore di lavoro di diritto privato. La P.A. deve agire con correttezza, buona fede e proporzionalità nell’applicare istituti a maglie elastiche, proprio come un ordinario datore di lavoro di diritto privato (89); -al riposo settimanale (di regola coincidente con la domenica) ed annuale (congedo ordinario, con le ferie retribuite): art. 2109 c.c. Per previsione costi (88) Così L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi MonACo, F.G. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. i, cit., p. 496. (89) Diversamente L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi MonACo, F.G. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. i, cit., pp. 499-500 per i quali queste posizioni -come anche la pretesa alla progressione in carriera -non sono riconducibili al genus dei diritti soggettivi non patrimoniali, ma hanno consistenza di interessi legittimi. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 tuzionale “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” (art. 36, comma 3, Cost.); -al congedo per malattia, maternità, matrimonio, paternità e parentale, partecipazione a esami o concorsi pubblici (congedo straordinario); -a permessi retribuiti; -alla qualifica, al titolo conferito al momento dell’assunzione o al momento dell’ultima promozione, che può essere utilizzato anche nella vita privata; - ai diritti sindacali. 7.5. modificazioni del rapporto di lavoro. Durante lo svolgimento il rapporto di lavoro può subire evoluzioni e modificazioni. i) Le modificazioni possono inerire al rapporto con la P.A. datore di lavoro. a) Sospensione del rapporto di lavoro nel caso di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio (art. 2110 c.c.). Al ricorrere dei casi indicati il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto e alla erogazione del trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva (ad es. nel caso di sospensione per malattia spetta il trattamento economico fondamentale per un primo periodo, poi vi è una riduzione progressiva). il rapporto di lavoro subisce una sospensione. b) Sospensione del rapporto di lavoro, con collocamento in aspettativa, per motivi familiari e personali o nei casi previsti da disposizioni di legge. La contrattazione collettiva prevede spesso che al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che ne faccia formale e motivata richiesta possono essere concessi, compatibilmente con le esigenze organizzative o di servizio, periodi di aspettativa per esigenze personali o di famiglia, senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità, per una data durata complessiva (ad es. di dodici mesi in un triennio). Anche in questa evenienza il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto ed il rapporto di lavoro viene sospeso. c) ius variandi. L’impiegato, come qualsivoglia lavoratore, deve svolgere i compiti per i quali è stato assunto, riconoscendosi al datore di lavoro un potere di adattamento al caso concreto e alle sopravvenienze (90). La materia è regolata in via generale dall’art. 2103 c.c. nel lavoro pubblico la regolazione generale di diritto comune presenta significative deroghe -specie con riguardo al mancato riconoscimento del diritto all’inquadramento superiore nel caso di svolgimento di mansioni superiori decorso un determinato periodo ostandovi la regola del- l’espletamento del concorso pubblico -contenute nell’art. 52, a tenore del quale: (90) Sulla problematica: L. rAineri, mansioni nel pubblico impiego: assegnazione, svolgimento di mansioni di fatto superiori e demansionamento, in rass. avv. Stato, 2014, 4, pp. 211-245. LeGiSLAzione eD AttuALità -i dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un'ulteriore area per l'inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all'interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell'esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dal- l'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti; -il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto di procedure selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione; -per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. A questi fini si considera svolgimento di mansioni superiori soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. Per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti. Al di fuori delle ipotesi a) e b) innanzi indicate è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore (91). (91) Conf. Cass. 2 febbraio 2021, n. 2276, secondo cui “il diritto al compenso per lo svolgimento rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave; -i medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti innanzi descritti. nell’art. 52 non vi è la disciplina delle mansioni inferiori assegnate al dipendente. in questa evenienza deve ritenersi che si applicano le regole contenute nell’art. 2103 c.c. (92). d) Trasferimento dalla sede di lavoro, tra cui il trasferimento per incompatibilità ambientale. il trasferimento dalla sede di lavoro si ha quando vi è uno spostamento apprezzabile del luogo di prestazione del lavoro, senza mutamento della qualifica posseduta e con carattere di tendenziale stabilità. Sicché non sono veri e propri trasferimenti i meri spostamenti di ufficio nell’ambito della stessa sede (di stanza, di piano, di edificio) o quelli che non comportano un apprezzabile spostamento topografico del luogo di prestazione del lavoro, né quelli di natura meramente temporanea (distacchi, comandi, trasferte o missioni) (93). il trasferimento della sede di lavoro può essere volontario o d’ufficio. La materia viene regolata dalla legge ed altresì dalla contrattazione collettiva nazionale. nel caso di trasferimento volontario non vi è un diritto soggettivo assoluto al trasferimento da una unità organizzativa ad altra unità organizzativa di fatto di mansioni superiori, […], non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 cost.[…], sicchè il diritto va escluso solo qualora l'espletamento sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento”. (92) ossia, commi 2-6: “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”. (93) Così, A. tALLAriDA, i trasferimenti individuali nel rapporto di lavoro pubblico e privato, in rass. avv. Stato, 2018, 4, p. 192. LeGiSLAzione eD AttuALità dello stesso ente, tranne che nei casi previsti dalla legge (ad esempio: coniuge di militari, secondo la disciplina di cui all’art. 17 L. 28 luglio 1999 n. 266; art. 21, comma 2, L. 5 febbraio 1992, n. 104; art. 42 bis D.L.vo 26 marzo 2001, n. 151) (94) oppure in conseguenza di atto di autovincolo (l’Amm.ne prevede dei criteri per i trasferimenti volontari, che non potrà non rispettare). nel caso di trasferimento d’ufficio la regola generale è contenuta nel penultimo comma dell’art. 2103 c.c. secondo cui “il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, con la specificazione modificativa di cui all’art. 30, comma 2, t.u.P.i. secondo cui i dipendenti possono essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. una ipotesi di trasferimento d’ufficio è il trasferimento per incompatibilità ambientale, il quale trova la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità Amministrazione. Questa ipotesi va ricondotta alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c., piuttosto che a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. il trasferimento, peraltro, è subordinato ad una valutazione discrezionale dei fatti che fanno ritenere nociva, per il prestigio ed il buon andamento dell’ufficio, l’ulteriore permanenza dell’impiegato in una determinata sede (95). Disposizioni legislative speciali tutelano particolari categorie di lavoratori in ragione della situazione in cui versano o delle funzioni che espletano, richiedendo il loro consenso o altre condizioni (96). (94) il quale prevede che il genitore di figli minori di 3 anni, dipendente di amministrazione pubblica, può essere assegnato a richiesta, per un periodo, anche frazionato, complessivamente non superiore a 3 anni ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile, salvo motivato dissenso per casi o esigenze eccezionali, da esprimersi entro 30 giorni dalla domanda. (95) Cass., 24 ottobre 2019, n. 27345. (96) il dipendente che assiste con continuità il coniuge, la parte di un’unione civile, il convivente di fatto, un parente o affine entro il terzo grado con handicap grave, alle condizioni fissate nel comma 3 dell’art. 3 L. n. 104/1992, “non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede” (art. 33, comma 5, L. n. 104/1992), come pure il dipendente con handicap grave “non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso” (art. 33, comma 6); tuttavia “la l. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, non configura in generale, in capo ai soggetti ivi individuati, un diritto assoluto e illimitato, poichè esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro e per tradursi -soprattutto nei casi relativi a rapporti di lavoro pubblico -in un danno per l’interesse della collettività”: così Cass. S.u., 9 luglio rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 e) Trasferte o missioni. Come evidenziato, non rientrano nel concetto di trasferimento i distacchi e comandi (questi istituti involgono, invero, il passaggio del lavoratore presso altri datori di lavoro e saranno esaminati al successivo punto ii), trasferte o missioni. Si tratta di istituti caratterizzati dalla temporaneità dello spostamento del luogo della prestazione di lavoro e come tali non soggetti alla disciplina del trasferimento. essi non danno luogo alla modifica dello status del dipendente né ad una novazione soggettiva del rapporto di lavoro ma solo alla modifica temporanea di questo nella fase dell’esecuzione (97). La trasferta o missione consiste nell’invio del lavoratore a svolgere il proprio lavoro sempre alle dipendenze del suo datore di lavoro, per un breve lasso di tempo, in un luogo diverso da quello ordinario. tale istituto trova generalmente regolamentazione nella contrattazione collettiva, in particolare per quanto riguarda la indennità di trasferta o di missione (che può essere commisurata a km o calcolata a diaria giornaliera). La trasferta differisce dal comando per il fatto che si svolge “per un brevissimo arco di tempo” (98) e non necessita del consenso o disponibilità del dipendente (99). ii) Le modificazioni possono inerire poi al passaggio, temporaneo o definitivo, del lavoratore presso altri datori di lavoro oppure il passaggio da altri datori di lavoro presso una P.A. a) mobilità tra pubblico e privato (art. 23 bis). i dipendenti delle PP.AA. possono essere collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle PP.AA. il periodo di collocamento in aspettativa non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza; 2009, n. 16102. Anche l’art. 30, comma 2, t.u.P.i. subordina, in alcuni casi, il trasferimento al consenso del pubblico dipendente interessato disponendo che “le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai soggetti di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede”. L’art. 22 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) condiziona il trasferimento del dirigente di rSA al preventivo nulla osta del sindacato di appartenenza. Disposizione analoga, con specifiche deroghe, tutela i militari che ricoprono cariche elettive nelle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari riconosciute rappresentative a livello nazionale (art. 14 L. 28 aprile 2022, n. 46). (97) Per tali aspetti, A. tALLAriDA, i trasferimenti individuali nel rapporto di lavoro pubblico e privato, cit., p. 197. (98) t.A.r. Campania Salerno, 31 gennaio 2008 n. 95. (99) Cass. 27 novembre 2002, n. 16812; Cass. 5 luglio 2002, n. 9744. LeGiSLAzione eD AttuALità b) comando o assegnazione temporanea. in questa evenienza, il dipendente -persistendo il rapporto presso la propria Amm.ne -per un dato tempo presta l’attività presso una Amm.ne diversa. il mutamento della sede di lavoro avviene nell’interesse dell’amministrazione di destinazione. il potere direttivo e quello disciplinare sono attribuiti al soggetto utilizzatore. È necessario il consenso espresso del lavoratore e la sua revoca ne determina la cessazione. L’art. 56 t.u. n. 3/1957 ne definisce le condizioni di legittimità (temporaneità, eccezionalità, assenso del dipendente, decreto formale, riconosciute esigenze di servizio o necessità di una specifica competenza). il comando può essere disposto presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici; è vietato per i professori universitari di ruolo presso altra università o altro istituto di istruzione superiore (art. 11 L. 18 marzo 1958 n. 311). il trattamento economico resta a carico dell’amministrazione di provenienza se il comando è disposto verso altra amministrazione statale e va invece a carico dell’ente pubblico presso cui il dipendente va a prestare servizio (art. 57 t.u. cit.). oltre al t.u. n. 3/1957, vi è la disciplina contenuta nell’art. 30, comma 2 sexies, t.u.P.i. disponente che le PP.AA., per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all'art. 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni. c) Distacco. il mutamento della sede di lavoro avviene nell’interesse del datore di lavoro o dell’amministrazione di appartenenza. il potere direttivo e quello disciplinare sono attribuiti, come nel comando, al soggetto utilizzatore. una forma particolare di distacco è quella prevista dal t.u.e.L., nell’ambito delle convenzioni tra enti locali per lo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati (art. 30, comma 4). Altra forma particolare è il distacco dei dipendenti presso le istituzioni internazionali, dell'unione europea e di altri Stati disciplinata dall’art. 32 t.u.P.i. È previsto che le PP.AA. favoriscono e incentivano le esperienze del proprio personale presso le istituzioni europee, le organizzazioni internazionali nonché gli Stati membri dell'unione europea, gli Stati candidati all'adesione all'unione e gli altri Stati con i quali l'italia intrattiene rapporti di collaborazione al fine di favorire lo scambio internazionale di esperienze amministrative e di rafforzare il collegamento tra le amministrazioni di provenienza e quelle di destinazione. A tal fine i dipendenti delle PP.AA. possono essere destinati a prestare temporaneamente servizio presso i soggetti innanzi detti. il trattamento economico degli esperti nazionali distaccati può essere a carico delle amministrazioni di provenienza, di quelle di destinazione o essere suddiviso tra esse, ovvero essere rimborsato in tutto o in parte allo Stato italiano dall'unione europea o da un'organizzazione o ente rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 internazionale. il personale che presta servizio temporaneo all’estero resta a tutti gli effetti dipendente dell’amministrazione di appartenenza. Per il personale non dirigenziale i comandi e i distacchi sono consentiti esclusivamente nel limite del 25 % dei posti non coperti all’esito delle procedure di mobilità volontaria ex art. 30 t.u.P.i. La disposizione non si applica ai comandi o distacchi obbligatori, previsti da disposizioni di legge, ivi inclusi quelli relativi agli uffici di diretta collaborazione, nonché a quelli relativi alla partecipazione ad organi, comunque denominati, istituiti da disposizioni legislative o regolamentari che prevedono la partecipazione di personale di amministrazioni diverse, nonché ai comandi presso le sedi territoriali dei ministeri, o presso le unioni di comuni per i Comuni che ne fanno parte (art. 30, comma 1 quinquies, t.u.P.i.). d) mobilità d’ufficio (art. 34 bis t.u.P.i.) e mobilità volontaria (art. 30 t.u.P.i.), già esaminate innanzi. trattasi di continuazione del rapporto presso altra P.A., con cessazione definitiva del rapporto presso l’Amm.ne originaria. Al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della amministrazione di destinazione. Questa regola è prevista in via espressa per la mobilità volontaria (art. 30, comma 2 quinquies), ma deve ritenersi applicabile anche a quella d’ufficio. una peculiare ipotesi di mobilità d’ufficio si ha nel caso di passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività regolato dall’art. 31, secondo cui nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da PP.AA., enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l'art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all'art. 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428. 7.6. estinzione del rapporto di lavoro. Spoil system. il rapporto di lavoro è per sua natura temporaneo. nel caso che inter partes vi sia un contratto a termine, il rapporto si estingue con la scadenza del termine. nel caso che inter partes vi sia un contratto a tempo indeterminato, il rapporto si estingue al raggiungimento dell’età pensionabile oppure alla maturazione di una data anzianità di servizio. Per tutti i rapporti di lavoro, poi, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, vi sono ulteriori evenienze estintive. ossia: a) morte del dipendente o estinzione dell’ente pubblico (salvi, in quest’ultima ipotesi i casi di ricollocamento ex lege); b) permanente inidoneità psicofisica del dipendente, secondo la disciplina di cui all’art. 55 octies; c) recesso, senza preavviso, per giusta causa, ossia per una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (dimissioni adottate dal dipendente; licenziamento LeGiSLAzione eD AttuALità adottato dal datore di lavoro). La disciplina è contenuta nell’art. 2119 c.c.; d) recesso, con preavviso, per giustificato motivo soggettivo od oggettivo adottato dal datore di lavoro (100); e) licenziamento disciplinare adottato dal datore di lavoro; f) recesso ad nutum, con preavviso, adottato dal dipendente nel caso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art. 2118 c.c.). infine va evidenziato che gli incarichi dirigenziali apicali, ossia quegli incarichi il cui titolare costituisce lo snodo tra l’organo di governo e l’amministrazione (101), cessano allorché venga meno il rapporto fiduciario con l’organo di governo (c.d. spoil system). Questa modalità di estinzione, alla luce dei principi della imparzialità della P.A. e della separazione tra la sfera politica e quella amministrativa, non può operare per tutti i restanti rapporti di lavoro, compresi quelli di direttore generale. Questi ultimi, infatti, ancorché si collochino al vertice dell’apparato amministrativo, restano però all’interno dello stesso, sicché possono essere rimossi prima della scadenza del termine del contratto solo per accertata responsabilità dirigenziale (102). (100) A termini dell’art. 3 L. 15 luglio 1966, n. 604 “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. (101) nello Stato hanno tale carattere gli incarichi di Segretario Generale dei Ministeri, di Capo Dipartimento ed equiparati e degli addetti agli uffici di diretta collaborazione degli organi di governo (per questi ultimi l’art. 14, comma 2, prevede che all'atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale conferiti nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro). negli enti, società e agenzie hanno tale carattere gli incarichi apicali conferiti dal Governo; viene all’uopo prescritto che “le nomine degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione o degli organi equiparati degli enti pubblici, delle società controllate o partecipate dallo Stato, delle agenzie o di altri organismi comunque denominati, conferite dal governo o dai ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura, computata con decorrenza dalla data della prima riunione delle camere, o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le camere, possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al governo. Decorso tale termine gli incarichi per i quali non si sia provveduto si intendono confermati fino alla loro naturale scadenza. le stesse disposizioni si applicano ai rappresentanti del governo e dei ministri in ogni organismo e a qualsiasi livello, nonché ai componenti di comitati, commissioni e organismi ministeriali e interministeriali, nominati dal governo o dai ministri” (art. 6, comma 1, L. 15 luglio 2002, n. 145). negli enti locali hanno tale carattere gli incarichi di segretario comunale e provinciale, come confermato dall’art. 99, comma 2, t.u.e.L. per il quale la nomina del segretario “ha durata corrispondente a quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia che lo ha nominato. il segretario cessa automaticamente dall'incarico con la cessazione del mandato del sindaco e del presidente della provincia, continuando ad esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario”. (102) Conf. Corte cost., 23 marzo 2007, n. 103, precisante che la revoca delle funzioni legittimamente conferite ai dirigenti può essere conseguenza soltanto di un'accertata responsabilità, all'esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato ed è necessario che sia comunque garantita la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni per cui ritiene di non consentire la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista e, dall'altro, sia assicurata al dirigente la possibilità di far valere il diritto di difesa, nel rispetto dei principi del giusto procedimento, finalizzati a garantire scelte trasparenti e verificabili, in ossequio al precetto dell'imparzialità dell'azione amministrativa. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 7.7. riammissione in servizio. L’istituto della riammissione in servizio del dipendente pubblico già dimissionario (regolato dall’art. 132 D.P.r. n. 3/1957, con una specificazione nell’art. 516 D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297), presuppone la decisione discrezionale dell’Amm.ne che dovrà verificare se corrisponde all’interesse pubblico la copertura del posto vacante mediante riammissione (piuttosto che con nuovo concorso). È pertanto esclusa la configurabilità di un diritto soggettivo all’accettazione della richiesta di riammissione. A seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro l’istanza di riammissione è, infatti da qualificare in termini di proposta contrattuale; il potere dell’Amm.ne di disporre la riammissione in servizio del dipendente già dimissionario, si è, infatti, trasformato da potere amministrativo a potere privato, che si esercita mediante atti di natura negoziale, con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice ordinario. nel procedimentalizzato esercizio del potere di riammissione la P.A. ha, tuttavia, da un lato, l’obbligo di valutare l’interesse pubblico alla riammissione in servizio e, dall’altro, l’obbligo dell’esame tempestivo (secondo correttezza e buona fede) della domanda nonché di motivare la decisione di riammissione (ancorché negativa) (103). in dati casi la riammissione in servizio è un diritto soggettivo dell’interessato. È il caso della reimmissione in servizio a seguito di assoluzione in procedimenti giudiziari ex art. 3, comma 57, L. 24 dicembre 2003, n. 350 (104). 8. le reSponSabiliTà Del lavoraTore DipenDenTe pubblico. aSpeTTi generali. L'inosservanza delle obbligazioni assunte con la stipulazione del contratto di lavoro comporta le conseguenze, rectius: le responsabilità normativamente stabilite. A seconda della natura degli interessi saranno configurabili varie specie di responsabilità: penale, civile, amministrativa, contabile, disciplinare (105), manageriale. (103) Cass., 14 agosto 2008, n. 21660. (104) Secondo cui il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall'impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, anche se pronunciati dopo la cessazione dal servizio, ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall'amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione. LeGiSLAzione eD AttuALità 8.1. la responsabilità penale. i dipendenti e i dirigenti delle pubbliche amministrazioni possono essere soggetti ad una speciale responsabilità penale. La trasgressione dei doveri inerenti ai compiti da svolgere potrà determinare l'incriminazione per delitti dei pubblici ufficiali (106) contro la pubblica amministrazione (artt. 314 -335 c.p.), tra i quali il peculato (artt. 314 e 316 c.p.), la concussione (artt. 317 e 319 quater c.p.), la corruzione (artt. 318, 319, 319 ter, 322 c.p.), l’abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), il rifiuto di atti d'ufficio e l’omissione (art. 328 c.p.). nella legislazione speciale in materia penale di particolare rilevanza è la tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro. in materia, il principale destinatario dei precetti penali, nell'ambito degli enti pubblici, è l’organo titolare dell’indirizzo politico, fatta salva la delega -nel rispetto dei requisiti in tema di delega di funzione -ai responsabili dei singoli servizi. Analogo discorso va fatto in ordine alla materia della gestione dei rifiuti. L’organo titolare dell’indirizzo politico -nella qualità di datore di lavoro, ai fini della sicurezza -formula direttive ai dirigenti, i quali sono tenuti ad organizzare l'attività lavorativa e vigilare su di essa (art. 2, comma 1, lettera d, D.L.vo 9 aprile 2008, n. 81). L'art. 18 D.L.vo n. 81/2008 contiene sia obblighi che gravano sul dirigente iure proprio, in maniera del tutto naturale sulla base delle funzioni esercitate, sia obblighi che sarebbero originari del datore di lavoro e che gravano su un dirigente nel momento in cui vengono in qualche modo trasferiti (107). L’organo titolare dell’indirizzo politico, essendo collocato al vertice amministrativo e gestionale dell'ente pubblico, è tenuto all'osservanza delle norme di prevenzione e di sicurezza che rientrano nella più ampia nozione di gestione dell'ente. Per “datore di lavoro” negli enti pubblici deve intendersi chi in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro. L'art. 2, lett. b), D.L.vo n. 81/2008, infatti, prevede espressamente che nelle P.A. di cui al t.u.P.i. per “datore di lavoro” si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione e che in caso di omessa individuazione del dirigente, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo. (105) Quest’ultima non è applicabile ove non sussista un rapporto di pubblico impiego, di lavoro dipendente (ad esempio nei rapporti onorari). (106) Pubblico ufficiale, secondo la nozione di cui all'art. 357 c.p. è il soggetto che esercita una pubblica funzione amministrativa, “caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione delle volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi” (Su tali aspetti: G. FiAnDACA -e. MuSCo, Diritto penale, Parte speciale, vol. 1, zanichelli, iii edizione, 2002, pp. 170 e ss.). (107) in difetto di delega i compiti, e le conseguenti responsabilità, restano in capo all’organo titolare dell’indirizzo politico. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Le funzioni, tranne le ipotesi espressamente escluse, sono delegabili da parte del datore di lavoro, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di vigilanza sull’operato del delegato, nonché il rispetto dei seguenti limiti e condizioni: a) forma scritta e data certa della delega; b) possesso, da parte del delegato, di tutti i requisiti di professionalità e di esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, c) attribuzione al delegato dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle citate funzioni; d) accettazione per iscritto della delega ad opera del delegato; e) adeguata e tempestiva pubblicità della delega. 8.2. la responsabilità civile verso terzi. in conformità ai principi generali il dipendente pubblico risponde ex art. 2043 cc. dei danni ingiusti conseguenza di qualunque fatto doloso o colposo nell'esercizio delle incombenze connesse ai compiti svolti, arrecati a terzi, ossia a soggetti diversi dall’ente di appartenenza in relazione al quale vi è la speciale responsabilità amministrativa di seguito trattata. il danneggiato può agire, oltreché nei confronti del dipendente pubblico, anche nei confronti dell'ente di appartenenza alla luce della relazione di immedesimazione organica tra il primo ed il secondo (art. 28 Costituzione; art. 2049 cc.). Perché risponda l'ente di appartenenza è necessario che fra l'esercizio delle incombenze del dipendente pubblico ed il fatto dannoso sussista un nesso di occasionalità necessaria; nesso di occasionalità necessaria che viene spezzato ove il fatto dannoso integri la fattispecie del reato doloso. venendo in rilievo un rapporto di lavoro subordinato, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, si applicano le disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato in materia di responsabilità verso i terzi di cui agli artt. 22-23 D.P.r. n. 3/1957, in forza delle quali “È danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti” (art. 23, comma 1, D.P.r. n. 3/1957). Di conseguenza il dipendente pubblico è responsabile civilmente verso terzi solo a titolo di dolo o colpa grave. La colpa grave consiste nella violazione della diligenza minima (mentre integra la colpa lieve la violazione della ordinaria diligenza) (108). La diligenza consiste nell’impiego normalmente adeguato di energie e dei mezzi utili al soddisfacimento dell’interesse del creditore (109). La colpa grave esclude la volontarietà, ma non si esaurisce solo -come la colpa c.d. lieve -nella negligenza, imprudenza o imperizia, dovendo le stesse esser elevate, macroscopiche. Si deve trattare, (108) C.M. BiAnCA, Diritto civile, vol. v, ii edizione, Giuffrè, 2012, p. 582. (109) C.M. BiAnCA, Diritto civile, vol. v, cit., p. 8. LeGiSLAzione eD AttuALità insomma, di violazioni grossolane del dovere di diligenza, di prudenza e perizia (non intelligere quod omnes intelligunt). La cognizione della lite in materia di responsabilità civile verso terzi spetta all'Autorità Giudiziaria ordinaria. 8.3. la responsabilità amministrativa (o per danno erariale). nell'evenienza che il danno sia stato arrecato direttamente o indirettamente all'Amministrazione di appartenenza o ad altra Amministrazione, la responsabilità civile assume connotati particolari e speciali, ricorrendo la fattispecie della responsabilità amministrativa, attribuita alla giurisdizione della Corte dei Conti (110). trattasi -venendo in rilievo una responsabilità inerente ad uno specifico rapporto giuridico preesistente inter partes -di responsabilità contrattuale, seppure con significative deroghe. i funzionari, gli impiegati, gli agenti, anche militari, che nell'esercizio delle loro funzioni, per errore ed omissione imputabili anche solo a colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra P.A. dalla quale dipendono sono, infatti, sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti nei casi e modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali (in tal senso art. 52 r.D. 12 luglio 1934 n. 1214). La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico del responsabile tutto o parte del danno arrecato o del valore perduto. regole analoghe sono sparse in varie disposizioni (es. art. 83 r.D. 18 novembre 1923 n. 2440; art. 18 D.P.r n. 3/1957; art. 61 L. 11 luglio 1980, n. 312) (111). Gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa possono così sinteticamente individuarsi: a) rapporto di servizio. il primo elemento che deve sussistere perché sia configurabile la responsabilità amministrativa è l’esistenza di un rapporto di servizio, che leghi a vario titolo il soggetto ritenuto responsabile alla pub( 110) Sulla responsabilità amministrativa: M. SCiASCiA, Diritto delle gestioni pubbliche, ii edizione, Giuffré, 2013, pp. 796-822; P. SAntoro, manuale di contabilità e finanza pubblica, v edizione, Maggioli, 2012, pp. 687-714; M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit. pp. 100-105; C.e. GALLo, M. GiuSti, G. LADu, M.v. LuPò AvAGLiAno, L. SAMBuCCi, M.L. SeGuiti, contabilità di Stato e degli enti pubblici, v edizione, Giappichelli, 2011, pp. 145-189; S. Bu- SCeMA, A. BuSCeMA, contabilità di Stato e degli enti pubblici, iv edizione, Giuffré, 2005, pp. 294-309; C. AneLLi, F. izzo, C. tALiCe, contabilità pubblica, Milano, Giuffrè, 1996, ii edizione, pp. 955-1034; A. BennAti, manuale di contabilità di Stato, napoli, Jovene, 1990, Xii edizione, pp. 753-901. (111) “la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi. la limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 blica amministrazione, costituendo in capo al primo l’esistenza di specifici doveri correlati allo svolgimento da parte dell’Amministrazione dei compiti ad essa attribuiti. Dalla ricognizione delle disposizioni in materia emerge un’ampia latitudine dell’ambito soggettivo, atteso che tale rapporto concerne sia i lavoratori dipendenti con rapporto di lavoro privatistico che quelli in regime di diritto pubblico (art. 3), sia i dipendenti con rapporto di pubblico impiego volontario che quelli con rapporto coattivo (es. militari), sia i lavoratori professionali con rapporto a tempo determinato indeterminato che quelli onorari, sia infine, i lavoratori autonomi. vi è responsabilità anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (art. 1, comma 4, L. 14 gennaio 1994 n. 20); viene in rilievo il c.d. danno obliquo che può emergere nel caso di un dipendente distaccato o comandato presso un’altra P.A. oppure nel caso del componente di un consiglio di amministrazione di un ente pubblico nominato da un Ministero. Dal punto di vista del datore di lavoro, la responsabilità amministrativa viene in rilievo non solo allorché è esistente un rapporto di servizio con gli enti pubblici non economici, ma anche con gli enti pubblici economici (112) e finanche (giusta art. 12, comma 1, D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175) con le società in house. b) comportamento dannoso. il danno, per poter comportare responsabilità amministrativa deve essere conseguenza di un comportamento -azione (provvedimentale o materiale) od omissione -posto in essere nell’esercizio di un’attività non discrezionale, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, sempreché rispettose dei limiti posti dall’ordinamento (pertanto la discrezionalità è sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere). tale comportamento deve essere imputabile all’agente, a titolo di responsabilità personale (art. 1, comma 1, L. n. 20/1994). va precisato che la responsabilità amministrativa scaturisce da condotte illecite di dipendenti e dirigenti pubblici e non necessariamente da atti illegittimi posti in essere dagli stessi. Ciò che assume rilevanza è la violazione dei doveri di ufficio e l’inadempimento di obblighi di gestione, da cui deriva un pregiudizio patrimoniale a carico della pubblica amministrazione. La mera illegittimità dell’atto, per i danni correlati ad attività provvedimentale, non rileva in quanto tale, ma è soltanto un sintomo della illiceità di un comportamento alla cui produzione concorrono i requisiti della dannosità della condotta e dell’atteggiamento gravemente colposo del suo autore. L’illegittimità dell’atto amministrativo, nel giudizio per danno erariale, può rappresentare, semplicemente, uno degli elementi della più complessa fattispecie di responsabilità contabile (113); (112) Cass., 22 dicembre 2003, n. 19667. LeGiSLAzione eD AttuALità c) elemento psicologico. La responsabilità è circoscritta ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. il dolo, argomentando dall’art. 43 c.p. (114), consiste nella coscienza e volontà degli elementi costituitivi della fattispecie oggettiva. Giusta l’art. 1, comma 1, l. n. 20/1994 “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso”. il dolo, in ragione della diversa intensità, può assumere diverse qualificazioni. in specie: dolo intenzionale, allorché l’autore miri proprio alla realizzazione del fatto illecito, venendo così ad assumere un ruolo predominante il momento volitivo; dolo diretto, allorché l’autore si rappresenti con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie dannosa e si renda conto perfettamente che la sua condotta sicuramente la realizzerà o almeno concorrerà a realizzarla; in tale figura un ruolo predominante viene giocato dal momento della coscienza; dolo eventuale, allorché l’autore almeno preveda la concreta possibilità del verificarsi di un evento dannoso che non vuole ed accetti il rischio del suo verificarsi. esso si differenzia dalla colpa cosciente, in cui l’autore confida con certezza nella circostanza che non si verifichi l’evento lesivo (115). La colpa grave implica una condotta che sia posta in essere senza l’osservanza di un livello di diligenza, prudenza e perizia in relazione al tipo di attività concretamente richiesta all’agente ed alla sua particolare preparazione professionale nel settore della attività amministrativa al quale è preposto. tale attività si caratterizza, quindi, per un atteggiamento di estremo disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima, di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento (116). in ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo (art. 1, comma 1, l. n. 20/1994). La semplice violazione di norme legislative o di disposizioni di servizio non è sufficiente a configurare la colpa grave. Quest’ultima viene ad emersione in presenza di un’erronea interpretazione di dati normativi chiari ed inequivoci, che -attraverso un giudizio ex ante ed in concreto, che eviti fuorvianti apriorismi dogmatici, ma che, invece, abbia come riferimento la specifica fattispecie -permetta di affermare che il responsabile (113) Conf. Corte dei conti, Sez. giur. toscana, 29 marzo 2016, n. 89 e Corte dei conti, Sez. giur. Lazio, 4 ottobre 2018, n. 504. (114) Per il quale la fattispecie presenta l’elemento psicologico del dolo “quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. (115) Su tali categorie ex plurimis: M. SCiASCiA, Diritto delle gestioni pubbliche, cit., pp. 697698. (116) ex plurimis: Corte Conti, Sez. giur. Abruzzo, 27 marzo 2007, n. 372. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 non ha inteso ciò che tutti (quelli con qualifica e professionalità simile) intendono. non sussiste, inoltre, colpa grave se la condotta dei dirigenti pubblici è giustificata da motivi di interesse pubblico ed è rispondente ai canoni di ragionevolezza e di buon andamento dell’azione amministrativa, come nel caso di un dipendente incaricato di svolgere mansioni superiori per fare fronte alla carenza di personale. L’illustrato regime normativo esonera da responsabilità il dipendente che versa in colpa lieve nell’evidente obiettivo di non gravare il dipendente di preoccupazioni eccessive in ordine alle conseguenze patrimoniali della propria condotta. Preoccupazioni che (in particolare in una fase storica legislativamente dinamica in cui la P.A. si trova a operare in una realtà normativa estremamente complessa e talvolta disarticolata) condurrebbero fatalmente all’inerzia e alla paralisi amministrativa. L’art. 21, comma 2, del D.L.16 luglio 2020, n. 76, conv. l. 11 settembre 2020, n. 120 ha previsto “limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2023, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità di cui all'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. la limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente” (117); d) nesso causale. È ovviamente richiesta la sussistenza di un rapporto di causalità tra comportamento osservato dal dipendente (e ritenuto fonte del danno) ed il danno lamentato dall’amministrazione. il nesso eziologico deve essere valutato secondo il criterio della causalità adeguata, verificando, cioè, con una valutazione ex ante, se il comportamento del dipendente sia stato idoneo a produrre l’evento. in tale valutazione non si dovrà tenere conto degli eventuali e imprevedibili effetti straordinari o atipici della condotta tenuta. nell’ipotesi di concorso di più persone nel comportamento causativo del danno, la Corte dei Conti, valutate le singole responsabilità, è tenuta a condannare ciascuno in relazione al proprio contributo causale. È altresì prevista la responsabilità solidale dei soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo (art. 1, commi quater e quinquies l. n. 20/1994); e) danno. il danno -consistente nell’impoverimento del patrimonio ovvero della finanza dell’amministrazione pubblica o della comunità da essa tutelata deve essere suscettibile di valutazione economica in modo da consentire la com( 117) nella relazione illustrativa al D.L. Semplificazioni relativamente all’art. 21 si enuncia che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità viene limitata al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”. LeGiSLAzione eD AttuALità misurazione del risarcimento (arg. ex artt. 1218 e 1174 c.c.), salvo il danno non patrimoniale che va valutato in via equitativa ex art. 1226 c.c. Deve essere effettivo ed attuale e il risarcimento deve coprire sia il danno emergente (diminuzione patrimoniale, come la perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della pubblica amministrazione), che il lucro cessante (mancato guadagno). il danno deve essere conseguenza diretta e immediata (art. 1223 c.c.) di una condotta dolosa o gravemente colposa posta in essere dal danneggiante. il danno erariale comprende, oltrecché la componente patrimoniale, anche il danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (118) sub specie di pregiudizio al- l’immagine della pubblica amministrazione. Danno non patrimoniale risarcibile, secondo le Sezioni unite (119), si ha non solo nei casi in cui vi sia una previsione specifica (come, ad esempio, l’art. 185 c.p.; artt. 88 e 96 c.p.c.), ma anche nei casi in cui vi è un pregiudizio ad un bene della vita essenziale protetto costituzionalmente, ossia ad un diritto inviolabile della persona direttamente tutelato dalla Costituzione; inoltre -sempre per le SS.uu. -l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. consente di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. tra le ipotesi più rilevanti di fattispecie dannose vi è il danno all’immagine. La tutela del pregiudizio all’immagine della P.A., in coerenza con il diritto vivente innanzi descritto, consegue al fatto che gli enti pubblici hanno il dovere di organizzarsi e di agire in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente, ai sensi dell’art. 97 Cost. Quando l’azione di un pubblico amministratore o dipendente viola doveri di servizio, ciò si traduce anche in una deminutio della immagine della pubblica amministrazione, che rischia di apparire come organizzazione strutturata confusamente e gestita in maniera non efficiente. il danno all’immagine, di conseguenza, incide sul rapporto di fiducia e di affidamento che lega l’amministrazione e i cittadini, arrecando una lesione del decoro e del prestigio della pubblica amministrazione, determinando una perdita di credibilità e affidabilità della stessa e pregiudicando valori di rilievo costituzionale, quali la legalità dell'azione amministrativa, il buon andamento e l’imparzialità della amministrazione. L’azione per il risarcimento del danno all’immagine può essere esercitata solo nei casi di responsabilità collegate a delitti contro la pubblica amministrazione (artt. 314-335 bis c.p.) ed altresì a reati previsti in fonti diverse dal (118) “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. (119) ossia a termini del diritto vivente -inaugurato dalle SS.uu. della Corte di Cassazione del 2008 (Cass., SS.uu., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975) e reiteratamente confermato -secondo cui i casi determinati dalla legge nei quali risarcire il danno non patrimoniale riguardano non solo previsioni specifiche (come, ad esempio, l’art. 185 c.p.; artt. 88 e 96 c.p.c.), ma i casi in cui vi è un pregiudizio ad un bene della vita essenziale protetto costituzionalmente, ossia ad un diritto inviolabile della persona direttamente tutelato dalla Costituzione (come la salute e l’ambiente). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 Capo i del titolo ii del Libro ii del Codice penale, purché in pregiudizio della pubblica amministrazione (120). L’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di danaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente (art. 1, comma 1 sexies, L. n. 20/1994). in tali casi è concesso anche il sequestro conservativo, qualora vi sia il fondato timore di attenuazione della garanzia del credito (art. 1, comma 1 septies, L. n. 20/1994). La quantificazione del danno all’immagine -alla luce della prassi giurisprudenziale -deve tenere conto della natura della particolare posizione rivestita dai presunti responsabili all’interno dell’organizzazione dell’ente ed altresì della risonanza sociale e l’impatto nell’opinione pubblica che ha avuto la condotta illecita, il c.d. clamor fori, che rappresenta il modo attraverso il quale viene realizzato il nocumento alla reputazione dell'ente pubblico per effetto del comportamento del proprio dipendente (121). nell’ambito del danno erariale la giurisprudenza ha fatto rientrare anche il “danno da disservizio”, che si verifica qualora un pubblico servizio non venga erogato in maniera efficiente ed efficace. il danno è cagionato dalla mancata soddisfazione delle aspettative degli utenti e, al contempo, dallo spreco di risorse pubbliche. in particolare, per la sussistenza del danno da disservizio non è sufficiente l’addebito di semplici comportamenti illeciti, ma è anche necessaria la dimostrazione di un quid pluris, che consiste negli effetti patrimonialmente negativi in termini di inefficacia o inefficienza dell’attività dell’amministrazione che sono derivati dagli stessi (122). il danno da disservizio è da intendersi sia in termini di inadempimento contrattuale, quindi di lesione del rapporto sinallagmatico che lega il dipendente alla P.A., sia in termini di alterazione dell’organizzazione bu (120) Difatti a termini dell’art. 17, comma 30 ter, D.L. 1 luglio 2009, n. 78, conv. L. 3 agosto 2009, n. 102, le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (recante norme sul rapporto tra procedimento penale e disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti delle amministrazioni pubbliche), ossia nei casi -come evidenziato -di sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti per delitti contro la pubblica amministrazione. il Codice di giustizia contabile (D.L.vo 26 agosto 2016, n. 174), inoltre, con l'art. 4, lett. g) delle norme transitorie, ha abrogato l'art. 7 della L. n. 97/2001 che, in combinato disposto con l'art. 17, comma 30 ter del D.L. n. 78/2009 limitava la configurabilità del danno all'immagine ai soli delitti del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione, con la conseguenza della possibilità di perseguire il danno all'immagine anche per reati previsti in fonti diverse dal Capo i del titolo ii del Libro ii del Codice penale, purché in pregiudizio della pubblica amministrazione. il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale (così dispone sempre l’art. 17, comma 30 ter, cit.). (121) Così: Corte dei conti, Sez. giur. Lazio, 13 febbraio 2018, n. 81. (122) Così, Corte dei conti, Sez. i App., 27 maggio 2019, n. 113. LeGiSLAzione eD AttuALità rocratica al cui buon andamento il dipendente stesso deve concorrere con il suo apporto lavorativo, obiettivo che di certo non può dirsi validamente conseguito in presenza di comportamenti contrari agli obblighi di servizio e alla legge penale. La Corte dei Conti nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione deve tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, da altra amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità (art. 1, comma 1 bis, l. n. 20/1994). Ad esempio, nel caso di realizzazione di lavori non previsti in capitolato, ma comunque utili per la P.A., occorre tenere conto di questo beneficio. vi è una sorta di compensatio lucri cum damno. il giudizio di responsabilità viene instaurato da un attore pubblico (il Procuratore regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti) il quale agisce nell’interesse della comunità intera, assorbendo, perciò nella sua funzione anche la difesa della P.A. danneggiata. il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso nel termine di cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso (comprensivo dell’effetto lesivo dell’eventus damni), ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (art. 1, comma 2, l. n. 20/1994). L’art. 3, comma 59, L. 24 dicembre 2007, n. 244 vieta, sotto comminatoria della nullità testuale, la stipulazione del contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile; con la previsione altresì che in caso di violazione della disposizione, l'amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo. 8.4. la responsabilità contabile. i dirigenti e i dipendenti pubblici che per contratto o per compiti di servizio sono addetti allo svolgimento e alla cura delle operazioni contabili di una pubblica amministrazione sono esposti anche alla responsabilità contabile. Affinché sussista tale responsabilità, occorre che il dirigente o il dipendente rivesta la qualifica di agente contabile. Sotto la denominazione di agenti contabili dell'amministrazione, giusta l’art. 178, r.D. 23 maggio 1924, n. 827, si comprendono: a) gli agenti che con qualsiasi titolo sono incaricati, a norma delle disposizioni organiche di ciascuna amministrazione di riscuotere le varie rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 entrate dello Stato e di versarne le somme nelle casse del tesoro; b) i tesorieri che ricevono nelle loro casse le somme dovute allo Stato, o le altre delle quali questo diventa debitore, eseguiscono i pagamenti delle spese per conto dello Stato, e disimpegnano tutti quegli altri servizi speciali che sono loro affidati dal ministro delle finanze o dal direttore generale del tesoro; c) tutti coloro che, individualmente ovvero collegialmente, come facenti parte di consigli di amministrazione per i servizi della guerra e della marina e simili, hanno maneggio qualsiasi di pubblico danaro, o sono consegnatari di generi, oggetti e materie appartenenti allo Stato; d) gli impiegati di qualsiasi amministrazione dello Stato cui sia dato speciale incarico di fare esazioni di entrate di qualunque natura e provenienza; e) tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, prendono ingerenza negli incarichi attribuiti agli agenti anzidetti e riscuotono somme di spettanza dello Stato. La responsabilità contabile, dunque, si fonda sulla gestione, di diritto o di fatto, del denaro o, in genere, dei valori degli enti pubblici, e si distingue dalla responsabilità amministrativa, che, al contrario, trova il proprio fondamento in un danno patrimoniale (doloso o colposo) cagionato alla P.A. Mentre la responsabilità amministrativa si basa sulla diligenza nell’adempimento dei doveri nascenti dal rapporto di servizio, la responsabilità contabile attiene all’obbligo di restituire cose già appartenenti alla P.A. infine, mentre la responsabilità amministrativa presuppone in ogni caso un rapporto di servizio, la responsabilità contabile grava anche sui contabili di fatto, derivando dall’obiettiva esistenza di una gestione. Ciò nonostante, al di là di tali differenze, la Corte dei conti ha stabilito che la responsabilità contabile costituisce una species rispetto al più ampio genus della responsabilità amministrativa, con la quale ha peraltro in comune tutti gli elementi costitutivi (condotta antigiuridica; danno; nesso eziologico; elemento soggettivo). È stato infatti chiarito che la responsabilità contabile si struttura sullo stesso paradigma di quella amministrativa, caratterizzandosi solo per la specificità delle obbligazioni su coloro che hanno maneggio di beni e valori di pubblica pertinenza (123). Peraltro, l’illecito amministrativo e contabile tendono a convergere verso una categoria unitaria, il cui fattore comune è rappresentato dalla realizzazione di un danno erariale da parte di un soggetto che abbia un rapporto di servizio con l’amministrazione; in ogni caso, ai fini dell’affermazione della responsabilità contabile, non è necessaria l'assunzione di una particolare qualifica nell’ambito della pubblica amministrazione, essendo sufficiente che l’agente abbia avuto un effettivo maneggio di denaro o beni pubblici (124). (123) Corte dei conti, Sez. i App., 20 novembre 2009, n. 646. (124) Corte dei conti, Sez. ii App., 8 luglio 2019, n. 243. LeGiSLAzione eD AttuALità 8.5. la responsabilità disciplinare. L’art. 2106 c.c. -peraltro richiamato dall’art. 55, comma 2, t.u.P.i. -dispone che “l'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti [l’art. 2014 c.c. sulla diligenza del prestatore di lavoro e l’art. 2105 c.c. sull’obbligo di fedeltà] può dar luogo alla applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione” (125). viene in rilievo una ipotesi di responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.), conseguente alla violazione del dovere di diligenza o dell’obbligo di fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c., nella quale il dipendente risponde per il comportamento colpevole, ossia con dolo o colpa, con regole peculiari nel- l’ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove l'onere della prova della sussistenza delle indicate ragioni viene sopportato dal datore di lavoro (art. 5 L. n. 604/1966). Fonti della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni. La fonte della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è costituita, giusta l’art. 55, comma 2, dai contratti collettivi e dalle disposizioni di cui agli artt. 55-55 octies (126). Fonte di responsabilità disciplinare, inoltre, è rappresentata dalla violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 54. La disciplina regolatrice della materia delle sanzioni e dell’iter procedurale applicabile è contenuta nello Statuto dei lavoratori (art. 7 L. n. 300/1970) e negli artt. 55 e ss. in ipotesi di contrasto tra le disposizioni dei predetti complessi normativi prevale la disciplina propria del pubblico impiego privatizzato in quanto speciale e successiva rispetto alla normativa statutaria. Se è vero che la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi, tuttavia essa deve essere integrata in ragione della necessità di rispettare le norme contenute nel t.u. del pubblico impiego (artt. 55 e ss.) che prevedono numerose ipotesi di illeciti e sanzioni. Disposizioni peraltro dichiarate, come evidenziato innanzi, norme imperative ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. Sono, ad es., tipizzate le ipotesi in cui irrogare la sanzione del licenziamento disciplinare (art. 55 quater), o, in presenza di condotte pregiudizievoli per l’amministrazione (art. 55 sexies) la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino a un massimo di tre mesi. tale disciplina costituisce deroga allo statuto dei lavoratori (art. 7, comma 4, L. n. 300/1970) secondo cui “Fermo (125) Sulle sanzioni disciplinari: M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit., pp. 29-38. (126) il comma 1 dell’art. 55 statuisce che le disposizioni dell’articolo e di quelli seguenti, fino all'articolo 55 octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, c.c. e che la violazione dolosa o colposa delle suddette disposizioni costituisce illecito disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni”. Tipologia di sanzioni. È tradizionale nella contrattazione collettiva la articolazione delle sanzioni in ragione della loro gravità nel modo che segue: rimprovero verbale; rimprovero verbale (censura); multa di importo variabile fino a un massimo di quattro ore di retribuzione; sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a un massimo di dieci giorni; sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni fino a un massimo di sei mesi; licenziamento con preavviso (recesso per giustificato motivo soggettivo); licenziamento senza preavviso (recesso per giusta causa). Alla materia de qua si applica il criterio di proporzionalità tra illecito e sanzione (art. 2106 c.c.). procedimento disciplinare. Le sanzioni disciplinari sono state suddivise dal t.u.P.i. in due categorie in ragione della loro gravità. il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari è diversificato, per competenza, modalità e tempi di chiusura del procedimento, a seconda se trattasi di sanzioni di minore (c.d. procedimento semplificato) o maggiore gravità (c.d. procedimento ordinario). La disciplina del procedimento scandisce i tempi e le modalità del contraddittorio (contestazione degli addebiti, giustificazioni, provvedimento definitorio del procedimento), con la previsione di termini il cui mancato rispetto comporta per l’amministrazione procedente la decadenza dall’azione disciplinare. È importante delineare quindi le forme e i termini del procedimento disciplinare. La disciplina statutaria (art. 7, comma 1, L. n. 300/1970) prevede che le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. in sintonia con la obiettiva esigenza di conoscibilità delle sanzioni cui è informata la ricordata previsione statutaria l’ordinamento del lavoro alle dipendenze della PP.AA. prevede espressamente (art. 55, comma 2) che la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro. Al riguardo l’art. 55 bis dispone quanto segue. a) Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica LeGiSLAzione eD AttuALità la disciplina stabilita dal contratto collettivo, la quale solitamente prevede che la sanzione venga comminata dal responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente entro il termine di venti giorni da quando è venuto a conoscenza del fatto, senza necessità di contestazione degli addebiti. b) Per le infrazioni per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale il procedimento disciplinare viene attivato dal responsabile con qualifica dirigenziale della struttura in cui il dipendente lavora (anche in posizione di comando o fuori luogo), il quale quando ha notizia di comportamenti punibili con sanzione disciplinare segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell'addebito e convoca l'interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l'audizione in contraddittorio a sua difesa. il dipendente può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (127). La forma scritta della contestazione dell'addebito è richiesta ad substantiam anche in funzione del principio di immutabilità della contestazione. La contestazione degli addebiti ha natura recettizia e determina l’avvio della procedura disciplinare (128). il termine per la contestazione dell'addebito viene espressamente qualificato (al comma 9 ter) come perentorio, sicché il suo inutile decorso estingue la potestà sanzionatorio della P.A. La giurisprudenza ha escluso per il dipendente la facoltà di farsi assistere da un legale, non essendovi nella legge alcun riferimento all’assistenza cosiddetta tecnica, che è normalmente prevista nel nostro ordinamento solo in giudizio (art. 24, comma 2, Cost.) e che può essere riconosciuta o meno al di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del legislatore. Anche se di fatto non potrà negarsi al lavoratore di farsi assistere da un legale che parteciperà alla convocazione nella diversa veste di procuratore, deve riconoscersi alla predetta giurisprudenza il merito di aver posto l’accento sulla ontologica diversità che sussiste tra procedimento disciplinare e quello giurisdizionale (129). (127) Con tali previsioni viene assorbita, o modificata in senso migliorativo per il dipendente, la normativa contenuta nell’art. 7, commi 2, 3 e 5 dello Statuto dei lavoratori a tenore della quale “il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. in ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”. (128) Conf. Cass. 21 luglio 2008, n. 20074. (129) Cass., 17 marzo 2008, n. 7153. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta nel rispetto del termine di convocazione (130) o, in caso di grave ed oggettivo impedimento può richiedere che l'audizione a sua difesa sia differita, per una sola volta, con proroga del termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente. Salvo quanto previsto dall'articolo 54 bis, comma 4, con riguardo alla segnalazione di illeciti da parte del dipendente pubblico, il lavoratore destinatario della contestazione degli addebiti ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. nel corso dell'istruttoria, l'ufficio per i procedimenti disciplinari può acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento, né il differimento dei relativi termini. Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria (131), l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazione dell'addebito. il termine per la conclusione del procedimento come quello per la contestazione dell'addebito -viene espressamente qualificato (al comma 9 ter) come perentorio, sicché il suo inutile decorso estingue la potestà sanzionatorio della P.A. L’adozione della sanzione, come anche l’atto di archiviazione, costituisce il momento conclusivo del procedimento con cui la parte datoriale esprime la propria definitiva valutazione ed esaurisce il proprio potere disciplinare, nel mentre la comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, inerisce all’efficacia dell’atto stesso (art. 1334 c.c.) e si colloca al di fuori del procedimento disciplinare ormai concluso. Bisogna, in sostanza, distinguere tra conclusione del procedimento (individuabile, come detto, nell’adozione della sanzione) e momento di acquisizione di efficacia della sanzione stessa, ricollegabile alla conoscenza della medesima da parte del destinatario (132). La ratio è individuabile nell’esigenza che la determinazione della sanzione da parte del datore di lavoro avvenga entro un circo (130) Cass., 25 gennaio 2001, n. 1661. (131) “il dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa o a una diversa amministrazione pubblica dell'incolpato, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'ufficio disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto al- l'applicazione, da parte dell'amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni” (art. 55 bis, comma 7). (132) va precisato che il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare di cui all'art. 7 L. n. 300/1970, oppure all'esito del procedimento di cui all'art. 7 L. 15 luglio 1966, n. 604, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato (così art. 1, comma 41, L. 28 giugno 2012, n. 92). LeGiSLAzione eD AttuALità scritto ambito temporale, onde evitare che il lavoratore resti assoggettato all’iniziativa disciplinare oltre un periodo ritenuto congruo, cosicché risulta coerente con la suddetta ratio che, entro il termine prefissato, la parte datoriale esaurisca il proprio potere disciplinare attraverso l’adozione della sanzione, nel mentre la successiva comunicazione della determinazione datoriale è destinata unicamente a renderla produttiva di effetti nei confronti dell’interessato (133). La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l'infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. in tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro. viene comminata la nullità delle disposizioni di regolamento, delle clausole contrattuali o delle disposizioni interne, comunque qualificate, che prevedano per l'irrogazione di sanzioni disciplinari requisiti formali o procedurali ulteriori rispetto a quelli indicati nell’art. 55 bis o che comunque aggravino il procedimento disciplinare. La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55 quater, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell'azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. tuttavia, come innanzi evidenziato, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell'addebito e il termine per la conclusione del procedimento. rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale. i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale sono improntati alla massima autonomia. Si prevede, infatti (art. 55 ter) che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità (per le quali è applicabile una sanzione non superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni) la sospensione del procedimento disciplinare per la pendenza del procedimento penale non è ammissibile, mentre è facoltativa per i procedimenti disciplinari più gravi. ed infatti per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l'ufficio compe (133) Cass., 9 marzo 2009, n. 5637. in tal senso anche la giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, 10 agosto 2007, n. 4392. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 tente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità del- l'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale (salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente); il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Lo svolgimento autonomo del procedimento disciplinare e di quello penale potrebbe (evidentemente) condurre ad esiti contrastanti. in relazione a tale evenienza si prevede che se il procedimento disciplinare si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte (da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale) riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. Se il procedimento disciplinare si conclude, viceversa, con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'ufficio competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa. il procedimento disciplinare è ripreso (ove sospeso in attesa di quello penale) o riaperto (nel caso di procedimento disciplinare e penale con esito contrastanti) entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all'amministrazione di appartenenza del dipendente (ovvero dal ricevimento dell'istanza di riapertura) ed è concluso entro centoventi giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa (o la riapertura) avviene mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell’autorità disciplinare competente e il procedimento prosegue nel rispetto dell’ordinaria disciplina (art. 55 bis). Ai fini delle determinazioni conclusive, l'ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso (o riaperto) dovrà tenere conto (art. 55 ter, comma 4, ultimo periodo) che “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso. la sentenza LeGiSLAzione eD AttuALità penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso” (653, commi 1 e 1 bis, c.p.p.). Con tali previsioni è stata quindi radicalmente modificata (o meglio ribaltata) la disciplina originaria relativa al procedimento disciplinare nel pubblico impiego che prevedeva l’obbligatorietà della sospensione del procedimento disciplinare per pendenza di procedimento penale (134) e ciò in sintonia con un principio di coerenza dell’ordinamento giuridico; all’evidenza il sistema non è più informato al principio di pregiudizialità penale. Le statuizioni dell'art. 55 ter hanno un presupposto implicito: l'assenza di un precedente giudicato sul punto. vuol dirsi che ove irrogata, in via autonoma, la sanzione disciplinare e svoltosi un giudizio civile avverso la stessa (es.: impugnativa di un licenziamento) con giudicato di conferma o di annullamento della sanzione il successivo pronunciamento irrevocabile del giudice penale è ininfluente sulla vicenda. Quando vi è il giudicato questo è intangibile, salvo il caso limite dell'ipotesi dell'art. 395 n. 5 c.p.c. (ove applicabile, e salvi gli adattamenti, anche nel rapporto tra giudice civile e giudice penale) che -nel caso di specie -richiederebbe che l'Amm.ne sia stata parte del processo penale (come responsabile civile o parte civile); in questa eccezionale evenienza l'ultimo giudicato toglie di mezzo il precedente (sul modello del principio lex posterior derogat priori di cui all'art. 15 preleggi, o dell'art. 682 c.c., ecc.). contestazioni delle sanzioni disciplinari dinanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato. Per contestare la legittimità delle sanzioni disciplinari è possibile attivare un collegio arbitrale o, in via alternativa, agire in giudizio. Per la disciplina statutaria (art. 7, comma 6, L. n. 300/1970) nel caso in cui sia stata applicata una sanzione disciplinare il lavoratore -“Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria” -può promuovere la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato, con effetto sospensivo della sanzione disciplinare fino alla pronuncia da parte del collegio. Al lavoro pubblico privatizzato è inapplicabile la prima parte della ricordata disposizione nella parte in cui consente al lavoratore di poter attivare, in alternativa al collegio di conciliazione ed arbitrato ora descritto, l’impugnazione dei provvedimenti giudiziari, a mezzo di analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro. A ciò osta infatti la normativa speciale dell’ordinamento del pubblico impiego pri (134) Come si ricorderà in proposito era previsto che “Qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso” (art. 117, D.P.r. n. 3/1957). rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 vatizzato per la quale “la contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari” (art. 55, comma 3). il lavoratore sanzionato -in virtù del rinvio operato dall’art. 51, comma 2 alla L. n. 300/1970 -ha la possibilità di impugnare, alla luce della previsione statutaria (art. 7 L. n. 300/1970), la sanzione disciplinare entro venti giorni dalla sua irrogazione dinanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato (composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro) costituito tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. una volta attivato il collegio di conciliazione, viene previsto che la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio e qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio (art. 7, commi 6 e 7). il collegio di conciliazione instaura un arbitrato irrituale speciale, con il conferimento agli arbitri del potere di decidere la controversia in via transattiva attraverso una manifestazione di volontà negoziale, con la possibilità non solo di annullare la sanzione, ma anche soltanto di ridurla. il lodo adottato all’esito del giudizio arbitrale è impugnabile dinanzi al tribunale -con censure riconducibili all’art. 808 ter c.p.c. -che ne conosce come giudice di primo grado secondo il rito del lavoro (135). contestazioni delle sanzioni disciplinari dinanzi all’autorità giudiziaria. in alternativa al collegio di conciliazione ed arbitrato è possibile reagire in via giudiziaria per qualsivoglia sanzione disciplinare. Avverso l’irrogazione di sanzioni disciplinari diverse dal licenziamento il lavoratore può agire senza limiti di tempo dinanzi all’autorità giudiziaria per chiederne l’annullamento (art. 7, comma 6, L. n. 300/1970) (136). Per il licenziamento disciplinare, invece, sono imposti oneri di reazioni in capo al lavoratore, la cui mancata osservanza determina la decadenza dalla possibilità di contestazione dello stesso. La disciplina prevede in proposito che (ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, L. 15 luglio 1966, n. 604) il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove (135) Su tali aspetti: M. GerArDo, A. MutAreLLi, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit., p. 125. (136) Costituisce giurisprudenza consolidata quella secondo cui l'impugnazione di una sanzione disciplinare è consentita finché non si consuma il termine di prescrizione, in quanto la disciplina inderogabile dettata dall'art. 7 L. n. 300/1970 non contempla termini di decadenza per impugnare le sanzioni disciplinari, a meno che il lavoratore stesso non abbia posto in essere un comportamento positivo volto a dimostrare acquiescenza (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546). LeGiSLAzione eD AttuALità non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. La norma citata dispone, altresì, che l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. infine, nell’ipotesi che la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. 8.6. la responsabilità manageriale. i dirigenti della P.A. in aggiunta alla responsabilità penale, civile, amministrativa, contabile e disciplinare rispondono anche a titolo di responsabilità dirigenziale. Quest’ultima -disciplinata nell’art. 21 (137) -è collegata al mancato raggiungimento degli obiettivi o all’inosservanza di direttive o alla violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi e non richiede la colpa. L’amministrazione, oltre alla osservanza di norme giuridiche, in ossequio al principio di legalità, ha anche l’obbligo di garantire che l’attività procedi- mentale sia la più efficace ed efficiente possibile e tale da soddisfare in concreto i bisogni di cittadini e utenti. La responsabilità dirigenziale, dunque, può essere intesa come una responsabilità per risultati negativi nell’attività amministrativa e di gestione. (137) “1. il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo ii del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. in relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. 1-bis. al di fuori dei casi di cui al comma 1, al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla commissione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all'ottanta per cento. […]”. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 il primo comma del citato art. 21 stabilisce due fattispecie di responsabilità dirigenziale, distinguendo tra il “mancato raggiungimento degli obiettivi” e“l’inosservanza delle direttive imputabile al dirigente”. tali fattispecie possono comportare, a seconda della gravità della condotta del dirigente, il mancato rinnovo dell’incarico, la sua revoca o il recesso del rapporto di lavoro. La responsabilità dirigenziale per il mancato raggiungimento degli obiettivi è uno strumento di garanzia per un’amministrazione che deve rispondere ai canoni di efficienza ed efficacia e quindi tendere verso un’azione amministrativa di qualità. L’inosservanza delle direttive concerne la possibilità che il dirigente non rispetti l’indirizzo tracciato dall’organo politico o si discosti dagli obiettivi e dalle direttive da questo impartitegli. una volta assunto l’incarico dirigenziale, il dirigente è onerato dalle obbligazioni di mezzi e di risultato in esso contenute. il loro adempimento viene commisurato agli obiettivi, agli indirizzi e alle direttive degli organi di governo a cui i dirigenti sono tenuti a rispondere. il dirigente, infatti, pur essendo titolare di ampi poteri pubblici di gestione e pur potendo avvalersi di ampia discrezionalità organizzativa, deve comunque rispettare le direttive dettate dall’organo politico. in base all’art. 4, infatti, spetta agli organi di governo definire gli obiettivi e i programmi da attuare e verificare la rispondenza dei risultati della gestione e dell’attività agli indirizzi impartiti. Ai dirigenti, invece, è attribuita la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Sempre ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno. Poiché all’organo di direzione politica sono sottratti i poteri tipici del rapporto di gerarchia, non potendo esso revocare, riformare, riservare o avocare a sé provvedimenti o atti di competenze dei dirigenti, questi ultimi diventano responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati (art. 4, comma 2). terza fattispecie di responsabilità dirigenziale è quella prevista nel comma 1 bis dell’art. 21 nel caso in cui il dirigente violi il dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. La sanzione consiste nella decurtazione della retribuzione di risultato in maniera proporzionale alla gravità della violazione, fino a una quota massima dell’ottanta per cento. Altre disposizioni stabiliscono ulteriori fattispecie di responsabilità dirigenziale in capo al dirigente pubblico. in particolare, l’art. 2, L. n. 241/1990, stabilisce che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della LeGiSLAzione eD AttuALità performance individuale e, nel caso in cui il dirigente sia inadempiente, questi è penalizzato nel trattamento economico accessorio in caso di gravi e ripetute violazioni. tale fattispecie ripropone lo schema della responsabilità definita nell’art. 21, comma 1 bis, ma, in questo caso, si pone una responsabilità del dirigente al rispetto dei termini procedimentali e la violazione di tale obbligo comporta una diminuzione patrimoniale della retribuzione di risultato fissata nell'art. 19, D.L.vo n. 150/2009. La volontà del legislatore è quindi di stimolare ulteriormente il dirigente a svolgere il proprio ruolo in modo preciso e puntuale, favorendo in questo modo i cittadini, i quali si vedono riconosciuto un termine certo per la conclusione di una pratica con la pubblica amministrazione. L’art. 55 sexies, comma 3 prospetta un’ulteriore ipotesi di responsabilità dirigenziale. tale disposizione disciplina in generale la materia della responsabilità disciplinare del dipendente pubblico. La norma, in particolare, specifica che il dirigente che non eserciti o lasci decadere l’azione disciplinare, per ingiustificati ritardi od omissioni ovvero per una errata e irragionevole valutazione di insussistenza della responsabilità disciplinare in capo al dipendente, può essere sospeso dal servizio e la condotta può essere valutata anche ai fini della responsabilità di cui all’art. 21. nel caso in cui il comportamento del dirigente nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare possa configurare anche una responsabilità civile, questa è limitata alle sole ipotesi di dolo e colpa grave. ulteriori profili di responsabilità dirigenziale riguardano la figura del responsabile della prevenzione e della corruzione. L’art. 1, comma 12, L. n. 190/2012, prevede che il dirigente che abbia la qualifica di responsabile della prevenzione e della corruzione si espone a responsabilità dirigenziale, oltre che a responsabilità per danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, nel caso in cui sia commesso un reato di corruzione nell’amministrazione di propria competenza, accertato con sentenza passata in giudicato. il dirigente, tuttavia, è esente da responsabilità se provi di avere predisposto il piano di prevenzione della corruzione, di avere osservato tutte le prescrizioni indicate dalla legge e di avere vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano. La responsabilità dirigenziale è fattispecie diversa da quella disciplinare. Per i principi, vi può essere un concorso di fattispecie, ossia uno stesso comportamento del dirigente può integrare entrambe le ipotesi responsabilità, con la conseguenza che la medesima condotta può essere fonte di responsabilità disciplinare e di responsabilità dirigenziale. entrambe integrano ipotesi di responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.): l’una legata al mancato raggiungimento dei risultati e alla inosservanza delle direttive, l’altra connessa alla violazione del dovere di diligenza o dell’obbligo di fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. rASSeGnA AvvoCAturA DeLLo StAto -n. 3/2022 il concorso di fattispecie viene integrato allorché al dirigente siano contestati fatti contemporaneamente sussumibili nell’una e nell’altra forma di responsabilità, il che si verifica quando vi sia una pluralità di addebiti relativi alla medesima condotta di cui alcuni riconducibili alla responsabilità disciplinare, altri a quella dirigenziale (138). (138) Cass., 20 febbraio 2007, n. 3929, che precisa: “circa la natura della responsabilità dirigenziale rispetto a quella disciplinare del dirigente, in dottrina sono state prospettate almeno tre tesi. Si è affermato che la responsabilità dirigenziale è cosa nettamente diversa e distinta dalla responsabilità disciplinare; si è al contrario sostenuto che la responsabilità dirigenziale è una sottospecie della responsabilità disciplinare; infine si è osservato che i due tipi di responsabilità possono in parte coincidere, in parte essere divergenti. Tale ultima tesi appare preferibile a questa corte di cassazione: infatti la responsabilità dirigenziale può prescindere da ogni rilevanza dell'elemento soggettivo (dolo o negligenza del lavoratore) per quanto riguarda il mancato raggiungimento degli obiettivi (ad esempio per difficoltà oggettive o economiche, per scarsa collaborazione del personale) talché può configurarsi piuttosto come una sorta di responsabilità oggettiva: in tal caso la responsabilità dirigenziale è cosa del tutto distinta da una responsabilità disciplinare o per mancanze, che presuppone sempre, quanto meno, la negligenza colpevole del lavoratore. ma quante volte il mancato raggiungimento degli obiettivi dipenda da negligenza o inerzia del dirigente, la responsabilità dirigenziale sarà tutt'uno con quella disciplinare o per mancanze. e se è vero che il dirigente sorpreso, ad esempio, a rubare nelle casse del comune o a ricevere una tangente può essere licenziato senza parere del comitato dei garanti (perché in questo caso l'infedeltà è cosa diversa dall'inosservanza di direttive), nondimeno se il dirigente assume posizioni in contrasto con le direttive dell'assessore o del sindaco, ovvero se conduce il servizio in modo da disorganizzarlo, la responsabilità dirigenziale sarà coincidente con quella disciplinare”. LeGiSLAzioNe eD AttUALità Il contesto europeo del Cybercrime e la l. n. 48/2008 di ratifica alla Convenzione sul Cybercrime Paolo Giangrosso* il reato informatico, per definizione, ha la caratteristica di essere virtuale e, spesso, di non avere alcuna connotazione fisica collegabile ad uno Stato, pertanto, la sua repressione non può prescindere da una continua cooperazione internazionale (1). Nonostante la convenzione di budapest sul Cybercrime del 2001 rappresenti indubbiamente la fonte più completa in merito, una vera e propria rivoluzione nel panorama europeo in materia di reati informatici si verificò già molti anni prima, basti pensare che già nel 1976 si tenne a Strasburgo la prima conferenza del consiglio d’europa sugli aspetti criminologici dei reati economici, nel corso della quale vennero trattati anche gli illeciti compiuti attraverso dispositivi informatici, seppure in maniera generica (2). Successivamente, nel 1986, furono emanate le Raccomandazioni ocSe (3) che al loro interno affrontavano la disciplina di reati ed abusi avvenuti tramite le tecnologie informatiche, presentando dei concetti che non erano mai stati trattati precedentemente, nello specifico cinque: la frode elettronica (the input, alteration, erasure and/or suppression of computer data and/or computer programs made willfully with the intent to commit an illegal transfer of founds or of another thing of value), il falso informatico (the input, alteration, erasure and/or suppression of computer data and/or computer programs made willfully with the intent to commit a forgery), il danneggiamento di software (the input, alteration, erasure and/or suppression of computer data and/or computer programs, or the interferenze with computer systems, made willfully with the intent to hinder the functioning of a computer and/or telecommunications system), la violazione dei diritti di esclusiva sui programmi e processori (the infringement of the exclusive right of the owner of a protected program with the intent to exploit commercially the program and put it on the market), e l’accesso senza diritto “o con scopi illeciti” in un sistema informatico (the access to or the interception of a computer and/or telecommunication system made knowingly and without the authorization of the person responsi(*) Dottore in Relazioni internazionali, assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. Un ringraziamento all’avv. Stato Andrea Fedeli per l’invio dell’articolo alla Rassegna. (1) G. D’AiUto, L. LevitA, I reati informatici. Disciplina sostanziale e questioni processuali, Milano, Giuffrè editore, 2012, p. 143. (2) S. SchjoLbeRG, The history of Global Harmonization on Cybercrime Legislation -The road to Geneva, 2008, p. 2, in http://www.cybercrimelaw.net/documents/cybercrime_history.pdf. (3) cfr. ocSe, Computer -related criminality: analysis of legal policy, Paris 1986. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 ble for the system, either by infringement of security measures or for other dishonest of harmful intentions). Anche le Raccomandazioni del consiglio d’europa del 1989 (4) hanno contribuito alla categorizzazione di nuove fattispecie di reati che prima non venivano tenuti in considerazione negli ordinamenti dei vari Stati; pur rimanendo norme generali e marginali si sono rivelati di estrema importanza allorquando il legislatore ha emanato la l. n. 547/1993 (5), poichè hanno fornito gli strumenti per creare una nuova mentalità attorno ai nuovi illeciti ma anche attorno alle nuove figure di criminali, gli hacker. Le Raccomandazioni tuttavia non si occuparono degli aspetti procedurali relativamente ai nuovi crimini; bisognerà attendere il 1995, anno in cui furono emanate nuove Raccomandazioni del consiglio d’europa in materia di criminalità informatica, affinché si iniziasse ad analizzare il problema anche da un punto di vista procedurale stabilendo dei principi da osservare durante le indagini, in primis il principio di integrità e di cooperazione fra autorità giudiziarie e tecnici facenti parte delle forze di polizia. vi sono stati anche, prima dell'emanazione della convenzione di budapest, altre due Risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, del 2000 e del 2001, che si sono occupate principalmente del punto di vista procedurale, facendo anch’esse perno sul principio di integrità e sulla necessità di una formazione adeguata per i tecnici che operano nel campo delle indagini informatiche. tutti questi atti, però, sono configurabili come fonti di soft law, in quanto non pongono in capo allo Stato aderente alcun vincolo giuridico in merito alla disciplina da adottare all'interno del proprio ordinamento sul tema dei crimini informatici, sia da un punto di vista sostanziale che procedurale. L’11 marzo 2007 il Presidente del consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante autorizzazione alla ratifica della convenzione del consiglio d’europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a budapest il 23 novembre 2001, e la sua esecuzione nonché le norme di adeguamento dell’ordinamento interno, primo atto che porterà alla ratifica da parte dell'italia della convenzione. il 20 febbraio 2008, nonostante si fosse in regime di prorogatio, poco prima dello scioglimento delle camere, e nonostante la frettolosità con cui il disegno viene presentato alle camere, il testo viene approvato. Dopo il passaggio al Senato, avvenuto anch’esso rapidamente, il 18 marzo la legge n. 48 viene firmata dal Presidente della Repubblica. La legge attuativa, da un lato ha conformato gli obblighi pattizi sovrana (4) cfr. coUNciL oF eURoPe coMMittee oF MiNiSteRS, Recommendation No. R (89) 9 of the Committee of Ministers to Member States On Computer-Related Crime, settembre 1989. (5) P. GiANGRoSSo, I reati informatici o cybercrimes: la Legge n. 547 del 1993 in Rass. Avv. Stato, 2022, vol. 2, pp. 183 ss. LeGiSLAzioNe eD AttUALità zionali della convenzione assunti dall'ordinamento italiano, dopo ben sette anni di attesa, ma dall'altro ha deluso le aspettative della dottrina, a causa della sopracitata “fretta” che la commissione ha dimostrato di avere nella decisione di approvazione, di ratificare la convenzione di budapest prima della caduta del Governo Prodi (6). La l. n. 48/2008 ha modificato una serie di articoli del codice penale che erano stati introdotti in precedenza dalla l. n. 547/1993, soprattutto in ambito sostanziale cioè in merito alla definizione delle varie fattispecie incriminatrici, ha aumentato la disciplina dei reati informatici soprattutto dal punto di vista processuale, ratificando una serie di norme della convenzione di budapest in merito alla raccolta di prove e indagini informatiche, tenendo conto delle esigenze di modificabilità degli elementi di prova che per loro natura rischiano continuamente di essere alterati o resi inutili. Specificatamente, riguardo alle ispezioni informatiche, con le modifiche aggiuntive all'art. 244 c.p.p., ha stabilito che l'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, e può adottare tutte quelle misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione. Sotto il profilo della perquisizione c.d. informatica (7), invece, la modifica ha interessato l'art. 247 c.p.p. al quale è stato aggiunto un nuovo comma 1-bis, che stabilisce che nel caso in cui si abbia il sospetto che i dati, le informazioni, i programmi informatici o le tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, anche se protetto da misure di sicurezza, deve esserne disposta la perquisizione, mettendo in atto tutte quelle misure tecniche ritenute idonee ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione. La disposizione “adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne ’alterazione’ ” assume rilievo fondamentale, in quanto prima della l. n. 48/2008 non era in alcun modo specificato in quale modo o secondo quali criteri potessero essere effettuate le perquisizioni (8). Anche l’art. 254 c.p.p. in materia di sequestro di corrispondenza è stato modificato attraverso l’introduzione dell’art. 254-bis c.p.p. relativo alla possibilità di sequestrare dati informatici presso i fornitori di servizi informatici, telematici e di telecomunicazioni; è stata inserita inoltre una disposizione sul problema che riguarda la custodia delle cose sequestrate (art. 259 comma 2 c.p.p.) e alcune garanzie che vanno garantite circa il sequestro e la custodia di cose deperibili come appunto i dati informatici (modifica dell'art. 260 comma (6) S. AteRNo, G. coRASANiti, G. coRRiAS LUceNte, L'attuazione della convenzione europea sul cybercrime, commento alla legge 18 marzo 2008 n. 48, Padova, ceDAM, 2009, pp. 69 ss. (7) S. AteRNo, Digital Forensics (investigazioni informatiche), in Dig. Disc. Pen., 2014, pp. 217 ss. (8) Ibidem. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 2 c.p.p.) (9). È stato modificato anche l’art. 352 c.p.p. in tema di perquisizioni per i casi di urgenza e di flagranza di reato: è stato inserito al secondo comma la previsione secondo cui, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono adottare misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione; costoro hanno anche la facoltà di perquisire il materiale nel momento in cui ritengono sussistente il fondato pericolo che le informazioni contenute nei dispositivi vengano cancellate o modificate (10). L'art. 9 comma 3 l. n. 48 del 2008 ha integrato il comma 2 dell'art. 354 c.p.p., e ha esteso il potere della polizia giudiziaria di compiere gli accertamenti urgenti, al fine di conservare le tracce e le cose riguardanti il reato al fine di evitare l'alterazione di luoghi e cose, di dati, di informazioni, di programmi informatici e di sistemi informatici o telematici. in virtù delle disposizioni contenute nella norma, gli ufficiali di polizia devono adottare delle misure tecniche in modo tale che i dati si mantengano integri all’interno del sistema, attraverso la duplicazione che assicuri l’aderenza perfetta all’originale. infine, l’art. 248 c.p.p. che riguarda la richiesta di consegna di dati, di informazioni e di programmi informatici, è stato modificato per evitare di risultare eccessivamente lesivo della privacy o invasivo nella sfera personale degli individui; in questo senso, l’Autorità Giudiziaria può richiedere al possessore del dispositivo di consegnare i dati o i file da analizzare, invece che procedere direttamente con la perquisizione. (9) Ibid. (10) Ibid. LeGiSLAzioNe eD AttUALità Accesso abusivo ad un sistema informatico Daniele Saccoccio* L’art. 615-ter del codice penale fa parte del titolo Xii “dei delitti contro la persona”, capo iii “dei delitti contro la libertà individuale”, Sezione iv “dei delitti contro la inviolabilità del domicilio”. il bene giuridico protetto dalla norma è il “domicilio informatico”, intendendosi con tale locuzione una estensione del domicilio fisico e spazio-virtuale che fa parte della sfera personale di un individuo che, come tale, deve essere tutelato. La differenza rispetto al domicilio fisico consiste nella caratteristica di spazio flessibile e aperto che il domicilio informatico possiede, che non può essere tutelato a priori ma può esserlo solo se il titolare ritiene di renderlo riservato. Affinché possa dirsi integrata la fattispecie prevista come reato, è necessaria la volontà dell’individuo di escludere terzi soggetti dall’accesso al sistema. tale affermazione si ricava dall’articolo medesimo allorquando afferma che un sistema, per poter subire un accesso abusivo, deve essere protetto da una qualsiasi forma di sicurezza. La cassazione Penale ha avuto modo di specificare che le forme di sicurezza possono consistere tanto in forme di protezione logica quanto in forme di protezione fisica; inoltre, affinché si configuri il reato assumono rilevanza non solo le protezioni interne al sistema ma anche quelle esterne. Si trattava di banche private che per definizione sono interdette a coloro che non fanno parte dell’impresa che le gestisce, pertanto in tali casi la violazione si configura allorquando vi è una manifestazione di una volontà contraria a quella di chi del sistema legittimamente dispone. Non si tratta di un illecito caratterizzato dalla violazione generica dei sistemi protettivi, perchè altrimenti non avrebbe rilevanza penale la condotta di coloro che pur essendo entrati per volontà del titolare vi rimangono contro la sua volontà. Si tratta quindi di un reato che si configura ogni qual volta si violino le disposizioni del titolare come avviene nel delitto di violazione di domicilio, tanto da indurre molti a identificare nella nuova fattispecie una tutela del domicilio informatico. ovviamente è indispensabile che l’accesso al sistema informatico non sia aperto a tutti, come può avvenire quando si tratta di sistemi telematici, ma deve comunque ritenersi integrata la fattispecie ogni volta che vi sia un meccanismo che selezioni i soggetti abilitati ad accedere al sistema o anche in presenza di strumenti esterni che regolano l’accesso ai locali in cui i sistemi vengono custoditi. D’altronde la forte analogia col reato di violazione di do (*) Assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. Un ringraziamento al Proc. Stato Melvio Maugeri per l’invio del presente articolo e del seguente alla Rassegna. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 micilio ha indotto a ritenere che integra il reato anche la condotta di chi viene autorizzato all’acceso al sistema informatico per una finalità e poi invece lo utilizzi per finalità diverse non rispettando le condizioni alle quali era subordinato l’accesso. infatti, se l’accesso richiede un’autorizzazione e questa è destinata a un determinato scopo, l’utilizzazione dell’autorizzazione per uno scopo diverso non può non considerarsi abusiva (1). La Suprema corte ha stabilito che: «Nella fattispecie di cui all’art. 615 c.p. sono delineate due diverse condotte integratici del delitto; la prima (quella contestata agli indagati) consiste nel fatto di “chi abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misura di sicurezza”, la seconda nel fatto di chi “vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”. In dottrina e giurisprudenza (2) è stato giustamente criticata l’espressione “abusivamente si introduce” per la sua forte ambiguità e la conseguente possibilità d’imprevedibili e pericolose dilatazioni della fattispecie penale se non intesa in senso di “accesso non autorizzato”, secondo la più corretta espressione di cui alla cd. “lista minima” della Raccomandazione del Consiglio d’Europa (89) 9, attuata in Italia con la L. n. 547 del 1993, e di “accesso senza diritto” (access... without right) impiegata nell’art. 2 della Convenzione sul cyber crime (cui al quale con la L. n. 48 del 2008 non s’è ritenuto di dare ulteriore attuazione, trattandosi d’ipotesi già disciplinata dall’art. 615 ter cod. pen.). Il Collegio aderisce a tale rigorosa lettura dell’art. 615 ter cod. pen., anche in applicazione del principio secondo cui, in mancanza di riserva al- l’apposizione della firma dei trattati, “per ogni norma che rappresenta la trasposizione o l’attuazione di disposizioni sovrannazionali, va privilegiata, tra più possibili letture, quella di senso più conforme alle disposizioni comuni”, opportunamente sottolineato da Cass. sez. 5^, n. 26797/08. La qualificazione di abusività va intesa in senso oggettivo, con riferimento al momento dell’accesso ed alle modalità utilizzate dall’autore per neutralizzare e superare le misure di sicurezza (chiavi fisiche o elettroniche, password, etc.) apprestate dal titolare del ius excludendi, al fine di selezionare gli ammessi al sistema ed impedire accessi indiscriminati. Il reato è integrato dall’accesso non autorizzato nel sistema informatico, ciò che di per sè mette a rischio la riservatezza del domicilio informatico, indipendentemente dallo scopo che si propone l’autore dell’accesso abusivo. La finalità dell’accesso, se illecita, integrerà eventualmente un diverso titolo di reato, come ha affermato questa Corte in due precedenti arresti, che presentano forti analogie con la vicenda in esame. In tal senso, Cass. n. 2534/2007 con riferimento alla condotta di un ispettore della Polizia di Stato (1) cass. penale, sez. v, 7 novembre 2000, n. 12732. (2) cass., sez. v, n. 26797/2008. LeGiSLAzioNe eD AttUALità e di appartenente all’Arma dei Carabinieri, che si servivano dell’autorizzazione all’accesso alla banca dati degli organi di polizia per acquisire dati riservati che trasmettevano ad un’agenzia investigativa, e Cass. n. 26797/08, in relazione alla condotta di un cancelliere dell’ufficio del giudice delle indagini preliminari, autorizzato all’accesso ai registri informatizzati dell’amministrazione della giustizia, che aveva fornito notizie riservate ad un avvocato. In entrambi i casi è stato ritenuto che la trasmissione a terzi di notizie apprese dalla consultazione della banca dati non attiene alle modalità che regolano l’accesso al sistema e la consultazione dei dati in esso registrati, ma riguarda l’uso successivo che di tali dati s’è fatto, con eventuale integrazione di altre fattispecie illecite» (3). caso diverso da considerare è quello in cui l’accesso avviene legittimamente ma l’intrattenimento avvenga con finalità diverse da quelle autorizzate. Questo è il caso dei dipendenti o pubblici ufficiali che utilizzino la loro figura per scopi diversi da quelli consentiti. Sono sanzionabili, dunque, anche le intrusioni che si realizzino con una permanenza illecita successiva ad un ingresso legittimo. Leggermente diverso è il caso in cui un operatore acceda a sezioni del sistema a lui interdette. Se tali diverse sezioni non sono protette da misure di sicurezza il reato non sussiste, ma tornerebbe ad essere rilevante come illecito, se l’accesso avvenisse per finalità non consentite. Di particolare importanza è l’aggravante che riguarda la figura di operatore del sistema, in quanto tali soggetti, a causa delle funzioni che rivestono, si trovano in una posizione di vantaggio nell’utilizzo del sistema informatico, utilizzo che può essere anche improprio. L’aggravante di pena trova la sua giustificazione nella posizione di vantaggio rivestita dal soggetto che grazie alla sua qualifica di operatore di sistema, nel senso non solo di tecnico programmatore, analista o sistemista ma anche di semplice soggetto che è autorizzato ad intervenire sul sistema, può agevolmente operare in virtù delle mansioni affidategli. va specificato che l’art. 615-ter non fa alcun riferimento ad eventuali danni causati dall’accesso non autorizzato al sistema ma si limita a reprimere la condotta di chi abusivamente accede al sistema stesso. Nel caso in cui, effettuato l’accesso abusivo, si verifichi l’eventualità di causare un danno, verrà integrato l’ulteriore reato, in concorso, del danneggiamento informatico. ciò si verifica quando il soggetto accede al sistema e, solo in un secondo momento, inizia a danneggiarlo. Se invece l’accesso viene realizzato contestualmente e al solo fine di condotta vandalica, si parla di una fattispecie di reato unica prevista all’art. 635-bis c.p. Anche le Sezioni Unite (4) sono intervenute in materia per chiarire «se integri la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico (3) cass. penale, sez. vi, 8 ottobre 2008, n. 39290. (4) cass. penale, Sez. Un., 27 ottobre 2011 (dep. 7 febbraio 2012) n. 4694. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 o telematico (art. 615-ter c.p.) la condotta di accesso o mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto abilitato, ma per scopi o finalità estranei a quelli per i quali la facoltà di accesso gli è stata attribuita» (punto n. 1 della motivazione). Le Sezioni Uniti risolvono il quesito positivamente stabilendo il seguente principio di diritto: «integra la fattispecie criminosa la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso. Non hanno rilievo, invece, per la configurazione del reato, gli scopi e le finalità che soggettivamente hanno motivato l’ingresso del sistema» (punto n. 5 della motivazione). Nel risolvere tale questione la corte pone un punto fermo totalmente condivisibile: «la questione di diritto controversa non debba [deve] essere riguardata sotto il profilo delle finalità perseguite da colui che accede o si mantiene nel sistema, in quanto la volontà del titolare del diritto di escluderlo si connette soltanto al dato oggettivo della permanenza (per così dire “fisica”) dell’agente in esso […] Il giudizio circa l’esistenza del dissenso del dominus loci deve assumere come parametro la sussistenza o meno di un’obiettiva violazione, da parte dell’agente, delle prescrizioni impartite dal dominus stesso circa l’uso del sistema e non può essere formulato unicamente in base alla direzione finalistica della condotta soggettivamente intesa» (punto n. 4 della motivazione). come già chiarito, si tratta di un orientamento del tutto condivisibile, diretto a contrastare quello opposto che vuole l’accesso abusivo con mera finalità soggettiva, spesso illecita, dell’agente (5). tale orientamento, infatti, rischia di dilatare eccessivamente l’ambito applicativo della fattispecie, soprattutto quando la finalità soggettiva è volta a commettere un ulteriore reato (es. rivelazione dei dati coperti da segreto d’ufficio). inoltre, rende il legame tra l’autorizzazione e gli scopi del tutto evanescente, quando invece un radicamento alla dimensione oggettiva consente di valutare l’abusività dell’accesso del soggetto abilitato sulla base di precise condizioni predefinibili rispetto allo stesso momento dell’ingresso. (5) cfr. ad es. cass., sez. v, 8 luglio 2008 -1 ottobre 2008, Sala, in ceD, n. 37322/2008, relativa a un accesso a un server e alla copiatura di dati concernenti alcuni clienti da parte di soci di studio professionale intenzionati ad aprire uno studio concorrente. LeGiSLAzioNe eD AttUALità La Frode Informatica. Il discrimine tra truffa e frode informatica Daniele Saccoccio La Legge 23 dicembre 1993 n. 547 ha introdotto l’articolo 640 ter c.p. e punisce la condotta criminosa di chi “alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. il reato ha la stessa struttura del reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. possedendo i medesimi elementi costitutivi ma contemporaneamente se ne differenzia perchè la condotta fraudolenta non investe una persona (eventualmente indotta in errore) bensì un sistema informatico o telematico in uso dalla stessa. in merito al bene giuridico tutelato vi sono due correnti di pensiero. La prima esclude la natura di reato plurioffensivo tipico del reato di truffa ex art. 640 c.p. sul presupposto che mentre in quest’ultima figura criminosa si mina sia l’autodeterminazione del soggetto sia il patrimonio dello stesso (1), nel caso dell’art. 640 ter ciò non sarebbe possibile, dato che non può certo subire un pregiudizio personale la macchina oggetto della condotta di alterazione del sistema. La seconda linea interpretativa, invece, considera anche il reato di cui all’art. 640 ter come plurioffensivo poichè lede sia il corretto funzionamento del sistema sia il sistema stesso. Per meglio comprendere le differenze tra il reato di truffa e quello di frode informatica è utile soffermarsi sulla natura della condotta prevista e punita dall’art. 640. Gli elementi tipici di tale condotta si identificano negli artifizi e raggiri. tale condizione è indispensabile ma non sufficiente ad integrare il reato di truffa, essendo indispensabile che tale condotta induca in errore la vittima per far in modo che avvenga l’atto di disposizione patrimoniale che generi a sua volta un ingiusto profitto ed un altrui danno. con il termine “artificio” si intendono tutti quegli atti tesi a simulare o dissimulare la realtà esterna tale (1) La plurioffensività potrebbe anche essere ricavata in un’altra ottica, evidenziando non solo il pregiudizio inerente il singolo soggetto vittima degli artifici e raggiri ma, in aggiunta, la compromissione dei traffici commerciali e giuridici. A tale proposito la cass., sent. 6 maggio 2011, n. 17748: “Il bene giuridico tutelato dal delitto di frode informatica, non può, dunque, essere iscritto esclusivamente nel perimetro della salvaguardia del patrimonio del danneggiato, come pure la collocazione sistematica lascerebbe presupporre, venendo chiaramente in discorso anche l’esigenza di salvaguardare la regolarità di funzionamento dei sistemi informatici -sempre più capillarmente presenti in tutti i settori più importanti della vita economica, sociale, ed istituzionale del Paese -la tutela della riservatezza dei dati, spesso sensibili, ivi gestiti, e, infine, aspetto non trascurabile, la stessa certezza e speditezza del traffico giuridico fondata sui dati gestiti dai diversi sistemi informatici. Un articolato intessersi, dunque, di valori tutelati, tutti coinvolti nella struttura della norma, che indubbiamente ne qualifica, al di là del tratto di fattispecie plurioffensiva, [...]”. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 da farla apparire diversa da come è, mentre per “raggiro” si intende quell’attività di simulazione attuata tramite le parole tese a far apparire ciò che realmente non è. va tenuto presente che nella truffa la vittima è sempre una persona fisica che agisce perchè indotta in errore, mentre tale schema non può essere applicato alla frode informatica poichè solo un essere umano può cadere in errore, non una macchina. La Legge n. 547 del 1993 introduce un reato che presenta innovazioni legate proprio a tale evidente diversità, pur conservando la struttura di reato a forma vincolata, come la truffa. tra l’altro nel reato di truffa vi è la cooperazione della vittima quale passaggio fondamentale per l’integrazione della fattispecie penalmente rilevante (2). Pertanto se è agevole comprendere come una persona possa essere indotta in errore attraverso una rappresentazione distorta della realtà, altrettanto non può dirsi per una macchina, in quanto quest’ultima è stata progettata e programmata, ciò che può essere fatto è alterarne il funzionamento. Secondo la dottrina, è importante e illuminante affinare il tema dell’intervento “ingannatorio”, vuoi nella truffa, vuoi nella frode informatica. come è noto, nella condotta fraudolenta della truffa il momento di manipolazione, falsificazione del reale, è antecedente a quello che poi sarà l’atto di disposizione patrimoniale, anzi esso risulta essere causalmente efficiente a quest’ultimo. Se è vero che la vittima finisce per avere una visione distorta della realtà, non può negarsi che la dinamica decisionale che porterà all’atto di disposizione patrimoniale non presenta nessuna anomalia, ma segue i normali processi cognitivo-decisori. Di conseguenza è presente una falsa rappresentazione, ed è in virtù di essa che la vittima cade in errore, ma il momento decisorio che consegue alla visione distorta della realtà è esente da vizi del pensiero. Ad esempio, se un soggetto viene convinto, attraverso artifici e raggiri, della paternità di un’opera di un artista celebre, sarà disposto a offrire una somma ingente di denaro per acquistarlo, in quanto a fondamento del suo atto di disposizione risiede la convinzione dell’autenticità dell’opera d’arte in questione, ma il successivo atto d’acquisto sarà esente da vizi della volontà. Nell’ambito della frode informatica, invece, è necessario distinguere tra le condotte alternative dell’alterazione del funzionamento del sistema e del- l’intervento senza diritto. L’alterazione viene a collocarsi, idealmente, all’interno del processo operativo del sistema che si trova a svolgere attività per le quali non è stato programmato. È, quindi, il funzionamento del sistema stesso ad essere pregiudicato. cosa ben diversa avviene con l’intervento senza diritto perché, in questo caso, la condotta fraudolenta può anche svolgersi prima della (2) M. GRotto, Reati informatici e Convenzione Cybercrime. Oltre la “Truffa” e la “Frode informatica”: la “Frode del certificatore” in Il Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 2009, pp. 139-158. LeGiSLAzioNe eD AttUALità fase vera e propria di elaborazione da parte della macchina, anzi spesso presuppone che il sistema funzioni in maniera corretta. basti pensare ad un intervento sull’input sul quale poi svolgerà le consuete operazioni l’elaboratore. Avremo, nel primo caso, un atto diretto ad inficiare il modo in cui opera il sistema nel suo complesso, nel secondo, invece, il reo agisce sulla “materia prima”, che sarà poi oggetto dell’attività regolare della macchina. All’interno del reato di frode informatica, invece, manca l’atto dispositivo da parte della vittima poichè il reo si avvale unicamente della macchina essendo la vittima spesso ignara dell’attività criminosa. La Suprema corte ha infatti sottolineato come “il reato di frode informatica si distinguerebbe da quello di truffa, perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non una persona, quale soggetto passivo della stessa, di cui difetta l’induzione in errore, ma il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di tale sistema […]”(3) e ancora “l’attività fraudolenta dell’agente investe non la persona (soggetto passivo), bensì il sistema informatico (significativa è la mancanza del requisito della “induzione in errore”) che gli per- tiene è […]” (4). La truffa è, inoltre, un reato di evento in quanto si consuma al verificarsi del duplice presupposto dell’ingiusto profitto e dell’altrui danno. il primo non pone particolari problemi interpretativi, dato che può constare in qualsiasi utilità, non necessariamente patrimoniale. Molto più problematico risulta essere la questione relativa al significato da attribuire all’altrui danno, dove è riscontrabile la presenza di due letture alternative: quella giuridica e quella economico-patrimoniale. La prima, partendo dall’assunto secondo cui il patrimonio è costituito dall’ “insieme di beni economicamente valutabili facenti capo ad un soggetto” (5), giunge a considerare danno solo la depauperazione patrimoniale effettiva, avendo come effetto quello di preservare nel reato di truffa la struttura originaria voluta dal legislatore: quella di un reato di danno. Nel caso della frode informatica, l’orientamento della giurisprudenza tende a divergere significativamente (6) da quello della dottrina identificando il danno come qualsiasi situazione di natura sfavorevole al- l’insieme dei rapporti giuridici riferibili ad un soggetto, prescindendo da una deminutio patrimonii effettiva, ed in tal senso avvicinando la frode informatica all’area dei reati di pericolo. Per quanto concerne l’elemento soggettivo, esso assume la veste del dolo generico e, come tale, investe tutti gli elementi costitutivi della fatti (3) cass. penale, sez. i, sent. 6 maggio 2011, n. 17748. (4) cass. penale, sez .vi, sent. 4 ottobre 1999, n. 3065. (5) M. GRotto, op. cit., p. 151. (6) cass. penale, sez. vi, 4 ottobre 1999 -14 dicembre 1999 n. 3065, in Cass. pen., 2001, 481. infine, se si aderisce alla concezione giuridica di danno, sarà configurabile il tentativo nella frode informatica. RASSeGNA AvvocAtURA DeLLo StAto -N. 3/2022 specie. È interessante notare come esso riguardi anche quelle conseguenze possibili prevedute dall’agente: di conseguenza potrà configurarsi anche il dolo eventuale allorquando l’agente pur non volendo direttamente provocare l’evento, l’abbia previsto quale conseguenza possibile della propria condotta. ContrIbutIdIdottrIna Introduzione al giudizio di legittimità civile Carlo Maria Pisana* Sommario: 1. introduzione -2. il ricorso per cassazione -3. Legittimità e merito -4. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto -5. Nullità della sentenza o del procedimento - 6. Vizi della motivazione - 7. Cenni sull’autosufficienza - 8. Conclusione. 1. introduzione. Il presente scritto costituisce sostanzialmente la trascrizione delle lezioni che da anni tengo nell’ambito del corso teorico-pratico destinato ai praticanti dell’Avvocatura Generale dello Stato, a cui talvolta partecipano avveduti giovani procuratori e avvocati dello Stato, che si trovano ad essere investiti delle prime cause di legittimità. Questa avvertenza valga a farmi perdonare lo stile didascalico e la trattazione di argomenti talvolta banali, ma appunto ho inteso scrivere una “introduzione” alla affascinante materia del giudizio di legittimità civile e niente di più. Spesso si rinvengono riferimenti agli aspetti propri del giudizio per cassazione in materia tributaria e ciò per la duplice ragione che i giudizi in tale materia costituiscono gran parte dei giudizi decisi dalla Corte e che essi hanno assoluto rilievo numerico ed economico per l’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui presto servizio. 2. il ricorso per cassazione. Il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 “Ordinamento giudiziario” all’art. 65 “Attribuzioni della corte suprema di cassazione” così si esprime: “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità (*) Avvocato dello Stato. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. La corte suprema di cassazione ha sede in roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio del regno, dell'impero e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato”. Questa definizione, così precisa, definisce il ruolo della Suprema Corte e allo stesso tempo l’essenza di quel peculiare tipo di giudizio ad essa attribuita che, proprio per il fatto di vertere sulla “legge”, prende il nome di giudizio di legittimità, distinguendosi e contrapponendosi al c.d. giudizio di merito. Il significato di questa definizione e della predetta distinzione tra fase di merito e fase di legittimità non può essere compresa, se non facendo almeno un cenno alla ragione storica della esistenza della Corte di Cassazione, quale organo del potere legislativo nella Francia della Rivoluzione, volto a fornire la corretta interpretazione della legge, intesa quale volontà del popolo. Oggi la Corte di Cassazione è divenuta indubbiamente un organo del potere giurisdizionale e costituisce anzi, come ricorda la disposizione dell’ordinamento giudiziario, il supremo organo della giustizia. Le sue funzioni sono infatti esercitate su istanza della parte del giudizio di merito, mentre un retaggio della originaria funzione resta nell’istituto del ricorso nell’interesse della legge promosso dal Procuratore Generale (art. 363 c.p.c.), che non incide comunque sulle parti della causa originaria e mira solo a costituire un (autorevole) precedente giudiziario. Ma l’originaria funzione ermeneutica resta in sostanza intatta. La Corte di Cassazione non può infatti conoscere del merito della causa: la sua funzione resta circoscritta all’accertamento della violazione della norma di diritto (con le precisazioni che faremo). 3. Legittimità e merito. Preliminare alla disamina dei singoli motivi di censura è la individuazione della radicale differenza che si pone tra il giudizio di legittimità e il giudizio di merito. Il Giudice di legittimità non può riesaminare il merito della decisione. Si osservino le seguenti massime di giurisprudenza e stralci di motivazioni di sentenze della Corte: “Le critiche articolate dalla difesa della ricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimità. Esse, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l'inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l'azione e la condanna disciplinare (cfr. Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2019, n. 33373). COntRIbutI DI DOttRInA in breve, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all'art. 360 c.p.c., perchè pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi” (Cass. civ. Sez. unite Sent., 27 dicembre 2019, n. 34476); “in sede di legittimità, è inammissibile il motivo di gravame che, pur lamentando una violazione di legge, peraltro non meglio chiarita, finisce per contestare accertamenti e valutazioni di fatto compiuti dal giudice di appello, in contrasto col novellato dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.” (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 29 gennaio 2020, n. 2004). “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. civ. Sez. vI - 5 Ordinanza, 7 aprile 2017, n. 9097). In definitiva, emerge che l’esame del “merito” della causa, in Francese “le fond des affaires”, non può essere conosciuto dal giudice di legittimità. Il suo compito non è infatti quello di esercitare un terzo grado di giudizio, ma di assicurare il rispetto della legge sostanziale e processuale. Pertanto egli resta estraneo alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito, mediante la valutazione delle prove, purché rispettosa dell’onere di motivazione (imposto appunto dalla norma processuale). La richiesta di esame del merito, e la conseguente inammissibilità del ricorso, vengono desunte dalla Corte da alcuni fattori indicativi, che portano alla dichiarazione di inammissibilità. tra questi: -la richiesta della parte di una ricostruzione alternativa dei fatti (“l'Ufficio si è limitato a prospettare una diversa spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, che non appare tuttavia come l'unica possibile” Cass. civ. Sez. v, Sent., 23 novembre 2016, n. 23795; “nella sostanza parte ricorrente, lungi dal denunciare una effettiva violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che presupporrebbe una ricostruzione della vicenda storica quale operata dalla sentenza impugnata, invece oppone una diversa ricostruzione della medesima vicenda storica, sulla base di una valutazione del materiale probatorio difforme da quella apprezzata dai giudici cui compete il dominio esclusivo del merito, così invocando un sindacato estraneo RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 al giudizio di legittimità” Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 28 novembre 2019, n. 31144); -la mera contrapposizione della propria tesi difensiva rispetto a quella espressa in sentenza (“È inammissibile il ricorso per Cassazione con il quale l'istante si limita alla mera contrapposizione della propria tesi difensiva rispetto a quella espressa in sentenza, finendo per chiedere alla S.C. una nuova valutazione del merito della controversia e facendo riferimento ad un rapporto giuridico diverso da quello preso in considerazione dal giudice” Cass. civ. Sez. unite, 4 marzo 2016, n. 4254); -le censure rivolte direttamente alla condotta della controparte e non alla sentenza (invero più frequentemente compiute dalle parti private, dolendosi direttamente dell’operato degli uffici tributari). In conclusione, il più banale errore che può commettere il redattore del ricorso è quello di riproporre le proprie ragioni, così come esposte nei gradi di merito. egli dovrà invece formulare una ipotesi di violazione di norma di legge sostanziale o processuale e dunque “filtrare” le sue ragioni attraverso le maglie del giudizio di legittimità. 4. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. L’espressione spesso usata come una inutile endiadi ha in realtà un senso. Giova pertanto puntualizzare che cosa si intende per violazione e che cosa per falsa applicazione: “la violazione di norme di diritto ricorre quando vi sia stata la negazione o il fraintendimento di una disposizione di legge esistente o l'affermazione di una norma inesistente, mentre la falsa applicazione ricorre allorquando una norma rettamente intesa sia applicata ad una fattispecie concreta che non corrisponde a quella astratta prevista dalla norma ovvero in modo da giungere a conseguenze giuridiche ad essa contrarie” (Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 2005, n. 18782). La violazione deve avere ad oggetto una norma del diritto obiettivo: non può trattarsi di una clausola contrattuale, salvo CCnL, non di una mera circolare della P.A. non è quindi configurabile, come talvolta fanno gli uffici, una censura per violazione di un documento di prassi (“Le circolari della P.a. sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l'attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicché la loro violazione non è denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3” Cass. civ. Sez. vI -2 Ordinanza, 10 agosto 2015, n. 16644; Cass. civ. Sez. v Sent., 19 giugno 2009, n. 14328). Come posto in evidenza nel paragrafo che precede, a pena di inammissibilità, la censura formulata non può attenere alla ricostruzione del fatto. essa deve criticare la ricostruzione della fattispecie astratta della norma, non la ricostruzione della fattispecie concreta. essa deve cioè porre un problema di in COntRIbutI DI DOttRInA terpretazione (“2.1. al riguardo è appena il caso di ricordare che secondo l'insegnamento di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 195 del 2016; id. n. 26110 del 2015), con la conseguenza che costituisce causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l'erronea sussunzione del vizio” Cass. civ. Sez. v, 4 novembre 2016, n. 22433). In sostanza, la ricostruzione del fatto compiuta espressamente, o presupposta meramente, dal Giudice di appello deve rimanere fuori dalla contestazione. È necessario individuare la particolare interpretazione della norma fatta propria dal Giudicante e sottoporla a critica. La ricerca della ratio decidendi è forse l’aspetto più difficile. Occorre porsi dal punto di vista del Giudicante, individuare l’elemento su cui ha basato il proprio ragionamento, e qualora questo consista in una norma di diritto, individuare il principio di diritto, che egli ha inteso applicare. Poi si sottoporrà a critica tale ratio decidendi. Certamente una propensione alla schizzofrenia aiuterà alla buona redazione di tale tipo di censure, ma, se si vuole restare lontano dagli psichiatri, ci si potrà accontentare di prestare la dovuta attenzione nell’evitare di porre questioni meramente attinenti alla prova o alla ricostruzione del fatto, le quali, come si è detto, non sono sindacabili dal giudice di legittimità. 5. Nullità della sentenza o del procedimento. Si tratta di una categoria molto eterogenea, in cui sono riconducibili le violazioni di norme processuali. tali vizi sostanziano gli “errores in procedendo”: cioè ricadenti non sul giudizio, ma sul modo di pervenirvi. La cognizione del Giudice di legittimità riguardo a tali censure è più ampia, ricomprendendo anche la conoscenza del fatto, purché si tratti ovviamente di fatto processuale. A questa sono riconducibili, tra le altre, le censure di violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su un capo della domanda e di ultrapetizione, su cui si ritiene di spendere due parole poiché sono tra le ipotesi più ricorrenti nella prassi. omessa pronuncia su un capo della domanda. L’ omessa pronuncia su un capo della domanda si risolve in una doglianza di carenza di esercizio del potere giurisdizionale. È quindi necessario che il provvedimento invocato sia del tutto mancato, venendo meno il momento volitivo della decisione e non soltanto quello argomentativo. Alla luce di tale principio, si deve distinguere l’istituto dalla censura di RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 omessa motivazione e dall’ipotesi in cui una decisione, seppure inespressa, sul punto vi sia comunque stata. In proposito: “è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. Civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. Civ., n. 4, e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. Civ., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. Civ.” (Cass. Civ. Sez. lavoro, 18 giugno 2014, n. 13866). non ricorre l’omessa pronuncia, se vi è stata decisione implicita sulla domanda. In proposito: “2.3 Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: tale ipotesi non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. Civ. Sez. v, Sent., 29 novembre 2019, n. 31333). ultrapetizione. Da “ultra petita”, in Latino: al di là di ciò che è stato chiesto. La presente censura si radica nel fatto che il giudizio civile, nonché quello tributario -sebbene connotato da indubbi profili pubblicistici -sono giudizi “di parti”, ossia rimessi al principio della domanda di parte, che costituisce l’impulso e il limite della res in iudicio deducta. In sostanza, il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, altera gli elementi obiettivi dell’azione, petitum e causa petendi, e, sostituendo i fatti costituitivi della pretesa, emette un provvedimento diverso da quello richiesto ovvero attribuisce o nega un bene della vita diverso da quello conteso. Spesso tale violazione si accompagna alla violazione dell’art. 57 del D.lgs. 546/1992 e dell’art. 345 c.p.c., allorché in appello la CtR (rectius la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado) accolga un motivo non proposto in prime cure. In proposito, puntualizza la Corte: “ricorre allorché il Giudice di appello accoglie una domanda del tutto diversa da quella formulata in prime cure dai COntRIbutI DI DOttRInA contribuenti, la quale presuppone pertanto, l’accertamento di fatti rimasti fino a quel momento estranei al thema decidendum. La decisione contrasta pertanto con i principi in materia di ultrapetizione che impongono al giudicante di pronunciarsi nei limiti della domanda identificata dal petitum e dalla causa petendi. Siffatti limiti posti alla cognizione del giudice sono ancor più stringenti in un processo di impugnazione-merito quale quello tributario. La disciplina dettata dal dlgs. 31 dicembre 1992 n. 546 impernia infatti il meccanismo d’instaurazione del processo sull’impugnazione del provvedimento impositivo, volta ad ottenere il sindacato giurisdizionale sulla legittimità formale e sostanziale del medesimo. Ne deriva che l’indagine sul rapporto tributario è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione, nonché degli elementi del fatto costitutivo che il contribuente deve specificatamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado” (Cass. Civ. Sez. v, 11 marzo 2016, n. 4775). 6. Vizi della motivazione. Oggi essi sono individuati dal novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c.: “5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La modifica della formulazione dell’art. 360 n. 5 è stata apportata ad opera delle disposizioni modificative del codice di procedura civile contenute nel D.L. 22 giugno 2012, n. 83, c.d. Decreto crescita convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Sarebbe però errato ritenere che la sopra richiamata formulazione racchiuda ogni tipo di vizio incidente sulla motivazione suscettibile di determinare la nullità della sentenza impugnata. Infatti, la Corte insegna che: “15. Si può quindi affermare il seguente principio di diritto: La riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l'"omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile"” (Cass. civ. Sez. unite, Sent., 7 aprile 2014, n. 8053). RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 In sostanza, pur dopo la modifica in senso restrittivo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. permangono altre anomalie motivazionali denunziabili, che ricadono sotto altri motivi di ricorso previsti da altri numeri dell’art. 360 cpc. Figure di vizio motivazionale riconducibili a altri motivi. Al di fuori della stretta previsione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., il vizio mo tivazionale continua a rilevare quando si traduca in una violazione di norma processuale denunziabile ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c. La sentenza sopra commentata individua quattro figure di carenza motivazionale: - "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", - "motivazione apparente", - "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", - "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". tali fattispecie costituiscono una violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., che prevede l’obbligo della motivazione come elemento della sentenza. Si rilevi che la censura deve riguardare la motivazione in sé, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali (differisce in ciò dalla fattispecie prevista dal codice di procedura penale dell’art. 606 lett. e) c.p.p.). (Sui limiti di ammissibilità del vizio motivazionale anche: Cass. civ. Sez. III Ord., 23 aprile 2020, n. 8108; Cass. civ. Sez. v, 28 maggio 2020, n. 10118; Cass. civ. Sez. unite, Sent., 4 aprile 2016, n. 13577). Le quattro figure. - "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico". Pur possibile e talvolta rinvenuta, è in realtà un’ipotesi meno frequente. La carenza assoluta potrà piuttosto ricorrere in relazione a una particolare questione di fatto, di cui sia data per scontata la risoluzione in senso sfavorevole. A tal fine è necessaria un’attenta analisi del testo della sentenza da impugnare. - "motivazione apparente". Ricorre ogni qualvolta la motivazione si risolva in un’affermazione tautologica e quindi esiste sul piano grafico, ma non su quello logico. In proposito la Corte così si esprime: “il contenuto di specie della dichiarazione motivazionale deve comprendere sia il racconto del processo dinamico di formazione dell'atteggiamento psicologico del dichiarante (il giudizio nel caso della sentenza), sia il racconto del risultato del passaggio logico dall'ignoranza -iniziale posizione statica alla conoscenza sotto la specie del giudizio -posizione statica finale -, che è l'approdo statico dell'attività di acquisizione della conoscenza intorno all'oggetto” (Cass. civ. Sez. v, 21 gennaio 2009, n. 1450). - "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili". Il contrasto può ricorrere tra motivazione e dispositivo o tra affermazioni contenute all’interno della motivazione. In questa sede, sia sufficiente evidenziare che deve trattarsi di contrasto insanabile, ossia non risolvibile in via interpretativa, e tale da rendere impossibile la comprensione del comando in cui COntRIbutI DI DOttRInA si deve sostanziare la decisione. La Corte in proposito insegna: "il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi” (Cass. civ. Sez. v, 22 dicembre 2014, n. 27198). - "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". Figura poco riconducibile a un rigoroso quadro sistematico. Infatti, l’illogicità e la obiettiva incomprensibilità delle ragioni sottese alla sentenza sono il carattere che accomuna tutte le ipotesi di vizio motivazionale sopra esaminate. Se considerata autonomamente, essa si risolve in una estrema fattispecie di illogicità, la cui prospettazione resta comunque rischiosa perché può portare facilmente a non consentite censure di merito. omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo 360 n. 5 c.p.c. La Corte stessa ha puntualizzato quali elementi devono trovare puntuale esposizione ai fini dell’ammissibilità della presente censura: “L' art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”. È pertanto essenziale che il redattore del ricorso per cassazione, quando intenda valorizzare un vizio motivazionale ex n. 5, abbia cura di indicare distintamente: -il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso: dovrà trattarsi quindi di un fatto e non di un giudizio (in sostanza non potrà indicarsi “l’inesistenza delle operazioni documentate in fattura”) e tale fatto dovrà essere puntualmente individuabile (quindi non potrebbe dedursi “la condotta fraudolenta della società”); -il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, cioè il documento da cui risulta il fatto non valutato; -“come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione proces RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 suale, si dovrà indicare cioè la sede processuale in cui è avvenuta la produzione del documento da cui emerge il fatto e le diverse posizioni assunte riguardo al fatto dalle parti; -la decisività: il fatto pretermesso deve essere sufficiente di per sé solo a imporre in modo univoco, se valutato, una decisione di segno opposto. doppia conforme. La trattazione delle censure motivazionali non può prescindere dalla preclusione alla impugnazione per omessa valutazione di fatto decisivo e controverso introdotta dall’art. 348-ter c.p.c. (introdotto dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83), il quale così recita: “4. Quando l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360. 5. La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all'articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado”. tralasciando il commento della disposizione per la parte riguardante il giudizio di appello, qui rileva osservare che il comma 4 preclude l’ulteriore impugnazione dell’ordinanza per il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (omesso esame di fatto decisivo e controverso), allorché la decisione di appello sia fondata sulle medesime questioni di fatto poste a base della sentenza di prime cure. Ora, il comma n. 5 ha esteso tale preclusione anche all’ipotesi generale, e in definitiva estranea al particolare meccanismo di decisione dell’appello descritto dalla norma, in cui la decisione di secondo grado non sia una mera ordinanza di inammissibilità di cui all’art. 348 bis c.p.c., ma sia una vera e propria sentenza basata sulle medesime ragioni di fatto della sentenza di prime cure. Giova pertanto puntualizzare quali sono i presupposti per l’operare della preclusione processuale in esame. È necessario che la sentenza d'appello: a) confermi la decisione di primo grado; b) sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata. un recente arresto della Corte ha inasprito tale rigore, dichiarando che l'ipotesi di «doppia conforme», ricorre “non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice” (Cass. civ. Sez. vI -2 Ord., 9 marzo 2022, n. 7724). La presenza di decisioni sfavorevoli in primo e secondo grado non deve però aprioristicamente indurre a un atteggiamento rinunciatario. COntRIbutI DI DOttRInA Infatti, è ben possibile che, ad un attento esame risulti che una delle due sentenze abbia omesso di compiere una valutazione dei fatti, il che esclude la ricorrenza di una conferma di tale valutazione che in realtà non vi è stata. In proposito, la Corte precisa che: “La disposizione di cui all'art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, presuppone che nei due gradi di merito le "questioni di fatto" siano state decise in base alle "stesse ragioni", sicché la preclusione non opera nel caso in cui l'istruzione probatoria sia del tutto mancata” (Cass. civ. Sez. II Ord., 12 novembre 2019, n. 29222). 7. Cenni sull’autosufficienza. Dopo qualche mese dal mio ingresso in una sezione dell’Avvocatura incaricata del contenzioso di legittimità in materia tributaria, scherzosamente il vice Avvocato Generale in carica ebbe a dirmi: “Qui sarai iniziato ai misteri dell’autosufficienza del ricorso per cassazione”. effettivamente si tratta di una materia oggetto di decisioni oscillanti. nell’ambito di quella che vuole essere soltanto una introduzione al giudizio di legittimità si può soltanto fare un fugace cenno a tale complesso tema. Sia la formulazione dei motivi attinenti alla motivazione, sia di quelli afferenti alla violazione di norme sostanziali o processuali deve attenersi al principio di principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. esso comporta che il ricorso medesimo debba contenere tutti gli elementi necessari affinché il Giudice possa comprendere le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. tale principio impone, quindi, di indicare specificamente, a pena di inammissibilità: a) gli atti processuali ed i documenti, su cui il ricorso si fonda; b) la sede e la fase processuale, in cui ne è avvenuta la produzione, “Sono inammissibili, per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. civ. Sez. unite Sent., 27 dicembre 2019, n. 34469). L’individuazione di quali siano gli atti e documenti su cui il ricorso si RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 fonda richiede un ragionamento analitico, non facile, in quanto nel mondo reale fatto e diritto, realtà e sua rappresentazione, prova ed evento provato convivono inestricabilmente. Alcuni esempi possono aiutare la comprensione della nozione. La consulenza tecnica. “in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti, non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione …, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, è per contro tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, ed a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, condizione di ammissibilità del motivo essendo che il medesimo consenta al giudice di legittimità... ” (Cass. civ. Sez. I Ord., 3 dicembre 2020, n. 27702 o Cass. civ. Sez. III, 18 luglio 2022, n. 22532 in tema di responsabilità del sanitario). La relata di notifica. “Qualora oggetto del motivo di ricorso per cassazione sia una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale della relata stessa. L'omessa trascrizione della relata di notifica priva il ricorso di autosufficienza” (Cass. civ. Sez. v, 28 febbraio 2017, n. 5185); “Nel caso di specie con un motivo di impugnazione -il quarto -si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 60 del D.P.r. n. 600 del 1973, art. 139 c.p.c., art. 21 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per aver il giudice d'appello ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta in domicilio diverso da quello anagrafico e tuttavia a mani di persona qualificatasi come madre convivente del destinatario. il motivo è stato dichiarato inammissibile per omessa trascrizione integrale della relata” (Cass. civ. Sez. v Ord., 11 luglio 2022, n. 21791). La motivazione dell’avviso di accertamento. “Qualora si deduca l'assoluta carenza di motivazione dell'avviso di accertamento, …, il ricorso è inammissibile allorché non sia stato riportato il contenuto della motivazione dell'avviso di accertamento per violazione del principio di autosufficienza del ricorso medesimo” (Cass. civ. Sez. v, 5 ottobre 2016, n. 19903, id. Cass. civ. Sez. v Ord., 24 giugno 2021, n. 18271). Siffatta riproduzione può aversi mediante riproduzione diretta o indiretta del documento. La prima consiste nel riprodurre l’immagine o il testo del documento nel corpo del ricorso per cassazione; la seconda nel riportarne il contenuto. In proposito: “il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all'art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere ri COntRIbutI DI DOttRInA spettato ogni qualvolta l'indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali” (Cass. civ. Sez. I Sent., 19 aprile 2022, n. 12481). nella specie, il motivo è stato ritenuto inammissibile per non essere stato trascritto neanche in estratto il contenuto del verbale di udienza, individuato con la sola indicazione della data. In proposito anche Corte europea diritti dell'uomo Sez. I, 28 ottobre 2021, n. 55064/11. Occorre però porre attenzione allo scopo cui assolve il principio in parola, che è quello di semplificare l’attività nomofilattica della Corte. tale scopo sarebbe contraddetto qualora nel corpo del ricorso per cassazione fossero riversati tutti o buona parte degli atti del giudizio di merito. In proposito: “i cd. ricorsi "assemblati" o "farciti" o "sandwich" implicano una pluralità di documenti integralmente riprodotti all'interno del ricorso, senza alcuna selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione..., viola il principio di sinteticità che deve informare l'intero processo e, soprattutto, comporta il "mascheramento" dei dati effettivamente rilevanti” (Cass. civ. Sez. v, Sent., 19 dicembre 2019, n. 33915). 8. Conclusione. All’esito di questa introduzione, mi auguro di avere invogliato almeno uno dei miei lettori ad avvicinarsi a questo tema difficile e sensibile, o almeno contribuito a dissipare quella critica spesso ricorrente tra gli avvocati del foro di merito, riguardo al, mal compreso e talvolta poco studiato, giudizio di legittimità. Con i suoi limiti e le sue indubbie aree di migliorabilità, tale giudizio conserva la sua ormai secolare funzione di estremo rimedio avverso gli errori della decisione del giudice di merito, il cui sindacato sul fatto deve essere rispettato. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 La microrigenerazione urbana come esperienza di cittadinanza attiva e modello operativo della c.d. amministrazione condivisa Gaetana Natale* Il concetto di cittadino si sta evolvendo negli ultimi tempi verso una nuova dimensione policentrica di “cittadino protagonista e co-responsabile del funzionamento della res publica”. Il sintagma “city as a commons ” (1) rende efficace l’idea di creare nuovi moduli operativi tesi ad una sinergia pubblico- privata in cui lo Stato apparato e Stato comunità, ossia il Pubblico come soggetto e il Pubblico come comunità, stringono “patti” per il perseguimento di fini di interesse generali, accedendo a una visione pluralista e paritaria che consente ai cittadini di cooperare attivamente per la soluzione di problemi riguardanti le proprie comunità. È la c.d. “gestione policentrica urbana” volta a promuovere politiche concernenti i beni comuni. I riferimenti costituzionali sono facilmente individuabili negli artt. 2 e 118, comma 4 Cost. (c.d. principio di sussidiarietà orizzontale), nell’art. 1, comma 2, che afferma il principio della “sovranità popolare”, nell’art. 3, comma 2, che si riferisce a una “forma di partecipazione effettiva”, il dovere di “fedeltà”, che rievoca quello di “fiducia”, di “cooperazione e collaborazione”. una simile concezione del cittadino nella società è stata ben delineata nell’opera di F. benvenuti “il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva” del 1994: tale autore descrive l’evoluzione da una forma di libertà passiva, intesa come difesa dei privati al cospetto dell’autorità, a una forma attiva idonea a rendere il “nuovo” cittadino protagonista co-responsabile del funzionamento della res publica. In tale prospettiva le azioni del cittadino che par (*) Avvocato dello Stato, Professore a contratto di Sistemi Giuridici Comparati, Consigliere giuridico del Garante per la Privacy. Il presente scritto è la relazione presentata dall’Autrice al Convegno -alla presenza dell’Avv. Gabriella Palmieri Sandulli, Avvocato Generale dello Stato e dell’illustre Prof. Paolo Stella Richter, Presidente dell’Associazione Italiana di Diritto Urbanistico -“Il governo del territorio nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana”. Nel corso del Convegno è stato presentato il libro del Prof. Giuseppe Andrea Primerano, Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana. La salvaguardia di una matrice ambientale mediante uno strumento di sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022. Il Convegno si è tenuto presso l’Avvocatura Generale dello Stato, Sala Vanvitelli, Giovedì 24 novembre 2022. (1) S.R. FOSteR, C. IAIOne “The city as a commons”, in Yale Law & Policy review, vol. 34, n. 2, 2016, 287: “urban reformers are looking beyond the state (and for that matter the city) to sublocal forms of resistance and cooperation, to make claims on urban resources and city space as a “commons”. COntRIbutI DI DOttRInA tecipa all’esercizio di funzioni tradizionalmente riconducibili ai pubblici poteri, superano la dimensione individuale degli interessi e proiettano la singolarità dell’agere in un contesto più ampio che unisce doveri di solidarietà e valore dell’esistenza individuale. In base a tali presupposti incentrati sul c.d. “principio di prossimità” si è teorizzata un’evoluzione della forma di Stato verso la “demarchia” e, quindi, il passaggio da una forma di democrazia rappresentativa a una forma di democrazia governante. tale forma di democrazia richiede una rimodulazione del concetto di “beni comuni”e di“governance urbana”. non a caso elinor Ostrom (la premio nobel per l’economia nel 2009) nel suo famoso libro Governing the Commons del 1990, divenuto ormai un classico contemporaneo degli studi economici, ha evidenziato come in riferimento ai beni comuni abbia preso corpo una gestione “dal basso” c.d. bottom up, democratica e partecipata, grazie ad insiemi di regole inserite in un contesto istituzionale policentrico. nel delineare un modello ulteriore rispetto a quello liberista e statalista, l’autrice enuclea una serie di principi indispensabili per la conservazione e l’ottimale gestione dei beni comuni e, più, in generale le condizioni necessarie per una buona e duratura gestione comunitaria delle risorse: a tal fine, secondo la studiosa, occorrono una chiara definizione dei soggetti fruitori (dunque, la circoscrizione della comunità titolare) e delle modalità d’uso; la rispondenza delle regole di appropriazione alle condizioni locali; una partecipazione ampia alla gestione ed alla determinazione delle regole; il controllo attento delle condizioni di utilizzo; la presenza di un sistema di sanzioni e di mezzi rapidi, efficienti ed economici, a livello locale, per la risoluzione delle controversie, la possibilità di auto-regolamentazione senza ingerenze esterne. Se applichiamo tali regole alla rigenerazione urbana, la partnership pubblico- privato si sostanzia nella combinazione fra momenti di autorità amministrativa cristallizzati nell’emanazione di regolamenti (si pensi al prototipo di Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazioni per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani elaborato da Labsus -Laboratorio per la sussidiarietà del 20 ottobre 2020) e nuove forme di consenso racchiuse in appositi strumenti denominati “patti di collaborazione” volti alla definizione puntuale degli interventi di microrigenerazione. In virtù di tali patti, muta il modo di intendere la “partecipazione”, declinabile in termini di “effettivo coinvolgimento”. I cittadini attivi non si limitano ad affermare le proprie pretese in sede procedimentale, ma contribuiscono fattivamente alla soluzione di problemi riguardanti beni e spazi urbani, cioè si impegnano in prima persona nella realizzazione dei patti, dopo aver avanzato o accolto proposte sulla base dell’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti quali le libertà di associazione, riunione e opinione che portano ad un vero e proprio confronto con l’amministrazione locale. Le ragioni non sono necessariamente ascrivibili al fallimento degli stru RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 menti di pianificazione urbanistica né sono sovrapponibili alle tradizionali attività di volontariato ex artt. 55 e 56 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del terzo settore) sotto forma di co-progettazione, co-programmazione, accreditamento e convenzioni. La rigenerazione dal basso rappresenta un corollario del “diritto alla città” fatto valere da soggetti interessati a costruire legami di comunità e, in ultima analisi, a migliorare la qualità della loro vita. Ma che natura giuridica hanno tali “patti di collaborazione”? Possono rientrare nella nozione di contratto ad oggetto pubblico ex art. 11 della L. 241/90 o sono atti amministrativi di natura non autoritativa? Quali mezzi di tutela il privato può attivare? La loro natura muta a seconda dell’interposizione regolamentare o della norma primaria a monte? A tal riguardo occorre precisare che solo la Regione Lazio (leg. reg. 26 giugno 2019 n. 10 “Promozione dell’amministrazione condivisa dei beni comuni”) e la Regione toscana (leg. reg. 24 luglio 2020 n. 71, “Governo collaborativo dei beni comuni e del territorio”) si sono dotate di una norma di rango primario specificamente volta a disciplinare la microrigenerazione. Ciò peraltro non significa che altre regioni non abbiano normato interventi lato sensu riconducibili alla stessa: si pensi alle previsioni regionali sul riuso temporaneo di immobili e spazi urbani abbandonati o dismessi che hanno preceduto l’introduzione ad opera del d.l. n. 76/2020 dell’art. 23-quater del d.P.R. n. 380/2021 (2). (2) Art. 23 quater testo unico edilizia: 1. allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale, il comune può consentire l'utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico. 2. L'uso temporaneo può riguardare immobili legittimamente esistenti ed aree sia di proprietà privata che di proprietà pubblica, purché si tratti di iniziative di rilevante interesse pubblico o generale correlate agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali indicati al comma 1. 