ANNO XI -N. 9-10 SETTEMBRE-TTOBRE 1958 RASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE DI SERVIZIO L'ASTENSIONE NEI COLLEGI DELIBERANTI AMMINISTRATIVI SOMMARIO -I. Il principio della partecipazione dei componenti alle adunanze col legiali. -2. L'asten;iione e. il conflitto di interessi: nozione dell'una e delraltro, e conseguente divieto di svolgere, da parte del componente int.eressato, qualsiasi ingerenza nel procedimento collegiale (intervento alla seduta, discussione, votazione). 3. Applicabilit dell'istituto ai collegi amministrativi titolari di competenze, e limiti in cui essa va intesa. -4. Disamina dei casi di astensione previsti dal diritto po sitivo e dei casi in cui, pur non es.;;end essa prevista, si applica il principio generale, per il quale in qualsiasi collegio pubblico non pu concorrere a de'iberare chi, per un determinato affare, abbia un interesse morale o materiale. -5. Il vizio, determinato dalla partecipazione del componente non legittimato, va qualificato come violazione della legge che regola la composizione del collegio. -6. A-.petti particolari dell'asten sione e della ricusazione nei collegi amministrativi. 1. Vastensione ha formato oggetto di indagini superficiali e incomplete allorch stata riferita ai collegi deliberanti amministrativi, nei quali invece essa ha aspetti particolari e desta particolare interesse, perch, essendo tali collegi regolati dai principi di diritto amministrativo, riesce difficile, se non impossibile, ammettere la completa e integrale applicabilit dell'istituto com' inteso e regolato dal diritto processuale civile e penale. La ragione dello scarso interesse all'indagine' va, forse, ricercat3' nella esistenza di leggi amministrative, le quali, al fine di vietare la interferenza, nell'esercizio del potere pubblico, di interessi privati, o comunque di interessi non propri dell'organo, prevedono in molti casi situazioni d'incompatibilit, per ragioni oggettive e permanenti, sancendo una incapacit di assumere o conservare determinati uffici (gli esempi sono infiniti: vi rientrano le condizioni di ineleggibilit, le altre situazioni previste dagli artt. 11, 136, 288 Testo unico c. e p. 1915; artt. 6 e 15 testo unico.,.n. 203 del 1951, ecc.), e va ricercata ancora nell'esistenza del principio generale, per il quale ogni qualvolta un atto amministrativo manifesta una deviazione del suo processo psichico dal corretto procedimento logico, perseguendo finalit diverse da quelle sue proprie, esso va 1;1nnullato sia che i titolari dell'organo si trovino sia che non si trovino, nei confronti dei soggetti o dei beni destinatari dell'atto, in una particolare posizione che determina un loro vizio di legittimazione. Per contro, un interesse all'indagine stato talvolta suscitato dall'esistenza di altre leggi amministrative, le quali, anche se di rado, prevedono, per ragioni soggettive e transitorie, situazioni di incompatibilit, nelle quali i titolari dell'organo vengono a trovarsi allorch devono emanare uno o pi atti. Come vedremo, sono tali situazioni clie danno, invero, luogo all'astensione e che hanno spinta talvolta la dottrina (1), spesso la giurisprudenza (2), ad esaminare l'istituto nel campo del diritto amministrativo. Le ricerche, dall'una e dall'altra compiute, hanno dato per risultati che non sono n pacifici n accettabili, come in seguito verr dimostrato. Per ora, nei collegi deliberanti amministrativi l'astensione (con la ricusazione che ad essa si accompagna) va, anzitutto, precisata nella sua nozione e poi tracciata nella sua particolare fisionomia. Va primieramente osservato che uno dei principi fondamentali che regola il funzionamento dei collegi deliberanti stabilisce la partecipazione dei componenti alle sedute collegiali: il prinoipio della parteoipazione, in virt del quale ogni componente deve prendere parte alle riunioni collegiali affi.nch sia posto in grado di provvedere alla tutela dell'interesse di cui portatore. Varie norme, infatti, stabiliscono un vincolo dei componenti a intervenire nelle riunioni (3): talvolta il vincolo non crea un obbligo, ma stimola l'intervento in vario modo, o attraverso la corresponsione di una indennit o attraverso la dichiarazione di decadenza (cosi ad. (1) GuIOOIARDI, Esercizio di pubbliche funzioni e interesse personale nei collegi amministrativi (con riferimento alla G.P.A.), Riv. amm. 1948, 130. Tale lavoro-centiene acute e importanti osservazioni che verranno tenute . presenti successivamente. (2) La giurisprudenza sar esaminata nel corso dello studio. (3) Mezzi coattivi di intervento furono sanciti nell'antichit in Grecia (ARISTOTILE, La Costituzione di Atene), -106 esempio per i consiglieri comunali e provinciali) (4); talvolta crea un obbligo di intervento, come ad esempio per i componenti di uffici eollegiali che siano legati da rapporto d'impiego. 2. Ma il principio va anche studiato nel suo aspetto negativo (nei casi nei quali i. componenti si debbano astenere dall'intervenire): tale aspetto ha senza dubbio carattere eccezionale. Da un punto di vista generale l'astensione richiede l'esistenza di un conflitto fra l'interesse personale di un componente e l'interesse pubblico perseguito dal collegio, e cio una divergenza tra l'uno e l'altro interesse, nel senso che il cotnponente ha interesse a una deliberazione secondo un certo orientamento, il collegio invece ha interesse a una deliberazione secondo un ilrientamento diverso. Pi precisamente, l'astensione presuppone che un soggetto compia un'attivit nell'interesse di altro soggetto e si verifica laddove l'uno sia spinto, nell'esercizio di codesta attivit, da un interesse in conflitto con l'interesse dell'altro. Essa, negando l'intervento, evita qualsiasi partecipazione ai lavori collegiali. Il conflitto, invero, deve impedire qualsiasi ingerenza del componente interessato nel procedimento collegiale, escludendolo non solo dall'intervento, ma anche dall discus sione e dalla votazione. Si verifica, infatti, una incompatibilit la quale, pur essendo determinata da ragioni soggettive e contingenti, va intesa in senso completo, assoluto, rigoroso, come esclusione del componente e dal momento iniziale (intervento) e dal momento finale (votazione) del procedimento collegiale: il contrasto tra l'interesse individuale e l'interesse pubblico collegiale ha luogo allorch il collegio comincia a trattare l'affare, e cio fin da quando ha inizio la discussione, la quale pu essere turbata anche con la sola presenza dell'interessato; costui, astenendosi tuttavia dal parlare, pu influire, con la sua presenza, sulla discussione altrui. Ecco perch occorre impedire anche la sua sola partecipazione alla seduta (5). Ci va detto e per i collegi politici, nei quali legami di partito poi,sono vincolare i componenti, e per i collegi amministrativi, nei quali vincoli gerarchici possono intercorrere tra i componenti, siano essi numerosi ovvero di numero limitato: in ogni caso, infatti, il legame, qualsiasi natura abbia, pu influenzare la libert di parola nella discussione e la indipendenza della a Roma (MOMMSEN, .Le droit publique romain, VII, 94) (e altrove). (4) La giurisprudenza ha limitato la decadenza a casi eccezionali: cos stato ritenuto che legittimamente il Consiglio Comunale pronuncia, ai sensi dell'art. 289, T. U. del 1915, la decadenza di un consigliere che non sia intervenuto a tre consecutive sessioni ordinarie senza fornire aluna giustificazione: Cons. Stato 15 gennaio 1955, Foro amm. , 1955, I, 2, 128. (5) L'art. 49, io comma del regolamento comunale e provinciale, in applicazione dell'art. 290 del T. U. 1915, prevede che i componenti dei Consigli, comunale e provinciale, in conflitto di interesse, possono partecipare alle sedute collegiali (i consiglieri presenti ... ), ma non alle volont nella votazione. Nonvi , pertanto, alcun motivo, logico o giuridico, in base al quale possa consentirsi al componente la partecipazione alla seduta collegiale e negarsi la partecipazione al voto, o vieeversa. In ogni collegio vige, quindi, il principio che il conflitto d'interessi determina l'astenl! ione da qualsiasi attivit collegiale, tranne quando la legge, espressamente, legittimi il componente a partecipare alla seduta collegiale e alla discussione, escludendolo dalla votazione (ricorrono allora particolari motivi che giustificano l'eccezione), e tranne quando la legge, espressamente, escluda la astensione. Pertanto l'istituto va esaminato con riguardo a qualsiasi attivit collegiale, come astensione dalla partecipazione alla seduta (intervento) e come astensione dalla votazione. 3. E va esaminato con riguardo ai collegi che siano titolari di competenze (6). Sono questi i collegi, cle pi interessano, i quali compongono la struttura, il complesso apparato dell'organizzazione di un ente pubblico, e sono regolati dalle norme organizzatorie, che da un lato creano i centri di riferimento (uffici) dell'interesse pubblico, dall'altro lato disciplinano l'attivit (funzione) necessaria alla soddisfazione degli interessi, preponendo all'ufficio diversi titolari che agiscano per esso (agenti) e delimitando il complesso dei compiti che costituiscono la competenza dell'ufficio. In tali collegi l'astensione pu configurarsi perch il conflitto d'interessi pu assumere rilevanza. Esiste la possibilit di due interessi in conflitto: l'interesse del componente a una deliberazione secondo un certo orientamento; l'interesse del collegio a una deliberazione secondo un orientamento diverso. Benvero i componenti devono valutare, ciascuno per un limitato quantum, l'interesse pubblico che qualifica la competenza dell'ufficio colle- votazioni. Ora non sembra che tale norma -anche se attualmente in vigore -sia conforme all'art. 290 della legge, la quale esclude che quei componenti prndano parte alle deliberazioni, e cio che intervengono, comunque, nel procedimento deliberativo. Anche se la espressione usata non precisa, deve ritenersi che la norma dell'art. 290, nel prevedere la ipotesi della astensione, abbia vietato che i consiglieri prendano parte in qualsiasi modo all'attivit collegiale. Tale interpretazione, che poi confermata dall'art. 279 {iel T. U. del 1934 (che sanciva l'obbligo di allontanarsi dalla sala delle adunanze), conforme, del resto, al principio, enunciato nel testo, sull'astensione, la quale va intesa in senso assoluto e rigoroso, come esclusione sia dalla partecipazione alle sedute collegiali, sia dalla votazione (per altra f itpplicazione di tale principio, cfr. art. 253 T. U. 1915). Un trattamento diverso, .a seconda che si consideri l'in l tervento nelle sedute ovvero nella votazione, non avrebbe ragione di concepirsi (per altra critici!!. d,ell'art. 49 vedi I SAREDO, Commento alla legge c. e p. n. 404). i (6) Sono fuori dell'indagine gli altri collegi, quelli ! composti da membri titolari di diritti soggettivi pro r pri e quelli composti da membri titolari di rnunera. . ! I primi comprendono i casi nei quali l'interesse pro- i ! ~ - -107 giale e ne individua la funzione. I comportamenti che essi pongono in essere sono vincolati nel fine, sono qualificati dall'interesse pubblico puntualizzato nell 'u:ffieio. Il vincolo concerne, sia il comportamento di un solo componente, sia il comportamento deJla maggioranza, dovendo pure la maggioranza uniformarsi all'interesse pubblico. Perci il conflitto pu ipotizzarsi tra l'interesse pubblico e l'interesse di un solo componente o l'interesse della maggioranza, concretamente espresso nella deliberazione adottata. Ma occorre indicare i limiti nei quali ha rilevanza il conflitto di interessi, con l'astensione che lo presuppone. Si pu subito avvertire che, nei collegi qui in esame, l'astensione si applica sia nei casi in cui si verificano le fattispecie che norme giuridiche espressamente prevedono, sia nei casi in cui, pur non esistendo norme espresse, sussiste un conflitto di interessi in virt del principio generale, per il quale non pu concorrere a deliberare il componente che, per un determinato affare, abbia un interesse suo proprio morale o materiale. Tuttavia i limiti di codesta applicabilit non sono pacifici. La giurisprudenza in un primo momento ha esaminato 'astensione (con la ricusazione che ad essa si accompagna) nei collegi che. pongono in essere un giudizio, di natura giurisdizionale (per es. G.P . .A. in s. g.) e di natura amministrativa (per es. le Commissioni di disciplina), ed ha, di massima, ritenuto l'istituto applicabile solo nei casi nei quali l'ordinamento (o i principi che si desumono dalle leggi speciali di volta in volta in esame) espressamente lo prevede (7); in un secondo momento, rielaborando e sviluppando i concetti ora esposti, ha preso le mosse dall'istituto dell'astensione, come previsto e regolato dai codioi di procedura penale e civile, ed ha affermato che codeste norme sono manifestazione del principio generale gi accennato, il quale non pu non trovare cittadinanza anche nel campo del diritto amministrativo, e di conseguenza l'astensione si applica non solo nei casi in cui prevista prio del componente, il quale diviene cos titolare di diritti soggettivi (se ne ha un esempio nella comunione). I secondi comprendono i casi nei quali l'interesse proprio del membro in funzione dell'interesse della collettivit: egli interviene in un corpo collegiale in qualit di membro della comunit organizzata in vista di uno scopo comune e cos partecipa ad esprimere l'interesse collettivo, che si identifica con tale scopo (se ne hanno esempi nei vari collegi elettorali politici ed amministrativi). Negli uni e negli altri collegi l'astensione ha aspetti particolari che qui non interessano. (7) Tale orientamento pu ritenersi prevalente: cfr. Cons. Stato 18 agosto 1936, n. 801, cc Foro amm. 1937, I, 2, 29 (che ritiene ammissibile l'intervento del Capo del personale nella commissione di disciplina a carico di impiegati comunali); Cons. Stato 27 ottobre 1937, n. 474, Foro amm. 1938, I, 1, 51 (che ritiene ammissibile l'intervento del Comandante del battaglione nella commissione di disciplina a carico di ufficiali). In via eccezionale l'astensione stata applicata a casi non previsti dalle leggi: Cons. Stato 5 luglio 1935, n. 681, espressamente, ma anche in ogni altro caso in cui si verifichi un conflitto di interessi (8). La dottrina, invece, ha battuto strada diversa: ha ritenuto che l'astensione nei collegi amministrativi essenzialmente diversa da quella dei collegi . giUrlsdizionali, malgrado abbia la stessa denominazione; e, tenendo conto ~he l'esigenza di imparzialit per le autorit amministrative talvolta non sentita (nei rapporti coi cittadini la stessa .Amministrazione parte, qualche volta anche giudice come nei ricorsi amministrativi) e che uno stesso collegio (o alcuni componenti), per la revocabilit propria degli atti amministrativi, pu pronunciarsi due volte sulla medesima questione, ha affermato che l'astensione applicabile, con una disciplina propria, solo nei casi nei quali prevista dall'ordinamento ed quindi obbligatoria, con la conseguenza che la partecipazione del componente non legittimato (iudex inhabilis) rende, in ogni caso, la deliberazione invalida, mentre nei casi nei quali non prevista l'astensione volontaria, e perci i.rrilevante dal punto di vista giuridico, essendo rimessa la sua soluzione interamente alla coscienza individuale del .componente, il quale pu sempre, per motivi di personale correttezza, astenersi dal partecipare alla votazione (9). Riv. dir. pubbl. , 1935, II, 521 (che ritiene nulla la decisione della G.P.A. con la quale si respinge un ricorso di un impiegato, quando a far parte del collegio giudicante stato chiamato un consigliere di prefettura che era presidente della commissione di disciplina che aveva gi giudicato il licenziamento dello stesso impiegato; in tal senso, Cons. Stato 12 maggio 1939, n. 373, Riv. dir. pubbl. 1939, II, 398; Cons. Stato 28 aprile 1936 cc Foro amm. 1936, I, 2, 230). (8) Con questo secondo orientamento la giurisprudenza ha prima ritenuto la astensione (e la ricusazione) applicabile ai collegi amministrativi e sottoposta alla stessa disciplina prevista dai codici di procedura penale e civile (Cons. St.ato 12 febbraio 1943, n. 40 cc Foro amm. 1943, I, 2, 70); poi ha ritenuto l'istituto applicabile agli uffici amministrativi con opportuni temperamenti (Cons. Stato 9 giugno 1951, n. 531 cc Foro amm. 1951, I, 2, 256), sviluppando il concetto che nel campo del diritto amministrativo non pu applicarsi l'istituto come previsto e regolato dai predetti codici, bens il principio generale, di cui l'istituto stesso manifestazione, secondo il quale qualsiasi giudizio, espresso da organi giurisdizionali o da organi amministrativi, si deve compiere con serenit ed obbiettivit, con la conseguenza che, se il collegio (o alcuni suoi componenti) dimostra l'assenza di tali requisiti, esso non pu assolvere la sua funzione secondo legge ed il suo operato rimane inficiato (Cons. Stato 25 febbraio 1952, n. 65, Foro amm. 1952, I, 3, 310; con, tale argomentazione il Consiglio di Stato ha superato la tesi, gi sostenuta in dottrina (Guicciardi), sulla inapI plicabilit ai collegi amministrativi della astensione prevista dal c. p. c.; cfr. anche Cons. Stato 7 maggio 1954, I n. 308, Foro amm. 1954, I, 1, 269; 11 luglio 1953, n. 507 Foro amm. 1954, I, 2, 81). II (9) GuIOOIARDI, Esercizio di pubbliche funzioni e interesse personale dei collegi amministratim, cit. 130. l ~-~_J -108 A nostro avviso, come si accennato, non possono condividersi le premesse dalle quali la giurisprudenza ha preso le mosse, n le conclusioni cui essa in un-primo momento pervenuta ritenendo la astensione applicabile solo nei casi espressamente previsti dall'ordinamento. I casi esaminati sono: l'art. 7 4 del r. d. 30 dicembre 1923 n. 2960 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato fa divieto al Capo del personale di partecipare alle deliberazioni del Consiglio di disciplina, in quanto egli esercita attribuzioni istruttorie in materia disciplinare; gli artt. 65, 66 e 71 del reg. 12 ottobre 1933 n. 1364 sul personale della Corte dei Conti esclude che il f:3egretario Generale partecipi, per analogo motivo, alle deliberazioni della Commissione di disciplina; l'art. 211 del testo unico 3 marzo 1934, n. 383 sulla Commissione di disciplina dei segretari comunali (a modifica dell'art. 5 del r. d. 1. 17 agosto 1928, n. 1253) esclude l'intervento nella Commissione dell'ispettore provinciale che svolge funzione inquirente, sostituendolo con un consigliere di prefettura. In detti casi, come evidente, non ricorre l'istituto dell'astensione. Questa, invero, presuppone che il funzionario faccia parte del collegio, sia cio componente, e. che venga a verificarsi un conflitto tra l'interesse suo e l'interesse del collegio. Nei casi esaminati, invece, l'ordinamento esclude che determinati funzionari facciano parte del collegio, vietando espressamente che essi assumano la qualit di componente, e, di conseguenza, non neppure a parlare di conflitto, n di astensione. Pi precisamente -come la dottrina ha rilevato -si tratta di casi di incompatibilit che l'ordinamento prevede erisolve, disponendo che taluni funzionari, in relazione all'attivit che svolgono, non possono divenire componenti; si tratta di incompatibilit sancite per ragioni oggettive, che escludono qualsiasi partecipazione ai lavori collegiali, e perci un conflitto non sorge n in modo attuale, n in modo virtuale, perch esso escluso istituzionalmente (v. anche l'art. 10 del r. d. 1. 4 aprile 1944, n. 111 secondo il quale non possono far parte della G.P.A. taluni funzionari della Provincia, del Comune, ecc.). D'altronde, non si pu ammettere -come la dottrina ha ammesso -che ove la legge amministrativa nulla prevede, il problema della partecipazione di un componente al collegio, in relazione a un affare nel quale egli abbia interesse, irrilevante per il diritto, essendone rimessa la soluzione alla coscienza individuale di lui, senza che resti infirmata la legittimit della deliberazione. L'astensione, se non prevista, non sembra resti limitata all'ambito della coscienza individuale, e sia quindi irrilevante dal punto di vista giuridico: infatti l'attivit del componente, o attraverso la dichiarazione di voto, la deliberazione ccllegiale, ed ha sempre rilevanza talvolta decisiva per la maggioranza o attraverso la discussione, talvolta orientata in un certo senso dal suo intervento, determina o influisce, per il diritto. Di conseguenza, anche l'astensione, che esclude quell'attivit, non pu restare mai circoscritta all'ambito della coscienza individuale. D'altra parte, la limitazione dell'astensione ai casi espressamente previsti :q.on si pu giustificare in base al rilievo della dottrina soprarichiamata secondo la quale la esigenza di imparzialit per le autorit amministrative talvolta non sentita (nei rapporti coi cittadini la stessa amministrazione parte., qualche volta anche giudice come nei ricorsi ammin:is-trativi}. Il rilievo esatto laddove si consideri l'attivit che l'Amministrazione svolge come giudice (come nell'esempio addotto del ricorso amministrativo), ma non nei casi nei quali l'Amministrazione agisce in concerto nell'emanazione dei suoi atti amministrativi; e a questi casi appunto fa riferimento la astensione. Infine non si pu ammettere -come la giurisprudenza ha ammesso -che le norme dei codici di procedura penale e civile sull'astensione sono applicazione del principio generale, per il quale non pu concorrere a deliberare il componente che, per 'un determinato affare, abbia un interesse morale o materiale. Non sono, infatti, le cennate norme a potersi ritenere applicazione del principio generale; bensi sono esse a far ammettere, per induzione, la enunciazione del principio generale, il quale si desume in genere dalla combinazione di pi casi regolati, risalendo da easi particolari a concetti pi generali (9-bis). Se si prescindesse da quelle norme che sono le sole a regolare compiutamente l'astensione, non si saprebbe da quali altre norme, espres. samente enunciate, poter desumere la esistenza del principio generale ammesso dalla giurisprudenza. Ci premesso, al fine di esaminare l'applicabilit dell'astensione nei collegi titolari di competenze (di natura amministrativa), e la sua rilevanza giuridica, occorre individuare l'istituto con riguardo al campo del diritto amministrativo e precisare se tale sua disciplina gli conferisce una propria fisionomia. L'astensione, che presuppone la esistenza di un conflitto di interessi (nel senso gi accennato) -il quale limitato a un singolo affare ed determinato da ragioni contingenti e subiettive (trattasi di una incompatibilit relativa che si differenzia dalla incompatibilit, gi esaminata, che assoluta, obbiettiva) -pu ipotizzarsi solo nei collegi che svolgono attivit individuale e concreta, non anche nei collegi che svolgono attivit generale ed astratta: nei primi, infatti, che si pronunciano su singoli affari, possibile che un compc;nente abbia un interesse, morale o materiale, in contrasto con l'interesse pubblico perseguito dal collegio; nei secondi, invece, che deliberano in via generale, il contrasto sembra potersi escludere per la mancanza di attualit nella lesione d'interessi. Questi sono i collegi attivi, svolgenti attivit direttiva; quelli sono i collegi che talvolta manifestano una volont, spesso esprimono un giudizio e, nella seconda ipotesi, svolgono sia attivit amministrativa (per es. le commissioni di esami, le commissioni di promozioni, le commissioni disciplinari), sia attivit giurisdizionale. Posta tale limitazione, pu affermarsi che costituisce una esigenza fondamentale di ogni pubblica attivit che questa si svolga con serenit, obbietti (9-bis) Cfr., per tutti, Ferrara, Trattato di dir. civ., I, 228; MIELE, Principi di dir. amm., 224; LEVI, Teoria generale del diritto, Milano, 1950, 55. -109 vit, imparzialit e, se fatti certi e gravi possono turbarla, il componente si deve astenere. Esiste, infatti, un principio ancora pi generale, di logica e di giustizia, che applicabile in qualsiasi collegio rhe svolga attivit pubblica, in base al qual non pu concorrere a deliberare chi, per un determinato affare, abbia un proprio interesse, morale e materiale. Tale principio che, come si d( tto, si desume dalle norme di procedura penale e civile che regolano l'astensione (e la ricusazione che ad essa si accompagna), non pu non trovare cittadinanza anche nel campo del diritto amministrativo sia nei collegi che manifestano una volont, sia nei collegi che esprimono un giudizio. Senonch vi sono alcune leggi amministrative che nel disciplinare la composizione dei collegi prevedono i casi di astensione: per esempio l'art. 290 del testo unico del 1915 che riguarda l'astensione dei componenti della G.P..A. (10). Vi sono poi altre leggi, che, pur regolando la composizione dei collegi, nulla prevedono circa l'astensione: per esempio le norme sulle Commissioni di concorsi, sulle commissioni di disciplina, sulle commissioni di promozioni. Di massima, secondo l'orientamento giurisprudenziale ora prevalente; nella seconda ipotesi stata ritenuta applicabile la stessa disciplina prevista nella prima ipotesi, nel senso che l'astensione in ogni caso obbligatoria e la partecipazione del componente inhabilis produce in ogni caso la illegittimit della delibera. 4. A nostro avviso, invece, l disamina dei casi di astensione previsti dal diritto positivo va tenuta distinta da quella relativa ai casi di astensione non espressamente previsti. Nei primi casi la fattispecie prevista dalla norma e, di conseguenza, tutti i suoi elementi costitutivi devono concorrere, altrimenti l'astensione non ha luogo. Non perci consentito all'interprete limitare la fattispecie legale nel suo nucleo costitutivo ovvero estenderla a casi diversi (per esempio l'art. 290 testo unico c.e.p. 1915). La previsione legislativa della fattispecie configura una ipotesi di conflitto, il quale si presume esistente iuris et de iure, anche se in concreto la situazione di contrasto non esiste; in altri termini, per l'astensione, (10) Non sono casi di astensione, bens di incompatibilit quelli nei quali viene escluso in base a speciali prin cipi che taluni funzionari facciano parte del collegio: per esempio il procedimento disciplinare regolato dal principio che la funzione inquirente e la funzione giudicante debbono essere separate ed esercitate da persone diverse e, di conseguenza, sufficiente la partecipazione di un solo funzionario inquirente nella Commissione di disciplina perch la delibera sia invalida (Cons. Stato . 30 novembre 1935, n. 649, Foro amm. n 1954, I, 3, 122); il procedimento disciplinare militare disciplinato dal principio che tra componente e inquisito non deve sussistere un vincolo di dipendenza d'ufficio e di conseguenza il consiglio di disciplina composto in violazione di tale principio irregolare e la deliberazione adottata invalida sufficiente che la fattispecie si verifichi, ma non necessario che il contrasto di interessi operi e si accerti; un conflitto astratto che per legge esiste;non un conflitto concreto che in fatto va constatato. Nei casi nei quali la legge nulla dispone circa l'astensione, si applica il principio generale, gi richiamato, secondo il quale il componente che per un determinato affare abbia un interesse, morale o materiale, non pu concorrere a deliberare; per necessario che si verifichi una situazione tale da turbare la sua volont., il suo giudizio, e in presenza della quale egli legittimato ad astenersi. Ma occorre individuare la situazione di conflitto, descriverla, circoscriverla, delimitarla, perch non tutte le situazioni danno luogo ad un conflitto giuridicamente rilevante. Vi sono infatti delle situazioni, nelle quali il componente. solo per motivi di personale correttezza pu astenersi. allora evidente che il conflitto resta limitato all'ambito della sua coscienza e non ha rilevanza giuridica; e l'astensione costituisce una facolt, non un obbligo. Vi sono altre situazioni, le quali consistono in fatti certi, gravi, inequivocabili (per esempio rapporto oggettivi o soggettivi tra il componente e il destinatario della delibera: parentela, affinit, relazioni di credito o di debito, grave inimicizia), al cui concorso pu con . certezza ritenersi che il componente non in grado di provvedere, in ordine a un determinato affare, con serenit, obbiettivit, imparzialit. In tali casi il conflitto non esiste ope iuris, ma si presume esistente iuris tantum, e perci, per dar luogo alla astensione, deve di fatto esistere. La fattispecie concreta deve accertarsi; necessario che un contrasto di interessi sussista; il conflitto non astratto, non esistendo ex lege; un conflitto concreto, che in fatto va constatato (11). Ma il conflitto non deve essere necessariamente attuale, nel senso che deve essersi gi estrins~cato nella deliberazione emanata in conformit al particolare interesse del componente, in contrasto con l'interesse pubblico perseguito dal collegio; il conflitto deve, invece, essere virtuale, nel senso che rilevante anche se non ancora si estrinsecato nella deliberazione collegiale. necessario il conflitto, di per se stesso, e cio la interferenza potenziale tra 1'.interesse del componente e l'interesse pubblico (e ci rilevante .ai fini della individuazione del vizio, come vedremo), E gli 'interessi in collisione non devono essere generici, come per esempio l'interesse che consiste nel vincolo gerarchico (il componente e il destinatario della delibera possono appartenere alla stessa aniministrazione e in posizione gerarchica l'uno rispetto all'altro); devono essere $,pecifici, qualificati da fatti gravi, certi, inequivo cabili (per esempio grave inimicizia, lite pendente). Come rilevasi, nei collegi titolari di competenze, esistono fattispecie legali che descrivono gli elementi al cui concorso si verifica il conflitto, ma esiste anche il principio generale secondo il. quale (Cons. Stato 23 giugno 1936, n. 344, "Riv. dir. pubbl. n (Il) In tal senso, Cons. Stato~15 maggio: 1946, n. 150, 1936, II, 562; 6 ottobre 1936, n. 451, Riv. dir. pubbl. n Foro amm. n 1946, I, 1, 154; contra: Cons. Stato 11 ago~. 1936, II, 712). f sto 1950, n. 380, "Foro amm. n 1951, I, 1, 19. ' -----~J ! -110 il componente che per un determinato affare abbia un interesse, morale o materiale, non pu partecipare i lavori collegiali; e tale principio si applica laddove norme espresse sulla astensione non esistono. 5. Si tratta ora di precisare la qualificazione del vizio dell'atto, emanato dal collegio al quale abbia partecipato il componente in conflitto di interessi. Ma anche su tale punto non regnano idee chiare e pacifiche. Chi ha ammesso la astensione solo nei casi espressamente previsti dalla legge, venuto cosi a limitare l'annullabilit ed ha ritenuto l'atto inficiato da violazione di legge (11-bis). Chi, invece, l'ha estesa anche oltre i casi espressamente previsti, ammettendo l'esistenza del principio generale, non ha potuto non attenuare le ipotesi di annullabilit, ritenendo inficiato l'atto da eccesso di potere, che sussisterebbe solo quando la partecipazione del componente abbia concretamente influito sulla deliberazione in modo da farla risultare conforme al suo assunto (12). La prima teoria senza dubbio pi coerente; la seconda ammette una soluzione in contrai;ito con le sue premesse (a parte il rilievo che, come vedremo, non sempre possibile accertare se l'atto conforme all'assunto del componente interessato violi l'interesse pubblico). Idee chiare non si rinvengono neppure nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale talvolta ha ritenuto che il vizio si verifica se sussiste la situazione potenziale di incompatibilit; talvolta, che il vizio ha luogo solo se la situazione abbia influenzato l'atto in modo da farlo divergere dal fine di interesse pubblico (12-bis). A nostro avviso, la partecipazione del componente non legittimato determina in ogni caso un vizio che inerisce alla composizione del collegio, e comporta la violazione delle leggi (comprendenti oltre le norme espresse, anche la enunciazione di (11-bis) Cfr. GUIOOIARDI, Esercizio di pubbliche funzioni, cit., 159. (12) VITTA, Gli atti collegiali, 166 (con applicazione specifica ai collegi titolari di munera, che qui non interessano). (12-bis) La giurisprudenza del Consiglio di Stato incerta nel defi.nire il vizio in esame, che ha inquadrato talvolta nella incompetenza, talvolta nell'eccesso di potere. Da un lato infatti ha ritenuto che tutti i vizi concernenti ia scelta delle persone fisiche che sono organi della p. a. (esempio: nullit di nomina o di elezione), e quindi tutti i vizi per la formazione e la costituzione degli organi collegiali, investono la competenza, determinando la incapacit soggettiva del collegio (Cons. Stato, 15 maggio 1946, n. 150, "Foro amm." 1946, I, 1, 154); dall'altro lato ha affermato che se la ricusazione non viene fatta valere prima che l'organo adotti il provvedimento, ma a provvedimento gi adottato, si pu configurare un vizio di legittimit; occorre per dimostrare in concreto che la situazione di incompatibilit dell'organo con il soggetto destinatario del provvedimento abbia influenzato il contenuto di questo, facendolo dive1gere dal fine d'interesse pubblico (Cons. Stato 9 giugno 1951, n, 527 cc Foro amm. " 1951, I, 2, 256). un principio generale) che regolano appunto la formazione del collegio. Non si tratta n del vizio di incompetenza, perch la illegittima composizione cosa diversa da tale vizio, che ricorre laddove il collegio ha esorbitato dai limiti della propria competenza, invadendo la sfera di attribuzionedi una altra autorit amministrativa; n si tratta del vizio di eccesso di potere perch la illegittima composizione cosa anche diversa da tale vizio, che ricorre laddove il collegio compie una deviazione del suo processo psichico dal corretto procedimento logico, proprio della deliberazione. Non si pu tuttavia escludere che la partecipazione del componente in conflitto di interessi, o attraverso la discussione o attraverso la decisivit del voto, incide sulla deliberazione che viene ad essere deviata dal suo corretto procedimento logico. Ma, sia che tale ipotesi ricorra, sia che non ricorra, il vizio esiste sempre e va qualificato come violazione di legge, in quanto viene violato il principio generale che abbiamo enucleato dal sistema delle norme processuali sull'astensione. Cosi qualificato, il vizio coerente con la nozione di conflitto che stato sopra ritenuto rilevante per generare la situazione di incompatibilit: se, come si detto, il conflitto virtuale, il vizio esiste a. prescindere dal contenuto dell'atto in rapporto alla sua eventuale deviazione dal fine, perch esso inerisce alla composizione del collegio, e non all'atto in se stesso. Ma, cosi configurato, il vizio meglio risponde alle esigenze di imparzialit e di giustizia che ispirano l'esercizio dell'attivit amministrativa, perch esso evita che tali esigenze siano comunque compromesse, impedendo al componente non legittimato di partecipare alle adunanze collegiali e supera anche la ricerca, non sempre possibile, sulla concreta deviazione dell'atto dal suo fine di interesse pubblico. In.fatti -ove si configurasse il vizio come eccesso di potere -occorrerebbe accertare ancora se l'atto emanato in conformit all'assunto del componente non legittimato sia o non sia conforme al fine pubblico che esso deve perseguire; il che riuscirebbe logicamente diffiile, a parte il pericolo di invadere il c. d. merito amministrativoche lasciato al libero apprezzamento dell'amministrazione. In definitiva, l'astensione presuppone una situazione contingente e subiettiva di incompatibilit, che determina un vizio di legittimazione, in presenza del quale il componente interessato deve, su sua iniziativa, adempiere l'obbligo di non partecipare al procedimento collegiale. La ricusazione, invece, l'istituto rivolto a im pedire, su istanza dei destinatari dell'atto colle giale, la partecipazione del componente interessato. ! stato per ritenuto che essa non sia applicabile ai collegi amministrativi: la ricusazione pu tro vare giustificazione nel processo civile, perch, con cretandosi i motivi di nullit in motivi di impu gnazione, la pronuncia dovuta daL.iudex inhabilis, I pur sempre valida ed efficace, salva impugnazione; ma non pu trovare giustificazione nei collegi amministrativi perch l'atto amministrativo, . ! I essendo in ogni caso invalido, viene radicalmente eliminato dal giudizio di annullamento e di conse-t i -111 guenza la ricusazione non esplica nessuna funzione. Codesta obiezi6ne, anche se utile per individuare la diversa fisionomia dell'istituto nei collegi giurisdizionali e nei collegi amministrativi, non deci~ siva. Infatti, anche per questi ultimi si pu configurare un rimedio rivolto preventivamente ad evitare il compiersi di un atto viziato, contro il quale se ammissibile la impugnazione, non pu escludersi, in vece di questa, la ricusazione. D'altra parte se la sentenza emessa dal iudex inhabilis pur sempre valida, mentre non lo l'atto amministrativo, ci deriva dalla diversa natura della legge che vien!'.l violata: nell'un caso la legge predisposta nell'interesse privato, nell'altro di natura pubblica (il che, come vedremo, influisce sulla diversa fisionomia dell'istituto). 6. Dalle premesse considerazioni rilevasi che la astensione nei collegi titolari di competenze essenzialmente diversa da quella prevista dalle norme di procedura penale e civile per i collegi giurisdizionali, e gli aspetti differenziali vanno ricercati sia nell'istituto stesso, sia nei principi propri del diritto amministrativo. D.zitutto l'astensione nei collegi titolari di competenze sempre obbligatoria, mentre nei collegi giurisdizionali facoltativa (come la ricusazione che opera su iniziativa degli interessati). obbligatoria sia quando prevista, sia quando non prevista espressamente, appunto perch la parteqipazione del componente inabile comporta una violazione di legge, la quale va in ogni caso preventivamente evitata. Di ci si ha conferma ove si rifletta che la deliberazione, affetta da violazione di legge, deve in ogni caso annullarsi. Essa viola infatti un interesse pubblico, il quale va sempre protetto, e non un interesse privato (come nella astensione processuale civile) che pu essere tutelato o meno a volont del titolare. Inoltre l'astensione, applicata al campo del diritto amministrativo,non pu non risentire dei principi propri di tale campo, coi quali deve amalgamarsi. Se infatti si richiama il principio della revocabilit degli atti amministrativi, non pu escludersi che un ufficio collegiale, con identica composizione, pu pronunciarsi due volte su un medesimo affare (per esempio i componenti di una co:mmJ.ssione di disci plina possono pronunciarsi una seconda volta sulla punizione, nel caso di rinnovazione del procedimento disciplinare a seguito dell'annullamento dello stesso per vizi di procedura). Se poi si hanno presenti le norme organizzatorie . che prev~dono la competenza dei vari uffici, non pu escludersi che identici funzionari possono partecipare a diversi collegi e pronunciarsi due volte su un medesimo affare (i consiglieri di Stato possono pronunciarsi sia come componenti di una sezione consultiva, sia come componenti dell'Adunanza Generale, su una stessa questione) (13) ovvero che. funzionari tra di loro collegati da vincolo gerarchico partecipano taluni come componenti del collegio, altri come destinatari della delibera. Di conseguenza, l'astensione non ha luogo nei casi accennati, nei quali viene esclusa daJ principio della revocabilit degli atti amministrativi ovvero dalle norme orga' nizzatorie, ma ha luogo solo se si verifica il conflitto di interessi che previsto in casi indicati tassativamente ovvero se si verificano fatti certi e gravi che del pari possono determinare un conflitto di interessi (i quali non sono generici, bens specifici e qualificati). Infine, se il componente non si astiene, l'istanza di ricusazione talvolta va presentata, come nei collegi giurisdizionali, al collegio stesso; talvolta, invece, va presentata all'amministrazione che ha proceduto alla nomina dei componenti (14) e che deve adottare i provvedimenti del caso. Prof. UGO GARGIULO AVVOCATO DELLO STATO (13) Un altro esempio, esaminato dalla giurisprudenza, si aveva nel caso che il prefetto venisse considerato come presidente sia della Commissione provinciale per il confino (quando era in vigore), sia della G.P.A. in s. g.: egli, in tale ipotesi, poteva pronunciarsi due volte su una punizione da infliggere a un dipenqente comunal!'J, cio quando applicava la punizione e quando giudicava il ricorso proposto dall'impiegato alla G.P.A. (Cons. Stato 31 ottobre 1950, n. 536, Foro amm. 1951, I, l, 121). (14) Cons. Stato .25 febbraio 1952, n. 65 cc Foro amm. 1952, I, 3, 305. : ~~~:rn7..==='..J.E>";mm::~;,m>-p,.-,.-,.-/~~/.'Wffi".o/&.c&;=',m===~-/fl>'..,,,,,,.,,,,,...,,,_,.,.,,_mm.mmmnm= ., NOTE DI DOTTRINA -------------------------------------------------------~ P. C.ARUGNo: L'espropriazione per pubblica utilit. per il tempo decorso fra la determinazione della . (Giuffr, Milall;o, IV ed. 1958). indennit preventiva e la emanazione del decreto di esproprio, la indennit, stabilita pi non corri- Si sussegono, chiaro indice di una diffusione sponda al valore venale del bene -(Cons. Stato, ampiamente meritata fra gli studiosi, le edizioni IV Sez., 3 maggio 1957 n. 479, in Riv. amm. i> di questa monografia, fondamentale in materia, 1957, 711): qualunque sia la ragione per la quale che sempre pi va completandosi ed accrescen-la indennit non corrisponda al valore venale dosi, pur rimanendo aderente allo schema che ci dell'immobile, il decreto di esproprio non pu presenta l'istituto della espropriazione per pubblica per ci essere dichiarato illegittimo; mentre quella utilit nella sua unit concettuale e giuridica. non corrispondenza apre l'adito soltanto ad altra, In occasione della terza edizione si diede ampio e diversa, azione giudiziaria: la opposizione davanti conto dell'opera (in questa Rassegna , 1950, al giudice ordinarfo, a sensi dell'art. 51 (pag. 270, 212); epper ci si limiter a far rilevare come la nota 14). odierna edizione non soltanto tiene il debito L'altro punto riguarda la adesione (pag. 353-360) conto della ulteriore elaborazione scientifica e alla pi recente giurisprudenza della Corte di Cassagiurisprudenziale che intervenuta nel pi recente zione in ordine alla applicabilit del termine periodo, frutto di continuo aggiornamento al biennale, di cui all'art. 73, anche alle occupazioni quale non certo estranea la stessa attivit pro-di urgenza disposte per opere dichiarate urgenti fessionale dell'autore; m.a si presenta pi ricca ed indifferibili (cosi dette occupazioni anticipate, di spunti interessanti e di nuove meditazioni perch destinate a diventar definitive: sul quale offerte agli studiosi della materia, ed a quanti punto, peraltro, non si possono non richiamare -. magistrati, amininistrat9ri, avvocati -di le riserve gi formulate in altra sede (Il Cont. questo particolare istituto si occupano. Stato 1951-1955, II, 504). Cosi come non si saprebbe stato, cosi, riesaminato il problema della condividere l'opinione manifestata a pagg. 390-392, discriminazione delle giurisdizioni fra il giudice secondo cui -nel caso che durante l'occupazione ordinario e quello amministrativo; stata ana-preordinata all'esproprio sul bene occupato sia lizzata a fondo la questione delle dichiarazioni stata eseguita l'opera pubblica, e il procedimento implicite di pubblica utilit, alla luce della pi di espropriazione non sia stato portato a com.pirecente giurisprudenza. del Consiglio di Stato; mento nel biennio -non si pu pi attribuire stato rimeditato il tema, particolarmente sentito una indennit, nella misura e secondo le forme e scottante, della retrocessione; stato ancora previste dalla legge applicabile per quella partiuna volta rigorosamente affermato, con dovizia colare espropriazione, ma sar sempre dovuto di argomentazioni ~ con impeccabile conseguen-un risarcimento integrale del danno, e cio il zialit, il principio della non incidenza della valore pieno del bene, ancorch la procedura svalutazione monetaria sulla determinazione della espropriativa sia poi portata a com.pimento. E indennit. la ragione del dissenso (sul qual punto pu vedersi Nella nuova edizione si fatto, inoltre, un il gi citato Cont. Stato 1951-55, II, n. 513) sta pi ampio posto alla materia dei piani regolatori, precisamente in ci: che, decorso il biennio, non secondo la legge urbanistica; per quanto questo per questo viene meno il diritto a proseguir la settore, come pure quello dei piani di ricostruzione, espropriazione, con la conseguenza che la indennit, meriti di certo, per la sua importanza, una tratta-quale corrispettivo del trapasso di propriet, sar zione pi approfondita, he augurabile possa dovuta nei modi e nella misura all'uopo prevista seguire entro breve termine. dalla legge, generale o speciale; mentre per il Due punti, infine, meritano di esser segnalati periodo intermedio sar dovuto u:r!-.risarcimento in modo particolare. dei danni, in relazione alla occupazione .che.. s.! . Anzitutto la sobria, ma non per questo meno ~rotratta senza titolo. decisa, reazione contro una tendenza del Consi-:El peraltro evidente che le riserve che doverosaglio di Stato ad affermare la propria giurisdizione, mente si fanno su qualche particolare soluzione e la illegittimit del decreto di espropri~, quando, adottata dall'autore su singole questioni nulla -113 tolgono alla adesione gi fatta alla monografia nel suo complesso; mentre non si possono non condividere taluni rilievi sulla opportunit di apportare qualche ritocco alla legge fondamentale,soprattutto per cercare di unificare le procedure espropriative e, pi ancora, i criteri di determinazione della indennit. N..G. J. OHEVALLIER: La slgnature dcalque du double d'un acte sous seing priv par utilisation d'un papier carbone. (In cc Recueil Dalloz. 1958, 631). In questa interessante nota alla sentenza del Tribunale di Rennes del 22 novembre 1957 la quale aveva affermato la piena validit, come scrittura privata originale di un esemplare riprodotto con carta carbone simultaneamente con il primo esem- plare direttamente redatto, l'.A. contesta l'esattezza del principio sopra esposto, rilevando che nell'esemplare riprodotto per decalco mancano tutti gli elementi richiesti dal Codice per la validit della scrittura privata. Infatti, secondo l'.A., pur essendo certo che le .lettere tracciate sull'esemplare riprodotto con carta carbone provengano dalla mano di colui contro il quale l'esemplare stesso prodotto, non si riscontra, perch se ne possa affermare il carattere di scrittura privata, quell'elemento necessario di collegamento tra scrittura ed autore di essa che costituito dalla necessit che le lettere formate dallo scrittore siano state scritte immediatamente sul documento (o altra materia) ehe viene oontro di lui prodotto. Inoltre, quando si tratta di far valere contro una persona la sua firma apposta sotto un documento col sistema del r,icalco su carta carbone, mancherebbe anche, ai fini della sua validit come scrittura privata, l'altro elemento che consiste nella certezza che colui che ha firmato conosca ed abbia approvato il contenuto del documento ch firma. Infatti, mentre questo elemento ricorre nei casi in cui la firma sia stata apposta direttamente sotto il documento, esso pu dirsi che manchi quando la firma risulta apposta con il ricalco. Il Tribunale aveva affermato la validit della firma apposta al ricalco sostenendo che sia sufficiente per tale validit che la firma sia prodotta dal movimento della mano di colui che la redige , non essendovi alcuna disposizione di legge . che limiti i procedimenti di scrittura capaci di costituire una firma, cos come non esistono limiti alla materia che si impiega per firmare (inchiostro, matita, altri liquidi coloranti, ecc.) . Non ci constano precedenti giurisprudenziali nel nostro diritto, pur potendo, evidentemente, la questione presentarsi anche secondo le norme degli artt. 2702 e segg. del codice civile. I I Ii -"--- MASSIMARIO DI GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE (ORDINATO SEOONDO GLI ARTIOOLI DELLA OOSTITUZIONE) .Art. 39 1) LAVORO -CONTRATTI COLLETTIVI DI DIRITTO PRIVATO -APPRENDISTATO (art. ll, lett. e) legge 19 gennaio 1955, n. 25). (Sentenza n. 10 del 18 gennaio 1957. Pres. De Nicola; Rel. Battaglini), Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale fra l'art. 11, lett. e e 23, lett. b) della legge 19 gennaio 1955, n. 25 sull'apprendistato e l'art. 39 della Costituzione. 2) LAVORO -INOSSERVANZA DEI CONTRATTI COLLETTIVI (art. 509 C. P.). (Sentenza n. 55 del 10 aprile 1957. Pres. Azzariti; Rel. Battaglini). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 509, 10 comma, C. P. che stabilisce pene per la inosservanza dolosa dei contratti collettivi di lavoro e l'art. 39 della Costituzione. .Art. 40 1) LAVORO -INOSSERVANZA DEI CONTRATTI COLLETTIVI (art. 509 C. P.). (Sentenza n. 55 del 10 aprile 1957. Pres. Azzariti; Rel. Battaglini). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 509, 10 comma, C. P. che stabilisce pene per la inosservanza dolosa dei contratti collettivi di lavoro e l'art. 40 della Costituzione. 2) SCIOPERO -DANNEGGIAMENTO DA PARTE DI LAVORATORI IN OCCASIONE DI SCIOPERO (art. 635, 20 comma del C. P.). (Sentenza n. 110 del 27 giugno 1957. Pres. Azzariti; Rel. Cosatti). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale trlt l'art. 635, 20 comma, O. P. che punisce il danneggiamento commesso da lavoratori in occasione di sciopero o da datori di lavoro in occasione di serrata e l'art. 40 della Costituzione. .Art. 41 t) LEGGl SANITARIE-VENDITA DI SPECIALITA MEDICINALI (art. 125, 60 e 8 comma T. U. leggi sanitarie). (Sentenza n. 29 del 22 gennaio 1957. Pres. De Nicola; Rel. Gabrieli). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 125, 60 e so comma del T. U. delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e modificato con la legge 7 novembre 1942, n.-1528 e l'art. 41 della Costituzione. 2) LEGGE DI P. S. -VENDITA AMBULANTE DI SCRITTI O DISEGNI (art. 121 delle leggi di P. S.). (Sentenza n. 33 del 23 gennaio 1957, Pres. De Nicola; Rel. Azzariti). Non sussiste contrasto determinate illegittimit costituzionale fra l'art. 121 del Testo unico delle leggi di P. S., regolante l'esercizio dei mestieri ambulanti e l'art. 41 della Costituzione. 3) DIVIETI DI IMPORTAZIONE E DI ESPORTA ZIONE -INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA LIMITI (artt. ll e 13 R. D. L. 14 novembre 1926, n. 1923). (Sentenza n. 50 del 5 aprile 1957. Pres. Azzariti; Rel. Petrocelli) . Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra gli artt. 11 e 13 del R. D. L. 14 novembre 1926, n. 1923, che stabiliscono pene per garantire l'osservanza dei divieti di importazione e di esportazione, e l'art. 41 della Costituzione. 4) LAVORO -INOSSERVANZA DEI CONTRATTI COLLETTIVI (art. 509 C. P.). (Sentenza n. 55 del 10 aprile 1957. Pres. Azzariti; Rel. Battaglini). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 509, 1 comma, C. P. che stabilisce pene per la inosservanza dolosa dei contratti collettivi di lavoro, e l'art. 41 della Costituzio ne. 5) PREZZI-DISCIPLINA -COMITATO INTERMINISTERIALE E COMITATI PROVINCIALI DEI PREZZl (DD. LL. 19 ottobre 1944, n. 347 e 15 settembre 1947, n. 896). (Sentenza n. 103 del 25 giugno 1957. Pres. Azzariti; Rel. Gabrieli). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra i decreti legislativi 19 -6ttobre 1944, n. 347 e 15 settembre 1947, n. 896, riguardanti la disciplina dei prezzi, e l'art. 41, 2 comma, della Costituzione. 115 6) CONTRATTI AGRARI-CONTRATTI DI MEZZA DRIA (Legge salari 29 maggio 1956, n. 500). (Sentenza n. 118 del 2 luglio 1957. Pres. Azzariti; Rel. Sandulli). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra le norme della legge Salari 29 maggio 1956, n. 500, che disciplina con effetto retroattivo rapporti derivanti dallo scioglimento del contratto di mezzadria e l'art. 41 della Costituzione. 7) TITOLI DI CREDITO -NOMINATIVITA OBBLIGATORIA DEI TITOLI AZIONARI (R. D. L. 25 ottobre 1941, n. 1148). (Sentenza n. 129 del 12 dicembre 1957. Pres. Azzariti; Rel. Cassandro). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra il R.D.L. 25ottobre1941, n. 1148 sulla nominativit obbligatoria dei titoli azionari, e l'art. 41 della Costituzione. 8) LIBERT DI COMMERCIO-TUTELA DELLE DENOMINAZIONI TIPICHE (art. 3 legge 10 aprile 1954, n. 125). (Sentenza n. 4 del 17 gennaio 1958. Pres. Azzariti; Rel. Ambrosini). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 3 della legge 10 aprile 1954, n. 125, sulla tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi e l'art. 41 della Costituzione. Art. 42 1)ENTE NAZIONALE IDROCARBURI-CORRISPET TIVO PER L'USO DI BOMBOLE PER METANO (art. IO e 12 legge 8 luglio 1950, n. 640). (Sentenza n. 30 del 23 gennaio 1957. Pres. De Nicola; Rel. Manca). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra gli artt. 10 e 12 della legge 8 luglio 1950, n. 640, concernente la disciplina dell'uso delle bombole di gas metano, e l'art. 42 della Costituzione. 2) ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT INDENNIZZO- CONCETTO (art. 42, Legge 27 dicembre 1950; n. I04). (Sentenza n. 61 del 13 maggio 1957. Pres. Azzariti; Rel. Petrocelli}. Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 42 della legge regionale siciliana di riforma fondiaria del 27 dicembre 1950 1'.L. 104 e l'art. 42 della Costituzione. 3) CONTRATTI AGRARI-CONTRATTI DI MEZZA DRIA (Legge salari 29 maggio 1956, n. 500). (Sentenza n. 118 del 2 luglio 1957. Pres. Azzariti; Rel. Sandulli). ' Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra le norme della legge Salari 29 maggio 1956, n. 500, che disciplina i rapporti derivanti dallo scioglimento del contratto di mezzadria e l'art. 42 della Costituzione. 4) TITOLI DI CREDITO -NOMINATIV)T OBBLl GATORIA DEI TITOLI AZIONARI (R. D. L. 25 ottobre 1941, n. 1148). (Sentenza n. 129 del 12 dicembre 1957. Pres. Azzariti; Rel. Cassandro). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra il R.D.L. 25 ottobre 1941, n. 1148 sulla nominativit obbligatoria dei titoli azionari e l'art. 42 della Costituzione. 5) LIBERT DI COMMERCIO -TUTELA DELLE DENOMINAZIONI TIPICHE (art. 3 legge IO aprile 1954, n. 125). (Sentenza n. 4 del 17 gennaio 1958. Pres. Azzariti; Rel. Ambrosini). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 3 della legge 10 aprile 1954, n. 125, sulla tutel delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi e l'art. 42 della Costituzione. Art. 44 1) RIFORMA FONDIARIA -PERCENTUALE DI SCORPORO (Legge 16 agosto 1952, n. 1206). (Sentenza n. 62 del 13 maggio 1957. Pres. Azzariti; Rel. Jaeger). Non sussiste contrasto determinante illegitW mit costituzionale tra le norme della legge 16 agosto 1952, n. 1206 e l'art. 44 della Costituzione. Art. 45 1) LEGGE DI P.S. -PUBBLICA RACCOLTA DIFONDI COLLETTE E QUESTUE (art. 156 T. U. legge di P. S.). (Sentenza n. 2 del 16 gennaio 1957. Pres. De Nicola; Rel. Petrocelli). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 156 del Testo unico delle leggi di P. S., regolante la pubblica raccolta di fondi, collette e questue e l'art. 45 della Costituzione. Art. 47 1) TITOLI DI CREDITO-NOMINATIVIT OBBLI GATORIA DEI TITOLI AZIONARI (R. D. L. 25 ottobre 1941, n. 1148). (Sentenza n. 129 del 12 dicembre 1957. Pres. Azzariti; Rei. Cassandro). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra il R. D. L. 25 ottobre 1941, n. 1148 sulla nominativit obbligatoria dei titoli azionari e l'art. 4 7 della Costituzione. Art. 49 1) LEGGE DIP.S.-PUBBLICA RACCOLTA DI FONDI COLLETTE E QUESTUE (art. 159 T. U. legge di P. S.). (Sentenza n. 2 del 16 gennaio 195'?~ )?res. De Nicola; Rel. Petrocelli). Non sussiste contrasto determinante illegittimit costituzionale tra l'art. 156 delle leggi di P. S., regolante la pubblica raccolta di fondi, collette e questue e l'art. 49 della Costituzione. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA COSTITUZIONE -Corte Costituzionale -Leggi anteriori all'entrata in vigore della Costituzione -Compatibilit con le norme costituzionali -Competenza esclusiva della Corte costituzionale. CONTROVERSIE IN MATERIA DOGANALE -Decisioni del Ministro -Atti amministrativi -Impugnazione. (Corte Costit. -Sent. n. 40 del 1958; Pres. Perassi; Rel. Sandulli -Soc. Squinzano -Ministero Finanze. Le questioni relative alla compatibilit. di una disposizione legislativa con la norma regolamentare sono questioni di legittimit. costituzionale, di . esclusiva competenza della Corte Costituzionale, anche se riguardano disposizioni. anteriori all'entrata in vigore della norma costituzionale con cui siano incompatibili. L'art. 26 comma 2, T. U. 22giugno1924, n. 1054, esentando da ogni sindacato che non sia per incompetenza od eccesso di potere le determinazioni ministeriali in materia doganale, costituzionalmente illegittimo limitatamente alla controversie doganali, contrasiiando con il precetto del comma 2 dell'art. 113 della Costituzione. Il testo della sentenza pubblicato in Foro it., 1958, I, 1054, e in Giurisprudenza Costituzionale, 1958, 525. In quest'ultima Rivista essa annotata dal Mortati e dall'Esposito (pag. 829). Dal punto di vista costituzionale la sentenza soprattutto importante per quanto attiene alla delimitazione dei poteri della Oorte in relazione al sindacato sulle leggi anteriori alla Oostituzione. Oi sembra che la presente sentenza costituisca il logico sviluppo dei principi affermati nella sentenza n. 1del1956 (in questa Rassegna11956, pag. 126 e segg.) Oon le parole del Mortati pu oramai affermarsi che la sola soluzione soddisfacente quella secondo cui nessuna disapplicazione di atti con forza di legge (siano anteriori siano posteriori alla Oost#uzione n. d. r.) si rende possibile senza la previa pronunzia della Oorte Oostituzionale . Per quanto riguarda la questione specifica decisa dalla Oorte Oostituzionale, dopo l'intervenuta dichiarazione di illegittimit costituzionale del 2 comma dell'art. 26 del T. U. 22 giugno 1924, n. 1054, la questione tornata all'esame dell'Adunanza Plenaria del Oonsiglio di Stato, avanti la quale l'Avvocatura ha sollevato l'eccezione di difetto di giurisdizione, deducendo che la controversia attiene a diritti soggettivi e rientra quindi nella competenza dell'Autorit giudiziaria ordinaria. OPERE PUBBLICHE-Capitolato generale di appalto per le~opere del Ministero dei LL. PP. -Natura giuridica. (C. Cass., Sez. I, Sent. del 2 aprile 1958 -Pres. Zappia; Est. Stella Richter; P. M. Macarrone (conf.) -Quadrato c. Amm.ne Prov.le di Bari). Il Capitolato Generale di .Appalto per le Opere dipendente dal Ministero dei Lavori Pubblici, applicabile anche alle opere eseguite dalla Cassa del Mezzogiorno direttamente o per concessione, non ha carattere n contrattuale n legislativo ma carattere regolamentare. Riportiamo la parte fondamentale della motivazione di questa sentenza che riconferma,. ancora una volta, la giurisprudenza costante della Oorte Suprema sulla natura non contrattuale del Oapitolato Generale di Appalto. Si veda sull'argomento quanto abbimo ripetutamente scritto in questa Rassegna, da ultimo 1957, pag. 46. Oom' noto, la giurisprudenza di questo Supremo Oollegio ha abbandonato la tesi secondo la quale le disposizioni del detto capitolato avrebbero natura legislativa, in quanto ha escluso l'esistenza di una delegazione legislativa nella legge del 1895 sui lavori pubblici, ma ha attribito alle medesime disposizioni carattere regolamentare, e pii precisamente il regolamento di organizzazione, sempre .che si tratti di contratti interessanti lo Stato, mentre per i contratti posti in essere da privati o da enti pubblici diversi dallo Stato, ha riconosciuto che quelle disposizioni hanno invece valore contrattuale, in quanto solo di fronte allo Stato il contraente in un rapporto di subordinazione, che giustifica la sua sottoposizione a norme regolamentari obbligatorie. In conseguenza nei contratti con lo Stato le norme del capitolato generale sono senz'altro vincolanti, mentre nei contratti con altri possono esserlo solo se sono richiamate nel contratto, e, qualora si tratti delle clausole previste dall'art. 1342 capv. O. O. in quanto queste siano specificamente approvate per iscritto, ai sensi del medesimo articolo (sentenze 20 marzo 1958, n. 923; 4 febbraio 1957, n. 413; 24 marzo 1955, n. 870; 2 marzo 1955, n. 715; 30 settembre 1954, n. 3174). Ricnosciuto nei limiti anzidetti, il carattere regolamentare delle norme in oggetto, si giustifica la deroga alla competenza del giudice ordinario, ancorch non sia attuata in virt di legge o di atto avente forza di legge. Poich lo Stato non pu concludere contratti se non osservando certe determinate norme, e, d'altro canto, i privati che entrino in rapporti con lo Stato son<> soggetti alle norme regolamentari da questo ema -117 nate, essi devono sottopostare alla deroga della competenza stabilita con le norme medesime, a prescindere da un'apposita manifestazione di volont contrattuale . ' La Corte Suprema, come si vede, nel riaffermare la natura di norme obiettive delle disposizioni del Capitolato Generale di Appalto, adotta la tesi del carattere regolamentare di esse e precisamente qualifica il Capitolato Generale come un regolamento di organizzazione. Questa tesi, esposta per primo dal Presidente Eula, (in Foro amm., 1944-45, II, 77) stata ripresa da noi in questa Rassegna 1955, 178. Essa criticata dal Capaccioli in una nota alla presente sentenza (in Foro it., 1958, I, 1442), nella quale riprende gli argomenti gi esposti nel suo pregevole ed accurato volume su L'arbitrato nel diritto amministrativo (140 e segg.). Nel libro, a differenza che nella nota, il Capaccioli si occupa a lungo delle tesi da noi sostenute per combatterle, ma finisce per dover riconoscere che, pur attribuendosi al Capitolato Generale il carattere di norme contrattuali, vi sono certamente in esso alcune norme che hanno carattere regolamentare (pag. 147 in nota) ma ritiene che il valore cogente di tali norme risieda in una specie di autonomia che spetterebbe non alla sola Pubblica Amministrazione ma a tutti i soggetti di diritto. Comunque il Capaccioli, nella nota sopra citdta, ritiene di scorgere nella sentenza in rassegna una tendenza della Corte Suprema verso l'affermazione del .carattere contrattuale del Capitolato Generale di Appalto, a noi, invece, sembra che la Corte, affinando gli strumenti di indagine giuridica, abbia oramai fornito alla tesi della natura normativa del Capitoun sostegno incrollabile. RESPONSABILITA CIVILE -Diritto al risarcimento di danno dipendente da reato -Sentenza penale modifcatrice del titolo del reato -Applicazione amnistia -Prescrizione civile -Decorrenza. Cass. Civile -III Sez. Sent. n. del 1958 -Presidente Duni Red. Prestamburgo, P. M. Gentile (conf.) -Amministrazione F. S. -Passoni. cc Quando l'estinzione del reato per amnistia non derivi immediatamente e direttamente dall'atto del Capo dello Stato, ma trovi la sua ragione di essere e la sua base nella sentenza del giudice, che, nel suo sovrano apprezzamento di merito, immutand<; i e degradando il titolo di un reato inizialmente non amnistiabile, lo riporta nell'orbita del beneficio di clemenza, non dalla data di elargizione di questo, ma da quello della sentenza irrevocabile decorre il termine prescrizionale dell'azione civile. * * * Pur col dovuto ossequio, ma con altrettanta fermezza, ci corre l'obbligo di porre in rilievo che la Corte Suprema nella sentenza, che si annota, sembra sfo incorsa in errori ed inesattezze. Torna opportuno, al fine di rendere pi chiare le nostre osservazioni, trascrivere integralmente la parte motiva della sentenza sul punto in questione. <>, 1954, II, 275), ci risulta che la dottrina si dichiarata concorde col principio recepito dalla Suprema Corte RESTAINO, Giur. Cass. Civ.>>, 1954, IV, 170; ROGNONI, << Riv. Dir. Comm. >>, 1951, III, 185; TARIN, Foro Padano>>, 1950, I, 959; BELMONTE, cc Giur. Cass. Civ., 1954, I, 56; DEIANA, cc Riv. Div. Comm. , 1955, II, 145, etc.). Per altro le osservazioni contenute nella sentenza che si annota sembrano agevolmente confutabili. Ed infatti proprio la lettera dell'art. 2947 c. c. fa chiaro che il termine di decorrenza della prescrizione coincide con la data di estinzione del reato e cio con la data di entrata in vigore del provvedimento di clemenza (arg. ex art. 183 c. p.), onde non ha senso affermare che l'effetto immediato delle cause estintive del reato opera soltanto nei confronti dell'imputato, non anche nei riflessi dei terzi e riguardo all'esercizio delle azioni civili che derivano loro dal fatto delittuoso>>. N siamo stati in grado di comprendere quale argomento possa trarsi dalle modifiche apportate all'art. 376 c. p. p. della legge 18 giugno 1955, n. 517. Per vero la statuizione che, a pena di nullit, non possa dichiararsi non luogo a procedere per amnistia, se l'imputato non sia stato interrogato sul fatto costituente l'obbietto.,dell'imputazione, ovvero se il fatto non sia stato enunciato in un mandato rimasto senza effetto, diretta ad accrescere le garanzie di difesa dell'imputato (allo scopo, per esempio, di approfondire le indagini in relazione alla sussistenza delle condizioni per applicare il disposto del 20 comma dell'art. 152 c. p. p.), ma non spiega alcuna incidenza sulla natura dichiarativa della sentenza di applicazione dell'amnistia (sentenza di mero accertamento: LEONE, Lineamenti di dir. proc. pen , 1954, pag. 156; SANTORO, Manuale di dir. proc. pen. , 1954, pag. 366; SABATINI, Istituz. di dir. proc. pen. >>, 1946, III, pagg. 55 e segg.) e conseguentemente sulla interpretazione, data all'art. 183 c. p. dalla pi autorevole dottrina penalistica, che la estinzi. one del reato coincide col momento in cui entra in vigore il provvedimento di clemenza: MANZINI, cc Dir. pen. ital. , 1942, III, pag. 388 e segg.; SALTELLI ROMA NO cc Commento del nuovo codice pen. , 1940, II, n. 529; VANNINI, cc Manuale di dir. pen. >>,parte generale, 1948, pag. 234 e 289, etc.). I I norma degli artt. 3 c. p. p. e 295 c. p. c., non pu raffigurarsi come un impedimento all'esercizio del diritto, avendo finalit ed efficacia meramente processuali. N sembra che possa reggersi l'argomento principale su cui la Corte Suprema fonda la propria statuizione. E per V6ro il fatto che il reato nella sua originaria contestazione non sia compreso nel provvedimento di clemenza, ma in questo rientri per effetto di pronuncia del magistrato, non spiega infiuenza sulla natura dichiarativa di tale pronuncia. . Non pu, infatti, dubitarsi che nell'un caso come nell'altro il giudice accerta l'esistenza dei presupposti per l'applicazione dell'amnistia, n la complessit delle indagini, che in relazione alle prove acquisite compie al fine di pervenire all'esatta definizione giuridica del fatto che costituisce il reato, importa una modificazione della natura della sentenza di proscioglimento. Questa, in ogni caso, si pone come sentenza di accertamento con effetto, quindi, meramente dichiarativo. E qui cade aconcio porre in rilievo che proprio su. questo punto la sentenza in esame palesa la pi grave lacuna, dal momento che trascura di dimostrare, ome era necessario, che nella soggetta ipotesi il provvedimento del magistrato non potesse configurarsi come provvedimento di accertamento. Dobbiamo, per, ritenere che la omissione non sia casuale, sibbene sia dovuta alla impossibilit logica e giuridica di dare siffatta dimostrazione e ci pro vato dal fatto che la Corte, avvertendo l'esigenza di dare contenuto giuridico alle proprie affermazioni, si abbandona a considerazioni, le quali, purtroppo, si manifestano in parte incongruenti ed in parte errate. Ed infatti non agevole comprendere come sia giu ridicamente possibile conservare solo a favore del l'imputato la operativit ex tunc dlla causa di estinzione , e stabilire un diverso criterio nei ri guardi della situazione del leso n. Benvero se il provvedimento del magistrato ha fun zione di accertamento con effetti dichiarativi non si vede come possa, per un verso, spiegare efficacia ex tunc e, per altro verso, spiegare efficacia ex nunc. Ma vi di pi, perocch, allorquando la Corte, come argomento di rincalzo, prospetta, in aderenza al caso concreto, gli inconvenienti di natura proces. suale che si sarebbro verificati, qualora, gli attori sopraggiunta l'amnistia >i allo scopo <.>.::;w.W..'"'~ffe~&J:..?)JZt}.~J-Jl'J'JYJYJYJ:FRJ'l'#J'J'~H.ff.F//ilY/m_i')<'Yl')<__'X.>JW?n~H;,o".FH , -120 Regolatrice ebbe a statuire che, quando vi sia costituzione di parte .civile nel procedimento penale, il termine di prescrizione ricomincia a decorrere dal momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il procedimento penale. Prescindendo, in vero, da ogni questione in merito all'esattezza dell'affermato principio, sta di fatto che non esiste l'analogia, conclamata dalla Oorte, fra le due specie. Nell'un caso, infatti, si discute dell'efficacia itenrruttiva della domanda contenuta nella costituzione di parte civile e si dichiara applicabile anche in questa ipotesi il disposto dell'art. 2945, 20 comma, c. c., seeondo cui se l'interruzione avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art. 2963, la prescrizion non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio , nell'altro caso tornano in discussione soltanto natura ed effetti della sentenza di applicazione dell'amnistia. Siamo, dunque, su piani diversi e nessun argomento, pertanto, pu trarsi, in relazione alla questione in esame, dalla citata sentenza n. 1527 del 1955. Dalle cose innanzi rilevate agevole pervenire alla conclusione. La sentenza annotata, evidentemente ispirata da motivi pietistici, nulla ha detto di nuovo, che possa infirmare il principio ormai consolidato in materia di decorrenza del termine di prescrizione dell'azione civile nel caso di reato, dichiarato, poi estinto per amnistia; ma sta, anzi, a dimostrare che, allorquando si abbandona la strada maestra del ragionamento, si rischia di fare aff ermazfoni, purtroppo, sbagliate._ G. GENTILE RESPONSABILIT CIVILE -Responsabilit della P. A. -Attivit di polizia -Atti illegittimi di polizia Autorizzazione di polizia illegittima -Obbligo del risarcimenti:> dei danni. (C. Cass., Sez. Un., Sent.n. 1608/58 -Pres. Eula; Est. Gentile; P. M. Pafundi (conf.); Amm.ne dell'Interno c. Milillo). L'art. 7 del T. U. delle leggi di P. S. approvato con R. D. 18 giugno 1931, n. 773, esclude la responsabilit della P. A. per i pregiudizi economici arrecati ai privati dai provvedimenti legittimi di polizia, ma non esclude la responsabilit della P. A. per gli atti illegittimi di poliz~a, i quali, qualora diano luogo ad una lesione dei diritti soggettivi dei privati, concretano veri e propri fatti illegittimi, che a norma dell'art. 2043 c. c., obbligano al risarcimento dei danni. Il rilascio illegittimo di un'autorizzazione di polizia non d luogo alla lesione di un diritto soggettivo dei terzi, essendo l'interesse di questi solo occasionalmente protetto dalle norme che prescrivono le condizioni per il rilascio. Pertanto, improponibile contro la P. A., la quale abbia illegittimamente rilasciato un'autorizzazione di polizia, la domanda di risarcimento dei danni derivati ai terzi dall'attivit autorizzata. (Nella specie, trattasi della licenza per l'accensione di fuochi artificiali in luogo abitato, previi:ita dall'art. 57 del T. U. delle leggi di P. S.). Oi sembra di poter affermare che il testo della massima relativo all'interpretazione dell'art. 7 del T. U. della .legge di P. S. sia andato oltre il pensiero della Oorte quale espresso nella sentenza. Infatti la O orte distingue tra attivit legittima che .non darebbe luogo a risarcimento di danno e attivit illecita di polizia che a tale risarcimento obbligherebbe. Ora, non sembra che il concetto di illecito coincida con il concetto di illegittimo; per essere illecita una attivit della P. A. deve essere illegittima ma non soltanto illegittima. Essa invece deve essere anche imputabile ad organi della P. A. a titolo di colpa e consistere sostanzialmente in atti materiali che incidano nella sfera dei diritti soggettivi del cittadino. Oos un atto amministrativo emanato in materia di P. S. e che sia illegittimo non d titolo a risarcimento di danni se non sia estrinsecato in fatti materiali che abbiano leso la sfera patrimoniale del cittadino. Su questi concetti vedi lo scritto del Bavarese, in questa Rassegna, 1953, pag. 173 e segg. Per quanto riguarda la II massima, di ovvia esattezza, si veda in Foro it. , 1937, I, 1409. * * * Riportiamo qui di seguito integralmente la sentenza della Oorte Suprema. L'art. 7 del vigente T. U. delle leggi di P. S., approvato col R. D. 18 giugno 1931, n. 773 si limita a stabilire riproducendo quasi letteralmente l'art. 6 del precedente T. U., approvato col R. D. 6 novembre 1926, n. 1848, che nessun indennizzo dovuto per i provvedimenti dell'autorit di P. S. nell'esercizio delle facolt ad essa attribuite dalla legge. Ora, vero che sino all'entrata in vigore della .Oostituzione della Repubblica una parte della dottrina riteneva che la portata della norma suddetta fosse appunto quella sostenuta col mezzo di ricorso in esame; ma gli argomenti addotti a sostegno di tale tesi non resistevano gi allora ad una critica approfondita. La tesi, infatti, poggiava soprattutto, da un lato, su alcune espressioni contenute nella relazione ministeriale al T. U. del 1926 e, dall'altro, sulla considerazione che l'estrema importanza e delicatezza della attivit svolta dagli organi di polizia .nella difesa, preventiva, dell'ordine pubblico giustificasse l'esclusione di qualsiasi responsabilit dello Stato per i danni che l'esplicazione, anche illegittima, di tale attivit avesse potuto cagionare ai diritti dei privati. A ben guardare, peraltro, il secondo di codesti argomenti si risolveva in una vera petizione di principio. Dire, invero, che l'esclusione della responsabilit per gli atti illegittimi di polizia era giustificata dalla esigenza di assicurare che gli organi di polizia potes sero svolgere liberamente e senza preoccupazioni di sorta la loro attivit tanto necessaria all'interesse pubblico generale, presupponeva in realt gi risolto il problema che si doveva risolvere. Ohe la responsabilit della P . .A._pe.r i danni canati ai privati dagli atti illegittimi di polizia f-0.ssegio__ stata esclusa dalla norma di cui trattasi, ci, appunto, erat demon11trandum, e non lo si dimostrava di certo con la semplice identificazione di quella che avrebbe potuto essere la giustificazione razionale della norma -121 qualora questa si fosse dovuta interpretare in tal senso, tanto pi che, come sar chiarito di qui a poco, altra e assai pi valida giustificazione razion-al< milita a favore dell'interpretazione contraria. Quanto al primo argomento, questo era di una estrema fragilit, giacch il passo della relazione ministeriale su cui esso poggiava era del seguente tenore: l'art. 6 risolvendo antiche dispute spesso insorgenti, ha inteso sancire il principio che -anche all'infuori del risarcimento a titolo di colpa -non dovuto alcun indennizzo ai privati per i provvedime;,nti adottati dall'autorit di P. S. nell'esercizio della competenza ad essa attribuita dalla legge . e~ Ora, a parte ogni rilievo circa il limitatissimo valore interpretativo che in genere pu essere riconosciuto ai lavori preparatori, qualora questi documentino una volont del legislatore diversa da quella che risulta dal testo della norma a cui si riferiscono, comunque da osservare che, data la struttura del periodo dinanzi trascritto, era pi agevole interpretare l'inciso anche all'infuori del risarcimento a titolo di colpa piuttosto che nel senso dell'enunciazione di un limite all'affermato principio dell'irresponsabilit della P. A. (in favore della quale tesi militavano non solo l'espressione aU'infuori ma anche l'espressione risarcimento nonch la contrapposizione di quest'ultima alla espressione indennizzo usata successivamente la quale, come sar infra ribadito, esclusivamente propria dell'istituto della responsabilit per atti legittimi), che nel senso sostenuto dalla ricordata dottrina, la quale si limitava a porre l'accento sitlla parola anche n, sostenendo che essa avesse l'effetto di annullare il significato contrario dell'espressione all'infuori. Assunto, quest'ultimo, per lo meno estremamente discutibile, stante che la parola anche poteva invece essere interpretata nel senso di un mero rafformato dell'espressione immediatamente successiva all'infuori , con la conseguenza di convalidare la tesi opposta, secondo cui il legislatore aveva inteso soltanto escludere la responsabilit della P. A. per gz.i atti legittimi di polizia produttivi di danni ai privati. Tale tesi opposta, comunque, pi che sull'interpretazione dei termini, per vero alquanto ambigui, della relazione ministeriale, poggia su validissimi argomenti testuali e sistematici, e perci la sola che possa ritenersi fondata anche alla stregua dell'ordinamento esistente prima dell'entrata in vigore della Oostituzione Repubblicana. cc Gli argomenti testuali sono due, e discendono dalla considerazione che l'art. 7 si limita ad escludere l'indennizzo per i provvedimenti adottati dall'autorit di P. S. nell'esercizio delle facolt ad essa attribuite dalla legge . La parola << indennizzo ha invero un significato tecnico-giuridico assai preciso, in quanto con essa si indica soltanto quella forma di ristoro patrimoniale che costituisce il compenso spettante a chi ha subito iure una perdita economica; e si distingue nettamente dal risarcimento , che mira invece ad eliminare le conseguenze dannose di un'attivit illecita. Oi posto, e poich -almeno sino a prova contraria deve ritenersi che i termini usati dal legislatore nella posizione delle norme giuridiche abbiano il signi i I : ficato tecnico giuridico che loro proprio - mestiere riconoscere che l'art. 7 si limita ad escludere la responi sabilit della P. A. per i pregiudi.zi economici co munque arrecati ai privati dai provvedimenti legittim di polizia; il che del resto trova conferma nel rilievo che la stessa norma, parlando di provvedimenti adot tati dall'autorit ad essa attribuite dalla legge, dimo stra chiaramente di voler riferirsi soltanto ai provve dimenti legittimi. cc N si dica, come fa la ricorrente, che l'esclusione legislativa della responsabilit per gli atti legittimi di polizia sarebbe stata inutile, per non essere identi ficabile nel nostro ordinamento giuridico un princi pio generale che sancisca, anche fuori dei casi espres samente stabiliti dalla legge, la responsabilit della P. A. per i pregiudizi cagionati ai privati dai suoi atti illegittimi. noto invero che una forte corrente dottrina ritie ne, al contrario, che un siffatto principio generale, esi ste nel nostro ordinamento; e ci sufficiente a spiegare il proposito del legfalatore di stabilire, allo scopo di evitare ogni dubbio al riguardo, che nessun indennizzo dovuto per gli atti legittimi di polizia. cc Il testo della norma, quindi, non autorizza aff at to a ritenere che questa abbia escluso la responsabilit .della P. A. per gli atti illegittimi di polizia, i quali, qualora diano luogo ad una lesione dei diritti sog- gettivi assoluti dei privati, concretano veri e propri fatti illeciti, che secondo il principio generale enun ciato dall'art. 2043 codice civile, obbligano al risarci mento dei danni. . Ed in maneanza di qualsiasi locuzione del testo legislativo che possa indurre a ritenere l'esistenza di una volont del legislatore diretta ad escludere la re sponsabilit della P. A. per i fatti illeciti commessi nell'esercizio della funzione di polizia, tale responsa bilit deve essere senz'altro affermata in virt appunto del predetto principio generale. La deroga a codesto principio, perch si fosse po tuta ritenere disposta dal legislatore, avrebbe dovuto essere esplicita; ed una deroga del genere, invece, come si visto, non risulta per nulla dal testo del l'art. 7. Sul piano sistematico va aggiunto che l'esclusione della responsabilit per gli atti illeciti di polizia sa rebbe stata anche contraria alla concezione stessa dello stato di diritto, che sta a fondamento di tutto il diritto pubblico moderno, ed in virt della quale, tra l'altro, l'attivit degli organi amministrativi dello Stato deve sempre svolgersi nei limiti posti dalla legge a garanzia dei diritti soggettivi dei cittadini. cc L'esclusione della responsabilit dello Stato per le lesioni dei diritti soggettivi dei singoli prodotte dagli atti illegittimi di polizia, in quanto avrebbe privato i cittadini dell'unica adeguata tutela contro gli eventuali arbitri delle autorit di polizia, si sarebbe praticamente risolta nell'attribuzione alle dette autorit del potere di agire arbitrariamente in danno dei cittadini. Ed manifesta evidenza che, se l'art. 7avesse avuto anche una siffatta portata, esso sarebbe stato, -nella parte in cui avesse negato ai privati il diritto al risarcimento dei danni cagionati dai fatti illeciti di polizia, viziato da illegittimit costituzionale repubblicana. _J ' ~~;;==:mm 122 Sotto questo rifiesso, per, la questione di legittimit costituzionale 'non si pone aflatto, giacch come , si visto, l'art. 7 va invece interpretato solo nel senso -della esclusione della responsabilit dello Stato per gli atti legittimi di polizia. << Si discute peraltro in dottrina se, anche inteso in tale limitato senso, l'art. 7 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza sia o meno pur sempre in contrasto con il predetto art. 113, nonch con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Ma codesta questione di legittimit costituzionale esula dai confini della presente causa, nella quale gli attuali resistenti hanno dedotto, a fondamento della domanda da essi proposta contro l'Amministrazione ricorrente, soltanto la responsabilit di questa per un fatto illecito e, precisamente per aver rilasciato, con loro danno, un'autorizzazione di polizia, fuori dei limiti stabiliti dalla legge. Il secondo mezzo del ricorso si articola in due distinte censure. Con la prima di esse si deduce che la licenza per l'accensione dei fuochi artificiali in luogo abitato rilasciata dall'autorit di polizia ai sensi dell'art. 57 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza e dell' articolo 101 del relativo regolamento (approvato col R. D. 6 maggio 1940, n. 635), nell'esercizio di un. ampio potere discrezionale, e che tale esercizio non pu essere sindacato dal giudice ordinario. Con la seconda censura si sostiene poi che, comunque, il rilascio della licenza prescritto dalla legge, e quindi disposto nei singoli casi concreti, soltanto a tutela di interessi pubblici collettivi, e non pu mai pertanto, anche se illegittimo, risolversi in una lesione dei diritti soggettivi dei privati. La prima censura non potrebbe ritenersi fondata vero, bens, che per il rilascio della licenza di cui trattasi riconosciuto all'autorit di pubblica sicurezza un ampio potere discrezionale, al fine di valutare la non contrariet all'interesse pubblico, dell'attivit autorizzata, e, pi precisamente, la non pericolosit di questa. << Ma tale potere discrezionale, di natura peraltro puramente tecnica, non illimitato, e trova invece un ovvio limite, oltre che nelle norme regolamentari (tra cui appunto quella dell'art. 101 del regolamento di pubblica sicurezza) e nelle eventuali disposizioni generali di carattere interno impartite dalla stessa amministrazione, anche nel dovere che, come ormai universalmente riconosciuto, grava s&mpre sulla pubblica amministrazione, di osservare in tutti i suoi atti le regole di comune prudenza e diligenza, onde il mancato rispetto di tale limite bene potrebbe essere acc'ert.ato dal giudice ordinario, al fine di stabilire l'illegittimit del provvedimento di polizia concretatosi nel rilascio della licenza, qualora il detto provvedimento potesse considerarsi lesivo del diritto soggettivo di un terzo. E nella specie, appunto, la sentenza denunziata ebbe a ritenere che il provvedimento col quale il sindaco di Giovinazzo, agendo quale organo di polizia, aveva autorizzato i pirotecnici Cortese e Spano ad accendere fuochi artificiali nelle immediate vicinanze di un deposito di legname fosse illegittimo, perch oontrario ai criteri di elementare prudenza che sconsigliano nel modo pi assoluto la accensione di fuochi artificiali in prossimit di un luogo ove posto un deposito di materiali infiammabili, il quale, per trovarsi sulla presumibile traiettoria dei fuochi medesimi, pu6 facilmente essere da essi raggiunto quando sono ancora in fase di combustion-e-, ed essere cos da essi incendiato. Fondata invece la seconda censura. La licenza per l'accensione di fuochi artificiali in luogo abitato, prevista dall'art. 57 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza, una semplice autorizzazione di poliziq,, e quindi, come per tutte le autorizzazioni amministrative, la sua portata e soltanto quella di rimuovere un limite posto dalla legge all'esercizio di un'attivit privata. A differenza della concessione amministrativa, la quale attribuisce al privato un diritto o un potere che egli prima non aveva, l'autorizzazione non fa che rimuovere un limite al libero esercizio di un diritto o di un potere che preesiste nel privat<;> a cui essa rilasciata. Il limite posto in via generale dalla legge, la quale ritiene che l'esercizio incontrollato di quel determinato diritto o di quel determinato potere possa riuscire pericoloso all'interesse della collettivit. E l'autorizzazione rimuove tale limite a seguito di un accertamento preventivo della non pericolosit in concreto dell'atto che il privato intende compiere. Ricordate codeste nozioni istituzionali, giova in particolare ribadire, con riferimento alla questione prospettata dalla censura in esdme, che le norme di polizia le quali vietano l'esercizio di certe attivit senza il preventivo rilascio di un'autorizzazione amministrativa sono poste esclusivamente per la tutela dell'interesse pubblico .. dello Stato all'ordinato e pacifieo svolgvmento della vita della collettivit. Le attivit per eui prescritta l'autorizzazione po trebbero peraltro rilevarsi in eonereto anche produt tive di danno a determinati diritti soggettivi dei terzi. Ma alla tutela dei diritti dei terzi provvedono nel l'ordinamento vigente ben altre norme, tra cui quella fondamentale del neminem laedere, presupposta dal l'art. 2043 codice civile. L'autorizzazione di polizia ha quindi per suo es clusivo contenuto la rimozione del limite posto ad una data attivit dei singoli dall'interesse pubblico gene rale, e non incide per nulla sul limite che la mede sima attivit trova nella norma che impone il rispetto della sfera giuridica altrui. Tale ultimo limite non resta affatto pregiudicato dal rilascio dell'autorizzazione, ed il titolare di questo perci6 pur sempre obbligato a rispettarlo. Ed appunto per questa ragione che, come da tutti riconosciuto, l'autorizzazione si intende sempre concessa con la clausola della salvezza. dei diritti dei terzi. Una puntuale applicazione del prineipio dianzi enunciato del resto contenuta, proprio oon riferimento alle autorizzazioni di polizia, nell'art. 11 del regolamento di pubblica sicurezza approvato col R. D. 6 maggio 1940, n. 635, in cui esplicitamente stabilito che le autorizzazioni di polizia sono .conces.Be esclusivamente ai fimi di polizia e non possono essere invocate per escludere o diminuire la responsabilit civile o penale in cui i concessionari possano essere incorsi nell'esereizio eoncreto dalla loro attivit. -123 Non pu6 bens disconoscersi che i terzi i quali potrebbero essere lesi dall'esercizio dell'attivit autorizzata hanno un interesse di fatto a che l'autorizzazione non sia illegittimamente concessa. Ma, poich le norme che prescrivono le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni di polizia tutelano direttdmente soltanto l'interesse pubblico generale, deve ritenersi che il cennato interesse dei terzi sia da esse solo occasionalmente protetto, e privo, quindi dei requisiti propri del diritto soggettivo. Onde il rilascio illegittimo di una autorizzazione di polizia non pu mai dar luogo alla lesione di un diritto soggettivo dei terzi; e conseguentemente la responsabilit della P. A. per i danni che i terzi abbiano subito per effetto dell'esercizio di una attivit illegittimamente autorizzata deve essere senz'altro esclusa. Del resto, l'esclusione della responsabilit della P. A. in tale ipotesi, discende anche dal rilievo che l'attivit compiuta dal privato in conformit all'autorizzazione ottenuta riferibile solamente a lui e non pure alla P. A. che ha rilasciato l'autorizzazione. Infatti l'autorizzazione rimuove soltanto il limite posto dall'interesse pubblico generale all'esercizio di una data attivit; e, dopo averla ottenuta, il privato del tutto libero di compiere o non compiere l'attivit stessa. Se decide di compiere, egli per obbligato, nello svolgimento di essa, al rispetto del lmite costituito dall'esistenza dei diritti dei terzii limite della osservazione del quale l'autorizzazione, come si visto, non ha per nulla dispensato. E pertanto, se egli, nello svolgimento dell'attivit autorizzata, lede alcuno di codesti diritti1 la lesione conseguenza esclusiva del suo operato, del quale l'A. P. autorizzante non pu mai essere ritenuta responsabile, neppure sotto il profilo del 'concorso di cause. Unica causa della lesione dei diritti dei terzi sempre, nell'ipotesi esaminata, il fatto della persona autorizzata. L'autorizzazione, anche se illegittimamente concessa, appunto prch non ha in alcun modo inciso sulla tutela diretta di quei diritti stabiliti dall'ordinamento giuridico, non potrebbe mai considerarsi causa concorrente della loro lesione. cc Per le esposte ra.gioni deve concludersi che sempre improponibile contro la P. A., la quale abbia illegittimamente rilasciato un'autorizzazione di polizia, la domanda di risarcimento dei danni prodotti ai terzi dall'attivit autorizzata. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO GIUDIZIO CIVILE E PENALE -Archiviazione procedimento penale -Irrilevanza agli effetti del giudizio di responsabilit civile. Corte d'Appello de L'Aquila, 13 marzo 1958, Pres. Foulques; Est. Severino; Ministero dell'Interno c. Battista e Aloisantonio. Il provvedimento di non doversi promuovere l'azione penale ai sensi dell'art. 74 c. p. p., essendosi ritenuta una certa condotta non colposa, non preclusivo dell'esercizio dell'azione civile riparatoria ed il Giudice civile pu ritenere colposo il comportamento gi non ritenuto tale dal Giudice penale che ha emesso il provvedimento di archiviazione. * * * La sentenza ha cosi motivato: L'Amministrazione appellante sostiene, come ebbe a fare in prime cure, che a seguito dell'archiviazione del procedimento penale per omicidio colposo instaurato contro il Carabiniere responsabile, l'azione civile non potrebbe mai concludersi con una sentenza di condanna senza che previamente venisse accertata, una responsabilit penale. Di conseguenza il Giudice civile dovrebbe sospendere ogni pronunzia sull'azione di danno ed investire nuovamente quello penale. Non pare, pero, alla Corte che una tale teoria abbia f andamento, sia che venga essa guardata con riferimento alle norme che stabilisc~ no la pregiudizialit (art. 3 c. p. p.), sia con riferimento a quelle che determinano la precl'l!sione della azione civile (art. 25 c. p. p.), e l'autorit del giudicato penale nel giudizio di danno (art. 27 c. p. p.). Condizione essenziale perch il giudizio civile debba sospendersi fino alla pronunzia di sentenza penale irrevocabile , infatti, che l'azione penale abbia avuto eftettivo inizio e cio che essa sia stata concretamente promossa dall'organo del Pitbblico Ministero. Tale condizione difetta nel caso in esame poich col decreto di archiviazione si nego precisamente la promovibUit dell'azione penale. Tanto meno ricorrono preelusioni forma li o vincoli logici per il Giudice civile dato che essi postulano sempre l'esistenza di un giudicato penale che, nel caso, non si mai formato. N possibile all'interprete, in applicazione del principio di unit della giurisdizione, creare altri casi di preclusione all'infuori di quelli tassativamente previsti dalla legge.... I) Il caso deciso nella sentenza della Corte di Appello de L'Aquila, della quale si annota il punto che ' investe il problema relativo ai rapporti tra il pro'VVtdimento di archiviazione adottato dal Giudice. penale e l'esercizio dell'azione civile riparatoria, puo rappresentarsi sinteticamente come segue (1). Tizio, di et inferiore ai 18 anni, viene fermato dall'Arma dei Carabinieri quale sospetto autore di vari furti di notevole entit consumati in un piccolo paese. Il fermo, su autorizzazione del Pretore competente, si protrae alcuni giorni: nel corso del quinto giorno il fermato, mentre risponde in sede di interrogatorio ad un ufficiale dei Carabinieri che si era sostituito al Comandante la Stazione nel tentativo di fare .opera di persuasione al fine di ottenere tutta la verit, peraltro gi sostanzialmente acclarata con la confessione di Tizio, dichiaratosi autore dei furti per i quali sarebbe stato obbligatorio il mandato di cattura, si sente male. Viene chiamato il 'medico del posto il quale, assente, interviene alcune ore dopo, e constatato che Tizio, ormai in via di ripresa, era stato colpito da choc per ipertensione nervosa, ne consiglia la custodia in luogo pi accogliente della camera di sicurezza, almeno per un po' di tempo. Il fermato viene allora ospitato nella camerata in cui dormono i militari della Stazione e fatto adagiare su di un letto, sotto la vigilanza del carabiniere addetto alla custodia dei fermati (cinque in tutto: Tizio, ed altre quattro persone trattenute, per altri motivi, in camera di sicurezza). Il carabiniere, nel sedersi vicino al letto in cui Tizio riposa, depone la pistola a lui in dotazione, carica, nel cassetto del tavolino vicino al letto nel quale abitualmente dorme; e dopo un. po' di tempo, su richiesta di Tizio, che dice di aver sete, si avvia verso il ripiano della scala per invitare il collega di servizio azza porta della caserma a portare acqua al piano superior,. Nel breve intervallo di tempo dell'allontanamento del carabiniere di vigilanza, Tizio, che evidentemente aveva meditato l'azione e per compiere la quale aveva teso un tranello al carabiniere medesimo, si alza precipitosamente, si impadronisce della pistola di quello e si ~ci~. I Il fatto viene riferito al Magistrato penale: il Giudice istruttore presso il Tribunale di Sulmona, su conforme richiesta del p. m. e facendo propria l'amplissima motivazione contenuta in essa, ordina che per il fatto non si promuova azione penale. Nel provvedi- I (1) Abbiamo provveduto alla ricostruzione el 'fatto attraverso l'esame degli atti di causa, non risultando gli elementi costitutivi. di esso, accertati in sede penale, I dalla narrazione che la sentenza che si annota attribuisce alla esposizione fatta dagli attori. I -125 - mento esaminata principalmente la condotta del carabiniere di vigilanza, ma non viene neppure omessa .la valutazione del comportamento di tutti gli altri componenti la Stazione, con particolare riguardo al Sottufficiale comandante. Ogni colpa (che, se fosse sussistita, avrebbe significato omicidio colposo) viene decisamente esclusa, con esonero quindi di ogni responsabilit penale a carico di chicchessia, identificandosi sostanzialmente la causa dell'incidente nella depressione nervosa in cui era caduto Tizio per la vergogna derivante dall'essere stato scoperto autore di gravi reati, le conseguenze eccezionali della quale apparivano del tutto imprevedibili. I genitori del suicida intentano azione civile .di risarcimento di danni nei confronti del Ministero dell'Interno da cui dipende il carabiniere al quale si contesta grave negligenza nella custodia del fermato ed il Tribunale, con sentenza poi confermata dalla Corte di Appello, ritenuta la colpa del carabiniere, condanna l'Amministrazione. Cos. del Giudice di primo grado, come di quello di appello si era richiamata l'attenzione sulla impossibilit di addivenire a conclusioni diverse da quelle a cui era pervenuto il Giudice penale, per il principio della unitariet della giurisdizione e del concetto di colpa. Come l'eccezione sia stata superata risulta dal passo della sentenza che si riprodotto, ed su tale aspetto del problema che si intende por mente, senza indulgere in alcun modo alla rivalutazione, nori-conierente ai fini della presente annotazione, del punto se la morte di Tizio fosse da attribuire alla condotta 01iminosa colposa del carabiniere. II) Non v'ha dubbio che il provvedimento di non doversi promuovere l'azione penale ai sensi dell' articolo 7 4 c. p. p. non preclusivo dell'esercizio della azione civile, ma la valutazione del fenomeno limitata a tali aspetti esteriori appare del tutto superficiale se si pretenda di dedurne che il Giudice civile possa, come avvenuto nella fattispecie in esame, considerare reato quel fatto che non ritenuto tale dal Giudice penale. Si direbbe peraltro cosa inesatta se si affermasse avere la Giurisprudenza, anche della Suprema Corte, esaiminato a fondo il problema, con argomentazioni cio idonee a penetrarne l'essenza fondamentale, e non invece utili a consentire solo la percezione della mera esteriorit di esso. stata esattamente sottolineata la proclivit di affermare che il Giudice civile abbia competenza a conoscere del reato e la tendenza a ritenere ci non g1, un'anomalia del sistema dei rapporti tra la giurisdizione penale e quella civile rispetto al fatto illecito, bens una conferma del principio inerente al sistema, che il Giudice civile, possa accertare il reato per fini diversi dall'applicazione della pena (2). Gli esempi per che sono portati abitualmente (casi in cui il Giudice civile valuti il fatto illecito avente anche rilevanza pena.le, se non abbia avuto luogo il processo penale per mancanza di querela od il reato si estinto per amnistia) non sono conferenti: finch (2) ROMANO DI FALCO: Processo penale e azioni civili e amministrative secondo i nuovi Codici. Milano, 1943 10 e segg. ---- =jfily..@/kY//////,WkY//////////H. W////ff/,j W.&"ffi/. ~//.@#/.-"/.-'h>>>'//#~/~h il Giudicl? civile si limiti a valutare quel fatto ai fini della determinazione dei danni patrimoniali conse .. guenti, la valutazione non investe il reato, cio un fatto preveduto dalla legge come reato, ma semplicemente un fatto produttivo di danno privato, cagionato dalla lesione di un diritto privato. Il principio esatto invece, a nostro avviso, il contrario, quale quello escludente che il Giudice civile abbia competenza a conoscere del reato, ad accertare il reato. Di regola, che, quale tale, ammette eccezione nell'ipotesi in cui si pretenda il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti ad un fatto illecito del quale si sostenga la natura criminosa non potuta accertare dal Giudice penale (3). III) La giurisprudenza non sembra peraltro essersi resa conto della diversa essenza dei fenomeni per i quali ha ritenuto la competenza del Giudice civile a valutare la rilevanza, ai fi.ni del risarcimento del danno, di un fatto illecito di natura anche penale, ed ha fatto, c.ome non raramente avviene, di ogni caso un fascio, accomunando nella stessa disciplina ipotesi sostanzialmente diverse e traendo di deduzione in deduzione conseguenze non giustificabili per la non riferibilit, data la diversa natura, dell'una all'altra deduzione. La pretesa invero di collegare la facolt per il giudice civile di accertamento della sussistenza di un reato ai fini del risarcimento dei danni non patrimoniali qualora si intervenuta una causa di estinzione o di improcedibilit dell'azione (espressione dell'eccezione al noto principio), o sia mancato un procedimento penale per essere rimasti ignoti gli autori del reato, sicuramente peraltro attribuibile, nelle conseguenze civilistiche, alla persona giuridica alla quale appartengano detti autori non identificati (4), alla (3) L'eccezione sorta dai contrasti in dottrina sul riconoscimento della risarcibilit del danno non patrimoniale a causa di un fatto illecito meramente civile: tra le due tesi estreme la giurisprudenza della Cassazione si ferm su una soluzione di compromesso, ammettendo che il Giudice civile avesse la possibilit di occuparsi del risarcimento del danno non patrimoniale tutte le volte che il fatto illecito fosse contemplato come reato e quindi in tutti i casi in cui se ne fosse verificata l'estinzione. L'eccezione codificata nella disposizione (art. 2059 e.e.) secondo la quale il danno non patrimoniale dev'essere risarcito anche nei casi determinati dalla legge: e poich il risarcimento dei danni non patrimoniali compreso nei limiti rigorosi (allo stato della legislazione) di un'eccezione (che il fatto, da cui il danno proviene, costituisca reato}, non sostenibile un preteso principio di competemrn del Giudice civile a conoscere il reato. (4) A tale collegamento si assiste nella recente sentenza della Corte Suprema 17 ottobre 1956, n. 3667, in cc Foro it:, 1957, I, 171-172) la quale si richiama, tra l'altro, alla massima che rileverebbesi dalla precedente sentenza 16 giugno 1951, n. 1551 (in cc Resp. civ. ,.1951, 512 e segg.}, secondo cui la facolt del Giudice civile di accertare il reato sussisterebbe anche in tutte le ipotesi in cui sia mancato un procedimento penale. Al fine di stabilire quale significato debba darsi alla dizione si provveduto a controllare il testo integrale della senf. ~~"_J ~ -126 facolt di tale accertamento quando il Giudice penale abbia disposto non doversi promuovere l'azione penale per ritenuta non responsabilit a titolo di colpa, con la conclusione che la colpa invece sussista e per gli stessi fatti, appare assurda, come espressione dell'altro principio (che supera, e di molto, l'eccezione alla regola contraria della non competenza per il Giudice civile a conoscere il reato), secondo il quale detto Giudice avrebbe facolt addirittura di accertare un reato in contrasto al Giudice penale che ha ritenuto il fatto non reato (5). IV) Dall'essenziale identit del potere di giurisdizione scaturisce il concetto secondo il quale la giurisdizione dev'essere concepita come essenzialmente unitaria. Nel sistema dei rapporti fra le varie giurisdizioni si constata che tra le diverse attribuzioni fun tenza ma, non comprendendosi la ragione per la quale il procedimento penle non vi era stato, non pu dirsi se si tratti di ipotesi di precedente archiviazione per non ritenuta colpa da parte del Giudice penale o di assoluta mancanza di valutazione del caso da parte di questi ( chiaro che tratterebbesi di fattispecie di natura ben diversa). Anche nel caso in cui sia mancato il procedimento penale per essere rimasti ignoti gli autori del reato (sicuramente peraltro appartenenti allo Stato a cui si riferiscono le conseguenze civilistiche di risarcimento del danno patrimoniale) la facolt del Giudice civile di valutare il reato non suona offesa al principio secondo il quale non ammissibile un contrasto di valutazioni da parte dei due Giudici, il civile ed il penale, quale applicazione piuttosto della nota eccezione, anche da noi ammessa, alla regola della non competenza del Giudice civile a conoscere il reato (cons. BERRI: Pronwncia sul risarcimento dei danni non patrimoniali da parte del giudice civile e sentenza penale istruttoria di non luogo a procedere, in Giur. it. >>, 1957, I, 1, 443 e segg., in particolare 448). (5) L'assurdit stata rilevata altre volte dalla stessa Corte Suprema la quale ha escluso che il Giudice civile possa accertare il reato. ai fini del risarcimento dei danni non patrimoniali, quando vi sia stata archiviazione ai sensi dell'art. 74 c. p. p. (Cass. 27 maggio 1942, n. 826, in<< Resp. civ.>>, 1942, 47 e segg.; 26 aprile 1957, n. 1401, in Temi>>, 1958, 16 e segg., con nota contraria del MANCINELLI: Oasi di accertamento del reato da parte del Giudice civile) o quando vi sia stata sentenza istruttoria di non doversi procedere perch il fatto non costituisce reato (6 aprile 1957, n. 1178, in Giur. it. >>, 1957, I, 1, 443 e segg.). Tali conclusioni sarebbero per di evidente compromesso: se si ritenga non ammissibile un contrasto tra il Giudice civile ed il Giudice penale circa la valutazione della sussistenza del reato, la non ammissibilit ha da essere affermata non solo per quanto riguarda il risarcimento dei danni non patrimoniali, ma anche per quanto riguarda il risarcimento dei danni patrimoniali. Una volta cio che si ritenga che il Giudice civile non pu andare in avviso diverso rispetto a quello espresso dal Giudice penale, tale avviso ha da essere coincidente per quanto riguarda il risarcimento dei danni patrimoniali. la inammissibilit della contraddittoriet delle valutazioni la chiave di soluzione del problema, non la zionali dei Giudici non intercede un rapporto di separazione, bens un rapporto di coordinata integrazione. Coordinata integrazione che non si consegue certo attraverso pronunce diametralmente contrarie del Giudice civile e di quello penale, rnOt piuttosto, se, non nell'assoluta economia, in ogni caso, di attivit processuali, con la coincidenza delle decisioni, espressione, tra l'altro, di maggior certezza e bont del deciso. Se ci esatto, e sembra indubbio lo sia, a soddisfacimento di esigenze fondamentali dell'amministrazione della giustizia, e posto che la legge non prevede una preclusione procedurale del provvedimento di archiviazione rispetto all'esercizio dell'azione civile riparatoria, il sistema accolto dall'ordinamento vigente non pu non essere interpretato come segue: il legislatore acconsente che il caso, gi valutato in un certo senso dal Giudice penale, sia sottoposto alla valutazione del Giudice civile affinch anche questi ponga mente al problema della sussistenza di motivi di illi distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale. La critica non pu essere peraltro formulata alle citate sentenze del 1942 e del 1957 in quanto, trattandosi di omicidio colposo cagionato da circolazione di veicolo, per la particolare incidenza dell'onere della prova (che fa carico al conducente l'automezzo) e per la consistenza di essa (occorre dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno), pur in teoria ammissibile che ad un provvedimento di archiviazione in sede penale per insussistenza di reato (omicidio colposo) segua, in sede civile, una condanna al risarcimento del danno patrimoniale per non avere il conducente dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. La massima contenuta nella sentenza del 1942, prima di essere confermata nella sentenza n. 1401 del 1957, era stata disattesa nella citata sentenza n. 3667 del 1956, dopo aver gi subito una trasformazione nella sentenza 28 marzo 1952, n. 839 ( Resp. civ. >>, 1953, 140 e segg.), nella quale si dichiar ammissibile una contraria valutazione del Giudice civile, rispetto a quella fatta dal Giudice penale che aveva disposto l'archiviazione, nella considerazione che, dopo il procedimento di archiviazione, era intervenuto l:!1l provvedimento legislativo di clemenza che avrebbe in ogni modo impedito al Giudice penale di occuparsi ancora della fattispecie. Quanto sia specioso l'argomento appare evidente, tanto pi se si ponga mente al fatto che nella specie trattavasi di amnistia rimmciabile ! da rilevare infine che si restii nella pratica a far risultare la contraddittoriet nella sua pi evidente consistenza, astenendosi di regola dal chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti ad un fatto ritenuto non reato dal Giudice penale e che si pretende invece sia ritenuto tale dal Giudice civile, sia trascurata cio la insuperabile coincidenza secondo la quale se fatto illecito , non pu non essere fatto illecito penale. Anche nel caso di cui alla sentenza che si annota. gli attori si sono astenuti dal chiedere il risarcimento dei danni non patrimonfali, ritenendo forse in tal modo di aiutare il Giudice civile a superare la riluttanza alla-co:p.traddittoriet che peraltro, ad osservatore non superficiale, risulta parimenti evidente, anche esaminandosi il fenomeno sotto il limitato angolo di visuale del risarcimento dei soli danni patrimoniali. WFCTL& ZWCT @E WFCTL& ZWCT @E 127 ceit che eventualmente lo permeino, illiceit che, se sussistente, non _pu6 non essere penale, onde l'esigenza per il Giudice civile di riferire. al Giudice penale su quelle prove di illiceit che gi da questi non siano state prese in considerazione. Della inosservanza della quale esigenza, ben ha motivo di dolersi l'autore del preteso fatto illecito, gi ritenuto non tale dal Giudice penale. Il rilevare che il potere-dovere di cui all'art. 3 del Codice di rito penale. posto dalla legge nel superiore interesse della giustizia, e non gi in quello privatistico delle parti litiganti, le quali non potrebbero dolersi della eventuale inosservanza di un simile obbligo, non sembra tenere conto dei preminenti motivi per i quali il cittadino, che abbia commesso un fatto che si pretende penalmente illecito, -ha il diritto di essere giudicato dal Giudice al quale istituzionalmente affidato tale compito, cio dal Giudice penale (6). La giurisdizione del Giudice civile, in materia di fatti penalmente illeciti, non pu non essere conseguenziale alla. giuris.dizione del Giudice penale, subentra cio so_lo in quanto lo consenta l'avvenuto esercizio di questa, e non invece se tale esercizio sia mancato e sia ancora possibile. Se si esprimesse sorpresa sulla ortodossia della interpretazione, quale proposta del sistema, tenuto conto della non de'finitivit del provvedimento di archi viazione, essendo l'istruzione suscettibile di riaper tura, onde appare quanto meno strano che si apprezzi la utilit del ricorso al Giudice civile quando in ogni caso sarebbe possibile richiedere ancora l'intervento di quello penale, ci sembra agevole obiettare che, de jure condendo, tale sorpresa potrebbe anche apparire meritevole di attenzione, ma, de jure condito, ben maggiore sorpresa, con conseguenze ben pi gravi, merita l'eventualit di un contrasto di pronunce (7). (6) Cass. 4 dicembre 1957, n. 4553, in cc Giust. Pen. >>, 1953, I, 298 e segg. La Corte Suprema rileva anche, in questa sentenza, che quando il Procuratore della Repubblica sia stato informato della sussistenza di un fatto penalmente illecito, quando cio si sia soddisfatta la esigenza sociale relativa alla esplicazione dell'attivit punitiva dello Stato, il Giudice civile non ha altri doveri al riguardo e pu regolarsi come crede, se la sua denuncia sia stata archiviata. L'art. 3 sarebbe osservato, secondo la Cassazione: secondo noi non nella sostanza, che va molto al di l di una formale applicazione della norma. (7) Il quale contrasto risulterebbe anche, ed ancor pi, se possibile, evidente nelle ipotesi in cui il Giudice civile non si ritenesse vincolato da una assoluzione da imputazione da reato colposo perch il fatto non costituisce reato per mancanza di colpa ed affermasse nel contempo l'obbligo al risarcimento del danno per responsabilit colposa, cio, sostanzialmente, perch il fatto costituisce reato. Dovrebbe presumersi peraltro che la contradditoriet potrebbe essere evit.ata desumendosi l'efficacia preclusiva del giudicato penale dal dispositivo della sentenza in relazione alla motivazione: interpretandosi cio il dispositivo come espressione di insussistenza del fatto (da considerarsi questo nel complesso degli elementi oggettivi e soggettivi del reato) e quindi preclusivo dell'esercizio dell'azione civile ai sensi dell'articolo 25 c. p. p. (cons. GIONFRIDA: L'efficacia della sentenza penale nel processo civile, in Riv. dir. proc. , 1957, L'uomo di buon senso, per il quale sostanzialmente la giustizia viene amministrata, non riesce a rendersi conto c>, ovvero sia sufficiente che venga esplicata una sola di tali attivit (n. 10). BORSA AGENTI DI CAMBIO. -Quale sia l'i:nterpretazibne e l'applicazione della norma transitoria (art. 16) della legge 23 maggio 1956, n. 515, sui concorsi ad agente di cambio (n. 13). CACCIA E PESCA PESCA -PRIVILEGI SPECIALI. -Se il privilegio speciale di cui all'art. 50 del T. U. sulla pesca (R. D. 8 ottobre 1931, n. 1604) debba essere collocato dopo le eventuali ipoteche e nei suoi confronti trovi applicazioni l'art. 559 cod. navigazione (n. 11). CINEMATOGRAFIA CONTRIBUTI GOVERNATIVI. -Se il giudice delegato al fallimento di una societ cinematografica possa ordinare all'Amministrazione di versare alla curatela e non ai cessionari iscritti prima del fallimento l'importo dei premi e dei contributi disposti per la produzione di un film (n. 24). COMUNI E PROVINCIE ASSUNZIONI DI LAVORATORI. -Se, in base agli artt. 79 e 81 del T. U. 30 maggio 1955, n. 797 sugli assegni familiari, i Comuni possano legittimamente emanare regolamenti per stabilire particolare trattamento di famiglia per i lavoratori assunti con carattere contingente, ovvero se tali lavoratori debbano necessariamente ssere iscritti alla Cassa per gli assegni familiari a cura del Comune stesso (n. 71). CONSIGLIO DI STATO GIUDICATO. -Se la decisione del Consiglio di Stato, che accoglie il ricorso avverso il provvedimento che interpreta restrittivamente una norma sul trattamento economico di una categoria di pubblici impiegati, estende gli effetti rispetto agli altri interessati che non ebbero a proporre tempestivi reclami, di modo che l'Amministrazione debba provvedere all'automatica revisione degli stipendi arretrati di tutto il personale di quella categoria (n. 1). I CONTABILITA GENERALE DELLO STATO CONTRATTI. -I) Se coloro che contraggono obbligazioni verso lo Stato possano ottemperare all'obbligo della prestazione di idonea garanzia mediante una cauzione costituita da fideiussione (n. 170). II) Se debba essere applicata la tassa graduale o quella fissa, sulle cauzioni costituite da fideiussione, che siano accettate a norma delle disposizioni contenute nel R.D.P. 29 luglio 1948, n. 1309 (n. 170). VENDITA SOPRASSUOLI BOSCHIVI. -III) Quale sia l'interpretazione dell'art. 34 del Regolamento per l'amministrazione del Patrimonio e la Contabilit generale dello Stato relativamente ai depositi cauzionali per la vendita dei soprassuoli boschivi, appartenenti all'Azienda di Stato per le Foreste demaniali (n. 171). CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI GESTIONE. --Quale sia l'interpretazione degli artt. 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1956, n. 54, recnte norme integrative sulla gestione di finanziamenti statali e garantiti dallo Stato (n. 27). DANNI DI GUERRA CONTRIBUTI DI RICOSTRUZIONE. -I) Quale sia l'interpretazione e l'applicazione dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 ai fini della detrazione di provvidenze gi ottenute dal danneggiato (n. 85). DANNI CAUSATI DA AZIONI NON DI COMBATTIMENTO DEGLI ALLEATI. -II) Se avverso la sentenza penale che ha condannato l'Amministrazione Militare britannica al risarcimento del danno verso un cittadino italiano, possa lo Stato italiano (Ministero del Tesoro), su cui, ai sensi della legge 9 gennaio 1951, n. 10, grava l'onere dell'indennizzo su fatti causati da militari alleati, proporre impugnazione quale sostituto processuale dell'Amministrazione britannica, o anche proporre opposizione di terzo davanti al giudice civile ai sensi dell'art. 404 c.p.c. (n. 86). REQUISIZIONE DI AUTOMEZZI. -III) Se nel caso di perdita totale di automezzi requisiti in uso in territorio soggetto alla sovranit italiana e distrutti in altro territorio ove si erano venuti a trovare a seguito di disposizioni delle autorit militari, la perdita dell'automezzo, ai fini della corresponsione dell'indennizzo, deve ritenersi avvenuta nel territorio in cui avvenne la requisizione ovvero nel territorio in cui il danno si verificato (n. 87) T. L. T. -IV) Quale sia l'interpretazione e l'applicazione nel Territorio Libero di Trieste delle norme contenute nell'art. 6 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 (n. 88). DEMANIO PIANI REGOLATORI. -Quale sia l procedura da seguire nei casi in cui l'Amministrazione Militare intenda opporsi alla destinazione data da un piano regolatore e > possa beneficiare della franchigia nella trasmissione dei telegrammi di servizio sui fili della rete dell'Amministrazione Ferroviaria ed in caso di interruzione della medesima sulla rete delle Poste e Telecomunicazioni (n. 276). PERSONALE FERROVIARIO. -Il) Se il personale ferroviario, neWambito delle rispettive attribuzioni, abbia l'obbligo di accertare le infrazioni al Regolamento di Pol'.zia ferroviaria (n. 277). III) Se debba riconoscersi al suddetto personale nel disimpegno di tale attivit, la qualifica di Ufficiale o Agente di Polizia ferroviaria (n. 277). IV) Se detto personale sia abilitato ad eseguire legittimamente il sequestro del corpo di reato ai sensi dell'art. 44 delle Istruzioni per l'accertamento alle infrazioni alla Polizia Ferroviaria (n. 277). TRASPORTO DI PERSONE. -V) Se, ai sensi dell'art. 1, paragr. 3, delle CC.TT. FF.SS., e dell'art. 28, paragr. 1, C.l.V., sia legittima la richiesta di un viaggiatore diretta ad ottenere un indennizzo in seguito al ritiro (con conseguente mancato uso per tutt~ o parte del viaggio) di una carrozza in servizio diretto internazionale (n. 278). IMPIEGO PUBBLICO DECISIONE CONSIGLIO DI STATO. -I) Se la decisione del Consiglio di Stato, che accoglie il ricorso avverso il provvedimento che interpreta restrittivamente una norma sul trattamento economico di una categoria di pubblici impiegati, estende gli effetti rispetto agli altri interessati che non ebbero a proporre tempestivi reclami, di modo che l'Amministrazione debba provvedere alla automatica revisione degli stipendi arretrati di tutto il personale di quella categoria (n. 471). IMPIEGATO STATALE -DESTITUZIONE. -Il) Se la destituz.ione ope legis prevista dall'art. 66 lett. a) del R. D. 30 ottobre 1923, n. 2960, in relazione all'art. 144 pel D. P. R. 11 gennaio 1956, n. 17; possa essere applicata anche nel caso di reato tentato (nella specie concussione) (n. 472). IMPIEGATO STATALE -IRREPERIBILIT -III) Se, in mancanza o nella inerzia di privati, comwque interessati alla successione del cittadino divenuto irreperibile 1 er fatto di guerra, il procedimento per la dichiarazione di morte presunta possa essere promosso dalla Pubblica Amministrazione presso la quale tale cittadino era impiegato (n. 473). ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO. -IV} Quali Ii1 siano, ai sensi dell'art. 18 della legge 26 agosto 1950, J n. 860, le retribuzioni spettanti alle impiegate dell'Isti-I tuto Poligrafico dello Stato per il periodo di assenza I per parto (n. 474). j ! -133 MORTE DI I:MPilllGATO. --V) Se, ai sensi dell'art. 44 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, l'Avvocatura dello Stato possa assumere la difesa degli aventi causa di un impiegato della Amministrazione danneggiati dalla morte di questi avvenuta per opera di un terzo, imputato di omicidio colposo (n. 475). IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE I.G.E. -EsENZIONT. -Quale sia, ai sensi dell'art. 21 della legge organica sull'I.G.E. 19 giugno 1940, n. 762 il trattamento tributario da applicare alle forniture delle provviste di bordo ed alla somministrazione del vitt.o (panatiche) relativamente ai rifornimenti di navi (n. 16). IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA ESENZIONI. -i) Se le Casse Provinciali Malattie che all'atto della stipulazione di un contratto di appalto funzionavano come centri autonomi, possano fruire dei particolari benefici fiscali riconosciuti all'I.N.A.M. con l'articolo 35 della legge 11 gennaio 1943, n. 138 (n. 75). II) Quale sia, ai sensi dell'art. 21 della legge organica s~ll'I.G.E. 19 giugno 1940, n. 762, il trattamento tributario da applicare alle forniture delle provviste di bordo ed alla somministrazione del vitto (panatiche) relativamente ai rifornimenti di navi (n. 76). INFRAZIONI. -III) Se, nel caso di I.G.E. irregolarmente corrisposta, l'Amministrazione debba limitarsi ad applicare la pena pecuniaria di cui all'art. 37 della legge 19 giugno 1940, n. 762 o debba richiedere che l'I.G.E. gi corrisposta dall'opponente sia nuovamente pagata (n. 77). RIMBORSO. -IV) Da che giorno decorra il termine prvisto dall'art. 47 della legge 19 giugno 1940, n. 762, nei casi in cui l'I.G.E. sia stata pagata mediante ritenuta su ordinativi di pagamento (n. 78). IMPOSTE E TASSE IMPOSTA STRAORDINARIA PROGRESSIVA SUL PATRIMONIO. -I) In quali casi, ai sensi dell'art. 50 della legge tributaria sulle successioni, l'import.o complessivo dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio possa essere ammesso per intero in deduzione dell'attivo ereditario (n. 304). IMPOSTA SULLE OBBLIGAZIONI. -II) Se siano esenti dall'imposta del 5 per mille sulle obbligazioni, istituita dall art. 17 della legge 6 agosto 1954, n. 603, le obbligazioni emesse in seguito ad una operazione di mutuo tra l'Amministrazione delle FF. SS. ed il Consorzio di Credito per le Opere pubbHche (n. 305). IMPOSTE DI ABBONAMENTO. -III) Se sull'imposta in abbonamento dovuta dalla Banca Nazionale del Lavoro per il credito peschereccio sia dovuta l'addizionale per il fondo di solidariet nazionale istituito con il D. L. 27 maggio 1946, n. 619 (n. 306). IMPOSTE DI CONSUMO ESENZIONI. -Se l'esenzione stabilita dall'art. 29, n. 5 !:"~'!';,':.;.';!!"';';)looole, ,;,. una oo,,..;one mfil LOCAZIONI CANONI. -Se l'aumento supplementare di cui all'articolo 18 della legge n. 253 del 1950 dovuto dal conduttore al locatore, che abbia eseguito sull'immobile locato importanti ed improrogabili opere di riparazine, debba essere corrisposto anche se il canone abbia gi raggiunto il limite mP-ssimo previsto dall'art.. 4 della legge 1 maggio 1955, n. 368 (n. 106). MONOPOLI RIABILITAZIONE; -Se la riabilitazione valga a far cadere la indegnit, stabilita dall'art. 55 del R. D. 14 giugno 1941, n. 577, per il conferimento e .la gestione dei magazzini di vendita e delle rivendite di generi di monopolio (n. 32). NOTAIO ONORARI. -I) Se l'atto di assegnazione dell'appartamento al socio di una cooperativa edilizia, costituita ai sensi e per gli effetti della legge 10 agosto 1950, n. 715, debba considerarsi traslat.ivo della propriet (n. 9). II) Se, nella riposta affermativa, al notaio rogante spetti l'onorario ridotto previsto dall'art.. 151 del T. U. approvato con R. D. 28 aprile 19:\8, n. 1165, e successive modificazioni (n. 9). OBBLIGAZIONI E CONTRATTI PRIVILEGI. -Se il privilegio speciale di cui all'art. 50 del T. U. sulla pesca (R. D..8 ottobre 1931, n. 1604) debba esFlere collocato dopo le eventuali ipoteche e nei suoi confronti trovi applicazione l'art. 559 cod. nav. (n. 36). PIANI REGOLATORI IMMOBILI DEMANIALI. -Quale sia la procedura da seguire nei casi in cui l'Amministrazione militare intenda opporsi alla destinazione data da un piano regolatore e da successive varianti, ad immobili demaniali, allorch tale destinazione sia lesiva degli int.eressi militari (n. 5). PIGNORAMENTO VENDITA MOBILIARE. -Se la norma dell'art. 536 C.P.C., riguardante i poteri di chi incaricato della vendita mobiliare; sia applicabile al procedimento esemitivo amministrativo previsto dalla legge 14 aprile 1910, n. 639 (n. 1). POSTE E TELEGRAFI CORRISPONDENZA FERMO POSTA. -I) Se la corrispondenza fermo posta debba essere consegnata agli eredi del destinatario che ne abbiano concordemente fatto richiesta (n. 68). GESTIONE LA PROVVIDA. -II) Se la Gestione .Viveri La Provvida possa beneficiare della franchgia nella trasmissione dei telegrammi di servizio sui fili della rete 1 della Amministrazione Ferroviaria ed in caso di inter-f ::.::'i'\:."::;im ulla rete delle. PooOO e Teleoo I - -184 - TRASPORTI POSTALI. -III) Se, ai sensi della legge 8 gennaio 1952, n. 53, il concessionario dell'autolinea pubblica sia tenut,o a sottoscrivere la cartella d'oneri per I trasporto postale sull'intero percorso dell'autolinea, anche se rinu zi al canone (n. 70). IV) Se possa assumere l'esecuzione del trasporto degli effetti postali un'altra impresa concessionaria di autolinee pubbliche diversa da quella che sia vincolata dalla cartella d'oneri (n. 70). TRASPORTI POSTALI MARITTIMI. -V) Se, ai sensi dell'art.. 87 del Codice Postale e dell'art: 32 della Convenzione di Bruxelles 11 luglio 1952, l'Amministrazione delle Poste e Telegrafi sia responsabile per la perdita,di pacchi postali t,rasportati per via marittima, determinata da cause di forza maggiore (n. 71). PUBBLICO UFFICIALE Se l'Ufficiale rogant.e, autorizzato a ricevere i contratti stipulati dalle Amministrazioni dello Stato, sia autorizzato a ricevere l'atto con cui un terzo manifesti unilateralmente la volont di donare a favore di un'Amministrazione dello Stato (n. 1). REGIONI LEGGI REGIONALI. -Quale sia la procedura da seguire per la promulgazione delle leggi regionali e provinciali che siano state solo parzialmente dichiarate illegittime in sede di giudizio costituzionale (n. 67). REGISTRO CONTRATTI STIPULATI CON LO STATO. -I) Se coloro i quali contraggono obbligazioni verso lo Stato possano ottemperare all'obbligo della prestazione di idonea garanzia mediante una cauzione costituita da fideiussione (n. 3). II) Se debba essere applicata la tassa graduale ovvero quella fissa, sulle cauzioni costituite da fideiussione, che siano accettate a norma delle disposizioni contenute nel R.D.P. 29 luglio 1948, n. 1309 (n. 3). RIABILITAZIONE Se la riabilitazione valga a. far cadere la indegnit stabilita dall'art. 55 del R. D. 14 giugno 1941, n. 577, per il conferimento e la gestione dei magazzini di vendita e delle rivendite di generi di monopolio (n. 2). REQUISIZIONI REQUISIZIONI ALLEATE. -I) Se il decreto ministeriale con il quale era stata liquidata l'indennit per danni derivanti da requisizione operata dalle forze armate alleate, possa essere soggetto a revoca per motivi di legittimit (n. 115). REQUISIZIONE DI AUTOMEZZI. -Il) Se nel caso di perdita totale di automezzi requisiti in uso in territorio soggett.o alla sovranit italiana e distrutti in altro territorio ove si erano venuti a trovare a seguito di dispo sizioni delle autorit militari la perdita dell'automezzo per la corresponsione dell'indennizzo, deve ritenersi avvenuta nel territorio in cui avvenne la requisizione ovvero nel territorio in cui il danno si verificato (n. 116). SEQUESTRO PRESCRlZIO~. -I) Se debbano ritenersi prescritti, aisensi dell'art. 1, 4 comma, della legge 31 gennaio 1953, n. 51, biglietti della Banca d'Italia, cessati di aver corso legale, mentre erano sotto sequestro in quanto costituenti corpo di reato (n. Il). SEQUESTRO CONSERVATIVO. -II) Se la istanza per l'autorizzazione al sequestro conservativo previsto dall'art. 26 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, debba essere presentata dall'Avvocatura dello Stato in rappresentanza dell'Intendente di Finanza competente ovvero dall'Intendente in proprio (n. 12). SERVIT SERVIT MILITARI. -Se ed in quali casi possa procedersi ad imposizione di servit aeronautiche mediante manifesto dei Comandi di Zona Aerea Territoriale ai sensi del 5 comma dell'art. 4 della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 (n. 23). SUCCESSIONI TESTAMENTI. -Se, ai sensi dell'art. 29, lett. d) del Concordato con la S. Sede sia valido un test.amento istitutivo di un "legato pio redatto in epoca anteriore al 1865 non scritto n sottoscritto dal testatore (ma semplicemente munito di un segno di croce convalidato da testimoni) (Ii.. 56). TRASPORTO TRASPORTI POSTALI MARITTIMI. -I) Se, ai sensi dell'art. 87 Codice Postale e dell'art. 32 della Convenzione di Bruxelles 11 luglio 1952, l'Amministrazione delle Poste e Telegrafi sia responsabile per la perdita di pacchi postali trasportati per via marittima, determinata da cause di forza maggiore (n. 44). TRASPORTO INTERNAZIONALE. -Quali sian9, ai sensi dell'art. 53 della Convenzione Internazionale per il trasporto merci, -le disposizioni che devono ritenersi applicabili al trasporto delle casse mobili in servizio internazionale (n. 45). TURISMO AGENZIE DI VIAGGIO -RESPONSABILIT:. -I) Se la agenzia che ha organizzato un viaggio collettivo sia responsabile dei danni arrecati a chi partecipa al viaggio da terzi nell'espletamento di servizi non assunti da essa agenzia in proprio (n. 10). II) Se il contratto stipulato fra l'agenzia turistica e i suoi clienti sia da configurarsi come un contratto atipico ovvero abbia la natura di un mandato o commissione o mediazione (n. 10). .: =:: ='=..-..t..~..-..: ..=..':. .:..'?: -:-.-:x. ....: :..... .-:....::. .=