3. L'uso temporaneo è disciplinato da un'apposita convenzione che regola: a) la durata dell'uso temporaneo e le eventuali modalità di proroga; b) le modalità di utilizzo temporaneo degli immobili e delle aree; c) le modalità, i costi, gli oneri e le tempistiche per il ripristino una volta giunti alla scadenza della convenzione; d) le garanzie e le penali per eventuali inadempimenti agli obblighi convenzionali. 4. La stipula della convenzione costituisce titolo per l'uso temporaneo e per l'esecuzione di eventuali interventi di adeguamento che si rendano necessari per esigenze di accessibilità, di sicurezza negli ambienti di lavoro e di tutela della salute, da attuare comunque con modalità reversibili, secondo quanto stabilito dalla convenzione medesima. 5. L'uso temporaneo non comporta il mutamento della destinazione d'uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate. 6. Laddove si tratti di immobili o aree di proprietà pubblica il soggetto gestore è individuato mediante procedure di evidenza pubblica; in tali casi la convenzione specifica le cause di decadenza dall'assegnazione per gravi motivi. 7. il consiglio comunale individua i criteri e gli indirizzi per l'attuazione delle disposizioni del presente COntRIbutI DI DOttRInA La rigenerazione dal basso origina da iniziative spontanee e consente ai cittadini attivi di partecipare all’istituzione di nuove forme collaborative collegate all’avvertita esigenza di “riappropiarsi” di beni e spazi urbani strumentali al benessere individuale e collettivo. La ratio della microrigenerazione riporta alla genesi del droit à la ville (H. Lefebvre “Le droit à la ville”, Paris, 1968), quale diritto collettivo sociale, non individuale (civile) che si traduce nell’esercizio di un potere collettivo sul processo di urbanizzazione. un diritto, quindi, che consente di rimeditare i contesti urbani come luoghi di ristrutturazione delle relazioni economiche e sociali attraverso la convergenza di una duplice prospettiva, strutturale (rispetto all’opera) e funzionale (rispetto alla fruizione di beni e spazi urbani) che rende i cittadini co-costruttori dei luoghi in cui vivono. In tale scenario, la città è configurabile come “proiezione della società sul territorio” e il diritto alla città si presenta come un appello, come esigenza alla vita urbana trasformata e rinnovata. L’esperienza dei regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni urbani, finora approvati da quasi trecento comuni italiani, è senza dubbio una delle migliori testimonianze dell’attualità del droit à la ville che pone le città dinanzi a nuove sfide da affrontare in sede locale per proiettarsi a livello sovranazionale. In tale prospettiva, è significativo richiamare l’art. 1 -rubricato “diritto alla città” -della Carta europea dei diritti umani nella città adottata il 18 maggio 2000 dalla Seconda Conferenza europea delle città per i diritti umani (c.d. Carta di Saint Denis) che, premessa la “definizione” di città come “spazio collettivo che appartiene a tutti gli abitanti, i quali hanno il diritto di trovarsi le condizioni necessarie per appagare le proprie aspirazioni dal punto di vista politico, sociale ed ambientale, assumendo nel contempo i loro doveri di solidarietà”, riconosce in capo alle autorità comunali il compito di agevolare con ogni mezzo “il rispetto della dignità di tutti e la qualità della vita dei loro abitanti”. nel 2005 abbiamo assistito all’adozione della Carta mondiale per il diritto alla città, antesignane della più recente New Urban agenda (2016), strettamente connessa agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) ed in particolare all’Obiettivo 11.3 (“potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile”) dell’Agenda Onu 2030. La città si eleva a luogo di libero godimento e del valore d’uso: il diritto articolo da parte della giunta comunale. in assenza di tale atto consiliare lo schema di convenzione che regola l'uso temporaneo è approvato con deliberazione del consiglio comunale. 8. Le leggi regionali possono dettare disposizioni di maggior dettaglio, anche in ragione di specificità territoriali o di esigenze contingenti a livello locale. F. DI LASCIO -F. GIGLIOnI (a cura di) “La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città”, Il Mulino, 2017; e. PICOzzA, “alcune riflessioni critiche sulle relazioni tra beni culturali e beni comuni” in Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. Iv, napoli, 2020. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 alla città si rimodula attraverso una nuova visione degli spazi pubblici urbani, infrastrutture, trasporti e servizi. In questo senso il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 comma 4, Cost., deve essere letto in combinato disposto con l’art. 117, comma 6, Cost., sulla potestà regolamentare degli enti locali in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Sono tali norme ad aver legittimato sulla base dell’idea di un’amministrazione condivisa i regolamenti comunali per la gestione dei beni comuni in cui è intrinsecamente radicata l’idea di poter cambiare e reiventare le città attraverso meccanismi democratici alternativi volti alla rivitalizzazione di beni e spazi urbani (si pensi al Regolamento tipo adottato dal Comune di bologna sui patti di rigenerazione urbana). Occorre, però, rilevare che i regolamenti non potrebbero, comunque, assegnare ai patti di collaborazione una funzione sostitutiva di attività amministrative. Intendere i cittadini come co-amministratori di beni e spazi urbani, ovvero attribuire agli stessi forme condivise di responsabilità, non deve in alcun modo favorire prassi elusive della responsabilità di evidenza pubblica o privare gli enti locali della titolarità dei loro compiti nei confronti dell’ambiente urbano, cioè il coinvolgimento dei cittadini attivi avviene sempre a titolo integrativo e mai sostitutivo, in ossequio alla logica sussidiaria propria della microrigenerazione. In tal senso la fonte regolamentare restituisce peso al decisore pubblico, rimettendo ai patti di collaborazione la regolazione del rapporto tra cittadini attivi e amministrazioni locali incentrato sulla cura e la rigenerazione di quelli che vengono abitualmente definiti “beni comuni” urbani, accezione che vale ad indicare i beni materiali, immateriali e digitali che esprimono “utilità funzionali” all’esercizio dei diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e collettivo, alla coesione sociale e alla vita delle generazioni future, per i quali i cittadini si attivano per garantire e migliorarne la fruizione collettiva e condividere con l’amministrazione la responsabilità della loro cura, gestione condivisa o rigenerazione. Il passaggio concettuale del bene comune dalla “categoria dell’appartenenza a quella della funzione”, valorizzata dalla nota pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione sulle “valli di pesca” (Cass. civ., sez. unite, n. 3665/2011) fa riemergere la centralità dell’ente pubblico. esso deve dimostrarsi in grado di intercettare le istanze “comunitarie” dei soggetti che si propongono come co-amministratori, in virtù di un principio costituzionale di collaborazione civica, incentrato sulla natura relazionale, il valore sociale del bene “comune”, nonché sul principio di buona fede in linea con l’art. 1, comma 2 bis della L. 241/1990, introdotto ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.l. n. 76/2020. una simile configurazione del bene, strumentale al godimento di libertà fondamentali dell’individuo ascrivili al “diritto alla città”, non è idonea a mettere in crisi l’impostazione del codice civile sulla dicotomia proprietà privata -proprietà pubblica, pure in considerazione di una possibile rilettura COntRIbutI DI DOttRInA dell’art. 838 c.c., piuttosto ci induce a ripensare il ruolo delle autorità pubbliche nei contesti urbani e lo sviluppo di esperienze di amministrazione condivisa. Ma con quali strumenti giuridici? I regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni urbani sono prodromici alla stipula dei patti di collaborazione, talvolta denominati “patti di sussidiarietà” o “patti di condivisione” tra cittadini attivi ed enti locali. nello specifico, mentre i primi consentono di inquadrare i processi di rigenerazione dal basso, garantendo dignità giuridica a tali tecniche innovative di governance urbana, in virtù dei secondi i protagonisti della microrigenerazione concordano l’ambito degli interventi, ossia mettono a punto “l’alleanza” finalizzata, alla soluzione di problemi di interesse generale. Il contenuto dei patti può variare a seconda del grado di complessità dell’intervento di cura, gestione condivisa e rigenerazione, nonché della durata della collaborazione. Soprattutto con riferimento alle azioni più complesse, vuoi per la dimensione del- l’intervento, vuoi per la natura del bene in questione, la previsione, nella struttura organizzativa dell’ente, di un apposito “ufficio per l’amministrazione condivisa”, si rivela centrale, agevolando le valutazioni sulla fattibilità, prima della co-progettazione e il monitoraggio della loro esecuzione. Intorno alla natura dei patti di collaborazione si è sviluppato un vivace dibattito dottrinale suscettibile di essere illustrato alla stregua di diversi orientamenti. nel libro del Prof. Giuseppe Andrea Primerano dal titolo “il consumo di suolo e la rigenerazione urbana. La salvaguardia di una matrice ambientale mediante uno strumento di sviluppo sostenibile" nel Capitolo Iv, da pag. 313 a pag. 413, le tesi sulla natura giuridica dei patti di collaborazione vengono esposte con una particolare precisione descrittiva. <1) in base al primo, si sarebbe al cospetto di veri e propri contratti con “causa solidale”. il nomen patti evoca la figura contrattuale. L’alleanza tra amministrazione e cittadini attivi nella lotta contro la complessità dei problemi, la scarsità dei mezzi per la loro soluzione, l’aumento delle esigenze urbane sono tutti fattori che richiedono la condivisione di responsabilità e risorse, la quale non potrebbe che fondarsi su strumenti giuridici paritari. Dal punto di vista formale, l’equiparazione dei patti di collaborazione ai contratti di diritto privato si basa sul riconoscimento, in capo alle amministrazioni, della titolarità di capacità giuridica generale e sulle disposizioni dell’art. 1, comma 1 bis, della L. n. 241/1990. Dal punto di vista sostanziale, detta equiparazione è sembrata più coerente con il tentativo di affrancare la partecipazione dei cittadini alla cura e rigenerazione dei beni comuni urbani dalle logiche del diritto pubblico come modello tendenzialmente verticale. in tale prospettiva, i patti di collaborazione rivelerebbero la loro natura del tutto originale, sarebbero concepibili come contratti con causa solidale, in quanto destinati a realizzare un interesse generale che supera quello particolare proprio dell’autonomia negoziale delle parti. Da una simile configurazione dei RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 patti discenderebbe una più lineare applicazione delle norme civilistiche in materia di obbligazioni e contratti e la giurisdizione del giudice ordinario sulle eventuali controversie. 2) in base ad un’altra impostazione i patti di collaborazione disciplinati dai regolamenti comunali avrebbero un preciso aggancio normativo nel nuovo codice dei contratti pubblici, precisamente, nelle norme concernenti gli istituti di partenariato sociale, ossia gli artt. 189 e 190 del d.lgs. n. 50/2016 sugli interventi di sussidiarietà orizzontale e il baratto amministrativo. a tale stregua si è osservato che le azioni dei cittadini attivi possono avere come contropartita detrazioni fiscali in ordine alle spese effettuate per la realizzazione di interventi ovvero riduzioni o esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta. 3) Una terza tesi giunge a riconoscere ai patti di collaborazione la natura dell’accordo, facendoli rientrare nell’alveo dell’art. 11 della L. n. 241/1990. Le premesse di tale orientamento sono almeno due: la rilevanza pubblicistica del patto e la revisione critica della tesi che equipara i patti a fattispecie contrattuali. in primo luogo, è stato osservato che quand’anche si ritenesse la clausola di salvezza di cui all’art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241/1990 -secondo cui < la pubblica amministrazione , nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente> -riferibile a fonti normative diverse dalla legge statale, bisognerebbe rilevare che la materia contrattuale appartiene all’ordinamento civile, per cui l’articolo poc’anzi citato non potrebbe legittimare un regolamento a fondare l’esistenza di contratti di diritto speciale. in secondo luogo è stata evidenziata la discrasia tra finalità dei patti di collaborazione e contratti a titolo oneroso. Le azioni intraprese dalla cittadinanza attiva non devono essere rivolte a scopi lucrativi, il patto ha una causa in concreto diversa dal contratto di partenariato pubblico-privato oneroso. Ciò anche ove si consideri la visibilità ottenuta dai cittadini in questione da non confondere con l’utile immateriale, ad esempio derivante dall’esecuzione di un contratto di sponsorizzazione. in tali casi la natura speculativa dell’operazione è collegata a finalità di tipo pubblicitario. anche per questi ragioni è necessario che il potere locale accerti preventivamente la natura giuridica dell’operazione da realizzare. Pur essendoci altre tesi volte ad un’interpretazione estensiva dell’art. 15 della l. n. 241/1990, l’attenzione si è in prevalenza concentrata sull’art. 11 della legge generale sul procedimento amministrativo. in particolare, è stata sottolineata la funzionalizzazione dei patti di collaborazione verso obiettivi di cura e rigenerazione dei beni comuni urbani destinati alla fruizione collettiva, nonché il vincolo dell’ente agli specifici obblighi legislativi riguardanti la pubblicità e la trasparenza connessi a una responsabilità di restituzione all’intera cittadinanza dei risultati della propria efficienza amministrativa. COntRIbutI DI DOttRInA 251 L’accordo, favorendo il dialogo tra soggetto pubblico e privati -nella loro diversa articolazione e organizzazione -per la definizione degli obiettivi e delle aree di intervento, assumerebbe i connotati di uno strumento operativo adattabile all’evoluzione della realtà di fatto e al sopraggiungere di nuove istanze di tutela. il patto, in sostanza, concluderebbe un procedimento disciplinato dai regolamenti comunali sull’amministrazione condivisa, rivelando la propria natura di accordo atipico rientrante nella categoria dell’urbanistica consensuale. La difficoltà di assimilare i patti di collaborazione agli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento non è valsa a impedire il ricorso allo schema dell’art. 11 della L. 241/1990, tanto da essersi affermato che i suddetti regolamenti rappresenterebbero una sorta di attuazione della citata fonte di rango primario rilevante sotto il profilo del governo degli spazi urbani e del- l’interazione tra enti locali e cittadinanza. in tale prospettiva, è stato osservato che i patti di collaborazione sarebbero accordi necessitati < il cui possibile esito non matura nel procedimento, ma prima del procedimento> (3). Si parla di accordi “necessitati”, poiché la conclusione del procedimento, in questi casi, non potrebbe che condurre alla stipula di un patto, senza l’alternativa del provvedimento; non perché all’amministrazione sia astrattamente precluso un diverso esito, ma in quanto . 4) Un altro orientamento, infine, propone la lettura dei patti di collaborazione come “esercizio consensuale di attività amministrativa non autoritativa” (4). Tale impostazione, che trova conferme notevoli soprattutto nell’originaria esperienza dei regolamenti comunali, da un lato evidenzia le criticità legate agli indirizzi sopra illustrati, dall’altro mira ad individuare una norma di legge in grado di far convivere due anime: quella autoritativa che si manifesta nell’adozione della fonte regolamentare e quella paritaria dei patti di collaborazione. Le principali obiezioni alla configurazione dei patti di collaborazione come atti amministrativi di natura non autoritativa attengono sostanzialmente, alle incertezze applicative dell’art. 1, comma 1bis, della L. n. 241/1990 e al significato controverso del concetto di “autoritatività”. Le prime legate al travagliato iter che ha condotto all’approvazione della L. n. 15/2005 cui si deve l’introduzione del suddetto comma 1-bis, le seconde riconducibili al dibattito teorico sui caratteri del provvedimento amministrativo, con particolare riguardo alla possibilità di scindere le classiche nozioni di autoritatività e imperatività, l’una riferibile al potere amministrativo e l’altra al provvedimento>. (3) F. GIGLIOnI “Le città come ordinamento giuridico” in istituzioni del Federalismo, 2018, 1, 29-74 (4) A. GIuStI “i patti di collaborazione come esercizio consensuale di attività amministrativa non autoritativa” in Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, 2020. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 Le amministrazioni possono perseguire i fini predeterminati dalla legge attraverso strumenti di diritto pubblico o privato, ma quando ricorrono agli strumenti privatistici non per questo dismettono la propria veste. L’attività amministrativa si traduce in funzione, cioè nella manifestazione dinamica del potere autoritativo. Anche nella fase dell’esecuzione dei contratti pubblici, ad esempio, la P.A. conserva poteri speciali in ordine alla risoluzione ex art. 106 del contratto di appalto a causa di una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura e al recesso ex artt. 108 e 109 o anche in materia di revoca delle concessioni per motivi di interesse pubblico ex art. 176. Pur a seguito dell’aggiudicazione di un contratto di appalto o di concessione, con la conclusione della fase di evidenza pubblica e la conseguente applicazione delle regole di diritto comune sono individuabili previsioni speciali volte a integrare o sostituire quelle ordinarie. La tipizzazione della figura dell’organismo di diritto pubblico, la specialità delle regole sulle società in house nel panorama di quelle a partecipazione pubblica, la progressiva estensione del regime di responsabilità amministrativa nei confronti di soggetti legati all’ente da un rapporto di servizio, la garanzia dei principi generali fissai dall’art. 1 della L. n. 241/1990 cui sono tenuti i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative costituiscono altrettanto indici che depongono nel senso della configurabilità di “uno statuto giuridico dell’amministrazione” (5). Dalla qualificazione giuridica dei patti di collaborazione discende l’individuazione della giurisdizione. Se si aderisce alla tesi che vuole inquadrare tale tipi di patti nell’art. 11 della L. n. 241/1990, non si può che affermare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie concernenti la sua formazione, conclusione ed esecuzione a norma dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a. e anche l’equiparazione dei patti di collaborazione alle fattispecie contrattuali di partenariato sociale amplierebbe il sindacato del giudice amministrativo, data l’estensione della giurisdizione esclusiva alla declaratoria di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione (art. 133, comma 1, lett. e, n. 1, c.p.a.). Se, invece, aderiamo alla qualificazione sostanziale dei patti di collaborazione come atti amministrativi di natura non autoritativa occorre considerare le azioni esperibili sotto due profili: il primo riguardante i cittadini che aspirano ad instaurare forme di collaborazione finalizzate alla microrigenerazione, il secondo riguardante soggetti terzi presunti danneggiati. Sotto il primo profilo possono venire in rilievo i casi di omessa adozione del regolamento dietro apposita richiesta di parte. Occorre considerare che la matrice solidaristica alla base degli interventi di microrigenerazione non fa emergere doveri giuridici assistiti dal carattere della coercibilità. Così come i (5) F.G. SCOCA “autorità e consenso” in atti del 47° Convegno di Scienza dell'amministrazione, (varenna, villa Monastero 20-22 settembre 2001), Giuffrè, 2002. COntRIbutI DI DOttRInA cittadini non possono essere costretti ad attivarsi in riferimento ai beni comuni urbani, analogamente, gli enti locali non sono tenuti all’adozione dei regolamenti che mirano a stimolare interventi integrativi e non sostitutivi dei compiti amministrativi di cura dell’ambiente urbano. La valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale non esonera gli enti pubblici dallo svolgimento delle rispettive attività istituzionali, nonostante queste ultime potranno essere più efficacemente modulate alla luce di un ausilio “esterno”. Il ruolo cooperativo dei cittadini attivi non viene così sminuito, ma ricondotto alla logica propriamente sussidiaria che permea gli interventi di microrigenerazione. un caso significativo è quello deciso dal tAR Lazio, Roma, sez. II, 28 settembre 2018 n. 9640. Due comitati di quartiere avevano impugnato una determina di approvazione del modulo per la richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività di volontariato per la manutenzione occasionale, spontanea e gratuita del verde cittadino, lamentando che la previsione dell’autorizzazione preventiva e di un’assicurazione obbligatoria sarebbe stata idonea a ledere i principi di solidarietà e sussidiarietà. In realtà, la valorizzazione della dimensione orizzontale di tale principio < non implica un’abdicazione totale da parte degli Enti rappresentativi dal compito di disciplinare tale attività, almeno per quanto riguarda gli aspetti entro i quali la loro attività va coordinata con le attività e i fini istituzionali degli Enti direttamente rappresentativi delle collettività, giacchè la spontaneità che anima simili azioni non può arrivare al punto da svuotare la funzione della pubblica amministrazione di regolamentare le attività che si svolgono sul proprio territorio per la pulizia, la manutenzione di beni e aree pubbliche e di porzioni di territorio che rimangono, comunque, di pertinenza dell’Ente pubblico>. vi è, poi, il problema della legittimazione attiva e dell’interesse al ricorso di comitati e associazioni spontanee di cittadini che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, richiede l’esistenza di una previsione statutaria qualificante l’obiettivo di protezione come compito istituzionale dell’organismo, la vicinitas rispetto all’interesse sostanziale asseritamente leso dall’amministrazione, che implica consistenza organizzativa, adeguata rappresentatività e collegamento stabile con il territorio di riferimento, la protezione temporale dell’attività da cui discende stabilità organizzativa (ex multis Cons. Stato, sez. III, 1 luglio 2020 n. 4204). È poi, da escludere un’eventuale azione di adempimento. Il giudice amministrativo, infatti, può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio nei soli casi di attività vincolata o di discrezionalità esaurita in concreto, ove non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione (art. 31, comma 3, c.p.a.). tali presupposti appaiono inconciliabili con le dinamiche dell’amministrazione condivisa da non confondere con l’amministrazione consensuale. In questi casi, viene in rilievo un potere discrezionale sull’an del suo esercizio e, allora, non è ravvisabile alcun obbligo di provvedere da assumere come parametro ai fini del silenzio RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 inadempimento, con la conseguente impraticabilità di rimedi ulteriori come l’azione di condanna pubblicistica ad un facere specifico. Occorre precisare a tal riguardo che, per giurisprudenza costante, il rimedio del rito del silenzio è applicabile in via esclusiva all’attività provvedimentale (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n. 4204) e va escluso nei casi di pretese fondate sul- l’esercizio di diritti soggettivi, ovvero per ottenere l’adempimento di obblighi convenzionali o la stipula di accordi contrattuali. I presupposti per l’attivazione di tale rito, dunque, riguardano l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere e, appunto, la natura provvedimentale dell’attività oggetto della sollecitazione idonea ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente. Premessa la distinzione tra “regolamenti volizioni-azioni” e “volizioni preliminari”, andrebbero ricondotti a questa seconda categoria i regolamenti sulla rigenerazione dei beni comuni urbani, quali atti normativi a contenuto astratto e programmatico, privi di autonoma efficacia lesiva. In presenza di regolamenti volizioni-preliminari, l’indirizzo giurisprudenziale dominante rimane fedele alla logica della doppia-impugnazione del regolamento e degli atti esecutivi (si veda ex multis tar Lazio, Roma, sez. III, 5 luglio 2021 n. 7901), nonostante pronunce inclini a ritenere ammissibile la disapplicazione della norma regolamentare contrastante con quella di rango primario in assenza della sua esplicita impugnazione. Pur riconoscendosi la natura prodromica dei regolamenti sull’amministrazione condivisa rispetto ai patti di collaborazione, questi ultimi non costituiscono atti meramente applicativi, trattandosi degli strumenti in cui si sostanzia la partecipazione dei cittadini attivi alla soluzione di problemi riguardanti i beni comuni urbani. L’assenza di autoritatività, in tali casi, rende, comunque, impraticabile il riferimento al regime della doppia impugnazione. Sempre sul versante della tutela giurisdizionale dei cittadini interessati all’attivazione di strumenti di amministrazione condivisa, sono ipotizzabili situazioni di omessa stipula del patto dovute all’inerzia dell’organo competente. La natura del patto come atto amministrativo di natura non autoritativa esclude l’esercizio dell’azione avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a. Resterebbe, in astratto, percorribili la strada dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. e si potrebbe eventualmente ipotizzare un’azione di responsabilità precontrattuale per lesione del principio di buona fede. La disciplina della responsabilità precontrattuale mira, come è noto, a tutelare l’interesse c.d. negativo a non venire coinvolti in trattative inutili. Le ipotesi possono essere le più varie. Si va dall’abbandono delle trattative senza giusta causa, ove le stesse siano giunte a un punto tale da ingenerare il coinvincimento circa la loro positiva conclusione, all’omessa comunicazione alla controparte delle cause di invalidità del contratto conosciute fino alla fattispecie di dolo incidente. È difficile, però, concepire come l’adozione di un regolamento sui beni comuni urbani rappresenti un evento idoneo a ingenerare COntRIbutI DI DOttRInA nell’interlocutore dell’ente locale il legittimo affidamento rispetto alla futura conclusione di un patto di collaborazione. non siamo in presenza di rapporti aventi carattere sinallagmatico. I patti di collaborazione nascono da iniziative spontanee e presuppongono comportamenti improntati alla correttezza. Questo, però, non equivale a riconoscere in capo alla “controparte” una pretesa in ordine alla necessaria stipula di un patto. nei casi di diniego espresso, ai fini della stipula del patto di collaborazione può essere decisivo il ruolo dei comitati di conciliazione composti da rappresentanti della cittadinanza attiva, del Comune e scelti di comune accordo, soprattutto quando vengano in rilievo dispute con soggetti terzi. In tal caso la tutela dei terzi asseritamente lesi nella propria sfera giuridico-patrimoniale dall’altrui collaborazione rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia qualora si optasse per l’attrazione dei patti nell’alveo dell’art. 11 della L. n. 241/1990 sia qualora si volesse accedere alla ricostruzione del patto di collaborazione come atto avente natura non autoritativa. Sarebbe contrario al principio di economia e concentrazione processuale ammettere l’impugnazione della delibera di approvazione del patto dinanzi al giudice amministrativo per poi chiederne l’annullamento al giudice ordinario in base ad una discutibile interpretazione estensiva dell’art. 1441 c.c., secondo cui < l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge>. un’opzione diversa, fondata sull’orientamento giurisprudenziale che ha risolto il problema dell’esecuzione della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione in presenza della stipulazione contrattuale (vedi Cons. Stato, Ad. plen., 30 luglio 2008 n. 9), sarebbe quella di valorizzare il nesso di presupposizione tra fonte regolamentare, delibera di approvazione e patto. A tale stregua, in sede di esecuzione della sentenza di annullamento della delibera in questione, l’amministrazione dovrebbe rilevare la sopravvenuta caducazione degli effetti del patto, come accade nelle ipotesi di annullamento di una graduatoria concorsuale, rispetto agli effetti del contratto di lavoro, o di una concessione di bene pubblico implicante la caducazione degli effetti dell’accordo accessivo. La terza via sarebbe quella di valorizzare le misure di controllo o di monitoraggio contemplate già dalla fonte regolamentare, ossia la parte potrebbe sollecitare le verifiche spettanti all’ente protagonista del patto e, in caso di inerzia, promuovere l’azione avverso il silenzio inadempimento, salva la possibilità di impugnare il provvedimento lesivo medio tempore adottato, espressione di attività autoritativa. Si tratterebbe, infatti, di una controversia riguardante l’esercizio di pubblico potere attratta nella giurisdizione del giudice amministrativo, a norma dell’art. 7, commi 1 4, c.p.a. Ma come potrebbe strutturarsi la tutela in caso di ricorso al partenariato sociale ex artt. 189 e 190 del d.lgs. n. 50/2016? È opportuno precisare che il partenariato sociale e il baratto amministrativo devono essere tenuti distinti RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 sia dai contratti d’area sia dai patti territoriali promossi e redatti da una o più amministrazioni, finalizzati allo sviluppo integrato di determinati contesti. Il partenariato sociale è un concetto di sintesi che sta ad indicare forme di collaborazione fra enti territoriali e cittadini, incentivabili mediante benefici fiscali, riguardanti beni funzionali all’esercizio di diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e collettivo, alla coesione sociale e, come tali definibili “comuni”. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale possono, in primo luogo, svilupparsi sottoforma di attività manutentive del verde pubblico urbano o di immobili di origine rurale riservati ad attività collettive sociali e culturali di quartiere (con esclusione degli immobili ad uso scolastico e sportivo) ceduti all’ente locale nell’ambito delle convenzioni e delle norme previste negli strumenti urbanistici attuativi. nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento è riservato un diritto di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori in cui insistono tali beni o aree, i quali sono chiamati a consorziarsi per almeno il 66% della proprietà della lottizzazione. L’art. 189 del d.lgs. 50/2016 si occupa, in secondo luogo, della realizzazione di opere di interesse locale, allorchè gruppi di cittadini organizzati possono formulare all’ente competente proposte operative di pronta realizzabilità, con indicazione di costi e mezzi di finanziamento, senza oneri per l’ente medesimo che provvederà sulla proposta coinvolgendo, qualora necessario, eventuali soggetti, enti e uffici interessati. A tal fine gli enti locali possono predisporre appositi regolamenti per disciplinare gli interventi, analogamente a quanto previsto dall’art. 23 del d.l. 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla L. 28 gennaio 2009 n. 2, sui microprogetti di arredo urbano o di interesse locale . Si pensi all’esperienza degli orti urbani o all’esperienza “boscoincittà”, promossa da Italia nostra nel Comune di Milano c.d. “urban forestry”. La misura sulla tutela e la valorizzazione del verde urbano ed extraurbano del PnRR (M2C4.3, Investimento 3.1), rivolte principalmente alle quattordici città metropolitane, include lo sviluppo di boschi urbani e periurbani, piantando almeno 6.6 milioni di alberi (per 6.600 ettari di foreste urbane), sempre che l’intervento privilegi aspetti di rifunzionalizzazione dell’esistente, senza ulteriore consumo di suolo. La fattispecie contemplata dal secondo comma del- l’art. 189 risulta per certi versi accostabile ai procedimenti di co-progettazione concernenti gli interventi più complessi considerati dai regolamenti per l’amministrazione condivisa. L’onerosità caratterizzante gli interventi di sussidiarietà orizzontale e, più, nello specifico il peculiare vincolo di vicinitas di cui all’art. 189, comma 1, costituiscono elementi che denotano divergenze sostanziali fra tali strumenti, facilmente comprensibili ove si consideri il tenore delle previsioni correlate al pubblico potere: emblematiche quelle sul diniego espresso o tacito, decorsi due mesi dalla presentazione della proposta per la realizzazione dell’opera di interesse locale, impugnabile davanti al giudice COntRIbutI DI DOttRInA amministrativo con possibile esercizio di un’azione di condanna tanto più incisiva, sotto il profilo del sindacato sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, quanto più dettagliata si manifesti la disciplina recata dal regolamento in questione. Diversa è, invece, la figura del baratto amministrativo ex art. 190 del d.lgs. n. 50/2016. Questa norma a seguito del correttivo apportato al codice dal d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 ha definitivamente sostituito la previgente disciplina posta dall’art. 24 del d.l. n. 133/2014, la quale ha originato un orientamento della giurisprudenza contabile alquanto restrittivo. Il sintagma “baratto amminisrativo” (6) identifica uno scambio in base al quale un ente territoriale riconosce qualcosa a fronte di un impegno altrui: si tratta di cittadini, singoli e associati, individuati, in relazione a un che, a fronte di una riduzione o esenzione tributaria corrispondente al tipo di attività svolta, garantiscono < la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati>. Si configura così una sorta di datio in solutum. Il valore sociale degli interventi sui beni “comuni” non pregiudica la natura onerosa del baratto e l’esistenza di uno scambio di utilità: in altri termini non è riscontrabile la gratuità che connota i patti di collaborazione. Ciò significa innanzi tutto che l’ente territoriale dovrà predeterminare in sede regolamentare o nei bilanci di previsione annuali, i limiti di importo entro cui intende accettare una simile riscossione tributaria, indicando le ragioni culturali, economiche e sociale, ma anche i vantaggi ambientali sottesi alla propria scelta. La copertura di una norma regolamentare costituisce una garanzia per i funzionari e dirigenti pubblici da forme di responsabilità amministrativa. Ciò è stato riconosciuto, ad esempio, in occasione dell’adozione di un provvedimento di concessione diretta di un bene demaniale nei confronti di un’associazione a un prezzo inferiore a quello di mercato per finalità di interesse culturale (cfr. C. conti, sez. giur. Lazio, 18 aprile 2017, n. 771). viene a tal proposito in rilievo l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 secondo cui l’economicità può essere subordinata a < esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico>, da leggere in combinato con l’art. 4 sui principi generali di < economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica> relativi all’affidamento dei contratti esclusi. (6) R. De nICtOLIS, “il baratto amministrativo (o partenariato sociale)” in La co-città. Diritto urbano e politiche pubbliche per i beni comuni e la rigenerazione urbana a cura di P. CHIRuLLI e C. IA- IOne, napoli, 2018. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 Occorre, però, precisare che l’art. 190 del d.lgs. 50/2016 non è una norma volta a privilegiare il partenariato sociale, in cui, comunque, si sostanzia una forma di esternalizzazione di lavori o servizi, rispetto al mercato o all’in house providing. nella fase dell’Ermessen, ossia nella fase di valutazione comparativa degli interessi quello alla conservazione e alla corretta gestione del patrimonio pubblico va considerato prioritario. Il principio di sussidiarietà orizzontale e di solidarietà va applicato sotto il profilo della c.d. convenienza economica. Il che significa valutare, ad esempio se, trattandosi di bene con- tendibile sul mercato, l’affidamento mediante procedura di gara sia preferibile anche sotto il profilo dei vincoli di finanza pubblica che gravano sugli enti territoriali, ovvero, mancando una simile contendibilità, se il baratto possa assurgere a formula organizzativa per lo svolgimento di servizi non economici di interesse generale, servizi che, ai sensi dell’art. 164, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 non rientrano nell’ambito di applicazione codicistica. Gli interventi di decoro urbano, recupero e riuso con finalità di interesse generale perseguibili attraverso il baratto amministrativo scontano oneri fiscali la cui riscossione potrebbe soddisfare altrimenti dette finalità. ne discende che i cittadini interessati potranno solo sollecitare il consiglio all’adozione della delibera, avente natura regolamentare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. f) del tueL da leggere in combinato disposto con l’art. 52 del d.lgs. n. 446/1997, sui criteri e le condizioni per la realizzazione del contratto di partenariato sociale. Il riferimento ai cittadini, singoli o associati, contenuto nella norma in esame non è casuale, bensì mira a escludere il coinvolgimento di soggetti imprenditori che, probabilmente, determinerebbe il definitivo declino del contratto in questione e il rischio di trovarsi al cospetto di uno strumento idoneo a favorire prassi elusive delle regole di evidenza pubblica. Il baratto amministrativo è un istituto con finalità sociali in grado di incoraggiare esperienze di cittadinanza attiva, avuto riguardo ai beni oggetto degli interventi, come dimostrano gli avvisi pubblici emessi sulla base di regolamenti comunali atti a stimolare la più ampia partecipazione. È da escludere l’assimilazione del baratto amministrativo agli appalti e concessioni. negli artt. 189 e 190 del d.lgs. n. 50/2016 è del tutto assente “la centralità del criterio di allocazione del rischio operativo di gestione” che è, invece, il punto fondante della nozione di PPP contrattuale. La nozione di “operatore economico” di matrice europea è del tutto estranea alla fattispecie de qua: i cittadini conseguono esenzioni o riduzioni dei propri obblighi tributari, ma non si tratta di uno scambio tra prestazioni equivalenti dal punto di vista economico. Sono forme indirette di finanziamento pubblico di attività di interesse generale che le amministrazioni locali possono utilizzare per implementare interventi di microrigenerazione consistenti nella conservazione e nella valorizzazione di beni comuni urbani. La Corte dei Conti ha, però fornito un’interpretazione restrittiva dell’art. 190 in ordine alle entrate extra-tributarie COntRIbutI DI DOttRInA e ai debiti fiscali pregressi. I principi di “inerenza” e “corrispondenza” contenuti nell’art. 24 del d.l. n. 133/2014 ha portato ad alcune prese di posizione quale quella della Corte dei conti sez. reg. contr. Lomabardia, n. 357/20197QMIG del 24 settembre 2019 incentrate sull’indisponibilità del- l’obbligazione tributaria ex art. 23 Cost. che escluderebbe la possibilità di ricondurre il baratto amministrativo nell’alveo dell’art. 1197 c.c. c.d. datio in solutum. È stato, infatti, evidenziato che la capacità generale della p.a. è conformata da norme peculiari che la limitano e la regolano: si pensi alle norme di contabilità pubblica contenute nel r.d. n. 2440/1923 e nel r.d. n. 827/1924 o all’art. 204 tueL. In tale ottica, in attuazione dei principi di legalità finanziaria, gli enti locali devono predeterminare fattispecie latamente compensative per l’adempimento dei debiti extra-tributari e sul piano contabile quantificare in termini monetari le prestazioni sostitutive secondo criteri oggettivi (durata della prestazione, previsione degli oneri riflessi anche di tipo assicurativo e antinfortunistico, etc). bisognerà svolgere controlli idonei ad assicurare la corretta esecuzione della prestazione prima di procedere alla contabilizzazione dell’utilitas. Il riuso del suolo e la limitazione dello sprawl urbano passa anche attraverso gli usi temporanei di immobili ex art. 23 quater del d.P.R. n. 380/2021: la facoltà del comune di < consentire l’utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico> non realizza una forma di deregolamentazione. L’uso temporaneo è disciplinato da un’apposita convenzione volta a regolare la durata e le modalità di utilizzo di immobili e aree, le tempistiche per l’eventuale ripristino dello status quo ante le garanzie e le penali in caso di inadempimento agli obblighi convenzionali. In secondo luogo, gli adeguamenti finalizzati a garantire migliore accessibilità, sicurezza negli ambienti di lavoro o tutela della salute andrebbero attuati in via reversibile, poichè l’uso temporaneo non può determinare mutamenti della destinazione d’uso dei suoli e delle unità immobiliari interessate. Si pensi a tutta la giurisprudenza in tema di , all’art. 23 ter che definisce i mutamenti “urbanisticamente rilevanti”, in linea di principio sempre consentiti quelli all’interno della medesima categoria funzionale -residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale -previa presentazione di Scia (Cons. St., sez. vI, 6 aprile 2017 n. 2295), mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione d’uso che comportino passaggi di categoria, ovvero, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 380/2001 concernenti immobili situati all’interno di centri storici. Il baratto amministrativo presenta alcune assonanze con l’art. 71 del d.lgs. n. 117/2017 concernente la messa a disposizione tramite comodato di beni pubblici non utilizzati per scopi istituzionali a favore di tutti gli enti del terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per il perseguimento senza scopo RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 di lucro di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. tale contratto ha durata massima di 30 anni nell’arco dei quali il concessionario ha l’onere di effettuare, a propria cura e specie, gli interventi di manutenzione e quelli ulteriori necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile. un’altra ipotesi di collaborazione fra amministrazioni ed enti del terzo settore è prevista dal terzo comma dell’art. 71 e riguarda i beni culturali, immobili di proprietà degli enti pubblici, per l’uso dei quali non sia allo stato corrisposto alcun canone e bisognosi di restauro. Detti beni possono essere affidati in concessione all’esito di una procedura semplificata espletata ai sensi dell’art. 151, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 a enti del terzo settore che perseguono attività culturali con pagamento di un canone agevolato < ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di restauro, recupero, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate> nel rispetto delle previsioni del d.lgs. n. 42/2004 e allo scopo di assicurare quella corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Il raggiungimento di finalità civiche e di utilità sociale può, quindi, realizzarsi attraverso interventi lato sensu configurabili come “riuso” di beni in un’effettiva ottica sussidiaria e di buona amministrazione. Le disposizioni sull’individuazione del “soggetto gestore” o “concessionario” tramite procedura di evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 23-quater, comma 6 del d.P.R. n. 380/2001 e 71, comma 3 del d.lgs. n. 117/2017, rivelano possibili interferenze tra concetti di riuso e mercato che richiedono delle precisazioni in merito ai patti di collaborazione in rapporto alla concorrenza. Giova precisare che il coinvolgimento di soggetti che agiscono senza finalità lucrative, come gli enti del terzo settore, non costituisce di per sé una circostanza sufficiente ad escludere l’applicazione delle regole di evidenza pubblica. Infatti, la nozione europea di “operatore economico” -come soggetto che offre beni e servizi sul mercato -non coincide con quella di “imprenditore”, ai sensi dell’art. 2082 c.c. È vero che la Corte di Giustizia ha ritenuto legittimo l’affidamento diretto di servizi sociali come quelli del trasporto sanitario di urgenza ed emergenza nei confronti di associazioni di volontari, ma si tratta di deroghe al principio di concorrenza circostanziate (vedi Corte di Giustizia, 11 dicembre 2014, causa C-113/13). Previsioni come quelle di cui all’art. 142 del d.lgs. n. 50/2016 sulla pubblicazione degli avvisi e dei bandi per l’aggiudicazione di pubblici appalti aventi ad oggetto i servizi sociali, ferme restando le semplificazioni dovute alla natura del servizio, al pari di indicazioni come quelle sulla c.d. co-progettazione integrata ex art. 55 del d.lgs. n. 117/2017 provenienti dalla giurisprudenza amministrativa, giunta a riconoscerne la sottoposizione al rito appalti (vedi tar Lombardia, Milano, sez. Iv, 28 marzo 2017 n. 727), denotano una chiara tensione ordinamentale verso le regole della concorrenza e del mercato, ma con alcune COntRIbutI DI DOttRInA eccezioni quando viene in rilievo il principio della solidarietà. Come nei casi di house providing, ai sensi dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, devono sussistere oggettive ragioni giustificatrici del mancato ricorso al mercato ed emergere benefici per la collettività derivanti dalla forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione resa e, dunque, di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Le eventuali deroghe, in sostanza, devono apparire più favorevoli rispetto al ricorso al mercato, in linea con il parere del Cons. St., comm. spec., parere del 14 giugno 2017 n. 1405 reso sullo schema di codice del terzo settore sub art. 56 sulle convenzioni stipulate da amministrazioni e organizzazioni di volontariato (art. 32) ovvero associazioni di promozione sociale (art. 35) iscritte da almeno 6 mesi nel Registro unico nazionale, finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interessi generali. La natura non onerosa dei patti di collaborazione, la mancanza del requisito della selettività, supera la dimensione del contratto pubblico, e, quindi, i confini della normativa europea riguardante gli appalti e concessioni. Lo svolgimento di attività in assenza di corrispettivo non pone in radice problemi di distorsione della concorrenza nella misura in cui, a puro scopo di solidarietà sociale (vedi parere comm. spec. n. 2052/2018 del Cons. St. richiesto dal- l’AnAC in merito alla normativa applicabile agli affidamenti dei servizi sociali) si risolve in un fenomeno scevro dalle logiche del mercato. Le forme di sostegno assicurate dagli enti locali possono al più ricadere nella sfera operativa dell’art. 12 della L. 241/1990 che, ponendo il principio generale di predeterminazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni devono attenersi nell’erogazione di sovvenzioni, può trovare applicazione anche in relazione ad atti non autoritativi come i patti di collaborazione. Il diritto alla città passa oggi anche attraverso il processo di digitalizzazione, la smart city, block-chain con nodi attivi e non passivi ed intelligenza artificiale. La c.d. wiki-sussidiarietà, ossia la sussidiarietà concepita con le nuove tecnologie web 2.0, si basa sulla libertà solidale e responsabile di cittadini attivi che decidono di mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per prendersi cura dell’interesse generale anche grazie all’attivazione di reti civiche che pongono in relazione le risorse necessarie in vista del perseguimento di obiettivi comuni. La cooperazione come archetipo della sussidiarietà porta il cittadino a condividere con i poteri pubblici la responsabilità di governare, cioè di dare risposte ai problemi della collettività con piccoli gesti quotidiani, così come con vere e proprie azioni sistematiche di cura civica dei beni comuni. L’Adunanza Plenaria n. 22 del 2021 ha risolto, almeno in materia urbanistico- edilizia, il contrasto giurisprudenziale tra vicinitas e condizioni del- l’azione (legittimazione ad agire ed interesse al ricorso) giungendo ad una RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 concezione della vicinitas che si evolve da contiguità fisica a prossimità assiologica al bene tutelato. Ma il concetto di cittadinanza attiva e di amministrazione condivisa va oltre: vede il cittadino, che non si isola nel suo “particulare” come sosteneva Guicciardini, ma diviene protagonista attivo, consapevole e responsabile nella gestione dei beni comuni. Il pensiero corre allora al concetto greco di “idios”, ossia di cittadino privato che non si occupa della cosa pubblica: l’evoluzione linguistica in termini negativi del suddetto termine, ci indica che il vero cittadino è colui che, muovendo da un grande senso civico e superando logiche individualistiche, mette a disposizioni le sue capacità operative, fisiche ed intellettuali per il bene comune. COntRIbutI DI DOttRInA La concessione: l’istituto generatore di sistemi complessi Gaetana Natale* tradizionalmente l’istituto della concessione viene inquadrato nella manualistica precisando la sua differenza concettuale dall’“autorizzazione” e ponendo in risalto il binomio “concessione traslativa e concessione costitutiva”. L’evoluzione di tale istituto è stata profonda (1): si è andato sempre più perdendo il profilo dell’esercizio delle funzioni amministrative in capo al concessionario, per approdare sotto l’influenza del diritto euro-unitario alla modulazione della concessione come “contratto” incentrato sul c.d. “rischio operativo o di gestione”, “di disponibilità” o come forma di partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale (2). non è un caso che nel nuovo schema del Codice dei Contratti pubblici elaborato dal Consiglio di Stato la concessione sia stata inserita nel libro Iv intitolato “Del partenariato pubblico- privato e delle concessioni”. La ricostruzione storica delle concessioni in Italia parte nella maggior parte degli studi dalle concessioni ferroviarie, dall’originaria configurazione di “contratto”, dall’applicazione del project financing per la realizzazione della rete autostradale laddove, però, la distinzione tra concessioni di beni pubblici e concessione di lavori e servizi dovrà oggi confrontarsi necessariamente con (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. un ringraziamento alla Dott.ssa Anna Pagano per la redazione delle note. Il presente scritto è la relazione presentata dall’Autrice al Convegno “Appalti pubblici, concessioni, servizi pubblici tra tradizione e innovazione” organizzato dalla Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti. Roma, Avvocatura Generale dello Stato, Sala Vanvitelli, 19 dicembre 2022. (1) L’art. 3 del D.lgs. 50/2016 in attuazione della Direttiva 2014/23/ue definisce la concessione come un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra una pubblica amministrazione e un’impresa per la progettazione o l’esecuzione di lavori pubblici (o entrambe), oppure l’erogazione di un servizio pubblico con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi o la gestione delle opere. Per lungo tempo, tuttavia, si è discusso sulla natura giuridica delle concessioni, per una ricostruzione storica si rimanda: M. CeRutI, L'istituto euro-unitario della concessione e la fine della dicotomia fra autorizzazione e concessione (parte i) in Urbanistica e appalti, 2020, 6, pp. 745 e ss.; M. CeRutI, L'istituto euro-unitario della concessione e la fine della dicotomia fra autorizzazione e concessione (parte ii) in Urbanistica e appalti, 2021, 1, pp. 5 e ss.; M. D'ALbeRtI, Le concessioni amministrative. aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, napoli, 1981; v. FeRRARO, La disciplina della concessione nel diritto europeo: i principi giurisprudenziali e la sistemazione realizzata con la direttiva 2014/23/UE in riv. italiana Dir. Pubblico Comunitario, Anno XXIv, Fasc. 3-4, 2014; O. RAneLLettI, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte i: Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. it., XLvI, 1894, Iv, p. 25; La realizzazione e la gestione di infrastrutture: il regime giuridico delle concessioni, a cura di L. SALtARI -A. tOnettI, IRPA Working Paper - Policy Papers Series no. 2/2014. (2) J. vAvALLI, il partenariato quale espressione del diritto amministrativo paritario: proposte per un inquadramento giuridico dell'istituto in Diritto amministrativo, fasc. 1, 2022, p. 215. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 i principi generali del nuovo schema di Codice dei contratti pubblici, ossia il principio dell’“accesso al mercato”, il principio del “risultato” ed il principio della “fiducia” per la realizzazione di un sistema “trustworthy”. tale confronto sarà necessario, in quanto i principi, a differenza delle disposizioni, sono “metanorme con funzione normogenetica” che conformano necessariamente l’attività amministrativa e l’esercizio della funzione pubblica. In attesa dell’entrata in vigore del nuovo codice fissata per il 1 aprile 2023 per i nuovi appalti ed il 1 luglio 2023 per i procedimenti in corso, occorre in tale fase transitoria fotografare concettualmente la situazione attuale. La dottrina (3) ha messo in evidenza che su tale istituto anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato naviga a vista: la prova di tale incertezza è comprovata dai numerosi rinvii pregiudiziali operati dal Supremo Consesso Amministrativo nel corso di questi ultimi anni sia in tema di concessione sui beni pubblici sia in tema di concessioni di lavori o di servizi pubblici. In tema di concessioni demaniali marittime, dopo le note sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 del Consiglio di Stato (4), di nuovo la questione è stata rimessa alla Corte di Giustizia dell’unione europea a seguito dell’ordinanza di rimessione del tar Puglia, sezione staccata di Lecce, 11 maggio 2022 n. 743 e innanzi alle sezioni unite della Corte di Cassazione a seguito dell’impugnazione delle due sentenze sopra citate per difetto di giurisdizione. Ancora una volta, inoltre, il Consiglio di Stato, sez. vII, con ordinanza del 15 settembre 2022 n. 8070 Pres. Giovagnoli est. Fratamico ha sollevato un’ulteriore questione pregiudiziale riguardante l’art. 49 del Codice della navigazione nei seguenti termini: < Se gli artt. 49 e 56 TFUE e i principi della sentenza Laezza (C-375/14), ove ritenuti applicabili, ostino ad un’interpretazione di una disposizione nazionale, quali l’art. 49 cod. nav., nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzi da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata senza soluzione di continuità, pure in (3) e. bOSCOLO, Stabilità e adattamento nei rapporti concessori tra revisione e autotutela in riv. Giuridica dell’Edilizia, 4, 2022, pp. 281 e ss.; G.F. CARteI, rischio e disciplina negoziale nei contratti di concessione e di partenariato pubblico-privato in riv. trim. dir. pubbl., 2, 2018, pp. 599 e ss.; C. DeO- DAtO, L’attuazione normativa del Codice dei Contratti Pubblici: configurazione giuridica, struttura, e questioni applicative in Foro amministrativo, 9, 2018, pp. 1559 e ss.; G. FIDOne, Le concessioni di lavori e servizi alla vigilia del recepimento della Direttiva 2014/23/UE in riv. it. dir. pubbl. comunit., 2015; G. GReCO, Concessioni di lavori e servizi. Dalla Direttiva 2014/23/UE alla parte terza del d.lgs. n. 50/2016 in riv. it. dir. pubbl. comunit., 2018; La concessione di pubblico servizio, a cura di G. PeRICu, A. ROMAnO, v. SPAGnuOLO vIGORItA, Milano, 1995; e. PICOzzA, Le concessioni nel diritto dell'Unione Europea. Profili e prospettive in Negoziazioni pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico- privati, M. CAFAGnO -A. bOttO - G. FIDOne - G. bOttInO (a cura di), Milano, 2013. (4) Si veda sul punto: G. nAtALe, La vexata quaestio della proroga delle concessioni demaniali: prospettive future in rass. avv. Stato, 2021, 4, pp. 85 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e, dunque, sproporzionato allo scopo>. Il diritto europeo ha inciso sugli istituti giuridici di diritto interno. Si pensi a quanto si è verificato con riguardo alla c.d. concessione di committenza nel campo dei lavori pubblici, laddove si pensava che, essendo oggetto della stessa la traslazione di funzioni pubbliche, ossia di quelle inerenti il compito di stazione appaltante, la scelta del concessionario non dovesse rispettare l’obbligo dell’evidenza pubblica. Ad un certo punto l’impostazione pragmatica del diritto europeo ha portato al disconoscimento di una siffatta figura, equiparando, a fini di disciplina, l’appalto alla concessione e considerando come unico tipo di concessione quella di costruzione e gestione. Le definizioni della concessione contenute negli artt. 3 uu) (concessioni di lavori), vv) (concessione di servizi) e nell’art. 164 del Codice dei contratti pubblici (5), non hanno risolto il problema centrale che è quello della “proroga”. Infatti, tutti i rinvii pregiudiziali che si sono avuti quest’anno nelle varie tipologie di concessioni hanno registrato come questione dibattuta quello del rinnovo o proroga tecnica e quello della modificazione soggettiva e oggettiva delle concessioni. Si pensi all’ordinanza del 19 ottobre 2022 n. 13434 del tar Lazio Pres. Politi est. Fanizza con cui sono state rimesse alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione dell’art. 43 del d.l. n. 201/11, convertito nella legge 214 del 2011 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 38, 43 e 44 della direttiva 2014/23: 1) Se sia o meno contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità o di sua rinegoziazione, senza valutare di esprimersi sull’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica; 2) Se sia o meno contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’amministrazione possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità o di una sua rinegoziazione, senza valutare l’affidabilità del concessionario che si sia reso autore di un grave inadempimento; (5) Il Codice dei Contratti pubblici è stato modificato applicando il gold plating e cercando di rimanere il più fedele possibile alle direttive del 2014; è stato pubblicato, infatti, sul sito della Giustizia Amministrativa lo schema di decreto del nuovo Codice. https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/ 20142/17550825/1_CoDiCE+CoNTraTTi+arTiCoLi+%281%29.pdf/eb97a977-0185-851cff3c- 81ec31a7860d?t=1670928388208. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 3) Se in caso di rilevata violazione del principio di evidenza pubblica e/o di rilevata inaffidabilità del titolare di una concessione autostradale, la normativa comunitaria imponga l’obbligo della risoluzione del rapporto. La necessità di disporre la rimessione alla Corte di Giustizia ue deriva dalla circostanza che la direttiva 2014/23 del 26 febbraio 2014, in tema di aggiudicazione dei contratti di concessione stabilisce il principio dell’evidenza pubblica, al fine di garantire la concorrenza in seno al mercato interno e il conseguimento dei principi di efficienza ed innovazione. L’art. 43 del d.l. n. 201/11, convertito nella legge 214/2011, nel regolare il procedimento riguardante gli aggiornamenti e/o le “revisioni” delle convenzioni autostradali, distingue secondo che le concessioni in questione comportino, o meno, “variazioni o modificazioni del piano degli investimenti, ovvero, ad aspetti di carattere regolatorio e tutela della finanza pubblica”. In caso di presentazione di una nuova proposta, comportante l’implementazione di investimenti finanziari, l’aumento degli standard di sicurezza e un totale riassetto societario, formulato da parte del concessionario autostradale nell’ambito di un procedimento di contestazione finalizzato all’eventuale risoluzione del rapporto concessorio in corso di validità, occorre, pertanto, verificare, ai fini della prosecuzione della gestione delle infrastrutture, le condizioni previste dalla direttiva 2014/23 e trasfuse nel Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. n. 50/2016 (6). Il problema della giurisdizione è, invece, chiarito senza particolari difficoltà interpretative. Si ricorda da ultimo CGA sez. riunite, parere 27 luglio 2022 n. 419 Pres. Carlotti: la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di pubblici servizi si estende (a differenza degli appalti) anche alle controversie in materia di esecuzione, ad esclusione delle controversie meramente patrimoniali. È devoluta al giudice ordinario la controversia riguardante il corretto esercizio della compensazione effettuata dal concessionario tra le spese straordinarie da lui anticipate ed il canone previsto dalla convenzione stante il suo contenuto meramente patrimoniale, non sussistendo alcun potere dell’Amministrazione comunale a tutela di interessi generali. Se guardiamo alla Francia il recepimento della direttiva 23 è avvenuto con l’ordonnance e il Décret, superando il regime duale della concessione di lavori e della délégation de service public, instaurata nel 1993 con la famosa loi Sapin: tutto ciò nella salvaguardia della totale libertà delle “personnes publiques” di scegliere autonomamente le modalità di gestione dei servizi pubblici, “de la commande publique”. Sebbene anche in Francia le concessioni abbiano una dimensione multiforme, non rinveniamo da parte del Conseil d’Ètat lo stesso numero di rinvii pregiudiziali posti in essere dal Consiglio di Stato in Italia. (6) G. nAtALe, Project financing: la parola di nuovo all'Europa in Scritti in onore di Eugenio Picozza, vol. III, 2020, pp. 2127 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA Per citare il più recente si menziona quello operato con l’ordinanza del 21 novembre 2022 n. 10261 Pres. Contessa, est. Di Carlo riguardante la proroga tecnica, la rinegoziazione, il legittimo affidamento c.d. estoppel sul seguente quesito: 1) Se la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché i principi desumibili dal Trattato e, segnatamente gli art. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 3 del Trattato, gli art. 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del TFUE, debbano essere interpretati nel senso che essi trovano applicazione a fronte di concessioni di gestione del gioco del Bingo, le quali siano state affidate con procedura selettiva nell’anno 2000, siano scadute e poi siano state reiteratamente prorogate nell’efficacia con disposizioni legislative entrate in vigore successivamente all’entrata in vigore della direttiva e alla scadenza del termine di recepimento della direttiva; 2) in caso di risposta affermativa al primo quesito, in caso in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, si possa prospettare una rinegoziazione finchè perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni. un’ulteriore ordinanza sempre datata 21 novembre 2022 n. 10264 Pres. Contessa est. Fratamico ha riguardato il potere di modifica unilaterale delle concessioni di gioco in caso di proroga tecnica. Il quesito è stato così formulato: < se la Direttiva 2014/23/UE, ove ritenuta applicabile e, in ogni caso, i principi generali desumibili dagli art. 26, 49, 56 e 63 del TFUE come interpretati e applicati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia con particolare riguardo al divieto di discriminazioni, al canone di proporzionalità e alla tutela della concorrenza e della libera circolazione dei servizi e dei capitali, ostino, all’applicazione di norme nazionali per cui il legislatore nazionale o l’amministrazione pubblica possano, durante la c.d. “proroga tecnica” più volte rinnovata nell’ultimo decennio nel settore delle concessioni di gioco, incidere unilateralmente sui rapporti in corso, introducendo l’obbligo di pagamento di canoni concessori, originariamente non dovuti, ed aumentando, successivamente a più riprese i medesimi canoni sempre determinati in misura fissa per tutti i concessionari a prescindere dal fatturato, apportando anche ulteriori vincoli all’attività del concessionario come il divieto di trasferimento dei locali e subordinando la partecipazione alla futura procedura per la riattribuzione delle concessioni all’adesione degli operatori alla proroga tecnica >. Se questi sono gli ultimi rinvii pregiudiziali, occorre verificare quali siano le direttrici della legge delega n. 78 del 21 giugno 2022. Il mandato al Governo contenuto in tale legge riguarda “la disciplina dei contratti pubblici”, con RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 l’obiettivo di adeguarla al diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori interne e sovranazionali, razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e giungere alla risoluzione delle procedure avviate. tra i principi e criteri direttivi sono indicati < il divieto di proroga dei contratti di concessione > e< la razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento dei contratti da parte dei concessionari > (art. 2, comma 1, lettere ff) e gg)). La riforma s’impone a valle di un tortuoso percorso normativo e giurisprudenziale che ha fatto emergere diversi livelli di criticità. In particolare, la pertinenza dell’affidamento delle concessioni alla materia della “concorrenza” ha manifestato la propria rilevanza: 1) nei rapporti tra la legislazione nazionale e il diritto eurounitario, per il quale la libertà di concorrenza è elemento cardine; nel diritto interno che con l’art. 117 della Costituzione affida la tutela della concorrenza alla competenza esclusiva dello Stato e preclude alle regioni l’introduzione di proroghe o rinnovi automatici nel proprio territorio; 2) nell’azione amministrativa chiamata all’applicazione di norme (nazionali o regionali) in tesi violative delle regole eurounitarie di tutela della concorrenza. L’art. 1, comma 2, lettera ff) prevede espressamente il divieto di proroga dei contratti di concessione. nella disciplina vigente, l’affidamento delle concessioni aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere è disciplinato dal decreto legislativo n. 50 del 2016 (che si appresta ad essere modificato) e < si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità > (art. 30, comma 1). Con riferimento alle concessioni di beni pubblici, invece, non si può ritenere integralmente applicabile il codice dei contratti, trattandosi di concessioni abitualmente ricadenti nell’ambito dei contratti attivi (7), i quali, ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. 50/2016, risultano esclusi dall’ambito di applicazione oggettiva di tale codice, rimanendo, però, soggetti ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (8). L’inerenza delle regole dell’evidenza pubblica a tutte le attività contrattuali della pubblica amministrazione si era già affermata nella giurisprudenza (9). (7) Dicitura introdotta dall’articolo 5, comma 1 del decreto legislativo n. 56 del 2017. (8) tar Sicilia, sede di Catania, sez. III, sent. n. 1027 del 2020. COntRIbutI DI DOttRInA Con riguardo al tema della proroga, la Corte costituzionale -chiamata a pronunciarsi in più occasioni in materia di concessioni demaniali marittime ha affermato che tutte le disposizioni che prevedono proroghe ex lege o rinnovi automatici dei rapporti concessori o comunque incidenti sulla durata degli stessi -in quanto comportano una restrizione al libero accesso nel mercato di altri operatori -rientrano nella materia “tutela della concorrenza”, di competenza esclusiva statale (10). Sul punto l’articolo 175, comma 1, lettera a) del codice -che attua l’articolo 43 della direttiva n. 2014/23/ue -prevede i casi in cui le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione durante il periodo di efficacia e tuttavia stabilisce il divieto “in ogni caso” di prevederne la proroga. Secondo il Consiglio di Stato, < si tratta di divieto di portata generale, non previsto, peraltro, dall’art. 43 della direttiva 23 ed espressamente introdotto dalla legge delega n. 11 del 2016 con specifico riguardo alle sole concessioni autostradali (art. 1, comma 1, lettera III), anche se, invero, facendo riferimento, in quest’ultimo caso, “alla nuova disciplina generale dei contratti di concessione”. trattasi di disciplina di maggior rigore in funzione “proconcorrenziale” (11). Il tema della prorogabilità e del rinnovo automatico ha interessato in particolare l’ambito delle concessioni demaniali marittime. L’articolo 1, comma 2, del decreto legge n. 400 del 1993, convertito in legge n. 494 del 1993, stabiliva, infatti, che le concessioni dei beni demaniali marittimi < hanno durata di sei anni> e < alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza >. L’art. 37 del codice della navigazione sanciva, inoltre, in caso di rinnovo di una concessione demaniale marittima, “la preferenza” in favore del concessionario uscente rispetto alle nuove istanze. tale c.d. “diritto di insistenza” è stato poi abrogato dall’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 2009, convertito in legge n. 25 del 2010, il quale tuttavia -per la fase transitoria -ha introdotto una proroga automatica e generalizzata di alcune delle concessioni in essere, stabilendo che < nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi (lacuali e fluviali) (art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012) con finalità turistico-ricreative (e sportive, nonché quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeg (9) Si vedano sul punto le seguenti sentenze: Consiglio di Stato, sez. vI, n. 2280 del 2008; sent. n. 168 del 2005; Corte di Giustizia delle Comunità europee, sez. vI, 7 dicembre 2000, in causa C-324/98. (10) Corte Costituzionale, sent. n. 139 del 2021; n. 40 del 2017; n. 171 del 2013; n. 213 del 2011; n. 233 e n. 180 del 2010. (11) Parere del Consiglio di Stato n. 855 del 1 aprile 2016 sullo schema del decreto legislativo; sulla esclusione in ogni caso della proroga della concessione; cfr. tar Lazio, sez. II-ter, sent. n. 12970 del 2019. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 gio dedicati alla nautica da diporto) (art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012) da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, ai sensi del- l’articolo 8, comma 5, della legge 5 giugno 2003 n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia del- l’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione dell’attività imprenditoriale e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’art. 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 (poi entro il 31 dicembre 2018) (art. 1, comma 670 della L. n. 178 del 2020), è prorogato fino a tale data (poi fino al 31 dicembre 2020) (art. 34-duodecies, comma 1, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito in legge n. 221 del 2012), fatte salve le disposizioni di cui all’art. 3, comma 4bis del decreto legge 5 ottobre 1993 n. 400, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993 n. 494 >. La procedura di infrazione si è conclusa con decisione della Commissione del 27 febbraio 2012, a seguito dell’emanazione dell’art. 11 della legge 217 del 2011 (Legge comunitaria del 2010) che al comma 1 lettera a) ha abrogato il comma 2 dell’articolo 1 del decreto legge n. 400 del 1993; < tale delega non è stata tuttavia esercitata poiché, dopo la chiusura della procedura di infrazione comunitaria, con l’art. 34-duodecies del decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179 (ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese) convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1 della legge 17 dicembre 2012 n. 221, è stata disposta la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 > (12). La vicenda complessa del rinnovo delle concessioni demaniali marittime comprende, altresì, la nota sentenza del 14 luglio 2016 della Corte di Giustizia dell’unione europea nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, l’articolo 1 della legge 145 del 2018 e le altre disposizioni introdotte in connessione con l’emergenza epidemiologica del Covid 19 (art. 182, comma 2 del decreto legge n. 34 del 2020 convertito in legge n. 77 del 2020 che ha inibito i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, di cui all’art. 49 del codice della navigazione per il rilascio o per l’assegnazione con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione su beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale verso pagamento del canone previsto dall’atto di concessione), l’art. 216, comma 2 dello stesso decreto per la concessione di impianti sportivi pubblici (prorogabili nel limite di ulteriori 3 anni), l’art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020, convertito in legge n. 126 del 2020, che ha esteso le disposizioni di cui all’articolo 1, (12) Corte costituzionale, sent. n. 40 del 2017, n. 171 del 2013, n. 118 del 2018, n. 1 del 2019. COntRIbutI DI DOttRInA commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018 alle concessioni lacuali e fluviali, ivi comprese quelle gestite dalle società sportive iscritte al registro Coni, nonché alle concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, ai rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico-ricreative in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione e ha disposto altresì la proroga sino al 31 dicembre 2025 delle concessioni degli impianti sportivi ubicati su terreni demaniali o comunali rilasciate alle associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro in attesa di rinnovo o scadute ovvero in scadenza entro il 31 dicembre 2021. Il Consiglio di Stato si è pronunciato chiaramente in ordine all’incompatibilità di tali proroghe generalizzate ex lege rispetto alle regole del- l’unione europea sull’indizione delle gare e alla conseguente necessità che l’operatività di tali proroghe venga esclusa in ossequio alla pronuncia del 2016 del giudice eurounitario, CGue sez. v 14 luglio 2016 n. 458 sentenza Promoimpresa, comportante la disapplicazione dell’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 e dell’art. 34-duodecies, d.l. 179/2012, di talchè la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento (13). Da ultimo l’Adunanza Plenaria sentt. nn. 17 e 18 del 2021 -investita della questione della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative sotto il profilo della disapplicabilità delle relative disposizioni da parte delle Amministrazioni pubbliche -ha enucleato gli approdi nazionali e comunitari nella materia delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative che dovranno guidare il legislatore nella revisione della disciplina di settore: 1) Pertinenza dell’“interesse transfrontaliero certo”, ai fini dell’applicabilità dell’art. 49 del tFue e del divieto di proroga automatica e generalizzata delle relative concessioni alle spiagge italiane e alle aree lacuali e fluviali per conformazione, ubicazione geografica e attrazione turistica, a maggior ragione in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere; 2) “scarsità” ai fini dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/Ce delle risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici, essendo stato pressochè già raggiunto il tetto massimo di aree suscettibili di essere date in concessione; 3) “tutelabilità dell’affidamento del concessionario”, non già attraverso la proroga automatica, bensì al momento di fissare le regole per la procedura di gara, nonché nei ristretti limiti in cui la Corte di Giustizia lo ha ritenuto le( 13) Consiglio di Stato, sez. vI, sent. n. 7874 del 2019. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 gittimo (14), mediante un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti; 4) Venir meno degli effetti della concessione così prorogata ex lege anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole; 5) necessità di evitare la previsione di regole di gara che, tenendo in considerazione gli investimenti effettuati senza considerare il parametro di efficienza quale presupposto di apprezzabilità dei medesimi, producano, comunque, un effetto di “preferenza” per il gestore uscente. 6) necessità di valorizzare, nella definizione dei criteri di selezione la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, l’esperienza professionale e il know-how acquisito, anche tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale, gli standard qualitativi del servizio, la sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti (15). Quanto alle modalità di affidamento da parte dei concessionari, attualmente il Codice trova applicazione all’aggiudicazione dei contratti di < lavori pubblici affidati dai concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici e di lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice > (articolo 1, comma 2). Per gli appalti di lavori affidati a terzi, i concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti all’osservanza della parte III del codice, nonché delle disposizioni di cui alle parti I e II in materia di subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza, non espressamente derogate (art. 164, comma 5). ne deriva che l’osservanza delle regole dell’evidenza pubblica è prevista a carico dei concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici per l’affidamento di lavori (art. 164, comma 5) e non per l’affidamento di servizi (16). Da ultimo si deve rilevare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 218 del 2021 è intervenuta dichiarando l’illegittimità dell’art. 177 del Codice dei Contratti pubblici, il quale imponeva ai titolari delle concessioni già in essere non affidate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica di esternalizzare con procedura di evidenza pubblica l’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relative a concessioni di importo pari o superiori a 150.000 euro, potendo (14) Sentenza della Grande Sezione, 19 luglio 2016, causa C-526/14. (15) Consiglio di Stato, Ad. Pl., sentt. nn. 17 e 18 del 2021. (16) Cassazione civile, Sezioni unite, sent. n. 7005 del 2020. COntRIbutI DI DOttRInA la restante essere realizzata da società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediate procedura a evidenza pubblica. tale obbligo, benché costituisca un rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, volto dunque a favorire l’apertura alla concorrenza, attraverso la restituzione al mercato di segmenti di attività ad esso sottratti, in quanto oggetto di concessioni a suo tempo affidate senza gara alle imprese concessionarie, è stato ritenuto incostituzionale dalla Corte, in quanto sacrifica e comprime in misura irragionevole e sproporzionata, rispetto al pur legittimo fine di perseguire la libertà di iniziativa economica, a sua volta garantita dall’articolo 41 della Costituzione, da leggere oggi anche alla luce del diritto dell’unione europea; irragionevole tenuto conto sia delle “dimensioni dell’oggetto” dell’obbligo censurato, sia della sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l’apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico, sia dell’affidamento dei concessionari che riguarda anche al di là dell’impresa e delle sue sorti, la prestazione oggetto della concessione; sproporzionata, poiché con la misura prevista non si può certo dire che il legislatore abbia dato la preferenza al mezzo più mite fra quelli idonei a raggiungere lo scopo, scegliendo fra i vari strumenti a disposizione quello che determina il sacrificio minore (17). Il panorama normativo è cambiato per effetto della legge 5 agosto 2022 n. 118 dal titolo “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” in vigore dal 27 agosto 2022. Si prevede l’adozione di un decreto legislativo per la così detta mappatura, ossia “per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici, al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori, tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza” (art. 2). I punti essenziali di tale legge sono: 1) Cessazione di efficacia delle concessioni in essere al 31 dicembre 2023 con possibilità di differimento non oltre il 31 dicembre 2024 con atto motivato dell’autorità competente e in pendenza di un contenzioso o di difficoltà oggettive legate all’espletamento delle gare (art. 3); 2) espletamento delle gare per l’affidamento delle nuove concessioni; 3) Rispetto dei principi del tFue a tutela della concorrenza, ai fini della scelta del concessionario; (17) Corte Costituzionale, sent. n. 202 del 2021, n. 119 del 2020 e 179 del 2019. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 4) Considerazione delle professionalità acquisite nel settore, degli investimenti effettuati e riconoscimento di un indennizzo a favore del concessionario uscente posto a carico del concessionario subentrante. tale legge ha risolto il problema? nuove difficoltà si profilano all’orizzonte: -la scadenza ravvicinata per l’adozione dei decreti legislativi di attuazione della L. n. 118 /22 (18); -lo spettro della riduzione dei fondi europei del PnRR stanziati per l’Italia in caso di mancata attuazione nei termini del d.lgs n. 118/22; -molte clausole in bianco (assenza dei criteri di determinazione dell’indennizzo); -i tempi ristretti per lo svolgimento delle gare e la loro conclusione entro il 31 dicembre 2023 o, in via eccezionale, il 31 dicembre 2024; -il contenzioso che si accompagna in maniera endemica a ogni procedura di evidenza pubblica; -la pretesa di nuove competenze nell’ambito dell’attuazione della delega da parte dell’AnAC che invoca il suo coinvolgimento in caso di contratti misti di concessioni, laddove al contratto di concessione di bene pubblico acceda anche una concessione di servizi o lavori pubblici, per la redazione di bandi tipo in funzione delle gare da svolgersi e in tema di vigilanza collaborativa sulla effettuazione delle stesse, sebbene alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative non si applica il codice dei contratti pubblici (19); -la pendenza alla CGue della questione sulla compatibilità europea dell’art. 49 del codice della navigazione, rimessa dalla sez. vII del Consiglio di Stato con l’ordinanza del 15 settembre 2022 n. 8010. Su questa vicenda la parola fine non può essere ancora pronunciata. Il 7 dicembre 2022 è stato trasmesso al Governo il nuovo schema dei contratti pubblici, elaborato dal Consiglio di Stato. Il Consiglio dei Ministri, venerdì 16 dicembre 2022, ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo di riforma del Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della Legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, che entrerà in vigore il 1 aprile 2023. Per quanto qui ci riguarda, il libro Iv si occupa del partenariato pubblico - privato e delle concessioni. Come ha inciso il nuovo codice dei contratti pubblici sulle concessioni, da intendersi come composizione negoziale complessa? Da una prima let (18) La scadenza è fissata in sei mesi dall’entrata in vigore della legge e quindi, entro il 27 febbraio 2023 con intervento anche della intesa in sede di Conferenza unificata nonché dei pareri del Cons. Stato e delle Commissioni parlamentari. (19) Atto di segnalazione Anac n. 4 del 6 settembre 2022 in materia di concessioni di beni demaniali, https://www.anticorruzione.it/-/atto-di-segnalazione-n.-4-del-6-settembre-2022. COntRIbutI DI DOttRInA tura emerge il suo inquadramento come sub-categoria del partenariato pubblico- privato, la sua configurazione di “strumento contendibile” alla luce dei criteri degli “aiuti di stato” ex art. 106 tFue secondo il criterio del MeOP, pari passu e del direct and indirect evidence. Si coglie il significato ed il profilo di collaborazione tra pubblico e privato in una definizione implicita della concessione, quale sinonimo di servizio pubblico. Occorre ricordare che nella fase di prima armonizzazione la concessione, anche nella lingua inglese e francese, è concepita come alternativa all’appalto di servizi. ed allora il libro Iv del nuovo Codice cerca di definire “la specificità” della stessa rispetto all’appalto. In che modo? ebbene, prima di tutto sotto il profilo della “regolarità procedurale selettiva” c.d. legal due procedure: un conto è selezionare gli appaltatori, un conto è selezionare i concessionari. Il precedente codice D.lgs. 50/2016 richiamava il “principio di compatibilità”: alle concessioni si applicano le norme sugli appalti in quanto “compatibili”. Il nuovo Codice introduce: 1) una programmazione specifica per il partenariato; 2) una procedimentalizzazione ex ante per la localizzazione dei rischi; 3) L’ausilio delle stazioni appaltanti, sottoposte alla tanta auspicata “qualificazione” attraverso anche la c.d. vigilanza collaborativa e procedure sperimentali ex art. 223; 4) Definizione e tipizzazione del contenuto del contratto di concessione, nella cui consideration deve essere perimetrato il “rischio” da intendersi come esposizione concreta alla fluttuazione del mercato (si ricorda che nel codice attuale si prevede non solo un limite qualitativo, ma anche quantitativo della traslazione del rischio fissato al 49%, tale parametro diventa elemento costitutivo di fattispecie per i servizi di interesse economico generale); 5) nella fase di esecuzione è regolato il procedimento di subentro con l’istituto della revisione distinta e differenziata tra appalti e concessioni secondo la theorie de l’imprevision o doctrine of frustration, ispirata ai principi della buona fede e corretezza, good faith e treu und Glauben; 6) Ridefinizione del project financing con articolo più breve per disciplinare l’iniziativa privata con criterio alternativo alla prelazione; 7) La definizione del rapporto tra concessione ed autorizzazione, laddove quest’ultima è disciplinata dalla direttiva Bolkestein sotto il profilo del controllo e del contenuto; 8) L’in house vede la scelta di due testi, il tu sui servizi pubblici con la delega nella legge sulla concorrenza e il codice dei contratti con delega diversa. L’in house, superata il dilemma della regola o dell’eccezione, vede una differenziazione tra i due testi legislativi in ordine alla motivazione rafforzata sotto il profilo della regola della sussidiarietà economica e del fallimento del mercato e un disallineamento tra servizi strumentali e servizi finali. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 Questa è una prima lettura: si coglie il notevole sforzo del Consiglio di Stato nel risistemare tale complessa materia in tempi strettissimi e nell’inserire “il principio del risultato” quale elemento integrante della fattispecie normativa in modo da essere coniugato senza frizioni con il principio di legalità. Spetterà ora a noi operatori del diritto prendere familiarità con le nuove norme, sperando che tale nuovo codice segni “il salto quantico”, per cosi dire evolutivo del nostro paese per il raggiungimento dei target, milestones, degli obiettivi del PnRR, concepito come “grant in aid”, aiuto dell’europa per la realizzazione di riforme fondamentali per l’Italia e l’europa. COntRIbutI DI DOttRInA Le prove e l’istruzione probatoria nel processo tributario Isabella Vitiello* Sommario: 1. introduzione -2. mezzi di prova nel processo tributario. Prove tipiche 3. (segue) Prove atipiche -4. (segue) Prove escluse -5. (segue) Prove precostituite e prove costituende e modalità del loro ingresso nel processo -6. (segue) Prove storiche e prove critiche -7. Principio di acquisizione della prova -8. Provvedimenti sull’istruttoria -9. onere della prova ed onere del principio di prova -10. (segue) iudex debet iudicare secundum probata (principio dispositivo in materia di prova) ed onere di contestazione -11. Principio della libera valutazione delle prove -12. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel primo grado del giudizio -13. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel giudizio di appello -14. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel giudizio di cassazione e di rinvio -15. La contestazione dei documenti: querela di falso, disconoscimento e verificazione. 1. introduzione. La cognizione delle controversie tributarie spetta, in via di giurisdizione esclusiva, alle corti di giustizia tributaria di primo grado e alle corti di giustizia tributaria di secondo grado di cui all' art. 1 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 545 (così statuisce l’art. 1, comma 1, D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546). L’ambito della giurisdizione è delineato nell’art. 2 del D.L.vo n. 546/1992, testo contenente disposizioni sul processo tributario, il quale così statuisce: “1. appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della repubblica. 2. appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale. appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il di (*) Funzionario dell’Agenzia delle entrate. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 ritto sulle pubbliche affissioni. 3. il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio”. Le corti di giustizia tributaria sono, nella sostanza, l’unico giudice sulle controversie tributarie il cui oggetto può essere costituito da atti amministrativi individuali (atti impositivi) oppure da un rapporto (diritto al rimborso). Gli organi della giurisdizione tributaria sono delineati nell’art. 1 D.L.vo n. 546/1992: la giurisdizione tributaria è esercitata a) delle corti di giustizia tributaria di primo grado, aventi sede nel capoluogo di ogni provincia, quale giudice di primo grado; b) dalle corti di giustizia tributaria di secondo grado, aventi sede nel capoluogo di ogni regione, quale giudice di appello; c) dalla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità nel giudizio avverso la sentenza della commissione tributaria regionale per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'art. 360, primo comma, c.p.c. (art. 62 D.L.vo n. 546/1992). nella lite vengono coinvolti interessi legittimi allorché venga impugnato un atto impositivo, costituente un ordinario provvedimento amministrativo espressione dell’esercizio del pubblico potere. nel caso che la lite tributaria abbia ad oggetto la richiesta di rimborso del contribuente, nella stessa, all’evidenza, si controverte di diritti soggettivi. In sintesi, quella delle corti di giustizia tributaria è una giurisdizione esclusiva perché può avere ad oggetto sia interessi legittimi che diritti soggettivi. va evidenziato, tuttavia, che una parte della dottrina reputa che quella tributaria è una giurisdizione sempre su diritti. Ciò quale corollario della natura attribuita all’atto impositivo: non provvedimento amministrativo, ma atto di mero accertamento in quanto si reputa che il rapporto tributario -e in specie l’obbligazione tributaria -tragga fonte e regolazione direttamente dalla legge, sicché alcuna forza autonoma vi sarebbe nell’atto di imposizione tributaria. Alle corti di giustizia tributaria si possono proporre -azioni costitutive. Con tali azioni si opera l’impugnazione del provvedimento impositivo al fine di conseguirne l’annullamento. L’art. 19 D.L.vo n. 546/1992 delinea gli atti impugnabili e oggetto del ricorso (1). Il ricorso deve (1) 1. il ricorso può essere proposto avverso: a) l'avviso di accertamento del tributo; b) l'avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l'avviso di mora; e-bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 2; g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; h-bis) la decisione di rigetto dell'istanza di apertura di procedura amichevole presentata ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 COntRIbutI DI DOttRInA essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato (art. 21, comma 1, D.L.vo n. 546/1992); -azioni di condanna. Sono esercitate dal contribuente al fine di conseguire il rimborso di un tributo pagato, ma non dovuto. Ciò sia in occasione di un rifiuto espresso o tacito della restituzione (da impugnare in uno alla domanda di rimborso) che a prescindere dal rifiuto (in casi di puro indebito). Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all' articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (art. 21, comma 2, D.L.vo n. 546/1992); - azioni cautelari (artt. 47-47 bis D.L.vo n. 546/1992); - azioni di ottemperanza (art. 70 D.L.vo n. 546/1992). Il processo tributario, come quello civile ed amministrativo, è un processo soggettivo e non oggettivo. nello stesso si agitano delle pretese, delle situazioni giuridiche soggettive (pretesa dell’Amm.ne contrastata dal contribuente; pretesa del contribuente ad un rimborso o a una detrazione o deduzione contrastata dall’Amm.ne). Come in tutti i processi soggettivi vi è la rilevanza, nel giudizio di fatto, delle prove e si applica la regola dell’onere della prova e del libero convincimento del risultato probatorio. Rispetto al prototipo dei processi -ossia il processo civile -tuttavia vi sono deroghe e peculiarità che verranno di eseguito evidenziate (2). 2. mezzi di prova nel processo tributario. Prove tipiche. Prova è qualsiasi mezzo che dà un contributo conoscitivo al fine della definizione del giudizio di fatto. Oggetto della prova sono i fatti. Dal sistema emerge, in sintesi, quanto segue: tutte le prove ammesse nel processo civile del Consiglio del 10 ottobre 2017 o ai sensi degli accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni di cui l'italia è parte ovvero ai sensi della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE; i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie. 2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 20. 3. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest' ultimo). (2) Per una introduzione alla materia: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 -Parte generale, XI edizione, utet, 2013, pp. 367-378; L. QueRCIA, il processo tributario, Iv edizione, esselibri, 2009, pp. 32-47, 133-134, 155-156, 298-301. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 sono ammesse altresì nel processo tributario, ad eccezione del giuramento. Le prove possono essere tipologicamente previste dalla legge (e quindi tipiche), oppure individuate in qualsiasi res -diversa dalle prove tipiche -che dia un contributo conoscitivo (prove atipiche). Le prove tipiche sono previste nel codice di procedura civile, iterate nel codice del processo tributario. Quest’ultimo, infatti, disciplina specificamente alcuni mezzi di prova (quali i documenti, relazioni di verificazione, C.t.u.), già regolati nel codice di rito civile e, per il resto opera la norma generale di richiamo ex art. 1, comma 2, D.l.vo n. 546/1992 secondo cui “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile” con il divieto di cui al comma 4 dell’art. 7 del D.L.vo n. 546/1992 secondo cui “Non è ammesso il giuramento”. Prove tipiche, previste nel codice di procedura civile (artt. 191-266 c.p.c., integrato con il codice civile: artt. 2699-2739 c.c.) con alcune specificazioni nel processo tributario, sono le seguenti. a) Documento. Il documento è la rappresentazione materiale (scritta, cinematografica, elettromagnetica, ecc.) od informatica di fatti. Si distingue tra atto pubblico (artt. 2699-2700 c.c., redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede e che fa piena prova fino a querela di falso con riguardo all’estrinseco) e scrittura privata (artt. 2701-2704 c.c.: proveniente da un privato e liberamente valutabile dal giudice, salvo che colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione anche tacitamente mediante non disconoscimento in giudizio, ovvero la sottoscrizione sia stata autenticata ovvero se questa è stata verificata giudizialmente; in queste ultime tre evenienze la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta). L’atto pubblico è concetto distinto dal documento formato nell’esercizio di una attività pubblica, ossia proveniente da una pubblica autorità. Quest’ultimo può essere qualificato atto pubblico solo se formato nell’esercizio di una attività pubblica specificamente diretta alla documentazione, ossia il documentatore è autorizzato ad attribuirgli pubblica fede. Diversamente non ha la qualità di atto pubblico ed è liberamente valutabile dal giudice, non costituendo prova legale. Il documento è la prova principe e statisticamente più diffusa nel processo tributario (processo verbale, atto di accertamento con indicazione degli elementi probatori, ecc.). Prova particolarmente efficace, perché spesso costituisce prova legale, ossia fa piena prova fino a querela di falso con riguardo all’estrinseco: è il caso dei processi verbali. Difatti, i verbali delle verifiche, i verbali di accertamento dell'Amministrazione finanziaria costituiscono piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine COntRIbutI DI DOttRInA di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni rese dalle parti, mentre, per tutto il resto, sono liberamente valutabili (3). non è quindi necessaria, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., la proposizione della querela di falso, qualora la parte intenda limitarsi a contestare la verità sostanziale di tali dichiarazioni oppure la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante, cui non si estende la fede privilegiata del documento (4). Ad es. una presunzione formulata in un verbale della Guardia di Finanza non vincola il giudice. b) Prova testimoniale. nel processo tributario fino alla novella operata con la L. 31 agosto 2022, n. 130 recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari” non era ammessa la prova testimoniale. tanto in virtù del (previgente) comma 4 dell’art. 7 D.L.vo n. 546/1992. Il divieto della testimonianza non aveva una ratio giustificativa, se non la ragione pratica di rendere celere il processo tributario a fronte di possibili lungaggini determinate dall’assunzione della prova testi. Ciò vieppiù che nel processo amministrativo -per tanti aspetti simile a quello tributario -la prova testimoniale è ammessa, giusta l’art. 63, comma 3, c.p.a. per il quale “Su istanza di parte il giudice può ammettere la prova testimoniale, che è sempre assunta in forma scritta ai sensi del codice di procedura civile”. Si rilevava in dottrina che non c’è ragione di ritenere inaffidabile, sol perché la controparte è il fisco, una prova testimoniale la cui credibilità deve comunque essere vagliata dal libero convincimento del giudice, senza vincoli di prova legale con la conclusione, critica, che “il divieto di prova testimoniale è quindi consono a un processo sbrigativo e sommario, in cui si mortificano quei principi dell’oralità, del contraddittorio e della formazione giudiziale della prova cui è stata data addirittura rilevanza costituzionale” (5). Prendendo atto della irragionevolezza della previsione vietante la prova testimoniale, il legislatore con l’ultima novella del processo tributario (L. n. (3) Conf. Cass., 10 febbraio 2006, n. 2949. (4) Conf. ex plurimis: Cass., 22 marzo 1995, n. 3316. (5) Così R. LuPI, S. COvInO, voce Processo tributario, in il Diritto, Enciclopedia Giuridica del Sole 24 ore, Corriere della Sera il Sole 24 ore, vol. 12, 2007, p. 206. Analoghi rilievi critici in e. COvInO, R. LuPI, voce Prova (Dir. trib.), cit., pp. 422-424. A.e. LA SCALA, Prova testimoniale, diritto di difesa e giusto processo tributario, in rass. Tributaria, 2012, 1, pp. 90 e ss. -con ampia analisi anche dei principi CeDu -rilevava che “Pur condividendo l'opinione secondo la quale l'esperibilità della prova testimoniale, considerata la struttura essenzialmente documentale del processo tributario, nella maggior parte delle fattispecie concrete, non sia necessaria e che la realizzazione dei principi di piena difesa e del giusto processo prescindano dalla sua ammissibilità, siamo del parere che non sia opportuno né legittimo il mantenimento di un divieto assoluto. La caleidoscopica realtà sussumibile all'interno delle norme processuali tributarie, come già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità precedentemente citata, può esigere la necessità della prova per testi”. egualmente critico P. RuSSO, Problemi della prova nel processo tributario, in rass. Tributaria, 2000, 2, pp. 375 e ss. il quale, con riguardo alla non ammissibilità nel processo tributario della prova testimoniale, rilevava i seri dubbi di illegittimità costituzionale della norma che la sancisce. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 130/2022), sostituendo il comma 4 dell’art. 5 D.L.vo n. 546/1992, ha ammesso la testimonianza nel processo tributario. All’uopo si prevede: “La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l'accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”. Le ipotesi in cui la testimonianza scritta può svolgere un'utile funzione processuale sono, tra le altre, quelle che si fondano su presunzioni legali o semplici, poste a favore del Fisco. Si pensi, ad es., agli accertamenti da indagini finanziarie e alla possibilità per il contribuente di dimostrare la natura non reddituale dei versamenti attraverso le testimonianze di terzi. c) Confessione giudiziale e stragiudiziale. Giusta l’art. 2730, comma 1, c.c. “La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte”. essa presuppone la disponibilità delle situazioni giuridiche soggettive che ne costituiscono l’oggetto (art. 2731 c.c.) (6). Può essere resa dal contribuente ed anche dall’Amministrazione finanziaria, atteso che -una volta sorta la lite -la pretesa tributaria è ex lege disponibile, come comprovato dalla proposta di mediazione (art. 17 bis D.L.vo n. 546/1992), dalla possibilità della conciliazione fuori udienza e in udienza (artt. 48 e 48 bis D.L.vo n. 546/1992) (7). La confessione costituisce una prova legale, atteso che “forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili”, giusta l’art. 2733, comma 2, c.c., disposizione applicabile al processo tributario ex art. 1, comma 2, D.L.vo n. 546/1992. va rilevato, tuttavia, che parte della dottrina esclude la qualità di prova legale alla confessione intervenuta nel processo tributario (8). Si rileva (6) “La confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto, a cui i fatti confessati si riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è efficace solo se fatta entro i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato”. (7) va rilevato, tuttavia, che parte della dottrina e della giurisprudenza reputano di natura non disponibile l'obbligazione tributaria. (8) Contra: v. FAttORI, CIRO SAntORIeLLO, Utilizzo in sede tributaria di prove e atti del processo penale, in Fisco, 2022, 3, pp. 257 e ss. “Non è, invece, disciplinata come prova del processo tributario la confessione, la quale -di conseguenza -dovrebbe potersi ritenere ammissibile, seppur sottoposta alla libera valutazione delle prove da parte del giudice ex art. 116 c.p.c. Ciò premesso, deve -in ogni caso -ritenersi esclusa la possibilità della confessione giudiziale c.d. provocata, stante l'inapplicabilità al processo tributario delle norme 230 e ss. c.p.c. in tema di interrogatorio formale. Viceversa, sono ammesse la confessione giudiziale spontanea e la confessione stragiudiziale, ossia quella resa contra se dal contribuente all'amministrazione finanziaria oralmente nel corso dell'attività di verifica (a condizione, però, che sia riportata nel processo verbale di constatazione e che tale verbale sia sottoscritto) oppure per iscritto; in ogni caso, tali dichiarazioni non hanno efficacia di prova legale di tali dichiarazioni e rimangono pertanto soggette alla libera valutazione del giudice”. In senso analogo: G. Du- RAnte, i poteri istruttori delle commissioni tributarie, in azienditalia -Fin. e Trib., 2015, 8-9, pp. 699 COntRIbutI DI DOttRInA altresì in dottrina, nell’ambito della tesi diretta a sostenere l’ammissibilità dell’istituto nel processo tributario con gli stessi effetti sussistenti nel processo civile, che l'interrogatorio formale, ex art. 230 c.p.c., è da ritenersi ammissibile e deferibile solo alla parte contribuente, unica deputata a rendere la confessione e sostanzialmente convenuta in giudizio (9). valgono come prova le dichiarazioni che il contribuente faccia, nel processo o in atti extraprocessuali, di fatti a sé sfavorevoli. La stessa dichiarazione dei redditi e le altre dichiarazioni fiscali possono essere viste, nella dialettica del processo, come indicazioni di fatti sfavorevoli al dichiarante e, dunque, come confessioni stragiudiziali (10). valore di confessione stragiudiziale viene data anche alle dichiarazioni rese nei questionari, o documentate nei verbali redatti in seguito a convocazione del contribuente presso l’ufficio, in sede di accesso, se il verbale che le documenta è stato sottoscritto dal contribuente (11). Il giudice tributario può trarre la prova dei fatti anche dalla confessione resa in sede penale dal contribuente (12). d) Interrogatorio libero, non formale delle parti. L’istituto è previsto, in via generale, nel processo civile, nell’art. 117 c.p.c. per il quale “il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la comparizione personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa. Le parti possono farsi assistere dai difensori”. esso può essere disposto dal giudicante al fine di chiarirsi le idee sui fatti di causa. Le parti possono liberamente parlare e la loro dichiarazione non ha gli effetti della confessione, ma -al più -di argomento di prova. L'interrogatorio e ss. secondo cui “mentre nel processo civile, la confessione costituisce piena prova nei confronti di colui che l'ha resa, fino al punto da sottrarre ogni valore alle prove con essa contrastanti, nel processo tributario invece, essa […] [è] soggetta alla libera valutazione da parte del giudice tributario adito”; F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 -Parte generale, cit., p. 375: “La confessione non è espressamente disciplinata come prova nel processo tributario, per cui si applica l’art. 116 cod. proc. civ. (libera valutazione delle prove da parte del giudice)”. (9) A. RuSSO, L'ammissibilità dell'interrogatorio, libero e formale, nel processo tributario, in Fisco, 2007, 18 -parte 1, pp. 2659 e ss. con il rilievo altresì che “l'interrogatorio formale può ritenersi altresì ammissibile in quanto il divieto di confessione operante in presenza di diritti indisponibili, di cui all'art. 2733 del codice civile, non può esplicare effetti nel contenzioso tributario per la presenza dell'art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 ("Conciliazione giudiziale") che permette alle parti di transigere intorno all'oggetto della lite”. (10) F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 375. (11) Conf. Cass., 11 gennaio 2006, n. 309: le dichiarazioni rese dal contribuente alla Guardia di finanza, in quanto rese alla controparte o ad un suo rappresentante, vanno valutate come una confessione stragiudiziale costituente prova diretta e non indiziaria dei fatti (nel caso di specie del maggior imponibile accertato nei confronti del contribuente) riconosciuti come veri, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri. (12) Conf. Cass., 24 ottobre 2005, n. 20601 secondo cui è immune da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice tributario, liberamente valutando le dichiarazioni rese dal contribuente nel corso di un procedimento penale ed attribuendo ad esse valore confessorio, conferma la legittimità della pretesa erariale accertandone l'idoneità a costituire prova esclusiva della fondatezza degli atti impositivi impugnati. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 libero, pur non essendo un vero e proprio mezzo di prova e pur non determinando dichiarazioni di natura confessoria, può concorrere -anche unicamente -a costituire il fondamento del convincimento del giudice. La disposizione dell’art. 117 c.p.c., tuttavia, non si applica direttamente al processo tributario, in quanto la norma del codice è assorbita dal potere del giudice di invitare il contribuente a comparire di persona per fornire informazioni e chiarimenti. vuol farsi riferimento alla "richiesta … di informazioni e chiarimenti …" di cui all'art. 7, comma 1, del D.L.vo n. 546/1992, che ha le medesime finalità ed effetti dell'interrogatorio libero che, pertanto, trova ingresso nel processo tributario sotto la veste giuridica rappresentata dalla predetta norma, senza ricorso al combinato disposto degli artt. 1, comma 2, del D.L.vo n. 546/1992 e 117 c.p.c. (13). e) Ispezione, riproduzione meccanica, esperimento (14). f) Notorio. L’art. 115, comma secondo, c.p.c. dispone: “il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. Ad es. la resa delle materie prime, con riguardo agli accertamenti nei confronti dei piccoli artigiani produttori di beni (pasticcieri e baristi). g) Presunzioni (artt. 2727-2729 c.c.). Le presunzioni sono le conseguenze che la legge (presunzioni legali) o il giudice (presunzioni giudiziali o semplici) trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite (art. 2728 c.c.) e possono essere assolute (se non ammettono la prova contraria) o relative (se la ammettono). In entrambi i casi, alla dimostrazione di un certo fatto consegue automaticamente quella di un diverso fatto con esso collegato secondo criteri di normalità: la legge rende in questi casi automatico un passaggio logico la cui attendibilità dovrebbe altrimenti essere vagliata caso per caso, secondo i consueti criteri empirici. Le presunzioni non stabilite dalla legge (presunzioni giudiziali o semplici) sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che pre (13) F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 -Parte generale, cit., p. 369; A. RuSSO, L'ammissibilità dell'interrogatorio, libero e formale, nel processo tributario, cit., pp. 2659 e ss. con il rilievo altresì che la disposizione di cui al citato comma 1 dell'art. 7 “permette alle Commissioni tributarie, parimenti alle facoltà concesse dalla normativa tributaria -in via stragiudiziale -all'amministrazione, di invitare il contribuente a comparire di persona al fine di fornire dati, chiarimenti e notizie rilevanti per la decisione; la ratio della norma concede così al giudice un potere analogo a quello del Fisco, utile a determinare -come dianzi già si è accennato -un sostanziale riequilibrio tra le parti in contraddittorio; infatti, conferendo tale potere al giudice, l'art. 7 opera una vera e propria "compensazione" della posizione di privilegio sostanziale delle facoltà che il fattore temporale, necessariamente e preliminarmente, concede agli operatori dell'interesse pubblico erariale”. (14) In senso contrario all’ammissibilità di tali prove nel processo tributario: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 369. COntRIbutI DI DOttRInA sunzioni gravi, precise e concordanti (art. 2729, comma 1, c.c.). Il requisito della “concordanza” non vuol dire che le presunzioni debbono essere più d’una, ma solo che non debbono smentirsi l’un l’altra; la giurisprudenza riferisce tale requisito all’ipotesi in cui sussistano più presunzioni, e non impedisce perciò che un certo fatto venga considerato esistente anche in base ad una sola presunzione (15). La presunzione costituisce la versione giuridica del generale modo di ragionare, ove un evento viene collegato con un altro evento attraverso nozioni di senso comune, con un nesso di corrispondenza secondo l’id quod plerumque accidit. Ad es. la mera titolarità di una somma di danaro non è stata ritenuta, da sola, prova della percezione di redditi; in assenza di prove circa un impiego produttivo, la pretesa fiscale non può fondarsi sic et simpliciter sul principio della naturale fecondità del danaro (16). Gli studi di settore sono atti amministrativi generali di organizzazione, di per sé inidonei a dare fondamento all’accertamento del reddito; solo dopo il contraddittorio con il contribuente gli studi di settore possono essere utilizzati come fonte di presunzione (17). Le presunzioni semplici non sono ammesse quando il legislatore, per certe imposte, pone un sistema “chiuso” di regole probatorie, imponendo determinati mezzi di prova e così escludendo implicitamente le presunzioni semplici. Ad es. gli artt. 38 e 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevedono, in modo minuzioso e dettagliato, i presupposti probatori che legittimano la rettifica della dichiarazione. In certi casi è richiesta la prova “certa e diretta”, in altri è espressamente previsto il ricorso alle presunzioni, in altri ancora è ammesso l’uso di presunzioni prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza. Lo stesso discorso vale per le norme sull’accertamento dell’IvA. In conclusione, quindi, per tali imposte, sono predeterminati i casi in cui la presunzione semplice è ammessa e quelli in cui non è ammessa (18). La materia tributaria è molto ricca di presunzioni legali relative, con la previsione a favore dell'Amministrazione finanziaria di specifiche presunzioni juris tantum (con salvezza, quindi, della prova contraria del contribuente) da essa utilizzabili in sede accertativa e valevoli, poi, in sede giurisdizionale. All’uopo si richiamano le seguenti disposizioni circa: -la presunzione di cessione e di acquisto ex art. 53 (19) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IvA; (15) Per questo rilievo e. COvInO, R. LuPI, voce Prova (Dir. trib.), in il Diritto, Enciclopedia Giuridica del Sole 24 ore, Corriere della Sera il Sole 24 ore, vol. 12, 2007, p. 427. (16) Cass., 16 novembre 2005, n. 23172. (17) Cass., 28 luglio 2006, n. 17229. (18) Per tali rilievi: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 373. (19) Il cui comma 1 dispone: “Si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, comprese le sedi secondarie, filiali, RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 -la presunzione della natura di ricavi dei prelevamenti annotati nei conti bancari e non risultanti dalle scritture contabili ex art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in materia di accertamento delle imposte sui redditi; -la presunzione di cessione di azienda ex art. 15, comma 1, lettera d), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e la presunzione di trasferimento delle accessioni nel caso di trasferimento immobiliare ex art. 24 del d.P.R. n. 131/1986 in materia di imposta di registro. In detti casi, posto che si tratta di presunzioni relative ex art. 2727 c.c., si viene a configurare un'inversione dell'onere probatorio a favore dell’Amministrazione fiscale, nel senso che quest'ultima può assolvere il proprio onere di prova tramite le presunzioni dette, mentre tocca al contribuente l'onere di controprova. Alla stessa ratio delle norme sulle presunzioni relative, rispondono le norme che consentono al Fisco l'utilizzo di metodi di accertamento a carattere presuntivo: si pensi all'accertamento sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 o all'accertamento extracontabile ex artt. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973 e 55 del d.P.R. n. 633/1972. nel processo tributario sono consentite finanche le c.d. presunzioni semplicissime, che sono libere dai requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall'art. 2729 c.c. e il cui utilizzo è possibile solo nelle ipotesi in cui la legge lo preveda espressamente. Il legislatore, ragionevolmente, autorizza l'Amministrazione finanziaria prima ed il giudice poi, a servirsi delle presunzioni semplicissime solo in casi di particolare gravità, come ad esempio nel- l’accertamento induttivo delineato nell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973 (in tema di determinazione extracontabile del reddito d'impresa) e nell’art. 55 d.P.R. n. 633/1972 (in tema di imponibile IvA). Di fronte alla prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa erariale (20). h) Relazione di verificazione e consulenza tecnica d’ufficio (art. 7, comma 2, D.L.vo n. 546/1992: “Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica”). La relazione di verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio costitui succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o depositi dell'impresa, né presso suoi rappresentanti, salvo che sia dimostrato che i beni stessi: a) sono stati utilizzati per la produzione, perduti o distrutti; b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà”. (20) Cass., 15 dicembre 2003, n. 19174. COntRIbutI DI DOttRInA scono mezzi -non di prova, ma -di valutazione della prova già acquisita al procedimento, ossia di valutazione di fatti già provati. non esonerano, pertanto, la parte dall’onere della prova. tali mezzi consentono al giudicante di acquisire nozioni della scienza e dell’arte delle quali sia sfornito o insufficientemente munito. La legge distingue tra relazione di verificazione e C.t.u. Deve ritenersi che queste si differenziano sotto il profilo oggettivo. La relazione di verificazione consiste in accertamento tecnico di fatti di natura non valutativa, diretto ad appurare la realtà oggettiva delle cose (opera sul piano conoscitivo), mentre la C.t.u. si estrinseca in una valutazione tecnica di fatti, con una valenza non meramente ricognitiva (opera sul piano valutativo) (21). La C.t.u. è uno strumento indispensabile per consentire al giudice -in fuzione del pieno accertamento del fatto -di sindacare la discrezionalità tecnica della P.A.; essa costituisce un ausilio al giudice al fine di esaminare i profili attinenti all’attualità del parametro tecnico applicato dall’Amm.ne ed alla correttezza del procedimento applicativo. 3. (segue) Prove atipiche. Le prove atipiche sono quelle non previste nei codici di rito (es. dichiarazioni scritte provenienti da un terzo; atti -come C.t.u., prova o sentenza intervenuti in altro giudizio; ecc.) ed hanno il valore di indizio fonte di presunzione semplice ex artt. 2727 e 2729 c.c. (22) oppure di argomento di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c. (23), come confermato dall’art. 310, comma 3, c.p.c. secondo cui le prove raccolte in un altro giudizio estinto sono valutate dal giudice come argomenti di prova. In ambedue i casi la decisione non può essere fondata soltanto sull’indizio o soltanto sull’argomento di prova, ma sono necessari anche altri elementi di prova. Sicché deve escludersi la loro valenza probatoria quando rappresentano l’unico elemento di prova. a) Documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi. Le più importanti prove atipiche sono i documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi. tali documenti non hanno efficacia di prova legale, ma solo il valore di elementi indiziari, che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non possono costituire da soli il fondamento della decisione (questo è il proprium degli argomenti di prova). Il valore probatorio è rimesso al libero apprezzamento del giudice, il quale, di volta in volta, potrà o non potrà tenerne (21) Così Cons. Stato, 14 gennaio 2020, n. 330; Cons. Stato, 22 gennaio 2013, n. 351, a proposito della distinzione tra verificazione e C.t.u. nel processo amministrativo. (22) Ossia di fatto noto dal quale risalire -insieme ad altri fatti noti, purché chiari precisi e concordanti - al fatto ignorato. (23) “il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 conto, quali ulteriori elementi a sostegno degli altri, già comunque acquisiti. La giurisprudenza, in coerenza con quanto esposto, ha generalmente ammesso tali elementi, non a titolo di "fonti di prova" in senso proprio, ma piuttosto di un "ausilio" all'accertamento, che deve comunque essere sostenuto da ulteriori elementi (24). nel processo tributario è stato ritenuto ammissibile l'utilizzo tanto delle dichiarazioni rese da terzi all'Amministrazione finanziaria nella fase procedi- mentale -amministrativa (in quanto queste vengono solitamente trasfuse in documenti redatti da pubblici ufficiali che rivestono quindi la forma dell'atto pubblico) (25), quanto delle dichiarazioni rese da terzi in favore del contribuente (26); queste ultime "testimonianze atipiche" possono assumere la veste di atto notorio (27), di dichiarazioni sostitutive di atto notorio (28), oppure certificati di notorietà (redatti dai cancellieri) in cui un privato attesta fatti che (24) Conf. ex plurimis, Cass., 22 aprile 2015, n. 8196; Cass., 16 luglio 2014, n. 16223; Cass., 11 giugno 2014, n. 13161, ove i Supremi Giudici hanno confermato che le dichiarazioni dei terzi hanno il valore indiziario di informazioni acquisite nell'ambito d'indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento. (25) Cass., 5 dicembre 2012, n. 21813: le dichiarazioni rilasciate agli organi verificatori da soggetti terzi hanno, come regola generale, il valore di mero indizio, e la loro assunzione può avvenire senza l'osservanza di particolari prescrizioni. nello specifico, non è necessario che la dichiarazione sia verbalizzata in contraddittorio con il contribuente, posto che il suo diritto di difesa non può ritenersi leso, alla luce del fatto che questi, in sede contenziosa, può produrre, a sua volta, scritti contenenti dichiarazioni di terzi a proprio favore. (26) Ex multis Cass. civ., Sez. v, 14 maggio 2010, n. 11785, Cass., 25 marzo 2002, n. 4269 precisante che nel processo tributario, come è ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va del pari necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale -beninteso, con il medesimo valore probatorio -dando così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l'effettività del diritto di difesa. (27) Conf. Cass., 6 aprile 2001, n. 5154, secondo cui non può attribuirsi valore di prova all'atto notorio, precostituito al processo al di fuori di qualsiasi contraddittorio con l'avversario, né tale atto può implicare un'inversione dell'onere della prova, che deve essere espressamente prevista da una norma positiva e non può derivare esclusivamente dalla mera iniziativa di parte. In pratica, il pieno valore probatorio dell'atto notorio resta limitato al fatto che la dichiarazione sia stata resa in presenza di un pubblico ufficiale, ma non si estende alla rispondenza alla verità delle circostanze indicate nell'atto stesso. (28) Conf. Cass., 20 luglio 1998, n. 7107, secondo cui la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà quanto lo stesso atto notorio devono essere considerati documenti la cui libera valutazione da parte del giudice deve essere in concreto ammessa ogni volta che la dichiarazione venga resa, non già da una delle parti, ma da un soggetto estraneo al processo che attesta un fatto rilevante ai fini della decisione. La principale differenza fra atto notorio e dichiarazione sostitutiva del medesimo consiste nel fatto che il primo assolve alla funzione di far conoscere fatti, stati e qualità personali che sono a diretta conoscenza del dichiarante, e che non risultano in altro modo noti alla Pubblica amministrazione, mentre la seconda mira a portare a conoscenza della Pubblica amministrazione circostanze a questa già risultanti in propri atti. Su tale istituto M. FAnnI, Le "dichiarazioni sostitutive di atto notorio" nel processo tributario, in rass. Tributaria, 2009, 5, pp. 1361 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA lo riguardano, oppure persone che si dichiarano a conoscenza dei fatti attestano la veridicità dei fatti stessi. I documenti contenenti dichiarazioni di terzi che non rivestono la forma dell'atto pubblico, non avendo efficacia di prova legale, non sono soggetti né alla disciplina sostanziale di cui agli artt. 2702 e ss. c.c., né a quella processuale prevista dagli artt. 214 e ss. c.p.c. in tema di disconoscimento e verificazione. b) Perizie giurate ed asseverate. nel processo tributario è inoltre frequente il deposito di "perizie giurate ed asseverate" redatte da professionisti di fiducia del privato che, ad esempio, attestano che un certo immobile è fatiscente e quindi di modesto valore, o indicano i termini di un corretto accatastamento o contengono una data valutazione degli immobili e/o dei terreni: anche tali perizie hanno comunque il valore di meri elementi indiziari (29). c) Prove raccolte in altri processi. utilizzabili dal giudice tributario, quali prova atipiche, sono le prove provenienti da altri processi, tra cui anche da quello penale -purché formatesi legittimamente, in base alle norme regolatrice del processo di provenienza -sottoposte, volta per volta, alla propria, autonoma, valutazione (30). d) Perizie o consulenze utilizzate in altri giudizi. Il giudice tributario, nell’ambito della possibilità di utilizzare prove raccolte in concomitanza di un giudizio diverso svoltosi tra le stesse parti in causa o anche tra parti in giudizio diverse, può utilizzare anche la perizia svolta in concomitanza di un procedimento penale o di una consulenza tecnica svolta in sede civile (31). e) Sentenza pronunciata in altro processo. Con riguardo alla sentenza penale non si fa riferimento al giudicato penale in sé e per sé, ma all'accertamento dei fatti contenuti in tale giudicato (32). La sentenza penale non può avere efficacia di giudicato nel processo tributario per l’insussistenza delle condizioni fissate dall’art. 654 c.p.p. (33), specie il requisito della assenza di (29) Conf. Cass. 11 febbraio 2002, n. 1902 secondo cui la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con giuramento dal suo autore, raccolto dal cancelliere, costituisce pur sempre una mera allegazione difensiva, onde il giudice del merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in essa contenute quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse. Cass., 19 maggio 1997, n. 4437 ha escluso la possibilità di attribuire efficacia di prova legale alla perizia giurata depositata in giudizio da una parte, neppure rispetto ai fatti che il perito assume di avere accertato nel caso specifico. La Corte ha affermato che, non essendo prevista dall'ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa può essere riconosciuto solo il valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. (30) Conf. Cass., 22 settembre 2000, n. 12577. (31) Conf. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2904. (32) Sulla problematica: n. MOnFReDA, F. SteLLA, Efficacia della sentenza penale nel processo tributario, in Fisco, 2013, 29 - parte 1, pp. 4494 e ss. (33) “Nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 “limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”, atteso che nel processo tributario è vietato il giuramento. La stessa, tuttavia, vale quale argomento di prova e/o indizio fonte di presunzione semplice. tanto trova conferma nel giudice di legittimità secondo cui "non può revocarsi in dubbio che, nel processo tributario, il giudice possa legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel processo penale, pure se questo è destinato a concludersi con una pronuncia non opponibile alle parti del giudizio civile, purché tali prove vengano dal giudice tributario sottoposte ad una propria e autonoma valutazione” (34). 4. (segue) Prove escluse. a) Prove acquisite illegittimamente. Per il principio di legalità, non sono utilizzabili le prove acquisite illegittimamente. In particolare, non sono utilizzabili -pur in assenza di esplicita previsione normativa -i documenti acquisiti nel corso di un accesso che sia stato eseguito senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'Autorità giudiziaria, o a seguito di autorizzazione illegittima, risultando in tali casi lesa la tutela del domicilio (35). b) Giuramento. Si è visto che nel processo tributario è vietato il giura- pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”. (34) Cass., 20 marzo 2013, n. 6918. Cass., 21 giugno 2002, n. 9109: l'art. 654 c.p.p., che stabilisce l'efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale -norma operante, in base all'art. 207 disp. att., anche per i reati previsti da leggi speciali -la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova "della posizione soggettiva controversa". Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall'art. 7, comma 4, D.L.vo n. 546/1992, e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d'impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973) prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, comma 1, c.c.), che nel processo penale (art. 192, comma 2, c.p.p.), la conseguenza del mutato quadro normativo è che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. (35) Conf. Cass., 19 ottobre 2005, n. 20253, secondo cui l'inutilizzabilità -a sostegno dell'accertamento -delle prove reperite nel corso di una perquisizione illegale non ha bisogno di espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola. COntRIbutI DI DOttRInA mento (l’art. 7, comma 4, D.L.vo n. 546/1992 dispone: “Non è ammesso il giuramento”). Ciò non obbedisce a criteri di ragionevolezza. La ratio dell’esclusione del giuramento dovrebbe risiedere nella circostanza che nel processo tributario è coinvolta una pubblica funzione, e una correlativa situazione soggettiva, che è indisponibile. Circostanza che -per le regole generali -rende inammissibile il giuramento (art. 2737 c.c.) (36). tuttavia è da dubitarsi della indisponibilità della pretesa tributaria, una volta che è pendente una controversia. Analogo divieto specifico non vi è per la confessione per la quale -in presenza dell’indisponibilità della situazione soggettiva pure - opera la regola generale del divieto (art. 2731 c.c.) (37). c) Prove precostituite non fornite dal contribuente a fronte della richiesta della P.A. In materia di imposte sui redditi “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta” (art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973). Il contribuente può superare questa preclusione probatoria se deposita, in uno al ricorso giurisdizionale, notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, non esibiti in fase amministrativa, dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile (art. 32, comma 5, d.P.R. n.600/1973). Inoltre, “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto d'esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione” (art. 52, comma 5, d.P.R. n. 633/1972 in materia di IvA, applicabile anche alle imposte sui redditi in virtù del richiamo ex art. 33, comma 1, d.P.R. n. 600/1073). All’evidenza la preclusione probatoria opera soltanto in presenza di una richiesta specifica da parte della P.A. e di un conseguente rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente. 5. (segue) Prove precostituite e prove costituende e modalità del loro ingresso nel processo. Le prove si distinguono in precostituite, ossia formate al di fuori del processo e a prescindere dallo stesso e in costituende, ossia formate nel processo ed in occasione dello stesso. (36) “Per deferire o riferire il giuramento si richiedono le condizioni indicate dall'articolo 2731”. (37) “La confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto, a cui i fatti confessati si riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è efficace solo se fatta entro i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato”. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 Prova precostituita è il documento. tale prova ha ingresso nel giudizio in due modi diversi: a) prodotta dal soggetto che detiene il documento, all’atto della costituzione in giudizio o anche in seguito fino alla scadenza dei termini difensivi di cui all’art. 32 D.L.vo n. 546/1992, ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza; b) esibita dalla parte o da un terzo su ordine del giudice (artt. 210-212 c.p.c.) (38). L'ordine di esibizione documentale (art. 210 c.p.c.: "il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o ad un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo") consente -nel rispetto del principio dispositivo, atteso che l’ordine è dato non d’ufficio ma ad istanza di parte (39) -l’ingresso nel processo di un documento non producibile spontaneamente dall’interessato. Attraverso una lettura congiunta degli artt. 210 e 118 c.p.c. e dell'art. 94 disp. att. c.p.c. risulta che i presupposti per ritenere operante tale strumento processuale sono: -specifica predeterminazione, da parte dell'istante, dell'oggetto dell'eventuale ordine di esibizione, e con l'onere di allegare la certezza dell'esistenza del documento stesso e di indicare elementi idonei all'attuazione dell'ordine; -offerta, da parte dell'istante, della prova in ordine al possesso del documento in capo alla parte o al terzo. Al riguardo, l'art. 94 disp. att. c.p.c., stabilisce che l'istanza di esibizione di un documento in possesso di una parte o di un terzo debba contenere "la specifica indicazione del documento o della cosa e, quando è necessario, l'offerta della prova che la parte o il terzo li possiede". tale disposizione implica, principalmente, che sia certa l'esistenza del documento (40); - impossibilità, per la parte, di conseguire il documento aliunde. nel processo tributario è applicabile l’art. 213 c.p.c. e, quindi, il giudice può richiedere d'ufficio alla P.A. le informazioni scritte relative ad atti (38) Istituto applicabile al processo tributario, come confermato anche dalla Corte Costituzionale: “non soltanto il principio dell'applicabilità al processo tributario, in quanto compatibili, delle norme del codice di procedura civile (art. 1, comma 2), ma anche il carattere non esaustivo della disciplina dell'istruzione contenuta nell'art. 7 impongono di ritenere che la produzione di documenti, oltre che spontanea, possa essere ordinata a norma dell'art. 210 cod. proc. civ. (e, quindi, anche nei confronti di terzi): ed è ovvio che l'esigenza di un'istanza di parte affinché il giudice possa ordinare l'esibizione di documenti è coerente con il principio dispositivo che, anche relativamente alle prove, il legislatore vuole governi il processo tributario e vale ad escludere in radice per il giudice ogni ruolo di supplenza della parte inerte, sia essa l'amministrazione o il contribuente” (Corte cost., 29 marzo 2007, n. 109). (39) Il giudice non può supplire in alcun modo al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte. Affermare il contrario significherebbe, infatti, stravolgere la funzione dell'istruttoria giudiziale, trasformandola da integrativa a suppletiva, in contrasto con il principio secondo cui il giudice non ha alcuna iniziativa in merito alla delineazione del thema decidendum. (40) In tal senso, e. MAnOnI, ordine di esibizione documentale nel processo tributario, in Fisco, 2016, 29, pp. 2844 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo (41). Gli elementi probatori nel corso di indagini di Polizia giudiziaria possono essere utilizzati in sede tributaria, ma ciò è da conciliare con la segretezza delle indagini preliminari ex art. 329, comma 1, c.p.p. per il quale “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. In linea di principio, tali prove e notizie non sono utilizzabili, perché coperte dal segreto previsto dall’art. 329 c.p.p., ma il magistrato penale, se ritiene che non vi sia pregiudizio per le indagini, può autorizzarne l’utilizzazione fiscale. Difatti giusta l’art. 33, comma 3, d.P.R. n. 633/1973 la Guardia di Finanza “previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale utilizza e trasmette agli uffici delle imposte documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria” (42). La prova documentale è la prova principe nel processo tributario. Prova costituenda sono tutte le prove diverse dal documento. tale prova ha ingresso nel giudizio in due modi diversi: a) acquisita all’esito del procedimento istruttorio, articolantesi in tre fasi: richiesta di ammissione della prova ad opera di una delle parti; ammissione disposta con ordinanza -da parte del giudice ove la prova sia ammissibile e rilevante; escussione del mezzo di prova; b) esibita dalla parte o da un terzo su ordine del giudice, su istanza di parte o d’ufficio (artt. 210-213 c.p.c.). 6. (segue) Prove storiche e prove critiche. La prova è storica quando essa dà conoscenza diretta ed immediata del fatto da provare. vi è la diretta percezione dei sensi del fatto da provare. La prova è critica quando essa dà conoscenza indiretta del fatto da provare. Si giunge alla cognizione del fatto non con la diretta percezione da parte dei sensi, ma mediante un procedimento logico che parte da una premessa (fatto noto) per giungere alla conseguenza (fatto oggetto della prova). L’unica prova critica è la presunzione giudiziale; tutte le altre sono storiche. (41) Conf. Corte cost. n. 109/2007 cit.: “ove necessario, il giudice ha il potere -nei confronti di pubbliche amministrazioni diverse da quella che è parte del giudizio davanti a lui pendente -di chiedere informazioni o documenti ai sensi dell'art. 213 cod. proc. civ., e cioè attivarsi in funzione di chiarificazione dei risultati probatori prodotti dai mezzi di prova dei quali si sono servite le parti”. (42) Su tali aspetti: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 376. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 7. Principio di acquisizione della prova. vige il principio di acquisizione della prova: la prova è valutata oggettivamente, per quello che vale, a prescindere dal soggetto che l’abbia introdotta in giudizio (prova precostituita) o che ne abbia richiesto l’ammissione (prova costituenda). 8. Provvedimenti sull’istruttoria. La Commissione tributaria provvede in materia di prove -e in specie circa l’assunzione delle prove costituende - a mezzo di ordinanza (43). L’istruzione preventiva -prevista e regolata negli artt. 692-699 c.p.c.: testimonianza, accertamento tecnico e ispezione giudiziale; consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite -è un istituto applicabile anche nel processo tributario, giusta la norma di richiamo di cui all’art. 1, comma 2, D.L.vo n. 546/1992. Circa il procedimento probatorio avente ad oggetto l’istruzione preventiva -in assenza di disciplina espressa nel D.L.vo n. 546/1992 -può applicarsi per analogia quanto stabilito nell’art. 47 D.L.vo n. 546/1992 circa la “Sospensione dell' atto impugnato”. 9. onere della prova ed onere del principio di prova. nel processo tributario opera la regola dell’onere della prova secondo cui “Chi vuol far valere un diritto [rectius: una situazione giuridica soggettiva protetta] in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda” (art. 2697 c.c.). Con l'espressione onere della prova si intende, sotto il profilo oggettivo, la regola di giudizio che consente al giudice di emettere in ogni caso una pronuncia di accoglimento o di rigetto della domanda anche quando egli sia rimasto in dubbio sulla verità dei fatti (cosiddetto divieto di non liquet); sotto il profilo soggettivo, si intende invece il criterio di ripartizione degli oneri probatori tra le parti, nel senso che ogni parte deve provare in giudizio i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa vantata (44). L’onere della prova nel processo tributario è modalizzato dal comma 5 bis dell’art.7 D.L.vo n. 546/1992 (introdotto con la novella di cui alla L. n. 130/2022, prendendo atto delle acquisizioni giurisprudenziali), il quale così dispone: “L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, (43) Conf. F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 367. (44) G.M. CIPOLLA, riflessioni sull'onere della prova nel processo tributario, in rass. Tributaria, 1998, 3, pp. 671 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”. Onere della prova dei fatti costitutivi in capo all’ufficio fiscale. Ove l’oggetto del processo sia costituito dalla impugnazione di atti impositivi -con i quali viene avanzata una pretesa tributaria -l’onere della prova dei fatti costitutivi grava sull’ufficio fiscale, come precisa il comma 5 bis dell’art. 7 D.L.vo n. 546/1992. Ad esempio, l’ufficio -in un giudizio avente ad oggetto l'avviso di rettifica in materia di accertamento IvA che origina da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza -ha l’onere di produrre il processo verbale di constatazione costituente il fondamento probatorio della pretesa fiscale. Anche se è il contribuente a rivolgersi al giudice, come “attore in senso formale”, l’attore in senso sostanziale, e quindi il soggetto sul quale grava l’onere della prova, è l’ufficio fiscale. L’onere della prova dei fatti costitutivi del presupposto del tributo e della base imponibile, come dei maggiori imponibili spetta dunque all’Amministrazione finanziaria (45), mentre l'onere del contribuente di provare elementi in senso contrario scatta solo quando dall'ufficio siano stati forniti indizi sufficienti per affermare la sussistenza dell'obbligazione tributaria (46). L’avviso di accertamento in tema di sanzioni amministrative -per espressa previsione normativa: art. 16, comma 2, D.L.vo 18 dicembre 1997, n. 472 -deve contenere una indicazione degli elementi probatori. Manca una simile espressa previsione in materia di accertamenti di imposte. La giurisprudenza pressoché unanime, recependo l'orientamento espresso sul punto dalla dottrina maggioritaria, sostiene che nella motivazione degli avvisi di accertamento l'ufficio non debba necessariamente indicare le prove (della fondatezza) della sua pretesa. Ciò in quanto motivazione e prova hanno natura e funzione diversa. La prima consiste nella descrizione delle ragioni poste a fondamento (45) Ex plurimis: Cass., 14 febbraio 1997, n. 1412; Cass., 11 ottobre 1997, n. 9894 secondo cui se è vero che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta all'amministrazione finanziaria nel quadro dei generali principi che governano l'onere della prova -dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell'esistenza di un maggiore imponibile, è altrettanto vero -però -che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l'esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano (così, a proposito del reddito d'impresa, spetta all'ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior imponibile determinato, ma spetta al contribuente -il quale intenda contestare tale determinazione sostenendo, ad esempio, l'esistenza di costi maggiori di quelli considerati documentare che essi esistono e sono inerenti all'esercizio cui l'accertamento si riferisce). (46) Conf. Cass., 18 gennaio 2006, n. 905. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 della pretesa erariale. La motivazione non deve, perciò, convincere il contribuente della fondatezza della pretesa erariale, ma deve mettere quest'ultimo in grado di ricostruire l'iter logico-giuridico seguito dall'ufficio nella determinazione della pretesa e di esercitare, per l'effetto, il proprio diritto di difesa. La prova consiste, invece, nella dimostrazione della fondatezza di quelle ragioni sulla base dei documenti o delle presunzioni utilizzate in sede accertativa dall'ufficio. essa può, quindi, essere fornita in giudizio dall'ufficio. Il settore dell'ordinamento nel quale principalmente viene posta dalla giurisprudenza, nei termini appena descritti, la distinzione tra motivazione e prova è quello dell'imposizione indiretta e, segnatamente, quello delle imposte sui trasferimenti di ricchezza (registro, successioni e donazioni). Per tale ragione la giurisprudenza ritiene assolto dall'ufficio l'obbligo motivazionale attraverso la mera indicazione nell'atto del criterio (astratto) applicato, a prescindere dal mezzo grafico adoperato (anche una motivazione prestampata può costituire, quindi, una valida motivazione). In tal caso però, l'ufficio ha l'onere di provare in giudizio la sussistenza dei concreti elementi di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano la pretesa erariale; con la conseguenza che, ove l'ufficio non assolva in giudizio il proprio onere probatorio, l'atto impugnato dev'essere annullato dal giudice. La distinzione tra motivazione e prova, sostanzialmente negli stessi termini ora illustrati con riguardo agli avvisi di accertamento di maggior valore (motivazione e prova sono distinte, per cui l'ufficio ha l'obbligo di indicare nell'atto di accertamento esclusivamente le ragioni della propria pretesa, ma non anche le prove sulle quali detta pretesa si fonda potendo fornire la prova in giudizio), si ritrova anche nella giurisprudenza espressasi sugli avvisi di accertamento delle imposte dirette e dell'IvA il cui obbligo di motivazione è previsto, rispettivamente, dagli artt. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, n. 600 e 56, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972. Onere della prova dei fatti costitutivi in capo al contribuente. In alcune ipotesi l’onere della prova ricade invece sul contribuente. Si tratta delle circostanze che il contribuente adduce a proprio favore, come le spese deducibili o le detrazioni IvA, che devono essere comprovate con idonea documentazione (47). È pacifico in giurisprudenza che grava sul contribuente la prova di tutti quei fatti (sostenimento dei costi nell'esercizio (47) Conf. Cass., 22 agosto 1997, n. 7867: in tema di imposte sui redditi, ai fini della determinazione del reddito di impresa, è onere del contribuente e non dell'ufficio finanziario documentare l'esistenza dei costi deducibili, trattandosi di una componente negativa del reddito la cui effettività deve essere dimostrata dal contribuente tramite la contabilità di cui egli, e non l'ufficio, dispone; una volta dimostrata l'esistenza della voce addotta come costo (e discorso analogo vale per le rimanenze o giacenze), spetterà all'ufficio -che intenda rettificare il reddito provando la diversità dei corrispettivi reali da quelli dichiarati -spiegare le ragioni per le quali quella voce debba considerarsi indeducibile, perchè, ad esempio, non di competenza dell'esercizio o non inerente l'attività di impresa. COntRIbutI DI DOttRInA di un'attività di impresa o di lavoro autonomo; debiti; sostenimento delle spese che danno diritto a detrazioni oppure ad oneri deducibili; inerenza al- l'attività di impresa delle operazioni che danno luogo ad una detrazione Iva o a costi fiscalmente deducibili) che comportano una riduzione o una elisione del carico fiscale. All’evidenza, con riguardo alla prova dei costi, il sostenimento di un costo costituisce il fatto costitutivo del diritto (alla sua deduzione) vantato dal contribuente nei confronti dell'Amministrazione finanziaria (48). Analogamente, grava sul contribuente ex art. 2697 c.c. la prova dei fatti che danno diritto ad oneri deducibili ex art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Anche quando si discute dell’applicazione di una esenzione o di una norma agevolativa, grava sul contribuente l’onere di provare i fatti, dai quali dipende l’applicazione della norma di favore, in quanto fatto impeditivo o estintivo della obbligazione tributaria (49). L’onere della prova ricade sul contribuente anche per quanto riguarda le azioni di rimborso -come testualmente previsto dal comma 5 bis dell’art. 7 D.L.vo n. 546/1992 -dove il contribuente dovrà quanto meno dimostrare l’avvenuto pagamento e spiegare perché esso non era dovuto (50). va rilevato che in alcuni casi, normativamente previsti, il contribuente deve produrre in sede amministrativa i documenti di cui ha la disponibilità, a pena di inammissibilità della loro produzione nella successiva fase giudiziale. È questo, in particolare, il caso in cui, nel corso di un'ispezione fiscale, venga rifiutata l'esibizione di libri, registri, scritture e documenti, nel qual caso gli stessi non potranno essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento IvA in sede amministrativa o contenziosa (art. 52, comma 5, d.P.R. n. 633/1972 con riguardo agli accessi, ispezioni e verifiche in materia di IvA (51) richiamato, ai fini dell'accertamento delle imposte dirette, dall'art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973). Il richiamo alla regola dell’onere della prova non è meccanico, opera solo con riguardo agli elementi conoscitivi dei fatti che siano nella disponibilità (48) va rilevato che parte della dottrina -in ordine alla prova dei costi -ritiene che è l'Amministrazione finanziaria a dover fornire la prova di tutti i presupposti dell'imposizione, siano essi positivi (ad esempio, gli elementi integrativi del reddito imponibile) oppure di segno negativo (ad esempio, i costi, quali componenti passivi del reddito da accertare). L’indicata dottrina è riportata in G.M. CIPOLLA, riflessioni sull'onere della prova nel processo tributario, cit., 3, pp. 671 e ss. (49) Conf. Cass., 11 maggio 2004, n. 8901; Cass., 2 settembre 2002, n. 12749. (50) Sul riparto dell’onere della prova tra ufficio fiscale e contribuente: A. vIGnOLI, voce onere della prova (Dir. trib.), in il Diritto, Enciclopedia Giuridica del Sole 24 ore, Corriere della Sera il Sole 24 ore, vol. 10, 2007, pp. 312-318. Cass., 6 settembre 2006, n. 19187. (51) “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto d'esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 dell’interessato. Il processo tributario -come quello amministrativo -prende atto che spesso i documenti rilevanti sono nella disponibilità dell’Amm.ne evocata in giudizio a causa della condotta, qualificata illegittima dal ricorrente. In tale situazione al ricorrente non è inibito procurarsi i documenti rilevanti: può essere attivato l’accesso ex artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 oppure può essere chiesto al giudice ex art. 210 c.p.c. di emanare un ordine di esibizione. tuttavia tali modalità acquisitive determinano lungaggini con impedimento di una tutela piena ed effettiva delle situazioni protette. In questa situazione il legislatore, per rapidizzare l’acquisizione dei documenti nella disponibilità dell’Amm.ne, prevede penetranti poteri ufficiosi. Sicché, con riguardo ai documenti che sono nella disponibilità dell’Amm.ne, in capo al ricorrente non vi sarebbe l’onere della prova, ma l’onere del principio di prova. Ossia: il ricorrente è onerato a descrivere i fatti rilevanti la cui conoscenza va acquisita al processo; su tale descrizione potranno essere attivati i poteri ufficiosi. In conclusione: ove la prova sia nella disponibilità della parte opera in via integrale la regola dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., sicché chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda pena il rigetto di questa; ove la prova, invece, non sia nella disponibilità della parte opera la regola del principio di prova. Questa tecnica -che opera in tutta la sua potenzialità nel processo amministrativo -viene definita come attenuazione del principio dell’onere della prova e del principio della disponibilità delle prove oppure, ellitticamente, come principio dispositivo con metodo acquisitivo. espressione della tecnica descritta è l’art. 7, comma 1, D.L.vo n. 546/1992 secondo cui “Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta”. I poteri istruttori del giudice tributario debbono essere esercitati nell’ambito della materia del contendere, definita dalla motivazione dell’avviso di accertamento e dai motivi di ricorso del contribuente e, quindi, per confermare o smentire circostanze rientranti nella materia del contendere come sopra definita e perciò quantomeno allegate da una delle parti (52). La norma attribuisce ai giudici tributari la possibilità di esercitare le facoltà di accesso e di richiesta di informazioni, dati e chiarimenti conferite all'ufficio dalle singole leggi d'imposta. Al fine di individuare il significato da attribuire alla facoltà di accesso occorre fare riferimento all'art. 52 del d.P.R. n. 633/1972, in materia di IvA, disposizione applicabile altresì alle imposte dirette, all'imposta di registro e all'imposta sulle successioni con riferimento all'accertamento del valore delle (52) Così R. LuPI, S. COvInO, voce Processo tributario, cit., p. 205. COntRIbutI DI DOttRInA aziende (tanto in virtù dei rinvii all'art. 52 citato rispettivamente operati dall'art. 33 del d.P.R. n. 600/1973, dall'art. 51 del d.P.R. n.131/1986 e dall'art. 34 del D.L.vo 31 ottobre 1990, n. 346). Quanto all'esercizio delle facoltà di richiesta di informazioni, dati e chiarimenti, in tema di imposte dirette, si dovrà fare riferimento a quanto disposto dall'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973. Al riguardo, si rileva che l'art. 32 prevede espressamente che gli uffici (e dunque anche i giudici in virtù del rinvio operato dall'art. 7 in commento) possono, tra l’altro: -invitare i contribuenti a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti; - invitare i contribuenti ad esibire o trasmettere atti e documenti; -inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico; -richiedere informazioni, dati e notizie, copie o estratti di atti e documenti a soggetti terzi (organi e amministrazioni dello Stato, enti pubblici, eccetera, società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, ovvero attività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, società ed enti di assicurazione, notai e in genere pubblici ufficiali); -richiedere alle aziende o istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti e all'Amministrazione postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di deposito ed ai buoni postali fruttiferi, copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi; -invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi. una norma di analogo contenuto, l'art. 51 del d.P.R. n. 633/1972, disciplina simili poteri in materia di imposta sul valore aggiunto (53). In particolare, per quanto riguarda il potere d'accesso esso consiste nella possibilità di ispezione dei locali destinati all'esercizio di attività professionali, commerciali, agricole o artistiche al fine di effettuare rilevazioni e ispezioni di documenti senza alcuna previa autorizzazione, non richiesta nel caso in cui si tratta di acquisire e controllare registri, documenti e altre prove attestanti l'avvenuta violazione delle norme tributarie. L'accesso può essere disposto dal giudice tributario anche presso Pubbliche Amministrazioni, enti pubblici, società, enti di assicurazione e banche nei limiti in cui il segreto (53) Su tali aspetti L. MAGnAnI e L. MOnteCAMOzzO, il punto sui poteri delle commissioni tributarie ex art. 7 del d.lgs. n. 546/1992, in Fisco, 2005, 40 - parte 1, pp. 6280 e ss. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 bancario lo consente. È fatta salva la possibilità di sequestro dei documenti e delle scritture contabili nel caso in cui gli stessi non possono essere prodotti in giudizio (54). È discussa la possibilità della acquisizione d'ufficio del processo verbale di constatazione. La possibilità per il giudice tributario di acquisire o meno d'ufficio il processo verbale di constatazione, richiamato per relationem nella motivazione dell'atto impugnato, continua a costituire questione controversa che vede in campo due fronti contrapposti: da una parte chi nega tale possibilità sulla scorta principalmente della novella del 2005, che ha abrogato l'art. 7, comma 3, del D.L.vo n. 546/1992, che consentiva ai giudici tributari di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia; e dall'altra parte chi comunque per diversi motivi lo consente, in particolare nei casi in cui la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata (55). 10. (segue) iudex debet iudicare secundum probata (principio dispositivo in materia di prova) ed onere di contestazione. In assenza di una espressa disposizione in ordine all’ingresso delle prove nel giudizio, si applica la regola generale del processo civile, ossia l’art. 115 c.p.c., secondo cui “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. viene in rilievo, all’evidenza, l’applicazione del principio dispositivo, con l’attenuazione dell’art. 7, comma 1, D.L.vo n. 546/1992. Il che implica che il giudice non può acquisire prove d’ufficio ed è vietata la scienza privata del giudice, come precisato nell’art. 97 d.a.c.p.c. (56). La regola è che sono le parti a provare i fatti rilevanti nel processo, in ossequio alla regola dell’onere della prova. Opera altresì il principio di non contestazione. La dottrina non dubita dell’operatività dell’art. 115 c.p.c. nel processo tributario (57), in quanto regola di semplificazione probatoria; sulla problematica non interferisce la querelle (54) Su tali aspetti G. DuRAnte, i poteri istruttori delle commissioni tributarie, cit., pp. 699 e ss. (55) Sulla problematica: G. AntICO, M. GenOveSI, acquisizione d'ufficio del processo verbale di constatazione, in Fisco, 2020, 2, pp. 139 e ss. (56) “il giudice non può ricevere private informazioni sulle cause pendenti davanti a sé, né può ricevere memorie se non per mezzo della cancelleria”. (57) Ex plurimis: G. AntICO, M. GenOveSI, il principio di non contestazione nel processo tributario: ricorrente e resistente pari sono?, in Fisco, 2016, 3, pp. 241 e ss.; G. FRAnSOnI, Preclusioni processuali, rilevabilità d'ufficio e giusto processo, in rass. Tributaria, 2013, 2, p. 449; M. CAntILLO, il principio di non contestazione nel processo tributario, in rass. Tributaria, 2012, 4, pp. 840 e ss.; F. SORRentInO, il principio di non contestazione nel processo tributario, in Fisco, 2010, 32 -parte 1, pp. 5163 e ss.; A. COLLI vIGnAReLLI, il principio di "non contestazione" si applica anche nel processo tributario, in rass. Tributaria, 2007, 5, p. 1508. COntRIbutI DI DOttRInA sulla natura disponibile o meno della situazione soggettiva coinvolta nei fatti oggetto di non contestazione atteso che il contegno omissivo della parte onerata assume rilievo soltanto sul piano probatorio, trattandosi, di una mera tecnica processuale, diretta a soddisfare esigenze di semplificazione e di economia processuale, inidonea ad intaccare il piano sostanziale controverso (58). Anche in giurisprudenza, in modo piano, si afferma l’applicazione della disposizione nel processo tributario (59). Alla luce delle disposizioni indicate, in capo alle parti costituite vi è l’onere di specifica contestazione dei fatti dedotti dagli avversari, con il corollario che la parte è esonerata dall’onere di fornire la prova rispetto ai fatti da lei dedotti e non contestati dalla controparte. Ovviamente, se tali fatti sono smentiti da altre risultanze processuali, la non contestazione non comporta per il giudice -nell’ambito del principio della libera valutazione delle prove -l’obbligo di attenersi ad essi. Fatto non contestato non significa, quindi, prova legale, ma fatto provato liberamente valutabile. Circa il termine ultimo entro il quale operare la contestazione, occorre tenere conto della circostanza che, trattandosi di giudizio di impugnazione, è impossibile per il ricorrente addurre la contestazione di un fatto oltre la proposizione del ricorso, mentre per l'Amministrazione la contestazione va operata in sede di controdeduzioni (da depositare entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale) atteso che con queste “la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente” (art. 23, comma 3, D.L.vo n. 546/1992). L’indicato termine preclusivo per il resistente entro il quale operare la non contestazione, non è pacifico in dottrina. vi sono anche tesi, le quali -considerando mero comportamento processuale la non contestazione ritengono possibile la contestazione tardiva di fatti inizialmente non contestati, aprendo al giudice la strada della valutazione complessiva del contegno processuale della parte (60); sicché sarebbe legittima la contestazione tardiva rispetto al termine ex art. 23 del D.L.vo n. 546/1992, ma tempestiva rispetto a quello ex art. 32 del D.L.vo n. 546/1992, anche perché il dies ad quem coinciderebbe con la memoria che consente la replica finale alle contestazioni del ricorrente (61). (58) La ricostruzione del dibattito in materia in G. AntICO, M. GenOveSI, il principio di non contestazione nel processo tributario: ricorrente e resistente pari sono?, cit., pp. 241 e ss. (59) A partire da Cass., 24 gennaio 2007, n. 1540; nel senso della estensione anche ai diritti indisponibili Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196. (60) Per R. LuPI, S. COvInO, voce Processo tributario, in il Diritto, Enciclopedia Giuridica del Sole 24 ore, cit., p. 202 “non sono previsti divieti a far valere con successive memorie argomentazioni non indicate in sede di costituzione”. (61) M. CAntILLO, il principio di non contestazione nel processo tributario, cit., pp. 840 e ss. rileva: “le allegazioni del ricorrente vanno contestate dall'amministrazione con l'atto delle controdeduzioni, secondo quanto espressamente prevede la detta norma [art. 23 D.L.vo n. 546/1992], per cui, in RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 All’evidenza, per chi è evocato in giudizio, nel difetto di idonee linee di difesa miglior partito è la contumacia rispetto alla costituzione in giudizio. vietata è, quindi, la regola della acquisizione di ufficio delle prove (c.d. principio inquisitorio, valevole per il processo penale). In via di eccezione, sulla base di specifici presupposti, è ammessa la prova d’ufficio, come innanzi evidenziato nell’esame dell’onere della prova. 11. Principio della libera valutazione delle prove. In assenza di una espressa disposizione in ordine alla valutazione delle prove, si applica la regola generale del processo civile, ossia l’art. 116 c.p.c., secondo cui “il giudice deve valutare le prove secondo il suo pru caso di costituzione tempestiva, non è dubbio che il principio in esame trovi applicazione con riferimento a tale attività e, quindi, alla mancata contestazione con le controdeduzioni. il problema si presenta con riguardo alla possibilità per il resistente di costituirsi anche dopo la scadenza del termine suddetto, che non è perentorio; e ciò conduce a ritenere che, in via di principio, il potere di contestazione possa essere esercitato fino a quando sia consentita la costituzione tardiva in giudizio. in proposito si registrano, però, opinioni diverse in dottrina e in giurisprudenza, perché all'indirizzo secondo cui quel momento andrebbe individuato nella scadenza di uno dei due termini previsti dall'art. 32, commi 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992 per il deposito di documenti e, rispettivamente, di memorie illustrative, si contrappone la tesi più liberale, che consente la costituzione tardiva fin nell'udienza di trattazione (quindi, se questa debba svolgersi in camera di consiglio, fino a cinque giorni prima dell'udienza medesima), per modo che i fatti allegati dal ricorrente potrebbero essere contestati anche in tale sede. opinione, codesta, che oltre a non trovare conforto in alcuna disposizione con riguardo allo specifico problema in esame, contraddice la ratio del principio di non contestazione, la cui utilità risiede principalmente nell'esigenza di contenere la durata del processo, finalità che verrebbe elusa, manifestamente, se la contestazione fosse ammissibile addirittura nell'udienza di trattazione. Tuttavia per risolvere la questione in esame non è necessario prendere posizione sulla tempistica relativa alla costituzione in giudizio ed occorre avere riguardo, invece, alle preclusioni relative all'esercizio dei poteri processuali ad essa inerenti, in particolare, appunto, quello relativo alla contestazione dei fatti allegati ex adverso. in pratica, come nel processo civile ordinario il contumace che si costituisce in giudizio è tenuto ad accettare il processo in statu et terminis, per cui subisce le preclusioni che sono maturate nei suoi confronti, così nel nostro processo la parte che si costituisca tardivamente non può compiere attività che, nel momento in cui entra nel processo, siano già precluse alle parti presenti in giudizio […] in coerenza alla qualificazione della non contestazione in chiave squisitamente probatoria, il limite temporale della stessa va individuato nel momento di definitiva fissazione del thema probandum, ritenendo applicabile, quindi, la preclusione di cui all'art. 32, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, che, sebbene testualmente si limiti a fissare in venti giorni prima dell'udienza il termine perentorio ultimo per il deposito di documenti, si riferisce in effetti a tutte le iniziative che attengono al thema probandum, perciò concernenti anche l'indicazione di prove costituende e, più in generale, qualsiasi attività difensiva che valga ad introdurre nuovi temi d'indagine. E ciò si conferma in base al secondo comma della disposizione, che nei dieci giorni precedenti l'udienza consente soltanto la presentazione di memorie illustrative, le quali, proprio perché tali, hanno l'unica funzione di ulteriormente precisare posizioni difensive già assunte. merita pertanto consenso l'indirizzo per cui la scadenza di detto termine preclude la contestazione dei fatti allegati dalla controparte e dà luogo, quindi, alla situazione di non contestazione che genera l'effetto previsto dalla disposizione in esame. Ciò comporta, ovviamente, che entro lo stesso termine la parte deve costituirsi in giudizio, con la conseguenziale facoltà di esercitare i diritti non ancora consumati e di assumere un comportamento rilevante anche sul piano probatorio. E si può conclusivamente affermare che i fatti allegati dal contribuente con il ricorso debbono ritenersi non contestati se l'ente impositore si costituisca dopo la scadenza del termine suddetto”. COntRIbutI DI DOttRInA dente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”. La regola è che il giudice non è vincolato dalla legge nel valutare la prova, come nella c.d. prova legale (nella prova legale il legislatore sostituisce d’autorità il proprio convincìmento a quello del giudice). egli può liberamente apprezzarla, ricorrendo a massime di esperienza e nel rispetto delle regole di logicità e di non contraddizione. In via di eccezione, anche nel processo tributario si hanno dei casi di prova legale. Sono casi meno frequenti rispetto al processo civile -anche perché nel processo tributario è inammissibile il giuramento, prova legale per antonomasia, sicché si riduce l’ambito delle prove legali -ma comunque si hanno: valga per tutti il caso il documento nella forma dell’atto pubblico, avente valore di prova legale ex art. 2700 c.c. con riguardo all’estrinseco. 12. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel primo grado del giudizio. Circa il processo tributario di primo grado viene in rilievo la seguente disciplina. Il ricorrente, all’atto della costituzione in giudizio -da effettuarsi, a pena d'inammissibilità, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso -“deposita il proprio fascicolo, con l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato, se notificato, ed i documenti che produce, in originale o fotocopia” (art. 22, comma 4, D.L.vo n. 546/1992). Il resistente, all’atto della costituzione in giudizio deposita presso la segreteria della commissione adita il proprio fascicolo contenente le controdeduzioni (nelle quali occorre, tra l’altro, indicare le prove di cui intende valersi) e i documenti offerti in comunicazione (art. 23 D. L.vo n. 546/1992). La costituzione del resistente va effettuata entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale. Il termine per la costituzione del resistente non è comunque a pena di decadenza, atteso che può essere effettuata fino all’udienza pubblica o -nel caso della camera di consiglio -fino a dieci giorni liberi prima della trattazione, salve le decadenze maturate (ad es. i documenti possono essere prodotti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione). Inoltre non è causa di inammissibilità della costituzione in giudizio dell'Amministrazione finanziaria, a norma dell'art. 23 D.L.vo n. 546/1992, la genericità delle difese svolte e il mancato esercizio, nelle controdeduzioni, delle facoltà indicate nel terzo comma della citata disposizione (proposizione di eccezioni non rilevabili d'ufficio ed istanza per la chiamata di terzi in causa), producendo tale circostanza RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 solo la decadenza della parte resistente dalla possibilità di esercitare successivamente le stesse facoltà (62). Circa la modalità di indicazione dei documenti depositati è previsto che “i documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti” (art. 24, comma 1, D.L.vo n. 546/1992). La giurisprudenza è -condivisibilmente, attesa la necessità del rispetto del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa della parte contro la quale la produzione documentale è avvenuta -molto rigorosa su queste modalità, enunciando che la mancata indicazione nell'indice del fascicolo di parte degli atti e dei documenti di fatto allegati al ricorso, introduttivo o di appello, costituisce una irregolarità non sanabile, da parte del giudice, attraverso la materiale ricognizione ed acquisizione dei documenti effettivamente allegati all'atto che li richiama, con conseguente preclusione di utilizzo ai fini della decisione; per il giudice di legittimità tuttavia, poiché l'obbligo di indicazione dei documenti allegati è previsto -come evidenziato -a tutela del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa della parte contro la quale la produzione documentale è avvenuta, ove questa rinunci a far valere l'irregolarità o prenda posizione sull'efficacia probatoria dei documenti, dimostrando di averne avuto diretta e piena conoscenza, all'effettivo instaurarsi del contraddittorio tra le parti conseguirà il legittimo riconoscimento della produzione documentale e il conseguente utilizzo da parte del giudice (63). In vista della trattazione della controversia le parti possono porre in essere specifici atti processuali. In specie, le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione (in camera di consiglio o in pubblica udienza), memorie illustrative fino a dieci giorni liberi e -nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio -repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio (art. 32 D.L.vo n. 546/1992); i termini indicati sono perentori, atteso che il loro rispetto è necessario per assicurare alla parte interessata la possibilità di prendere cognizione degli atti prodotti dalla controparte al fine di tutelare il proprio diritto di difesa. tale regola deriva dalla divisione del processo in fasi e l'art. 32 in esame è una disposizione dettata nell'interesse pubblico ai fini del corretto svolgimento del processo stesso, da intendere come una serie di momenti ordinati in una successione temporale in vista del risultato finale (64). tanto è (62) Conf. Cass., 13 maggio 2003, n. 7329. (63) Così Cass., 10 febbraio 2017, n. 3593. (64) Anche e. DI GIACOMO, Il termine per il deposito dei documenti è perentorio: nel giudizio tributario la presentazione dei documenti oltre il termine previsto per legge ne determina l'inammissibilità, in Fisco, 2005, 37 - parte 1, pp. 5842 e ss. COntRIbutI DI DOttRInA confermato -con riguardo alla produzione dei documenti -dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che a più riprese ha affermato che detto termine, garantito dall'art. 24 della Costituzione, deve ritenersi perentorio, pur in mancanza di un'esplicita sanzione di decadenza dall'esercizio del relativo diritto di difesa per la parte onerata, in quanto diretto a tutelare il diritto di difesa della controparte ed a realizzare il necessario contraddittorio tra le parti processuali e tra queste e il giudice (65). Ove maturi una decadenza, può operare la rimessione in termini per errore scusabile, in applicazione della regola generale contenuta nell’art. 153, comma 2, c.p.c. -operante sempre per il medio dell’art. 1, comma 2, D.L.vo n. 546/1992 -secondo cui “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma” (66). L’iter potrebbe essere mutuato dall’art. 54, comma 1, c.p.a. per il quale “La presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta di parte, dal collegio, assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile”. (65) Ex plurimis: Cass. civ., 9 gennaio 2004, n. 138 secondo cui in tema di contenzioso tributario, l'art. 32, comma 1, D.L.vo n. 546/1992, riguardante la facoltà delle parti di depositare documenti "fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione", applicabile anche al giudizio di appello, in virtù del rinvio -alle norme relative al giudizio di primo grado -operato dall'art. 61 dello stesso testo normativo, pur in mancanza di una esplicita sanzione per la parte che intende avvalersene, è sottoposta a un termine perentorio e quindi sanzionato a pena di decadenza, ai sensi dell'art. 152, secondo comma, c.p.c., avuto riguardo allo scopo che il termine persegue ed alla funzione che lo stesso adempie, cosicché della documentazione prodotta fuori termine ed in violazione del diritto di difesa della controparte il giudice non può tenere conto ai fini della formazione del proprio convincimento. In senso analogo, Cass., 30 gennaio 2004, n. 1771. (66) In senso analogo in dottrina: M. CAntILLO, La nuova rimessione in termini nel processo tributario, in rass. Tributaria, 2010, 4, pp. 919 e ss. ove si rileva che il processo tributario “non contiene alcuna specifica previsione al riguardo e perciò, in forza del rinvio di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/92, si applica integralmente la disciplina dei termini processuali, racchiusa negli artt. 152-154 c.p.c.; e non è dubbio, quindi, che il "nuovo" istituto della rimessione in termini sia operante in tale processo, non costituendo ostacolo la peculiare struttura impugnatoria dello stesso”. Analogamente e. MAnOnI, La rimessione in termini nel processo tributario, in Fisco, 2014, 27, pp. 2685 e ss. la quale rileva che l’istituto della remissione in termini ha un autonomo riconoscimento implicito riconoscimento con la disposizione del comma 3 dell'art. 19 D.L.vo n. 546/1992: “all'elencazione degli atti autonomamente impugnabili, contenuta nel comma 1 dell'art. 19 del D.Lgs. citato, fa seguito (nel comma 3) la disposizione secondo la quale ognuno dei suddetti atti possa costituire oggetto di doglianza solo per vizi propri. Costituisce eccezione a quanto riportato il caso in cui l'atto prodromico a quello avverso il quale sia stato proposto ricorso non sia stato notificato alla parte. in questa ipotesi l'oggetto della lite, anziché essere circoscritto alla denunzia dei vizi propri dell'atto impugnato, può estendersi alla contestazione di quelli presenti nell'atto presupposto. Da una attenta lettura di tale comma, risulta subito evidente come la fattispecie di omessa o irrituale notifica integri il requisito soggettivo per poter avvalersi del rimedio in oggetto”. Ancora: e. MAnOnI, La rimessione in termini è rimedio per le decadenze extra ed endoprocessuali, in Fisco, 2018, 2, pp. 162 e ss. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 13. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel giudizio di appello. Quanto esposto, salva la speciale disciplina delle prove costituende, opera anche con riguardo al processo tributario di secondo grado. tanto in virtù della norma di richiamo contenuta nell’art. 61 D.L.vo n. 546/1992 secondo cui “Nel procedimento d'appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione”. A tale stregua, ad esempio, l’art. 32 del D.L.vo n. 546 del 1992 sul dies ad quem circa la produzione dei documenti trova applicazione anche al giudizio di appello. vi è poi la specifica disciplina delle nuove prove in appello contenuta nell’art. 58 del D.L.vo n. 546 del 1992: “1. il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. 2. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”. Il comma secondo della disposizione consente alle parti di produrre nuovi documenti in appello. Ogni altra prova (sia precostituita che costituenda) è bandita nel giudizio di impugnazione. Inoltre tale facoltà è concessa solo alle parti e non può disporsi la produzione d’ufficio di nuovi documenti in virtù dei poteri ex art. 7, comma 1, D.L.vo n. 546/1992 (ad es. in sede di accesso ivi regolata). nuovi documenti sono quelli non prodotti ancora in giudizio. A questa stregua, sono nuovi documenti -ovviamente e sicuramente -quelli venuti in essere in un tempo successivo alla fase istruttoria del giudizio di primo grado. Ma nuovi documenti sono anche quelli che erano producibili nel corso del primo grado del giudizio, in quanto esistenti e non prodotti dall’interessato. tanto risulta da plurimi fattori: a) in primo luogo, il tenore complessivo del- l’art. 58 sia nel primo che nel secondo comma: il secondo comma, che consente la produzione di nuovi documenti, è complementare alla regola del primo comma che comunque consente -a date condizioni -la produzione di documenti esistenti già nel primo grado di giudizio; b) limitare la produzione di nuovi documenti a quelli venuti in essere nel tempo successivo alla fase istruttoria del giudizio di primo grado condurrebbe ad una interpretazione abrogante del comma 2 dell’art. 58: non si è mai dubitato nel sistema della possibilità di produrre -ove abbiano rilevanza per il giudizio -documenti sopravvenuti (arg. ex art. 395, n. 3 c.p.c. e lo stesso primo comma dell’art. 58); c) nel processo civile -una disposizione analoga (art. 345, comma 2, c.p.c. nel testo antecedente alla novella operata dall’art. 52, L. 26 novembre 1990, n. 353) (67) (67) “Le parti possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l'ammis COntRIbutI DI DOttRInA prevedeva espressamente che si potevano produrre documenti già producibili in primo grado. In quest’ultima evenienza il giudice, tuttavia, poteva indipendentemente dalla soccombenza, condannare la parte che aveva operato la produzione tardiva al rimborso delle spese. nel senso ricostruito è l’orientamento giurisprudenziale, a partire dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto legittimo l’art. 58 citato nella parte in cui consente la produzione di documenti in appello che potevano essere prodotti anche nel primo grado del giudizio sul rilievo che “La previsione che un'attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché "il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile" (ordinanza n. 401 del 2000)” (68). La Corte di cassazione ha espresso un consolidato orientamento teso a ritenere legittima la produzione in appello dei documenti: a) nel caso in cui l'omessa produzione o la produzione oltre il termine di legge previsto in primo grado risultasse imputabile alla parte interessata (69); b) la produzione del documento fosse dichiarata inammissibile dal collegio di prime cure (70); c) nel grado di appello fossero prodotti documenti (prima) non versati in atti in violazione di un espresso ordine di esibizione da parte del giudice (71). nonostante il chiaro tenore della norma, la giurisprudenza di merito, ponendosi in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di cassazione, ha ritenuto talvolta illegittima la produzione nel giudizio di appello di documenti in possesso della parte e non prodotti per inerzia, ad essa imputabile, nel giudizio di primo grado (ad es. omessa produzione davanti al giudice di prime cure della prova della notifica di cartelle di pagamento da parte del- l'agente della riscossione), giungendo a conclusioni che, per quanto innanzi esposto, non sono condivisibili (72). sione di nuovi mezzi di prova, ma se la deduzione poteva essere fatta in primo grado si applicano per le spese del giudizio d'appello le disposizioni dell'articolo 92, salvo che si tratti del deferimento del giuramento decisorio”. (68) Così Corte cost., 14 luglio 2017, n. 199. (69) Cass., 14 maggio 2014, n. 10489; Cass., 11 aprile 2008, n. 9511; Cass., 21 luglio 2000, n. 9604. (70) Cass., 30 novembre 2016, n. 24398 precisante che in tema di contenzioso tributario, il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in appello, nel rispetto delle modalità previste dall'art. 32 D.L.vo n. 546/1992. (71) Cass., 12 febbraio 2013, n. 3353; id., 20 dicembre 2012, n. 23604. (72) Su tale orientamento della giurisprudenza di merito: M. tORtOReLLI, Produzione tardiva di nuovi documenti in appello: facoltà ammissibile anche in caso di inerzia della parte, in Fisco, 2017, 9, RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 La possibilità di produrre nuovi documenti in appello -ossia, in sostanza, di consentire una nuova istruttoria, tenuto conto che i documenti costituiscono la più importante ed utilizzata prova -ha notevoli ricadute in chiave sistematica. All’evidenza l’appello nel giudizio tributario non è una revisio prioris instantiae, come, tendenzialmente, è diventato l’appello nel giudizio civile (atteso il divieto di nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove disposto dall’art. 345 c.p.c.). Ma non è neppure un novum iudicium, tenuto conto che vi è il divieto di nuove domande e di nuove eccezioni. L’appello tributario, quindi, è un istituto a mezza via tra revisio prioris instantiae e novum iudicium. 14. modalità e termini per lo svolgimento dell’attività istruttoria nel giudizio di cassazione e di rinvio. nel giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, attesi i caratteri del giudizio, la regola è la inammissibilità di nuove prove, come canonizzato nell’art. 372 c.p.c. (73), applicabile per il medio dell’art. 62, comma 2, D.L.vo n. 546/1992 (“al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”). nel giudizio di rinvio all’esito della cassazione con rinvio disposto dal giudice di legittimità “si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado a cui il processo è stato rinviato” (art. 63, comma 3, D.L.vo n. 546/1992). 15. La contestazione dei documenti: querela di falso, disconoscimento e verificazione. Per quanto riguarda le modalità di contestazione dei documenti prodotti in giudizio, si rileva che la proposizione della querela di falso è espressamente consentita dall'art. 39 del D.L.vo n. 546/1992, il quale la prevede come una delle cause di sospensione del processo tributario. nulla dispone, in via espressa, il suddetto decreto in merito al disconoscimento delle scritture private ed all'eventuale esperibilità della procedura di verificazione di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. Il disconoscimento della scrittura privata consiste nella formale negazione della propria sottoscrizione o della propria scrittura da parte di colui contro il quale la scrittura viene prodotta pp. 847 e ss. con argomentate critiche allo stesso; altresì F. MARROne, arresto giurisprudenziale sul deposito di nuovi documenti in appello, in Fisco, 2012, 42 -parte 1, pp. 6761 e ss.; P. tuRIS, Produzione in appello di documenti non depositati in primo grado, in Fisco, 2012, 35 - parte 1, pp. 5672 e ss. (73) “Non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso. il deposito dei documenti relativi all'ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti”. COntRIbutI DI DOttRInA (art. 214 c.p.c.). Ai sensi dell'art. 216 c.p.c., la parte che intenda comunque avvalersi della scrittura disconosciuta, deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. Il procedimento di verificazione risulta pertanto avere natura sostanzialmente diversa dalla querela di falso, in quanto mira a conferire efficacia probatoria ad un documento che ne è sprovvisto, ed è limitato all'accertamento della provenienza della scrittura da chi ne è indicato come suo autore. nonostante l’assenza di una specifica previsione, gli istituti del disconoscimento delle scritture private e dell’eventuale esperibilità della procedura di verificazione di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. sono applicabili al processo tributario in virtù della norma di richiamo di cui all'art. 1, comma 2, D.L.vo n. 546/1992. Con riferimento alla verificazione giudiziale dei documenti disconosciuti, è discusso in giurisprudenza se la questione sulla verificazione della scrittura disconosciuta debba essere risolta dal giudice tributario in sede di cognizione incidentale ex art. 2, comma 3, D.L.vo n. 546/1992 -secondo cui "il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio" -oppure dal giudice ordinario con pronuncia idonea a passare in giudicato, previa sospensione del processo tributario (74). (74) Su tali contrastanti orientamenti: M. CICALA, A. RICCIOnI, La produzione di documenti nel processo tributario, in Fisco, 2003, 15 -parte 1, pp. 2240 e ss. ed altresì A. RuSSO, il procedimento di verificazione di scrittura privata e i dubbi sul giudice di riferimento, in Fisco, 2013, 2 -parte 1, pp. 197 e ss. ove si rileva che è ammesso nel processo tributario il procedimento di verificazione di scrittura privata, istituto processuale che una parte oppone a chi ha disconosciuto la paternità di un documento non autenticato, ma che tuttavia rimane controverso il tema sul giudice effettivamente preposto alla verificazione. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 anonimato e segni di riconoscimento nelle procedure concorsuali; il percorso della giurisprudenza amministrativa Andrea Ferri* Sommario: 1. i segni di riconoscimento nelle procedure concorsuali; definizione -1.1. il critrio di identificazione dei segni di riconoscimento su dati esclusivamente oggettivi -1.2. il criterio soggettivo di individuazione dei segni di riconoscimento -1.3. i segni di riconoscimento apposti dalle commissioni. 1. i segni di riconoscimento nelle procedure concorsuali; definizione. I segni di riconoscimento, nel campo del diritto, sono costituiti da quel- l’insieme di parole, caratteri di stampa, segni grafici, modalità di consegna degli elaborati che consentono -astrattamente -di conoscere l’identità del- l’autore dell’elaborato laddove egli debba -per una specifica previsione del procedimento -restare anonimo sino ad un certo punto delle operazioni. L’ambito di emersione -a livello giurisprudenziale -della tematica dei segni di riconoscimento è rappresentato -in maniera assolutamente preponderante -dalle procedure concorsuali per l’accesso all’impiego e sporadicamente dalle procedure per l’acquisto di beni e servizi, poste in essere dall’amministrazione. Il principio dell’anonimato costituisce una diretta derivazione dai principi di imparzialità (1) e buon andamento dell’amministrazione (2). vi è assoluta concordia giurisprudenziale nel ritenere che ogni elemento è suscettibile di essere considerato un segno di riconoscimento, non essendo possibile escludere che esso sia riconosciuto come tale da uno dei componenti della commissione; portando alle estreme conseguenze tale considerazione ne deriverebbe l’impossibilità di espletare una qualsiasi procedura selettiva, per (*) Dirigente del Ministero dell’Istruzione e del Merito presso l’ufficio Scolastico Regionale per le Marche, Preposto all’ufficio legale e responsabile dell’u.P.D. regionale. (1) Corte Costituzionale 453/1990 con nota di AzzARItI, Brevi note su tecnici, amministrazione e politica in Giurisprudenza costituzionale, 1990, vol. 35, fasc. 1, p. 2713, espressamente afferma che L’art. 97, primo comma, Cost. individua nella “imparzialità” dell’amministrazione uno dei principi essenziali cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici. alla salvaguardia di tale principio si collegano anche le norme costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici (art. 97, terzo comma) e che pongono i pubblici impiegati al servizio esclusivo della Nazione (art. 98). Sia l’una che l’altra di tali norme si pongono, infatti, come corollari naturali dell’imparzialità, in cui viene a esprimersi la distinzione più profonda tra politica e amministrazione. (2) Corte costituzionale 293/2009 in Giurisprudenza costituzionale, 2009, vol. 54, fasc. 6, p. 4478, con nota di bOttInO, La stabilizzazione in ruolo a tempo indeterminato dei dipendenti pubblici assunti con contratto di lavoro a termine; la regola del concorso pubblico (art. 97 comma 3) come principio nella fattispecie inderogabile, afferma che il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini. COntRIbutI DI DOttRInA il rischio immanente ed inevitabile che risulti violato l’anonimato dei concorrenti. Per una affermazione di tale principio si veda -ex plurimis -la sentenza del Consiglio di Stato numero 102/2013 (3) ove si afferma che nelle procedure concorsuali la regola dell’anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sia solo ipotizzabile il riconoscimento dell’autore del compito. Se infatti tutte le prove dovessero in tal caso venire annullate, sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi con esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca la scrittura di un candidato, benché il relativo elaborato sia formalmente anonimo. ne discende che per giungere all’identificazione di un qualsiasi elemento dell’elaborato come segno di riconoscimento occorre un quid pluris, ossia uno specifico elemento caratterizzante. Ciò è stato individuato in giurisprudenza allorchè la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di svolgimento della procedura, in tal caso a nulla rilevando che in concreto la Commissione o i singoli componenti di essa siano stati, o meno, in condizione di riconoscere effettivamente l’autore dell’elaborato scritto (Consiglio di Stato sentenza 5511/2006) (4). 1.1. il criterio di identificazione dei segni di riconoscimento su dati esclusivamente oggettivi. Pertanto il segno distintivo, per essere rilevante come tale deve presentare un carattere anomalo, inusitato, stravagante, rispetto alla regola, ossia all’abituale comportamento dei candidati in situazioni analoghe (l’id quod plerumque accidit). tale criterio possiede una dimensione esclusivamente oggettiva, traducendosi la difformità del segno in questione dalla normalità statistica osservabile, in una presunzione assoluta, non suscettibile di essere smentita (juris et de jure), di un intento fraudolento del candidato di voler palesare la sua identità ai componenti della commissione. Ciò si riscontra univocamente nelle più remote sentenze del Consiglio di Stato che fanno ricorso al sopradescritto elemento oggettivo. Il Consiglio di Stato nella sentenza numero 176/1983 (5) affermava che in un concorso per l’assegnazione di farmacie, non è provvedimento in contraddizione sul piano razionale con i comuni criteri della logica l’esclusione di un candidato dalla prova orale perché fu considerato evidente segno di riconoscimento il fatto che la busta contenente l’elaborato relativo alla prova pratica recava la dicitura (3) http://giustizia.amministrativa.it. (4) http://giustizia.amministrativa.it. (5) vedi la massima in CeD cassazione. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 “farmacia” al di sopra dell’etichetta incollata sulla busta, anziché sull’etichetta come avrebbe dovuto essere e come avevano fatto gli altri candidati. Ancora Consiglio di Stato nella sentenza numero 773/1983 (6) affermava che sono illegittime le prove scritte di concorso, redatte a matita ovvero con la stenografia nelle minute, potendo configurarsi quali possibili segni di riconoscimento dei concorrenti, che ne hanno fatto uso. Di poco piu recente è Consiglio di Stato sentenza numero 762/1986 (7) in cui si legge che è legittima l’esclusione dalle prove orali di un concorso del candidato che, durante la prova scritta, usi una grafia così diversa nel- l’elaborato finale, rispetto alla minuta da far sì che tale diversità si presti ad essere considerata come un vero e proprio segno di riconoscimento. Il Consiglio di Stato nella sentenza numero 1361/1992 (8) precisava che l’attribuzione, da parte di un candidato alla prova scritta di un concorso pubblico, del nome di Pinco Pallino ad un ipotetico sindaco sottoscrittore di un’ordinanza amministrativa, oggetto simulato del caso specifico trattato con la prova pratica, non costituisce segno di identificazione, né sottoscrizione o altro contrassegno, non essendo idoneo, in modo univoco ed obiettivo, a violare il principio dell’anonimato. Ne consegue che deve essere considerato illegittimo l’annullamento della prova scritta effettuato per tale motivo. La sentenza considera appropriatamente la realtà delle cose dal momento che Pinco Pallino, anche nel linguaggio comune designa -non diversamente da quanto avviene con i nomi usati nella giurisprudenza romana -il quisque de populo e pertanto ben poteva servire a dare una identità fittizia all’immaginario autore dell’atto. La sentenza 5511/2006 (9) ritiene violato l’anonimato di una prova concorsuale dal comportamento di una candidata che non aveva chiuso -prima di consegnarla -la busta contenente le sue generalità. A confutare la difesa della candidata ricorrente contro l’esclusione che riteneva non provata l’intenzionalità della propria condotta il collegio rispondeva che il richiamo alla “necessaria” intenzionalità del comportamento che dovrebbe accompagnare la violazione del principio dell’anonimato non trova supporto nella normativa di cui nella specie si è fatta applicazione. ratio determinante della conclusione è stata la circostanza che la chiusura della busta contenente i dati anagrafici fosse specificamente richiesta dalla lex specialis (il regolamento delle prove per conseguire il titolo di procuratore legale) e come quindi non potesse esservi in capo alla candidata incertezza sul comportamento da tenere. (6) ibidem. (7) ibidem. (8) In Temi romana, 1991, fasc. 1, pp. 212 e ss. con un commento a t.a.r. Lazio, II, n. 396/1991, RODOLFO MuRRA, Prove scritte nei pubblici concorsi e principio dell’anonimato. Pinco Pallino chi era costui? (9) http://giustizia.amministrativa.it. COntRIbutI DI DOttRInA nella sentenza 877/2010 (10) il Consiglio esclude che l’uso da parte di una candidata del carattere stampatello maiuscolo integrasse la fattispecie del segno di riconoscimento in quanto l’uso della scrittura in stampatello maiuscolo, pur non essendo abituale da parte dei candidati, è comunque una modalità di uso, specialmente quando il candidato stesso, per timore di non essere ben compreso, intende chiaramente rappresentare da un punto di vista grafico le proprie argomentazioni. Il concorso da procuratore legale costituisce lo sfondo anche della sentenza 4119/2010 (11) nella quale il Consiglio di Stato conferma l’esclusione di una candidata nelle cui buste erano stati rinvenuti alcuni fogli non vidimati dalla Commissione, ritenuti evidente segno di riconoscimento. Il Collegio ha affermato che il fatto che la candidata possa (come oggi sostiene) aver diviso in due parti i fogli vidimati dalla Commissione e poi stracciato o eliminato nella fretta le facciate sulle quali era stato apposto il timbro non ha rilevanza, in quanto ciò che conta è, come si è detto, la idoneità obbiettiva del segno a fungere da elemento di identificazione. A confermare una comune ratio con la sentenza 877/2010 sta l’affermazione che era preciso onere dei candidati quello di controllare la regolarità formale degli elaborati consegnati alla Commissione; si deve concludere che laddove le prescrizioni del bando o altre fonti normative esigano dai concorrenti uno specifico comportamento volto a tutelare l’anonimato nonché la regolarità delle prove (il chiudere la busta coi dati anagrafici, l’usare i soli fogli vidimati dalla commissione) il comportamento inosservante è segno di riconoscimento dal momento che non vi è incertezza alcuna circa il comportamento da tenere. nella recente sentenza del Consiglio di Stato 2172/2021 (12) torna il medesimo iter argomentativo delle sentenze 877/2010 e 4119/2010 in quanto si riconosce l’illegittimità dell’esclusione di un candidato in quanto all’esito della prova pratica la cartella di lavoro non risulta rinominata dal candidato con inserimento del codice come richiesto dalle istruzioni. Dal momento che l’omissione imputata al candidato atteneva invece alla mancata esecuzione di una specifica operazione della prova pratica e conseguentemente in assenza di una specifica previsione nella lex specialis del concorso, la mancata esecuzione di tale operazione non poteva, tuttavia, ridondare nel vizio di nullità della prova in ragione dell’asserito rischio per l’anonimato, ma al più, costituendo profilo di valutazione delle capacità tecniche del candidato, poteva incidere sulla valutazione delle prove. La circostanza che si fosse individuato inadempimento del candidato la cui inosservanza ne aveva comportato l’esclusione al di là delle previsioni della lex specialis è stata ri (10) http://giustizia.amministrativa.it. (11) http://giustizia.amministrativa.it. (12) http://giustizia.amministrativa.it. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 conosciuta di per sé stessa come illegittima, in quanto faceva gravare in capo a lui un onere improprio. nella sentenza 1740/2012 (13) in applicazione di tale criterio viene negato il valore di segno di riconoscimento e conseguentemente l’esclusione della candidata dal concorso ad una cancellatura atta ad oscurare (nella prospettazione dell’attore), in maniera che tuttavia rendeva visibile la scrittura sottostante, il nome ed il cognome della stessa. Il Collegio ha affermato che dall’esame dell’originale dell’elaborato acquisito in giudizio, emerge la presenza di una pluralità di cancellature a penna, tali da rendere invisibili le parole sottostanti. in particolare, al termine dell’elaborato, vi sono due cancellature, l’una sul lato sinistro, di piccola dimensione, tale da non poter neanche nascondere nome e cognome, ove fossero stati apposti per esteso, l’altra, sul lato destro, di dimensioni maggiori, che -quanto meno ad occhio nudo -oscura ed occulta totalmente la scrittura sottostante ed attraverso la quale non risulta visibile il supposto nome e cognome della candidata. escluso che la cancellatura nascondesse -ancora leggibile -il nome della candidata il collegio esclude anche che la presenza delle cancellature potesse costituire segno di riconoscimento ritenendo che l’apposizione di cancellature (peraltro non isolate, ma in un certo numero) a penna nell’elaborato è fatto riconducibile ad una incertezza usuale nei candidati, rilevabile nella maggior parte degli elaborati di una selezione concorsuale e non connotata da un carattere di anomalia tale da poter mettere la Commissione o un suo componente in condizione di riconoscerne l’autore. Per questo, essa non è configurabile come segno di riconoscimento. In punto di fatto la soluzione adottata dal Supremo Collegio non appare convincente dal momento che le due cancellature materia del contendere erano strategicamente collocate l’una in fondo all’elaborato sul margine sinistro e l’altra specularmente sul margine destro; i giudici si sono limitati ad accertare che le cancellature non consentissero di scorgere sotto di esse il nome della candidata, con ciò escludendo tout court la presenza di segni di riconoscimento. nella sentenza 102/2013 (14) il Consiglio di Stato è chiamato a valutare se concreti la fattispecie del segno di riconoscimento il comportamento di una candidata la quale nel redigere gli elaborati ha scritto la traccia sulla prima facciata dei fogli protocollo e, dopo aver lasciato completamente in bianco la successiva parte della stessa prima facciata, ha iniziato a svolgere il suo lavoro a partire dal secondo rigo della seconda facciata ed ha poi apposto sul margine alto di sinistra della prima facciata del foglio una cancellatura che, a parere dell’appellante, sembrerebbe nascondere il nome “maria”, ossia il primo dei suoi nomi di battesimo. Sebbene a detta del Consiglio tali dati siano stati rico (13) http://giustizia.amministrativa.it. (14) http://giustizia.amministrativa.it. COntRIbutI DI DOttRInA nosciuti realmente esistenti all’esito della verifica delle prove esso ha affermato che la stesura dello scritto a partire dal secondo rigo della facciata non è una anomalia tale da poter mettere la Commissione o un suo componente in condizione di riconoscerne l’autore. Tale modalità, peraltro, è del tutto consueta e assai frequente e che seppur meno frequente, anche la scelta, da parte della candidata..., di lasciare in bianco la facciata su cui è stata scritta la traccia, per iniziare la stesura dell’elaborato dalla seconda facciata, non può essere considerata una anomalia sufficiente a comprovare in modo inequivoco l’intenzione della candidata di rendere conoscibile il proprio elaborato alla Commissione. Ciò che sconcerta nell’iter motivazionale della sentenza è il fatto che non si pronunci sull’aspetto più macroscopico, ovvero la presenza di cancellature sotto le quali si potevano scorgere il primo nome della candidata. un’ulteriore riprova dell’ostilità a ravvisare da parte dei giudici di palazzo Spada un segno di riconoscimento che porti all’esclusione del candidato è fornita dal parere 187/2017 (15) in ordine al ricorso di alcuni candidati esclusi dal concorso a dirigente scolastico. I ricorrenti volevano fossero riconosciuti come illeciti segni di riconoscimento: cancellature e scarabocchi in un elaborato; scritti a colonna in due elaborati; elaborati in brutta copia con richiamo in bella copia; dicitura in un elaborato: “N.B. NoN ComPLETaTa CoPiaTUra iN BELLa. CoNTiNUa E riPrENDE Da PaGiNa 6 DELLa BrUTTa CoPia. mi SCUSo. BUoN LaVoro”; dicitura in altro elaborato: “Si riNGraZia PEr L’aT- TENZioNE” ... ... non mostrano invece -sia per le loro caratteristiche intrinseche, sia in rapporto all’alto numero dei candidati nella prova scritta caratteristiche tali da dimostrare vizio dell’intera procedura di concorso. Invero, se le cancellature ed i richiami alla brutta copia potevano rispettivamente ricondursi ad incertezze e ripensamenti dei candidati ed il richiamo alla brutta copia considerarsi rispondente all’esigenza di congiungere visibilmente le parti dell’elaborato in bella copia a quelle rimaste in brutta copia per una verosimilissima mancanza del tempo per ricopiare anch’esse, il rivolgersi alla commissione con le espressioni mi scuso buon lavoro e si ringrazia per l’attenzione rappresentano modalità assolutamente inusitate in un elaborato concorsuale; il collegio ne esclude il carattere viziante con la motivazione dell’alto numero dei candidati che però non è assolutamente idonea a giustificarne l’apposizione, ben potendo comunque sussistere la volontà di alcuni candidati di farsi riconoscere. tale intenzione non può però formare oggetto di un distinto accertamento sul piano soggettivo dal momento che non sono rinvenibili elementi ulteriori rispetto al carattere del tutto anomalo di tali esternazioni. L’unica possibilità -in concreto praticabile -sarebbe stata una verifica sul se i vari candidati autori degli elaborati contestati fossero o meno stati promossi in misura statisticamente più rilevante rispetto agli altri candidati e se (15) http://giustizia.amministrativa.it. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 avessero conseguito votazioni più alte; inibiva questa attività l’elevato numero dei candidati ed il ridotto numero di quelli attenzionati per avere apposto segni di riconoscimento, che non avrebbero potuto rappresentare un campione significativo. Ancora Consiglio di Stato 2775/2019 (16) risolve in termini schiettamente oggettivi la questione se l’utilizzo di penne con colori diversi, ovvero le cancellature sull’elaborato potessero costituire segni di riconoscimento tali da comportare come esito l’esclusione dei candidati escludendo tale evenienza con l’osservazione che tali comportamenti erano nella loro materialità rispondenti all’id quod plerumque accidit costituendo evenienze fisiologiche nello svolgimento delle prove concorsuali in quanto il cambio di colore della penna è accadimento che può capitare di frequente, e gli sbarramenti di parti del testo trasversali o ad andamento sinusoidale sono i modi con cui si procede alle cancellature. 1.2. il criterio soggettivo di individuazione dei segni di riconoscimento. Successivamente emerge nella giurisprudenza -affiancando senza sostituire il precedente orientamento che fondava la qualificazione del segno come illegittimo segno di riconoscimento su soli elementi oggettivi -un orientamento diverso e maggiormente garantistico per il candidato. un’enunciazione limpida di tale indirizzo si rinviene nella sentenza del Consiglio di Stato 202/2014 (17) ove accanto al primo requisito ovvero l’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione, che ricorre quando la particolarità riscontrata assuma un carattere oggettivamente e incontestabilmente anomalo rispetto alle ordinarie modalità di estrinsecazione del pensiero e di elaborazione dello stesso in forma scritta se ne richiede un secondo per il quale si esclude che possa operare un automatismo tra astratta possibilità di riconoscimento e violazione della regola dell’anonimato, dovendo emergere elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il proprio elaborato. Seguendo questa linea interpretativa per ascrivere un elemento al genus dei segni di riconoscimento occorre la sussistenza di entrambi i requisiti, quello soggettivo ed oggettivo; la differenza con l’indirizzo oggettivistico sta nel fatto che dimostrata l’anomalia rispetto alla normalità delle cose, occorre ancora dimostrare il secondo requisito, quello dell’intenzionalità da parte del candidato. tale dimostrazione dell’insussistenza di una intenzionalità del candidato sembra configurare un requisito la cui esistenza -la prova della quale è in capo all’amministrazione -è difficilmente dimostrabile in quanto esso in sostanza coincide con la prova di una dolosa concertazione tra candidato ed (16) http://giustizia.amministrativa.it. (17) http://giustizia.amministrativa.it. COntRIbutI DI DOttRInA uno dei commissari o quantomeno una pregressa conoscenza tra il candidato ed un commissario, in mancanza della quale non avrebbe senso che il candidato rischiasse l’esclusione ricorrendo ad un segno di riconoscimento. un primo esempio di tale nuovo indirizzo è offerto dalla sentenza del Consiglio di Stato 5017/2004 (18) che si è occupata dell’avvenuta esclusione di numerosi candidati dal concorso per procuratori legali, motivata dalla circostanza che le buste contenenti i dati anagrafici presentavano uno scollamento. I giudici -constatato che sotto il profilo oggettivo sussistevano i requisiti del segno di riconoscimento -spostano la loro analisi alla sussistenza dell’intenzionalità della condotta dei candidati, escludendola e cosi annullandone l’avvenuta esclusione dalla prova. Per escludere la sussistenza di un segno di riconoscimento i giudici ritengono lo scollamento delle buste un fatto non direttamente ascrivibile ai candidati, prodottosi successivamente forse a causa della cattiva qualità dei materiali; dicono infatti che l’esclusione non può farsi dipendere dalla mera accidentalità o dal caso fortuito. La conclusione raggiunta è corroborata dal fatto che le buste scollate erano decine, il che rendeva difficile pensare che decine di candidati avessero usato il medesimo segno di riconoscimento. La sentenza del Consiglio di Stato 2025/2011 (19) -pur affermando in via di principio la necessità del successivo accertamento prima dell’elemento oggettivo e poi di quello soggettivo -faceva ricorso solo al primo dei due elementi per risolvere la controversia. i giudici ritenevano con ragione l’inesistenza di denunciati segni di riconoscimento, rilevando che non emerge alcun elemento che assuma un carattere oggettivamente ed incontestabilmente anomalo, laddove gli spazi bianchi lasciati nella prima pagina corrisponderebbero allo spazio occupato dal timbro e quelle lasciate nelle pagine successive corrisponderebbero alla spaziatura che segna l’intervallo tra le diverse risposte della prova scritta, articolata in quesiti a risposta sintetica, seguendo, quindi, un naturale principio di ordinata stesura dell’elaborato. Dello stesso tenore è la recentissima sentenza del Consiglio di Stato 5658/2021 (20) nella quale si fa riferimento alla necessità di appurare la sussistenza dell’elemento soggettivo, da intendersi come intenzionalità nell’apposizione del segno di riconoscimento, pervenendosi all’esclusione di tale eventualità in base alla constatazione che l’indicazione di prezzi, numeri di protocollo, data, località, comune e provincia non riveste, nell’ambito della redazione della prova pratica, quel carattere di idoneità ed intenzionalità tale da ritenere inequivocabilmente infranta, in concreto, la regola dell’anonimato nella redazione della prova pratica; a dimostrazione della osmosi tra i due in (18) http://giustizia.amministrativa.it. (19) http://giustizia.amministrativa.it. (20) http://giustizia.amministrativa.it. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 dirizzi interpretativi la conclusione sarebbe stata identica anche se si fosse aderito all’indirizzo oggettivistico facendo leva sul dato che dettagliare il contenuto di una prova pratica è una modalità usuale e fisiologica nell’ambito di una prova pratica che necessariamente si traduce in uno studio di caso. nel caso trattato dalla sentenza del Consiglio di Stato 202/2014 (21) si domandava fosse dichiarato segno di riconoscimento -in un concorso a posti per architetto -l’avere un candidato in calce all’elaborato d’esame -dove usualmente (al di fuori del campo concorsuale) compare la firma dell’autore -scritto il nome di Paolo Portoghesi (un noto architetto). Il collegio già sul piano del profilo oggettivo dell’accertamento della sussistenza di un segno di riconoscimento lo escludeva perché il nome di fantasia utilizzato, una sola volta, richiama quello di un celebre collega architetto, nell’ambito di una simulazione pratica di un atto tipico di quella professione. Sebbene vi fosse la riconosciuta insussistenza sul piano materiale di un segno di riconoscimento i giudici ad abundantiam esaminavano anche il profilo soggettivo per escludere l’esistenza di un segno di riconoscimento con la motivazione che nella prova di cui si discuteva l’odierno appellante ha riportato una valutazione identica a quella dell’originario ricorrente. Non può, quindi, contrariamente a quanto affermato dal primo Giudice, ritenersi che sia stata violata la regola dell’anonimato. L’argomentazione usata è interessante perché se l’intenzionalità del candidato è rivolta a rendere riconoscibile il proprio elaborato per uno o più dei commissari di esame, allo scopo di ottenerne un più favorevole trattamento, l’acclaramento ex post che tale più favorevole trattamento non vi sia stato, dimostra l’inesistenza di questa intenzionalità; si potrebbe invero sostenere -su di un piano strettamente logico -che il mancato conseguimento del vantaggio atteso sia dipeso da una differente valutazione dei commissari ai quali il ricorrente era estraneo ed ignoto, ma ciò sarebbe una pura illazione non dimostrabile a fronte del fatto incontrovertibile che quel risultato ambito non è stato raggiunto. Pure la sentenza 5137/2015 (22) del medesimo giudice -pur ritenendo che la sussistenza dei segni di riconoscimento dovesse essere assoggettata al duplice accertamento del carattere inusitato del segno e dell’intenzionalità del candidato di porlo in essere -risolve la questione sul solo piano oggettivo; essa correttamente esclude che possa attribuirsi valore di segno di riconoscimento laddove esso sia fatto pretesamente consistere non già in segni grafici, né nell’uso di peculiari termini o forme verbali, bensì nel grado di dettaglio asseritamente eccessivo con il quale, nella prova d’esame consistente nella predisposizione di una proposta organizzativa per l’ufficio da dirigere, alcuni controinteressati hanno sviluppato la propria proposta: ciò che, con ogni evi (21) http://giustizia.amministrativa.it. (22) http://giustizia.amministrativa.it. COntRIbutI DI DOttRInA denza, sfugge ad ogni valutazione di carattere neutro e oggettivo, ed è quindi inidoneo a soddisfare le condizioni sopra richiamate per ravvisare la violazione dell’anonimato. Anche la sentenza 652/2018 (23) afferma in via di principio la necessità di accertare dopo l’elemento oggettivo anche l’intenzione del concorrente, ma risolve la questione sul piano del solo elemento oggettivo, asserendo che nel caso di specie, invero, i segni contestati non solo non denotano l’intenzionalità del concorrente di rendersi riconoscibile e comunque si tratta di segni che rientrano nell’ambito di una plausibile normalità redazionale. Profili peculiari presenta la sentenza 4331/2018 (24) del Consiglio di Stato dal momento che essa è dedicata -non ad un concorso per il reclutamento di personale -ma ad un concorso di progettazione di un immobile nel quale la valutazione dei progetti doveva avvenire nell’anonimato, ossia senza sapere a quale azienda o raggruppamento di imprese fossero attribuibili i progetti. era accaduto che l’impresa risultata vincitrice non aveva esattamente composto il codice alfanumerico scelto dall’impresa -con i soli limiti del numero di lettere e numeri e delle loro rispettive posizioni -ma aveva aggiunto un numero in più sulla busta contenente l’offerta tecnica; perdipiù l’errore riguardava non tutta la documentazione prodotta ma un solo plico. Il Collegio ha ritenuto sussistere la prima condizione ossia l’astratta riconoscibilità del segno a causa della marcata sua difformità rispetto allo standard. È poi passato all’elemento soggettivo il cui acclaramento avrebbe determinato l’esclusione, finendo per escludere la sussistenza dell’elemento intenzionale con la considerazione che l’alterazione del codice rappresenta un mezzo del tutto ultroneo, essendo a ciò sufficiente la semplice comunicazione del codice scelto; di seguito si legge che in altri termini, l’idoneità della discrepanza a rivelare l’identità del presentatore del progetto non era di certo superiore a quella di una semplice, e ben difficilmente tracciabile preventiva comunicazione ai Commissari del codice alfanumerico liberamente scelto ed apposto alle buste dal concorrente: strumento più semplice e meno rischioso per conseguire il medesimo risultato, e quindi tale da assorbire la rilevanza di diversi, assai più incerti segni di riconoscimento. Semplificato all’essenziale, l’argomentare del Consiglio di Stato può ridursi all’affermazione che, in luogo di porre in essere un segno di riconoscimento che potesse essere identificato come tale da un commissario a lui vicino, il concorrente avrebbe più direttamente e semplicemente potuto comunicare in qualsiasi momento a tale commissario il codice alfanumerico conforme alle prescrizioni di gara. Questa riflessione tranchant spiega il perché il Consesso nella propria giurisprudenza recente abbia perlopiù escluso la sussistenza di un segno di riconoscimento che potesse comportare l’esclusione (23) http://giustizia.amministrativa.it. (24) http://giustizia.amministrativa.it. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 del partecipante alla procedura. tale atteggiamento è invero determinato dalla convinzione realistica e disincantata -evidente nella sentenza 4331/2018 -che colui che abbia una relazione preferenziale con un commissario non farebbe ricorso ai segni di identificazione come tipizzati dalla giurisprudenza col rischio di farsi scoprire ma comunicherebbe al commissario infedele altri segni identificativi non suscettibili di determinare l’annullamento della prova, ad esempio comunicandogli le prime parole dell’elaborato; il frequente negare che ci si trovi di fronte ad un segno di riconoscimento nasce anche dalla consapevolezza che per prevenire illegittimi sodalizi tra candidati e commissari la via maestra è un vaglio severo delle cause di incompatibilità tra candidati e commissari. esemplare dei limiti e delle condizioni restrittive che consentono di riconoscere il carattere invalidante a tali segni di riconoscimento è la sentenza del t.a.r. Calabria sez. staccata di Catanzaro 2009 n.138 (25). In essa che si occupava di un concorso per un posto di ricercatore universitario era accaduto che nella prova scritta uno dei soli due candidati ammessi alle prove scritte aveva citato nel corso dell’elaborato un articolo pubblicato in rivista indicandone i nomi dei coautori ovvero sé stessa ed il presidente della commissione esaminatrice; disattendendo le censure della controinteressata secondo la quale la citazione di opere a supporto delle proprie tesi rappresenta un aspetto ineludibile di un elaborato scientifico, il t.a.r. ha ribadito che sarebbe stato sufficiente citarne contenuti e risultati e dinnanzi all’obiezione che la citazione ben avrebbe potuto essere fatta anche dal candidato ricorrente prova troppo in un concorso che ha visto la partecipazione di un altro solo candidato. Sebbene il tribunale non dichiari espressamente di propendere per una delle due tesi quella oggettivistica che si contenta del solo carattere macroscopicamente inusuale del segno, ovvero quella che esige anche l’ulteriore dato soggettivo del- l’intenzionalità del gesto del candidato, nei fatti propende per la seconda tesi; infatti il palesato segno di riconoscimento ben poteva essere intelligibile da parte di un commissario d’esame che ne era il coautore; qui dunque risulta per tabulas il fine perseguito dalla candidata attraverso la propria autocitazione ed il pressochè certo destinatario di essa. La Corte -con affermazione di principio -afferma che la severità nella valutazione del canone dell’anonimato è inversamente proporzionale alla dimensione della comunità di riferimento (testualmente dove i candidati operano nella medesima comunità scientifica, spesso con collaborazioni e pubblicazioni svolte insieme a componenti della commissione d’esame, e dove partecipano pochi candidati (qui solo due), la capacità di alcuni dati di rendere riconoscibile l’autore della prova diviene (25) rassegna avvocatura dello Stato, 2009, fasc. 4, pp. 289-296 con nota di AntILLO, L’operatività del principio dell’anonimato nei concorsi pubblici (con particolare riferimento ai concorsi con due partecipanti). COntRIbutI DI DOttRInA senz’altro maggiore rispetto a qualunque altro concorso al quale partecipa un elevato numero di concorrenti). viceversa per un’ulteriore conferma dell’orientamento restrittivo vi è il parere 869/2017 (26) reso in occasione di un ricorso straordinario al capo dello Stato relativo al concorso per dirigenti tecnici presso il MIuR, la cui particolarità stava nel numero delle prove -due comuni a tutti ed una propria del sottosettore scientifico di riferimento. L’osservazione del candidato escluso consisteva per una parte nella presenza di pretesi segni di riconoscimento quali l’apposizione della scritta “brutta copia” o “bella copia”, con rinvio a quest’ultima ove la copiatura del testo non fosse avvenuto in maniera integrale che abbiamo visto essere considerata con ragione una evenienza fisiologica e comune. La recente sentenza dei giudici di Palazzo Spada 6226/2019 (27) costituisce una conferma del criterio soggettivo temperato nella individuazione dei segni di riconoscimento; con riferimento all’esclusione di una candidata per la ragione che la bustina contenente le generalità del candidato si presenta aperta (non manomessa) e non risulta piegato il lembo di chiusura che reca ancora apposta la striscia bianca a copertura dell’adesivo di chiusura i giudici concludono che l’omessa chiusura della busta contenente il nome del candidato rappresenta una condotta oggettivamente abnorme e, come tale, idonea a rappresentare una modalità per la identificazione del candidato. I giudici escludono che l’omissione possa non essere ascrivibile al candidato dal momento che l’indagine condotta aveva evidenziato che non si era trattato di distacco accidentale o di evento non imputabile al candidato (ad esempio per scarsa qualità della colla) avendo verbalizzato che “non risulta piegato il lembo di chiusura che reca ancora apposta la striscia bianca a copertura dell’adesivo di chiusura”. Il verificarsi di una simile evenienza avrebbe escluso la negligenza del candidato facendo venire meno in radice la questione della riconoscibilità del segno. Il collegio procede osservando che v’è certamente spazio per la indagine sulla intenzionalità della condotta nei casi non univocamente sintomatici della volontà di farsi riconoscere (Cons. Stato, ad. plen., n. 26/2013), ma non quando la condotta è oggettivamente abnorme come nel caso della violazione della regola fondamentale posta a presidio dell’anonimato con ciò teorizzando che l’accertamento della intenzionalità della condotta del candidato è una fase successiva eventuale da espletarsi nel caso in cui l’abnormità del comportamento non la renda evidentemente superflua. La prova dell’intenzione fraudolenta del candidato va desunta, per via indiretta o presuntiva, dalla natura in sé dell’elemento riconoscibile e dalla sua suscettività oggettiva di comportare la riferibilità dell’elaborato stesso a (26) http://giustizia.amministrativa.it. (27) http://giustizia.amministrativa.it. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 un determinato soggetto. ne discende che la prova dell’elemento soggettivo non può che essere ricavata dalle modalità oggettive di estrinsecazione del comportamento e quindi dall’inusualità del comportamento ovvero dalla dimostrazione che esso si è manifestato in maniera indipendente dalla volontà del suo autore (per esempio, nel caso di specie, si è potuto escludere che l’apertura della busta sia stata dovuta ad un successivo scollamento del lembo); la circostanza che l’elemento soggettivo del comportamento debba essere inferito dall’esame di un dato oggettivo rende estremamente fluida la differenziazione tra la teoria soggettiva e quella oggettiva potendo l’uso dell’una o dell’altra di esse condurre ad identiche conclusioni pratiche. 1.3. i segni di riconoscimento apposti dalle commissioni. L’altro settore in cui emerge a livello giurisprudenziale la tematica dei segni di riconoscimento è quello dell’eventuale apposizione di essi da parte di componenti della commissione o comunque da soggetti riconducibili al- l’Amministrazione. Pertanto la valutazione di un possibile vulnus al principio dell’anonimato ha ad oggetto un comportamento che parte dall’amministrazione. Occorre domandarsi se ogni mera difformità rispetto allo standard che si traduca nell’apposizione di un segno potenzialmente valutabile come di riconoscimento sia invalidante, ovvero se esista una soglia entro la quale tali dati non siano invalidanti; tale opinione è assimilabile al filone giurisprudenziale che fonda l’illegittimità del segno di riconoscimento sulla sola dimensione oggettiva. Analogamente a quanto avviene nell’ipotesi dei segni di riconoscimento apposti dai candidati, altra giurisprudenza richiede che dal- l’inosservanza della disposizione -posta a tutela dell’anonimato -sia discesa la compromissione concreta delle operazioni concorsuali, quindi un quid pluris, collocato sempre sul piano oggettivo e fondato su di un giudizio prognostico a posteriori. Passando ad una concreta verifica delle sentenze del Consiglio di Stato, la 481/2008 (28) -a fronte di una situazione nella quale per effetto della mancata indicazione da parte della commissione di criteri univoci in ordine alle modalità di svolgimento della prova era accaduto che quelle svolte dal ricorrente, sono state redatte per intero su fogli stampati da personal computer mentre gli altri concorrenti avevano scritto a mano su fogli bollati forniti dall’Università, il che avrebbe reso riconoscibili le prime -ritiene esistente in re ipsa una manifesta alterazione della par condicio insita nella gravità e diffusione delle violazioni dell’anonimato. Pure interessante è la sentenza del Consiglio di Stato 1928/2010 (29). La questione ad essa sottoposta concerneva un concorso universitario nel quale (28) http://giustizia.amministrativa.it. (29) http://giustizia.amministrativa.it. COntRIbutI DI DOttRInA era accaduto che sui lembi di chiusura delle buste contenenti gli elaborati dei candidati risultino le sigle dei membri della Commissione apposte in maniera macroscopicamente diversa da busta a busta ovvero che su alcune di esse sia stata marcata la data con la sola indicazione del giorno e del mese mentre su altre vi si legge il giorno, il mese e l’anno. I giudici concludevano che risulta un quadro di elementi indiziari sufficientemente univoco per ritenere che le regole dell’anonimato, nella procedura valutativa per cui è giudizio, siano state effettivamente violate. Significativo è che di fronte all’obiezione dei vincitori controinteressati secondo cui le pretese anomalie nelle sigle e nella indicazione della data riguarderebbero una indistinta pluralità di buste, con la conseguenza che non sarebbe agevole ricavare da tali asseriti segni di riconoscimento il percorso logico per giungere ad individuare gli elaborati dei soggetti poi risultati vincitori della selezione -il senso dell’eccezione stava nel dire che le plurime violazioni del principio di anonimato in quanto concernenti un numero non esiguo di soggetti non potevano consentire l’individuazione del candidato da favorirsi e quindi non potevano aver messo in pericolo la imparzialità della procedura -la replica del Consiglio di Stato persuasivamente rileva che constatata una rilevante violazione dell’anonimato la procedura è da annullarsi senza che sia necessario (per inferirne la illegittimità) ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli. una più ponderata ed accurata esposizione dell’opinione giurisprudenziale per cui occorre un pericolo di compromissione della procedura a causa della violazione della regola dell’anonimato è nell’ordinanza di rimessione che ha originato la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato numero 26/2013 (30). essa riguardava le prove di accesso per la facoltà di medicina (a numero chiuso). Con riferimento all’anomalia denunciata, ossia l’avere la commissione e gli addetti alla vigilanza raccolto i compiti in ordine alfabetico, apponendo su un foglio poi allegato al verbale il codice alfanumerico attribuito al candidato riponendo poi gli elaborati -consistenti in domande a risposta chiusa da correggere a mezzo di un lettore ottico -in ordine alfabetico dentro i faldoni, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia escludeva una effettiva compromissione della regolarità delle procedure concorsuali. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia affermava -nel riassunto che delle sue argomentazioni fa l’Adunanza plenaria -che in particolare alcuni comportamenti materiali posti in essere dalla Commissione ( distribuzione dei test ai candidati e ritiro degli stessi seguendo l’ordine alfabetico / apposizione sull’elenco identificativo accanto al nome del (30) http://giustizia.amministrativa.it a commento di esse vedi SILvIO bOLOGnA, Concorsi pubblici e violazione non irrilevante dell’anonimato nelle tre sentenze gemelle del Consiglio di Stato in rivista italiana di diritto del lavoro, 2015, fasc. 1, pp. 134 e ss. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 candidato del codice alfanumerico contrassegnante il relativo foglio dei test) risultano compatibili con le regole dettate dal bando ed ispirati a condivisibili esigenze di trasparenza e legalità, essendo tali accorgimenti imposti da esigenze di ordinata organizzazione della complessa procedura nonchè finalizzati ad ovviare possibili scambi di elaborati tra i candidati. Rappresentando che peraltro, anche ammettendo che questi comportamenti materiali avessero reso in astratto possibile l’identificazione dell’autore di ciascun elaborato, in concreto le operazioni di distribuzione e raccolta dei test nonchè di sigillatura dei contenitori racchiudenti le relative buste si sono svolte costantemente alla presenza degli studenti: il che -specie tenendo presente la genericità delle doglianze mosse dai ricorrenti -porta ad escludere che in concreto l’ipotizzata violazione della regola dell’anonimato possa aver alterato la correttezza della procedura selettiva. veniva portato come argomento in favore della irrilevanza delle potenziali violazioni dell’anonimato anche la peculiarità delle operazioni di correzione che -operate a mezzo di un lettore ottico -erano prive di ogni discrezionalità valutativa. La reiezione di tale argomento da parte dei giudici di Palazzo Spada (31) avveniva affermando che l’anonimato è consustanziale alle prove selettive nelle quali la scrupolosa osservanza di esso assicura il principio di eguaglianza ed i conseguenti principi di imparzialità e buon andamento concludendo che allorché l’amministrazione si scosta in modo percepibile dall’osservanza di tali vincolanti regole comportamentali si determina quindi una illegittimità di per se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dal- l’attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse. in conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell’anonimato da parte della Com (31) In radicale opposizione con l’ordinanza 1950/2005 del Consiglio di Stato che aveva escluso la rilevanza della violazione dell’anonimato in una prova per l’accesso a corsi di specializzazione non essendo da essa derivato alcun danno in capo ai candidati si veda DIAnA uRAnIA GALettA, La violazione del principio dell’anonimato nei pubblici concorsi come illegittimità procedimentale che non può essere sanzionata con l’annullamento: verso l’irrilevanza dello Stato di diritto? in Giustizia civile, 2005, fasc. 7-8, pp. 1965-1968. nel prosieguo della vicenda il t.a.r. della Campania andò in contrario avviso rispetto all’ordinanza del Consiglio di Stato statuendo che in termini conclusivi, non viene in evidenza, ad avviso del Tribunale, la norma di cui all’art. 21 octies della L. 241/1990 (non rilevando il carattere vincolato del potere esercitabile dalla P.a.) ma la ben più radicale questione della violazione di garanzie procedimentali che, per il loro collegamento a valori fondanti dell’ordinamento giuridico (quale quelle inerenti alle garanzie del pubblico concorso: cfr., in generale, Corte Cost. 9 novembre 2006 nr. 363), non possono essere in nessun caso obliterate pena l’illegittimità del procedimento amministrativo ed il cui interesse all’annullamento sorge nel momento in cui il candidato non risulta utilmente graduatosi. Sarebbe potuto restare all’interno delle coordinate dell’articolo 21 octies affermando che le norme atte a salvaguardare l’anonimato non sono interamente assimilabili a quelle sul procedimento dal momento che esse non sono dirette ad assicurare la partecipazione ovvero l’assunzione di determinati atti, ma ineriscono, predeterminandola alla fase decisoria e che la violazione di questi è suscettibile di alterare l’esito del procedimento. COntRIbutI DI DOttRInA missione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto. A corroborare la decisione di principio sul carattere viziante della violazione dell’anonimato il Consiglio offre anche argomentazioni di carattere empirico, legate alla concreta vicenda processuale osservando che in buona sostanza dopo la conclusione della procedura la Commissione si è trovata in possesso di un elenco alfabetico in cui al codice (segreto) contrassegnante l’elaborato era inequivocabilmente associato al nome del candidato. Di poco precedente all’affermazione dell’Adunanza plenaria è la sentenza n. 3714/2013 (32) nella quale -in occasione del concorso per dirigenti scolastici indetto nell’anno 2011 -gli esclusi avevano individuato come veicolo di potenziale compromissione dell’anonimato la trasparenza delle buste nelle quali era conservato il cartoncino contenete i dati anagrafici del candidato. Il collegio ribadiva nei termini che saranno poi successivamente ripresi dal- l’Adunanza plenaria la diretta derivazione del principio dell’anonimato dal principio di eguaglianza, e della sua ulteriore declinazione nei principi basilari dell’imparzialità e del buon andamento e nel carattere immediatamente viziante di ogni sua violazione. Afferma pure che gravare il privato ricorrente dell’onere della prova di dimostrare l’avvenuta compromissione del principio di eguaglianza sarebbe imporgli una probatio diabolica in quanto -a rigor di logica -la prova dovrebbe consistere nella dimostrazione del dolo dei commissari, consistente nella deliberata volontà di alterare gli esiti della procedura concorsuale. Pure, a tale affermazione di principio si fa seguire un esame empirico delle circostanze del caso concreto esaminando gli esiti della verificazione richiesta in fase istruttoria ad un perito il quale aveva concluso per la permeabilità allo sguardo delle buste facendo ricorso alla luce del sole riflessa dalle finestre ovvero attraverso l’esposizione di esse alla luce di una lampada; pertanto la facilità nel perpetrare la violazione costituisce un ulteriore elemento che connota di gravità la condotta dell’amministrazione. È opportuno verificare come nella sentenza 5114/2008 (33) ricorresse la circostanza che gli elaborati dei candidati e la scheda contenente le generalità degli stessi fossero connotati dal medesimo codice a barre e che quindi chi avesse maneggiato la prova cui era stato apposto il codice a barre sarebbe stato potenzialmente in grado di individuarne l’autore prima del riconoscimento ufficiale tramite l’abbinamento del codice apposto all’elaborato con quello contenuto nella busta chiusa, da effettuarsi al termine delle operazioni di nomina; tale possibilità è stata esclusa dal momento che i codici numerici erano muti rispetto all’identità del candidato che si sarebbe scoperta aprendo la busta con i suoi dati ed abbinando con il codice in essa contenuto le prove. La circostanza che il cartoncino contenente i dati del candidato con su apposto il codice non (32) http://giustizia amministrativa. (33) http://giustizia amministrativa. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 era nell’immediata disponibilità della commissione in quanto sigillato e conservato a parte, ha avuto un rilievo decisivo oltre alla circostanza che non sarebbe stato possibile per alcuno identificare all’atto della consegna delle prove un candidato dal momento che non è agevolmente riconoscibile il codice identificativo del singolo elaborato attraverso la lettura ad occhio nudo del codice a barre e del codice binario indicati sull’etichetta. Il Consiglio di Stato nella sentenza 5114/2008 (34) contiene un affermazione che va nel senso di una verifica della potenziale compromissione del principio dell’anonimato ad opera delle illegittimità riscontrate: va, peraltro, ribadito che l’eventuale, astratta riconoscibilità dei candidati non può costituire ex se causa di invalidazione di una procedura concorsuale, allorché, come nella specie, non risulti in alcun modo dimostrato che tale evenienza abbia dato luogo ad inconvenienti di sorta, incidendo negativamente sui risultati della selezione effettuata. e pur vero che nel contesto della decisione tale affermazione costituisce un obiter dictum dal momento che la Corte aveva escluso la stessa sussistenza della violazione del- l’anonimato. Infatti ai candidati erano state consegnate tre distinte schede, di cui una anagrafica e le altre due da utilizzare per le risposte, unitamente ad altrettante etichette adesive, recanti un duplice codice a lettura ottica (codice a barre e codice binario), da apporre sulle schede. Il medesimo codice consentiva -sciolto l’anonimato -di ricollegare gli elaborati ai candidati; il rispetto del principio dell’anonimato è stato dal Consiglio ritenuto rispettato dal momento che il materiale delle schede-risposta relative a ciascuna prova è stato inserito in appositi plichi sigillati dai membri della Commissione, mentre in un distinto plico sigillato sono stati inclusi i cartoncini anagrafici dei candidati presenti. Deve, perciò, ritenersi che la regola dell’anonimato sia stata adeguatamente salvaguardata, in quanto le terne di etichette adesive, scelte a caso dai singoli candidati su un numero pari a dieci volte quello dei concorrenti ed apposte sui due fogli-risposta e sulla scheda anagrafica, erano congegnate in modo tale da garantire la segretezza degli elaborati, non essendo agevolmente riconoscibile il codice identificativo del singolo elaborato attraverso la lettura ad occhio nudo del codice a barre e del codice binario indicati sull’etichetta. una ulteriore ipotesi di potenziali segni di identificazioni originati dalla commissione ma ritenuti non vizianti è trattata nel già citato parere 867/2017 nel quale i candidati sostenevano due prove comuni ed una differenziata in base al settore disciplinare di appartenenza e le buste contenti gli elaborati erano raccolte in un’unica busta per candidato. La contestazione era fatta consistere dal concorrente escluso in una argomentazione che presupponeva una condotta dolosa della Commissione volta a conteggiare preventivamente il contenuto della busta per identificare i candidati sulla base della -conosciuta -scelta dei settori e/o sottosettori di partecipazione. Secondo il ricorrente, (34) http://giustizia amministrativa. COntRIbutI DI DOttRInA cioè, alcuni candidati, in base agli elenchi degli ammessi alle prove scritte, distinti per settori di partecipazione, erano individuabili per avere concorso per più sottosettori, con la conseguenza che la loro busta conteneva un numero ben determinato di elaborati. L’obiezione del Consiglio di Stato si fonda sulla circostanza che al termine delle operazioni relative alle prove scritte risultavano essere state consegnate 947 buste. L’elevatissimo numero degli elaborati presentati dai partecipanti al concorso non può non avere determinato una serie del tutto variegata e casuale dei raggruppamenti delle buste contenenti gli stessi, tale da non consentire l’individuazione dei concorrenti o anche di taluni di essi, sulla base dei settori e sottosettori di partecipazione. L’obiezione secondo la quale i raggruppamenti degli elaborati nelle buste sarebbe avvenuta in maniera casuale e disordinata senza che i compiti del medesimo autore fossero ordinatamente raggruppati non coglie nel segno perché l’intento era proprio quello di collocare nella stessa busta, successivamente anonimizzata, tutti gli elaborati del medesimo candidato, per consentirne la correzione unitaria. essa è invece fondata quando menziona l’elevato numero di buste consegnate dai candidati, poco meno di mille, per affermare l’estrema difficoltà di identificare un candidato attraverso le prove consegnate e raggruppate; la numerosità delle buste consente di affermare che la commissione avrebbe potuto riconoscere la provenienza dei candidati da un particolare sottogruppo disciplinare ma non avrebbe potuto determinare l’identità di un singolo candidato tra queste (a meno che la combinazione dei settori disciplinari cui il candidato aveva partecipato lo facesse identificare come unico candidato). tale evenienza -ossia un numero talmente esiguo di candidati che possa consentire la formulazioni di prognosi ex ante da parte dei commissari sul- l’identità dei candidati prima di accedere agli elaborati -è stata riconosciuta legittima in un remoto precedente del Consiglio di Stato, la sentenza 901/1988 (35) in cui si legge che la regola dell’anonimato nei concorsi riguarda le scritture documentali ed impone che ogni documento utile ad identificare l’autore dell’elaborato resti sigillato sino alla conclusione delle operazioni; questa regola pertanto non è violata per il fatto che circostanze concrete ed inevitabili (ad esempio il numero ristrettissimo di candidati o il fatto che a ciascun candidato sia stata assegnata una prova diversa) rendano possibile ai commissari formulare ipotesi più o meno fondate (ma pur sempre sprovviste di un riscontro documentale) circa la paternità degli elaborati. La vicenda trattata nella recente sentenza 86/2021 (36) del Consiglio di Stato riguardava una procedura concorsuale in cui la commissione esaminatrice aveva motu proprio reso disponibile ai candidati modulistica appositamente predisposta dalla Commissione, priva di vidimazione con timbro e firme (35) In il foro amministrativo Cds, 1988, fasc. 11, p. 3207. (36) http://giustizia amministrativa. RASSeGnA AvvOCAtuRA DeLLO StAtO -n. 3/2022 così contravvenendo all’indicazione dell’articolo 13 comma 2 del d.P.R. 487/1994 a mente del quale: gli elaborati debbono essere scritti esclusivamente, a pena di nullità, su carta portante il timbro d’ufficio e la firma di un componente della commissione esaminatrice. La circostanza che l’uso di tale modulistica fosse avvenuto per un vasto numero di candidati e che la diffusione di essa avrebbe reso alla commissione difficile riconoscere gli elaborati di singoli candidati è stata ritenuta irrilevante. Il collegio con riflessioni di principio chiarisce come la violazione delle regole sull’anonimato rilevi in re ipsa concretizzandosi in un vizio di legittimità irrimediabilmente sanzionato dall’ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione, senza che possa essere presa in considerazione l’eventuale buona fede dei commissari; se fosse richiesto un tale, concreto accertamento, lo stesso -oltre ad essere di evidente disfunzionalità onerosa -si risolverebbe, con inversione dell’onere della prova, in una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale sul pubblico concorso richiamando espressamente le conclusioni dell’Adunanza plenaria del 2013 e confermando la linea rigorosamente oggettivistica da questa seguita. volendosi formulare delle conclusioni all’esito di tale excursus giurisprudenziale può dirsi che vi è un comune orientamento ad attribuire un grande rilievo alla violazione delle disposizioni sull’anonimato e che sono assolutamente isolate le tesi che tendono a sminuire tale violazione richiedendo un’alterazione in concreto della par condicio. La giurisprudenza, ove faccia seguire all’affermazione di principio del carattere viziante della violazione delle norme sull’anonimato una analisi delle modalità in cui tale violazione è avvenuta, lo fa al solo scopo di verificare se la condotta concretamente violativa dell’anonimato -ove si fosse voluto porla in essere -sarebbe stata agevolmente praticabile. e il caso della sentenza 3714/2013 dove la semplicità dei mezzi tecnici utilizzabili per la sua violazione costituisce un argomento a fortiori per dichiarare l’illegittimità della procedura. a contrario ossia nel senso di escludere la compromissione del- l’anonimato, invece opera tale accertamento nella sentenza 5114/2018 dal momento che la condotta violativa dell’anonimato avrebbe potuto essere messa in pratica solo attraverso una strumentazione sofisticatissima. nel parere 867/2017 si esclude la violazione dell’anonimato per la difficile verificazione pratica della riconoscibilità dei candidati alla luce del numero elevato di essi e delle buste consegnate. La violazione è da escludersi anche alla luce del fatto che ove si fosse prospettata la possibilità di un riconoscimento ex ante dei candidati, malgrado l’osservanza di tutte le disposizioni a tutela dell’anonimato ciò sarebbe stato inevitabile; in tale ipotesi (che trova il suo caso limite nella presenza di un solo candidato), la tutela della regolarità della procedura con COntRIbutI DI DOttRInA corsuale è rimessa ad una rigorosa valutazione delle incompatibilità dei commissari. una ulteriore ipotesi di inosservanza necessitata dell’anonimato si rinviene nella fattispecie oggetto della sentenza del Consiglio di Stato 4284/2003 (37) in cui una candidata si doleva dell’omessa osservanza dell’anonimato in una prova pratica di carattere grafico nella quale si sarebbe valutato il manufatto realizzato dal candidato nonchè sempre a posteriori la relazione del candidato relativa alle modalità di realizzazione dell’opera. nella valutazione dell’elaborato non in itinere e da esprimersi con un voto la ricorrente coglieva un’analogia con la prova scritta e consequenzialmente la necessità di assicurare l’anonimato a tale prova. Il Consiglio disattende tale censura attraverso un esame puntuale del concreto svolgimento della prova che consisteva di elaborazioni figurative realizzabili con tecniche diverse (da scegliersi per sorteggio), che comprendevano, tra l’altro, anche produzioni tridimensionali con uso dell’argilla. I giudici hanno osservato come a tali eventuali produzioni non sarebbe stato possibile applicare la procedura di anonimato, essendo ben difficile, anche sotto l’aspetto degli adempimenti meramente materiali, garantire la non riconoscibilità di un oggetto tridimensionale in argilla rispetto, ad esempio, ad altre produzioni bidimensionale e come la varietà delle tecniche utilizzabili avrebbe finito per palesare l’identità di quei candidati che si fossero rivolti a materiali specifici, cosicché la pretesa dell’appellante, ove recepita, si sarebbe risolta nella inaccettabile coesistenza di lavori anonimi con altri contraddistinti da inevitabile pubblicità, onde giustamente la Commissione, nell’impossibilità di conoscere a priori le modalità di realizzazione che sarebbero state prescelte dai singoli candidati, ha assoggettato al medesimo regime di pubblicità tutte le prove pratiche. In conclusione i segni di riconoscimento apposti dalla commissione rilevano nella loro oggettività, per l’astratta compromissione del valore di rilievo costituzionale dell’anonimato senza che assuma rilievo l’effettiva compromissione di tale valore e men che meno la dimostrazione di una intenzione fraudolenta; a far propendere per la non sussistenza di un vizio di legittimità stanno gli elementi della difficoltà tecnica che renderebbe difficile l’effettiva compromissione dell’anonimato, ovvero l’estrema difficoltà tecnica di assicurarlo, tenuto conto della peculiare natura delle prove sino all’impossibilità oggettiva nei concorsi con un solo candidato. (37) http://giustizia amministrativa.it. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo trentaquattro anni di significativa presenza, l’Avv. Massimo Lucci, dell’Avvocatura Distrettuale de L’Aquila. Al Collega e Amico che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, lunedì 27 marzo 2023. Finito di stampare nel mese di maggio 2023 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma